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La rivista medica britannica The Lancet ha pubblicato un rapporto sconvolgente in cui si

dice che durante il colpo di stato ad Haiti, guidato dagli USA dopo la destituzione nel 2004
del presidente democraticamente eletto Jean Bertrand Aristide, 8.000 persone sono state
uccise e 35.000 donne e ragazze violentate. Tra i responsabili di queste azioni compaiono
la polizia haitiana, bande, e “peacekeeper” ONU.

Mentre la BBC ha mandato in onda dei reportage di


denuncia su nuovi episodi di violenza sessuale e abusi in
Liberia e ad Haiti da parte di forze ONU. Le accuse
chiamano in causa alcuni militari della MINUSTAH (United
Nations Stabilization Mission in Haiti), impiegati in missione
di “peace-keeping” nel piccolo stato caraibico. L'inchiesta
della BBC è partita all'interno di un programma che si
occupa di giovani sotto i 18 anni, “Generation Next”, in cui il
conduttore, Mike Williams, ha intervistato alcune ragazzine
ad Haiti: una ragazza di sedici anni ha riferito di essere
stata rapita e violentata, all'interno di una base navale delle
Nazioni Unite, da un militare brasiliano, quando aveva
quattordici anni. I genitori della giovane hanno denunciato il
fatto alle autorità dell'ONU presenti sul territorio, ma,
nonostante le evidenti prove mediche, il soldato in
questione è stato rimpatriato senza alcun provvedimento.
Un'altra bambina ha affermato di essere stata stuprata da
un peacekeeper a soli undici anni, e altri militari sono stati accusati di usufruire della
prostituzione locale (anche minorile).

Nel Burundi, dove l'ONU è presente con 5.188 caschi blu, diversi soldati sono stati
coinvolti in crimini legati alla prostituzione. Secondo Charles Mukasi, da sempre contrario
all'arrivo del convoglio ONU in Burundi, «il fatto più grave non è tanto che questi soldati
siano implicati in scandali sessuali, ma che siano venuti qui per proteggere la popolazione
dal genocidio e da altri crimini contro l'umanità». Dal 2004 ad oggi, l'ONU ha messo sotto
inchiesta ben 319 “operatori di pace” delle Nazioni Unite, accusati di abusi sessuali verso
le popolazioni che avrebbero dovuto proteggere: nel complesso, sono stati presi
provvedimenti disciplinari (tra cui licenziamenti e rimpatri forzati) contro 179 soldati,
poliziotti e civili.

Un rapporto ONU dedicato alla violenza contro le donne, stima che durante il genocidio
del Ruanda del 1994 siano state violentate tra le 250.000 e le
500.000 donne, mentre in Bosnia tra le 20.000 e le 50.000. Per le
milizie è un modo di umiliare il nemico, impedire che si riproduca -
nel caso le donne vengano anche ammazzate - o (in Africa)
diffondere il virus dell'AIDS. “Le violenze sessuali sono sempre
meno una conseguenza della guerra e sempre più un'arma
utilizzata a fini di terrore politico, di sradicamento di un gruppo, di
un disegno di genocidio e di una volontà di epurazione etnica”
(dall'introduzione a “Stupri di Guerra” di Karima Guenivet).

Karima Guenivet, una giornalista algerina esperta di diritto


umanitario, ha ricostruito in maniera approfondita la storia di quel
che è accaduto in tre regioni devastate dalla brutalità della violenza:
l'Algeria, il Rwanda, la Bosnia. In particolare, Karima documenta la
violenza contro le donne da parte dei militari, definendo lo stupro di guerra come un vero e
proprio crimine contro l'umanità.

Shocking Lancet Study: 8,000 Murders, 35,000 Rapes

UN Troops Face Child Abuse Claims 30 novembre 2006

STUPRI DI MASSA

«Come altri soldati di altri eserciti, anche gli americani si sono resi responsabili di stupri
durante la Seconda Guerra Mondiale. Le donne inglesi e francesi erano alleate, quelle
tedesche nemiche, ma tutte sono rimaste vittime, a migliaia, di quella esasperata violenza
sessuale che è lo stupro».

