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ISSN 1124-9080

Poetiche rivista di letteratura


Vol. 14, n. 36 (3 2012)
Mucchi Editore

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Poetiche, vol. 14, n. 36 (3 2012), pp. 481-485

Niva Lorenzini, Corpo e poesia nel Novecento italiano, Milano, Bruno Mondadori 2009, pp. 157.
Il saggio di Niva Lorenzini, uscito per i tipi di Bruno Mondadori sulla poesia italiana del Novecento e dal titolo molto semanticamente pregnante di Corpo e poesia nel Novecento italiano, per certi versi, tira le fila e le somme degli innumerevoli saggi che la studiosa ha riservato alla scrittura in versi; ecco come lautrice stessa lo presenta: relegato per secoli ai margini della nostra tradizione poetica, il corpo occupa nel Novecento un ruolo centrale. Questo volume indaga i modi del suo presentarsi, sia come oggetto di una poesia che parla del corpo, assumendola come tema dominante, sia come soggetto di linguaggio, cio modo di proporsi di una lingua-corpo che inaugura inedite modalit percettive ed espressive, che forzano i limiti grammaticali, lessicali, stilistici di codici preesistenti. In entrambi i casi parlare del corpo comporta chiamare in causa il rapporto letteratura-realt, dal momento che il corpo non pu essere percepito e indagato se non lo si localizza in uno spazio e in un tempo definiti, se non lo si considera espressione di una cultura storicamente collocata: da questi presupposti la lingua, cos come ogni scelta stilistica che intenda rappresentarlo, non possono prescindere. E non ne pu prescindere di certo neppure la poesia. E proprio sulla storia del corpo, sul suo diverso proporsi attraverso differenti stagioni e contesti, che si possono misurare le trasformazioni di un orizzonte storico, di unepoca [] Ogni societ, ogni epoca, coltivano insomma una propria immagine di corpo cos come possiedono una propria lingua. (p. 1).

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Bisogna sottolineare subito come queste premesse metodologiche trovino poi perfetta realizzazione nelle pagine del saggio, dove lautrice analizza i singoli testi ed autori e non cosa comune: questo viaggio ermeneutico parte, e non poteva essere diversamente, dalla fine dellOttocento, con il corpo mitizzato dei versi di DAnnunzio dove a dominare ancora la possibilit di amplificare il potere delle parole. Entriamo, quindi, a pieno titolo nel Novecento, con Rebora, dove il corpo con le sue incertezze e traumi la spia di un uomo in conflitto con il proprio tempo. Con Lincendiario di Palazzeschi compare in scena il corpo e insieme al corpo, naturalmente, lio: un io teatralizzato, ludico, grottesco, lio del saltimbanco, a cui viene delegato il compito, nellepoca della modernit, di dire la verit. E la dice, esibendo il proprio corpo morto, facendo il morto, e quindi attraverso un artificio, una messa in scena. Un corpo che si fa pietra, refrattario, freddo, disanimato, quasi come se la parola avesse il potere di scavarlo, di scolpirlo, quello che troviamo in Ungaretti, in una poesia che diventa appunto il resoconto fedele di unesperienza personale s ma capace di farsi resoconto puntuale della vita di una intera generazione e di unepoca della storia. Sereni, e siamo al momento di passaggio tra primo e secondo Novecento, si pone il problema di dar voce al corpo della realt: e lo fa attraverso una matericit che porta ad un realismo che supera lelegia, forte di un immediato qui e ora. Si realizza quasi un realismo del corpo, raggiunto attraverso un sapiente uso dei deittici. Una cruda corporalit, un corpo fatto a pezzi, frammentato, fedele registrazione di una estraneazione, spazio di conflitti e contraddizioni di un soggetto che patisce una esclusione, che vive in una non appartenenza, pronta a ri-

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cercare, senza rintracciarla, ununica possibilit di trovare e mantenere unidentit, per quanto raggelata e bloccata, riempie le pagine di Pier Paolo Pasolini. E solo una Passione che a parer nostro si fa Ideologia, unideologia della passione, permettono allautore di provare a tenere insieme spinte davvero contrastanti, sollecitazioni agli antipodi. Un corpo in grado di farsi elemento costitutivo del testo, atto di lingua, incarnazione, diventa la cifra essenziale della scrittura di Zanzotto: un corpo, per, osserva la Lorenzini, che non si apparenta ad un corpo vissuto, ma che pare sin da subito aprirsi ad un rapporto geologico e cosmico con la natura, sembra predisposto a coincidere con un corpo-psiche. (p. 76). Un corpo frammentato come il soggetto che lo abita. Nella Rosselli vengono svelati i rapporti tra trauma, patologia dellesistenza e scrittura creando un nesso quasi diretto, nei suoi versi, tra corporeit fisica e stato del corpo testuale. E cos la parola si fa lingua-corpo creando una scrittura dove convivono un corpo unito senza fratture alla mente, e la materia vive insieme con lo spirito, secondo connessioni squisitamente artaudiane. E su questo prende forma il realismo mentale della Rosselli, capace di rendere conto di una identit scissa: per questo abbiamo un realismo di immagini ed evocazioni della mente. Con Porta la riduzione dellio produce uno sguardo senza appartenenza, lontano, delocalizzato, scisso, appunto. Tutto questo porta ad una sorta di metamorfosi e deformazione, non solo verso il grottesco ma verso una comunicazione crudele del corpo: recisione violenta, tagli, fisionomia multipla sono i tratti essenziali di questa scrittura, che ci mostra, senza veli, frammenti di corporeit dissezionata (p. 96). E questo sguardo consente alla parola di coglie-

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re una realt tremenda, raggelata, alienata: tutto visto da un occhio tagliato alla Buuel. La poetica dello sguardo segna labolizione del poeta-io. Il testo poetico prende la forma di un atto fisico in Sanguineti, dove la scrittura continuamente attraversata da altri linguaggi. La realt del testo accetta completamente ogni elemento della realt storica ed effettuale, nulla viene espulso: il realismo duro, dantesco, il frutto di una calcolatissima messa in scena del corpo. Laltra sua maniera riconduce direttamente alla corporeit del testo inteso come gesto, e dunque allenergia plastica, fonica, della parola messa in scena e messa in forma da Sanguineti (p. 104), per creare, con una carica eversiva, disordine in un mondo ben rappresentato dalla violenza di un linguaggio fondato su clich che spersonalizzano. Lacerazione della voce, afasia, autofagocitazione, silenzio che parla attraverso vocalit e fisicit, furia espressiva, sono la cifra di un poeta, Sanguineti, che non si sottrarr mai allimpatto con la storia. Con il corpo tra miopia e poesia di Magrelli, e il corpo come protesi e unico mezzo per conoscere della Biagini si chiude questa indagine sulle scritture in versi del Novecento. Dato conto di un metodo analitico e dei suoi risultati esegetici, dobbiamo subito rilevare come questi testi siano essenzialmente delle lezioni, e di questa modalit mantengano proprio limpianto, apparentemente, per alcuni aspetti, molto discorsivo, quasi dialogante con un tu, destinatario privilegiato, lettore collaboratore: in realta proprio questo tratto permette allautrice una sorta di erranza della scrittura, di vagabondaggio tale che i singoli autori, dopo essere stati portati in primo piano, analizzati e svelati, quasi svaniscono, nel senso che sono tracce sensibili dellavvento della piena modernit e

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ci parlano dellalienazione e della fine dellumano, al punto che il corpo dilaniato e frammentato fa il paio con la crisi dellio, la fine della sua identit e integrit: la fisicit, per quanto lacerata, pare fare resistenza contro lo sfaldamento. Ogni residuo di fisicit sembra una chance di recupero di vita autentica, nel senso di non disumanata. Ma questi risultati e la struttura del libro ci fanno ormai affermare come, in realt, siamo di fronte ad un libro con il trucco, con il gioco segreto, dove davvero ogni testo un test; sfruttando a pieno le movenze tipiche del saggio di studio, dellindagine con palesi fini didattici, secondo modalit in Italia iperconsolidate, la Lorenzini riesce a presentarci, quasi deresposabilizzandosi, lasciando, in apparenza, la parola ai testi, un viaggio profondo nel corpo lacerato della piena modernit. La struttura fortemente allegorica, ma per essere realistica, al punto che non solo, attraverso lo sguardo sul corpo pi o meno fatto a pezzi, esce il quotidiano vero, ma addirittura il domestico, quello che per essere trasmesso e messo su carta costringe lautore a fare i conti con la propria dimensione dellio, in tutte le sue sfaccettature, con un senso di timidezza della parola e di pudore, quasi interiore, che sempre esce nel momento in cui si mette a nudo non solo il cuore, ma anche lanima e le viscere. Lio ne risulta talmente distrutto da risultare quasi afasico, cos il corpo martoriato e fatto a pezzi a prendere la parola, a dare voce ad un discorso, altrettanto frammentato e comunque privo di qualunque pacifica armonia.
(Universit di Genova)

