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Ecclesiologia 2012/2013.

Introduzione

APPUNTI DI ECCLESIOLOGIA Anno scolastico 2012/2013 1. IL DISCORSO TEOLOGICO SULLA CHIESA 1.1. Il punto di partenza del trattato di ecclesiologia 1. singolare che i manuali di ecclesiologia si moltiplichino in una situazione in cui le chiese si svuotano1: piena fioritura del secolo della Chiesa (O. DIBELIUS, Das Jahrhundert der Kirche, Berlin 1926) o disperato accanimento terapeutico su un malato terminale? Di certo, la necessit da parte dei credenti di ripensare la Chiesa e la sua missione entro una cultura che, segnata dalla secolarizzazione degli ambiti pubblici del vivere sociale e dal crescente pluralismo etico-religioso, ha rivoluzionato la presenza della Chiesa nel mondo: da chiave di volta del sistema sociale e culturale a realt opzionale o al massimo infermiera degli scarti del progresso globalizzato. Quale che sia la situazione, questo il contesto in cui deve avvenire il rendere ragione del credo ecclesiam. 2. Oltre a ci dopo il Vaticano II cresciuta lincertezza sulla struttura e sul metodo della ecclesiologia sistematica2. Fino alla met del secolo XX i manuali De Ecclesia impostavano la loro trattazione attorno alla categoria di societas: la Chiesa era presentata come societas perfecta inaequalium. Lapproccio era condizionato chiaramente dalle controversia del passato: il manuale non era una riflessione sul mistero della Chiesa, ma una difesa delle sue istituzioni contestate ad ondate successive dagli spiritualisti, dai conciliaristi, dai protestanti, dal regalismo, dal pensiero laico.

J. WERBICK, La Chiesa. Un progetto ecclesiologico per lo studio e per la prassi , Queriniana, Brescia 1998 (ed. or. 1994) 5. Segnalo che in Italia di recente sono stati editi due manuali di considerevoli dimensioni e portata: S. DIANICH S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, Nuovo Corso di Teologia Sistematica 5, Queriniana, Brescia 2002; C. MILITELLO, La Chiesa il corpo crismato, Corso di Teologia Sistematica 7, EDB, Bologna 2003. Per una valutazione della ricerca ecclesiologica nel Novecento sono molto utili gli articoli bilancio di J. FRISQUE, Lecclesiologia del XX secolo, in Bilancio della teologia del XX secolo , III, Citt Nuova, Roma 1972, 211-262 e di G. ZIVIANI V. MARALDI, Ecclesiologia, in G. CANOBBIO P. CODA (edd.), La Teologia del XX secolo un bilancio. 2. Prospettive sistematiche , Citt Nuova, Roma 2003, 287-410. 2 Per una panoramica sulle questioni di metodo in ecclesiologia: T. CITRINI, Questioni di metodo dellecclesiologia postconciliare, in A.T.I., Lecclesiologia contemporanea, a cura di D. Valentini, EMP, Padova 1994, 15-41; S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta , Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993; PONTIFICIA FACOLT TEOLOGICA DELLITALIA MERIDIONALE SEZIONE SAN LUIGI, Sui problemi di metodo in ecclesiologia. In dialogo con Severino Dianich, a cura di A. Baruffo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2003; G. ROTA, Dove va lecclesiologia in Italia? Un bilancio dei manuali di ecclesiologia alla svolta del millennio, in Teologia 32 (2007) 7191. sintomatico che alcuni autori abbiano persino rinunciato ad adottare un proprio punto di vista sistematico sulla Chiesa, ma si siano accontentati di elencare i vari modelli ecclesiologici oppure si sono limitati a far interagire fra loro le varie metafore che nella Scrittura e nella tradizione sono state applicate alla Chiesa: A. DULLES, Modelli di Chiesa, Messaggero, Padova 2005 (ed. or. 1967; expanded edition 1987); B. MONDIN, Le nuove ecclesiologie, Paoline, Roma 1980; J. WERBICK, La Chiesa, op. cit.

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Il manuale, perfezionatosi nel XIX secolo3, aveva per alle spalle una lunga tradizione, che affonda le sue radici nei primi saggi che studiano la realt della Chiesa: cominciando dal De regimine cristiano di Giacomo da Viterbo (1301-1302)4, passando per il De ecclesiastica sive Summi Pontificis protestate di Egidio Romano (1316), per arrivare al Tractatus de ecclesia di Giovanni da Ragusa (1431-1449) e alla Summa de ecclesia di Giovanni da Torquemada (circa 1450). Tutte queste opere, che in qualche modo indicano la nascita dellecclesiologia come trattato autonomo, rivelano per unindole non teologica: essi intendono difendere il potere papale contro conciliaristi e regalisti. Una ragione plausibile della mancanza di una riflessione teologica sulla Chiesa, pu essere addebitata al fatto che il referente fondamentale della teologia medievale, il Liber Sententiarum di Pietro Lombardo, non fa spazio a una riflessione sulla Chiesa, demandando al diritto canonico o alla sacramentaria i temi propriamente ecclesiologici. Lo stesso accade anche nella Summa Theologiae di Tommaso dAquino5. Il trattato vero e proprio appartiene alla teologia post-tridentina, la quale tutta preoccupata di provare contro i protestanti che la Chiesa cattolico-romana lunica vera e visibile Chiesa di Cristo. Lesigenza non va liquidata come semplice autogiustificazione: in quei tempi confusi in cui pi comunit ecclesiali rivendicavano di essere la vera Chiesa di Cristo, si sent la necessit di offrire al discernimento dei fedeli disorientati alcuni elementi empiricamente rilevabili che permettessero loro di verificare senza ambiguit la loro appartenenza alla vera comunit di salvezza. Ecco perch Roberto Bellarmino nel presentare la chiesa si concentr solo sulla sua dimensione istituzionale, in