Anche J. Robert Lilly, professore di sociologia e di criminologia alla Northern Kentucky


University negli Stati Uniti e professore associato di sociologia e politica sociale
all'Università di Durham in Gran Bretagna, si è occupato della questione pubblicando il
saggio “Stupri di Guerra. Le violenze commesse dai soldati americani in Gran Bretagna,
Francia e Germania” (Mursia Editore).

Il volto oscuro e sconosciuto dei «liberatori» è stato rivelato da


documenti e testimonianze drammatiche conservati negli archivi dei
tribunali militari americani. Tra il 1942 e il 1945, circa 17.000 donne
di tutte le età, inglesi, francesi e tedesche, furono stuprate da
soldati americani. Cause, modalità e conseguenze di questo
agghiacciante fenomeno sono analizzate con rigore storico e
descritte con un linguaggio contenuto e privo di sensazionalismi. La
rilettura attenta degli atti dei processi e la voce dei testimoni
permettono di ricostruire la verità storica dello «stupro di guerra»,
vietato dalla Convenzione di Ginevra nel 1949 e riconosciuto come
crimine di guerra solo nel 1996.

Il libro di Lily colma un vuoto storico, affiancando agli stupri di


massa commessi dall’Armata Rossa ai danni delle popolazioni civili della Germania
Orientale (circa 2.000.000 di donne tra i 12 ed i 60 anni) le brutalità commesse dagli
americani di Eisenhower. In Germania gli stupri furono 11.000, in Francia 3.620 ed in Gran
Bretagna 2.420, senza contare quelli non denunciati. La furia bestiale che si abbattè sulle
campagne e sui villaggi italiani, specie al Sud, dopo lo sbarco alleato ad Anzio e l'avanzata
su Roma nella primavera del 1944, è ancora in parte sconosciuta, salvo che alle 60.000
donne, adolescenti e bambine, che ne furono le vittime. Il generale Juin, al termine della
battaglia di Cassino, diede ai suoi “goumiers” (da “goum”, reparto militare marocchino
arruolato nel medesimo villaggio e clan) carta bianca per due giorni, come premio della
vittoria che implicava il diritto di vita e di morte sulle popolazioni civili, il furto dei loro beni e
la violenza sulle donne.

D'altronde, era stato proprio questo l'incentivo che aveva convinto i marocchini a
combattere per i francesi, andando all'assalto delle posizioni nemiche alla testa dei reparti
alleati. Così, per due giorni e due notti, razziarono, violentarono, uccisero. Stuprarono
donne e bambine, dagli otto agli ottant’anni, obbligando padri e mariti ad assistervi. Le
violenze sessuali dei marocchini erano una specie di “promozione” che li elevava al rango
di “dominatori”, di padroni assoluti della vita degli sconfitti, privati della loro dignità più
intima, una testimonianza elementare di “possesso” che li ripagava dalla condizione di
paria colonizzati dai bianchi. I francesi lasciavano fare dicendo che era impossibile
governare i marocchini. Si finì per chiamare “marocchini” tutti i soldati africani che
stupravano le donne e quel marchio d'infamia restò loro appiccato per sempre.

È per questo che nell'immaginario popolare “marocchino” divenne sinonimo - e lo è


rimasto ancora oggi - di ferocia bestiale e di violentatore recidivo e abituale. Dopo la
“liberazione” di Roma, le truppe coloniali francesi, marocchini, algerini e senegalesi, si
sarebbero macchiate di atrocità e violenze sessuali anche in Toscana, nel Senese e
all'isola d'Elba. Dopo la caduta di Montecassino, su precisa autorizzazione del comando
francese, ebbero a disposizione le donne d'ogni età dei villaggi italiani conquistati. Una
indagine ministeriale posteriore accertò che le donne violentate raggiungevano
complessivamente la cifra di 60.000. La magistratura militare francese avviò 160
procedimenti giudiziari che riguardavano 360 individui. Il tribunale francese emise alcune
condanne a morte e ai lavori forzati. Una quindicina di marocchini erano stati colti sul fatto
e fucilati sul posto. In complesso, lo stato francese fu reticente e non riconobbe la vastità
dei casi denunciati dagli italiani.

