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UNISU UNIVERSITA TELEMATICA NICCOL CUSANO

DISPENSA
CORSO DI STORIA ED ISTITUZIONI DELLAFRICA A.A. 2011-2012
PROF.SSA MARIA EGIZIA GATTAMORTA / PROF. STEFANO SILVIO DRAGANI

agg. 30.06.2012
PROGRAMMA Cattedra di Storia ed Istituzioni dellAfrica Prof.ssa Maria Egizia Gattamorta Corso Mografico: Prof. Stefano Silvio Dragani
1 Modulo Le indipendenze africane Prima decolonizzazione e seconda decolonizzazione Neopatrimonialismo e personal rule Instabilit politica e regimi autoritari Crisi, conflitto e crollo dello Stato 2 modulo DallOrganizzazione per lUnit Africana allUnione Africana LOUA negli anni 60-70 LOUA negli anni 80-90 1999-2002 nasce lUnione Africana: caratteri distintivi NEPAD African Standby Force 3 Modulo LAfrica nella politica internazionale I rapporti Unione Africana-Unione Europea I rapporti Africa-Cina I rapporti Africa-India I rapporti Africa-Giappone I rapporti Africa-Iran I rapporti Africa-Turchia I rapporti Africa-USA I rapporti Africa-Regno Unito I rapporti Africa-Francia I rapporti Africa-America Latina I rapporti Africa-Russia I rapporti Africa-Israele 4 Modulo Le sfide alla sicurezza e alla stabilit dellAfrica Corso Monografico a cura del Prof. Stefano Silvio Dragani La Corruzione in Africa Il Traffico di stupefacenti in Africa Il Terrorismo in Africa Il fenomeno della pirateria nel Golfo di Guinea e al largo delle coste somale 5 Modulo Trend e prospettive Sviluppo del settore petrolifero Good governance come fattore chiave per lo sviluppo e la sicurezza in Africa A quando una Primavera Africana?
*Parte consegnata in data 30 giugno (da portare a partire da esami di 13 luglio) *Parti finali che saranno pubblicate a breve *E obbligatoria la visione di almeno 1 Tavola Rotonda (al momento si trovano quella sulla pirateria, sulla fame e carestia in Africa, sulla Libia)

LAfrica indipendente

Africa luglio 2011

Union du Maghreb Arabe (UMA) Paesi Membri

Economic Community of West African States (ECOWAS in inglese)


Communaut Economique des Etats de lAfrique de lOuest (CEDEAO in francese)

Paesi Membri

Intergovernamental Authority on Development (IGAD) Paesi Membri

NB: 1) LEritrea (ammessa nel 1993 e sospesa nel 2007) ha fatto domanda di reintegro nel luglio 2011 ma al gennaio 2012 attende ancora risposta 2) Lindipendenza del Sud Sudan (luglio 2011) ha comportato lammissione formale del neonato stato africano allIGAD nel Summit Straordinario di Addis Abeba del 25 Novembre 2011

East African Community (EAC) Paesi Membri

South African Development Community (SADC) Paesi Membri

Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA) Paesi Membri

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Communaut Economique des Etats de l'Afrique Centrale (CEEAC in fr) Economic Community of Central African States (ECCAS in ingl)

Paesi Membri Angola Burundi Cameroun Repubblica Centrafricana Congo Repubblica Democratica del Congo Gabon Guinea Equatoriale Sao Tom e Principe Tchad

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Community of Sahel-Saharan States (CEN-SAD)


(Communaut des Etats Sahlo-Sahariens in francese)

Paesi Membri Egitto, Libia, Marocco, Tunisia Benin, Burkina Faso, Tchad,Cote dIvoire, Gambia,Ghana, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Guinea Bissau, Togo Repubblica Centrafricana Djibouti, Eritrea, Somalia, Sudan

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Diagramma delle diverse organizzazioni africane e partecipazione incrociata dei paesi

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Primo modulo LE INDIPENDENZE AFRICANE


Prima decolonizzazione e seconda decolonizzazione Neopatrimonialismo e personal rule Instabilit politica e regimi autoritari Crisi, conflitto e crollo dello Stato

Testi consigliati per la seguente parte: -capitolo IV del volume Il leone e il cacciatore-Storia dellAfrica sub-sahariana di Anna Maria Gentili Ed Carocci -capitolo X del volume Africa: la storia ritrovata, di Giampaolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi Ed Carocci -Capitoli II e III del volume LAfrica di Giovanni Carbone - Ed. il Mulino - oppure un capitolo specifico di un qualsiasi testo delle scuole superiori

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LEZIONE N. 1 -2
PRIMA DECOLONIZZAZIONE E SECONDA DECOLONIZZAZIONE
La decolonizzazione e lindipendenza dei territori africani ed asiatici sono considerati eventi rivoluzionari del XX secolo, avvenimenti di portata mondiale che moltiplicano il numero degli soggetti nellambito di fora internazionali e comportano nuovi bilanciamenti nellassunzione di decisioni di portata mondiale. Tali processi avviano un percorso innovativo, in cui i nuovi soggetti sperimenteranno diverse forme di governo, vivranno forme politiche instabili, registreranno lemergere di regimi militari o forme autoritarie individuali. In tale sede sar approfondita la parte relativa agli Stati sub-sahariani nonch la fragilit delle loro istituzioni. Il cammino intrapreso, in alcuni casi fu travagliato e sanguinoso, di certo forgi gli animi delle leadership locali pi o meno pronte ad affrontare la delicata fase di sganciamento dalle potenze coloniali. Lutopia che diventa realt La decolonizzazione una realt complessa e globale: si sviluppa quasi simultaneamente laddove cera stato un potere coloniale (sia in Africa che in Asia), incoraggiata dai mutamenti indotti dal termine della II Guerra Mondiale, ha dei caratteri propri delle varie aree in cui avviene, un fenomeno che supera di gran lunga i progetti di autonomia ipotizzati dalle grandi potenze coloniali del tempo. Come notato da Giampaolo Calchi Novati, per i nazionalisti dei paesi afroasiatici, il termine stesso di decolonizzazione inadeguato, in quanto il processo di liberazione non solo il distacco da un mondo considerato come un prius, ma una restaurazione nazionale che stabilisce per quanto possibile una continuit con la propria storia: una rivoluzione in senso proprio. Il fatto che il passaggio allindipendenza avvenga in tempi pi o meno rapidi comporta la mancanza di preparazione adeguata della classe politica, luso dellanticolonialismo come collante dellunit nazionale, lo scontro tra quanti avevano goduto dei privilegi dellepoca coloniale e chi voleva valorizzare una gestione pi moderna. La decolonizzazione invest le regioni africane in diverse fasi. Per prima decolonizzazione si intende quella delle aree occidentali e centrali francofone dei primi anni 60 nonch quella delle aree anglofone; per seconda decolonizzazione si intende quella che riguarda le ex colonie portoghesi (Guinea Bissau, Capo Verde, Mozambico e Angola). Negli anni a seguire si realizzano i processi di distacco rimanenti (Zimbabwe, Namibia, Eritrea e da ultimo lo scorso luglio 2011 il Sud Sudan).

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Di seguito una tabella esemplificativa delle indipendenze degli Stati africani. ANNO 1951 1956 1957 1958 1960 PAESE Libia Sudan Marocco Tunisia Ghana Guinea Cameroun Togo Mali Senegal Madagascar Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) Somalia Benin (Dahomey) Niger Burkina Faso (Alto Volta) Cote dIvoire Chad Repubblica Centrafricana Congo Brazzaville Gabon Nigeria Mauritania Mali Sierra Leone Tanganika Rwanda Burundi Algeria Uganda Zanzibar Kenya Malawi Zambia Gambia Botswana Lesotho Mauritius Swaziland Guinea Equatoriale Guinea Bissau Mozambico Capo Verde Comore Angola Seychelles 16

1961 1962

1963 1964 1965 1966 1968 1974 1975

1977 1980 1990 1993 2011

Djibouti Zimbabwe Namibia Eritrea Sud Sudan

Secondo Giovanni Carbone , nonostante le trasformazioni istituzionali e la formale acquisizione della piena sovranit, lindipendenza dei paesi africani fu fin da principio un processo incompleto. Lo storico ritiene infatti che continu sotto varie forme lingerenza dei grandi attori internazionali: in alcuni casi vi fu la piena partecipazione ad organizzazioni delle ex potenze coloniali come il Commonwealth o la comunit della francofonia, oppure vi fu la presenza di contingenti militari; in altri casi si registr lintromissione o linfluenza delle istituzioni finanziarie internazionali. Analizziamo nel dettaglio tre casi collegati a tre potenze coloniali distinte: Kenya, Congo Belga, Senegal. Ognuno di essi presenta delle particolarit ed legato a uomini-simbolo della storia africana dellultimo cinquantennio. Nel Kenya la decolonizzazione assunse dei toni drammatici, poich parallelamente al partito Kenya African Union fondato dal leader nazionalista Yomo Kenyatta1, si svilupp il movimento dei MauMau che voleva ottenere lindipendenza e riprendere la terra data ai bianchi, attraverso lutilizzo di metodi violenti. La repressione inglese fu molto forte nel periodo 1952-1955 e comport anche larresto di Kenyatta. Nel 1960 venne creata la Kenya African National Union (KANU), formazione che vinse le elezioni del febbraio 1961. Il Kenya ottenne lindipendenza dal Regno Unito nel dicembre del 1963. Il Congo Belga non era stato preparato dallamministrazione belga allindipendenza e non era pronto per tale cambiamento che si rivel traumatico. Come notato da Anna Maria Gentili, il sistema coloniale belga , autocratico e paternalista, aveva seguito nel dopoguerra una politica di poche e scarse riforme rivolte a forme di condivisione del potere con gli africani urbanizzati ai livelli pi bassi dellamministrazione: solo nel 1957, in seguito ai disordini provocati dagli effetti di una gravissima recessione a Lopoldville (Kinshasa) si cominci a considerare leventualit dellindipendenza. () dal 1950 esisteva un partito, lAssociation des Bakongo pour le mantien de de lUnit et lexpansion et la dfense de la langue kikongo (ABAKO), nata come associazione culturale della popolazione bakongo, guidata da Joseph Kasavubu. Lagitazione a favore dellindipendenza si svilupp in tutte le province anche come conseguenza, nel 1958, di quanto stava avvenendo nel vicino Congo Brazzaville che si avvicinava alla piena autonomia sia pure nel
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Vedi nota biografica di Yomo Kenyatta

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quadro della Comunit francese. In tale anno Patrice Lumumba2 fond il Mouvement National Congolais (MNC), un movimento nazionale contro ogni forma tribale e separatista . E Lumumba che grazie al contatto con altri partiti africani porta il Congo al di fuori dei suoi confini e lo collega con il movimento demancipazione che sta scuotendo tutta lAfrica. Nel 1959 si formarono altri gruppi politici che per rimanevano radicati al territorio come ad es. la Confederation des associations du Katanga (CONAKAT). Durante le elezioni del 1960 il Movimento di Lumumba ottenne il maggior numero di seggi alla Camera ed al Senato. Inseguito ad una rapida successione di avvenimenti, il governo di Bruxelles decise di accordare lindipendenza allo Zaire per il 30 giugno 1960: Bruxelles tent prima di affidare lesecutivo a Joseph Kasavubu, poi di fronte a problemi di maggioranza, scelse Patrice Lumumba. In base a quanto definito, Kasavubu fu nominato Presidente della Repubblica e Patrice Lumumba divenne Primo Ministro. In qualit di Premier, Lumumba decret lafricanizzazione dellesercito e raddoppi la paga dei soldati. Il Belgio rispose a tale mossa inviando le sue truppe nel Katanga per proteggere i connazionali e supportare la secessione di tale regione. Lequilibrio si spezz rapidamente: il 4 settembre 1960, il Presidente Joseph Kasavubu annunci la revoca del mandato a Lumumba e ai ministri nazionalisti. Il giorno dopo, Joseph Ileo venne nominato nuovo Primo Ministro. Fu un momento molto drammatico per il Paese. Un insieme di fattori aveva portato a tale situazione di massima tensione, tra di essi lammutinamento della Forza Pubblica congolese contro le autorit belghe ma soprattutto la secessione del Katanga, l11 settembre 1960. La Gentili evidenzia che le grandi imprese minerarie ed in particolare lUnion Minre appoggiarono la secessione. Su richiesta del governo legittimo intervennero le Nazioni Unite, che tuttavia agirono con unambigua neutralit che fin per tornare a vantaggio della distruzione della legittimit costituzionale e per consegnare il paese ad un capo militare, Mobutu, che si presentava come garante del mantenimento degli interessi occidentali . Lumumba, convinto di rimanere in carica grazie al sostegno del governo e del parlamento, revoc a sua volta il presidente Kasavubu. Lumumba venne arrestato il 10 ottobre 1960 ma con laiuto di alcuni colleghi form un governo clandestino diretto da Antoine Gizenga. Tentata la fuga il 27 novembre, Lumumba venne scoperto dopo qualche giorno, arrestato nuovamente il 2 dicembre (bench avesse chiesto protezione ai soldati ghanesi del contingente ONU), mandato a Leopoldville e poi al campo militare Hardy de Thysville. Il giovane leader venne fucilato il 17 gennaio 1961, durante un trasferimento nella regione del Katanga, con la complicit delle autorit locali e dei mercenari belgi.

Vedi nota biografica di Patrice Lumumba

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Il Katanga venne riconquistato con lintervento dei Caschi blu delle Nazioni Unite alla fine del 1961, ma fu una vittoria effimera poich riprese la guerra di secessione fino al 14 dicembre del 1963. Tra il 1962 ed il 1964 il Congo visse una situazione di rivolta continua che si tramut in guerra civile. Solo con il golpe del Gen. Mobutu il 24 novembre 1965 si pose fine a tale fase di disordini. Il Senegal ed il Sudan Francese (attuale Mali) si unirono nella federazione del Mali nel gennaio del 1959 (in una prima fase aderirono anche lAlto Volta e il Dahomey, che si ritirarono per nel mese di marzo). Tale federazione -presieduta da Leopold Sedar Senghor3 e da Modibo Keita4- ottenne lindipendenza nel 1960, ma a causa di divergenze politiche tra Senghor e Keita nonch per lostilit mostrata da alcuni paesi dellarea occidentale (Costa dAvorio in particolare), si sfald nellestate dello stesso anno. Per quanto concerne la fase della cosiddetta seconda decolonizzazione essa, si riferisce in particolare allindipendenza delle colonie portoghesi (Guinea Bissau, Mozambico, Capo Verde ed Angola). Tale momento storico collegato alla fase discendente e poi alla caduta del regime militare portoghese di Antonio Oliveira Salazar (aprile 1974). Anche in questo caso lo sganciamento dalla madrepatria fu improvviso, non preparato adeguatamente. Ci da un lato comport la fuga dei coloni portoghesi e dallaltro le scelte avventate di alcune formazioni che arrivarono al potere e lo gestirono in modo esclusivo, senza alcuna forma di concertazione, ispirandosi unicamente ai principi del socialismo scientifico. Come nota Giovanni Carbone, nel caso del Frente de Libertaao de Moambique (FRELIMO) mozambicano, esso si pose in un rapporto antagonistico non solo con le opposizioni politiche interne, totalmente bandite, ma anche o con tutti quei gruppi o quelle categorie sociali che identificava come nemici della rivoluzione. I primi a pagare le conseguenze dellimpeto modernizzatore del FRELIMO furono la minoranza bianca, i piccoli commercianti, i capi tradizionali, le chiese e, in parte e bench maggioritaria, la stessa popolazione contadina. La trasformazione profonda della societ mozambicana aveva i suoi punti focali nelle nazionalizzazioni e nella mobilitazione sociale () Un ruolo centrale venne assegnato ad unindustria pubblica pesantemente sovvenzionata, mentre tutte le attivit agricole dovevano svolgere una funzione di sostegno. Terra, industrie e scuole incluse quelle di origine missionaria erano state nazionalizzate subito dopo lindipendenza () Linsieme di queste politiche suscit unimmediata reazione a livello regionale e una, pi graduale ma non meno dirompente, a livello
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Vedi nota biografica di Leopold Sedar Senghor Vedi nota biografica di Modibo Keita

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interno. La combinazione di queste reazioni avrebbe generato e sostenuto un conflitto civile pi che decennale. Lemergere della minaccia comunista sulla porta di casa spinse i regimi razzisti della Rhodesia del sud (oggi Zimbabwe) e, a partire dai primi anni 80, del Sud Africa a sponsorizzare un movimento di guerriglia in territorio mozambicano () Armati e finanziati oltre confine, i ribelli della Resistenia Naional Moambicana (RENAMO) iniziarono ad operare in territorio mozambicano dalla seconda met degli anni 70, con operazioni volte a sabotare le infrastrutture economiche del Mozambico e a minarne la coesione sociale e stabilit politica

Parlando degli anni della decolonizzazione, non si pu fare a meno di ricordare i grandi Protagonisti africani degli anni 60-70, che ebbero una visione politica e combatterono per essa fino a perdere in alcuni casi la propria vita. Le aspettative dellindipendenza vennero elaborate da alcuni giovani leader e vennero proposte come vere e proprie strategie di sviluppo. In tal senso devono essere lette la negritudine di Lopold Sedhar Senghor, lumanesimo di Kenneth Kaunda 5, lujamaa di Julius Nyerere6, il mobutismo di Mobutu Sese Seko7. Tali linee privilegiavano, a seconda dei casi locali, o liniziativa privata o la comunit tradizionale o leconomia pianificata. Negli anni 60 Kaunda, Senghor e Nyerere furono i promotori di una via africana al socialismo; negli anni 70 fu invece la volta di Samora Machel8 e Agostino Neto9 che proposero di tornare al marxismo leninismo per superare le difficolt che si ponevano per lo sviluppo socio-economico dei singoli Stati. In modo antitetico a tali tesi si svilupparono negli stessi anni sistemi ad impronta capitalista in Kenya, Nigeria, Cote dIvoire, Cameroon, Gabon e Malawi. In tali Paesi venne promossa la libera iniziativa e si diede vita ad un capitalismo di Stato.

Vedi nota biografica di Kenneth Kaunda Vedi nota biografica di Julius Nyerere 7 Vedi nota biografica di Mobutu Sese Seko 8 Vedi nota biografica di Samora Machel 9 Vedi nota biografica di Agostinho Neto
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BREVI NOTE BIOGRAFICHE Yomo Kenyatta (1889-1978), protagonista della scena politica kenyota del XX secolo. Figlio di
un contadino di etnia kikuyu, ricevette leducazione di base in una scuola missionaria e complet gli studi universitari a Londra, grazie al sostegno della Kikuyu Central Association (KCA). Nel suo percorso accademico ebbe lopportunit di studiare a Mosca per un anno e di seguire antropologia sociale con Bronislaw Malinowsi alla London School of Economics. Nel 1945 collabor allorganizzazione del V Congresso Panafricano a Manchester, assieme a Kwame Nkrumah (figura politica di spicco del Ghana) . Tornato in Kenya, nel 1946 assunse la leadership della Kenya Africa Union (KAU). Tra il 1948 ed il 1951 fece un viaggio allinterno del paese, illustrando la sua posizione rispetto alla restituzione delle terre date ai coloni bianchi ed alla conquista dellindipendenza entro 3 anni. Nel 1951 ebbe inizio la rivolta dei Mau Mau, movimento radicale anticoloniale. Nellottobre 1952 venne decretato nel paese lo stato di emergenza e Kenyatta fu arrestato con laccusa di essere un membro dellorganizzazione dei Mau Mau. Al termine del processo, nellaprile del 1953, Kenyatta fu punito con 7 anni di prigione di lavori forzati. Lo stato di emergenza venne tolto nel 1960 e dopo le numerose petizioni popolari Kenyatta venne rilasciato nellagosto del 1961. Nelle elezioni del 1963, il partito del KANU (Kenya Africa National Union, che promuoveva uno stato unitario per il Kenya) guidato da Kenyatta sconfisse il KADU (Kenya Africa Democratic Union, che promuoveva uno Stato etnico-federale). Nel giugno del 1963, Kenyatta divenne primo Ministro e nel dicembre dello stesso anno proclam lindipendenza nazionale; nel 1964 assunse lincarico di Presidente, incarico che mantenne fino alla sua morte nellagosto del 1978.

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Patrice Lumumba (1925-1961). considerato un simbolo della politica congolese. Dopo aver
ottenuto leducazione primaria in una scuola cattolica di missionari e in una scuola tenuta da protestanti svedesi perfezion la sua formazione a livello personale. Lavor in una societ mineraria nel Sud Kivu fino al 1945 e come giornalista a Leopoldville (ora Kinshasa) e Stanleyville (attuale Kisangani). Tali lavori gli permisero di comprendere limmensa ricchezza dellex Zaire sotto il punto di vista minerario, ricchezza che lamministrazione coloniale aveva nascosto alla popolazione locale. Nel 1955 Lumumba cre lAssociation du Personnel Indigne de la Colonie (APIC) ; nel 1956 venne incarcerato per un anno. Uscito dal carcere riprese lattivit politica. Nellottobre del 1958 fond il Mouvement National Congolais (MNC, vicino alle correnti cattoliche e social-democratiche belghe) e nel dicembre partecip alla Conferenza Panafricana di Accra dove conobbe Kwame Nkrumah. Note le parole pronunciate in tale occasione Malgrado le frontiere che ci separano, abbiamo la stessa coscienza, le stesse preoccupazioni di fare del continente africano un continente libero , felice, sgombro dal dominio coloniale. Siamo felici di constatare che questa Conferenza si fissata come obiettivo: la lotta contro i fattori interni ed esterni che costituiscono un ostacolo allemancipazione del nostro paese e ostacolo serio al fiorire di allunificazione dellAfrica. Tra questi fattori, si trova il colonialismo, limperialismo, il tribalismo e il separatismo religioso che tutti, costituiscono un una societ africana armoniosa e fraterna". Nel 1959 il MNC assieme ad altre formazioni indipendentiste organizz una riunione a Stanleyville. Dalla sommossa che ne segu, Lumumba fu arrestato e nel gennaio del 1960 condannato a 6 mesi di prigione ma liberato dopo qualche giorno, grazie allorganizzazione di un incontro promosso dal governo belga con le formazioni indipendentiste. Salito al potere, dopo lindipendenza del Congo vi rimase fino al settembre del 1960. I drammatici avvenimenti che seguirono tra ottobre e dicembre, portarono al suo assassinio nel gennaio del 1961. I numerosi studi fatti in questo cinquantennio, hanno evidenziato il ruolo belga nelluccisione del giovane leader congolese nonch lintenzione della CIA di eliminare colui che avrebbe potuto portare il Congo sulla via del comunismo. Uomo di grande carisma, definito da Jean Claude Willame il profeta disarmato, Lumumba fu un nazionalista che sottolineava limportanza dello Stato-nazione.

Leopold Sedar Senghor (1906-2001), poeta e politico senegalese, considerato lideologo


della negritudine, Presidente della Repubblica dal 1960 al 1980. Dopo aver svolto gli studi primari e secondari in patria, ottenne una borsa di studio che gli permise di seguire il percorso universitario in Francia. Qui si laure nel 1935 ed inizi a lavorare come insegnante negli istituti 22

liceali. Durante la 2 guerra mondiale combatt con lesercito francese, venne fatto prigioniero dai tedeschi nel giugno del 1940 a La Charit sur Loire e rilasciato nel 1942 per motivi di salute. Nel 1946 divenne deputato dellAssemblea francese come rappresentante del Senegal, nel 1948 fond il Bloc Dmocratique Sngalais con cui vinse le elezioni nel 1951 come deputato dOltre-mare. A fine anni 50-inizio anni 60, Senghor fu un forte sostenitore del federalismo degli stati africani, ex colonie francesi. Nel gennaio del 1960 spinse per la costituzione della Federazione del Mali, che raggruppava Senegal, Sudan francese (odierno Mali), Dahomey (attuale Benin) ed Alto Volta (attuale Burkina Faso). Questi ultimi due paesi si ritirarono a distanza di un mese. Senghor guid la federazione come Presidente dellAssemblea Federale e Modibo Keita come Presidente del Governo ma le divergenze su alcuni temi portarono ben presto allo scioglimento della Federazione. Il Senegal proclam lindipendenza nellagosto del 1960 ed il Sudan Francese nel settembre successivo. Senghor rest al massimo vertice delle istituzioni senegalesi fino al 1980, scampando anche ad un attentato nel marzo del 1967. Durante il ventennio al potere garant un sistema multipartitico e fu garante della democrazia. Ritiratosi a vita privata al termine del 5 mandato presidenziale, mor in Francia nel dicembre 2001. Come detto inizialmente, Senghor considerato - assieme al poeta martinicano Aim Csaire -uno dei massimi esponenti della negritudine. Tale concetto promuove la riscoperta nonch la riappropriazione della cultura africana, rivendicando con orgoglio la propria differenza. Secondo le parole dello stesso Senghor, La negritudine un fatto obiettivo:una cultura. linsieme dei valori economici e politici; intellettuali e morali, artistici e sociali, non solo dei popoli dAfrica nera, ma anche delle minorit nere dAmerica, vedi anche dAsia e dOceania.

Felix Houphouet Boigny (1905- 1993) non un semplice leader carismatico: un uomo di
grande realismo politico, senza alcuna debolezza per ideologie vaghe. La posizione della Cte dIvoire paese considerato il gioiello dellAfrica Occidentale - legata alla sfida che Houphouet Boigny lancia alla sinistra nazionalista agli inizi degli anni 60. Secondo lo statista ivoriano, solo uneconomia di mercato avrebbe assicurato lo sviluppo delle economie africane; solo un rapporto di dipendenza con la metropoli avrebbe garantito un quadro politico-economico solido e capace di garantire sicurezza ad entit statali ancora deboli e arretrate. Nato a Yamoussoukro nel 1905 da una famiglia di notabili tribali, Houphouet Boigny frequenta la scuola missionaria nella citt natale, poi la scuola normale di William Ponty a Goree (in Senegal, destinata a formare le istitutori, medici e quadri dellAfrica occidentale francese). Nel 1925 ottiene

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il diploma della scuola di medicina di Dakar ed esercita la professione di medico fino al 1940. Come capo tribale esercita funzioni amministrative con la qualifica di chef de canton. Nel 1944 fonda il Syndacat Agricole Africain (associazione che riunisce i piantatori africani con almeno 2 ettari di caff o 3 ettari di cacao), riunendo 20.000 aderenti in poco tempo. Livello di istruzione non comune per i suoi tempi, posizione di preminenza tribale, rapporto con lamministrazione francese, attivit di piantatore: sono elementi che segneranno lattivit di Houphouet Boigny e che gli conferiranno una ricchezza di esperienze e di rapporti sociali determinanti. Houphouet Boigny conosce il mondo rurale e allo stesso tempo comprende e influenza il mondo tribale. Nel 1945 il governo francese decide di far partecipare le sue colonie allassemblea costituente ed organizza lelezione di 2 deputati in Cote dIvoire (uno dei coloni e laltro dei locali). Houphouet Boigny eletto nel novembre 1945 ed poi nominato membro della Commissione dei territori doltre mare. Con la costituzione della IV Repubblica rieletto deputato, sempre membro della Commissione dei territori doltre mare e membro della Commissione del regolamento e del suffragio universale. Nel 1946 fonda il Parti Democratique de la Cte dIvoire- con laiuto dei gruppi di studio comunisti di Abidjan, ereditando e sviluppando a livello politico i problemi affrontati dal Syndicat Agricole a livello corporativo (le loro consapevolezze, le loro debolezze, le loro rivendicazioni). La lotta politica ivoriana non nasce, in tal modo, grazie ad unelite urbana ma investe interessi e gruppi estesi a livello di base sul territorio. Dopo il Congrs de Bamako (18 ottobre 1946), il PDCI diviene una sezione territoriale di un nuovo partito interafricano: il Rassemblement Dmocratique Africain (RDA). Houphouet Boigny giustifica lalleanza con il partito comunista perch unico modo per far ascoltare la propria voce. Tra il 1947 ed il 1959 Houphouet Boigny assume diversi incarichi ufficiali nellesecutivo francese. Nel 1960 dopo laccesso allindipendenza degli stati francofoni, Houphouet Boigny diventa Presidente della Cte dIvoire. Con tale ruolo, inizia a promuovere dei cambiamenti nella struttura nazionale: trasforma il ruolo dellAssemblea nazionale e propone una nuova carta costituzionale. Il suo atteggiamento nei confronti degli oppositori fermo e non esita ad escludere dalla scena politica n i comunisti, n i franco-massoni, n i rappresentanti dellideologia marxista-leninista. In particolare, Houphout-Boigny determinato a schiacciare il Front Populaire Ivoirien creato da Laurent Gbagbo e Francis Wodi del Parti ivoirien des Travailleurs. La sua politica volta al liberalismo, alla modernizzazione delle infrastrutture, alla facilitazione degli investimenti stranieri permette una crescita sostanziosa del PIL e una prosperit economica senza precedenti n paragoni nellarea tra gli anni 60 e 80. Si parla di miracolo ivoriano ma in 24

realt una crescita totalmente dipendente dallesterno e non comporta un vero sviluppo locale. Le prime manifestazioni di malcontento iniziano alla fine di anni 80 e Houphouet Boigny non esita ad utilizzare luso della forza. Alla sua morte, nel 1993 si genera una fase di drammatica instabilit che vede protagonisti Laurent Gbagbo, Alassane Dramane Ouattara, Henri Konan Bedi e Robert Guei. Interessante notare la posizione di Houphouet Boigny rispetto alla politica continentale: pur non essendo contrario in assoluto allidea dellunit, si mostrato da sempre contrario alla proposta lanciata da Kwame Nkrumah circa la creazione degli Stati Uniti dAfrica ed ha appoggiato lidea di una cooperazione mirata. Per le scelte politiche nette e per lallineamento costante rispetto alle posizioni di Parigi, Houphouet Boigny stato considerato nellultimo cinquantennio luomo della Francia in Africa.

Modibo Keita (1915- 1971), esponente politico del Mali, fu Presidente della Repubblica dal
1960 al 1968. Fu uno dei teorici del socialismo africano e uno dei promotori del panafricanismo.

Kenneth Kaunda (1924, vivente), esponente politico dello Zambia, Presidente della
Repubblica dal 1964 al 1991. Ideatore del cosiddetto umanesimo zambiano (teoria che combinava il socialismo sovietico con i principi tipici della cultura africana); negli anni 70 ha promosso una politica di forte sviluppo scolastico nazionale; si schierato a sostegno dei movimenti di liberazione nazionale dellAfrica australe negli anni 70-80; stato un convinto sostenitore del Movimento dei Non-Allineati.

Julius Nyerere (1922-1999), economista e politico del Tanganika e poi della Tanzania,
Presidente dal 1964 al 1985. Fondatore del Tanganyka African National Union (TANU) nel 1954, fu sostenitore dellindipendenza del Tanganyka e pi tardi dellunione con lisola di Zanzibar. Fu nominato Presidente della neonata Tanzania e promosse un progetto di sviluppo di stampo socialista, caratterizzato da un processo di collettivizzazione del sistema agricolo nazionale, detto ujamaa, cio famiglia estesa, comunit. Obiettivo di tale scelta era quello di valorizzare le risorse nazionali (sia naturali che umane). Lujamaa si configur come un socialismo rurale ed una strategia di sviluppo dal basso. Nyerere fu un sostenitore del panafricanismo e tra i fondatori dellOUA nel maggio 1963. Assicur il sostegno logistico a molti partiti di liberazione nazionale, quali lAfrican National Congress-ANC ed il Pan Africanist Congress (PAC) sudafricani, il Frente de Libertaao de Moambique-FRELIMO

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mozambicano, lo Zimbabwe African National Liberation Army-ZANLA di Robert Mugabe. Tra le sue attivit a fine incarico, si ricorda la mediazione nel conflitto del Burundi nel 1996.

Mobutu Sese Seko (1930-1997), esponente politico della Repubblica Democratica del Congo,
Capo dello Stato dal 1965 al 1997. Personaggio controverso, instaur un regime autoritario, promosse una politica di ruberie e corruzione che portarono il paese al collasso economico. Alla sua morte, la sua fortuna venne calcolata pari ad un valore compreso tra i 5 ed i 6 miliardi di US$ e lasci un debito pubblico equivalente a 13 miliardi di US$. Inizialmente sostenuto dagli Stati Uniti (in chiave anti-sovietica) e dai partner occidentali (in particolare la Francia), negli ultimi anni le sue scelte suscitarono forti critiche anche a livello internazionale. Nel 1967 fond il Mouvement Populaire de la Rvolution che gli permise di monopolizzare il potere. Il suo compito era quello di diffondere le idee del Presidente-fondatore, conosciute come mobutismo. Tale dottrina si basava su tre punti: nazionalismo (volto allindipendenza economica, si svilupp attraverso un programma di africanizzazione), rivoluzione (ripudio di capitalismo e comunismo, n destra n sinistra), autenticit (ritorno alla cultura tradizionale). Costretto ad aprire al multipartitismo nel 1990 nella speranza di mantenere saldo il controllo, fu abbattuto dalle forze di Laurent Desire Kabila, supportate dalle truppe rwandesi e ugandesi (maggio 1997). Mor in esilio in Marocco nel 1997.

Samora Machel (1933-1986), politico mozambicano, Presidente dal giugno 1975 allottobre
1986. Da giovane simpatizz con le teorie marxiste e nel 1962 entr nel Frente de Libertaao de MoambiqueFRELIMO. A partire dal 1969 divenne comandante in capo dellesercito del FRELIMO. Salito alle massime cariche del potere nel 1975, promosse la nazionalizzazione delle piantagioni, fece costruire scuole ed ospedali. Assicur il suo sostegno ai movimenti rivoluzionari in Zimbabwe e Sud Africa. Mor in circostanze sospette in un incidente aereo il 19 ottobre 1986, al ritorno in patria da una conferenza internazionale cui aveva partecipato in Zambia. Secondo recenti studi la sua morte sarebbe stata pianificata dai servizi segreti sudafricani e sovietici.

Agostinho Neto (1922-1979), poeta e politico angolano, Presidente dal 1975 al 1979. Eletto
Presidente del Movimento Popular de Libertaao de Angola-MPLA nel 1962, promosse intensi contatti allestero con la finalit di ottenere un sostegno alla sua guerra contro la potenza coloniale portoghese. Divenuto Presidente dellAngola, promosse una politica di avvicinamento allUnione Sovietica, ai paesi del blocco orientale e a Cuba. Con il passare del tempo instaur una dittatura sul modello marxista-leninista, represse ogni forma di contestazione e limit la libert despressione. 26

Pun violentemente gli autori di un tentato golpe nel maggio del 1977. Mor a Mosca dove si era recato per cure mediche.

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LEZIONE N. 3
NEOPATRIMONIALISMO E PERSONAL RULE
Nel momento in cui gli africani ottennero il controllo delle istituzioni, pochi di loro possedevano risorse di particolare entit. I regimi coloniali non avevano coinvolto i locali nei processi di accumulazione delle ricchezze, anzi li avevano esclusi relegandoli in un secondo piano rispetto agli imprenditori francesi o inglesi. Come nota Giovanni Carbone laccesso diretto o indiretto alle risorse statali e al settore pubblico divenne per molti un obiettivo prioritario e scarsamente surrogabile () La mancanza di mezzi propri delle elite politiche e, pi in generale, la povert del contesto sociale in cui esse si trovavano a operare contribuirono dunque a promuovere una risoluta corsa allaccaparramento e una diffusa personalizzazione nelluso delle risorse statali. Lo stato divenne pertanto un fulcro quasi imprescindibile per le aspirazioni di migliorare il proprio status sociale e benessere economico. Le classi politiche dominanti dei paesi africani emersero non tanto a partire da una posizione di preminenza nella sfera delle attivit economiche, ma fondamentalmente attraverso lesercizio del potere politico.In tale contesto le regole normalmente utilizzabili per il funzionamento delle istituzioni nonch delle burocrazie furono distorte da logiche patrimoniali. Il termine neopatrimonialismo indica proprio una gestione arbitraria della cosa pubblica, una combinazione di istituzioni moderne e logiche patrimoniali. Nellambito della politica e dellamministrazione prevalsero gli elementi personali e privati su quelli informali e pubblici. Carbone nota che se la distorsione del regolare funzionamento delle strutture statali a vantaggio di esigenze private non naturalmente una prerogativa esclusiva dei paesi africani, il ricorrente riferimento allesistenza di veri e propri regimi neopatrimoniali sottolinea il grado di penetrazione e prevalenza che tali pratiche hanno rapidamente acquisito nella quasi totalit del continente. Ogni paese ha impresso un carattere proprio alluso arbitrario e personale della cosa pubblica. Si possono fare gli esempi di Idi Amin in Uganda, Mobutu nello Zaire, Babangida in Nigeria. In alcuni casi, tali pratiche hanno portato proprio alla distruzione delle strutture statali. Ci sono per anche gli esempi della Costa dAvorio in cui Houphouet Boigny pur applicando tali pratiche ha permesso comunque di rafforzare le istituzioni statali, o casi come quello del Botswana in cui tale metodo stato per lo pi controllato. A parte quelle che possono essere sfumature, quella che pu essere definita una sindrome comune a tutti i paesi africani. Gli studiosi hanno dato diversi nomi al fenomeno: Richard Joseph ha parlato di politica delle prebende, altri parlano di informalizzazione della politica, altri di politica del ventre. I leader hanno un pesonal rule, sono al di sopra della legge, possono usufruire delle risorse secondo loro piacimento e sono legittimati da reti clientelari e legami personali.

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Emerge il Presidente che supera la figura del capo del governo. Interessante la distinzione fatta dagli studiosi Jackson e Rosberg che hanno creato proprio delle tipologie, distinguendo tra: a) il Presidente-Principe (ad es. Leopold Sedar Senghor in Senegal o Kenneth Kaunda in Zambia che manipolano i loro gruppi clientelari, per si pongono al di sopra delle parti) b) il Presidente-Profeta (ad es. Kwame Nkrumah in Ghana, Julius Nyere in Tanzania che hanno un carisma proprio che gli permette di avere un disegno preciso del paese oltre che del continente e lo trasmettono alle comunit) c) il Presidente-Autocrate (ad es. Houphouet Boigny in Costa dAvorio, Omar Bongo in Gabon, Mobutu in Zaire sono come un re assoluto, che non accetta altri poteri), d) il Presidente-Tiranno (ad es. Idi Amin Dada in Uganda, Jean Bedel Bokassa in Repubblica Centrafricana, in cui il capo ricorre alle violenze pi efferate e promuove abusi consapevoli) In tale quadro, si pone in modo difficile il dopo, il modo con cui il leader sopravvive a se stesso. Infatti il capo ha creato incertezze e ha tolto chiarezza sulla successione. Da qui la frequenza di epurazioni, golpe, lotte intestine tra gruppi. Un dato fornito da Carbone chiarisce il quadro: dei 101 leader sub sahariani che tra il 1960 ed il 1999 sono stati estromessi attraverso golpe militari o con altre modalit extralegali, circa i due terzi hanno finito per essere esiliati, imprigionati o uccisi. I processi di appropriazione della cosa pubblica possono anche essere stati diversi da paese a paese, ma in comune ci sono stati trasferimenti da conti pubblici a privati in banche svizzere, lassegnazione di appalti, il pagamento di tangenti. In alcuni casi si creata una spirale, un circolo vizioso: il leader e il suo entourage accaparravano di diritti ma tale fenomeno si riproponeva alla base su scala ridotta. Poliziotti, infermieri chiedevano soldi in cambio di prestazioni di favore. La corruzione diventata prassi abituale, accettata e generalizzata ad ogni aspetto della vita. Seppur criticata, la corruzione ha ricoperto un ruolo centrale permeando tutte le attivit economiche delle societ locali. Seppure si approfondir il tema della corruzione successivamente, in tale sede importante sottolineare alcuni aspetti del fenomeno, storici ed antropologici. Il noto studioso francese Jean Pierre Olivier de Sardan ha individuato alcune dinamiche della corruzione, obbligazioni sociali che creano delle relazioni e aspettative: esse riguardano il ruolo degli intermediari o meglio di contatti utili per portare avanti una pratica amministrativa; luso di un petit cadeaux inteso come forma di obbligo morale; il dovere di solidariet al proprio gruppo di appartenenza. Carbone nota che lindividuo che si sottrae a questi doveri- ricevere e ascoltare le richieste di chi arriva dal villaggio, presenziare e contribuire al ritrovo degli ex compagni di 29

collegio, pagare il biglietto al segretario di una sezione rurale del partito- viene sottoposto a forti pressioni da parte del gruppo. E nel caso perseveri nellignorare ci che ci si attende da lui, la sua reputazione pu essere compromessa (...) corruzione e clientelismo finiscono in questo modo per essere intimamente collegati. Coloro che sono nella posizione di poter estrarre o controllare determinate risorse statali sono i primi ad avere modo di ridistribuirne una parte attraverso la costruzione di reti clientelari . Si crea una piramide in cui c il capo, luomo forte al vertice pi alto e poi si sviluppano in modo informale delle alleanze. Il cliente assicura sostegno per avere un bene futuro o per beneficiare di eventi che ruotano intorno al vertice della struttura. Carbone molto attento nel segnalare che la capacit effettiva delle reti clientelari, come meccanismi redistributivi che trasferiscono gradualmente risorse dalle elite ai clienti appartenenti ai livelli pi bassi , resta una questione controversa. Alcuni studiosi (come Chabal e Daloz) sono del parere che le pressioni sociali tendono a imporre una significativa redistribuzione delle risorse di cui i leader tengono il controllo, mentre altri (come Van De Walle) sostengono che il coinvolgimento dei gradini inferiori della scala sociale nelle clientele per lo pi simbolico, poich di fatto a esse non viene elargito nulla. Gli effetti sulle ricchezze pubbliche dei sistemi neopatrimoniali e clientelari sono devastanti: si creano nuove burocrazie, aziende parastatali, la maggior parte degli impieghi formali sono nel settore pubblico. Inoltre le ricchezze (minerarie, ad esempio) vengono nazionalizzate, messe a gestione africana (vd caso Zaire, Nigeria). Altro aspetto della predazione delle economie quello dei trasferimenti di risorse dai settori rurali a quelli industriali (vd Ghana). Gli apparati statali crescono a dismisura ed il risultato che lindebitamento pubblico raggiunge livelli impensati, mettendo a rischio i sistemi economici e rendendoli pi esposti verso lindebitamento estero.

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LEZIONE N. 4
INSTABILIT POLITICA E REGIMI AUTORITARI
NellAfrica degli anni 70 chi resta fuori dal potere non gode minimamente del servizio pubblico. Tutte le risorse vengono parcellizzate per ricompensare le reti del leader. I gruppi si contrappongono in un gioco a somma zero: chi vince prende tutto ed esclude il perdente. Carbone nota che in tale fase storica la politicizzazione delle diversit etniche e la polarizzazione dello scontro politico si combinarono nei paesi africani con lassenza di precedenti esperienze democratiche, la debolezza della societ civile, lelevata e diffusa povert, la sproporzione tra le aspettative di intervento statale e le effettive capacit di risposta delle nuove istituzioni. Il risultato fu, per la quasi totalit dei paesi africani, il rapido abbandono dei regimi formalmente democratici che erano stati frettolosamente istituiti dalle potenze coloniali al momento delle indipendenze. La preservazione delle istituzioni multipartitiche fu leccezione anzich la regola () Con poche eccezioni, i regimi multipartitici vennero sistematicamente eliminati e sostituiti con regimi a partito unico o con regimi militari. Prima di tutto si assiste alla destrutturazione delle istituzioni partecipative ed alla centralizzazione del potere nelle mani di poche persone. Chi dissente, o costretto allesilio o ucciso. Si realizza il sistema a partito unico, in cui il partito risente per lo pi dellinflusso della dottrina socialista. Di fatto per non si eliminano le difficolt vissute sul terreno e quindi il risultato fino a met degli anni 90 quello di periodi di grande instabilit. Linstabilit si caratterizza o attraverso le guerre civili (basti pensare al Katanga in Congo o al tentativo di secessione del Biafra in Nigeria) o attraverso i colpi di stato militari (vd Nigeria) . Il golpe militare comporta una manovra breve, fatta da un corpo speciale, che va a sostituire il gruppo al potere. Le forze armate divengono protagoniste della storia africana: i militari che sembravano esclusi al momento delle indipendenze a distanza di pochi anni diventano arbitri tra le parti in conflitto. Anna Maria Gentili nota che in Dahomey lesercito intervenne in tale ruolo tra il 1963 ed il 1965; in Congo Brazzaville nel 1963 (per favorire un nuovo regime civile), in Alto Volta nel 1966 (per prendere il potere direttamente). Se allinizio degli anni 60 lintervento militare in politica si caratterizza ancora come intervento equilibratore, reggenza temporanea, alla met degli anni 60 i colpi di Stato militari prendono connotati decisamente politici. Proprio dal 1966 gli interventi militari in politica dilagano come lepidemia di una malattia infettiva. Solo 12 Stati africani (su 54) non hanno mai avuto linterruzione del potere civile per intervento dei militari. Carbone segnala 47 casi di golpe ed un numero ingente di atti destabilizzanti sventati dai governi in carica tra il 1958 e la fine degli anni 70; 17 golpe avvengono tra il 1966 ed il 1970. La regione 31

occidentale risente particolarmente di tale fenomeno. Lentamente, solo negli anni 90 riprende unalternanza al potere regolata dal voto (anche se non sempre free and fair). E importante notare che -dopo la fase del golpe- per lo pi i regimi militari sono stati propensi ad operare come i regimi civili che li avevano preceduti. La maggior parte ha adottato unorganizzazione di partito unico in cui emerso un singolo protagonista. Inoltre hanno adottato luso del clientelismo come meccanismo per raccogliere il supporto politico e luso della coercizione per controllare o eliminare lopposizione. Grande stato poi limpegno per migliorare il proprio status economico. Il Generale Sani Abacha al potere in Nigeria dal 1993 al 1998 si appropriato di una cifra pari a 6 miliardi di US$ . E paradossale il fatto che in Africa sub sahariana si siano sviluppate due tendenze antitetiche: da un lato come si pu vedere nella tabella in basso- il potere stato longevo ed tramandato in alcuni casi di padre in figlio (vd famiglia Bongo in Gabon, Eyadema in Togo), dallaltro c stato un frequente cambiamento di governanti attraverso dei golpe militari. Longevit dei leader africani al potere Paese Camerun Presidente Ahmadou Ahidjo
Presidente del Cameroun dal 1960 al 1982 Primo Ministro dal 1958 al 1959

Partito di appartenenza
Union (UNC) Syndicat agricole africain (SAA) Rassemblement africain (RDA) Parti dmocratique de Cte dIvoire (PDCI) Parti Dmocratique (PDG) People Progressive Party (PPP) dmocratique Nationale Camerounaise

Costa dAvorio

Houphout-Boigny
Presidente dal 1960 al 1993

Gabon

Omar Bongo
Presidente dal 1967 al 2009 Vice Presidente dal 1966 al 1967

Gabonaise

Gambia

Dawda Jawara
Primo Ministro dal 1962 al 1970 Presidente dal 1970 al 1994

Guinea Lesotho Malawi

Ahmed Skou Tour


Presidente dal 1958 al 1984

Rassemblement

Dmocratique

Leabua Jonathan
Primo Ministro dal 1965 al 1986

Africain (RDA) Basotho National Party (BNP) Malwi Congress Party (MCP)

Hastings Kamuzu Banda


Presidente dal 1966 al l994 Primo Ministro dal 1964 al 1966

Mali

Moussa Traor

Union

Docratique

du

Peuple

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Presidente dal 1968 al 1991

Senegal

Leopold Sdar Senghor


Presidente dal 1960 al 1980

Malien (UDPM) Section Francaise lInternationale Ouvrir (SFIO) Bloc (BDS) Bloc Populaire Sngalais (BPS) Union (UPS) Parti Socialiste (PS) progressiste dmocratique

de Sngalais

sngalaise

Somalia Tanzania

Siyad Barre
Presidente dal 1969 al 1991

Somali

Revolutionary

Socialist

Julius Nyerere
Presidente della Tanzania dal 1964 al 1985 Presidente del Tanganyka dal 1962 al 1964 Primo Ministro del Tanganyka dal 1961 al 1962

Party (SRSP) Chama cha Mapinduzi Tanganyka African national Union (TANU)

Togo Zaire Zambia

Gnassingb Eyadma
Presidente dal 1967 al 2005

Rassemblement du Peuple Togolais (RPT) Mouvement Populaire de la

Mobutu Sese Seko


Presidente dal 1965 al 1997

Kenneth Kaunda
Presidente dal 1964 al 1991

Rvolution (MPR) United National Independence Party (UNIP)

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LEZIONE N. 5-6
CRISI, CONFLITTO E CROLLO DELLO STATO
Gli anni 90 fanno registrare una diffusione dei conflitti in Africa, nonostante il fatto che le due superpotenze USA-URSS non utilizzino pi il continente in modo indiretto attraverso delle guerre per procura, che siano venute a termine le guerre di liberazione nazionale nella regione australe e che il Sudafrica gestisca pacificamente i primi anni della fine dellapartheid. Giovanni Carbone nota che lallargamento del conflitto avvenuto prevalentemente lungo due direttrici: quella del contagio tra i piccoli paesi della costa dellAfrica occidentale e quella che ha attraversato il cuore stesso del continente -il Congo Kinshasa (ex Zaire) partendo dallAngola per arrivare al Sudan, due paesi gi alle prese con conflitti pluridecennali. Ma quale tipo di conflitto si intende? Il riferimento alla guerra civile, vale a dire un conflitto armato che vede da una parte le autorit di uno stato formalmente sovrano e dallaltra attori non statuali (per lo pi movimenti ribelli o partiti politici, ma anche formazioni emerse dallesercito) che a esse si oppongono, facendo un uso organizzato della violenza, con lobiettivo di modificare qualche aspetto dello status quo sociale, politico o economico, inclusa una possibile alterazione dei conflitti territoriali Gli Stati a cui fa riferimento lo studioso italiano sono Liberia, Sierra Leone, Repubblica Democratica del Congo, Sudan ed Angola. In tale sede si esamineranno i conflitti di Liberia (1989-1996) e Sierra Leone (1991-2002) perch collegati strettamente e le due guerre del Congo (1996-1997 e 1998-2003, questultima conosciuta come la guerra mondiale africana, per lintervento di pi soggetti nelle operazioni belliche). a) Liberia Guerra civile (1989-1996) In Liberia, la guerra civile (1989-1996) inizi con linsurrezione del National Patriotic Front of Liberia (NPFL) di Charles Taylor contro il malgoverno del Presidente Samuel Doe, poi degener e si trasform in una guerra tra potenti leader ribelli. Nellultima fase i combattimenti non solo mirarono ad avere un ricambio di potere ma furono orientati al controllo delle risorse locali. Il conflitto fu sanguinoso e violento, caratterizzato da arresti arbitrari, torture e violenze inaudite. Alcuni studiosi vi distinguono 4 fasi : Dicembre 1989-Dicembre 1990; Ottobre 1992-Luglio 1993; Settembre 1994-Agosto 1995; Aprile-Giugno 1996. La prima fase (Dicembre 1989-Dicembre 1990) quella delloffensiva portata dagli uomini del NPFL -attraverso le linee di confine della Costa dAvorio- nella Contea di Nimba e dellintervento delle Forze Armate Liberiane nello scontro. Le operazioni belliche provocarono oltre 160.000 rifugiati in Guinea e Costa dAvorio, nonch 135.000 sfollati allinterno della Liberia stessa. In tale 34

periodo ci fu una frattura allinterno del NPFL e la creazione dellIndependent National Patriotic Front (INPFL) promosso da Prince Johnson (leader ribelle, un tempo alleato di Taylor). Nellagosto 1990 le forze dellECOWAS Cease Fire Monitoring Group (ECOMOG) arrivarono a Monrovia e ne presero il controllo, separarono le fazioni e fecero firmare un cessate il fuoco a Bamako (novembre 1990) che , pur tra mille difficolt, venne mantenuto per due anni. La neutralit di ECOMOG fu da subito compromessa: grazie al suo aiuto, lINPFL cattur ed uccise il Presidente Samuel Doe (il Sergente Maggiore che aveva preso il potere con un golpe contro lex Presidente Tolbert nel 1980 e per 9 anni aveva governato il Paese in modo autoritario nonch brutale, assieme ad una ristretta cerchia di uomini a lui fedeli). ECOMOG cre una zona neutrale e contribu ad un instaurare un Governo di Transizione che escludeva i capi delle formazioni ribelli o i loro rappresentanti ed era totalmente dipendente dal Gruppo di Monitoraggio ECOWAS per la sua sopravvivenza. Il NPLF di Charles Taylor si rifiut di riconoscere tale esecutivo e stabil il suo quartier generale a Gbarnga (capitale della Contea di Bong). La seconda tappa (Ottobre 1992-Luglio 1993) comprende il lancio inaspettato di unazione contro Monrovia da parte del NPLF (chiamata Operation Octopus), la fuga di 200.000 persone dalla capitale, il collasso della fazione dellINPFL guidata da Prince Johnson, il nuovo intervento di ECOMOG, il consolidamento delle posizioni dello United Liberation Movement of Liberia for Democracy (ULIMO, formazione creata da rifugiati liberiani Mandingo in Sierra Leone nel 1991). Nel 1993 lECOWAS richiese un supporto pi sostanzioso alle Nazioni Unite, visto il proliferare di formazioni ribelli e la difficolt nel gestire un controllo efficace su di esse. Il terzo momento (Settembre 1994-Agosto 1995) si riferisce allinizio delloffensiva di alcune formazioni (Liberian Peace Council-LPC, Lola Defence Force-LDF, un sottogruppo dellULIMO e le stesse Forze Armate Liberiane) contro Gbaranga, la roccaforte del NPLF. Sul fronte diplomatico lECOWAS, presieduto in quellanno da Gerry Rawlings (Presidente del Ghana) dimostr un certo pragmatismo, abbandon lidea di un governo civile di transizione, favorendo il coinvolgimento di Taylor e dei leader delle fazioni principali nel Consiglio di Stato. Nel settembre del 1994 gli Accordi di Akosombo scoraggiarono la formazione di nuovi gruppi sul terreno; nellagosto dellanno successivo gli Accordi di Abuja promossero un nuovo Governo di Transizione cui prese parte anche Charles Taylor. Nel novembre 1995 venne firmato un ennesimo accordo di cessate il fuoco ma la situazione rimase tesa e di fatto il processo di pace tard a portare risultati concreti. Lultima fase del conflitto (Aprile- Giugno 1996) concerne lassalto da parte degli uomini di Taylor e di Kromah (leader di una fazione dellULIMO, lULIMO-K) contro Monrovia. Nel maggio 1996 35

le parti firmarono un nuovo cessate-il-fuoco e ECOMOG spieg i suoi uomini nella capitale, riprendendo dopo qualche mese il controllo di alcune aree di periferia della capitale. Nellagosto venne firmato il secondo Accordo di Abuja e ECOWAS minacci di portare davanti ad un Tribunale di Guerra quanti lo avessero violato, imponendo sanzioni mirate. Il lavoro di disarmo e smobilitazione si rivel molto ostico. Le elezioni si tennero nel luglio 1997: Charles Taylor si assicur la vittoria con il 75% delle preferenze e divenne ufficialmente il Capo dello Stato il 2 agosto 1997. La guerra civile liberiana, che ha comportato la morte di oltre 300.000 persone nonch il problema gravoso di oltre 1 milione di rifugiati nelle aree limitrofe, stata una delle pi cruenti dellarea occidentale africana. Inizialmente le truppe di Charles Taylor furono percepite con favore dalla comunit locale, vessata dal regime imposto per 9 anni da Samuel Doe. Ben presto per la popolazione si rese conto dei metodi altrettanto crudeli e dei loschi commerci ( vendita di armi in cambio di pietre preziose, in particolare dei cosiddetti diamanti insanguinati della Sierra Leone) promossi da Taylor e dai suoi seguaci. b) Sierra Leone Guerra civile (1991-2002)

c) Le due guerre del Congo (1996-1997 e 1998-2003)

IN VIA DI DEFINIZIONE

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Secondo Modulo DALLORGANIZZAZIONE PER LUNIT AFRICANA (OUA) ALLUNIONE AFRICANA (UA)
LOUA negli anni 60-70 LOUA negli anni 80-90 1999-2002 nasce lUnione Africana: caratteri distintivi NEPAD African Standby Force

Testi Consigliati per la seguente parte: LAfrica sud-sahariana nella politica internazionale, di Arrigo Pallotti e Mario Zamponi, Ed Le Monnier (2010) capitolo II, V, XIV, XV, XVIII

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LEZIONE N. 7-8
LOUA NEGLI ANNI 60-70
LOUA negli anni 60 (PPT 7) LOrganizzazione dellUnit Africana (OUA) nacque con la firma da parte di 32 Stati africani della Carta di Addis Abeba il 25 maggio 1963, con gli obiettivi di: promuovere lunit e la solidariet degli Stati Africani coordinare ed intensificare la cooperazione tra gli Stati e gli sforzi per ottenere una vita migliore per i popoli africani difendere la loro sovranit, la loro integrit territoriale e indipendenza sradicare tutte le forme di colonialismo dallAfrica promuovere la cooperazione internazionale, avendo il dovuto riguardo per la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione dei Diritti Umani. La sua creazione fu accompagnata da grande ottimismo e speranza, sostituite per ben presto dalla disillusione in seguito al confronto con le prime crisi continentali. Nonostante le numerose debolezze, lorganizzazione panafricana ha avuto un ruolo significativo quantomeno come forum di dibattito e come arena di confronto per un quarantennio. Sin dalle prime fasi del vertice di Addis Abeba fu chiara la contrapposizione tra chi voleva unorganizzazione continentale forte dotata di ampi poteri e chi era restio a cedere la sovranit nazionale: nella fase dei lavori si cerc un compromesso politico che soddisfacesse entrambe le parti. Due sono stati i principi pi discussi dellorganizzazione: quello di non interferenza10 e quello dellintangibilit delle frontiere 11 . Secondo la carta costitutiva, lOUA si basava su una struttura precisa composta da: lAssemblea di Capi di Stato e di Governo (supremo organo dellOrganizzazione) il Consiglio dei Ministri (composto dai Ministri degli Esteri o da quelli designati dai singoli governi, con il compito di preparare i lavori dellAssemblea) il Segretariato Generale (composto da un Segretario Generale nominato dallAssemblea e dal suo staff) la Commissione di Mediazione, Conciliazione ed Arbitrato (con il compito di promuovere la risoluzione pacifica delle controversie tra i membri; mai funzionante nella pratica perch non consultata in alcuna occasione da uno Stato africano).
Il principio di non interferenza ha permesso ai membri dellOUA di non schierarsi apertamente contro dittatori sanguinari e di non scendere in guerra per mettere fine a violenze efferate 11 Il principio di intangibilit delle frontiere ha comportato laccettazione delle linee di confine esistenti al momento dellindipendenza, nonostante ci fosse una corrente revisionista favorevole alla rettifica delle frontiere; principio giustificabile con lintenzione dei padri fondatori di dare stabilit ed assicurare la pace nel continente.
10