G. COLOMBO. Il dato e lo sviluppo storico della definizione di Chiesa nella costituzione dogmatica Lumen ge ntium, in La costituzione dogmatica De Ecclesia, Scuola di Pastorale per le Diocesi della Regione Emiliana, Parma 1965, I, 13. 4 molto istruttivo riflettere sulla struttura dellopera. Essa divisa in due parti. La I Parte, intitolata La gloria del r egno ecclesiastico in sei capitoli: cap. 1. La Chiesa definita un regno in modo opportuno e appropriato; cap. 2. Il r egno della Chiesa ortodosso, quindi giustamente glorioso. Le condizioni e lessenza della sua gloria; cap. 3. Il r egno della Chiesa uno; cap. 4. Il regno della Chiesa cattolico, cio universale; cap. 5. Il regno della Chiesa santo; cap. 6. Il regno della Chiesa apostolico. La II parte, intitolata Il potere di Cristo re e del suo Vicario, si divide in dieci cap itoli: cap. 1. Le molteplici forme del potere di Cristo; cap. 2. Il potere che Cristo comunic agli uomini; cap. 3. Gli uomini ai quali stato comunicato il potere di Cristo; cap. 4. Le differenze tra i poteri sacerdotale e regio nei prelati della Chiesa relativamente agli atti e ad altre forme di confronto; cap. 5. I gradi e le forme di disuguaglianza del potere sacerdotale e regio in chi li possiede. Il primato del Sommo Pontefice su tutte le Chiese e i loro reggenti; cap. 6. La differenza e luguaglianza delle due forme, spirituale e secolare, del potere regio; cap. 7. Ulteriori confronti tra il pot ere spirituale e temporale; cap. 8. Alcune riflessioni sui poteri gi descritti; cap. 9. Il supremo potere spirituale detiene la pienezza del potere pontificio e regio; cap. 10. Alcune obiezioni alle affermazioni fatte e loro soluzione. Dellopera di Giacomo da Viterbo esiste una traduzione italiana: Il governo della Chiesa, a cura di A. Rizzacasa e G.B.M. Marcoaldi (Firenze: Nardini Editore, 1993). 5 Tommaso svolge le tesi teologiche riguardanti la chiesa nel quadro della grazia capitale di Cristo ( gratia capitis): luomo Ges, possedendo la pienezza della grazia, allo stesso tempo la Testa dellumanit e del corpo della Chiesa, di cui lo Spirito (secondo la prospettiva di S. Agostino) lanima; la chiesa quindi lambito dellinflusso spirituale del Cristo (S. Th., III, q. 8).

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particolare sui tre elementi della professione esterna della fede, della partecipazione ai sacramenti e dellobbedienza ai legittimi pastori in particolare al Papa, come condizioni necessarie e sufficienti per determinare lappartenenza alla chiesa. Non che nella Chiesa non ci fossero lo Spirito, la vita di grazia, le virt soprannaturali della fede, speranza e carit; ma queste realt non si potevano visibilmente localizzare e quindi non consentivano un discernimento ecclesiale. Questa scelta ebbe per conseguenze decisive per il trattato di ecclesiologia. Abbandonata sul nascere lalternativa di tematizzare la Chiesa a partire dal suo mistero, respinta polemicamente lidea di una Chiesa invis ibile e nascosta, cara alla teologia della Riforma, esasperato il conflitto tra congregazione e istituzione a favore di questultima, tra autorit ecclesiastica e autorit della Scrittura, la letteratura post tridentina insister sulla dimensione esterna, giuridica della Chiesa, tacendone gli aspetti interiori e pneumatici. Ne deriver una ecclesiologia del potere gerarchico e soprattutto del potere papale6. Nella teologia cattolica fu, in particolare, il Billuart ad adottare (prima met del 700) il termine societas nel suo preciso significato sociologico istituzionale come la fondamentale chiave ermeneutica dellecclesiologia. Questa idea ebbe tale successo che ancora nel 1950 il De Ecclesia di T. Zapelena sostanzialmente lo riprende. Il punto di partenza lidea che Ges con la sua predicazione del Regno ha istituito la chiesa nella forma di una vera e propria societ; cosa sia la societ viene definito sul piano filosofico: lunione stabile di molti che tendono con i loro atti a un fine comune. I molti ne costituiscono la causa materiale, lunione morale la causa formale, lo scopo comune la causa finale, lautorit la sua causa efficiente7. Ora, proprio lautorit il principio decisivo per la comprensione della Chiesa. Infatti, lunione della massa dei fedeli sia pure nella forma di unit morale non ne il principio interpretativo. La causa finale, che la salvezza delle anime, risulta strutturalmente estrinseca alla chiesa, che ne semplicemente lo strumento. Non resta che la causa efficiente: lautorit investita di questo potere da Cristo stesso unisce i fedeli e li tiene uniti nella chiesa affinch vi trovino gli strumenti per salvarsi lanima. E per dimostrare che cos Dio ha voluto la chiesa, baster provare, mediante Mt 16,18s, che Ges ha conferito a Pietro una suprema autorit, capace di adunare gli uomini nella fede e mantenerli nellunit sotto il suo governo8. 3. La categoria di societas applicata alla Chiesa non ha cominciato a godere di cattiva fama solo a ridosso del Concilio Vaticano II. Gi allinizio del secolo XIX la scuola di Tbingen e segnatamente il suo esponente pi illustre, Johann Adam Mhler, aveva stigmatizzato lecclesiologia societaria

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Y. CONGAR, Bulletin decclsiologie, in Revue des sciences philosophiques et thologiques 31 (1947) 78. T. ZAPELENA, De ecclesia Christi. Pars apologetica, Universit Gregoriana, Roma 1950, 68. 8 Ibid., 73-78.