Nelle piazze dei paesi ciociari, ad Ausonia e Esperia, sorgono le lapidi che ricordano le
vittime della violenza selvaggia dei “marocchi”, come li chiamano da quelle parti. Ma
nessuno ama parlarne. I testimoni, e insieme le vittime di quella tragedia, sono morti da
tempo. Da quelle violenze non nacquero figli. I marocchini erano affetti da gravi malattie
veneree che trasmisero alle donne e alle bambine violentate. Malattie che provocarono
interruzioni e aborti spontanei nella maggioranza dei casi. Solo pochi bambini meticci
sopravvissero e le madri li allevarono amorevolmente rinunciando a sposarsi. Ma
parecchie donne, specie le più giovani, non ressero alla vergogna e abbandonarono il
paese per trasferirsi in città dove sarebbe stato più facile dimenticare e farsi dimenticare.

Taken by Force: Rape and American GIs in Europe During World War II

THE RAPE OF NANKING

L'occupazione della città cinese di Nanchino, il 13 dicembre 1937, uno dei momenti
culminanti dell'invasione del territorio cinese da parte del Giappone, fu il momento più
tragico e violento del comportamento criminale giapponese. Le vittime furono da 260.000
a 350.000 (secondo altri calcoli, i morti furono circa 350.000 e le donne violentate tra
20.000 e 80.000). Tutte uccise brutalmente, con una crudeltà ed una ferocia inaudite:
decapitate dalle spade degli ufficiali giapponesi, sepolte vive, bruciate, bastonate, date in
pasto ai cani, con un sadismo degno dei peggiori assassini. Vi
furono, per esempio, gare tra ufficiali giapponesi a chi riusciva a
decapitare con la propria spada più persone nel minor tempo (e di
queste gare venivano anche pubblicate notizie e foto sui giornali
giapponesi dell'epoca); molti soldati spedirono alle proprie fidanzate
i teschi delle vittime, altri fotografavano le stragi o gli stupri per
averne un ricordo.

Le violenze furono decise in parte dai comandanti supremi (è una


pratica comune durante le guerre, per far sfogare alle proprie
milizie tutta la rabbia, l'oppressione, l'isteria, l'adrenalina,
accumulata durante le battaglie, ndr): leggittimati dai propri
superiori, i soldati si abbandonarono così alle peggiori efferatezze
contro la “razza inferiore” cinese. La vicenda è stata ricostruita da Iris Chang nel libro “Lo
Stupro di Nanchino. L'Olocausto Dimenticato della Seconda Guerra Mondiale” (Milano,
Corbaccio, 2000)

The Rape of Nanking (book) - Wikipedia

Lo stupro di Nanchino

STUPRI DI MASSA IN ALGERIA Repubblica 14 ottobre 2001

STUPRO ETNICO

Con lo stupro etnico, la violenza sessuale è stata impiegata come mezzo deliberato al
servizio di interessi strategici. Ad esempio, durante la guerra del Kosovo, sono state
violentate in Bosnia Erzegovina - e di conseguenza oltre un migliaio sono rimaste incinte -
20mila donne, in maggioranza musulmane. Numerosi stupri sono stati compiuti con la
deliberata intenzione di ingravidare le donne e tenerle prigioniere fino al parto “come forma
ulteriore di umiliazione”.

Il documentario “Calling the


Ghost: a Story about Rape, War
and Women”, girato dalla
giornalista sudafricana Mandy
Jacobson per la Women Make
Movies, descrive, per bocca
delle bambine protagoniste, il
ratto subito in un campo di
prigionia serbo (il responsabile,
tuttavia contumace, è stato poi
giudicato colpevole di crimini di
guerra). Sebbene il film sia
distribuito solo in circuiti
femminili di New York, è stato
utilizzato dal Tribunale Criminale Internazionale nel perseguire i responsabili di violenze
nelle crisi iugoslava e ruandese, tanto che, per la prima volta nella storia, un tribunale ha
potuto dichiarare il ratto delitto contro l'umanità.

