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Attenti, c una parola nuova in orbita. Ha solo sei anni, gli stessi dellemergenza terrorismo.

stata lanciata quasi per caso nel marzo del 2002, a un incontro dellUnesco a Parigi. Oggi vola alta, indica una rotta luminosa in un caos di disastri, surriscaldamenti climatici, emergenze immondizie, epidemie. Il suo nome decrescita, e pare abbia un grande effetto pedagogico e liberatorio. Mobilita, diventa passepartout, propizia il contatto fra nuclei di resistenza, costruisce reti.Il suo scopo rallentare, offrire alternative credibili alla tirannia dello spreco. Il suo slogan: vivere con meno facile. Persino divertente. Nome Serge, cognome Latouche, nazionalit francese. Il profeta del nuovo verbo globale vive tra Parigi e una vecchia casa in pietra rimessa a posto con le sue mani sui Pirenei Orientali, sotto il Pic Canigou, lultimo paracarro prima del grande ammaraggio dei monti nel Mediterraneo. Si sposta rigorosamente in treno e spende molto del suo tempo in giro per lEuropa a organizzare le pattuglie disperse del consumo virtuoso. Affascina, racconta, scrive pamphlet, fustiga leconomia globalizzata e la sciagurata teologia del Pil. Insiste, soprattutto, sul lato conviviale di unausterit intelligente. Gi in treno, andando da lui, la diga si rompe. Appoggio un suo libro sul tavolinetto - titolo Come sopravvivere allo sviluppo - e i vicini di scompartimento si avvicinano, come attirati da una calamita. Pendolari trentenni, titolari di lavoro precario. Chiedono di dare unocchiata, leggono avidamente. Dentro c scritto che il collasso questione di trentanni. Diecimila giorni, roba da conto alla rovescia. Il petrolio si esaurisce, gli oceani si innalzano, centinaia di milioni di uomini dovranno spostarsi, il clima impazzisce, laria si avvelena, la sterilit maschile aumenta anno dopo anno. Tutto converge verso la stessa deadline, il 2030 o gi di l. I pendolari insistono, chiedono chi sia Latouche, vogliono sapere di lui, danno inizio a una discussione. Sono bastate poche righe di quel libro a svelare la paura sommersa pi diffusa degli italiani. Macch criminalit, dicono, ci parlano di zingari e rumeni per non farci riflettere seriamente su queste cose. Hanno mangiato la foglia, ma non si accontentano di un megafono di protesta. Cercano una guida, qualcuno capace di rassicurare e tirarli fuori dal vicolo cieco. Chiedono soprattutto parole di buon senso. esattamente ci che trovo quando incontro il mio uomo. Colui che ho di fronte, accanto a un piatto di stoccafisso e una bottiglia di Montepulciano dAbruzzo, lesatto contrario delleco-fanatico imbonitore di folle. Latouche un tipo semplice, tranquillo, asciutto, segaligno e robusto come un ramponiere. Il suo volto segnato da rughe, ha capelli grigio-ferro e locchio da aquilotto. arrivato zoppicando con un gran sorriso, appoggiato al lungo bastone che il suo emblema di viandante. Che vuole, cher ami, ho le ginocchia calcificate e le piante dei piedi consumate dal troppo camminare. Ma giusto cos, non mica giusto lasciare al buon Dio un fisico in perfetta efficienza. No?. Pensi che abbia formule da svelare: invece spiega che basta concentrarsi sullaqualit della vita. Dobbiamo liberare limmaginario, reso schiavo di un feticcio apportatore di sventure. La parola sviluppo. Basta dire ai politici che, rinunciando alla mistica della crescita, non perderanno elettori, al contrario. Far capire alla gente che, scegliendo la decrescita, non torneranno allet della pietra, ma solo a quarantanni fa. I poteri forti ci ricattano, tengono in ostaggio la nostra immaginazione. Ci dicono che con la decrescita scender su di noi la tristezza di uninfinita quaresima. Non vero niente. Invertire la corsa ai consumi la cosa pi allegra che ci sia. Questo del resto il tema del suo prossimo libro in uscita in Italia a met marzo per Boringhieri: sintitola Breve trattato sulla decrescita serena. Latouche ce lha a morte anche col terrorismo mentale degli ecologisti annunciatori di penitenza. Sorride sotto la barba: Ah, il masochismo protestante, il senso del dovere, i dieci comandamenti Ma no! La sola regola la gioia di vivere. Quarantanni fa, si diceva. Il disastro cominciato allora. l che si scatenata la corsa allo spreco. In quarantanni il nostro impatto negativo sulla biosfera triplicato, e non smette di crescere. Sembra impossibile, no? In fondo, non mangiamo il triplo, non facciamo il triplo di viaggi, non usiamo il triplo di vestiti Come si spiegano questi numeri da apocalisse? Semplice. Nella nostra vita ha fatto irruzione lUsa e Getta, lobsolescenza programmata dei beni. Una follia. Il trenta per cento della carne dei supermercati va direttamente nella spazzatura Unauto vecchia dopo tre anni, un computer peggio ancora E se non li cambi sei out Viviamo di acque minerali che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici demenziali, con lAndalusia che mangia pomodori olandesi e lOlanda che mangia pomodori andalusi

