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Francesco Lamendola

Terza considerazione inattuale: ritrovare le ragioni dell'armonia familiare


Abbiamo, in precedenza, sostenuto che la famiglia si sta sfasciando sotto i nostri occhi (nell'articolo Gli effetti morali dell'industrializzazione sono all'origine della crisi della famiglia moderna, sempre sul sito di Arianna Editrice). Ricapitoliamo brevissimamente i punti salienti dell'analisi da noi svolta in quella sede. Primo, la crisi dell'istituzione familiare covava da tempo, anche se solo da alcuni anni la crisi esplosa in maniera visibile ed evidente. Secondo: la famiglia si sta letteralmente disintegrando, tanto che essa sopravvive quasi soltanto negli spot della pubblicit televisiva, affinch le industrie possano reclamizzare un nuovo tipo di biscotti, di marmellata o di bastoncini di pesce surgelato. Terzo: l dove ancora la famiglia resiste, sembra un fortino assediato dagli Indiani; e, quel che peggio, essa minacciata all'interno da ogni sorta di pericolo: con i prodotti della tecnologia televisione, computer, videogiochi -, a fare da bambinaie o da sostituto dei genitori. Quarto: le tensioni che covano all'interno del nucleo familiare sono sempre pi forti; le spinte centrifughe, sempre pi incontrollabili; il dialogo, ridotto quasi a zero; la collaborazione, la fiducia reciproca, degradati a mero utilitarismo. Bastano le prime difficolt per spingere i coniugi ad andare dall'avvocato; e poi, via, pronti entrambi a ricominciare e a rifarsi una nuova vita, come niente fosse. Quinto: coloro che pi soffrono delle tensioni familiari e della progressiva disgregazione del nucleo familiare sono i bambini, sballottati come pacchi postali da un genitore all'altro e, spesso, sommersi di impegni, come tanti piccoli manager d'assalto: ma nessun impegno potr mai colmare la loro cronica carenza d'affetto. Sesto: in queste condizioni, i figli crescono fragili, nervosi, demotivati; s'imbrancano nella prima compagnia che capita loro a tiro, non appena raggiungono la pre-adolescenza; si sprofondano e cercano di intontirsi nel consumismo pi sfrenato, quasi per anestetizzare il dolore della ferita interiore. Settimo: se fare i genitori, oggi, enormemente pi difficile di qualche decennio fa, neppure i nonni sono pi delle presenze autorevoli ed efficaci; mancano, di conseguenza, le figure parentali che potrebbero colmare, almeno in parte, il vuoto affettivo e di valori, dovuto alla lontananza, fisica o spirituale, dei genitori. Ottavo: la scuola ha totalmente abdicato alla sua funziona educativa, limitandosi a una fredda e burocratica trasmissione di conoscenze, abilit e competenze (tanto che il vecchio "esame di maturit" stato sostituito dall'asettico ed efficientistico "esame di Stato"); e gli insegnati - salvo poche, lodevoli eccezioni - tutto hanno in mente, tranne che di contribuire alla crescita umana e morale dei giovani. Nono: sono pressoch scomparsi spazi verdi, luoghi sicuri dove i bambini possano giocare e divertirsi in modo sano; dove possano socializzare; dove possano sviluppare creativit e fantasia; dove possano elaborare una propria immagine del mondo, confrontandosi con la realt delle cose e non con la realt virtuale della televisione o del computer. Spesso, lasciati da soli all'aria aperta, i bambini si annoiano, non sanno che fare; non conoscono giochi, al di fuori di quelli elettronici o,