Calling the Ghosts: A Story About Rape, War and Women

Genocidio e crimine di guerra commesso dalla milizia birmana contro le donne


appartenenti alla minoranza etnica Shan

Guerra in Bosnia: la violenza sulle donne

STUPRI UMANITARI

Una canzone d'addestramento, notissima, accompagnata da gesti sconci, dice: «Questo è


il mio fucile, questa è la mia pistola: uno è per uccidere e l'altra è per divertirsi».

Aveva 14 anni. Si chiamava Abeer. Significa “fragranza di fiori”. I soldati americani la


notarono ad un posto di blocco. Cominciarono a seguirla e infastidirla. Il 12 marzo, dopo
aver giocato a carte e mischiato il whisky ad una bibita energetica, e dopo aver provato
qualche tiro a golf, hanno indossato abiti neri civili ed hanno fatto irruzione nella casa di
Abeer, a Mahmoudiya, una città cinquanta miglia a sud di Baghdad. Hanno ucciso sua
madre, Fikhriya, suo padre Qassim, e la sorellina di cinque anni, Hadeel, con pallottole in
fronte. Poi, hanno “fatto i turni” per stuprare Abeer. Infine, l'hanno uccisa,. hanno inzuppato
i corpi di kerosene, e hanno dato loro fuoco per distruggere le prove. Dopodiché, se ne
sono andati ad arrostire ali di pollo sulla griglia.

Questi dettagli vengono dalla testimonianza giurata del soldato James P. Barker, uno degli
accusati assieme al sergente Paul Cortez, al soldato scelto Jesse Spielman, ed al soldato
scelto Bryan Howard; un quinto, il sergente Anthony Yribe, è accusato di non aver riportato
l'accaduto, ma non di avervi partecipato. Barker, che è sotto processo, potrebbe evitare la
pena di morte grazie all'ammissione di colpevolezza. 100 donne soldato americane hanno
dichiarato di essere state stuprate dai loro colleghi mentre prestavano servizio in Iraq.
L'ex-capitano di aviazione Reverendo Dorothy Mackey, stuprata all'interno dell'esercito
americano, è in contatto con molte donne sopravvissute a tale violenza. Mackey ha
spiegato come lo stupro delle donne da parte di soldati viene trattato come una
componente della paga dei soldati.

Che lo stupro sia una pratica diffusa tra i soldati degli eserciti in
guerra non è una novità. È ancor più grave che lo sia anche tra le
forze armate in missione di pace, che in teoria dovrebbero tutelare i
diritti umani. Secondo un rapporto ONU del 1999, a commettere
violenze sessuali sono anche funzionari civili inviati dalla stessa
ONU in zone di guerra. La relatrice del rapporto, Radhika
Coomaraswamy, ha riferito di abusi sessuali di “brutalità
inimmaginabile”, illustrando una mappa delle violenze che spazia
dai Balcani all'Africa Australe, dal Sud Est Asiatico all'America
latina. Tra gli episodi documentati ce n'è uno che riguarda il Kosovo
e risale al 1999 (ci sono anche i fatti addebitati ai militari italiani in
missione in Somalia negli anni tra il 1992 e il 1995).

Le violenze sessuali non sono peraltro l'unica forma di


violenza contro le donne di cui si sono macchiate le
“forze di pace” di stanza in varie aree del mondo. Agli
stupri si possono infatti aggiungere omicidi e torture di
vario genere. Il rapporto ONU prende in
considerazione anche le violenze subite dalle donne
in conflitti più convenzionali di quelli in cui sono
coinvolti caschi blu e affini. E qui le cose vanno anche
peggio, ad opera di eserciti regolari e non: Schiavitù
sessuale, matrimoni forzati o anche più moderni
arruolamenti coatti. Sullo sfondo, una condizione di
subalternità che le donne scontano a tutte le latitudini,
con livelli sconsolanti in paesi come l'Afghanistan, il
Burundi o la Sierra Leone.

