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Francesco Tampoia

Socrate non Elisa, per...

Firenze Atheneum1994 2a Ed. riveduta e corretta 2011

Indice

Cultura materiale e logos in Grecia Oralit, manoscritti, stampa Dalla Seinfrage alla Frage nach der Technik Socrate non Elisa, per... Verso una societ delle menti Postfazione

PREFAZIONE

We are well on the way to see conversation as the ultimate contest within which knowledge is to be understood. R. Rorty.

Quando si avverte in modo chiaro e diffuso il tramonto di schemi mentali, di ideologie, di saperi, la crisi di contenuti e aree semantiche, giusto il logorio inarrestabile del tempo, d'obbligo cambiare i dizionari, mutare il lessico e collocare determinata produzione intellettuale in altre collane o schede dall'etichetta non

ancora stampata come "insiemi discorsivi", "materiali per la conversazione del XXI secolo", produzione di cui non si conosce con precisione n il percorso n l'approdo. il modo, forse non del tutto nuovo, d'industriarsi alla ricerca di labili contenitori, di ri-trovare, ai margini dell'universo babelico dei saperi, delle frasi, dei linguaggi, dei nessi, dei codici che abbiamo dinanzi, alla ricerca di un appoggio qualsiasi, senza impegno, di una direzione, di un senso. A volte con maggiore, a volte con minore energia e fortuna fu questo il ruolo della filosofia, prima confusa nel vasto orizzonte del conoscibile, poi emersa nella classificazione enciclopedica, composta per contenuto e metodo in modo specifico, infine travolta dalla rottura di argini e steccati, costretta a fluttuare tra antropologia, sociologia, storia delle idee, mito, religione, arte, scienza, tecni ca, morale, politica, letteratura, sempre pi oggetto di spinte centrifughe, cui non furono o sono estranee la frequenza delle reti informative, la sovrabbondan za della divulgazione. Con piena consapevolezza, accurata analisi, poetico sentire, I. Calvino nei suoi ultimi scritti ha rappresentato la condizione dell'intellettuale del nostro tempo come uomo "senza qualit", "senza direzione", che avverte di essere parte infinitesima di un moto ondulatorio tra una precaria unit (senso di inclusione) e la sfuggente parzialit (senso di esclusione), tra il pezzo, la parte, il dettaglio e l'ipotetica globalit. La regola del signor Palomar a poco a poco era andata cambiando; adesso gli ci voleva una gran variet di modelli, magari trasformabili l'uno nell'altro secondo un procedimento combinatorio, per trovare quello che calzasse meglio su una realt che a sua volta era sempre fatta di tante realt diverse, nel tempo e nello spazio. 1. In tempi andati, di positivistica o neopositivistica memoria, il quadro cultu rale appariva meno smembrato. Per orientarsi "nel mondo degli uomini e della vita" si poteva ricorrere all'antropologia culturale, ad alcune definizioni di cultura come, ad

esempio, quella di C. A. Elwood [la cultura comprende]da un lato, la totalit della civilt materiale dell'uomo: utensili, armi, abbigliamento, ripari, macchine, e persino sistemi di produzione e, dall'altro tutto quello che civilt non materiale o spirituale: linguaggio, letteratura, arte, religione, rituale, morale, legge e governo. 2 Chiara o se si vuole schematica messa a punto di un concetto e di una disciplina che poi ha dovuto rendere pi deboli e labili gli scomparti con il mutamento dei campi disciplinari e delle tecniche di ricerca. O quella dell'ormai lontano 1948 di A. L. Kroeber la cultura potrebbe definirsi come l'insieme di tutte le attivit e i prodotti non fisiologici delle personalit umane che non siano automaticamente riflessi o istintivi. Il che a sua volta significa, in linguaggio biologico e fisiologico, che la cultura consiste di attivit condizionate o apprese (pi gli artefatti da loro prodotti); e l'idea dell'apprendimento ci riporta a ci che si trasmette socialmente, a ci che si riceve dalla tradizione: a ci che acquisito dall'uomo come membro della societ 3, definizione che, dettata dalle teorie prevalenti al momento, va almeno rivista per la cesura tra il fisiologico e il non fisiologico, tra il materiale e l'immaginario, tra il culturale e il naturale. Oggi la dicotomia natura/cultura sembra una querelle d'altri tempi, comple tamente svanita per la pi accreditata, probabile ipotesi che non l'evoluzione del cervello che ha sviluppato l'abilit culturale e tecnica, ma, al contrario, l'evoluzione del nostro sistema nervoso deve molto ai processi di adattamento dell'apparato locomotorio e/o al precoce uso di prolungamenti artificiali del corpo, ossia di manufatti e di tecniche. Detto altrimenti, cervello e corpo, motilit e intelligenza, corpo, ambiente e manufatti si sarebbero sviluppati seguendo un intreccio inestricabile. Qualche anno fa, con tratti si direbbe conclusivi, G. Prodi scriveva su "Intersezioni": Si propone un'analisi (con gli strumenti culturali oggi a disposizione) della struttura umana, per dimostrare che il dissidio non sussiste, che non mai esistito nella realt e che quanto stato nella storia fu frutto di un equivoco culturale, peraltro inevitabile. 4 Senza l'intreccio di natura e cultura, uomo e ambiente, del

resto, non ci dato di capire il decisivo passaggio e l'acquisizione di una pi evoluta competenza linguistica; non saremmo in grado di valutare le condizioni che hanno portato alla regolarit del linguaggio e allo sviluppo formale, non comprenderemmo la funzione comunicativa, comune ad altre specie animali, non saremmo in grado di intendere, infine, la funzione astrattiva e la trattazione, su un piano mentale, di oggetti di cui l'uomo non ha esperienza diretta o che non esistono. Non potremmo immaginare quella vera e propria mutazione della specie dalla quale l'uomo ha potuto instaurare nessi reali o irreali tra mondo e societ, intessere speciali relazioni con i suoi simili, differenziare e unificare l'esperienza, la natura delle cose. Accanto alle difficolt dell'antropologia, per linee interne, oggi vanno registrate quelle di ordine teoretico e fondazionale o se vogliamo dall'esterno, i cui rappresentanti sull'onda lunga del pensiero di Nietzsche e Heidegger praticano il metodo della decostruzione e del sospetto, metodo che ha portato all'estinzione del cogito, alla negazione della centralit dell'uomo, alla fine dell'umanesimo. Alcuni messaggi provenienti dagli ultimi scritti di R. Rorty, alcuni stimoli dalla lettura di M. Foucault, l'ascolto del complesso, intricato dibattito ermeneu tico non potevano non farsi sentire, certo molto liberamente, durante la stesura di questo libro, nato come tentativo di riscrittura o raffigurazione archeologica di segmenti di storia e di pensiero, tecniche linguistiche, stati metamorfici, istanze di ieri e di oggi per finire con il tentativo di prefigurare la futuribile societ delle menti, umana e artificiale. Il libro stato scritto in parte utilizzando il registro narrativo e argomentati vo, in parte la tecnica del dialogo, arte antica e moderna, usata anche dagli studiosi di I. A., last but not least, nelle pi clamorose e fortunate sperimentazioni. una tecnica di comunicazione, quella dialogica, un modo di vivere e di essere che ha contrassegnato lo svolgimento della civilt occidentale, cui si richiamava L. Pareyson: la filosofia crea il dialogo, perch nell'atto stesso che moltiplica senza fine le interpretazioni personali della verit, le unisce tutte nella consapevolezza di possedere la verit senza

esaurirla, ma anzi alimentandosene continuamente. 5 stata suggerita da G. Gadamer quando ha evidenziato le "ragioni pratiche" che ne sarebbero alla radice, come il parlare umano comporti un rapporto bipolare con l'altro, un rapporto di amicizia, sorretto da volont buona per essere compresi e comprendere, un rapporto di solidariet che si consegue appunto con il dialogo. Il fatto nuovo che tra i dialoganti abbiamo per la prima volta la macchina, il computer, uno dei personaggi pi problematici e ambigui del nostro tempo.

Alle origini della civilt greca, ispirata dalla religione, dal mito, da forme di cultura e apprendimento empirico ma anche razionale, regnava una visione dell'universo come insieme di elementi fisici e psichici, di vita e di morte, di essere e non essere, alternarsi di un'incerta unit nella molteplicit, unione di elementi simili e anche dissimili, proporzionata, ma anche mostruosa. La narrazione mitologica, i sapienti avevano parlato di bovina prole con volto umano, di esseri umani con volto bovino, di esseri con caratteri a un tempo di maschio e femmina. L'umanit greca viveva in uno stato di ambivalenza, di paura, nella consapevolezza di essere oggetto di trasformazioni, di incarnazioni diverse, ma percepiva anche la funzione agta, in questi scambi o interscambi dei vari elementi naturali, dalla cultura e dalla tecnica. Scopr ancora tra fusis e abilit tecniche il valore operativo del logos, come in sua presenza operano i sensi, si producono modi, azioni, come per mezzo della sua funzione mediatrice si manifesta la conoscenza, la volont, il fare. Il sapiente sa che le tecniche non vanno confuse con l'empiria, sa che hanno un valore conoscitivo oltre che strumentale, sa che spesso come nel volo di Icaro o nel caso del Minotauro s impongono con ardimento, ai confini della mostruosit, con artifizi che sostituiscono la natura e la modificano, sa che comportano dei rischi, mettono l'uomo di fronte all'ignoto. Nella Repubblica di Platone spesso affiora la dicotomia tra tecnici e filosofi e l'implicito interrogativo: possono i tecnici pensare? Possono i filosofi essere tecnici? I sofisti hanno esaltato la propria tecnica, l'arte retorica ma Platone ha reagito convinto di

dover assegnare dignit e valore solo a tecniche che si praticano con spirito epistemico e con finalit etiche. Nel Gorgia dice che la retorica agisce a livello di pistis, mentre ci che rende valida un'arte o tecnica il piano oggettivo, quello del sapere, la sua base logica. L'analogia fatta da alcuni tra l'opera del retore e il medico da lui contestata per il semplice motivo che l'arte medica, per essere tale, non pu che avere un fine buono e positivo mentre la persuasione retorica non soddisfa i requisiti di una vera techn. quanto si comprende leggendo il Filebo, laddove Platone si riferisce al mito di Prometeo e al fuoco, la metafora del fuoco, che vuol significare luce, capacit di vedere le parti nel tutto, tecnica di scoprire il molteplice nell'unit. O quanto si pu intendere, per altri versi, nel Fedro ove al dio Theuth sono attribuite numerose invenzioni e tra queste la discussa tecnica della scrittura. Theuth pubblicizza il prodotto, ma non convince perch la scrittura appare un rimedio che potrebbe sortire effetto inverso al beneficio, essere un farmakon nefasto perch estraneo alla natura dell'uomo che pretende soccorrere. La scrittura, parlare silenzioso, muto e morto, rimedio e tecnica, artificio, apparenza di logos ingannevole protesi. Per quanto riguarda il posto e la funzione della scrittura nell'opera e nel pensiero di Platone, secondo l'interpretazione derridiana Platone avrebbe voluto evitarsi l'uso della scrittura, ma non ha potuto, perch la scrittura non solo tecnica, la condizione della dialetticit dell'essere platonico, il raddoppiamento del logos, la scrittura ha un valore epistemologico, ontologico, tecnologico; la possibilit di parlare e di tacere, di venire alla luce e di nascondersi, evidenzia "la differenza originaria" del tutto. Forse pi attendibile l'ipotesi che la scrittura, veicolo del logos, forma del sapere, strumento del pensiero post- parmenideo metaforizzato con la grammatik, rientri nel gioco dialettico dei misti. Platone, diversamente da Parmenide, ha posto la dicotomia oralit/scrittura in un quadro pi ampio, il quadro delle scienze e delle tecniche, della dialettica e della morale, dell'uomo e dell'universo, del sapere e della virt, un aggregato in cui si snoda la molteplicit.

Il rimando metaforico, simbolico, archeologico, epistemologico tra oralit e scrittura s'impoverisce ma anche si arricchisce durante il Medioevo, quando la ripresa culturale recupera la scrittura, la esalta, la considera una tecnica intellettuale che pu essere designata con la metafora, vivace e popolaresca, dell'arare dei campi. La tecnica della scrittura, i suoi strumenti, possono significare proprio questo, in contrasto e affinit con la parentela semantica dell'arare e l'exarare, gi proposta da alcuni autori classici, coltivare i campi del sapere. Il Basso Medioevo vede migliorarsi la tecnica della scrittura, vede crescere la produzione di libri fino alla rivoluzione inavvertita della stampa che si realizza mediante un transfert tecnologico, utilizzando, cio, tecniche incrociate dell'oreficeria e dell'industria vinicola dei torchi. Gutemberg ne l'inventore tecno-logo, Koberger, Manuzio e altri gli industriali che la perfezionano e la diffondono in tutta Europa. Ma qual il rapporto tra i filosofi e le macchine? La tecnica della stampa, certo, ha valore non solo estrinseco, va situata in uno spettro concettuale altro, dal grafismo alla parola, dalla parola al grafismo, perch il linguaggio in natura, negli animali, nelle piante, nell'universo, di cui la forma ultima. Galileo, parlando del gran libro della natura, lo interpreta come libro prodotto meccanicamente a stampa e pensa che lo scritto, come pi esplicitamente dir M. Foucault, ha preceduto il parlato, nelle cose, costituisce oggetto di episteme archeologica. Se tra Platone e Socrate emersa la divergenza scrittura-oralit, nel Cinquecento affiora la dicotomia scrittura a manostampa. I diversi partiti hanno proprie argomentazioni, il dibattito in alcune sedi acceso, mentre per alcuni decenni la rivoluzione della stampa passa quasi inosservata. Il successo non pu mancare perch la stampa in armonia con il tempo, la civilt del tempo, conforta la razionalit matematica e meccanica trionfante, illustra meglio la realt che la nuova scienza va indagando, offre la possibilit di manipolare gli oggetti, di spostarli con estrema facilit. Una riflessione pi radicale sulla stampa o su altre invenzioni tecniche richiede, tuttavia, approfondimenti, analisi di ben diversa fattura, un riesame dell'intera civilt occidentale. quanto ha fatto M. Heidegger giudicando la nostra epoca come epoca della tecnica, estremo esito della storia, ultimo atto della scena

metafisica. Per Heidegger pensare la tecnica, oggi, l'unico modo di riportare l'umanit a prendere coscienza del proprio destino, di intendere il senso della vita e della morte, di aprirsi all'Essere e alla Verit. Heidegger scopre o riscopre il nesso, la compresenza di fusis-logos-techn, il valore intrinseco della tecnica, ignorato da molti suoi contemporanei, quando dice che la via regia per capire l'essenza della tecnica quella di pensare ad essa, riflettere su di essa in modo radicale: Non possiamo esperire veramente il rapporto con l'essenza della tecnica finch ci limitiamo a rappresentarci la tecnica e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla. Restiamo sempre prigionieri della tecnica e incatenati ad essa, sia che la accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora pi gravemente in suo potere quando la consideriamo qualcosa di neutrale. E tuttavia la sua impostazione non soddisfa, sa di conservatorismo, venata di nihilismo. Nelle fasi di storia dell'umanit ad economia primitiva la tecnica e la natura si armonizzano, la tecnica asseconda la natura; nella civilt contemporanea la tecnica consiste soprattutto nell'accumulo di energia, nella traduzione delle fonti naturali in fondo energetico disponibile. Ma, la tecnica del nostro tempo va ricondotta a quella arcaica, perch anch'essa un modo del disvelamento, il suo produrre, il suo tirar fuori il nascosto aletheia. E comunque il disvelamento non pu essere opera della tecnica da sola, la macchina fino alla modernit ferraglia e resta tale, il disvelamento accade nell'uomo e con l'uomo. All'ipotesi che l'uomo non faccia pi parte del Bestand e quindi all'ipotesi della strumentalizzazione dell'uomo stesso, divenuto artificio o macchina, all'ipotesi della sua fine Heidegger ritiene di poter affiancare l'altra per cui ogni disvelamento viene dal libero, va verso il libero e porta nel libero.

Qualche anno dopo la comparsa del computer, con lo sviluppo abbastanza sostenuto di studi sull'I. A. abbiamo assistito a un acceso dibattito, ancora in corso, tra rappresentanti dell'orientamento forte dell'I. A. e rappresentanti di un'ipotesi debole dell'I. A. nel ridurre o accentuare lo hiatus esistente tra mente e macchina, tra

linguaggio naturale e artificiale. Il procedimento comparativo per analogia e diversificazione applicato su due dialoghi, il Menone di Platone e il Programma Elisa di J. Weizembaum, evidenzia la differenza tra Socrate ed Elisa, ma solleva una serie di problemi perch dietro la macchina, tra macchina e uomo si nascondono sensi, significati, rapporti, il valore del computer come raddoppiamento umano, differimento dell'uomo, la concorrenzialit dell'I. A. verso l'uomo.

I pi recenti risultati della ricerca, il dibattito filosofico che ruota intorno, hanno riproposto in termini nuovi i problemi, quello che soprattutto un problema lessicale per l'irruzione di nuovi termini, la definizione di intelligenza, i concetti di informazione e comunicazione. E tuttavia il progresso della tecnica, la migliore comprensione dell'I. A, il fatto che essa avvicina il computer all'uomo non potranno mettere in ombra o escludere i limiti e dell'uomo e delle macchine, l'eventualit della fine e dell'uno e delle altre. L'ipotesi della convivenza, avanzata in questo saggio, prefigura empiricamente una societ delle menti o metamorfosi delle menti, che comporta una societ in cui l'uomo, novello Hermes, l'uomo tecno-logo del dialogo e dei dialoghi accetta e vive un contesto di partecipazione o compartecipazione , si rende conto che con la macchina, con il computer si instaura una relazione informativa ma anche comunicativa, si realizza una nuova oralit, un nuovo tipo di dialogo o conversazione. l'ipotesi, sorretta da convincimenti ermeneutici, che svolge un discorso anormale dal punto di vista del discorso normale e viceversa un discorso normale da un punto di vista anormale, meno filosofica e scientifica e pi letteraria. Discorso e conversazione cui hanno offerto materiali, tra i tanti, Dedalo, Gorgia e Platone, Petrarca e Malpaghini, Gutemberg e Trithemius, Heidegger e Adorno, Minsky e Bateson, Hofstaedter e Searle. Si tratta di un discorso, ha suggerito Jacques Derrida, affrontare la questione della tecnica come caso particolare della scrittura. per

NOTE

1)

I. Calvino, Palomar, Einaudi, Torino 1983, p.112. C. Kluckholm, A. L. Kroeber, Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna 1982, p.

2)

177.
3)

Ivi, p. 112. G. Prodi, La cultura come ermeneutica naturale, in "Intersezioni", primo aprile

4)

1988, p. 27.
5) L.

Pareyson, Verit e interpretazione, Mursia, Milano 1971, p. 209.

Cultura materiale e logos in Grecia

Vuoi tu che io, quasi come portinaio spinto e costretto dalla folla, spalancate le porte, lasci entrare tutte le scienze, lasci mescolarsi insieme alla pura quella pi impura di esse? e Protarco: Io non so proprio, Socrate, quale danno patirebbe uno che avendo le scienze superiori, acquistasse pure tutte le altre. Platone, Filebo.

Ci che si avverte nella concezione naturalistica di Empedocle, fiorito in un momento gi evoluto della civilt greca, quando come prima forma di vita sulla terra si pone, sulla scorta degli altri presocratici, l'acqua, l'aria, la terra, il fuoco e poi gli alberi, gli animali, e con questi il perenne modificarsi della vita dall'indistinto al distinto, il passaggio e la metamorfosi da forma a forma riguarda l'uomo, la sua definizione, la comprensione, cio, della vita tra mito e logos, in un fluido aggregato, incerto al suo interno che non consente partizioni sicure, che oscilla tra instabilit biologica e anatomica, tra divino e umano, animalesco, bestiale, razionale. Empedocle, tra i sapienti presocratici, appare il pi suggestivo perch si presenta come medico e come dio, uomo speciale cui tutti corrono per chiedere oracoli, cure mediche, rimedi ai mali della vita. Di lui L. Gernet ha scritto: II complesso di questi tratti ricorda curiosamente una figura che l'etnologia ci ha reso familiare: uno dei soggetti principali del Ramo d'oro quello della regalit il cui detentore responsabile della prosperit materiale del gruppo perch ha il potere di comandare agli elementi, perch depositario di una potenza magica e infine perch , egli stesso, un dio.1 il sapiente che parla di

incarnazioni privilegiate che spetterebbero a indovini, poeti, medici, principi, che si atteggia a re e mago, che domina il volgo perch capace di controllare le forze della natura. Questo non deve meravigliare perch la credenza arcaica secondo cui determinati uomini avessero poteri fuori del comune fu diffusa in parecchie societ affini, quale pi quale meno, alla Grecia preistorica e che sono societ indoeuropee: analizzando la rappresentazione mitica delle diverse attivit sociali dei latini, degli ind, degli iraniani, e di altri popoli ancora, si sono trovati i tre tipi del guerriero, del mago, di colui che d nutrimento dove i primi due sono ad un tempo in un rapporto di opposizione e di collaborazione.2 Empedocle incarna un po' i tre tipi o almeno il secondo e il terzo con l'aggiunta di quello del filosofo, di un uomo-dio che sente la "mescolanza" della materialit e della cultura, la forza e il mistero del logos. La mescolanza che scopre insieme di elementi fisici e psichici, di vita e di morte, di essere e non essere, alternarsi di un'incerta unit nella molteplicit, unione di elementi simili e anche dissimili e alternativi, proporzionata, ma anche mostruosa: capitava cos che nascessero molti esseri bifronti e con due petti opposti, bovina prole con volto umano, e al contrario capitava che venissero fuori esseri umani con volto bovino, e altri esseri ancora con caratteri di maschio e femmina a un tempo, forniti di entrambe le parti che si celano (B 61). Questi casi noti alla narrazione mitologica fanno testo nelle spiegazioni e argomentazioni di Empedocle e pongono interrogativi cui il filosofo sa dare risposte, anche in prima persona Io fui gi un tempo giovane e ragazza ed anche pianta e uccello e muto pesce che salta fuori del mare (B 117), laddove si immagina soggetto di trasformazioni, di incarnazioni diverse, memore dell'originaria bisessualit dei viventi, soggetto consapevole che in questi scambi o interscambi, governati dalla natura, si frappone anche l'attivit tecnica, come osserva il Vegetti: Allandirivieni tra uomo e animale, animale e uomo non si attribuisce razionalit fuori la sola possibilit naturale di scambio prevista in un

universo coeso le cui parti sono sempre in comunicazione, s'interpone la tecnica che non materiale inerte, bens patrimonio secolare di conoscenze da riportare nell'enciclopedia del sapere.3 Ma, la posizione dell'uomo nella natura, il posto che occupa o pu occupare diverso quando il sapere abilita il sapiente a sospendere le leggi naturali, a eseguire miracoli. Il sapiente esplorando la natura ne scopre le forze nascoste e pu produrre effetti apparentemente ad essa contrari, non nel senso di soprannaturali bens nel senso di straordinari conoscerai qua nti sono i rimedi dei mali e il riparo della vecchiaia: per te solo, infatti, compir tutte queste cose. Placherai l'impeto dei venti infaticabili che, levandosi sulla terra, con i loro soffi inaridiscono i coltivati e di nuovo sol che tu lo voglia, potrai chiamare indietro i loro soffi; dopo la nera pioggia agli uomini propizia siccit darai, e dopo l'arsura estiva piogge che fanno prosperare le piante, abitatrici delle plaghe celesti. Il vigore di un uomo morto saprai richiamare dall'Ade (B 111, Sulla natura). ancora il saggio, lo sciamano che parla, l'uomo che era mago e sapiente, pensatore ed esperto di tecniche. La scuola eleatica arroccata sull'immobilit dell'essere, muovendo da forti istanze ontologiche aveva sferrato il pi potente attacco alla trasformazione, al divenire e ovviamente alle tecniche che la trasformazione assecondano e accelerano. Queste rientravano nei divieti del terribile Parmenide. Il medico Empedocle, invece, non pu rinunciare a strumenti che, se non riescono a debellare del tutto l'infelicit umana, congiunti a requisiti mistici e filosofici, perdono la loro presunta innaturalit e provvisoriet e rendono migliore l'esistenza, la scoperta del giusto senso della vita. La complessit e totalit della fusis confermata in altri frammenti ove si afferma che ogni essere esperto per natura nelle attivit che riguardano la parte o organo del suo corpo in cui la mescolanza degli elementi fondamentali (le radici) che costituiscono l'universo,

dato che proprio la complessit degli elementi e la loro presenza destina e ordina la diversit e la validit delle capacit umane. Democrito in modo pi consapevole avvicina le tecniche alla natura, le unisce ad essa e pu giudicarle legittime, dignitose, "naturali", allo stesso modo si pronuncia, stemperando i miti, Anassagora. Per Anassagora l'uomo debole e indifeso verso i fenomeni naturali e verso gli animali, meno veloce, morde e lacera meno profondamente, ha meno forza di altri animali; ma grazie al sapere e alle tecniche riesce a sopravvivere, capovolgendo gli svantaggi iniziali, e supera tutti gli altri esseri. L'uomo fornito di mani; sono queste che gli permettono di essere il pi intelligente degli animali: Ci significa che il modello di uomo che Anassagora ha di fronte l'uomo che ha le mani e le usa, cio l'uomo tecnico che proprio in quegli anni in Atene si imponeva a pieno titolo nel contesto sociale. In tal modo con questa concezione anassagorea il lavoro manuale era non soltanto rivalutato, contro una tradizione aristocratica che lo disprezzava, e collocato su un piano di uguale dignit con le altre attivit lavorative, ma era addirittura posto in primo piano come contrassegno costante dell'umanit.4 II mito racconta che la natura volle proteggere l'uomo per il mantenimento della specie e lo forn, tra l'altro, di metis, insieme di varie e molteplici abilit, di intelligenza tecnica e di astuzia: la scienza di Atena e di Efesto, di Ermes e di Afrodite, di Zeus e di Prometeo, una trappola per la caccia, una rete per la pesca, l'arte del panieraio, del tessitore, del carpentiere, l'abilit del navigatore, l'intuito del politico, il colpo d'occhio esperto del medico, le astuzie di un personaggio scaltro come Ulisse, il capovolgimento della volpe e la polimorfa del polipo, il gioco degli enigmi e degli indovinelli, l'illusionismo retorico dei sofisti.5 la natura, quindi, che ha conferito all'uomo la capacit di reagire a situazioni disparate e imprevedibili, di comportarsi ed esprimersi in modo ambiguo,

impreciso, ma anche esatto e rigoroso, unico mezzo per operare e vivere in un mondo illimitato e vario, governato dall'inesorabile legge del divenire e dal caso. Zeus il dio della metis per eccellenza perch dopo aver sposato la dea, per non esserne vittima l'ha ingoiata. Dotati di metis e concorrenti antagonisti di Zeus, sono Efesto e Prometeo. Questo nemico/alleato di Zeus il dio che insegna ai mortali le tecniche, le arti per vincere e sottomettere la natura, il dio presentato nel Prometeo incatenato di Eschilo che cos parla: Ma udite la miseria dei mortali prima indifesi e muti come infanti, e a cui diedi il pensiero e la coscienza. Essi... ignoravano le case di mattoni, le opere del legno: vivevano sotterra come labili formiche, in grotte fonde, senza il sole; ignari dei certi segni dell'inverno o della primavera che fioriva o dell'estate che portava i frutti, operavano sempre e non sapevano finch indicai come sottilmente si conoscono il sorgere e il calare degli astri, e infine per loro scoprii il numero, la prima conoscenza, e i segni scritti che si compongono, la memoria di tutto ... Sappilo in breve; tutto ci che gli uomini conoscono, proviene da Prometeo.6 La metis, quindi, un genere di intelligenza primordiale e indeterminata che scaturisce e promana dalle viscere della natura, deriva dai quattro elementi contraddittori acqua, aria, terra, fuoco, elementi che modellano il cosmo, gli animali, l'uomo. Come le abilit tecniche anche il logos interagisce con la fusis, provoca sensi, modi, azioni e comprende un'ampia e diversa validit cui si aggiunge la funzione mediatrice di mettere in relazione la conoscenza, la volont e il fare, trae alimento dal mito, come questo a sua volta dalla fusis e da tutta la sua fenomenologia, ma anche se ne distacca. Originariamente il logos discorso, specifica capacit umana, strumento di comunicazione e di persuasione, espressione di pensiero che, al pari di tutte le capacit umane, ambigua, diversa, pu dare esiti positivi e

desiderati ma anche risultati spiacevoli e negativi. Si distingue per l'esigenza di disciplina, si sottopone a norme, leggi e anche divieti la cui forza si fa sentire in diversi campi del pensiero, della civilt, della vita. Nelle matematiche impone all'applicazione e al sapere intuitivo una strutturazione logica, chiusa, metafsica. Lo straniamento del logos dal mondo empirico, tuttavia, non potr mai darsi come definitivo e assoluto, non prescinder dalle abilit tecniche perch dalla techn il sapiente, l'esponente greco del logos, apprende aspetti metodologici, concettuali e teorici per la sua attivit, come confermato del resto dal valore semantico della voce techn, dall'affinit alla fusis, dall'equivalenza fino a Platone con episteme.7 Nella civilt greca la tecnica occupa una funzione che possiamo chiamare mediana e interna tra il sapere logico-scientifico e le finalit dell'azione pratica, tra scienza e vita, cultura e societ. Nella complessit e variet delle operazioni manuali, meccaniche e strumentali, viene a situarsi su fondamentali basi fisiche, materiali, energetiche ed proiettata nel vasto campo della cultura materiale. Chiarisce meglio il valore delle tecniche tra mitologia, simbologia, vita quotidiana J. P. Vernant quando scrive: Pare invece saldamente stabilito, almeno ne ll'et classica, il legame fra tre divinit associate, Athena Hephaistos e Prometeo, e le arti del fuoco. Questo raggruppamento di dei qual stato attestato dal culto, nel mito e nella rappresentazione figurata, tende a simboleggiare ad Atene una funzione generale che si potrebbe chiamare la funzione tecnica e una categoria sociale, quella degli artigiani;8 nel mito del fuoco viene a spiegarsi l'importanza del fuoco e la necessit per gli uomini di procurarselo. Prometeo ruba il fuoco, ma soprattutto lo rende alla portata dell'uomo con i suoi artifici, con l'astuzia della tecnica.

