Académique Documents
Professionnel Documents
Culture Documents
di FRANCO BERGOGLIO
Eric J. Hobsbawm (1917-2012) rappresenta nellimmaginario collettivo la figura dello storico. Definendo il Novecento secolo breve ne ha determinato durata e nome. Per chi si occupa di jazz, poi, Hobsbawm non pu che configurarsi come un mito. Questi, nel lontano 1959, scriveva The Jazz Scene, tradotto da noi come Storia sociale del jazz (Editori Riuniti, 1982). Oggi quel libro va annoverato tra le tappe fondamentali per la musica afroamericana. Ledizione francese - ricorda Hobsbawm - usc per una collana curata dalleminente storico Fernand Braudel, successivamente tradotta in decine di lingue. Se oggi sinsegna jazz nelle universit lo dobbiamo a intellettuali illuminati come Hobsbawm che hanno speso il proprio prestigio su un terreno che allora ai pi non pareva decoroso per uno studioso. Il suo posto nella professione accademica era un po come quello dellomosessualit: uninclinazione privata di alcuni docenti che non rientrava per nella loro attivit accademica, ironizza Hobsbawm nellautobiografia Anni interessanti (Rizzoli, 2004). Hobsbawm ha raggiunto una fama mondiale che caso raro per uno storico - ha bucato i media; sue interviste sono comparse regolarmente sui quotidiani e sulle televisioni (Rai compresa). Sempre in Anni interessanti spiega: Il modo pi rapido di identificare una personalit nel nostro mondo saturato dai media evocarne una o due caratteristiche peculiari: la mia che sono un professore a cui piace il jazz e che rimasto nel partito comunista pi a lungo di molti altri. Appassionato di jazz fin dalladolescenza, testimone commosso del primo tour di Duke Ellington in Europa nel 1933 (la pi grande di tutte le band, di cui potrei ancora citare a memoria la formazione), lavor successivamente come critico jazz per importanti giornali inglesi a nome Francis Newton, pseudonimo mutuato da uno dei pochi jazzisti neri americani apertamente comunisti degli anni Trenta. Un buon trombettista che incise con Bille Holiday la celebre versione di Strange Fruit pubblicata dalletichetta Commodore. Con questo eroico nom de plume Hobsbawm, parallelamente allattivit dello studioso, entr nellarena della critica. In seguito spieg come si fosse offerto al New Statesman per la pagina del jazz principalmente per arrotondare le magre entrate di giovane accademico non ancora in carriera, facendo notare che il rivale Observer ospitava un proprio critico. Era la met degli anni Cinquanta. Da allora ha scritto di jazz nel suo notissimo libro Il secolo breve. 1914-1991 (Rcs Libri, 1997) e in Gente non comune (Rcs Libri, 2000) che indaga alcune delle personalit pi singolari del Novecento. Indovinate chi fa capolino tra i luddisti che distruggevano le prime atroci macchine industriali, i guerriglieri vietnamiti, i rivoluzionari di professione e i calzolai radicali inglesi? Hobsbawm inserisce tra le figure chiave del secolo scorso Sidney Bechet, il Caruso del jazz, Count Basie, Duke Ellington e Billie Holiday. Vicino ai movimenti operai e a quelli di emancipazione femminile fanno capolino le big band dellera Roosevelt, studi sulla ricezione europea del jazz e analisi dellarchetipo del fan. In Anni interessanti (Rizzoli, 2004) scrive di questo gruppo: Allora () la passione per il jazz caratterizzava un gruppo ristretto e isolato anche tra coloro che
Il secolo di Hobsbawm
avevano gusti culturali minoritari. Per due terzi della mia vita questa passione un la minoranza che la coltivava in una sorta di massoneria internazionale semiclandestina, disposta ad accogliere chiunque si fosse presentato con il corretto segnale in codice. Il jazz sarebbe diventato la chiave per accedere a quasi tutto quello che so della realt degli Stati Uniti e, in misura minore, della Cecoslovacchia, dellItalia, del Giappone, dellAustria postbellica.... Ecco emergere dallinterno il ruolo chiave del pubblico jazz: un uditorio enormemente serio, costituito di fini conoscitori che Hobsbawm per primo ha indagato sul campo, con locchio di un sociologo. Lo sguardo dellesperto e la passione del didatta: poich, come scrive nellautobiografia, in piena seconda guerra mondiale, mentre si trovava sotto le armi con lesercito britannico, Hobsbawm conduceva lezioni di ascolto guidato per neofiti del jazz. Ma il nostro ha mantenuto fino a non molti anni fa contatti diretti con il mondo musicale afroamericano: ormai affermato a livello mondiale, nei suoi periodi di insegnamento a New York viveva nel Village e il suo ufficio era ubicato proprio sopra un jazz club. Ancora nel 1987, con
(11)
canzone. Pete Townshend ce lha, invece, con Pinball Wizard, brano portante di Tommy, lalbum degli Who. Nella trasposizione cinematografica, Elton John sfida Roger Tommy Daltrey a flipper e nonostante le sue disabilit vince. Per Townshend il pezzo pi maldestro che io abbia mai scritto. Il chitarrista lo invent di sana pianta per ingraziarsi le recensioni di Nick Cohn, gran patito di flipper e tra i maggiori critici musicali inglesi. A Cohn, che aveva bocciato lalbum, Townshend lo incalz suggerendo che poteva aggiungere un pezzo sul flipper. Il critico: Sar un capolavoro!. Anche il resto della band apprezz molto la canzone. Stairway to Heaven lossessione di Robert Plant, voce dei Led Zeppelin, che da sempre la considera buona solo per i matrimoni. Al contrario Jimmy Page la adora. Tra le ragioni delle mancate reunion c anche quel brano da dover ripetere ogni sera. Quando una radio dellOregon decise di non programmarla pi, Plant fece una cospicua donazione allemittente.
