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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI PALERMO

Dipartimento Regionale dellIstruzione e della Formazione professionale Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche

Master di II livello in Teoria, progettazione e didattica dellitaliano come lingua seconda e straniera (Edizione 2011 -ID edizione: 10196 - ID corso: 9914)

NOZIONI DI GRAMMATICA
a cura di Luisa Amenta e Egle Mocciaro

PARTE PRIMA. FONDAMENTI TEORICI 1. Che cos la grammatica? 2. Morfologia 2.1. Categorie lessicali 2.1.1. Categorie e sottocategorie 2.2. Il morfema 2.2.1. Parole semplici e parole complesse 3. Categorie grammaticali 3.1. Genere 3.2. Numero 3.3. Persona 3.4. Caso 3.5. Tempo 3.6. Aspetto e azione 3.7. Modo 3.8. Diatesi 4. Sintassi 4.1. Il sintagma 4.1.1. Interazione tra morfologia e sintassi: accordo e reggenza 4.1.2. Il sintagma verbale 4.2. La frase PARTE SECONDA. MORFOSINTASSI DEL NOME E DEL VERBO IN ITALIANO 1. Morfologia del nome in italiano 1.1. Morfologia flessiva del nome 1.2. Laccordo 1.3. La formazione delle parole Morfologia flessiva del verbo 2.1. Le categorie del verbo espresse dal morfema flessivo 2.1.1. Il Tempo 2.1.2. Il Modo 2.1.3. LAspetto 2.1.4. LAzionalit 2.1.5. Transitivit e intransitivit 2.1.6. La Diatesi 2.2. La reggenza del verbo

2.

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PARTE PRIMA. FONDAMENTI TEORICI

1.

Che cos la grammatica?

Allinterno di ogni sistema linguistico i diversi segni sono legati tra loro da rapporti di natura sia PARADIGMATICA sia SINTAGMATICA (cfr. Linguistica generale 1.3, pp. 10-11). In altri termini, i diversi elementi che costituiscono una lingua sono immagazzinati nella memoria di ciascun parlante (asse paradigmatico), dalla quale vengono selezionati individualmente e collocati sullasse lineare dellenunciato (asse sintagmatico), nel quale ognuno di essi occupa una specifica posizione e stabilisce relazioni con gli altri dello stesso livello. Lasse paradigmatico costituisce, dunque, unarea di scelta libera ma, una volta compiuta, tale scelta rinvia ad opzioni sintagmatiche (singolare/plurale; maschile/femminile, ecc.), cio a regole grammaticali, che sono obbligatorie. Ad esempio, per produrre una frase che abbia la struttura X verbo Y, possiamo liberamente selezionare vari nomi e vari verbi (ad esempio, Marco/Gianni/i due incontrare/amare/odiare donna/uomo, ecc.), ma ogni scelta determina specifiche restrizioni duso sullasse lineare, ad esempio la scelta del singolare o del plurale (Marco incontra/*incontrano; I due incontrano/*incontra, ecc.). Questa situazione pu essere descritta graficamente tramite lo schema seguente, in cui il nastro A rappresenta lasse paradigmatico e il nastro B) lasse sintagmatico (adattato da Simone 1990: 274):
dormire

.
plurale

singolare

B
1a pers. 2a pers. 3a pers.

Linsieme delle opzioni obbligatorie la grammatica, che pu dunque essere definita come linsieme delle regole che necessario applicare per tradurre sintagmaticamente ci che stato liberamente selezionato sullasse paradigmatico. Le entit immagazzinate nella memoria e organizzate in raggruppamenti paradigmatici fanno, invece, parte del lessico mentale. importante sottolineare che il lessico mentale non comprende semplici liste di parole, ma linsieme di informazioni (semantiche, morfologiche e sintattiche) che i
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parlanti possiedono sulle parole della propria lingua (ad esempio le regole di formazione delle parole, le possibilit di combinazione, ecc.); in questa prospettiva, il lessico va considerato parte della conoscenza grammaticale. Al pari di grammatica vs. lessico, anche grammatica vs. sintassi rappresenta unopposizione ben radicata nella tradizione terminologica. , infatti, quasi intuitivo che in una frase come Il cane insegue il gatto la scelta delle parole cane, inseguire e gatto faccia parte del lessico, la scelta della terza persona singolare insegue faccia parte della grammatica (intesa come morfologia), mentre lordine delle parole si collochi a livello sintattico. Tuttavia, i tre livelli interagiscono in modo sistematico e, in effetti, tale interazione frequentemente riconosciuta per morfologia e sintassi, che si trovano infatti spesso unificate in una medesima prospettiva danalisi, la morfosintassi. Data la finalit introduttiva di questa unit, nei paragrafi che seguono morfologia e sintassi saranno descritte separatamente allo scopo di garantire una maggiore chiarezza espositiva, sebbene vada precisato che la prospettiva adottata fondamentalmente morfosintattica. 2. Morfologia

La morfologia studia parole, le forme che esse possono assumere e le regole tramite cui vengono formate nuove parole. 2.1. Categorie lessicali

Le parole che costituiscono il lessico di una lingua vengono tradizionalmente raggruppate in nove classi lessicali o parti del discorso o categorie lessicali (denominazioni che parimenti riflettono la natura paradigmatica della classificazione):
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
NOME (sedia, amore, Marco) VERBO (sedersi, amare) AGGETTIVO (comodo, bello) PRONOME (io, lei, la) ARTICOLO (il, lo, la) PREPOSIZIONE (di, a, da, in) AVVERBIO (comodamente, subito) CONGIUNZIONE (e, ma, o) INTERIEZIONE (oh!, ahi!)

Le prime cinque classi (nomi, verbi, aggettivi, pronomi, articoli) sono variabili in quanto possono assumere forme diverse secondo le altre parole con cui si combinano sullasse sintagmatico (sono cio soggette a opzioni grammaticali: il mio libro; la nostra bella amica; tu corri troppo, ecc.). Le altre sono, invece, invariabili e, dunque, immagazzinate come tali nel lessico.
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Unaltra distinzione quella tra classi aperte (nomi, verbi, aggettivi, avverbi), che possono continuamente arricchirsi di nuovi membri, e classi chiuse, cio formate da un numero finito di membri (articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni). essenziale sottolineare che lelenco di classi lessicali appena fornito non ha valore universale: solo per citare un esempio, molte lingue del mondo (tra cui il latino) non hanno larticolo. Le uniche classi presenti in tutte le lingue e, pertanto, universali, sono nome e verbo (cfr. Tipologia). Le parole sono immagazzinate nella memoria insieme alla categoria cui appartengono: infatti, ogni parlante in grado produrre una lista di nomi o di verbi o di aggettivi ecc. Questa circostanza rende pi economica lorganizzazione della memoria linguistica, limitando le possibili combinazioni tra le parole: ad esempio, la selezione delle parole cane, gatto, inseguire, il ammette un numero limitato di combinazioni (*gatto il insegue/ il insegue gatto ecc.). 2.1.1. Categorie e sottocategorie Oltre alla categoria lessicale, il parlante possiede anche altre informazioni circa le parole della propria lingua; ad esempio, sa che il cane insegue il gatto una frase ben formata, mentre non lo (almeno in circostanze normali) la sedia insegue il cane o - in termini metalinguistici - sa che il soggetto del verbo inseguire deve essere dotato del tratto di animatezza. I tratti che permettono di sottocategorizzare (cio raggruppare in categorie minori) il nome sono:
[ umano] nome di persona / nome di animale, cosa, ecc. [ comune] nome proprio / nome comune [ animato] nome animato (ragazzo, cane) / nome inanimato (sedia) [ astratto] nome astratto (amore) / nome concreto (sedia) [ numerabile] nomi che possono essere contati (libro) / nomi massa (acqua)

I verbi possono essere sottocategorizzati in:


transitivi / intransitivi mangiare / arrivare regolari / irregolari vedere (participio passato: visto) / amare (amato) con / senza costruzione progressiva stare + gerundio

Le propriet di sottocategorizzazione (che sono caratteristiche semantiche) impongono restrizioni sia sulla formazione di frasi (*il ragazzo arriva la casa), sia sulla combinazione di parole (ad esempio, in inglese si usa much con i nomi massa e many con i numerabili), sia sulla morfologia delle parole (per esempio, il suffisso italiano oso pu legarsi solo a nomi astratti: virt virtuoso; ancora in italiano, solo i verbi transitivi formano aggettivi in bile: amare amabile, ma *volabile,*divorziabile).

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2.2.

Il morfema.

Le parole sono composte da morfemi. Il morfema lunit minima della morfologia, cio la pi piccola parte di una lingua dotata di significato (esso, dunque, fa parte della prima articolazione, cfr. Linguistica generale 2.2.3). Facciamo alcuni esempi:
it. donn-a donn essere umano, adulto, di sesso femminile + a femminile, singolare; ingl. cat-s gatti cat essere animato, felino + s plurale. it. s-cortese s non + cortese ingl. un-stable un- non + stable stabile it. cortese-mente cortese + mente in modo X

Loperazione di segmentazione appena proposta consente di isolare entit il cui significato chiaramente individuabile e, inoltre, ricorrente nel lessico delle lingue in questione (mamm-a; panca; viva-mente; allegra-mente, ecc.). Non sempre, tuttavia, le parole sono cos facilmente segmentabili; ad esempio, migliore pi buono non ricavabile dallaggettivo di grado positivo buono e il lessema comparativo contiene in s il significato pi. I morfemi fin qui citati si raggruppano in due classi diverse: morfemi come donn e cat esprimono un significato lessicale (morfemi lessicali), che non dipende dal contesto e che liberamente selezionato sul piano paradigmatico, allinterno del quale si oppone ad entit della stessa natura (si oppone a uomo nel genere, a leonessa nel tratto di animatezza, ecc.); mentre a e s esprimono un significato grammaticale (morfemi grammaticali), che viene selezionato secondo il contesto sintagmatico (cio le altre parole compresenti sulla catena del parlato). Si distingue inoltre tra morfemi liberi, cio parole che occorrono da sole (bar, virt, a, voi, che ecc.), e morfemi legati, che occorrono solo unitamente ad un altro morfema, cio i morfemi flessivi (singolare/plurale o maschile/femminile, le desinenze del verbo, i suffissi e i prefissi). Al pari di fonema (termine sul quale costruito) il termine morfema indica ununit astratta, che realizzata a livello concreto da un morfo. Le diverse classi di morfemi, dunque, costituiscono raggruppamenti paradigmatici dotati di significato e immagazzinati nella memoria; i morfi, invece, sono costituiti da materiale fonologico e risultano dalla scelta grammaticale che si compie sul piano sintagmatico. Uno stesso morfo pu esprimere pi significati (pacchetto morfemico), come nel caso della terza persona singolare del verbo essere: i significati veicolati da , cio essere / terza persona / singolare / presente / indicativo, non possono essere attribuiti a specifiche porzioni della parola, che costituita da un solo suono.
Nella maggior parte delle lingue europee i morfi si dispongono in sequenza sulla catena lineare (morfologia concatenativa) e sono, di conseguenza, ben distinti luno dallaltro (in-visibile; donn-a, ecc.). In altre lingue, invece, i morfi si incastrano gli uni negli altri. In arabo il lessema che significa domandare formato dalle 5

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tre consonanti -l-b. Sullasse sintagmatico, queste consonanti vengono integrate da vocali che veicolano le informazioni morfologiche; ad esempio, per esprimere il significato colui che domanda necessario inserire un morfema vocalico (-i) che significa colui che fa qualcosa (--l-i-b) (Simone 1990: 142 sgg.).