quanto meno, di quelli gi pronti e semi-automatici, come i trenini che corrono sui binari o le bambole che parlano, ridono e fanno pip. Decimo: la disgregazione della famiglia e della sua armonia interna hanno un inizio ben preciso: la rivoluzione industriale che ha investito la civilt occidentale, tra la fine del XVIII secolo e l'ultima met del XX, innescando la spirale perversa dei bisogni artificiali, affinch le fabbriche possano inondare il mercato di sempre nuovi prodotti; e spingendo ciascuno ad inseguire il miraggio inafferrabile di un benessere materiale che dia accesso, finalmente, alla sospirata felicit. Ora desideriamo approfondire quest'ultimo aspetto e, in particolare, prendere in esame le conseguenze che l'avvento della mentalit materialistica e consumistica ha avuto all'interno del tessuto familiare; e in che modo quest'ultima abbia potentemente contribuito ad eroderlo e a sfilacciarlo, sino a portarlo sull'orlo della dissoluzione. Per farlo, dobbiamo partire da lontano. chiaro che problemi, all'interno delle famiglie, ce ne sono sempre stati: mariti ubriaconi, madri nevrotiche, figli difficili e perfino molestie ed abusi sessuali, ce n'erano anche un tempo. Ma altrettanto vero che la famiglia estesa, grazie alla presenza di diverse figure parentali e di numerosi fratelli e sorelle, offriva maggiori possibilit di compensazione affettiva e di ricostituzione degli equilibri interni. Oltre a questo, c' un altro fatto importantissimo che bisogna tener presente: l'apparente semplificazione della vita quotidiana operata dalla tecnologia. Fino a due o tre generazioni fa, il lavoro fisico era tale da impegnare i membri di una famiglia, bambini compresi, praticamente a tempo pieno. Il lavoro nei campi, nell'orto, nella stalla, richiedeva cure continue; i figli pi grandicelli dovevano occuparsi dei fratellini e delle sorelline; finito il lavoro, c'erano gli abiti da rammendare, le scarpe da risuolare, gli attrezzi da riparare, e cos via. Non c'erano tempi morti, tranne la domenica mattina: il giorno della festa, dei vestiti buoni e delle funzioni religiose. E, poi, la sagra del santo patrono; e, nel corso dell'anno, poche altre festivit. Ma gli animali da governare, nella stalla, nel porcile e nel pollaio, dovevano mangiare anche la domenica, a Natale e Pasqua; le viti andavano potate, con il sole o con la pioggia; e qualcuno doveva ben portare il latte appena munto fino alla latteria pi vicina, festa o non festa che fosse. La tecnologia, frutto dell'energia mentale di chi inventa nuovi strumenti e dell'energia fossile che li traduce in lavoro utile, ha sostituito l'energia fisica del piede, del braccio e della mano. Le macchine lavorano per noi e ci fanno guadagnare tempo (almeno in apparenza). Nella famiglia mononucleare post-industriale, quindi, c' meno lavoro fisico da sbrigare, si fa meno fatica in senso stretto e ci si ritagliano margini considerevoli di tempo libero (o, almeno, questo quel che appare). Tutto questo, per, non si traduce in una maggiore serenit e armonia familiare; al contrario. Anche un cieco si pu accorgere del fatto che mai, come oggi, la famiglia stata squassata, dall'interno, da venti di tempesta. Perch, dunque? Secondo noi, ci dipende dal fatto che la tecnologia ci ha resi orgogliosi: orgogliosi di noi stessi. Ci ha abituati - insieme ad altri fattori - a considerarci autosufficienti, nel senso pi pregnante e specifico della parola. Ci ha insegnato a vedere noi stessi come degli dei: ciascuno si sente un po' il Dio di se stesso. Grazie agli strumenti della tecnica, noi abbiamo assimilato l'intima convinzione che tutto ci possibile, o che lo diverr, in un futuro abbastanza vicino; che riusciremo a risolvere qualunque problema, a superare qualsiasi ostacolo: in una parola, che siamo diventati, o che stiamo per diventare, onnipotenti. Questo delirio di onnipotenza si traduce in una visione del mondo basata non pi sul senso del dovere e sulla necessit della collaborazione reciproca - a cominciare, appunto, dall'interno delle famiglie -, ma, al contrario, in una orgogliosa e smodata rivendicazione di autonomia, di indipendenza, anzi, di libert assoluta. Non accettiamo l'idea del limite: che ci siano dei limiti ai nostri diritti, a quel che possiamo fare, alla nostra ricerca esasperata di auto-realizzazione. Abbiamo costruito questo clima spirituale e i nostri figli, respirandolo fin dalla pi tenera et, se ne sono ubriacati e ne sono impazziti.