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come deismo naturalistico. Recensendo un saggio di storia ecclesiastica del Katerkamp, cos sintetizzava tale concezione: Dio cre (allinizio) la gerarchia, ed ha provveduto pi che a sufficienza per la Chiesa, fino alla fine del mondo9. Dio attivo ed efficace solo agli inizi della Chiesa, in analogia al suo agire nella creazione; lulteriore svolgimento, il decorso della storia, si svolge seguendo leggi, strutture e funzioni autonome, immanenti alla Chiesa; legittima garante di questo svolgersi la gerarchia. Ora, questa visione dimentica che lo Spirito continua ad agire nella Chiesa, anzi a strutturarla come il suo organismo, come il corpo di Cristo, la continuazione dellincarnazione10. Limpulso dato da Mhler venne ripreso e diffuso dalla Scuola Romana11. Esso raggiunger il suo apogeo nei primi decenni del XX secolo, quando ricever poi la sua consacrazione con lenciclica di Pio XII, Mystici corporis (1943), che presenter la Chiesa proprio quale corpo mistico di Cristo. In quegli stessi anni, per, alcuni autori avevano preferito incentrare la riflessione sulla Chiesa sulla categoria di popolo di Dio, ritenendola pi esauriente nel render conto della realt della Chiesa che quella di corpo mistico12. La discussione fra queste due alternative ha contrassegnato per un po la riflessione teologica fino alla vigilia del Concilio Vaticano II attorno alla questione di una possibile definizione vera e propria della Chiesa, concludendosi per con la rinuncia a tale impresa, considerata la realt di mistero della Chiesa: di essa se ne poteva dare solo una descrizione di tipo metaforico o analogico13. In ogni caso, da allora la trattazione societaria ha dovuto cedere il passo allapprofondimento del carattere misterico (meglio ancora: trinitario14) e storico salvifico della Chiesa. Nel frattempo unaltra proposta ecclesiologica si faceva strada, quella della Chiesa sacramento: essa sembrava in grado di salvaguardare nella realt unitaria della Chiesa la distinzione e la

ThQ 5 (1823) 497; sul tema J.R. GEISELMANN, Il mutamento della coscienza della chiesa e dellecclesialit nella teologia di Giovanni Adamo Mhler, in J. DANILOU H. VORGRIMLER (edd.), Sentire Ecclesiam. La coscienza della Chiesa come forza plasmatrice della piet, vol. II, Edizioni Paoline, Roma 1964 (ed. or. 1961), 221-459. 10 J.A. MHLER, Lunit nella Chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri della chiesa dei primi tre secoli, Citt Nuova, Roma 1969 (ed. or. 1825); Simbolica o esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici, Jaca Book, Milano 1984 (ed. or. 1832). 11 K.H. NEUFELD, La scuola romana, in R. FISICHELLA (ed.), Storia della teologia, III, EDB, Bologna Roma 1996, 267-285. 12 M.D. KOSTER, Ekklesiologie im Werden, Paderborn 1940. 13 Y. CONGAR, Sainte glise. tudes et approches ecclsiologiques , Paris 1963. Un tentativo molto serio di individuare una formula ecclesiologica fondamentale si trova nel saggio di H. MHLEN, Una mystica persona. La Chiesa come il mistero dello Spirito Santo in Cristo e nei cristiani: una persona in molte persone , Citt Nuova, Roma 1968 (ed. or. 1964; 19672). 14 Un tema ancora molto presente nei manuali: M. KEHL, La Chiesa, op. cit, 57-95; B. FORTE, La Chiesa dalla Trinit. Saggio sul mistero della Chiesa comunione e missione, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 1995; G. CALABRESE, Per una ecclesiologia trinitaria. Il mistero di Dio e il mistero della Chiesa per la salvezza delluomo , EDB, Bologna 1999. Recentemente stato fatto anche il tentativo di determinare le caratteristiche della Chiesa a partire dalle propriet personali teologiche ed economiche dello Spirito Santo: G. CISLAGHI, Per una ecclesiologia pneumatologica. Il Concilio Va-

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coappartenenza di dimensione giuridico-istituzionale e dimensione misterico-spirituale, che le precedenti impostazioni della Chiesa societ e della Chiesa corpo mistico tendevano a separare, la prima relegando gli aspetti teologali al trattato De gratia e la seconda contrapponendo la Chiesa del diritto alla Chiesa della carit. Questa impostazione, inoltre, superava un certo ecclesiocentrismo, mettendo maggiormente in luce lesistenza e il compito della chiesa nel mondo15. Tutte queste posizioni vennero accolte e miscelate nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium del Concilio Vaticano II (1964), che non a caso intitoler i primi due capitoli proprio De ecclesiae mysterio (il radicamento trinitario ed economico della Chiesa) e De populo Dei (la Chiesa quale soggetto storico presente nella storia in cammino verso il Regno di Dio compiuto). Per la prima volta il magistero della Chiesa si preoccupava non solo di difendere listituzione, ma di evidenziare il carattere teologico della realt della chiesa. 4. In verit i grandi orientamenti conciliari, dopo una prima fase di recezione selvaggia16, in cui la categoria di popolo di Dio dopo essere stata la chiave di volta della nuova riflessione ecclesiologica, caduta in oblio, anche in ragione di una sua rilettura secondo unaccezione sociologica e persino rivoluzionaria (teologia politica e teologia della liberazione17) in alcune correnti vicine al pensiero marxista e quindi preoccupate del risvolto pratico del pensiero teologico18, verranno convogliati attorno alla categoria di comunione. Il sinodo straordinario dei vescovi del 1985 dedicato appositamente alla recezione del Vaticano II, ha favorito intenzionalmente la dissolvenza sulla categoria di popolo di Dio per ricentrare lecclesiologia attorno alla categoria di comunione. Nel documento finale, infatti, si dice espressamente che lecclesiologia di comunione lidea centrale e fondamentale dei documenti del con-