Erminio Risso

Poetiche, vol. 14, n. 36 (3 2012), pp. 487-495

Roberto Deidier, Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno, Palermo, Sellerio 2012, pp. 331.
Roberto Deidier insegna alluniversit di Palermo, autore di numerosi studi sulla modernit letteraria e ha curato opere e carteggi di Penna, Saba, Montale, Manganelli. Ma non bastano i soli nomi di questi eccelsi rappresentanti del nostro Novecento per dare unidea delle intense e numerose frequentazioni poetiche e teoriche che egli pu vantare nellambito della letteratura europea ed extra europea. Basta sfogliare questo volume per intravedere la ricchezza delle letture dei grandi autori della modernit, ma anche di quelli meno noti che egli ha indagato restituendoli alla loro giusta e meritata fama. Con la lettura dei suoi poeti e scrittori Deidier intreccia, con uno stile e unarticolazione teorica personalissimi, la lettura dei grandi critici della modernit, sovente poeti essi stessi (come Auden e Brodskij, solo per citarne due). Il poeta e il saggista dunque si interrogano incessantemente. Numerosi sono i suoi studi pubblicati dagli anni Novanta sino ad oggi tra i quali: Dallalto, da lontano. Scritture delladolescenza, della fiaba e dello scorcio nel Novecento italiano (2000), un titolo assai suggestivo questo, che indica loriginale prospettiva dindagine che allinea le scritture delladolescenza, della fiaba e dello scorcio. Il lavoro su Calvino: Le forme del tempo. Miti, fiabe, immaginario di Italo Calvino (Sellerio, 2004). La raccolta in volume degli scritti su Penna intitolata Le parole nascoste (Sellerio, 2000), e ancora un lavoro sulla poesia: La fondazione del moderno. Percorsi della poesia occidentale (Carocci, 2001), e sul mito: Persefone. Variazioni sul mito (Marsilio, 2010). Da que-

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sta rapida elencazione emergono chiaramente gli oggetti privilegiati dalla scrittura di Deidier: la poesia occidentale, la modernit letteraria. La poesia innanzi tutto, a cui bisogna aggiungere la saggistica che dalla poesia nasce e si alimenta. Questa breve perigrafia suggerisce gi il particolare profilo del nostro autore, che non si riassume soltanto in quello del critico accademico o del professore di letteratura, ma del critico-poeta, o del poeta-critico, che ha della poesia, e globalmente della letteratura, unesperienza diretta e creativa. Il lampo e la notte si avvale, come gran parte dei libri pubblicati da Sellerio, di unelegante veste tipografica, come si pu vedere dalla copertina che riproduce un manifesto pubblicitario del 1937 dellaeropittore futurista Cesare Andreoni, nel quale un lampo tricolore si sprigiona da una palla di fuoco (un sole, una luna?) accampata su uno sfondo, un cielo verosimilmente, che sfuma dal blu chiaro al blu notte. Questo manifesto illustra perfettamente il titolo del volume, titolo a sua volta mutuato dallemistichio (Un clair puis la nuit! ) di un celeberrimo sonetto delle Fleurs du mal, intitolato A une passante. Un titolo poetico dunque che da solo lascerebbe in sospeso il lettore se non fosse seguito e spiegato da un preciso sottotitolo: Per una poetica del moderno. Possiamo allora gi anticipare che la poetica del moderno identificata da Roberto Deidier la poetica del lampo, cio della luce, e della notte, cio delle zone oscure del Soggetto moderno, rischiarate, secondo la bella immagine forgiata dallautore, da una luce acherontea, sulla quale torneremo. La categoria del moderno attraversa tutti i capitoli del volume, ne il leitmotiv e la trama coerente, che intreccia i vari e numerosi saggi dedicati a temi forti e ad autori fondamentali

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della modernit specialmente novecentesca ma non solo. Filologia della Weltdichtung il saggio teorico che apre e incornicia, insieme al saggio immediatamente successivo, Letterariet ed esperienza poetica, tutti gli altri scritti raccolti nel volume. A questi primi due seguono tre saggi, i tre generi di Euridice, dedicati rispettivamente al poema narrativo di Jos de Espronceda, Lo studente di Salamanca, uno dei capolavori del romanticismo europeo; al particolare statuto della scrittura di Bufalino nel delicato transito dalla poesia al romanzo. E il terzo genere di Euridice dedicato a Di ed eroi di Vasco Graa Moura, un interessantissimo poeta, che affonda nel mito, ma in modo assolutamente originale e innovativo e che Deidier sollecita a conoscere e ad apprezzare. Quindi, in successione, i saggi: Per unetica della brevit. Lettura dei Sillabari di Parise; Costruire per simmetrie, sul pensiero simmetrico di Matte Blanco; Canone della poesia, poesia della durata, un lungo e cospicuo saggio teorico; Il rospo che ha varcato cento lune su Tristan Corbire, un poeta-funzione della grande stagione simbolista francese, autore dellunica raccolta di versi Les Amours jaunes e inserito da Verlaine, fin dal 1884, nella sua celebre antologia dei Potes maudits; Il rapporto con le origini. Saba e Ammonizione; Stratigrafie poetiche. Dante, Borges, Eliot; Ritmi della modernit; Il poeta che legge se stesso; Poesia e autocritica. I libri di Solmi, nel quale Deidier analizza mirabilmente il testo poetico di Solmi, I libri appunto; e infine i due saggi che chiudono il volume: Poeti fuori casa, che mutua il sintagma fuori casa dal titolo di una raccolta di prose di Montale e, dulcis in fundo, Lavanguardia dei classici. Il primo, come si detto, fa da cornice teorica, da premessa, a tutto il volume, ne inquadra il seducente affresco e il ricchissimo rac-

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conto. Il titolo Filologia della Weltdichtung mima quello di un importante articolo del 1952 di Erich Auerbach: Philologie der Weltliteratur che, sostiene Roberto Deidier, nellattuale passaggio al globale e alla standardizzazione dei modelli, costituisce, ancora dopo pi di mezzo secolo, una fondamentale lezione per il critico odierno, suggerendo una prospettiva di interpretazione dinamica della storia, gi prefigurata del resto da Goethe. Viene sottolineata inoltre, questa volta nella prospettiva della Weltdichtung, limportanza dellattivit di traduzione, che fa dei traduttori dei veri e propri Autori-Mediatori. La specificit del poeta-traduttore energicamente rivendicata da Deidier in accordo, suppongo, con lanaloga e attuale proposta di considerare un vero e proprio genere quello della traduzione dautore, da distinguere e affiancare agli altri generi praticati da ciascun autore (si pensi a Montale, Quasimodo, Luzi). Unaltra nozione feconda discussa nel primo saggio, e riproposta anche nei saggi successivi, quella di storia interiore in quanto storia di unemozione che si traduce in linguaggio, e cos facendo narra unidentit (p. 14), o ancora riferita alla filologia come scienza di una storia interiore e alla poesia come coagulo espressivo di quanto compone quella storia nel suo insieme, come luogo dove convergono pensiero ed emozione, secondo quanto riconosciuto da Leopardi, in un passaggio cruciale dello Zibaldone, il 21 ottobre 1821 (p. 15). Sempre in Filologia della Weltdichtung possiamo leggere un primo commento al gi citato sonetto A une passante di Baudelaire uno dei sonetti pi noti dellOttocento, dedicato a una misteriosa passante il cui rapido passaggio, pur nella brevit del momento, campisce sul resto della folla anonima in una strada chiassosa di Parigi: Un lampo poi la notte. []. La poesia moderna assume