E che dire delle bistecche, che quarantanni fa avevano il sapore dei pascoli. Oggi sono gonfie di mangimi alla soia, coltivata a migliaia di chilometri di distanza, in campi ricavati dai disboscamenti dellAmazzonia. Una volta ero un divoratore di carne. Oggi la mangio col contagocce. Ma non per negarmi qualcosa. Lo faccio per divertirmi a scoprire le nuove frontiere del mangiare. Il mio amico Carlo Petrinidice che un gastronomo non ecologista un imbecille, e un ecologista non gastronomo una persona triste. Ci pensi: verissimo. Per i rifiuti la regola base del benessere non cambia. Inutile fare come i tedeschi, per i quali la raccolta differenziata diventata ossessione. Basta comprare diversamente, vivendo in modo conviviale. Non c inceneritore che tenga Il miglior rifiuto quello non prodotto E attenzione, lo dico agli amici italiani, lassedio da immondizie non una questione napoletana. una questione mondiale, il libro di Saviano lo dice chiaro. Gli Stati Uniti mandano in Nigeria ottocento navi al mese di rifiuti tossici non riciclabili. Affrontiamo in letizia lo stocco, il pane e il vino, e il discorso di Latouche come una litania francescana che ti obbliga a sillabare senza paura labc della rinuncia. Le e-mail, per esempio. Scrivo spesso lettere a mano, ma non per tornare alla candela e alla pergamena. Lo faccio per il semplice piacere di dimostrare a me stesso che posso camminare senza le protesi artificiali imposte dal sistema, in modo atossico. Intendo la posta elettronica, e tutto il resto. La mia una forma di allenamento al digiuno dalla tecnologia. Un tecnodigiuno. E poi la bici. Non la uso perch si deve, ma solo perch bello. Se nella mia casa in montagna pedalo chilometri ogni mattina per procurarmi i croissant per la colazione, significa che mi fa vivere meglio, punto e basta. Incontro persone, parlo, imparo, e la giornata comincia col piede giusto. Ivan Illich, grande fustigatore dello spreco, diceva che questo mondo ad alto consumo di energia , inevitabilmente, un mondo a bassa comunicazione fra uomini. Ecco, la bici il simbolo del contrario. Una vita a bassa energia genera alta comunicazione. Non parliamo dei telefonini. Potrei dire che fanno male, che per costruirli si usa un minerale rarissimo e altamente tossico; o che dietro a ogni cellulare c il sangue delle guerre tribali fomentate dallOccidente in posti come il Congo. Invece dico solo questo: senza telefonini si vive meglio. Lansia cala. Lallegria aumenta. Non hai pi il Grande Fratello che ti sorveglia. Uno lo capisce anche senza sapere niente di economia e scomodare la geopolitica. Sviluppo: limbroglio contenuto gi nella parola. Nasconde lo sfruttamento e la rapina; lo sradicamento in massa di individui, la morte delle diversit, levidenza di unumanit apatica, infelice, obesa, precaria, insicura e, a ben guardare, anche pi povera. Lidea di sviluppo resiste ostinatamente allevidenza del suo fallimento. Per questo ha smesso da tempo di essere una cosa scientifica. diventato mistica, mitologia, religione. Un feticcio imbroglione che anestetizza le sue vittime. Il vero oppio dei popoli. Ci dicono che per uscire dalla crisi economica dobbiamo lavorare di pi. Diventare cinesi. Che la Cina vada al disastro e affoghi nellinquinamento, sono obiezioni irrilevanti. Si va avanti lo stesso. da questa cecit che dobbiamo liberarci, dice il francese. S, ma allora qual il modello giusto? Anni fa ho incontrato un contadino laotiano. Stava seduto sul bordo di un campo e non faceva nulla. Gli ho chiesto: che fai? Ha risposto: ascolto il riso che cresce. Jcoute le riz pousser. Ritroviamo il piacere della vita, prima dellansia di fare. cos ovvio: una societ che ha come solo scopo lo sviluppo economico come un individuo che vuole solo essere obeso. Eppure la gente ha lo stesso paura di cambiare, teme di perdere il benessere. Qui gli allarmi degli ultimi decenni, cose come Chernobyl o lepidemia di mucca pazza, sono stati utilissimi. Hanno posto interrogativi alla gente. Fanno il gioco del partito della decrescita. Per questo, pi che immaginare La Grande Catastrofe Finale, preferisco costruire una pedagogia delle piccole catastrofi intermedie. Non c niente di meglio per far capire alla gente lapocalisse che verr. E la lentezza? La guerra della Valsusa contro la linea ferroviaria ad alta velocit sacrosanta ed stata un pilastro nella storia del partito della decrescita. Era il dicembre del 2005, trentamila persone si erano schierate sotto la neve contro i bulldozer e io ero in tv, a LInfedele di Lerner, a commentare in diretta. Ecco, proprio allora si creata la saldatura tra quella battaglia concreta e la teoria della decrescita. l che i

