Una preziosa ricompensa: Harmony Collezione
By Penny Jordan
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About this ebook
Kiryl Androvonov ha un unico acerrimo rivale: Vasilii Demidov. Fortunatamente, il punto debole di Vasilii è la sua giovane e privilegiata sorella Alena... Il piano di Kiryl è semplice: sedurrà l'affascinante Alena, e quando ne avrà avuto abbastanza di lei la userà per ricattare Vasilii e concludere l'affare che sancirà il suo definitivo trionfo, suggellando il suo impero economico. Chi vince prende tutto, insomma, tanto più che già la bella Alena potrebbe essere considerata come la ricompensa più preziosa. Almeno fino a quando la ragazza non scopre di essere stata usata in quel modo da Kiryl...
Penny Jordan
Scrittrice inglese, attiva da parecchi anni nell'area della narrativa romantica, è notissima e molto apprezzata dal pubblico di tutto il mondo.
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Una preziosa ricompensa - Penny Jordan
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Most Coveted Prize
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2011 Penny Jordan
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-765-1
1
Alena aveva capito di volerlo nell’attimo stesso in cui l’aveva visto.
Era successo nel foyer dell’albergo a Londra, all’inizio della settimana. L’ondata improvvisa di quel desiderio fisico sconosciuto che l’aveva travolta era stata così violenta da privarla letteralmente della volontà, lasciandola tremante da capo a piedi.
Lui era un compendio di tutto ciò contro cui il fratellastro Vasilii l’aveva messa in guardia a proposito del proprio sesso. Era pericoloso, questo lo sapeva, qualsiasi donna l’avrebbe capito, anche se Vasilii insisteva nel trattarla come una ragazzina e non come una donna.
Alena sospirò. Voleva molto bene a Vasilii, anche se era il più opprimente, moralista e protettivo fratello vecchia maniera che potesse esistere. Comunque, c’era qualcosa in lui che la attraeva contro ogni ragione.
Era stato un colpo di fulmine? Era stata contagiata dalla stessa, cupa sensualità di suo fratello? O forse una combinazione di entrambi? Era responsabile il sangue slavo che le scorreva nelle vene? O forse una predisposizione pericolosa verso gli uomini russi, ereditata dalla madre inglese, che si era innamorata disperatamente di suo padre, russo appunto?
Non aveva importanza. Ciò che le capitava era al di là di ogni capacità di analisi, alla quale era stata allenata dalle insegnanti della scuola femminile che aveva frequentato. Niente aveva importanza, se non quell’urgenza passionale che si era impadronita di lei. La virile sensualità di quell’uomo e la sua necessità di offrirsi, di esserne consumata, le riempiva i sensi, non lasciando spazio a nient’altro. Il solo pensiero di respirare la sua stessa aria era sufficiente a mandarla in estasi e a fare sì che il corpo reagisse come se lui la stesse toccando, accarezzando, ne prendesse possesso, insegnandole tutto ciò che significa essere donna.
Alena rabbrividì. Tra qualche istante lui si sarebbe voltato e l’avrebbe vista e, con l’esperienza che aveva, avrebbe riconosciuto l’effetto che aveva su di lei. Il cuore le diede un balzo, sia per l’apprensione, sia per l’anticipazione. Oh certo, era un uomo pericoloso, ma lei lo desiderava disperatamente, spasimava per lui.
Poteva anche essere troppo giovane, come Vasilii non si stancava di ripeterle, ma era abbastanza grande per capire dall’unica, tremula, coraggiosa occhiata che si era permessa di rivolgere all’inizio della settimana a quegli occhi verde malachite, un colore così simile alle imponenti colonne del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, che tipo esattamente fosse l’uomo che ora era impegnato in una conversazione all’altro lato della sala dell’esclusivo albergo.
Era un pericolo sensuale, soprattutto per una giovane come lei. Un uomo che viveva al di là delle convenzioni e delle regole.
Il polso accelerò il battito e Alena lo studiò con attenzione. Era alto, alto come Vasilii, che era uno e ottantacinque contro i suoi centosettanta centimetri. Era anche leggermente più giovane di Vasilii, immaginò. Forse intorno ai trent’anni, mentre Vasilii ne aveva trentacinque. I capelli folti erano di un castano dorato, che le ricordava il colore di una delle giacche da caccia del fratello, anche se il taglio necessitava di una regolata per uniformarsi all’ordine che Vasilii sempre prediligeva.