ticano II e una proposta sistematica, Dissertatio Series Romana 39, Pubblicazioni del Pontificio Seminario Lombardo in Roma Glossa, Roma- Milano 2004. 15 O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza, Napoli 1965 (2a ed. ted. 1955); E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dellincontro con Dio, Edizioni Paoline, Roma 1962 (ed. or. 1957); K. RAHNER, Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1965 (ed. or. 1960); J. AUER, La chiesa universale sacramento di salvezza, Cittadella, Assisi 1988 (ed. or. 1983). Ancora di recente utilizza la categoria di sacrame nto come chiave di volta dellecclesiologia W. SIMONIS, Die Kirche Christi. Ekklesiologie, Patmos, Dsseldorf 2005. 16 J. RATZINGER - V. MESSORI, Rapporto sulla fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1985; G. COLOMBO, Riprendere il cammino: il Vaticano II e il post-concilio, in La Scuola cattolica 133 (2005) 3-18. 17 L. BOFF, Ecclesiogenesi. Le comunit di base reinventano la chiesa, Borla, Roma 1978 (ed. or. 1977); ID., Chiesa: carisma e potere. Saggio di ecclesiologia militante, Borla, Roma 1984 (ed. or. 1981); J.A. ESTRADA, Da chiesa mistero a popolo di Dio, Cittadella, Assisi 1991 (ed. or. 1988). 18 J. RATZINGER, Lecclesiologia del Vaticano II, in ID., Chiesa, ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 19879-32; ID., Lecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualit alla luce del Giubileo, a cura di R. Fisichella., San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000, 66-81, qui 69.

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cilio19. Inoltre, la Congregazione per la dottrina della fede (1992) ha fatto sua, pur con alcuni distinguo, questa nozione di communio come molto adeguata per esprimere il mistero della chiesa cos che pu certamente essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica20. Anche la 7a assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Canberra 1991) nel documento della commissione di Fede e costituzione, Lunit della Chiesa come koinonia: dono e vocazione, ha proposto di considerare la communio come categoria chiave della visione della chiesa21. In particolare questa nozione appare sempre pi chiaramente come possibile formula di consenso verso lauspicato processo ecumenico di unione delle Chiese e come occasione per ristrutturare i concreti rapporti intraecclesiali. Molti progetti ecclesiologici recenti hanno di conseguenza trovato quindi il loro asse centrale attorno alla categoria di comunione come capace di esprimere il radicamento della Chiesa nella comunione trinitaria e allo stesso tempo la concreta forma dei rapporti intraecclesiali22. Daltra parte non mancano voci critiche nei confronti di questa nuova manualistica della comuni one: in essa vi vedono una Chiesa in cui viene sbiadita la prospettiva storica che il concilio con la categoria di popolo di Dio aveva messo in primo piano, una chiesa rinchiusa su se stessa e concentrata sui propri problemi di ristrutturazione delle istituzioni a livello universale come a livello locale, che ha smarrito il contatto con la cultura postmoderna23. Non solo, si evidenzia pure che il termine comunione non pu significare la chiesa come un soggetto collettivo operante nella storia, ma solo la condizione particolare del rapporto che lega fra loro i suoi membri24. Pertanto, sta riprendendo fiato una riflessione ecclesiologica attenta alle acquisizioni della contemporanea filosofia sociale, che contesta le tendenze idealizzanti e riduzionistiche dellecclesiologia scaturita in seguito al Vat i19

SINODO DEI VESCOVI, II Assemblea straordinaria (1985), Relatio finalis, II, C, 1 = EV 9, 1800. W. KASPER, Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985, Queriniana, Brescia 1986. 20 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera communionis notio su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 1. Cfr. J. RATZINGER, Lecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, art. cit., 69ss. 21 Cfr. Il Regno. Documenti XXXVI (1991/7) 253. Incentrato sul tema della comunione anche limportante doc umento di FEDE E COSTITUZIONE, La natura e lo scopo della Chiesa, in Il Regno. Documenti XLIV (1999/9) 315-328, e quello del Gruppo di lavoro bilaterale della conferenza episcopale tedesca e della direzione della chiesa evangelica di Germania, Communio sanctorum. La chiesa come comunione dei santi, a cura di A. Maffeis, (Brescia: Morcelliana, 2003). 22 Pioniere stato J. HAMER, La Chiesa una comunione, Morcelliana, Brescia 1964 (ed. or. 1962). Uno dei suoi sostenitori pi convinti e convincenti J.-M. R. TILLARD, Chiesa di chiese. Lecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989 (ed. or. 1987); ID., Lglise locale. Ecclsiologie de communion et catholicit , Cerf, Paris 1995. Su questa linea anche: S. DIANICH, La Chiesa mistero di comunione, Marietti, Genova 1975; M.M. GARIJO-GUEMBE, Gemeinschaft der Heiligen, Patmos, Dsseldorf 1988; M. KEHL, La Chiesa, op. cit.; B. FORTE, La Chiesa dalla Trinit, op. cit.; M. SEMERARO, Mistero, comunione e missione. Manuale di ecclesiologia , EDB, Bologna 1996; J. RIGAL, Lecclsiologie de communion. Son volution historique et ses fondements, Cerf, Paris 1997. 23 G. COLOMBO, Il popolo di Dio e il mistero della chiesa nellecclesiologia postconciliare, in Teologia 10 (1985) 97-168; ID., Riprendere il cammino: il Vaticano II e il post-concilio, in La Scuola cattolica 133 (2005) 3-18. 24 S. DIANICH S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, op. cit., 152.