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questa condizione [cio quella dellesperienza dellimpossibile incontro secondo le parole di Antonio Prete] come una precisa modalit percettiva, gi con Leopardi. Il naufragio dellinfinito lammissione, dolce, di uno sconfinamento analogico (pp. 17-18). A questo punto viene ripreso il motivo del poeta cieco, precedentemente introdotto, per dedurne lincisiva metafora dellaccecamento entro la quale inscrivere la modernit: metafora certamente suggestiva di come la parola della poesia scardini i principi della logica aristotelica, attestando una discussa etimologia. Lo dimostrano, a vario titolo e su piani diversi, le numerose discese a cui il poeta moderno si costringe, spesso condotte secondo precise modulazioni di una matrice mitologica, in grado di veicolare pi generi e di fonderli tra loro: il mito orfico, anzitutto, ancora attivo nelle scritture del simbolo fin dentro il Novecento, ma declinato pi modernamente e pi problematicamente rispetto al passato dalla parte di Euridice. Esemplificata, ormai nel pieno dellOttocento, proprio dalla passante di Baudelaire, visibile, e inafferrabile, eterno rinvio di una promessa nel tempo circolare del mito: []. (p. 19) In Letterariet ed esperienza poetica Deidier mira a ridefinire il termine poetico e quindi lirico a partire dalla constatazione che la poesia una lingua fuori dalla lingua comune. Essa si pu comparare senzaltro allarchitettura, secondo lantica tradizione che si fa risalire al Proemio alle Poesie di Campanella. Campanella recupera, scrive il nostro critico, gi in pieno barocco quellessenzialit della parola poetica che ne fa diretta filiazione del Senno e di Sofia. (p. 34) Dei tre capitoli dedicati ai generi di Euridice, accenno soltanto alla configurazione bufaliniana del novecentesco mito orfico. Nel bel saggio incentrato sul delicatissimo passaggio del-

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la scrittura di Gesualdo Bufalino dalla poesia al romanzo, dai versi de Lamaro miele alla Diceria delluntore, viene individuato il motivo, ma forse sarebbe pi esatto dire il tema, della solitudine, che non solo il grande veicolo che agisce di capitolo in capitolo nel primo romanzo dello scrittore siciliano, ma diventa per Bufalino anche un principio formale: quello in virt del quale la confessione (o testimonianza o delazione) pu essere resa attraverso il linguaggio sovraletterale della poesia come in quello di una prosa che, nutrendosi del verso, si presenta come unistanza di secondo grado, come un racconto al quadrato: insomma come una ri-scrittura. Scelta, questultima, forzatamente antinaturalistica, tutta lirica, di quella liricit che traduce sia la retorica, sia la piet sfuggite al silenzio del narratore. Ed esse rappresentano, in un gioco delle parti che non deve sorprendere, rispettivamente il contenuto e lespressione di una voce estorta a se stessi. []: il primo germe, la prima fonte di scrittura resta, rispetto al romanzo, la scrittura in versi. Diceria delluntore non solo riprende e rielabora sintagmi o stilemi che concorrono alla particolare tonalit della prosa bufaliniana [] ma sviluppa quegli embrioni di storie, quelle immagini e quei motivi che la sincerit del verso ha condensato nella forma breve del componimento poetico, sottraendoli in prima istanza al fluire narrativo, al contesto di una vicenda (p. 55, p. 59). Il testo di un grande poeta tedesco, tra i numerosi poeti pi o meno cripticamente citati nella Diceria (da Verlaine a Hopkins a Sbarbaro), ha invece ispirato il tema orfico sia nel romanzo sia nei versi che ne costituiscono lavantesto e anche lipotesto. Se il tema orfico scrive Deidier quello che informa di s lintero romanzo, e a sua volta mutuato dai Congedi e dalle evocazioni di spettri nellAmaro miele, la fonte di cui poe-

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sie e romanzo conservano tracce sparse ma rilevanti andr cercata piuttosto in un altro autore ampiamente frequentato dal giovane Bufalino: Rilke, il Rilke pintoriano di Orfeo, Euridice, Hermes. Riletto per, in una singolare sinergia tematica che scorre attraverso il paesaggio desolato degli Ossi montaliani e che riguarda, in primis, il motivo dellidentit, la ricerca, laffermazione del nome. una rete disseminata in ogni pagina, quasi, e del canzoniere e del romanzo (p. 68). Un altro contributo, di grande interesse, Ritmi della modernit, dove il leitmotiv che percorre lintero volume il poeta e la modernit trova unicastica definizione, quella di icona della luce (p. 212). Bisogna ricordare che larco temporale nel quale Deidier colloca la sua categoria del moderno va da Leopardi a tutto il Novecento fino ai nostri giorni. In molte pagine del libro ci imbattiamo in un Leopardi fondatore della modernit che egli trasmette alle generazioni successive di poeti non solo italiani, ma anche europei. Questo un riconoscimento del poeta dei Canti che mi trova profondamente solidale. Ora, il poeta moderno che ha in Leopardi il suo primum esattamente quellicona di luce gravida di una tensione volta alla ricerca di una verit abissale, a portare il fuoco appunto nellabisso orrido e immenso, che si apre agli occhi del pastore errante. In questa tensione e in questo gesto il critico individua lestremo ruolo titanico del poeta (p. 212). Per cui il ritmo della modernit non altro che questa ricerca volta verso il fondo del vero e alla narrazione di questo impossibile viaggio. Ma questo inabissamento fa s che la luce di cui il poeta portatore sia una luce particolare, una luce acherontea, ambigua, luciferina, come quella del poemetto Une saison en Enfer. Nel corso della grande tradizione europea, dalla luce vertica-

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le di Dante attraverso il testimone muto delleffige solare nella Waste Land, la poesia si fa scandaglio, strumento e non fine di un percorso di conoscenza. Diviene pertanto il ritmo stesso, la percezione visiva e non pi soltanto uditiva, di quel percorso, diviene un abbaglio dellistante (p. 213), un lampo e la notte, per tornare al titolo del volume e allemistichio di Baudelaire. Segue quindi una fine analisi del tableau parisien, arricchita da splendide glosse sul ritmo in Leopardi, Ungaretti, Marina Cvetaeva, Anna Achmatova. Negli ultimi due paragrafi di questo istruttivo saggio, intitolati Lordine del ritmo e Il dimon e loracolo, ricorrono ancora i nomi di autori che hanno profondamente meditato sul ritmo: Hopkins, Auden (forse il poetafeticcio di Deidier o perlomeno uno dei suoi pi amati), Stefan George, il formalista russo Blok, il Nietzsche della Gaia Scienza, il Plutarco dei Dialoghi delfici, Keats e ancora Cveateva. Il poeta che legge se stesso affronta la cosiddetta dimensione ri-creativa applicata allopera altrui, attraverso la quale limmagine del poeta diventa speculare a se stessa, si sdoppia in uno stimolante cortocircuito tra poiesi ed ermeneutica, anche laddove lattenzione si sposta verso domini esterni: un poeta che commenta un altro poeta , inevitabilmente, compromesso dalle proprie istanze di ricerca, dalla propria visione della poesia. In questo senso unars poetica condotta a plasmare di nuovo se stessa per prestare la propria consapevolezza, la propria capacit di scavo e di introspezione a unaltra ars (pp. 227-228). Ora tra saggisti autoriali e plurigenerici e saggisti puri o monogenerici, per non dire dellaltra ormai perenta opposizione tra critici militanti e critici accademici, Deidier sembra decisamente schierarsi dalla parte di quello che egli definisce il racconto del testo: Racconto del testo, egli scrive, quanto deri-