movimenti sono usciti dalla foresta e hanno cominciato a saldarsi tra loro. Quello anti-Tav, quello contro il megaponte di Messina o la centrale di Civitavecchia. Latouche ne certo: i poteri forti temono la pubblica opinione. Per questo ci tengono alloscuro. NellUnione Europea hanno bloccato tutti i referendum sulle grandi opere e gli ogm, perch sanno benissimo che la gente voterebbe contro, come successo in Svizzera. Jos Bov ha dovuto fare lo sciopero della fame perch il governo francese, per timore di reazioni popolari, mantenesse la promessa moratoria sugli organismi geneticamente modificati. Se un politico andasse in tv e dicesse: signori, stiamo viaggiando su un treno senza conducente, da domani dobbiamo cambiar vita Se quel politico desse nuove regole di comportamento virtuoso alla nazione, non ho dubbi che sarebbe ucciso nel giro di una settimana. un segno di paura. Per questo leconomia globale accelera invece di rallentare. Per questo le immondizie diventano montagne, il fossato fra ricchi e poveri si allarga, le banlieues si incendiano. Per questo la corsa alle ultime risorse diventa rapina, guerra, e il sistema entra nel tunnel dellassurdo. Assurdistan lo chiamava Illich. E poich paura e consumi aumentano in parallelo, ecco che la costruzione di un partito della decrescita diventa una gara di velocit, una corsa contro il tempo. Quarantanni fa sono andato a lavorare in Africa come esperto di sviluppo. Volevo redimere il continente dalla sua arretratezza. Ma ero anche affascinato dai popoli africani. Studiavo appassionatamente quelle stesse culture che con leconomia contribuivo a distruggere. stato l che la contraddizione mi apparsa chiara. Ed stato l che ho perso la fede. Da allora ho combattuto, sentendomi un predicatore nel deserto. Oggi, per la prima volta, vedo che le cose stanno cambiando. I nuclei a economia sostenibile si moltiplicano. Nelle citt conosco interi palazzi che si organizzano in modo ecosostenibile. Lo sento, ce la faremo. Porto sempre con me questo piccolo libretto rosso, che del pi grande teorico di tutti i tempi: Woody Allen. Woody Allen in un suo aforisma dice: "Lumanit si trova oggi ad un bivio. Una via conduce alla disperazione, laltra allestinzione totale. Speriamo di avere la saggezza di scegliere bene". Le due strade che abbiamo oggi sono: crescita con crescita e crescita senza crescita. Il concetto di crescita trae le sue origini dalla teoria che il mondo economico sia come un organismo; un organismo si trasforma, si modifica (dal seme nascer un albero) attraversando una fase di sviluppo; un organismo cresce. La realt dei fatti che un organismo in natura nasce, cresce, si riproduce e muore, mentre "lorganismo economico" vorrebbe crescere allinfinito, cosa che porta inevitabilmente alla catastrofe. Leconomia non si sviluppa in un mondo geometrico, ma reale, motivo per cui impossibile credere a una crescita infinita se il mondo ha risorse finite. Dal 1700 in poi, passando per Adam Smith ed il suo sogno utopistico si creduto a quello che viene chiamato "effetto di diffusione" secondo il quale grazie alla crescita continua, i ricchi sarebbero diventati pi ricchi ed i poveri meno poveri. Grazie allinvenzione delle macchine e alla sovrapproduzione si sosteneva che anche i poveri (occidentali) avrebbero potuto comprare di pi, teoria che a lungo andare causa il sottoconsumo, che a sua volta fondamento delle crisi decennali ripetute. E nel secondo dopoguerra che si crede di aver trovato la soluzione nella societ dei consumi: si creano le condizioni di una societ infelice ed insoddisfatta in modo da poter creare il desiderio di ci che si vuole pubblicizzare. E una societ killer, in cui anche i disoccupati, grazie allinfernale macchina del credito, si trovano a spendere soldi che non hanno. E la societ attuale, in cui tutto si compra e si butta, senza avere il minimo pensiero del "riparare". Si buttano