L'esplicazione mitologica su cui ci siamo soffermati, comunque, non basta; con essa il valore e il senso delle tecniche non ancora chiaro e definito: senza dubbio per un piccolo contadino beota del VII secolo il lavoro deve essenzialmente restar limitato all'agricoltura, ancora non sono nettamente chiarite l'idea di un'attivit tecnica e l'idea d'una funzione tecnica, e neppure s' delineato il personaggio di Prometeo come padre di tutte le arti.9 L'attivit agricola, principale occupazione dell'uomo, si svolge senza determinante ausilio delle tecniche, praticata affiancando e assecondando la natura. Il Prometeo di Eschilo un po' diverso da una certa tradizione, il suo Prometeo non specialmente metallurgo, n vasaio; nella lunga lista delle 'tecniche di cui si vanta di aver fatto dono agli uomini la ceramica e la metallurgia non figurano neppure.10 Non molto diverso da quello di Platone il padre di tutte le tecniche e di tutti i saperi, tanto che il fuoco ha ben altro significato, il fuoco che ha sottratto maestro di tutte le arti, didascalos tchnes pases. ci che dimostra B. Gille, seguendo un originale programma di ricerca quando dice che l'insieme delle tecniche appare come elemento primario di mediazione tra cultura e societ, tra oggetto della conoscenza teorica e finalit dell'azione pratica, tra bisogni materiali, esigenze economiche e condizioni naturali. Per le origini della civilt greca aggiunge che tra gli dei e gli uomini si creato un intermediario indispensabile: non potendo ammettere l'origine unicamente umana delle tecniche, almeno di quelle pi essenziali stato necessario immaginare Prometeo. Dedalo ci conduce a una terza tappa, quella definitiva, una sorta di laicizzazione delle tecniche.11 Con Dedalo come se la tecnica si specifichi, si scomponga in dettagli, con Dedalo si pervenuti alla strumentazione. Con essa un fatto altrettanto importante: Dedalo un uomo, un personaggio che ha un sostrato storico, che pu essere situato storicamente nel VII secolo. E ancora pi avanti Eroe il cui nome, trasferito nel vocabolario corrente,

suggerisce ogni oggetto di fabbricazione artigianale, eroe legato alla dinastia reale di Atene, legata a sua volta a Efesto e ad Atena. Dedalo appare proprio come il prototipo dell'artista e dell'artigiano [...] Incarna il genio inventivo e il talento artistico. E appunto il rappresentante della techn.12 Dedalo un grande inventore; con la sua perizia arrivato al punto di dare la vita alle sue statue, stato capace di imitare il vivente, ha creato delle macchine viventi. Solo da questo momento e nei limiti della concezione greca della vita, entro paradigmi che sono indubbiamente diversi dai nostri, per i greci si pu parlare di un insieme strutturato di tecniche o di complessit della tecnica, di un'arte, insomma, gi evoluta. Lo dimostra, per fare un esempio tra tanti, il caso della leva, una macchina complessa che risolve l'aporia di una piccola forza che solleva un grande peso e rappresenta la vittoria della techn sulla fusis, macchina la cui tecnologia sar spiegata in epoca matura da Aristotele e meglio ancora dal grande Archimede. Su questa linea interpretativa, con altre argomentazioni A. Ferrari che lamenta come gran parte della produzione tecnica dei greci non ci sia pervenuta, soprattutto se ci riferiamo a catapulte, baliste, strumenti musicali, gnomoni e orologi astronomici. Gli oggetti artificiali giunti fino a noi sono, comunque, bastevole testimonianza di un mondo, simbologia di una concezione della vita: Gi Pausania (9,3,2) sapeva che Dedalo deriva da daidalon e non viceversa; daidalon a sua volta viene da daidalto, il verbo che indica la giunzione di materiali diversi, soprattutto legno e metallo, nello stesso oggetto. Il daidalon dunque il limite estremo, quanto a perizia, raggiungibile dal tekton omerico e Dedalo ne diviene l'eroe eponimo.13 Assemblare elementi diversi e incongrui come nel caso del volo di Icaro o del Minotauro un fare fin troppo ardito, ai confini della mostruosit, significa dar

vita a fatti ed esseri intermedi, promiscui, operare ai limiti dell'invalicabile con il brivido dell'eccellenza ma anche del gravissimo rischio. Questo perch l'oggetto artificiale diventa prima raffigurativo del vivente, poi un suo sostituto ingannevole e infine si estrania completamente dal suo autore acquistando una vita propria.14 Comporta la coscienza di un esito voluto e desiderato ma anche temuto, gravido di pericolo perch in concorrenza con la natura. J. P. Vernant, tratteggiando la temperie storico-sociale del secolo di Eschilo e di Platone, scrive: la riflessione sulle teknai era diventata cosa corrente particolarmente presso i sofisti. In Platone stesso l'interesse per la tecnologia si manifesta nel frequente ricorso che nei dialoghi si fa ad esempi tolti dalle tecniche.15 Non possiamo seguirlo fino in fondo, per, quando implicitamente accenna alla conversione dell'interesse in disprezzo e scrive: si trova in lui la cura di separare e d'opporre l'intelligenza tecnica e l'intelligenza, l'uomo tecnico e il suo ideale d'uomo cos come egli separa e oppone nella citt la funzione tecnica e le altre due. questo partito preso che spiega la distorsione che Platone fa subire nel IV libro della Repubblica alla sua teoria tripartita della societ,16 laddove sottace la cura a unire, a evidenziare casi e situazioni miste come la classe dei guerrieri, affiancata a quella dei filosofi che deve essere esperta di tecniche, di tecniche militari, per poter difendere lo stato, o le tesi assunte in altri dialoghi. Parla di dissimmetria tra le classi e i rispettivi compiti o attivit: Questa sorprendente dissimmetria non si spiega altrimenti che col rifiuto d'accordare una virt positiva a quelli la cui funzione sociale costituita dal lavoro,17 tesi (di Vernant) non condivisibile perch la distinzione nelle tre classi va riportata a motivi di funzionalit e, peraltro, Platone attribuisce a tutte insieme, unendole, la sophrosyne. Quando Platone parla dell'ipotetica nascita della citt, riconosce che essa deve soddisfare i bisogni primari dei cittadini: Ora il primo e maggiore bisogno quello di provvedersi il nutrimento per sussistere e vivere. Senz'altro il

secondo quello di provvedersi l'abitazione, il terzo il vestito e simili cose. Qui nessuno pu bastare a se stesso (Rep. 369d).18 E questo pu aversi con un'armoniosa e organica comunit in cui agricoltori, costruttori, tessitori, calzolai e altri tecnici hanno un giusto e insostituibile posto in una comunit fondata sulla divisione del lavoro. Nel Protagora si presenta il mito di Prometeo, spesso ricordato nei dialoghi e ricorrente nella letteratura, lipotesi sulle origini delle tecniche. Il mito narra di un compito assegnato dagli dei a Epimeteo e Prometeo, quello di distribuire a tutti gli esseri viventi, e con regolarit, le forze naturali o requisiti istintuali prima che vengano al mondo. Epimeteo chiede e ottiene di assolvere da solo il compito, salvo la revisione di Prometeo. La distribuzione equa, appropriata al fine di assicurare la sopravvivenza di ogni specie; quando Epimeteo giunge all'uomo, per, si accorge di aver esaurito "i doni naturali". Prometeo, scoperto l'errore e vedendo l'uomo nudo, scalzo, inerme mentre il giorno della comparsa sulla terra era giunto, decide di rubare il fuoco e donarglielo. Cos l'uomo fu partecipe di divina sorte e in seguito usando l'arte, articol ben presto la voce in parole e invent case, vesti, calzari, giacigli e il nutrimento che ci d la terra {Prot. 322ab). Con Epime-teo l'uomo ancora terra; fango, materiato dei quattro elementi, vive in uno stato selvaggio, belluino, con Prometeo nato, invece, l'uomo vero, un essere che si giova della sapienza tecnica, di poteri artificiali e divini, ricompone nella sua natura anfibia animalit, arte, divinit. Non possiede, tuttavia, l'arte politica e Zeus, perch gli uomini potessero vivere raggruppati e quindi pi sicuri, per mezzo di Hermes fa loro apprendere la virt politica e il senso del giusto, arte che si pratica con il possesso del logos, ossia della parola. Le tre fasi, quella di Epimeteo, quella d Prometeo, quella di Zeus e Hermes rappresentano rispettivamente phu-sis, technai, nomos o arte politica. Questo dice la tradizione sulle tecniche, mescolanza di mito, realt, religione, logos.

In altri dialoghi esposta la metodologia dei tecnici: essi usano modelli eristici, adottano il procedimento per tentativi ed errori nella soluzione di problemi, nella realizzazione di artefatti. NellApologia si dice della loro notevole superiorit nelle conoscenze specifiche: Alla fine mi rivolsi agli artisti; tanto pi che dell'arte loro sapevo benissimo di non intendermi affatto, e quelli sapevo che gli avrei trovati intendenti di molte e belle cose. E non m'ingannai: che essi sapevano cose che io non sapevo, e in questo erano pi sapienti di me. Se non che, o cittadini di Atene, anche i bravi artefici notai che avevano lo stesso difetto dei poeti (Apol. 22cd) ignoranza e debolezza quando si occupavano d'altro. Per Platone questo sapere, particolare, specialistico, simile a quello del medico o del geometra ha, quindi, una sua efficace metodologia, ma ha bisogno di essere orientato perch non autosufficiente e autoriflessivo, fatto per esprimersi su oggetti, su altro da s, su altre cose, come leggiamo nel Carmide io non posso neppure affermare per certo che esista una scienza della scienza, n, nel caso che esista, posso ammettere che quella scienza sia la saggezza (Car. 169ab). La tecnica persegue fini pratici e se la conoscenza tecnica, incalza Socrate verso la fine del dialogo, non si coordina e indirizza alla ricerca del bene rischia di perdere ogni valore, o meglio resta ancorata a disvalori, a obiettivi parziali, si attesta su un piano di neutralit piatta e cieca. NellEutidemo trattato il problema dell'uso e non uso di strumenti, beni e tecniche. Chi possiede un bene e non lo usa come se non lo avesse; l'uso, comunque, deve essere corretto e pu esserlo solo a condizione che si realizzi l'unit di virt e scienza. Le tecniche sotto l'aspetto della produzione sono neutre, n buone, n cattive; sotto l'aspetto dell'uso devono dare "veri" vantaggi all'uomo. Di qui il motivo per cui Platone distingue due livelli di considerazione di una tecnica. Ogni tecnica da una parte tecnica di produzione o di acquisizione e ha come esito un oggetto prodotto o acquisito; d'altra parte essa anche tecnica di

uso di determinati strumenti per la produzione o acquisizione di un oggetto. 19 Per Platone decisivo il secondo aspetto, quello dellarte, l'uso dell'oggetto prodotto. Come la geometria, l'astronomia, l'aritmetica non producono niente dal nulla, bens scoprono realt gi esistenti e come i geometri, gli astronomi, i matematici in genere, nella concezione platonica, offrono ai dialettici le loro scoperte perch le usino, cos i tecnici devono ispirarsi alla dialettica per la migliore utilizzazione dei prodotti tecnici. La distinzione, il diverso valore delle tecniche d'uso da quelle di produzione ripreso anche nella Repubblica chi produce inferiore a chi usa il prodotto, per due motivi soprattutto: 1) perch i pregi dell'oggetto prodotto sono funzionali all'uso del prodotto stesso; 2) perch l'uso presuppone la conoscenza degli effetti possibili di un determinato prodotto e in tal senso condiziona la stessa produzione. L'uso, dunque, il parametro che istituisce una gerarchia fra le tecniche [...] vero che il primato dell'uso sulla produzione corrisponde, a un livello generalissimo, all'orizzonte schiavistico della cultura antica; ma occorre precisare la posizione specifica di Platone all'interno di tale orizzonte. Al riscontro della legittimazione dell'uso nel possesso Platone apporta una correzione fondamentale: l'uso legittimato non dal possesso, ma dal sapere. Chi usa deve disporre di un sapere maggiore di chi produce.20 Verso la conclusione della sua interpretazione Cambiano: Platone pi che richiamare i tecnici alla considerazione di queste zone di valori e disvalori, intende sottolineare che le tecniche artigianali da sole non risolvono la totalit dei problemi umani, perch richiedono l'integrazione di un'attivit che eserciti funzione normativa sulle aree che sfuggono alla loro competenza diretta. Possono i tecnici pensare? A Platone sembra quanto mai problematico che i tecnici diventino filosofi o che i filosofi diventino tecnici. L'attivit tecnica e specialistica distoglie necessariamente dal pensare, cos come il filosofare pu rendere estranei alla tecnica, al fare; ma non c' dubbio che il tecnico, nel momento in cui usa una

tecnica e non la produce, simile all'altro uomo, simile al filosofo. La confutazione, procedura discorsiva usata da Socrate in altri dialoghi, anche nel Gorgia mira a conseguire il transito dal piano della doxa al piano dell'episteme. Nella prima parte del dialogo, Gorgia presenta una definizione della retorica come arte del parlare, arte superiore a tutte le altre compresa la medicina; ma incalzato da Socrate perch ne dia una pi esauriente e chiara e dica esplicitamente qual la materia dei discorsi del retore, afferma che il bene pi grande per l'uomo la capacit di persuadere mediante discorsi in tribunale i giudici, nel bulenterio i consiglieri, nell'assemblea i cittadini riuniti, e cos in ogni altra riunione che abbia un carattere politico {Gor. 452c). Socrate replica che la retorica si muove a livello di pistis, e invece ci che rende valida un'arte o una tecnica il suo valore oggettivo, cio la sua base logica, la possibilit di mandare a effetto un progetto mentale in modo misurato e perfetto, allo stesso modo in cui il demiurgo plasma il mondo. La matematica e con essa la medicina e le altre arti sono scientifiche perch possono essere dimostrate e falsificate. La retorica vuole ottenere risultati provvisori ed emotivi, cerca soltanto di persuadere, non si espone o sottopone alla falsificazione. Per Gorgia il retore ha una posizione egemone rispetto agli altri tecnici; pur non possedendo una specifica competenza, mediante il linguaggio pu orientare il consenso. Per Socrate, invece, va accentuata la distinzione tra sapere e credere: E chiaro, dunque, che credenza e scienza non sono la stessa cosa (Gor. 454d) e la retorica artefice di una persuasione, atta a farci credere, ma non a istruirci sul giusto e l'ingiusto. La retorica non arte, bens pratica poich non ha nessuna razionale comprensione della natura delle cose cui si riferisce, in virt della qual comprensione possa, appunto, riferirsi; ecco perch non sa di ciascuna cosa indicare la causa (G or. 465a). C' un'importante differenza tra arte e pratica dicevo che tra i sistemi che preparano alla vita, ve ne sono alcuni che non hanno altro fine se non il piacere, e

solo a questo inteso ogni loro sforzo, senza conoscere affatto ci che sia meglio e ci che sia peggio, e altri che, invece, riconoscono il bene e il male (Gor. 500ab). Le arti, insomma, hanno maggiore consapevolezza della pratica. Per esempio Io dicevo che la culinaria non mi pare un'arte, ma una pratica, mentre la medicina s; giacch questa, la medicina, dei corpi che prende a curare ha gi studiato la natura, e sa il perch di ci che fa, e pu render conto d'ognuno dei suoi atti; laddove l'altra, che mira soltanto al piacere, va incontro a questo senza nessunissima arte; senza averne studiato n la natura n la causa, procedendo, per dir cos, addirittura alla cieca (Gor. 500e-501a). I tecnici, quindi, possono elevarsi, superare la materialit e meccanicit della loro pratica a condizione che la loro opera realizzi un ideale, muovendosi quasi in parallelo con la pi difficile e problematica cura dell'anima, perch l'anima umana, pur distinta dal corpo, ne segue in parte il destino, pu anch'essa macchiarsi o purificarsi. A Callide, che intende esaltare i meriti della retorica, definirli superiori alle altre arti, cos Socrate risponde:di regola il pilota non si da arie, sia pur salvandoci. E neppure, stupefacente amico, grandi arie si d il costruttore di macchine belliche, il quale pu talvolta salvare, non solo quanto il pilota, ma non meno dello stratega, non meno di qualunque altro; egli salva a volte intere comunit. E a te non sembra che sia al livello dell'oratore forense? Eppure, Callide, s'egli volesse magnifcare l'opera sua, come fate voi, vi sommergerebbe di parole [...] Ma tu disprezzi lui e la sua arte, e oltraggiosamente lo chiameresti 'costruttore di macchine' (Gor, 512bc) passo in cui pare che Platone voglia accennare al significato dispregiativo che si dava, si da ancora oggi, a ci che macchina, ossia macchinazione, artificio contro natura, ma per ribaltarlo, fare, invece, proprio della retorica una macchinazione, una pratica dell'artificio. Di qui l'insistenza sulla distinzione tra le arti, il voler separare empiria e tecnica, la prima esperienza incontrollata,

ammasso di episodi e casi non sorretti dal logos, la seconda (le tecniche) fornita di procedure mentali precise, regolate. concorde opinione che Platone, in questo dialogo, abbia cercato soprattutto di replicare al Gorgia sofista e scrittore che accomunava l'arte retorica alla medicina: Per Platone l'arte retorica di un Gorgia non un'arte genuina come la medicina, ma una pseudoarte, una sua contraffazione come lo la culinaria [...] L'analogia fra la persuasione esercitata dal retore e l'azione del medico quindi contestata per il fatto che l'arte medica, per essere tale non pu che avere un fine buono o positivo (il ristabilimento della salute) e lo ottiene con l'accettazione della verit, anche quando questa sia sgradevole al paziente (pu essere necessario assorbire una medicina amara o peggio); la persuasione retorica non soddisfa a questi requisiti della vera techn [...].22 Nel Filebo Platone si spinge avanti nella critica della teoria delle idee a vantaggio del mondo sensibile e della materialit, come elementi ineliminabili della ricerca scientifica, e nella difesa delle tecniche. Giunto ormai alla maturit ha abbandonato le tentazioni utopiche della Repubblica tanto da far dire a Socrate del sapiente privo di cognizioni pratiche Avr quest'uomo una scienza sufficiente, conoscendo il discorso che definisce il cerchio e la sfera in quanto tale divina, e non conoscendo la sfera della nostra conoscenza umana e questi cerchi qui e usando anche, nella costruzione delle case e nelle altre arti, di simili regoli e cerchi perfetti? (Fil. 62ab). Quest'uomo, ignorando le approssimazioni del sapere di cui fatta tutta la scienza umana e le tecniche, si troverebbe come colui che non sa trovare la strada di casa. Il filosofo non pu essere e non deve essere del tutto avulso dal mondo delle cose. L'ideale del sapere della Repubblica va, quindi, inteso in senso regolativo. A un'attenta lettura del Filebo, non sarebbe sfuggito che gi dalla fase iniziale del dialogo l'asse del discorso stato spostato su un diverso

registro: Un dono gli dei agli uomini, cos almeno mi pare, da un punto del cielo divino, un giorno sulla terra fu gettato, per mezzo di un Prometeo, insieme a un fuoco d'una chiarezza abbagliante e gli antichi (che erano pi valenti di noi e vivevano pi vicini agli dei) l'hanno tramandata questa rivelazione e cio che risultando dall'unit e dalla molteplicit le cose che sono, le cose che sempre sono state dette e saranno dette 'cose che sono', esse portano in s connaturato finito ed infinito (Fil. 16 ab). Qui il fuoco, la metafora del fuoco ha un diverso peso, vuol significare luce, capacit di vedere, tecnica del vedere le parti nel tutto, il molteplice nell'unit. Molteplice costituito da quattro principi fondamentali: l'illimitato, il limite, la mescolanza, la causa della mescolanza. L'uomo fatto per vivere una vita composita di senso e intelletto, di materia e spirito, di tecniche e dialettica. Le forme di conoscenza vanno classificate in funzione della loro fedelt ai modelli, quelle che hanno a che fare con la produzione delle cose, quelle che hanno a che fare con la cura dello spirito. Tra queste in una posizione mediana le matematiche, per esempio, come sostenuto in Rep. 526b, sono utili a tutti gli uomini, verso il basso e verso l'alto, ai tecnici e ai filosofi. La medicina, l'architettura, l'agricoltura, la nautica, la strategia, sono tecniche molto importanti e rispettabili. La tecnica delle costruzioni superiore perch si vale di parecchie misurazioni e di parecchi strumenti, resa la pi tecnica della maggior parte delle scienze da quelle cose che le procurano grande precisione, come? Riguardo alla costruzione di navi e a quella di edifici e in molte altre costruzioni di falegnameria. Infatti, credo, essa si serve di squadra, tornio, compasso, filo a piombo e di una morsa abilmente costruita. A sua volta, la matematica (Rep. 521-22) va suddivisa in matematica pratica o applicata e matematica pura, quella che usano i filosofi. Tra le arti e le tecniche, insomma, bisogna distinguere quelle pi rozze da quelle pi rigorose e pure; ma

come la molteplicit d vita all'uno cos le tecniche, le conoscenze inferiori hanno valore in un molteplice e unitario mondo culturale. Le tecniche se non possiedono o danno la somma verit, da sole possiedono adeguatamente verit parziali, saperi limitati. L'uomo ha bisogno anche di questi, della mescolanza, insieme di cognizioni, esperienze pure e impure, materiali e immateriali. Le argomentazioni sono tanto sentite che spingono Platone a riportare una delle pi complete classificazioni delle scienze in cui naturalmente hanno un posto rilevante le tecniche. Per quanto diversa da quella della Repubblica con essa non contrasta, solo chiarisce il pensiero platonico degli ultimi dialoghi. opportuno fare delle distinzioni, come spesso ha raccomandato durante tutta la sua opera. Nel caso della matematica, gi ricordato, E dici molto bene che non piccola la differenza tra coloro che si occupano del numero, cosicch logico che ci siano due aritmetiche. L'arte di misurare e calcolare dei tecnici non pu essere paragonata alla geometria dei filosofi, al calcolare astratto; anche in altre discipline sar opportuno distinguere la parte applicativa da quella teorica. E tuttavia tra le due non si pu tracciare una separazione invalicabile; le tecniche sono, pur nella distinzione, in linea di continuit con l'episteme, con i modelli, i valori. il dissidio tra divenire ed essere, tra la natura, l'universo e il logos che riappare. Ed ci che si avverte verso la fine del dialogo, laddove Socrate 'Vuoi tu che io, quasi come portinaio spinto e costretto dalla folla, vinto, spalancate le porte, lasci entrare tutte le scienze, lasci mescolarsi insieme alla pura quella pi impura di esse?' e Protarco che rappresenta la contraddizione dialettica di Socrate 'Io non so proprio, Socrate, quale danno patirebbe uno che, avendo le scienze superiori, acquistasse pure tutte le altre'. Al quale Socrate replica dicendo 'Devo permettere dunque che tutte corrano gi nel ricettacolo del "vallone della mescolanza" come molto poeticamente dice Omero? (Fil. 62).

G. Colli, nella sua ormai classica rivisitazione della sapienza greca, ha riportato una testimonianza che ben si addice al nostro discorso: Anche se la nascita della ragione improvvisa, pure quando si alza il velo del silenzio che nascondeva l'uomo misterico, il logos appare dapprima disarticolato. un sapiente, Eraclito di Efeso, che si proclama scopritore e possessore di una legge divina che incatena gli oggetti mutevoli dell'apparenza e lui stesso per primo assegna il nome di logos a questa legge. Esso la trama nascosta del dio che regge e sferza tutte le cose, ma coincide al tempo stesso con ildiscorso' di Eraclito, con le sue parole23 fugace descrizione della estraniazione da un sapere disarticolato alla legge. E poco pi avanti: Gli Efesii non vollero ascoltare il sapiente. Se gli uomini non prestano attenzione, bisogna rendere accessibile il 'discorso' agli dei. Viene usato un mezzo particolare di comunicazione, inconsueto nella sfera dei sapienti, la scrittura, e il logos, reso in tal modo visibile, viene dedicato ad Artemis, nel tempio di Efeso. Origine nobile di uno strumento espressivo destinato ben presto a tralignare (Fr 177, 179). La scrittura strumento ambiguo, innovativa tecnica della parola, nobilitata per i suoi requisiti di mimesis, soggetta al tempo stesso a deterioramento, era comparsa in Grecia poco dopo la met del VI secolo per i documenti pubblici, gli atti politici; quando il linguaggio dialettico fu portato nell'agor, all'et della sofistica divenne un problema. Colli vuole dirci che la scrittura, in Grecia, ha generato una falda, una differenza, uno spostamento linguistico, logico ed epistemologico, oltre che tecnologico. Ne consapevole Platone che prende posizione di fronte a questa "tecnica alta" di cui si dibatte tanto; anzi entra con forza nella polemica che si scatenata, come sappiamo da numerosi dialoghi. Nel Cratilo (393d), esaminando sia l'ipotesi naturalistica del linguaggio sia quella convenzionalista, aveva attribuito agli enti naturali "il primo linguaggio", a quelli prodigiosi e innaturali "il

secondo linguaggio", in seguito aveva rimesso in discussione tutto. Ora si tratta di decidere tra oralit e scrittura. J. Derrida ha sostenuto che solo una lettura superficiale dell'opera platonica, accreditata fino a qualche tempo, ha diffuso il convincimento che Platone condannasse l'arte dello scrivere. All'inizio del Fedro Socrate paragona a una droga (pharmakon) i testi scritti che Fedro ha portato con s. Questo pharmakon, questa 'medicina', questo filtro, insieme rimedio e veleno, vi introduce gi nel corpo del discorso con tutta la sua ambivalenza. Questo incanto, questa virt di affascinamento, questa potenza di sortilegio, possono essere, volta a volta, simultaneamente benefici e malefici. La condanna altrove pronunciata va attenuata: Fedro non ha imparato tutto a memoria e ha pensato di portarsi, quale supporto per parlare, sia pur tenendolo nascosto, lo scritto. Platone ha detto pi volte che la scrittura, privata della voce, segno senza vita, morto e insignificante grafema, una ripetizione senza sapere. Il logos, al contrario, uno zoon: descrivendo il logos come uno zoon, Platone segue certi retori e sofisti che, alla rigidezza cadaverica della scrittura, opposero prima di lui la parola viva, che si regola infallibilmente sulle necessit della situazione in atto, sulle attese e sulle richieste degli interlocutori presenti, che subodora i luoghi in cui deve prodursi che finge di piegarsi nel momento in cui si fa insieme persuasiva e costringente,25 ma ha fatto uso della scrittura. Pi avanti nella sua lettura, Derrida aggiunge ci che Platone prende di mira dunque nella sofistica non il ricorso alla memoria, bens, all'interno di un simile ricorso, la sostituzione del promemoria alla memoria viva, della protesi all'organo, la perversione che consiste nel sostituire a un membro una cosa,26 mentre il suo ideale sarebbe una memoria senza segno, un uomo perfetto, completo, autosufficiente con i mezzi che la natura vivente gli ha dato.