l articolo The Jazz Comes back scritto per la New York Review Of Books, Hobsbawm incideva nel dibattito in maniera autorevole; recensendo in questo caso i libri di critici e musicisti quali Whitney Balliett, Danny Barker, Francis Davis, la storia dello swing sotto il nazismo raccontata da Mike Zwerin e il film Round Midnight di Bertrand Tavernier. E faceva il vecchio mestiere di critico con opinioni forti che potevano suscitare le ire degli specialisti. Nellarticolo in questione, paragonando Europa e Usa, esponeva un giudizio sulla ricezione del jazz: Almeno a partire dal 1930 aveva attratto un considerevole numero di intellettuali, dai vasti interessi culturali. Tuttavia lalta cultura statunitense fu straordinariamente lenta nel prendere nota di quello che probabilmente resta il pi serio contributo Usa alle arti del ventesimo secolo. Questa frase fece infuriare il critico americano James Lincoln Collier, che presa carta e penna, scrisse al direttore della rivista: Gli intellettuali europei hanno sempre coltivato amorevolmente la propria ignoranza verso gli Stati Uniti e quindi non desta sorpresa vedere uno di loro che nuovamente propone il vecchio ritornello senza senso secondo il quale avrebbero scoperto il jazz prima degli americani, meno sensibili e intellettualmente poco sofisticati. Tuttavia snervante che questa pretesa arrivi da uno storico sicuramente abituato a investigare bene un tema prima di offrirne delle spiegazioni. Dopo questa caduta di stile Collier rincara la dose spiegando come gli europei abbiano ascoltato il jazz non solamente dopo gli americani, ma anche grazie alla loro mediazione culturale. La replica di Hobsbawm sulle pagine della rivista rappresenta un capolavoro di perizia storiografica, di aplomb britannico nello scartare i trabocchetti sciovinistici e humor: Collier ha prodotto la migliore storia del jazz che io conosca. Non penso di aver scritto nulla pi delle sue opinioni, quando afferma che gli europei sono stati generalmente pi ricettivi degli americani per quanto riguarda il jazz e ne hanno parlato prima e spesso lo hanno anche fatto meglio (segue citazione puntuale del libro di Collier da cui Hobsbawm ha tratto laffermazione) e poi una piccola, ma decisa, lezione di storia: Non ho mai insinuato che gli americani si disinteressassero al jazz o fossero pregiudizialmente ostili ma il fatto che quellidioma appartenesse cos tanto alla loro vita quotidiana gli rendeva difficile trattarlo come forma darte e non corrispondeva alle idee che essi avevano su cosa costituisse lalta cultura in quegli anni. Che il jazz rientrasse in quel gruppo di idee non lho mai sentito. Questo non significa che la stampa americana non ne scrivesse e recensisse. Cera molto pi jazz a New York che in Europa; e ancora in parte cos. E persone che ho ammirato molto, come il mio amico John Hammond, sono state in una posizione di gran lunga migliore per commentare il jazz di quella di chiunque altro in Europa, possedendo notizie di prima mano. La querelle tra lo storico gentiluomo inglese e il furibondo critico americano sottende uno scontro di civilt o, se vogliamo, di opposti imperialismi culturali in cerca di predominio. Ecco perch la lezione di Hobsbawm - che nello scambio di battute con Collier non accetta la dicotomia Usa/Europa ma sposta a un livello alto la riflessione costituisce un esempio per chi vuole studiare la storia del jazz. Ecco perch intervistarlo.
di F. B.
Il primo approccio per e-mail risale a tre anni or sono e non fu dei pi confortanti; con cortesia il gentleman ultra novantenne mi rispose: Sfortunatamente let e le condizioni di salute non soddisfacenti mi hanno tenuto lontano dalla scena jazz degli ultimi anni. Di conseguenza non potrei dire delle cose interessanti per gli appassionati. Fortunatamente il rapporto epistolare continuato e ho potuto dialogare con il maestro su temi generali, per i quali si mostrato disponibile. Il sogno di ogni storico marxjazzista (non so quanto sia estesa la categoria oggi!). Ho concentrato gli sforzi suggerendo un tema che potesse stuzzicarlo e far scaturire riflessioni complessive. Trattandosi di In grande Count Basie, Hobsbawm, la questione doveva sotto Sidney Bechet necessariamente puntare al rapporto e lo stesso Hobsbawm. tra la musica jazz e i grandi conflitti In alto a destra Frankie ideologici del secolo, al suo innestarsi Newton e Bechet nel 1939, nelle pieghe riposte del Novecento. qui sopra Billie Holiday La sua prima risposta ha il respiro di
un saggio breve: La sua domanda verte sulla relazione tra jazz e impegno politico. In sostanza questo collegamento significa verosimilmente impegno militante nel campo della sinistra politica. Non riesco a pensare ad alcun genere di rapporto con la destra, che di regola si mostrata ostile a questa musica, almeno fino a quando non entrata a far parte delle arti considerate appartenenti allalta cultura. C stata uneccezione: quella rappresentata dallaristocrazia e dalla buona societ che apprezzavano il jazz come musica da ballo, adatta ai cocktail party. Tuttavia questo esempio non indica un coinvolgimento politico di cenacoli ristretti che rimanevano ampiamente ancorati alla propria fede conservatrice. Altrove le simpatie di sinistra dei fan del jazz costituiscono dati oggettivi, sebbene non universali. Non riesco a