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va dalla capacit di restituire nello spazio della pagina, al tempo stesso, il percorso dello scavo ermeneutico senza perderne il grado di ricezione emozionale, creando uno stile denso ma anche pi felicemente fruibile (ci che accade di rado nella critica italiana). Gli esempi, pertanto, andranno ricercati in quegli ambiti dove la saggistica sempre stata considerata una delle forme dellattivit interpretativa, e dove la figura del critico non appare estraniata dallaura autoriale che le consustanziale. Uno di questi ambiti quello anglosassone, il quale presenta una casistica vasta, dal Dottor Johnson a Matthew Arnold, da Edmund Wilson a tutta la lunga serie di narratori e poeti che sono stati [] interpreti di primordine: Pound, Eliot, Wystan Hugh Auden; ma anche coloro che, pur collocandosi in una corrente teorica piuttosto delimitata come quella del New Criticism, ne hanno saputo contenere la settorialit, come Robert Penn Warren []. (pp. 234-23) Vorrei concludere questa mia rapida traversata del volume di Deidier con unaltra bella citazione tratta da Poesia e autocritica. I libri di Solmi, dove il nostro critico, dopo aver dialogato col saggio di Baudelaire Su Wagner, in cui il poeta francese riflette appunto sulla differenza tra il poeta e il critico, e dopo avere analizzato la poesia I libri di Solmi, conclude: Il linguaggio il solo luogo dove lEssere insieme nominato e negato, e I libri di Solmi ambirebbero ad essere, umanisticamente, i testimoni di questo doppio, illusorio movimento; anche se in questo umanesimo, cos dolorosamente consapevole eppure mai disperato, non possono che recitare, novecentescamente, le parole dellimpossibilit e dellassenza (p. 260).
(Universit di Catania)

Rosalba Galvagno

Poetiche, vol. 14, n. 36 (3 2012), pp. 497-504

Massimo Pulini, Gli inestimabili. Quando Raffaello e Piero vennero rubati a Urbino, Forl, Cartacanta Editore 2011, collana I Cantastorie, pp. 192.
Due narrazioni si inanellano nei quarantasette micro-capitoli de Gli inestimabili, la cui struttura composita sfida la brevit. Accostando lesposizione meticolosa di una vicenda veramente accaduta a squisite descrizioni di opere darte, Massimo Pulini crea due trame parallele che sembrano dipanarsi autonomamente, poi si rivelano congiunte. La mimesi necessaria alla ricostruzione del fatto storico, lekphrasis trasporta lhic et nunc in una dimensione speculativa. Il nucleo della scrittura larte visiva: mentre si preoccupa di comprenderne lessenza e il farsi in opera umana, lautore la metamorfosa in storie la cui matrice evidentemente autobiografica. Il valore della scrittura ecfrastica di Pulini risiede nella creazione di un vasto archivio iconografico ed esperienziale dal quale scaturiscono molteplici percorsi narrativi. Nellekphrasis egli cerca risposta a una delle domande che in epoca post-moderna qualunque autore, di fronte alla messe di trame gi scritte e riscritte, deve porsi: Come iniziare a raccontare?. Ne Gli inestimabili la descrizione di opere darte sia un modo per dare inizio alla narrazione sia un modo di narrazione, d origine a una storia e la alimenta. Solo apparentemente la successione di ekphrasis giustapposta al racconto e sussidiaria al testo: ognuna di esse un parergon abilmente introdotto per delineare un limine attraverso il quale il lettore condotto fuori da una sola narrazione, verso altre narrazioni. Ne La coperta del tempo. Dipinti e sculture in letargo (2008), che racchiude quattro libri, il

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racconto in prima persona si concentra sullarte per dire di momenti epifanici. Deposizioni, Il secondo sguardo, La mano nascosta e La parte muta accompagnano il lettore in un lungo viaggio raccontato in pagine intime, quasi di diario, nelle quali lo scavo nelle vite degli artisti e la traduzione verbale di opere darte divengono una forma di lettura del mondo e arrivano ad assumere un valore euristico. Che Pulini abbia riflettuto sulla conoscenza e sulla rappresentazione si comprende quando ne Gli Inestimabili sono evocate le indagini capillari e avventurose intraprese nel libro precedente: Adesso so che devo a quella stagione di pensieri e propositi, mossi contro lo scempio dei quadri tagliati, il primo spunto alla scrittura de La parte muta, che tratta dellincompiuto e del frammento. In quelle pagine avevo cercato di scandagliare il fascino indicibile della parzialit, lenigma magnetico del racconto interrotto (p. 141). talmente articolata, la rete di incontri, relazioni, pensieri ne La coperta del tempo, da produrre un effetto di vertigine. Lautore chiede al lettore di avvicinarsi e di entrare in empatia; mantenere la distanza pregiudicherebbe la comprensione. Ne Gli inestimabili Pulini sceglie la stringatezza. La descrizione dellarte si congiunge alla vita reale attraverso la storia di un furto e la ricostruzione, apparentemente pi convenzionale, dello specifico contesto storico e culturale nel quale avvenne. Sottoposti a una contiguit inusitata, lekphrasis e il romanzo poliziesco dimostrano di sapere stare insieme, potenziando sia la diegesi sia la meta-discorsivit. lo stesso autore a definire le analogie fra lo studio di unopera darte e di un crimine: Un dipinto anonimo in fondo come il luogo di un delitto, nel quale una complessa vicenda si misteriosamente compiuta. Nella sua scena un auto-

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re ha lasciato immancabili tracce (p. 65). Lucida e irrefutabile, la similitudine ripresa pi avanti, provocatoriamente sottoposta a revisione e in parte sovvertita. Piuttosto che un ripensamento, lattenzione alle differenze fra indagare larte e il crimine indica che il paragone rientra in una pi ampia interrogazione estetica ed esistenziale. Che verta intorno a un crimine o a unopera darte, il fine dellindagine il disvelamento di un mistero. Vogliono raccontarlo con rigore sia il romanziere noir sia lo storico dellarte, ma mentre il talento delluno si palesa nella scelta di procedure investigative che condurranno a esiti positivi, razionali, oggettivi, laltro deve comprendere che vano ricercare limparzialit, la risoluzione, la sentenza definitiva: Se scoprire lautore di un dipinto anonimo ha analogie con lidentificazione di un omicida, allora scrivere gialli non dovrebbe essere molto distante da esporre tesi di storia dellarte. Posta in questi termini, in forma di equazione, la cosa diventa provocatoria. [] Invece, pi andavo avanti su piste ramificate, pi mi convincevo che la forma del racconto si sarebbe potuta coniugare in modo armonico ai valori emotivi e sentimentali che sono i veri motori di ogni ricerca sullarte (p. 111). Poich il ricercatore utilizza il proprio lessico per restituire il linguaggio dellartista che sta indagando, la forma di ventriloquio che ne deriva invalida la presunta neutralit della scrittura critica: la voce dello studioso che vuole rendere quella dellartista avr una modulazione particolare, talora proromper in note alte, talora abbasser i toni. Anzich referenziale e diretta, la scrittura dellarte si appropria di componenti soggettive, particolari. Inutile cercare forme piane, suggerisce Pulini, poich nel sondare la personalit dellartista, nel decifrarne i moti creativi, la parola produce increspature e sinuosit.

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un commento sul gioco della scopa, la prima frase de Gli inestimabili, una puntualizzazione sulle varianti regionali, dato che nel mazzo di carte romagnole il re bello non tiene in mano il disco dorato dei denari (p. 7). Seppure iperbolicamente locale, lincipit assume una portata universale alludendo al relativismo che definisce gli esseri umani: a Pesaro non contava nulla, niente pi di un cavallo, di uno stupido fante. Solo due chilometri pi a nord, verso la Romagna, segnava un punto che spesso risultava decisivo (p. 8). Nel riportare il fatto di cronaca Pulini segue gli eventi con precisione cronologica e adotta un linguaggio lineare e puntuale, come fosse un giornalista. Mostra acume di psicologo, quando delinea la personalit, i comportamenti e i processi mentali di Elio Pazzaglia, trentenne di Pesaro, nullafacente, giocatore di carte e biliardo, di Rossana, la fidanzata infermiera ostinata nella volont di correggerlo, e di Maurizio Balena, lantiquario riminese il cui disincanto non riesce a sovrastare lindole romantica, la cui ruvidezza si vena di sentimentalismo. Si cimenta in unanalisi sociologica rigorosa, quando descrive tipi umani disparati: i perditempo che frequentano il bar Rossini, gli sgangherati delinquenti di provincia, i vari poliziotti, commissari e procuratori talora efficienti, talaltra pigri, burocrati suscettibili, antiquari e galleristi in bilico fra eroismo e cinismo, raffinati collezionisti esposti a ottuse procedure burocratiche, storici dellarte assoggettati allalfabetizzazione informatica e ormai avvezzi a fare attribuzioni aprendo un allegato di posta elettronica (p. 143). Le osservazioni che intersecano la politica, la societ e la cultura palesano lorientamento ideologico di Pulini, intento a osservare lItalia e fermamente convinto che definire valori estetici, ma anche stare nella socie-