Il mito della nascita della scrittura, riportato alla fine del dialogo, racconta: Ho sentito narrare che a Naucrati d'Egitto dimorava uno dei vecchi dei del paese, il dio a cui sacro l'uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l'inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell'astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell'alfabeto (Fed. 274cd). Theuth nel presentare l'alfabeto al re sostiene che questa scienza render gli Egiziani pi sapienti e arricchir la loro memoria perch questa scoperta una medicina per la sapienza e la memoria. Ma il re non del tutto convinto e replica O ingegnosissimo Theuth, una cosa la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa giudicare qual grado di danno e di utilit esse posseggano per coloro che le useranno. E cos ora tu per benevolenza verso l'alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perch esso ingenerer oblio nelle anime di chi lo imparer; essi cesseranno di esercitarsi la memoria perch fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non pi dall'istinto di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei (Fed. 247e-275a). Ci che tu offri agli scolari apparenza di sapere perch crederanno di essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla. La scrittura pu, quindi, produrre l'effetto inverso di quello che Theuth le attribuisce, essere un farmakon nefasto perch estraneo alla natura vivente dell'uomo che pretende di soccorrere. Le impronte (tupoi) della scrittura non si iscrivono questa volta, come nell'ipotesi del Teeteto (191 sg) impresse nella cera dell'anima, rispondendo cos ai movimenti spontanei, autoctoni, della vita psichica. Sapendo che pu affidare o abbandonare i suoi pensieri al fuori, alla registrazione, alle tracce fsiche, spaziali e superficiali che si stendono su una tavoletta, colui che disporr della techn della scrittura si rimetter ad essa.27 Sapr che lo scritto lo rappresenter anche in sua assenza, che porter la sua parola, anche se lui non sar presente a dargli vitalit, anche se lui

sar morto, e per conseguenza tale uomo-tecnico eserciter meno la memoria, si render smemorato. Per la verit i sofisti, come Platone, hanno esortato a esercitare la memoria Ma era, l'abbiamo visto, per parlare senza sapere, per recitare senza giudizio, senza preoccuparsi della verit, per dare dei segni. O piuttosto per venderli. Per questa economia dei segni, i sofisti sono proprio uomini di scrittura nel momento in cui la negano. Ma non lo anche Platone, per un effetto di rovesciamento simmetrico?.28 L'esteriorit dell'alfabeto cui Thamus si riferisce la mobilit dei segni che possono essere incisi sulla pietra, sulla sabbia, su altri materiali. In quanto scritti comportano un salto tecnico, l'invenzione di un sistema di manipolazione di elementi, un parlare silenzioso, muto e morto e pertanto farmaco, rimedio e tecnica, artificio, apparenza di logos, ingannevole protesi, linguaggio differito. Ma ben altro significato ha la scelta platonica. Platone ha lasciato intendere che avrebbe voluto evitarsi l'uso della scrittura, ma non ha potuto. Come dopo la tormentata crisi sulla definizione dell'essere si deciso per il parricidio di Parmenide, cos ha tradito il suo maestro Socrate per la scrittura. Nel Teeteto, quando sembrava che si potesse mantenere l'unicit eleatica del logos, abbiamo assistito alla sua rottura, all'accettazione del suo dinamismo, del suo muoversi da soggetto a predicato, del suo intrecciarsi di determinazioni, di essere e linguaggio, di senso e pensiero. Derrida, accostando il parricidio di Parmenide alla scelta della scrittura, sostiene che la scrittura non solo tecnica, la condizione della dialettica dell'essere platonico, il raddoppiamento del logos, l'iterazione dell'uomo, destino epocale che riguarda l'uomo e l'universo. La scrittura la possibilit di parlare e di tacere, di venire alla luce e di nascondersi, evidenzia la "differenza originaria" del tutto, la struttura originaria dell'Essere. Platone stato indotto a scrivere perch non pu n di fatto, n di diritto spiegare

che cos' la dialettica senza ricorrere alla scrittura29 quantomeno, ci che appare sicuro, senza ricorrere a una tecnica. Seguendo altro percorso, rinforzi a tale lettura offre E. A. Havelock, che ricostruendo questi momenti significativi della storia della lingua greca dice: la sostituzione del presente atemporale 'che si trasforma in un presente logico', in luogo del 'presente immediato' o del passato o del futuro divent una preoccupazione dei filosofi pre-platonici, soprattutto di Parmenide. I suoi versi illustrano vivacemente la dinamica dell'associazione tra espressione orale ed espressione scritta cos come esistevano ai tempi suoi.30 Il discorso alfabetizzato consentiva un linguaggio nuovo ed enunciati nuovi. Platone, che scriveva in questo lungo e sofferto momento di transizione dall'oralit alla scrittura, mentre riafferma la naturalit e il primato della parola parlata e dell'ascolto, per lo scambio personale, usa la scrittura. La forma dialogica e parlata dei suoi scritti attesta tale scelta, che pu essere fatta perch l'alfabeto greco si avvicina in modo abbastanza esatto alla traduzione esauriente della lingua parlata o perch nel sistema linguistico greco le lettere rappresentano ciascuna isolatamente un suono della lingua, vocale o consonante che sia. Platone e i suoi contemporanei hanno compreso che la rappresentazione grafica esatta e fedele dei suoni umani con "lettere digitali", che possono essere manipolate e combinate in una sterminata variet secondo regole fonico-morfologico-sintattiche, innovativa. Basta soltanto un piccolo spostamento, cambio o scambio di scrittura per modificare il senso delle parole. Allo stesso tempo l'alfabetizzazione genera una svolta, un atto di astrazione: la non rappresentazione materiale della cosa o del referente conferisce un valore, come un significato al significante, maggiore di quanto gli era stato assegnato: il verbo essere del presente assume valenze logiche, epistemologiche, ontologiche.

Riportando, quindi, sul piano della variazione linguistica, ma anche storica e sociale, la novit Havelock parla di modifica degli schemi di pensiero e della visione del mondo nella Grecia del V secolo. La comunicazione umana veicolata acusticamente con l'impiego dell'orecchio e della bocca, con l'uso della scrittura coinvolse ancor pi la vita e la cultura. Apparentemente si trattava di registrare la parola parlata, di diminuire cos l'impiego della funzione mnemonica, ma in effetti ben altro avveniva; si costruiva il discorso orale in modo diverso con una sintassi descrittiva, con caratteri definitori concettuali. Una volta che l'uso di 'argomenti' per il discorso fu divenuta una consuetudine riconosciuta, crebbe la spinta in favore dei predicati, che dopo aver prima fornito una 'azione continuativa' potessero trasformarla in una 'condizione continuativa' ossia in una relazione. I 'dati di fatto' statici cominciarono a sostituire gli 'accadimenti' diacronici. Nel linguaggio della filosofia, l'essere' (come forma di sintassi) cominci a sostituire il 'divenire'.31 Se affiora qualche perplessit sull'interpretazione del fenomeno della scrittura proposta da Havelock, come apparentemente emergono riserve sulla

grammatologia derridiana per lapparente valore semi-ontologico attribuito alla scrittura, corretto nella produzione pi recente, certamente pi credibile appare la tesi sostenuta finora per cui la scrittura nel pensiero platonico va intesa come tecno-logia, tesi avanzata anche da alcune tesi di M. Vegetti quando ha scritto che Platone si decise per la scrittura per la fruibilit come modello; e precisamente per la capacit di alludere ancora una volta a una forma di sapere che non si smarriva sterilmente nella polarit uno-infinito, ma che sia in grado, attraverso il processo analitico di elementazione e numerazione degli stoichea e quello compositivo di aggregazione ordinata degli stoichea stessi, di muoversi nello spazio intermedio fra quella polarit, di passare da una concezione indifferenziata a una articolata e composita dell'unit (Phil. 18ab).32 La scrittura, veicolo del

logos, forma del sapere, strumento del pensiero post-parmenideo metaforizzato con la grammatik, entra, pertanto, nel gioco dialettico dei misti. Platone, diversamente da Parmenide, ha posto la dicotomia oralit-scrittura in un quadro pi ampio, il quadro delle scienze e delle tecniche, della dialettica e della morale, dell'uomo e dell'universo, del sapere e della virt, un quadro interdisciplinare paragonabile a un aggregato complesso, organico, differenziato in cui si snoda e prende consistenza la molteplicit.

NOTE
1)

L. Gernet, Antropologia della Grecia antica, a cura di R. Di Donato,

Mondadori, Milano 1983, p. 356; titolo originale dell'opera Antropologie de la Grce antique Libraire Franois Maspero, Paris 1968. Per un'introduzione al pensiero di Empedocle si veda W. Jaeger, Paideia, trad. it. di A. Setti voi. I, La Nuova Italia, Firenze 1954; titolo originale Die Fomung des griechischen Menschen, W. de Gruyter Berlin 1954.
2)

Ivi, p. 358. M. Vegetti, II coltello e lo stilo, II Saggiatore, Milano 1978 p. 24; in

3)

particolare i cap. I, II.


4) G. 5)

Cambiano, Platone e le tecniche, Einaudi, Torino 1971, p. 56.

M. Detienne, J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza, Universale Laterza,

Roma-Bari 1984, p. X, titolo originale Le ruses de l'intelligence-La metis des Grecs, Flammarion, Paris 1974.
6)

Prometeo incatenato, trad. it. di E. Madruzzato, in Il teatro greco, a cura di C.

Diano, Sansoni, Firenze 1980.


7)

M. Isnardi Parente, Techne, Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro,

La Nuova Italia, Firenze 1966, per un'analisi storico-semantica della techn.


8) J.

P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi Torino 1982, p. 274;

titolo originale Mythe et pense chez les Grecs. Etudes de psychologie historque Libraire Francois Maspero, Paris 1965.
9) Ivi, 10Ivi,

p. 277. p. 282.

11)

B. Gille, Storia delle tecniche, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 74; titolo

originale Histotre des techniques, Editions Gallimard, Paris 1978.


12)

Ivi, p. 75. G. A. Ferrari, Macchine e artifici in II sapere degli antichi, a cura di M.

13)

Vegetti, voi. II, Boringhieri, Torino 1985 p. 166.


14)

Ibidem. J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, cit., p. 280. Ibidem. Ivi, p. 281. Platone, Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1982-88, edizione da cui sono

15)

16)

17)

18)

tratti i passi platonici riportati. Per una guida al pensiero e all'opera platonica F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 1989. Va tenuto presente anche il citato W. Jaeger, Paideia, Firenze, oltre a A. E. Taylor, Plato. Th Man and bis Work, Methuen & Co. Ltd. London 1946; Plafone, trad. it. di M. Corsi, La Nuova Italia, Firenze 1968.
19)

G. Cambiano, Platone e le tecniche, cit. p. 159. M, p. 180. Ivi, p. 100. W. Leszi, Linguaggio e discorso in I1 sapere degli antichi, a cura di M.

20)

21)

22)

Vegetti, cit. p. 26.


23)

G. Colli, La sapienza greca, III Eradito, Adelphi, Milano 1980.

24)

J. Derrida, La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano 1985, p. 52; titolo

originale La pharmacia de Platon in La dissemination Editions du Seuil, Paris 1972. Sulla scelta platonica per il dialogo scritto vedi, tra l'altro, le pagine di P. Frjediander, Platone. Eidos, paideia, dialogos, La Nuova Italia, Firenze 1979.
25)

ivi, p. 61. Ivi, p. 91. Ivi, p. 87. Ivi, p. 95. Ibidem. E. A. Havelock, La musa impara a scrivere, Laterza, Roma-Bari 1987, p.

26)

27)

28)

29)

30)

133.
31)

Ivi, p. 131.

ORALIT, MANOSCRITTI, STAMPA

La stampa fa della lingua un segno che si allontana dal logos originario, si acconcia a un modo al sapere e saper fare nuovo, meccanicistico che ha nello spazio il suo elemento fondamentale. Nel Medioevo apparentemente sono posti gli stessi interrogativi: che significa parlare? Chi parla? Che significa scrivere? Perch scrivere? Carlo Magno, negli sforzi di istruzione personale e in quelli finalizzati a innalzare il livello degli studi delle sue popolazioni, fu ispirato, di certo, dal sentimento cristiano dei suoi doveri come monarca, dal credere che Dio gli avesse conferito il potere perch proteggesse la Chiesa e regolasse i costumi dei sudditi, avesse cura, cio, che si formassero nella fede. Uno dei suoi primi impegni programmatici fu quello di fare in modo che il clero fosse istruito al punto da poter, con la predicazione, addottrinare le genti. Si imponeva una missione di carattere religioso cui faceva da contrappeso il fine politico di uniformare e unificare, nell'ambito di una concezione barbarica e feudale del diritto e della societ, l'Impero. Bisognava lottare contro le sopravvivenze del paganesimo, ancora diffuso tra la popolazione incolta e bisognava contrapporsi alle infiltrazioni delle eresie, e per questo disporre di testi che fossero redatti secondo uno spirito unitario e universalistico. Se Cristo aveva usato soltanto il veicolo orale per comunicare, non per questo andava demonizzata la scrittura. La stessa tradizione biblica, accanto a pagine che insegnano una sapienza diversa da quella greca e un sapere che si conforma di pi all'ordine naturale, che si nutre del timore di Dio e poco si affida alle capacit

tecniche dell'uomo, riporta passi in cui si apprezzano le tecniche. La scrittura stimata dalla divinit. Nel libro di Giobbe il Signore rimprovera Giobbe per il suo ardimento, gli addita la possanza della Creazione di fronte alla fragilit umana; ma si presenta con lo scritto, consegna a Mos le tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte di Suo pugno. Offre, infine, da mangiare il rotolo di un libro coperto di parole divine sul diritto e sul rovescio al profeta Ezechiele che di esso nutre il proprio ventre. Il creatore spesso ha scelto la lettera scritta al posto dell'immagine, altro veicolo per offrirsi all'uomo. Lo Spirito continuer a parlare e a scrivere in tutte le lingue e in tutte le scritture mediante san Paolo e i padri della Chiesa. In ogni angolo del suo impero Carlo Magno promosse una politica orientata all'uso sistematico della scrittura. Il patrimonio culturale di alcuni popoli, affidato fino ad allora all'oralit, fu messo per iscritto; gli scrivani di palazzo dovettero redigere capitolari a carattere legislativo, norme per gli ispettori inviati nei diversi regni, promemoria per lo svolgimento delle assemblee; gli intendenti dei domini regi furono tenuti a presentare inventari, rapporti, conti per iscritto. Questa cura, assolutamente nuova, faceva seguito, come accennato, al convincimento che senza la scrittura l'ordine, la stabilit e la giustizia non potevano regnare nello stato; ma presupponeva l'esistenza di un certo numero di esperti, capaci di scrivere e di leggere quei testi, di interpretarli correttamente, di farne scrivere altri. Uomini del genere, pochi prima dell'et carolingia, non erano molti al tempo di Carlo, come pochi erano i libri circolanti. I magnifici manoscritti di questo periodo sono opere di lusso. Se si riflette al tempo che si perde a tracciarli in bella scrittura - la calligrafia , pi di quanto non sia la rotocalcografia ai nostri giorni, l'indice di un'epoca incolta in cui la richiesta di libri assai limitata - a ornarli splendidamente per la Reggia o per alcuni grandi laici ed

ecclesiastici si avr un'idea di quanto scarsa fosse la rapidit di circolazione dei libri.1 Eppure i monaci, ispirati dall'ora et labora benedettino, con alacrit scrivono negli scriptoria spingendo quasi meccanicamente la mano. Per loro importante l'applicazione con cui hanno lavorato, il tempo e le fatiche che hanno speso per scrivere, opera penitenziale e meritoria per il Paradiso, essi misurano dal numero delle pagine, delle righe, delle lettere, gli anni di purgatorio riscattati.2 Quando nel copiare commettono disattenzioni ed errori, che pur si registrano nelle condizioni dure e proibitive di immobilit e silenzio necessario per il buon andamento di uno scriptorium, ne danno la colpa al demone Titivillus. L'atmosfera dello scriptorium non certo lieta e confortevole, contrassegnata dalla rigida posizione seduta del corpo, dalla lettura personale in silenzio, introdotta a quanto pare da sant'Agostino e in uso presso molti monasteri. La sala piuttosto grande ove scrivono diversi amanuensi, diretta da un capo che distribuisce i compiti, spesso i monaci lavorano su un medesimo testo dandosi il cambio; i quinterni del testo da copiare sono distribuiti in modo che sia rispettata scrupolosamente la disposizione e che ogni scrivano termini la propria parte di fogli alla stessa parola. Il caposala sovrintende alle varie fasi della lavorazione, rivede e corregge i manoscritti, controlla l'uso del materiale adoperato. A volte l'amanuense si prende qualche pausa o distrazione, e scrive brevi note, in margine al manoscritto, originali, talvolta osceni e ambigui disegni, chiara manifestazione umorale di fronte alla pagina. Un singolare documento, databile verso la fine del secolo VIII, sintomatico di questa condizione, il cosiddetto indovinello veronese, rappresenta con metafora efficace, di sapore popolaresco, l'arte dello scrivere. Il testo, riportato sul recto di

un foglio di mano veronese pu essere, con lieve inversione iniziale, presentato: Boves se pareba / alba pratalia araba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba. E cos tradotto, ponendo a soggetto l'uomo che scrive spingeva avanti le dita, solcava i bianchi campi, teneva il bianco aratro, versava seme nero. La metafora, accostando il lavoro dei campi, le sue tecniche tra le prime inventate dall'uomo, alla tecnica della scrittura, ai suoi strumenti, ricalca, in contrasto e in complementarit, l'affinit semantica tra l'arare e l'exarare gi proposta da alcuni autori classici, riecheggia l'etimo di scrittura bustrofedica, da destra a sinistra e viceversa alla maniera dell'arare dei buoi (bous = bue e stroph = svolgimento). Pu anche significare, come ha proposto S. Freud, l'atto del coito per il fatto di lasciare scorrere del liquido da una canna sopra un pezzo di carta bianca. In modo pi esplicito riviviamo la fatica dello scrivere sfogliando altri documenti come il codice berlinese 270 del secolo IX della Lex Romana Visgothorum: O beatissime lector, lava manus tuas et sic librum adprehende: leniter folia turna, longe a littera digito pone, quia, qui nescit scrivere putat hoc esse nullum laborem. O quam gravis est scriptura! Oculus gravat, renus frangit simul et omnia membra contristai. Tria digita scribunt, totum corpus laborat. Quia sicut nauta desiderai venire ad proprium portum, ita et scriptor ad ultimum versum. / O felicissimo lettore, lava le tue mani e cos prendi in mano il libro, volta le pagine con garbo, tieni le dita lontane dalla scrittura perch chi non sa scrivere crede che non sia questa alcuna fatica. Quanto faticosa la scrittura! Affatica gli occhi, e insieme spezza la schiena e fa dolere tutte le membra. Tre dita scrivono; tutto il corpo si travaglia. Perch come il navigante brama giungere al proprio porto, cos lo scrittore all'ultima riga.3 Lo scenario dell'arte della scrittura alla met del secolo VIII pi completo ricordando che si adoperavano scritture elaboratissime e pesanti: la capitale,

insieme di maiuscole accuratamente tracciate con accentuazione dei tratti sia grossi che sottili e l'onciale, anch'essa costituita da maiuscole ma caratterizzata dalle aste e dalle code che oltrepassavano due linee tracciate sopra e sotto il corpo delle lettere. Gli amanuensi preferivano usare delle scritture corsive e maiuscole, con numerose legature che evitavano di sollevare la mano fra una lettera e l'altra. Tra le scritture quella usata per copiare una Bibbia durante i primi anni del regno di Carlo Magno presenta gi molti dei caratteri della scrittura carolina. Compir la sua formazione a San Martino di Tours sotto l'influenza di Alcuino e il suo allievo Fradegiso. Da Tours si diffonder in tutto l'Impero. Nel Basso Medioevo il progresso tecnico assicura una produzione materiale di migliore qualit in molti settori dell'economia, una crescita dell'alfabetizzazione, con un numero maggiore di persone che sanno leggere e scrivere, un aumento della produzione, consumo e conservazione di documenti scritti e letterari. La rinascita borghese e commerciale, la notevole richiesta di oggetti domestici e di arredamento, la pi attenta conoscenza della vita privata e quotidiana nei suoi aspetti oltre che spirituali anche materiali, la pratica del calcolo e della contabilit nell'amministrazione e nel commercio, la sollecitazione di pi ordinata e razionale quantificazione delle merci, richiedono un aumento di alfabetizzazione. La lettura e osservazione della natura (vedi la scoperta della prospettiva) dettagliata, puntuale che porta a intravedere alcuni fondamentali princpi fisici nella realt, la stessa rappresentazione del mondo con mappe che si perfezionano a mano a mano che avvengono le scoperte geografiche, la maggior diffusione di documenti scritti sia in latino, lingua dotta europea, sia nelle lingue moderne, sono emergenze significative. Nella fase iniziale, la cristianizzazione si era giovata totalmente del veicolo orale; in seguito aveva adoperato la scrittura moltiplicando la scrittura di bibbie, di

commenti alle sacre scritture, di testi a mezzo della copiatura eseguita negli scriptoria. Le trasformazioni della societ e la nascita delle universit consentono anche ai laici di accedere al grande circuito della comunicazione scritta e letteraria, per quanto nell'esame di questa fenomenologia sia consigliabile procedere con cautela. Non va dimenticato che il Medioevo resta per la lingua contrassegnato dalla parola parlata. La Chiesa come istituzione religiosa e culturale forma e informa, educa e comunica con la parola del clero, le cui prediche e narrazioni sono svolte oralmente e si possono tramandare per lungo tempo in questa forma fin quando non saranno riportate per iscritto. La scrittura solo in tempi successivi riuscir a bilanciare quasi l'area dell'oralit in un equilibrio di uso e fortuna dei due veicoli, di interazione reciproca in una convivenza e divisione dei compiti. Mentre la richiesta di un maggior numero di manoscritti aumenta, i tempi di riproduzione, con accorgimenti dettati dalla pratica, si riducono. L'insieme dei fattori umani e tecnici coinvolti si fa pi complesso, si definiscono e razionalizzano le tecniche del corpo, la posizione e i gesti di chi scrive, l'attrezzatura, il calamaio, calamo e inchiostri, gli aspetti economici, il prezzo delle pergamene e dei libri. Se il copista medievale poteva essere semianalfabeta, operando di fatto come amanuense in luoghi circoscritti e chiusi, l'intellettuale urbano del XII secolo sente di essere un cittadino, un uomo che svolge un mestiere paragonabile ad altri praticati nella citt.4 Ars est recta ractio factibilium dice san Tommaso, giudicando arte qualsiasi attivit razionale dello spirito applicata alla fabbricazione di strumenti, sia materiali che intellettuali. Tecnica intelligente del fare il significato etimologico attribuito alle arti liberali, intese come attivit umana regolata da accorgimenti tecnici e fondata sullo studio e sull"'esperienza"

scrive B. Latini. Arti, appunto, perch uniscono alla produzione materiale la conoscenza, il sapere teorico. Il sapiente delle universit, il magister, ha qualcosa dell'artigiano e del mercante, egli ha bisogno di unadeguata strumentazione che non appartiene pi al monastero, che deve essere di propriet personale; egli usa e scrive libri che cerca di vendere. * Francesco Petrarca, poeta, scrittore e anche copista, sapeva che la scrittura a mano poteva essere chiara, nitida, bella ma anche sciatta, piccola, illeggibile per vizi di scrittura che si andavano diffondendo al suo tempo e che egli non tollerava. Appassionato bibliofilo, dedic gran parte della sua vita a mettere insieme una raccolta di libri, acquistati o copiati di propria mano. Aveva maturato un ideale umanistico di vita, una concezione e una scienza dell'uomo che gli consentivano, con l'ausilio della sua fine sensibilit, di scoprire nella grafia un temperamento, il segno dei tempi. Per lui la lettera ben scritta comunica in modo pi naturale e pieno il senso delle parole, esprime meglio l'humanitas che cerc di conseguire per tutta la vita. Se, come si ricava da alcuni scritti, Petrarca contrappose la poesia alle vili arti meccaniche pur vero che apprezz le tecniche quando raffinate e usate con umanistica misura. In una lettera al fratello Gherardo, in cui comunica di avergli inviato un suo testo personale delle Confessioni dice che i difetti dei codici del suo tempo sono dovuti soprattutto alla pratica artigianale e meccanica della produzione del libro: alcuni preparano la pergamena, altri scrivono i libri, altri li correggono, altri li illustrano e infine altri ancora li legano e ne adornano la superficie esterna. Non calcem temperat architectus, sed iubet ut temperetur; non gladios acuit dux belli, non magister navis malum dedolat aut remos, non tabulas Apelles, non ebur Policletus, non Phidias marmora secabat; plebei suum opus

ingenii est preparare quod nobile consumet ingenium. Sic apud nos alii membranas radunt, alii libros scribunt, alii corrigunt, alii ut vulgari verbo utar, illuminant, alii ligant et superficiem comunt; generosum ingenium altius aspirat humiliora pretervolans.5 Nel dialogo De librorum copia, inserito nel De remediis utriusque fortunae, usa toni polemici verso la sua et cos indifferente alle lettere, ancora rozza e superficiale nella produzione e confezione dei libri. I copisti sono privi di alcuna relazione affettiva, di alcun rapporto intimo e simpatetico con gli incunaboli; tra penna e testo, invenzione e forma grafica sono portati a instaurare una certa estraneit, accentuano la differenza tra linguaggio e scrittura. Si preoccup che i suoi libri fossero belli esteriormente, scritti con eleganza, adorni di ricche miniature, ma soprattutto li desider quanto pi corretti nel testo; si adoper a trovare copisti abili e intelligenti, tra questi il preferito Giovanni Malpaghini, e molte pagine egli stesso trascrisse con perizia di calligrafo e di erudito; collazion i testi che gli capitarono nelle mani per migliorarli; arricch i suoi manoscritti di frequenti postille. Nella lettera a Giovanni dall'Incisa6 lo scrittore confessa quella che lui stesso chiama una malattia: Expectas audire morbi genus? libris satiari nequeo [...] Quinimo, singulare quiddam in libris est: aurum, argentum, gemme purpurea vestis, marmorea domus cultus ager, picte tabule, phaleratur sonipes, cetera que id genus, mutam habent et superficiarum voluptatem; libris medullitas delectant, colloqueretur [...]; i libri racchiudono una grande umanit, secoli di umanit. Verso la fine chiede all'amico che faccia cercare altri libri, vada di persona a frugare negli scaffali dei monasteri. Tra i diversi tipi di caratteri fa cadere la sua scelta sulla minuscola carolina per la semplicit, la chiarezza e correttezza ortografica che ne consentiranno, poi, il successo. Non possono lasciarci indifferenti i suoi giudizi e le sue opinioni perch

sono ben motivati, sono pronunciati da un letterato che anche uno scriba, che ha provato piacere nello scrivere, che lo ha fatto fino agli ultimi istanti della sua vita. Se il Petrarca fu il testimone forse pi attento di questo stato di crisi, saranno alcuni suoi ammiratori e discepoli, sar soprattutto Poggio Bracciolini a compiere la svolta nella scrittura medievale. La minuscola carolina che per il Petrarca aveva rappresentato soltanto un ideale punto di riferimento, quasi il lontano modello cui avvicinare la scrittura del suo tempo, divenne per Poggio, con l'abolizione di ogni divario cronologico, una scrittura viva, anzi l'unica scrittura degna di essere adoperata in campo librario, nello stesso aspetto che le avevano conferito gli scribi di tre o quattro secoli prima.7 Scelta, poi, dagli stampatori di tutta Europa, sar la scrittura principe fino ai nostri giorni, sar usata per i vari formati e tipi di libro. Una istruttiva e utile classificazione tipologica dei libri medievali ci d A. Petrucci: I. Il libro scolastico, prodotto in ambiente universitario, le cui caratteristiche principali sono il grande formato (in folio massimo per intederci) la disposizione del testo su due colonne, la presenza di grandi margini esterni e inferiori [...] le ornamentazioni di gusto gotico,8 libro che pu essere chiamato libro da banco. 2. Il libro umanistico, di formato medio o piccolo (in folio o in quarto) di scrittura e ornamentazione ispirate a modelli tardo carolini, con il testo disposto a piena pagina [,..].9 Infine 3. Il libro 'popolare', prodotto in ambiente privato, da scribi non professionisti, ma occasionali [...] Si tratta in genere di un libro di formato piccolo, per lo pi cartaceo, di aspetto trascurato.10 Il libro che possiamo chiamare da bisaccia, quale la sacca del frate, del mercante, dell'artigiano, eccetera. La stampa era praticata da tempi remoti, in Occidente, per la produzione di oggetti di largo uso e consumo: sigilli regi, punzoni adoperati dagli orafi e dagli argentieri per imprimere marchi e sigilli per anelli. Da tempo era diffusa la