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Come notato da Norman Padelford, le istituzioni dellOUA erano concepite per promuovere la cooperazione, non per imporla, e per spronare alla collaborazione, non per punire chi vi si opponeva. Le prime sfide negli anni 60 contro cui si confront lOrganizzazione e che evidenziarono tutte le sue debolezze, furono: a) la crisi del Congo (1963-1964) b) la secessione del Biafra (maggio 1967- gennaio 1970) c) la Unilateral Declaration of Independence della Rhodesia (novembre 1965) a) La crisi del Congo (1963-1964) Il Congo aveva ottenuto lindipendenza dal Belgio nel 1960 ma i primi eventi avevano dimostrato le difficolt nel percorrere un percorso di normalizzazione nazionale (vd. uccisione del Primo Ministro Lumumba e sponsorizzazione belga della secessione della provincia mineraria del Katanga) Dal 1963 il Congo si confront con una nuova crisi. Le forze leali al defunto Premier Lumumba si riunirono nella formazione del Conseil National de Liberation (CNL) e lanciarono un attacco al governo del Primo Ministro Cyrille Aduola. Questultimo si dimise a causa dellincapacit del suo governo a gestire la situazione e Moise Tshombe fu nominato Primo Ministro nel luglio 1964. Per reprimere le crisi, Tshombe si affrett a chiamare mercenari della Rhodesia e del Sud Africa, nonch a richiedere laiuto militare a USA e Belgio. Tale nomina provoc uno shock allinterno dellOUA non solo perch Tshombe era ritenuto colpevole o comunque coinvolto nellassassinio di Lumumba ma anche perch aveva provocato una escalation della crisi, coinvolgendo anche truppe mercenarie straniere. Segu una guerra civile, in cui il CNL fu sostenuto da URSS e Cina mentre il governo congolese fu supportato dagli stati Uniti. LAssemblea dei Capi di Stato e di Governo del 1964 nomin una commissione guidata dal Presidente kenyota Yomo Kenyatta per riconciliare le due parti, ma tale iniziativa non ebbe esito positivo. Ugualmente lOUA tent con poca fortuna di ottenere il ritiro dei mercenari, formare un nuovo governo provvisorio e di organizzare le elezioni. LOUA mostr la sua impotenza e pales le sue divisioni rispetto al giudizio su Tshombe e rispetto al possibile invio di una forza militare africana nel paese. b) la secessione del Biafra (maggio 1967- gennaio 1970) Nel gennaio del 1966 alcuni ufficiali Igbo organizzarono un golpe, venne ucciso il Primo Ministro Tafawa Balewa e sal al potere il Generale Aguiyi-Ironsi (leader degli Igbo che avevano organizzato 39

il colpo di stato). Nel Luglio dello stesso anno una nuova operazione di ufficiali del Nord comport leliminazione di Aguiyi e lascesa del Generale Gowon. Il governatore militare dellEastern Nigeria, il ten. Col. Odumegwu Ojuku dichiar lindipendenza della regione e la creazione dello Stato del Biafra (maggio 1967). Nella sanguinosa guerra che segu tra il governo federale e il Biafra morirono circa 1 milione di persone. Tale conflitto rappresent una questione delicata per lOUA perch contrapponeva il principio dellinviolabilit dei confini e il diritto allautodeterminazione dei popoli. LOUA si dimostr molto cauta perch voleva evitare nuove secessioni e cerc di convincere gli stati membri a supportare il governo centrale nigeriano e isolare gli unici 4 stati che avevano manifestato il sostegno al soggetto secessionista. Durante lincontro di Kinshasa del settembre del 1967, lAssemblea dei Capi di Stato decise di inviare in Nigeria una missione consultiva, guidata dallImperatore Haile Selassie. La delegazione che si rec in Nigeria nel novembre 1967 fu accolta in modo brusco da Gen. Gowon, che escluse ogni compito di mediazione. La linea scelta dall OUA, ribadendo lessenzialit del mantenimento dellunit del paese, suscit critiche da parte del governo del Biafra. La mediazione venne tentata nei primi mesi del 1968 dal Commonwealth ma si concluse ancora una volta con un fallimento. Tra aprile e maggio 1968, il Biafra venne riconosciuto da Gabon, Costa dAvorio, Tanzania, Zambia adducendo delle motivazioni umanitarie. In realt cera linteresse recondito della Francia che influiva su due grandi partner africani per spaccare ed indebolire la forza del gigante nigeriano. Nel settembre 1968 lAssemblea dellOUA di Algeri sanc lappoggio al Gen Gowon e condann la scelta secessionista. Nel gennaio 1970 il Biafra si arrese. Con linvio della missione consultiva, lesperienza del Biafra dimostr che lOUA interferiva negli affari interni di un suo paese membro. Cosa ancor pi grave fu che lOUA si era dimostrata palese sostenitrice del governo federale e cos facendo aveva rinunciato alla sua imparzialit. c) la Unilateral Declaration of Independence della Rhodesia (novembre 1965) La crisi della Rhodesia non scoppi improvvisamente nellautunno del 1965, cerano stati dei sintomi evidenti di malcontento negli anni precedenti. La richiesta di indipendenza dei coloni era iniziata nel momento della dissoluzione della Federazione della Rhodesia e del Nyasaland (marzo 1963) ed era basata sulla costituzione del 1961 che garantiva ai bianchi lauto-governo di fatto. Concretamente, tale richiesta si scontrava contro le intenzioni del premier britannico, Harold Wilson, che non voleva concedere lindipendenza alle colonie in cui cera una minoranza bianca al potere, a meno non ci fosse una majority rule. Il partito del Rhodesian Front di Ian Smith si oppose a tale linea con la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza, ricordando il contributo dato 40

nei conflitti mondiali. La Comunit internazionale critic tale atteggiamento e le Nazioni Unite autorizzarono le sanzioni. LOUA mostr tuta la sua costernazione e organizz un Meeting straordinario del Consiglio dei Ministri per discutere la faccenda. In tale occasione, il Consiglio minacci di interrompere tutte le relazioni con il Regno Unito se esso non avesse represso la ribellione e restaurato la legge e lordine entro il 15 dicembre 1965. N il Regno Unito n la Rhodesia rispettarono tale ultimatum e i membri dellOUA si divisero su cosa fare. Solo 9 stati implementarono la risoluzione del Consiglio (tra cui Ghana, Tanzania, Algeria, Mali e Guinea Conakry). In tale frangente, Nyerere e Nkrumah , che avevano visioni diverse rispetto allOUA, fecero fronte comune contro Londra ma tale riavvicinamento fu di breve durata dal momento che Nkrumah venne eliminato dal potere con un golpe il 24 febbraio 1966 e a distanza di pochi giorni il paese riprese i rapporti diplomatici con il partner europeo. Il tema dellUDI di Ian Smith fu al centro dei lavori anche nellincontro OUA di Addis Abeba nel 1966 , ma ancora una volta la richiesta di Nyerere ai suoi colleghi per condannare la posizione di Londra non ottenne il risultato auspicato. In tale questione sono da puntualizzare alcuni elementi. Prima di tutto la posizione dellOUA rispetto allUDI ha contribuito allisolamento del regime di Ian Smith ma non stata risolutivo, in secondo luogo stata palese lindecisione dei paesi membri dellOrganizzazione se rompere o meno i rapporti con Londra e ci ha palesato le sue debolezze. Discutibile appare anche la validit legale del Consiglio dei Ministri in quanto il Consiglio non aveva il potere di vietare o meno un comportamento degli Stati membri. LOUA negli anni 70 (PPT 8) Superate le crisi degli anni 60, lOUA incontra nuove sfide sul suo cammino nel decennio successivo. E in questo periodo che nasce la questione del Sahara Occidentale (che porter al ritiro del Marocco dallOUA nel 1984), nonch il contrasto tra Tanzania e Uganda, ma soprattutto in questa fase che lOrganizzazione fornisce il suo sostegno alle lotte di liberazione nazionale (in particolare nella regione australe). Per quanto attiene i rapporti tra Tanzania e Uganda, il golpe di Idi Amin nel gennaio del 1971 contro il Presidente Milton Obote non venne ben accolto dal Presidente tanzano Nyerere. le relazioni non migliorarono quando nel 1972 un gruppo di ugandesi (che aveva ottenuto asilo in Tanzania) tent di invadere il paese natale. Per rappresaglia, laviazione del governo di Kampala bombard due cittadine del paese confinante e solo un intervento di mediazione di Siad Barre permise la firma di un accordo di pace tra le due parti nellottobre del 1972. 41

A distanza di 6 anni si ricrearono nuove condizioni conflittuali, quando Idi Amin ordin linvasione della striscia del Kagera Salient . Dapprima la Tanzania difese larea poi contrattacc sul territorio nemico. Preoccupata dallallargamento del conflitto (la Libia era intervenuta a fianco dellUganda), lOUA tent invano una mediazione prima tramite i buoni uffici del Presidente sudanese Nimeiri, poi attraverso una commissione specifica. Nyerere chiese unaperta condanna da parte dellOUA dellinvasione sul Kagera Salient, condanna che per non arriv. La guerra continu fino al 10 aprile del 1979 quando Kampala fu conquistata e Idi Amin fu costretto allesilio. Quanto accaduto aveva dimostrato ancora una volta limpotenza dellOrganizzazione nel mediare tra le parti o comunque nellesprimere una ferma condanna rispetto allinvasione di un paese membro. Per quanto concerne il sostegno alle guerre di liberazione nazionale, nellaprile del 1969 si era svolta un Conferenza in Zambia in cui i partner dellarea orientale e centrale avevano adottato il cosiddetto Manifesto di Lusaka. In tale documento i leader optavano per una transizione pacifica e, solo qualora non fosse riuscita, lappoggio alla lotta armata. Il documento venne ampliamente dibattuto nellAssemblea dei Capi di Stato del 1969 e del 1970. In tale frangente cera grande incertezza rispetto al comportamento da tenere con il Sud Africa. I presidenti Houphouet Boigny (della Costa dAvorio) e Banda (del Malawi) proposero un dialogo con Pretoria ma a tale ipotesi si oppose fermamente la Tanzania. Allinterno dellOUA prevalse questultima linea e si escluse la possibilit di una base per un dialogo significativo con il regime razzista del Sud Africa. Nel 1974, di fronte al tentativo del Presidente sudafricano Vorster di coinvolgere Zambia , Tanzania, Mozambico e Botswana per una soluzione negoziale per lindipendenza della Rhodesia, lOUA dimostr la sua volont di mediazione tra Ian Smith ed i partiti nazionalisti locali. Solo nel caso in cui fosse fallito il dialogo, sarebbe stata ripresa la lotta armata dalle formazioni locali ed il pieno sostegno ad essa da parte dellOrganizzazione.

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LEZIONE N. 9-10
LOUA NEGLI ANNI 80-90

IN VIA DI DEFINIZIONE

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LEZIONE N.11-12
1999-2002 NASCE LUNIONE AFRICANA: CARATTERI DISTINTIVI
LUnione Africana (UA) lorganizzazione panafricana, nata sulle ceneri dellOrganizzazione per lUnit Africana (OUA, la struttura fortemente voluta dallImperatore etiopico Hail Selassi ed inaugurata ad Addis Abeba il 25 maggio 1963). Spesso sottovalutato dagli osservatori esterni, il movimento panafricano ha avuto una rivitalizzazione alla fine degli anni 90 grazie allimpegno del Colonnello Gheddafi e del Presidente Bouteflika. Diversi i motivi a sostegno di tale interesse: il leader libico sentiva lesigenza di sdoganare la Giamahirya araba libica e riproporla nei fora internazionali, mentre il leader algerino aveva urgenza di attirare investimenti stranieri per rilanciare leconomia nazionale. Diverse sono state le tappe che hanno sancito la nuova struttura, destinata a correggere le imperfezioni della precedente OUA. In occasione del 1mo vertice straordinario di Sirte (settembre 1999) fu proposto dalla Libia di lanciare gli Stati Uniti dAfrica; al 36mo Summit di Lom (Togo, luglio 2000) una parte di Stati membri si astenne dalla firma perch convinta della necessit di una fase di passaggio graduale verso una struttura federale e perch timorosa che una tale iniziativa potesse indebolire la propria sovranit nazionale o la capacit di agire indipendentemente; al 2 vertice di Sirte (marzo 2001) venne adottato il trattato di creazione dellUnione Africana; solo in occasione del vertice di Lusaka (Zambia, luglio 2001) venne dato il via definitivo al progetto su modello europeo. Il lungo iter per arrivare allUA ed i problemi sottesi nel processo, si possono comprendere soffermandosi sulliniziale denominazione Stati Uniti dAfrica- che avrebbe espresso la volont di pervenire in breve tempo allambizioso progetto di un solo Governo guida. Tale idea era contrastata dai governi moderati (guidati da Sud Africa e Nigeria), che ne riscontravano lirrealizzabilit immediata sia per problemi interni al continente sia per dinamiche specifiche degli stati membri. Solo un approccio pi modesto e concreto durante il 2 vertice di Sirte (partendo dalla riorganizzazione funzionale dellapparato dellOUA) permise nel 2001 una convergenza di intenti. Il varo ufficiale della nuova organizzazione panafricana venne sancito a Durban (Sud Africa) nel luglio 2002. LUA lorganizzazione per la promozione dellintegrazione socio-economica del continente. Essa si basa su una visione comune di unAfrica unita e forte, sulla necessit di costruire una partnership tra i governi e tutti i segmenti della societ civile, per rafforzare la solidariet e la coesione tra i popoli africani. In tale ottica, la promozione della pace, della sicurezza e della stabilit del

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continente sono considerati come prerequisiti per limplementazione dellagenda dellUnione, ai fini dello sviluppo e dellintegrazione locale La struttura dellUnione articolata e complessa. Come risulta dalla sua Carta fondamentale e/o da integrazioni successive, lUA formata da: -lAssemblea, composta dai Capi di Stato e di Governo e considerata organo supremo dellUnione. Tra i suoi compiti si distinguono: la determinazione delle politiche comuni dellUnione, lo stabilimento delle priorit e ladozione del programma annuale; il monitoraggio dellimplementazione delle politiche e delle decisioni dellUnione; laccelerazione dellintegrazione politica e socio-economica del continente; la decisione di intervento in uno stato membro su richiesta del medesimo per restaurare la pace e la sicurezza; la nomina del Presidente della Commissione, il suo/la sua/i suoi vice Presidenti, i Commissari nonch la determinazione delle loro funzioni ed i termini dellincarico; - il Consiglio Esecutivo, composto dai Ministri o da autorit designate dai governi degli stati membri. Esso coordina e prende decisioni sulle politiche nelle aree di interesse comune degli stati membri; responsabile nei confronti dellAssemblea. Tra i suoi compiti si segnalano: la preparazione delle sessioni dellAssemblea; il coordinamento e larmonizzazione delle politiche, delle attivit e delle iniziative dellUnione; la promozione della cooperazione e del coordinamento con le Comunit Economiche Regionali, la Banca Africana di Sviluppo ed altre istituzioni africane; - il Parlamento Panafricano, stato inaugurato nel marzo 2004 a Midrand (Johannesburg, Sud Africa). Ogni Stato membro dellUA ha 5 deputati eletti o nominati dai propri Parlamenti nazionali. Tra le varie attivit espletate, si ricorda: il lavoro per larmonizzazione ed il coordinamento delle leggi degli stati membri; la possibilit di fare raccomandazioni finalizzate a contribuire al raggiungimento degli obiettivi dellOUA e della Comunit Economica Africana; lincoraggiamento della good governance, l accountability e la trasparenza; - la Corte Africana di Giustizia, lorgano incaricato delle questioni civili, in particolare con riferimento alla protezione dei diritti umani ed al consolidamento del buon governo in Africa. Essa si fusa con la Corte Africana dei diritti delluomo e dei Popoli ed ora conosciuta come Corte Africana di Giustizia e dei Diritti Umani. Tra le sue funzioni si ricordano quella della preparazione di documentazione, studi e ricerche sulle questioni dei diritti umani in Africa nonch quella dellinterpretazione delle norme della Carta istitutiva dellUnione; 45

- la Commissione, costituisce il segretariato dellUnione Africana ed ha un ruolo centrale. Essa rappresenta lUnione e ne difende gli interessi; prepara i piani strategici e gli studi per il Consiglio Esecutivo; elabora, coordina, promuove e armonizza programmi e politiche con le Comunit Economiche Regionali (RECs). La sua azione guidata dal rispetto per la diversit ed il lavoro di gruppo; dalla trasparenza e dallaccountability; dallintegrit ed imparzialit; dallefficienza e dalla professionalit; dallinformazione e dallo scambio di conoscenze. Essa composta da 1 Presidente, 1 Vice-Presidente, 8 Commissari ed 1 Staff di supporto. I Commissari sono responsabili di 8 portafogli riguardanti i temi: Pace e Sicurezza; Affari Politici; Infrastrutture ed Energia; Affari Sociali; Risorse Umane, Scienza e Tecnologia; Commercio ed Industria; Economia Rurale ed Agricoltura; Affari Economici; - il Comitato dei Rappresentanti Permanenti, incaricato di preparare il lavoro del Consiglio

Esecutivo. Tra le sue funzioni si ricordano: la preparazione di regole di procedura e la loro sottomissione al Consiglio Esecutivo; le raccomandazioni nelle aree di comune interesse dei membri, particolarmente su questioni nellagenda del Consiglio Esecutivo; - 7 Commissioni Tecniche Speciali, responsabili della preparazione di progetti e programmi dellUnione nonch della loro sottoposizione al Consiglio Esecutivo. Esse concentrano la loro attenzione sulleconomia rurale e le questioni agricole; sugli affari monetari e finanziari; sul commercio, le dogane e le questioni migratorie; sullindustria, la scienza e la tecnologia, lenergia, le risorse naturali e lambiente; sul trasporto, le comunicazioni ed il turismo; sulla sanit, il lavoro e gli affari sociali; sulleducazione, la cultura e le risorse umane; - il Consiglio per la Pace e la Sicurezza, composto da 15 membri. Esso considerato uno strumento per prevenire, gestire e risolvere i conflitti. Al fine di assumere le sue responsabilit per lo schieramento delle forze di pace e le missioni di intervento rapido cos da garantire lassistenza nei casi di genocidio, crimini di guerra e crimini contro lUmanit. Il suddetto Consiglio potrebbe consultare un Panel di Saggi che comprende 5 illustri personalit africane, incaricate di dare il loro parere su questioni particolarmente difficili da risolvere; -3 istituzioni finanziarie promosse per facilitare il commercio allinterno del continente: la Banca Africana degli Investimento, il Fondo Monetario Africano, la Banca Centrale Africana; 46

- il Consiglio Economico, Sociale e Culturale, considerato il veicolo per costruire una forte partnership tra i governi e tutti i segmenti della societ civile africana. Lo statuto lo definisce come un organo consultivo dellUA composto da diversi gruppi sociali e professionali. Tra i suoi compiti si ricordano: la promozione di un dialogo continuo tra tutti i segmenti dei popoli africani su questioni riguardanti lAfrica ed il suo futuro; una forte partnership tra i governi e tutti i segmenti della societ civile (donne, giovani, diaspora, sindacati, settori privati) - la Commissione sulla Legge internazionale, incaricata -tra laltro- di intraprendere azioni correlate alla codifica ed al progressivo sviluppo del diritto internazionale nel continente africano, con particolare attenzione alle leggi dellUnione; assistere nella revisione dei trattati esistenti, assistere nellidentificazione delle aree in cui sono richiesti nuovi trattati e preparare delle bozze apposite; condurre studi su questioni legali di interesse dellUnione e dei suoi Stati membri; - il Consiglio Consultivo sulla Corruzione, ha il compito tra laltro- di sviluppare e promuovere ladozione di codici di condotta dei funzionari pubblici; promuovere ed incoraggiare ladozione e lapplicazione di misure anticorruzione nel continente; preparare la documentazione sulla natura e lo scopo della corruzione e gli illeciti ad essa correlati in Africa; sviluppare metodologie per analizzare la natura e la misura della corruzione in Africa, disseminare linformazione e sensibilizzare il pubblico sugli effetti negativi della corruzione e dei reati ad essa collegati; dare indicazioni ai governi su come affrontare tale fenomeno e quanto ad esso collegato nelle giurisdizioni nazionali.

Bandiera dellUnione Africana Dopo la presentazione della struttura nel suo insieme, importante dire che sono gli incontri annuali dei Capi di Stato e di Governo ad attirare maggiormente lattenzione internazionale sullUnione Africana. Tali eventi sono organizzati solitamente nel mese di gennaio e nel mese di luglio; negli 47

incontri di gennaio si sceglie la presidenza di turno annuale, anche se la candidatura di un paese precedente e si bilancia con logiche regionali. Nonostante i Summit focalizzino lattenzione su un tema preciso, sono sempre le questioni contingenti ad avere il sopravvento (terrorismo, emergenza siccit in Corno dAfrica, crisi locali). Si ricordano: -il 18mo Summit UA Promuovere il commercio intra-africano (Addis Abeba, 23-30 gennaio 2012), nel cui ambito stato nominato il Presidente del Benin Thomas Yayi Boni come Presidente di turno annuale. Durante gli incontri non stato raggiunto laccordo per la nomina del nuovo Presidente della Commissione e si quindi deciso di prolungare il mandato dellattuale Presidente Jean Ping fino allincontro ufficiale di luglio 2012. Non stata infatti ben accolta la proposta della nomina di Nkosazana Dlamini-Zuma (Ministro degli Interni del Sud Africa). Secondo alcuni Stati membri ci avrebbe eccessivamente favorito il Sud Africa e gli avrebbe fornito una buona rampa di lancio per ottenere un posto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Daltra parte lo stesso Sud Africa si opposto alla conferma di Jean Ping, in quanto ritenuto eccessivamente debole nei confronti delle varie crisi e rivolte che si sono registrate nellultimo anno nel continente. Interessante notare che durante lapertura dei lavori, il Presidente della National Committee of the Chinese People's Political Consultative Conference, Jia Qinglin, ha portato il saluto del Presidente Hu Jintao. Nel messaggio stata ribadita da parte di Pechino la volont di continuare a lavorare a fianco dellAfrica per costruire -sulla base dei risultati raggiunti- la partnership strategica Cina Africa e portarla ad un livello pi alto.

XVIII Summit dellUnione Africana (gennaio 2012) - il 16mo Summit UA Verso una pi grande unit ed integrazione attraverso valori condivisi (Addis Abeba, 24-31 gennaio 2011), in cui nellagenda dei lavori stata data grande attenzione alle crisi somala, ivoriana e sudanese; gli eventi del Nord Africa sono stati trattati nei diversi incontri ma non ne stato fatto riferimento nella dichiarazione finale per volont del Presidente della Commissione, Jean Ping. Molto criticato da alcune organizzazioni non governative stato 48

il passaggio della presidenza di turno alla Guinea Equatoriale di Teodoro Obiang Nguema, Stato africano in cui vengono sistematicamente effettuate violazioni dei diritti umani. La scelta stata tuttavia giustificata con esigenze di rotazione regionale; il 15mo Summit UA Salute materno-infantile e sviluppo in Africa (Kampala, 19-27 luglio

2010). Grande attenzione stata rivolta al tema della sicurezza, al conflitto somalo, alla questione sudanese, alla food security ed alle infrastrutture. I partecipanti hanno concordato nellinvio di altri 2000 peacekeepers in Somalia per fornire un rinforzo allAfrican Union Mission in Somalia (AMISOM). Il Presidente ugandese Museveni (reduce dal duplice attacco terroristico a Kampala l11 luglio, rivendicato da combattenti collegati ad Al Shabab, in cui erano morte 74 persone ed una decina erano rimaste ferite) si detto convinto che il terrorismo pu e deve essere vinto ma che essenziale unazione congiunta da parte dei partner africani. Sono state criticate fortemente le azioni terroristiche nel Corno dAfrica e nella zona sahelosahariana; il 13mo Summit UA Investire nellAgricoltura per la crescita economica e la sicurezza

alimentare (Sirte, 24 giugno-3 luglio 2009), nel cui ambito stato deciso di trasformare la Commissione dellUnione Africana in Autorit come primo passaggio in vista dellintegrazione regionale. Durante gli incontri, i Capi di Stato hanno adottato una risoluzione in cui hanno ribadito di non essere disposti a collaborare con la Corte di Giustizia Internazionale nel caso del mandato di arresto nei confronti del Presidente sudanese El Beshir ;

13mo Summit UA (Sirte, 2009)

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l8 Summit Scienza, tecnologia e ricerca scientifica per lo sviluppo (Addis Abeba, 22-30 gennaio 2007). In tale occasione stato eletto John Kufuor del Ghana come Presidente di turno annuale, essendo stata scartata lofferta sudanese, considerata ingombrante per il dramma darfuriano. Il Sudan ha mal sopportato tale decisione, attribuendo a pressioni esterne la scelta dei partner. Sono stati nominati 5 saggi per coadiuvare il Consiglio per la Pace e la Sicurezza. Sul fronte somalo stata ben accolta la proposta del Presidente somalo Yusuf di organizzare una Conferenza di riconciliazione nazionale, ma si registrata una scarsa disponibilit da parte dei paesi africani allinvio di propri uomini a sostegno dellAfrican Union Mission in Somalia (AMISOM)

Fatta questa breve presentazione sullUA, quali sono i caratteri distintivi rispetto allOUA? In una pubblicazione del 2010 di Mario Zamponi e Arrigo Pallotti, i due studiosi italiani notano che: continuit e discontinuit con lesperienza storica dellOUA emergono neel Constitutive Act dellUA. La continuit rappresentata dal riferimento ai principi delluguaglianza sovrana tra gli Stati membri, del rispetto dei confini ereditati dal colonialismo e della non interferenza negli affari interni di un paese, che fin dal 1963 hanno costituito i pilastri della diplomazia africana. La discontinuit pi forte rappresentata dal ruolo attribuito allUA nella prevenzione e risoluzione dei conflitti e nella promozione del rispetto dei diritti umani e del consolidamento delle pratiche democratiche in Africa. ( ) Larticolo 30 del Constitutive Act prevede che i governi che acquisiranno il potere tramite mezzi incostituzionali non potranno partecipare alle attivit dellUnione. Inoltre allUA stato conferito il diritto di intervenire in un paese membro [] nel caso si verifichino circostanze particolarmente gravi, vale a dire: crimini di guerra, genocidio, crimini contro lumanit e una grave minaccia allordine legittimo per ripristinare la pace e la stabilit () Continuit e discontinuit rispetto allesperienza passata delle relazioni tra i paesi africani sono inevitabilmente emerse anche nel funzionamento dellUA. LUA ha infatti incontrato forti ostacoli nella promozione della democrazia allinterno dei Paesi membri, in particolare a causa delle spaccature politiche tra gli stessi governi africani sulle azioni da intraprendere nel contesto delle crisi che di volta in volta sono scoppiate e delle resistenze che gli attori direttamente coinvolti hanno opposto allintervento della diplomazia africana. Mentre la sospensione di un paese dalle attivit dellUA nel caso di un colpo di stato diventato un provvedimento di routine, la posizione dellUA nei casi di Zimbabwe e Sudan ha esposto lorganizzazione a forti critiche. In relazione alle altre differenze chiave tra le due strutture, si pu ricordare che lUA concepita come una unione di popoli piuttosto che di leader africani e che anche le donne (che non avevano avuto un minimo ruolo durante i 39 anni di esistenza dell OUA) hanno una posizione riconosciuta. Linserimento di principi come la democrazia, luguaglianza di genere, la good governance e lo stato di diritto appaiono come elementi innovatori e rivoluzionari. Sfortunatamente, a 10 anni di distanza dal varo dellUA, si pu dire che anche la nuova struttura ha mostrato le debolezze della vecchia: problemi di corruzione, problemi di gestionedelle vicende 50

interne con una logica di due pesi e due misure (si ricordi come stata trattata la crisi ivoriana e come invece stata trattata lacrisi libica, come al Presidente Gbagbo si sia ingiunto immediatame di lasciare il potere e come invece il leader libico grande sostenitore finanziario dellUA- sia stato giustificato fino allultimo momento e sostenuto nel suo attaccamento al potere), problemi di protezione palese di alcuni leader e non di altri (Omar el Beshir e Robert Mugabe sono considerati personaggi illustri, baluardi contro le ingerenze critiche degli occidentalia), problemi di protagonismo e lotta per il potere (si pensi alla nomina rinviata del Presidente della Commissione nel gennaio 2012, in seguito alla posizione contrapposta del gabonese Jean Ping e della sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma) Interessante notare la stretta collaborazione tra lUnione Africana e le Regional Economic Communities, vale a dire le organizzazioni regionali africane Il sito dellUnione Africana cita: la CEN SAD - Community of Sahel-Saharan States la COMESA - Common Market for Eastern and Southern Africa lEAC - East African Community lECCAS - Economic Community of Central African States (conosciuta in francese come CEEAC, Communaut conomique des tats de l'Afrique Centrale) lECOWAS - Economic Community Of West African States (conosciuta in francese come CEDEAO, Communaut conomique Des tats de l'Afrique de l'Ouest) lIGAD - Intergovernmental Authorithy on Development la SADC - Southern African Development Community lAMU Arab Maghreb Union (conosciuta in francese come UMA, Union du Maghreb Arabe)

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CEN SAD
La Community of Sahel-Saharan States stata fortemente voluta dal leader libico Muammar Gheddafi ed stata fondata a Tripoli il 4 febbraio 1998, con la partecipazione di Burkina Faso, Chad, Libia, Mali, Niger, Sudan). Nel corso degli anni hanno aderito anche Repubblica Centrafricana, Eritrea, Djibouti, Gambia, Senegal, Egitto, Marocco, Nigeria, Somalia, Tunisia, Benin, Togo, Cote dIvoire, Guinea Bissau, Liberia, Ghana, Sierra Leone, Comore, Guinea, Kenya, Mauritania, Sao Tom e Principe.

Mappa area CEN SAD Tra i suoi obiettivi si ricordano: -lo stabilimento di una unione economica globale, basata sullimplementazione di un piano di sviluppo della comunit che complementare ai singoli piani di sviluppo nazionali degli stati membri e che comprende vari settori: agricoltura, industria, energia, sanit, cultura; -la rimozione di tutte le restrizioni che ostacolano lintegrazione degli stati membri attraverso ladozione di misure necessarie che assicurino: a) il libero movimento di persone, capitali ed interessi, b) il diritto di stabilimento, ownership ed esercizio di unattivit economica; c) il libero commercio e movimento di beni, merci e servizi; - la promozione del commercio allestero attraverso una politica di in investimenti negli stati membri; - la garanzia di diritti, vantaggi e obbligazioni ai cittadini dei paesi firmatari, in conformit con le previsioni delle rispettive costituzioni - larmonizzazione di sistemi educativi, pedagogici, scientifici e cultrali dei vari cicli di educazione. Lo statuto prevede i seguenti organi della Comunit: 52

-la Conferenza dei Capi di Stato - il Consiglio Esecutivo - il Segretariato Generale - la Banca per lo sviluppo ed il Commercio - il Consiglio economico, sociale e culturale Chiaramente la scomparsa di Gheddafi dalla scena africana ha fortemente condizionato nellultimo anno le attivit della CEN SAD. Nella riunione di Rabat del Consiglio Esecutivo nel giugno 2012, il Marocco ha cercato di ereditare la guida dellOrganizzazione e di rilanciarla, consolidando i legami di amicizia e solidariet con gli altri partners (si ricorda che il Marocco ha un profilo particolare nelle organizzazioni regionali: uscito dallUnione Africana alcuni anni or sono, mentre fa ancora parte dellUnione del Maghreb Arabo anche se proprio i suoi contrasti con lAlgeria hanno impedito lo sviluppo delliniziativa maghrebina negli ultimi 20 anni). Durante gli incontri, i partecipanti dei paesi aderenti alla CEN SAD hanno ribadito limpegno nella lotta contro il terrorismo, la criminalit transfrontaliera (in particolare, traffico di armi e droga) ed i movimenti separatisti. Estato proposto di creare un Consiglio di sicurezza dellorganizzazione ma non stato chairito come saranno reperiti i fondi.

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COMESA

Logo del COMESA Lidea di una Common Market for Eastern and Southern Africa risale a met degli anni 60. Tappa essenziale stata ladozione della Dichiarazione di Intenti e di Impegni per lo Stabilimento di unArea Peferenziale di Commercio, in occasione della Conferenza di Lusaka il 21 dicembre 1981. Motivo della fondazione di questArea preferenziale era quello di trarre vantaggio da un mercato pi grande, di condividere leredit comune ed il destino della regione, di permettere una pi ampia cooeprazione economico-sociale, con lobiettivo di creare una comunit economica. La trasformazione dellArea in un Mercato Comune si avuta in occasione della firma di un Trattato il 5 novembre 1993 a Kampala (Uganda), ratificato nel 1994 a Lilongwe (Mali). Della COMESA essa fanno parte: Burundi, Comore, Repubblica democratica del Congo, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Libia, Seichelles, Madagascar, Malawi, Mauritius, Rwanda, Sudan, Swaziland, Uganda, Zambia, Zimbabwe La struttura prevede: - lAuotrit del COMESA, composta dai Capi di Stato e di Governo; - il Consiglio dei Ministri; - la Corte di Giustizia; - il Comitato dei Governatori delle Banche Centrali; - il Comitato intergovernativo; - dodici Comitati tecnici; - il Comitato Consultivo della Comunit d'Affari e di altri Gruppi; - il Segretariato diretto da un Segretario Generale , nominato dall'Autorit per un periodo di cinque anni; - la Banca per il Commercio e lo Sviluppo del COMESA (a Nairobi, Kenya) - la cd. Stanza di Compensazione del COMESA (a Harare, Zimbabwe) - l'Associazione delle Banche Commerciali del COMESA (ad Harare, Zimbabwe) 54

- lIstituto Conciario del COMESA (in Etiopia) - la Societ di Riassicurazione - la Federazione di associazioni nazionali di donne nel mondo degli affari nellAfrica orientale e meridionale

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EAC

Mappa dei paesi membri dellEAC LEast African Community lorganizzazione intergovernativa che mira ad ampliare ed approfondire la cooperazione nei settori politico, economico e sociale tra gli stati membri dellarea orientale e con le altre comunit regionali. Essa comprende Kenya, Uganda, Tanzania (i tre membri iniziali), Burundi e Rwanda (che hanno aderito nel 2007) . La Comunit stata varata con la firma del Trattato istitutivo il 30 novembre 1999. Essa comprende i seguenti organi: - il Summit dei Capi di Stato e di Governo, le cui decisioni sono prese per consenso. Esso discute le questioni che gli vengono sottomesse dal Consiglio e qualsiasi altro affare di cui possa essere interessata la Comunit. Tra le sue funzioni, si ricordano quelle che riguardano le indicazioni della linea generale da seguire; lesame dei rapporti che gli sono sottoposti; la revisione dello stato della sicurezza, della pace e della good governance allinterno dellEAC; - il Congiglio dei Ministri, si riunisce due volte allanno; tra le funzioni assegnatigli si ricordano quelle dellimplementazione delle decisioni e delle direttive del Summit, della presa in considerazione del budget dellEAC, dello studio delle misure che devono essere prese da ogni partner per promuovere il raggiungimento degli obiettivi dellEAC; - la Commissione di Coordinamento, tra le cui funzioni si ricorda quella della sottomissione di volta in volta di rapporti e raccomandazioni al Consiglio, sia su propria iniziativa sia su richiesta del Consiglio, nellambito dellimplementazione del Trattato; del ricevimento e dellesame dei rapporti

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da parte delle Commissioni settoriali; della richiesta ad qualsiasi Commissione settoriale di fare delle investigazioni su temi specifici; - le Commissioni settoriali sono responsabili per la preparazione di un programma di implementazione generale e lo stabilimento delle priorit rispetto al proprio settore; monitorano e revisionano limplementazione dei programmi dellEAC; sottomettono rapporti e raccomandazioni alla Commissione di Coordinamento di propria iniziativa e su richiesta della Commissione di Coordinamento; - la Corte di Giustizia, la cui pi grande responsabilit assicurare laderenza alla legge nellinterpretazione ed applicazione di ogni norma nellambito del Trattato; - lAssemblea Legislativa, tra le sue funzioni annovera quelle del dibattito e approvazione del budget dellEAC, dellesame dei rapporti annuali sulle attivit della Comunit, della discussione di tutte le questioni pertinenti allEAC, del collegamento con i Parlamenti nazionali degli Stati membri su questioni collegate allEAC; - il Segretariato il principale ufficio esecutivo, designato dal Summit e ha un incarico di durata quinquennale. Esso si compone di un Segretario Generale, alcuni vice Segretari Generali (il cui numero determinato dal Consiglio dei Minstri) ed un Consigliere della Comunit

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ECCAS

Logo della ECCAS Il Trattato istitutivo della Economic Community of Central African States (ECCAS anche conosciuto come CEEAC nellacronimo francese) stato firmato nel 1983 a Libreville, ma tra il 1992 ed il 1998 lorganizzazione non stata funzionante a causa di problemi dei suoi membri (mancati pagamenti delle proprie quote). Fanno parte della ECCAS: Angola, Burundi, Cameroun, Repubblica Centrafricana, Congo Brazzaville, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Sao Tome & Principe eTchad. Lobiettivo dellOrganizzazione la promozione ed il rafforzamento di una cooeprazione armoniosa ed uno sviluppo dinamico ed equilibrato nei settori economico-sociale, in particolare nellindustria, nei trasporti e nelle telecomunicazioni, nellenergia, nellagricoltura, nelle risorse naturali, nel turismo, nellinsegnamento, nella scienza e nella tecnologia. Le istituzioni previste dal Trattato fondamentale sono: la Conferenza dei Capi di Stato e di governo, organo supremo che definisce la politica generale e le grandi linee della Comunit, orientando ed armonizzando le politiche dei vari stati membri; il Consiglio dei Ministri, incaricato di formulare raccomandazioni riguardo alle azioni che devono essere promosse per raggiungere gli obiettivi della Comunit; la Corte di Giustizia (non ancora operativa), incaricata di assicurare il rispetto del diritto nellinterpretazione del Trattato istitutivo della Comunit e decidere delle controversie di cui pu essere informata; il Segretariato Generale, principale organo esecutivo che stabilisce annualmente il programma dazione della Comunit, prepara ed esegue le decisioni e le direttive della Conferenza ed i

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regolamenti del Consiglio, assicura la promozione dei programmi di sviluppo e i progetti comunitari; la Commissione Consultiva che studia ed istruisce sotto la responsabilit del Congilio dei Ministri- le questioni ed i progetti che gli vengono sottoposti Comitati Tecnici Specializzati creati in settori specifici.

LECCAS il focal point del NEPAD (New Partnership for Africas Development, programma dellUA adottato in Zambia nel luglio 2001 che si propone di promuovere la rinascita del continente nel 21mo secolo sulla base dei concetti di ownership e partnership) nellAfrica centrale. In tale quadro, lECCAS ha istituito un Coordinamento regionale di messa in opera e dei seguiti di tale partenariato per lo sviluppo dellAfrica nella regione centrale del continente.

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ECOWAS

Mappa degli Stati membri dellECOWAS LEconomic Community Of West African States (ECOWAS anche conosciuta come CEDEAO nellacronimo francese) lorganizzazione della regione occidentale africana, fondata nel 1975. Lobiettivo quello di promuovere lintegrazione economica in tutti campi dellattivit economica, in particolare dellindustria, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dellenergia, dellagricoltura, delle risorse naturali, del commercio, delle questioni monetarie e finanziarie, delle problematiche sociali e culturali. Ne fanno parte 15 Stati: Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Cote d'Ivoire, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo. Secondo quanto stabilito, la sua struttura prevede: - la Commissione (precedentemente conosciuta come Segretariato); - il Parlamento, considerato un forum per il dialogo, la consultazione ed il consenso per i rappresentanti dei popoli dellAfrica occidentale al fine di promuovere una vera integrazione. Si Compone di 115 seggi; - la Corte di Giustizia; - la Banca per gli Investimenti e lo Sviluppo. LECOWAS considerata una delle comunit regionali pi sviluppate. Negli ultimi anni si dimostrata molto energica nel rispetto dellapllicazione del diritto e dei principi democratici in Stati che vivevano pericolose crisi interne come Togo, Cote dIvoire e Guinea Conackry. Non sempre i suoi interventi o le sue misure hanno portato i risultati auspicati.

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IGAD

Mappa dei paesi membri IGAD LIntergovernmental Authority on Development (IGAD) stata creata nel 1996 come superamento dellIntergovernmental Authority on Drought and Development (IGADD) varata nel 1986. Tale struttura era stata promossa da Djibouti, Kenya, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan e Uganda per reagire alla siccit ed altri disastri anturali della regione orientale. LEritrea aveva aderito a tale gruppo nel 1993. Lammodernamento dellOrganizzazione ha portato ad unespansione della cooeprazione regionale ed a una nuova struttura. LIGAD composta da diversi organi: - lAssemblea dei Capi di Stato e di Governo, che fissa le politiche che devono essere implementate; -il Consiglio dei Ministri, che aiuta ad approvare i programmi di lavoro ed il budget annuale; - la Commissione degli Ambasciatori, che si riunisce quando c bisogno di fornire dei suggerimenti al Segretario Esecutivo; - il Segretariato che aiuta ad implementare progetti e programmi che sono stati approvati. Le ostilit mai celtate tra Etiopia e Eritrea nonch quelle tra Sudan e Sud Sudan hanno spesso ostacolato pi volte i lavori dellAutorit. Da ricordare anche che lIGAD ha pi volte tentato -senza successo- di mediare tra le parti somale in conflitto.

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SADC

Mappa dei paesi membri della SADC La Southern African Development Community (SADC) nata nellaprile 1980 a Lusaka come raggruppamento di 9 stati con il nome di Southern African Development Coordination Conference (SADCC).Inizialmente il suo scopo era quello di coordinare progetti di sviluppo per ridurre la dipendenza economica dal Sud Africa negli anni dellapartheid. I membri fondatori erano: Angola, Botswana, Lesotho, Malawi, Mozambique, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe. Il passaggio e la trasformazione da Conferenza a Comunit dello Sviluppo si registra nellagosto 1992, a Windhoek (Namibia). Attualmente aderiscono alla SADC: Angola, Botswana, Repubblica Democratica del Congo, Lesotho, Madagascar, Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia,Seychelles, Sud Africa, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe. La SADC, che ha il quartier generale a Gaborone (Botswana), una delle organizzazioni regionali africane pi funzionanti. La SADC si propone di promuovere attraverso sistemi produttivi efficienti- una crescita economica sostenibile ed equa, nonch uno sviluppo socio economico, una cooperazione ed integrazione pi profonde; good governance, pace e sicurezza durevoli nel tempo cos che la regione possa risultare un player competitivo e forte nelleconomia mondiale oltre che nel panorama delle relazioni internazionali. La SADC prevede per il suo funzionamento 8 organi: - il Summit annuale dei Capi di Stato e di Governo, incaricato della direzione politica e del controllo delle funzioni della Comunit; 62

-la Troika formata dal Presidente in carica, dal futuro Presidente e dal Presidente uscente, con lobiettivo di dare continuit alle linee politiche adottate; - il Consiglio dei Ministri, organo che si riunisce 4 volte allanno, comoposto dai Ministri degli Esteri e di Pianificazione Economica. Esso incaricato di sorvegliare sul funzionamento della SADC; - il Tribunale, che giudica delle eventuali dispute ed assicura il rispetto de trattato istitutivo; - lOrgano addetto alla Politica, alla Difesa ed alla Cooperazione nellambito della sicurezza; - il Segretariato, istituzione esecutiva, responsabile dellamministrazione dei programme e della pianificazione - i Comitati Nazionali, formati dalle parti del governo, settore privato e societ civile. La loro funzione quella di fornire spunti per le politiche e strategie, nonch sorvegliare lesecuzione dei programmi; - il Comitato dei Funzionari di alto livello, incaricato di fornire assistenza tecnica al Consiglio dei Ministri. Nellambito di tale organizzazione si distingue il ruolo di traino del Sud Africa, che ha mediato con pi o meno successo- e continua a mediare per le crisi in Madagascar e Zimbabwe. In particolare nei confronti dello Zimbabwe, si registrato un cambio di metodo nel passaggio di funzioni dal Presidente Thabo Mbeki (accusato di essere troppo morbido nei confronti di Robert Mugabe e della linea adottata dallo ZANU PF) a quella del Preside Jacob Zuma.

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AMU/UMA

Mappa dei paesi facenti parte dellAMU Yazirat al Magrib lespressione araba che significa Isola dellOccidente, la regione dove tramonta il sole. Essa comprende da ovest ad est : Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Tali Stati, seppur profondamente diversi luno dallaltro, hanno un substrato comune, identificabile nella sovrapposizione dellelemento arabo su quello berbero, nella lingua comune nonch nel fatto che le loro societ poggiano su economie molto simili. Questi elementi -oltre a quello del fattore religioso comune - hanno determinato , specie dopo il periodo coloniale, una spinta allintegrazione regionale. Nonostatnte i numerosi punti in comune, solo dopo anni di esperimenti, il 17 febbraio 1989 stato firmato a Marrakech (Marocco) il Trattato Istitutivo dellUnione del Maghreb Arabo, primo vero tentativo della sponda sud del Mediterrano di emulare la costruzione comunitaria, per raggiungere una piena integrazione economica e politica. La struttura prevede: il Consiglio Presidenziale, considerato lorgano supremo, composto dai Capi di Stato.Le sue decisioni sono assunte allunanimit; il Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri, che prepara i summit ufficiali; il Consiglio Consultivo, composto da 10 membri di ciascun stato; il Comitato per la Sorveglianza delle misure dintegrazione; il Segretariato generale; la Corte di Giustizia.

Problemi interni degli stati membri (golpe in Mauritania, le pretese egemoniche del Col Gheddafi) e le ostilit tra Algeria e Marocco hanno frenato per anni lo sviluppo dellUnione. Una breve fase di rilancio si avuta negli anni 2002-2003, favorita da quello che stato chiamato lo sdoganamento libico e la sospensione delle sanzioni ONU nei confronti di Tripoli; dal nuovo corso algerino 64

inaugurato dal presidente Bouteflika con il varo della politica di Riconciliazione nazionale algerina; dalla successione al trono alaouita di Re Mohammed VI. Secondo quanto stabilito dal Trattato istitutivo, lUnione sipropone: - il consolidamento dei rapporti fraterni che legano gli Stati membri ed i loro popoli; la realizzazione del progresso e del benessere delle comunit nonch la difesa dei loro diritti; - la realizzazione progressiva della libera circolazione di beni eservizi, di merci e di capitali tra gli Stati aderenti; - ladozione di una politica comune in tutti i settori. Nel reparto economico, tale linea mira ad assicuare lo sviluppo industriale, agricolo e commerciale degli Stati membri. Nonostante gli sforzi, non si sono registrati risultati concreti in questi 23 anni e lUnione resta ancora una pura utopia. Le rivolte nordafricane e la cd primavera araba del 2010 hanno ulteriormente bloccato le attivit dellUnione.

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LEZIONE N.13
NEPAD
Ownership e partnership: sono questi i principi che guidano la New Partnership for Africas Development, il progetto lanciato nel 2001 in ambito africano con lobiettivo di promuovere la rinascita africana. Presentata come un framework strategico dellUnione Africana per lo sviluppo socio economico, al tempo stesso sia una visione che una struttura politica per lAfrica del XXI secolo. La NEPAD si posta sin dalle prime fasi come un intervento radicalmente nuovo, promosso dagli stessi leader africani per affrontare sfide poste dalleconomia globale e dalle stesse debolezze intrinseche al continente: povert, sottosviluppo, fame, corruzione, deficit infrastrutturale. La NEPAD eredita i frutti delle discussioni degli anni 90 e soprattutto gode di un anno particolare ricco di dibattiti di alto livello e fortunate concomitanze. Come nota infatti Prince Mashele, nel 1999 il Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika fu nominato a capo della Presidenza dellOUA; nello stesso anno il Presidente nigeriano Olusegun Obasanjo fu designato come responsabile del G77 (organizzazione nata nel giugno del 1964, originariamente con 77 paesi membri in via di sviluppo); sempre nel 1999 il Presidente sudafricano Thabo Mbeki svolse la funzione di guida del Movimento dei non allineati. A seguito della richiesta a Bouteflika e Mbeki di sviluppare delle strategie di risposta per le sfide continentali, venne presentato il Millennium African Recovery Programme (MAP) , programma a cui contribu -seppure in tono minore- anche Obasanjo. Parallelamente, il Presidente senegalese Abdoulaye Wade lavor allOmega Plan, piano focalizzato sullo sviluppo e sulle insufficienti infrastrutture africane. La NEPAD, inizialmente chiamata New African Initiative, nasce come fusione dei due suddetti documenti. Presentata al summit di Lusaka nel luglio 2001, venne perfezionata ed adottata nellottobre 2001 al 37mo summit OUA di Abuja . La documentazione originale divisa in una parte introduttiva che fotografa la realt e le condizioni in cui vivono gli africani ed in un programma di azione vero e proprio.

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La NEPAD richiama ad un capovolgimento di questa situazione anomala, cambiando la relazione che ne alla base. I padri della NEPAD sono convinti dellopportunit storica per mettere fine al flagello del sottosviluppo che colpisce il continente. Sulla base della consapevolezza del ruolo che pu svolgere lAfrica nel mondo, grazie allimmensit delle sue risorse (minerarie, ecologiche, culturali) viene fatto espresso invito a tutti i popoli africani di prendere coscienza della propria forza e responsabilit per favorire la rinascita africana. Gli autori chiedono a tutte le genti di accettare la sfida di attivarsi a supporto delliniziativa, mettendo a tutti i livelli, strutture per lorganizzazione, la mobilitazione e lazione pratica. Per quanto riguarda il Programma dAzione, esso specifica che la NEPAD prevista come una visione di lungo periodo di un programma di sviluppo guidato dagli africani e di loro propriet. Gli obiettivi di lungo termine enunciati nel framework delliniziativa, possono cos riassumersi: sradicamento della povert, posizionamento dellAfrica sul sentiero della crescita sostenibile e dello sviluppo, arresto della marginalizzazione del continente, promozione del ruolo della donna in tutte le attivit. Per quanto attiene gli scopi specifici (goals), nel documento sono individuati: il dimezzamento della povert entro il 2015; il dimezzamento della quota delle persone che vivono in estrema povert tra il 1990 ed il 2015; liscrizione di tutti i bambini alla scuola primaria entro il 2015; lavanzamento verso luguaglianza di genere ed il rafforzamento del ruolo/responsabilit delle donne, eliminando le disparit di genere nelliscrizione alla scuola primaria e secondaria entro il 2005; la riduzione dei tassi di mortalit infantile e dei bambini di 2/3 tra il 1990 ed il 2015; la riduzione dei tassi di mortalit materna di tra il 1990 ed il 2015; lassicurazione dellaccesso dei servizi sanitari per la natalit entro il 2015 a tutti coloro che ne hanno bisogno; limplementazione di strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile entro il 2005, come linversione della perdita delle risorse ambientali entro il 2015. La strategia volta a raggiungere 4 risultati. crescita economica, sviluppo ed incremento delloccupazione; riduzione della povert e dellineguaglianza;

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diversificazione

delle

attivit

produttive,

accresciuta

competitivit

internazionale,

ampliamento delle esportazioni; accresciuta integrazione africana.

Nel documento si specifica che lAfrica non raggiunger gli International Development Goals e il 7% di crescita annuale del PIL se non sar fatto qualcosa di nuovo e di radicale. Il Programma identifica delle condizioni per lo sviluppo sostenibile, collegate ad iniziative di Pace, Sicurezza, Democrazia e Governance Politica (che si propongono di promuovere condizioni di lungo termine per lo sviluppo e la sicurezza) e ad uniniziativa economica e della cd. corporate governance (che si propone di dare priorit alla capacity-building dello Stato, essenziale nel promuovere la crescita economica, lo sviluppo e limplementazione dei programmi di riduzione della povert). Il documento analizza quindi le priorit settoriali che devono guidare gli interventi: infrastrutture tecnologie dell informazione e della comunicazione (ICT) energia trasporto acqua e impianti fognari riduzione della povert educazione fuga dei cervelli sanit agricoltura ambiente cultura piattaforme di scienza e tecnologia

Punto fondamentale del documento della NEPAD quello in cui si sottolinea la necessit che gli africani negozino una nuova relazione con i partner dello sviluppo (intesi come paesi industrializzati e organizzazioni multilaterali). Saranno, quindi, mantenute le partnership precedenti (sono citate in tal senso la Nuova Agenda delle Nazioni Unite per lo Sviluppo in Africa negli anni 90; il Piano dAzione del Summit Africa-Europa; la Partnership strategica con lAfrica della Banca Mondiale; i cd. Poverty Reduction Strategy Papers-PRSPs, del Fondo Monetario Internazionale; lAgenda per lAzione del Giappone; lAtto di Crescita ed Opportunit per lAfrica / African 68

Growth Opportunity Act-AGOA degli Stati Uniti; il Global Compact dellEconomic Commission for Africa delle Nazioni Unite) ma ad esse viene dato nuovo respiro e nuova profondit. Il documento chiaro: Lappello per una nuova relazione che prenda come punto di partenza i programmi del paese. La nuova relazione dovrebbe disporre obiettivi di performance e standard mutualmente concordati, sia per i donatori che per i beneficiari. Molti casi dimostrano chiaramente che il fallimento dei progetti non causato solo da una debole performance dei beneficiari, ma anche da cattivi consigli forniti dai donatori. Se questa la struttura della NEPAD, importante mettere in luce i principi che la guidano. Essi sono riassumibili in: - ownership, intesa quale presa di coscienza e di responsabilit dei popoli africani; - partnership con gli attori/donatori stranieri; - partnership tra i protagonisti africani; - ancoraggio dello sviluppo del continente alle risorse locali; - accelerazione dellintegrazione regionale e continentale; - promozione della competitivit; - promozione del cambiamento del rapporto con il mondo occidentale sviluppato; - good governance come requisito base per la pace, la sicurezza, lo sviluppo politico e socioeconomico sostenibili. Ci sta ad indicare che gli africani propongono un piano basato sul riconoscimento delle proprie responsabilit, su una diversa logica di partnership, sulla volont di cambiare rapporto con il mondo sviluppato, sulla consapevolezza che solo un sistema di buon governo pu essere la base per la pace, la sicurezza, lo sviluppo politico e socio-economico sostenibili nel tempo. E chiaro che un programma cos ambizioso ha bisogno di alcuni partner, disposti a finanziare determinate iniziative ed accompagnare la rinascita continentale. Tra i partner della NEPAD si segnalano: -la UN Economic Commission for Africa (UNECA) -lAfrican Development Bank (ADB) - la Development Bank of Southern Africa (DBSA) - lInvestment Climate Facility (ICF) - lOffice of the UN Special Adviser on Africa (OSAA) - lInstitute for Security Studies (ISS, noto centro di ricerca sudafricano fondato nel 1991 che promuove ricerche ed analisi nel settore della Human Security) 69

- il World Food Programme (WFP) - la Food and Agriculture Organization (FAO) - lAfricaFertilizer.org (forum telematico globale creato per promuovere uno scambio di informazioni su vari aspetti dei fertilizzanti, sulla fertilit del suolo e le questioni agricole che hanno un impatto sullAfrica; lobiettivo quello di utilizzare le informazioni per promuovere la cd. rivoluzione verde di cui hanno bisogno centinaia di milioni di piccoli coltivatori) - il Council on Health Research for Development (COHRED, organizzazione non governativa, il cui obiettivo principale quello di rafforzare la ricerca per la sanit ed i sistemi di innovazione, con una particolare attenzione sui paesi a basso/medio reddito) - la Global Alliance for Improved Nutrition - il Forum for Agricultural Research for Africa (FARA, organizzazione sotto cui si riuniscono molteplici soggetti specializzati nel settore agricolo, che promuove ricerca e sviluppo) - il Department of International Development del governo del Regno Unito - lAfrica Renewal Online (sito promosso dalla sezione africana del Dipartimento di Pubblica Informazione delle Nazioni Unite, che propone aggiornamenti ed analisi circa le questioni con cui si confronta il continente) - lo United Nations Development Programme (UNDP) Dal quadro presentato sopra, emerge chiaramente che le aree del NEPAD riguardano: - lagricoltura e la sicurezza alimentare - il cambiamento climatico ed il management delle risorse - lintegrazione regionale e le infrastrutture - lo sviluppo umano - la governance economica e la cd Corporate governance - questioni trasversali (Genere, ICT, etc) Ma come ha lavorato concretamente in questi anni la NEPAD? Per quanto attiene i programmi lanciati nel suo ambito, si ricordano: - il Comprehensive Africa Agriculture Development Programme (CAADP), per lanciare una rivoluzione verde nel settore agricolo - il Programma Scienza e Tecnologia - il Pan African Infrastructure Development Fund (PAIDF) per finanziare grandi progetti infrastrutturali - il NEPAD E-School Programme, lanciato nel 2003 per assicurare nellarco di 10 anni computer e accesso ad internet alle scuole primarie e secondarie 70

LAgenzia NEPAD Nel corso degli anni, i responsabili africani hanno cercato di apportare alcuni cambiamenti nel rapporto tra NEPAD e Unione Africana, che permettessero un funzionamento pi efficace. In occasione della 14ma Assemblea dellUnione Africa ad Addis Abeba (febbraio 2010) stato deciso di integrare la NEPAD allinterno dellorganizzazione continentale nonch di sostituire il Segretariato della NEPAD con una vera e propria Agenzia (NEPAD Planning and Coordinating Agency, NPCA). Obiettivo di tale scelta stato quello di facilitare e coordinare limplementazione dei programmi continentali e regionali, i singoli progetti, oltre che mobilitare pi concretamente risorse e partners La struttura della suddetta Agenzia prevede lufficio del Chief Executive Officer (CEO) e di 5 Direzioni (Direzione per la Strategia e Pianificazione; Direzione per lo Sviluppo del Programma; Direzione per il Coordinamento e limplementazione del Programma; Direzione per la Comunicazione, la Partnership, la Mobilitazione delle Risorse; Direzione per i cd Corporate Services che supportano concretamente il funzionamento della struttura) La NPCA chiamata a fare un lavoro di sensibilizzazione del basso-medio ceto sociale cos da ottenere un supporto di base alla NEPAD; a lavorare attivamente con i diversi finanziatori nello sviluppo delle iniziative, ad ottimizzare le risorse, a rafforzare le partnership esistenti e crearne delle nuove. Alliniziale euforia sono seguite le prime difficolt, dovute al reperimento di fondi (64 miliardi di US$ allanno), alla capacit di identificare progetti validi, al coinvolgimento della societ civile e alla presentazione/visibilit del programma. I supporter, tra cui Wiseman Nkuhlu (presidente del comitato pilota della NEPAD e consigliere economico dellex Presidente sudafricano Thabo Mbeki nel 2000-2004) hanno fatto notare inizialmente che i risultati non si sarebbero potuti vedere subito ma sul lungo periodo. Il sociologo sudafricano Jimi Adsin ha dichiarato che la NEPAD un documento guidato da una lettura squisitamente sudafricana delle sfide di sviluppo che lAfrica deve affrontare ed ha messo in luce il ruolo svolto dallex Presidente sudafricano Thabo Mbeki. Alcuni critici hanno identificato la NEPAD come un qualcosa di vecchio messo in un nuovo contenitore, vale a dire una sostanza gi conosciuta organizzata con sembianze nuove. Lanalista economica Dot Keet (South Africa's Alternative information and development centre e Centre for Southern African Studies all Universit di Western Cape) ha riscontrato due debolezze fondamentali nella NEPAD: c una grande insistenza sullimportanza di creare un contesto adatto agli investimenti stranieri, a cui per non corrisponde una riflessione adeguata sui meccanismi da 71

attivare per proteggere le popolazioni locali da conseguenze negative derivanti da operazioni finanziarie straniere; c una grande valorizzazione della liberalizzazione del commercio, ma non si pensa che essa ha causato deindustrializzazione, declino economico e crisi sociale africana. Oltre a questi punti di vista specifici pi o meno a sostegno della NEPAD, si pu dire che le critiche si sono incentrate su uno scetticismo da parte della societ civile e su una sua mancanza di partecipazione nella fase iniziale; sulle critiche per la mancanza di fondi; sui giudizi negativi di alcuni leader per lo sperpero di risorse; sulla mancata visibilit delliniziativa e problemi del sito a fornire informazioni in modo puntuale. African Peer Review Mechanism (APRM) Una delle principali iniziative intraprese nellambito della NEPAD stata la creazione dell African Peer Review Mechanism (APRM), programma adottato su base volontaria dai vari membri dellUnione Africa, per promuovere e rafforzare alti standard di governance, fortemente voluto come meccanismo di automonitoraggio. LAPRM riconosce che il controllo esterno, se esercitato da altri paesi africani in unottica di reciprocit, pu dare impulso positivo ed indurre le classi dirigenti ad un comportamento virtuoso. Il sistema complesso e ben congeniato, con obiettivi chiari ed inequivocabili: aiutare i paesi membri a migliorare la propria governance. LAPRM guidato dallAPRM Forum costituito dai Capi di Stato e di Governo dei paesi che volontariamente si sono sottoposti al sistema. Il Forum supportato da un Panel di illustri personalit, da un Segretariato tecnico, da un Team addetto alla Revisione del paese sottoposto allesame. Il processo di APRM prende in considerazione quattro aree: - democrazia e good governance politica - gestione economica - corporate governance - sviluppo socio-economico. Viene prodotto inizialmente un rapporto nazionale di autovalutazione ed un programma di azione che si basa su un questionario che prende in considerazione i 4 temi suddetti; i documenti sono trasmessi al Segretariato tecnico; il Team di esperti visita il Paese di riferimento ed incontra alcuni stakeholder nazionali per verificare il consenso nazionale sul rapporto di autovalutazione, confrontandosi con diversi interlocutori. Viene quindi preparata una relazione trasmessa al Forum, insieme al documento di autovalutazione.