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Ragazzini di undici o dodici anni, hanno sempre la bocca piena di "io voglio": esigono tutto, pretendono tutto, rifiutano ogni responsabilit e ogni dovere. L' altro visto solo come un limite al dispiegamento della propria libert assoluta e incondizionata; o, al massimo, come un mezzo per realizzarla. Altrimenti, non che un ostacolo da abbattere, un inciampo sulla strada della nostra felicit. Come diceva Sartre, cattivo maestro per eccellenza della post-modernit: l'inferno sono gli altri. Da questa pretesa di costruire e realizzare il proprio ego, senza gli altri e a dispetto degli altri; da questa inimicizia, implicita ma estremamente reale, nei confronti di tutto e di tutti; da questa folle ubriacatura di edonismo, che sfocia in una altrettanto folle ubriacatura di nichilismo, vengono travolte le famiglie al giorno d'oggi. Intanto gli idoli della musica giovanile esaltano, nelle loro canzoni, una libert sfrenata e delirante, imprecano al mondo degli adulti e dei genitori, rivendicano la bellezza della droga e magnificano il gesto "liberatorio" del suicidio: applauditi ed osannati da folle strabocchevoli di teen agers in visibilio. Questo il mondo che abbiamo costruito, e questi sono i risultati. Tempo due o tre generazioni e, continuando per questa via, non ci saranno pi famiglie, non ci sar pi societ organizzata, non ci sar futuro. Ci distruggeremo con le nostre stessi mani, pagando e idolatrando i nostri carnefici. Per questo, necessario reagire. Ogni silenzio, ogni indulgenza, ogni ambiguit sarebbero colpevoli: non c' pi tempo da perdere. Dobbiamo correre ai ripari, prima che sia troppo tardi. Primo, dobbiamo fischiare e cacciare a pomodori marci tutti i cattivi maestri. Secondo, dobbiamo smetterla di crederci Dio e recuperare, se non la fede (che un dono, e non dipende da noi), almeno il senso del limite e il senso del mistero. Terzo, dobbiamo riscoprire la gioia della fatica, del sacrificio, del lavoro manuale: fosse anche semplicemente del fatto di andare a fare la spesa a piedi o in bicicletta, e non sempre e solo col macchinone; o di rilegare un libro con le nostre mani; o di portare i bambini a vedere le anatre sul fiume dietro casa (almeno chi lo pu), invece di regalare loro l'ultimo videogame giapponese. Quarto, dobbiamo dare il buon esempio delle cose fatte con cura, con amore, con passione: a cominciare dal nostro lavoro. Non dobbiamo far vedere che facciamo le cose di malavoglia e sgraziatamente, pensando solo al guadagno. Quinto, dobbiamo ristabilire un dialogo con i nostri figli, costi quel che costi. Sar difficile, all'inizio, perch non ci siamo pi abituati e perch loro, ormai, tendono a vedere ogni nostra mossa come una intrusone nella loro sfera privata, come un attentato alla loro sacrosanta libert. Perci, sulle prime, la loro reazione sar di diffidenza, di aggressivit e di rifiuto. Sesto, dobbiamo mostrare ai nostri figli che nulla, per noi, pi prezioso di loro: ma senza smancerie e senza esagerazioni. Sobriamente, con dignit e discrezione; ma con la forza silenziosa della costanza e della coerenza, che non hanno bisogno di tante parole per comunicare. Settimo, dobbiamo recuperare il senso della collaborazione reciproca, nella famiglia e fuori di essa; il senso del bisogno che ciascun essere umano ha dell'altro, necessariamente; dobbiamo reimparare a fidarci del nostro prossimo, e non delle macchine. Ottavo, dobbiamo avere l'umilt di non fidarci, orgogliosamente, delle nostre sole forze, e neanche soltanto di coloro che ci sono pi vicini; riconoscere che noi, da soli, possiamo fare ben poco; che esiste una forza potente e benefica, una forza cosmica, che i credenti chiamano grazia, ma che si pu chiamare anche in altro modo, che ci aiuta e ci soccorre l dove il cammino pi erto e difficile, dove le pietre si fanno pi affilate e taglienti. In quella forza dobbiamo riporre la nostra fiducia; e, per far questo, dobbiamo reimparare a chiedere. Nono (e lo abbiamo gi detto, nella Prima considerazione inattuale), dobbiamo riscoprire il giusto concetto di aristocrazia, ossia la necessit di affidarci, in ogni circostanza, a chi in grado di

gestirla nel modo migliore: non in senso puramente tecnico, ma nel senso umano pi ampio e comprensivo. Decimo (e, anche questo, lo abbiamo gi detto, nella Seconda inattuale), dobbiamo restaurare il valore della virilit e della femminilit, come categorie esistenziali complementari e distinte, come polarit che hanno bisogno l'una dell'altra, appunto perch sono diverse l'una dall'altra. E poi, coraggio: la strada sar lunga e difficoltosa. A volte ci sembrer di non farcela; e, comunque, difficilmente vedremo germogliare le pianticelle che saremo riusciti a seminare. Altri le vedranno, non noi. Non importa. Dobbiamo ugualmente metterci in cammino; e, quando saremo pi stanchi e scoraggiati, qualcosa o qualcuno ci aiuter. Esiste, quella forza benefica universale, di cui dicevamo poc'anzi. Verr lei ad aiutarci: non come un deus ex machina che risolve, miracolosamente, le situazioni difficili; ma servendosi di altri esseri, di altre circostanze, di altri pensieri e sentimenti, che sentiremo avvicinarsi - fuori e dentro di noi - quando ne avremo pi bisogno.

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