stampa a clich applicabile alla scrittura cinese, costituita da un gran numero di ideogrammi, ma poco funzionale per la scrittura alfabetica adottata in Occidente. Nel Trecento era diffusa la silografia, stampa per matrici in legno o metallo di immagini e disegni. Ma il libro stampato non fu una conseguenza della silografia come potrebbe credersi, i caratteri mobili di Gutemberg nascono in botteghe dove si lavora il metallo. Certo, data la tecnologia occorrente, la stampa avrebbe potuto affermarsi anche un secolo prima, quando dalla Cina, per il tramite degli arabi, la carta entr in Europa e la citt di Fabriano per prima produsse carta con la tecnica dei cinesi. La carta si fa preferire perch liscia e molto meno costosa, ma con la carta si chiedeva altro: un diverso inchiostro, un adeguamento del principio del torchio, la soluzione del problema dei caratteri, che fossero poco costosi e nello stesso tempo precisi. La mente va ai caratteri mobili, subito pensiamo ai caratteri mobili. Per fabbricarli bisognava incidere un punzone di metallo duro, procedere all'esecuzione di una matrice, battendo con precisione il punzone su un blocco di metallo meno duro, e con questa matrice, infine, fondere dei caratteri fatti di una lega metallica adatta: operazioni queste che spiegano perch la nuova arte si afferm, nella cerchia degli orefici, a met del Quattrocento.11 Come direbbe il citato Gille, la stampa si ha operando un transfert tecnologico, utilizzando tecniche incrociate di altre arti quali l'oreficeria e l'industria vinicola con i suoi caratteristici torchi. Ma, cosa pi importante, la stampa appare come la prima invenzione industriale per l'interscambiabilit dei pezzi (stampi) e la produzione in serie; si conforma a leggi di economia meccanica, guadagnare spazio e tempo mediante l'abbreviazione. Lo storico G. Sarton la definir la pi grande invenzione del Rinascimento, l'altra faccia dell'Umanesimo, F. Bacone la

porr accanto alla bussola e alla polvere da sparo tra le maggiori invenzioni del suo tempo. A Giovanni Gutemberg spetta, dunque, il merito di aver stampato i primi libri; fu lui che risolse i problemi che impedivano la realizzazione della stampa. Invece di cercare di formare degli stampi per un'intera pagina o anche per un'intera parola, pens di preparare stampi per ciascuna lettera, per ogni segno di punteggiatura o grafico. Ognuno di questi piccoli stampi doveva essere fabbricato in molte copie e ogni stampo o carattere doveva essere collocato in un'apposita scatola. Lo stampatore, per preparare una pagina di stampa, doveva scegliere i caratteri necessari a comporre la serie delle parole, incastonarli in un compositoio e quando la pagina era compiuta fissarli saldamente. Dopo non restava che spalmare d'inchiostro i caratteri e premerli contro un foglio di carta. Cos si aveva la prima di tante pagine uguali stampate. Successivamente i caratteri mobili andavano riposti in una scatola e poi riutilizzati per la stampa di un'altra pagina e via di seguito. L'intelligenza, la sagacia e la destrezza di Gutemberg riescono a risolvere altri problemi tecnici: lo stampo, su cui verranno incise le lettere per mezzo di un punzone d'acciaio, l'inchiostro adatto, il tampone per l'inchiostro, l'adeguamento del torchio. Ma la scoperta della stampa ha altri significati. Il rimando, alternativamente, del linguaggio dall'oralit alla scrittura, alla stampa interpretato da M. Foucault in questo modo: La stampa, l'arrivo in Europa dei manoscritti orientali, la comparsa di una letteratura che non era pi fatta per la voce e la rappresentazione n ordinata da esse, il privilegio accordato all'interpretazione dei testi religiosi piuttosto che alla tradizione e al magistero della chiesa, tutto questo testimonia, senza che possano sceverarsene gli affetti dalle cause del posto fondamentale

preso, in Occidente, dalla scrittura. Il linguaggio ha ormai come natura prima la qualit d'esser scritto.12 E ancora pi avanti, marcando una certa ambivalenza dell'uomo del Cinquecento verso la natura e la scrittura o le scritture, questo primato dello scritto spiega la presenza gemella di due forme che sono indissociabili nel sapere del XVI secolo nonostante la loro contraddizione apparente. Si tratta anzitutto della distinzione tra ci che veduto e ci che letto, tra l'osservato e il riferito, della costituzione quindi d'una falda unica e liscia sulla quale sguardo e linguaggio si intersecano all'infinito.13 in corso una svolta, una modificazione del rapporto uomo/natura, uomo/linguaggio, sapere/potere che mette in crisi l'inerenza reciproca di mondo e di linguaggio. Il vedere si dissocia dall'udire, non a caso Cristoforo Colombo ha voluto "vedere di persona" un altro continente pi che accontentarsi della narrazione; in corso una svolta che impone modificazioni delle funzioni dei sensi, una metamorfosi dell'agire. Se ne rendono conto Leon Battista Alberti, Leonardo, il gi citato Bacone, intellettuali e filosofi, scienziati e uomini di cultura. Nel caso della stampa evidentemente presente la transizione da una tecnologia a unaltra, che non un'evoluzione dalla prima alla seconda, ma , invece, una ricostruzione di un insieme strutturato di tecniche che si attua su nuove basi. Gutemberg ha posto, definito e risolto il suo problema da tecno-logo assimilando e confrontando tecniche vecchie e nuove, operando una vera e propria traslazione. Nel Medioevo la forma di similitudine, detta analogia, non pu dar vita, in una sua versione, alla metamorfosi; il torchio del vino ora viene ad essere il torchio della stamperia, il vegetale una bestia con la testa in gi, la pianta un animale

specifico (uccello) dicono scienziati e anatomisti del tempo quali Cesalpino, Aldrovandi, Gianbattista della Porta. La tecnica della stampa, quindi, va situata in uno spettro concettuale dal grafismo alla parola, dalla parola al grafismo, perch il linguaggio negli animali e nelle piante, e la stampa ne la sua "forma ultima" e pi efficace. Alcuni decenni pi tardi, nel pieno dell'Et Moderna, Galileo dir di ispirarsi al libro della natura, scritto da Dio in caratteri matematici, libro prodotto meccanicamente a stampa, che spiega meglio la relazione tra linguaggio e cose in uno spazio comune, nuovo, universale. M. Foucault, pi esplicitamente di Galileo, affermer che lo scritto ha preceduto il parlato, che i suoni della voce sono traduzione dalla scrittura, che la stampa nelle cose; costituisce i pi reconditi anfratti di ci che egli chiama "episteme archeologica". Si danno anche pareri contrari ai difensori della stampa, controcorrente, di fiducia nella scrittura a mano, e sotto certi aspetti motivati, come quello del dotto "conservatore" abate Joannis Trithemius, esperto di greco, latino, ebraico, discepolo del mago e cabalista G. Reuchlin che scrive nel 1492, trent'anni dopo la scoperta della stampa, un'esortazione dal titolo De laude scriptorum.14 Lo scopo del breve scritto anticipato nella lettera dedicatoria fratres ad amorem scriptum incitare" ed esplicitato sin dall'inizio con l'argomento che la scrittura preserva i fatti e i pensieri dall'oblio e gli scrittori virtutem dant verbis memoriam rebus vigorem temporibus [...] si scriptum defecerit dispergetur populus devotio extingueretur pax catholicae unitatis confusa turbabitur. La scrittura tecnica degna ed elevata, nobilitata dai greci Pisistrato, Alessandro,

Tolomeo Filadelfo e lo stesso Platone, poi dai padri cristiani Ambrogio, Origene, Agostino e infine intellettuali quali Cassiodoro, Beda, Alcuino, Rabano Mauro. Per Trithemius, come si vede, vale la tradizione; confortato da questa pu esortare alla scrittura devota, a una fatica che rientra a buon diritto nel laborare dell'ordine benedettino cui appartiene. Nel capitolo VII, specificamente dedicato alla stampa (ars impressoria), con energia difende la scrittura a mano sottolineando quanta la differenza tra questa e la stampa Scriptura enim, si membranis imponitur ad mille annos poterit perdurare impressura autem cur res papyrea fit quam diu subsistet? sarebbe gi troppo se un volume stampato durasse duecento anni a causa del materiale su cui scritto! Laddove sembra che l'abate non metta tanto in discussione la macchina, che certo conosceva benissimo essendo conterraneo di Gutemberg, quanto la durata del prodotto stampato e aggiunge che lo scrittore a mano ha il dovere di continuare il suo lavoro, anzi l'obbligo di ricopiare i libri stampati, di sicuro valore, il cui contenuto sar cos tramandato per un tempo pi lungo. Salvato cio dalla rovina. Tesi non del tutto fondata che pu ritenersi piuttosto espediente ad hoc per mantenere ancora in vita la vecchia arte, modo di reagire alla tecnica emergente. Platone ha esitato tra oralit e scrittura, ma stato bimediale, riportando il dilemma nell'ampiezza del suo sistema ontologico ed epistemologico; Trithemius non Platone, e nemmeno Gutemberg, non pensa la stampa da tecnologo, la giudica da teologo e uomo di fede. convinto che la scoperta della stampa non ha falsificato la scrittura a mano; anzi, a tempo lungo, gi la fine del XV secolo, la stampa, a suo avviso, potrebbe essere superata, essere obsoleta. Qualche decennio dopo l'et di Gutemberg, in un contesto storico profondamente mutato, la "differenza" tra scrittura a mano e artificialiter scribere, dopo un

periodo di transizione, sar chiara. Lo dice la tipologia degli operatori tecnici, l'ambiente, le macchine, la posizione di lavoro. L'amanuense e il tipografo sono due figure diverse, la macchina fa s che all'amanuense subentri l'artigiano, alla posizione seduta si sostituisca quella prevalentemente ritta: Lavorando con le proprie mani, come gli altri operai, i tipografi sono lavoratori manuali ma anche 'intellettuali', perch sanno leggere e spesso sanno un po' di latino. Sempre in mezzo ai libri, in rapporto con gli autori, al corrente prima degli altri delle nuove idee, amano ragionare, spesso si ribellano contro la loro condizione. Gi nel XVI secolo organizzano scioperi di carattere moderno.15 Gli stessi autori, abbiamo visto Petrarca nel Medioevo, trattando della figura dello stampatore, affermano: Di norma deve saper leggere e scrivere e per solito i regolamenti prescrivono che conosca il latino e a volte leggere il greco.16 * Nel suo controverso libro La galassia Gutemberg M. McLuhan con argomentazioni psicologiche, sociologiche, storiche, filosofiche ha trattato della transizione dal manoscritto alla stampa accentuando la differenza tra le due tecniche, fermandosi tanto a considerare gli aspetti tecnici quanto a descrivere la condizione dell'utente del libro stampato. Ha ricordato che la cultura manoscritta intensamente audiotattile, al posto di un freddo distacco visivo il mondo del manoscritto sostituisce l'empatia e la partecipazione di tutti i sensi,17 pi umanistica, avrebbe detto Petrarca; con la stampa, invece, aumentata fortemente la componente visiva a danno dell'orecchio, della parola parlata. Se durante il Medioevo, al pari dell'antichit, si leggeva ad alta voce e con le labbra si seguivano i ritmi dell'oralit, con la stampa

la voce tacque e l'occhio fu molto pi veloce, alla lettura acustica segu la visione e un modo diverso per giungere al cervello. Al primo apparire della stampa si ebbe, quindi, la sensazione che si era prodotta una limitazione e/o una modificazione morfologica nell'essere umano. Seguendo reminiscenze platoniche, a dire il vero piuttosto labili, e facendo analogie discutibili M. McLuhan aggiunge: La differenza tra l'uomo di una cultura a stampa e quello di una cultura amanuense quasi altrettanto grande di quella che vi tra un non letterato e un letterato. Le componenti della tecnologia di Gutemberg non erano nuove. Ma quando furono messe una accanto all'altra nel secolo XV vi fu un'accelerazione di azioni sociali e individuali corrispondente a un decollo18 ; si determin una grande trasformazione. Ci che soprattutto M. McLuhan ha cercato di approfondire sono le fasi transitorie tra un'epoca e l'altra. Il Rinascimento del secolo XVI ha opposto a una millenaria cultura alfabetica e manoscritta la cultura della ripetibilit e quantificazione, che con il libro stampato provoc notevoli effetti. Poteva un libro, che veniva letto rapidamente e addirittura in silenzio, prendere il posto di un altro che veniva letto ad alta voce? Potevano gli studenti formati su questi libri stampati essere all'altezza degli abili oratori e dialettici prodotti con mezzi manoscritti? S, per quanto strano e ripugnante possa sembrare, la nuova macchina didattica consente agli studenti di imparare almeno quanto prima.19 La transizione fu possibile perch le due tecniche avevano rapporti di interfaccia per l'incontro e per la metamorfosi delle strutture di due tecnologie. Il successo della stampa conforta la razionalit matematica e numerica, con essa pu essere meglio illustrata o si pu giustificare e rendere credibile l'immagine offerta da Galileo di un libro della natura che in quanto copia meccanicomatematica della realt un libro stampato, un libro grammaticalmente e

sintatticamente rigoroso. Ma ancor pi, con l'avvento della stampa, il linguaggio non il contrassegno delle cose, invece lo strumento della manipolazione e della mobilit, il linguaggio della macchina in un universo macchina. L'accentuazione del divario, della differenza tra cultura orale e cultura scritta, sostenuta da M. McLuhan, tuttavia pu essere fuorviante. Osserva E. Eisenstein che non facile immaginare come un manoscritto appariva agli occhi di uno studioso amanuense che aveva da consultare una sola versione trascritta a mano e nessuna indicazione certa sul luogo o data di composizione, titolo e autore.20 La ricostruzione del passaggio dal manoscritto alla stampa, pertanto, non poi cos lineare come possa credersi. Sulla condizione di lavoro dell'amanuense abbiamo ricordato l'indovinello veronese, qualche scritto del Petrarca, ma il significato profondo della scrittura a mano e di quella a stampa potrebbe sfuggirci. La scrittura a mano pu essere considerata una forma intermedia tra oralit e stampa. Nella misura in cui era la dettatura a dirigere la copiatura negli scriptoria e le composizioni letterarie erano 'pubblicate' leggendole a voce alta, anche la cultura 'dei libri' era governata dalla parola parlata, producendo un'ibrida cultura mezzo orale e mezzo scritta che oggi non trova un parallelo preciso.21 E tuttavia al di l degli elementi mediani che attutiscono il cambiamento, la differenza tra l'ultimo secolo degli amanuensi e il primo dopo Gutemberg appare netta, descrive una scena diversa. La stampa veramente un'invenzione industriale, forse la prima vera, con l'interscambiabilit dei pezzi e la produzione in serie, la prima che rivoluziona la produzione e la vendita del prodotto. La galassia Gutemberg, secondo M. McLuhan, si dissolve nel 1905 con lo spazio curvo di Einstein. Lo spazio o il silenzio, che nell'universo newtoniano un semplice vuoto che pu essere riempito, una pagina bianca su cui si stampano le

lettere, per Einstein uno degli attori della scena. Il grande scienziato, mettendo in discussione le relazioni spazio- temporali newtoniane, postulando il principio della relativit e con esso quello della costanza della velocit della luce, definiva un nuovo concetto di simultaneit. La simultaneit non una propriet assoluta che riguarda due eventi, le dimensioni spazio-temporali implicano altrettanto decisamente il rapporto degli eventi con l'osservatore. Successivamente, con il principio di indeterminazione di Heisemberg alla variazione di significato dei concetti classici di spazio e tempo, distanza e simultaneit, oggetto e soggetto, identit e ripetibilit si unisce la progressiva perdita dei significati tradizionali di posizione e di velocit, dato che questi riguardano grandezze fisiche rilevabili indipendentemente l'una dall'altra. Oggetto della ricerca scientifica non pi la natura in s, bens la natura subordinata al modo umano di interpretarla. La relazione causa-effetto stata smentita ancora una volta; si capito che deriva dalla capacit associativa della mente umana. Nell'era telematica e/o informatica altre componenti, altri spazi e tempi entrano in gioco, tutti concorrenti con l'osservatore, con chi scrive e legge, parla e ascolta per realizzare altro tipo di comunicazione, altri contesti comunicativi, altre tecnologie della comunicazione.

NOTE
1)J. 2)

Le Goff, L'intellettuale nel Medio Evo, Mondadori, Milano 1989, p. 11.

Ibidem. A. Roncaglia, Le origini e il Duecento, in Storia della letteratura italiana, vol.

3)

I, Garzanti, Milano 1965, p. 175. Per un approccio antropologico e sociologico sulla compresenza di oralit e scrittura in diverse civilt alfabetizzate si legga R. Finnegan, La fine di Gutemberg, Sansoni Editore, Firenze 1990; titolo originale Literacy and Orality, Basil Blacwell Ltd, Oxford 1988.
4)

Le Goff, L'uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1987, opera in cui M.

Fumagalli Beonio Brocchieri, trattando dell'intellettuale medievale, accentua la diversit tra le attivit manuali e quelle intellettuali, pp. 202-233.
5)

F. Petrarca, familiares XVIII, 5 Argalia Editrice, Urbino 1960. Ivi, I, 1. A. Petrucci, Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento. Laterza, Roma-Bari,

6)

7)

1979, p. 29.
8)

Ivi, p. 141. Ivi. Ivi, p. 142. L. Febvre, H. J. Martin, La nascita del libro, Laterza, Bari 1977, p. 12.

9)

10)

11)

12)

M. Foucault, Le parole e le cose. Unarcheologia delle scienze umane, BUR,

Milano 1978, p. 53. Titolo originale Les mots et les choses, Editions Gallimard, Paris 1966.
13)

Ivi. Joannis Trithemi opera et spiritualis quotquot vel olim typis expressa vel M.

14)

SS reperiri potuerunt, a cura di Johannes Busaens, Mainz 1604/1605, Biblioteca Nazionale di Napoli.
15)

L. Febvre-H. J. Martin, La nascita del libro, cit., p. 155. Ivi. M. McLuhan, La galassia Gutemberg, Armando Editore, Roma, 1976, p. 55. Ivi, p. 132. Ivi, p. 199. E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, II Mulino, Bologna 1986, p. 25. Ivi, pp. 25-26.

16)

17)

18)

19)

20)

21)

DALLA SEINFRAGE ALLA FRAGE NACH DER TECHNIK

L'essenza della tecnica si situa in ci che sin dall'inizio e prima di ogni altra cosa d da pensare. Per questo motivo sarebbe consigliabile per il momento parlare e scrivere di meno sulla tecnica e ripensare di pi alla sua essenza, per trovare finalmente una via che ci conduca ad essa. M. Heidegger, Che cosa significa pensare.

La svolta metafisica, il problema della verit, il linguaggio, la questione della tecnica. M. Heidegger ha riportato la riflessione del nostro tempo ai moduli greci di pensare con un'accurata e profonda indagine, a misura epocale, tesa a indagare radicalmente pi di duemila anni di civilt. Come epoca della tecnica, la nostra, nella speculazione heideggeriana, appare l'estremo esito della storia, l'ultimo atto della scena metafisica. Pensare la tecnica, oggi, l'unico modo per riportare l'umanit a prendere coscienza del proprio destino, a intendere il senso della vita e della morte, ad aprirsi all'Essere e alla Verit. Si tratta di un pensare che analizza lo svolgersi dell'Essere come totalit, compresenza di fusis-logos-techn, da un massimo di rivelazione, contrassegnata da un minimo di occultamento, alla svolta metafisica e alla metafisica della tecnica, massimo di occultamento, appena interrotto da un esile filo di luce. A partire da Platone, l'Umanesimo ha effettuato la separazione dell'ente dal suo naturale fondamento (l'Essere) per affidarsi all'uomo che, situatosi nel mezzo dell'ente, ne ha ridotto la totalit a sua rappresentazione. Da Platone, quindi, la

verit dell'Essere come mondeggiare del mondo, come disvelamento dal nulla perduta, si sottrae ed abbandonata a favore dell'ente; da Platone si iniziato il cammino della metafisica nel nascondimento e oblio dell'Essere, nascondimento e oblio pi evidente nell'ovviet del linguaggio quotidiano. In Et Moderna, la riproposizione in grande stile della svolta metafisica attribuita a Cartesio, primo grande ideatore dell'obiettivismo scientifico e Galileo, grande matematizzatore della natura, per aver compiuto la traduzione del mondo in immagine, non altro che mera rappresentazione del soggetto. Cartesio, pi impegnato filosoficamente del grande pisano, ha cercato di affrontare in modo radicale il problema dell'essere, ma non ha fatto altro che aggirarlo con la nozione di res extensa: si tratta dell'idea di sostanzialit, non solo non chiarita nel senso stesso del suo essere, ma dichiarata inchiaribile, e reperita, per via traversa, mediante il ricorso alla caratteristica pi propriamente sostanziale della sostanza considerata,1 determinazione ontica della sostanza, e poich l'ontico sottende l'ontologico, l'espressione substanzia intesa ora in senso ontologico, ora in senso ontico,2 con un'alternanza di senso che ha impedito l'accesso al problema fondamentale dell'essere. Cartesio ha creduto di trovare detto accesso, di scoprirlo mediante l'esprit matematico l'unica via di accesso genuina a questo ente il conoscere, l'intellectio nel senso del conoscere fisico-matematico. Il conoscere matematico l'unico modo di conoscere che sia sempre certo del sicuro possesso dell'essere dell'ente considerato.3 Per questa via la sua ricerca della fondazione, della "spiegazione" del rapporto tra pensiero ed Essere, matematica e realt. Partendo dalle matematiche, oltre la separazione tra matematica pura e applicata, includendo nella matematica le scienze che hanno radici nel concetto di ordine e misura, di cui Cartesio parla nel Discorso sul metodo in un decisivo momento della sua

formazione giovanile: Pi di tutto mi piacevano le matematiche per la certezza e l'evidenza dei loro ragionamenti ma non ne vedevo ancora l'uso migliore.4 Poi la definizione della matematica scienza delle proporzioni e relazioni, o meglio logica generale delle relazioni, unico strumento per giungere alla chiarezza e distinzione. In un altro passo significativo, che spiega questa scelta, sempre del Discorso, Cartesio dice: Considerando quindi come fra tutti quanti hanno finora cercato la verit delle scienze, soltanto i matematici sono riusciti a trovare alcune dimostrazioni o ragionamenti certi ed evidenti, non dubitai che quelle fossero le verit prime da esaminare, sebbene non ne sperassi altro vantaggio che di abituare la mia intelligenza alla ricerca fondata sul vero e non su falsi ragionamenti.5 La rivoluzione in campo matematico, che Cartesio compie, l'unificazione di algebra e geometria nell'analitica e pensai, allora, che nel primo caso mi convenisse esprimerli i rapporti e le proposizioni con linee, perch non trovavo nulla di pi semplice e facile per rappresentarli distintamente all'immaginazione e ai sensi, e nel secondo caso mi convenisse esprimerli mediante alcune cifre, le pi brevi possibili; in questo modo avrei preso tutto il meglio dell'analisi geometrica e dell'algebra, e avrei corretto i difetti dell'una per mezzo dell'altra.6 Una sorta di matematica universale, insieme di relazioni logiche, cemento fisso e stabile di ogni conoscenza, metodo per una garantita ed efficace adaequatio tra rescogitans e res extensa, da estendere alla filosofa e alle altre scienze. Nella Geometrie, poi, Cartesio dar diverse prove applicative dell'algebra all'analisi geometrica, sicch una equazione algebrica diventa una relazione tra numeri, e mentre accresce il grado di astrazione matematica si rende pi adatta e pi potente all'applicazione pratica. A tal punto che sembra che l'algebra possa prendere il posto della geometria, monopolizzare gli approcci e le tecniche di

risoluzione matematica. Ma, obietta Heidegger, l'ente mondano di Cartesio colto nella sua uniformit. Questo ente caratterizzato dall'essere sempre ci che . Ne deriva che si assumer come essere autentico dell'ente che si esperisce nel mondo quello di cui si potr dimostrare la permanenza costante, quella remanens capax mutationum. E autenticamente ci che perenne rimanere. Come tale esso l'oggetto del conoscere matematico. Ci che in un ente si rende accessibile attraverso la matematica, ne costituisce l'essere.7 Il mondo di Cartesio riceve il suo Essere per imposizione, l'uniformit della natura posta aprioristicamente; non si chiede il perch della sua essenzapresenza, la si accoglie come scontata sul fondamento di un'idea dell'essere (essere = permanente, semplice=presenza) non provata e oscura nella sua origine, e prescrive al mondo il suo essere 'analitico'. Ci che determina l'ontologia del mondo non in primo luogo il ricorso a una scienza casualmente privilegiata, la matematica, ma l'assunto ontologico fondamentale dell'essere come semplice presenza permanente.8 Il progetto cartesiano si riduce, pertanto, a eseguire il trapianto filosofico dell'eredit dell'ontologia tradizionale nella fisica matematica moderna, sotto listanza di soddisfare l'esigenza dell'utilizzabilit del mondo e delle cose. Nella nostra epoca, rimasta ancorata a Cartesio, dall'Illuminismo all'imperialismo tecnologico dell'uomo planetario, si consumata l'estrema affermazione dell'ente con l'uniformit organizzata degli strumenti, con il dominio completo della terra, con la massificazione e il dominio dello stesso uomo. F. Nietzsche stato il primo a scoprire l'errore metafisico, ha, come si dice, suonato un campanello d'allarme, ha scoperto e svelato il fraintendimento metafisico dell'Occidente, mettendo sotto accusa la dualit platonica di essenza e esistenza, di mondo ideale e mondo sensibile e, rovesciando la posizione dei termini, si appellato alla volont di potenza. Ma, non era possibile saltare la metafsica in modo critico; con un superamento vi si rimaneva comunque dentro,

perch restava da affrontare pur sempre il problema della verit. Non era possibile rovesciare la metafisica modificando ladaequatio rei et intellectus, la corrispondenza di cose e pensiero, o trovando una giusta sintesi, come aveva tentato Kant, tra soggetto e predicato. Si trattava, invece, di respingere qualunque adaequatio, di riflettere sull'enigma dell'Essere, sulla differenza ontologica. Per rendere pi convincenti le sue tesi, Heidegger indugia sull'origine della metafisica come si legge nel famoso mito platonico della caverna, ove l'idea inizialmente ci che si mostra e conserva ancora il senso originario di "essere visto" per perderlo successivamente a vantaggio di oggetto della visione, oggetto di un pensiero che, cercando l'Essere come presenza, trasferisce all'idea la quidditas, il vero Essere. Cos Heidegger presenta il racconto platonico, le cose che sono alla luce del giorno fuori della caverna dove lo sguardo libero di volgersi su ogni cosa rappresentano le 'idee'. Secondo Platone se l'uomo non vedesse queste ultime e cio l'evidenza che si d di volta in volta delle cose degli esseri viventi, degli uomini, dei numeri, degli dei non avrebbe mai la possibilit di percepire questa o quella cosa come una casa, un albero, un dio. Abitualmente l'uomo pensa di vedere direttamente proprio questa casa e quell'albero e cos ogni essente. Innanzi tutto e per lo pi l'uomo non sospetta affatto che tutto ci che vale correntemente per lui come 'il reale' egli lo vede sempre solo alla luce delle 'idee'.9 Il reale lo specchio delle idee, o meglio l'uomo specchiandosi nel reale scorge le idee. questa l'ambigua, doppia condizione che gli tocca: vivere sapendo che nella caverna il reale ombra, "immagine riflessa" o accettare questa con ingenua rassegnazione, con l'avversione alla luce del sole che s'irradia fuori della caverna. Platone sceglie la prima via perch crede nell'episteme, in una salita mediante paideia che non pu aversi se non si muove e trasforma anche ci che disvelato,