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A livello nazionale, vi sono poi Focal Point (stabiliti subito dopo che il Paese aderisce al Meccanismo, responsabili per la gestione del processo e per aggiornare i Capi dello stato circa i progressi nazionali nelle materie oggetto di esame); una Commissione Nazionale (incaricata di indicare una linea di direzione per limplementazione dellAPRM); un Segretariato Nazionale dellAPRM (che fornisce supporto tecnico-amministrativo alla Commissione Nazionale); Istituzioni di ricerca tecnica (che assumono la responsabilit per eseguire il questionario APRM). Al momento hanno aderito allAPRM 31 Stati (tra cui Angola, Cameroon, Egitto,Etiopia, Gabon, Liberia Mali, Malawi , Mozambico, Nigeria, Rwanda, Senegal, Sudan, Sud Africa, Tanzania, Togo, Uganda, Zambia). Tra il gennaio 2006 ed il gennaio 2011, 14 stati si sono sottoposti al controllo (tra cui: Ghana, Kenya, Sud Africa, Uganda, Mali, Mozambico) Pur non mancando difficolt nellapplicazione dellAPRM, tuttavia positivo il fatto che alcuni governi abbiano accettato di sottoporsi a tale meccanismo, incentivati soprattutto dalla possibilit di avere unimmagine esterna rispettabile, funzionale allottenimento di maggiori aiuti internazionali.

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LEZIONE N. 14
AFRICAN STANDBY FORCE
La prevenzione, la gestione, la risoluzione dei conflitti, il post-conflict management sono alcuni dei principi cui si ispirata lUnione Africana (UA) per organizzare la sua ristrutturazione interna dopo il 2001. Tali elementi sono stati infatti ritenuti fondamentali per trainare lo sviluppo e la rinascita del continente nel nuovo millennio. Somalia, Sudan, Rwanda, Repubblica Democratica del Congo e Angola sono stati tragici insegnamenti dellultimo trentennio che hanno evidenziato alcuni dati: le debolezze intrinseche africane e le velleit del periodo post indipendenza; il peso continuo nelle singole dinamiche nazionali di ingerenze esterne (sia occidentali che regionali); la porosit e fluidit dei confini; lincapacit di reagire con i propri mezzi a scontri violenti tra gruppi, tramutatisi spesso in sanguinose guerre civili e pulizie etniche. A ci si aggiunga che la presenza di missioni ONU in territorio africano (vd la Mission des Nations Unies pour le Referendoum dans le Sahara Occidentale-MINURSO, Mission de l' Organisation des Nations Unies en Rpublique dmocratique du Congo-MONUC, United Nations Mission in Ethiopia and Eritrea -UNMEE) non ha fornito del resto un serio contributo al ristabilimento della pace, sia per debolezza del mandato, sia per la composizione delle truppe (accusate di collusione con potentati locali e di violenze fisiche sulla popolazione locale), arrecando spesso profondi danni al ristabilimento del dialogo tra le parti belligeranti. Per tali motivi si sentita la necessit di prospettare delle strutture da utilizzare come argine, con una capacit di drenaggio, impedendo il pi possibile il ripetersi di atti di ferocia indiscriminata. E su tali premesse che negli ultimi anni sono state proposte diverse iniziative allinterno e a supporto dellUA, quali la creazione di un responsabile per la Pace e la Sicurezza allinterno della Commissione (organo trainante dellorganizzazione panafricana), il varo di un Consiglio per la Pace e la Sicurezza coadiuvato da un Comitato dei Saggi (di recente creazione questultimo), un Comitato degli Stati Maggiori Africani Riuniti, la promozione di una mirata Architettura di pace e sicurezza Africana (APSA), il lancio di una Forza Panafricana in attesa (African Standby Force con la dizione inglese, e Force Africaine en Attente nella corrispettiva versione francese). In tale sede interessa soffermarsi su questultima iniziativa, African Standby Force, il cosiddetto gruppo continentale di peacekeepers permanenti, che potrebbero essere chiamati ad agire rapidamente (a seconda dei casi entro 30 o 14 giorni dallavviso) per arginare crisi e violenze, prevista inizialmente per il 2010. Per quanto riguarda la dimensione, si parla di circa 25.000 uomini, suddivisi in cinque brigate regionali (EASBRIG-East Africa Standby Brigade, SADCBRIG Southern Africa Stanby Brigade, 74

NASBRIG-North

Africa

Regional

Standby

Brigade,

ECOBRIG-

Ecowas

Standby

Brigade/WESTBRIG, CASBRIG Central Africa Stanby Brigade), pi o meno corrispondenti alle cinque maggiori comunit economiche regionali. Ognuna di esse sarebbe quindi chiamata a fornire un numero di soldati, di poliziotti e di personale civile specializzato, pronti ad operare in teatri particolarmente difficili, in cui si sonno sviluppate dinamiche conflittuali. Per quanto concerne i compiti sono stati individuati sei possibili scenari: 1. avviso militare UA/regionale per una missione politica; 2.missione di osservazione regionale ambito UA/regionale schierata con una missione delle Nazioni Unite; 3.missione di osservazione autonoma UA/regionale; 4. forza di mantenimento della pace dellUA/regionale in virt del capitolo VI delle Nazioni Unite e missioni di dispiegamento preventivo (e consolidamento della pace); 5.forza di mantenimento della pace dellUA per missioni di mantenimento della pace multidimensionali complesse; 6.intervento dellUA in caso di genocidio o in situazioni in cui la Comunit Internazionale non interviene rapidamente. Per i primi quattro scenari si prevede un dispiegamento entro 30 giorni dal mandato UA, per la quinta missione un dispiegamento integrale della Forza entro 90 giorni con la componente militare pronta entro 30 giorni, mentre per lultimo scenario si ipotizza un dispiegamento degli uomini entro 14 giorni. Ad oggi tutto il progetto in fieri e lunico avanzamento in quella che si potrebbe chiamare una lungimirante iniziativa stata la nomina del Generale Sekouba Konat come High Representative of the African Union for the Operationalization of the African Standby Force nel dicembre 2010. Lincarico stato dato al noto Generale della Guinea Conakry in un momento cruciale della formazione della Forza speciale, in cui sono state gi affrontate le prime due tappe per la formazione delle brigate e per ladozione dei documenti di base ma resta lultima parte da completare. Per il periodo 2011-2015 stato previsto il coordinamento dei vari soggetti, la mobilitazione del supporto politico/finanziario/logistico per rendere operativa lASF. Sin dal 2006-2007 sono emerse numerose perplessit ad un primo esame del progetto. E stato chiaro da subito che non cera la minima omogeneit di standard tra le truppe, n era ipoteticamente raggiungibile nel breve periodo, la qual cosa avrebbe potuto richiedere grandi sforzi (in termini di costi, di organizzazione e di operativit nel breve periodo) per la creazione effettiva di una forza multinazionale; lipotesi del sesto scenario (intervento in caso di genocidio) richiedeva e richiede una expertise molto dettagliata e particolare, di differente levatura e preparazione rispetto a quella utile negli altri casi; il Marocco era ed ancora al di fuori dalliniziativa (non facendo parte dellUnione Africana a causa del riconoscimento concesso dallOrganizzazione alla Saharaui Arab Democratic Republic); alcuni Paesi-membri sovrapponevano e sovrappongono la loro 75

partecipazione a due brigate (vedasi il caso dellAngola e della Repubblica Democratica del Congo entrambi nella CASBRIG e SADCBRIG); lEgitto, pur non facendo parte dellUnione del Maghreb Arabo ha partecipato in questi anni alla brigata dellAfrica del Nord; non tutte le brigate hanno potuto disporre di centri di eccellenza qualificati e gi funzionanti come nel caso dalla SADCBRIG (che ha potuto utilizzare il segretariato della SADC a Gaborone). Altra incertezza ha poi riguardato il numero dei componenti della forza, insufficienti rispetto alla tipologia del territorio africano, la porosit dei suoi confini e la sua geografia. Non indifferente stata e resta la questione dei costi, non essendo chiaro chi dovrebbe sopportare lintero onere (i singoli paesi, lUnione Africana o un fondo ad hoc dei Paesi Occidentali). Per quanto riguarda lobiettivo finale, dietro liniziativa che riguarda unambiziosa operazione militare c la reale volont politica di tutto il continente. Non chiaro tuttavia se lAfrica o meglio lUnione Africana- sia pronta ad agire con uguali pesi e misure in tutte le sue aree. In tal senso gli avvenimenti del 2011 (la logica dei due pesi e delle due misure applicata dallUA nei confronti delle crisi libica e ivoriana) negherebbero tale possibilit.

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Terzo Modulo LAFRICA NELLA POLITICA INTERNAZIONALE

I rapporti Unione Africana-Unione Europea I rapporti Africa-Cina I rapporti Africa-India I rapporti Africa-Giappone I rapporti Africa-Iran I rapporti Africa-Turchia I rapporti Africa-USA I rapporti Africa-Regno Unito I rapporti Africa-Francia I rapporti Africa-America Latina I rapporti Africa-Russia I rapporti Africa-Israele

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LEZIONE N. 15-16
I RAPPORTI AFRICA-UNIONE EUROPEA
Il rapporto Africa-Europa si presenta come un quadro frammentato, caratterizzato da una vicinanza geografica, da complesse relazioni bilaterali post-coloniali e da interessi commerciali non sempre convergenti. Da un lato un continente frazionato dalla geografia (larea a nord e quella sub-sahariana rappresentano due mondi completamente diversi) e dalla storia (la presenza straniera ha inciso notevolmente sulla divisione dei confini naturali) che con difficolt ha costruito un percorso unitario dalle ceneri delle indipendenze; dallaltro una potenza economica mondiale, che si costruita a partire da un decennio dal termine della seconda guerra mondiale, coagulando le forze inizialmente di sei paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi), ampliandosi nei decenni successivi a nord e a sud, quindi ad est dopo un quarantennio, sempre pi costretta a guardare oltre il Mediterraneo per garantire la sua sicurezza e il suo benessere. Gli articoli 131-136 del trattato istitutivo della CEE nel 1957 sono alla base dei rapporti tra le due entit. In particolare lart. 131 recita: Gli Stati membri convengono di associare alla Comunit i paesi e i territori non europei che mantengono con il Belgio, la Francia, lItalia e i paesi Bassi delle relazioni particolari. Questi paesi e territori, qui di seguito chiamati paesi e territori, sono enumerati nellelenco che costituisce lallegato IV del presente Trattato. Scopo dellAssociazione di promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi e territori e linstaurazione di strette relazioni economiche tra essi e la comunit nel suo insieme. Conformemente ai principi enunciati nel preambolo del presente Trattato, lassociazione deve in primo luogo permettere di favorire gli interessi degli abitanti di questi paesi e territori e la loro prosperit in modo da condurli allo sviluppo economico, sociale e culturale che essi attendono. Facendo un percorso a ritroso nel tempo, una prima divisione sommaria e semplificatrice permette di identificare i canali attraverso cui si sviluppato il legame Africa-Europa: per quanto concerne i rapporti con i paesi nordafricani, il rapporto privilegiato strettamente bilaterale stato messo a sistema negli anni 90 con la creazione del gruppo 5+5 (Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna per la parte europea e Algeria, Libia, Mauritania, Marocco, Tunisia per la parte africana) ma soprattutto con il varo del processo partenariale di Barcellona (novembre 1995), finalizzato alla costruzione di unarea euro-mediterranea, comprensiva per quanto riguarda loggetto del presente studio dei paesi maghrebini del nord Africa oltre che di quelli della sponda orientale del Mashreq. La proposta francese dellUnione per il Mediterraneo (luglio 2008) pi che 78

facilitare ha ostacolato nei fatti il processo di raccordo tra le due sponde. Lacuirsi della crisi mediorientale (2009-2011) nonch la primavera araba del 2011 hanno comportato nellultimo anno il congelamento delle iniziative Europa-Nord Africa. per quanto attiene i paesi sub-sahariani, lEuropa ha creato con essi un rapporto ad hoc. Dapprima con la convenzione di Yaound (20 luglio 1963) aperta a 18 ex colonie cui venivano offerte condizioni privilegiate; successivamente attraverso le quattro convenzioni di Lom (1975, 1980, 1985, 1990) , e lAccordo di Cotonou ( giugno 2000). Nel 1975 tutti i paesi africani vengono inclusi nel gruppo degli ACP (Africa, Caraibi e Pacifico); per quanto riguarda il Sud Africa (considerato il colosso della regione australe ed un protagonista indiscusso della scena continentale), lEuropa ha avuto un rapporto parallelo con tale attore, concretizzatosi con il Trade and Development Agreement (firmato nel 1999 ed entrato in vigore nel 2004), poi sfociato nella EU-South Africa Strategy nel 2007. Allandamento tortuoso del rapporto con i paesi africani ha certamente contribuito la caduta del muro di Berlino ed il crollo dellimpero sovietico con i suoi satelliti. Considerati un tempo dei territori di retrovia, in cui si confrontavano indirettamente le forze del mondo occidentale e quelle del blocco comunista orientale, nel periodo successivo al termine della Guerra Fredda i paesi africani hanno perso valore aggiunto e sono stati abbandonati al loro destino. Il nuovo millennio, con gli attentati alle Torri Gemelle, con leconomia globalizzata, la crisi dei rapporti tra mondo occidentale e mondo islamico, li ha riportati drammaticamente alla ribalta. La primavera araba del 2011 ha obbligato i partner europei a rivedere vecchie alleanze e a riflettere sui supporti dati ai leader al potere negli ultimi 30 anni. LAfrica oggi un continente con cui lEuropa deve necessariamente costruire un percorso congiunto, sia per motivi di sicurezza, sia per motivi strettamente economici, sia per esigenze industriali. A livello concettuale le relazioni sono variate nel tempo e si sono diversificate. Non si parla solo in unottica di cooperazione allo sviluppo e di commercio: ora si lavora su un rapporto partenariale con obblighi e responsabilit reciproche. Viene meno cos il vecchio paternalismo dellEuropa verso lAfrica. Quello che diventato chiaro che non si pu pensare a mantenere una posizione centrale europea senza considerare le esigenze dellAfrica (da considerare un importante partner economico, ricco di risorse energetiche, con cui vincere sfide globali), ma che daltra parte non si pu garantire lo sviluppo di questo continente senza garantire il rispetto della legge, dei diritti umani e dei principi che attengono alla good governance. 79

I vertice euro-africano (Il Cairo, 3-4 aprile 2000) Il 2000 stato indubbiamente lanno di passaggio fondamentale nellevoluzione dei rapporti Africa-Europa, non tanto per riscontri concreti immediati quanto per il tipo di discorsi che si sono iniziati a fare in quel periodo e per le dinamiche che si sono innescate a livello governativo e non. In quello che definito black continent, nel 2000 si fa strada il concetto di ownership, vale a dire la presa di coscienza africana delle responsabilit locali, si pensa ormai al passaggio dallOUA ad una nuova struttura su modello della costruzione europea, capace di superare gli errori del passato e di valorizzare i singoli apporti regionali, si raccolgono i frutti del vertice di Sirte del 1999 (fortemente voluto da Gheddafi) che punta alla costruzione degli Stati Uniti dAfrica. Parallelamente nello stesso periodo, lEuropa si consolida e porta a frutto faticosamente- i processi per lampliamento ad est. Al Cairo, il 3-4 aprile 2000 si incontrano per la prima volta i leaders di 52 paesi a sud del Mediterraneo e quelli di 15 Stati membri europei. Gli argomenti da discutere sono numerosi, il summit di grande rilevanza mediatica ma al termine dei lavori appare come una kermesse per le esternazioni dei soliti protagonisti e ancora una volta sono predominanti i vincoli dei legami bilaterali. Molto probabilmente levento soffre della mancanza di volont di affrontare frontalmente i problemi e delleccessivo tentativo di blandire il leader libico Gheddafi, tornato come protagonista attivo sulla scena internazionale dopo lo sdoganamento dellAprile 1999. Il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, insiste nel dire che il dialogo con la grande Giamahiria libica deve essere pi di un confronto ed i leader europei inseguono il Colonnello per far includere le compagnie petrolifere dei loro paesi nellassegnazione delle commesse relative al petrolio e gas libici. Di fatto non si affrontano in modo risolutivo i veri nodi del rapporto, quali il peso del debito, la debolezza degli investimenti esteri nel continente africano, rinviando a sedi appropriate la discussione di tali tematiche. I due documenti finali prodotti al termine dei lavori (Dichiarazione e Piano dAzione) sono retorici, fanno una foto della realt ma non hanno la forza di proiettare lo sguardo verso il futuro e se lo fanno vengono traditi dalle scelte politiche e da fattori contingenti degli anni a venire (il riferimento indubbiamente al terremoto prodotto nelle relazioni internazionali dall11 settembre 2001). Per quanto riguarda la Dichiarazione , si articola in una introduzione e 5 parti inerenti alla: - cooperazione e integrazione economiche a livello regionale; - integrazione dellAfrica nelleconomia mondiale; 80

- diritti delluomo, principi e istituzioni democratici, buon governo e stato di diritto; - consolidamento della pace, prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti; - questioni relative allo sviluppo. Il Piano dAzione si sviluppa con un preambolo seguito da 6 capitoli: - questioni economiche; - integrazione dellAfrica nelleconomia mondiale; - diritti delluomo, principi ed istituzioni democratici, buon governo e stato di diritto; - consolidamento della pace, prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti; - questioni relative allo sviluppo - meccanismo dei seguiti. La retorica regna sovrana, laddove le parti si impegnano ad esempio a rafforzare il sostegno al processo di cooperazione e integrazioni regionali in Africa, oppure a favorire i programmi di integrazione volti ad aumentare lefficienza mediante leliminazione degli ostacoli agli scambi, agli investimenti ed ai pagamenti transfrontalieri nonch a conseguire uno spazio economico armonizzato (punto 2. Piano dAzione). Si cerca di dare una nuova dimensione strategica alla partnership tra Africa e Europa in uno spirito di uguaglianza, rispetto e cooperazione ma le intenzioni formali si arenano di fronte ai primi ostacoli. Segno pi evidente lo slittamento dellincontro dei capi di stato e di governo dal 2003 al 2007. Obiettivi lodevoli quelli cui si fa riferimento ma non concreti. A chi attribuire la responsabilit di ci? Certamente ad entrambe le parti. I leader europei accusano il malfunzionamento dei sistemi africani e puntano il dito sulla corruzione endemica senza pensare che essi stessi sono spesso chiamati in causa in questo gioco alla dispersione delle risorse, a loro volta gli omologhi africani continuano a chiedere soldi imputando i malesseri continentali agli effetti di catastrofi naturali o a vecchi sfruttamenti, non pensando invece alla responsabilit della classe dirigente nella sottrazione dei fondi pubblici destinati alla spesa sociale. II vertice euro-africano (Lisbona 8-9 dicembre 2007) Lincontro di Lisbona (8-9 dicembre 2007) rappresenta sia un punto di arrivo che di avvio. Di arrivo poich si situa allinterno di un percorso e ne la tappa finale, di avvio perch inaugura veramente una nuova era nei rapporti Europa-Africa.

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Gli anni che separano la conferenza portoghese da quella egiziana dellaprile 2000 sono stati densi di avvenimenti per entrambi i protagonisti: nel 2001 c stato il varo del Nepad (New Partnership for African Development); nel 2002 i leader africani hanno inaugurato lUnione Africana, le organizzazioni regionali hanno acquistato una loro identit e un ruolo specifico nella mediazione di alcuni conflitti regionali (in particolare lECOWAS); il Summit G8 di Kananaskis ha adottato lAfrica Action Plan; nel febbraio 2004 stata lanciata la Commissione Blair per lAfrica, che ha prodotto un documento e lo ha reso noto nel marzo 2005; il G8 di Gleneagles del luglio 2005 ha confermato limpegno per il continente africano, garantendo la duplicazione dellaiuto per il 2010, la cancellazione del debito di 18 paesi pi poveri nel mondo (di cui buona parte sono africani) ed identificando lAfrican Partnership Forum come soggetto responsabile per monitorare il rispetto degli impegni assunti; lUE ha adottato nel dicembre 2005 una strategia specifica per lAfrica nel maggio 2006 c stato il 6 meeting EU-Africa Ministerial Troika a Vienna e ad Addis Abeba nellottobre successivo il meeting delle due Commissioni per monitorare levoluzione del processo in atto. Tutte queste sono tappe determinanti per passare ad un vero rapporto tra partners di uguale spessore, per superare una logica top-down (dallalto verso il basso) e concordare ad una cd. joint strategy (strategia congiunta). Il vertice di Lisbona una pietra miliare, un momento storico da cui si dipana un processo che richiede trasparenza ed impegno da entrambe le parti, una nuova logica per affrontare sfide transfrontaliere. Per la prima volta si incontrano protagonisti di pari livello; lAfrica viene tratta come un interlocutore unico e si presenta come tale; si fissano 8 settori tematici su cui lavorare congiuntamente (pace e sicurezza; governance democratica e human rights; commercio, integrazione regionale e infrastrutture; Millennium Development Goals; energia; climate change; migrazione, mobilit, occupazione; scienza, societ dellinformazione e spazio), al di l del solito tema aid and development; viene presentato un Action Plan 2008-2010 con azioni prioritarie per ogni singola area; vengono coinvolti anche attori non statali (attori economici del settore privato, societ civile, fondazioni, associazioni e agenzie specifiche, istituti di ricerca, uffici tecnici), con un ruolo propositivo. Gli africani si impegnano a superare la logica del vittimismo e della colpevolizzazione, a identificare seriamente bisogni e a predisporre le forze in campo, lasciano alle spalle un atteggiamento passivo e si pongono come partner reattivo e propulsivo; gli europei passano da una logica di aiuto a pioggia ad un lavoro con. Entrambe le parti sono consapevoli delle esperienze passate e consce della necessit di un nuovo approccio programmatico, richiesto dalle sfide del mondo globalizzato. 82

Oltre a questo approccio programmatico e alla consapevolezza, emerge chiaramente la volont di una shared vision (vale a dire una visione condivisa). Il punto 4 della Joint Strategy chiaro al riguardo: The purpose of this Joint Strategy is to take the Africa-EU relationship to a new, strategic level with a strengthened political partnership and enhanced cooperation at all levels. The partnership will be based on a Euro-African consensus on values, common interests and common strategic objectives. This partnership should strive to bridge the development divide between Africa and Europe through the strengthening of economic cooperation and the promotion of sustainable development in both continents, living side by side in peace, security, prosperity, solidarity and human dignity. Quello che ruota allesterno la polemica relativa a Mugabe e Bashir, latteggiamento di rifiuto di Gordon Brown nei confronti di Mugabe, gli annunci clamorosi di Gheddafi- ha poca importanza. Per la prima volta si mette su carta un impegno ad andare oltre le barriere storiche, a dare un nuovo impulso ad una relazione da sempre difficile, a rafforzare il dialogo ed indirizzarlo su un percorso preciso. Limpegno preso comporta la volont di fare fronte insieme a rischi comuni (terrorismo, criminalit organizzata, traffico di esseri umani, pandemie), a raggiungere common goals (quali sviluppo, stabilit e sicurezza), ad agire congiuntamente in molteplici settori (dallICT allo spazio, dai diritti umani al cambiamento climatico). LEuropa del XXImo secolo si pone in una prospettiva diversa rispetto allAfrica, consapevole della presenza di altri players attivi nel continente (USA, Cina, Giappone, India, Malaysia, Indonesia, Turchia), memore del fatto di essere ancora un protagonista degli interscambi commerciali, certa di poter fornire un contributo originale nella formazione, convinta di poter superare la logica di donor-ricevente e di poter intraprendere un percorso caratterizzato da sfide, interessi e benefici futuri condivisibili. III vertice euro-africano (Tripoli, 29-30 novembre 2010) Il vertice di Tripoli (29-30 novembre 2010), focalizzato sul tema Investimenti, crescita economica e creazione di posti di lavoro, porta alla luce le divergenze profonde tra i partner europei ed africani, su temi importanti quali gli Accordi di Partneriato Economico (APE) ed il cambiamento climatico. Anche se vengono prodotti due documenti ufficiali- una Dichiarazione Comune e un Piano dAzione 2011-2013- palese lambiguit dei discorsi, lincomprensione tra le parti, la minaccia sempre pronta da parte di Gheddafi di trovare nuovi interlocutori al posto dellUnione Europea. Nonostante il fatto che vengano ribaditi la determinazione dei presenti a cogliere nuove opportunit e limpegno per portare avanti il lavoro avviato nel 2000 al vertice del Cairo e 83

proseguito nel 2007 a Lisbona, manca la volont di portare a compimento determinati progetti e di fatto manca la determinazione per far avanzare un dialogo concreto. Il riferimento agli sforzi concertati per mettere fino al conflitto in Somalia o alla cooperazione Unione Europea-Unione Africana in ambito G20 ed Nazioni Unite sono pure formalit che rispondono ad unesigenza degli organizzatori, ma non di certo ai problemi concreti tra i due gruppi. Lo stesso escamotage utilizzato per lassenza di Omar El Bashir nei due giorni del Summit (ritenuta inopportuna per il mandato darresto della Corte Internazionale di Giustizia, per crimini di guerra e contro lumanit in Darfur), e la sua successiva partecipazione alla riunione del Consiglio di Pace e Sicurezza dellUnione Africana alla fine dei lavori con gli europei, indica il tentativo dei leader africani di continuare un loro percorso parallelo e di voler continuare a proteggere -oltre levidenza- uomini simbolo per la storia africana (come ad es. El Bashir o Mugabe) ma colpevoli di atti violenti e genocidi ari. I problemi concreti, come ad es. il confronto franco sulle politiche migratorie o il lavoro per i giovani, restano marginali; altri ancora come il traffico di stupefacenti non vengono neppure messi sul tavolo delle discussioni. Si preferisce piuttosto condannare qualsiasi cambiamento incostituzionale di governo ma non fare riferimento a questioni concrete. Di fatto, al Summit prevalgono le pretese retoriche di Gheddafi (spesso confuse e disordinate, non sempre condivise dagli altri partner africani come il Botswana) e non le linee di accorti artigiani quale potrebbe dirsi Jean Ping (presidente della Commissione dellUnione Africana, attento diplomatico e uomo estremamente pragmatico), secondo il quale nellera della connessione inestricabile delle economie nazionali, lAfrica resta determinata a consolidare con lEuropa unalleanza strategica Il bilancio del Summit ambiguo, di certo insufficiente per affrontare le sfide che si pongono di fronte ad Unione Africana ed Unione Europea sicurezza. Pi della Dichiarazione, risulta di qualche interesse il Piano dAzione 2011-2013. Riconoscendo le interdipendenze tra le due aree ed il lavoro promosso nel 2007 con la EU-Africa Joint Strategy, il Piano focalizza lattenzione sul funzionamento delle seguenti partnership: Pace e sicurezza Governance democratica e diritti umani Integrazione regionale, commercio e infrastrutture Millennium Development Goals (MDGs) Energia Cambiamento climatico e Ambiente 84 nel settore lavoro, investimenti, economia e

Migrazione, Mobilit ed Impiego Scienza, Societ dellInformazione e Spazio classiche ma poco

Per quanto attiene le Politiche Migratorie vengono fatte affermazioni sostanziali, quali ad es.

The Africa-EU Partnership on Migration, Mobility and Employment aims to provide comprehensive responses to migration and employment challenges, in the interest of all partners, and with a particular focus on creating more and better jobs for Africa, on facilitating mobility and free movement of people in Africa and the EU, on better managing legal migration between the two continents, on addressing the root causes of migration and refugee flows, on the conditions of and access to employment, on the fair treatment of all migrants under applicable international law, on finding concrete solutions to problems posed by irregular migration flows and trafficking of human beings and to ensure that migration and mobility work for development. All these orientations should be addressed in a balanced and comprehensive way. These objectives were already set out in the Action plan 2008-2010 and will continue to steer this Partnership, also in the Action plan 2011-2013.() () The new action plan will have two main strands: (1) enhancing dialogue, and (2) identifying and implementing concrete actions, both of them encompassing the interregional continental and intercontinental dimension of the partnership. The major challenge for the period 2011-2013 will be to further strengthen and enrich the political and policy dialogue on migration, mobility and employment as well as tertiary education issues between the two continents, whilst encompassing dialogues and cooperation taking place on national and regional levels.() () In the area of employment, the dialogue will focus on strategies and initiatives targeting job creation and sustainable and inclusive growth, acknowledging the role of relevant stakeholders,including social partners and the private sector. Furthermore, the dialogue will focus on the questions related to the implementation of the Ouagadougou Action Plan and the global 'Decent Work Agenda' with special emphasis on the creation of more, more productive and better jobs in Africa and the link to social protection as well as to the informal and social economy. Per ci che concerne le iniziative specifiche e le attivit, si rinvia a 12 proposte (tra cui: uniniziativa sul traffico umano, un osservatorio sulla migrazione, uniniziativa sul mercato del lavoro non meglio specificata, fora regionali e sub-regionali sul lavoro, unUniversit 85

panafricana) attribuendo ad un gruppo di lavoro congiunto di monitorare limplementazione dellAction Plan e valutare i risultati raggiunti. I cambiamenti avvenuti nellarea nord africana nel 2011 inevitabilmente indirizzeranno e forse faciliteranno i lavori del prossimo Summit EU-Unione Africana previsto per il 2013 in Belgio. Tuttavia, in tale frangente, lEuropa sar chiamata a mostrare lungimiranza politica e anche ad accettare cambiamenti politici poco convincenti (il riferimento ai risultati delle elezioni egiziane e tunisine), che potrebbero creare sconcerto o mettere a rischio rapporti bilaterali preferenziali consolidati nel tempo.

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LEZIONE N. 17-18-19-20 LEZIONE N. 17 I RAPPORTI AFRICA-CINA (1/4)


Negli ultimi anni si sono moltiplicati i contatti politici e commerciali tra il continente africano e gli attori delestremo oriente asiatico. Cina, India, Giappone in poco tempo hanno acquisito uno status preferenziale nei rapporti con i singoli paesi e con lintera regione nel suo insieme, in nome di una rafforzata cooperazione Sud-Sud e di un concreto sviluppo di interessi reciproci. Ad essi si potrebbero aggiungere anche Malaysia, Indonesia, Corea del Nord e Corea del Sud che hanno promosso approcci ugualmente significativi anche se di minor rilievo. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non sono pi controparti indiscutibili con cui promuovere affari e sperimentare nuovi partenariati. I legami sempre pi frequenti e qualificati con nuovi i interlocutori dellestremo oriente aprono oggi un ventaglio di possibilit per lAfrica, chiamata a decidere in prima persona per il proprio futuro, a selezionare partners con cui fare affari e gettare le basi per uno sviluppo sostenibile nel tempo. Come si qualificano le relazioni con i players orientali? Ci sono delle differenze di approccio nelle varie linee politiche messe in atto? Quanto pu essere pericoloso il drago cinese? Pechino il protagonista capace di gestire il nuovo scramble for Africa del XXI secolo oppure questa una diceria malevola, basata sulle supposizioni di esperti eccessivamente pessimisti? Le possibilit offerte al black continent da India e Giappone possono essere pi costruttive sul lungo periodo? Scopo delle prossime lezioni quello di analizzare brevemente il contesto delle relazioni afroasiatiche ed evidenziare gli elementi salienti della suddetta cooperazione. Cina -Africa: una reale win-win situation? Mentre la dirigenza di Pechino promuove con insistenza la tesi di una win-win situation tra paesi in via di sviluppo, sono in molti gli esperti che cercano di allertare le leadership africane circa il reale rischio proveniente dallestremo oriente circa una rinnovata forma di imperialismo nel XXI secolo. Effettivamente sono sempre pi evidenti i segnali di una costante influenza -o meglio, di una crescente interferenza- della Cina nelle questioni locali. In cambio di cash, prestiti a basso tasso di interesse o donazioni, il drago si assicura lacquisizione di risorse energetiche essenziali per il suo sviluppo industriale. In realt il petrolio solo uno dei fattori di interesse: rame, carbone, gas, legno, alluminio, ferro, metalli preziosi sono ulteriori risorse indispensabili per proiettare in modo vincente il competitor asiatico nelleconomia globalizzata. In quale modo possibile spiegare e comprendere questo connubio? Dietro di esso si nasconde una precisa strategia? Quali i protagonisti dello slancio di Pechino? 87

Diversi sono i fattori che accomunano i 54 partner africani ed il player orientale, fattori che possono leggersi nel passato, nel presente e nel futuro e che concorrono a delineare un quadro ben definito: esperienze coloniali che hanno indubbiamente forgiato una sensibilit comune; reciproco disinteresse mostrato in particolare da alcuni governanti circa il rispetto della democrazia; incontro tra domanda africana e offerta cinese (il vasto spazio africano rappresenta per la quantit e la tipologia, un mercato attraente per prodotti cinesi a basso costo e di bassa qualit); necessit economiche convergenti: lelemento energetico, disponibile in grandi quantit in Sudan, Angola, Gabon e Nigeria rende questi paesi particolarmente attraenti agli occhi di Pechino, o meglio delle compagnie petrolifere come la China National Petroleum Corporation (CNPC); volont di far pesare il numero dei paesi in via di sviluppo nei grandi fora internazionali, di sottolineare le loro esigenze e affermare i loro diritti, permettendo laffermazione di un nuovo ordine internazionale. Fondamentali per varare programmi appaiono gli scambi di visita ufficiali di alte personalit dello Stato (presidente e premier, responsabili dei dicasteri degli esteri, della difesa, degli affari economici, della cooperazione) o, dei leader dei partiti al governo. In tal senso interessante notare che dal 1963 al settembre 2004, 92 esponenti cinesi hanno svolto 149 missioni in Africa; 459 personalit africane di 51 Stati hanno svolto 609 visite in Cina. Da parte cinese sono stati determinanti alcuni passaggi storici: il periplo di Chou En Lai in 10 Stati africani (dicembre 1963/gennaio 1964); la visita del Presidente Jang Ze Min in 6 Stati (maggio 1996); la visita del Presidente Hu Jintao in Egitto, Gabon e Algeria (29 gennaio-4 febbraio 2004), la missione del Premier Wen Jabao in Egitto, Ghana, Congo, Angola, Uganda, Tanzania, Sud Africa (18-24 giugno 2006). Tappe formali, a cui sono seguiti momenti dincontro sostanziali con firma di accordi di cooperazione (come ad es. la visita del vice Premier, Zeng Peijang, in Angola in occasione della quale sono stati firmati 9 accordi di cooperazione il 24-26 febbraio 2005). Non a caso ormai istituzionalizzata a inizio anno la prima tappa allestero del Ministro degli Esteri cinesi nel continente africano, proprio ad indicare limportanza riconosciuta al continente dallamministrazione cinese.

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Per maggior chiarezza pu essere utile un quadro dettagliato di alcune delle visite pi significative dal 2006 considerato lAnno della Cina in Africa ad oggi:
2006 Anno della Cina in Africa -Visita del Ministro Esteri Li Zhaoxing in Capo Verde, Senegal, Liberia, Mali, Nigeria, Libia (15-22 gennaio 2006) -Visita del Presidente Hu Jintao in Marocco, Nigeria, Kenya (24-29 aprile 2006) -Premier Wen Jabao in Egitto, Ghana, Congo, Angola, Uganda, Tanzania, Sud Africa (18-24 giugno 2006) 2007 -Visita del Ministro Esteri Li Zhaoxing in Benin, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Ciad, Repubblica Centrafricana, Eritrea e Botswana (gennaio 2007) - Visita del Presidente Hu Jintao in Cameroon, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia, Sud Africa, Mozambico, Seychelles (febbraio 2007) 2008 - Ministro Esteri Yang Jeichi ha effettuato tour diplomatico (7-11 gennaio 2008) con la visita in Sud Africa, RDC, Burundi ed Etiopia 2009 -Visita del Ministro del Commercio Chen Deming in Kenya, Zambia, Angola (12-19 gennaio) -Visita del Ministro Esteri Yang Jiechi in Malawi (13-21 gennaio) in Uganda, Rwanda, Malawi, Sud Africa - Visita del Presidente Hu Jintao in Mali, Senegal, Tanzania e Mauritius (10-17 Febbraio) 2010 -Visita del Ministro degli Esteri Yang Jeichi in Kenya, Nigeria Sierra Leone, Algeria e Marocco (5-14 gennaio) 2011 - Visita del Ministro degli Esteri Yang Jeichi in Zimbabwe, Gabon, Chad , Guinea e Togo (9-16 febbraio)

Come anticipato precedentemente, sono molteplici gli interessi della Cina in Africa e quindi viene svolta unazione incisiva a largo raggio. Politica ed economia si supportano vicendevolmente per rendere effettiva la tanto decantata cooperazione sud-sud. Qualora si volessero identificare nel dettaglio i protagonisti dellazione cinese in Africa, si pu fare una prima distinzione tra attori governativi e non governativi. Dal punto di vista istituzionale, stata significativa la strategia promossa negli ultimi anni dal binomio Ju Hintao e Wen Jabao, coadiuvato dai vari ministri degli esteri Yang Jiechi e del commercio Chen Deming. Se questi sono i responsabili politici cinesi, i veri artigiani e responsabili del rafforzamento delle relazioni sino-africane sono indubbiamente i tecnici delle direzioni competenti presso il Ministero degli Esteri cinese, lex Direttrice Xu Jinghu, lex Direttore del Dipartimento Africa Zhang Ming e lattuale Direttore del Dipartimento Africa Lu Shaye.

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In tale excursus non si pu poi dimenticare il supporto fornito dallUniversit di Pechino e da alcuni think thank specializzati nelle relazioni internazionali. In tal senso fondamentale il ruolo di He Wenping, Direttrice del Dipartimento Studi Africani allAccademia delle Scienze Sociali di Pechino. Altro protagonista di rilievo il Partito Comunista Cinese, in particolare il suo ufficio di affari internazionali. La lotta per lindipendenza stata un collante valido per gettare le basi per unamicizia duratura e costruttiva. C poi la parte imprenditoriale: quella delle compagnie di Stato (China National Petroleum Corporation - CNPC, China Petrochemical Corporation SINOPEC, China State Construction Engineering Corporation - CSCEC, China National Machinery and Equipment Corporation -CNMEC) e degli imprenditori privati che si sono affermati recentemente. Quale la strategia nel corso degli anni della collaborazione sino-africana e -soprattutto- in cosa consiste? Si possono distinguere alcuni momenti fondamentali, che si sono evoluti con landare del tempo. Negli anni 60 c stato soprattutto un interesse politico da parte di Pechino, animato dal supporto ai movimenti per la liberazione contro il padrone coloniale occidentale; negli anni 80 c stata una trasformazione, spinta dallinteresse economico in virt della nascente forza industriale cinese; nel decennio successivo, in virt dellinserimento di Pechino in mercati abbandonati dalle potenze occidentali, c stato lancoraggio al continente africano con laggancio ai paesi petroliferi; a partire dal 2000 iniziata la 4a fase, caratterizzata dalla diretta concorrenza ai giganti economici occidentali e dalla presenza capillare e multiforme nel continente africano. Gli scambi commerciali, segnale evidente di un rafforzamento delle relazioni tra attori internazionali e pi che altro di una convergenza di interessi sono passati da 817 milioni di dollari nel 1979 a 10 miliardi di dollari nel 2000, giungendo a 127 miliardi di dollari nel 2010.
Relazioni Cina-Africa in Cifre Commercio (1950-2010) - Nel 2005, applicazione della tariffa 0 per 190 prodotti esportati da 28 paesi - Creazione di una Camera di Commercio a Pechino - Scambi commerciali in $ 1950...12 milioni di $ 1979.....817 milioni $ 2000.....10 miliardi $ 2002..12 miliardi $ 2004......29,5 miliardi $ 2005 .39, 6 miliardi $ 2006..55 miliardi $ 2007..72,6 miliardi $ 2008......106, 8 miliardi $ 2010....127 miliardi $

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Per quanto riguarda gli investimenti diretti cinesi in Africa 12, vero indicatore di una politica di lungo respiro e prospettiva, la quota risulta deludente, considerata rispetto a quanto investito ad esempio in USA nello stesso periodo. Secondo dati UNCTAD, alla fine del 2005 il totale degli IDE cinesi in Africa era di 1,3 miliardi di dollari e secondo fonti del Ministero del Commercio Estero cinese nel 2007 gli IDE sarebbero stati pari a 6,64 miliardi di dollari tra il 2000 ed il 2007. Cifra questa che induce a qualche perplessit rispetto allazione diplomatica pressante dellultimo ventennio.

Vedasi: ASIAN FOREIGN DIRECT INVESTMENT IN AFRICA: Towards a New Era of Cooperation among Developing Countries, http://www.unctad.org/Templates/Webflyer.asp?intItemID=1397&docID=8120
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LEZIONE N. 18

I RAPPORTI AFRICA-CINA (2/4)


Quali sono i partner strategici di Pechino? Quale la condizione di base per cui si possa sviluppare la win win situation? Come si struttura la cooperazione sino Africana? Nella dialettica Cina-Africa, le controparti sono logicamente i vari capi di stato africano, conosciuti per il loro attaccamento al potere, particolarmente noti per gestire dei regimi dispotici; leader criticati per le modalit con cui vengono affrontate le crisi interne; ribelli nei confronti dei legami francofoni o -allopposto- fedeli alleati di Parigi . In tale contesto spiccano alcuni partners africani strategici: Sudan, Angola, Zimbabwe Sud Africa, Nigeria sono divenuti ormai interlocutori privilegiati con cui promuovere affari e con cui fare blocco alle Nazioni Unite. Nel 2008, linterscambio con lAngola aumentato del 79,3% rispetto al 2007 e si attestato su 25,3 miliardi di dollari; con il Sud Africa si registrato un aumento del 26,9 % rispetto allanno precedente con un valore pari a 17,8 miliardi $; con la Nigeria si sono raggiunti 7,2 miliardi $ (+ 43,3% rispetto a 2007 ) mentre con il Sudan il valore delle merci scambiate stato di 8,1 miliardi $ (+ 43,3% rispetto a 2007). Per il Sudan, lo special envoy Amb Liu Gujin, ha seguito con attenzione sia il processo del Darfur, sia lindipendenza del Sud Sudan e attualmente molto attento a seguire la risoluzione della disputa petrolifera tra le due regioni.

Il riconoscimento di una sola Cina elemento fondante della collaborazione, anche se tale principio si sta ammorbidendo nellottica di inglobare gli ultimi partners restii e isolare definitivamente lisola ribelle, riconosciuta al momento da soli 23 paesi a livello mondiale.

Al momento sono considerati al di fuori dei rapporti privilegiati quattro paesi che continuano ad avere relazioni con Taiwan: Gambia Swaziland Burkina Faso Sao Tom

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I leader cinesi hanno pensato ad unarchitettura particolare, quella di un forum Cina-Africa (FORUM ON CHINA-AFRICA COOPERATION - FOCAC ), un grande contenitore in cui si gestiscono le molteplici tematiche dinteresse, una piattaforma per promuovere una consultazione collettiva, rafforzare il dialogo e sviluppare meccanismi di cooperazione. Secondo gli ideatori cinesi, i principi fondamentali sono la cooperazione pragmatica, luguaglianza e il mutuo beneficio. Si sono gi svolti 4 Forum: 1 Forum Cina-Africa (10-12 ottobre 2000) 2 Forum Cina-Africa (15-16 dicembre 2003) 3 Forum Cina-Africa (3-5 novembre 2006). 4 Forum Cina-Africa (8-9 novembre 2009) 5 Forum Cina-Africa (previsto per 2012)

Il 3 Forum in particolare ha avuto un grandissimo rilievo e ha sancito definitivamente unalleanza sul lungo periodo tra Pechino e i partecipanti africani. Linvito e la grande adesione di presidenti e capi del governo ha permesso di dare massima ufficialit allincontro, configurandolo come il 1 Summit sino-africano. La Dichiarazione finale ed il Piano dAzione (2007-2009) adottati al termine dei lavori, hanno sancito una win-win situation, concretizzata dalla stipula di importanti contratti commerciali per un valore globale di quasi 2 miliardi di dollari e nellimpegno assunto per raddoppiare il volume degli scambi commerciali e accrescerli fino a 100 miliardi di dollari nel 2010 (obiettivo gi superato nel 2008)
Impegni assunti in occasione del 3 Forum Cina-Africa (3-5 novembre 2006) 3 miliardi di dollari in prestiti preferenziali 2 miliardi di dollari in crediti allesportazione Fondo di 5 miliardi di dollari per impresi cinesi che investono nel continente Costruzione di un Centro Congressuale per UA Cancellazione dei debiti dei Paesi HIPC tra quelli che riconoscono una sola Cina 250+190 beni esonerati da ogni tipo di tassa esportazione Creazione di 5 zone di cooperazione economica e commerciale in Africa Raddoppio Borse di studio per studenti africani (dai 2000 a 4000 studenti africani in Cina) Impegno per Training di 15000 professionisti Invio di 100 senior esperti in ambito agricolo Costruzione di 30 ospedali e 30 centri di prevenzione e cura della malaria Costruzione di 100 scuole rurali in Africa

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Impegno per portare scambi commerciali a 100 miliardi dollari nel 2010 Cancellazione del debito dei paesi HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) e LPD (Least Developed Countries)

Di grande importanza per levoluzione dei programmi promossi in ambito FOCAC, stato il documento China-Africa Policy Paper (12 gennaio 2006) che ha fissato le linee guida della collaborazione nel XXI secolo.

Per quanto attiene il 4 Forum, dedicato al tema: Deepening the new type of China-Africa Strategic Partnership for sustainable development, ha fornito loccasione formale per rinnovare lamicizia delle due parti, per dimostrare che tutti gli impegni assunti nellultimo vertice del novembre 2006 sono stati rispettati, per esaltare i dati della win win situation, tuttavia sono emersi anche dei fattori interessanti da prendere in considerazione in unottica di lungo periodo. La Dichiarazione finale ed il Piano dAzione 2010-2012 indicano un percorso preciso, a cui tener fede nonostante la crisi economico-finanziaria globale. Politica, economia, cooperazione allo sviluppo, scambi culturali: ogni settore monitorato con attenzione. La Cina continua a sostenere finanziariamente il continente. Tale supporto si traduce in alcune misure specifiche: prestito di 10 miliardi di dollari a un basso tasso dinteresse, training per 20.000 addetti in diversi settori costruzione di 50 scuole di amicizia, la concessione di un rilevante numero di borse di studio (5.500 entro il 2012) cancellazione dei debiti maturati entro la fine del 2009, fondo di un miliardo di dollari destinato a concedere prestiti alle piccole e medie imprese locali, eliminazione graduale dei diritti di dogana sul 95% delle importazioni provenienti dai paesi africani meno avanzati. Limpegno congiunto nel documento viene assicurato nella richiesta per un equo bilanciamento del G20, nel supporto di riforme che rendano le Nazioni Unite pi efficienti e le istituzioni finanziarie internazionali maggiormente inclusive. Il raggiungimento dei Millennium Development Goals (MDGs), la tutela dellambiente, la lotta al cambiamento climatico, lo sforzo per il progresso della scienza e della tecnologia sono altrettanti capitoli su cui esercitare un coordinamento delle posizioni.

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Nel caso della protezione dellecosistema e della biodiversit, se apprezzabile limpegno innovativo - sfortunatamente - esso risulta tuttavia formale, poich sono ben note le responsabilit delle industrie cinesi, accusate da organizzazioni non governative ambientaliste di provocare linquinamento delle falde idriche africane (attraverso lo scarico di sostanze nocive nelle acque) o di promuovere un disboscamento selvaggio.

Quali gli elementi negativi della collaborazione? La presenza cinese infatti comporta non solo cash e aiuti per la cooperazione ma anche divisione e sbilanciamento interno. In tal senso si pu parlare di problemi arrecati alla sopravvivenza delle piccole industrie locali africane e vendita dei prodotti africani, messe in serio pericolo dall immissione sul mercato locale di prodotti a basso costo e molto spesso scadenti. C poi il rischio di una disoccupazione locale africana in aumento a causa della presenza di lavoratori cinesi portati dalla madre patria (operai regolari e irregolari, a volte anche fuoriusciti dalle prigioni). Non si possono inoltre ignorare i problemi legati allinquinamento ambientale, causati da una deforestazione selvaggia (in Gabon, Repubblica Democratica del Congo e Ghana), oppure dalla produzione industriale incurante dellemissione di gas nocivi. Anche per il settore ittico la forzata razzia delle risorse potrebbe arrecare gravi danni allecosistema africano in un prossimo futuro. Infine limpatto maggiore dellattivismo cinese si traduce troppo spesso in creazione di rendite tra le classi dirigenti africane, favorendo la pratica della corruzione per non parlare della scarsa trasparenza nella gestione di contratti miliardari che finisce per incentivare pratiche che allontanano i paesi africani dalla good governance.

ELEMENTI NEGATIVI DELLA COLLABORAZIONE SINO-AFRICANA Sopravvivenza delle piccole industrie locali africane e vendita dei prodotti africani Disoccupazione locale africana in aumento a causa di presenza lavoratori cinesi Problemi inquinamento ambientale Rendite a classi dirigenti corrotte Scarsa trasparenza negli affari

Alla luce di questi elementi, la Cina rappresenta unopportunit per la rinascita africana oppure la riproposizione di nuovo padrone interessato a depredare le ricchezze africane? 95

Lesperienza induce a credere che la realt sia nel mezzo e che non possa essere demonizzata lazione cinese come anche non possa essere considerata esclusivamente arricchente per il continente africano. Trattare con la Cina oggi pu considerarsi un ottimo affare per molti governi africani ma importante un atteggiamento critico e responsabile, capace di porre dei freni allinsistenza e di rispondere negativamente ad eventuali diktat di Pechino. Il secondo passo poi quello dellutilizzo proficuo delle risorse, cos che da creare un ciclo virtuoso economico-finanziario. Alla luce del contesto specifico, sulla base dei dati forniti da prestigiose ONG specializzate su cattiva gestione dei fondi e corruzione, tale step appare ancor pi di difficile realizzazione rispetto al precedente. Recentemente lAfrica ha iniziato a far sentire i suoi dubbi ed il suo malcontento, non pi attraverso lo sciopero nelle miniere (come accaduto in Zambia) o attraverso la voce dei sindacati del settore tessile(vedasi caso specifico in Sud Africa) . I dubbi sono espressi ad alto livello. In tal senso si pu ricordare laffermazione di Ren NGuetta Kouassi (capo del dipartimento affari economici dellUnione Africana) fatta nel settembre 2009 secondo cui Africa must not jump blindly from one type of neo-colonialism into Chinese-style neocolonialism. Tale atteggiamento in pieno contrasto con lentusiasmo e la cieca fiducia che serpeggiavano in occasione del varo del I FOCAC nel 2000. Non di poco conto questa consapevolezza, poich negli anni passati apparso un atteggiamento remissivo dallinterno. LAfrica stata reattiva, non attiva. LAfrica ha risposto alle avances cinesi, applaudendo allintraprendenza orientale e svendendo parallelamente le proprie risorse naturali.

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LEZIONE N. 19-20
I RAPPORTI AFRICA-CINA (3/4 e 4/4)

IN VIA DI DEFINIZIONE

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LEZIONE N. 21-22
I RAPPORTI AFRICA-INDIA

Un nuovo partner si delinea, silenzioso ma efficace, sulla scena africana: lIndia. Non solo dunque allorizzonte le richieste e le offerte di Stati Uniti, Cina, Europa, Giappone, Russia ma anche le proposte da parte del colosso asiatico subcontinentale. Diverse le direttrici su cui si sono strutturate le relazioni: lIndian Ocean Rim Association for Regional Cooperation (IOR-ARC), Africa. Quale lorigine di questo rapporto apparentemente nuovo? Come si sta sviluppando? A difesa nei confronti di chi? A vantaggio di chi? Potrebbe essere questo il vero binomio per innescare meccanismi virtuosi volti ad una crescita del continente africano, veritiera e sostenibile nel tempo? I primi segnali possono essere certamente riconosciuti nei legami creati in occasione della Conferenza di Bandung, arricchiti poi dal sostegno fornito da Nuova Delhi ai movimenti di liberazione e alla lotta contro lapartheid del regime bianco di Citt del Capo e Pretoria. E tuttavia con gli anni 90, con laffermazione di una forte industria nazionale indiana bisognosa di energia, petrolio e gas che si sono rafforzate le interdipendenze. Non solo. Sarebbe ingiusto non riconoscere il ruolo di una potenza coloniale in comune che ha tessuto un simile background e quello della diaspora asiatica, la presenza di una numerosa comunit nelle isole e nei Paesi africani bagnati dallOceano Indiano. Tanzania, Kenya, Mozambico, Sud Africa e Madagascar rappresentano un terreno in cui sono miscelate culture e tradizioni indo-africane. 98 linziativa India-Brasile-Sud Africa (IBSA), il Forum India-

E proprio su questo humus culturale che si basa lIndian Ocean Rim Association for Regional Cooperation. Promossa nel 1990 dal ministro degli Esteri sud africano Pik Botha e poi supportata dal presidente Mandela nel 94- 95, lidea venne fatta propria dai governanti indiani sia perch dopo il crollo dellUnione Sovietica sentivano necessario un ricollocamento del Paese nel nascente mondo multipolare, sia perch vedevano crescere una rivalit con il Pakistan allinterno del South Asian Association for Regional Cooperation (SAARC), sia perch dovevano rispondere al rifiuto di partecipazione allAsia Pacific Economic Cooperation Group (APEC). Dove promuovere collaborazioni se non nellOceano Indiano, considerato il back yard e al tempo stesso lo spazio vitale per esternare le proprie potenzialit ed espandere il proprio mercato? Tra i primi membri sostenitori nel 1995 si distinsero Kenya, Mauritius, Sud Africa. Ad essi poi se ne aggiunsero altri fino ad arrivare allattuale numero di 19 Stati aderenti alliniziativa 13. Liniziativa stata lanciata formalmente nel marzo 1997. Seppur meritevole come progetto, sfortunatamente nel tempo si andato affievolendo linteresse iniziale e ad oggi non sembrano riscontrarsi risultati eclatanti. Diverse esigenze esterne si sono sovrapposte negli anni, come ad esempio limpegno di Mbeki per progetti continentali e regionali, quali il varo dellUnione Africana, della New Partnership for African Development, il rafforzamento della Southern African Development Community (SADC). A ci si aggiunga, come notato dal noto studioso Alex Vines in un articolo pubblicato dalla Chatam House nellaprile 2008, lassenza di un marcato coordinamento tra il Working Group ed i capi delle singole missioni diplomatiche, la mancanza di uno staff tecnico capace di imprimere un processo dinamico nel Segretariato Generale, la scarsa programmazione di meeting regionali annuali. Leterogeneit dei partecipanti non ha favorito il raggiungimento di obiettivi comuni, tuttavia proprio nella molteplicit degli attori (dal Bangladesh allIran, dallAustralia allOman) deve essere vista al tempo stesso la ricchezza del processo in atto. Pi ristretto di numero e pi concreto il Forum IBSA. Lincontro del G8 di Evian nel 2003 ha dato il via ad una cooperazione triangolare tra India-Brasile e Sud Africa. A Brasilia nel giugno 2003 lincontro dei ministri degli Esteri ha sancito lavvio di una collaborazione sud-sud tra attori rilevanti. E chiara la convergenza di interessi: lIndia sembra orientata a confrontarsi con potenze continentali forti, con leader impegnati a 360 quali Thabo Mbeki e Jacob Zuma (per il Sud Africa), Luis Inacio e Delma Youssef (per il Brasile) da Silva, ma ancor pi appare interessata a lavorare congiuntamente su progetti di alta tecnologia industriale; il Brasile si propone di rafforzare la sua
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Attualmente fanno parte dellOrganizzazione: Australia, Bangladesh, Emirati Arabi Uniti, India, Indonesia, Iran, Kenya, Madagascar, Malaysia, Mauritius, Mozambico, Oman, Singapore, Seychelles, Sud Africa, Sri Lanka, Tanzania, Thailandia, Yemen.