In alcuni casi, il morfema si realizza in morfi diversi, gli allomorfi, secondo il contesto sintagmatico. Un tipico caso di allomorfia costituito dal plurale inglese: a. -[s] dopo consonanti sorde (rock[s], hip[s]) b. -[z] dopo consonanti sonore (head[z], fool[z]) c. -[z] dopo fricative sibilanti [s, z, ] e affricate palatali [, ] (loss[z], dish[z]) I tre allomorfi citati sono in distribuzione complementare, cio ciascuno di essi compare in contesti in cui gli altri non possono comparire. Un caso di allomorfia in italiano la selezione dellarticolo determinativo, che dipende dal suono iniziale del nome cui si associa: a. lo / gli s + consonante (gli scacchi) / [] (gli sciami) / [] (gli gnocchi) / vocali (gli altri) / approssimante (gli uomini); b. il / i negli altri contesti. Un altro esempio costituito dal prefisso negativo in-, che si realizza diversamente secondo il suono che segue: in-accessibile im-mancabile im-possibile il-logico ir-raggiungibile

Lallomorfia riguarda anche i morfemi lessicali, come nel caso di: buon-o bon-t pied-e ped-ale

Si parla di suppletivismo e non di allomorfia quando in una serie morfologicamente omogenea compaiono forme radicali differenti ma evidentemente connesse sul piano semantico:
Nome: Aggettivo: acqua idrico fuoco pirico cavallo equestre

vado /andiamo; vai /andate, ecc. 6

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Gli esempi appena citati mostrano con chiarezza come i diversi livelli dellanalisi linguistica (in questo caso, morfologia, fonologia e lessico) interagiscano costantemente tra loro, cosicch una regolarit fonetica pu caratterizzarsi come regolarit morfologica. 2.2.1. Parole semplici e parole complesse. Nei paragrafi precedenti si visto che una parte delle categorie lessicali (nomi, verbi, aggettivi, pronomi, articoli) variabile e che le variazioni possono produrre nuove forme della stessa parola secondo il tipo di morfema flessivo impiegato (inseguire / insegue / inseguiamo; donna / donne, ecc.). Esiste anche un altro tipo di modificazione formale che consiste nella formazione di nuove parole del lessico a partire da parole-base (amministrare amministrazione; fare contraffare; scienza scienziato, ecc.). Le parole-base sono parole semplici, cio immagazzinate come tali nel lessico dei parlanti, mentre quelle nuove sono parole complesse formate tramite regole morfologiche. Tali regole sono intuitivamente conosciute dai parlanti, che le applicano in modo produttivo, tale cio da potere essere applicato in modo potenzialmente illimitato a partire da parole-base (cfr. Linguistica generale 2.2.1, 2.2.3). Le regole che governano la formazione delle parole in italiano saranno discusse in maggiore dettaglio in II, 1.3. 3. Categorie grammaticali

Le parti del discorso discusse in 2.1 esprimono diverse categorie grammaticali, cio classi di opzioni che devono essere obbligatoriamente realizzate sullasse sintagmatico (cfr. 1). Si tratta di: genere, numero, persona, caso, tempo, aspetto, modo, diatesi. Allinterno di ciascuna categoria grammaticale, le opzioni sono omogenee (perch realizzano diversamente la medesima nozione: ad esempio, singolare e plurale sono realizzazioni diverse del numero) e complementari (perch la selezione delluna esclude le altre: per esempio, la scelta del singolare esclude il plurale) (Simone 1990: 303). In italiano, tali categorie sono tipicamente realizzate tramite la flessione (cio la modificazione della desinenza) e, dunque, si esprimono come CATEGORIE FLESSIONALI. Questa circostanza, tuttavia, non ha carattere universale e, daltra parte, non sempre pienamente realizzata neanche nelle lingue flessive. A partire da Whorf (1956) si distingue tra CATEGORIE ESPRESSE (o SCOPERTE) e CATEGORIE NASCOSTE (o COPERTE). Ad esempio, in italiano la categoria del numero scoperta poich la sua espressione normalmente affidata a desinenze diverse per il singolare e per il plurale (mel-a / mele); ci sono tuttavia casi in cui tale distinzione non trova espressione sul piano formale (la crisi / le crisi). Anche la categoria del genere generalmente espressa in italiano (bell-o, bell-a), sebbene
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esistano casi in cui essa coperta (etiope, belga, ecc.); in inglese, al contrario, il genere quasi sempre coperto, a meno che non sia espresso in modo inerente da un lessema pronominale (his il suo (di lui) / her il suo (di lei) / its il suo (di esso)). Questultimo esempio mostra come lespressione delle categorie grammaticali possa essere affidata sia a mezzi grammaticali (GRAMMATICALIZZAZIONE), sia a mezzi lessicali, cio attraverso parole memorizzate nella loro interezza sullasse paradigmatico (LESSICALIZZAZIONE).
In diacronia, il rapporto tra le due modalit suscettibile di variazione. Va inoltre osservato che le nozioni di grammaticalizzazione e di lessicalizzazione non descrivono solo uno stato di cose osservabile in una lingua in un dato momento della sua storia, ma anche processi dotati di estensione temporale. Pu infatti accadere che una parola (dunque ununit del lessico) si svuoti delle proprie caratteristiche lessicali per assumere una funzione grammaticale o, viceversa, che il valore grammaticale di una forma si opacizzi. I processi di grammaticalizzazione possono facilmente essere illustrati facendo riferimento alla storia del latino e della sua progressiva trasformazione nelle lingue romanze. Il suffisso italiano mente, tramite cui possibile formare avverbi a partire da aggettivi (abile > abilmente; sicuro > sicuramente ecc.) , da un punto di vista etimologico, lablativo della parola latina mens mente, disposizione di spirito; in latino, infatti, sincera mente era un sintagma ablativale che significava con mente sincera, con sincera disposizione di spirito. Progressivamente il sintagma ha cominciato ad essere percepito dai parlanti come ununica parola e, di conseguenza, la parola mente stata rianalizzata come un suffisso aggiunto agli aggettivi sincera, onesta, rapida, ecc. Un altro caso di grammaticalizzazione quello delle forme del futuro e del condizionale italiano, come canter, canterei. Forme del genere costituiscono uninnovazione rispetto al latino (innovazione formale per il futuro: cantabo canter era una forma sintetica in cui la categoria grammaticale tempo era espressa da un suffisso; innovazione nella funzione per il condizionale, che usa le forme del congiuntivo latino: cantarem, cantavissem). Nel latino volgare si svilupparono nuove le forme analitiche cantare habeo lett. ho da cantare e cantare habui ebbi da cantare, costituite dallinfinito del verbo lessicale e da una voce del verbo avere. Questultimo si svuota progressivamente del proprio contenuto lessicale (il valore di possesso) per assumere il ruolo grammaticale di marca del futuro e di condizionale. In uno stadio successivo, le forme dellausiliare si sono fuse in ununica forma con quella del verbo lessicale fino a diventare morfemi grammaticali (canter-, canter-ei).

Daltra parte, ci che non viene espresso morfologicamente pu avere conseguenze a livello sintattico; questo, ad esempio, il caso della distinzione di genere animato vs. inanimato che non morfologicamente realizzata in italiano, ma sta alla base della differenza sintattica tra vengo da te e vengo a casa (cfr. 3.1). Il modo in cui le categorie grammaticali si realizzano sul piano sintagmatico, dunque, mostra ancora una volta come lessico, morfologia e sintassi siano intimamente connessi allinterno della grammatica delle lingue. 3.1. Genere.

una categoria del nome sulla base di cui, in italiano, distinguiamo MASCHILE e FEMMINILE; altre lingue conoscono anche il genere NEUTRO (lat. neuter n luno n laltro), che tipicamente si riferisce a entit prive di volizione e inanimate. Le distinzioni di genere, tuttavia, non rimandano
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direttamente a tassonomie naturali e, quindi, ad obiettive distinzioni di sesso. Gi i grammatici avevano distinto tra generi naturali, attribuiti ai nomi in base ad un criterio di corrispondenza col sesso di appartenenza del referente (es. uomo/donna), e generi arbitrari, quelli cio in cui i criteri di attribuzione del genere non possono essere ricondotti al criterio semantico ispirato al sesso naturale. Sono i casi in cui il genere di un referente dipende da una convenzione e non c alcun riferimento con la realt extralinguistica. In tal senso si giustifica anche come alcune parole possano essere femminili in una lingua (lat. arbor albero; ted. Sonne sole; it. luna; morte) e maschili in unaltra (it. albero, sole; ted. Mond luna; Tod morte, ecc.). Sebbene sia in certi casi possibile ricostruire i sistemi tassonomici primitivi che soggiacciono alla categorizzazione per generi, liconicit originaria si sempre in larga misura opacizzata nel corso dellevoluzione linguistica. Nel passaggio dal latino al romanzo il neutro scompare e si ridistribuisce nelle classi del maschile e del femminile in modo imprevedibile, sicch di fatto nelle lingue romanze la corrispondenza tra genere naturale e genere grammaticale decisamente episodica. Come si visto nel paragrafo precedente, il genere pu o meno essere scoperto; quando scoperto, esso si proietta in varia misura sul pacchetto morfemico degli elementi che compongono il sintagma di cui il nome fa parte. Ad esempio, in italiano nome, articolo e aggettivo si accordano nel genere: il gatto nero (cfr. 4.1.1 e II, 1.2). Laccordo non si realizza in tutte le lingue: ad esempio, in inglese laggettivo invariabile (the tall man/the tall woman luomo alto/la donna alta). Semplificando, possibile distinguere tre sistemi di genere: a) b)
COPERTO:

le distinzioni di genere non sono espresse morfologicamente (turco, inglese, cfr.

3);
SISTEMA BIPARTITO:

molte lingue, tra cui quelle romanze, distinguono maschile e femminile; queste due opzioni non riflettono in modo sistematico distinzioni relative al sesso naturale (cfr. il soprano; la guardia, ecc.); in alcuni casi un unico genere esprime i due sessi (tigre; fr. crivain scrittore, ecc.) e lappartenenza ad un genere naturale pu essere esplicitata solo tramite laggiunta di altro materiale lessicale (la tigre femmina; femme crivain lett. donna scrittore, non diversamente dal turco kiz talebe lett. ragazza studente, cio studentessa, cfr. Simone 1990: 317). Nelle lingue a sistema bipartito, il maschile funziona normalmente come genere non marcato: i fratelli fratelli e sorelle, gli amici gli amici e le amiche, ecc. Molte lingue dotate di un sistema bipartito conoscono anche il genere neutro, che si oppone agli altri due (latino, greco, russo, ecc.). Lopposizione maschile, femminile / neutro riflette in qualche modo una diversa opposizione di genere, che in altre lingue decisamente pi rilevante: quella tra animato e inanimato. Anche in questo caso non
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possibile se non tramite ricostruzione culturale dei sistemi primitivi individuare immediatamente un perfetto sistema di corrispondenza tra genere grammaticale e animatezza del referente. Ad esempio, in algonchino (una lingua amerindiana) il genere animato comprende sia entit effettivamente animate (come gli animali), sia alberi, pietre ed altri oggetti. Tra le lingue indoeuropee, lopposizione animato vs. inanimato agisce in forma coperta nelle lingue slave, in cui il complemento oggetto animato espresso al caso genitivo, mentre quello inanimato al caso accusativo. In italiano lopposizione in questione determina, sul piano sintattico, la selezione di preposizioni diverse in frasi come: vengo a casa (inanimato) e vengo da te (animato) (cfr. 3). Analogamente in spagnolo le caratteristiche di animatezza del complemento oggetto si scoprono in sintassi e, in particolare, loggetto animato marcato dalla presenza della preposizione a: He visto una casa ho visto una casa, He visto a tu madre ho visto tua madre. Si osservi che unanaloga distribuzione governa la sintassi delloggetto in siciliano e, di riflesso, nellitaliano regionale di Sicilia (vitti na casa ho visto una casa; vitti a to matri ho visto tua madre). c) SISTEMI A PI TERMINI: alcune lingue possiedono numerose classi di nomi che esprimono generi diversi. Il dyirbal (una lingua australiana) possiede quattro classi: la prima comprende uomini e esseri animati; la seconda comprende donne, fuoco, oggetti legati al fuoco e fenomeni pericolosi (da cui il titolo del celebre saggio di George Lakoff Women, fire, and dangerous things); la terza comprende gli oggetti commestibili; la quarta le entit che non rientrano nelle prime tre classi. Anche lo swahili (una lingua bantu) possiede numerose classi di nomi, distinte da specifici prefissi (classificatori) che veicolano informazioni di genere; allinterno di questo sistema complesso, ad esempio, i nomi che denotano esseri umani sono morfologicamente distinti da quelli che esprimono esseri viventi e mobili, ma non umani (alberi, fiumi, ecc.). 3.2. Numero la categoria grammaticale che esprime la quantit e che nella sua forma pi semplice si realizza come opposizione tra SINGOLARE e PLURALE (banana/banane). Il singolare indica ci che uno (un solo essere animato, un solo concetto o unazione o unentit collettiva che viene percepita come omogenea, come ad esempio la famiglia); il plurale indica indistintamente ci che pi di uno (pi esseri animati, pi concetti o nozioni). Anche in questo caso, non esiste una perfetta corrispondenza tra quantit obiettiva e numero grammaticale. Ad esempio, lentit denotata dalla parola famiglia comprende tipicamente una
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pluralit di individui; il quantificatore indefinito qualche formalmente singolare ma esprime un valore di pluralit: qualche bicchiere di vino pi di un bicchiere. Facciamo altri esempi: a. Luomo un animale politico b. Luomo si chiama Napolitano ed il Presidente della Repubblica c. Gli uomini sono animali politici d. Gli uomini sono usciti dallassemblea evidente che a. e c. sono frasi sinonime perch fanno riferimento alla specie uomo, sebbene essa sia espressa al singolare nel primo caso e al plurale nel secondo; al contrario, b. fa riferimento ad un individuo ben definito, cos come d. che si riferisce a un gruppo, numerabile, di individui. Ancora, confrontiamo le seguenti frasi: e. Il cane un animale domestico f. I cani mi inseguirono per strada chiaro che in f. cani non plurale di cane, perch il primo si riferisce a un gruppo di oggetti (numerabili: un cane, tre cani, cento cani), il secondo alla specie (nome collettivo, non numerabile). Non tutte le lingue classificano singolare e plurale allo stesso modo; ad esempio, il singolare pu distinguersi dal plurale per la presenza di una marca specifica (lat. lupus/lupi) o per la presenza di un morfo zero (ingl. a dog un cane/some dogs alcuni cani; turco adam uomo/adam-lar uomini). Alcune lingue (come il greco e il sanscrito) ricorrono ad una terza classe, il DUALE, una forma speciale di valore quantitativo che si riferisce ad oggetti che si presentano in coppia. Altre lingue (ad esempio, alcune lingue dellOceania) esprimono morfologicamente anche il TRIALE. Come nel caso del genere, la realizzazione scoperta del numero determina laccordo del nome con gli altri elementi del sintagma e, in lingue come litaliano, tale accordo coinvolge anche la persona del verbo di cui il sintagma nominale soggetto (Luomo un animale politico). 3.3. Persona

la categoria che consente di distinguere lemittente (io) e il ricevente (tu) del messaggio (Benveniste 1966 [1971]: 269-281): nel momento stesso in cui produce il messaggio, lemittente designa se stesso io, rivolgendosi a un ricevente tu. Poich emittente e ricevente sono componenti imprescindibili nellatto comunicativo, la prima e la seconda persona sono universali linguistici. Inoltre, io e tu devono necessariamente essere persone (colui che parla e colui al quale ci si rivolge, secondo la terminologia dei grammatici arabi) in grado di partecipare
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effettivamente dellatto comunicativo. In questo senso, la prima e la seconda persona sono CATEGORIE DEITTICHE, perch mutano referenza secondo il contesto (shifters commutatori nei termini di Jakobson 1966 [2002]: 149 sgg.): io si riferisce a un parlante fintantoch egli detiene la parola, ma non appena questa passa ad un altro la referenza di io cambia. La terza persona, daltra parte, non ha bisogno di essere ancorata al contesto del discorso: lentit cui ci si riferisce, che non necessariamente presente e che non necessariamente una persona (colui che assente, secondo i grammatici arabi; la non-persona, secondo Benveniste). Non un caso che, laddove la prima e la seconda persona vengono generalmente espresse da pronomi specializzati, la terza sfrutta spesso altro materiale; il caso dei pronomi dimostrativi in latino e dei loro sviluppi in italiano: egli < ILLE, esso < IPSE, ecc; in alcune lingue, come il semitico, la terza persona ha marca zero; viceversa, la differenza di status pu manifestarsi marcando solo la terza persona, come in inglese love / loves. La persona interagisce con il numero. I pronomi, infatti, possono essere singolari o plurali sul piano morfologico: io/noi, tu/voi, ecc. Tuttavia, a livello semantico, noi non rappresenta effettivamente il plurale di io, poich in condizioni normali il parlante unentit singola; dunque, noi significa io + qualcun altro. Alcune lingue, inoltre, distinguono tra PLURALE INCLUSIVO (parlante + ricevente) e PLURALE ESCLUSIVO (parlante + terze persone). Diversamente dalla prima persona plurale, voi effettivamente il plurale di tu, perch il ricevente di un enunciato pu essere una pluralit di individui tu+tu+tu . 3.4.Caso. la categoria che esprime il tipo di relazione che lega il nome agli altri elementi della frase. Lesistenza di queste relazioni universale, mentre la loro realizzazione mediante una categoria flessionale si ha solo in alcune lingue: a. Il ragazzo ha dato una rosa a Maria b. Puer dedit rasam Mariae a. e b. esprimono le medesime relazioni: entrambe contengono un verbo trivalente (dare), che ha come primo argomento il soggetto, come secondo argomento loggetto, come terzo loggetto indiretto. Queste relazioni (FUNZIONI GRAMMATICALI, cfr. 3.8.1) sono espresse in italiano attraverso lordine delle parole, in latino mediante luso di morfemi grammaticali. Il termine che designa la categoria deriva dal latino casus caduta e allude al fatto che in latino (e nelle lingue occidentali, in genere) tutti i casi cadono da un caso retto - cio dal nominativo che
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il caso del soggetto - modificandosi morfologicamente (Simone 1990: 325). Il nominativo, di conseguenza, ha uno statuto speciale ed , infatti, lunico caso che pu non essere contrassegnato da una marca morfologica (come in puer ragazzo che consiste del solo tema, rispetto al genitivo animal-is ecc.); laltro caso cardinale laccusativo, che marca la funzione di complemento oggetto (rosam). Nel passaggio dal latino allitaliano, il sistema dei casi andato perduto e, di conseguenza, litaliano non esprime morfologicamente la categoria di caso. Tuttavia, una sopravvivenza dellantico sistema ancora rintracciabile a livello periferico, cio nel sistema dei pronomi personali, dove il nominativo io/tu si oppone allaccusativo me/te, i dativi gli/le agli accusativi lo/la. Dal punto di vista tipologico, le lingue basate sullopposizione NOMINATIVO-ACCUSATIVO si distinguono da quelle basate sullopposizione ERGATIVO-ASSOLUTIVO (ad esempio, il basco). La differenza tra i due gruppi risiede nel diverso trattamento del soggetto. Nel caso delle lingue nominativo-accusative, il soggetto ha sempre la stessa morfologia indipendentemente dal tipo di verbo. Nelle lingue ergativo-assolutive, invece, la morfologia del soggetto dipende dalla transitivit del verbo: se il verbo transitivo il suo soggetto andr al caso ergativo; se il verbo intransitivo il suo soggetto andr al caso assolutivo, che lo stesso caso che marca loggetto dei verbi transitivi; in altri termini, il soggetto di un verbo intransitivo presenta maggiori affinit con un oggetto (in particolare, essi sono accomunati da un minore grado di agentivit e controllo sullazione denotata dal verbo, rispetto a quelli esercitati dal soggetto di un verbo transitivo). Accanto ai casi che esprimono funzioni grammaticali, esiste una classe di CASI LOCALI, che servono a indicare la localizzazione spaziale o la direzione di un evento a partire dal punto di vista dellemittente. In italiano i casi locali non sono espressi in forma flessionale, ma affidati al lessico e alla sintassi, in particolare, alluso delle preposizioni (come del resto avveniva parzialmente gi in latino). Nelle lingue che esprimono morfologicamente il caso, il sistema dei casi locali va da un minimo di tre (moto da luogo, stato in luogo, moto a luogo) a organizzazioni pi complesse (il tunguso, parlato in Asia settentrionale, possiede otto casi locali; lungherese e il finnico distinguono due classi che servono a localizzare un evento rispettivamente allinterno e allesterno della dimensione occupata dallemittente). 3.5. Tempo. una categoria del verbo che consente di localizzare levento denotato in un certo punto di unipotetica linea del tempo (prima-ora-dopo). Si tratta di una nozione semantica, che non va confusa con il tempo cronologico e, infatti, in alcune lingue i due valori sono distinti a livello lessicale (cfr. ingl. time/tense). La localizzazione di un evento linguistico (MOMENTO DELLEVENTO)
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dipende, piuttosto, dalla collocazione temporale del parlante nel momento in cui produce lenunciato (MOMENTO DELLENUNCIAZIONE): in particolare, se levento viene localizzato prima dellenunciazione PASSATO, se viene localizzato dopo FUTURO, se contemporaneo PRESENTE. Questa situazione rappresentata nello schema seguente (da Simone 1990: 331):

punto MOMENTO DELLENUNCIAZIONE


punto dellenunciazione

el

passato

presente punto dellevento

futuro

lenunciazione

PASSATO

PRESENTE MOMENTO DELLEVENTO

FUTURO

Consideriamo le frasi seguenti: a) Domani andr in Lituania b) Lanno scorso sono stata in Lituania c) Marco vive in Lituania In a)-c), il parlante (io) occupa un punto dellasse temporale corrispondente al presente (momento dellenunciazione); levento di cui parla, invece, collocato nel futuro in a), nel passato in b) e nel presente in c). Poich dipende dal contesto (extralinguistico) dellenunciazione, il tempo linguistico una CATEGORIA DEITTICA. Ma il punto di riferimento a partire dal quale la localizzazione di un evento viene misurata pu anche essere contenuto nel testo. questo il caso di enunciati pi complessi come i seguenti: d) Part allalba da casa e arriv al tramonto e) Quando avr finito la lezione, andr a prendere un aperitivo In questi esempi, il momento dellenunciazione ancora il presente, mentre gli eventi sono collocati nel passato in d) e nel futuro in e). Tuttavia, entrambi gli eventi sono articolati in due sotto-eventi, il primo dei quali (A) precede temporalmente il secondo (B): f) A [Part allalba da casa] B [e arriv al tramonto] g) A [Quando avr finito la lezione] B [andr a prendere un aperitivo]
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Questa situazione pu essere schematizzata come segue:


MOMENTO DELLENUNCIAZIONE

B
MOMENTO DI RIFERIMENTO

Levento primario collocato nel passato o nel futuro (A) funge da

per

collocare il secondo (B); poich contenuto nel testo e non nel contesto extralinguistico, tale punto di riferimento non deittico, ma ANAFORICO. Lorganizzazione temporale degli eventi rispetto al momento dellenunciazione e al momento di riferimento va quindi ulteriormente articolata:
PASSATO PASSATO NEL PASSATO PASSATO FUTURO NEL PASSATO PRESENTE PASSATO NEL FUTURO FUTURO FUTURO FUTURO NEL FUTURO

Lo schema rappresenta unorganizzazione temporale ideale che, per, viene realizzata solo parzialmente nelle diverse lingue. In generale si possono fare le seguenti considerazioni: 1. In alcune lingue la categoria grammaticale di tempo non espressa morfologicamente, ma veicolata da specifiche particelle (ad esempio, in cinese). 2. Interlinguisticamente, i sistemi temporali sembrano strutturarsi pi sullopposizione passato/presente (o passato/non passato), che su quella tripartita passato/presente/futuro. Le lingue, infatti, hanno una forte specializzazione per lindicazione del passato, come evidenziato dallarticolazione del sistema linguistico in un numero maggiore di tempi passati, cui non corrisponde in eguale misura larticolazione dei tempi del futuro: ted. Ich werde lesen lett. io divento leggere ingl. I will read lett. io voglio leggere lat. legere habeo lett. ho da leggere sic. aju a leggiri lett. ho a leggere, ecc.