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t, tramandare la memoria storica e fortificare lidentit culturale siano le finalit primarie di chi studia larte. Prende posizione quando, rievocando gli anni Settanta, individua nella reviviscenza della destra e nella senofobia linizio di un declino civile che perdura. Il linguaggio alato dellekphrasis lascia spazio alla datit della storia per ricordare come, mentre le biblioteche e gli archivi continuavano a offrire dimore privilegiate ai ricercatori, qualcuno gi notasse i tentativi di riabilitazione del fascismo e del razzismo che si stavano apparecchiando nel clima politico di quegli anni e che avrebbero preparato, come un massaggio disinfettante prima delliniezione, la deriva antisociale che stiamo vivendo ora (p. 67). Produce un effetto paradossalmente straniante lo sguardo lenticolare che Pulini posa sulle Marche e la Romagna, le regioni coinvolte nel furto. Ne scruta le peculiarit con locchio addestrato del nativo e poi se ne discosta, le mette in vitro per scrutarle attraverso un diaframma: il lettore si trova ad aggiustare il fuoco per sostenere una duplice visione, al microscopio e al telescopio, aderente e distanziata, locale e immateriale. Le modalit con le quali nella notte fra il 5 e il 6 febbraio 1975 Elio Pazzaglia sottrasse dal Palazzo Ducale di Urbino il Ritratto di Giovanna Feltria (la Muta) di Raffaello, la Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, i rozzi tentativi di ricettazione fra Italia e Svizzera, il recupero avvenuto il 23 marzo 1976 a Locarno e il processo svoltosi dopo circa un anno e giunto a sentenza il 25 maggio 1977 si fondono in un dramma molto nostrano eppure ineffabile, reale e surreale, giocato fra il sublime diletto del vivere in mezzo a un patrimonio artistico che si estende lungo tutta la penisola, in un immenso museo allaperto, e limmane fatica di amministrarlo.

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Pulini sceglie di sospendere il giudizio sullautore del furto. Ritraendosi da una facile riprovazione, preferisce sondarne la mentalit unultima volta nella pagina finale: alcune righe in corsivo registrano i pensieri di Pazzaglia, ne elucidano il movente sottolineandone i risvolti emotivi, ne mostrano la bizzarria involontariamente tragicomica nella frase conclusiva: mi sembra che siano ritornati al loro posto, no? (p. 187). Proprio perch Pulini sceglie di non infliggergli un esemplare castigo verbale, il ladro non assurge alla grandezza del vero malvagio, semmai arriva a esercitare lattrattiva di un fuorilegge sentimentale. La mancanza di un illustre cattivo compensata dalla presenza di un eroe garbato, quasi segreto. Senza fragore, clandestinamente il narratore restituisce al Martirio di San Sebastiano nel Duomo di Urbino il frammento tagliato con il ritratto di Antonio Bonaventura, fanciullo primogenito del committente di Federico Barocci. Il dipinto imprime alla narrazione un movimento circolare, che ha inizio nel secondo capitolo con la descrizione dellopera e della mutilazione (p. 13), prosegue con il recupero del piccolo ritratto (pp. 173-174) e infine termina con il ricongiungimento (pp. 179181), che regala un lieto fine temperato. Cos Gli inestimabili svela unaltra sfaccettatura: in esso lautore dichiara la propria identit di studioso che assegna unimportanza fondamentale allimpresa rischiosa dellattribuzione. A motivare la sua ricerca sono tanto lorigine quanto le mutazioni delle opere darte, la lunga stagione del dopo (p. 73). Pulini crede nelle reciproche illuminazioni dellarte visiva e verbale, pratica linterrogazione meta-artistica e utilizza un linguaggio autoriflessivo non solo per indagare questioni estetiche e interrogarsi sullautonomia di ogni arte e sul dialogo fra le arti, ma anche per esplorare il

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nesso fra arte e verit e definire il ruolo del critico. In fondo il lavoro dello storico dellarte sempre stato questo: accompagnare idealmente le opere alla loro ideale appartenenza. Spesso i quadri sono come smemorati che hanno perduto la strada. [] Identificarne lautore il primo atto sulla via del ritorno (p. 20). Lessenza de Gli inestimabili risiede nella convinzione dellautore che lo studio dellarte abbia senso se sottende un telos, se contribuisce alla leggibilit del mondo. Che la traduzione dellimmagine in parola presupponga un atto ermeneutico, sveli e generi significati sullarte, lartista, il critico, evidente nella scrittura ecfrastica che Pulini dedica alle tre opere inestimabili. Per comunicare lalterit che permea il Ritratto di Giovanna Feltria egli trasforma la figura di donna in un ibrido umano-animale: La sua distanza da noi ha per qualcosa di animalesco. Ci guarda come potrebbe farlo un lama andino o unantilope in riposo. Appartiene a unaltra razza, non per censo, ma per natura (p. 90). Lardita metamorfosi dellicona muliebre compiuta da Pulini dimostra che il potere dellekphrasis risiede non solo nella capacit di evocare unimmagine mentale fedele alloriginale, ma anche di generarne altre, esse stesse originali. Suscita stupore lappropriatezza degli aggettivi che sceglie per definire laffinit fisiognomica fra il viso della Madonna di Senigallia, del Bambino e dei due angeli: Tutto largo e posato, frontale e piano. I quattro volti sono filtrati da un ricordo di pienezza e di pace, da una essenzialit di tratti e di affetti. Tutti sono tra loro somiglianti, hanno il naso camuso, dalla radice schiacciata, adenoidea; le sopracciglia glabre, collinari; gli occhi rimpiccioliti e fissi; le bocche sono come mandorle chiuse, pi amare che dolci (p. 96). La descrizione evidenzia la volont del narratore

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di trovare, o costruire, una storia per immagini potenti, incantatrici. Quanto pi intensa limmagine verbalizzata, tanto pi forte sar il rapporto dialettico con limmagine dipinta. Alla Flagellazione dedica una struggente riflessione meta-artistica: sapere che quella sublime impassibilit della pittura [] abbia sopportato anche la prova di un trafugamento, che sia stata bendata come un prigioniero, trasportata nel bagagliaio di un auto, venduta per quattro denari o perduta al gioco, assume un risvolto simbolico al quel nessuna persona che cerchi un senso nellarte pu rimanere indifferente (p. 102). Ogni trasposizione verbale di opere darte visiva portatrice di intuizioni, ipotesi, assunzioni, elaborazioni mentali. Pulini critico ed artista, lo si capisce dallosmosi fra fare arte, tradurla in parola, tenerla in vita.
(Universit di Ferrara)

Paola Spinozzi

Poetiche, vol. 14, n. 36 (3 2012), pp. 505-517

Aa.Vv. Scrittura civile. Studi sullopera di Dacia Maraini (a cura di Juan Carlos de Miguel), Roma, Giulio Perrone Editore 2010, pp. 397.
Pubblicato dalleditore romano Giulio Perrone alla fine del 2010, Scrittura civile assume in buona sostanza il ruolo di Atti del Convegno svoltosi a Valencia, in presenza dellautrice, il 23 e 24 aprile 2009: Dacia Maraini: scrittura, scena, memoria, femminismo. Gi dallintroduzione del curatore del convegno e della pubblicazione, Juan Carlos de Miguel, si percepisce lesigenza che ha portato allorganizzazione del colloquio e alla realizzazione di questo testo. De Miguel cerca, con un excursus acrobatico, di ripercorrere le molteplici strade intraprese dallimpegno artistico di Dacia Maraini. In questo slancio introduttivo alla rincorsa di un panorama generale evocativo dellopera e dellagire marainiani, possiamo comprendere quello che un po il senso del lavoro di de Miguel: proporre ad un pubblico universitario, ma non solo, una via di accesso privilegiata ai contenuti e alle tensioni del corpus marainiano, invitando, con un approccio non solo descrittivo, il lettore generico ad un atteggiamento critico e gli studiosi a una riflessione partecipata, spunto per un nuovo impegno teoretico intorno agli scritti dellautrice. Il testo diviso in sei sezioni di massima: lopera narrativa, il Teatro, il Cinema, le traduzioni dellopera marainiana, la Poesia e gli interventi della Maraini in prima persona (dibattito del colloquio e saggio finale). Oculata e ricca di senso la scelta del curatore di aprire la rassegna critica con lintervento di Giulio Ferroni: Scrivere a Roma intorno al 68.