perch l'essenza della 'formazione' si fonda sull'essenza della verit. Formazione e verit, paideia e aletheia non possono non procedere insieme, sono un tutto intrecciato e fuso (contro i sofisti) che si svolge per i famosi quattro gradi della "linea divisa". Il mito non si chiude con il raggiungimento del quarto grado della conoscenza, ossia quello filosofico: All'opposto, nel 'mito' compreso il racconto di una ridiscesa di colui che stato liberato all'interno della caverna, presso coloro che sono ancora incatenati. Colui che stato liberato deve condurre anche loro fuori dal modo di disvelamento in cui stanno e li deve condurre di fronte a ci che massimamente disvelato. Il liberatore per non si trova pi bene nella caverna. Egli rischia di soccombere alla strapotenza della verit che col domina, cio alla pretesa della realt comune di valere come l'unica realt.10 Il liberatore sa di rischiare e rischia scendendo una seconda volta nella caverna che non totalmente chiusa, fornita di apertura, predisposta alla sottrazione di occultamento. Il filosofo, il poeta, come dir Heidegger in seguito, sono gli uomini pi adatti a sostare su di essa, in bilico su ci che l'apertura dell'Essere. Solo essi sanno, in sintonia con il valore semantico del termine aletheia che con l'a privativo indica una certa consapevolezza, che la verit implica una originaria non verit, che l'Essere implica il nulla. A questo punto interviene nel linguaggio platonico uno spostamento lessicale e semantico: il concetto di idea prende il sopravvento su quello di aletheia e non ha pi il valore primitivo. Con tale spostamento si d la svolta metafisica, l'elevazione dello sguardo verso le idee e il conseguente oblio dell'Essere. Ora le idee rappresentano il soprasensibile, colto con tutti i mezzi sensibili di cui l'uomo dispone, la conoscenza si riduce a un movimento del soggetto verso l'oggetto, a un pensare che, dimentico dell'Essere cerca gli enti: L'inizio della metafsica nel pensiero di Platone nello stesso tempo l'inizio dell umanesimo'. Qui vogliamo pensare questo termine in modo essenziale e perci

nel senso pi ampio. In tale senso 'umanesimo' indica un processo collegato all'inizio, allo svolgimento e alla fine della metafsica, nel corso del quale l'uomo, in modi di volta in volta differenti e tuttavia ogni volta consapevolmente, si colloca in una posizione centrale entro l'essente, senza ancor essere per questo l'essente supremo.11 II mutamento dell'essenza della verit avvenuto con Platone fin troppo evidente nell'attuale nostra civilt: presente come la realt fondamentale della storia mondiale della terra che si avvicina all'ultima fase dell'epoca moderna; realt che, consolidata da lungo tempo e perci ancora ben salda, domina su ogni cosa ,12 con l'adombrarsi apocalittico di un senso drammatico e di rinuncia che induce Heidegger a interrompere l'analisi esistenziale iniziata in Sein und Zeit. Ma la nostra epoca, epoca di crisi e di oscuramento totale o quasi che pi non son gli dei fuggiti, n ancor sono i venienti pu attivare un'apertura, come nella caverna, riandare alle origini, recuperare l'Abgrund dell'esserci. Molti critici hanno trovato la chiave interpretativa e chiarifcatrice del pensiero di Heidegger nello scritto Lettera sull'umanesimo, testo in cui vengono riproposti i temi lasciati in sospeso in Sein und Zeit, con aperture nuove sull'interpretazione della metafisica, il rapporto tra Essere e Tempo, Tempo ed Essere, sulla condizione dell'uomo e dell'umanit, sul linguaggio, sulla scienza. Ritornando al pensare originario, perduto dal Dasein, e alla natura del linguaggio, Heidegger dice: soggetto e oggetto sono denominazioni improprie della metafisica che dagli inizi si impossessata dell'interpretazione del linguaggio nella forma della logica e della grammatica occidentale. Ci che si nasconde in questo accadimento, oggi lo possiamo appena sospettare. La liberazione della lingua dalla grammatica in vista di una strutturazione pi originaria della sua essenza tocca al pensiero e alla poesia .13 Riaffiora in queste righe di Heidegger l'istanza tradizionale dell'Essere come presenza che informa anche il giudizio, il logos classico; ma emerge soprattutto

che la modificazione logico-tecnica del linguaggio equivale alla modificazione tecnica del pensiero. Pi avanti Heidegger afferma: Per imparare ad esperimentare in modo puro e cio, insieme, a portare a compimento l'essenza del pensiero di cui si parlato, dobbiamo liberarci dell'interpretazione tecnica del pensiero, le cui origini risalgono fino a Platone e Aristotele. L lo stesso pensiero inteso come una techne, come il processo della riflessione al servizio del fare e del produrre.14 La filosofia ha cercato pi volte nella storia di giustificare la propria esistenza di fronte alla scienza e alla tecnica, invece questo sforzo un errore, perch porterebbe la filosofa alla logistica che comporta l'abbandono dell'essenza del pensiero, che mobilit, libert della parola. Il rigore del pensiero non consiste, a differenza delle scienze, semplicemente nella esattezza artificiale, cio tecnicoteorica dei concetti. Esso riposa nel fatto che il dire rimane integralmente nell'elemento dell'Essere e lascia dominare ci che, nella molteplicit delle sue dimensioni, semplice,15 ed evidente, per Heidegger, che si pi vicini all'Essere con la comunicazione spontanea e libera, anzi, con l'ascolto pi che con il vedere. Il problema del linguaggio, fondamentale nell'analisi heideggeriana della Lettera sull'umanesimo e della produzione ultima, assume capitale importanza per la comprensione della civilt del nostro tempo. La decadenza del linguaggio di cui da poco e tardi, molto si discute, non per il fondamento, ma gi una conseguenza del processo per cui il linguaggio sotto il dominio della moderna metafisica della soggettivit cade in modo quasi irresistibile al di fuori del suo elemento.16 L'umanesimo crede di poter fondare il linguaggio mentre il linguaggio della sua essenza non manifestazione di un organismo, n espressione di un essere vivente. Esso perci non si lascia mai pensare in modo

adeguato alla sua essenza in base al suo carattere di segno, e forse neanche in base al suo carattere di significato. Il linguaggio il manifestante-occultante avvento dell'Essere stesso.17 Viene a chiarirsi, se ce n'era bisogno, la distinzione gi affiorata tra linguaggio della metafisica, ovvero della tecnica, e linguaggio originario, la cui essenza pensata in corrispondenza all'Essere. Il Dasein, destinato, gettato dall'Essere, pu atteggiarsi, se vuol essere autentico, semmai a pastore dell'Essere, a custode della verit dell'Essere. In quanto Dasein deve sentirsi ospite del linguaggio, vera e propria casa dell'Essere e cercare le parole elementari. La societ contemporanea ha portato a estremo sviluppo la metafsica, umanizzando gli apparati, elaborando un sistema che si perpetua senza fine, che d'altronde un continuo usurare e trasformare l'uomo da soggetto a oggetto. Ignorando la differenza ontologica, realizza una totalit non pi controllabile che travolge e schiaccia, che pu portare alla distruzione, alla fine. La societ contemporanea ha cercato di afferrare qualcosa di sicuro, di solido e stabile fino a trattare lo stesso uomo come oggetto, strumento, la pi importante delle materie prime; ma negandolo come oggetto. Invece la frattura, la differenza tra soggetto e oggetto va saltata ponendosi in una condizione di pre-giudizio. L'autenticit dell'esserci pu essere conseguita con il pensare in modo n teorico n pratico, antecedente a questa distinzione. Si tratta di oltrepassare la metafisica non dal dopo ma dal prima, non in modo lineare e/o intenzionale, bens lasciandosi andare, offrendosi all'Essere. Questo perch l'uomo quell'ente particolare che ha la possibilit di pensare l'Essere. Senza riguardo alla metafisica pu distaccarsi dal pensiero rappresentativo e dalla discorsivit filosofica, a questo connessa, che si fondano sull'equivalenza di essere e fondamento, purch si richiami alle origini, all'Essere come tutto, laddove i quattro luoghi (terra, cielo, i divini, i mortali) non sono luoghi privilegiati, bens dellorizzonte del mondo.

Questa via d'uscita si chiarisce ancor pi quando Heidegger si chiede, con maggior insistenza, se si possa pensare in modo diverso, parlare in modo diverso. Si chiede: possono essere praticati accanto al linguaggio della metafsica altri linguaggi? Sono indubbiamente i sentieri cui Heidegger vuole indirizzarci. Al termine di Sein und Zeit era venuto meno proprio il linguaggio, perch il filosofo si era sentito risucchiato ancora in quello metafisico e si era per coerenza fermato. Ora Heidegger pensa che se impossibile uscirne, se inventare una nuova lingua non si pu, possibile almeno ricercare con instancabile viaggio ermeneutico il contenuto originario della lingua e delle parole. Se la metafisica un destino dell'Occidente, e pertanto dalla metafsica non si esce, il pensiero pu prendere coscienza di questa situazione, pu ricercare il linguaggio originario da un lato, sperimentare con il linguaggio e sul linguaggio qualcosa di nuovo dall'altro. Giocare con il linguaggio ed essere giocati un modo di essere che pu portare al dissolvimento della metafisica, alla sua fine. Per farlo bisogna avere l'animo dei poeti e dei filosofi che, in una posizione privilegiata, "di rischio", sono i pi vicini all'Essere, sanno che la metafisica non ha fondamenti, sentono di vivere in costante pericolo. Negli stessi anni in cui il suo maestro E. Husserl stendeva la Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Heidegger fa sentire con forza la sua voce discordante dicendo: L'intreccio caratteristico del Mondo Moderno, per cui il mondo diviene immagine e l'uomo subjectum, getta una luce significativa anche sul corso fondamentale della storia moderna, a prima vista quasi assurdo. Quanto pi profondamente e recisamente il mondo conquistato e perci disponibile per l'uomo, quanto pi l'oggetto si rivela oggettivo e il subjectum simpone soggettivisticamente cio perentoriamente, tanto pi risolutamente la concezione del mondo e la teoria del mondo si trasformano in dottrina dell'uomo, in antropologia. Nessuna meraviglia quindi se solo l dove il mondo divenuto immagine si impone l'umanesimo,18 laddove il termine

antropologia significa dottrina filosofica dell'uomo che spieghi e consideri l'ente nel suo insieme a partire dall'uomo e in vista dell'uomo. Ancora pi avanti, cercando di ribadire le caratteristiche della nostra civilt: II tratto fondamentale del mondo Moderno la conquista del mondo risolto in immagine. Il termine immagine significa in questo caso: la configurazione della produzione rappresentante. In questa produzione l'uomo lotta per prendere quella posizione in cui pu essere quell'ente che vale come regola e canone per ogni ente. Poich questa posizione si garantisce, si articola e si esprime come visione del mondo, il rapportamento moderno all'ente, al momento del suo sviluppo decisivo, prende la forma di un confronto di visioni del mondo; non certo di visioni qualsiasi, ma solamente di quelle gi connesse in modo radicale alle situazioni estreme dell'uomo. Per questa lotta fra visioni del mondo e in conformit al senso di questa lotta, l'uomo pone in giuoco la potenza illimitata dei suoi calcoli della pianificazione del controllo di tutte le cose.19 Sottolineando ulteriormente gli aspetti metafisici della nostra civilt, Heidegger annota: Un segno di questo processo costituito dal fatto che ovunque, nelle forme e nei travestimenti pi diversi, si fa innanzi il gigantesco. Ci avviene anche nella direzione del sempre pi piccolo. Basta pensare ai numeri della fisica atomica. Il gigantesco avanza in una forma che sembra voler dissolverlo: con l'annullamento delle grandi distanze per mezzo dell'aeroplano, con la rappresentazione mediante una semplice manopola radiofonica - di mondi lontani nella loro quotidianit.20 Accentuando, infine, le distanze da Husserl, che cerca la relazione tra fondamento e scienze, afferma che le scienze non possono avere un proprio fondamento. Tutti i tentativi in questa direzione sono risultati vani, non ultimi quelli del nostro secolo perch le scienze non sono in grado di rappresentare se stesse come

scienze con i mezzi della loro teoria e con i procedimenti propri della teoria ,21 la ricerca dell'essenza spetta ai filosofi e agli storici. Sono passi nei quali emerge la diversit tra scienza e pensiero con il tanto discusso [la scienza] non pensa. Non pensa perch - in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti essa non pu pensare; pensare, intendiamo, nel modo in cui pensano i pensatori. Che la scienza non sia in grado di Pensare non per nulla un difetto, ma un vantaggio. Solo in virt di questo la scienza pu dedicarsi alla ricerca sui singoli ambiti e stabilirsi in essa [...] Ma il rapporto della scienza con il pensiero autentico e fruttuoso solo quando l'abisso che separa scienza e pensiero diventa visibile e se ne riconosce l'insuperabilit. Non c' un ponte che conduca dalla scienza al pensiero; l'unico passaggio possibile il salto.22 Affermazioni cui vogliamo accostare per contrasto la relazione platonica tra dianoia e logos (la linea divisa), la differenza tra matematica pura e matematica applicata. La riflessione heideggeriana sulla scienza si unisce, come era prevedibile, a quella sui prodotti tecnologici da essa generati, in particolare nel saggio La cosa. La cosa stata annullata alla radice per il fraintendimento metafsico il sapere della scienza, che obbligante nel suo ambito - cio l'ambito degli oggetti - ha gi annullato le cose come cose molto prima che esplodesse la prima bomba atomica. Questa esplosione solo la pi grossolana di tutte le grossolane conferme della gi da tempo accaduta annichilazione della cosa, del fatto cio, che la cosa come cosa rimane nulla, la cosalit della cosa rimane nascosta, dimenticata ,23 la cosa occultata, si insecchita. Ma, di nuovo, quale atteggiamento pu assumere l'uomo contemporaneo di fronte agli oggetti, ai prodotti della tecnica? Certo non condannando il mondo della tecnica come opera del diavolo. Pu far uso dei prodotti della tecnica

mantenendosi libero, facendo in modo che essi non prendano il sopravvento su di lui; anzi la cosa o le cose, se interrogate in modo adeguato, ci indirizzano al luogo originario perch non sono del tutto fuori di noi come oggetti neutrali e di scambio. Allo stesso modo un valore filosofico per le scienze, pur sempre limitato, sussiste: quello di entrare a far parte di una visione globale e unitaria ad opera del filosofo, perch le partizioni disciplinari, dettate da esigenze fondazionali e metafisiche nelle pi minute e numerose scomposizioni, se hanno fatto smarrire il senso di unit possono essere ricomposte: la delimitazione dei campi di oggetti, la suddivisione di questi in zone specializzate non distacca le scienze l'una dall'altra ma anzi fonda la possibilit di rapporti di frontiera tra di esse in virt dei quali si definiscono delle zone di confine, da queste si irradia una peculiare forza propulsiva, che apre nuove zone di problemi spesso decisive .24 L'attivit filosofica, il pensare favorisce la scienza, perch le toglie appunto il compito pi gravoso di Pensare e le consente di occuparsi di ambiti particolari. * L'essenza della tecnica non pu essere qualcosa di tecnico perch la considerazione estrinseca della tecnica, ossia il tecnicismo, preclude all'uomo la possibilit di porsi in modo autentico di fronte ad essa. Non possiamo, quindi, esperire veramente il nostro rapporto con l'essenza della tecnica finch ci limitiamo a rappresentarci la tecnica e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla. Restiamo sempre prigionieri della tecnica e incatenati ad essa, sia che la accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora pi gravemente in suo potere quando la consideriamo qualcosa di neutrale. 25 il monito di sapore classico rivolto a chi la subisce, che con altro spirito, altre tonalit e motivazioni diverse, sar pronunciato, quasi contemporaneamente da H. Marcuse. Di fronte ai tratti totalitari di questa societ, la nozione tradizionale

della 'neutralit' della tecnologia non pu pi essere sostenuta. La tecnologia come tale non pu essere isolata dall'uso cui adibita; la societ tecnologica un sistema di dominio che prende a operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate26 . Tuttavia la valutazione sulla neutralit della tecnica porta a esiti diversi i due filosofi tedeschi: per Marcuse di fronte al totalitarismo della odierna societ tecnologica, di fronte all'irrazionalit della societ pi razionale possibile solo una reazione di oltrepassamento metafsico, per Heidegger, che pu convenire sull'analisi della societ tecnologicamente avanzata, diverse sono, invece, come abbiamo visto, le possibilit umane. Dire che da Platone in poi la tecnica uno strumento, un mezzo di cui l'uomo si serve per raggiungere determinati fini esatto, per questo comporta un restare nell'ambito di una concezione antropologico-metafsica della tecnica, una concezione che ripete e ricade nell'ambito della svolta metafisica. Per Heidegger la tecnica ha un valore pi importante e radicale, non solo un mezzo, un modo del disvelamento e ci porta o dovrebbe portare alla domanda sulla verit. Pensare la tecnica , oggi, l'unico modo di fare filosofia. Per gli antichi greci la scienza e la tecnica in quanto poiesis, produzione, fanno s che qualcosa passi dal non essere all'Essere, dall'assenza alla presenza. Anche la physis poiesis come la techn, con la differenza che la physis ha in s il principio del proprio dispiegamento, mentre la techn opera il dispiegamento dall'esterno, la physis segue un processo naturale e interno, la techn, invece, agisce forzando la natura, spesso la violenta. Una produzione, , non solo la fabbricazione artigianale, n solo il portare all'apparire e all'immagine che proprio dell'artista e del poeta. Anche la , il sorgere di per s (das vou-sich-her-Aufgehen) una pro-duzione, . La anzi , nel senso pi alto27 questo perch la physis ha in s il movimento iniziale della produzione, mentre il prodotto dell'artista o del tecnico non ha in se stesso il movimento iniziale.

Entrambe queste forme di poiesis, possibili perch la natura Bestand, fondo disponibile, fanno s che la natura si sveli in nuove relazioni e si modifichi. Nelle fasi di storia dell'umanit a economia primitiva (caccia, pesca, allevamento) la tecnica, non molto complessa e sofisticata nella strumentazione, asseconda la produzione della natura. Nella civilt contemporanea la tecnica consiste soprattutto nell'accumulo di energia, nella traduzione della natura in fondo energetico disponibile. Sia nella prima che nella seconda et l'uomo non propriamente l'artefice della produzione tecnica, provoca ed a sua volta provocato, disposto anch'esso come Bestand. L'uomo e la natura quindi si appartengono originariamente come si co-appartengono pensiero ed Essere. L'essenza della tecnica, come si detto, non pu essere la sua strumentalit; l'esattezza della definizione di tecnica, la stessa perfezione tecnologica non ci d la verit. La concezione puramente strumentale, puramente antropologica della tecnica diventa caduca nel suo principio perch lo strumento non mai qualcosa in s conchiuso, esso sempre per qualcos'altro, rimanda perennemente ad altro. Se al tempo di Platone il produrre della techn non tanto in senso praticooperativo quanto piuttosto in senso manifestativo, se Wissen, e techn ed episteme sono ancora assimilate (entrambe rappresentano il conoscere in senso ampio) nell'Et Moderna si avuta, in modo chiaro, la distinzione tra tecnica e scienza. E tuttavia per quanto diversa, per la produzione e la strumentazione, la tecnica del nostro tempo, secondo Heidegger, va ricondotta alla prima, perch anch'essa un modo del disvelamento. Il suo produrre, il suo tirar fuori il nascosto aletheia. La tecnica del nostro tempo ha stravolto il rapporto uomo/natura, ha forzato questa per accumulare, immagazzinare materia ed energia. La centrale idroelettrica non costruita nel Reno come l'antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all'altra. Qui il fiume, invece, che incorporato nella costruzione

della centrale.28 La centrale coinvolge in modo totale e complessivo la natura, l'uomo, le macchine. Tutti insieme sono Bestand, ci che pronto, deve essere pronto all'impiego. Rifacendosi ad Aristotele per il concetto greco di nel saggio Sull'essenza e sul concetto di distingue questa dalla tecnica. Il rapporto tecnica-natura sia nell'antichit sia oggi di intersezione, di complementarit, di concorrenza. Aristotele, figlio di medico, spesso si rifatto alla pratica del padre indagando sia lo statuto epistemologico della medicina sia il valore della tecnica e il sapere empirico, sia la natura umana, il corpo del paziente. La pu soltanto venire incontro alla , pu favorire pi o meno il risanamento, ma come non potr mai sostituirsi alla diventare, al suo posto, l' della salute come tale. Ci potrebbe avvenire solo se la vita come tale divenisse un artefatto producibile 'tecnicamente'; ma se ci avvenisse, in quello stesso momento non ci sarebbe pi salute n nascita, n morte. Talvolta sembra che l'umanit corra all'impazzata verso questa meta; che l'uomo produca tecnicamente se stesso. Se ci riuscir, l'uomo avr fatto saltare in aria se stesso cio la sua essenza come soggettivit, e l'avr fatta saltare in quell'aria dove l'assoluta assenza di senso vale come unico 'senso'. 29 Ma l'uomo provocato in modo pi originario, non diventa propriamente tecnica egli stesso, puro fondo. All'ambito tecnico appartiene invece tutto ci che conosciamo sotto il nome di intelaiature, pistoni, armature, e che sono parti costitutive di ci che si chiama montaggio. Questo, tuttavia, insieme con le menzionate parti costitutive rientra nell'ambito del lavoro tecnico, il quale risponde sempre soltanto alla provocazione dell'imposizione, ma non la costituisce n la produce.30

Il disvelamento, pertanto, non pu essere opera della tecnica da sola, la macchina ferraglia e resta tale; il disvelamento accade nell'uomo e con l'uomo. Cos la storia destino in cui l'uomo diventa libero solo nella misura in cui, appunto, appartiene (gehrt) all'ambito del destino e cos diventa un ascoltante (ein Hrender), non per un servo (ein Hriger).31 L'essenza della tecnica che Heidegger va cercando la scoperta del destino inevitabile del nostro tempo, quando consideriamo l'essenza della tecnica, esperiamo l'imposizione come un destino del disvelamento. In tal modo stiamo gi nell'ambito di libert del destino, che non ci chiude affatto in una ottusa costrizione per cui dobbiamo darci alla tecnica in modo cieco, oppure - che lo stesso - rivoltarci vanamente contro di essa e condannarla come opera del demonio. All'opposto: se ci apriamo autenticamente all'essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente richiamati da un appello liberatore.32 La tecnica mette l'uomo di fronte a due possibilit: la prima restrittiva che, largamente diffusa oggi, possiamo osservare nella considerazione superficiale e consumistica, la seconda che orienta l'uomo verso la riflessione radicale, originaria. Sia nell'una che nell'altra possibilit l'uomo in pericolo, come sull'orlo estremo del precipizio. Questa ambiguit della tecnica, natura ancipite di Nascondimento-disvelamento, meglio chiarita sostenendo che essa pu impedire ogni visione dell'evento del disvelare, come pu, d'altra parte, consentire all'uomo di essere l'adoperatosalvaguardato (der Gebrauchte) per la custodia (Wahrnis) dell'essenza della verit (Wahrheit). Finch pensiamo la tecnica come strumento restiamo legati alla volont di dominarla e ne siamo dominati, Se per ci domandiamo come ci che strumentale dispiega il suo essere (west) in quanto specie particolare della causalit, allora potremo cogliere questo essere (dieses Wesende) come il destino

di un disvelamento.33 All'ipotesi che l'uomo non faccia pi parte del Bestand e quindi all'ipotesi della strumentalizzazione dell'uomo stesso, divenuto artificio o macchina, all'ipotesi cio della sua fine si pu affiancare l'altra per cui ogni disvelamento viene dal libero (das Freie), va verso il libero e porta nel libero.34 Con Heidegger La questione della tecnica decisamente riassorbita nel problema della Verit, nel problema dell'Essere.

NOTE
1)

M. Heidegger, Sein una Zeit, Niemeyer, Tbingen 1927; Essere e Tempo,

trad. it. di P.Chiodi, UTET, Torino 1969, p. 174. Per un primo approccio al pensiero di Heidegger: G.Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Bari 1971.
2)

Ivi. Ivi, p. 175. Cartesio, Discorso sul metodo, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 48. Ivi, p. 64. Ivi, pp. 64-65. M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 175. Ivi, p. 176. M. Heidegger, Platons Lehre von der Wahrheit, Francke, Bern 1954; La

3)

4)

5)

6)

7)

8)

9)

dottrina di Platone sulla verit, trad. it. di A. Bixio e G. Vattimo, SEI, Torino 1975, pp 43-44
10)

Ivi, p. 54. p. 70.

11)Ivi,

12)

Ivi, p. 71. M. Heidegger, Brief ber den Humanismus, A. Francke Bern 1947; Lettera

13)

sull'umanesimo, trad. it. di A. Bixio e G. Vattimo, SEI, Torino 1975, p. 76.


14)

Ivi.

15)

Ivi, p. 77. Ivi, p. 81. Ivi, p. 90. M. Heidegger, L'epoca dell'immagine del mondo, in Sentieri interrotti,

16)

17)

18)

(trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 97; titolo originale Holzwege, Klostermann, Frankfurt 1950.
19)

Ivi, p. 99. Ivi, p. 100. M. Heidegger, Vortrge un Aufstze, Neske, Pfulligen 1967; Scienza e

20)

21)

meditazione, in Saggi e discorsi, trad. it., di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 41


22)

Ivi, p. 88. M. Hedegger, La cosa, in Saggi e discorsi, cit., p. 113. M. Heidegger, Scienza e meditazione, cit., p. 37. M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, cit., p. 5. H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967, p. 14. M. Heidegger, Saggi e discorsi, cit., p. 9. Ivi, p. 12. Per il rapporto tra storia dell'Essere e problema della tecnica

23)

24)

25)

26)

27)

28)

vanno segnalati: M. Ruggerini, 11 soggetto e la tecnica, Bulzoni, Roma 1977; V. Vitiello, Scienza e tecnica nel pensiero di Heidegger, in "II pensiero", 1973, pp. 113-48; V. Cavallucci, Heidegger, Metafisica e tecnica, Arsenale Cooperativa

Editrice, Venezia 1981; E. Mazzarella, Tecnica e metafisica, Guida Editori, Napoli 1981, pp. 229-323, parte terza.
29)

M. Heidegger, Wegmarken, Klosterman, Frankfurt 1978; trad. it. di F. Volpi

e G. Gurisatti, Segnavia, Adelphi Milano 1987, p. 211.


30)

M. Heidegger, Saggi e discorsi, cit., p. 15. ivi, pp. 18-19. Ivi, p. 19. Ivi, p. 25. Ivi, p. 19.

31)

32)

33)

34)

SOCRATE NON ELISA, PER...

Se tutto fosse assoluta diversit, il pensiero sarebbe votato alla singolarit, e come la statua di Condillac prima di aver cominciato a ricordare e a confrontare, sarebbe votato alla dispersione assoluta e all'assoluta monotonia. Non vi sarebbero, di conseguenza, n memoria n immaginazione possibile, e nemmeno riflessione. E sarebbe impossibile confrontare le cose, definirne i tratti identici, e fondare un nome comune. Non vi sarebbe linguaggio. Il linguaggio esiste in quanto al di sotto delle identit e delle differenze vi il fondo della continuit, delle somiglianze, delle ripetizioni, degli incroci naturali. M. Foucault, Le parole e le cose.