In ogni tratto del viso, nella struttura ossea, nel contorno, nell’espressione, c’erano lievi tracce di un’eredità caratteristica, di una stirpe abituata a combattere contro altri uomini e a torreggiare su di loro vittoriosa dopo averli sconfitti. Era il classico uomo alpha, determinato a sfidare chiunque avesse messo in dubbio il suo diritto al comando.
Si chiamava Kiryl Androvonov. Assaporò il nome nella mente, srotolandolo come uno splendido tappeto di delizie per i suoi sensi. Si era sentita così cresciuta, così adulta, così coraggiosa e nel pieno controllo del proprio destino quando aveva chiesto al portiere, in modo studiatamente casuale, se sapeva chi fosse, fingendo di aver riconosciuto in lui una conoscenza di suo fratello. Il nome Kiryl sapeva di nobiltà, ma il portiere le aveva detto soltanto che era un uomo d’affari e che questa era la seconda volta che si fermava in albergo.
Kiryl non aveva avuto intenzione di guardare la giovane sottile come una gazzella, con quella cascata di capelli biondi e gli occhi grigio argento che gli ricordavano la luce del sole che si riflette sui ghiacci del fiume Neva in inverno, o le leggende della rusilki, la maga fatale che riemergeva dalle profondità per stregare gli uomini e convincerli a unirsi a lei.
Prima di tutto non era il suo tipo, poi aveva ben altro per la testa che accettare il tacito, tuttavia decisamente esplicito messaggio che gli stava inviando.
Invece aveva guardato, e lei era lì, sulla stessa sedia, allo stesso tavolo, che versava il tè dal fumante, tradizionale samovar che l’albergo si premurava di fornire ai clienti russi.
Non aveva la fede matrimoniale... non che di questi tempi significasse qualcosa. Un’escort d’alto bordo in cerca? Forse, ma ne dubitava. Un’escort l’avrebbe già avvicinato... dopo tutto, il tempo è danaro in qualsiasi professione.
Eppure lo voleva. Lo sapeva. Ma era lui a non volerla. Non intendeva permettersi di volerla, anche se quell’abito di seta dall’evidente costo astronomico che indossava sottolineava l’innegabile perfezione delle sue curve, con tutta la sensuale maestria di una mano d’artista. Il corpetto che la copriva dalla gola ai polsi non sarebbe dovuto essere sexy. Quei bottoncini, incredibilmente minuscoli per mani maschili, che scendevano dalla gola all’incavo del seno, non avrebbero dovuto suscitargli il desiderio di strapparli, per denudare davanti al suo sguardo e alle sue mani la pelle delicata che celavano... eppure era così. I brillanti sugli orecchini - se veri, e sospettava che lo fossero - dovevano essere costati a chi glieli aveva regalati diverse migliaia di sterline. Lo sapeva bene, perché la sua ultima amante aveva cercato di convincerlo a regalargliene un paio simile, proprio poco prima che il suo interesse per lei si esaurisse.
Mentre li valutava, lei alzò il capo e lo guardò, il colore che andava e veniva dal suo viso, le ciglia che scendevano sugli occhi grigio argento che ora non ricordavano più la luce del sole sulla Neva ghiacciata, ma erano ardenti come il mercurio fuso... o come quelli di una donna eccitata.
Inaspettatamente, il corpo reagì a quel veloce cambiamento dall’inverno ghiacciato di San Pietroburgo al calore estivo delle steppe russe, con tutta la passione che la terra dei suoi padri gli aveva sempre ispirato, con tale violenza come se lei avesse in sé l’essenza di tutto ciò che quel retaggio significava per lui. Percepiva in sé il desiderio di prendere, di appropriarsi di quel retaggio e di impedire che qualcun altro se ne impossessasse.
Colto alla sprovvista da questo inaspettato, violento desiderio, Kiryl riconobbe che la donna, chiunque fosse, riusciva a distogliere la sua attenzione da qualcosa di molto più importante di una remota fantasia giovanile sul possesso di una femmina che, in un certo senso, avrebbe costituito un legame magico tra lui e le proprie origini russe.