materiali che contengono metalli preziosi, come i cellulari, gli stessi metalli preziosi per cui vengono fatte guerre, come in Congo, ad esempio. Ogni mese 800 camion partono dagli Usa stipati di computer buttati via, per scaricarli in Nigeria, dove inquinano le falde acquifere o, al minimo, occupano lo spazio dove i bambini giocano. Grazie a questo tipo di impostazione di societ ogni giorno scompaiono dalle 50 alle 200 specie viventi: alcune scompaiono ancora prima di essere scoperte. Si tratta, di solito, di batteri, ma alle volte si parla anche di specie pi conosciute come le api. Luomo pu essere una di queste specie. Dal 2007 abbiamo imboccato la via della crescita senza crescita, una sorta di societ lavorativa senza lavoro, piena di disoccupazione e priva di risorse. Una situazione che pu essere gestita per lungo termine solo da un potere dittatoriale molto forte, che non debba giustificare il perch i ricchi vanno a giro con il Suv mentre molte persone vivono in povert. Esistono piani che parlano di cancellare nove decimi della popolazione mondiale, al fine di asservire il decimo del rimanente, in una parola: ecofascismo. E non sono teorie cos lontane, basti pensare alla continua e sempre pi imponente militarizzazione delle nostre civilt. Tra le due strade grandi che luomo pu percorrere c un piccolo sentiero, una strada di speranza, quella della decrescita. "Decrescita" di per s uno slogan provocatorio, per fare pubblicit a un movimento di idee nel periodo pi intriso di studio della comunicazione che luomo abbia affrontato. Con il termine decrescita non si parla di far decrescere, ma di mostrare lamoralit della crescita. Allo stesso tempo sono molte le cose che devono crescere: la gioia di vivere, la qualit dellacqua, la qualit dellaria... Se si volesse essere esatti dovremmo forse parlare di a-crescita, ovvero di ateismo della crescita, di totale mancanza di fede nelleconomia come religione. (continua...)