Secondo Simone (1990), questa circostanza dipende da una peculiarit semiotica delle lingue che la narrativit: le lingue sono fatte soprattutto per raccontare. 3. I tempi del verbo non esprimono esclusivamente valori temporali, ma possono talora veicolare sfumature modali, come in: Sar pur vero quello che mi hai raccontato, ma io non ci
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credo, che non si riferisce a qualcosa che deve ancora accadere, ma mette in dubbio qualcosa di gi accaduto (ci che linterlocutore tu ha sostenuto come vero). 3.6. Aspetto e azione. Laspetto una categoria del verbo che esprime la prospettiva assunta dal parlante nel considerare il processo espresso dal verbo, ossia la rappresentazione della sua durata, del suo svolgimento, e della sua compiutezza. Ogni evento pu essere rappresentato come costituito da tre fasi, come nello schema seguente in cui si susseguono I (inizio), S (svolgimento), F (fine): I S F

Secondo il rapporto che si instaura tra le varie fasi possibile avere lespressione di un aspetto piuttosto che un altro. La principale opposizione aspettuale quella che oppone EVENTI IMPERFETTIVI e PERFETTIVI. Nel caso degli eventi perfettivi I, S, F co-occorrono, mentre gli eventi imperfettivi prevedono la cancellazione del punto finale. La perfettivit permette di descrivere un evento come interamente concluso e quindi con una visualizzazione del punto finale, mentre limperfettivit denota un evento nel corso del suo svolgimento (indipendentemente dalla sua collocazione temporale nel presente o nel passato) escludendo la focalizzazione del punto finale. In molte lingue (turco, arabo, russo ecc.) laspetto grammaticalizzato, cio espresso morfologicamente. Al contrario, le lingue romanze non possiedono marche morfologiche che segnalino in maniera autonoma le caratteristiche aspettuali, le quali vengono invece veicolate dall'intreccio di varie altre marche, morfosintattiche, temporali, lessicali. Cos la differenza tra aspetto perfettivo e imperfettivo affidata in italiano ai tempi verbali; si osservi, ad esempio, la differenza che intercorre tra venni e venivo che, al di l della diversa selezione temporale, esprimono rispettivamente un evento rappresentato nella sua interezza ed uno in fase di svolgimento. Diversamente dal tempo, tuttavia, laspetto non una categoria deittica, poich la rappresentazione dellevento non dipende dal contesto extralinguistico, cio dal punto dellenunciazione. In molti verbi italiani, i diversi lessemi verbali esprimono valori aspettuali in modo inerente: dormo esprime un evento dotato di durata (durativo), mentre mi addormento esprime linizio del processo (verbo incoativo); cerco durativo, trovo risultativo.
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Tuttavia, nonostante le affinit, laspetto lessicale (AZIONE o AZIONALIT, dal tedesco Aktionsart) va tenuto distinto dallaspetto in senso stretto. L'aspetto infatti di natura morfologica, essendo legato alla selezione temporale, mentre la nozione di azione di natura esclusivamente lessicale, poich dipende dal significato del verbo. Le principali opposizioni azionali sono (cfr. Bertinetto 1991): 1. lopposizione riguarda la durata del processo espresso dal verbo (guardo fuori dalla finestra, durativo; vedo un albero, non-durativo).
VERBI DURATIVI VS. NON-DURATIVI: VERBI TELICI VS. VERBI ATELICI:

2.

che esprimono o meno un processo dotato di punto finale

(tlos). Sulla base della presenza e dellinterazione di tali caratteristiche, si distinguono le seguenti classi azionali (cfr. Vendler 1967; Van Valin-La Polla 1997): a. indicano qualit inalienabili del soggetto quindi inerentemente ateliche e non puntuali (amare, sapere, possedere, assomigliare, ecc.); b. VERBI DI ATTIVIT: indicanti situazioni dinamiche ateliche e non puntuali (pensare, camminare, mangiare, ecc.); c. VERBI TRASFORMATIVI: esprimono un cambiamento di stato non durativo (puntuale), tale che alla fine del processo descritto il soggetto si trova in una condizione diversa da quella di partenza; sono dunque telici (svegliarsi, tornare, sorgere, impazzire, partire, svenire, apparire, esplodere, morire); d. VERBI RISULTATIVI: che implicano un cambiamento di stato, ma attraverso un processo che ha una certa durata nel tempo (imparare, congelare, bruciare, mangiare una mela, dipingere un quadro ecc.); e. VERBI SEMEL-FATTIVI: che descrivono eventi puntuali ripetibili senza stati risultanti (lampeggiare, tossire, ecc.). Lattribuzione di un verbo alluna classe o allaltra determinabile applicando alcuni test, che possono per variare interlinguisticamente:
CRITERI Strutture progressive Avverbi (attivamente, ecc.) Avverbi (velocemente, lentamente) per X tempo in X tempo stati No No No S* No trasformativi No No No No No* risultativi Si No S* Irrilevante S attivit S S S* S No

VERBI STATIVI:

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3.7. Modo una categoria del verbo che esprime latteggiamento del parlante rispetto allevento descritto. Si considerino le seguenti frasi: o tardi asserzione o chiudi la porta! comando o la fortuna ti assista augurio Questa categoria riconosciuta sin dallantichit come categoria logica prima ancora che linguistica; Aristotele distingueva i discorsi apofantici (o assertivi), che possono essere provati veri o falsi, da quelli semantici (o significativi) per i quali impossibile stabilire la verit o la falsit (ad esempio la preghiera). Semplificando, possibile affermare che il dominio della modalit si organizzi in due grandi aree: a) MODALIT REALE (o ASSERTIVA): presenta levento come vero; b) MODALIT NON REALE (o NON ASSERTIVA): si specifica in comandi, domande, possibilit obbligo, augurio ecc. Le lingue articolano ed esprimono in vario modo la modalit. In italiano, tale categoria tipicamente espressa morfologicamente dai MODI VERBALI (cfr. II, 2.1.2) ma pu anche trovare espressione lessicale nelluso dei verbi modali (potere, dovere). Esistono poi alcune forme coperte per esprimere la modalit affidate alluso dei tempi verbali (ad esempio, limperfetto indicativo pu esprimere valori di non-realt: se ero bella facevo la modella; tu eri il re e io la regina, ecc.; anche il futuro pu esprimere non-realt e, specificamente, probabilit: saranno le tre / avrai visto anche tu che cosa successo, ecc.). 3.8. Diatesi. una categoria del verbo che consente di rappresentare un medesimo evento in modi alternativi, dando maggiore o minore enfasi al ruolo ricoperto dai partecipanti. Si considerino le seguenti frasi: a) Marco ha rotto il bicchiere b) Il bicchiere stato rotto (da Marco) c) Il bicchiere si rotto Il a) lattenzione focalizzata sul partecipante che compie lazione (agente), che viene codificato come soggetto grammaticale; in b), invece, lagente viene spostato dalla posizione iniziale di spicco alla posizione secondaria e facoltativa di sintagma preposizionale, mentre lattenzione si focalizza sul partecipante che subisce lazione (paziente); in c) lattenzione ancora focalizzata sul secondo
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partecipante, ma levento rappresentato come avente luogo spontaneamente. I tre esempi illustrano i tre principali tipi di diatesi, rispettivamente a) ATTIVO, b) PASSIVO, c) MEDIO. Tra attivo e passivo esiste una precisa correlazione anche a livello sintattico, poich loggetto dellattivo corrisponde sistematicamente al soggetto del passivo. Le diverse lingue esprimono variamente la diatesi: in latino, essa era grammaticalizzata (laud-o lodo/laud-or sono lodato), mentre in italiano espressa in forma analitica (o perifrastica) tramite luso di una forma del verbo essere associata al participio passato del verbo (sono lodato). Tuttavia, la funzione cui lalternanza tra tali diatesi assolve sembra essere la medesima: in particolare, il ruolo del passivo esattamente quello di defocalizzare lattenzione dal partecipante che compie lazione, o perch sconosciuto o perch irrilevante ai fini del discorso. Non a caso, in arabo il passivo chiamato majhl (verbo con agente) sconosciuto e il verbo passivo non pu in nessun caso esplicitare lagente: se si vuole esprimere chi compie lazione bisogna selezionare la forma attiva. Il medio esprime un evento che coinvolge direttamente lattore. In alcune lingue (ad esempio in greco) esso espresso morfologicamente. In italiano, invece, lespressione dei valori medi affidata a radici verbali intransitive di forma attiva (nasco) o alle costruzioni con loriginario pronome riflessivo (cfr. II, 2.1.6): c) Il bicchiere si rompe d) Mi commuovo facilmente e) Mi costruisco una casa, ecc. 3.8.1. Ruoli semantici e funzioni grammaticali Si osservi che, nelle frasi citate, il partecipante su cui focalizzata lattenzione ricopre sempre la funzione grammaticale di soggetto, sebbene dal punto di vista semantico esso esprima valori diversi o, in altri termini, realizza diversi RUOLI SEMANTICI (o TEMATICI). I ruoli semantici dipendono dal significato del verbo; i principali sono: a) b) c) d)
AGENTE:

lautore di unazione;

il partecipante che riceve o subisce lazione; BENEFICIARIO: colui verso cui rivolta lazione (ho dato il libro a Maria); ESPERIENTE: colui che sperimenta un determinato stato (psicologico, ma anche fisico) (Io amo la vita /Io ho freddo); e) STRUMENTALE: il mezzo di cui ci si serve per realizzare levento (Marco apre la porta con la chiave/la chiave apre la porta); f) LOCATIVO: il luogo in cui si svolge lazione o anche da cui o verso diretta.
PAZIENTE:

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I ruoli semantici vanno tenuti distinti dalle FUNZIONI GRAMMATICALI ricoperte dai diversi elementi (soggetto, oggetto, ecc.). I due livelli danalisi (luno semantico, laltro grammaticale), infatti, non coincidono in modo necessario, come possibile osservare nelle frasi seguenti: (1) Marco ha mangiato la pasta (2) Marco deve essere interrogato (3) Marco stato visto da Maria (4) (5) (6) (7) Marco ha freddo Marco ha ricevuto molti regali La chiave apre la porta facilmente Il giardino pullula di fiori