«E, come stavo dicendo, Vasilii Demidov sarà il tuo temibile avversario nell’acquisizione dell’appalto.»
Kiryl s’irrigidì e focalizzò l’attenzione sull’agente che aveva ingaggiato per aiutarlo a ottenere il contratto che si era ripromesso. Il fatto che uno degli uomini più ricchi di Russia sarebbe stato un concorrente non lo spaventava certo. Ben lungi. Aveva solo acuito il suo desiderio di ottenere l’appalto.
«Demidov non ha mai mostrato alcun interesse per la flotta mercantile. Vuole soprattutto il controllo dell’aspetto portuale degli affari» precisò Kiryl. «Quindi non ha motivo d’interesse nel contratto.»
«Non l’aveva, ma attualmente è in Cina per concludere un contratto. Come contropartita, i cinesi vogliono una partecipazione nel controllo di una linea mercantile. E lui è in grado di abbassare qualsiasi offerta tu proponga, a costo di andare inizialmente in perdita. Ho avuto informazioni certe che ormai i concorrenti per quest’appalto siete soltanto voi due e, date le circostanze, lui è il favorito. Temo di doverti avvertire che con Demidov non la spunterai.»
Kiryl rivolse all’agente un’occhiata gelida.
«Rifiuto di accettare una cosa del genere.»
Non poteva e non voleva perdere quel contratto. Era l’ultimo mattone dell’edificio, l’ultima mossa degli scacchi nella partita della sua vita, che avrebbe sancito la supremazia, nei settori che aveva scelto, agli occhi di tutta la Russia. E nessuno gli avrebbe impedito di raggiungere quell’obiettivo. Nessuno. Aveva lavorato troppo e troppo a lungo per ottenerlo.
Nella mente prese forma il viso di un uomo, gli occhi duri e sprezzanti, che respingeva il bambino che lui era stato. Suo padre. Il padre che, non solo gli aveva negato il diritto al proprio nome, ma anche la discendenza russa. Esattamente come se adesso Vasilii Demidov gli precludesse il diritto di vincere la partita.
«Allora devi sperare in un miracolo, perché solo questo ti permetterebbe di battere Demidov e ottenere il contratto.»
Mai la voce di Kiryl tradiva ciò che provava e anche in questa circostanza il tono era basso, la voce gelida come l’inverno. «Deve esserci qualcosa che lo costringa a ritirarsi... qualche modo per ricattarlo. Una persona non accumula tanto denaro senza avere dei segreti che vuole tenere celati.»
L’agente inclinò il capo canuto riconoscendo l’autorità di Kiryl prima di metterlo in guardia. «Non sei il primo a scavare alla ricerca di qualche debolezza sul conto di Demidov, ma non ne troverai. È in una botte di ferro. Nessuna vulnerabilità, nessuna colpa da tenere nascosta e nessun vizio attuale di cui servirsi contro di lui. È inattaccabile.»
Kiryl ridusse la bocca a una fessura.
«Può darsi, ne convengo. Eppure nessun uomo è inattaccabile. C’è sempre una debolezza e ti assicuro che la scoprirò e me ne servirò per liberarmi di lui.»
L’agente rimase in silenzio. Sapeva che era inutile controbattere con l’uomo che aveva di fronte. Kiryl aveva raggiunto quella posizione potente e autorevole nelle circostanze più difficili... e si vedeva.
Nondimeno, si sentì in dovere di avvertirlo prima di congedarsi: «Come già ti ho detto, se vuoi vincere la sfida ti serve solo un miracolo. Segui il mio consiglio e ritirati... lasciagli campo libero. Se non altro salverai la faccia e non subirai l’umiliazione di una sconfitta».
Lasciargli campo libero? Quando era così vicino a raggiungere l’obiettivo che si era riproposto tanti anni prima? Mai.
Poteva azzardarsi a prendere in mano la tazzina senza che il tremito delle mani gliela facesse rovesciare? Alena non ne era sicura. Il cuore le balzava ancora nel petto e il viso era imporporato in seguito all’effetto dell’occhiata penetrante di quei luminosi occhi verdi.
L’aveva fissata.
Si portò le mani alle guance accaldate nel tentativo di attenuare il