La religione delleconomia e lateo Latouche


Chi avrebbe il coraggio di esaltare le virt della decrescita davanti agli operai di Termini Imerese? Non un caso se lambientalismo pi radicale ha successo nei ceti professionali medioalti; mentre le forze politiche legate a una visione produttivista la Lega Nord in Italia o il Tea Party Movement della destra populista in America fanno breccia in quel che resta della classe operaia.

Fermare lo sviluppo diventa uno slogan quasi irreale quando lo sviluppo comunque non c pi,
nellEuropa di oggi stremata dalla disoccupazione. Daltra parte suona come un atteggiamento snobistico, da lite privilegiate, se viene brandito contro le aspirazioni di centinaia di milioni di cinesi e indiani: solo grazie alla continuazione del boom attuale in quellarea del mondo, potranno vedersi realizzate le loro aspettative di un tenore di vita appena decente. Eppure anche i fautori dello sviluppo-ad-ogni-costo ammutoliscono davanti agli scenari di una prolungata stagnazione. Neppure i leader pi demagogici in Occidente osano promettere che alla fine del tunnel tutto torner come prima.

Leconomista francese Serge Latouche da anni il pi autorevole critico dello sviluppo. Una delle sue opere di maggiore successo, uscita proprio mentre lOccidente sprofondava nella pi grave crisi degli ultimi settantanni, si intitolava Breve trattato sulla decrescita serena (Bollati Boringhieri, 2008). Il rischio che la decrescita si confonda con la recessione, tuttaltro che serena. Come conciliare la necessit di dare sbocchi professionali ai giovani, con un orizzonte di stagnazione, precariato, regresso del potere dacquisto? Per evitare questa impasse, Latouche suggerisce un cambio di terminologia nel suo nuovo saggio Linvenzione delleconomia (Bollati Boringhieri, in uscita oggi). A scanso di equivoci, parliamo di acrescita come si parla di ateismo. Perch proprio di questo si tratta, dice Latouche: Uscire dalla religione della crescita. Una religione che esige dalle masse dei credenti una fede cieca, assoluta, irrazionale. Lo si capisce da un test logico elementare. Come conciliare lidea di una crescita infinita, con le risorse naturali del pianeta che sono limitate? Latouche mette a nudo questo paradosso: con il tasso attuale di crescita della Cina (10% di aumento del Pil annuo, nei primi otto anni del XXI secolo), si ottiene una moltiplicazione di 736 volte in un secolo. Immaginiamo invece che la Repubblica Popolare si assesti su una velocit di sviluppo pi moderata, per esempio quel 3,5% annuo che fu la media europea negli anni della ricostruzione post-bellica: si avrebbe pur sempre una moltiplicazione di 31 volte in un secolo. Chi pu pensare che ci sia sul pianeta abbastanza petrolio, acqua da bere, ossigeno da respirare, per una Cina che produce e consuma trenta volte pi di adesso? La critica di Latouche va al cuore della scienza economica, che smonta e demistifica assegnandole una parabola storica ben precisa: da Aristotele a Adam Smith che la visione economica si codifica e conquista un ruolo centrale, dominante, infine totalitario, nella civilt occidentale (poi conquista via via tutte quelle altre zone del mondo che si sono modernizzate emulando i modelli dellOccidente). Il marxismo in questo senso una finta alternativa, un rovesciamento fallito, la sua prospettiva rimane la stessa: il produttivismo, lidolatria dello sviluppo. Viviamo ancora scrive Latouche in piena apoteosi dellra economica. Viviamo lacme della onnimercificazione del mondo. Leconomia non solo si emancipata dalla politica e dalla morale, ma le ha letteralmente fagocitate. Occupa la totalit dello spazio. Il discorso pubblicitario, che invade tutto, diffonde la visione paneconomica e la spinge fino allassurdo: pretendendo di dare un senso alla vita, ne rivela la mancanza di senso. Pochi autori possono unire lerudizione e la profondit analitica di Latouche, insieme con la sua capacit di attaccare alle radici venti secoli di pensiero occidentale: in passato proprio Karl Marx, e tra i contemporanei Giovanni Arrighi, si sono cimentati con operazioni cos ambiziose. In questa sua ultima opera Latouche accetta anche qualche mediazione politica. Il suo orizzonte ultimo una Utopia da terzo millennio, una societ di abbondanza sulla base di quella che Ivan Illich chiamava la sussistenza moderna, una sorta di neofrugalit appagata. Per arrivarci, Latouche disposto a una transizione fatta di nuove regole e ibridazioni: In questo senso le proposte concrete degli altermondialisti, dei sostenitori delleconomia solidale e del paradigma del dono, possono ricevere un appoggio incondizionato. In fondo c posto in questa visione anche per il progetto di Nicolas Sarkozy: abbandonare la dittatura del Pil, fondando su altri parametri la misura del benessere sociale di una nazione.