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Questo articolo traccia, con la chiarezza e il senso della storia che contraddistinguono il noto italianista, le linee principali di quel contesto culturale in cui la Maraini si trovata ad operare nei primi anni della sua produzione narrativa e allinizio di quella drammaturgica. Arbasino, Fellini, Gadda, Ginzburg, Morante, Moravia, Pasolini, Siciliano e altri ancora sono i nomi che vediamo comparire nel felice e dotto amarcord di Ferroni. Profondo e documentato anche il delineamento di quelle istanze, di quelle letture, di quelle urgenze che portarono la scrittrice a comporre le sue prime opere, La vacanza (1962) e Let del malessere (1963), come le opere dei primi anni Settanta, e lattenzione giustamente puntata su Memorie di una ladra (1972), anche se sarebbe stato opportuno ricordare tra le possibili fonti di ispirazione, che prescindono spesso dal contesto, Lazarillo de Tormes, romanzo picaresco spagnolo del Cinquecento, menzionato dalla stessa autrice nel dibattito finale. Larticolo verte infine su Donna in guerra (1975), considerato da Ferroni come emblema della scelta femminista di Dacia Maraini e anche romanzo interprete delle attese di speranza e libert sprigionate dal 68. Originale e efficace larticolo di Sharon Wood: Alla ricerca della madre: lo spazio e il corpo femminile nei primi romanzi di Dacia Maraini. Oltre a continuare quel programma introduttivo sposato da de Miguel, lo scritto presenta il merito metodologico di indagare su un campo di ricerca ben definito, come dichiarato dal titolo stesso. La Wood analizza La vacanza e Let del malessere ripercorrendone le trame e mettendo in rilievo il valore spesso simbolico dei viaggi e degli spazi, rappresentativi di percorsi di conoscenza o di sensazioni di disagio legate a un conflitto tra il ruolo della donna, della madre in particolare, e quello delluomo, padre o compagno

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che sia. Si evince che lo spazio concretezza, ma anche metafora, luogo reale e simbolico di impossibilit e costrizione, a volte di violenza, come gli spazi claustrofobici, o di possibilit e slancio, come gli spazi aperti. Larticolo si distingue per la lucidit e lintelligenza con cui, trovati universali comuni ai due testi, e per quel che riguarda il viaggio, messa in rilievo anche unanalogia con La lunga vita di Marianna Ucra, la studiosa lascia emergere naturalmente e non senza poesia le tematiche marainiane, la ricerca delle protagoniste, Anna e Enrica, di una nuova relazione con lidentit femminile che passa anche attraverso una riconsiderazione della figura materna. Lintervento di Antonio Nicol Zito Da Dacia a Marianna: una lettura di La lunga vita di Marianna Ucra appare, pur nella sua brevit, non privo di qualche spunto. Dal titolo ambizioso ci si aspetterebbe qualcosa di pi, in realt pi della met dello scritto una mera evocazione, bench a tratti molto lirica, della trama del libro. Nella seconda parte lautore coglie con sensibilit invece il ruolo della marginalit nel capolavoro marainiano: Marianna un personaggio ai margini della societ, perch muta e perch donna, e in qualche modo, metaforicamente, muta perch donna. Rapporto con la marginalit su cui si poteva aprire forse una parentesi pi ampia, con abbondanti riferimenti intertestuali, mentre larticolo sfocia poi, un po inspiegabilmente, in un accenno alla teoria del romanzo storico, lasciando un po confusi e inappagati coloro che avevano creduto al titolo e si aspettavano una vera e propria lettura critica. Preludio ad un lavoro di pi ampio respiro il saggio del curatore: Il romanzo familiare di Dacia Maraini. Costruito infatti come una biografia minima, con tanto di introduzione, dieci capitoletti (Bagheria, La nave per Kobe, Il gioco delluniverso, La famiglia Maraini, La generazio-

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ne dei nonni, Il padre, La madre, La letteratura autobiografica al femminile, I Ginzburg e i Maraini, Conclusioni: il contributo di Dacia Maraini), lintervento si presenta come un primo tentativo di riordinamento delle memorie marainiane e passa attraverso la fondamentale trilogia familiare, i cui testi danno il nome ai primi tre capitoli, ma non dimentica i libri di Fosco Maraini Segreto Tibet, Ore giapponesi, Case, amori, universi e importantissimo anche il ricorso a due testi di Toni Maraini, sorella cadetta di Dacia, Ricordi di arte e prigionia di Topazia Alliata e La lettera da Benares. Con un continuo rimando a queste opere de Miguel ricostruisce e documenta, anche in chiave problematica, la storia della famiglia Maraini, dipingendo quellambiente in cui lautrice cresciuta, e che tanto importante stato per la sua formazione, e ricordando da quale vivace e artistico incrocio cromosomico derivi la scrittrice. De Miguel, con spirito critico, affronta questo capitolo abbastanza recente della scrittura marainiana, sempre pi cosparsa di tratti memorialistici e autobiografici, e ne fa un resoconto che, per la sua collocazione allinterno degli atti, risulta fin troppo ricco di particolari, di nuovo, come lintroduzione generale, mosso da una tensione ad abbracciare la maggior quantit possibile di dati e riferimenti. Nellultima parte litalianista profila con acume un parallelo tra Dacia Maraini e Natalia Ginzburg, allargandolo poi alle rispettive famiglie delle scrittrici. Un confronto questo che de Miguel accenna con spirito scientifico, quasi un invito allapprofondimento rivolto a se stesso e agli altri. Lepilogo ha il sapore di un appello alla scrittrice, la richiesta della compilazione di una cronologia affidabile, rigorosa, ben verificata. Chiss che un giorno non spetti al de Miguel stesso adempiere a questo arduo compito.

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Uno storico, Justo Serna, tenta di addentrarsi nei domini della critica letteraria con un articolo dal titolo Colomba. Il bosco famigliare. Non ben chiaro dove voglia arrivare lo studioso, e daltronde dopo una premessa filosofeggiante e concettosa appare qualche pi acuto riferimento al punto di vista narrativo, presto spezzato da nuove divagazioni sul senso della lettura ed abbondanti quanto inutili, bench suggestive, citazioni di saggi che vanno dalla Woolf ad Eco senza dimenticare Freud. Alla fine della critica, che percorre sentieri giustamente bui e boschivi, Serna sembra delineare un profilo della Maraini che lascia abbastanza increduli, quasi che la scrittrice, notoriamente perfezionista, non facesse uso di quel labor limae che la contraddistingue, ma lasciasse in bella vista gli strumenti del mestiere. Vero che la metanarrazione ha un ruolo importante in questo romanzo, ma bisogna sottolineare anche che tutto fatto ad arte e tutto perfettamente compiuto. Come sempre luminosa invece Franca Angelini che, pur fedele al principio della brevitas, ha offerto pagine di grande sostanza. Larticolo dal titolo Dacia Maraini nel teatro degli anni Sessanta insiste sullimportanza delle testimonianze che la stessa Maraini lascia della genesi della sua vocazione teatrale. La Angelini non dimentica di citare esperienze importanti degli esordi teatrali della drammaturga. Ricorda linfluenza del Living Theatre, ma anche lesperienza della compagnia del Porcospino e del teatro di strada, non meno che del teatro della Maddalena. Il contributo pi importante della studiosa senza dubbio nella sintesi con cui scorge le due principali linee percorse dalla produzione teatrale marainiana: la prima che disegna e analizza la figura femminile in posizione sociale estrema, marginale, la seconda, quella che incontra le grandi figure modello della storia