Nel marzo del 2005, le autorità sudanesi arrestarono


quattordici persone, fra cui responsabili dell'esercito e
delle forze di sicurezza, accusate di stupri e crimini di
guerra nel Darfur. Organizzazioni come Black
Women's Rape Action Project e Women Against Rape, che da decenni esigono giustizia e
protezione per le donne e che lavorano con richiedenti asilo politico di tutto il mondo che
sono fuggite allo stupro, sanno benissimo che la maggior parte delle donne che
sopravvivono allo stupro in qualsiasi parte del mondo, trovano che è quasi impossibile
parlare delle loro vicissitudini. Si sentono umiliate e si vergognano, specialmente perché la
società e la giustizia criminale di solito accusano le donne per quello che è loro successo.

Sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti, le donne spesso definiscono il processo di chi le
ha attaccate “un secondo stupro”, perché è lo stato mentale e la storia sessuale della
donna a essere esaminata pubblicamente per distruggere la sua credibilità e mandare
libero lo stupratore. In altri paesi, l'ostilità nei confronti della vittima può essere ancora più
estrema: le donne che sopravvivono allo stupro possono non essere più maritabili,
ostracizzate e perfino uccise.

Le bambine di appena nove anni che erano state stuprate sotto Saddam Hussein si
vedevano rifiutare le cure ospedaliere, e questa pratica continua sotto l'occupazione. Un
avvocato iracheno ha detto che la sua cliente, un'ex-prigioniera di Abu Ghraib, “svenne
prima di fornire maggiori dettagli dello stupro e delle coltellate subite da parte dei soldati
americani”. Cinque ex-detenute hanno dichiarato al loro avvocato che sono state
picchiate, ma non hanno detto di essere state stuprate: “Non ve lo possiamo dire.
Abbiamo famiglia. Non possiamo parlare di quello che è successo” (Los Angeles Times,
12 Maggio 2004).

“Una mia collega è stata arrestata e portata [ad Abu Ghraib].


Quando, dopo che venne rilasciata, le chiesi che cosa era
successo, si mise a piangere. È molto difficile parlare dello
stupro. Ma penso che sia successo”.

La Prof. Huda ha dichiarato che la donna rimasta incinta


come risultato dello stupro da parte di un soldato americano
adesso è scomparsa e può essere stata uccisa: “Quando
sono andata a casa sua i vicini mi hanno detto che lei e la
sua famiglia avevano cambiato casa” (Guardian, 10 Maggio
2004).

A meno che non ci siano prove fotografiche che


documentano gli stupri, le autorità non sembrano voler
riconoscere quello che succede. Non ci sono state
dichiarazioni o scuse per stupri e altre torture di donne e
ragazze. Secondo dichiarazioni del Pentagono, esistono almeno due CD di foto contenenti
parecchie centinaia di immagini di truppe americane “che abusano” di prigionieri, tra cui
“un prigioniero iracheno picchiato fino a farlo svenire, atti sessuali con una prigioniera, e
festeggiamenti sopra un cadavere” (Guardian, 10 Maggio 2004).

Che lo stupro e la tortura sessuale vengano usati come pornografia non è cosa nuova.
Women Against Rape (WAR) ha dichiarato che in Gran Bretagna, in tempi “normali”, foto e
dichiarazioni di testimoni dove la vittima descrive il suo stupro vengono spesso fatte
circolare per il loro valore pornografico nelle prigioni da uomini condannati per stupro oltre
che tra la polizia. Il Ministro della Difesa Geoff Hoon, commentando le fotografie sulle
torture da parte di truppe americane e britanniche, ha dichiarato: “Non vedo nessuna
prova di tortura sistematica durante gli interrogatori” (Guardian, 7 maggio). Donald
Rumsfeld ha dichiarato pubblicamente che le foto e i video che ritraggono le atrocità
peggiori devono ancora essere rese pubbliche; vi sono voci che contengano scene di
stupri di donne e bambini.

I primi casi di abusi sessuali dei caschi blu in Congo vennero alla luce due anni fa.
Dopodiché, le missioni di pace nel mondo sono finite nell'occhio del ciclone: ben 259
accuse di stupro sono state presentate contro il personale delle Nazioni Unite di mezzo
mondo (Kosovo, Liberia, Sierra Leone, Guinea, Congo, Burundi). La Monuc, la missione
ONU in Congo, In un paese martoriato dalla guerra civile, è quella dove i caschi blu hanno
dato il peggio, secondo le testimonianze delle presunte vittime. Si va dal “semplice”
favoreggiamento della prostituzione, fino alla pedofilia (sembra fosse piuttosto diffusa la
pratica di costringere bambini affamati ad avere rapporti sessuali con i caschi blu, in
cambio di razioni alimentari supplementari). Pratiche aberranti, aggravate anche dal fatto
che vengono compiute su popolazioni già provate da anni di guerre e violenze.