VINCENZO R. SPAGNOLO Sviluppo sostenibile? Un inganno

Parla l'economista Serge Latouche, secondo cui il mito del progresso ci porter al collasso ambientale "Il concetto stesso di "sopportabilit" una pura mistificazione, visto che questo sistema di mercato ha sempre imposto di sfruttare le risorse naturali e umane per trarne il massimo profitto: neanche la morale e la cultura servono da freno" "Il boicottaggio ha prospettive limitate: bisogna progettare un modello alternativo. Prendiamo esempio dall'Africa, che non sinonimo del nulla"

"Lo sviluppo sostenibile? Una chimera. Siamo tutti a bordo di quella che lo studioso Bernard Hours ha chiamato "un'ambulanza mondiale", con le Ong e i vari movimenti umanitari in veste di soccorritori al capezzale dei Paesi poveri. E tutti insieme, infermieri e pazienti, corriamo dritti verso il precipizio, ossia la totale consumazione delle risorse naturali. Ci salveremo solo se sapremo scendere in tempo, abbandonando per sempre la macchina dello sviluppo". L'economista Serge Latouche sempre stato considerato un intellettuale "scomodo", fuori dai ranghi, e anche in questo inizio di secolo non rinuncia a fare da lucida Cassandra dei mali del pianeta. Docente di storia del pensiero economico all'universit di Paris XI, con una serie di pamphlet documentati con severo rigore scientifico (dal saggio del 1986 Faut-il refuser le dveloppement?, tradotto in Italia col titolo I profeti sconfessati, a L'occidentalizzazione del mondo e La megamacchina e Il pianeta dei naufraghi) ha denunciato per anni i gravi squilibri del modello di sviluppo occidentale, divenendo suo malgrado una specie di "guru" dell'economia alternativa. Oggi lo studioso francese non si ferma all'analisi degli errori del progresso ma indica nuove strade per una radicale inversione di rotta del rapporto dell'uomo con l'economia e l'ambiente.
Dunque, professor Latouche, lei sostiene che persino l'idea stessa di sviluppo in crisi.