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e del mito. Larticolo si chiude inoltre con una breve rassegna di alcuni versi della Maraini che meglio delineano il suo rapporto con il Teatro. Lintervento di Ferdinando Taviani, Teatro e democrazia culturale, non sfugge ad alcuni limiti che sono propri di una laudatio: quella pronunciata per la concessione della laurea honoris causa a Dacia Maraini il 4 ottobre 2005 presso lUniversit dellAquila. Forse sarebbe stato opportuno rielaborare il testo e dargli una nuova veste per inserirlo pi naturalmente allinterno di questi atti, tuttavia lo scritto, pur cerimonioso, non privo di pregi. Certamente degna di nota la descrizione che lautore fa del rapporto tra cultura togata e Teatro, mettendo laccento su quella sufficienza che vive anche nel fondo dellammirazione di alcuni accademici. Centrale, come ben dice il titolo, soprattutto per laspetto della democrazia culturale interna al teatro e messa in atto con particolare impegno da Dacia Maraini. Percorrendo un doppio sentiero, quello dellafasia, ispirato allafasia provata in sogno dalla Maraini, quando deve rilanciare la battuta agli altri attori e nulla le viene in mente, e quello della simbiosi, Taviani si inoltra prima nel percorso teatrale della Maraini, attraversando la spaventosa condizione del teatro italiano, e poi arriva, con la simbiosi, a parlare delle due interviste a Piera Degli Esposti, in cui Dacia sarebbe stata capace di produrre un nuovo modo di vedere unattrice, descrivendo non il ruolo della Degli Esposti nel teatro, ma il ruolo del teatro nella Degli Esposti. Molto bizzarro larticolo in spagnolo di Antonio Tordera. La premessa sulle coincidenze astrali di un suo soggiorno a Praga non fa ben sperare, per poi lo studioso si inoltra dentro il testo, quasi con piglio strutturalista, e lanalizza mettendolo a confronto, come dice il titolo, Don Giovanni /Don Juan: de Mozart a Maraini,

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con lillustre precedente di Da Ponte, forse dimenticando un po troppo, strano per uno spagnolo, Tirso de Molina. Lanalisi ha in ogni caso degli spunti e riflette anche sul ruolo delle citazioni delle arie mozartiane tra una scena e laltra della Maraini. Certo il riferimento a Brecht, che pure, come ben si ricorda, molto presente nellopera marainiana, appare un po debole, anzi del tutto peregrino, per questo dramma. Nel suo insieme per, anche con la buona riflessione sul finale, larticolo ha un suo valore. Dilonardo scrive un articolo dal titolo Dialogo di una prostituta con il suo cliente e Passi affrettati: una drammaturgia tra cronaca, racconto e memoria. Partendo dagli aspetti positivi, bisogna riconoscere lintelligenza della scelta di due testi cos lontani, nei tempi e nelle modalit, scelta che avrebbe, non uso il condizionale a caso, permesso una luminosa analisi del percorso drammaturgico marainiano. Ma Dilonardo si ferma molto prima, fa una precisa, ma descrittiva analisi delle tipologie di clienti presenti nel Dialogo e poi si perde. Cita, vero, Veronica Franco, meretrice e scrittora, Una casa di donne, Pazza damore, ma di sfuggita, senza dar loro la possibilit di evidenziare una trasformazione. Lanalisi pi che nella letteratura sembrerebbe voler sfociare nella pura sociologia, salvo laggiustamento finale, la citazione di Paolo Grassi sulla funzione del teatro. Vengono riportati fatti di cronaca, ma lesemplificazione appare inutile, visto che, Passi affrettati di per s scritto a partire da fatti realmente accaduti. Dilonardo mette in campo addirittura statistiche fai da te desunte da unarbitraria ricerca su parole chiave fatta con il motore Google! Non c un metodo, ma solo accenni presto abbandonati di analisi testuale e intertestuale. Due difetti appaiono per macroscopici. Il giovane studioso si autocita a sproposito nella bibliografia finale e cita an-

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che, stavolta a proposito, ma nel corpo dellarticolo non c traccia di questo riferimento, Per proteggerti meglio, figlia mia, su cui in effetti sarebbe stato giusto spendere due parole. La seconda mancanza nel citare Buio, senza ricordare al lettore che lultima storia di Passi affrettati, quella di Viollka, deriva proprio da l. Il risultato un articolo parziale, anche sintatticamente ingessato, che non sa raggiungere le vette cui sembrava, e con buon intuito, votato. Encomiabile sotto ogni aspetto lintervento di Giorgio Taffon, uno dei massimi esperti italiano del teatro marainiano: Parola e dialogo (monologo) nel teatro di Dacia Maraini. Con eleganza formale e profondit di analisi, lo studioso entra nel cuore vivo e pulsante dei meccanismi sottesi alla drammaturgia della Maraini. Brillantissimo e fondamentale il richiamo a tutti gli artisti, evidentemente ben noti a Taffon, che sono entrati in relazione con la scrittrice e oggi sono spesso grandi talenti riconosciuti dal Teatro ufficiale. Puntuale e tagliente, la memoria di Taffon non dimentica chi interpret o diresse i primi testi della raccolta Fare teatro: Carlo Cecchi, Paolo Bonacelli, Paolo Graziosi, Laura Betti, Roberto Guicciardini, Peter Hartman, Bruno Cirino etc. Taffon non menziona poi a caso altri grandi nome del teatro, da Ronconi a Piera Degli Esposti, ad Anna Maria Guarnieri e cos via: richiamarli alla memoria dei lettori significa sottolineare lo stupore per una Maraini non ancora davvero accettata, nella sua complessit, dai circuiti (dalle lobbies, come dice lo studioso) dello stravagante sistema teatrale italiano. Ma larticolo di Taffon va ben oltre una denuncia di quellAccademia spesso pregiudizialmente (e spregiudicatamente) (in)sufficiente verso la drammaturgia contemporanea (e verso le drammaturghe!), Taffon parla anche di linguaggio, citando efficacemente alcune osservazioni di Gio-

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vanardi sulla lingua colloquiale, ricollegandosi quindi a certe peculiarit stilistiche dei dialoghi marainiani, alla scelta di un linguaggio per lappunto colloquiale che per pu spesso trovare, nello stesso personaggio, improvvisi slanci e trasformazioni, divenendo polifonia. Solo nellosservazione sulle descrizioni del cibo non concordo del tutto, perch se da una parte vero che lattenzione ai dettagli della cucina pu essere tipica di una scrittura femminile, non va dimenticato il complicato e sensuale rapporto della Maraini con la materia gastronomica, una passione che nasce dallesperienza della privazione e della fame vissuta in Giappone, nel campo di concentramento (di questo parla anche linedito finale: Inadeguatezza). Larticolo di Taffon entra poi nel merito di alcuni testi, tratteggiando con abilit taluni aspetti della relazione donna-autorit. Ecco allora che in veloce sequenza lo studioso si sofferma su Mela, Stravaganza, Suor Juana, Veronica Franco, meretrice e scrittora, Per proteggerti meglio, figlia mia, approdando ad una conclusione che vale da sola lintera, ahim non ben segnalata dalleditore, seconda sezione, dedicata al teatro. Taffon riassume tutto il senso di quel teatro marainiano, che attraverso laristotelico verosimile, come ricorda, porta al vero e alla vita, e con i suoi successi e i suoi fallimenti, delinea un universo drammaturgico marainiano autonomo e non inferiore a quello degli altri grandi maestri del teatro del Novecento. Sonia Ravanelli apre la breve sezione del libro dedicata alle relazioni tra lopera letteraria di Dacia Maraini e il cinema con un articolo intitolato: Confronto tra il romanzo Memorie di una ladra e il film Teresa la ladra di Carlo di Palma. Lo stile della studiosa piano e gradevole, il suo linguaggio talora fin troppo quotidiano, ma efficace. Con una certa tensione didascalica la

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Ravanelli, dopo una breve introduzione e il riassunto del romanzo, fa alcune riflessioni teoriche generali sul confronto tra romanzo e film. Lanalisi viene portata avanti con agilit, la studiosa si sofferma sulla trama, i personaggi, la rappresentazione del tempo, la dimensione spaziale, il narratore; mette poi a confronto, a titolo esemplificativo, alcuni brani letterari con le sequenze cinematografiche. In conclusione la Ravanelli afferma che la trasposizione cinematografica valida e appare tanto pi felice nei momenti in cui Di palma non cerca di imitare pedantemente il romanzo. Ricco di dati e di sapienza, il saggio di Cinzia Sam: Marianna Ucra: in scena dalla pagina allo schermo. La studiosa dispensa informazioni difficili da reperire sulla Maraini sceneggiatrice filmica e televisiva e si riferisce, con note generose, a una bibliografia specifica che mostra quanto (almeno) il personaggio di Marianna, nelle sue differenti ipostasi (narrativa, teatrale, cinematografica), abbia dato vita a un dibattito critico di livello. La Sam molto precisa e porta avanti quasi con acribia la sua analisi, cos divisa: introduzione, gli adattamenti, i personaggi (i genitori e la nonna; lo zio marito, Saro, gli altri personaggi maschili), alcuni temi fondamentali e lo stile (la menomazione di Marianna, la metamorfosi di Marianna, lo stile e la struttura), conclusioni. Come si pu notare il saggio ha un carattere molto descrittivo, ma non rinuncia a porre alcune problematiche sulla trasposizione (filmica o teatrale). Pi ricco e proficuo il confronto con il film. Daltronde la pellicola gode di una realizzazione completa, mentre la riflessione sulla drammaturgia resta inevitabilmente limitata se non si prende meglio in considerazione anche lesito della messa in scena, cio del lavoro di Puggelli. Lo scritto arricchito inoltre da stralci di unintervista inedita a Dacia Maraini.