In (1), il soggetto (sintattico) un AGENTE (semantico), in (2) e in (3) un PAZIENTE, in (4) un ESPERIENTE, in (5) un BENEFICIARIO, in (6) uno STRUMENTALE, in (7) un LOCATIVO. I ruoli semantici espressi da un significato verbale sono stabili interlinguisticamente, mentre le funzioni grammaticali cui essi sono associati variano sia da una lingua allaltra (cfr. 4.1.2), sia allinterno della stessa lingua secondo il modo in cui viene rappresentato levento (per esempio, per mezzo delle alternanze di diatesi). 4. Sintassi

La sintassi (dal greco syntss combino, ordino) descrive il modo in cui le parole si combinano tra loro formando unit di livello superiore, cio sintagmi (gruppi di parole) e frasi, e intrecciando sia rapporti lineari sulla catena sintagmatica sia rapporti gerarchici di dipendenza (cfr. Linguistica generale 2.2.5). 4.1. Il sintagma

Esistono tre criteri per riconoscere un gruppo di parole come un sintagma: Movimento: le parole che costituiscono un gruppo coeso non possono muoversi individualmente nella frase (*Cane insegue il gatto il); Enunciabilit in isolamento: le parole che costituiscono un sintagma possono, dato il contesto adeguato, essere pronunciate da sole (A. Chi insegue il cane? B. Il gatto); Coordinabilit: i gruppi di parole realizzano tipi diversi di sintagma; solo i gruppi dello stesso tipo possono trovarsi coordinati (Il cane e il gatto inseguirono il topo a mezzanotte / *Il cane e a mezzanotte inseguirono il gatto).
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I gruppi di parole realizzano diversi sintagmi secondo la natura della parola funzionalmente pi importante attorno a cui si costruiscono e la cui presenza obbligatoria; tale elemento detto testa del sintagma e pu essere rappresentato da una preposizione (P), da un nome (N), da un aggettivo (A) o da un verbo (V):
1) SINTAGMA PREPOSIZIONALE (SP) (ad esempio, a casa); 2) SINTAGMA NOMINALE (SN) (ad esempio, Marco, un cane, la casa); 3) SINTAGMA AGGETTIVALE (SA) (ad esempio, molto buono, troppo caro, ecc.); 4) SINTAGMA VERBALE (SV) (ad esempio, insegue il cane, ama la vita, ecc.).

4.1.1. Interazione tra morfologia e sintassi: accordo e reggenza. Allinterno di un sintagma le diverse parole sono morfologicamente solidali, realizzano cio la stessa opzione grammaticale (singolare/plurale, maschile/femminile, ecc.): ad esempio, il bimbo bravo. Questo tipo di relazione si chiama ACCORDO e mostra con chiarezza la profonda interazione esistente tra morfologia e sintassi. Laccordo non presente in misura uguale in tutte le lingue, alcune lo adoperano in modo pi esteso di altre, in relazione con il tipo linguistico. Come norma di carattere generale si pu affermare che quanto pi una lingua tende verso il tipo flessivo tanto pi far uso di accordo morfologico viceversa in lingue di tipo isolante laccordo sar minimo (cfr. Tipologia). Si parla di REGGENZA quando una parola realizza una data categoria flessionale perch si combina con unaltra parola che presenta categorie flessionali diverse. Questi pi complessi rapporti di dipendenza reciproca si realizzano tipicamente nel sintagma verbale (ad esempio, si dice che un nome ha un determinato caso perch retto da un determinato verbo). 4.1.2. Il sintagma verbale Il sintagma verbale costituito dal verbo e dai suoi ARGOMENTI, cio dagli elementi nominali che esso seleziona secondo il significato che esprime. La STRUTTURA ARGOMENTALE dei verbi fa parte della conoscenza paradigmatica dei parlanti e determina il numero di posizioni sintattiche che devono obbligatoriamente essere riempite nel sintagma. Sulla base del numero di argomenti selezionati, possibile classificare i seguenti tipi di VALENZA VERBALE: a) b) (o ZEROVALENTI) = NON ARGOMENTALI (Piove; tardi, ecc.); VERBI MONOVALENTI = MONOARGOMENTALI (Marco dorme; Gianni arriva; nato un bambino, ecc.); c) VERBI BIVALENTI = BIARGOMENTALI (Marco mangia la pasta; Il cane insegue il gatto, ecc.); in alcuni casi, il secondo argomento pu essere costituito da una frase dipendente (Marco crede che Maria verr);
VERBI AVALENTI

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d)

VERBI TRIVALENTI

= TRIARGOMENTALI (tipicamente verbi di dire e di dare: Marco ha confidato un segreto a Maria; Marco ha dato un libro a Maria).

Gli altri elementi non obbligatori che possono comparire in una frase si chiamano CIRCOSTANZIALI e servono ad aggiungere informazioni accessorie in merito al contesto e alle modalit del suo svolgimento (Ho studiato linglese durante la mia adolescenza). Ogni argomento del verbo esprime uno specifico ruolo semantico allinterno dellevento descritto (agente, paziente, ecc., cfr. II, 2.1.5). Tale ruolo semantico (e, dunque, la selezione argomentale dei verbi) non varia interlinguisticamente. Ci che varia , piuttosto, il modo in cui gli argomenti sono realizzati sul piano grammaticale, cio la funzione grammaticale che essi ricoprono. Analizziamo, ad esempio, il modo in cui viene realizzato sintatticamente il verbo piacere in italiano e in inglese: 1) Mi (ESPERIENTE/oggetto indiretto) piace la birra (PAZIENTE/soggetto) 2) I (ESPERIENTE/soggetto) like beer (PAZIENTE-oggetto diretto) facile osservare che i ruolo semantici selezionati dal verbo sono gli stessi nelle due lingue, cio ESPERIENTE (colui che prova la sensazione denotata dal verbo) e PAZIENTE (loggetto del piacere). Tuttavia, in italiano il paziente ricopre il ruolo di soggetto e lesperiente quello di oggetto indiretto; in inglese, invece, lesperiente soggetto e il paziente oggetto. 4.2. La frase

Gli esempi finora forniti sembrerebbero suggerire una tendenziale coincidenza tra sintagma verbale e frase. Tuttavia, la nozione di frase di gran lunga pi difficile da definire. La definizione tradizionale che considera la frase come gruppo di parole che esprime senso compiuto mostra la propria insufficienza non appena si considera una frase come che esprime senso compiuto, che indubbiamente una frase (una frase relativa), sebbene il senso sia tuttaltro che compiuto e vada, piuttosto, integrato con una frase principale (ad esempio, la frase un gruppo di parole). Daltra parte, esistono moltissime espressioni di senso compiuto che non sono frasi e che possono, infatti, essere rappresentate da una sola parola (Vieni!, Gianni!, Ahi!). Unaltra definizione corrente quella che interpreta la frase come gruppo di parole contenente un verbo, che consente di distinguere tra la vita bella (sintagma nominale) e la vita bella; tuttavia, in molte lingue la presenza di un verbo non indispensabile per aver una frase. Ci che caratterizza una frase rispetto agli altri gruppi di parole la presenza di una struttura predicativa, cio di predicato/soggetto, che pu realizzarsi in vari modi e, tra questi, tramite la presenza di un verbo di modo finito.
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PARTE SECONDA. MORFOSINTASSI DEL NOME E DEL VERBO IN ITALIANO 1. Morfologia del nome in italiano

Il nome in italiano si compone di un morfema lessicale, che costituisce la parte della parola che ne esprime il significato, e di un morfema flessivo da cui si ricavano le informazioni relative al genere e al numero. Differentemente da altre lingue il morfema flessivo del nome non d indicazioni relative alla sua funzione sintattica dal momento che litaliano non ha un sistema di casi: ad esempio can- e (morfema lessicale + morfema flessivo). Da una parola poi possibile formarne altre attraverso due procedimenti: a) la DERIVAZIONE che consiste nellaggiunta di affissi (prefissi se posti alla sinistra della base lessicale e suffissi se posti a destra). La derivazione pu comportare anche il passaggio da una classe di parole (verbo, nome, aggettivo) ad unaltra, ad esempio telefonare > telefonata. b) la COMPOSIZIONE che consiste nellunione di due parole originariamente indipendenti che formano ununica parola, ad esempio pianoforte. 1.1. Morfologia flessiva del nome

Fin dalle prime riflessioni sul linguaggio formulate nella grammatica occidentale il nome stato considerato la parte del discorso primaria, insieme al verbo, in virt della FUNZIONE REFERENZIALE che gli compete. Il riferimento alla realt extralinguistica pu essere un riferimento determinato (nomi propri) o indeterminato (pi specificatamente nomi comuni). Nominare, secondo unopinione concordemente espressa dalla trattatistica grammaticale antica il primo atto di conoscenza e i grammatici dicevano che il nome ha ricevuto questa definizione perch rende noti gli oggetti e le cose (Isidoro di Siviglia). Anche la trattazione moderna delle categorie grammaticali e morfologiche continua ad attribuire al nome una funzione fondamentalmente denotativa che permette ai parlanti delle singole lingue di classificare e rappresentare la realt extralinguistica. La prima funzione del nome quella del DESIGNARE. Nessuna lingua sia antica sia moderna priva della facolt del nominare. Il nome pu avere anche una FUNZIONE ATTRIBUTIVA: quando non designa un individuo ma delimita un altro nome relativamente ad una specificazione, ad esempio una auto pirata. Pu avere anche FUNZIONE PREDICATIVA, ad esempio Filippo ingegnere, quando descrive il referente di un altro nome non direttamente ma attraverso il verbo. Da un punto di vista semantico i nomi vengono distinti in nomi astratti e nomi concreti.
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I nomi sono morfologicamente marcati (cio dotati di una marca dedicata) per le categorie di genere e di numero che vengono espressi dallo stessa morfema grammaticale. Il GENERE in italiano si realizza secondo due opzioni: maschile e femminile. In quanto categoria scoperta, il genere si proietta in varia misura sul pacchetto morfemico degli elementi che compongono il sintagma di cui il nome fa parte, cio articolo e aggettivo (ad esempio, il bimbo buono, cfr. 3.1). In alcuni casi la differenza di genere indica anche differenza semantica sistematica: ad esempio i nomi degli alberi sono maschili (larancio, il melo, il pero) quelli dei rispettivi frutti sono femminili (larancia, la mela, la pera). In italiano, oltre che con mezzi morfologici lalternanza tra maschile e femminile si esprime con: - aggiunta di suffissi: ad esempio f. -ina /- one m. (gallo > gallina; barca > barcone); m. -tore / f. trice (lavoratore/lavoratrice); - giustapposizione (maschio o femmina/donna, es. volpe femmina; ministro donna); - uso dellarticolo (es. il/ la coniuge, nipote, collega). Il
NUMERO

si realizza nellopposizione singolare vs. plurale. Si tratta di una risorsa per indicare la

quantit. In base al numero i nomi si classificano in nomi numerabili (che designano entit numerabili), nomi massa (che non designano un oggetto unitario ma un entit che non possibile scomporre in unit, ad esempio latte, oro, acqua, zucchero), nomi collettivi (il cui significato comprende un insieme di, ad esempio folla, gente, stormo, flotta). Il contrassegno morfologico per lespressione del plurale dato in italiano dalla terminazione del morfema flessivo che reca sempre la doppia informazione relativa al genere e al numero. Sono possibili le seguenti classi di flessione nominale:
1. 2. 3. 4. 5. nomi maschili con singolare in -o e plurale in i (es. libro) nomi femminili con singolare in a e plurale in e (es. casa) nomi maschili e femminili con singolare in e e plurale in i (es. carcere, fiore, cane) nomi maschili con singolare in a e plurale in i (es. poeta, problema); nomi maschili e femminili con singolare uguale al plurale (es. virt, gr, sosia, radio, prestiti).

1.2.