"Senza dubbio. La crisi della teoria economica dello sviluppo, iniziata negli anni Ottanta, si ormai aggravata. Con la caduta del muro di Berlino, aziende e mercati avevano annunciato ufficialmente che il pianeta si era unificato. Poi, l'avvento della globalizzazione ha mandato in frantumi il quadro statale delle regolamentazioni, permettendo alle disuguaglianze di svilupparsi senza limiti e segnando la comparsa del cosiddetto "trickle down effect", ossia la distribuzione della crescita economica al Nord e delle sue briciole al Sud. Dal 1950, la ricchezza del pianeta aumentata sei volte, eppure il reddito medio degli abitanti di oltre 100 Paesi del mondo in piena regressione e cos la loro speranza di vita. Si sono allargati a dismisura gli abissi di sperequazione: le tre persone pi ricche del mondo possiedono una fortuna superiore alla somma del prodotto interno lordo dei 48 Paesi pi poveri del globo. In simili condizioni, lei comprende che non pi di attualit lo sviluppo, ma solo piccoli aggiustamenti strutturali. Che passano sotto il nome di "sostenibilit" e sono invece una spaventosa mistificazione".
Perch, professore?

"Perch tutte le varie espressioni "sviluppo sostenibile", "vivibile" o "sopportabile" sono solenni imposture: negli ultimi due secoli, lo sviluppo sempre stato contrario all'idea di sostenibilit, poich ha cinicamente imposto di sfruttare risorse naturali e umane per trarne il massimo profitto. Oggi il vecchio concetto stato rivestito con

una patina d'ecologia, che tranquillizza l'Occidente e nasconde la lenta agonia del pianeta. Lo sviluppo cambia pelle, insomma, ma resta se stesso. In Africa, in nome dello sviluppo, i fedeli musulmani della localit di Kulkinka, nel Burkina Faso, hanno deciso che alleveranno maiali. Niente proibito, se porta lo sviluppo. E non serve da freno la morale, n la cultura. Il "pensiero unico" del mercato annulla perfino le identit nazionali: desideriamo gli stessi beni e quindi siamo tutti uguali. Senza contare i danni che il progresso tecnologico causa all'intero pianeta. La concorrenza e il libero mercato hanno effetti disastrosi sull'ambiente: niente limita pi il saccheggio delle risorse naturali, la cui gratuit spesso permette di abbassare i costi".
Un quadro davvero sconfortante, professor Latouche. Non teme le accuse di catastrofismo?

"No, perch quello che dico sotto gli occhi di tutti: la concorrenza esacerbata spinge i Paesi del Nord a manipolare la natura con le nuove tecnologie e quelli del Sud ad esaurire le risorse non rinnovabili. In agricoltura, l'uso intensivo di pesticidi e irrigazione sistematica e il ricorso a organismi geneticamente modificati hanno avuto come conseguenze la desertificazione, la diffusione di parassiti, il rischio di epidemie catastrofiche. Il collasso del pianeta si avvicina, insomma, ma invece di lavorare a un'alternativa che eviti la fine delle risorse naturali, si continua a ragionare su correttivi pi o meno efficaci, sulla "sostenibilit" appunto. Ma cos si confonde il morbo con la cura"".
Qual la cura, allora, a suo parere?

"C' un vecchio proverbio che suona pi o meno cos: "se hai un martello conficcato in testa, tutti i tuoi problemi avranno la forma di chiodi". Dobbiamo levarci dalla testa il martello dell'economia, decolonizzare il nostro immaginario dai miti del progresso, della scienza e della tecnica. Far tramontare l'onnipotenza dell'"assolutismo razionale" che crede di poter assoggettare ogni cosa al suo volere e sostituirlo col "ragionevole", che si adegua alle mutate condizioni della natura. Questo il primo sforzo a livello concettuale. Concretamente, poi, bisogna proseguire nell'opera di contrasto della "megamacchina" dello sviluppo".
E come? Con lo strumento del boicottaggio?