4.1. La costruzione di macchine digitali ha avuto, sin dall'inizio, i requisiti e i connotati di una tecnica particolare, unica nella storia, uno scopo non solo computazionale ma anche pi ardito di materializzare il pensiero, le idee, di tradurli in forma soggetta a manipolazione. Oggi con l'I. A. siamo di fronte al pi avanzato tentativo di informatizzare processi intellettuali, siamo alle prese con una "macchina pensante" che simbolicamente rappresenta l'aspetto pi originale della nostra civilt, oggetto d'indagine e ricerca non solo di esperti della computer science, ma anche di fisici, matematici, biologi, semiologi, filosofi. Anni fa J. Searle ha presentato, sia pure in modo schematico, nell'agile divulgativo libretto, Mente, cervelli e programmi,1 in

contrapposizione frontale due degli orientamenti pi accreditati: a) dell'ipotesi forte dell'I. A., ossia di un'intelligenza simile a quella umana in cui la mente sta al cervello come il software sta all'hardware; b) dell'ipotesi debole dell'I. A., attestata sulla non riproducibilit dell'intelligenza umana. Tra le diverse prese di posizione riportate da Searle, vogliamo menzionare quella di B. Bridgeman tendente ad avvicinare l'I. A. all'uomo: il cervello simile a un programma di computer in quanto riceve esso pure solo input e produce solo output. Gli input sono piccoli segnali a 0.1 volt che entrano in gran quantit lungo i nervi afferenti, e gli output sono segnali fisicamente identici che abbandonano il sistema nervoso centrale sui nervi efferenti.2 Convincimento contro cui, di primo acchito, nulla da obiettare, cos come pu essere accettabile che il neurone una macchina; ma che appare discutibile quando Bridgeman, unificando biologico e fisico, utilizza l'esempio di animali monocellulari, indubbiamente meno "organizzati" del computer, e pu con procedura riduzionistica legittimare il computer a inserirsi o essere inserito nella grande e indistinta famiglia delle menti, l'uomo incluso, ridotto solo a massa cerebrale, insieme di propriet a livello di neuroni. O l'indiretto riferimento alle note teorie di J. C. Eccles, che sul pi importante dei quesiti posti da J. R. Searle (possono i computer avere intenzionalit?) afferma seccamente: l'intenzionalit una propriet della mente autocosciente. Oppure la battuta critica, riportata sempre nello stesso volume, quasi ironica, di R. Rorty: Nel 1960 Putnam not che l'analogia tra mente e programma non mostrava che possiamo usare il computer per aiutare i filosofi a risolvere il problema mentecorpo, ma che non c'era alcun problema mente-corpo che i filosofi dovessero risolvere. Il meglio del lavoro degli ultimi venti anni di I. A. ha rafforzato la tesi di Putnam,3 pronunciata per mettere definitivamente fuori gioco ogni pretesa

epistemologica della filosofia in cambio di una scelta ermeneutica o debole, punto di vista trattato ampiamente in La filosofia e lo specchio della natura. A una fase pi avanzata e recente dell'I. A. ha posto attenzione W. Hofstaedter nella parte finale del suo Godel, Escher, Bach quando ne presenta una breve storia
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ed elenca le pi complesse e sorprendenti operazioni che riesce a compiere. In

precedenza, trattando della differenza macchina/pensiero, cita un teorema: A questo proposito esiste un 'teorema' sui programmi di I. A.: non appena si riesce a programmare qualche funzione mentale, immediatamente si smette di

considerarla un ingrediente essenziale del 'vero pensiero', il nucleo ineluttabile dell'intelligenza sempre in quell'altra cosa che non si ancora riusciti a programmare. Questo 'teorema' mi venne proposto per la prima volta da Larry Tesler, per cui lo chiamo teorema di Tesler: l'I. A. tutto ci che non ancora stato fatto. Detto altrimenti: ci sar sempre qualcosa di intelligente che l'I. A. non riuscir a fare. Affermazione che, dettata da pregiudizi antropologici, coglie alla radice le difficolt maggiori dell'I. A., quelle inerenti la nozione stessa di programma che esclude, dal concetto di intelligenza, la casualit e la creativit, con l'emergenza della dicotomia programma/caso. Ma che non pu, in quanto sorretta da pregiudizi, essere condivisa da W. Hofstaedter che a questo proposito aggiunge: Se l'intelligenza comporta creativit, apprendimento, risposte emotive, senso della bellezza, senso di s, allora vi una lunga strada da percorrere 5 una strada che non totalmente chiusa. Tra gli studiosi italiani, infine, S. Moravia, occupandosi del mind-body problem e riportando considerazioni di Searle, ha affermato che il computer usa 'segni' e non 'simboli' (presupponenti una conoscenza distinta delle 'cose' e dei 'designanti', dei significati e dei significanti). Correlativamente, esso pu bens obbedire a una sintassi, ma non realizzare una semantica,6 per evidenziare che,

ad avviso di Searle, e anche suo le operazioni cognitive dei computer hanno una somiglianza assolutamente minima col pensiero cognitivo umano. Quest'ultimo si sviluppa secondo procedure (precomprensioni, accostamenti analogici, ritagli, scomposizioni tematiche, ipotizzazioni ecc.) incommensurabilmente diverse da quelle eseguite dai computer. poi perfino inutile aggiungere che se invece delle operazioni cognitive si parla del pensiero in generale la distanza tra la 'mente' (o l'uomo) e la 'macchina' aumenta enormemente.7 Ma forse le considerazioni pi feconde del libro di Moravia sono scritte verso la fine quando, a completamento dell'excursus sul dibattito, ammette che esso, ormai, imbrigliato in una serie di fraintendimenti nominalistici. Dopo aver detto che nessuno contesta [...] la legittimit di effettuare determinate comparazioni - ben 'delimitate' e ontologicamente uncommitted - tra la mente e la macchina. Bisogna per aggiungere subito che certi termini/concetti non possono essere usati come meri segni 'neutrali', attribuibili a qualsiasi ente il quale 'sembri' comportarsi in un certo modo. Quando noi diciamo 'credenza', 'intenzione', 'progetto', abbiamo in mente tre 'designata' ben precisi, e soprattutto ben 'densi' di implicazioni e riferimenti psico-antropologici e socio-culturali.8 Pi avanti, ritornando alla componente linguistica del problema e riportando affermazioni di D. Davidson, la seconda osservazione riguarda invece la 'diversa natura', e dunque la, almeno parziale, intraducibilit dei concetti psicologici e dei concetti fisici. I primi sono essenzialmente valutativi; i secondi no,9 perviene alla conclusione che solo un uomo pu compiere azioni propriamente umane, gli altri (computer o altro) possono al massimo simulare i suoi comportamenti; con la riduzione del mind-body problem a problema nominale.

Fermando l'attenzione all'elaborazione dei programmi, cercheremo di evidenziare lo hiatus esistente tra mente e macchina, rimarcando la "differenza" tra linguaggio naturale e linguaggio artificiale con l'elementare espediente del confronto di linguaggi e comportamenti tratti da due testi-dialoghi, salvo poi ricondurli a una originaria "prestruttura". 4.2. Nel dialogo platonico omonimo, Menone entra nella scena con una perentoria richiesta a Socrate circa la natura e l'insegnabilit della virt, domanda di informazioni su un determinato oggetto giustificata e possibile, perch tra i due sussiste la condizione primaria per comunicare o, come direbbe K. O. Apel, l'a priori trascendentale della comunicazione: il comune possesso della lingua, della medesima koin. Ma Socrate, consapevole di non essere depositario di particolari saperi, non intende rispondere, tantomeno di primo acchito. Fa capire che necessario in primo luogo "porre bene il problema" nella sua complessit, saper fare le domande, stabilire esattamente i termini del discorso. Si schermisce, dribbla la domanda e, quasi diabolicamente, invertendo le posizioni, con il suo fare maieutico spinge Menone a una serie di tentativi volti a definire la virt, dato che nella definizione risiede la soluzione alla domanda iniziale. Non si tratta di accogliere la prima che affiora alla mente; necessario cercare, invece, quella che, lungi dall'essere parziale e limitata o banale elencazione di casi particolari, possa ritenersi esauriente, comprensiva, universale. Socrate, con finezza mista a una certa dose di humour, incoraggia il giovane: non lascer nulla d'intentato per venire incontro a te e a me con le mie parole, ma non sar forse capace di reggere a lungo simili ragionamenti. Ad ogni modo, ora, cerca anche tu di mantenere la promessa, definendo in generale cosa sia la virt e smetti di fare dell'uno una molteplicit, come scherzando si dice di chi manda in pezzi un oggetto; lascia intera e intatta la virt, e dimmi in che consiste. Gi ti ho dato

esempio di come devi fare {Me 77ab). Menone raccoglie la battuta, si sente un po' smarrito, avverte una sensazione di confusione e candidamente confessa: Socrate, anche prima d'incontrarmi con te, sapevo per sentito dire che tu non fai altro che mettere in dubbio te e gli altri; ora poi, come mi sembra, mi affascini, mi dai beveraggi, m'incanti, tanto da non avere pi alcuna via d'uscita. E, se mi lecito scherzare, mi somigli davvero nella figura e nel resto, alla piatta torpedine di mare; perch anche questa, se qualcuno le si avvicini e la tocchi, subito lo fa intorpidire. Ora mi sembra che tu abbia avuto su di me lo stesso effetto, perch sono veramente intorpidito nell'anima e nella bocca, e non so pi cosa risponderti {Men 80a). Siamo ancora all'antefatto del dialogo, fase di schermaglia e preambolo, momento di critica e di purificazione della mente con il conseguente riconoscimento della vanit dei tre tentativi (trials), seguiti dai relativi insuccessi (errors), Menone ha la forza di riprendersi e, fattosi pi cauto, anche furbo, fa una contromossa, sottoponendo a Socrate quello che a lui pare il paradosso su cui verte l'intero dialogo: dover cercare ci che non si conosce (impresa impossibile) o cercare ci che si sa (ricerca inutile). Ma Socrate sa come uscirne. L'anima, dunque, poich immortale e pi volte rinata, avendo veduto il mondo di qua e quello dell'Ade, in una parola tutte quante le cose, non c' nulla che non abbia appreso. Non v', dunque, da stupirsi se pu fare riemergere nella mente ci che prima conosceva della virt e di tutto il resto. Poich, d'altra parte, la natura tutta imparentata con se stessa e l'anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l'anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da s tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca. S, cercare ed apprendere sono, nel loro complesso, reminiscenza (anamnesi). {Me 81cd). Ricorda che pu riuscire, nel modo migliore, impegnandosi in una ricerca comune, di gruppo, perch non , questa mia, una scienza come le altre; essa non

si pu in alcun modo comunicare, ma come fiamma s'accende da fuoco che balza; nasce d'improvviso nell'anima dopo un lungo periodo di discussioni

sull'argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima (Lett. VII 341cd). Il vero sapere non certo comunicabile, veicolabile come mero scambio di informazioni; consiste nel riscoprire nozioni, idee ora illanguidite e velate ora divenute pi chiare per il continuo interrogare; conservate, quindi, e di tanto in tanto riaffioranti nell'eterno peregrinare umano di corpo in corpo, di luogo in luogo. Con la dottrina dell'anamnesi superato il paradosso, anche se non assicurato un procedimento lineare di ricerca, anzi riaffermato che l'uomo sbagli alle prime prove, che normale che si imbatta in ostacoli, si muova tra difficolt note e imprevedibili. Socrate lo dimostra con la celebre prova cui sottopone un giovane schiavo di Menone. Dopo essersi accertato che conosce la lingua greca e non ha mai ricevuto un insegnamento di geometria, lo guida nel "provare" (problem solving) che l'area del quadrato, costruito sulla diagonale di un quadrato dato, doppia dell'area della figura originale. Il metodo dialogico, sul modello tecnico-stilistico brachilogico, evidenzier le capacit intuitive, argomentative e razionali del giovane. Ci basta riportare poche battute, a partire dal primo momento, momento di posizionamento del problema con l'invito alla soluzione e il primo errore del servo. Socrate DIMMI RAGAZZO RICONOSCI IN QUESTO UNO SPAZIO QUADRATO? Servo S.

Socrate E SAI CHE UNO SPAZIO QUADRATO HA UGUALI TUTTE QUESTE LINEE CHE SONO IN NUMERO DI QUATTRO? Servo Senza dubbio. Socrate E CHE UGUALI SONO ANCHE QUESTE LINEE CHE LO INTERSECANO A MEZZO? Servo S. Socrate E NON PU ESSERE SIMILE SPAZIO MAGGIORE o MINORE? Servo Certo. Socrate AMMESSO CHE UN LATO SIA DI DUE PIEDI E DI DUE ANCHE IL LATO ADIACENTE, QUANTI PIEDI SAREBBE L'INTERO? VEDI UN PO': SE UN LATO FOSSE DI DUE PIEDI E QUEST'ALTRO DI UNO SOLO, NON VERO CHE LO SPAZIO SAREBBE DI UNA VOLTA DUE PIEDI? Servo S. Socrate MA SICCOME DI DUE PIEDI ANCHE DA QUESTA PARTE, NON RISULTA DI DUE VOLTE DUE? Servo Risulta di due volte due. Socrate QUANTO FA DUE VOLTE DUE PIEDI? CALCOLA E DIMMI IL RISULTATO. Servo Quattro, Socrate. Socrate E POTREBBE ESSERVI UNO SPAZIO DOPPIO DI QUESTO, MA SIMILE A QUESTO AVENTE TUTTI E QUATTRO I LATI UGUALI?

Servo S. Socrate E DI QUANTI PIEDI SAR? Servo Otto. Socrate SU VIA, ALLORA, PROVA A DIRMI QUANTO SIA LUNGO CIASCUN LATO. SE IN QUESTO IL LATO DI DUE PIEDI, QUANTO SAR IL LATO DI QUELLO DOPPIO? Servo Evidentemente il doppio, Socrate. (Men. 82bcde).

Socrate si rivolge a Menone per commentare quanto ha detto lo schiavo e fa notare come la sua risposta ispirata da affezioni sensoriali, dal credere ingenuamente all'apparenza. Nella seconda parte del dialogo, il servo riconosce, mediante prove geometriche, di geometria intuitiva, l'errore commesso e la propria ignoranza. Nel terzo momento, infine, abbiamo, dopo il riconoscimento di un secondo errore, la giusta soluzione. Socrate E ORA DIMMI NON QUESTO UNO SPAZIO DI QUATTRO PIEDI [ABCD]? COMPRENDI? Servo S. Socrate POSSIAMO AGGIUNGERVENE UN ALTRO UGUALE [BINC]? Servo S. Socrate E ANCORA UN TERZO [CNLO] UGUALE A CIASCUNO DEGLI ALTRI DUE? Servo S.

Socrate E RIEMPIRE QUEST'ANGOLO CHE RESTA VUOTO [DCOM]? Servo Certo! Socrate NON AVREMO COS QUATTRO SUPERFICI QUADRATE UGUALI? Servo S. Socrate EBBENE, QUANTE VOLTE PRESI TUTTI INSIEME [AILM] I QUATTRO QUADRATI SONO PI GRANDI DI CIASCUNO DI ESSI? Servo Quattro volte. Socrate A NOI, PER, SERVIVA UNA SUPERFICIE DOPPIA: RICORDI NO? Servo Certamente. Socrate E QUESTA LINEA CHE TRACCIAMO DA UN ANGOLO ALL'ALTRO DI CIASCUN QUADRATO NON LI TAGLIA IN DUE PARTI UGUALI? Servo S. Socrate E NON SONO FORSE QUESTE QUATTRO LINEE UGUALI CHE CIRCOSCRIVONO QUESTA SUPERFICIE? Servo Lo sono. Socrate GUARDA UN P: QUAL LA DIMENSIONE DI QUESTA SUPERFICIE? Servo Non capisco.

Socrate CIASCUNA DELLE QUATTRO LINEE NON TAGLIA IN DUE PARTI UGUALI CIASCUNO DEI QUATTRO QUADRATI? O NO? Servo S. Socrate E QUANTE DI QUESTE MET VI SONO ALL'INTERNO DI QUESTO QUADRATO [ABCD]? Servo Due Socrate E COSA IL QUATTRO IN RAPPORTO AL DUE? Servo II doppio. Socrate QUANTI SONO DUNQUE I PIEDI DI QUESTO QUADRATO [BDON]? Servo Otto. Socrate E SU QUALE LINEA COSTRUITO? Servo Su questa [DB] Socrate CIO SU QUELLA CHE VA DALL'UNO ALL'ALTRO ANGOLO DEL QUADRATO DI QUATTRO PIEDI [ABCD]? Servo S. Socrate CODESTA LINEA I SOFISTI LA CHIAMANO DIAMETRO. E SE TALE IL SUO NOME, DIREMO, O SERVITORELLO DI MENONE, CHE, COME TU SOSTIENI, SULLA DIAGONALE CHE SI COSTRUISCE LA SUPERFICIE DOPPIA. Servo Esattamente, Socrate. {Men. 84de, 85ab).

Questo il modo umano di pensare e comunicare, fare logica, libero spostamento nel molteplice, modo di essere diverso dalluniforme appiattimento meccanico, segmentato, prevedibile. * J. Weizembaum, decenni or sono, elabor il Programma Elisa, ormai un classico, per mezzo del quale il computer conversa con l'uomo, nella fattispecie una giovane donna, fa domande e risponde con precisione, svolge un vero e proprio dialogo. Ne riportiamo un brano indicando in maiuscoletto, come fatto con Socrate, le battute di Elisa che interpreta il ruolo di terapeuta: <<Gli uomini sono tutti uguali>> <<IN CHE SENSO?>> <<Trovano sempre il modo di torturarci.>> <<PU FARMI UN ESEMPIO?>> <<Beh, il mio ragazzo che mi ha fatto venire qui.>> << IL SUO RAGAZZO CHE L'HA FATTA VENIRE?>> <<Dice che sono depressa.>> <<MI DISPIACE SENTIRE CHE DEPRESSA.>> <<E vero. Sono infelice.>> <<PENSA CHE IL FATTO DI VENIRE QUI L'AIUTER A NON ESSERE INFELICE.>> <<Ho bisogno di aiuto, questo mi sembra chiaro.>>

<<COSA SIGNIFICHEREBBE PER LEI POTER RICEVERE UN AIUTO?>> <<Forse potrei imparare a tollerare mia madre.>> <<MI DICA DI PI SULLA SUA FAMIGLIA.>> <<Mia madre si prende cura di me.>> <<CHI ALTRO NELLA SUA FAMIGLIA SI PRENDE CURA DI LEI?>> <<Mio padre.>> <<SUO PADRE.>> <<Lei come mio padre in certe cose.>> <<CHE COSA TROVA DI SIMILE?>> <<Lei non aggressivo, ma penso che non voglia che io me ne accorga.>> <<CHE COSA LE FA PENSARE CHE IO NON SIA AGGRESSIVO?>> <<Non discute quello che dico.>> <<PERCH PENSA CHE IO NON DISCUTA QUELLO CHE DICE?>> <<Perch ha paura di me.>> <<LE FA PIACERE PENSARE CHE HO PAURA DI LEI?>> <<Mia madre ha paura di tutti.>> <<COS'ALTRO LE VIENE IN MENTE QUANDO PENSA A SUO PADRE?>> <<Prepotenza.>>

<<QUESTO HA QUALCOSA A CHE VEDERE COL FATTO CHE IL SUO RAGAZZO L'HA FATTA VENIRE QUI'.>>10 La simulazione, compiuta con discrezione e finezza, attutisce passaggi non rigorosamente logici o addirittura slegati; ma il programma, apprezzabile per essere stato uno dei primi tentativi di usare il linguaggio naturale con la macchina, non riesce a mascherare l'artifizio della situazione, l'accento di teatralit e finzione di Elisa. Lo stesso autore del programma dice: Questo era un programma consistente, per lo pi, in metodi generali per analizzare frasi e frammenti di frasi, identificando le cosiddette parole chiave in un testo, riunendo frammenti di frasi e cos via. Esso non aveva, in altre parole, alcuno schema concettuale, o universo di discorso. Quest'ultimo gli era fornito da un 'copione'. Elisa era come un'attrice che conosca un insieme di tecniche di recitazione, ma che non abbia niente di suo da dire.11 Le sequenze chiave fatta venire, il fatto di venire, sua famiglia, pensare a suo padre, e altre, la ripetitivit e la povert lessicale, la uniformit linguistico-semantica di Elisa, che portano, tra l'altro, a escludere una personalizzazione del discorso, sono evidenti. Ad alcuni input Elisa non risponde, oppure lo fa in modo evasivo. Anche se il dialogo, come sembra, dovesse rappresentare la prima seduta analitica e partire da un grado zero di informazioni, il terapeuta umano certamente si comporta in modo pi flessibile, "comunica", lo abbiamo visto con Socrate. Il terapeuta umano coglie molti dati indirettamente e contemporaneamente, si avvale di percezioni intersensoriali, di indizi che non sono alla portata del computer; usa codici diversi, si fa guidare da quella specifica capacit umana che il buon senso, attivazione simultanea di percezioni, ragione, azione. I sostenitori dell'ipotesi forte dell'I. A. tendono ad avvicinare il computer all'uomo, l'informare al comunicare; considerano l'uomo piuttosto semplice e gli

uomini molto simili, affermano che tra esseri monocellulari e macchine non vi grande differenza, appellandosi, per questo, alla scienza biologica che definisce la cellula in termini di informazioni. Gli oppositori possono replicare che gli esseri umani, ammesso che siano macchine, sono macchine molto generali e, cosa pi importante, capiscono comunicazioni inviate in linguaggio naturale (per esempio in italiano) che sono di gran lunga meno precise e pi ambigue rispetto ai normali linguaggi di programmazione.12 Ancora, possono dire che sensori, display, sintesi vocale, riconoscimento della parola non bastano a superare le difficolt derivanti dalla mancanza di tutti quegli elementi empirico-ontologici, psicologici, di destinazione concettuale, di designazione del destinatario, del complesso dei livelli esistenziali, sociologici che compongono il contesto del discorso umano e, tantomeno, far interagire in tutte le sue possibilit testo e contesto. il fenomeno linguistico che si ripropone nella sua complessit, per la difficolt del rimando da significante a significato, con i pronomi personali e/o dimostrativi che indicano conoscenza di un conosciuto, ma non qualificano n quella n questo, con i nomi propri che significano un solo individuo e i nomi comuni tanti, con nomi e verbi che significano aspetti, qualit, dimensioni, attivit e passivit, vero e falso, bello e brutto, parte e tutto, principio e fine. Anche una sofisticata identity theory compromessa dalla semplificazione del mondo psichico che sconfina nel gratuito e nell'arbitrario. Deve ammettere che l'I. A. in grosse difficolt nell'uso degli elementi spazio e tempo, di per s complessi e contraddittori, incapace sia di rendersi conto di quanto sta accadendo, sia di orientarsi verso l'obiettivo ( costruita su pacchetti di enunciati, elaborata per programmi lineari), giacch solo sottoponendosi a una forte restrizione, come sostiene P. F. Strawson, riesce a scarnificare il contesto ed essere precisa.

Prendendo in esame i pi noti loop del linguaggio informatico abbiamo conferme. Il computer usa strutture deduttive (IF...THEN...ELSE), strutture imperative (DO), strutture condizionali(WHEN...DO),(DO...UNTIL),(IF...GOTO), strutture

dichiarative (...INTEGER,...POINTER), strutture esecutive (ADD, GO TO); ma non in grado di usare strutture dubitative o interrogative (WHY, WHAT ABOUT, NOW) in senso proprio. Il loop IF...THEN, che appare abbastanza raffinato in quanto pone l'ambiguit e la probabilit delle asserzioni, non ha comportato finora un vero salto qualitativo del linguaggio informatico. In effetti ci che condiziona IF...THEN, che riproduce il connettivo linguistico modus ponens, l'appartenenza, come altri schemi logici, alla dimensione atemporale, mentre nel linguaggio naturale si danno relazioni causali, finali, ma anche di altro tipo, tutte contestualizzate nel tempo. Il linguaggio di Elisa dimostra, al di l della comunanza apparente con quello naturale, l'impossibilit della "traduzione" tecnica sia per difficolt

computazionali che per ragioni teoriche; l'uomo pu usare disinvoltamente il linguaggio naturale e artificiale, spostarsi a suo piacimento dall'uno all'altro; Elisa non pu farlo. Il sogno booleano fu quello di stabilire le leggi del pensiero, ma queste, applicate alla computer science hanno mostrato la loro limitatezza, hanno confermato che la logica di Boole rappresenta una parte e forse piccola all'interno del complesso albero del pensiero; anzi detta logica, secondo G. Bateson, offre un modello esplicativo carente, rappresenta solo un mondo logico generato dalla logica universale, meglio ancora bio-logica universale. Platone si era posto il problema del linguaggio cercandone la soluzione e il fondamento da un dialogo all'altro, dal Cratilo al Sofista, dal Gorgia al Fedro alla Repubblica. Il fondamento-debole l'uomo che riconosca, senza indulgere a noti motivi heideggeriani, di essere nel linguaggio, di essere destinato a vivere e a

"nuotare" in questo universo paradossale di immagini e di parole, finito e infinito nelle sue combinazioni. Mondo "che gli dato, ma a suo modo pu controllare, ordinare, piegare nel dare valore, sia pure contingente, al rapporto tra parole e cose, significante e significato in un libero uso/gioco di metafore, anacoluti, iperboli, metonimie, sineddochi. Platone dice che avrebbe preferito seguire il suo maestro Socrate, e non scrivere, perch il pensiero vive nel parlato, pi libero e autonomo quando pu andare di bocca in bocca, usare il veicolo della voce umana; mentre nella scrittura trova notevoli vincoli e restrizioni. Se il linguaggio umano scritto limitato di fronte a quello orale, il linguaggio del computer ancora pi limitato, un linguaggio uniforme, "freddo", fatto con un sistema di segni il pi elementare e semplice possibile, su misura per un'intelligenza povera. Nel dialogo tra uomo e uomo giocano molti elementi logici e contestuali alla comunicazione, anche nel dialogo tra uomo e computer hanno il loro peso. Quando si ha l'impressione che il computer abbia capacit intuitive e logiche superiori e perfino affettive queste sono un riflesso della situazione. Weizembaum dice dei colloqui di Elisa e dei suoi pazienti: Persone che sapevano perfettamente di stare conversando con una macchina dimenticarono ben presto questo fatto, proprio come gli spettatori a teatro, presi da un attacco di credulit, presto dimenticano che l'azione cui stanno assistendo non 'reale'. A questa illusione si aggrappavano in modo particolarmente forte e tenacissimo quelle persone che sapevano poco o niente di computer.13 Elisa, pu sembrare una banalit, vivente, assume fattezze e sentimenti umani perch coinvolta in una situazione psico-affettiva influenzata dal valore di scambio, in cui "ella" d, ma soprattutto riceve secondo un ben noto antropomorfismo, quello che ci fa dire che la macchina pensa e parla, che le attribuisce accanto al valore di scambio di carattere metrico, informazionale, il

valore d'uso, ossia di finalizzazione. Mettendo tra parentesi contrapposizioni sostanzialistiche del tipo biologico/fisico, qualora si entri in un orizzonte diverso, si scopre la vera essenza del computer, esito del raddoppiamento umano, ripetizione, supplemento e pertanto differenza, per dirla con J. Derrida, perpetrata all'interno del logos. 4.3. Il programma SHRDLU, realizzato da Terry A. Winograd quasi all'inizio degli anni settanta del secolo scorso ed elaborato con semplici oggetti tridimensionali, quali cubi e piramidi di diversa forma, misura e colore e scatole, appoggiati su un tavolo e facenti parte di un dominio estremamente semplificato chiamato "mondo dei blocchi" offre indubbiamente pi convincenti performance. SHRDLU simula le azioni e le risposte di una persona, in un linguaggio naturale, e "agisce" conseguentemente. Riportiamo un brano di dialogo tra Eta Oin e SHRDLU dalla citata opera di Hofstaedter. Eta Oin Prendi un blocco rosso grande. (cfr. Fig. 1) SHRDLU BENE. Eta Oin Afferra la piramide. SHRDLU NON CAPISCO A QUALE PIRAMIDE TI RIFERISCI. Eta Oin Cerca un blocco pi alto di quello che hai preso e mettilo nel scatola. (cfr. Fig. 2) SHRDLU CON LO PRESUMO CHE VUOI INDICARE IL BLOCCO PI ALTO DI QUELLO CHE HO PRESO. SHRDLU BENE

Eta Oin Che cosa contiene la scatola? SHRDLU LA PIRAMIDE BLU E IL BLOCCO BLU. Eta Oin Da che cosa sostenuta la piramide? SHRDLU DALLA SCATOLA. Eta Oin Quanti blocchi non sono nella scatola? SHRDLU QUATTRO. Eta Oin Almeno uno di essi pi stretto di quello che ti ho detto di prendere? SHRDLU S, IL CUBO ROSSO. Eta Oin sostenuto? SHRDLU S, DALLA TAVOLA. Eta Oin La tavola pu prendere blocchi? SHRDLU NO. Eta Oin Una piramide pu essere sostenuta da un blocco? SHRDLU S. Eta Oin Pu una piramide sostenere una piramide? SHRDLU NON SO. Eta Oin Metti una piramide sull'altra. SHRDLU NON POSSO.