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immagine al di l dellAmerica Latina e di sperimentare nuove linee politiche commerciali; il Sud Africa cerca un partner alternativo alla Cina, potenza con cui inizia a ravvisare i primi attriti. Lobiettivo comune quello dellimpegno per la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e per lampliamento del G8 a nuovi partners (in particolare Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa). Fare fronte comune nella pi grande organizzazione mondiale ed entrare tra le grandi potenze economiche del pianeta sono le due direttrici per rispondere alle sfide della globalizzazione e non sopperire dinnanzi ad esse. Altra esigenza evidente risulta quella di implementare il commercio trilaterale, Ad oggi si sono svolti 5 summit IBSA (settembre 2006 a Brasilia, ottobre 2007 a Pretoria, ottobre 2008 a New Delhi, aprile 2010 a Brasilia, ottobre 2011 a Pretoria). La cooperazione riguarda il settore agricolo, commerciale 14, educativo, energetico, scientifico e tecnologico, commerciale e dei trasporti. E al vaglio lampliamento al reparto sanitario e a quello della difesa.

II IBSA Summit nel 2007

V IBSA Summit 2011

Canale preferenziale indubbiamente il Forum India-Africa. Il primo India-Africa Forum Summit (IAFS) si svolto l8-9 aprile 2008 a New Delhi. Ad esso hanno partecipato 14 capi di Stato africani, tra cui quelli di Etiopia, Ghana, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Sud Africa, Tanzania, Uganda, oltre a vice presidenti ed esponenti governativi di alto rango. In occasione del Summit sono stati adottati due documenti: la Dichiarazione di Delhi ed il Framework per la Cooperazione. Se la Dichiarazione rappresentava un atto politico di grande lucidit in cui si registravano posizioni comuni per la riforma delle Nazioni Unite (elemento chiave e sempre presente), per la difesa dellambiente, per lapproccio alle scelte promosse in ambito WTO nonch per un impegno comune contro il terrorismo internazionale, il Framework disegnava invece
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Si specifica che il commercio trilaterale passato da 2,6 mlrd di US$ nel 2002 a 11,9 mlrd di US$ nel 2009

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nuovi spazi per un lavoro congiunto tra pari con grande lungimiranza e prospettiva dinsieme. Sette erano i capitoli su cui veniva rilanciata unazione sinergica: cooperazione economica (nei settori dellAgricoltura, del Commercio, degli Investimenti, delle Piccole e Medie Imprese), cooperazione politica (indirizzata alla pace e alla sicurezza, al ruolo della societ civile e a quello della good governance), Scienza e Tecnologia (rivolta per lo pi allInformation and Communication Technology-ICT), cooperazione nello sviluppo sociale (diretta a educazione, acqua e sanit, cultura e sport, sradicamento della povert), Turismo, Infrastrutture, Media e Comunicazione. Allinsegna del pragmatismo e della concretezza, il primo ministro indiano Manmohan Singh nelloccasione del I Forum annunci un regime di preferenze tariffarie (Duty Free Tariff Preference Scheme) per le esportazioni di 50 Paesi meno sviluppati (di cui 34 africani) ed il raddoppiamento del volume dei crediti dai 2,15 miliardi di dollari a 5,4 miliardi di dollari nel quinquennio successivo. Lobiettivo del Forum era quello di raddoppiare nel giro di pochi anni gli scambi commerciali, che nel 2008 si attestavano sui 30 miliardi di dollari 15. Il II India Africa Forum Summit (II IAFS) si svolto il 24-25 maggio 2011. Levento, focalizzato sul tema Per un partenariato rafforzato: una visione condivisa, si svolto ad Addis Abeba. Nella dichiarazione finale le parti hanno riaffermato il loro impegno per il multilateralismo ed il rafforzamento della struttura democratica delle Nazioni Unite per accrescere la partecipazione dei paesi in via di sviluppo al processo decisionale ed hanno anche insistito per il rafforzamento Africa-India nellambito del G77; hanno sottolineato limportanza cruciale di una riforma urgente e globale delle Nazioni Unite; hanno condannato il terrorismo sotto ogni forma e manifestazione; hanno riconosciuto limportanza di focalizzare le forze sulla minaccia posta dalla pirateria al largo delle coste somale ed hanno chiamato alla cooperazione tutti gli Stati; hanno sottolineato la volont di andare oltre i legami bilaterali e rafforzare i partenariati anche a livello di Unione Africana e organizzazioni regionali; hanno stabilito che il III IAF Summit si svolger in India nel 2014.

Si ricorda che il commercio bilaterale India Africa passato da 25 mlrd di US $ nel 2006-2007 a 53,3 mlrd di US$ nel 2010-2011 secondo quanto dichiarato da Rajiv Kumar (Segretario Generale della Federation of Indian Chambers of Commerce and Industry (Ficci) all India-Africa Business Partnership Summit del 12-13 ottobre 2011 a Hyederabad. In particolare, le esportazioni indiane verso lAfrica sono passate da 10,3 mlrd di US$ nel 2006-2007 a 21,1, mlrd di US$ nel 2010-2011 ; le importazioni indiane dallAfrica sono passate da 14,7 mlrd US$ nel 2006-2007 a 32,2 mlrd US$ nel 2010-2011. Lobiettivo quello di raddoppiare i 53 mlrd US$ nei prossimi 5 anni.
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I IFSA Summit 2008

II IFSA Summit 2011

Tecnologia e farmaci indiani a basso costo contro petrolio africano potrebbero essere le monete dello scambio. Perch questa collaborazione? Quale il motivo ultimo? Certamente lacquisizione di risorse petrolifere non da poco, tuttavia lavvicinamento ed il coinvolgimento del black continent, dallesterno sembra essere in funzione anti-Cina (nonostante le dichiarazioni ufficiali del premier indiano). La collaborazione con il governo di New Delhi sembra maggiormente costruttiva e basata sul rispetto delle regole democratiche, ormai salde e rafforzate nel tempo. Potrebbe essere questa la vera alleanza utile per mettere in moto sul lungo periodo un processo virtuoso essenziale per il continente africano.

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LEZIONE N. 23
I RAPPORTI AFRICA-GIAPPONE
Oltre a Cina e India, anche il Giappone ha promosso dei contatti forti con il continente africano, promuovendo la Tokyo International Conference on African Development nel 1993. Tale organizzazione punta in particolare sul concetto di aiuto allo sviluppo e per tale motivo si avvale del supporto di altri co-organizzatori e partners. La filosofia infatti quella di mobilitare il supporto internazionale per iniziative africane di sviluppo. Non aiuti a pioggia, in questo caso, ma responsabilizzazione degli africani, facendo leva sui principi di ownership e partnership. Tra i co-organizzatori si trovano lUfficio dello Special Adviser per lAfrica del Segretario Generale, lo United Nations Development Programme (UNDP) e la World Bank; tra i partners invece lUnione Africana, il New Partnership for African Development, lo United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), la United Nations Coonference on Trade and Development (UNCTAD), alcuni donors internazionali, la West Africa Rice Development Association (WARDA), il TICAD Civil Society Forum. Si sono gi svolti quattro incontri ufficiali: TICAD I (5-6 Ottobre 1993) TICAD II (19-20 Ottobre 1998) TICAD III ( 27-28 Settembre 2003) TICAD IV (28-30 Maggio 2008).

La Tokyo Declaration on African Development, adottata in occasione dellincontro iniziale del 1993 rappresenta il testo base di tutta larchitettura. Essa prevede limpegno dei partecipanti (distinti tra membri TICAD e paesi africani) a favorire le riforme politiche ed economiche nel continente, a promuovere la cooperazione regionale e lintegrazione. Il ruolo del settore privato viene considerato vitale per un sustainable development, pertanto viene incoraggiata lattivit imprenditoriale e preso limpegno da parte africana per rendere pi agevole il sistema amministrativo, legale e finanziario.

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Degna di attenzione la messa a disposizione dell esperienza asiatica dellultimo trentennio. In tal senso vengono evidenziati nel punto 23 della Dichiarazione alcuni policy factors che hanno favorito una buona performance, in particolare: lapplicazione razionale di politiche macroeconomiche e il mantenimento della stabilit politica; la promozione della produzione agricola attraverso la ricerca tecnologica e le innovazioni, come solide basi per lo sviluppo socio-economico; linvestimento di lungo termine nelleducazione e lo sviluppo delle risorse umane come priorit della strategia di sviluppo; politiche di mercato ed export-led per avanzare ed adattare i modi di produzione per aumentare e opportunit per il commercio e la crescita economica; le misure per stimolare il risparmio e la formazione di capitale il rafforzamento del settore privato come meccanismo di crescita e sviluppo; limplementazione rapida della riforma terriera.

Altro documento essenziale lAgenda for Action del 1998 che, nellottica di favorire la riduzione della povert e linserimento del black continent nelleconomia globale, individua obiettivi condivisi e segna delle linee dazioni comuni dei partecipanti alliniziativa. Coordinamento rafforzato, cooperazione regionale ed integrazione, cooperazione sud-sud sono ritenuti approcci essenziali per ottimizzare i flussi dellAiuto pubblico allo sviluppo messi a disposizione dei partners africani. In questo testo vengono considerate due tematiche essenziali: la prima riguarda il ruolo delle donne ed il loro contributo per combattere la povert; la seconda sottolinea limportanza del management ambientale. Desertificazione, degradazione del terreno, deforestazione, biodiversit sono ritenuti elementi imprescindibili per uno sviluppo sostenibile nel tempo. Interessante lancoraggio al NEPAD che si registrato nel terzo incontro, un modo per venire incontro pragmaticamente alle nuove esigenze per il rilancio dellAfrica (promosso tra il 2001 ed il 2002 con il varo della nuova struttura dellorganizzazione panafricana e con il progetto New Partenrship for African Development). Dal quarto incontro di Yokoama (28-30 maggio 2008) focalizzato sul tema Toward a vibrant Africa: a continent of hope and opportunity sono scaturiti:

il Piano dAzione di Yokoama la Dichiarazione di Yokoama 104

In questa sede sono state riconosciute tre aree prioritarie interconnesse: spingere la crescita economica, assicurare la Human Security , indirizzare le tematiche ambientali ed il Climate Change. Preso atto che sviluppo e pace procedono parallelamente, i partecipanti hanno auspicato unequa spartizione dei dividendi della pace ed hanno posto grande enfasi su meccanismi quali lAfrican Peace and Security Architecture (APSA) e lAfrican Peer Review Mechanism (APRM), considerati elementi sostanziali dellimpegno africano per una rinascita economica, sociale e politica. Tra gli impegni assunti, si ricordano: la duplicazione dell aiuto pubblico da 900 milioni dollari a 1,8 miliardi dollari entro il 2012 la garanzia per la concessione di 10 miliardi di dollari per promuovere una crescita economica collegata alla tutela ambientale il Meccanismo dei Seguiti di Yokoama, volto a monitorare limplementazione delle iniziative e limpatto sullo sviluppo africano la promessa di dare visibilit ai programmi per lAfrica in occasione del vertice G8 (Hokkaido Toyako, 7-9 luglio 2008). Per quanto concerne la struttura, la TICAD ha al suo interno diversi organismi che permettono di perseguire le finalit preposte: Asia-Africa Trade and Investment Conference (AATIC) Asia-Africa Investment &Technology Promotion Centre (AAITPC) Africa-Asia Business Forum (AABF) Afrasia Business Council Africa-Asia SME Network (TECHNONET Africa) TICAD Exchange Network TICAD-Africa IT Initiative La caratteristica pi evidente della TICAD quella della concretezza. In tal senso sono numerosi i progetti su cui si sta lavorando in questo momento, tra cui: liniziativa per valorizzare il ruolo delle donne coltivatrici in Nigeria (con UNDP, UNIFEM e alcune ONG nigeriane); lavvio della messa in produzione del NERICA (new rice for Africa) che attraverso la collaborazione di esperti e produttori ha permesso di creare un tipo speciale di riso nutriente e facilmente coltivabile con le temperature africane; i progetti per affrontare il digital divide in Cameroon, volti a facilitare agli studenti dellUniversit di Yaound laccesso ad Internet.

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COMPARAZIONE AZIONE ATTORI ESTERNI ESTREMO ORIENTE Alla luce di quanto emerso, chiaro che ci sono dei differenti approcci di Cina, India e Giappone. La Cina senza dubbio il player pi aggressivo, capace per di dare segnali concreti (costruzione di infrastrutture ed edifici) in breve tempo. Nonostante i vantaggi evidenti, sul lungo periodo potrebbe rivelarsi dannoso per gli africani aver ceduto oggi alle avances di Pechino. I pi sensibili alla minaccia incombente sono i ceti operai, le minoranze di cui si soffocano i diritti, le opposizioni pi o meno deboli. Non per nulla, alcuni gruppi ribelli armati, esclusi dal potere (e quindi dalla spartizione delle risorse) hanno gi rivendicato i loro diritti. Ad esempio, la ripresa delle ostilit nel nord del Kivu, secondo quanto rilasciato in unintervista rilasciata dal Generale Nkunda nel novembre 2008, sarebbe stata dovuta proprio alla firma di un accordo da parte del Presidente Kabila con i responsabili cinesi. Lintesa nel dettaglio ha stabilito lo sfruttamento delle risorse minerarie locali in cambio di un lauto pagamento: 10 milioni di tonnellate di rame svenduti a 9 miliardi di dollari, logicamente a vantaggio dellelite al potere e non delle popolazioni bisognose della regione. Questo potrebbe essere solo un input allazione di altri gruppi sovversivi presenti in ognuna delle cinque regioni africane. Se ad oggi stata attore esterno non direttamente coinvolto, la Cina potrebbe risentirne a breve. Il rapimento di alcuni tecnici in Nigeria ed in Etiopia un segnale che indica la possibilit di pagare in prima persona il pegno per una politica spregiudicata. Allearsi e supportare a livello interno ed internazionale regimi dispotici, potrebbe quindi non rendere pi il risultato auspicato. LIndia probabilmente in grado di offrire un partenariato vincente: le basi si chiamano tecnologia, chimica e farmaceutica ma soprattutto regole ed esempio di democrazia. Anche il Giappone, che ha scelto unaltra linea portata avanti con altri soggetti, pu garantire un supporto concreto per lo sviluppo del continente ma richiede un impegno preciso, non solo elargizione di risorse minerarie. Negli ultimi due casi non si parla solo di relazioni commerciali si parla di costruire insieme qualcosa e di porsi delle regole. Tutto ora nelle mani degli stessi africani, che sono chiamati a decidere se sfruttare il momento conveniente per il continente o meno. Solo loro, chiamati ad interloquire da pari a pari con una pluralit di interlocutori (occidentali e orientali) potranno rinviare ogni decisione e subire passivamente quello che appare pi conveniente oggi oppure optare per un impegno che richiede sforzi (aggiustamento delle proprie economie, trasparenza, good governance, lotta alla corruzione,

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management razionale delle risorse) ma che porter uno sviluppo sostanziale alle prossime generazioni. Solo dopo aver preso questa decisione si potr parlare di rinascita o di scramble africano del XXI secolo.

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LEZIONE N. 24-25
I RAPPORTI AFRICA-IRAN
Un nuovo partner intraprendente e dinamico si profila sulla scena africana: lIran. Il tipo di rapporto che il governo di Teheran si propone di instaurare con i 54 Stati del continente mirato, poich intende palesemente raggiungere diversi obiettivi: 1) stabilire la sua influenza politica e compattare un asse antioccidentale; 2) approfondire i legami con gli attori che possono assicurare uranio per alimentare le sue centrali nucleari; 3) promuovere i suoi interessi economici e rafforzare una rete di relazioni che gli permetta di bypassare le sanzioni delle Nazioni Unite oltre alle critiche di alcuni potenti player occidentali; 4) esportare la rivoluzione islamica attraverso le organizzazioni islamiche iraniane o centri culturali attivi nella propaganda sciita; 5) stabilire una presenza fisica (per terra o per mare) in aree posizionate in punti strategici (come ad esempio allingresso del Mar Rosso); 6) creare dei corridoi navali o terrestri che possano essere utilizzati per fare contrabbando di armi e supportare gruppi terroristi. Per tali motivi, negli ultimi anni sono state interessanti le sinergie con Nigeria, Sudan, Uganda e Zimbabwe, ma anche quelle con Algeria, Mauritania, Mali, Senegal, Cote dIvoire, Kenya, Eritrea e Djibouti. In tutti i suddetti casi, stata utilizzata la strategia del soft power, vale a dire una miscela fatta di cultura, diplomazia, economia e difesa proposta costantemente in occasione di visite ministeriali. Di seguito gli sviluppi recenti con alcuni paesi-chiave di questo rapporto Iran-Africa, quali Sudan, Kenya, Eritrea, Nigeria e Zimbabwe.

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Per quanto concerne il caso del Sudan, esso ritenuto un partner fondamentale da Teheran per la sua posizione geografica a cerniera tra il mondo arabo, quello dellAfrica Nera ed il Nord Africa. Alla base del legame, c un collante profondo che si rif a questioni politico-securitarie e ideologiche-religiose da quando lattuale Presidente sudanese Omar Al Bashir prese il potere nel 1989. Di fatto, loperazione venne influenzata dalla rivoluzione iraniana del 1979 ed un suo grande sostenitore fu Hassan el Turabi che voleva stabilire un modello sunnita sulla base della rivoluzione sciita iraniana e voleva porsi come un Khomeini regionale. Nonostante la rottura che si generata tra Al Bahir e Al Turabi negli anni 90, il contatto con la leadership di Teheran continuato, come evidente dalle visite in Sudan del Presidente Akhbar Hashemi Rafsanjani con una delegazione di 150 persone nel 1991, del Presidente Mohammad Khatami nellottobre 2004, del Ministro della Difesa Mostafa Mohammed Najjar nel marzo 2008, del Presidente del Parlamento Ali Larijani nel marzo 2009, del Presidente Ahmadinejad nel settembre 2011. La caratteristica peculiare del Sudan quella di essere unarea di transito per linvio di armi destinate ai combattenti della Striscia di Gaza (in particolare Hamas) ed ad alcune organizzazioni radicali in Nord Africa.

Il Presidente Ahmadinejad (sinistra) accolto dal Presidente Bashir (destra) a Khartoum (settembre 2011)

Tale collegamento stato denunciato negli anni passati in diverse occasioni dal Presidente egiziano Hosni Mubarak e da alcuni uomini del suo establishment, in quanto percepito come una cospirazione contro il proprio Stato ed un modo per sfruttare la causa palestinese a proprio vantaggio. Per ci che riguarda il Kenya, lelezione di Ahmadinejad nel 2005 e la riconferma nel 2009 ha portato un avvicinamento tra le due parti come dimostrato dalla visita del Premier Odinga a Teheran nellaprile 2008, nel maggio 2009 e nel marzo 2011, contraccambiata dalla missione del Presidente iraniano a Nairobi nel febbraio 2009. In questo caso coincide da un lato linteresse del partner africano di approfittare dellesperienza nucleare del player del Golfo e di trovare risorse alternative 109

di energia per la domanda di elettricit, dallaltro la volont di Teheran di rafforzare intese per rompere lisolamento internazionale a cui soggetto ormai da anni.

Il Premier Odinga (sinistra) accolto dal Presidente Ahmadinejad (destra) a Teheran (marzo 2011)

Oltre agli interessi energetici (lIran nel 2009 forniva circa 80.000 barili di petrolio al giorno al Kenya) importante ricordare che tra i due Paesi vi un profondo legame culturale-religioso, abitando in Kenya circa 500.000 di fedeli sciiti (su un totale di 4 milioni di credenti islamici, che corrispondono al 10% della popolazione che di circa 43 milioni di abitanti). Il legame con lEritrea deve essere letto sotto una duplice lente: la sinergia con il Presidente Afewerki (un punto di riferimento contro legemonia dellOccidente) ed il collegamento con il Mar Rosso. Durante una visita del leader eritreo a Teheran nel Maggio 2008 sono stati firmati accordi di cooperazione tra i due paesi per implementare il commercio e gli investimenti. In tale occasione, la presenza dei due ministri degli esteri ha suggellato limpegno a lavorare congiuntamente per raggiungere la sicurezza e la stabilit nel Corno dAfrica

Il Presidente Afewerki (sinistra) accolto dal Presidente Ahmadinejad (destra) in Iran nel maggio 2008

Molto forti appaiono anche i legami con la Nigeria. Risale al gennaio 2005 la visita di Khatami in Nigeria e la firma di un Memorandum con lallora Presidente Obasanjo. In tale occasione la Export Development Bank iraniana accord 38 milioni di US$ al Ministero dellEnergia e dellAcciaio. In tal caso il partner africano cerca un interlocutore che gli permetta di superare il deficit di elettricit e 110

la controparte interessata nel proporre lenergia nucleare come modo economico per superare tale difficolt. Interessante la forma di intesa attenta da parte della Nigeria, emersa in diverse occasioni. In uno studio per lAmerican Enterprise Institute del 2010, la studiosa Charlie Szrom nota che -nonostante siano state negate delle collaborazioni nellambito nucleare tra il 2005 ed il 2008- nellottobre 2008 lex Ministro della Scienza Grace Ekpiwhre ha riconosciuto lesistenza di un accordo che avrebbe coinvolto lIran per fornire tecnologia nucleare civile alla Nigeria; a distanza di un mese il Direttore della Nigerian Atomic Energy annunci che la Nigeria non avrebbe usato espatriati nello sviluppo del suo programma nucleare e chiar che la collaborazione con il partner del Golfo sarebbe stata solo finalizzata a scopi civili. Altro caso quello del voto della Nigeria a favore delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro lIran nel giugno 2010, sostenendo che non era comprensibile la mancata cooperazione dellIran con lAgenzia dellEnergia Atomica se i suoi obiettivi erano pacifici. Nellambito dellincontro dei paesi D8- Developing Eight Countries (Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Malesia, Nigeria, Pakistan,Turchia), Ahmadinejad si recato nel luglio 2010 in Nigeria. In tale occasione si appellato agli islamici locali, cercando di valorizzare i legami culturali-religiosi I due partner sono legati da un Trattato di commercio preferenziale firmato nel 2006, una Road Mapper la cooperazione economica stipulata nel 2007 ed una successiva normativa bancaria comune mirata ad agevolare le transazioni.

Incontro D8 in Nigeria (luglio 2010)

Paradigmatico poi il caso dello Zimbabwe: vendita-acquisto di uranio e posizione di difesa nei confronti delle sanzioni internazionali, sono i due fattori che dal 2005 hanno contribuito a creare lasse Harare-Teheran. Robert Mugabe e Mahmud Ahmadinejad in questi 7 anni hanno sviluppato un blocco comune, intorno allidea della Cooperazione Sud-Sud. Le loro forze ed i loro interessi sono complementari: il leader dello Zimbabwe African National Union Patriotric Front (ZANU-PF) si trova nella condizione di dove sfruttare le vaste riserve di uranio del distretto di Kanyemba (160 miglia a nord di Harare, circa 450.000 tonnellate di minerale 111

di uranio) per rispondere alla drammatica crisi economica in atto nel paese, il leader dell Alliance of Builders of Islamic Iran ha la possibilit di pagare in petrolio la materia prima per far lavorare il reattore di Isfahan e sviluppare il progetto nucleare a scopo civile. Attorno a questo nucleo duro si sono sviluppati poi interessi commerciali: nei settori dellagricoltura, dellindustria manifatturiera, della tecnologia, del tessile, del turismo, delle infrastrutture dei trasporti. La sintonia tra i due partner in questi anni stata completa perch ha avuto come collante un nemico comune, vale a dire il blocco occidentale, in particolare USA e Regno Unito. Numerose le visite di alto livello a testimoniare lamicizia reciproca: nel novembre 2006 Mugabe ha visitato Teheran; il 3-4 Settembre 2007 una delegazione dello Zimbabwe ha partecipato alla sessione ministeriale dei diritti umani del Movimento dei Non allineati a Teheran; il 25 settembre 2007 si svolto lincontro Mugabe-Ahmadinejad in margine ai lavori dellAssemblea Generale delle Nazioni Unite in cui i due leader hanno chiaramente parlato del bisogno dellunit dei paesi in via di sviluppo contro il neocolonialismo americano e britannico; nel gennaio 2010 il numero due dellAmbasciata iraniana in Zimbabwe, Javad Dehghan, ha dichiarato lampliamento delle relazioni gi esistenti in tutte le aree della cooperazione ed ha offerto assistenza umanitaria per rafforzare le relazioni fraterne tra le due nazioni; il 10 marzo 2010 sono stati annunciati piani di collaborazione nel settore energetico in occasione dellincontro a Teheran tra Didymus Mustasa (Ministro di Stato per gli affari presidenziali dello Zimbabwe) e Masoud Mir Kazemi (Ministro iraniano del petrolio); il 22-23 aprile 2010 il Presidente Ahmadinejad si recato ad Harare per l inaugurazione della 51ma esizione della Zimbabwe International Trade Fair (ZITF) di Bulawayo; il 17-20 maggio 2010 il Presidente Mugabe ha partecipato al 14mo summit G15 a Teheran confermando apertamente il supporto di Harare per il programma nucleare iraniano;

Il presidente Mugabe (sinistra) riceve il Presidente Ahmadinejad(destra) ad Harare (aprile 2010)

Lapproccio seguito da Mugabe si sviluppa intorno alla Far East Policy (vale a dire il tentativo di cercare collaborazioni ad est con Cina, Corea del Nord ed Iran per cercare uno sdoganamento

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internazionale e garantirsi la sopravvivenza economica), la linea di Ahmadinejad ruota intorno alla retorica della lotta contro il satana occidentale. Tali politiche hanno un peso rilevante a livello formale ma si scontrano con le opposizioni interne. In occasione della visita di Ahmadinejad in Zimbabwe dellaprile 2010, il Primo Ministro Tsvangirai (esponente del partito Movement for Democratic Change-MDC) e i responsabili del suo partito si sono rifiutati di accogliere allarrivo il leader e la sua delegazione. Il movimento ha parlato di scandalo politico colossale che avrebbe potuto aumentare la tensione allinterno del paese, danneggiandolo ulteriormente nella sua immagine esterna. I responsabili del MDC hanno attaccato chiaramente il leader iraniano rispetto al tema dei diritti umani ed hanno affermato chiaramente che invitare luomo forte iraniano ad un forum degli investimenti come invitare le mosche a curare la malaria. Per dimostrare la seriet del suo impegno, il Presidente Mahmoud Ahmadinejad ha promosso il 1415 settembre 2010 a Teheran lorganizzazione del Forum Iran-Africa, mezzo necessario per istituzionalizzare i rapporti, per razionalizzarli e ordinarli in una struttura ben precisa. Allevento hanno partecipato una quarantina di capi di stato e di governo africani, convinti di poter valorizzare le risorse nazionali grazie allaiuto di progetti infrastrutturali e finanziamenti messi a disposizione dal generoso partner iraniano, criticato e demonizzato dallOccidente. Molto apprezzati sono stati in tale occasione i discorsi di Abodulaye Wade (allora presidente del Senegal) e di Bingu Wa Mutharika (allora capo dello Stato del Malawi e Presidente di turno dellUnione Africana, defunto nellaprile 2012). I due leader hanno sottolineato la loro disponibilit a rafforzare questo nuovo capitolo della cooperazione sud-sud, mentre Ahmadinejad ha evidenziato la grande comunanza di valori e la speranza per un futuro migliore, ricordando che non ci sono limiti allespansione di una mutua cooperazione al massimo livello.

Forum Iran-Africa (Teheran, 14-15 settembre 2010)

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Sono numerosi gli esperti che notano una forza dirompente del binomio che potrebbe incrinare o mettere a serio rischio vecchie alleanze, con gli Stati Uniti, o con i partners europei (Regno Unito o Francia). Il timore che partner come il Senegal, lUganda e la Mauritania stiano percorrendo un doppio binario, allettante ma ricco di insidie. Posti di fronte ad una scelta, i partner africani chi sceglierebbero tra Washington e Teheran? Pur notando il carattere rivoluzionario del nuovo asse, lapprezzata rivista The Economist in un articolo del 2010 ebbe a notare che i paesi africani difficilmente avrebbero messo a repentaglio i saldi legami con lOccidente. Nonostante i vantaggi diretti che potrebbero avere i detentori del potere ed i gruppi a loro vicini, essi stessi si rendono conto dei rischi in cui possono incorrere proseguendo con uno di quelli che definito Stato canaglia. A ci si deve aggiungere, lemergere lento di una coscienza critica delle opposizioni africane come anche delle organizzazioni non governative che avvertono i pericoli di certe scelte, potenzialmente capaci di mettere a repentaglio limmagine del proprio paese a livello internazionale. Interessante sottolineare piuttosto che, proprio sul terreno africano, potrebbero contrapporsi le ambizioni iraniane ed israeliane. Tel Aviv teme molto le strette relazioni di Teheran con Khartoum ed Asmara, in quanto paesi che potrebbero minacciare la sua sicurezza o attraverso linvio di armi ad Hamas o il supporto di operazioni terroristiche. La visita del Ministro degli Esteri Lieberman in Africa nel settembre 2009 stata funzionale ad arginare lattivit del nemico ed a rafforzare i saldi legami con alcuni partner africani (Etiopia, Ghana, Kenya, Nigeria ed Uganda).

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LEZIONE N. 26
I RAPPORTI AFRICA-TURCHIA
Le relazioni Turchia-Africa devono essere lette alla luce del ri-orientamento della politica estera operato dal governo di Ankara nellultimo decennio (in virt della mancata risposta positiva da parte delle istituzioni di Bruxelles circa lingresso nellUnione Europea) e della ricerca di un nuovo ruolo allinterno della politica globale. Lartefice del cambio deve essere considerato Ahmet Davutoglu (dal 2002 al 2009 in qualit di consulente del Primo Ministro e dal 2009 come Ministro degli Esteri), che ha saputo leggere le sfide del nuovo secolo e valutare le possibili sinergie con i diversi attori internazionali. Lo studioso Mehmet Ozkan ha individuato 3 fasi del rapporto Turchia Africa: la 1 fase si sviluppa dalle relazioni che lImpero Ottomano ha con il continente lungo tutto il IXX secolo fino allo stabilimento della Repubblica Turca del 1923 e si presenta molto articolata e dinamica; la 2 fase si svolge dal 1923 al 1998 e registra un calo nei rapporti multi-bilaterali; la 3 fase va dal 1998 ai nostri giorni e si qualifica come il periodo del revival delle relazioni, partito dalladozione da parte della Turchia del documento Opening up to Africa Policy. In realt, allinterno di questo revival sarebbe preferibile distinguere tra il rilancio degli anni 1998-2005 e la vera e propria offensiva dal 2005 in poi. E infatti nel 2007 che si organizza il primo Turkey-Africa Trade Summit, nel 2008 che viene lanciato il Turkey-Africa Summit , si moltiplicano gli scambi di visite di alto livello ed il ruolo di mediazione della Turchia nella crisi del Darfur si distingue in modo evidente. La partecipazione africana al 1 Turkey-Africa Summit (Istanbul, 18-21 Agosto 2008), non di massimo rango, n omogenea (dallAfrica sono arrivati solo 6 Capi di Stato, 5 Vice Capi di Stato, 6 Primi Ministri, per il resto Ministri e ali funzionari ministeriali) indica che gli invitati del black continent non avevano ben compreso inizialmente la finalit dellevento n tantomeno le intenzioni del partner ospitante, essendo anche attratti da altre partnership proposte con vigore dagli attori dellestremo oriente. Lincontro dellagosto 2008, focalizzato sul tema Solidarity and Partnership for a Common Future, si concluso con ladozione della Istanbul Declaration e del Turkey Africa Partnership Framework Document. In questultimo documento i partner si sono impegnati ad approfondire: la cooperazione intergovernativa; il commercio e linvestimento; lagricoltura, lagrobusiness, lo sviluppo rurale, il management delle risorse idriche e lattivit delle Piccole e Medie Imprese; la sanit; 115

la pace e la sicurezza linfrastruttura, lenergia ed il trasporto; la cultura, il turismo e leducazione;

Per assicurare limplementazione dei programmi e delle politiche concordate dalla Turchia ed i partner africani presenti, stato concordato un meccanismo dei seguiti che prevede di organizzare un Summit ogni 5 anni, di pianificare una Ministerial Review Conference tra un Summit e laltro, di svolgere dei meeting di Senior Officials di revisione ed implementazione dei programmi, nonch incontri settoriali Ministeriali e di alti funzionari. Il prossimo Summit si svolger in Africa nel 2013. Come da programma, il 16 dicembre 2011 si svolta ad Istanbul la Turkey-Africa Partnership Ministerial Review Conference , preceduta il giorno prima da un High Level Preparatory Meeting. In tale occasione, il Ministro Davutolu ha confermato lintenzione di Creare una cintura di stabilit, sicurezza e prosperit attorno alla Turchia ed ha garantito il pieno impegno del suo Paese affinch ci avvenga. Nel proporre tale iniziativa, la Turchia ha cercato di valorizzare alcuni punti di forza che le sono propri, come ad esempio il fatto di non aver avuto una presenza coloniale in Africa; il fatto di essere posizionata in un punto favorevole dincrocio tra Europa, Africa e Asia, molto vantaggioso per i commerci internazionali; il fatto di avere in comune con alcuni partner africani la religione islamica (fattore identitario, questo, assolutamente determinante). Lobiettivo quello di dinamizzare i rapporti commerciali e di moltiplicare il valore degli scambi che ad oggi, di molto inferiore rispetto a quello con Cina e India. Dalla seguente tabella si deduce che linterscambio passato da 3,5 miliardi di US$ nel 1997, a 15,7 miliardi di US$ nel 2010. Il salto quantitativo avvenuto nel 2006 (12 miliardi di US$ nel 2006), in concomitanza con lottenimento da parte della Turchia dello status di Osservatore nellambito dellUnione Africana, con il lancio del 2005 come Anno dellAfrica, con le visite del Presidente Erdogan in Sud Africa ed Etiopia. Commercio bilaterale Turchia-Africa (1997-2010) cifre espresse in milioni US$
Export di Turchia 1997 2000 2002 2004 2006 2008 2009 2010

1.234
Import di Turchia 1997

1.373
2000

1.697
2002

2.968
2004

4.566
2006

9.062
2008

10.179
2009

9.3
2010

2.197 2.714 Fonte: http://www.dtm.gov.tr

2.696

4.820

7.405

7.770

5.700

6.4

Nel 2010, i mercati pi interessanti per le esportazioni turche sono stati: lEgitto ( 2,2 miliardi di US $), la Libia (1,9 miliardi di US $), lAlgeria (1,3 miliardi di US$), la Tunisia (713 milioni di US$), il

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Marocco (624 milioni di US$) ed il Sud Africa (369 milioni di US $). Le vendite si sono concentrate su macchinari e prodotti plastici. Sempre nello stesso anno, i mercati pi attraenti per la Turchia ai fini delle importazioni sono stati lAlgeria ( 2,2 miliardi di US$), lEgitto (926 milioni di US$), il Sud Africa (889 milioni di US$), la Nigeria (602 milioni di US$) e la Libia (425 milioni di US$). Per lo pi la Turchia ha importato minerali, pietre preziose, metalli, cacao, ferro e acciaio. E evidente la convergenza di interessi: nellottica di Ankara aprire nuovi mercati a sud del Mediterraneo significa ridurre la dipendenza dai partner europei (che negli ultimi 2-3 anni hanno vissuto una profonda crisi economico-finanziaria); dal punto di vista degli Africani significa avere un nuovo interlocutore, poter contare su un paladino islamico nel cuore ma laico nelle forme, che ha registrato tassi di crescita tra il 6% ed il 9% nellultimo decennio. Centrale si dimostrato il ruolo della TUSKON Turkish Confederation of Businessmen and Industrialists (vale a dire la Confindustria locale) che ha promosso incontri tra industriali e missioni di imprenditori turchi interessati ad operare nella regione africana. In un numero della rivista Nigrizia di dicembre 2011, stata riportata la posizione di Rizanur Meral (presidente della TUSKON) secondo il quale sono molti gli imprenditori turchi che pensano all'Africa come ancora di salvataggio . Per la Confindustria turca, quello sub-sahariano il mercato in pi rapida crescita nei prossimi 10 anni. Sempre Nigrizia ha ricordato che Le imprese turche sono impegnate, in particolare, nelle infrastrutture e in campo edilizio. In Nigeria, la Eser Construction, oltre a realizzare strade nello stato di Osun (nella regione sud), stata chiamata a migliorare le ferrovie del paese con un progetto di 230 milioni di dollari. Sono sempre imprenditori turchi quelli che stanno costruendo l'ospedale di Abuja. E la Nigerian-Turkish Nile University (Ntun) della capitale figlia di un progetto turco-nigeriano. Le visite di alto livello hanno evidenziato il crescente interesse di Ankara nei confronti del cd. black continent. Oltre a quella precedentemente accennata del 2005 del Premier Erdogan in Sud Africa ed Etiopia, opportuno ricordare le sue missioni in Sudan (2006), in Somalia, Etiopia, Egitto, Tunisia, Libia e Sud Africa (2011). A ci si aggiungano quelle del Presidente Abdullah Gul in visita in Egitto, Tanzania e Kenya (2009), in Cameroun e Repubblica Democratica del Congo (2010). Anche lapertura di nuove rappresentanze diplomatiche un segno molto importante: negli ultimi 4 anni sono state aperte 15 nuove ambasciate turche nel continente (in Ghana, Cameroon, Cote dIvoire, Angola, Mali, Madagascar, Uganda, Niger, Chad, Tanzania, Mozambico, Guinea, Burkina Faso, Mauritania e Zambia), con annesse le strutture della cooperazione.

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La disponibilit mostrata dalla Turchia nella mediazione per il Darfur merita una riflessione a parte. Molti studiosi hanno parlato di una passive quiet diplomacy utilizzata nei confronti di Khartoum, intendendo per passive quiet diplomacy un modo di discutere i problemi con gli altri partner attraverso un approccio pacifico e di ascolto. In realt i leader di Ankara hanno applicato il principio del rispetto della sovranit (in linea con la politica dellUnione Africana adottata per la regione occidentale sudanese dal 2003 ad oggi), e -pur rigettando lapplicazione del termine genocidio (poco conveniente rispetto a passate azioni perpetrate dallImpero Ottomano e dai Giovani Turchi nei confronti del popolo armeno)- hanno espresso in modo franco le loro osservazioni al Presidente El Bashir in incontri a porte chiuse. Da un lato gli interessi politici e gli imperativi economici con il mondo arabo e con lAfrica, hanno indotto il Premier Erdogan ed il Ministro degli Esteri Davutoglu a non prendere una posizione forte e di contrasto con Khartoum, dallaltro, il desiderio di ritagliarsi un ruolo da giocatore esterno ha comportato una critica privata, facente leva sui rapporti economici e sugli aiuti elargiti negli ultimi anni. Seppur lodevole nella finalit, la Turchia ha sbagliato a non fornire unadeguata informazione ai media internazionali e a non dare una spiegazione delle sue intenzioni alla societ civile. In tale contesto si deve anche ricordare che la Turchia ha co-presieduto con lEgitto lInternational Donors Conference for the Reconstruction and Development of Darfur il 21 Marzo 2010 al Cairo. Altro teatro operativo africano che ha visto la Turchia particolarmente attiva, stato quello della Somalia: dal 21 al 23 maggio 2010 Istanbul ha infatti ospitato una conferenza atta a fornire un forte supporto al Processo di Pace di Djibouti ed al Governo di transizione di Mogadiscio; nellambito dellOIC- Organization of Islamic Cooperation ha inoltre promosso un meeting demergenza nellagosto 2011 per discutere degli aiuti alla Somalia, colpita dalla siccit e dalla carestia, raccogliendo 201 milioni di US$. Quanto fatto ad oggi indubbiamente significativo ma se la Turchia vorr approfondire i legami con il continente africano, oltre al canale commerciale dovr lavorare anche nel settore culturale. A tal fine, potrebbe rivelarsi utile allesecutivo di Ankara promuovere un avvicinamento delle societ; far conoscere meglio le rispettive lingue, storie e culture; favorire scambi di studenti universitari e sostenere incontri tra studiosi delle due aree. Ci significherebbe fare un salto qualitativo e permetterebbe un inserimento a pieno titolo tra i numerosi interlocutori che si presentano, oggi, nella regione sahariana.

LEZIONE N. 27-28
I RAPPORTI AFRICA-USA
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I rapporti Africa-USA hanno subito unevoluzione nellultimo trentennio: se durante la guerra Fredda il black continent era considerato uno scacchiere in cui gli USA si confrontavano indirettamente con lUnione Sovietica, dopo la caduta del Muro di Berlino c stato un progressivo disinteresse con la riduzione degli aiuti e della presenza americana. Lesperienza somala (fine 1992-inizio 1994) fu vissuta dagli Stati Uniti come un grave errore, che rafforz la convinzione del necessario allontanamento da una regione intesa come potenziale fonte di problemi. La diplomazia di Wahington non fece nulla per bloccare il genocidio in Rwanda e la disponibilit di Bill Clinton si limit ad organizzare una conferenza sullAfrica alla Casa Bianca il 26-27 giugno 1994, nonch a mandare Jesse Jackson come inviato speciale nella regione occidentale africana per cercare una soluzione alla crisi della Sierra Leone nel maggio 2000. Durante gli anni della Presidenza Clinton (1993-2001), la linea adottata in Africa fu soprattutto quella del multilateralismo; vennero messe in luce questioni chiave relative allo sviluppo (degradazione ambientale, rischi per la salute pubblica); aument il ruolo e linfluenza di organizzazioni non governative attive in Africa (ad es. Global Coalition for Africa, AfricanAmerican Institute, Carter Center, Africare); venne promosso il disegno di legge dellAfrican Growth Opportunity Act (AGOA), poi trasformato in legge nel maggio 2000, secondo la logica del trade not aid. Il cambio di tendenza della politica americana sarebbe avvenuto a distanza di poco tempo, non per programmazione mirata o disegno politico specifico ma per forzatura della storia. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, il candidato repubblicano George Bush aveva infatti espresso la mancanza di interesse nei confronti dellAfrica da parte del suo partito: di fatto, il continente era nella parte bassa della lista delle priorit degli USA. Fu solo l11 settembre 2001 a modificare velocemente tale percezione: la frattura con il mondo arabo comport unattenzione verso aree alternative produttrici di petrolio; la minaccia del terrorismo globale ed il suo network indusse a rivedere la presenza ed i programmi militari americani nelle regioni del Sud del mondo, dove carenze strutturali (povert, debole governance, corruzione, scarso controllo del territorio da parte del potere centrale) venivano percepite come una potenziale minaccia, in quanto terreno fertile per lo sviluppo di organizzazioni radicali islamiche. Commercio, ricerca di nuove fonti petrolifere e lotta al terrorismo hanno guidato di fatto la politica americana in Africa nellultimo decennio. Sulla base di tale assunto, di seguito verr fatta una breve presentazione dellAGOA, di alcune iniziative militari americane in Africa ed infine di AFRICOM.

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LAGOA mira a facilitare laccesso negli Stati Uniti di determinati prodotti africani (ad oggi circa 7000) a condizione che non danneggino la produzione nazionale- a tariffa zero o a tariffa ridotta, provenienti da un preciso numero di paesi africani, eleggibili secondo standard ben precisi. Leleggibilit di un paese beneficiario dipende dal fatto che esso abbia fatto o stia facendo progressi verso lo stabilimento di uneconomia di mercato ed il pluralismo politico; che abbia fatto degli sforzi per combattere la corruzione; che abbia promosso politiche per ridurre la povert, rendere accessibile le cure sanitarie e le opportunit educative ai suoi cittadini; che non sia coinvolto in azioni che mettono in pericolo la sicurezza americana ed i suoi interessi di politica estera; che non sia implicato in violazioni di diritti umani e non assicuri supporto al terrorismo. La lista annuale dei paesi coinvolti nelliniziativa dipende dalle condizioni politiche locali: alcuni Stati sono stati rimossi per brevi periodi (vd Guinea, Madagascar, Niger nel 2009 a seguito di rivolgimenti interni) e poi reinseriti dopo aver avviato un processo di normalizzazione politica interna. Al 2012 risultano beneficiari dellAGOA: Angola Benin Botswana Burkina Faso Burundi Cameroon Capo Verde Chad Comore Congo Djibouti Etiopia Gabon Gambia
Fonte: www.agoa.info

Ghana Guinea Guinea Bissau Kenya Lesotho Liberia Madagascar Malawi Mali Mauritius Mauritania Mozambico Namibia Niger

Nigeria Rwanda Sao TOm e Principe Senegal Seychelles Sierra Leone Sud Africa Swaziland Tanzania Togo Uganda Zambia

Da un rapido esame della tabella evidente che: 1) in tale lista non rientrano i paesi del Nord Africa con cui gli Stati Uniti perseguono un altro tipo di rapporto e fanno rientrare in una diversa categoria (quella dei MENA Middle East and North African Countries); 2) non sono inseriti Stati come Eritrea, Sudan e Zimbabwe nei confronti delle cui leadership al potere permangono perplessit, se non contrasti (pi o meno palesi). Inizialmente lAGOA era prevista fino al 2008, poi nel 2004 il Congresso americano decise di prorogarla al 2015. Le importazioni americane in seguito al varo dellAGOA si sono diversificate. Tra i prodotti significativi acquistati risultano: gioielli, frutta e noci, succhi di frutta, prodotti in pelle, prodotti plastici, pasta di cacao. 120

Nel 2010 i paesi maggiormente beneficiari dellAGOA sono risultati in primis Nigeria, Angola, Sud Africa, Congo e Chad, quindi Gabon, Repubblica Democratica del Congo, Lesotho, Kenya, Cameroon e Mauritius. A parte lAGOA, un quadro pi generale dei rapporti commerciali USA-Africa sub-sahariana permette di dire che le esportazioni americane (per lo pi macchinari e motoveicoli) sono passate da 14,29 miliardi di US$ nel 2007 a 17,06 miliardi di US$ nel 2010; le importazioni dallAfrica (petrolio, gas, platino, diamanti, cacao) sono passate da 67,35 miliardi di US$ nel 2007 a 65,01 miliardi US$ nel 2010 (di cui 44 miliardi di US$ nellambito dellAGOA). Commercio bilaterale USA-Africa sub-sahariana (miliardi US$) Export/Import US exports US Imports 2007 14,29 67,35 2008 18,47 86,05 2009 15,15 46,90 2010 17,06 65,01

Fonte: US Department of Commerce

Nella lista dei paesi africani acquirenti di prodotti made in USA si distinguono Sud Africa (41,6%), Nigeria (29,8%) , Angola (9,5%), Ghana (7,3%), Etiopia (5,6%), Benin (3,4%) , Kenya (2,7%) ; nella lista dei paesi fornitori si segnalano Nigeria (46,9%), Angola (18,4%), Sud Africa (12,6%), Gabon (3,4%). Per quanto concerne le iniziative militari americane in Africa si segnalano: Area orientale: - lEast African Counter-Terrorism Initiative (EACTI), stabilito nel giugno 2003 come programma del Dipartimento di Stato, provvede a fornire agli stati-chiave dellarea orientale africana la formazione militare per rafforzare la sicurezza sulle coste, le linee di frontiera terrestri, gli aeroporti; - la Combined Joint Task Force, Horn of Africa (CJTF-HOA) una task force che combina assistenza alla sicurezza con programmi umanitari che mirano a combattere il terrorismo, a ridurre le condizioni che portano al terrorismo, a convincere le popolazioni a dare un supporto nella guerra al terrorismo. Area Occidentale: - la Pan-Sahel Initiative (PSI) promossa tra il novembre 2002 ed il marzo 2004 con un budget di oltre 7,75 milioni di US$ (alcune fonti parlano di 8,4 milioni di US$), si proponeva dir assicurare assistenza a Chad, Niger, Mali e Mauritania nella formazione del personale militare, al fine di 121

migliorare la sicurezza nelle loro aree di confine ed impedire movimenti/collegamenti di gruppi terroristi nelle aree nazionali. - la Trans-Sahel Counter-Terrorism Initiative (TSCTI) - nata inizialmente con un budget di 16 milioni di US$ nel 2005, con lobiettivo di portare tale quota a 30 milioni di US$ nel 2006 e a 100 milioni di US$ allanno fino al 2011- liniziativa era finalizzata a sconfiggere organizzazioni terroriste, rafforzare e istituzionalizzare la cooperazione tra le forze regionali; promuovere la governance democratica, discreditare lideologia terrorista e rafforzare i legami bilaterali militari con gli Stati Uniti. La TSCTI ampliava lottica dellearea seguita dalla PSI, coinvolgendo Mauritania, Mali, Chad, Niger, Nigeria Senegal, Marocco, Algeria e Tunisia. La creazione di AFRICOM, il comando militare americano che focalizza la sua attenzione su tutto il continente (ad eccezione dellEgitto che rientra sotto lo US CENTCOM-Central Command) ha aperto un nuovo capitolo focalizzato sulla sicurezza nella collaborazione USA-Africa. Lo US Africa Command AFRICOM stato attivato il 1 ottobre 2007 ed divenuto operativo il 1 ottobre 2008. E stato comandato dal Gen William E. Kip Ward dal 1 ottobre 2007 al 9 marzo 2011; dal 9 marzo 2011 diretto dal Gen Carter F Ham . Secondo quanto riportato dalla documentazione di AFRICOM, lintento duplice: 1) proteggere il territorio americano, i cittadini statunitensi allestero e gli interessi nazionali dalle minacce transnazionali che emanano dal continente africano; 2) attraverso un impegno sostenuto, permettere ai partner africani di creare un ambiente della sicurezza che promuova stabilit, favorisca la governance, incoraggi lo sviluppo. Le attivit, i piani e le operazioni di AFRICOM sono centrate su due principi guida che riconoscono che: 1) un continente africano sicuro e stabile nellinteresse nazionale americano; 2) sul lungo periodo saranno gli africani stessi i pi abili a cogliere le sfide per la loro sicurezza. I compiti pi importanti di AFRICOM sono: - dissuadere o sconfiggere Al Qaeda e qualsiasi altra organizzazione estremista che opera in Africa; - rafforzare le capacit di difesa degli stati-chiave africani e dei partner regionali. Attraverso limpegno costante e mirato, aiutare gli africani a costruire istituzioni di difesa e forze militari che siano capaci, durevoli, subordinate allautorit civile, rispettose della legge, impegnate a garantire il benessere dei cittadini. Accrescere la capacit degli stati-chiave nel contribuire alle attivit militari regionali ed internazionali, finalizzate a preservare la pace e a combattere le minacce transnazionali alla sicurezza; - assicurare laccesso americano allAfrica ed attraverso il suo territorio, a supporto delle richieste globali; 122

- essere preparati, come parte di un approccio governativo nel suo insieme, ad aiutare a proteggere gli stati africani dalle atrocit di massa. La qual cosa comporta che il modo migliore per far ci sia limpegno intenso e prolungato con i militari africani; - qualora ricevute istruzioni, assicurare il supporto militare agli sforzi di assistenza umanitaria. La localizzazione di AFRICOM ha comportato un acceso dibattito tra i partner africani, che si sono rifiutati di ospitare la struttura. Per tale motivo, al momento la sede a Stoccarda (Germania). Gli avvenimenti degli ultimi anni (la pirateria al largo delle coste somale, la presenza di Al Shabab in Somalia, di Boko Haram in Nigeria, di Al Qaeda nel Maghreb Islamico in unarea che copre parte dello spazio maghrebino e parte dello spazio saheliano, il terrore seminato dal Lords Resistance Army nella regione centrale africana) hanno evidenziato i rischi che corre lAfrica, tagliata da unasse est a ovest in cui si raccordano formazioni terroriste collegate allislam radicale e al Al Qaeda, che vogliono islamizzare forzosamente le aree in cui operano e sovvertire lordine istituzionale. Non un rischio fine a se stesso, in quanto il territorio pu essere utilizzato come base per lorganizzazione di attentati nellarea al di l del Mediterraneo (vale a dire lEuropa) ed oltre Oceano (cio negli Stati Uniti). Non pi solo la Somalia il black hole africano: Nigeria, Mali e Nord Africa vivono drammatiche fasi storiche che potrebbero facilmente degenerare, provocando un effetto domino di instabilit. Proprio per questo motivo, lamministrazione di Barack Obama si muove con estrema cautela in Africa perch consapevole della sua importanza per la sicurezza e la prosperit della comunit internazionale, per gli Stati Uniti in particolare. Good governance, lotta alla corruzione, sviluppo economico, valorizzazione delle risorse umane sono tasselli attraverso cui possibile formare lAfrica del XXI secolo. In occasione della sua visita in Ghana nel luglio 2009, il Presidente americano ha sottolineato con forza che LAfrica non ha bisogno di uomini forti ma di istituzioni forti, e proprio sulla base di tale convinzione si sta adoperando per promuovere un rafforzamento della capacit istituzionale africana.

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LEZIONE N. 29
I RAPPORTI AFRICA-REGNO UNITO
Il Regno Unito stato un attore determinante per la storia africana degli ultimi due secoli. Nellapplicazione del suo sistema coloniale, basato sullindirect rule, il Regno Unito ha dimostrato grande spirito pragmatico ed adattamento alle realt locali. Questo approccio ha segnato profondamente tutte le vicende politiche delle colonie britanniche negli anni successivi alle indipendenze ed poi stato alla base delle nuove forme di collaborazione tra le parti. Per comprendere gli elementi caratteristici del rapporto Regno Unito-Africa nellultimo cinquantennio interessante tornare indietro nel tempo e capire quale la logica alle sue radici. In tal senso pu essere utile riflettere su quanto scritto dalla storica Anna Maria Gentili sulla fase coloniale: Lindirect rule derivava da una concezione del tutto opposta allideale universalista; non partiva dalla premessa che fosse possibile e si dovesse dovunque operare per la necessaria ed ineluttabile evoluzione di tutte le societ verso unomogenea civilizzazione. Metteva invece in primo piano il primato e lesclusivit della diversit culturale, di razza, lingua e istituzioni sociali. La dominazione britannica distingueva perci nettamente tra governo coloniale e la costruzione di native administrations in ciascun territorio che funzionassero per mezzo di istituzioni tradizionali. () Compito del governo coloniale doveva essere di promuovere azioni e programmi di benessere economico e sociale, per mezzo appunto delluso delle consuetudini, garantite dalla gestione dei capi legittimamente considerati tradizionali. La nozione di native administration contemplava una notevole misura di libert dazione per le autorit indigene, riconosciute e rimodellate secondo le suddivisioni amministrative e le funzioni che il governo coloniale centrale ed i district commissionerrs, i funzionari locali ritenevano potessero rispondere allesigenza di massimizzare risparmio di fondi ed efficienza amministrativa. La colonizzazione britannica in molte parti del mondo aveva costruito un diversificato corpus di esperienze, sicch lo status delle dipendenze britanniche pi che dalla teoria legale dipendeva dalla stratificazione di rapporti, negoziati, trattati e dalle circostanze storiche della loro incorporazione in colonie e protettorati. La tradizionale elasticit del costituzionalismo britannico lasciava dunque spazio a diverse forme di governo nelle dipendenze ()

Spartizione dellAfrica, con indicazione dei territori facenti parte a vario titolo dellimpero britannico (1885-1914)

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Pragmatismo ed adattamento sono dunque le caratteristiche dellasse verticale che si sviluppa dal Sud Africa allEgitto, in cui si trovano colonie, mandati e protettorati, aree sulle quali si sviluppano diverse forme di controllo da parte del Regno Unito. Ma pragmatismo e adattamento si prolungano nel tempo e divengono gli elementi peculiari del rapporto tra Londra e le capitali africane anche dopo le indipendenze. Secondo James Mayall, a partire dal momento in cui si ritira dalle colonie africane, il Regno Unito adotta un approccio per trasformare le eredit imperiali da responsabilit a risorse vantaggiose, sentendo il bisogno di creare una rete di relazioni speciali anche se di pi basso profilo rispetto alle precedenti. Nel corso degli anni 70, i governi di Londra operano con le loro ex colonie attraverso rapporti bilaterali privilegiati ed attraverso il Commonwealth, pur nella consapevolezza negli anni 80-90 che lAfrica rappresenta una fonte di problemi piuttosto che unopportunit. Finita la fase della Guerra Fredda, gli esecutivi conservatori del Regno Unito (guidati da Margaret Thatcher e John Major) seguono con particolare attenzione le vicende europee e su di esse proiettano (in modo vigile) forze e risorse. Ci comporta inevitabilmente la riduzione degli aiuti a favore del continente africano (a tal riguardo, Paul Williams parla di una riduzione del 18% per il budget africano tra il 1994 ed il 1997) e la chiusura di sedi diplomatiche in Africa. E solo con il governo laburista di Tony Blair (dal maggio 1997 al giugno 2007) che i temi africani rientrano nellagenda britannica. La creazione nel febbraio 2004 di una Commissione ad hoc, voluta dallo stesso Primo ministro britannico, quale organo tecnico consultivo a supporto del Piano dazione per lAfrica del G8 nonch delle iniziative varate in ambito europeo, induce in quegli anni a ben sperare per la promozione di nuove politiche a favore del continente. La Commission Blair presenta il Rapporto finale Our Common Interest nel marzo 2005. Il documento frutto del lavoro di 17 Commissari (tra cui spiccano illustri personalit della Nigeria, dellUganda, del Ghana, del Sud Africa, della Tanzania, della Cote dIvoire, dellEtiopia e del Botswana) che hanno partecipato a tre incontri ufficiali e a numerose conferenze settoriali con esponenti del mondo della finanza e della societ civile africana. Lobiettivo quello di promuovere nuove idee per lo sviluppo ed implementare gli impegni assunti con lAfrica.