Laccordo

Laccordo la relazione che si istituisce tra due elementi quando un elemento che ha un determinato morfema flessivo attiva in uno o pi altri elementi dellenunciato gli stessi morfemi flessivi (ad esempio, bimbo bravo).
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In italiano laccordo un fenomeno ben visibile se si esamina la struttura interna di un sintagma nominale in cui compaiono altre parti variabili del discorso. Il sintagma nominale (SN) ha come testa un nome che pu essere espanso mediante laggiunta di modificatori pronominali e postnominali (aggettivi, articoli). Il nome che la testa del sintagma proietta le proprie marche morfologiche sugli altri elementi del sintagma. Infatti gli elementi modificatori (articoli, aggettivi attributivi, apposizioni) concordano con il nome per genere e numero (ad esempio, una bella giornata). Laccordo morfologico non lunico tipo di accordo possibile ma esiste un tipo di accordo che sembra sfuggire a legami di tipo sintattico ed quello che viene definito ACCORDO SEMANTICO O A SENSO, ad esempio Sono arrivati una folla di ragazzi. In tale tipo di accordo il significato dellelemento lessicale e non la sua morfologia a condizionare la concordanza. Un caso molto frequente appunto quello del verbo flesso al plurale con soggetto al singolare in quanto nome collettivo. Questo tipo di accordo ricorre per lo pi nella lingua parlata laddove la lingua scritta tende verso laccordo di tipo grammaticale. Laccordo pu essere considerato come un fenomeno di ridondanza perch in un certo senso non che la ripetizione della stessa informazione grammaticale ma, a dispetto di questa sua antieconomicit, da un punto di vista funzionale uno strumento essenziale per le lingue soprattutto per ci che concerne la coesione dellenunciato. La principale funzione dellaccordo infatti quella di favorire la coesione testuale, ad esempio Enrico il ragazzo che venuto ieri sera un caro amico.1 1.3. La formazione delle parole

Il lessico di una lingua si arricchisce principalmente attraverso due procedimenti, uno che si pu definire endogeno e uno esogeno (parole prese in prestito da altre lingue). Il procedimento endogeno quello per cui a partire da elementi lessicali gi presenti in una lingua secondo modelli formativi ben determinati si creano parole nuove. Questo procedimento si articola in: composizione e derivazione.

Per coesione di un enunciato si intende la rete di rapporti grammaticali che instaurano i componenti di un testo e i modi con cui sono collegati fra loro.

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La DERIVAZIONE il procedimento per cui si associano un elemento autonomo e una forma legata, ossia una forma che non potrebbe ricorrere a prescindere dallelemento con cui legata. Il processo di derivazione a sua volta comprende tre diversi processi: - prefissazione - infissazione - suffissazione. I principali prefissi si distinguono in: - prefissi provenienti da preposizioni e avverbi (es. antipasto, anticamera, preavviso) - prefissi intensivi (es. ipercritica, benpensante) - prefissi negativi (es. impossibile, scortese, amorale, senzatetto). Generalmente i prefissi non cambiano la categoria lessicale della base. Con i suffissi, invece, ogni categoria grammaticale maggiore (Nome, Aggettivo, Verbo ) pu diventare qualsiasi altra categoria grammaticale maggiore. Inoltre la prefissazione non cambia laccento della parola base mentre ci avviene con la suffissazione, ad esempio: (Pref.) amorle > morle > moralsmo (Suff.). Nel passaggio da una base ad un derivato possono intervenire alcune modificazioni fonetiche nella consonante finale della radice, da occlusiva velare sorda ad affricata prepalatale sorda (amico >amicizia) o da occlusiva velare sonora a affricata prepalatale sonora (sociologo > sociologia) o da occlusiva dentale a affricata alveolare (potente > potenza). Nome Nome Laggiunta di un suffisso a un nome pu dare luogo a: 1) nomi che indicano unattivit considerata con riferimento allagente. Si ottengono con il suffisso -aio (es. benzina > benzinaio), anche se in alcuni casi per nomi di attivit preferito il suffisso -ista (es. bar > barista, civilista, correntista). Il suffisso -aio assume talvolta senso dispregiativo (es. parolaio, pantofolaio); -iere (es. giardino > giardiniere); - aiolo (es. bosco > boscaiolo); 2) nomi che indicano il luogo dove si svolge una attivit di fabbricazione o di commercio. Si possono ottenere con i suffissi -eria (es. birreria, falegnameria); -ificio (es. zuccherificio, calzaturificio) -aio/ile indica il luogo atto a custodire qualcosa (es. bagagliaio, pollaio, canile, fienile) - ato indica luogo di una carica (es. provveditore > provveditorato, commissariato);

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3) nomi che indicano un apparecchio, uno strumento. Possono essere ottenuti con i suffissi -ale/ario-/iere/- iera (es. braccio > bracciale, vocabolo >vocabolario, candela >candeliere, insalata > insalatiera); 4) nomi che esprimono quantit o hanno un valore collettivo. Si ottengono con i suffissi -ata, -aglia, -ame, iera (es. cucchiaiata, fiaccolata, boscaglia, muraglia, scogliera); 5) nomi scientifici: -ite (infiammazione acuta: polmonite), oma (parte del corpo soggetta ad un processo morboso, fibroma), -osi (infiammazione cronica, artrosi). Nome Aggettivo Tra i suffissi che comportano la formazione di un aggettivo a partire da una base nominale il pi produttivo nellitaliano moderno senzaltro -ico (es. igiene > igienico, nord > nordico); - ale un suffisso di origine latina (posta >postale); -ese un suffisso geografico (es. milanese) Nome Verbo I principali suffissi per cui da un nome si deriva un verbo sono: -are/ire ,-eggiare, -izzare, -ificare (es. arma>armare, alba>albeggiare, canale>canalizzare, nido>nidificare). Un caso particolare di derivazione rappresentato dai verbi parasintetici nei quali si ha lintervento simultaneo di un prefisso e di un suffisso (cappuccio > in-cappucc-iare). I verbi paransintetici si distinguono secondo il prefisso che anteposto (s- privativo, come in s-bucc-iare; a + raddoppiamento della consonante, come in a-bbotton-are). Verbo Nome: I nomi derivati da verbi si distinguono in due specie: -nomi che indicano lazione: -mento, zione, -ura, -aggio (es. insegnare > insegnamento; circolare > circolazione, lavare>lavaggio); -nomi che indicano lagente: -tore/trice, -ante (es. giocatore, lavoratore, cantante, supplente). Lalterazione: un particolare tipo di suffissazione con la quale il significato della parola di base non muta nella sua sostanza ma soltanto in relazione ad alcuni particolari aspetti (quantit [accrescitivi/diminuitivi], giudizio del parlante, qualit [positivo/negativo]). Non modifica categoria della base n il suo rapporto semantico con il referente. Questo procedimento molto tipico dellitaliano ed anche produttivo al punto che possibile trovare pi alterati nellambito della stessa parola. Ad esempio, la parola casa ha i suoi alterati nelle parole casetta, casona, casaccia, casina. In nessun caso lalterazione comporta il passaggio ad una categoria diversa rispetto a quella della base, ma si hanno trasformazioni allinterno della stessa categoria. Bisogna
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inoltra distinguere gli alterati veri e quelli falsi. I secondi sono parole che hanno un significato proprio non direttamente riconducibile alla base (es. rosone, fantino). Si chiama lessicalizzazione degli alterati il processo per cui un alterato diviene ununit lessicale autonoma, una parola dotata di un significato specifico. La COMPOSIZIONE il procedimento morfologico che consente la formazione di parole nuove a partire da parole gi esistenti. I costituenti del composto sono due forme libere che sono in origine indipendenti. La composizione uno dei mezzi di cui si serve litaliano moderno per accrescere il proprio lessico. essenzialmente un processo di nominalizzazione perch la categoria pi comune quella dei composti nominali, cio delle parole che appartengono alla categoria del nome. Le combinazioni possibili sono: Nome + Aggettivo = terraferma, camposanto Verbo + Nome = apribottiglie, giramondo,portacenere Aggettivo + Nome = altopiano, bassorilievo Preposizione + Nome = dopoguerra, senzatetto Nome + Nome = pescecane, porcospino, cassapanca Aggettivo + Aggettivo = grigioverde, agrodolce, storico-artistico. La testa del composto lelemento la cui categoria lessicale corrisponde a quella dellintero sintagma: es. camposanto (Nome) = campo (Nome) + santo (Aggettivo). Un costituente testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi identit sia di categoria sintattica sia di tratti sintattico-semantici: es. capostazione [Nome; +animato; + maschile] = capo [Nome; + animato; + maschile] + stazione [Nome; -animato; - maschile]. Stabilire quale sia la parola testa del sintagma importante anche per la formazione del plurale. Il plurale dei nomi composti La formazione del plurale dei nomi composti dipende dalla tipologia dei nomi composti: a base verbale o a base nominale. I composti con base verbale sono quelli in cui gli elementi del composto quando erano delle forme separate facevano parte della medesima struttura frasale di tipo predicativo verbale. Questi composti sono essenzialmente di due tipi Verbo + Nome (accendisigari < q.sa accende i sigari) (lavastoviglie, posacenere) o Verbo + Verbo (es. dormiveglia). In questi casi il composto rimane invariato anche al plurale.

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I composti con base nominale sono i composti in cui la frase da cui derivano contiene un predicato nominale (terraferma < la terra ferma). I tipi di composto a base nominale possono essere: Nome + Aggettivo (es. ficosecco). Il plurale di questi composti si forma modificando le desinenze di entrambi i costituenti (es. fichisecchi). Aggettivo + Nome (biancospino) il composto viene trattato come se fosse un nome semplice e si forma il plurale soltanto del secondo elemento (es. biancospini). Aggettivo +Aggettivo (es. chiaroscuro, pianoforte agrodolce, bianconero). Il composto viene avvertito in senso unitario e muta la desinenza del secondo aggettivo (es. pianoforti). Nome + Nome: in questi casi il secondo elemento funziona in qualche modo come modificatore del primo, dal momento che ha la funzione di determinante rispetto al primo (es. calzamaglia, arcobaleno). Per la formazione del plurale se i due nomi appartengono allo stesso genere allora si modifica solo il secondo elemento, se sono di generi diversi solo il primo (es. pescespada> pescispada). 2. 2.1. Morfologia flessiva del verbo Le categorie del verbo espresse dal morfema flessivo

L'italiano, come le altre lingue indoeuropee, codifica la morfologia verbale con suffissi legati alla radice e/o con ausiliari per le categorie di: Tempo; Aspetto/Azionalit; Modo Transitivit/Intransitivit Diatesi; Persona

Nella formazione delle forme finite del verbo il morfema di Tempo/Modo/Aspetto si aggiunge direttamente alla radice del presente completata con la vocale tematica mentre il morfema di accordo con il soggetto chiude la parola. In italiano la morfologia verbale abbastanza trasparente e regolare: in genere conoscendo una delle forme centrali di un verbo possibile prevederne l'intero paradigma. 2.1.1. Il Tempo Come si visto 3.5, il tempo linguistico linsieme di relazioni temporali che si trasmettono con segni linguistici per situare cronologicamente e porre in relazione gli eventi.
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Lo schema seguente rappresenta il sistema temporale dellitaliano:

PASSATO

PRESENTE

FUTURO

Imperfetto

Futuro Semplice Futuro Anteriore Passato Trapassato Remoto

Prossimo Prossimo Remoto

Presente. Esprime la prossimit tra punto dellenunciazione e punto dellevento. I suoi distinguono per lATEMPORALIT di quanto affermato dal predicato:

USI NON DEITTICI

si

* definizioni scientifiche (2+2 fa 4) * affermazioni sentenziose (presente gnomico: gli scozzesi sono tirchi) * sommari di narrazioni (copioni teatrali, cinematografici) * didascalie (la libert salva il popolo) * affermazioni di carattere universale (la verit un bene supremo); * norme giuridiche (commette un reato chi...) o per lONNITEMPORALIT, che caratterizza eventi o stati di cose che persistono indefinitamente nel tempo: - affermazioni di carattere geografico (Parigi in Francia) - riferimenti di affermazioni altrui (Dante descrive i peccati...). Per quanto riguarda gli USI DEITTICI del presente occorre distinguere in che relazione siano il Punto dellevento e quello dellenunciazione. Se il punto dellenunciazione contemporaneo al punto dellevento il presente esprime: - attualit: es. Carla malata;
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- immediatezza: es. azione descritta nel corso del suo svolgimento (dribbla lavversario e segna); - affermazioni con effetto immediato (ti ringrazio, giuro di dire la verit...); - abitualit: in questo caso si riferisce a soggetti attuali in grado di esercitare lazione espressa dal verbo ogni qual volta si presenti loccasione (Franco guida lautomobile). Se il punto dellenunciazione anteriore rispetto al punto dellevento si parla di PRESENTE STORICO. Si suddivide in DRAMMATICO (improvviso presente in un contesto di passati) e NARRATIVO (tutta la narrazione viene trasferita a livello temporale attuale). Viene adoperato per una ricerca di immediatezza nella descrizione in testi quali prose descrittive e fiabesche, o barzellette. Se il punto dellenunciazione posteriore rispetto al punto dellevento si parla di PRESENTE PRO FUTURO: un presente diffuso nello stile colloquiale (es. vengo stasera). Viene adoperato anche per esprimere pi vividamente limminenzialit di un evento (attento che vai a sbattere). Pu avere una sfumatura ipotetica con valore futurale (Se viene Giovanni, ci divertiamo). usato nelle minacce, in cui luso del futuro leverebbe immediatezza allespressione (fermo o sparo). Ha anche valore iussivo (in questo caso pu coincidere morfologicamente con limperativo: ci vai e torni subito!) e ottativo (vedrai che ci riesco). Imperfetto. Esprime la simultaneit nel passato. il tempo relativo per eccellenza poich, se da un lato i passati sono tempi autosufficienti da un punto di vista testuale, limperfetto viene sempre contestualizzato, anche se implicitamente (Giovanni passeggiava avanti e indietro...) in mancanza di riferimenti nel testo si relaziona al punto dellenunciazione. La sua funzione viene chiarita dallopposizione con i passati. Possiede sia degli usi propriamente temporali che degli usi modali. Negli usi propri, limperfetto ha un valore: - descrittivo - iterativo: sottolinea carattere abituale specialmente se accompagnato da avverbio del tipo X tempo (in quel periodo mi alzavo presto la mattina) o segnala durata ininterrotta (La Juve vinceva da quindici giornate). Esprime anche dei valori modali; questi casi si verificano quando avviene una trasposizione nel mondo reale di un mondo immaginario: - stipulativo / infantile (io ero il re e tu la regina) e onirico;

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- conativo: enuncia fatti lasciati a un livello di desiderio o con accezione imminenziale (un altro po' e ci riuscivo); - attenuativo / di cortesia: non indica azione passata ma un desiderio che viene ad essere mitigato dalla trasposizione in un momento antecedente a quello di enunciazione (volevo sapere); - epistemico: esprime una supposizione del parlante tramite luso di verbi modali al posto del condizionale composto (doveva essere qui; poteva succedere una disgrazia); - prospettico: indica un futuro nel passato al posto del condizionale composto (ha promesso che tornava). Un caso particolare lIMPERFETTO NARRATIVO che un espediente particolarmente usato nella narrativa otto e novecentesca e nel giornalismo sportivo. La sua funzione di prolungare la durata del processo espressa dal verbo (p.e. i suoi sforzi risultavano vani). Passati. REMOTO: indica unazione collocata in un momento anteriore a quello dellenunciazione senza legami obiettivi o psicologici con il presente, che non sia riattualizzabile. Il punto dellevento deve essere necessariamente anteriore al punto dellenunciazione. tempo che si caratterizza per essere adatto a narrazioni di fatti, dal momento che il processo, interamente concluso, viene visualizzato nellistante terminale. PROSSIMO: un passato che in rapporto con il presente o perch levento descritto perdura nel momento dellenunciazione, o perch ne perdurano gli effetti (anche psicologici). Di norma viene adoperato per lespressione temporale di fatti recenti (Corri, Giorgio s fatto male), anche se, per la sua funzione di mettere in risalto la rilevanza che levento ha per il locutore, non mancano casi di impiego relativi a fatti lontani nel tempo. Basti pensare che per parlare di persone tuttora viventi anche se di et avanzata si usa nato e non nacque. Un caso particolare il passato prossimo ESPERIENZIALE, usato per confrontare esperienze proprie con quelle di altri (Sei mai stato in Francia?). Qualora levento espresso dal passato prossimo sia considerato come non ancora concluso al punto di riferimento e questo coincida con quello dellenunciazione, pu acquisire un valore imperfettivo, es. Negli ultimi due mesi ha vissuto in condizioni disagiate (sino al momento in cui viene espresso lenunciato). In frasi subordinate il passato prossimo indica anteriorit rispetto a un futuro semplice o ad un presente, es. Quando vedrai Gianni digli che sei venuto a prendere il libro. Anche il passato prossimo presenta degli USI INTEMPORALI e serve per esprimere:
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- anteriorit rispetto a presenti intemporali (Una persona che ha studiato non deve dire certe cose); - formule del tipo: come abbiamo gi detto...; - eventi che si riferiscono al futuro (domani ho finito). Confronto tra passato prossimo e remoto: Al fine di chiarire ulteriormente il rapporto tra passato prossimo e remoto se ne sottolineano i punti di maggiore differenza: Passato Prossimo: a) valore di compiutezza attuale negli effetti che perdurano; b) riferimento temporale non necessariamente deittico; c) conclusione indeterminata del processo, attenzione agli effetti; d) ammette avverbiali che si riferiscono a ME (finora, attualmente, adesso); e) uso prevalente nelle variet regionali settentrionali; f) adatto a tipi di testo informali/colloquiali. Passato Remoto: a) conclusione del processo anteriormente rispetto a ME senza attenzione per il risultato; b) deitticit della designazione temporale; c) specificit del riferimento temporale; d) esclusione degli avverbiali X tempo (eccezioni regionali: *?ora arriv); e') variet regionali meridionali. Trapassati. Prossimo: esprime un valore di compiutezza e presuppone un Momento di Riferimento, esplicito o implicito, situato comunque nel passato. Viene impiegato in proposizioni temporali, in cui serve a descrivere lantefatto di situazioni narrative. Il processo narrato non ha pi nessuna attualit ed sganciato dal Momento di Enunciazione, perch il Momento di Riferimento a cui si riferisce, che deve essere diverso da ME, lo distanzia anche psicologicamente, ad esempio: Fino alla scoperta della verit aveva pensato che le cose erano andate in un altro modo. Ha usi modali che ricalcano quelli dellimperfetto: - ipotetico (senza quellincidente a questora eravamo arrivati); - attenuativo: la dislocazione fittizia nel passato serve a presentare levento come se fosse gi concluso nel ME (avevo pensato che tu volessi restare).
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Remoto: ha impiego limitato nella lingua contemporanea ed appartiene ad uno stile elevato. Si assume come MR listante successivo al momento terminale dellevento espresso dal trapassato, ad esempio: Carlo mi prese in giro fino a che non ebbe ricevuto anche lui una multa. Futuro. Futuro semplice: nel suo valore temporale, ha una natura di tipo deittico, dal momento che direttamente ancorato al ME, in un rapporto di posteriorit. Il futuro, oltre ad avere un valore propriamente temporale di posteriorit, pu assumere sfumature modali: - dubitativo (piover domani?) - concessivo (sarai pi bravo di lui ma lui pi fortunato) - ingiuntivo (gli chiederai scusa per quello che hai fatto) - deontico (i padroni di cani senza museruola pagheranno multe...) - attenuativo (sar sincero con voi) Usi non deittici: - epistemico: si presuppone che MA=ME. Ci contraddice la richiesta posteriorit dellevento e serve a presentare levento contemporaneo in una forma incerta (a questora atterrer a Parigi). Futuro anteriore: localizza levento anteriormente rispetto a un MR che a sua volta gi situato nel futuro, ad esempio Quando verrai avr finito. Pu assumere, al pari del futuro semplice, un valore epistemico di supposizione, ad esempio Giovanni sar uscito, credo. 2.2.2 Modo Gli enunciati esprimono una serie di atteggiamenti del parlante nei confronti di quello che dice o degli eventi di cui sta parlando (cfr. I, 3.7) ed esprimono diversi rapporti comunicativi con chi ascolta: a) Arriva il treno (asserzione) b) La fortuna ti assista (augurio) c) Prendi il bicchiere (ordine)

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Lindicativo il modo per le asserzioni, per indicare la realt, presenta un fatto nella sua oggettivit. In realt lindicativo non serve solo per asserire ma presenta levento semplicemente come vero senza dire nulla circa latteggiamento del parlante nei suoi confronti. Per quanto riguarda le modalit non assertive i comandi vengono espressi generalmente con limperativo che si caratterizza normalmente per avere solo le seconde persone in quanto un comando si presuppone emesso dallemittente e rivolto ad un ricevente. Il congiuntivo ricopre una serie di funzioni che vanno dalla potenzialit allaugurio. Serve come imperativo formale o di cortesia (ad es. si accomodi). In italiano il congiuntivo serve come marca di dipendenza fra proposizioni (ad es. non sono sicuro che sia venuto). I modi diversi dallindicativo ed in particolare congiuntivo e condizionale nelle proposizioni dipendenti vedono attenuata la loro capacit di segnalare il tempo: Credo che esca; Credo che uscir, Credevo che uscisse, Credevo che sarebbe uscito. In questi casi i modi segnalano non la modalit ma il tempo relativo di un evento. Questo scambio di funzioni tra tempo e modo particolarmente interessante anche perch avviene anche al contrario: vi sono alcune forme che morfologicamente sono essenzialmente temporali che servono a marcare la modalit (ad es. saranno le tre, questo film lavrete visto tutti, andrai a destra e poi a sinistra). Condizionale: esprime lapodosi del periodo ipotetico; le richieste con valore attenuativo; il futuro nel passato: Se me lavessi detto, sarei venuto; Vorrei un chilo di pane Disse che sarebbe arrivato dopo unora. 2.1.3. Aspetto In italiano le distinzioni di aspetto sono espresse tramite la commutazione dei vari tempi verbali. Le varie forme temporali hanno quindi una doppia funzione: quella di localizzare gli eventi nel tempo e quella di segnalare uno specifico aspetto. Se riprendiamo l'opposizione tre i vari tempi del passato, ci accorgiamo che sono articolati secondo opposizioni di tipo aspettuale: Imperfettivo. Imperfetto: - eventi passati abituali (in quel periodo andavo a scuola a piedi) - durativi (mentre parlavamo si mise a piangere)
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Perfettivo. Passato prossimo: - messa a fuoco del risultato dell'evento (il bicchiere s' rotto) Passato remoto: - evento concluso indipendentemente dal risultato (parlammo del pi o del meno). 2.1.4 Azionalit Il significato lessicale dei verbi contribuisce anche a dare informazioni relative allaspetto (cfr. I, 3.6). In particolare questo tipo di distinzioni riguarda la categoria del verbo che stata definita aspetto lessicale o azionalit per tradurre il termine tedesco Aktionsart. Mentre le distinzioni propriamente aspettuali sono rese tramite luso di un tempo piuttosto che un altro, le distinzioni di tipo azionale derivano proprio dalla classe semantica a cui appartiene un particolare verbo. Il procedimento per cui i verbi assumono una diversa categoria azionale la derivazione attraverso affissi (es. la differenza tra dormire / addormentarsi). In italiano una differenza di aspetto lessicale quella che si registra tra: Giovanni dorme // Giovanni si addormenta Nel primo caso siamo davanti ad un processo gi iniziato e che dotato di una certa durata mentre nel secondo caso il verbo denota linizio del processo. Le differenza di tipo aspettuale si evincono anche dalla compatibilit con alcuni avverbiali ad esempio quelli durativi per cui possibile modificare il primo dei due enunciati con un avverbiale durativo come per tre ore ma non il secondo: Giovanni dorme per tre ore // * Giovanni si addormenta per tre ore. 2.1.5 Transitivit/Intransitivit La categoria della transitivit/intransitivit di un verbo riguarda la relazione tra quel verbo e gli altri costituenti della frase. Ogni verbo, infatti, esprime alcune relazioni tra levento che descrive e i partecipanti allevento. Si definisce VALENZA SINTATTICA di un verbo il numero di partecipanti presenti in una data frase. Si dicono ATTANTI i costituenti sostantivali obbligatori in quanto richiesti dal significato del verbo (cfr. I, 3.8.1). La relazione tra verbo e attanti una relazione di tipo semantico-strutturale ed una relazione fondamentale al punto che i vari verbi vengono distinti sulla base del numero teorico di attanti che essi reggono: a) I verbi avalenti sono quelli privi di attante (es. tipico verbi meteorologici piovere) e non sono accompagnati da alcun argomento.
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b) monovalenti sono accompagnati da un solo argomento che pu essere un nome o un gruppo nominale o una frase (Alfredo dorme // bisogna che Gianni parta); di solito sono verbi intransitivi. c) bivalenti, verbi accompagnati da due argomenti: uno dei quali sempre un nome mentre laltro pu essere anchesso un nome, un gruppo nominale o una frase (Mario mangia la mela // Mario crede che Lucia parta domani). Di solito i verbi bivalenti che reggono due sintagmi nominali sono verbi transitivi. Sono verbi che possono reggere anche un complemento oggetto. d) trivalenti: sono accompagnati da tre argomenti e sono tipicamente esemplificati dai verbi di dire e da quelli di dare (Luigi d un libro a Maria). I principali attanti sono: a) Agente: lautore effettivo di unazione; generalmente un elemento cosciente e animato es. Luca
AGENTE