Eta Oin La piramide blu mia. SHRDLU CAPISCO. Eta Oin Io posseggo tutti i blocchi che non sono rossi, ma non posseggo nessun oggetto che sostenga una piramide. SHRDLU CAPISCO. Eta Oin Posseggo una scatola? SHRDLU NO. Eta Oin Posseggo qualcosa che sta nella scatola? SHRDLU S, DUE COSE IL BLOCCO BLU E LA PIRAMIDE BLU.

Fig. 1 Prendi un blocco rosso grande (Da Terry Winograd, Understanding Natural Langucge, Academic Press, New York 1972, p. 8).

Fig. 2 Cerca un blocco pi alto di quello che hai preso nella scatola (Adattamento da Terry Winograd, Understanding Natural Language, p. 9). Eta Oin Per favore, vuoi mettere uno sull'altro i due blocchi rossi e un cubo verde, oppure una piramide? (cfr. Fig. 3) SHRDLU BENE. Eta Oin Quale cubo poggia sul tavolo?

SHRDLU QUELLO VERDE GRANDE CHE SOSTIENE LA PIRAMIDE ROSSA. Eta Oin C' un blocco grande dietro una piramide? SHRDLU S, CE NE SONO TRE: UNO ROSSO GRANDE, UN CUBO VERDE E QUELLO BLU. Eta Oin Mettine uno piccolo sul cubo verde che sostiene una piramide. SHRDLU BENE. Eta Oin Metti sopra di esso la piramide piccolissima. SHRDLU BENE. Eta Oin Quanti oggetti ci sono sopra i cubi verdi? SHRDLU NON SONO SICURO CHE COSA INTENDI CON 'SOPRA' NELL'ESPRESSIONE DIRETTAMENTE 'SOPRA I CUBI VERDI'. DEI INTENDI CUBI DIRE: 1. IN

SULLA

SUPERFICIE

VERDI.2.

QUALUNQUE LUOGO SOPRA I CUBI VERDI? Eta Oin Hai toccato qualche piramide prima di mettere quella verde sul cubo piccolo?

Fig. 3 Per favore vuoi mettere uno sull'altro i due blocchi rossi e, o un cubo verde oppure una piramide (Adattamento da Terry Winograd, Understanding Natural Language, p. 12). SHRDLU S, QUELLA VERDE.

Eta Oin Quando l'hai presa? SHRDLU QUANDO STAVO SOVRAPPONENDO IL CUBO ROSSO, UN BLOCCO ROSSO GRANDE E UNO VERDE GRANDE. Eta Oin Perch? SHRDLU PER SBARAZZARMENE. Eta Oin Perch lo hai fatto? SHRDLU PER LIBERARE IL CUBO ROSSO. Eta Oin Perch lo hai liberato? SHRDLU PER METTERLO SOPRA UN CUBO VERDE GRANDE. Eta Oin Perch lo hai fatto? SHRDLU PER SOVRAPPORRE IL CUBO ROSSO, UN BLOCCO ROSSO GRANDE UN CUBO VERDE GRANDE. Eta Oin Perch lo hai fatto? SHRDLU PERCH MI HAI CHIESTO DI FARLO. Eta Oin Come lo hai fatto? SHRDLU METTENDO UN BLOCCO ROSSO GRANDE SULLA TAVOLA; POI LASCIANDOLO; POI METTENDO UN CUBO VERDE GRANDE SOPRA DI ESSO; POI LASCIANDO QUESTO CUBO; POI METTENDO IL CUBO ROSSO SU QUESTO CUBO; POI LASCIANDO QUESTO CUBO. Eta Oin Quanti oggetti hai toccato durante questa operazione?

SHRDLU QUATTRO. Eta Oin Che cosa sosteneva il cubo rosso prima che tu cominciassi a liberarlo? SHRDLU LA PIRAMIDE VERDE. Eta Oin In quel momento c'erano cinque blocchi alla sinistra della scatola. SHRDLU NO, SOLTANTO QUATTRO; IL CUBO ROSSO, DUE CUBI VERDI GRANDI E UN BLOCCO ROSSO GRANDE. Evidentemente SHRDLU "sa" che frasi che cominciano con "la, il" eccetera si riferiscono a un oggetto specifico, considera termini negativi come "no, non, niente, nessuno" isolatamente e in gruppi nominali come "nessuna scatola", ha capacit euristiche in quanto sa decidere quali informazioni interessano una persona che fa domande. Fa, inoltre, la distinzione tra s e la tavola per quanto riguarda l'informazione "prendere", usa nomi e pronomi, pu trattare tempi verbali composti e varie forme di verbi irregolari. Dal mondo dei blocchi, adottato come sorta di laboratorio per sperimentare strategie di apprendimento dell'I. A., dal programma Elisa appare, comunque, che la ricerca sull'I. A. stata, negli anni settanta e successivi, condizionata, in gran parte, dal quadro ideologico e scientifico di quegli anni. Oggi sul piano teorico-flosofico tende a spostarsi dalle ultime contrastanti propaggini del neoempirismo a riferimenti prestrutturali di segno ermeneuticoontologico. Tra epistemologia e ontologia dell'informazione pare aprirsi una breccia per rimettere in discussione il lessico tradizionale e fermare l'attenzione su termini chiave quali input, output, hardware, software, mente, programmi.

La stessa definizione di intelligenza, quella derivata dal test di Turing, che ha guidato per pi di venti anni i ricercatori di I. A. non pare del tutto soddisfacente, come sostiene T. Peggio: A nostro giudizio, un nuovo test di Turing dovrebbe mettere l'accento sull'apprendimento, o forse su quella che stata definita la 'crescita' o 'sviluppo' delle competenze percettive, motorie e linguistiche.14 Come noto un sistema artificiale, secondo il test di Turing, definito intelligente quando partendo da un livello anche basso di rendimento, in grado di apprendere per mezzo dell'esplorazione dell'ambiente, cio capace di imparare. Converr, pertanto, ritornare a rivedere, ridiscutere, approfondire il concetto, per noi fondamentale, di informazione. Si definisce informazione il complesso di strutture, modelli, figure e configurazioni ma anche idee, ideali, idoli, immagini e ancora scambi, continuit, discontinuit, segni, significati e simboli, gesti, intonazioni, ritmi, presenze e assenze, parole, azione, silenzio, una variet di impulsi metrici. E, di contro, si pensa che debba essere chiamata comunicazione una struttura organizzata di un sistema vivente che respira, si riproduce, si adatta all'ambiente. Nel senso proprio del termine, invece, il comunicare non implica necessariamente comprensione conscia, si riferisce solo alla trasmissione di messaggi per mezzo di una rete informativa che comprende un insieme di rapporti e informazioni di situazioni, di istruzioni contestuali, verbali, un insieme, insomma, che fornisce spiegazioni sulla materia, sul movimento, sui comportamenti. Il termine include, quindi, in senso ampio, condizioni biologiche, fisiche, ecologiche. Se l'immagine dell'universo classico composto di materia ed energia poteva essere tracciata e interpretata all'insegna di modelli fisico matematici e se l'immagine dell'universo organico e umano richiedeva ben altri paradigmi e altra interpretazione, giacch era elaborata come complessit strutturata, sistema che mette in relazione materia,

energia e anche informazione, l'immagine di sistema presente e futura rimanda a una societ delle menti e della comunicazione in cui gli enti informatici interagiscono incessantemente tra di loro in uno spazio aperto, luogo di rapporti, relazioni e trasformazioni in bala di una causalit non pi sicura e lineare. Negli anni sessanta la biologia molecolare e la computer science, discipline apparentemente molto distanti, avevano conseguito lusinghieri risultati

ispirandosi l'un l'altra e sostenendosi con apporti concettuali, alcuni dei quali confluiti poi nella cibernetica, scienza dell'organizzazione come la defin N. Wiener, scienza contemporaneamente della comunicazione tra le macchine e tra gli esseri viventi. La nozione di programma usata da entrambe diede luogo, tuttavia, a divergenze e dibattiti, come spesso accaduto nella storia della scienza quando un lemma di origine fisica o meccanica sia stato adottato dalla scienza biologica. La dicitura programma-genetico suggerita da alcuni studiosi, feconda sul piano operativo, portava a notevoli difficolt. Si diceva, mentre il programma di computer realizzato consapevolmente da un programmatore, il programma genetico non ha programmatori espliciti; il programma genetico non programmato dall'esterno perch si programma da s, epigenetico, un programma che scompare nell'insieme delle strutture e del funzionamento della cellula. Conosciamo perfettamente la sintassi del programma di un computer, non conosciamo la sintassi del codice genetico, la sintassi della lingua dei geni, la lingua degli enzimi, tra linguaggio informatico e linguaggio dei geni riscontriamo la stessa dicotomia tra sintassi e semantica.15 Oggi gli esperti della scienza dell'informazione affrontano il problema dell'autoorganizzazione, studiano algoritmi probabilistici, sono riusciti a elaborare processi

di auto-organizzazione che fanno del programma non pi una struttura, bens una funzione. Sotto l'effetto di perturbazioni, che disorganizzano e/o disarmonizzano, i nuovi sistemi sono in grado di reagire e operare l'autocreazione di senso, la creazione, cio, di nuovi significati. Simili problematiche e i relativi programmi di ricerca nell'ambito del linguaggio informatico richiedono, comunque, approcci transdisciplinari, il superamento delle dicotomie concettuali o reali segnate in passato quali essere/divenire, riduzionismo/olismo, parte/tutto, albero/rete, testo/contesto, innato/acquisito e tra queste digitale/analogico con l'irriducibilit dell'uno all'altro. Che un procedimento digitale possa darci un'approssimazione o simulazione utile ed efficace di un continuo analogico possiamo capirlo con l'elementare esempio degli orologi digitali che presentano direttamente i valori numerici corrispondenti a ore e minuti durante l'intervallo di tempo di un minuto, e in questo caso i numeri sono fermi per scattare poi sul valore successivo, e ci sono orologi dotati di lancette che con il loro continuo moto di rotazione assumono posizioni angolari che rappresentano le ore in forma analogica. La diversit tra le due rappresentazioni, se si pone attenzione soprattutto agli aspetti funzionali, meno rigida di quanto sembri, come altre precedentemente esaminate quali verbale/non verbale, orale/scritto, fisico/biologico. La diversit delle due rappresentazioni si stempera se pensiamo che sul piano della performance ci che l'analogico guadagna in semantica lo perde in sintassi e viceversa. Si stempera, ancora, quando consideriamo l'insieme immediato di circostanze in cui avviene sia la comunicazione che l'informazione: il contesto.

Senza contesto ci troveremmo di fronte alla differenza pura, alla diversit di cui dice Foucault, all'impossibilit della significazione, di finalizzare un aggregato, di orientare e interpretare un'esperienza mondana reale o immaginaria. Indubbiamente in un sistema quantitativo il contesto pi povero, qui l'informazione procede in modo unidimensionale; in un sistema biologico abbiamo a che fare con contesti molto ricchi, contesti nei quali l'informazione varia, generata da distinzioni qualitative. Ma possiamo affermare che in ogni tipo di relazione operante la compresenza di aspetti analogici e digitali, i vantaggi dell'uno e dell'altro; nei sistemi biologici e nello stesso uomo, la cui capacit digitale diversa dalla digitalit meccanica, perch si unisce a un'analogicit raffinata di tipo logico superiore, questa compresenza. Cos siamo in grado di instaurare all'interno e tra rappresentazioni o linguaggi una varia gerarchia come afferma K. H. Pribram: I programmi di basso livello, scritti in codice macchina o in linguaggio assemblatore, possono essere eseguiti solo su un particolare tipo di elaboratore, e hanno in genere una logica molto simile a quella della macchina per cui sono stati scritti. D'altra parte, i linguaggi di alto livello come il Fortram, l'Algol e il Pascal sono di applicazione universale, e vi una somiglianza molto immediata fra la loro logica implicita e quella delle macchine. Al livello pi alto vi sono i linguaggi come l'inglese o l'italiano, che vengono a volte usati, in certe applicazioni, per dare comandi alla macchina e le cui parole hanno sempre una forte connotazione sociale.16 Dall'hardware al software, al brainware, quindi, dai calcolatori a logica binaria a calcolatori "intelligenti" nei quali le cifre binarie (bit) danno origine a codici pi complessi. Sembra probabile che vi sia una qualche forma di integrazione gerarchica che mette in relazione i processi mentali con il cervello. I meccanismi sensori trasformano configurazioni di energia fisica in configurazioni di energia

neuronica. La retina e la coclea sono meccanismi di questo tipo, ma essendo analogici piuttosto che digitali, il processo di trasduzione considerevolmente pi complesso di quello che avviene nei calcolatori elettronici.17 Oggi, mentre muta il lessico e si modifica il nostro modo di pensare, siamo autorizzati a dire che gli elementi fondamentali dell'universo non sono n mentali n materiali, ma neutri. Il processo di smaterializzazione che, al di l di un certo livello di analisi, ha luogo nella fisica moderna, trova il suo corrispettivo nel 'monismo neutrale', in quanto i termini 'mente e cervello' rappresentano due classi di realizzazioni diverse, ognuna delle quali corrisponde a un modo diverso di considerare la gerarchia concettuale dei sistemi realizzati. I fenomeni mentali sono altrettanto reali degli oggetti materiali, ed entrambi sono concrezioni di strutture sottostanti che la scienza ha il compito di descrivere in un linguaggio per quanto possibile neutrale, non connotato rispetto all'appartenenza di tali strutture all'una o all'altra classe. un realismo costruttivo i cui rapporti con il realismo critico, il pragmatismo e il razionalismo neo-kantiano sono stati chiariti altrove;18 cos continua Pribram con toni neoplatonici, offrendo un'affascinate ipotesi risolutiva dei dissidi sorretta da comprovati supporti della neurologia e della computer science. Un modello epistemologico-cibernetico di successo, preferiremmo chiamarlo metafora, stato quello proposto da G. Bateson, il quale ha posto alla base del sistema il rapporto 0/1, atomo informazionale, minima unit differenziale atta a generare senso in un campo di interrelazioni. Questo atomo materiale e immateriale, simile a una monade leibniziana, fonda l'universo della

comunicazione rispettando determinate leggi e opera secondo una teoria dell'apprendimento universale tutte le risposte, tutti i comportamenti, tutto l'apprendimento e tutta la genetica, tutta la neurofisiologia e l'endocrinologia,

tutta l'organizzazione e tutta l'evoluzione insomma tutto un vasto campo, dev'essere considerato come avente natura di comunicazione ed pertanto soggetto alle grandi generalizzazioni o leggi che valgono per i fenomeni di comunicazione.19 All'interno di questo ampio campo Bateson individua quattro livelli di apprendimento da attribuire gradatamente a tutti gli esseri, la natura nel suo complesso e anche le macchine intelligenti. Secondo Bateson l'uomo in possesso di pi linguaggi. Se, dunque, il linguaggio verbale fosse in un qualche senso un sostituto evolutivo della comunicazione cinetica e paralinguistica, ci si dovrebbe aspettare che i vecchi sistemi prevalentemente iconici fossero notevolmente decaduti. Al contrario la cinetica dell'uomo diventata pi ricca e complessa, e il paralinguaggio riccamente fiorito parallelamente all'evoluzione del linguaggio verbale.20 La molteplicit e variet dei linguaggi nell'uomo, quindi, pare escludere che un solo linguaggio possa prevalere il sogno dei logici, cio che gli uomini debbano comunicare tra loro soltanto per mezzo di segnali discreti non ambigui non si avverato e probabilmente non si avverer.21 Bateson convinto che nell'era dell'I. A., comunque, il linguaggio informatico non prevarr o escluder gli altri, si affermer, invece, l'interazione complessa e continua tra messaggio e ambiente che giustifica una concezione ecologica del sistema e di equilibrio tra i sistemi nel corso dell'evoluzione. Per chiarire in modo conclusivo il modello ecologico-cibernetico aggiunge: I. Il sistema agir su e con differenza. 2. Il sistema consister in anelli chiusi o reti di canali lungo i quali verranno trasmesse le differenze e le loro trasformate (ci che viene trasmesso su un neurone non un impulso ma la notizia di una differenza). 3. Molti degli eventi interni al sistema riceveranno energia dal componente che

risponde piuttosto che dall'effetto del componente innescante. 4. Il sistema si dimostrer autocorrettivo nella direzione dell'omeostasi o nella direzione dell'instabilit. L'autocorrezione implica il procedimento per tentativi ed errori. Ora queste caratteristiche minime della mente sono generate ogni qualvolta e ovunque esista l'adeguata struttura circuitale di anelli causali. La mente funzione necessaria inevitabile di un'adeguata complessit ovunque questa complessit si presenti.22 Trattando nello specifico della dicotomia uomo/calcolatore dice: Consideriamo ora per un momento se un calcolatore pensi. Io direi di no. Ci che pensa e procede per tentativi ed errori l'uomo pi il calcolatore pi l'ambiente. Quello che pensa il sistema totale.23 E un sistema in cui il caso, il particolare non pu essere astratto dal contesto e trasferito in zona neutra e universale, invece refrattario a tutto ci, condizionato da molteplici interazioni note ma anche ignote. Un "sistema-mente" che non pu essere a misura del linguaggio umano; fondato su un vasto campo di processi interconnessi in cui l'uomo coinvolto, pu essere immaginato come una societ delle menti, governata dalla dinamica interazione di varie entit. Pu essere immaginato come una totalit non pi di stampo metafisico, come un luogo in cui avvengono sfondamenti, si aprono fratture, dissidi, contrasti, un luogo, come osserva H. Atlan in cui Si pu produrre qualcosa di nuovo proprio perch non tutto determinato a priori e che permette a questa novit di non essere un semplice caos e di poter acquisire eventualmente un significato a posteriori in un determinato contesto quindi senza fungere da testo da norma per il futuro.24 Anche la spiegazione della complessa e unitaria organizzazione del cervello che M. Minsky ha offerto proponendo l'efficace formula di societ della mente orientata in questa direzione. Le buone teorie della mente devono abbracciare

almeno tre scale temporali diverse: una lenta per i miliardi di anni in cui il nostro cervello si evoluto, una rapida per le settimane e gli anni fuggevoli della nostra infanzia e fanciullezza e una di media velocit per i secoli di sviluppo delle nostre idee nel corso della storia.25 Per comprendere la natura della mente, quindi, bisogna attribuire decisiva importanza al fattore tempo e all'evoluzione, tener presente che la mente costituita da atomi o cellule piccolissime che hanno come carattere fondamentale l'attivit, sono "agenti" nel tempo. Par di capire che a breve o a lunga distanza in presenza di un'interazione tra la mente umana e la mente artificiale, di una comparazione mediante dispositivi di interfaccia tra l'identit/differenza dell'una e dell'altra possa costituirsi, forse gi si costituita, una "societ delle menti". Una societ in cui affiorano accidentalit, ostacoli, indifferenza ma anche amicizia, una societ in cui l'uomo ha preso coscienza che qualunque macchina dall'uomo inventata non banale, ancor pi la macchina che pensa, impropriamente chiamata cos perch ormai non una macchina.

NOTE

1)

J. R. Searle, Menti, cervelli e programmi, a cura di G. Tonfoni, Clup

Clued, Milano 1984; titolo originale Minds, Brains and Programs in The Behavioral and Brain Science, Cambridge University Press, Cambridge 1980.
2)

Ivi, p. 87. Ivi, p. 168. W. Hofstaedter, Godel, Escher, Bach: an Eternal Golden Braid, Basic

3)

4)

Books, New York 1979; trad. it. Godel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante, Adelphi, Milano 1984, pp. 658 e segg.
5)

Ivi, p. 619. S. Moravia, L'enigma della mente, Laterza, Roma-Bari 1986, p. 135. Ibidem. Ivi, p. 136. Ivi, p. 162. J. Weizembaum, II potere del computer e la ragione umana,

6)

7)

8)

9)

10)

introduzione di F. La Cecla, edizioni Gruppo Abele, Torino 1987; titolo originale Computer Power and Human Reason, Freeman, S. Francisco 1976, pp. 23-24.
11)

Ivi, p. 176. Ivi, p. 172.

12)

13)

Ivi, p. 176. L'automa spirituale. Menti cervelli e computer a cura di G. Giorello e P.

14)

Strata, Laterza Roma-Bari 1991, p. 170.


15)

AA.VV. La sfida della complessit, a cura di G. Bocchi e M. Ceruti,

Feltrinelli, Milano 1983, l'articolo di H. Atlan Complessit, disordine e autocreazione di significato.


16)

AA.VV. Mente umana, mente artificiale, a cura di R. Viale, Feltrinelli,

Milano 1989 pp. 167-168.


17)

Ivi, p. 169. Ivi, pp. 174-175. G. Bateson, Steps to an Ecology of Mind, Chandler, New Yoik 1972; trad.

18)

19)

it. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, p. 307.


20)

Ivi, p. 422. Ibidem. Ivi, p. 502. Ibidem. H. Atlan, Complessit, disordine e autocreazione di significato, in

21)

22)

23)

24)

AA.VV. La sfida della complessit, cit., pp. 167-168.


25)

M. Minsky, The Society of Mind, Simon & Schuster, New York 1986;

trad. it. La societ della mente, Adelphi, Milano 1989, p. 24.

VERSO UNA SOCIET DELLE MENTI

Non gli manca che esporre questi bei pensieri in forma sistematica, ma uno scrupolo lo trattiene; e se ne venisse fuori un modello? Cos preferisce tenere le sue convinzioni allo stato fluido verificarle caso per caso e farne la regola implicita del proprio comportamento quotidiano nel fare e nel non fare, nello scegliere o escludere, nel parlare o nel tacere. I. Calvino, Palomar

Per Heidegger la tecnica, se intesa in senso originario ed essenziale, attestazione della infinitesima fede epistemologica dell'uomo nelle possibilit di razionalizzare tutti i saperi e tutti i poteri, nella possibilit di eseguire sofisticate manipolazioni e di cambiare il mondo, chiude il corso della metafisica. In Sein und Zeit il filosofo tedesco aveva cercato di pensare il senso dell'essere fuori dell'orizzonte della presenza, oltre l'oggettivit, oltre il rapporto soggetto-oggetto, ma non gli era riuscito. Per mancanza di linguaggio era rimasto contraddetto e confuso in mezzo al guado del linguaggio metafisico. Aveva preso atto che fin quando la tecnica non fosse giunta alla sua fase estrema non restava che assumere un atteggiamento di attesa, adottare una specie di torsione del pensiero (Verwindung) e un nuovo linguaggio. Il Dasein di Heidegger, quindi, nel momento crepuscolare e negativo della sua storia, non pu che attribuirsi una funzione debole, un modus vivendi

umile, ma pur sempre dignitoso, la sperimentazione di un pensiero rammemorante dell'essere, un pensiero che non produce effetti o risultati umani (umanistici), che prende coscienza di essere sul limitare dell'apertura. L'uomo del nostro tempo pu pensare la tecnica nella sua essenza, nel suo valore originario, in modo libero, non facendosi condizionare e coinvolgere dalla strumentazione, dalle venalit degli oggetti, dall'usura. Mentre la civilt continua a produrre pensiero rappresentativo e metafisico e fa della tecnica uno strumento onnipotente, il filosofo pu riscoprire associando fusis e poiesis, armonizzando natura e tecnologia, tecnologia e ambiente, la smarrita connessione unitaria di mezzo e fine. Del resto se si potesse dare in modo definitivo la separazione tra fusis e techn non avremmo forse la negazione della natura, la sua distruzione, la fine della vita? Oppure non ci riporterebbe l'assenza della tecnica alla notte dei tempi, all'assenza della vita? L'atteggiamento del filosofo o come dice Heidegger del poeta, n pessimista ne ottimista, vuol essere, quindi, di fiducia nell'Essere, vuole ispirarsi a un sentire pre-metafisico, cercare residenza in un'oasi, una radura neutra. Egli far uso dei prodotti della tecnica, delle cose, senza dipendere da essi. Detta scelta, a causa del residuo antropologico accumulato da Platone in poi, sar ancor pi difficile nel momento in cui il dominio ontico delle scienze e della tecnica al suo culmine, ma avr qualche probabilit di riuscita perch la razionalit metafisica, la filosofia classica e neoclassica sembrano al tramonto, sembrano avviare al dopo-filosofia. In alcuni scritti degli ultimi anni Heidegger parso convinto che la cibernetica possa costituire l'unica disciplina in grado di unificare tecnicamente i vari saperi

in virt dei suoi strumenti teorici come l'informazione, il feedback, un lessico che espunge i tradizionali concetti di causa, effetto, sostanza. Si tratta di un esito problematico e ambiguo perch porta alla luce qualcosa di impensato: da un lato la negazione dell'antropologia, la fine della filosofia, dall'altro una transizione, cio, dallo schiacciante potere della tecnica a una nuova civilt. Heidegger analizza con procedere ermeneutico il termine cibernetica, la matrice greca del vocabolo e privilegia questo aspetto, piuttosto che ad esempio - la nozione centrale di feedback, quale filo conduttore per comprendere e spiegare le caratteristiche di una tale 'disciplina non disciplina'1 ed convinto che la cibernetica potr raccordare e mettere insieme diversi campi di ricerca, funzione che nel passato stata della filosofia. La filosofia nel suo dissolversi viene rimpiazzata da un nuovo tipo di unificazione fra queste scienze nuove e tutte gi esistenti. La loro unit s'annuncia nel fatto che le differenti sfere tematiche delle scienze sono indotte (herausgefordert) a presentare quest'accadimento come l'avvento di un processo di controllo e d'informazione2 Ma la cibernetica, per Heidegger, ancor pi, come ogni sapere, non una scienza fondata, costruita su fondamenti, , invece, una disciplina rigorosamente tecnica che pu rimpiazzare la filosofia perch il concetto guida della cibernetica, il concetto di informazione, per giunta sufficientemente vasto da poter assoggettare alle pretese della cibernetica anche le scienze storiche dello spirito.3 Ma se queste e altre tesi heideggeriane presuppongono o preludono una seconda futuribile svolta epocale, il filo delle argomentazioni che non appare convincente.