Commission for Africa (2005)

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Seppur nato in unatmosfera di grande euforia, il Rapporto presenta numerose zone dombra. Nel documento c la percezione di un cambiamento in atto nel continente, c il richiamo alla responsabilit locale ed a una migliore governance, c lampliamento di impegno finanziario da parte dei Paesi ricchi, ma viene fatta semplicemente una foto della realt africana al 2005 e viene riconosciuta la disponibilit dei Paesi ricchi ad aumentare le risorse destinate in assistenza allo sviluppo (con una variazione dall 0,25 allo 0,7 % del Pil). Allepoca della sua pubblicazione, molti critici notarono che il Rapporto della Commissione Blair era semplicemente un tentativo di realismo politico di un leader che voleva riguadagnare consensi allinterno del partito laburista dopo la guerra in Iraq e che voleva dare un segnale di divisione di sfere di competenza allAmministrazione americana (secondo tale ipotesi, il Grande Medio Oriente sarebbe preso sotto lala protettrice di Washington, mentre lAfrica passerebbe sotto la copertura di Londra), ma di fatto non apportava un qualcosa di nuovo e vantaggioso per lo sviluppo del continente. Nel settembre 2010, la Commissione ha pubblicato un secondo Rapporto Still Our Common Interestin cui sono stati esaminati i risultati degli ultimi 5 anni, sono state identificate le sfide e le opportunit future per il continente africano e sono state fatte nuove raccomandazioni. Nonostante i progressi registrati in diversi settori per il raggiungimento dei Millennium Development Goals, stata messa in luce la grave debolezza della riforma nel reparto commerciale. Parlando della relazione in essere tra la Gran Bretagna e lAfrica, non si pu dimenticare il ruolo del Commonwealth. Tale associazione volontaria di 54 paesi (19 facenti parte dellAfrica, 8 dellAsia, 3 delle Americhe, 10 dei Caraibi, 3 dellEuropa ed 11 del Pacifico) in cui vivono 2 miliardi di persone, presentata come una struttura in cui i membri si supportano vicendevolmente e lavorano insieme verso gli obiettivi condivisi della democrazia e dello sviluppo.

Logo del Commonwealth Il lavoro dellassociazione volontaria finalizzato a costruire istituzioni democratiche forti nei paesi membri; a consolidare le politiche ed i sistemi che supportano la crescita economica degli aderenti; a contribuire allo sviluppo di societ in cui gli individui abbiano accesso ad un alto livello di educazione, senza alcun riguardo al genere, allet, allo status economico o alletnia; a promuovere e supportare lo sviluppo economico-sociale allinterno dei paesi membri, specialmente i pi piccoli e meno sviluppati; a prevenire e risolvere i conflitti; a supportare lo sviluppo dei sistemi sanitari 126

nazionali; a favorire lo sviluppo umano; a sostenere lo stato di diritto; a garantire il rispetto dei diritti umani. Tra le azioni prioritarie dellorganizzazione si ricordano: lincoraggiamento alladozione di normative a tutela dei diritti umani; lassistenza -attraverso la formazione del personale- alle commissioni nazionali che operano per la tutela dei diritti umani e laiuto alle agenzie attive nel medesimo settore; la creazione di un network di soggetti (governativi e non) che promuovano la condivisione dellinformazione relativa a programmi per la tutela dei diritti umani. Sostanzialmente si pu dire che il Regno Unito nellultimo ventennio ha promosso la pace nel continente (inviando truppe nazionali in operazioni sotto bandiera ONU, provvedendo alla formazione di personale di polizia ed alladdestramento delle truppe africane) ma lo ha fatto con budget limitati ed in modo selettivo ( rimasto, ad esempio, estraneo al genocidio rwandese perch il paese era al di fuori della sua sfera di influenza); ha sostenuto la good governance e la prosperit economica (supportando ad esempio il New Partnership for Africas DevelopmentNEPAD, lanciato dagli stessi africani nel 2001); ha incoraggiato la democrazia, promuovendo paesi come la Nigeria e la Sierra Leone e colpendo invece attraverso sanzioni- paesi come lo Zimbabwe (con cui ha un rapporto difficile da lungo tempo) in cui non garantito il rispetto dei diritti delluomo e prevale un regime dispotico. I governi laburisti sono stati pi attivi rispetto a quelli conservatori nel proporre un ventaglio di azioni per lAfrica, ma anche vero che proprio durante la loro guida sono aumentate le vendite di armi al continente. Il ritorno ad un governo conservatore guidato da David Cameron (dal maggio 2010) ha registrato un atteggiamento volitivo nella politica africana: basti pensare alla presa di posizione nei confronti della Libia a partire dal febbraio 2011, nonch alla missione ufficiale del luglio 2011 in Sud Africa volta a rilanciare il messaggio che il commercio -e non laiuto- la chiave della prosperit africana. Di fatto si percepisce la volont ed il bisogno da parte del governo britannico in carica di impegnarsi nel continente, sia perch qui si trovano economie che stanno crescendo del 5% ed in cui si pu investire, sia perch lAfrica sta divenendo un interlocutore prezioso per il rifornimento di fonti energetiche, sia perch questarea ormai divenuta lultima frontiera vicina allEuropa in cui si sta combattendo la battaglia contro il terrorismo internazionale di matrice islamica.

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LEZIONE N. 30-31
I RAPPORTI AFRICA-FRANCIA
Quando si parla del rapporto tra i grandi protagonisti internazionali e lAfrica - nonostante la comparsa sulla scena internazionale di dinamici player asiatici- il punto di riferimento, resta sempre la Francia. Tale attore stato indiscutibilmente protagonista attivo della storia africana degli ultimi 200 anni: dalla fase coloniale(assieme al Regno Unito ed in misura minore alla Germania, al Portogallo e pi tardi allItalia) ad oggi. Di fatto la Francia ha influenzato notevolmente la storia degli Stati Africani attraverso: 1) ladozione nel periodo coloniale di un sistema fondato sul principio dellassimilation con la creazione di due macroaree (la federazione dellAfrica Occidentale Francese AOF che raggruppava le 8 colonie della Mauritania, del Senegal, del Sudan francese divenuto Mali, Guinea, Cote dIvoire, Niger, Alto Volta divenuto Burkina Faso, Dahomey divenuto Benin; e la federazione dellAfrica Equatoriale Francese-AEF che riuniva Gabon, Medio Congo divenuto poi Congo Brazzaville, Oubangui-Chari divenuto poi Repubblica Centrafricana, Tchad) pi il Madagascar; 2) il comportamento avuto tra la fine degli anni 50 e linizio degli anni 60 nella fase della decolonizzazione; 3) la ricerca forzosa di un rapporto condizionante dal 1955-1960 in poi. Pur tralasciando la fase coloniale del XIX secolo, prima di proseguire nellapprofondimento dei rapporti Francia-Africa importante capire i delicati anni di passaggio compresi tra il 1956-1960. A tal fine appare illuminante quanto scritto da due noti africanisti, Calchi Novati e Valsecchi, nel volume intitolato Africa: la storia ritrovata del 2005: La Francia tent, senza molto successo, di facilitare laccesso allindipendenza dei suoi possedimenti dellAfrica nera architettando unistituzione che ripetesse i compiti assolti dal Commonwealth per i possedimenti inglesi. La Comunit franco-africana ideata da De Gaulle nel 1958 per lultimo passaggio della decolonizzazione fu poco pi di una finzione ed ebbe comunque vita breve () Tutto il tormentato processo di decolonizzazione dellAOF e AEF stato un dosaggio non sempre limpido fra la concessione dellautonomia ai territori africani e il mantenimento di una qualche forma di controllo da parte di Parigi.Gi nel corso della guerra il generale De Gaulle, alla ricerca come capo delle Francia libera di alleati contro la Germania e i collaborazionisti di Vichy, promise alle colonie africane il passaggio dallassimilazione allassociazione (Conferenza di Brazzaville, 1944)() Nel 1956, fu varata una legge-quadro che istituiva nellAOF, nellAEF e nel Madagascar governi autonomi.() Le divisioni statuite dalla legge del 1956 trovarono una sanzione nellesito del referendum costituzionale indetto nel 1958 al via della Quinta Repubblica fondata da De Gaulle (). Il referendum del 1958 in teoria permetteva di scegliere fra lindipendenza immediata ed una forma di autonomia condizionata entro listituenda Comunit franco-africana, rimandando ancora lemancipazione piena dei territori africani. Solo la Guinea vot in massa per lindipendenza. Il capo del suo governo, Sekou Tour, un sindacalista con propensioni per il marxismo, disse con fierezza a De Gaulle durante la sua visita a Conakry che il popolo della 128

Guinea preferiva la libert nella penuria alla ricchezza nella servit. () Il passaggio allindipendenza fu brusco perch il governo francese accett il verdetto ma interruppe dalloggi al domani tutte le relazioni con la Guinea indipendente, ritirando i tecnici e revocando ogni forma di assistenza. Lesempio della Guinea doveva essere penalizzato affinch nessuno avesse lardire di imitarlo. Con leccezione della Guinea, il responso del referendum diede ragione alla Francia: ci furono forzature, forse qua e l i risultati furono aggiustati o distorti (qualche sospetto fu espresso a proposito del voto del Niger) ma nel complesso il s vinse con facilit. I governi in carica un ceto politico ben inserito nelle logiche di potere interne alle societ locali che svolgeva mansioni burocratiche sotto lala della Francia preparandosi alla transizione disponevano di sufficiente forza persuasiva per far passare le consegne di voto, loro e di Parigi. Per lindipendenza dellAfrica francese era solo questione di anni o addirittura di mesi E in questi anni che nasce la necessit per alcuni politici africani di mantenere i rapporti privilegiati con la Francia anche dopo lindipendenza, parallelamente al bisogno di Parigi di garantirsi fonti di approvvigionamento privilegiate. Da questo momento, la Francia costretta ad inventarsi un nuovo modo per conservare il suo controllo sullarea a Nord ed sud del Sahara. Si possono distinguere quattro pilastri del complesso rapporto Francia-Africa nellultimo cinquantennio: 1) la frane-afrique; 2) i summit Africa-Francia; 3) lOrganizzazione della Francofonia; 4) la linea adottata dagli ultimi 4 Presidente in carica allEliseo. 1) Il termine frane-afrique (coniato dal Presidente ivoriano Houphouet Boigny nel 1955 e molto utilizzato negli anni 90 per denunciare le degenerazioni e gli scandali della V Repubblica francese) indica il carattere occulto delle relazioni Francia-Africa, una sorta di diplomazia sotterranea, un sistema caratterizzato da pratiche di sostegno a dittature e golpe militari (da parte francese) ma anche da storni di fondi pubblici e finanziamenti a partiti politici francesi (da parte africana). Lobiettivo quello di creare un legame capace di mantenere i vantaggi reciproci. Luomo chiave a cui De Gaulle lascia manovra libera nelle questioni africane Jacques Foccart, personaggio occulto per alcuni versi, potentissimo responsabile della cellula africana dellEliseo e profondo conoscitore del mondo africano. E Foccart, il Monsieur Afrique che avvia e perpetua questo nuovo sistema in cui sussiste una dipendenza di fatto dei paesi africani in una prima fase dal 1960 al 1974, poi in una seconda fase dal 1986 al 1997.

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Jacques Foccart, Monsieur Afrique

La frane-afrique permette alla Francia di avere sempre laccesso alle materie prime del continente; di mantenere un ruolo di potenza mondiale, di avere un flusso di finanziamenti illeciti per i suoi partiti, derivante da trasferimenti poco chiari e corruzione nei paesi africani. Seppur in diverso modo, tutti gli Stati dellarea francofona (dal nord al centro africa) sono interessati dal suddetto fenomeno:, Algeria, Marocco, Tunisia, Mauritania, Niger, Mali, Benin, Togo, Cote dIvoire, Gabon, Congo Brazzaville, Cameroun, Repubblica Centrafricana. Nascosta dalla tuteladellinteresse di stato, nel corso degli anni si creata una rete di personaggi occulti, uomini daffari, rappresentanti militari, tra cui si possono ricordare Maurice Robert (direttore del Service de Documentation Extrieure et de Contre-Espionnage-SDECE in Africa), Robert Bourgi (avvocato franco-libanese), Patrick Balkany (deputato francese dell'Union pour un mouvement populaire, sindaco di Levallois-Perret, amico del Presidente Sarkozy), Yvon Omns (exambassadeur de France Yaound), Francis Lott ( ex-ambasciatore francese in Cote dIvoire), Jean Guion (ex consigliere di francois Mitterrand e grande amico del Presidente burkinab Blaise Compaor), Charles Debbasch (gi professore di diritto divenuto consigliere della famiglia Eyadema in Togo), Georges Ouegnin (anziano direttore del protocollo della presidenza ivoriana, ben introdotto in Congo Brazzaville ed alla presidenza della Banca Africana di Sviluppo)

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Patrick Balkany

Robert Bourgi

Non estranei alla logica della frane-afrique, anzi ad essa strettamente collegati, sono gli accordi di cooperazione militare tra i diversi partner africani e la Francia, spesso completati da clausole segrete. Nonostante sia stato definito un capitolo chiuso diverse volte, la rete dinfluenza nelle vecchie colonie permane nellombra ancora oggi, perch legato alle ambizioni della Francia imperiale, una Francia il cui profilo mondiale legato al nucleare, al seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla posizione in Europa ed alla sua capacit di essere uno degli estremi dellasse che domina lUnione (asse franco-tedesco), alla sua influenza in Africa. 2) I Summit Africa-Francia hanno permesso di istituzionalizzare i rapporti tra le parti, dare loro dignit formale ed offrire un nuovo quadro di dialogo tra la Francia e lAfrica francofona. Significativa la definizione che diede del 1mo Summit nel 1973, il Ministro degli Affari Esteri Michel Jobert: La cooperazione franco-africana, cos sovente messa sotto caricatura, costituisce certamente un elemento di progresso e stabilit nel mondo attuale Di seguito la lista degli incontri:
I Summit, Parigi (novembre 1973), focalizzato sul tema della riforma della cooperazione II Summit, Bangui (marzo 1975), focalizzato sul tema del dialogo Nord-Sud III Summit, Parigi (maggio 1976), focalizzato sul tema dello sviluppo IV Summit, Dakar (Aprile 1977), focalizzato sul tema dei crescenti pericoli per lAfrica V Summit, Parigi (maggio 1978), focalizzato sul tema della sicurezza e dello sviluppo VI Summit, Kigali (maggio 1979), focalizzato sul tema delle relazioni euro-africane VII Summit, Nizza (maggio 1980), focalizzato sui temi delleconomia, dello sviluppo e della

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cooperazione VIII Summit, Parigi (novembre 1981), focalizzato sui temi della solidariet e dello sviluppo IX Summit, Kinshasa (ottobre 1982), focalizzato sul tema del dialogo Nord-Sud rispetto alla crisi mondiale X Summit, Vittel (ottobre 1983), focalizzato sul tema dellintegrit del Chad e la sicurezza alimentare in Africa XI Summit, Bujumbura (dicembre 1984), focalizzato sui temi dellautosufficienza alimentare e lo sviluppo coordinato XII Summit, Parigi (1985), focalizzato sui temi delle difficolt economiche dellAfrica e dellindebitamento crescente XIII Summit, Lom (novembre 1986), focalizzato sui temi dello sviluppo, dellapartheid, del Tchad e della sicurezza XIV Summit, Antibes (dicembre 1987), focalizzato sui temi delle materie prime, del debito e della regione australe africana XV Summit, Casablanca (dicembre 1988), focalizzato sui temi della distensione est-ovest, del debito e dei conflitti regionali XVI Summit, La Baule (giugno 1990), focalizzato sul tema delle sfide con cui si sarebbe confrontata lAfrica nel corso dellultimo decennio del XXmo secolo. Storica la precisazione del Presidente Mitterrand durante tale incontro: Noi non vogliamo pi intervenire negli affari interni. Per noi questa forma di sottile colonialismo che consisterebbe nel fare una lezione continua agli stati africani e ai loro dirigenti, una forma di colonialismo perverso. Sarebbe come credere che ci sono dei popoli superiori, che dispongono della verit e altri che non sono pi capaci, quando invece conosco gli sforzi di tanti dirigenti che amano i loro popoli, e che intendono servirli, anche se non allo stesso modo di quanto si svolge sulle rive della Senna o del Tamigi. In tale occasione si decise di legare laiuto allo sviluppo allapertura democratica. In tal modo si costrinsero i dittatori africani a modificare i loro paradigmi e a non fare dellaiuto della Francia unassicurazione perenne per il mantenimento del regime. XVII Summit, Libreville (ottobre 1992), focalizzato sul tema della solidariet, intesa quale esigenza maggiore per uscire dalla crisi XVIII Summit, Biarritz (novembre 1994), focalizzato sul tema di una solidariet accresciuta per uno sforzo in favour della crescita e dello sviluppo XIX Summit, Ouagadougou (dicembre 1996), focalizzato sul tema del buon governo e dello sviluppo XX Summit, Parigi (novembre 1998), focalizzato sulla sicurezza in Africa XXI Summit, Yaound (gennaio 2001), focalizzato sul tema del confronto dellAfrica con le sfide della mondializzazione XXII Summit, Parigi (febbraio 1973), focalizzato sul tema di un nuovo partenariato Africa-Francia

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XXIII Summit, Bamako (3-4 dicembre 2005), focalizzato sul tema della giovent africana XXIV Summit, Cannes (15-16 febbraio 2007) focalizzato sul tema dellAfrica e lequilibrio del mondo XXV Summit, Nizza (31 maggio -1 giugno 2010), focalizzato su alcuni temi politici (quelli dellAfrica nella governance mondiale, del rafforzamento della pace e della sicurezza, del clima e dello sviluppo) e su alcuni temi economici (tra cui quelli delle modalit attraverso cui facilitare laccesso delle imprese ai finanziamenti, dellindividuazione delle risorse per lAfrica del futuro, della mobilitazione dei migranti per la creazione di imprese e investimenti nel continente africano)

XXV Summit Africa-Francia (Nizza, 2010)

Lorganizzazione dellevento di Nizza stata finalizzata a detta del Presidente Sarkozy- alla rifondazione delle relazioni franco-africane. Il responsabile dellEliseo ha inoltre espresso la volont di costruire un rapporto senza complessi e volto al futuro. Tra i vari impegni presi nel 2010 da Parigi, spicca quello della lotta al terrorismo e di un contributo di 300 milioni di euro nel periodo 2010-2012 per formare 12.000 soldati africani attivi nelle forze di mantenimento della pace, nonch quello della promozione del ruolo dellAfrica durante le presidenze francesi del G8 e del G20. Alcuni osservatori hanno parlato di una nuova strategia francese verso il continente, altri hanno sottolineato la chiara consapevolezza della Francia di essere ormai uno tra i tanti interlocutori dellAfrica Secondo quanto fissato nella dichiarazione finale del Summit di Nizza, il prossimo incontro si dovrebbe tenere in Egitto nel 2013. 3) lOrganizzazione della Francofonia (OIF) listituzione fondata sulla lingua francese e sui valori comuni delle genti che la condividono (oltre 1 miliardo di persone, tra quanti vivono in paesi francofoni e coloro che conoscono la lingua). Lorganizzazione, fondata nel 1970 sulla base del trattato di Niamey, composta da 56 paesi membri e da 19 paesi osservatori. 133

La struttura istituzionale dellOIF prevede un Segretario Generale (dal 2003 in carica Abdou Diouf, gi Presidente del Senegal); un organo consultivo rappresentato dallAssemblea Parlamentare della francofonia; un organo politico che prende decisioni, la Conferenza di Capi di Stato e di Governo (meglio conosciuta come Summit dei Capi di Stato e di governo, che si riunisce ogni 2 anni); un organo che d continuit ai Summit, la Conferenza ministeriale della francofonia (cui partecipano i Ministri degli Esteri o della francofonia), il Consiglio Permanente della francofonia incaricato di preparare il lavoro dei Summit e di seguire la fase successiva della messa in opera delle decisioni prese. Gli obiettivi dellOIF, fissati nel 1997 e rivisitati nel 2005 sono: instaurazione e sviluppo della democrazia prevenzione, gestione e regolamento dei conflitti, sostegno allo Stato di diritto ed ai diritti delluomo; avvicinamento delle popolazioni attraverso una mutua conoscenza rafforzamento della solidariet dei popoli attraverso azioni della cooperazione in vista della promozione delleducazione e della formazione A latere degli obiettivi, in occasione del Summit di Ouagadougou del 2004 stato adottato un piano decennale che fissa alcune missioni, quali: la promozione della lingua francese e la diversit culturale e linguistica; la promozione della pace, della democrazia e dei diritti delluomo; lappoggio alleducazione, alla formazione, allinsegnamento superiore e la ricerca; lo sviluppo della cooperazione a servizio dello sviluppo sostenibile Il XIV Summit si svolger nellottobre 2012 a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo)

Manifesto del IX summit della francofonia (Kinshasa 2012)

4) La linea adottata dagli ultimi 4 Presidenti in carica allEliseo lultimo elemento per comprendere levoluzione della politica africana della Francia degli ultimi anni. Francois Mitterrand (in carica al vertice dello Stato dal 1981 al 1995) ha avuto dei rapporti con il continentepoco chiari, definiti addirittura ambigui da taluni esperti. Inizialmente apprezzato in 134

quanto socialista e portatore di una nuova visione nei confronti della regione a nord ed a sud del Sahara, stato proprio sotto la sua presidenza (e quindi con il suo placet, oltre che con la complicit del presidente ivoriano Houphouet Boigny e del togolese Eyadema) che nel 1987 stato assassinato Thomas Sankara (presidente dellAlto Volta, divenuto Burkina Faso). Cosa ancor pi grave e difficilmente perdonabile, stato sotto la sua presidenza che si svolto il genocidio rwandese nel 1994 senza alcuna sua forma di mediazione tra il presidente assassinato Juvenal Habyarimana ed il Fronte Patriottico Rwandese (allora guidato dallattuale Presidente ruandese Paul Kagame). A suo merito viene per ricordata la messa in moto del processo di democratizzazione dellAfrica. Determinante in tal senso stato il Summit Africa-Francia a La Baule del 20 giugno 1990 in cui Mitterrand ha condizionato laiuto allo sviluppo allapertura politica dei vari regimi. Uomo che ha suscitato inizialmente grandi speranze, ha deluso i suoi sostenitori facendo spesso ricorso alle pratiche tipiche della frane-afrique.

Il Presidente Mitterrand al XVI Summit Africa-Francia (La Baule, giugno 1990)

Jacques Chirac (in carica allEliseo dal 1995 al 2007), detto anche Chirac lAfricano, ha sviluppato dei rapporti eccessivamente personali con gli omologhi africani e paternalistici. Durante gli anni del suo potere, le truppe francesi sono intervenute diverse volte in Africa (ad es. in Chad, in Repubblica Centrafricana, in Repubblica Democratica del Congo), ma lintervento pi significativo stato quello in Cote dIvoire. La grave crisi politica scoppiata nel settembre 2002 in quello che un tempo era considerato il gioiello dellAfrica occidentale, ha spinto la Francia a mandare le sue truppe per tutelare i connazionali ed i cittadini europei presenti. I rapporti tra Chirac e lallora Presidente ivoriano Gbagbo non sono stati mai buoni. Diverse le ragioni al riguardo: lappartenenza a campi politici opposti, ma soprattutto i tentativi di Gbagbo di aprire il mercato nazionale ad altri attori stranieri. Chirac stato indubbiamente un grande conoscitore del continente, un uomo che ha traghettato le relazioni franco-africane nel delicato periodo successivo alla guerra fredda ma soprattutto stato colui che ha tentato di difendere in modo estremo gli interessi nazionali francesi in Africa.

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Il Presidente francese Chirac con i Presidenti Blaise Compaor, Omar Bongo, Paul Biya et Denis Sassou

Nicholas Sarkozy (Presidente francese dal 2007 al 2012) ha fatto pensare ad un cambiamento dei rapporti Africa-Francia ma solo in una primissima fase. Il discorso fatto a Dakar a fine luglio 2007, in occasione di una visita ufficiale allUniversit Cheikh-Anta-Diop ha deluso ed indignato la maggior parte degli africani. Luomo che nella fase pre-elettorale aveva parlato della necessit di voltare pagina definitivamente dei segreti e delle ambiguit con i partner africani, del bisogno di sbarazzarsi di reti di altri tempi, di emissari che non hanno altro mandato se non quello che si inventano loro stessi si presentato in Senegal utilizzando stereotipi e pregiudizi. Esemplificativi alcuni passaggi del famoso discorso: LAfrica ha la sua parte di responsabilit nella propria infelicit () La colonizzazione non responsabile di tutte le difficolt attuali dellAfrica. Non responsabile delle guerre sanguinose che gli africani si combattono tra di loro. Non responsabile dei genocidi. Non responsabile dei dittatori () Per il meglio come per il peggio, la colonizzazione ha trasformato luomo africano e luomo europeo () Sono venuto per dirvi che in voi, giovani dAfrica, ci sono due eredit, due saggezze, due tradizioni che si sono combattute a lungo: quelle dellAfrica e dellEuropa () Il dramma dellAfrica deriva dal fatto che luomo africano non entrato nella storia () Il problema dellAfrica che vive troppo il presente nella nostalgia di un paradiso perduto dellinfanzia () In questo immaginario dove ogni cosa rincomincia ogni giorno, non c spazio n per lavventura umana n per lidea del progresso() Il problema dellAfrica di restare fedele a se stessa senza restare immobile () La realt dellAfrica una demografia troppo forte per una crescita economica troppo debole () La realt dellAfrica una grande dispersione di energia, di coraggio, di talenti e di intelligenza. La realt dellAfrica che un grande continente che ha tutto per riuscire e che non riesce perch non arriva a liberarsi dei suoi miti (..) Solo voi, giovani dAfrica, potete concretizzare la Rinascita di cui lAfrica ha bisogno perch voi soli ne avete la forza. Vi sono venuto a proporre questa Rinascita () Giovani dAfrica, voi volete la democrazia, la libert, la giustizia, il diritto? Tocca a voi decidere. La Francia non decider al vostro posto. Nel discorso emerge una visione paternalistica tipica del XIX secolo, unEuropa forte che aspira alla libert e alla giustizia contrapposta ad un continente africano che resta ancorato ad unet primordiale e mitica. La Presidenza Sarkozy solo formalmente ha parlato di rottura con il passato ma concretamente ha mantenuto le caratteristiche del sistema della frane-afrique. Sintomatica di tale linea anche la missione in Repubblica Democratica del Congo, Congo Brazzaville e Niger nel maggio 2009: dove la volont di portare nuove idee , attraverso una 136

cooperazione pratica ha invece nascosto lo sviluppo di grandi interessi economici (sfruttamento del deposito di uranio di Imouraren in Niger da parte della compagnia francese AREVA). Per quanti esempi si possano portare, loperazione pi eclatante dellapplicazione di vecchi schemi quella registrata con la Libia dove -dopo una piena intesa tra gli anni 2007 e 2009- Parigi ha sostenuto loperazione per eliminare Gheddafi nel 2011, ha supportato in modo mirato un cambio di potere e ha facilitato la presenza delle proprie imprese. Loperazione non ha tuttavia considerato gli effetti devastanti in primis sulla stessa Libia (guerra civile) e poi sulla regione limitrofa (il ritorno in Mali dei mercenari toureg assoldati fino al 2011 da Gheddafi) , provocando in tal modo una pericolosa crisi destabilizzante per lintera area del Sahel.

Il Presidente Sarkozy ed il leader Gheddafi (dicembre 2007)

Lelezione del Presidente Francois Hollande nel maggio 2012 ha creato molte speranze nelle forze allopposizione nei singoli paesi africani e molte paure tra le elite al potere. Di fatto, Hollande, non ha una grande conoscenza dellAfrica (ad esclusione di brevi esperienze in Algeria e Somalia) e quindi non legato a vecchie logiche. Si presenta come un enigma per gli interlocutori africani, ma soprattutto come un leader le cui decisioni potrebbero pesare significativamente per quanto riguarda le vicende nordafricane e quelle saheliane dei prossimi mesi. Induce a ben sperare il fatto che abbia scelto collaboratori preparati per occuparsi della regione africana: Kofy Yamgnane (uomo politico franco-togolese), Thomas Melonio (gi quadro dellAgenzia francese di Sviluppo), Kader Arif (esperto di sviluppo), Pierre Shapira (conoscitore delle tematiche israeliane e dei rapporti tra i paesi ACP e lUnione Europea), Puria Amirshai (Segretario nazionale del Partito Socialista per la cooperazione, la francofonia e lo sviluppo). Il 2012 metter subito a dura prova la sensibilit alle questioni africane di Hollande: gli sviluppi in Nord Africa ad un anno di distanza dalla primavera araba, la crisi in Sahel, linstabilit nelle regioni

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orientali congolesi inevitabilmente comporteranno scelte delicate da parte del nuovo Presidente francese. In questa fase storica, la Francia chiamata a razionalizzare e rimodellare la sua presenza in Africa, ponendo nuove basi per lo sviluppo di relazioni bilaterali reciprocamente vantaggiose, dando il massimo valore alle aspirazioni democratiche dei popoli della regione, partecipando alla formazione delle forze militari nazionali e coadiuvandole nel contrasto alla lotta contro il terrorismo.

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LEZIONE N. 32
I RAPPORTI AFRICA-AMERICA LATINA
Una convergenza di interessi ed una salda cooperazione Sud-Sud in molteplici campi nonch la volont di approfondire il legame naturale tra Africa e Sud America: sono questi gli elementi qualificanti i vertici Africa-South America (ASA). Ad oggi si sono svolti gi due Summit il primo ad Abuja il 26-27 novembre 2006, il secondo a Isla Margarita (Venezuela) nei giorni 26 e 27 settembre 2009- ed il 3 vertice in programma a Malabo nel maggio 2012. In occasione del primo Summit di Abuja, i Capi di stato e di governo di 12 paesi sudamericani (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay, Peru, Suriname, Uruguay e Venezuela) e di 53 paesi africani, hanno adottato due documenti: una Dichiarazione Finale ed un Piano dAzione. Le parti si sono impegnate a promuovere iniziative congiunte nei settori della pace e della sicurezza, della democrazia, dellagricoltura e dellagro-business, del management idrico, del commercio e degli investimenti, della tecnologia, dellenergia e del turismo, della scienza, della sanit, delleducazione, dellambiente, delle questioni di genere, dello sviluppo istituzionale a contrastare la povert. La novit del vertice stata quella di aver istituzionalizzato e razionalizzato i rapporti Africa Sud America, di aver tracciato un percorso preciso ed aperto canali di dialogo tra leader protagonisti (Lula Sa Silva, Chavez, Gheddafi, Obasanjo) delle rispettive aree e promotori di alleanze inedite, atte a rispondere alle sfide della globalizzazione. Il secondo vertice ASA si svolto a Isla Margarita (Venezuela) nel settembre 2009. Levento ha fornito loccasione per revisionare il lavoro compiuto dagli 8 gruppi di lavoro costituiti in occasione del primo Summit di Abuja (commercio, investimenti e turismo; infrastrutture, trasporti, settore minerario ed energia; pace e sicurezza; agricoltura e ambiente; educazione e cultura; affari sociali e sport; scienza, tecnologia e comunicazioni, institution-building e public administration) e per varare ulteriori iniziative. Il Presidente Hugo Chavez che ha accolto con grandi onori gli omologhi Luis Inacio Lula Da Silva, Cristina de Kirchner, Rafael Correa, Evo Morales, Michelle Bachelet, Muammar Gheddafi, Abdoulaziz Bouteflika, Robert Mugabe,Teodoro Obiang Nguema, Jacob Zuma ha proposto di elevare gli 8 gruppi di lavoro a commissioni ministeriali, di fare del BANCOSUD (banca biregionale, con 20 miliardi di capitale iniziale, incaricata di finanziare i progetti nei due continenti)

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una struttura di finanziamento, di creare una corporazione mineraria capace di valorizzare lo sviluppo dei popoli sudamericani ed africani. I partecipanti allevento si sono detti a favore di un nuovo sistema finanziario, fondato su istituzioni regionali e su una logica di sviluppo. Nella Dichiarazione finale, i Capi di Stato e di Governo hanno insistito sullimportanza di rafforzare lalleanza Sud-Sud, sia per resistere alle crisi finanziarie sia per esprimente una voce pi forte a livello internazionale. Di seguito alcuni passi particolarmente significativi della Dichiarazione suddetta: CONDENAMOS el terrorismo en todas sus formas y manifestaciones y rechazamos cualquier relacin entre el terrorismo y una cultura, etnia, religin o pueblos en especfico. Hacemos nfasis en la importancia de combatir el terrorismo por medio de la cooperacin internacional activa y eficiente en el marco de las organizaciones regionales pertinentes y las Naciones Unidas, basados en el respeto de los objetivos y principios de la Carta de las Naciones Unidas y de conformidad estricta con los principios del Derecho Internacional y los derechos humanos. TAMBIN COMPARTIMOS la conviccin de que recurrir al pago de rescate por terrorismo deber ser condenado y tipificado como delito. () RECONOCEMOS que la crisis financiera y econmica actual es estructural. Por ende, nos comprometemos a fomentar los cambios que sean necesarios con el fin de permitir el stablecimiento de una nueva arquitectura financiera internacional, que se base en un proceso democrtico de toma de decisiones, incluyendo una participacin equilibrada de todas las artes concernientes y tomando en cuenta los puntos de vista y las perspectivas de los pases en desarrollo. Adems destacamos la necesidad de evitar que las prdidas producto de dichas crisis sean transferidas a los pases en desarrollo, por medio de la implementacin de diversos mecanismos de proteccin financiera. Concordamos en que, con el propsito de acelerar la creacin de la nueva arquitectura financiera internacional propuesta, es necesario fortalecer los sistemas regionales, a travs de la promocin de instituciones financieras y monetarias favorecedoras desde una visin de solidaridad, cooperacin, desarrollo regional endgeno y de la formacin de sociedades ms democrticas, justas e igualitarias en el marco del respeto a la independencia y soberana nacionales.(...) ACORDAMOS consolidar nuestros esfuerzos para el intercambio de experiencias en lo referente al desarrollo y uso universal de fuentes de energa y ahorro de energa por parte de los gobiernos y los pueblos de ambas regiones, en particular, fuentes de energa limpias, renovables y alternativas, con miras a extender su difusin y utilizacin sustentable, as como a alcanzar la mxima eficiencia en sus usos, de conformidad con los aspectos econmicos, sociales y ambientales pertinentes, lo que contribuira a la transformacin econmica y social de los pases de Amrica del Sur y frica. Considerando la posibilidad del uso de combustibles fsiles en el futuro, ambas regiones cooperarn en temas relacionados con la produccin y uso sostenible de combustibles fsiles en especial petrleo y gas. (...) 140

NOS COMPROMETEMOS a aumentar la cooperacin energtica entre Amrica del Sur y frica con el fin de contribuir con el crecimiento industrial, el desarrollo de infraestructura de energa, el intercambio y la transferencia de tecnologas, la reduccin de los costos de transaccin y la capacitacin de recursos humanos, con el propsito de lograr la meta estratgica de seguridad e integracin energtica. () AUNAREMOS esfuerzos para emprender iniciativas de cooperacin e intercambio de experiencias orientadas a la construccin de las capacidades cientficas, tecnolgicas e institucionales de los sistemas nacionales de CTI (ciencia, tecnologa e innovacin) y a la formulacin e implementacin de polticas para el desarrollo sustentable y el progreso social de ambas regiones, con miras a fomentar la integracin y el acercamiento de las comunidades cientficas suramericanas y africanas que promuevan la generacin, transferencia y apropiacin social del conocimiento cientfico y tcnico. A este respecto, y con el fin de promover la inclusin social, nos comprometemos a fomentar el uso de tecnologas de la informacin y la comunicacin (TIC), as como otras tecnologas, con miras a facilitar oportunidades de educacin, salud y mejores condiciones de vida para la poblacin. ()

RECONOCEMOS la incidencia del analfabetismo como factor de exclusin social en el desarrollo de nuestros pases. Por ende, acordamos consolidar esfuerzos, desde una perspectiva de igualdad social y de gnero, para contribuir con la erradicacin de este flagelo, a travs del intercambio y la promocin de prcticas exitosas en el campo de la enseanza de la lectura y escritura con miras a alcanzar las Metas de Desarrollo del Milenio. (...) MANTENEMOS el compromiso de intercambiar expertos y desarrollar proyectos conjuntos de investigacin sobre la contribucin de la Dispora Africana a la cultura de los pueblos de Amrica del Sur, y apoyamos el avance en los arreglos para la 2 Cumbre de la Dispora de la Unin Africana, que se realizar en el futuro prximo. () Durante il 2 Summit ASA a Isla Margarita, il leader libico ha proposto la creazione di una NATO del SUD (OSAN), intesa non come azione terrorista, bens come mezzo per colmare il vuoto di presenza negli organismi internazionali. Gheddafi ha dichiarato Noi dobbiamo creare una NATO per il Sud. Non unazione bellicista. Noi abbiamo i nostri diritti () LAmerica del Nord legata in tutti i settori allEuropa, quando invece c un vuoto nellAtlantico del Sud. Noi dobbiamo creare unalleanza per poter garantire unazione storica e strategica che permetta di colmare questo vuoto. A latere di tale proposta, ambiziosa ma poco concreta e non inserita nella dichiarazione finale, il rappresentante nordafricano ha criticato il sistema delle Nazioni Unite e ha biasimato le potenze

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militari che hanno posto le mine terrestri nei paesi in via di sviluppo nel Sud del mondo, impedendo lutilizzazione delle mine terrestri a scopo difensivo da parte dei paesi poveri. Jean Ping (Presidente della Commissione dellUnione Africana), riconoscendo il valore storico dellincontro, ha sottolineato il bisogno di andare al di l della retorica, perch in gioco la credibilit della cooperazione Sud-Sud. In realt, visto dallesterno, il 2 ASA stato un esercizio che ha sottolineato i temi sensibili del momento e non uno sforzo per dare un contributo qualitativo alla discussione in corso a livello internazionale. A parte le proposte concrete, riguardanti la creazione di PETROSUD (multinazionale del petrolio che avrebbe dovuto garantire a tutti i partner laccesso alla preziosa risorsa energetica), TeleSUD (emittente televisiva, mezzo essenziale per favorire una vera integrazione tra le parti), lUniversit del SUD (per garantire la formazione di milioni di giovani delle due regioni del sud del mondo) ed il suddetto BANCOSUD, lincontro venezuelano stato per buona parte pura eloquenza. Molto probabilmente la stessa iniziativa a porsi pi come una crociata contro i grandi attori internazionali (protagonisti- nel bene e nel male- della storia africana e sudamericana) che come un progetto da costruire tra le due aree sul lungo periodo Gheddafi e Chavez non sono stati capaci di sganciarsi dal loro atteggiamento critico verso il mondo occidentale, che hanno demonizzato e utilizzato come mezzo per giustificare la loro guida assoluta. Anche in occasione del vertice, il leader venezuelano ha firmato 8 accordi energetici con alcuni paesi sudafricani (tra cui Mauritania, Africa del Sud, Sudan, Capo Verde, Guinea Equatoriale, Sierra Leone e Niger), con lobiettivo di porre loro nero come elemento collante del Sud del mondo. Molti analisti hanno messo in evidenza che il 2 Summit ASA ha fatto intravedere le due linee che si profilano allorizzonte della politica sudamericana: da un lato quella del Presidente venezuelano che spinge alla contrapposizione con limperialismo occidentale dallaltro quella dellex Presidente brasiliano Lula Da Silva, fautore dellincremento degli scambi commerciali tra i due continenti. Di fatto il Brasilein particolare negli anni di presidenza Lula da Silva (gennaio 2003-

gennaio2011)- ha promosso la concretezza della diplomazia del business e ha visto crescere il suo commercio con i partner africani da 6 miliardi di dollari nel 2002 a 36 miliardi di dollari nel 2008. Va da s che importante diversificare i partners e gli investimenti per muoversi allinterno delleconomia globalizzata, ma serve anche un progetto politico per coagulare forze e proporre alternative allordine mondiale.

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Il 3 Summit ASA che si svolger a Malabo nel maggio 2012 fornir loccasione di verificare se i leader sudamericani e africani riescono effettivamente a proporre un progetto sul lungo periodo. Sin da ora possibile dire che i toni delle discussioni saranno diversi e che parteciperanno almeno per la parte nordafricana paesi che hanno subito il profondo cambiamento della primavera araba del 2010. Lassenza di Gheddafi che fortemente nellultimo decennio ha proposto lAfrica come un blocco unito - non passer inosservata, sia perch dovrebbero venire meno posizioni esacerbate nei confronti del mondo occidentale, sia perch cadranno inevitabilmente i finanziamenti a pioggiache in questo anni la Giamahiriya libica aveva lautamente promesso ed elargito allinterno del continente. Daltro canto, la probabile assenza di Chavez (malato gravemente da mesi) come anche la partecipazione di nuovi leader del Brasile e della Colombia meno interessati alla tematica o comunque pi attenti alle dinamiche nazionali, avranno inevitabilmente il loro peso nel corso dei lavori.

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LEZIONE N. 33
I RAPPORTI AFRICA-RUSSIA
Il rapporto tra la Russia ed il continente africano ha radici profonde nel tempo, anche se non si sviluppato con un andamento regolare. Lo studioso Vladimir Shubin (vice direttore dellInstitute for African Studies, Russian Academy of Sciences) nota che sebbene la Russia non abbia mai avuto legami coloniali in Africa, si registrata sin dal Medio Evo una forte interazione tra lex superpotenza mondiale e larea sahariana. I movimenti di commercianti, marinai e pellegrini hanno facilitato i contatti, trainando le relazioni ufficiali tra la Russia zarista ed i vari protagonisti del black continent.. Da qui lapertura dei consolati al Cairo ed ad Alessandria della Russia zarista alla fine del XVIII secolo e lo stabilimento di relazioni diplomatiche con lEtiopia ed il Transvaal nel 1898. Contatti si sono registrati anche dopo la rivoluzione del 1917 e dopo la formazione dellURSS. Legami molto pi stretti si sono sviluppati dopo il 1950, nel momento in cui iniziava a serpeggiare la voglia di indipendenza nella vasta area a sud del Mediterraneo. Un sostegno mirato, quello del Cremlino, finalizzato a supportare la lotta contro limperialismo, ad esportare il verbo socialista ed ad utilizzare la regione africana per un confronto indiretto con gli Stati Uniti. Da qui il sostegno alle lotte di liberazione, il training e la formazione di esponenti africani del Sud Africa, dellAngola, di Capo Verde e del Mozambico. Il crollo del Muro di Berlino ed il collasso del sistema sovietico hanno comportato inevitabilmente delle ripercussioni a livello bilaterale. Nella sua fase iniziale di gestione del potere, Boris Yeltsin si svincolato da impegni gravosi e si liberato di quella che era stata percepita nel trentennio precedente come unassistenza obbligata. Shubin ritiene che per i primi anni 90, lAfrica sia stata percepita come un black hole e sottolinea come i media sovietici abbiano assecondato la volont del Cremlino, contribuendo a dare una immagine negativa del continente e mettendo in risalto le sue debolezze. E solo con la fine degli anni 90 e con i primi anni del XXI secolo, per necessit di nuove fonti energetiche ma anche in virt di una revisione della politica estera della Federazione, che Mosca si riaffacciata nellarea. Secondo lo studioso russo, dal Concept of the Foreign Policy of the Russian Federation (firmato da Vladimir Putin nel giugno del 2000) emerge che pur non essendo lAfrica una priorit per lattore orientale europeo, un decennio fa si delineata una chiara volont di promuovere linterazione e la disponibilit ad assistere il partner africano nella risoluzione dei conflitti locali. Lintenzione di Mosca stata confermata durante la visita di Igor Ivanov in Libia (luglio 2001), Egitto (novembre 2001) e Sud Africa (dicembre 2001). 144

Storiche e significative sono state ritenute le visite de 2006 fatte dal Presidente Putin in Algeria (marzo), Sud Africa e Marocco (settembre), in quanto compiute per la prima volta da un leader post-sovietico nel continente africano. In ognuna delle tappe si sono riscontrati elementi di novit e di salvaguardia della tradizione. Ad Algeri sono stati stipulati accordi volti ad ottenere una fornitura russa di armi sofisticate ed attrezzature militari per un ammontare di circa 7.5 miliardi di dollari ed stato cancellato il debito contratto dallAlgeria con lUnione Sovietica tra il 1965 ed il 1985, pari a 4.7 miliardi di dollari; in questo caso lelemento innovativo stato dato dalla conclusione di 14 contratti in materia di energia, volti allesplorazione delle riserve di gas e petrolio nord africano, nonch alla loro valorizzazione. La visita in Sud Africa stata motivata da importanti impegni di tipo politico, ma ancor pi economico. Accomunati dal lavoro congiunto negli anni dellapartheid, dalla formazione politica offerta dallUnione Sovietica agli esponenti dellAfrican National Congress-ANC di Nelson Mandela, i due paesi hanno superato pi o meno brillantemente limpatto successivo alla caduta del comunismo e al crollo del sistema di segregazione razziale. Entrambi sono ora impegnati nel rafforzamento delle istituzioni democratiche e nella ridefinizione della propria identit postsovietica, ma sono anche sostenitori di posizioni originali, non modulate sul pensiero americano: basti pensare alle vicende relative al nucleare, della ricerca e delluso di medicinali anti-retrovirali, del sostegno pi o meno mascherato a Rogue States o Stati con cui la comunit occidentale ha interrotto o congelato ogni tipo di rapporto diplomatico (Iran, Sudan e Zimbabwe). Diversi i temi in agenda per gli incontri a Citt del Capo: un esame delle relazioni politiche ed economiche e limpegno per la loro necessaria implementazione (gli scambi commerciali sono di gran lunga inferiori al potenziale tra i due paesi, come testimoniato dallinterscambio nei primi dieci mesi del 2005 che ha registrato un flusso di importazioni dalla Russia per un valore complessivo di 18 milioni di dollari e di esportazioni sudafricane per circa 106 milioni di dollari); il follow-up del Summit G8 per quanto riguarda il Piano per lAfrica; luso pacifico del nucleare; gli sviluppi regionali in ambito SADC; i processi di risoluzione pacifica dei conflitti ed i contributi di soggetti esterni, la riforma delle Nazioni Unite. A latere degli impegni istituzionali, la firma di Accordi significativi, chiari indicatori di una crescente collaborazione tra i due partners, tra cui si segnalano: un trattato di amicizia e partenariato, intese nellambito della sanit, della protezione dei diritti della propriet intellettuale, nellambito della cooperazione aero-spaziale per fini pacifici3, accordi per lestrazione in Sud Africa di manganese ed alluminio ad opera di compagnie russe, nonch per lassistenza tecnica necessaria allo sviluppo di una capacit nucleare sudafricana entro il 2010.

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Certamente, per gli operatori economici, il documento pi interessante stato quello concluso tra lazienda sudafricana di estrazione e lavorazione di diamanti, De Beers, ed il colosso russo Alrosa. In base alle intese raggiunte, la compagnia africana si impegnata ad acquistare dal partner europeo diamanti grezzi per un valore di 500 milioni di euro nel 2006, 420 milioni nel 2007 e 340 milioni nel 2008. La missione a Casablanca stata orientata al pragmatismo. In tale occasione le due parti si sono impegnate a rafforzare le relazioni bilaterali e la cooperazione nel settore del gas e dellelettricit. Determinante stato lannuncio della compagnia russa Atomstroiexport, dato la settimana prima degli incontri di alto livello, che avrebbe potuto fare unofferta di appalto per costruire il primo impianto nucleare in Marocco (evento che si verificato nellarco di pochi mesi). Durante questa tappa sono stati conclusi inoltre numerosi accordi nel settore della pesca, della giustizia, del turismo, della comunicazione, della sanit e del settore bancario. Le suddette intese hanno avuto un duplice obiettivo: bilanciare le relazioni russo-algerine e garantire le basi per accrescere linterscambio commerciale (passato da 400 milioni di dollari nel 2001 a 1 miliardo di dollari nel 2005). Molto importante stato considerato il ruolo del Business Council russo-marocchino costituito nel giugno precedente in occasione della visita a Mosca del Ministro degli Affari Esteri marocchino Mohamed Benaissa. Di grande rilievo stato il tour del Presidente Medvedev in Egitto, Nigeria, Namibia ed Angola (23-26 giugno 2009). In questo frangente, il segnale chiaro stato dato dalla delegazione di 400 imprenditori che ha accompagnato il responsabile del Cremlino. Due sono stati i temi al centro delle discussioni: la vendita di armi da parte di Mosca e la vendita di gas-petrolio da parte degli attori africani. La tappa del Cairo ha permesso di riproporre il ruolo di Mosca in Medio Oriente e di firmare degli Accordi di Partenariato strategico, ma soprattutto ha identificato lEgitto come base in Nord Africa per la vendita di armi; la visita ad Abuja stata funzionale ad un accordo di cooperazione, che ha garantito laccesso di Gazprom alle riserve di metano nel Delta del Niger e gli ha permesso di creare la societ Nigaz assieme alla Nigerian National Petroleum Corporation; la missione in Namibia stata finalizzata allo sfruttamento dei giacimento di uranio locale; la trasferta a Luanda stata funzionale alla firma di 6 accordi di cooperazione, nonch ad ottenere il coinvolgimento di imprese russe nella produzione di greggio in cambio ad un impegno di Mosca per la modernizzazione di industrie tessili e del settore delle telecomunicazioni del partner africano
Visite ufficiali degli esponenti politici russi in Africa 2000Vassily Sredin (Vice Ministro Esteri) visita il Sud Africa 2001Igor Ivanov (Ministro Esteri) visita Libia, Egitto e Sud Africa 2002Mikhail Kasyanov (Premier) partecipa allEarth Summit a Johannesburg. 2006Vladimir Putin (Presidente) in Algeria (marzo), Sud Africa (Settembre) e Marocco

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(settembre) 2009Dmitri Medvedev (Presidente) visita Egitto, Nigeria, Namibia e Angola


Fonte: Stampa internazionale

Per comprendere la valenza dei rapporti bilaterali pu essere utile una lettura speculare delle visite dei leader africani in Russia. In questo caso importante ricordare che molti dei dirigenti locali hanno ricevuto la formazione a Mosca e non hanno mai interrotto il contatto con le istituzioni che hanno garantito loro assistenza durante gli anni delle lotte per la liberazione. Visite ufficiali di leader africani in Russia
1997..Mubarak compie una visita ufficiale a Mosca 1998 e 2006......Eduardo Dos Santos compie una visita ufficiale a Mosca 1998..Sam Nujoma compie una visita ufficiale a Mosca 1998..Tabo Mbeki compie una visita ufficiale a Mosca 2001.Omar Bongo compie una visita ufficiale a Mosca 2001.Olusegun Obasanjo compie una visita ufficiale a Mosca 2001.Melese Zenawi compie una visita ufficiale a Mosca 2008.Abdelaziz Bouteflika compie una visita ufficiale a Mosca 2010Hifikepunye Pohamba compie una visita ufficiale a Mosca 2010 e 2011.Jacob Zuma compie una visita ufficiale a Mosca
Fonte: Stampa internazionale

Un studio del maggio 2011 preparato da Habiba Ben Barka per lAfrican Development Group Bank mette in evidenza che limportanza della Russia come partner commerciale con i paesi africani abbastanza minima se comparata con i rapporti gestiti da Unione Europea, Cina, India, Brasile e Stati Uniti. Il commercio tra Russia e Africa ha infatti raggiunto 7,3 miliardi di US $ nel 2008 (sebbene abbia registrato un aumento vertiginoso nel giro di pochi anni visto che nel 1994 si era raggiunto un livello di 740 milioni di US$). La Russia indubbiamente molto interessata a sviluppare collaborazioni con lAfrica nel settore delle risorse naturali ma, come notato da Vladimir Shubin in un articolo del 2010, a differenza di Cina e India limportazione di minerali non una questione di vita o di morte per la sua economia, quanto piuttosto una questione di convenienza. Molti minerali sono disponibili in Russia ma le condizioni per lesplorazione e luso stanno diventando sempre pi difficili, perch si trovano in aree remote come la Siberia e lestrema area orientale che hanno un clima molto rigido. Il risultato che il 35% dei depositi minerali russi (incluso manganese, cromo, bauxite, zinco e stagno) stanno perdendo la loro redditivit commerciale Per tale motivo non sorprende che siano presenti nellarea sahariana importanti multinazionali come Lukoil, Gazprom, Norilsk Nickel, Alrosa, Rusal e Severstal per investire in Algeria, Angola, Botswana, Cte dIvoire, Egitto, Gabon, Guinea, Namibia, Nigeria e South Africa.

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Investimenti pi importanti di compagnie russe in africa Investitore Paese Settore industriale South Africa Gold mining Norilsk and Nickel processing Norilsk Botswana Nickel mining Nickel and processing Sintez South Africa, Oil, gas, Namibia,Angola diamonds and copper exploration Lukoil Cte dIvoire,Ghana Oil

Valore US$1.16 billion


US$2.5 billion US$1050 million

anno 2004 2007 2006

US$900 2010 million Rusal Nigeria Aluminum US$250 million Severstal Liberia Iron ore US$40 2008 million Gazprom Algeria Natural gas US$4.7 2006 exploration billion and US$7.5 billion Alrosa Angola, Diamond US$3001992 Namibia, mining, and 400 DRC hydroelectricity million Rosatom Egypt Nuclear power US$1.8 billion 2010 Fonte: "Russias Economic Engagement with Africa - Africa Economic Brief, May, 2011

Altra sfera particolare dei rapporti economici Russia-Africa quella del commercio di armi. E cosa nota il coinvolgimento russo nellequipaggiamento di varie forze armate continentali. Negli anni 90 la situazione cambiata perch a causa della crisi economica - Mosca non ha pi potuto fare credito ai suoi partner in via di sviluppo ed ha richiesto il pagamento in contanti per gli acquisti. Ci ha comportato una perdita naturale di clienti, che si sono rivolti alle potenze occidentali. Shubin nota che negli anni recenti la situazione ha registrato un cambiamento e che dovrebbe essere sottolineato che il governo russo ha rafforzato il controllo sugli affari delle armi e osservato sanzioni e limitazioni imposte dalle Nazioni Unite. E doveroso dire che tale posizione di pieno rispetto per lembargo imposto dal Consiglio di Sicurezza stata pi volte contestata da alcune organizzazioni non governative che hanno invece accusato Mosca di continuare a vendere armi in aree di guerra, ben consapevole delle violazioni dei diritti umani in aree specifiche (vedi caso Darfur e rifornimento armi garantito allesecutivo di Khartoum e Janaweed) Molto importante poi la cooperazione nel settore educativo. Grazie alle borse di studio in Russia, migliaia di studenti africani posso lasciare i loro paesi ed assicurarsi unesperienza allestero.

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Seppure non sia ancora chiaro se la scelta di Mosca di tornare sulla scena africana dipenda pi dalla necessit di riaffermare la propria visione di un approccio multipolare alla politica internazionale, dal bisogno di mantenersi un ruolo di mediatore affidabile o da esigenze economiche, diversi analisti concordano nel dire che il rinnovato interesse della Russia per lAfrica scaturisce dallesigenza di contrapporsi a Pechino nello spazio sahariano. Se pur vero che al momento ci sono spazi di operativit diversi, in un prossimo futuro il partner asiatico potrebbe avventurarsi in settori che non le sono propri (come ad esempio la tecnologia avanzata o le telecomunicazioni).