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cano II, che sarebbe molto a suo agio nel discettare con la Scrittura e la tradizione patristica della provenienza della Chiesa dalla Trinit, ma estremamente imbarazzata nellutilizzare le contemporanee riflessioni sociologiche per determinare concretamente identit e compiti della Chiesa quale realt sociale fra le altre25. Che la cosa stia cominciando a riscuotere un certo interesse, si vede anche in unattenzione crescente alla filosofia sociale e ai suoi risvolti sulla dimensione istituzionale della Chiesa nei manuali pi avvertiti26. 1.2. Da dove partire? (1) Ci considerato ci chiediamo quale sia il punto di partenza per una riflessione teologica sulla chiesa? La risposta catechistica suggerisce che lintelligenza della fede qui in questione dovrebbe prendere in esame quellarticolo del Simbolo della fede che confessa: credo ecclesiam. Il suggerimento non superficiale. Se, infatti, facciamo attenzione alla concreta esperienza della fede, rileviamo due punti di vista. Da una parte si diviene credenti solo perch altri hanno gi vissuto questa fede in precedenza, lhanno raccontata, annunciata e insegnata. Ognuno, dunque, impara la fede solo a condizione che prima di lui esista gi una comunit di credenti e che egli stesso diventi parte di questa comunit. Dallaltra parte sembra che solo chi gi crede possa comprendere effettivamente che cos la chiesa Naturalmente si pu studiare la chiesa dal punto di vista storico, sociologico e psicologico. Se per si interroga un credente convinto, egli dir che tali indagini non hanno ancora colto il senso autentico, la dimensione profonda della chiesa. Questa doppia prospettiva ecclesiologica di base si ritrova codificata anche nei documenti fondamentali della fede cristiana, nelle confessioni della chiesa antica. Se infatti si comprende la professione di fede trinitaria della chiesa antica come espressione della struttura fondamentale dellesperienza cristiana di Dio, la chiesa appare collocata allinterno del contesto complessivo della fede cristiana e, pi precisamente, in una duplice posizione: in primo luogo essa soggetto della fede nellintroduzione della professione di fede ove dice io credo oppure noi crediamo; in secondo luogo essa appare come oggetto della fede nel terzo articolo: Credo nello Spirito Santo, la santa chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna (Simbolo Apostolico: DzH, 10-30).

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C. DUQUOC, Chiese provvisorie. Saggio di ecclesiologia ecumenica , Queriniana, Brescia 1985 (ed. or. 1985); ID., Credo la Chiesa. Precariet istituzionale e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001 (ed. or. 1999); J.A. KOMONCHACK, Foundations in Ecclesiology, Boston College, Boston 1995; N. ORMEROD, The Structure of a Systematic Ecclesiology, in Theological Studies 63 (2002) 3-30. 26 M. KEHL, La Chiesa. Trattato sistematico di ecclesiologia cattolica, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1995 (ed. or. 1992) 123-154, 373-385; S. DIANICH S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, op. cit., 11-71.

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a) Chiesa come soggetto della fede A) Nel Credo la chiesa appare anzitutto come soggetto della fede. Certo, sono sempre i singoli credenti che dicono io credo o noi crediamo; se per si segue la spiegazione teologica della professione di fede dellantichit e del Medio Evo, sempre la chiesa il vero soggetto che qui parla. B) In questa prospettiva la fede di ogni singolo partecipazione alla fede della chiesa, fede nella chiesa. Nessuno inventa da s la propria fede. La fede possibile solo come credere-con e crederedopo (imitazione). La comunit dei fedeli il vero soggetto della fede e il modo proprio della trasmissione di essa. In linea di principio solo nella comunit possibile la fede. C) La chiesa non diviene soggetto della fede per propria decisione o per propria forza. Essa pu divenire soggetto nella misura in cui essa sa di essere, si professa e si comporta come popolo eletto e radunato da Dio, come forma della manifestazione storica del Risorto, costituita attraverso la partecipazione al corpo eucaristico di Cristo, e come nuova creazione realizzata dallo Spirito Santo. D) Da questo punto di vista per la chiesa non solo oggetto dellagire di Dio ma, in conseguenza e come significato di esso, essa stessa soggetto di unazione, cio della chiamata alla comunione con Dio, della raccolta e della mediazione. In questa prospettiva la chiesa ha un determinato compito e una missione e perci anche una certa struttura e forma di organizzazione. b) Chiesa come oggetto della fede A) Secondo il Credo, la chiesa anche oggetto della fede e, in ultima analisi solo come tale comprensibile. Essa tuttavia non si trova sullo stesso piano delloggetto vero e proprio e del fondamento della fede, il Dio uno e trino. Se infatti la tradizione latina della professione di fede e della sua spiegazione, a partire dal V secolo, allunanimit ed espressamente ha distinto io credo in Dio Padre, in Ges Cristo, nello Spirito Santo (credo in Deum Patrem in Jesum Christum in Spiritum Sanctum)27 da io credo la chiesa (credo Ecclesiam), voleva esprimere in questo modo la convinzione che nella sua essenza la fede un convertirsi e un rivolgersi verso il Dio vivente stesso, che la fede, come risposta alla chiamata di Dio, un essere in relazione con lui, mentre questa fede pu riferirsi alla chiesa solo in quanto essa fa parte delle opere e degli strumenti di cui Dio si serve per chiamare lumanit alla comunione con s. Per questo il Catechismus ad Parochos del Concilio di Trento cos spiega: Noi crediamo nelle tre persone della Trinit, Padre, Figlio e Spirito san-