ha rotto il vetro
OGGETTO

b) Esperiente: lentit che sperimenta lo stato espresso dal verbo Es. Luca piange
ESPERIENTE

c) Tema o Oggetto: lentit coinvolta nello stato o nel processo descritto d) Beneficiario // Scopo: lentit verso cui rivolta lazione es. Ho scritto una lettera a Lucia // Ho comprato il lievito per la torta
OGGETTO BENEFICIARIO OGGETTO SCOPO

Gli attanti del verbo nella struttura sintattica della frase assumono le funzioni grammaticali di soggetto, oggetto diretto e oggetto indiretto (cfr. I, 3.8.1). In questa prospettiva i verbi si classificano i due categorie: VERBI TRANSITIVI e VERBI NON TRANSITIVI. Un verbo transitivo quando possiede un argomento con la funzione di oggetto diretto ed non transitivo quando nessuno dei suoi argomenti un oggetto diretto. I verbi non transitivi a loro volta si suddividono in: a) INTRANSITIVI, che sono caratterizzati dallutilizzo dellausiliare avere (ad esempio camminare, russare, sorridere, funzionare); b) INACCUSATIVI (semplici e pronominali, in cui ricorre obbligatoriamente un clitico pronominale), che sono caratterizzati dallausiliare essere (ad esempio arrivare, arrossire, dispiacersi, arrabbiarsi , pentirsi). Uno stesso verbo pu essere: a) intransitivo e inaccusativo: Paolo ha corso per tre ore vs. Paolo corso a casa (nel primo caso c una durata nel tempo, nel secondo c azione proiettata verso termine specifico; b) transitivo e inaccusativo:
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Il missile ha affondato la nave / La nave affondata. I negozianti hanno aumentato i prezzi / I prezzi sono aumentati. In questi casi nelluso transitivo c un agente che causa unazione, nelluso inaccusativo loggetto diretto assume la funzione di soggetto e lagente non viene realizzato sintatticamente. c) inaccusativo semplice e pronominale: Gianni siede sotto un albero / Gianni si siede. Nel primo caso uno stato, nel secondo un cambiamento di stato. 2.1.6 La Diatesi In italiano la diatesi possiede tre valori: attivo/passivo/riflessivo. La diatesi esprime la relazione che il verbo instaura con i suoi attanti ed in particolare con lattante principale il soggetto: a) Ho preso il libro b) Il libro stato preso (da me) Nella diatesi attiva l'agente il soggetto. La diatesi attiva pu esprimere il significato: 1) agentivo: quando il soggetto compie effettivamente unazione: Giorgio mangia una mela; 2) causativo: quando il soggetto provoca un evento o una situazione: Mario ha spinto sua sorella; 3) medio: quando il soggetto coinvolto in un evento o in una situazione: Lucia arrossisce. Nella diatesi passiva il paziente promosso a soggetto e l'agente o viene omesso o espresso come complemento d'agente. Perch ci sia la diatesi passiva il verbo deve essere transitivo. Tra attivo e passivo esiste una precisa relazione sintattica: nella costruzione attiva il posto di soggetto occupato dallagente mentre nella costruzione passiva occupato dalloggetto. In italiano il passivo non si ottiene mediante flessioni specializzate bens combinando il verbo principale con alcune forme del verbo essere. In altre lingue il passivo grammaticalizzato perch si esprime mediante forme morfologicamente specializzate (lat. laudor). Il ruolo del passivo sembra quello di porre lagente in secondo piano e di dare rilievo allazione. Gli ausiliari del passivo sono anche venire, andare e rimanere. La scelta tra gli ausiliari segue criteri semantici: il passivo con essere e venire semanticamente neutro mentre quello con andare esprime la modalit della necessit:

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c) I rifiuti vanno messi negli appositi recipienti. Un altro modo di formare il passivo con luso della particella si con forme simili alla struttura attiva. In questa costruzione lagente omesso e loggetto svolge il ruolo di soggetto della frase perch concordato con il verbo: d) Si affittano appartamenti a studenti. I verbi RIFLESSIVI PROPRI: sono quelli in cui il soggetto e loggetto coincidono. Possono essere usati come riflessivi soltanto alcuni verbi transitivi. Loggetto del verbo riflessivo sempre costituito dai pronomi personali atoni (mi, ti, ci, si): es. mi lavo. Nella I e II persona i pronomi riflessivi sono morfologicamente identici agli altri pronomi oggetto, soltanto nella III persona c un pronome riflessivo morfologicamente distinto (pron. rifl. si, pron. ogg. Lo/la). Gli altri verbi riflessivi si classificano in: RIFLESSIVI APPARENTI (o transitivi pronominali): lazione verbale non si riflette direttamente sul soggetto ma si svolge comunque a suo beneficio nel suo interesse o per sua iniziativa. Si hanno quando le particelle pronominali atone non svolgono la funzione di complemento oggetto ma di complemento di termine mi lavo le mani. Si tratta si pronomi intensivi a cui litaliano ricorre in assenza di una diatesi media. RIFLESSIVI RECIPROCI: in particolari condizioni il verbo riflessivo pu esprimere una reciprocit dazione, un rapporto scambievole (odiarsi, abbracciarsi) INTRANSITIVI PRONOMINALI: sono verbi in cui il pronome atono non un riflessivo n diretto, indiretto o reciproco ma rappresenta un semplice componente del verbo obbligatorio. Mentre si pu avere ricordo e mi ricordo non si pu avere *pento e mi pento. Questi verbi si possono dividere in tre gruppi: a) verbi in cui luso del pronome clitico obbligatorio (accorgersi); b) verbi in cui luso dl pronome clitico facoltativo ma la sua presenza comporta una diversa costruzione e una differente sfumatura semantica accostare q.sa/accostarsi a q.sa; ricordare q.sa/ricordarsi di q.sa; sposare q.no/sposarsi (intr.); c) verbi che ammettono accanto alluso come intransitivi pronominale un impiego parallelo come transitivi con un cambiamento di prospettiva addormentarsi, alzarsi, annoiarsi.

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2.2. La reggenza La reggenza la relazione sintattica che si instaura tra il verbo e altri elementi della frase, diversi dal soggetto, che sono ad esso connessi e che partecipano allazione espressa dal verbo. Esiste, pertanto, un legame diretto tra valenza (numero degli attanti) e reggenza. I verbi transitivi si caratterizzano per avere una reggenza diretta, non preposizionale, che li lega al loro secondo (dopo il soggetto) argomento. Alcuni verbi possono cambiare numero di valenza e dunque tipologia di reggenza, presentandosi ora come transitivi ora come intransitivi. Ad esempio il verbo abitare intransitivo con significato di vivere, risiedere, alloggiare in un luogo o con qualcuno quindi seguito da complemento introdotto da preposizione abitare in citt, abitare in una piccola casa, abitare al mare, abitare davanti al parco, abitare con i figli; pu reggere un complemento diretto e quindi essere transitivo nellaccezione di avere un luogo come propria sede o dimora quindi abitare la casa dei genitori, questi animali abitano le zone desertiche. Mentre nel caso dellaccordo un elemento della frase che testa del sintagma attiva lo stesso insieme di informazioni nel morfema grammaticale dei costituenti della frase che modifica, nel caso della reggenza il verbo richiede che i partecipanti allazione assumano una forma particolare, se le lingue hanno un sistema di casi, altrimenti che siano introdotti da preposizioni come in italiano, ad esempio: fidarsi di qualcuno / avere fiducia in qualcuno.

Riferimenti bibliografici ANDORNO C. 1999. Dalla grammatica alla linguistica. Torino: Paravia. BENVENISTE, E. 1966 [1971]. Problmes de linguistique gnrale. Paris: Gallimard (trad. it. Problemi di linguistica generale. Milano: Il Saggiatore). BERTINETTO, P. M. 1991. Il verbo. In: L. Renzi - G. Salvi - A. Cardinaletti. Grande grammatica italiana di consultazione, Vol. 1, pp. 13- 161. Bologna: Il Mulino. GRAFFI, G. SCALISE, S. 2002. Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica. Bologna: Il Mulino. DARDANO M. TRIFONE P. 1997. La nuova grammatica della lingua italiana. Bologna: Zanichelli. JAKOBSON, R. 1966 [2002]. Saggi di linguistica generale. Milano: Feltrinelli. RENZI L. ELIA A. 1997. Per un vocabolario delle reggenze, in Lessico e gammatica. Teorie linguistiche e applicazioni lessicografiche, a cura di T. De Mauro e V. Lo Cascio. Atti del Convegno interannuale della Societ di Linguistica italiana (Madrid, 21-25 febbraio 1995) SLI 36, pp. 113-129. Roma: Bulzoni. SAUSSURE, F. DE 1916 [1992]. Cours de linguistique gnrale. Parigi: Payot (trad. it. Corso di linguistica generale, con introduzione, note e commento di Tullio De Mauro. Bari: Laterza, ottava edizione). SERIANNI L. 1989. Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Torino: Utet. SIMONE R. 1990. Fondamenti di linguistica. Roma-Bari: Laterza. WHORF , B. L. 1956. Language, Thought, and Reality. Cambridge, Mass.: MIT Press

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