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Esemplare il saggio di Mara Consuelo de Frutos Martinez: Las traducciones castellanas de Dacia Maraini: sus paratextos. La studiosa presenta un documentassimo panorama delle traduzioni castigliane delle opere di Dacia Maraini, prestando grande attenzione agli aspetti paratestuali: la quarta di copertina, gli articoli di critica riprodotti. Moltissimo spazio riservato inoltre alla composizione grafica delle copertine nelle differenti edizioni. La de Frutos fotografa la ricezione della Maraini a partire dal 1962, anno del Formentor, ai giorni nostri, soffermandosi con dovizia di particolari sulle singole opere con degli appositi capitoletti. La studiosa individua alcune cause principali della mancata diffusione dellopera marainiana presso il grande pubblico spagnolo: censura franchista (dannosa in particolare per Let del malessere), carenza quantitativa e spesso qualitativa delle traduzioni, errori nelle scelte paratestuali, mancata diffusione dei film (in particolare di Marianna Ucra). La de Frutos conclude affermando che Dacia Maraini conosciuta soprattutto per le sue opere narrative e teatrali in cui pi forte la riflessione sulla tematica femminile, auspica inoltre una maggiore diffusione dellopera della scrittrice, lasciando intendere chiaramente che in Spagna la Maraini conosciuta per lo pi da un pubblico di lettori di nicchia. Molto ricco e articolato, il saggio si fa carico dellintera sezione IV, sulle traduzioni dellopera marainiana, ed un validissimo strumento di comprensione. Niva Lorenzini, nota specialista di poesia italiana, affronta alcuni aspetti della produzione poetica marainiana, soffermandosi in particolare sullopera: Crudelt allaria aperta. Lanalisi della studiosa si distingue per lintelligenza con cui la raccolta viene contestualizzata nel panorama poetico dellItalia degli anni Sessanta, ma

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nondimeno per la lucidit con cui, pur non pretendendo di esaurire la riflessione, la Lorenzini entra nel merito del testo poetico, evidenziandone alcuni aspetti generali, come lincidenza di una scrittura della corporalit, ma anche la ricchezza retorica. Un intervento che mette in rilievo, come dice il titolo, Poesia e disarmonia, il complesso rapporto tra lautrice e il padre, descritto nella raccolta. Altri punti importanti segnalati dalla studiosa sono la compresenza di concretezza e visionarietnella scrittura poetica della Maraini e alcune analogie con lopera di Amelia Rosselli. Larticolo resta, rispetto allampiezza di argomentazione necessaria al soggetto trattato, un intervento sintetico e dimostrativo, epifenomeno di una ricerca evidentemente pi profonda, che non poteva trovare spazio nel tempo ristretto di una relazione. Scherzi damore. Antologia poetica multilingue la trascrizione di un simpatico esperimento di traduzione parallela italiano-inglese-spagnolo, messo in atto durante il convegno. Come dice il titolo stesso si tratta di un divertissement, sarebbe stato per importante indicare in nota da quale raccolta provenissero i singoli componimenti. Nella sesta e ultima parte sono riportati il dibattito finale, in cui emergono utili precisazioni, come ad esempio il problema della scelta dei titoli, e uno scritto inedito di Dacia Maraini: Inadeguatezza. Bench breve questo inedito della Maraini tocca dei punti di grande rilevanza. Prima troviamo una riflessione sulla memoria, sulla sua importanza e sulla formazione di una memoria al femminile nata dalla posizione marginale e spesso dolorosa in cui hanno vissuto le donne nei secoli, poi la Maraini prova a formulare uno dei motivi alla base del suo essere scrittrice: [] stata proprio linadeguatezza a spingermi verso la scrittura. Mi trovavo infatti molto

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meglio a scrivere che non a parlare. La scrittura era il luogo dellincontro prestabilito, pacificato, con delle regole. Poco pi di una paginetta dedicata infine al ricordo del campo di concentramento, al rapporto con il cibo che derivato dalla tremenda esperienza con la fame, una fame che per portava anche a immaginare continuamente prelibate, quanto inesistenti, pietanze. Il breve scritto porta in s la promessa di un libro sui due anni passati in campo di concentramento, un libro che la memoria ha finora impedito, ma che forse prima o poi vedr la luce. Scrittura civile un lavoro vastissimo e quanto mai diversificato che apre nuove prospettive critiche per gli studi sullopera di Dacia Maraini. Leterogeneit riflette ovviamente, nonostante la selezione e dunque il filtro del de Miguel, le numerose voci che si sono alternate al convegno di Valencia e ognuno resta responsabile del suo intervento. Apprezzabilissimo lo sforzo con cui de Miguel riuscito a concentrare tanta riflessione critica e spesso di cos elevata qualit. Lo studioso spagnolo ha compiuto unoperazione che descrive il suo profondo spirito di ricerca scientifica, la sua intelligenza nella volont di una collaborazione allargata per affrontare unopera che, data la sua complessit, vastit e variet, difficilmente potrebbe essere indagata tutta intera con successo da un punto di vista individuale. Auspichiamo tuttavia, anche dal de Miguel stesso, la fioritura di puntuali monografie, che, con i giusti spazi di argomentazione, possano indagare esaustivamente singoli aspetti dellopera marainiana e, perch no, sviluppare alcuni dei moltissimi spunti offerti da Scrittura civile.
(Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales - Paris)

Eugenio Murrali

Indice del fascicolo


Poetiche 3/2012 255 263 295 325 343 Fausto Curi Struttura del risveglio Elisabetta Calderoni DAnnunzio romano, dandy imperfetto Elvira Ghirlanda Le biciclette e il mito di Alcina in Giorgio Caproni Federico Fastelli Il nuovo come apocalisse, ovvero lavanguardia allalba della postmodernit Andrea Lettieri Pirandello. Il Soffio di un Angelus Novus

Juan Carlos de Miguel y Canuto 365 La strada che conduce a Natalia Ginzburg: il lessico famigliare visto dallinterno 397 423 453 Elisa Martnez Garrido Sentire il mondo, pensare la realt. Due scritti politici di Elsa Morante Valentina Maini Beckett e Rosselli, tra spazi e movimento Alberto Comparini Appunti per una storia della poesia moderna italiana

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255 263 295 325 343 Fausto Curi Struttura del risveglio Elisabetta Calderoni DAnnunzio romano, dandy imperfetto Elvira Ghirlanda Le biciclette e il mito di Alcina in Giorgio Caproni Federico Fastelli Il nuovo come apocalisse, ovvero lavanguardia allalba della postmodernit Andrea Lettieri Pirandello. Il Soffio di un Angelus Novus

365 Juan Carlos de Miguel y Canuto La strada che conduce a Natalia Ginzburg: il lessico famigliare visto dallinterno 397 423 453 Elisa Martnez Garrido Sentire il mondo, pensare la realt. Due scritti politici di Elsa Morante Valentina Maini Beckett e Rosselli, tra spazi e movimento Alberto Comparini Appunti per una storia della poesia moderna italiana

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Poetiche - Quid novi? 3 del 2012 Poste italiane Spa - Sped. Abbon. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 1 DCB, Modena CPO Prezzo del presente fascicolo 22,00 i.c.

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