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La distinzione fra credere in Deum (incondizionata adesione e dedizione della vita e del cuore), credere Deo (credito dato allautorit), credere Deum (accettazione di un dato oggettivo), formulata classicamente da S. Agostino: In Joannem, 29, 6; 48, 3: PL 35, 1631 e 1741; In Psalm., 77, 8: PL 36, 988s; 130,1: PL 37, 1704.

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to, cos che proprio in loro collochiamo la nostra fede. Invece, mutando la forma del dire, noi professiamo di credere la santa chiesa e non nella santa chiesa, affinch con questo modo diverso di parlare si faccia distinzione fra Dio, autore di tutte le cose e le sue creature, e riconosciamo venuti dalla bont divina tutti quei sublimi benefici che furono conferiti alla chiesa (p. I, cap. x, n. 22).
Si deve per riconoscere che nei simboli antichi si diceva pure: credo nella chiesa: si veda ad es. la recensione greca del Simbolo redatto al Costantinopolitano I: heis man hagan katholikn ka apostolikn ekklesan (DzH 150). In proposito O. SEMMELROTH cos commenta: Credere in Dio come Dio di salvezza significa infatti incontrarlo nel contesto che lui stesso ha scelto per farsi Corpo e che gi in Cristo comportava delle imperfezioni che lo rendevano motivo di scandalo (Mt 11,6). Infine, questa la kenosi di Dio, la quale prosegue nella sua incarnazione e nella quale il Signore glorificato percorre la storia: mediante il suo santo Spirito e nella Chiesa. Credere in Dio significa cercarlo nel corpo di Cristo, che la Chiesa vero che la tradizione ha sempre esitato ad affermare una possibilit di credere in ecclesiam, mentre si dimostrata pi disposta ad affermare un credo ecclesiam, dove il credere-in veniva propriamente riservato a Dio soltanto. E tuttavia, siccome Dio, nel proseguimento della historia salutis, dopo la glorificazione di Cristo, ha voluto riuscirci accessibile nel sacramento della sua Chiesa, si pu rett amente parlare anche di un credo in ecclesiam. Questa fede infatti si riferisce a Dio in quanto egli presente ed attivo nella sua Chiesa mediante lo Spirito di Cristo. E si riferisce alla Chiesa in quanto essa il corpo del Signore, il sacramento della salvezza, quindi segno e pegno di un Dio che si comunica agli uomini (Il nuovo popolo di Dio come sacramento della salvezza, in Mysterium Salutis vol. VII, 379). Anche Tommaso spiega perch si pu confessare un credere nella Chiesa: Si dicatur: in sanctam Ecclesiam catholicam, est hoc intelligendum secundum quod fides nostra refertur ad Spiritum Sanctum, qui sanctificat Ecclesiam [qui unificat Ecclesiam: In 3 Sent., d. 25, q. 1, a. 2, ad 5m], ut sit sensus: Credo in Spiritum Sanctum sanctificantem Ecclesiam. Sed melius est, et secundum communiorem usum, ut non ponatur ibi in sed simpliciter dicatur sanctam Ecclesiam catholicam (S.Th., II-II, q.1, a. 9, ad 5; cfr. H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, 14ss.).

B) Chi fa propria la professione di fede dunque crede che la chiesa appartiene ai doni di salvezza del Dio vivente, ai frutti della redenzione e alla speranza escatologica dei cristiani; essa stessa per fonda la sua esistenza sulla fedelt e sulla fidatezza del Dio uno e trino. Per questo esclusa ogni idolatria della chiesa. In questa prospettiva, la chiesa, piuttosto, sempre opera del libero agire divino di cui non si pu disporre e anzitutto creatura e opera dello Spirito Santo (terzo articolo). C) Poich si tratta della chiesa nel terzo articolo, dove si compie il passaggio tra la presenza della redenzione in Cristo e lanticipazione del compimento nello Spirito santo, si trova qui anche lindicazione del luogo dellecclesiologia allinterno della dogmatica. (2) Una volta individuato il luogo, occorre determinare anche il modo concreto di procedere. Una possibile via potrebbe essere quella di ripercorrere le tappe storiche che hanno portato al costituirsi del trattato per vedere a quali esigenze rispondeva in origine e come la sua impostazione cambiata successivamente. Preferiamo evitare questa strada per due ragioni. La prima risiede nel fatto che lecclesiologia odierna non ha alle spalle qualcosa di simile a quanto possiede, ad es., la teologia trinitaria in un De Trinitate di Agostino (o una Summa Theologiae). Per quanto sia enorme la lette9