Adorno aveva detto che il linguaggio, la stessa parola essere, in Heidegger, era autoritaria e illusoria in quanto racchiude l'aspirazione a "spiegare" o "comprendere" una realt che cambia, che il nesso passato/presente/futuro, nell'analisi heideggeriana, governato-destinato da una realt originaria investita di poteri vincolanti, per quanto mascherati, secondo un modello emanatista. Postulando la influente autorevolezza della tradizione e operando una decostruzione della metafisica, Heidegger rende lecita la mediazione assoluta tra storia e verit, il superamento su base storicistica delle problematiche empiriche; ma chiude all'innovazione. Non riesce, come ha sostenuto P. Ricoeur, a risolvere l'alternativa tra tempo vissuto e tempo cosmico, alternativa condannata a valorizzare l'uno a danno dell'altro. Si pu aggiungere che se avvenuta una svolta metafisica, come dice Heidegger, essa simile a una mutazione; da essa non si esce per tornare indietro, pu semmai esservi un'altra svolta, non un nuovo mito della caverna; pu esservi la fine senza ritorno. Heidegger sembra riportare a un viaggio circolare che rimette in gioco la metafsica, sembra portare a un ricorso, mentre il linguaggio della metafisica, a suo stesso parere, non dice pi nulla, deve mutarsi nei linguaggi, in una molteplicit di grammatiche, di logiche, di tecniche; deve situarsi in uno spazio puntiforme, parlare e tacere, dire i dissidi, gli scontri e gli incontri delle parole e delle frasi. In un'epoca postmetafisica come la nostra, alla decisiva domanda sulla natura e sulla funzione del linguaggio, la risposta ultima di Heidegger, citando R. Rorty, la seguente Heidegger risponde che dovrebbero esserci alcune [parole elementari] dotate di una [forza] indipendente dall'uso che ne fa [l'intelletto comune]. A quest'ultimo arriva la teoria del linguaggio come gioco linguistico mentre l'idea di [casa dell'Essere] dovrebbe permetterci di cogliere la forza. Se le

parole non avessero una forza, la filosofia in quanto tentativo di preservarla sarebbe inutile.4 Heidegger vorrebbe, pertanto, comprendere i vocabolari decisivi, vocabolari che dicono chi siamo, perch ci hanno fatti. Questa ricerca del pensiero rammemorante (andenken denken) evidentemente si fonda sulla fede ontologica che possa esserci un simile linguaggio originario, mentre per chi ha altro senso del tempo e del divenire pi prudente credere che il linguaggio un continuum senza inizio, forse senza fine, di parole che nascono e muoiono, di rimandi tra significante e significato, ambigui e vaghi che si perdono nel tempo. Tornando alla questione della tecnica che in Heidegger si avviluppa con quella del linguaggio, come si visto ampiamente, non sembra adeguatamente sostenuta la connessione/sconnessione, la continuit/differenza di techn e logos, di linguaggio artificiale e linguaggio naturale. Priva di delucidazioni tecnologiche, con Heidegger la tecnica diventa una categoria. Lo si evince dal significato attribuito alla voce techn, che nella sua essenzialit non ammette variazioni, n fratture, n salti. Ma Il produrre della techn di Heidegger, il suo far avvenire alla presenza, non quanto si verifica con la tecnologia del nostro tempo. Il filosofo tedesco aveva fatto una distinzione tra techn antica e tecnologia moderna. La differenza risiede nel fatto che la degli antichi si disponeva al dispiegamento della forza della natura, mentre la tecnica moderna accumula la forza della natura per disporne in base ai suoi piani.5 Aveva detto che l'autentico valore della techn si comprende superando il Gegenstand, pensando il Bestand. Questo fondo disponibile l'essere che la metafisica occidentale ha pensato come fondamento dell'ente, che la scienza ha obliato nell'oggettivismo dell'ente, e che la tecnica pu recuperare come fondo (Bestand), in cui gi siamo per l'originaria coappartenenza all'essere.6 Aveva ritenuto possibile l'abbandono del pensiero

rappresentativo con un salto: Dal salto nasce il rilassamento (Gelassenheit) che sorge dal 'ritrovarsi' nel 'gi' in cui si era; il rilassamento vive la serenit (Gelassenheit) del 'ritorno' nel luogo in cui 'da sempre' si era, e col ritorno il piacere del ricordo e del recupero.7 Salto che comporta la ferma convinzione che il pensare tecnologico non si costituisce come unico pensare, ma si lascia comprendere in quel pi ampio orizzonte dischiuso del pensare pensoso che non ha nulla di tecnico, perch la sua attenzione non rivolta all'impiego delle cose, ma alla ricerca del loro senso, ivi compreso il senso sotteso allo stesso impiego tecnico delle cose.8 Salto che di fatto non realizzava perch, alla luce della sua definizione e immagine della tecnica, poneva la tecnica fuori del tempo della tecnica; aggirava l'analitica del come senza cui non pu avviarsi l'analitica del che cosa; restava con la Verwindung nella sfera metafisica. Attenti alle variazioni delle tecniche, ai diversi momenti e contesti della storia, storici e filosofi si sono occupati della tecnica classica, moderna e contemporanea, con approccio "internista". A giudizio di J. Vernant, per citare un esempio, la tecnica e la scienza greche non sono figlie della filosofia; la techn dell'artigiano greco si nutriva di una tradizione non di carattere scientifico o filosofico, era spesso soggetta al caso, alla fortuit, scaturiva dalla concomitanza di fattori favorevoli e non di rado occasionali. O. Neugebauer, rivalutando, a sua volta, le procedure tecniche dei greci, elaborate soprattutto empiricamente, ha aggiunto, riferendosi all'et alessandrina, metafisica per Heidegger, se gli studiosi moderni avessero dedicato a Galeno e Tolomeo altrettanta attenzione che a Platone e ai suoi seguaci sarebbero giunti a risultati alquanto diversi e non avrebbero inventato il mito della spiccata attitudine del cosiddetto spirito greco a sviluppare teorie scientifiche senza far ricorso a esperimenti o a verifiche empiriche.9 Per un'epoca come la nostra, il concetto di tecnica heideggeriano risulta inadeguato e generico.

* II noto ricercatore di I. A. R. Shank, muovendo da un versante epistemologico, ha affermato che oggi i nuovi filosofi sono i ricercatori di I. A.; sono questi gli eredi di Platone, visto che da Platone stato fondato l'umanesimo della scienza e della tecnica moderna e contemporanea. E senza dubbio per l'I. A. si possono riscoprire origini antiche a partire dal razionalismo platonico, dalla grammatica e sintassi platoniche, dall'episteme platonica che avrebbe generato la costruzione logica e tecnica del mondo. Ma, d'altro canto, non legittimo nascondere o colmare un fossato, il fatto cio che tra il concetto di techn platonico e la tecnologia del computer vi come una falda, un'enorme differenza, il fatto che l'I. A., quale prodotto delle tecniche, quantomeno una tecnica particolare che fonde varie tecniche insieme, vari saperi, logica ed elettronica, software e hardware come esemplarmente ha mostrato W. Hofstaedter nel suo classico Godel, Escher, Bach, gi citato. sintomatico che due ricercatori di computer science, quasi contrapponendosi a R. Shank, T. Winograd e F. Flores, abbiano cercato, nello studio dei calcolatori, di seguire una pista di orientamento ermeneutico. Dopo aver deplorato lo sfondo scientifico e filosofico in cui sono cominciate le ricerche di I. A., decenni or sono, hanno sostenuto che I calcolatori non soltanto sono progettati all'interno del linguaggio, ma sono essi stessi attrezzature per il linguaggio. Non solo essi riflettono la nostra comprensione del linguaggio, ma allo stesso tempo creano nuove possibilit per il nostro parlare e ascoltare per creare noi stessi nel linguaggio.10 Gli stessi ricercatori, dichiarando di ispirarsi all'ermeneutica heideggeriana, hanno sottolineato la crescita vertiginosa e la validit del dizionario tecnico avutasi, nella pur breve storia dell'informatica, con il frequente scambio lessicale fra dizionari diversi. Lo sviluppo della tecnologia ha attribuito

nuove accezioni a termini quali 'informazione', 'input', 'output', 'linguaggio' e 'comunicazione' mentre il lavoro in aree quali l'intelligenza artificiale sta modificando il significato delle parole quali 'intelligenza' 'decisione' e 'sapere',
11

visto, e su questo non ci sono dubbi, che il calcolatore un dispositivo che crea, manipola e trasmette oggetti simbolici (dunque linguistici), crea un nuovo dizionario che pu assurgere all'essenzialit e rendere sbiadito, obsoleto quello precedente. Hanno aggiunto che il dizionario tecnico ha acquistato ormai valore di tradizione, rappresenta un "modo di essere", la storicit delle nostre modalit di pensiero, la storicit della stessa I. A. che consente alle nuove generazioni di I.A. di "nascere" con un background, una originaria pre-struttura, la tradizione informatica appunto. L'approccio di Winograd e Flores, detto ermeneutico, tende proprio a questo, a considerare e valorizzare l'influenza della preconoscenza nell'interpretazione della situazione problematica di problem solving in una essential tension tra tradizione e innovazione. * L'intera storia delle tecniche ci dice che queste spesso sono state dipendenti l'una dall'altra e coerenti tra di loro, sotto diversi aspetti, nel processo di affinamento, e L. Mumford ha parlato di effetto di trascinamento dovuto a tecniche dominanti. Ma la storia dice, anche, che i sistemi tecnici hanno avuto e hanno limiti nello spazio e nel tempo, i cosiddetti limiti strutturali che determinano la loro decadenza, anche rapida, e la fine. Si pu congetturare che lo stesso valga per l'I. A. Se assimilata ipoteticamente alle tecniche fa emergere la sua non omogeneit con quelle che l'hanno preceduta, e tuttavia soggetta ai limiti di ogni tecnica, a una sua eventuale saturazione, esito su cui pochi hanno fermato l'attenzione. Accanto all'ipotesi della sua fine si pone o si propone quella pi attuale e alternativa di una sua centralit nella civilt del nostro tempo in cui possa

assumere il posto dell'uomo, spodestarlo, spingerlo in periferia, come hanno pensato e detto filosofi, intellettuali e scrittori. In questo caso l'uomo postmetafisico, postindustriale si troverebbe di fronte ad essa in una posizione scomoda, anfibia, costretto a instaurare un rapporto obliquo, scettico verso il mondo e verso se stesso, come ha suggerito G. Vattimo, da Verwindung in atto, un rapporto che si istituisce avendo compiuto la critica della metafisica, la messa in mora dell'antropologia, il superamento della metafisica della tecnica. un intellettuale che ai margini tra critica ermeneutica ed ermeneutica della critica vive una sorta di transizione dall'epistemologia all'ermeneutica

complementare, d'altro canto, al passaggio dall'ermeneutica all'epistemologia, inseguendo un sentiero, ancora vago e incerto, tra la precedente complementarit tra spiegazione e comprensione, tra razionalit delle scienze naturali e razionalit della vita e delle forme di vita. A questo riguardo il M. Ferraris ha scritto: il porsi dell'ermeneutica come koin della filosofia continentale ha reso evidente la necessit di un dialogo con le filosofie a orientamento analitico-epistemologico diffuse nel mondo anglosassone; detto dialogo facilitato da due circostanze: il fatto che anche le filosofie analitiche siano caratterizzate da una svolta linguistica che presenta affinit oggettive con l'ermeneutica; e il fatto che in generale il crollo del dogma dell'empirismo ha prodotto, specialmente nel campo di una teoria analitica della storia e dell'azione, una transizione dall'epistemologia

all'ermeneutica.12 Per rendere scorrevole questo dialogo devono cadere definitivamente la pretesa di universalit dell'ermeneutica e le pretese di universalit dell'epistemologia, con una ricerca di conciliazione di vocabolari tra ontologia ed epistemologia. La diversa estensione di campi, inoltre, porter a revisione di metodi e aggiornamento di vocabolari porter pi facilmente a pensare una complementarit fra spiegazione epistemologica e comprensione ermeneutica.

l'ottica al cui interno preferiamo situare il rapporto tra il filosofo e il computer, perch L'uomo dello scentramento, dello sfondamento resta tuttavia presso la tecnica, al di fuori della quale ogni via d'accesso al mondo gli negata, ma proprio per questo non pi soltanto un uomo tecnico pur non essendo e come potrebbe? antitecnico, antimetafsico.13 un uomo, ancora albeggiante, il tecnologo-non-tecnocrate-liberato cio non dalla tecnica, ma dalla tecnica in quanto dominio e volont di potenza.14 Un uomo mente che "si muove liberamente nel gioco infinito degli orizzonti e dei rimandi aperti" che trova alloggiamento in una totalit aperta, simile a quella ipotizzata dalle attuali teorie organicistiche e sistemistiche, totalit debole o totalit mescolanza, insieme di menti, che ha trovato ermeneuticamente il caso di confine tra uomo e I. A., l'interfaccia uomo/computer. J. R. Searle tornato sulla tematica cervello/mente artificiale confermando argomenti gi prodotti e sostenendo, per chiudere il dibattito, che l'identit cervello-computer un errore flosofico. Per rafforzare il suo assunto ha ricordato: A tutt'oggi non siamo ancora in grado di spiegare il funzionamento del cervello e questo limite per noi fonte di grave imbarazzo scientifico. Sappiamo molto sulla microanatomia del cervello, con i suoi neuroni, sinapsi, recettori e neurotrasmettitori. Eppure i quesiti fondamentali, relativi, per esempio, al rapporto fra cervello e coscienza, alle modalit di memorizzazione e al ruolo del sonno, restano ancora senza risposta [...] La nostra incapacit di comprendere appieno il funzionamento di un organo fondamentale quale il cervello ci spinge a ricorrere a spiegazioni di tipo analogico.15 Poi ha sviluppato prove per confutare l'identit cervello calcolatore. Ma, a ben vedere, l'identity theory non ha sostenitori forti come non pu avere sostenitori forti la negazione della identity theory, cerchia in cui pare si muova il Searle. Searle, di fatto, spinge troppo e soltanto nel differenziare e non considera possibilit gradualistiche, cui molti hanno fatto riferimento.

Nel confronto Socrate/Elisa sono stati posti di fronte l'uomo e il calcolatore in contesti dialogici che, ha detto D. C. Dennet, danno vita a un'interazione in cui l'uomo assume un "atteggiamento intenzionale" nel senso che attribuisce alla macchina credenze e desideri. Certo l'I. A. pu non avere intenzionalit o stati mentali, ma "la complessit del sistema" dal dialogo realizzata rende legittima l'affermazione che tra l'uomo e la macchina si svolge un reciproco scambio intenzionale. In passato l'uomo ha cercato di appagare la sua curiosit intellettuale mediante schemi analogici, non epistemologicamente fondati, offerti alla scienza con la creazione di modelli, figure, metafore, passando disinvoltamente dalla banda della spiegazione a quella della comprensione. Modelli pratici, contingenti, deboli, metafisici e non, scientifici, dimostrati e non, dettati da princpi, credenze, buon senso, che tuttavia hanno avuto fortuna nell'immaginario scientifico, che non provano nulla ma fanno apprendere in modo approssimativo e/o indiretto ci che pur non essendo sicuro in modo categorico sempre pensabile e dunque possibile. Se nel passato come nel presente il mondo delle idee o della scienza sono stati avvicinati alle tecniche, all'ultima scoperta tecnologica, o se i "modelli computazionali" sono o risulteranno efficaci per lo studio della mente e del cervello, l'umanit ne trarr beneficio. Se procedimenti euristici, inventati dall'uomo e che l'I. A. pu elaborare da s, vengono assimilati in un'ottica ermeneutica, quando la barriera tra naturale e artificiale in via di radicale trasformazione, non si tratta propriamente di un errore. Rispondiamo a Searle, riprendendo le note fatte in precedenza; to be like is not to be identical. Se per un'epistemologia forte Socrate non Elisa, il loro dialogare, infrazione dell'episteme per la conversione dei codici o per i salti di complessit, tuttavia ha

senso perch essi sono contigui, perch il primo la mente, la seconda la mente della mente, pur non essendo propriamente seconda. L'uomo tecno-logo del dialogo, agente nella societ delle menti, pu e deve sentirsi un "transformer", capace di trasformarsi ed essere trasformato, di parlare con l'I. A., essere colui che all'ipotesi del dissidio e della dissociazione affianca quella del congiungimento, di una particolare pratica, di partecipazione.

NOTE
1)

M. Heidegger, Filosofia e cibernetica, a cura di A. Fabris, ETS,

Pisa 1989, p. 10; titolo originale Im Frage nach der Bestimmung er Sache des Denkens, Erker Verlag, St. Gallen 1984.
2)

ivi, p. 32. ivi, p. 34. R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia. Contingenza, ironia e

3)

4)

solidariet, introduzione di A. G. Gargani, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 140; titolo originale Contingency, Irony and Solidarity, Cambridge University Press, Cambridge 1989.
5)

U. Galimberti, Heidegger e la tecnica, in "Paradigmi", 20,

maggio-giugno 1989, p. 277.


6)

Ivi, p. 283. Ivi. Ivi, pp. 286-287. O. Neugebauer, Le scienze esatte nell'antichit, Feltrinelli,

7)

8)

9)

Milano 1974, pp. 183-184; titolo originale The Exact Sciences in Antiquity, Brown University Press, Providence (Rhode Island) 1957.
10)

T. Winograd, F. Flores, Calcolatori e conoscenza, Mondadori,

Milano 1987, p. 106; titolo originale Understanding Computer and Cognition, Ablex, Norwood (N.J.) 1986.
11)

ivi, pp. 30-31.

12)

M. Ferraris, Ermeneutica e epistemologia, in "AUT AUT", 217-

218, gennaio-aprile 1987, pp. 244-245.


13)

M. Ravera, Computer e Bestand. Alla ricerca di un dialogo tra

ermeneutica e cibernetica, in "AUT AUT", 220-221, p. 109.


14)

ibidem. J. R. Searle, L'analogia cervello/computer: un errore filosofico,

15

in L'automa spirituale, cit., p. 200.

Postfazione
What is a technical object? At the beginning of Western philosophy, Aristotle contrasted beings formed by nature, which had within themselves a beginning of movement and rest, and man-made objects, which did not have the source of their own production within themselves. La riproducibilit della macchina differisce da quella degli esseri viventi, in quanto non basata su codici non perfettamente circoscritti in un genoma. (Guattari) E se gi non fossimo pi umani? (Bernard Stiegler, La technique et le tems.1. La faute dEpimthe Galilee 1994, in English, Technics and Time . 1 The Fault of Epimetheus ,1998)

La conclusione del saggio prefigurava l'ipotesi della convivenza, una societ delle menti o metamorfosi delle menti, che comporta una societ in cui l'uomo, novello Hermes, l'uomo tecno-logo del dialogo e dei dialoghi accetta e vive un

contesto di partecipazione o compartecipazione, si rende conto che con la macchina, con il computer si instaura una relazione informativa ma anche comunicativa, si realizza una nuova oralit, un nuovo tipo di dialogo o conversazione. Pensato e scritto prima del libro di Bernard Stiegler, La technique et le tems.1. La faute dEpimthe, il saggio affrontava la questione della tecnica, come suggerito da Derrida, come caso particolare della scrittura. In questi ultimi anni il dibattito sulle tecniche si ulteriormente allargato spaziando per diversi domini, diverse direzioni, sub-temi e sub-discipline, altre diramazioni che richiedono unadeguata specializzazione. Partendo dalla heideggeriana Lettera sullumanesimo, si parla di convivenza tra uomo e computer, di post-uman condition con Lyotard, si parla soprattutto di aggirare il lessico antropomorfico, e secondo un trend abbastanza significativo si approfondisce la storicit e levoluzione delle tecniche con Bernard Stiegler, il quale si volge indietro e discute del de-fault delle origini e della super macchina originaria del mondo in cui sono mescolate sia la materia organica sia quella inorganica. Gilbert Simondon critica la cibernetica per aver accettato una classificazione degli oggetti tecnici secondo i tradizionali criteri di gene e specie. Suggerisce, invece, di pensare la logica dello sviluppo tecnologico separatamente da funzioni umane e cultura umana, visto che non pu essere assunta dagli oggetti stessi, n essere oggetto di calcolo, e pertanto va pensata come problema da parte di un vivente verso un vivente. Al di l dei criteri di reciproca schiavit e libert, la relazione tra uomo e macchina diventa una relazione tra organi diversi, e gli umani devono muoversi oltre ogni forma di tecno- philia o tecno- fobia. Sul piano ontologico insomma luomo e la macchina sono eguali. La ricerca di Simondon, tuttavia, indirizzata particolarmente allo studio della relazione tra uomini e tecnologia con laccento sulla responsabilit. La responsabilit di cui parla Simondon non

quella del produttore in quanto produce, bens di un terzo X testimone di una difficolt che solo lui pu risolvere perch solo lui pu pensarla. Le macchine non possono n pensare n vivere da s una mutua relazione, possono soltanto agire luna verso laltra, secondo schemi causali. La individual macchine rappresenta lumano, lumano rappresenta linsieme delle macchine, non vi ancora alcuna macchina di tutte le macchine. Insomma, levoluzione tecnologica non ha raggiunto un grado sufficiente di autonomia per andare avanti da sola. Ancora oggi le macchine hanno bisogno delluomo, il linguaggio delle macchine non ha autonomia. Lerrore di Heidegger stato di ignorare i processi di individuazione che sono responsabili per produrre esseri pienamente formati. La filosofia certamente ed essenzialmente ontologica e non ontica, si occupa sicuramente dellessere e non degli esseri, ma deve anche analizzare i processi concreti e fisici che sono responsabili per lindividuazione degli esseri a diversi livelli dal fisico al biologico, dallanimale allumano e al collettivo. Lindividuazione non altro che mettere in relazione due o pi livelli della realt. Nel suo intento di uscire dalla sostanza della metafisica, Simondon porta linteressante esempio del mattone di argilla fatto dallo stampo. Si sempre pensato allimposizione di una pura forma su una pura materia. Ma tale concezione considera solo il punto finale del processo e ignora il processo dell' individuazione. Lo stampo non pura forma, esso stesso materia; ci che avviene nel processo che i due materiali messi insieme realizzano un sistema energetico che produce il mattone di argilla. Detto altrimente, lindividuale, lentit singola, nasce da qualcosa di pre-individuale. La relazione uomo-macchina per Simondon si spiega su un piano di immanenza (Deleuze) in cui vige disparit nella parit in un contesto ontologico che si giustifica storicamente. Gli storici del robot potrebbero protestare dicendo che la

terminologia che Simondon usa ancora umana e impropria. Il loro slogan : Non abbiamo bisogno n di memoria, n di cervello, n di DNA. Al centro del suo libro, Bernard Stiegler pone le radici tecnologiche del mondo in relazione al tempo. Per un verso condivide le preoccupazioni di Husserl e Heidegger su come la tecnologia trasforma il mondo, per laltro accetta la presenza della tecnologia, le strutture di protezione e mantenimento costitutive del tempo attraverso il coinvolgimento e linfluenza di oggetti tecnici e di protesi tecniche. possibile parlare di evoluzione delle tecniche mettendo insieme oggetti meccanici e biologia in un unicum eterogeneo di forze? A quali condizioni? Nel suo libro La technique et le tems.1. La faute dEpimthe Stiegler crede che la domanda sia urgente e vada ulteriormente approfondita. Qualunque oggetto artefatto va considerato in un insieme di oggetti che si sono sviluppati nel tempo secondo un percorso linguistico, mitologico, sociale, tecnico, secondo processi culturali e naturali, fisici e biologici. Del resto, oggi, acquisito un largo consenso su teorie neo-evoluzionistiche al fine di spiegare le dinamiche tecnologiche, un consenso fondato su una sorta di darwinismo nellevoluzione delle tecniche. Si tratta di accogliere la tesi secondo cui alle origini dellevoluzione umana hanno giocato una molteplicit di elementi-fattori, di accettare che sin dalla sua comparsa sul pianeta gli esseri umani si sono sviluppati tra gli utensili e allinterno della super-macchina del cosmo. Possiamo aggiungere, come novit, che le strutture logiche umane sono state trasferite dal corpo-mente delluomo alle notazioni logiche dei circuiti elettromeccanici. Il rapporto di filia tra uomo e computer, introdotto verso la fine del saggio Socrate non Elisa, per..., prima della pubblicazione dei lavori di Stiegler pu essere ricostruito anchesso retroattivamente secondo una linea in cui vengono a coesistere corpo e mente, materia organica e materia inorganica.

A tuttoggi le macchine sono inventate, non hanno n la capacit di autodefinirsi, n di auto prodursi; il silicio non si produce automaticamente nel computer. A tuttoggi loggetto tecnico deve essere prima pensato nella mente umana e poi prodotto. Ma Stiegler va avanti e si chiede: il processo cognitivo del disegno e dellinvenzione solamente umano, o gi tecnologico? Se definiamo un computer dalla sua forma, una macchina elettronica che trasmette informazione in codice di logica binaria mediante circuiti di silicio, lanalogo computer degli anni 30 e primi anni 40 sembra completamente superato. Oggi un computer ha una molteplicit di funzioni, un dispositivo che gestisce e crea ogni ambiente della nostra vita quotidiana, un nodo o snodo di un pi grande network, la internet. Ma come identifichiamo il linguaggio delle macchine? Come acquisiamo la loro rassomiglianza con lumano, con il linguaggio umano stato ampiamente discusso nel cap. IV Socrate non Elisa, per... Le macchine tecnologiche sono inventate da qualcuno o qualcosa; questo che le distingue dagli organismi viventi, non possiedono in se stesse la fonte della propria origine. Per Stiegler il punto resta amalgamare linguaggio, tecnica, cultura, e tecnologia seguendo una metodologia de-costruttiva di stampo materialistico. In La technique et le tems.1. La faute dEpimthe, Stiegler parte dai miti greci e dai primi passi della filosofia, in cui la tecno-logia scaturiva dallinterno del pensiero e viceversa. Ricorre al mito greco in cui Epimeteo e Prometeo esprimono in contrasto, direi in modo chiastico, la fondamentale interdipendenza delluomo e la tecnica, rappresentano il de-fault delle origini. Allinizio la filosofia separa techn da episteme, la tecnica, per lo pi, vista come mero supplemento, mentre luomo situato contro il processo di tecnicizzazione. Il pensiero umano posto contro la tecnica, non riceve nulla da fuori, deve soltanto ricordare nellanima (Platone). La tecnica come artefatto, invece, non capace di originarsi da s. Aristotele nella Fisica scrive di macchine cui manca la

capacit di auto-prodursi, di non essere causa sui, di non muoversi con proprie risorse, in altre parole macchine che sono lopposto dellessere umano. Ma, loriginaria incompletezza delluomo, la stessa mancanza di una definizione delluomo, ci dice altro, ci dice di una esistenza sempre sorretta da protesi tecniche. Solo ponendo una originary technicity, aggiunge Stiegler, possibile pensare adeguatamente la questione della tecnica, lessere umano e il tempo., Persino con il concetto di Ereignis, evento di appropriazione o mutua

appartenenza di umano, di esseri e di Essere Heidegger non arriva a pensare una originary technicity, resta legato allessenziale distinzione, persino opposizione, tra luomo e la tecnica, tra lontico e lontologico, separa la comunicazione dalla tecnica e commette il comune errore della metafisica fino ai nostri giorni di dimenticare lorigine prostetica della natura e delluomo. Tale ignoranza ovviamente non gli permette di comprendere come la tecnica riesca ad agevolare pi che minacciare lavventura delluomo e della collettivit, come lo sviluppo e/o il divenire della tecnica sia sempre un divenire con, uno sviluppo- con, un codivenire dellumano e della tecnica. Secondo J. Derrida, maestro di Stiegler, una certa tecnicit si infiltrata nel vivente sin dalle origini, rimasta lungo un processo spazio- temporale, essa che spiega la sua meravigliosa plasticit. Le macchine future devono riscoprire la loro primordiale vita secondo la logica dellereditariet e della trasmissione. Come possiamo noi umani caratterizzare il non umano? Stiegler afferma che bisogna pensare a un amalgama tra linguaggio, tecniche, cultura e tecnologia, che le tecniche e lumano hanno un'origine comune, derivano da una mescolanza originaria e vanno di nuovo verso tale mescolanza. Su questo gli storici del robot potrebbero sollevare alcune obiezioni; la nostra epoca appartiene ancora alla preistoria del robot; cos come al casuale attivismo di organismi monocellulari appartiene il primordial brood di nutrienti. Il primo problema, diranno, che la

filosofia e la scienza sono ancora antropomorfiche, pensano ancora in termini di intelligenza, dignit, diritti, memoria. Lorigine delluomo fondamentalmente aporetica. La tecnica non alle origini delluomo, viene dopo la cosiddetta et delloro, soltanto dopo loriginario default per colmare una mancanza. Luomo si costituito mediante lesterno con gli oggetti tecnici, la sua origine non pu essere spiegata n in termini puramente trascendentali, n puramente empirici come evoluzione genetica. La liberazione della mano durante lo spostamento con la posizione eretta, vedi cap. I Cultura materiale e logos in Grecia, ha generato una serie di funzioni. La mano necessariamente richiede utensili, organi mobili, e gli arnesi della mano necessariamente esigono il linguaggio. Il cervello ovviamente gioca un ruolo, ma non pi direttivo, non altro che verso lo sviluppo della corteccia cerebrale (The Fault of Epimetheus 145). La posizione eretta port quasi alla sospensione delle coazioni genetiche. Il risultato fu che apparentemente sia lutensile sia il linguaggio riempirono questa mancanza di programmazione genetica. Lo sviluppo del cervello, quindi, si ebbe per effetto di fattori di esteriorizzazione, si stabilizzer soltanto con la comparsa delluomo di Neanderthal il cui corredo neurologico molto simile al nostro. Stiegler vuol dirci che la sua contestazione delle opposizioni non elimina la genesi delle differenze (163). Pensare lantropogenesi come costituita mutualmente con la tecno-genesi implica che lumano non un miracolo spirituale che si aggiunge a un corpo animale ma che lominizzazione la continuazione dellevoluzione della vita con altri modi di vita.Pensare lantropogenesi come mutualmente costitutivo della tecno-genesi implica che lumano non un miracolo spirituale che si aggiunge al corpo animale, ma che lumanizzazione il risultato di una evoluzione del vivente da altro non vivente (135)

Mentre londa del fascino dei cyborg, sia a livello i cultura generale sia tecnico scientifici sembra non fermarsi, la spinosa questione del rapporto

uomo/macchina resta in discussione. Per andare lontano si pensi alleredit cartesiana della res cogitans e res extensa, naturale/artificiale, mente corpo, organico/inorganico; si pensi, per andare vicino a pensatori quali Haraway e il Cyborg manifesto 1985, che affronta tematiche fantascientifiche di ibridit. La distinzione uomo/macchina tiene banco soprattutto perch lipoteca del linguaggio umano, ancora sostanzialistico ci condiziona.

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