"Ho poche speranze sul successo finale delle pratiche di boicottaggio delle multinazionali. Anche se hanno dato frutti di recente, come nei casi della Shell in Germania e della Del Monte in Kenya, non hanno verdi prospettive: i grandi gruppi economici stanno infatti reagendo rapidamente, formando cartelli in settori vitali come quello farmaceutico, agro-alimentare o delle comunicazioni per impedire ai consumatori qualsiasi alternativa. Io stesso, nelle scorse settimane, volevo boicottare il gruppo Total-Fina, proprietario della petroliera Erika che ha causato il disastro delle maree nere sulle spiagge della Bretagna, e mi sono ritrovato impotente in autostrada a dover fare benzina ai loro distributori, perch erano gli unici nel raggio di migliaia di chilometri. Insomma giusto far diventare, come scrive l'economista italiano Antonio Perna, un "bisogno" la scelta etica del consumatore, ma non basta. necessario, aggiungo io, affiancare alla guerra di trincea il concetto di "nicchia", un luogo cio

dove progettare una seria alternativa da estendere poi a grandi settori della societ. Io studio da anni certe economie cosiddette "informali", che sono in realt veri e propri laboratori del dopo-sviluppo".
Si riferisce al tipo di societ basata sulle relazioni interpersonali descritta nel suo libro L'altra Africa?

"Esattamente. Anche se, di fronte alla evidenza dei successi di certi "imprenditori a piedi scalzi", gli occidentali continuano scioccamente a pensare a quella africana come a un'accozzaglia di "straccioni" che sopravvive in attesa di accedere alla terra promessa della modernit, dell'economia ufficiale e del vero sviluppo. In realt le migliaia di piccole imprese e il colorato insieme di mestieri (dalle intrecciatrici di strada ai bana-bana, commercianti ambulanti che vendono alle donne senza frigorifero olio "sfuso" o sacchetti di latte in polvere) non possono essere etichettati semplicemente come "naufraghi dello sviluppo". Essi sopravvivono perch hanno prodotto un tipo di societ basata non sui rapporti economici ma sul valore delle relazioni sociali e sulla logica del dono. Intendiamoci, parlo di una societ non assolutamente affrancata dal mercato ma che, comunque, non obbedisce supinamente alla logica mercantile. In questo tipo di societ, che io chiamo vernacolare, ciascuno investe molto nei legami interpersonali, d in prestito denaro, beni materiali e perfino tempo o lavoro. Lo fa senza pensare a un tornaconto immediato, perch reputa importante crearsi un gran numero di "cassetti", per usare un espressione della periferia di Dakar, cio di persone debitrici a cui attingere in caso di bisogno. Un po' come le esperienze che noi occidentali stiamo riscoprendo e che vanno sotto il nome di "banca del tempo" o "local exchange trade systems" (sistemi di scambio locale)".
Ci sono segnali di speranza quindi?

"Oltre alla presenza di nuovi modelli di societ, mi conforta che le coscienze di alcuni Paesi si stiano lentamente risvegliando. Lo mostrano ad esempio i recenti fatti di Seattle. Il gigantesco baraccone del "Millennium Round" messo su dalla World Trade Organization non crollato solo per le forti proteste di piazza delle organizzazioni non governative. fallito, ed ci che pi conta, anche per il dissenso dall'interno dei rappresentanti di molti Paesi in via di sviluppo, alzatisi dai tavoli delle trattative perch indignati dall'incredibile arroganza delle nazioni occidentali".
Secondo molti commentatori, anche gli attacchi lanciati nei giorni scorsi dagli hackers ai grandi siti web commerciali come Amazon o Yahoo! potrebbero essere una forma di protesta contro la globalizzazione e i suoi nuovi strumenti, come Internet appunto. Qual il suo giudizio su questo tipo di protesta?

"Credo che il pensiero unico del mercato sia da sempre onnivoro e tenda a occupare ogni possibile spazio. Ha fatto cos anche con Internet, nata per le comunicazioni in ambito militare e fra gli studiosi e ora, per una di quelle finte della storia di cui parlava Hegel, trasformatasi nel pi potente veicolo delle merci sul pianeta. Per i fatti di questi giorni dimostrano come la Rete sia ancora un luogo con ampi spazi di libert. D'altronde, neanche le proteste di Seattle sarebbero state possibili senza il coordinamento fra associazioni e Ong di tutto il mondo, iniziato anni fa proprio su Internet".

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