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ratura prodotta lungo i secoli sul nostro oggetto, lunica vera e propria tradizione trattatistica dellecclesiologia quella scolastica in tutte le sue accezioni, la quale per, pi o meno, sempre stata governata da preoccupazioni controversistiche ed apologetiche poco teologiche. Inoltre questa via esige di riflettere su alcune scelte di impostazione del discorso ecclesiologico senza conoscerne i contenuti. Per questi motivi, la scelta caduta su una via diversa. Partiremo dallosservazione del linguaggio con cui si parla della chiesa, cercando di evidenziarne i diversi significati. 1.3. Il linguaggio In ecclesiologia ci troviamo di fronte al caso di un atto di fede che, invece di tendere esclusivamente verso Dio, alle prese con questa creatura della Parola di Dio che la chiesa. Il primo nodo da sciogliere in questa ricerca allora quello di identificare che cosa sia la chiesa. A prima vista infatti sembra che il termine chiesa sia univoco e significhi una realt dai contorni ben determinati, ma non cos. Tra le varie parti della teologia, quella che ha maggior difficolt nellidentificare con esattezza il proprio oggetto proprio lecclesiologia. 1.3.1. Le sue aporie In passato vigeva una regola ortografica, secondo cui si doveva scrivere Chiesa con la maiuscola per dire la societ dei cristiani e chiesa con la minuscola per indicare ledificio del culto. Ma in seguito sorto il bisogno di declinare la Chiesa con la maiuscola anche al plurale. Infatti il discorso ecumenico porta con s la necessit di poter ragionare senza il tradizionale presupposto che ogni altra chiesa, diversa da quella intesa da noi, sia tanto inautentica da potersi reputare di fatto inesistente. Inoltre, anche nellambito pi ristretto dellecclesiologia confessionale cattolica diventa necessario declinare la Chiesa al plurale, non appena si intende sfaccettare il concetto tradizionale dominante di chiesa universale nellidea delle chiese locali nonostante gli imbarazzi che possono sorgere nel dire la chiesa di Milano superati o nel dire la diocesi di Milano o con gli arcaismi neotestamentari o patristici la Chiesa che in Milano oppure la chiesa pellegrina in Milano. Se usciamo dal recinto del linguaggio ecclesiastico, poi, molte cose cambiano. Persiste infatti labitudine di usare il termine chiesa per indicare esclusivamente il papa, i vescovi o qualche ist ituzione ecclesiastica di altissimo livello. Questo avviene normalmente nei mezzi di comunicazione sociale e nei discorsi comuni della gente. Oltre a questi fenomeni pi macroscopici, anche allinterno di alcuni luoghi classici del discorso ecclesiologico facile rilevare la presenza di ambiguit. Per esempio lassioma La chiesa fa leucaristia e leucaristia fa la chiesa, presenta un differenziarsi di piani semantici. Infatti leucaristia 10

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soggetto (cio fa la chiesa) sul piano dellagire di Dio, mentre sul piano empirico ne loggetto, dato che se per eucaristia si intende invece lazione rituale, lassioma palesemente equivoco, poich se non c una chiesa costituita che la celebri, semplicemente non si d azione eucaristica. Se non si esercita un rigoroso controllo logico, pu succedere che si discorra su due piani diversi come se ci si trovasse sul medesimo piano, con effetti devastanti per la sensatezza delle cose che si dicono. Ci accade per esempio, quando si consegna la chiesa e le sue imprese alla grazia del mistero per risolvere i problemi di carattere storico riguardanti la sua missione fra gli uomini come quando si dice che per risolvere i problemi basta pregare ed essere santi oppure quando si sostiene che la soluzione offerta al problema deve essere considerata valida solo perch legittima ed sostenuta dalla fede e dalla preghiera, indipendentemente dalla verifica della sua efficacia. Pensiamo anche a certe interpretazioni del potere di agire in persona Christi, dove il rapporto con Cristo pensato negli identici termini giuridici di una delega plenipotenziaria da unautorit superiore a unautorit inferiore tutto sommato omogenee fra loro, quasi non intervenisse alcun salto di qualit nel rapporto fra Cristo e il ministro sulla terra. Pu succedere inoltre che si parli di una sacramentalit della normativa canonica, senza preoccuparsi di distinguerla nettamente dalla sacramentalit dellex opere operato, nella quale la grazia significata dal segno chiede di essere creduta per fede. Anche nella ricerca di un corretto rapporto con il mondo, cio con gli uomini e con le istituzioni che non le appartengono, bisognerebbe guardarsi dalle ambiguit che possono derivare alla chiesa dalla sua consapevolezza di essere una grandezza trascendente e insieme immanente alla storia. Si pensi alla pretesa, che a volte si avanza, di sottrarre la chiesa al giudizio del mondo in nome dello Spirito che la guida, oppure, viceversa, di porla dentro la storia in competizione con le istituzioni mondane, quasi si trattasse di grandezze fra loro omologabili. La Parola, vero, giudica e non tollera di essere giudicata; ma la chiesa che la porta, in quanto un soggetto storico che agisce con gli uomini e fra gli uomini, non pu sottrarsi al giudizio degli uomini stessi. Infine, il principio calcedonese della natura umana e divina unite fra di loro senza confusione e mutamento, senza divisione e separazione sar sempre utilmente invocato in ecclesiologia, ma non si pu parlare della chiesa utilizzando la communicatio idiomatum, che attinge la sua legittimit solo dallunione ipostatica dellumanit e della divinit di Cristo. 1.3.2. I diversi piani semantici I paralogismi, nei quali cos frequentemente ci imbattiamo quando parliamo della chiesa, in realt non sono imputabili al termine in se stesso, che si presenta con un sufficiente carattere di univocit: chiesa un insieme di persone convocate da Dio per vivere uniti in Cristo nella forza dello Spirito 11