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LEZIONE N. 34
RAPPORTI AFRICA-ISRAELE
I rapporti tra Israele ed il continente africano sono stati altalenanti dagli anni 50 ad oggi, ma sempre ispirati al pragmatismo. Si distinguono 4 fasi: la prima corrisponde agli anni 1957-1973, la seconda al periodo1973-1990; la terza 1990-2009; la quarta da 2009 ad oggi. Nella prima fase, definibile di inaugurazione, 1957-1973, Israele sostiene i paesi africani che lottano per la propria indipendenza e si posiziona al 2 posto a livello mondiale per il trasferimento di expertise ai paesi in via di sviluppo. Nel 1957 viene aperta lambasciata in Ghana e viene dato lavvio alla presenza ufficiale nella regione. Israele ed il continente hanno diversi punti in comune: la lotta per veder riconosciuto un proprio spazio e per veder tutelati i propri diritti, lessere vittime della Storia coloniale e dellolocausto, il lavoro su un terreno difficile. La guerra dei 6 giorni nel 1967 e quella dello Yom Kippur nellottobre 1973 provocano una frattura diplomatica con la maggior parte del continente. Israele viene percepita come una potenza conquistatrice, che si scontra con gli interessi del mondo arabo. Lo choc petrolifero del 1973 porta inevitabilmente i paesi africani ad accrescere la loro dipendenza dai paesi produttori e ad interrompere i rapporti con lesecutivo di Gerusalemme. In tale frangente, solamente il Malawi, il Lesotho, lo Swaziland mantengono inalterati i contatti con Israele. Da questo momento inizia la seconda fase, che si pu definire di chiusura che , seppur con sfumature diverse, si sarebbe sviluppata nel quarantennio successivo. Il silenzio politico degli anni 1973-1990 non impedisce tuttavia lo sviluppo di scambi commerciali che triplicano e si dimostrano molto fiorenti soprattutto con Nigeria, Kenya, Zaire, lEtiopia, Tanzania e Cte-dIvoire, n tanto meno intacca lassistenza militare da parte di Israele. Per quanto concerne i rapporti commerciali, da poco pi di 30 milioni di US$ nel 1973, le esportazioni israeliane in Africa passano a pi di 75 milioni di US$ nel 1979. Il grande lavoro di raccordo silenzioso viene fatto da incaricati daffari israeliani presenti nelle capitali di alcuni paesi africani sotto la copertura di ambasciate europee. Lo studioso Lon Csar Codo nota che lincaricato di interessi israeliano collocato ad Abidjan (con responsabilit per Cote dIvoire e Gabon) lavora sotto la copertura dellambasciata del Belgio fino al 1986; lincaricato posizionato a Nairobi usufruisce della copertura della rappresentanza diplomatica della Danimarca, linviato a Accra (con responsabilit per Ghana e Togo) utilizza la copertura dellAmbasciata svizzera. Con il passare degli anni, alcuni responsabili di imprese israeliane operanti in Africa 150

svolgono addirittura funzioni di raccordo con Gerusalemme, sostituendo di fatto le figure mancanti dei diplomatici. In riferimento alla vendita di armi, alla fine degli anni 70, circa il 35% dei trasferimenti di armi israeliane si realizzano in Africa. Come riconosciuto dal professore Naomi Chazan (emerito di scienze politiche e studi Africani allUniversit ebraica di Gerusalemme), Gli agenti del MOSSAD, gli emissari militari ed un piccolo gruppo di uomini daffari sostituivano i diplomatici in quanto interlocutori privilegiati dei dirigenti africani e (principalmente) dei partiti dellopposizione. In Cte dIvoire, Liberia, Zaire, Togo e Gabon dei specialisti della sicurezza affiancano i responsabili del settore sicurezza ai vertici dello Stato. In tale arco temporale non si pu sottovalutare il significato simbolico del 1978, lanno della svolta con gli accordi di Camp David ed il riavvicinamento tra Egitto e Israele. Da tale data vengono ristabilite le relazioni diplomatiche ufficiali con lo Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) nel 1982 , con la Liberia nel 1983, con la Cte dIvoire ed il Cameroun nel 1986, con il Togo nel 1987. Allinizio degli anni 90 (dopo la condanna dellapartheid da parte di Israele nel 1987) anche altri attori africani riprendono i contatti con lesecutivo israeliano come ad es. il Kenya, la Guinea e la Repubblica Centrafricana. Tra il 1990 ed il 2009 si assiste alla terza fase, quella di un lento riavvicinamento delle parti. A livello continentale gli scambi commerciali passano da 430 milioni di US$ nel 1990 a pi di 2 miliardi di US$ nel 2008. Gli affari si sviluppano in molteplici settori, quali: lagricoltura, lidraulica, la vendita di metalli preziosi, le tecnologie della comunicazione. La visita del Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, in Etiopia, Kenya, Ghana, Nigeria e Uganda dal 2 al 10 settembre 2009 ha segnato il grande ritorno nellarea a sud del Sahara ed ha aperto indiscutibilmente la quarta fase del rapporto Israele-Africa. Accompagnato da una delegazione di uomini daffari operanti nel settore agricolo, industriale, infrastrutturale, chimico, della comunicazione e della sicurezza nonch da alti funzionari del Ministero degli Esteri, del Ministero delle Finanze, della Difesa e del Consiglio Nazionale di Sicurezza, Lieberman ha puntato a rafforzare e a valorizzare i rapporti con i partner africani anche in vista di nuove aperture nella politica estera nazionale. Nellambito della tappa etiopica, durante lincontro con il Premier Meles Zenawi, Lieberman ha riconosciuto il valore della comunit etiopica in Israele, considerata come un ponte tra i due Stati. Importante stata loccasione dellinaugurazione del Progetto dEccellenza nel settore agricolo di Butajira, che vede anche la partecipazione di USAID. In Kenya, Lierberman ha avuto colloqui con il Presidente Mwai Kibaki, il Premier Raila Odinga, il Ministro dellAcqua Charity Kaluki Ngilu ed il Ministro degli Esteri Moses Wetangula. 151

Particolarmente significativa stata la firma di un accordo volto ad accrescere la cooperazione bilaterale nel management delle risorse idriche e lintroduzione di nuovi metodi di irrigazione. Sono stati inoltre siglati accordi nel reparto della sanit, delleducazione, dellenergia, dei servizi di emergenza. Per quanto concerne la sicurezza, i due partner hanno concordato limportanza della collaborazione nellanti-terrorismo, per altro gi sperimentata da fine anni 90. In Ghana, Lieberman si incontrato con il Presidente Atta Mills, il capo della Diplomazia Alhaji Muhammad Mumuni ed il Ministro dell'Agricoltura Kwesi Ahwoi. In tale sosta stato firmato un accordo relativo alla pesca grazie al quale Israele si impegnato ad aiutare il Ghana ad aumentare la produzione ittica, sia in vista del consumo interno che per lesportazione. Sono stati inoltre firmati accordi volti a permettere una maggiore cooperazione nellagricoltura, nelleducazione, nella medicina, nel management dellacqua e nel commercio. Grande apprezzamento stato rivolto da Lieberman per la partecipazione di soldati del Ghana nella missione UNIFIL in Libano. In Nigeria, il Ministro degli Esteri israeliano si incontrato con lomologo, con il responsabile della Difesa e con i pi alti vertici istituzionali. Oltre alla firma di molteplici accordi commerciali, stato siglato un memorandum con lorganizzazione regionale ECOWAS-Economic Community of Western Africa States che ha sede ad Abuja. Le due parti si sono impegnate a lavorare congiuntamente per ridurre la povert e per preservare lambiente. In Uganda, Lieberman ha avuto modo di parlare con il Presidente Museveni e con il capo della diplomazia. La presenza allinaugurazione di un evento economico ha voluto sottolineare limportanza che Gerusalemme attribuisce al paese, sia per i grandi traguardi imprenditoriali raggiunti nellultimo decennio, sia in quanto piattaforma per il commercio con larea centrale africana. In unottica di reciprocit, per quanto concerne le visite di Capi di Stato o di Governo in Israele, sono indubbiamente da segnalare quelle del Presidente ugandese Museveni e del Premier kenyota Raila Odinga nel novembre 2011 e quelle del Presidente sud Sudanese Salva Kiir nel dicembre 2011. Da tali missioni e dai colloqui avuti con Netanyahu emerge chiaramente lobiettivo degli attori africani di attrarre nuovi investitori nel settore petrolifero, di rafforzare il settore della sicurezza nazionale e di lottare contro il terrorismo radicale islamico. Nellarea centro-orientale africana si sente fortemente la minaccia del terrorismo, degli attacchi promossi dal movimento somalo degli Shabab e si teme il suo collegamento con Al Qaeda. Ci ha

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accelerato un avvicinamento di interessi con Israele ed ha indotto a promuovere una coalizione contro il fondamentalismo nellAfrica Orientale. Uganda e Kenya avvertono particolarmente il pericolo, per via di posizioni assunte negli ultimi anni e per il contributo fornito nella lotta internazionale al terrorismo. LUganda partecipa infatti con 5000 uomini alla missione AMISOM-African Union Mission in Somalia (operazione dellUnione Africana promossa nel 2007 che ha lobiettivo di stabilizzare la situazione nel paese martoriato da oltre un ventennio di guerra) ed il Kenya che nellultimo decennio si particolarmente adoperato per mediare tra i vari clan somali- dallottobre 2011 ha addirittura lanciato l Operazione Linda Nchi ufficialmente per respingere le incursioni dei terroristi nelle aree a confine ma anche per supportare il governo federale di transizione di Mogadiscio contro gli Shabab. Nel quadro dei rapporti privilegiati di Israele con lAfrica sub sahariana non pu passare inosservata la stretta collaborazione con il Sud Sudan. Lo storico supporto garantito agli uomini del Sudan Peoples Liberation Movement (SPLM) dagli anni 80 si formalizzato dopo lindipendenza dal Sudan settentrionale sancita nel luglio 2011. Non meraviglia quindi, che tra le prime visite allestero, il Presidente Salva Kiir abbia proprio voluto inserire la tappa israeliana . Tra i temi in agenda trattati nellincontro del 20 dicembre 2011, particolare attenzione stata data allimmigrazione clandestina africana verso Israele ed alle tecniche pi moderne da usufruire per valorizzare il management dellacqua. Seppure non ci siano ancora state missioni ufficiali dei vertici istituzionali, bene ricordare che sono stati gi avviati dei contatti tra la Nigeria ed Israele per promuovere una collaborazione dei servizi di intelligence e lavorare congiuntamente per sradicare il movimento radicale di Boko Haram, considerato la sfida pi pericolosa per la sicurezza nigeriana ed un fattore capace di mettere seriamente in pericolo la stabilit dellarea occidentale africana.

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Quarto Modulo
LE SFIDE ALLA SICUREZZA ED ALLA STABILITA DELLAFRICA
(Corso Monografico a cura del Prof. Stefano Silvio Dragani)

La Corruzione in Africa Il traffico di stupefacenti in Africa Il terrorismo in Africa Il fenomeno della pirateria nel Golfo di Guinea e al largo delle coste somale

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LEZIONE N. 35-36
LA CORRUZIONE IN AFRICA
La corruzione connessa direttamente alla sfera politica, in quanto il frutto di sistemi politici disfunzionali, cos come il prodotto di particolari circostanze che vanno ricercate nella storia di un paese ma ha effetti dirompenti sullo sviluppo economico e sociale di un paese. Fino agli anni 90 vi stato un manifesto disinteresse da parte della teoria e dei policy makers. Addirittura negli anni 60 la corruzione veniva vista come un male minore, che aveva la funzione di oliare i meccanismi inceppati del mercato, a causa di sistemi statalisti dominati da burocrazie inefficienti. Tale punto di vista era radicato anche nel mondo della ricerca, se si pensa che autori del calibro di Samuel Huntington, famoso per la tesi sullo scontro delle civilt, sosteneva che la corruzione poteva avere un ruolo positivo sullo sviluppo. Dopo una lunga maturazione della teoria, la svolta viene espressa ufficialmente nel 1996, con il discorso di Wolfensohn (Presidente della Banca Mondiale) tenuto durante la riunione annuale tra Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, che ha messo la lotta alla corruzione e la good governance come elementi chiave dello sviluppo, svolta recepita dalla maggior parte delle agenzie allo sviluppo nazionali e multilaterali. Alcuni studi econometrici hanno addirittura quantificato la correlazione tra corruzione e la crescita economica: ad esempio, secondo lo studio The Effects of Corruption on Growth, Investment, and Government Expenditure delleconomista Paolo Mauro, pubblicato nel 1996, la diminuzione del tasso di corruzione del 23,8% determinerebbe un aumento del PIL dello 0,5%. Considerando i livelli di corruzione in Africa, a fronte di PIL modesti, probabile che questa correlazione sarebbe maggiore nel suddetto continente. Secondo il nuovo paradigma, la corruzione ha un impatto negativo sulla crescita economica per diversi motivi: 1. la politica economica poco efficace in quanto i decision makers corrotti varano misure non nellinteresse del paese, ma di gruppi particolari; 2. gli investimenti pubblici vengono decisi, non sulla base di valutazioni economiche che mirano a quantificare in termini di accrescimento del reddito della comunit nazionale (analisi costi-benefici), ma piuttosto dietro richiesta degli esecutori dei lavori, dietro tangenti; inoltre nella fase esecutiva dei lavori i costi vengono incrementati artificialmente e i proventi suddivisi tra corrotti e corruttori a tutto danno della comunit nazionale e dellerario; 3. la corruzione comporta una grave distorsione dei meccanismi di competizione sui vari mercati dei beni, servizi e nel mercato del lavoro. 155

Tutti questi elementi negativi sono purtroppo presenti nel continente africano. In stati deboli e con apparati non sufficientemente preparati tecnicamente, o dove i parlamenti non sono in grado di esercitare le loro funzioni di controllo, larbitrio di pochi diventa la regola. Soprattutto nel passato si sono avvantaggiate dello stato di debolezza locale molte multinazionali straniere; emblematico il caso de gruppo Fireston, che negli anni 60-70 riuscita a monopolizzare il mercato dei pneumatici in Kenya grazie alle tariffe protettive ottenute a colpi di tangenti dal governo keniota. Oggi questo ruolo delle multinazionali occidentali nellalimentare la corruzione , si ridotto per effetto delle normative OCSE che pongono dei limiti allazione con sanzioni anche gravi alle grandi imprese occidentali. In compenso i nuovi attori in Africa, come i cinesi, gli indiani, i malesi ed i brasiliani, svincolati i dalle regole OCSE, hanno alimentato la corruzione soprattutto nel settore e estrattivo con accordi segreti con le grandi compagnie petrolifere statali africane, controllate spesso dai poteri politici locali. Se si guarda allesperienza recente su come sono stati utilizzati i proventi petroliferi non c da essere ottimisti per il futuro. Di fatto, lo Stato e le compagnie petrolifere governative vengono utilizzate dalle elite locali come strumento di arricchimento privato. In Angola, ad esempio tra il 1997 e il 2002 si sono volatilizzati dal budget proventi petroliferi per circa $ 4,2 mld, cifra pari alla spesa sociale del governo angolano e dei donatori internazionali, per lo stesso periodo; questo accaduto in uno Stato dove quasi la met dei bambini risulta essere malnutrita. In Nigeria, la cleptocrazia dilagante ha saputo avvantaggiarsi della rendita petrolifera in maniera evidente. Soltanto per fare un esempio delle dimensioni delle sottrazioni allerario, il Generale Sani Abacha, decimo presidente del paese, si appropriato di ingenti fondi pubblici e soltanto recentemente, in seguito ad unazione legale del nuovo governo per recuperarne almeno una parte, sono stati scoperti fondi a suo nome o a parenti stretti, pari a $1,48 mld distribuiti in varie banche in Svizzera, Liechtenstein e Lussemburgo, che si aggiungono a $ 1 mld consegnato volontariamente dalla famiglia Abacha. Secondo un rapporto della Commissione dellUnione Europea il patrimonio depositato presso le banche allestero, frutto di sottrazione allerario di paesi africani, pari a pi della met dellintero debito estero dellAfrica. Oltre alla cosiddetta grande corruzione, il continente africano afflitto dalla corruzione diffusa o piccola corruzione, che comporta anchessa costi enormi alle economie di quei paesi. Si prenda come esempio il sistema di prelievi illegali attraverso posti di blocco sulle grandi vie di comunicazioni africane che incrementano costi e tempi nei trasporti stradali. Tra Bangui e Douala,

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ad esempio, un viaggio di 1.600 km per il quale occorrerebbero circa tre giorni, arriva a durare fino a 7/10 giorni per i posti di blocco locali. Tra Abidjan e Ouagadougou, circa 100 km di strada, i posti di blocco sono circa 65 con pagamenti richiesti che variano tra i 1000 ed i 5000 FCFA. Sulla Trans Sahelian Highway tra Ouagadougou e Niamey, 529 km di strada, i pagamenti richiesti si aggirano intorno ai 150 $ per camion a pieno carico, mentre sulla rotabile tra Bangui e Douala il costo dei posti di blocco raggiunge i 580 $. Non sorprende, per citare un caso significativo, che spedire unautomobile dal Giappone ad Abidjan, il costo comprensivo di assicurazione di 1.500 $, mentre si sale a 5000 $ se la spedizione avviene tra Addis Abeba e Abidjan La piccola corruzione diffusa tra la polizia ed i bassi gradi della burocrazia finisce inoltre per avere un costo maggiore sui soggetti deboli: le tangenti richieste dalla burocrazia rappresentano un costo proporzionalmente maggiore sulle piccole imprese, mentre la piccola corruzione legata alla fornitura di servizi pubblici costituisce una sorta di tassazione illegittima che pesa soprattutto sui poveri. La corruzione legata allevasione fiscale riduce la capacit di spesa dello stato e riduce la qualit e quantit dei servizi, mentre le distorsione del sistema giudiziario finisce per danneggiare soprattutto chi ha meno strumenti di pressione. Il panorama africano molto differenziato per la capacit di combattere la corruzione. Si riportano qui di seguito alcuni dati in una tabella che indicano, con relativa graduatoria (esame di 178 paesi), il livello di corruzione in alcuni paesi cos come risultano dal Transparency Corruption Perception Index 2010.

Livelli di corruzione in Africa Meno corrotti Botswana (33) Mauritius (39) Capo Verde (45) Seycelles (49) Sudafrica (54) Namibia (56) povert; istituzioni deboli mancanza a livello istituzionale di un sistema di check and balance e la debolezza e di un sistema giudiziario realmente indipendente; scarsa libert dei media e debolezza della societ civile; 157 Pi corrotti Guinea Equatoriale (168) Angola (168) Burundi (170) Chad (171) Sudan (172) Somalia (178)

mancanza di reali competizioni elettorali (alternanza delle coalizioni al potere); apparati dello Stato inefficienti. Gran parte degli osservatori concordano su tutti questi punti, anche se vi un certo dibattito su alcuni di essi, come su quello della povert. La povert indubbiamente crea un incentivo alla corruzione; basti pensare ai bassi salari dei funzionari e la necessit di integrarli con altri sistemi. I mercati in paesi africani (scarsit di domanda) offrono meno possibilit alle imprese, che soffrono comunque di scarsit di capitale e manodopera specializzata e quindi per ottenere profitti ragionevoli utilizzano il metodo della corruzione per ottenere appalti a prezzi gonfiati. Le famiglie ricorrono alla corruzione per ottenere servizi scarsi di prima necessit, come ad esempio le medicine alle quali non avrebbero accesso in altra maniera, subendo cos una sorta di prelievo fiscale surrettizio che non va nelle casse dello stato ma nelle tasche dei burocrati. In linea generale, in condizioni di povert, la gente concentrata sulla sopravvivenza di ogni giorno e non ha lenergia o gli strumenti culturali per poter contrastare il fenomeno e chiedere una maggiore responsabilit a chi governa la cosiddetta accountability. Alcuni critici fanno notare tuttavia che la correlazione tra povert e corruzione non sia cos stretta, visto che paesi relativamente poveri come il Botswana, Capo Verde, le Seychelles o Mauritius e lo stesso Sud Africa, risultano dagli indici internazionali molto meno corrotti di paesi avanzati come ad esempio lItalia che si pone al 67esimo posto nellindice di Transparency International. Altro punto controverso quello della repressione; quando la corruzione sistemica e diffusa in tutti i gangli sociali, secondo molti osservatori, la repressione ottiene scarsi risultati. Inoltre in molti paesi africani la lotta alla corruzione diventa uno strumento di lotta politica: ogni colpo di stato viene giustificato come unico mezzo per porre fine ad un regime corrotto, e dopo la presa del potere con il pretesto della corruzione viene eliminata tutta la classe dirigente precedente. Nei paesi democratici come la Nigeria, la lotta alla corruzione si intrecciata sovente con la lotta politica ed servita ad indebolire fazioni scomode al potere, anche se a ben vedere, qualche risultato positivo stato ottenuto. Al contrario, lesempio dellazione di Rawlings in Ghana (che peraltro conduceva unazione in buona fede, con lintento di risanare la societ del suo paese), con la sua violenta repressione del fenomeno (pi di 700 esecuzioni), non ha raggiunto importanti esoprattutto - durevoli risultati. Secondo Daniel Kaufmann, che ha lavorato per lunghi anni alla Banca Mondiale su questi temi, la corruzione non un problema etico, ma di organizzazione del sistema: A fallacy promoted by some in the field of anticorruption, and at times also by the international community, is that one "fights corruption by fighting corruption"through yet another 158

anticorruption campaign, the creation of more "commissions" and ethics agencies, and the incessant drafting of new laws, decrees, and codes of conduct. Overall, such initiatives appear to have little impact, and are often politically expedient ways of reacting to pressures to do something about corruption, substituting for the need for fundamental and systemic governance reforms. In buona sostanza per Kaufmann, per combattere la corruzione si richiede la costruzione di un diverso rapporto tra governanti e governati. Un rapporto che non deve essere costituito dalla subordinazione dei cittadini sotto lautorit, ma piuttosto dal controllo dei primi sulla seconda. Gli sforzi della comunit dei donatori in Africa per ridurre i livelli di corruzione sono stati molteplici, ma i risultati non sempre adeguati alle risorse devolute. Le regole e le norme che definiscono illegale la corruzione esistono in tutti i paesi africani, ma nella quotidianit vengono sostituite da un codice non scritto, al quale difficile sottrarsi. Si tratta di norme di condotta tacite, che regolano linterazione tra individui (autorit e cittadini) e che rendono il fenomeno endemico e sistematico. Questa situazione ha suscitato spesso linterrogativo se esistano delle specificit africane di ordine storico o culturale rispetto alla corruzione. Studi antropologici sulla corruzione in Africa sono stati relativamente scarsi in termini quantitativi, ma significativi e approfonditi. Un esame sintetico della letteratura in materia, svela stimolanti osservazioni: la corruzione in Africa viene vista da alcuni come eredit delle societ tradizionali nelle quali il rispetto per lautorit veniva associato con la pratica dei doni (senso di gratitudine per dei servizi ottenuti e forma legittima di interazione sociale). Se la corresponsione di doni verso lautorit tribale non era percepita come fenomeno eticamente condannabile, la situazione cambia con le amministrazioni coloniali. Queste infatti spesso si servivano dei capi tradizionali come interfaccia con le popolazioni. I capi si avvantaggiavano materialmente della loro posizione, con una crescente rapacit, visto il venir meno dei loro doveri di mantenimento di una certa stabilit sociale, garantita comunque dalla repressione coloniale. La corruzione viene vista in questa ottica come effetto della interazione, nel corso del tempo, di pratiche tradizionali, sistema di potere coloniale e processo di modernizzazione, quindi come processo di ibridizzazione o combinazione di elementi diversi che si rafforzano reciprocamente. Questo processo ha poi avuto uninfluenza diretta nei nuovi stati postcoloniali, per cui i nuovi regimi autoctoni hanno sviluppato una concezione neo-patrimonialistica dello Stato (le autorit e le elite si appropriano delle risorse pubbliche; una parte viene dirottata nei patrimoni privati, unaltra viene distribuita selettivamente tra i clienti) che ha portato la corruzione a raggiungere livelli patologici.

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Il seguente grafico della Banca Mondiale, che riporta i dati sulla capacit di controllo della corruzione dei 10 paesi africani con pi elevato PIL, pi Botswana e Mauritius, mette in evidenza alcuni elementi utili rispetto al tema della corruzione.

Sulla base di tale grafico si possono fare due considerazioni. La prima che i paesi virtuosi non hanno nulla da invidiare al resto del mondo, come appare chiaro dalla barra che rappresenta la media mondiale per paesi in quella fascia di reddito, riportata sotto lindice nazionale. La seconda considerazione che i paesi che si propongono con una cattiva prestazione in Africa, sono molto al di sotto dellindice medio di paesi a parit di reddito. Negli ultimi anni tuttavia la situazione sembra in qualche modo migliorare, anche per la crescente consapevolezza, non soltanto delle elites africane pi illuminate consapevoli che la corruzione crea danni immensi ai paesi africani, ma soprattutto per la reazione della gente comune che non sembra pi disposta a considerare la corruzione come un male inevitabile a cui rassegnarsi. Ad esempio in Nigeria, considerato uno dei pi corrotti paesi del mondo, anche a causa della sua ricchezza 160

petrolifera e di gas naturale, ha mostrato che anche in un ambiente estremamente difficile, possibile reagire a condizioni di estremo degrado. Questo paese riuscito a passare dal 132 posto su 133 paesi nellindice di corruzione (CPI) di Transparency International del 2003, al 121 posto su 180 paesi nel 2008. I progressi, se non rivoluzionari, ma certamente significativi, sono stati il frutto dellimpegno di Nuhu Ribadu presidente dell Executive Chairman Economic and Financial Crimes Commission (EFCC). Nel corso del suo mandato lEFCC ha indagato con successo banchieri, governatori dello Stato federale, senatori e prominenti figure politiche, funzionari di polizia e ministri. Per svolgere al meglio il suo compito la Commissione ha condotto migliaia di inchieste ed effettuato 270 arresti, tra i quali uno dei suoi superiori, lallora Inspector-General della polizia nigeriana. Anche dopo la sua rimozione, avvenuta nel 2006 lEFCC ha continuato ad esercitare una discreta pressione sul potere politico e finanziario e Nuhu Ribadu senzaltro considerato un vero e proprio eroe popolare. Il tasso di corruzione nelle economie petrolifere ed estrattive come prima fonte di reddito, risulta comunque essere mediamente pi elevato. In questi paesi le immense risorse finanziarie non vengono utilizzate per investimenti produttivi, ma distribuite tra le elites del paese che alimentano clientelismo per il consenso tra gruppi ristretti. In genere laccountability media delle classi dirigenti e molto bassa, con una evidente sottrazione delle risorse dal sistema economico destinabili per la spesa sociale; e una selezione degli investimenti totalmente disfunzionali. Dal punto di vista politico, la rendita prodotta dallo sfruttamento delle materie prime, secondo molti studiosi, tende a preservare regimi totalitari che gestiscono tali risorse in maniera poco trasparente. Le ineguaglianze sociali e geografiche tendono ad aumentare, cos come i livelli di corruzione. In queste circostanze, il rischio di conflitti interni diventa significativo con effetti che possono andare da rivolte e guerre civili a violenza endemica, come sta avvenendo in Nigeria. Allo scopo di migliorare la gestione delle risorse estrattive a vantaggio dei paesi produttori, sulla base dei principi della trasparenza e della responsabilit finanziaria, stata lanciata nel 2002 per iniziativa del Governo britannico e con il successivo appoggio della Banca Mondiale nel 2003, lExtractive Industries Transparency Initiative (EITI). LEITI, coinvolge nella gestione delle risorse le societ private, i governi, gli organismi internazionali e le agenzie per laiuto allo sviluppo, le ONG e la societ civile, con la creazione di un comitato che produce un programma di lavoro, tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti. Il miglioramento della governance relativa allindustria estrattiva dovrebbe portare in ultima analisi ad una maggiore diversificazione delle economie coinvolte e innescare processi di sviluppo sostenibili a tutto vantaggio delle popolazioni locali. Fino ad oggi hanno aderito alliniziativa 23 paesi dei quali 15 sono africani: Angola, Cameroon, Chad, Congo Kinshasa, Congo Brazzaville, Guinea Equatoriale, Gabon, Ghana, Guinea, Mali, Mauritania, 161

Niger, Nigeria, Sao Tome and Principe e Sierra Leone. Si tratta di un esercizio molto complesso che richiede un lungo rodaggio per produrre i suoi effetti positivi, ma che fin da adesso mostra le potenzialit future, soprattutto da un punto di vista finanziario. Il primo report EITI sulla Nigeria, rilasciato allinizio del 2006, ha riscontrato entrate per il governo in royalties e tasse, per un valore annuale di $ 15 mld: una cifra molto elevata se la si compara al flusso degli aiuti allo sviluppo, che per tutta lAfrica, per lo stesso periodo, stato di $ 4,7 mld. La gestione dellEITI non risulta facile per numerosi motivi come ad esempio la debolezza delle organizzazioni della societ civile, la pervasivit sociale dei regimi totalitari e la capacit delle elite al potere di sottrarsi alla condizionalit dei donatori per via della loro indipendenza finanziaria e di nuovi alleati come i cinesi. Di seguito, alcuni esempi. Nel 2000 il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il governo angolano avevano firmato l accordo Staff Monitored Program (SMP) per realizzare tutta una serie di riforme economiche ed istituzionali tra le quali il cosiddetto Oil Diagnostic, per monitorare i proventi petroliferi. Fino ad allora la prassi angolana nella gestione finanziaria era stata assolutamente discutibile con ingenti fondi dirottati per lacquisto illegale di armi o spregiudicate operazioni finanziarie. I tentativi successivi al 2000 per ridare un po di trasparenza alle procedure sono falliti per la resistenza del governo angolano. Un rapporto estremamente critico del FMI sullandamento delle riforme nel paese, aveva poi di fatto portato alla rottura dei rapporti tra lAngola e lorganismo internazionale. Nel frattempo lincremento del prezzo del petrolio e la concessione da parte della Cina di una linea di credito di $2 mld. (portati successivamente a $9,5 mld) in cambio di importanti contratti nel settore energetico e minerario, hanno consentito al paese africano di mantenere una posizione ferma nei confronti del FMI, rivendicando il diritto di gestire la riforma economica con programmi esclusivamente nazionali. Soltanto recentemente il FMI ha, con un secondo rapporto, molto pi edulcorato del primo, assunto un atteggiamento conciliatorio con il governo angolano, di fatto una palese marcia indietro, per riprendere le relazioni interrotte. Altro caso significativo quello del Chad. La necessit di trovare uno sbocco sulloceano atlantico dellimportante produzione dei giacimenti di Doba nel sud del Chad richiedeva la costruzione di un pipeline lungo 1078 kilometri per un costo di $4,2 mld.. Il consorzio per realizzare lopera era formato dai governi chadiano e camerunense e dalla Banca Mondiale come finanziatore e garante delloperazione e da tre multinazionali petrolifere, la Exxon (40%), Petronas (35%) e Chevron (25%) per la sua realizzazione tecnica. La Banca Mondiale ha posto condizioni stringenti per la sua partecipazione, in particolare sulla trasparenza sui proventi petroliferi e la loro destinazione ad investimenti in infrastrutture economiche e sociali. Le condizioni dellorganismo internazionale 162

sono state incorporate in una legge specifica approvata dal governo chadiano, che prevedeva la costituzione di un comitato di controllo (il College de Control) di nove membri, con rappresentanti anche della societ civile, la creazione di un fondo per le generazioni future e indicazioni sulla spesa, che di fatto lasciava alla discrezionalit del governo soltanto il 5% degli introiti petroliferi. Loperazione era stata giudicata da molti osservatori positiva e molto al di sopra degli standard africani, anche per le sue preoccupazioni di tipo ambientale nella realizzazione del oleodotto e per un equo risarcimento delle comunit danneggiata nel corso della realizzazione dellopera. Lintero impianto, attento alla gestione ed alla trasparenza, tuttavia doveva incontrare presto serie difficolt a causa della cattiva implementazione della legge da parte dello stesso Governo chadiano. Il College de Control in particolare ha visto la sua capacit operativa limitata da sottofinanziamento, ha subito talvolta minacce, ed ha potuto contare su di uno scarso flusso di informazioni. Nel momento in cui il petrolio ha iniziato a fluire nel Pipeline, il governo chadiano ha provveduto a cambiare le regole del gioco incrementando da 5 al 30 % le spese discrezionali del governo. Il fondo per le future generazioni stato eliminato e dei fondi destinati a progetti infrastrutturali, gran parte stata destinata alla costruzione di strade, settore in cui il livello di corruzione molto elevato, mentre soltanto il 5,1% sono stati destinati allistruzione e il 3,3% alla sanit. Lo scontro tra la Banca Mondiale appoggiata dagli Stati Uniti ed il Governo Deby ha spinto questultimo a minacciare addirittura la chiusura delloleodotto e la possibilit di un ingresso massiccio dei cinesi in sostituzione delle multinazionali occidentali. Infine si giunti ad un accordo che di fatto sanzionava tutte le richieste del governo chadiano. Se da un punto di vista della politica energetica e di politica industriale il progetto costituisce un successo, con grande soddisfazione delle multinazionali occidentali coinvolte, in primis la Exxon, anche grazie alla scoperta di nuovi giacimenti nellarea, dal punto di vista di un management corretto e di una logica di sviluppo economico del Chad, i risultati sembrano essere dunque del tutto negativi. Interessante anche quanto accaduto a Sao Tome and Principe dove, in previsione dellinizio dello sfruttamento di giacimenti off-shore si era affidato lincarico di adattare i meccanismi EITI a Jeffrey Sachs. In fase di implementazione tuttavia prevalso linteresse delle oligarchie corrotte locali e dei $100 mil emessi dalle compagnie petrolifere per i diritti di prospezioni off-shore, ne sono restati da utilizzar in piena trasparenza soltanto $15 mil.. Questi casi dimostrano sostanzialmente che, pur utili, gli interventi esterni risultano poco efficaci se non si rafforza la consapevolezza da parte della leadership africana che soltanto attraverso una migliore gestione delle risorse finanziarie ed una seria lotta contro la corruzione difficile immaginare la possibilit di uno sviluppo sostenibile in quei paesi. Tale consapevolezza pu essere

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senzaltro rafforzata dallazione dei cittadini, volta a reclamare un sistema diverso, attraverso la capacit di fare sentire le proprie istanze.

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LEZIONE N. 37-38
IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI IN AFRICA
Da alcuni anni lAfrica sta diventando un crocevia significativo del traffico internazionale di stupefacenti, in particolare della cocaina proveniente dallAmerica Latina. Le ragioni dello sviluppo di nuove rotte attraverso lAfrica dipendono da diversi fattori, sia endogeni che esogeni alla realt africana. La preoccupazione delle autorit nazionali, delle organizzazioni regionali e della comunit internazionale crescente poich le conseguenze dello sviluppo di questi traffici si riflettono su unampia gamma di questioni: politiche, economiche, sanitarie e di sicurezza pubblica. La droga ormai un problema in Africa e rappresenta un ulteriore ostacolo allo sviluppo del continente. Lo affermano diversi organismi internazionali incaricati della lotta al traffico di stupefacenti. Gi nel 2001, un rapporto dell'Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta alla criminalit (UNODC) affermava che "grazie alla loro esperienza nel campo del contrabbando di hashish e di eroina, i cartelli della droga dell'Africa occidentale cercano nuovi contatti in America Latina per estendere il traffico di cocaina a tutta la regione dell'Africa sud-sahariana". Si tratta di una svolta fondamentale nella strategia del narcotraffico mondiale che vede l'Africa diventare una delle aree "perno" per la distribuzione di droghe in tutto il mondo. Fino ai primi anni '90 del secolo scorso, l'Africa era tenuta ai margini delle rotte della droga. La svolta avviene nel 1993, quando vengono sequestrati in Nigeria, 300 kg di eroina provenienti dalla Thailandia. il segnale di un cambiamento che vede la trasformazione di tanti contrabbandieri africani (per lo pi nigeriani), da semplici trasportatori per conto terzi in membri di gang capeggiate da africani, in grado di trattare da pari a pari con analoghe organizzazioni di altri continenti. La presenza di queste organizzazioni criminali, il forte inurbamento, la diffusione di una cultura edonistica sono tutti fattori che hanno creato le premesse per un mercato africano della droga. L'Africa quindi non pi solo un luogo di transito degli stupefacenti ma anche un terreno "vergine" per lo spaccio della droga. L'eroina in Africa Secondo dati ONU, nel 2004 si registrato un primo forte incremento del sequestro di eroina del 60% rispetto all'anno precedente. In particolare, l'eroina che passa per l'Africa destinata in primo luogo ai mercati europei e secondariamente a quello del Nord America.

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L'ammontare totale degli oppiacei sequestrati in Africa rimane tuttavia ancora modesto (0,3% del totale dei sequestri a livello mondiale). Per quel che concerne l'uso di oppiacei in Africa, si nota un aumento del loro consumo. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite la crescita del consumo di eroina deriva dal fatto che sono utilizzati come luoghi di transito dai narcotrafficanti, i quali per non disdegnano di creare un mercato locale. In Sudafrica, uno dei pochi Paesi africani che dispone di dati affidabili, fino ai primi anni del nuovo millennio la richiesta di cure per abuso di eroina rappresentava solo l'1% del totale delle richieste di cura per dipendenza da sostanze stupefacenti. Nel 2005 questa percentuale era gia' salita al 7%. In tale contesto, si registra a un forte incremento dell'uso di eroina in alcuni Paesi come il Mozambico, lo Zambia, il Kenya, la Tanzania e la Costa d'Avorio, mentre in altri l'aumento sarebbe stato pi contenuto (Sudafrica, Madagascar, Ghana, Liberia e Senegal). Gli outsider nigeriani e i legami con il Tagikistan. Recenti studi del 2010-2011 hanno evidenziato che nella complessa mappa della "distribuzione dei traffici tra gruppi autoctoni" emergono i sodalizi nigeriani, stanziati da tempo in Tagikistan, la cui attivit appare funzionale alle penetrazione nel mercato cinese. Appare altres evidente che le strategie si stanno evolvendo con una regionalizzazione sempre pi marcata dei traffici e con la sempre minore presenza di gruppi autonomi basati su antichi vincoli familiari che stanno, seppure lentamente, lasciando il posto ad organizzazioni pi strutturate e forti. Il dato pi preoccupante per quello della cocaina che transita dall'Africa in direzione principalmente dell'Europa e, secondariamente, dell'America settentrionale. L'importanza dell'Africa, e in particolare del West Africa, vista come uno dei punti di transito della cocaina verso i ricchi mercati occidentali stata dimostrato dal livello dei sequestri registrati negli ultimi anni. I sequestri di cocaina nell'intera Africa sono infatti aumentati di tre volte tra il 2003 e il

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2004, mentre nello stesso periodo, i sequestri in Africa occidentale e centrale sono aumentati di sei volte. Tuttavia, secondo gli attuali dati disponibili, dal 2008 la stessa West Africa ha segnalato un significativo declino passando dai 98 kg del 2002 alle 4.6 tonnellate del 2007 fino ad arrivare alle 2.3 tonnellate del 2008. Ma i sequestri di cocaina in Africa rappresentano solo l'1% del totale mondiale Anche in questo caso per questo dato viziato dalla debolezza delle forze di polizia locali incapaci di intercettare la maggior parte dei flussi di cocaina provenienti dal Sud America. Nel 2004, ad esempio, il 50% dei sequestri di cocaina nel continente sono avvenuti in Africa occidentale e centrale. La zona di passaggio pi utilizzata dai trafficanti di cocaina quella del Golfo di Guinea, da dove la sostanza stupefacente trasportata in Europa in piccole quantit dai cosiddetti "muli", persone che si prendono il rischio di ingerire ovuli di cocaina con la speranza di passare i controlli doganali negli aeroporti di destinazione. Negli ultimi anni anche nell'Africa orientale aumentato il quantitativo di cocaina sequestrata, indicando una tendenza ad utilizzare in misura crescente quest'area come punto di transito per la cocaina destinata all'Europa e all'Asia.

I trafficanti di cocaina tendono a servirsi dell'Africa come punto di transito per due motivi. Il primo deriva dal miglioramento dei sistemi di sorveglianza dispiegata dalle autorit locali e da quelle statunitensi nell'area caraibica e centro americana , tradizionale rotta utilizzata dai trafficanti. Negli ultimi anni sono sorte basi di sorveglianza statunitensi dalle Ande alle isole caraibiche. Anche le autorit olandesi hanno intensificato la sorveglianza con pattugliatori aerei basati nelle isole di Curaao e Saint Martin. Il secondo fattore legato alla diminuzione del consumo di cocaina che si registrato negli Stati Uniti a fronte di un aumento della domanda in Europa. Se in Nord America vi il pi alto numero di consumatori mondiali, la tendenza quella della diminuzione della domanda. L'Africa quindi

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una comoda e sicura rotta per i raggiungere un mercato in crescita. Come effetto collaterale inoltre si creato un mercato africano che sta registrando negli ultimi anni dei preoccupanti aumenti. La cocaina nell'Africa occidentale Il paese tradizionalmente interessato dal narcotraffico la Nigeria. Qui infatti nel 1993 stato registrato il primo significativo sequestro di cocaina in Africa e le organizzazioni criminali nigeriane sono oramai inserite a piano titolo nel sistema criminale globale e transnazionale. L'affermazione delle mafie nigeriane deriva anche dall'appartenenza della Nigeria del Commonwealth, che ha permesso di avviare strette relazioni commerciali con il subcontinente indiano, produttore di oppio ed eroina e con il mondo anglosassone consumatore. Alla fine degli anni '80, infatti, si registra un incremento importante nel ruolo di centro strategico e nel 1992 i ritrovamenti di cocaina nell'aeroporto di Lagos sono cos rilevanti che le autorit nigeriane sospendono i voli diretti con Rio de Janeiro. Da allora i trafficanti nigeriani sono considerati i principali vettori della droga,, una vera e propria industria al servizio del commercio dell'eroina e della coca. Essi sono presenti in tutti i punti chiave della produzione e del traffico delle droghe. Grazie ai connazionali residenti all'estero, hanno formato clan criminali paragonabili a quelli colombiani, turchi e cinesi. Uno dei Paesi dell'Africa occidentale dei quali si hanno statistiche affidabili sull'incremento del traffico di cocaina il Ghana. Secondo i dati diffusi dalle autorit locali, tra il 2003 e il 2004 i sequestri di cocaina sono aumentati di 40 volte passando da 15 a 617 chili. La maggior parte della cocaina sarebbe stata destinata al mercato britannico. Si tratta di un dato significativo se si pensa che in termini percentuali, i sequestri di cocaina sono aumentati del 18% a livello mondiale e del 4.000% in Ghana dal 2003 al 2004. Nello stesso periodo in Africa i sequestri di cocaina sono aumentati di 3 volte passando dalle 1,1 tonnellate alle 3,6 tonnellate. Negli anni successi sono emersi altri fatti che dimostrano come il Ghana sia diventato un importante punto di passaggio della cocaina nell'Africa occidentale. Nel novembre 2005 la polizia del Ghana ha sequestrato 588 chili nel corso di una perquisizione di un'abitazione a East Lagon.(Accra) Nell'aprile 2006 sono stati scoperti a bordo della nave MV Benjamin che aveva attraccato nel porto di Tema ben 2.310 chili di cocaina La Guinea Bissau un altro dei Paesi divenuti punto di transito della cocaina dall'America Latina all'Europa come dimostrato nel 2007 dalla scoperta di 674 chilogrammi di cocaina e all'arresto di alcuni narcotrafficanti sudamericani.

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Africa Orientale: una situazione preoccupante In Africa Orientale il Kenya il principale punto di transito della cocaina. Nel solo 2004 sono stati sequestrati 1,1 tonnellate di cocaina tra la capitale Nairobi e il centro costiero di Malindi. Oltre al Kenya i Paesi dell'Africa Orientale interessati dal narcotraffico sono Etiopia, Botswana, Zambia e Sudafrica. In questo ultimo Paese secondo il South African Instute of International Affairs (SAIIA), vi sono 500mila persone che fanno uso di cocaina mentre un terzo degli adolescenti fa utilizzo di stupefacenti. Secondo il centro studi sudafricani, nel Paese operano 300 organizzazioni criminali internazionali coinvolte nel narcotraffico. I Paesi della regione sono ormai diventati non solo una zona di transito ma anche un nuovo mercato per gli stupefacenti e in particolare per la cocaina. Nello Zambia, ad esempio, l'80% della cocaina che giunge nel Paese viene trasferita in Europa e il restante 20% viene consumato localmente. L'Interpol ha lanciato l'allarme sul crescente consumo di stupefacenti in Africa. Le condizioni climatiche della maggior parte dell'Africa sono favorevoli alla coltivazione di cannabis. Si tratta di una coltivazione che permette un alto profitto all'agricoltore e necessita di un lavoro meno intensivo rispetto alle altre. Intere famiglie di agricoltori possono cos vivere in modo decente e permettersi di comprare cibo e medicinali e di inviare i loro figli a scuola. La cannabis coltivata in Africa principalmente per il mercato locale, ma negli ultimi anni si notato un aumento dei traffici di cannabis originati dall'Africa sub-sahariana. Le maggiori coltivazioni di cannabis si trovano nelle Comore, in Etiopia, Kenya, Madagascar, Tanzania e Uganda. In Kenya, la coltivazione di cannabis ha un'antica tradizione ma negli ultimi anni diventata prima una produzione limitata al mercato locale, per poi trasformarsi in una vera impresa commerciale illecita estesa alla dimensione internazionale. La cannabis coltivata nella regione occidentale e in quella del Monte Kenya, dove secondo alcuni rapporti vi sono circa 1.500 ettari coltivati a cannabis. Le coltivazioni di droga sono nascoste tra quelle tradizionali destinate all'alimentazione, ma vi sono anche coltivazioni pi piccole in alcune aree protette della riserva naturale nazionale. Anche le regioni costiere sono diventate produttrici di cannabis. Qui infatti si sono installati diversi agricoltori provenienti dall'entroterra che vi hanno trovato aree fertili e poco sorvegliate dalla polizia, e un mercato costituito dalla popolazione locale, dai turisti e dai residenti stranieri che prediligono le coste del Paese. Per quanto riguarda l'oppio, in passato sono state segnalate alcune coltivazioni in Kenya e lungo le coste del Madagascar. Per quel che riguarda la produzione locale di droghe sintetiche, l'Africa orientale un punto di transito del methaqualone (Mandrax) proveniente dall'India e destinato al mercato sudafricano.

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Negli ultimi anni la riduzione del Mandrax proveniente dall'India ha generato una produzione locale di questa sostanza. Sono stati infatti scoperti laboratori chimici clandestini utilizzati per la fabbricazione di questa droga sintetica in alcuni Paesi dell'Africa orientale e meridionale.Nei casi dei laboratori scoperti in Kenya e Tanzania si trattava solo di piccoli centri dove la polvere di Mandrax ancora proveniente dall'India viene trasformata in compresse, ma in altri casi ci si trovati di fronte a vere e proprie officine per la fabbricazione del Mandrax, con precursori chimici la cui provenienza rimasta sconosciuta. A questo proposito le sostanze che destano pi preoccupazioni sono le efedrine, pseudo-efedrine, l'anidride acetica e l'acido N-acetilantranilico (utilizzato nella fabbricazione del Mandrax) e il pergamenato di potassio. La pi famosa coltivazione di pianta stupefacente locale il khat, che comunque una produzione legale in diversi Paesi dell'Africa orientale. Il khat coltivato soprattutto in Etiopia e Kenya e, in misura meno estesa, in Tanzania, Comore e nella parte settentrionale del Madagascar. Viene esportato nei principali mercati dell'area (Gibuti, Eritrea, Somalia, Somalia e Yemen), oltre che in Europa e nell'America settentrionale. L'uso di khat continua ad espandersi nel Corno d'Africa e gioca un ruolo chiave nella continua instabilit della Somalia, dove si calcola che la popolazione spende ogni anno 64 milioni di dollari all'anno per acquistare il khat. Si tratta di una somma quasi doppia al totale degli aiuti internazionali donati al Paese. Il khat non solo contribuisce a sconvolgere la societ, creando persone affette dalla dipendenza di stupefanti, ma ha anche un ruolo nel diffondere nel Paese le armi leggere, spesso scambiate in cambio di una partita di droga. Tutti elementi che permettono di nascondere i traffici di droga. Il Kenya ha il pi grande porto commerciale della regione, Mombasa, che serve la maggior parte dei Paesi privi di accesso diretto al mare, mentre l'aeroporto di Nairobi uno dei pi trafficati dell'area. Le reti del narcotraffico utilizzano anche i porti di Dar-es-Salaam (in Tanzania), Gibuti, Durban (in Sudafrica) e Maputo (in Mozambico) e stanno espandendo le loro attivit anche in Etiopia, Mauritius, Tanzania e Uganda. Questi ultimi Paesi sono usati come punti di transito per la droga inviata in Kenya, Sudafrica e Africa occidentale e da queste aree in Europa e Nord-America. La maggior parte delle sostanze stupefacenti arriva nella regione via mare, nascosta nei carichi dei container trasportati dalle navi mercantili che solcano l'Oceano Indiano. In alcuni casi le navi dei narcotrafficanti si incontrano in alto mare con battelli pi piccoli, che riportano a terra il carico illecito. Grandi quantit di eroina arriva cos nella regione ma si fa ricorso anche a corrieri, uomini e donne, che arrivano con voli commerciali, e agli invii per posta. Tra i Paesi dell'Africa orientale interessati dal traffico e dal consumo di sostanze stupefacenti vi l'Uganda. Secondo un recente rapporto dell'UNODC, "l'Uganda diventata il Paese leader nel traffico e nel consumo di droga rispetto al resto degli Stati dell'Africa orientale". Tra le droghe presenti nel mercato illecito ugandese vi sono la cannabis, l'eroina, la cocaina e il mandrax, oltre al 170

khat. Secondo l'agenzia anticrimine dell'ONU, l'aumento del consumo di sostanze stupefacenti dovuto ai "due decenni di conflitti armati e di mancanza di legge che hanno gravemente danneggiato l'infrastruttura delle forze dell'ordine". Il rapporto osserva che le condizioni climatiche di tutto il territorio ugandese sono favorevoli alla coltivazione di cannabis: "La coltivazione illecita della pianta , per, rilevante in aree remote delle regioni meridionale, occidentale, centrale, orientale e nord-orientale. Le dimensioni esatte delle coltivazioni di cannabis non sono conosciute, ma si notato un aumento della produzione di cannabis soprattutto per l'esportazione". L'aeroporto di Entebbe infine utilizzato come punto di transito per l'invio di eroina e di mandrax dall'Estremo Oriente al Sudafrica. CHI GESTISCE IL MERCATO INTERNAZIONALE DI COCAINA ? In tale contesto, appare significativo evidenziare che a gestire il mercato risultano al vertice principalmente le organizzazioni colombiane che stringono alleanze con quelle europee. A questi sodalizi si aggiungono gruppi di origine caraibica (domenicani e jamaicani in particolare) nonche quelli del West Africa, presenti in maniera trasversale in Francia, Svizzera, Italia, Germania, Olanda e Portogallo. Tra questi ultimi spiccano i sodalizi nigeriani ,che , soprattutto in Olanda, gestiscono un proprio mercato che riforniscono attraverso corrieri aerei in partenza dalle Antille , dal Suriname, dal Peru' dalla Repubblica domenicana e dal Messico. I nord africani sono invece presenti maggiormente nei Paesi mediterranei (Spagna, Francia e Italia)e in Olanda. ll Sahel nuova frontiera del narcotraffico? Dalle coste dell'Africa occidentale le organizzazioni di narcotrafficanti si stanno progressivamente espandendo ai Paesi del Sahel, il cui ruolo strategico di cerniera tra l'Atlantico e il Maghreb, e quindi il Mediterraneo, apprezzato anche dai trafficanti di esseri umani e, probabilmente, dal terrorismo internazionale. Anche il Burkina Faso non sfugge al fenomeno. All'inizio di aprile 2007, 49 chilogrammi di cocaina, per un valore di 10 milioni di dollari, erano stati intercettati dalla polizia del Burkina Faso al confine con il Mali, quest'ultimo importante punto di transito per il traffico degli esseri umani. Paesi come il Mali e il Niger sono da millenni attraversati da vie carovaniere, che sono ora riconvertite per un uso criminale: traffico di esseri umani ma anche di armi, droga e sigarette di contrabbando. Secondo l'ente anticrimine dell'ONU, i trafficanti importano la droga nelle citt costiere come Conakry, in Guinea, Dakar, in Senegal, e Lom, in Togo, e poi la trasportano nelle citt dell'interno come Bamako, in Mali, e Ouagadougou, in Burkina Faso. Da queste localit la cocaina prosegue il suo viaggio fino all'Europa.

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Secondo il responsabile del Comitato contro i traffici illeciti di droga in Burkina Faso, occorre coordinare gli sforzi tra le polizie degli Stati dell'area. "Vi un bisogno urgente di riunire tutti gli enti nazionali antidroga della regione per trovare il modo di cooperare tra di loro per cercare di fermare le reti di criminali" ha detto sottolineano come la scarsa cooperazione transfrontaliera tra i Paesi del Sahel e la mancanza di mezzi delle polizie locali costituiscono problemi aggiuntivi per un'efficace azione di contrasto alle reti criminali. Il mercato della cannabis

Mentre l'Africa per ora solo un luogo di transito e un mercato residuale per droghe come cocaina ed eroina, la principale produzione locale di sostanze stupefacenti rappresentata dalla cannabis. La coltura della cannabis stata introdotta in Africa orientale dai mercanti arabi, persiani e indiani, nel 12esimo secolo. Da l si diffusa prima in Africa australe nel 15esimo secolo, poi in Congo e Angola nel 19esimo secolo. Solo per dopo la seconda guerra mondiale la cannabis raggiunge l'Africa occidentale, portata dei soldati nigeriani e ghanesi che combatterono con le truppe britanniche in Birmania (attuale Myanmar), dove avevano preso l'abitudine di fumare la marijuana. Questo fatto spiega perch nei Paesi dove la cannabis conosciuta da pi tempo, utilizzata nella medicina tradizionale, mentre in Africa occidentale usata per scopi "ricreativi". Fino agli anni '80 per la produzione africana di cannabis rimase limitata. A partire da quegli anni si per notato un incremento notevole della superficie coltivata a cannabis per fini commerciali. La produzione di questa sostanza si divide in tre categorie: l'erba di cannabis (fiori e foglie), resina o hashish (secrezioni emesse dalla pianta durante la fase di fioritura) e olio di hashish, il meno 172

utilizzato. Secondo il World Drug Report 2006 l'erba di cannabis coltivata, per lo pi illegalmente, in 176 Paesi in tutto il mondo. L'Africa rappresenta il 27% della produzione mondiale e i principali produttori sono Marocco (3.700 tonnellate), Sudafrica (2.200 tonnellate) e Nigeria (2mila tonnellate). Per quel che concerne l'hashish il principale produttore mondiale il Marocco che rifornisce i mercati nordafricani ed europei. Grazie all'impegno delle autorit marocchine negli ultimi anni si avuta una diminuzione della produzione locale di cannabis, cui corrisponde un aumento della produzione in altri Paesi, dall'Asia occidentale (Afghanistan, Pakistan) all'Albania. L'UNODC riconosce che dal 2003 il governo di Rabat ha condotto una campagna per stimare la produzione di resina di cannabis nel Paese, in cooperazione con l'Agenzia anticrimine delle Nazioni Unite. Secondo l'indagine effettuata nel 2003, la produzione di cannabis stata di 3.060 tonnellate, coltivata su 134mila ettari di terra nella regione del Rif (nord del Paese) da 96.600 famiglie di contadini. L'indagine condotta nel 2004 ha registrato una diminuzione del 10% delle terre coltivate a cannabis passati a 120.500 ettari con una produzione stimate di 2.760 tonnellate. Nel 2005 si notata una ulteriore diminuzione del 37% portando la superficie coltivata a cannabis a 72.500 ettari mentre la produzione diminuita a 1.070 tonnellate. Per quanto riguarda i sequestri di cannabis, negli ultimi anni 12-15 anni si registrato un aumento della percentuale mondiale dei sequestri nel continente africano di questa sostanza. Mentre nel 1990 il 16% del totale mondiale dei sequestri di cannabis avveniva in Africa, nel 2002 questo dato era salito al 20% per giungere il 31% nel 2004. L'aumento dei sequestri di cannabis in Africa determinato soprattutto dall'aumento dei controlli di polizia e doganali effettuati dalla Nigeria e dal Sudafrica. Il principale mercato di consumo della cannabis l'Europa occidentale, e l'80% della cannabis consumata in Europa proviene dal Marocco, passando per la Spagna e l'Olanda e da qui distribuita negli altri Paesi. Il terzo mercato mondiale di consumo rappresentato dai Paesi del Nord Africa, dove la cannabis proviene principalmente dal Marocco. Parte della cannabis prodotta in Afghanistan e Pakistan inoltre va ad alimentare il mercato dei Paesi dell'Africa orientale. Per quel che concerne le problematiche sociali legate al consumo della cannabis, occorre ricordare che questa sostanza la droga pi diffusa ed usata a livello mondiale. Si stima che nel 2004 ne abbiamo fatto uso 162 milioni di persone, pari al 3,9% della popolazione mondiale tra i 15 e i 64 anni. In termini relativi (la percentuale di abitanti che fa uso di cannabis rispetto ad altre sostanze stupefacenti) la cannabis prevalentemente utilizzata in Oceania, seguita da America del Nord e Africa. Dal 1992 in Africa inoltre si notata una tendenza all'aumento del suo consumo, in particolare in Algeria, Nigeria e Zambia. probabile che la tendenza all'uso di questa droga sia sottostimata in diversi Paesi dell'Africa che non hanno una capacit di raccolta di dati adeguati per seguire il fenomeno. Secondo dati parziali si 173

notato negli ultimi anni un forte incremento dell'abuso di cannabis nell'Africa occidentale, in quella orientale e in Nord Africa, in linea con la tendenza a livello globale di un'ulteriore espansione del consumo di questa sostanza.

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Droghe sintetiche

La produzione di droghe sintetiche limitata in Africa, con l'eccezione del Sudafrica dove la fabbricazione di metamfetamine e methaqualone aumentata negli ultimi anni. I dati sulla scoperta di laboratori clandestini confermano questa tendenza. Si infatti passato dalla scoperta e lo smantellamento di un laboratorio all'anno nel periodo 19951999, ai 17 nel periodo 2000-2003, fino ai 28 smantellati nel solo 2004. Un altro dato che dimostra l'incremento dell'uso di droga sintetiche in Sudafrica quello dell'aumento dei sequestri di ecstasy: nel 2004 si avuto un incremento del 385% dei sequestri rispetto all'anno precedente. Le droghe sintetiche inoltre facevano parte del programma di guerra segreta chimica e biologica messa a punto dal regime dell'apartheid. Secondo le testimonianze raccolta durante il processo nei confronti del responsabile del dottor Wouter Basson (definito "Dottor Morte" dalla stampa locale), nell'ambito del cosiddetto "Project Coast" tra il 1992 e il 1993 i laboratori collegati ai servizi segreti sudafricani avevano prodotto pi di 900 chili di cristalli di ecstasy (pari a 73 milioni di pillole). Alla luce di quanto sopra e possibile affermare che l'Africa non pi solo un punto di passaggio della droga proveniente dall'America Latina e dall'Asia verso l'Europa e l'America Settentrionale, ma ormai diventata un mercato ancora forse "residuale", ma comunque non trascurabile per le reti di narcotrafficanti.