Eppure, negli anni passati, i caschi blu sono stati più volte “graziati” per la scarsa volontà
politica dei loro stati di risolvere il problema (due anni fa fece scalpore la decisione del
Marocco di processare sei peacekeepers, impiegati in Congo, per crimini sessuali).
Secondo Amnesty International, che ha fatto una valutazione approssimativa, un minimo di
“decine di migliaia di donne e ragazze sono state sistematicamente stuprate e torturate” in
Congo fin dall'inizio del conflitto nel 1998. La SFVS (Synergy for Women Victims of Sexual
Violence) che fornisce sostegno alle vittime di stupro al GESOM (Groupe d'Entraide et de
Solidarité Médicale) a Goma, dice che si è assistito a un aumento drammatico di queste
aggressioni. Secondo Justine Masika, che lavora nel centro di Goma, nei primi tre mesi
del 2006, a North Kivu sono stati riportati circa 750 casi, una cifra sei volte più alta della
media.

Questi dati sono stati confermati anche da Immaculee Birhahekam, coordinatrice di


Promotion et Appui aux Iniziatives Feminines (PAIF), un'organizzazione femminile che
lavora con le superstiti alle violenze di genere, con sede a Goma. Dal 2004, PAIF
collabora con Medica Mondiale per raccogliere le testimonianze di un numero crescente di
vittime di stupro. Negli ultimi tre anni, la commissione investigativa interna delle Nazioni
Unite, l'OIOS (Office of Internal Oversigh Service), ha confermato le relazioni delle
organizzazioni congolesi per i diritti umani che hanno denunciato i molti casi di stupro di
donne e le ragazze congolesi da “operatori di pace” delle Nazioni Unite, in “cambio” di una
piccola somma di denaro o di cibo (lo scandalo “Sex for Food”,ndr). A dispetto della
politica “tolleranza zero” per gli abusi sessuali delle Nazioni Unite, gli stupri sono in
costante aumento.

L'organizzazione per i diritti umani Medica Mondiale e la Lobby Europea delle Donne
chiedono protezione, supporto professionale e giustizia per le vittime e punizioni severe
per i colpevoli. I responsabili devono essere finalmente consegnati alla giustizia e
rispondere di fronte ai tribunali nazionali e internazionali. Inoltre, dovrebbe essere
finalmente introdotto un codice di condotta e un addestramento preparatorio che punti
all’aumento dell’attenzione sulla violenza di genere. “Nonostante la politica Nato di
tolleranza zero sulla violenza sessuale e lo stupro da parte di soldati e operatori di pace,
sappiamo che queste regole non sono ancora state tradotte in pratica di addestramento
militare”, ha detto la dottoressa Monika Hauser, direttore esecutivo di Medica Mondiale.

lo stupro umanitario
The war crime of rape in Darfur 06 novembre 2004

Rape as genocide in Darfur 13 novembre 2008

Report: Unreleased Abu Ghraib Abuse Photos 'Show Rape' 28 maggio 2009

Congo's rape war 11 ottobre 2007

Soldier gets 90 years in Iraq rape case 17 novembre 2006

Justice for Abeer and her family? 19 novembre 2006

Mahmudiyah killings - Wikipedia

SOMALIA AFFAIR

La missione in Somalia sarebbe dovuta essere una missione di pace, o meglio, di


mantenimento della pace, un’opera di “peace-keeping”. L'intervento in Somalia, promosso
dalle Nazioni Unite come “Restore Hope” (Restaurare la Speranza), era stato denominato
“umanitario”.