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LEZIONE N. 39-40
IL TERRORISMO IN AFRICA
Negli ultimi anni, lAfrica diventata il teatro di azioni terroristiche di gruppi collegati alla jihad internazionale e di formazioni autoctone che mirano allislamizzazione forzosa delle aree in cui operano. In tale sezione verranno esaminati Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), Boko Haram, il Lords Resistance Army, il caso somalo e Al Shabab, infine il fenomeno dei Mungiki.

a) AL QAEDA NEL MAGHREB ISLAMICO -AQMI


Al Qaeda nel Maghreb Islamico-AQMI lattuale protagonista della campagna estremista che continua a minacciare il Nord Africa. Ormai del tutto commissariato da Al Qaeda, il gruppo attualmente operativo nella regione berbera della Cabilia, nell'Algeria meridionale e, in misura sempre pi crescente, nel Sahel. E questa la nuova frontiera del regno di Al Qaeda: una sorta di zona franca, estesa dallOceano Atlantico fino al Corno dAfrica, che passa per la Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Sudan. E la sponda meridionale del Sahara, tra le aree pi povere al mondo. Negli ultimi anni le infiltrazioni terroristiche in questa fascia sub-sahariana sono aumentate esponenzialmente,complice la posizione strategica di cui il Sahel gode e la presenza di importanti criticit come la porosit dei confini, le violenze settaria e linstabilit politica. Oltre quattromila chilometri di deserto separano il Mali dallAlgeria e dalla Mauritania, frontiere volatili e indifese, dove tra i beduini in costante movimento possono trovare un rifugio sicuro gli operativi di Al Qaeda. Proprio qui la multinazionale del terrore sta costruendo il suo avvenire: il Sahel una regione smisuratamente vasta e dimenticata dove ideale indottrinare i combattenti jihadisti, addestrarli alluso di armi ed esplosivi, ospitare miliziani in fuga e progettare gli attentati da mettere a segno contro lOccidente. In questa terra di nessuno, sancta sanctorum di tutte le attivit illecite dellAfrica sub-sahariana, sono segnalati diversi campi daddestramento: nelle zone isolate e remote nel Mali settentrionale, sul massiccio del Tibetsi, lungo il confine del Chad con la Libia, ma anche nella regione della Azaouagh, lungo il confine tra i Niger e lAlgeria. Attivit di addestramento quindi, ma anche di reclutamento: le bande fondamentaliste cercano nuovi adepti lungo le rotte dellimmigrazione clandestina, soprattutto tra nigeriani e nigerini. A garantire il denaro per equipaggiamenti ed armi lindustria dei sequestri. A tal proposito, la cronistoria del solo 2009 delinea una realt certamente non rassicurante. Lanno si aperto con il rapimento, poi rivendicato da AQMI, di quattro turisti occidentali nella zona frontaliera tra il Mali e il Niger. Tre di loro saranno liberati, mentre il cittadino britannico Edwin Dyer verr barbaramente ucciso il giugno successivo a fronte del rifiuto londinese di liberare il terrorista giordano 176

AbuQatada, detenuto nelle carceri inglesi. Il 29 novembre 2009 vengono rapiti tre volontari spagnolidellONG Barcelona Acci Solidria, Albert Vilalta, Alicia Gomez e Roque Pascual. Sequestrati dauomini armati in Mauritania, precisamente tra Nouadibou e Nouakchott, per il loro rilascio sarebbe stato chiesto un riscatto di 5 milioni di dollari, unitamente alla liberazione di alcuni detenuti jihadisti. Solo qualche giorno prima era stato rapito il cittadino francese Pierre Camatte a Mnaka, nella parte orientale del Mali, poi rilasciato dopo tre lunghi mesi di prigionia. Alla fine di dicembre 2009 AQMI rivendica un altro rapimento, quello dei due italiani, Sergio Cicala e la moglie Filomen Kabouree, originaria del Burkina Faso, sequestrati assieme al loro autista ivoriano nella Mauritania orientale, al confine con il Mali. La responsabilit stata rivendicata da Slah Abu Mohammed, presunto portavoce del gruppo, che in un messaggio diffuso dalla tv satellitare Al Arabya considera il rapimento una risposta ai crimini compiuti dallItalia in Afghanistan e in Iraq. E un meccanismo, quello dei sequestri, che fa leva sul coinvolgimento dei gruppi criminali locali. La dinamica prevede che il rapimento dei turisti occidentali sia affidato alle bande armate autoctone, che vendono poi gli ostaggi agli operativi di AQMI nel Sahel. A volte capita anche che il sequestro sia opera di gruppi fondamentalisti locali che con la loro azione vogliono accreditarsi presso lorganizzazione madre AQMI. Altre fonti di entrate riguardano anche il traffico di droga, armi ed esseri umani: gli estremisti islamici si servono dei trafficanti locali, esperti conoscitori del territorio, che guidano le varie rotte transahariane degli illeciti. Un connubio pericoloso, cos come emerge da varie risultanze processuali nonch da recenti arresti. Nel dicembre 2009 le autorit del Ghana hanno fermato Oumar Issa, Harouna Tour e Idriss Abelrahman, fondamentalisti originari del Mali accusati di finanziare AQMI attraverso il canale della droga. Presumibilmente connessi ai cartelli del narcotraffico sudamericano, garantivano il trasporto della cocaina destinata allEuropa al di l del deserto nordafricano. Un processo di convergenza tra terrorismo e criminalit internazionale che ha dentro di s i germi di una potenza distruttiva, e che ha gi manifestato la sua pericolosit in diversi scenari mondiali. Una vera e propria sfida alla sicurezza insomma, con implicazioni sia locali che interregionali: non a caso quando si parla del Sahel, lo si addita sempre pi spesso come il nuovo fronte nella lotta al terrorismo. Gi nel 2002 lamministrazione Bush aveva lanciato la Pan Sahel Initiative, impulso alla cooperazione militare intergovernativa con lo scopo precipuo di proteggere i confini e rafforzare la stabilit regionale nel nord ovest africano, a cui ha fatto seguito la Trans-Saharian Counter Terrorism Initiative, pianificata come una continuazione del precedente progetto.

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Che cos' Al Qaeda nel Maghreb Islamico? AQMI affonda le proprie radici nella guerra civile algerina, scoppiata nel 1991-1992 a seguito dell'annullamento da parte dell'esercito algerino del secondo turno delle elezioni che avevano visto il Fronte islamico di salvezza affermarsi e prepararsi al governo del Paese. I militanti islamisti, organizzatisi in vari gruppi (di cui il Gruppo Islamico Armato-GIA era il pi noto), lanciarono in risposta al golpe militare una vera e propria insurrezione, affondando l'Algeria in una guerra civile costata pi di 150.000 vittime e terminata, gradualmente, solo pochi anni fa. Nel 1996 una fazione del Gia guidata da Hassan Hattab, in dissenso con le tattiche del gruppo che vedevano un numero altissimo di civili massacrati, decise di abbandonare l'organizzazione per fondare il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). Il GSPC si riproponeva di attaccare i militari e lo stato algerino, senza prendere di mira la popolazione civile bens cercandone il consenso e il sostegno; tuttavia, ben presto il GSPC torn sui propri passi, ricominciando a colpire anche civili. In questo periodo, la guerra civile algerina cominci la sua lenta diminuzione d'intensit, finendo con la progressiva marginalizzazione del GSPC nell'Est del Paese, da dove il gruppo si limitava ormai a lanciare le proprie imboscate contro l'esercito, mentre nel Sud un gruppo guidato da Abderrazak El-Para trovava sostentamento tramite il contrabbando e il rapimento di turisti stranieri. Il GSPC, ormai incapace di alimentare un conflitto a pi alta intensit, ripieg cos in una nicchia strategica dove le forze armate algerine erano incapaci di porre fine una volta per tutte all'insurrezione islamista. In questo contesto di stallo strategico da entrambe le parti, nel 2006 il GSPC ha ottenuto da Ayman al-Zawahiri la benedizione che ha permesso al gruppo di fregiarsi degli obiettivi strategici e del nome di Al-Qaeda. Nasce cos AQMI, che gi fra la fine del 2006 e la prima met del 2007 si lancia in alcuni fra gli attentati pi violenti degli ultimi anni: dapprima, nel dicembre del 2006, vengono attaccati due autobus carichi di lavoratori e ingegneri stranieri all'opera nel Paese; ad aprile 2007 due autobombe esplodono nel cuore di Algeri, vicino ad edifici governativi. In modo simile, a dicembre dello stesso anno 17 lavoratori delle Nazioni Unite vengono uccisi. Nel frattempo, il numero di imboscate aumenta, mentre attentati e rapimenti di occidentali vengono registrati in Mauritania, Tunisia, Mali e Niger. Propaganda e realt La ridefinizione del gruppo come succursale locale di Al-Qaeda ha chiaramente allertato numerosi osservatori e governi occidentali, suscitando il timore che il Nord Africa e, in particolare, le aree di difficile pattugliamento e sorveglianza del Sahel e del Sahara possano diventare una nuova base di espansione del terrorismo islamista . In quest'ottica, dopo l'11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno adottato due iniziative di cooperazione militare con i governi locali: la Pan-Sahel Initiative, lanciata 178

subito dopo l'11 settembre 2001 e che coinvolgeva i governi di Mali, Mauritania, Niger e Ciad; successivamente, la Trans-Sahara Counter-Terrorism Initiative, ha sostituito il programma precedente con un budget pi ampio e con la partecipazione di ben 10 stati dell'area. Che Washington abbia finanziato due programmi di cooperazione anti-terrorismo non sorprendente, visto che tutti i Paesi dell'area hanno in vari modi sfruttato la minaccia di Al-Qaeda per ottenere sostegno militare e finanziario proprio dagli Usa. Molti analisti e rappresentanti governativi hanno avuto gioco facile ad enfatizzare il collegamento con Osama Bin Laden negli Stati Uniti, dove la sensibilit per il tema per ovvi motivi molto alta. Tuttavia, importante notare come l'affiliazione dell'ex GSPC ad Al-Qaeda non abbia mai comportato altro che un'associazione nominale ed ideologica fra le due organizzazioni. Non mai stato provato alcun legame operativo o finanziario, nonostante una parte della stampa abbia ipotizzato una relazione di questo tipo. AQMI ha adottato un brand di successo, tentando cos di rilanciare le proprie sorti, attirare nuovi adepti, ampliare il proprio raggio d'azione ed innovare le proprie tattiche. Non un caso che dal 2006 AQMI sia di nuovo tornato sulle prime pagine dei giornali, minacciando i governi di tutta la regione e adottando intensivamente la tattica degli attentati suicidi, precedentemente poco usata dal GSPC. La regionalizzazione della minaccia terroristica pertanto diventata una minaccia per la stabilit del Nord Africa; tuttavia, ad un attento scrutinio anche questo rischio appare ampiamente sopravvalutato. AQMI continua ancor oggi ad essere un'organizzazione principalmente algerina sia nell'organico che nella propria tattica. Il numero di attentati registrati della regione , infatti, nettamente pi basso di quelli avvenuti in Algeria; inoltre, a parte la Mauritania e di recente il Mali, gli altri stati dell'area sono stati toccati solo marginalmente dalle attivit terroristiche di questo gruppo. Le stesse fila di AQMI sono ancora prevalentemente rinforzate da algerini, in un'ennesima indicazione che il processo di internazionalizzazione dell'organizzazione probabilmente ancora lontano dall'essere completo. AQMI ancora ampiamente incentrato sulle strutture dell'ex GSPC. La natura profondamente algerina del gruppo fa s che i rischi per l'Europa siano inevitabilmente limitati, almeno al momento. Si parlato spesso di rischi per gli investitori stranieri nell'area, a seguito di una serie di comunicati rilasciati da AQMI, in cui si annunciava l'allargamento degli obiettivi alla presenza occidentale in Nord Africa. Eppure, a distanza di anni i danni causati alle imprese straniere nella regione sono rimasti contenuti a pochi episodi; mentre le compagnie petrolifere e l'infrastruttura per l'estrazione e il trasporto degli idrocarburi in Algeria ancora immune da attacchi. Allo stesso modo, la paura che AQMI potesse estendere le proprie operazioni in Europa, sfruttando le reti di maghrebini emigrati in Francia, Germania e Italia non solo per ottenere del sostegno finanziario, ma anche per compiere degli attentati nel cuore del Vecchio Continente, rimasta finora 179

sulla carta: sebbene i servizi di sicurezza europei siano stati efficienti nello smantellare varie cellule legate ad AQMI, non c' stata traccia finora di piani mirati a colpire l'Europa. Rischi reali e minacce immaginarie Sottovalutare la minaccia terroristica in Nord Africa sarebbe profondamente sbagliato: finch esisteranno diversi fattori oggettivi capaci di alimentare un diffuso senso di insoddisfazione e delegittimazione delle istituzioni politiche esistenti nell'area, il rischio posto dal terrorismo islamista come unica alternativa allo status quo rimarr concreto. AQMI un'organizzazione terroristica che ha gi dimostrato negli anni di poter concepire e realizzare attentati di fattura relativamente complessa, colpendo fin nel cuore di Algeri; pertanto, non possibile sminuire la minaccia posta da questo gruppo, n possibile escludere a priori un allargamento delle attivit al resto della regione o anche in Europa in futuro. Tuttavia, importante anche saper distinguere la propaganda dalla realt. AQMI pur sempre un'organizzazione che conta poche centinaia di militanti, divisi in vari comandi sub-regionali; la decisione di affiliarsi ad Al-Qaeda va interpretata come un tentativo di uscire da un angolo strategico in cui era stata costretta dalla graduale diminuzione d'intensit della guerra civile algerina. Autori come Jeremy Keenan, un antropologo britannico che ha vissuto per anni nella regione, sostengono persino che AQMI sia una creatura dell'elite militare algerina che da anni controlla la scena politica nazionale da dietro le quinte, interessata a manipolare la minaccia terroristica locale per riconquistare credibilit internazionale dopo la guerra civile, attirare l'attenzione degli Stati Uniti, tenere il Paese in una condizione di perenne mobilitazione e trarre i benefici di questa situazione. Bench manchino riscontri fattuali incontestabili per sostenere tale tesi, interessante notare come i governi locali abbiano spesso enfatizzato i rischi per la sicurezza, cos da ottenere una serie di vantaggi finanziari e militari nello scenario globale post-2001. In questo contesto, si detto che AQMI fosse finanziato da Bin Laden, che fosse diventata un'organizzazione regionale capace di destabilizzare l'area e pronta a colpire in Europa; questi rischi, bench reali, sono stati amplificati e, pertanto, meritano di essere ridimensionati quando si guarda alla stabilit politica di questa regione.

b) BOKO HARAM
Seppur emerso nel 2002 il gruppo conosciuto anche come Jamaatul Ahl-Sunnati Lil Dawaati wal Jihad ed identificato con il nome di Talebani Nigeriani, solo recentemente stato percepito come un vero pericolo nazionale, nei cui confronti necessario predisporre una strategia mirata di lungo periodo.

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La setta, che crede negli insegnamenti del Corano e nella Sunna (detti e insegnamenti del Profeta Maometto) e rifiuta leducazione nonch i valori occidentali, ha come obiettivo limposizione di una islamizzazione forzosa della Nigeria. Pur avendo perso il leader fondatore, Ustaz Mohammed Yusuf , nel luglio 2009 e pur non avendo una strutturazione precisa, il movimento ha intensificato recentemente le operazioni contro obiettivi sia civili che militari ed ha ampliato il suo raggio dazione espandendo progressivamente il proprio teatro di azione da nord-est verso ovest e sud. Il fenomeno Boko Haram, al di l delle questioni dottrinali islamiche e del radicalismo religioso, pu essere compreso pienamente soltanto se collocato allinterno di un contesto nel quale le lotte di potere intestine al mondo musulmano nigeriano, lo scontro tra cristiani e musulmani e la frattura tra nord e sud della Nigeria, lazione e le caratteristiche del jihahdismo internazionale nel Sahel si intersecano e sovrappongono a vicenda. Boko Haram si sviluppato negli Stati di Borno e Yobe, territori abitati dalletnia musulmana Kamuri, un popolo che riconosce come potere legittimo lo Sheshu (Emirato) di Borno, istituzione la cui importanza seconda soltanto al Sultanato di Sokoto, massima autorit spirituale per i 70 milioni di musulmani nigeriani. Sia il Sultanato che lo Sheshu non sono autorit politico amministrative giuridicamente previste dallo Stato Federale Nigeriano, bens strutture religiose residuali del tempo della penetrazione islamica in Africa occidentale. Pur non avendo poteri effettivi, entrambe le istituzioni esercitano una forte influenza culturale, e sociale, in unarea dominata dallIslam e dove vige la sharia. Il Sultanato di Sokoto controllato dalletnia Hausa-Fulani, gruppo maggioritario nel nord del paese. Attualmente lo Sheshu governato della dinastia el-Kameni, mentre il Sultanato di Sokoto guidato da Muhammadou Saad Abubakar, della dinastia dei dan Fodio di etnia Fusani. Entrambe le dinastie al potere, come spesso accade in Africa, sono espressione di determinati clan che gestiscono poteri, risorse e privilegi a discapito di altri clan a cui questa prerogativa viene impedita od assai limitata. Boko Haram ha trovato grande seguito proprio tra i clan Kamuri esclusi dalla gestione del potere, espandendo la propria influenza anche verso i clan Fulani. Le uccisioni del fratello dello Sheshu di Borno il 1 giugno del 2011 e del religioso wahabita Ibrahim Birkuti una settimana pi tardi, testimoniano latteggiamento della setta verso sia lIslam istituzionale sia i critici indipendenti. Entrambi gli omicidi sono stati commessi da un commando in motocicletta.

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Lobbiettivo finale di Boko Haram appare, quindi, soppiantare lo Sheshu di Borno come autorit religiosa e politica dellarea e porsi come interlocutore islamico concorrente al Sultanato di Sokoto e creare una leadership alternativa per i musulmani nigeriani. La Nigeria, nonostante la divisione amministrativa che ha garantito leffettivit della Sharia nel settentrione del paese, continua a soffrire di una profonda spaccatura economica e sociale tra il sud, cattolico ed arricchito dagli ingenti introiti petroliferi e gasiferi, ed il nord, musulmano e poverissimo. In questo contesto il contrasto tra musulmani e cattolici si aggrava a causa della lotta sociale per la redistribuzione delle ricchezze. Gli episodi pi cruenti avvengono negli Stati centrali della federazione, aree di contatto e convivenza difficile tra le due confessioni e le molteplici etnie. In quelle aree si vengono a scontrare i pastori musulmani in transumanza verso sud ed i contadini cattolici che temono per lo stato delle propri raccolti, dando vita a lotte per i diritti di propriet sulla terra. Nel 2010 nella sola citt di Jos, nel Plateau, ci sono state diverse settimane di scontri tra cattolici e musulmani per un totale di 470 morti. A Natale una bomba esplosa durante le celebrazioni della Nativit caus 80 vittime. Il 7 maggio del 2011, in contemporanea con lattacco a Maiduguri, c stata unesplosione ed uno scontro a fuoco presso il villaggio cristiano di TafawaBalewa nello Stato di Bauchi. Boko Haram ha rivendicato tutti gli attentati ed stata in prima linea in tutti gli scontri a fuoco cavalcando cos londa dello scontento popolare islamico verso i presunti oppressori cattolici. Lelezione del Presidente cattolico Jonathan, avvenuta soprattutto grazie ai voti del sud del paese, ha alimentato ulteriormente la retorica aggressiva della setta di Maiduguri, pronta a far esplodere altri ordigni il giorno dellinsediamento presidenziale e soprattutto il giorno della celebrazione dei 50 anni di indipendenza nazionale durante la parata donore nella capitale Abuja. Linstabilit nigeriana e lincremento delle attivit di Boko Haram potrebbero rappresentare un vasto mercato di opportunit per Al-Qaeda nel Maghreb Islamico? Il braccio saheliano di al-Qaeda ha consolidato la propria strategia di sostegno e supporto logistico a tutte le guerriglie insurrezionali anti-governative del Mali, della Mauritania, del Ciad e del Niger spesso rappresentate da gruppi etnici minoritari o da minoranze discriminate come i Tuareg. In questo senso AQMI assume i tratti di una sorta di Internazionale della Guerriglia priva di una guida religiosa uniforme e di una gerarchia rigida. La questione religiosa si manifesta, dunque, come la pi classica delle coperture ideologiche. Pur mantenendo frequenti contatti con lestremismo arabico-mediorientale, AQMI si distingue per i metodi di finanziamento prossimi al sistema criminale, quali la zakat (tassazione prevista dal diritto islamico per scopi caritatevoli o connessi al sostegno di una causa ritenuta giusta) sui traffici di diamanti, armi ed esseri umani ed i 182

riscatti per prigionieri spesso stranieri. Per quanto riguarda Boko Haram, le convergenze con AQMI sono molteplici. Innanzitutto il leader fondatore della setta di Maiduguri, Muhammad Yussuf, era un nigeriano Kumuri addestrato in Yemen e che aveva militato nei gruppi del Sahel. Inoltre i clan Kumuri che sostengono Boko Haram sono presenti anche in Niger ed in Ciad, lungo i porosi confini dellAfrica occidentale e presso la regione dellomonimo lago. Questi clan sono ampiamente coinvolti nelle guerriglie dei rispettivi Stati di appartenenza e soprattutto potrebbero facilitare i contatti tra Boko Haram ed AQMI. Un simile avvicinamento pu essere testimoniato da i primi segni di cambiamento di tattica operativa da parte della setta di Maiduguri: lattentato suicida un marchio di fabbrica del jihahdismo internazionale, cos come i rapimenti. Infatti il 13 maggio 2011 due impiegati industriali europei sono stati rapiti nella citt di Birnin Kebbi, nello Stato del Kebbi, da un commando in motocicletta appartenente a Boko Haram. Si trattava di due operai che lavoravano ad Abuja, in unarea geografica mai colpita e fuori dai target dei guerriglieri del Mend (Movement for Emancipation of Niger Delta). I vantaggi di uneventuale espansione alla Nigeria dellinfluenza di AQMI sono legati alla ricchezza delleconomia locale, ed alle opportunit offerte dal mercato nero di Abuja, il pi grande crocevia di traffici illegali della regione, al bacino di 70 milioni di musulmani che abitano il nord del paese ed alla possibilit di destabilizzare lo Stato fulcro dellEcowas e del sistema di sicurezza e cooperazione economica dellAfrica occidentale. Se le rivoluzioni del mondo arabo ed i lenti tentativi di equilibrare il Maghreb dopo la caduta dei faraoni e lattuale Guerra Civile Libica sembravano aver ridimensionato il ruolo del fondamentalismo islamico nel mondo africano, la duttilit operativa dellAQMI e lingresso in teatri di conflitti interetnici come quelli sub-sahariani e saheliani dimostrano, al contrario, come la minaccia qaedista sia integra ed operante. La pacificazione del Maghreb passa necessariamente dal controllo e dallopposizione a quanto potrebbe svilupparsi in Nigeria, sia perch eventuali movimenti di resistenza ai nuovi regimi africani mediterranei potrebbero usufruire di una vasta e difficilmente monitorabile retrovia, sia perch una escalation del conflitto in uno dei maggiori paesi produttori di petrolio al mondo causerebbe contraccolpi economici che costringerebbero la comunit internazionale ad ulteriori consultazioni ed interventi.

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C) LA FRAGILITA DELLA SOMALIA E LA NASCITA DI UN TERRENO FERTILE PER LO SVILUPPO DI MATRICI TERRORISTICHE.
Recentemente lillustre africanista Calchi Novati ha voluto in un breve ma significativo intervento evidenziare alcune cause alla base della grave fragilit somala che consentono di meglio comprendere non solo levoluzione storica , ma anche , se non soprattutto, la crescita e lo sviluppo del fenomeno delle Corti Islamiche e del movimento militante e multiclanico noto come alShabaab. Allorigine della fragilit dello stato somalo, egli afferma, c il mancato trapianto degli istituti dello Stato di tipo europeo-occidentale. La dedizione un po approssimata dellItalia negli anni dellamministrazione fiduciaria (Afis) non ha rimediato a carenze che derivano dalla geografia, dalla cultura e dalla storia. Ioan M. Lewis, lo studioso pi accreditato di Somalia ha rivalutato quellimpasto di omogeneit, consultazione e anarchia con la nozione di democrazia pastorale. Lo stesso Lewis aveva scrutato soprattutto la realt del nord, il territorio e il popolo dellex-Somaliland britannico, ma certe strutture sono valide anche per il sud, lex-Somalia italiana. Le due Somalie, del resto, si sono unificate al momento dellindipendenza nel 1960. Il sistema parlamentare trasmesso attraverso lAfis (Amministrazione fiduciaria) ha retto per meno di un decennio. Sia durante il semi-monopolio della Lega dei giovani somali che, dal 1969 in poi, durante il regime militar-rivoluzionario di Siyad Barre il potere si sempre dovuto misurare con la frammentazione clanica senza contraddire, ma anzi presupponendolo come improbabile panacea, il mito del pansomalismo. Con il progressivo deperimento del programma durto per cambiare dal profondo la societ, Siyad Barre non esit a mettere lamministrazione, lesercito e quel poco di economia formalizzata al servizio del clan suo e dei suoi, straripando ovunque con abusi e prelievi. Proprio quello che lordinamento somalo non disposto ad accettare. Lo Stato pu assolvere funzioni di regia e rappresentanza ma deve rispettare le prerogative dei clan nei loro ambiti rispettivi. La guerra contro il regime negli anni 80 fu combattuta da milizie su base clanica e alla sconfitta finale di Siyad nel 1991 segu senza soluzione di continuit una specie di guerra civile di tutti contro tutti. Lo Stato aveva perduto il suo prestigio. Il tessuto della societ era uscito sconvolto dalla guerra per lo spostamento di popolazioni dalla boscaglia alla citt e da un territorio allaltro mescolando e confondendo sistemi di governo, modelli deconomia e codici valoriali. Il vecchio mosaico non si pi ricomposto. Il potere era in mano ai detentori delle armi (i warlords) esautorando di fatto gli anziani (gli elders). Un esempio quasi di scuola di Stato fallito. Solo nel nord, pi compatto culturalmente e con una pi chiara predisposizione al commercio esterno per la vicinanza della penisola arabica, c stata unaggregazione di appartenenza e interesse in grado di promuovere un governo relativamente stabile, che a livello regionale gode del patrocinio discreto dellEtiopia senza 184

avere uno status ufficiale sul piano internazionale. Per la parte di Somalia che fa riferimento a Mogadiscio sono stati creati per vie diplomatico-negoziali 14 o 15 governi che non sono mai riusciti a controllare nulla. Lultimo, denominato Transitional Federal Government (Tfg), per indicare la sua provvisoriet e il tentativo di razionalizzare in qualche modo lautonomia dei clan, dopo un lungo stand-by allombra dellEtiopia stato letteralmente trasportato nella capitale sui tanks di Addis Abeba alla fine del 2006. Nelle pieghe delle giurisdizioni a macchia di leopardo dei signori della guerra il solo fattore di unitariet apparso, in un paese in pieno revivalismo religioso, il movimento conosciuto come lUnione delle Corti islamiche (UIC). Prima di formare una propria milizia e di conquistare la capitale a met del 2006, le Corti hanno agito per un decennio come unautorit locale di basso profilo impartendo la giustizia e provvedendo ai bisogni primari della popolazione. La concezione dellislam che prevale in Somalia rifugge (o rifuggiva) dallintegralismo; in compenso lislam offre una base nazionale al posto del settarismo clanico. Lavanzata del fondamentalismo per il tramite dellUIC si present al governo etiopico come loccasione attesa per passare alla controffensiva. Il presidente etiopico Meles Zenawi aveva qualche buon motivo per temere i rischi di quella presenza ai confini dellEtiopia (non solo per le sorti dellOgaden) e nel contempo voleva rendersi utile alla war on terror di Bush nel teatro del Corno. Un governo sostenuto dal nemico storico della Somalia divenne il bersaglio ideale per una resistenza generalizzata. Neppure la protezione dei militari etiopici ha dato un minimo di consistenza al Tfg: il presidente Ahmed Abdullahi Yusuf, alleato di Meles, si dimesso e dal 2008 le forze armate etiopiche si sono ritirate. Il nuovo presidente somalo Sheikh Sharif Ahmed, alto esponente dellUIC consegnatosi nel gennaio 2007 alle autorit del Kenya e affermatosi col tempo come il leader riconosciuto degli islamisti moderati. I duri delle Corti continuarono a opporsi al dialogo puntando a una soluzione militare secondo unagenda di belligeranza e destabilizzazione a vasto raggio. Il perno del jiahdismo costituito dal movimento militante e multiclanico noto come al-Shabaab, a cui si attribuiscono omicidi, rapimenti e attentati contro professionisti somali, operatori umanitari e religiosi cristiani in un contesto che divulga la cultura del martirio. Sheikh ha perso ogni influenza sulle formazioni che spadroneggiano in pressoch tutte le regioni centro-meridionali. Il potere del presidente non sicuro nemmeno a Mogadiscio. Il governo del Puntland si comporta come unentit a s e mantiene collegamenti ambigui con la pirateria al largo delle sue coste. Gli estremisti sono appoggiati dallEritrea che sfoga cos il suo risentimento contro lEtiopia per la mancata applicazione degli impegni assunti dopo la guerra del 1998-2000. Con i parametri dello Stato convenzionale, la Somalia non esiste pi. La benevolenza con cui la popolazione aveva accettato lattivit delle Corti islamiche rule of law e welfare un lontano ricordo perch tutto degenerato nella violenza. La 185

mancanza di unautorit una colpa se non previene le infiltrazioni delle reti terroristiche e i traffici illeciti. Sia la politica dattacco dellEtiopia che i raids punitivi delle forze americane di stanza a Gibuti non hanno risolto la crisi e forse lhanno istigata per gli ovvi contraccolpi di queste interferenze. La catena delle responsabilit lunga e si riproduce nella reciproca incomprensione. LUnione africana ha distaccato una forza sul terreno composta in prevalenza da soldati ugandesi pi un reparto del Burundi mentre gli altri Stati che avevano offerto truppe non hanno mantenuto la parola. Le Ong occidental hanno praticamente lasciato il territorio somalo per ragioni di sicurezza e anche le agenzie dellOnu sono sempre sul punto di gettare la spugna. La crisi somala contaminer lintero Corno dAfrica? Secondo la autorevole opinione di Padre Giulio Albanese, grande conoscitore delle vicende africane, la recente cronaca del Corno dAfrica stava facendo emergere nuovi indicatori estremamente preoccupanti. La dice lunga, egli afferma, la scesa in campo degli americani che avrebbero deciso di utilizzare nel territorio somalo alcuni droni che avrebbero recentemente ucciso almeno 25 civili e ferito altre decine di persone nel settore meridionale dellex colonia italiana. Ma anche i francesi non starebbero alla finestra avendo deciso di fornire supporto logistico alloperazione militare keniana in territorio somalo. questo in effetti il dato politico-militare pi rilevante. Una strategia, quella messa a punto dal governo di Nairobi, che vorrebbe spazzare via gli al-Shabaab, responsabili di morte e distruzione in Somalia. E se da una parte loperazione militare keniana pare studiata a tavolino, si acuisce il rischio di unulteriore escalation di rappresaglie da parte degli estremisti islamici. Liniziativa di Nairobi ha comunque irritato anche il governo federale di transizione del presidente somalo Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, il quale ha ribadito la sua opposizione alla presenza di truppe keniane sul proprio suolo. Lo stesso concetto stato espresso a chiare lettere dal primo ministro Ali Mohamed Abdiweli, il quale ha ricordato che gli accordi pregressi con il vicino erano di ben altro tenore. Secondo il premier di Mogadiscio, le forze armate di Nairobi avrebbero dovuto fornire, solo unassistenza tecnico logistica per laddestramento dellesercito, mentre ora i militari keniani sarebbero diventati una vera forza occupante. Tuttavia, quando, il 16 ottobre 2011, le truppe keniane hanno cominciato a varcare il confine con la Somalia, era chiaro alla maggioranza degli osservatori che non si sarebbe trattato di un semplice diversivo. Si trattava piuttosto di una chiara risposta a recenti sequestri e uccisioni perpetrati dagli al-Shabaab sul territorio keniano, con lobiettivo, inoltre, di garantire lincolumit dei profughi somali che in questi mesi si sono insediati sul territorio keniano, in seguito di una carestia senza precedenti. A questo punto viene spontaneo chiedersi se questa ennesima iniziativa militare, che pare coinvolgere sempre pi nazioni straniere, possa davvero servire al bene della regione, considerando lostracismo del 186

governo federale di transizione somalo. E cosa dire del fatto che in questi anni tutti gli eserciti stranieri che hanno usato la mano forte contro le forze ribelli (gli ultimi sonno stati i militari di Addis Abeba) hanno fallito? Da rilevare, inoltre, che nellarco degli ultimi quindici giorni gli estremisti somali hanno intensificato le loro azioni contro il Kenya, come peraltro gi avvenuto in passato con lUganda. Basti pensare al raid contro un bus nel Nordest, che ha causato, il 27 ottobre 2011, la morte di tutte le persone a bordo del mezzo. Si trattato del terzo attentato sul territorio keniano in meno di una settimana, dopo quelli compiuti a Nairobi con quattro morti. Sebbene gli alShabaab non godano di ampio sostegno della popolazione somala, riescono di fatto a fare il bello e cattivo tempo, approfittando delle divisioni interne al Paese. In effetti, la Somalia appare sempre pi parcellizzata in piccoli feudi sotto il controllo dei clan tradizionali e di un manipolo di agguerriti signori della guerra, molte volte in lite tra loro. Intanto il governo di Nairobi ha gi annunciato che il prossimo passo sar marciare verso Chisimaio. Una cosa certa, la confusione regna sovrana, non solo per la spregiudicatezza degli al Shabaab, ma anche per la curiosa strategia del presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed che, alla prova dei fatti, pare voglia mantenere lo status quo. Basti pensare che in questi giorni avrebbe chiesto allo stato maggiore dei peeacekeeper dellUnione Africana di non attaccare alcuni quartieri di Mogadiscio in cui sono asserragliati gli estremisti islamici. Qualcuno comincia addirittura a pensare che stia facendo il doppio gioco per i suoi trascorsi nelle Corti islamiche. La ciliegina sulla torta, si fa per dire, lhanno messa gli eritrei che, secondo fonti non confermate, avrebbero fornito armi e munizioni agli al-Shabaab. In tale contesto Padre Giulio Albanese sposa le tesi dellex inviato speciale italiano in Somalia Mario Raffaelli secondo cui un intervento armato in questo momento potrebbe ottenere leffetto opposto, ovvero quello di rinsaldare il consenso della popolazione attorno agli Shabaab, che invece era notevolmente diminuita negli ultimi tempi. E dire che una ricetta per uscire dalla crisi era stata suggerita, in pi circostanze, proprio da Raffaelli secondo cui la Comunit internazionale doveva farsi interprete di uniniziativa negoziale in cui la discriminazione nelle trattative non doveva essere fra islamici radicali e moderati, ma tra chi rivendica unagenda somala e chi persegue, invece, altri interessi, poco importa se di matrice mediorientale o addirittura legati ad Al Qaeda, interferendo nelle vicende somale. Solo in questo modo si sarebbero potute smascherare le contraddizioni interne agli al Shabaab che costituiscono unesigua minoranza rispetto ai milioni di somali costretti a patire le loro angherie. Purtroppo ora le cose sembrano complicarsi ulteriormente e la sensazione dessere giunti ad un vicolo cieco.

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D) LORDS RESISTANCE ARMY CENNI Una strage ignorata dal mondo e dai media, causata dal gruppo militare ugandese Lords Resistance Army Oggi pubblichiamo una non-notizia. Cos nel febbraio 2009 l'agenzia Fides riferiva il bilancio dei massacri compiuti nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo da Natale al febbraio 2009: oltre 900 morti. I massacri sono compiuti dall'armata dell'Esercito di Resistenza del Signore (LRA) un gruppo ugandese cresciuto rapendo bambini e facendoli diventare soldati, guidati dal fanatico Joseph Kony, di cui la Corte penale internazionale ha chiesto l'arresto per crimini contro l'umanit. Da tempo l'LRA agisce non solo nel nord Uganda (dove si costituito alla fine del 1986), ma anche in Congo, Sud Sudan e persino nella Repubblica Centrafricana. Una strage ignorata anche dai media, quella perpetrata dall'LRA nell'Est del Congo. Il mondo non se n' accorto denuncia l'agenzia Fides nonostante i puntuali rapporti pubblicati dalla stampa missionaria. Recentemente, ottobre 2011, Andrea Onori ha scritto che le brutalit e le violenze contro i civili congolesi da parte dei Lords Resistance Army(LRA ) sembrano non avere mai fine. Da anni, come detto, le agenzie internazionali per i diritti umani lanciano messaggi e richieste di aiuto per frenare il noto gruppo ribelle ugandese che opera nella Repubblica democratica del Congo (RDC), Sud del Sudan e Repubblica Centrafricana (CAR). Dalla loro nascita sfornano rifugiati e morte. Ogni anno, con i frequenti attacchi diretti alle popolazioni, lLRA costringe migliaia di congolesi ad abbandonare le proprie abitazioni. Negli ultimi tempi, sono continuamente presi di mira i villaggi del distretto di Dungu nel territorio di Haut-Uele ed altri territori e villaggi circostanti. Dal settembre del 2007 la LRA ha ucciso quasi 3mila persone, rapito 755 bambini e 1.427 adulti. L Esercito di Resistenza del Signore (o Lords Resistance Army), costituito nel 1986, un gruppo ribelle di guerriglia di matrice cristiana. Il gruppo guidato da Joseph Kony, che si proclama il portavoce di Dio e medium dello Spirito Santo. Il gruppo afferma di voler istituire uno Stato teocratico sulla base dei Dieci Comandamenti e della tradizione. LLRA ed i suoi dirigenti sono stati accusati dal Tribunale Penale Internazionale di aver attuato numerose violazioni dei diritti umani, compresi omicidi, rapimenti, mutilazioni, riduzione in schiavit sessuale di donne e bambini, e il costringere i bambini a partecipare alle ostilit. Dallagosto 2009, sono aumentate le incursioni costringendo i profughi, gi rifugiati in un territorio potenzialmente sicuro, di scappare in continuazione. La popolazione si sposta per non ricevere attacchi diretti e improvvisi dellLRA, ostacolando la fornitura di aiuti tanto necessari per tutta la popolazione. In tale contesto, nellottobre 2011, la Francia, ha dichiarato che unitamente a, Unione Africana (UA) e Nazioni Unite stavano riflettendo su come migliorare la lotta contro LRA. Fin dal dicembre 2010 anche gli Usa hanno modificato la propria strategia. In particolare il Presidente Barack Obama, ha recentemente annunciato di voler aiutare le truppe ugandesi contro i ribelli dellEsercito di Resistenza del Signore 188

E) IL TRIBUNALE DELLAJA METTE IN LUCE LINQUIETANTE FENOMENO DEI MUNGIKI. UNA GANG TERRORISTICO CRIMINALE KENIOTA Il 27 novembre 2011 Christopher Goffard, giornalista statunitense lancia sui media americani lallarme rappresentato dai Mungiki. Il nome significa moltitudine e potrebbe essere definito tra i sodalizi pi pericolosi al mondo. Un esercito -afferma sempre Goffard- in grado di terrorizzare il Kenya. Lorganizzazione avvolta nel mito e nella speculazione e si stima che sia costituita da almeno 100.000 persone. In particolare, i Mungiki possono essere definiti come una setta politico-religiosa, segreta, con spiccate propensioni al crimine anche efferato. Essi appartengono altres ai kikuyu, principale gruppo etnico keniota. Il sodalizio appare per la prima volta sulla scena politico-sociale allinizio degli anni 80 proponendosi come portatore di un ritorno alle tradizioni anche ancestrali (Stripping women wearing miniskirts and trousers in public- Forcibly imposing female circumcision -Raiding police stations to free their own members who were under police custody). I Mungiki, inoltre, appaiono disdegnare ogni forma di occidentalizzazione e tutti gli effetti del colonialismo, nonch sembrano promuovere una ideologia caratterizzata da una retorica rivoluzionaria. Nei primi anni 80 i Mungiki si propongono come milizia tesa a difendere i contadini kikuyo contro i Masai e le forze governative, cercando di riproporre le gesta dei combattenti Mau Mau, anchessi di etnia kikuyo, che lottarono strenuamente negli anni 50 contro le forze dellImpero coloniale britannico.

La rivolta dei Mau Mau il Presidente Jomo Kenyatta con un leader dei ribelli Negli anni 90, dalle zone rurali, i Mungiki migrano nella capitale Nairobi , acquisendo in breve tempo il controllo dei matatu (taxi privati) . Tale situazione determina la possibilit per la setta di realizzare una organizzazione costituita da cellule composte ciascuna da 50 membri divisi in cinque nuclei. Lorganizzazione, grazie alla realizzata solida base economica, decide di ampliare il proprio

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raggio dazione dedicandosi ai seguenti settori: smaltimento dei rifiuti;edilizia;racket e violenze a sfondo etnico.

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LEZIONE N .41-42
IL FENOMENO DELLA PIRATERIA NEL GOLFO DI GUINEA E AL LARGO DELLE COSTE SOMALE
Il fenomeno della pirateria La crescita del fenomeno della pirateria negli ultimi anni evidenzia la crisi degli Stati e dell'emergere di forze non statuali in grado di condizionare gli equilibri geo-politici, insieme alle rotte commerciali marittime. Il 2008 stato un anno da record per la pirateria: 293 navi attaccate, 49 sequestrate, 889 membri di equipaggio presi in ostaggio e 21 uccisi. Dal 1991, anno in cui venne creato lIMB, lUfficio Marittimo Internazionale nellambito della Commercial Crime Services (CCS), divisione speciale della Camera di Commercio Internazionale, mai si erano registrati tanti attacchi. La fine della Guerra Fredda ha ridotto i pattugliamenti delle marine e questo ha contribuito a dare impulso alla pirateria moderna in un contesto che vede aumentato anche il volume del commercio internazionale e dei traffici marittimi in particolare. La mappa della pirateria Laumento esponenziale dei casi di pirateria dovuto principalmente alla situazione in Somalia e nel Golfo di Aden, dove sono state sequestrate nel 2008 42 navi e 815 membri degli equipaggi. Nella classifica dei Paesi con le acque pi pericolose al mondo, dopo la Somalia c la Nigeria, con quaranta abbordaggi registrati, cinque sequestri e 29 marinai presi in ostaggio. Al settimo posto si colloca invece lo Stretto di Malacca, fino a tre anni orsono considerato il luogo pi insidioso del pianeta. Durante la presentazione del rapporto annuale, il direttore dellInternational Maritime Bureau Pottengal Mukundan ha sottolineato come la pirateria nel 2008 abbia fatto un salto di qualit. In particolare: i pirati evidenziano un pi elevato livello di preparazione e dispongono di migliori armamenti; alcune frange della pirateria hanno attivato collegamenti con la criminalit organizzata; gli attacchi sono sempre pi audaci e ambiziosi. Ne un caso evidente il recente sequestro della superpetroliera Sirius Star , battente bandiera liberiana , ma di propriet saudita , presa dai predoni somali il 15 novembre scorso al largo del Kenya e rilasciata solo il 9 gennaio 2009 . Nelle stive della 191

superpetroliera erano stipati due milioni di barili di greggio per un valore di almeno 100 milioni di dollari . Dal Golfo di Aden al Capo di Buona Speranza I premi assicurativi per le navi da carico che intendono passare attraverso il Golfo di Aden sono aumentati di ben dieci volte nel corso degli ultimi anni. Alcune flotte mercantili hanno recentemente modificato le rotte e, per evitare il Golfo di Aden, passano per il Sud Africa, doppiando il Capo di Buona Speranza (anche se questo comporta almeno 4 5 giorni in pi di navigazione). Questa fuga dal Mar Rosso sta producendo serie ripercussioni sul Canale di Suez, gi alla prese con la crisi economico finanziaria mondiale. Per far fronte alla situazione nel 2008 i ministri di 27 nazioni europee hanno approvato dei piani per una missione navale nel Corno dAfrica per reprimere duramente il fenomeno della pirateria, che sta danneggiando anche il programma alimentare mondiale (Pam), allestito dalle Nazioni Unite per fornire di aiuti umanitari la Somalia. La filibusta del nuovo millennio, in sintesi, agisce in maniera diversa dalle scorrerie di una delinquenza spietata che assaliva le proprie vittime con azioni feroci. Oggi la pirateria insegue per lo pi bottini miliardari, estorce interi carichi ai mercantili, sorprendendoli con motoscafi veloci, muniti di radar.

La pirateria nel Golfo di Aden Il 12 ottobre 2008 sul quotidiano The East African di Nairobi , l analista ugandese Charles Onyango Obbo, nellesaminare le cause alla base della esplosione del fenomeno della pirateria nel Golfo di Aden, affermava che senza uneconomia funzionante e con una quantit infinita di

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persone impossibilitate a trovare lavoro, la pirateria diventa lunica fonte di sopravvivenza per alcuni somali; la soluzione alla pirateria in Somalia non sincontra in alto mare. Essa sta allinterno del paese. La presenza delle forze etiopi in Somalia ha fatto crescere il risentimento nazionalista, sviluppando lestremismo e la continuazione del conflitto. Se gli etiopi se ne andranno, il governo di transizione collasser e gli islamisti ritorneranno al potere. Essi sono lunica forza in grado di gestire il ritorno dellordine in Somalia e possono soffocare la pirateria. Per gli interessi dei paesi dellAfrica orientale c una sola possibile soluzione: che i mullah ritornino a Mogadiscio Il fenomeno della pirateria ha assunto dimensioni preoccupanti anche perch attraverso il Golfo di Aden e le altre aree lungo la costa somala passa il 14% del trasporto mondiale di merci ed il 30% di quello di petrolio. La minaccia alla sicurezza della navigazione nel Golfo di Aden , sta rendendo, come detto, estremamente difficoltoso anche lintervento del PAM (Programma Alimentare Mondiale - WFP) atteso che il novanta percento degli aiuti alimentari arriva in Somalia via mare e la pirateria marittima scoraggia i proprietari delle navi ad intraprendere nuovi viaggi. In tale quadro l11 dicembre 2008, a Nairobi, si svolta una conferenza internazionale dedicata al fenomeno della pirateria nel Golfo di Aden organizzata dalle Nazioni Unite. In merito: linviato speciale pro-tempore delle Nazioni Unite in Somalia, Ahmedou Ould Abdallah, introducendo i lavori del vertice ha evidenziato che il problema della pirateria legato fortemente allassenza di pace e stabilit in Somalia; il portavoce della sezione keniana dellAssociazione dei marittimi dellAfrica orientale, Andrew Mwangura, ha affermato che non solo la pirateria non poteva essere risolta con una soluzione militare, ma anche che era necessario indagare le cause sociali ed economiche di questo fenomeno atteso che i pirati non possono essere definiti come criminali. Modus operandi dei pirati del Golfo di Aden Dallanalisi dei dati pubblicamente disponibili, possibile affermare che i pirati: utilizzano piccole imbarcazioni, dotate di potenti motori fuoribordo, estremamente maneggevoli; si servono, sempre pi frequentemente, di una nave madre, per lo pi pescherecci, al fine di ampliare il proprio raggio dazione; impiegano apparati di comunicazione e rilevazione satellitari; esercitano una attenta e continua vigilanza nelle acque del Golfo di Aden mediante limpiego dei citati natanti veloci; 193

sfruttano, nelle azioni di attacco, il fattore sorpresa e sono addestrati nel compiere gli arrembaggi in tempi estremamente contenuti; non esercitano particolari vessazioni nei confronti dei membri degli equipaggi sequestrati.

Origine dei pirati. I pirati provengono, in larga massima, dalle regioni somale del Puntland . In tale contesto,aveva suscitato molte polemiche la notizia che quattro dei sei presunti pirati arrestati dalla Francia dopo il sequestro, in aprile2008, della nave da crociera di lusso, le Ponant finito con la liberazione degli ostaggi -, appartenessero al clan Majarteen: il clan che controlla il Puntland e da cui proveniva il presidente pro-tempore somalo Abdullah Yusuf Ahmed.

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La pirateria nel Golfo di Guinea Secondo il Piracy Report 2008 dellInternational Maritime Bureau, le acque della Nigeria sono state classificate le pi pericolose dopo quelle somale. Nel periodo in esame, sono stati infatti registrati quaranta abbordaggi, cinque sequestri e 29 membri di equipaggio presi in ostaggio.

In merito: le Nazioni Unite cercano di affrontare la grave minaccia attraverso un approccio regionale evidenziando alla comunit internazionale la necessit di aiutare lAfrica Occidentale a rendere quelle acque sicure e supportando, attraverso la divisione sicurezza IMO, numerosi stati del West Africa; gli Usa ed alcuni Paesi europei stanno fornendo direttamente assistenza tecnica alle strutture di controllo marittimo di Ghana, Nigeria e Liberia non solo al fine di garantire le rotte del trasporto di gas e petrolio ma anche allo scopo di arginare il crescente traffico marittimo di stupefacenti provenienti dallAmerica Latina, transitante nel West Africa e diretto ad alimentare il mercato europeo; il fenomeno del Mend nigeriano certamente non appare estraneo al problema della pirateria anche per ragioni di politica interna . La situazione nel Delta del Niger, teatro operativo dei movimenti antagonisti nigeriani, sembra oggi sospesa, tra un governo federale non privo di contraddizioni e una galassia di gruppi ribelli che stenta a trovare una autorevole leadership. Modus operandi dei pirati del Golfo di Guinea Dallanalisi dei dati pubblicamente disponibili, possibile affermare che i pirati: utilizzano piccole-medie imbarcazioni, dotate di potenti motori fuoribordo, estremamente maneggevoli;
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Nigeria's MEND: A Different Militant Movement March 19, 2009 www.stratfor.com

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si servono, sempre pi frequentemente, di una nave madre, al fine di ampliare il proprio raggio dazione; impiegano apparati di comunicazione e rilevazione satellitari; esercitano una attenta e continua vigilanza nelle acque della regione del Delta del fiume Niger mediante limpiego dei citati natanti veloci; sfruttano, nelle azioni di attacco, il fattore sorpresa e sono addestrati nel compiere gli arrembaggi in tempi estremamente contenuti.

I rischi per la comunit internazionale La pirateria non certamente un fenomeno nuovo, ma stato a lungo sottostimato dalla comunit internazionale che solo recentemente corsa ai ripari nel tentativo di arginare lattuale escalation. Basti pensare che lUnione europea ha ufficialmente inclusa la pirateria tra le minacce emergenti solo nel dicembre 2008, in occasione della presentazione del Rapporto sullattuazione della Strategia di sicurezza europea. La pirateria oggi dettagliatamente codificata dalla Convenzione di Montego Bay del 1982 agli articoli 100 ss. che riproducono, salvo alcune varianti, gli art. 14 ss. della Convenzione di Ginevra del 1958. Ai sensi dellart. 15 di Ginevra e 101 di Montego Bay si definisce pirateria: 1) Ogni atto di violenza illegittimo di detenzione e ogni depredazione commessi dallequipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, a scopo personale, e a danno: in alto mare, di unaltra nave, altro aeromobile, o di persone o beni a bordo di questi;

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b) in luoghi non sottoposti alla giurisdizione di uno Stato, duna nave, o di un aeromobile, o di persone o beni. 2) La partecipazione volontaria allimpiego di una nave o di un aeromobile, svolta con piena conoscenza dei fatti che conferiscono a detta nave o detto aeromobile lattributo di pirata. 3) Listigazione a commettere gli atti definiti ai numeri 1 e 2 come anche la facilitazione intenzionale degli stessi. Analisi dei rischi In tale contesto, numerosi analisti internazionali affermano che i rischi associati alla pirateria sono notevoli ed hanno almeno una duplice natura: economico-commerciale:larea che va dalle coste nordorientali della Somalia fino al Canale di Suez, passando per il Golfo di Aden e lo stretto di Bab-al-Mandab, riveste una rilevanza strategica per leconomia mondiale. La recrudescenza della pirateria in questo settore ha avuto molti effetti negativi, tra cui il sensibile calo del traffico nel Canale di Suez e laumento dei premi assicurativi;

di sicurezza: interna, atteso che la pirateria arricchisce i signori della guerra locali e rinfocola le loro continue lotte intestine e internazionale per i suoi possibili legami con il terrorismo.

In sintesi, la pirateria nel Golfo di Aden , avendo assunto le caratteristiche di una minaccia globale, necessita di una risposta altrettanto globale e potr essere estirpata solo a lungo termine con la fine del caos in Somalia e contrastata nel breve-medio periodo attraverso sforzi congiunti della comunit internazionale che attualmente si stanno concentrando prevalentemente in due direzioni, una operativa e laltra giuridica.

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Quinto Modulo TREND E PROSPETTIVE


Sviluppo del settore petrolifero Good governance come fattore chiave per lo sviluppo e la sicurezza in Africa A quando una Primavera Africana?