Nella primavera del 1997, il settimanale Panorama pubblica foto e testimonianze su


sevizie che sarebbero state compiute da militari italiani, paracadutisti della Brigata
«Folgore», a danni di civili somali. Il Governo decise di istituire una Commissione
Governativa d'inchiesta al fine di indagare a fondo sui fatti riportati e per rispondere alle
esigenze di chiarezza davanti al terribile sospetto di violenze perpetrate da nostri soldati. A
far parte della Commissione vennero chiamati: il professore Ettore Gallo in qualità di
Presidente, l'onorevole Tina Anselmi, la professoressa Tullia Zevi, il generale di corpo
d'armata dell'Esercito Antonino Tambuzzo ed il generale di corpo d'armata in ausiliaria dei
Carabinieri Cesare Vitali.

La Commissione presentò le sue conclusioni


nell'agosto 1997. Nel frattempo, però, ulteriori
dubbi sul comportamento dei militari italiani in
Somalia vennero sollevati dalla apparizione di
un diario tenuto da un sottufficiale che aveva
partecipato alla missione italiana, il
maresciallo Aloi. Venne così deciso di riaprire
l'inchiesta.

«Trasmettevo per competenza le denunce di


violenza sessuale (io ero addetto ad altre
mansioni), ma dei miei rapporti non c’è
traccia», affermò Aloi. «Ad alcuni episodi di violenza ho assistito. Non si trattava di
prostitute, erano per lo più donne che lavoravano al campo e che subivano il ricatto di
accondiscendere o essere cacciate. In ogni campo degli italiani c'era l’ 'angolo dello
stupro', un luogo dove avvenivano le violenze. Ilaria Alpi (la giornalista uccisa, ndr)
sapeva: una sera mi ha portato a vedere un episodio di stupro. Lei ha scattato anche delle
foto con una piccola macchina fotografica che avevamo comprato insieme (una piccola
macchina fotografica risulta guarda caso fra gli oggetti scomparsi dal bagaglio della
giornalista, ndr)».
I lavori della Commissione governativa hanno messo in luce i riscontri oggettivi di almeno
tre episodi: lo stupro di una ragazza somala, l'uso degli elettrodi come strumento di tortura
o di inaccettabile pressione psicologica, i maltrattamenti a danno di tre somali poi
accompagnati nell'ospedale degli Emirati Arabi. Pur tuttavia, la Commissione ritenne che
l'operato complessivo dei militari in Somalia fosse stato fondamentalmente all'altezza delle
nostre tradizioni e delle finalità di pace e soccorso umanitario della missione «Restore
Hope». La Commissione Difesa concluse che le evidenti ed oggettive carenze e
responsabilità avrebbero dovuto trovare collocazione nelle dimensioni quantitative della
missione.

E i colpevoli che fine hanno fatto? Nel febbraio del 2001, la Corte d’Appello di Firenze ha
dichiarato prescritto il reato di abuso d’autorità contestato, nella fattispecie, al solo
maresciallo della Folgore Valerio Ercole.

(Pubblicato su Ecplanet 14-12-2006)

Abusi e crimini dei caschi blu dell'ONU

Salvo l' onore della Folgore Nessuno stupro in Somalia 14 aprile 2001

RAPPORTO ONU

Medica Mondiale

Women Against Rape

Global Women Strike

Lobby Europea delle Donne

Black Women's Rape Action Project

Office of Internal Oversigh Service

Rapporto Amnesty (Stop Violence Against Women)

War rape - Wikipedia

Caschi blu e staff civile dell'ONU in Sudan sono accusati di aver stuprato e molestato
bambini, di soli 12 anni, nel sud del paese.

Il quotidiano inglese Daily Telegraph scrive che gli abusi sono cominciati due anni fa
quando si è installata nel sud del paese la missione UNMIS per contribuire alla
ricostruzione dopo anni di guerra civile. Il personale ONU sul posto comprende 10mila
persone di 70 paesi e le accuse riguardano sia caschi blu che elementi della polizia
militare e dello staff civile.

Il quotidiano afferma di aver avuto visione della bozza di un rapporto interno dell'ONU che
nel luglio 2005 denunciava come i mezzi dei caschi blu stazionino spesso di fronte ai bar
ed ai ristoranti di Juba dove spesso si vedono ragazzine, anche di 12 anni, salire a bordo.
“Prove suggeriscono che personale dell'UNMIS può essere stato coinvolto in abusi
sessuali”, conclude il rapporto.