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LEZIONE N. 43-44
SVILUPPO DEL SETTORE PETROLIFERO
Tra il 1990 ed il 2004 la produzione petrolifera del continente africano aumentata del 40% passando da 7 milioni a 10 milioni di barili al giorno (m b/g). Attualmente secondo i dati dell U.S. Geological Survey (USGS) lAfrica contribuisce a livello mondiale per il 12% della produzione petrolifera, altre fonti parlano invece di un contributo pari al 10%. Gli esperti di settore concordano comunque nel prevedere un aumento di tale quota fino al 15% verso il 2020. Tali dati fanno s che lAfrica sia pi che mai al centro degli interessi dei grandi player mondiali, (in particolare USA, Cina e India) interessati a promuovere il loro sviluppo industriale. Il continente deve essere preso in considerazione tenendo conto che in vi sono due aree geopolitiche nettamente distinte: lAfrica del Nord che rientra nello scacchiere del Grande Medio Oriente, (regione soggetta alle note tensioni globali, difficilmente controllabili) e lAfrica sub-sahariana con fattori di rischio del tutto diversi e certamente pi limitati, se si escludono alcuni paesi di frontiera come il Sudan e la Somalia. In linea di massima il rischio politico maggiore nellAfrica a sud del Sahara costituito da possibili conflitti interni determinati da una ineguale distribuzione dei proventi dellindustria estrattiva. Si tratta di un fattore di rischio che se non del tutto ineliminabile, pu essere ridotto con una maggiore trasparenza finanziaria, con lo sviluppo di una maggiore rappresentativit democratica e con una migliore governance attenta agli aspetti ambientali e sociali. LAfrica sub-sahariana sta assumendo un importante funzione di alternativa come fornitore di materie prime energetiche favorendo cos una strategia di diversificazione rilevante, soprattutto in considerazione delle crescenti tensioni nella regione mediorientale. Quali i motivi che spingono oggi verso il petrolio africano? In buona sostanza linteresse delle grandi compagnie petrolifere multinazionali, nellAfrica sub-sahariana determinato dai seguenti fattori 1. apertura degli stati produttori africani al mercato e assenza di minaccia negli ultimi anni di possibili nazionalizzazioni nel settore (questa situazione favorisce lentrata di nuovi attori come le cosiddette compagnie indipendenti, sia americane che asiatiche); 2. sistema di regimi contrattuali e fiscali favorevoli che rendono pi remunerativo e meno rischiose le attivit di esplorazioni e prospezioni;

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3. presenza di nuove tecnologie di prospezione e sfruttamento che consentono di utilizzare risorse fino ad ora inesplorate perch troppo profonde e situate off-shore; 4. collocazione geografica favorevole per i trasporti marittimi soprattutto dal Golfo di Guinea e Angola; 5. qualit del petrolio a basso contenuto di zolfo; 6. natura dei giacimenti, che -essendo off-shore- consentono una maggiore protezione da eventuali attacchi terroristici. LAngola e la Nigeria sono ormai i due produttori africani leader, davanti allAlgeria ed in teoria alla Libia (la cui produzione nel 2011 stata fortemente danneggiata a causa della rivolte che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi). LAngola nel 2009 divenuta il primo produttore con una quota di 2 milioni barili al giorno (b/g); la Nigeria con una produzione di 1,9 milioni di b/g ha visto la sua produzione calare nellultimo biennio. Oltre ai suddetti Paesi, hanno una produzione di tutto rispetto la Guinea Equatoriale che dal 2004 produce 360.000 b/g; il Sudan che ha una produzione di 470.000-490.000 b/g (cifra che ha risentito negativamente dellindipendenza del Sud nel luglio 2011 e del mancato accordo petrolifero successivo tra Nord e Sud), il Congo Brazzaville che estrae 240.000 b/g ed il Gabon che si attesta sui 235000 b/g. Le recenti scoperte di giacimenti in Ghana e Uganda permetteranno nel breve periodo di considerare anche il contributo di tali paesi nel panorama africano. Al fine di difendere in modo ottimale i propri interessi e coordinare le proprie politiche, i partner africani hanno creato nel 1986 lAssociation des Pays Producteurs Africains (APPA) . Ma quali sono le tre linee seguite da USA, Cina e India per la spartizione delle risorse energetiche africane? Nigeria, Angola e paesi del Golfo di Guinea rappresentano i cardini della strategia americana per laccaparramento delle risorse energetiche africane. La sicurezza energetica parte integrante della sicurezza nazionale, essa deve essere quindi perseguita con pragmatismo e con ogni strumento utile (compreso quello militare). Diverse le affermazioni fornite dai responsabili politici statunitensi nellultimo ventennio, sia essi democratici che repubblicani. Se fu il Presidente Carter che nel 1980 preventiv luso di any means necessaries, including military force (la cosiddetta Dottrina Carter) per assicurare il flusso del petrolio del Golfo Persico, il Presidente Clinton qualche anno pi tardi fece eco con our nation cannot afford to rely on any single region for our energy supplies. Fu tuttavia solo con lAmministrazione repubblicana 200

che la Dottrina Carter venne estesa allAfrica. Il Vice Presidente Richard Chaney nel National Energy Policy report nel maggio 2001 puntualizz cheAfrican oil tends to be of high quality and low in sulphur, giving it a growing market share for refining Centres on the East Coast of the US . Indubbia nellobiettivo appare anche la dichiarazione dellAssistente Segretario di Stato per lAfrica Walter Kansteiner fatta nel luglio 2002 , in occasione di una visita in Nigeria , secondo cui the African oil is of strategic national interest to us and it will increase and become more important to us as we go forward. Se a ci si aggiungono gli incontri del Presidente Bush a New York nellagosto dello stesso anno con i Capi di Stato di 10 paesi africani produttori di petrolio (tra cui quelli di Cameroon, Guinea Equatoriale, Chad, Congo Brazzaville, Sao Tome & Principe), le missioni del Segretario di Stato Colin Powell nel settembre 2002 in Angola e Gabon, nonch i pi recenti viaggi di Condoleezza Rice e di Jendayi E. Frazer nei Paesi del Golfo di Guinea , si pu facilmente comprendere che negli ultimi mandati sono stati moltiplicati gli sforzi per ancorare la presenza di compagnie americane in alcuni paesi del continente, il tutto con lobiettivo di creare le basi per una partnership di lungo periodo. Indubbiamente l11 settembre ha favorito tale indirizzo, rafforzando un fenomeno che aveva gi creato le sue basi con le crisi petrolifere degli anni 70-80. Nel 2015, secondo numerosi esperti, il 25% del petrolio necessario alle industrie americane, potrebbe pervenire proprio dal black continent. Infatti da un lato va aumentando la richiesta energetica americana, dallaltro prosegue la ricerca per la diversificazione geografica delle risorse e parallelamente quella per lo sviluppo di nuovi fonti alternative. LAfrica sembra rispondere completamente a queste esigenze. ExxonMobil, ChevronTexaco, Devron, Ameralda Hess, Marathon, Unocal sono sempre pi presenti con nuove tecniche di esplorazione e con accordi privati per la sicurezza, convinti dei vantaggi forniti dalla qualit del prodotto locale (petrolio leggero, come ad es. il Bonny light), della relativa vicinanza geografica (un supertanker proveniente dal Golfo di Guinea pu raggiungere New York in una settimana) e ancor pi dei vantaggi offerti nella spartizione dei proventi da parte dei governi (in alcuni casi fino al 15% del guadagno totale). La loro azione si scontra tuttavia con potentati locali e una forte corruzione, operata sia da parte di funzionari governativi, sia da parte di privati. Come segnalato nei report annuali pubblicati da Transparency International, diversi paesi africani sono coinvolti da questo fenomeno che detrae dalle tesorerie statali almeno $140 miliardi ogni anno ed impedisce un sano sviluppo economico. Come ovviare a tale problema? Ponendo numerose condizionalit politiche ed economiche in accordi bilaterali e multilaterali, premendo per una maggiore trasparenza e accountability,

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incentivando il rispetto della legge e la santit dei contratti, trainando con iniziative multilaterali i paesi pi meritevoli . Per quanto attiene alla Cina, lacquisto del petrolio africano rientra in una logica pi ampia dei rapporti bilaterali, rapporti che si sono evoluti da fine degli anni 50 ai giorni nostri. Da Mao a Hu Jintao il cammino si sviluppato e trasformato, cercando di far convergere le esigenze di Pechino con quelle dei paesi africani, le prime, volte ad un pieno riconoscimento internazionale ed allesportazione degli ideali rivoluzionari, le seconde mirate inizialmente al sostegno per lindipendenza e, successivamente, allaiuto economico. Le numerose missioni diplomatiche/ministeriali annuali si concretizzano in Accordi commerciali di alto livello ed in commesse notevoli per quanto riguarda linserimento delle compagnie petrolifere di stato (China National Petroleum Corporation-CNPC, China National Offshore Oil CorporationCNOOC, China Petroleum and Chemical Coproration SINOPEC) , valide per nuove esplorazioni, trivellazioni, produzioni e sfruttamento delle risorse africane. Quali i paesi particolarmente curati da Pechino? Certamente si distinguono Angola, Sudan, Algeria, Nigeria, Congo ma non vengono disdegnati i rapporti con Etiopia, Guinea Equatoriale, Namibia. Angola: il partner petrolifero per eccellenza. Su oltre 7 mil b/g di petrolio totali che la Cina ha importato nel 2005, ha preso circa 760.000 b/g dalla sola Africa, di cui 456.000 b/g dallAngola. Pechino percepito come un alleato fidato che colma i vuoti delle istituzioni internazionali e come un partner pronto a inserirsi rapidamente in gare internazionali. In occasione dellacquisizione dei diritti sul Blocco 18, la Cina subentrata in fase finale di trattative allIndia, inizialmente prevista come acquirente favorito per acquisire la quota del 50% della Shell (valore di US $ 620 milioni). Sudan: il partner pi controverso, il rapporto pi complesso che attira le critiche internazionali. Nessuno pu dire con certezza quanto la Cina abbia investito in Sudan negli ultimi anni. Alcune voci fanno riferimento ad una cifra pari a US$20 mlrd, cui vanno aggiunti prestiti e donazioni. Alcuni dati indicativi: nel 1996 la CNPC entrata a far parte della Greater Nile Petroleum Operating Company; nel 1998 la CNPC ha preso parte alla costruzione del pipeline di 1500 km dai campi di Hegling e Unity al Mar Rosso; la stessa compagnia sta costruendo con la China Petroleum Engineering Construction Group un terminale di US$215 mil a Port Sudan; Nigeria: tra le numerose iniziative congiunte si segnalano la firma nel 2005 tra la CNOOC e la Nigerian National Petroleum Corporation-NNPC di un contratto di US $800 milioni per attribuire alla Cina 30.000 b/g, lacquisto nel 2006 da parte della CNOOC del 45% del 202

campo AKPO per oltre US$2 milioni, limpegno cinese preso in occasione della visita ufficiale del Pesidente Hu Jintao (aprile 2006) di investire US$4 milioni nel settore petrolifero; Algeria: numerosi sono gli accordi stipulati negli ultimi anni tra i due partner. Tra i pi rilevanti si ricordano quello dellottobre 2002 con cui la SINOPEC ha investito con la Sonatrach algerina US $525 milioni per sviluppare lesplorazione e la messa in produzione del campo petrolifero di Zarzaitine (da completarsi nel 2008); quello relativo alla costruzione di una raffineria vicino Adrar nel luglio 2003; quello del dicembre 2003 tra CNPC e Sonatrach con cui la compagnia cinese si impegnata ad investire US$31 milioni nei successivi tre anni per la prospezione di alcune aree algerine ricche di gas e petrolio. Per quello che concerne lIndia, in particolare la Oil and Natural Gas Corporation (ONGC) e il TATA Group si sono distinte per il dinamismo dimostrato e per la validit dei progetti avviati nel settore petrolifero africano. La ONGC Videsh Ltd, (OVL) -divisione che si occupa di esplorazione e investimenti per la ONGC- ha effettuato la prima operazione importante nel 2003 in Sudan, sostituendosi alla Talisman (compagnia canadese obbligata a ritirarsi dallarea a causa di pressioni di alcune ONG nazionali, contrarie ad investimenti in un paese non rispettoso della tutela dei diritti umani). Nel gennaio 2005, la GNOPC ha prodotto 320.000 b/g. prontamente immessi sul mercato grazie ad una pipeline che collega i giacimenti pi ricchi del paese a Port Sudan. Unoperazione commerciale condotta dalla OVL, particolarmente discussa, stata quella relativa allacquisto del 45% dellinteresse nellOML 130 (Oil Mining Lease), larea offshore del Delta del Niger in cui si trova il giacimento petrolifero AKPO (a 200 km dalla costa- ha riserve stimate pari a 600 milioni di barili di petrolio). Inizialmente la compagnia indiana si era impegnata per acquistare una partecipazione del valore di US$ 2,3 miliardi di tale giacimento, poi si ritirata, ufficialmente a causa di un mancato nulla osta dato dallesecutivo di Nuova Delhi per motivi legati al rischio delloperazione. Abilmente, in fase finale, si re-inserita la CNOOC che in tal modo ha effettuato la prima acquisizione di rilievo nel continente. Tale operazione ha indotto a pensare ad accordi sotterranei tra i due partner asiatici, che potrebbero aver predisposto una strategia precisa,volta ad affermare la presenza asiatica nel continente.

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LEZIONE N. 45-46
GOOD GOVERNANCE COME FATTORE CHIAVE PER LO SVILUPPO E LA SICUREZZA IN AFRICA
Dagli anni 90 la governance considerata un fattore chiave per lo sviluppo sostenibile del continente africano. Tale convinzione particolarmente forte tra le democrazie occidentali e gli organismi internazionali che sono impegnati dalla fine del secondo conflitto mondiale nelle politiche di sviluppo. Limportanza della governance come elemento chiave per produrre sviluppo sostenibile e stabilit politica, non tuttavia unanimemente accettato a livello internazionale, soprattutto quando vengono considerati nel concetto di governance, i rapporti politici e sociali tra governanti e governati. In questi casi, soprattutto quando il concetto di good governance viene inteso nel suo senso pi ampio, e comprende anche lo sviluppo di istituzioni democratiche e il rispetto dei diritti umani, questo viene criticato apertamente da alcune potenze emergenti (come la Cina) e dalle autocrazie africane che non accettano cambiamenti radicali nei loro paesi. Le difficolt che incontra una good governance ad affermarsi nel continente africano non sono tuttavia il frutto dellopposizione teorica di chi non crede in essa; si tratta piuttosto del fatto che quellinsieme di regole e di principi stentano a radicarsi in ambienti poco adatti al loro sviluppo. Ma cosa si intende per governance? Come si misura? C un modo per migliorarla? Come si pone rispetto alla democrazia e alla sicurezza? Formulare una definizione precisa e definitiva di governance non sembra cosa semplice, data la fluidit insita nel termine e la forte generalit del concetto stesso. La definizione pi neutrale del termine governance quella spesso formulata dalla Banca Mondiale che definisce la governance come la maniera in cui il potere esercitato nel gestire le risorse sociali ed economiche per lo sviluppo. Tale definizione, cos come formulata nella sua generalit, neutrale da un punto di vista ideologico, in quanto non qualifica gli strumenti per raggiungere il fine, vale a dire lo sviluppo (economico e sociale), ma chiarisce soltanto qual l'obiettivo da raggiungere attraverso una good governance e quali sono i meccanismi con i quali il potere politico gestisce le risorse. Non un caso che la stessa Banca Mondiale, ampliando la prima generica definizione di governance, in qualche modo politicamente neutrale, per specificare meglio le policy necessarie per raggiungere una buona governance economica e sociale, finisce per darne una qualificazione pi precisa e quindi per certi versi fortemente ideologica. Cos la Banca Mondiale ritiene che la governance di un paese per poter essere efficace necessita di: an efficient public service, an independent judical system and legal framework to enforce contracts, the accountable administration of public funds, an independent public auditor 204

responsible to a representative legislature, respect for the law and human rights at all levels of government, a pluralistic institutional structure and a free press. La Banca mondiale non soltanto incoraggia i governi nazionali a creare un quadro legale e istituzionale caratterizzato da responsabilit, trasparenza, informazione, predicibilit e competenza nella gestione delle politiche pubbliche e dello sviluppo economico, ma collega queste azioni allo sviluppo democratico e al rispetto dei diritti umani. La United Nation Development Program (UNDP), nella sua definizione di Governance va pi in l della stessa Banca Mondiale nel conferire uno stretto legame tra aspetti economici e politici, definendo nel documento To Strengthen Governance through National Capacity Building. A Strategy Paper for Sub-Saharan Africa (1995) la governance come a framework of public management based on the rule of law, a fair and efficient system of justice, and broad popular involvement in the process of governing and being governed. This requires establishing mechanisms to sustain the system, to empower and give them real ownership of the process. Questa impostazione riflette il pensiero prevalente delle Organizzazioni Internazionali con competenze di aiuto allo sviluppo e della maggioranza dei donatori, USA, Unione Europea e suoi paesi membri, nonch Giappone, per i quali la buona governance viene intesa non soltanto in termini di maggiore efficienza complessiva del sistema politico-amministrativo, ma collegata direttamente allo sviluppo democratico come elemento sussidiario alla capacit istituzionale del sistema di ottenere risultati visibili in termini di sviluppo economico e sociale. Secondo questa dottrina la distinzione tra buona governance e sviluppo democratico non sussiste o lasciata allambiguit, in quanto si ritiene che le due cose siano direttamente e strettamente interdipendenti. Qualche divergenza di opinione sorge soltanto nello stabilire se il processo democratico a determinare lo sviluppo di uneconomia di mercato efficiente o viceversa, se lo sviluppo di un sistema di mercato e della conseguente prosperit, facilitino l'affermazione della democrazia. Un quesito che si risolve nella maggior parte dei casi con la conclusione che i due aspetti si rafforzino vicendevolmente. Democrazia e good governance richiedono regimi basati sul modello liberal-democratico che protegge i diritti civili e politici, supportati da apparti amministrativi non corrotti e responsabili. Un sistema politico siffatto l'unico funzionale per creare le condizioni per economie di mercato libere competitive. La prevalenza di democrazie liberali a livello globale e la prosperit cos generata, contribuirebbe infine ad un mondo pi sicuro dove pochi sarebbero incentivati ad usare lo strumento militare per affermarsi. Date queste premesse, necessarie per sottolineare alcune implicazioni che la definizione di governance pu comportare, si pu tentare una sintesi dei significati prevalenti che viene dato al 205

termine. Per restare alle formulazioni pi autorevoli, la governance fa riferimento al complesso di tradizioni ed istituzioni attraverso le quali lautorit esercitata in un paese. Prevalentemente questa non intesa in senso autoritario e gerarchico, ma piuttosto come interazione di diversi elementi. In termini sintetici e cercando di evitare un impostazione ideologica possiamo dunque definire la governance come la capacit di un sistema di darsi delle regole condivise che consentano buone politiche economiche, responsabilit delle classi dirigenti, lotta alla corruzione per consentire un sistema di correttezza nella competizione tra aziende ed individui che premi i migliori, stabilit politica, rispetto della legge. Per un ulteriore approfondimento del tema, di seguito saranno analizzati i rapporti tra governance e sviluppo economico in Africa, governance e democrazia, governance e sicurezza. Governance e sviluppo economico in Africa Successivamente alla seconda guerra mondiale ed in misura ancora maggiore, nel periodo postcoloniale intorno agli anni 60, una delle maggiori questioni di politica economica internazionale era rappresentata dal problema dello sviluppo dei paesi dellAsia e dellAfrica senza il quale il sistema economico internazionale sarebbe stato condannato ad una situazione di perenne dualismo economico: da una parte i paesi avanzati, allora definiti industrializzati, dallaltra la gran massa di paesi sottosviluppati. Ingenti risorse finanziarie ed intellettuali vennero destinate dai paesi occidentali, i paesi ricchi, insieme ad i grandi organismi internazionali, per innescare i processi pi consoni al decollo economico dei paesi africani ed asiatici, ma con scarso successo. Da un punto di vista dottrinale inizialmente si cerc di adattare le principali teorie dello sviluppo alle realt dei cosiddetti paesi in via di sviluppo (PVS). I diversi fattori chiave individuati come determinanti dello sviluppo erano in estrema sintesi i seguenti: Mutamento in agricoltura (incremento di produttivit) Incremento del tasso di accumulazione del capitale Espansione del commercio mondiale Rivoluzione tecnologica Affermazione progressiva del laissez faire Fattori istituzionali e culturali Nel corso degli anni 70 e linizio degli anni 80 si opera una vera e propria frattura tra landamento economico della maggior parte dei paesi asiatici e di quelli africani: Questi ultimi, che godevano di 206

redditi medi in gran parte superiori a quelli asiatici negli anni 60, riscontrano un vero e proprio declino, mentre gran parte delle economie dellestremo oriente, ma anche dellAsia meridionale iniziano un percorso di crescita sostenuta. Uno di motivi principali allora individuati per spiegare questi diversi percorsi fu gi allora la netta differenza di capacit istituzionale tra i paesi dellAfrica e dellAsia Di questi, alla luce degli sviluppi successivi, si pu constatare che forse il principale fattore era lultimo, vale a dire quello dei fattori istituzionale e culturali in senso lato, comprendente la capacit di gestire i processi sociali ed economici in maniera efficiente, quello che oggi noi definiremmo di governante. Da un punto di vista pratico, il fattore governance allora venne tuttavia trascurato. La profonda crisi degli anni 80 in tutta lAfrica sub-sahariana con un crescente debito estero e un declino economico generalizzato port allimposizione da parte dei grandi organismi internazionale Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale delle politiche di Aggiustamento Strutturale Structural Adjustment Policy (SAP). Queste politiche,mirate sostanzialmente a ridurre lindebitamento dei paesi africani attraverso una riduzione della spesa pubblica, implicavano anche il ritorno al mercato ed apertura verso lestero ed il commercio internazionale delle economie del continente. Tuttavia le riforme richieste erano spesso dolorose da un punto di vista sociale,con effetti negativi sullo sviluppo umano (tagli nel sistema educativo, sanitario etc.) Lidea era che la riduzione dellintervento pubblico in economia non si sarebbe tradotta in una diminuzione dei servizi pubblici offerti, in virt dellaumento dellazione dei soggetti privati, che soddisfano i bisogni della collettivit attraverso lorganizzazione e la gestione del mercato o del quasi-mercato. Unimpostazione corretta in strutture socio-economiche sviluppate, ma discutibile nel contesto africano. Se i SAP hanno avuto successo in alcuni casi specifici, determinando un incremento del PIL ed un inversione di tendenza del declino economico africano, hanno anche messo in evidenza che lanello mancante delle teorie dello sviluppo tradizionali andava proprio ricercato nel concetto di buona governance. I paesi africani infatti hanno iniziato a sperimentare leffetto positivo dellintroduzione di regole di buona politica economica per migliorare lefficienza dei sistemi. Parallelamente negli anni 90 la stessa Banca Mondiale e la pi vasta comunit di accademici esperti e professionisti impegnati negli aiuti allo sviluppo, si sono resi conto che le riforme potevano avere successo se queste, non erano imposte esternamente, ma il frutto di unazione endogena africana condotta dalle nuove classi dirigenti. Per questi motivi lattenzione si spostata dagli aspetti puramente economici a quelli politici ed istituzionali e quindi la governance ha iniziato ad essere percepita come uno degli elementi distintivi e come fattore fondamentale di sviluppo nella dottrina prevalente. Dagli anni 90 sia i grandi organismi internazionali che i paesi europei e gli Stati Uniti hanno destinato 207

crescenti risorse verso i progetti finalizzati al miglioramento della governance in tutti i molteplici aspetti che questo comporta nei paesi africani. Spesso gli aiuti vengono condizionati al raggiungimenti di risultati positivi e alle performance che gli stati beneficiari raggiungono in termini di capacit istituzionale,lotta alla corruzione, rispetto della legge e dei diritti umani. Un elemento rilevante - e che sicuramente ha un carattere strategico per il concreto raggiungimento di risultati positivi nei paesi africani che alcuni aspetti delle politiche inizialmente imposte dallesterno, iniziano ad essere percepite in Africa in maniera positiva da un consistente numero di leaders politici africani. Questa evoluzione positiva il frutto di un percorso genuinamente africano che a partire dalla fine degli anni 80, ha visto crescere la consapevolezza, che soltanto una classe dirigente africana responsabile e impegnata alla lotta contro la povert ed a favore dello sviluppo economico, possa fare la differenza. I fattori che hanno determinalo questa evoluzione positiva sembrano essere i seguenti: la fine della Guerra fredda con il progressivo disinteresse delle grandi potenze per lAfrica, manifestatosi anche con una netta diminuzione degli aiuti internazionali, ha determinato un processo creativo in Africa con una reazione da parte della parte delle pi illuminate elites del continente. Le nuove leadership, preoccupate di un progressiva marginalizzazione del continente africano, si rendevano conto che era necessario lanciare un nuovo impulso innovativo basato sulla ownership africana, nella consapevolezza che i problemi africani dovevano trovare soluzioni africane. Latto fondante di questo nuovo approccio stata la risoluzione del luglio 2001 che ha dato lavvio alla New Partnership for Africa's Development (NEPAD), frutto di uniniziativa congiunta dellex Presidente del Sudafrica Thabo Mbeki, dellex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, e del Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika; insieme al Presidente del Senegal Abdoulaye Wade. I principi fondamentali sui quali si basa questo nuovo organismo sono essenzialmente, leconomia di mercato, la buona governance, istituzioni democratiche, rispetto dei diritti umani e risoluzione pacifica dei conflitti, principi percepiti come fattori chiave per lo sviluppo economico-sociale del continente. Coerentemente, nel luglio 2002 a Durban in Sudafrica, nellambito della NEPAD, viene approvata la Declaration on Democracy, Political, Economic and Corporate Governance che impegna gli Stati partecipanti a sottoporsi, previa ratifica degli accordi sottoscritti, ad un meccanismo mirato al monitoraggio per leffettiva applicazione dei principi sottoscritti, il cosiddetto African Peer Review Mechanism (APRM). Lincontro di Durban ha una portata storica in quanto, non solo pone dei limiti al principio di sovranit assoluta e di non-interferenza negli affari interni per i sottoscrittori degli accordi, ma enuncia principi che non sono cos unanimemente accettati a livello globale, se si escludono i paesi

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avanzati occidentali, come libert individuali e democrazia. Sul piano teorico e dei principi una parte consistente dei leader africani si pone quindi su posizioni vicine a quelle occidentali. L APRM riconosce in buona sostanza che il controllo esterno, meglio se esercitato da altri paesi Africani in unottica di reciprocit, pu dare un impulso positivo e forzare in qualche modo delle classi dirigenti ad un comportamento virtuoso che comunque ha dei costi in termini di interessi personali e di parte. Governance e democrazia Come si gi accennato nel paragrafo introduttivo sulla definizione di Governance, la differenza tra politiche di promozione della Governance e dello sviluppo della democrazia spesso tendono a sovrapporsi. Questa impostazione, diffusa a livello politico, da un punto di vista concettuale del tutto arbitraria. Il fatto che vi sia una stretta correlazione tra i due processi, non significa che si possano identificare unitariamente. Una doverosa distinzione va fatta al contrario sia per una pura questione teorica, ma soprattutto per le implicazioni operative. Ci particolarmente importante in Africa dove le condizioni in termini di livello dei redditi e struttura sociale sono molto diverse da quelle dei paesi europei. Paul Collier, professore di economia ad Oxford e massimo esperto di Governance nei paesi a basso reddito ed in particolare nei paesi africani, afferma che sebbene una governance disfunzionale costituisce la ragione principale per la quale molti paesi non riescano ad uscire dal circolo vizioso della povert, la distinzione tra governi autocratici e democratici non direttamente correlata tra cattiva e buona governance. In altri termini egli afferma che vi sono regimi autocratici che possono vantare ottime performance in materia di governance economica e di capacit istituzionale, mentre vi sono molti esempi di paesi democratici, che a causa di politiche populistiche e clientelari riducono molto la capacit del sistema di gestire in maniera efficiente leconomia di mercato. Per Collier unautocrazia illuminata ha maggiori probabilit di migliorare la governance economica di un paese di quanto possa fare una democrazia disfunzionale: Dysfunctional governance is central to why some countries remain poor. Since 1991 Europe has attempted to improve governance by promoting democratisation. Yet the distinction between democratic and autocratic regimes does not relate closely to that between good and bad governance. Whereas some autocratic regimes are plundering tyrannies, others are delivering prosperity. Similarly, while some democratic regimes are disciplined by accountability, others are mired in populism and patronage. Democracies only work well under certain conditions. A good autocracy may be better able to put these foundations in place than a dysfunctional democracy. The 209

path to a well-functioning democracy may not start from dysfunctional democracy, but from benign autocracy. Se non esiste una correlazione diretta tra regime politico e sviluppo, la maggior parte degli economisti tuttavia concorde nellaffermare che lo sviluppo democratico tende a migliorare una pi equa distribuzione del reddito. Laltro effetto positivo dei regimi democratici, oltre alle maggiori capacit di distribuire la ricchezza prodotta, la duttilit del sistema di fronte a gravi crisi economiche. La democrazia consente infatti di negoziare la nuova distribuzione di responsabilit tra le parti coinvolte (sindacati, imprenditori, burocrati), necessaria per superare la crisi stessa. Per quanto concerne lAfrica, un elemento certamente positivo costituito dal fatto che gli Stati africani collettivamente, sia nellambito del NEPAD che in quello dellUnione Africana, hanno acquisito come propri principi in una logica di ownership, quelli relativi al rispetto dei diritti umani, allimportanza dello sviluppo della societ civile, e della lotta contro la corruzione. Se i ripetuti richiami in tutti i documenti politici sottoscritti dalla maggior parte dei paesi africani al principio della democrazia non corrispondono in molti casi a pratiche coerenti, tuttavia il solo fatto che teoricamente si indichi autonomamente limportanza di certi principi, in qualche modo distingue il continente africano da altre aree mondiali dove tali principi non sono presi in considerazione nemmeno in termini teorici (come ad esempio in Cina). Governance e sicurezza Tradizionalmente la Sicurezza era concepita come una garanzia degli stati nazionali da aggressioni esterne, nonch del regime politico al potere dalleversione interna. Se si guarda allAfrica, lo statuto dellOrganizzazione dellUnit Africana del 1963 aveva messo i piedi una struttura normativa che principalmente andava incontro a queste esigenze, ponendo come principio chiave la sovranit degli Stati membri e linviolabilit ed immodificabili delle frontiere. Le gravi crisi e linstabilit che hanno colpito lAfrica in questo mezzo secolo, che ha visto concentrati in questo continente un altissimo tasso di conflitti e crisi umanitarie prodotte dalluomo, e la constatazione che si trattava prevalentemente di crisi interne, hanno portato alla formulazioni nuove dottrine che vedono nellelevata militarizzazione una delle cause primarie dellinstabilit africana. Una delle conseguenze pi evidenti di questa nuova prospettiva, che linstabilit interna agli stati viene percepita come la pi grave minaccia e di conseguenza si ritiene che la garanzia della sicurezza debba essere destinata alla societ nel suo complesso ed agli individui che ne fanno parte e non allo Stato e ai regimi che lo rappresentano.

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Lidea che la sicurezza in Africa debba avere sempre pi come riferimento gli individui piuttosto che gli Stati ormai un paradigma emergente in unottica di stabilizzazione globale. Nellesaminare le problematiche riferibili allo stretto rapporto tra governance e sicurezza, che come si visto coinvolgono la gestione complessiva dei rapporti politico-sociali, esistono ambiti pi specifici al fattore sicurezza che richiedono interventi mirati sugli apparati dello stato, sempre in unottica di miglioramento della governance. Ci si riferisce in particolare alla riforma dei sistemi di sicurezza nota nelacronimo in inglese come SSR ovvero Security System Reform. Com noto in gran parte dei paesi dellAfrica sub-sahariana gli apparati di sicurezza interna e le forze di polizia soffrono di carenze strutturali sia di tipo quantitativo che qualitativo. La costante presenza sul territorio in funzione di controllo spesso carente o insufficiente. Alla scarsa presenza sul terreno si aggiungono le carenze qualitative e la poca chiarezza della mission delle forze di polizia. Spesso il reclutamento viene effettuato su basi etniche o clientelari. La fedelt delle forze di polizia quindi rivolta verso le elites dominanti e il livello di impegno nel garantire la sicurezza del singolo cittadino appare scarsa. Nei casi pi gravi le forze di polizia rappresentano la minaccia primaria verso i cittadini in aree di crisi o dove le attivit dellopposizione sono considerate una minaccia per il regime al potere. Anche quando non sussistono motivi di carattere politico che determinino lo scarso impegno delle forze di polizia nel garantire in maniera neutrale la sicurezza dei cittadini, linsufficiente preparazione professionale e la diffusa corruzione, fanno s che le forze di sicurezza non vengano considerate un soggetto a cui i cittadini si possano rivolgere per garantire la propria incolumit o sfuggire ai soprusi della malavita organizzata. Questa situazione determina uno scollamento tra popolazione ed istituzioni e vuoti nel controllo del territorio, che in alcuni casi vengono riempiti da milizie di varia natura: da milizie collegata alla malavita organizzata, corpi armati privati assoldati dalle multinazionali occidentali, o nelle aree di crisi da milizie ideologizzate con possibili connessioni con il terrorismo internazionale. Un esempio specifico pu fornire la misura di questo fenomeno. In Nigeria la carenza delle forze di polizia, soprattutto nel sud petrolifero, ha lasciato spazio a forti milizie private: le milizie del Delta del Niger, oltre ad essere coinvolte in varie tipologie di traffici illegali, da quello delle armi a quello della droga, forniscono i propri servizi a politici locali, un fenomeno inquietante che contribuisce ad incrementare il caos generale. In questo contesto le compagnie petrolifere occidentali, cos come le classi abbienti nigeriane, fanno un esteso uso di corpi di polizia privati, che si sovrappongono cos agli apparati di sicurezza statali, sempre pi inefficienti e screditati. Se si guarda alla pi vasta area dei paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, la debolezza delle forze di polizia favoriscono traffici illegali di materie prime, soprattutto preziosi e coltan, cos come quello degli esseri umani, della droga, con conseguenze immaginabili sul livello di sicurezza delle comunit locali. Lillegalit 211

diffusa, la debolezza delle istituzioni statali, lelevata corruzione delle forze di polizia e la delegittimazione dei governi costituiscono terreno fertile per linserimento di gruppi terroristici. Dunque il pericolo di una contaminazione ideologica e di una radicalizzazione politica in paesi con grandi porzioni o significative di abitati o minoranze consistenti di religione musulmana, dietro la spinta del diffuso malessere sociale, esistono. Gi oggi molte organizzazioni islamiche si sostituiscono alle carenti strutture statali in molti paesi dellarea fornendo assistenza sociale ai diseredati e sicurezza ai cittadini in aree dove gli apparati di polizia governativi, o perch insufficienti, o perch corrotti dalla malavita organizzata, non espletano le funzioni proprie. In questo contesto, la professionalizzazione delle forze di sicurezza dei paesi dellAfrica subsahariana, non soltanto da un punto di vista tecnico, ma soprattutto dal punto di vista del controllo democratico, divenuta una priorit dei paesi donatori occidentali. Proprio attraverso la riforma dei sistemi di sicurezza (SSR), operando sulla governance degli apparati, si pu cercare di ridurre la portata destabilizzante di una situazione che in alcuni paesi rischia di determinare il fallimento degli Stati. Pi specificamente attraverso la SSR si intende incrementare la capacit degli Stati africani di far fronte alla vasta gamma dei bisogni relativi alla sicurezza dei cittadini e della societ in maniera coerente con le norme democratiche, solidi principi di governance e rispetto dello stato di diritto. I principali centri di monitoraggio della governance Da quando si affermata l'idea che la Governance costituisca un fattore fondamentale di sviluppo economico-sociale tra i grandi organismi internazionali e i paesi donatori occidentali, sono stati indirizzati grandi sforzi per monitorare le performance di ciascun paese in questo ambito. La prima organizzazione a dedicarsi in maniera sistematica in questo esercizio stata la Banca Mondiale con i Worldwide Governance Indicators , un sistema di rilevazione completo che copre i vari aspetti della governance e tutti i paesi. Altri sistemi di rilevazione hanno una copertura internazionale, ma esaminano soltanto alcune componenti della Governance, come il Corruption Perceptions Index, di Transparency International o l'Human Development Report dell'UNDP, o ancora il Freedom civili). Per quanto riguarda gli indici focalizzati sul continente africano la Commissione Economica per l'Africa delle Nazioni Unite (UNECA) ha fino ad ora pubblicato due apporti: l'African Governance Report I (AGR I) e l'African Governance Report II (AGRII) il primo nel 2005 su 27 paesi africani House Index progettati per misurare componenti specifiche di buona governance (rispettivamente corruzione, lo sviluppo umano e il rispetto per i diritti e le libert

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ed il secondo su trentacinque paesi nel 2009. E' intenzione dell'UNECA continuare il monitoraggio pubblicando un rapporto ogni due anni. Ugualmente biennale il rapporto preparato sotto la responsabilit di Robert I. Rotberg and Rachel M. Gisselquist, Strengthening African Governance, Index of African Governance - Results and rankings , preparato nell'ambito del Programma: Intrastate Conflict and Conflict Resolution della Kennedy School of Government, dell'Harvard University e del World Peace Foundation. Quest'ultimo progetto di ricerca si andato a sovrapporre con l'Ibrahim African Index of African Governance, basato anch'esso sugli studi di Rotberg e Gisselquist. Gli indici del 2007 e del 2008 sono stati infatti realizzati congiuntamente dalla Ibrhaim Foundation e dalla Kennedy School of Government dell'Universit di Harvard. Tuttavia dalla fine del 2008 le due istituzioni hanno cessato di collaborare nonostante che ancora l'ultimo rapporto di Harvard, quello del 2009 sia stato finanziato generosamente dalla Ibrahim Foundation, sostituita come partner, nel corso del 2009 dalla World Peace Foundation di Cambridge in Massachusetts. L'ultima serie di indagini sulla governance in Africa sono il frutto del lavoro dell'Afrobarometro, condotte nel corso del 2008 ed uscite nel maggio 2009, sullo stato di diciannove paesi africani. L'Afrobarometro, finanziato da varie agenzie di cooperazione allo sviluppo occidentali, ha come principali istituzioni di riferimento il Center for Democratic Development (CDD-Ghana), l'Institute for Democracy in Sud Africa (IDASA) e lInstitut de Recherche Empirique en Economie Politique( IREEP del Benin). Queste sono supportate dallamericana Michigan State University (MSU), Department of Political Science e dal Democracy in Africa Research Unit del Centre for Social Science Research dell'Universit di Cape Town in Sud Africa. In ultimo, con funzioni direttamente operative, di grande interesse sono le analisi ed il monitoraggio su ventinove paesi africani che hanno aderito al Meccanismo africano di valutazione (APRM), insieme ai rapporti di riesame prodotti dai paesi coinvolti nelle fasi pi avanzate del meccanismo che tuttavia sono al momento soltanto sette. In tale sede, interessante approfondire le caratteristiche degli indici africani di Harvard e della Mo Ibrahim Foundation, nonch lAfrican Governance Report della United Nations Economic Commission for Africa

Gli indici africani di Harvard e della Mo Ibrahim Foundation Il rapporto del 2009 preparato sotto la responsabilit di Robert I. Rotberg and Rachel M. Gisselquist, Strengthening African Governance, Index of African Governance - Results and 213

rankings , preparato nell'ambito del Programma: Intrastate Conflict and Conflict Resolution della Kennedy School of Government, dell'Harvard University e del World Peace Foundation risulta essere molto simile a quello del 2010 della Ibrahim Foundation Questo progetto di ricerca, cosi come anticipato, si andato a sovrapporre all'Ibrahim African Indexes of African Governance, basati anch'essi sugli studi di Rotberg e Gisselquist. Gli indici del 2007 e del 2008 sono stati infatti realizzati congiuntamente dalla Ibrahim Foundation e dalla Kennedy School of Government dell'Universit di Harvard. Tuttavia dalla fine del 2008 le due istituzioni hanno cessato di collaborare, nonostante che ancora l'ultimo rapporto di Harvard, quello del 2009 sia stato finanziato generosamente dalla Ibrahim Foundation, sostituita come partner, nel corso del 2009 dalla World Peace Foundation di Cambridge in Massachusetts. LIndice di Harvard parte dal presupposto di misurare la capacit dei governi di fornire beni e servizi ai cittadini ed esamina in maniera quantitativa i risultati. Lesercizio eminentemente statistico e prende in considerazione molte pi variabili degli altri indici. A differenza di questi, il metodo usato prevede di dare molto meno peso allanalisi qualitativa derivante dal giudizio e la percezione degli esperti, considerati dal team del Kennedy Centre passibili di soggettivit. Altra differenza sta nel numero delle variabili prese in esame che molto elevato e le aree di indagine che comprende 5 categorie: Safety and Security; Rule of Law, Transparency, and Corruption; Participation and Human Rights; Sustainable Economic Opportunity; and Human Development. Lo scopo dellanalisi operativa, proprio grazie al dettaglio con cui vengono esaminati i vari aspetti della Governane le cui categorie vengono suddivise in sub-categorie come viene riassunto nella tabella riportata qui di seguito. Se si guarda ad esempio alla categoria pi strettamente economica, la Sustainable Economic Opportunity; non si esaminano la qualit regolatorie, ma direttamente gli effetti che la gestione economica del paese pu avere sulla popolazione, vale a dire gli indicatori economici, il livello delle infrastrutture, mentre per lo sviluppo umano si esaminano i classici indicatori sociali sulla sanit, istruzione e tassi di povert e distribuzione del reddito. E evidente che questo metodo pu funzionare soltanto in quanto lindice prende in esame i paesi del continente africano e non tutto il mondo, come quello della Banca Mondiale. Un indice mondiale di questo tipo non farebbe che correlare la ricchezza di un paese con la sua capacit di Governance.

I paesi analizzati sono quelli africani compresi quelli dellAfrica del Nord per un totale di 53.

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Fonte: Robert I. Rotberg and Rachel M. Gisselquist, Strengthening African Governance, Index of African Governance Results and rankings , A Project of The Program on Intrastate Conflict and Conflict Resolution, The Kennedy School of Government, Harvard University & The World Peace Foundation, 2009

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Fonte: Robert I. Rotberg and Rachel M. Gisselquist, Strengthening African Governance Index of African Governance Results and rankings , A Project of The Program on Intrastate Conflict and Conflict Resolution at The Kennedy School of Government, Harvard University & The World Peace Foundation, 2009

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Nel complesso i dati di Harvard confermano la suddivisione tra paesi virtuosi e quelli con situazione estremamente deteriorata, gi citata esaminando i dati della Banca Mondiale. Questo un elemento importante in quanto nonostante le critiche sugli indici della governance diffusi in vari ambienti, evidente che pur usando metodologie radicalmente diverse il giudizio sui paesi non cambia di molto, come si evince dalla tabella. La Mo Ibrahim Foundation, fondata dal multimiliardario e magnate delle telecomunicazioni, langlo-sudanese Mo Ibrahim, dichiara di puntare sul sostegno della capacit di leadership in Africa, fattore chiave per migliorare la situazione economico-sociale del continente. Il principio su cui si basa lattivit della fondazione che senza buona governance non possibili raggiungere risultati significativi e sostenibili. Secondo la stessa Fondazione la raccolta di dati sulla governance in Africa a cura della stessa la pi completa in termini qualitativi e quantitativi. Lindice, cos come quello di Harvard, dal quale questo deriva, misura sostanzialmente la capacita da parte dei governi africani e dagli attori non statali di fornire beni e servizi pubblici ai cittadini utilizzando indicatori relativi a quattro principali categorie: Sicurezza e Stato di diritto, Partecipazione dei cittadini e diritti umani, Opportunit economiche sostenibili e Sviluppo umano come indicatore succedaneo della qualit dei risultati ottenuti da una buona governance. Rispetto allindice di Harvard questo riduce dunque a quattro le categorie. Lesercizio supportato da istituzioni africane e attualmente realizzato in partnership con Afrobarometer, il Centre for Democratic Development (CDD), Ghana, lAmerican University in Cairo (AUC, Egitto), (CODESRIA, Senegal), Benin) . I dati statistici sono presi da 24 istituzioni diverse e ponderati dagli analisti della fondazione, tanto da far definire lindice elaborato da questultima: lindice di tutti gli indici. Questi comprendono tutti i paesi dellAfrica sub-sahariana pi lAfrica del Nord. Poich la Ibrahim Foundation unistituzione privata non ha nessuna remora a pubblicare una graduatoria chiara ed immediatamente leggibili che riportiamo qui di seguito. il Council for the Development of Social Science Research in Africa e lInstitut de Recherche Empirique en Economie Politique (IREEP,

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2010 Ibrahim Index of African Governance


Scored 0-100 where 100=best
1 Mauritius 2 Seychelles 3 Botswana 4 Cape Verde 5 South Africa 6 Namibia 7 Ghana 8 Tunisia 9 Egypt 10 Lesotho 11 So Tom and Prncipe 12 Benin 13 Morocco 14 Senegal 15 Algeria 16 Tanzania 17 Zambia 18 Gambia

83,0 78,5 75,9 75,5 71,5 67,3 64,6 62,1 60,5 60,1 58,2 56,6 56,6 56,3 55,2 55,0 54,9 53,0

19 Mali 20 Mozambique 21 Burkina Faso 22 Malawi 23 Libya 24 Uganda 25 Swaziland 26 Kenya 27 Gabon 28 Madagascar 29 Comoros 30 Djibouti 31 Rwanda 32 Sierra Leone 33 Burundi 34 Cameroon 35 Ethiopia 36 Mauritania

52,9 52,1 51,9 51,7 51,5 50,8 50,8 50,5 50,1 48,7 48,5 48,5 47,2 46,0 44,7 44,2 43,5 43,4

37 Nigeria 38 Liberia 39 Togo 40 Niger 41 Congo 42 Angola 43 Guinea-Bissau 44 Cte d'Ivoire 45 Guinea 46 Equatorial Guinea 47 Sudan 48 Central African Republic 49 Zimbabwe 50 Eritrea 51 Congo, Democratic Rep. 52 Chad 53 Somalia

43,3 43,2 42,6 42,3 42,0 39,3 39,1 36,8 35,6 34,7 32,9 32,7 32,7 31,8 31,1 28,8 7,9

Fonte: Ibrahim Foundation, http://www.moibrahimfoundation.org/

Paesi virtuosi e situazioni degenerate come Eritrea, Repubblica Democratica del Congo e Somalia confermano sostanzialmente il quadro della Banca Mondiale. Emerge ugualmente dallindice la profonda diversit di condizione tra i vari paesi africani: come commenta Collier :dei 53 paesi esaminati:
Although

all share the same continent, from the perspective of governance, the best (the five

countries with scores over 70) are on a different planet from the worst (the 12 countries under 40). There is nothing African about poor governance, were the standards of the best to become general Africa would be a well-governed region. And the best can become the general: governance is not frozen. Per quanto riguarda lanalisi dinamica dei dati il trend complessivo sembra stagnante, mentre vi sono grandi variazioni per tipologia e paesi. Dal lato negativo abbiamo paesi africani, dove la Safety and Rule of Law ha riscontato un declino particolarmente significativo, rispetto al 2005. Questo in netto contrasto con un netto incremento dei progressi in campo economico e sviluppo umano e sanitario. Mediamente i cittadini africani appaiono meno poveri di 5 anni fa ma meno sicuri. Grandi progressi sono stati fatti anche sulla condizione femminile, anche se per ora si tratta soprattutto di miglioramenti riscontrabili nella legislazione e non ancora supportati da indagini sulle condizioni effettive.

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Per quanto riguarda i dati aggregati sulla governance tra il 2005 ed oggi secondo la fondazione nettamente migliorata la situazione in Angola, Liberia, e Togo, mentre peggiorata in Eritrea e Madagascar. Un dato interessante che riporta soltanto la fondazione la media per area geografica africana che assegna il seguente punteggio: Africa del Sud in posizione migliore con 57 punti, seguita dallAfrica del Nord con 55 punti e lAfrica Occidentale con 50 punti. Sotto la media continentale, che di 49 punti, lAfrica orientale con 45 punti e lAfrica centrale con 38 punti.

LAfrican Governance Report della United Nations Economic Commission for Africa L'African Governance Report della Commissione Economica per l'Africa delle Nazioni Unite (UNECA) a differenza delle fonti sulla Governance fin qui esaminate, conferisce un peso molto minore agli indici internazionali ed alla metodologia statistica, ma si basa soprattutto su survey e opinioni di esperti africani. Come la Banca Mondiale evita di fornire un ranking aggregato per la situazione generale di Governance, pur mettendo a confronto di volta in volta i paesi esaminati su singole voci: 1. Political Governance - Governance politica 2. Economic Governance and Public Financial Management Governance economica e gestione delle finanze pubbliche 3. Private-Sector Development and Corporate Governance in Africa - Sviluppo del settore privato e la Corporate Governance in Africa 4. Institutional Checks and Balances - Controlli ed equilibri istituzionali 5. Effectiveness and Accountability of the Executive Efficacia e responsabilit dellesecutivo 6. Human Rights and the Rule of Law - Diritti umani e Stato di diritto 7. Corruption in Africa Corruzione in Africa 8. Building Institutional Capacity for Governance Costruire la capacit istituzionale per migliorare la governance

Questi aspetti della Governance vengono esaminati utilizzando uno strumento analitico qualitativo composto da tre componenti per ciascun paese: 1.uno studio paese basato sulle opinioni di 70-140 esperti. Questi vengono selezionati in modo tale da assicurare una larga rappresentativit dal punto di vista della fascia di et, credo religioso ed appartenenza etnica, orientamento politico, status sociale, genere e istruzione. Il panel cos composto rappresenta sia il settore privato che quello 220

pubblico; 2.un survey nazionale basato su nuclei famigliari (da 1300 a 3000 questionari) rappresentati dai vari settori sociali; 3.un'analisi finale tenendo conto anche di fonti primarie e secondarie. Lo scopo di questo sforzo eminentemente operativo: valutare i progressi e regressi della Governance in Africa per proporre interventi di policy correttive. Fino ad ora sono stati pubblicati due rapporti: l'African Governance Report I (AGR I) e l'African Governance Report II (AGRII) il primo nel 2005 su 27 paesi africani ed il secondo su trentacinque paesi nel 2009. E' intenzione dell'UNECA di continuare il monitoraggio pubblicando un rapporto ogni due anni. Rispetto alle analisi esaminate precedentemente l'UNECA arriva a conclusioni leggermente pi positive rilevando un leggero miglioramento della Governance in Africa. . L'indice aggregato per tutti gli indicatori ha mostrato un modesto progresso del 2% rispetto alle rilevazioni del 2005. Gli indicatori principali per il livello di rappresentanza politica e dell'indipendenza della societ civile non ha segnato nessun progresso, mentre un leggero miglioramento stato riscontrato per quanto riguarda i media e la libert di stampa. Ugualmente qualche lieve progresso stato osservato nel campo del rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto, della capacit istituzionale dell'esecutivo e del potere giudiziario. Pi pronunciate sono state le performance nell'area economica, come ad esempio la capacit regolatoria in campo economico e fiscale. Piuttosto negativo il trend in materia di corruzione. Riflessioni La Governance in un paese la capacit di un sistema di darsi delle regole condivise che producano buone politiche economiche, responsabilit delle classi dirigenti, lotta alla corruzione per consentire un sistema di correttezza nella competizione tra aziende ed individui che premi i migliori, e che al contempo assicuri stabilit politica e rispetto della legge. Generalmente questo insieme di caratteristiche si associano ad un regime democratico liberale, che assicura meglio di altri sistemi, una distribuzione del reddito non troppo iniqua e una forte rappresentanza popolare. Nelle democrazie occidentali queste caratteristiche si sono affermate in un lungo processo storico durato secoli e sono profondamente radicate nei paesi nordici europei ed in quelli anglo-sassoni. E evidente che la constatazione da parte dei paesi donatori, avvenuta intorno agli anni 90 che la governance potesse essere lanello mancante alle teorie di sviluppo per determinare un processo di crescita anche nei paesi in via di sviluppo o in quelli poveri, non poteva avere effetti immediati e miracolosi. Anche perch i principi e le regole della governance, difficilmente possono essere trapiantati in tempi brevi, in paesi come quelli africani dove, ad esempio, fino a poco tempo fa, il 221

diritto di propriet della terra era sconosciuto o dove i poteri tribali sono molto forti. Una parte significativa di leader e di tecnocrati africani, alcuni di essi educati nelle migliori universit occidentali, hanno abbracciato con entusiasmo lidea che la buona governance sia un fattore chiave dello sviluppo sostenibile. Tale processo di diffusione in Africa dei principi e delle regole della governance stato relativamente rapido come testimoniano i contenuti di molte intese africane dal NEPAD alle varie dichiarazioni in ambito Unione Africana. Ancor pi significativo stato lavvio di intese operative come lAfrican Peer Review Mechanism (APRM) che attraverso un meccanismo di controllo tra pari, vale a dire tra governi africani, si cerca di incentivare il rispetto delle regole ed i principi della good governance, senza interferenze delle democrazie occidentali. Lesame dei principali strumenti internazionali ed africani di monitoraggio della governance in Africa, induce a tre ordini di considerazioni: 1. le condizioni di partenza e le tradizioni del continente non sono molto incoraggianti; 2.lanalisi dinamica degli ultimi 10 anni mostra miglioramenti lenti e talvolta un andamento non lineare, con brusche cadute di alcuni paesi, ma con grandi progressi di altri. Alcuni di questi progressi sono poi particolarmente significativi, come il caso del Rwanda che stato giudicato recentemente il paese che ha mostrato un tasso di riforme delle regolamentazioni per il settore privato tra i migliori del mondo; 3.se il panorama generale mostra, accanto a situazioni fortemente degenerate, indicatori in linea con la media mondiale a parit di reddito pro-capite, alcuni paesi africani, come Mauritius, il Botswana, Capo Verde o lo stesso Sud Africa possono gi vantare indicatori in materia di governance talvolta migliori dei paesi avanzati con reddito pro-capite nettamente superiore. Queste considerazioni ci portano a concludere che dopo soltanto 10 anni che le leadership africane hanno abbracciato il paradigma della buona governance, i risultati, se non entusiasmanti, possono essere considerati incoraggianti. Anche perch il progresso in questo campo necessariamente lungo e lento, in considerazione delle molteplici variabili sociali che esso necessariamente implica. La posizione critica espressa dai cinesi, supportata da alcune autocrazie africane, che la governance ed in particolar modo le sue implicazioni politiche a favore della democrazia e del rispetto dei diritti umani, sono una forma di interferenza negli affari africani, non sembra veritiera, ma piuttosto strumentale. Ormai sono infatti molti i governi africani che anche in nome della ownwership stanno lavorando seriamente per produrre cambiamenti sostanziali per i loro paesi.

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LEZIONE N. 47-48
A QUANDO UNA PRIMAVERA AFRICANA?
La ventata di cambiamento che si verificata in Nord Africa allinizio del 2011, le rivolte promosse dal basso che hanno fatto deviare -pi o meno pacificamente- il percorso stabilito dai regimi al potere in Egitto e Tunisia e che invece con la violenza hanno sovvertito il regime libico, inducono a chiedersi se sia possibile trasportare tali esperienze anche nella vasta area a sud del Sahara. E lecito ipotizzare una primavera africana anche nella regione a Sud del Sahara? Ci sono le condizioni adatte?In quali paesi? Quanti anni sono necessari per un cambiamento di sistema? C un elemento particolare per riprodurre leffetto della Primavera Araba? Prima di tutto importante dire che al di sotto della fascia sahariana mancano dei fattori strutturali essenziali per un cambiamento di potere e c di fatto qualcosa che lo ostacola. In primis non c un alto tasso di alfabetizzazione delle classi giovanili, come invece accade nella regione settentrionale del continente; non c, o comunque limitato, laccesso ad internet; non c, o comunque in nuce, una classe media sviluppata. Se tutto ci assente, c invece un alto numero di etnieammesso che tale termine possa continuare ad usarsi, cosa invece negata dallantropologia moderna- che detta le regole del gioco politico nazionale. Le folle che hanno animato le proteste di Tunisi e del Cairo erano composte da studenti e universitari che richiedevano un lavoro o comunque un cambiamento delle regole nel mondo lavorativo; da giovani donne che rivendicavano un ruolo differente nella societ. I diversi gruppi reclamavano la libert di scegliere rappresentanti nazionali, al di fuori di liste blindate in cui cra -solo apparentemente - una pluralit di formazioni ma in cui -di fatto- un partito unico dominava la scena politica. Questi ragazzi erano padroni dei mezzi informatici e utilizzavano twitter e facebook globale. A gennaio-febbraio nelle piazze e strade di Tunisia ed Egitto sono scesi commercianti o titolari di imprese familiari che denunciavano le difficolt legate al loro quotidiano, si sono dati fuoco in preda alla disperazione per non poter continuare la propria attivit. In tal senso si pu ricordare che uno dei primi segnali che ha innescato la rivolta contro il regime di Ben Ali stato quello di Mohammed Bouazizi, il 26enne che il 17 dicembre 2010 si dato fuoco a Sidi Bouzid. Il suo gesto esemplare perch con un atto estremo questo venditore ambulante ha espresso linquietudine e la rabbia di tutta una generazione di maghrebini. Da qui partito il via alle rivolte decisive di gennaio che hanno portato alla fuoriuscita di Ben Ali dal contesto locale. E la fascia di et compresa tra i 20 ed i 30 anni, quella che si confronta con una situazione economica 223 per organizzare i loro incontri e raduni di piazza, dimostrandosi padroni delle tecnologie dellera

disastrosa, con una disoccupazione crescente (ufficialmente in Tunisia si parla di un tasso di disoccupazione pari al 14%, con valori pi alti al di fuori della capitale e delle aree turistiche) e con il carovita sempre pi pressante. Nei paesi del Sud del Sahara c un fattore da non sottovalutare: la presenza di centinaia di gruppi etnici, non presenti nella fascia nordafricana (nel caso libico si parla di trib ma un caso a parte che si rivelato determinante nella rivolta contro il regime del Colonnello Gheddafi e che rappresenter una vera e propria sfida per la ricostruzione del paese). Tali fattori (assenza nellarea sub-sahariana di un alto tasso di alfabetizzazione, assenza di un diffuso accesso ad internet, mancanza di una classe media sviluppata, presenza di un numero eccessivo di etnie) sono elementi che rendono difficile realizzare nel breve periodo una primavera africana. Qui, pur essendoci una grande voglia di cambiamento e stanchezza per i regimi che sono stati ancorati al potere nelle ultime 2-3 decadi, le forze di opposizione non sanno contrapporsi in modo compatto al partito dominante. La forte tensione cede il posto alla rassegnazione, le marce per richiedere un cambio pacifico vengono fermate con la forza da una polizia centrale che non esita ad utilizzare maniere forti (bastoni e manganelli, gas lacrimogeni) in piazza ed a servirsi di metodi violenti in carcere nei confronti dei manifestanti arrestati. Ci sono stati comunque segnali interessanti tra febbraio e luglio 2011, in particolare in Benin, Burkina Faso, Senegal, Cameroun, Uganda e Malawi. In Benin si sono svolte delle manifestazioni a Cotonou per protestare contro le modalit in cui era stata gestita la fase prima del voto presidenziale (le consultazioni si sarebbero dovute svolgere il 27 febbraio, sono state rinviate una prima volta al 6 marzo ed infine si sono tenute il 13 marzo). Lopposizione ha contestato la vittoria di Boni Yayi che avrebbe ottenuto il 53,13% delle preferenze ma nulla riuscita a fare per dimostrare le irregolarit del voto. Nulla hanno potuto fare anche le formazioni minori nelle elezioni legislative del 30 aprile, ottenendo solo 30 dei 83 seggi del Parlamento nazionale. Pi delicato stato il caso del Burkina Faso. Il 20 febbraio morto a Koudougou il giovane studente Justin Zongo in seguito alle percosse in un commissariato locale. Le motivazioni di quanto accaduto sono rimaste poco chiare. I giovani hanno manifestato in alcune citt di provincia (Koudougou, Poa, Koupla, Ouahigouya, Pouytenga); si sono chiuse scuole e universit; diversi attivisti sono stati fermati dalle forze dellordine. Chrysogone Zougmor, prsidente del Mouvement Burkinabe des Droits de l'Homme et des Peuples (organizzazione non governativa per la tutela dei diritti delluomo) stato chiamato a testimoniare il 10 marzo in una gendarmeria della capitale perch ritenuto responsabile di aver incoraggiato le manifestazioni 224

Il 14 aprile stato poi il turno dei militari che si sono ammutinati nella capitale Ouagadougou e sono usciti dalle caserme nellest del Paese esprimendo la loro insoddisfazione nei confronti del Presidente Blaise Compaor e del trattamento riservato loro. Questa, secondo la stampa locale, stata una delle crisi pi gravi registrate dallavvento al potere di Compaor (1987). Nel caso del Senegal, la protesta nelle strade di Dakar si fatta sentire il 23 ed il 27 giugno scorsi. La popolazione ha espresso il suo malcontento nei confronti di un progetto di legge elettorale che nelle consultazioni del febbraio 2012 agevolerebbe il Presidente Abdoulaye Wade ed il suo entourage (in particolare il figlio Karim Wade, considerato il delfino pronto per lincarico di vice Presidenza) e per la mancata erogazione di energia elettrica per oltre 72 ore. Partiti dellopposizione, associazioni della societ civile e gruppi di giovani hanno denunciato la deriva del potere e sono riusciti a far ritirare almeno momentaneamente il progetto. La nascita del Movimento 23 giugno ha rappresentato il punto pi alto della protesta. La disponibilit al dialogo mostrata dal Presidente in carica nei primi giorni di luglio, dopo il discorso ufficiale del 14 luglio stata giudicata piuttosto una sfida nei confronti dellopposizione e di quanti intendono manifestare il loro malessere. Wade ha dimostrato di porsi al di sopra delle istituzioni, di avere la massima fiducia in se stesso e nella sua vittoria il prossimo anno. I temi pi caldi -quali la disoccupazione, il rialzo dei prezzi dei generi alimentari, i problemi di energia - non sono stati affrontati in modo appropriato. La promessa di creare un Alto consiglio per limpiego e la formazione non ha placato gli animi e non ha soddisfatto i bisogni urgenti del popolo. E evidente che nei tre casi suddetti Benin, Burkina Faso e Senegal- non c stata una pressione di movimenti radicali islamici a coadiuvare le proteste, per di esse deve essere compreso il senso profondo, il malessere che attraversa lAfrica nelle sue varie regioni, da Nord a Sud. Spostandoci dallarea occidentale verso altre regioni, interessante considerare i casi di Cameroun, Uganda e Malawi. Nel caso del Cameroun, negli ultimi mesi si assistito ad un tentativo di contestazione dal basso, represso velocemente-e facilmente- dal potere centrale. Lo scorso febbraio lopposizione ed alcune organizzazioni non governative hanno organizzato una manifestazione a Douala contro il Presidente Paul Biya (al potere da 29 anni), in occasione della commemorazione della rivolta del febbraio 2008. Ci ha provocato subito lintervento della Polizia e larresto di alcune decine di manifestanti. Anche i tentativi di denuncia delle elezioni presidenziali (9 ottobre 2011) fatti dallopposizione non hanno avuto esito positivo: il voto -seppur fatto in un ambiente caotico, in cui sono state riscontrate numerose irregolarit -ha riconfermato Paul Biya alla guida del Paese per un ennesimo mandato. Nel caso dellUganda, lo scorso aprile sono state represse in diverse occasioni le manifestazioni battezzate walk to work, guidate da due leader dellopposizione Kizza Besigye (del Forum for 225

Democratic Change) e da Norbert Mao (del Democratic Party). Centinaia di persone che erano scese in piazza per protestare contro laumento del costo della vita e dei beni di prima necessit sono state disperse dalla Polizia con la forza o sono state incarcerate, con laccusa di aver turbato lordine pubblico. Il Presidente Yoweri Museveni (riconfermato al potere lo scorso febbraio 2011, grazie ad elezioni truccate o comunque ritenute poco trasparenti dagli osservatori elettorali e dallopposizione) non ha esitato ad utilizzare le maniere forti per mettere a tacere il malcontento popolare. Per quanto attiene le proteste del 20-21 luglio 2011 a Blantyre e Mzuzu, che hanno indotto taluni osservatori a parlare di una versione nazionale della primavera araba, esse non sono state il frutto di istanze radicali bens lespressione di un malcontento generale nei confronti del Presidente Bingu Wa Mutharika (al potere dal 2004), della politica economica del suo governo, del deterioramento delle condizioni di vita e della crescente repressione interna. Le manifestazioni sono state represse violentemente dalle forze dellordine (ci sono stati 250 arresti, 44 feriti e 18 vittime ), autorizzate dal Capo dello Stato a utilizzare qualsiasi misura per reprimere i dimostranti.

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