Il giornale ha anche raccolto le testimonianze di oltre 20 bambini che hanno raccontato di


essere stati adescati da personale delle Nazioni Unite e costretti a rapporti sessuali.
Secondo il quotidiano, potrebbero essere centinaia i bambini abusati, in particolare nella
regione di Giuba, in maggioranza di bambini senza famiglia.

Sempre secondo il Telegraph, il governo sudanese, che si oppone al dispiegamento delle


truppe dell'ONU nel Darfur, definito una nuova colonizzazione del paese, ha raccolto prove
delle violenze, tra cui un video in cui dipendenti ONU del Bangladesh fanno sesso con tre
ragazzine.

L'inchiesta del quotidiano coincide con l'inizio del mandato del nuovo segretario generale
dell'ONU, il sudcoreano Ban Ki-moon, che dovrà far fede all'annunciato atteggiamento di
rigore nei confronti dei propri dipendenti responsabili di abusi (fino ad oggi rimasti impuniti,
ndr).

(Pubblicato su Ecplanet 13-01-2007)

UN staff accused of raping children in Sudan 02 gennaio 2007

Iraq, 2006. Una pattuglia di


soldati americani, soffocati dal
caldo e annoiati dalla ripetitività
della missione, decide, durante
una partita a poker, di appagare
i propri appetiti sessuali. Rush e
Flake, imbottiti di droga, fanno
scempio di una giovane
irachena e della sua famiglia.

McCoy, contrario sin dal


principio all'iniziativa, fa la
guardia alla casa mentre
Salazar registra l'evento
sognando di entrare in una
scuola di cinema. Col tempo,
l'indignazione lo condurrà a denunciare alle autorità militari i compagni d'armi,
confessando lo stupro che non ha consumato, ma nemmeno impedito. L'ostinazione del
soldato lo spingerà fino a pubblicare su Internet il video incriminante girato da Salazar.

A quasi vent'anni da “Casualties of War”, Brian De Palma è tornato tra le trincee di una
guerra di occupazione. Ma se il Vietnam di “Vittime di Guerra” era uno scenario ricostruito
a posteriori di una guerra già conclusasi, “Redacted” è immerso nel vivo dell'attuale
conflitto iracheno, nel tentativo di provocare un corto-circuito mimetico tra finzione e realtà.
Il titolo del film - che sta per rieditato, depurato, manipolato - allude sia alla manipolazione
delle immagini operata dai mass-media per nascondere la verità, sia all'intento di utilizzare
la finzione cinematografica per rendere partecipe un pubblico più vasto di quello dei soli
frequentatori della rete internet dei crimini di guerra che avvengono quotidianamente in
Iraq.

L'episodio su cui è incentrato “Redacted” ricostruisce un evento cruento realmente


accaduto: un manipolo di soldati americani, in una scorribanda notturna, e sotto l'effetto di
alcol e droghe, sono entrati in una casa di civili iracheni, hanno violentato ripetutamente
una ragazza di 14 anni, dopodiché le hanno dato fuoco e hanno sterminato tutta la
famiglia. Il fatto ha talmente impressionato l'opinione pubblica americana, da costringere il
Ministero della Difesa a pene esemplari, nonostante un iniziale tentativo di insabbiamento.

«Nella mia ricerca - ha affermato il regista, presente alla mostra del cinema di Venezia -
ho utilizzato i video di Youtube, i blog e i post dei soldati americani. La messa in scena del
film rispetta l’estetica di queste fonti. Se andate su internet scoprirete un mondo nascosto,
eppure vero, non censurato dal sistema informativo [...] Spero che le immagini che mostro
nel film facciano arrabbiare il pubblico americano e portino i politici a cambiare idea sulla
guerra in Iraq. Le foto e le immagini possono fermare la guerra - ha continuato - ma i
media, nella loro azione di ripulitura, impediscono che le si mostri per quello che sono,
orrende e devastanti».

(Pubblicato su Ecplanet 16-09-2007)

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