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santo. Il fatto che il discorso sullekklesa si colloca su piani diversi, e il termine assume significati differenziati a seconda del piano sul quale viene adoperato. Sar allora utile cercare di individuare con maggiore precisione i diversi piani sui quali il termine chiesa assume differenti significati. a) Il piano fenomenico Prima di tutto si pu discorrere della chiesa come di un oggetto immediatamente raggiungibile nella pura e semplice osservazione dei fenomeni sociali quali di fatto si presentano a qualsiasi osservatore. Chiunque pu venire a sapere che in una certa citt esiste unaggregazione di persone le quali chiamano questo loro ritrovarsi insieme col nome di chiesa. Come questa entit si presenti ed agisca, lo si potr rilevare attraverso gli strumenti che normalmente si utilizzano per conoscere un fenomeno sociale: dallosservazione diretta alla notizia giornalistica alla documentazione storica Non c da meravigliarsi, quindi, che su questo piano parlare della chiesa sia molto spesso la stessa cosa che parlare del papa, o della conferenza episcopale di un certo paese, o della curia romana. Losservatore del fenomeno sociale, infatti, muovendosi sul proprio piano specifico, coglie allinterno della societ civile forme di aggregazione determinate dallattivit economica, altre di natura politica o culturale, altre di carattere ludico e sportivo e infinite altre determinate dai fattori pi diversi, e accanto a queste anche forme caratteristiche di strutturazione sociale dellesperienza religiosa. Dal punto di vista della rilevazione del tessuto sociale quello della chiesa un fenomeno registrabile accanto agli altri come fenomeno tipico della religione cristiana, nella quale si d questo nome allaggregazione sociale dei credenti e dove il fattore gerarchico sembra risultare lunico elemento determinante dal punto di vista storico e politico. Pretendere che tutti costoro intendano la chiesa in unaccezione diversa, per esempio come sacramento, cio segno e strumento di unazione salvifica di Dio (Lumen gentium 1), non sarebbe affatto ragionevole. b) Il piano misterico Chi guarda le cose con fede tende a scandalizzarsi della spregiudicatezza con cui si parla della chiesa sul piano fenomenico, perch egli ha davanti a s la dimensione profonda di ci che la chiesa rappresenta per lui. Egli vorrebbe che mai si parlasse della chiesa senza tenerne conto. In tal modo per egli si colloca su un altro piano semantico, quello della fede. Solo attraverso latto di fede il discorso si sposta su un piano sul quale si possono dire, di cose storicamente apparenti, le radici non storicamente apparenti. Il celebre e fondamentale nesso, dichiarato da Paolo in 1Cor 15, fra la morte di Cristo, fatto storicamente verificabile, e i nostri peccati, non pu in alcun modo essere constatato empiricamente: un nesso affermato solo in quanto creduto. Che in Ges Cristo Dio abbia agito nella storia umana o che il Risorto sia allopera nellatto della 12

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chiesa che battezza, sono affermazioni plausibili solo sul piano delle cose credute, anche se riguardano oggetti conosciuti fenomenicamente, come la storia di Ges di Nazaret o la celebrazione di una liturgia battesimale in una comunit cristiana. Quando si passa su questo piano del discorso, parlare della chiesa diventa unimpresa molto pi complessa e difficile. Che il Cristo sia presente alla sua chiesa, ad es., un dato fondamentale del discorso credente. Per un dato di questo genere dellordine del sapere della fede: non se ne d n verifica empirica n argomentazione di pura ragione. Chi lo afferma e lo crede, lo fa in forza della sua libera decisione di accogliere come parola di Dio il messaggio apostolico che lo attesta. Daltra parte questa presenza di Cristo creduta come presenza nel luogo stesso dellempeira ecclesiale, presenza a quella stessa realt che il sociologo rileva attraverso le sue indagini e lo storico indaga con i suoi documenti. Il credente, quindi, deve riferirsi anche al piano fenomenico: non pu eluderlo, altrimenti non potrebbe dire, a proposito della presenza di Cristo, a chi e dove egli sia presente. c) Il piano escatologico Nel linguaggio della fede inoltre si parla della chiesa non solo come di un oggetto esistente solo dal momento in cui apparso nella storia e solo l dove lo si pu dire presente. Infatti se ne parla in un modo che sembra permettere di traslocare con assoluta disinvoltura loggetto chiesa lungo il tempo, in qualsiasi epoca, ed anche fuori del tempo. Su questo piano semantico la chiesa esiste nella mente eterna di Dio ed appare gi, in figura, nel consorzio di Adamo ed Eva segnato dalla grazia; essa inizia la sua storia ab Abel e nella storia di Israele. Naturalmente questo modo di discorrere non cancella linteresse per una sua storia da intendersi nel senso pi proprio e cronologicamente determinato: in tal caso si dir che vi fu un tempo in cui la chiesa non cera e che ancor oggi vi sono regioni del pianeta dove la chiesa non c. Il primo modo di parlare della chiesa non rende insensato il secondo, e viceversa. Ancora si parla della chiesa anche come di unentit che andr al di l della nostra stessa storia, per cui le si pu attribuire laggettivo celeste. In conclusione: parlando del nostro oggetto sul piano misterico il discorso si complessifica, in quanto comporta lintersecarsi della dimensione storica e della dimensione escatologica. Occorrer porvi grande attenzione. Per cui, se si afferma che la chiesa esisteva fin dallinizio in Adamo ed Eva, non si pu ignorare che i soggetti i ndividuali che componevano quella chiesa e la stessa chiesa di Israele sono (non solo materialmente, ma anche formalmente) altri dai soggetti che compongono la chiesa empirica storicamente determinata. E circa la chiesa celeste non detto che tutti i membri della chiesa terrena vi apparterranno, mentre potranno appartenervi uomini e donne che sulla terra non lhanno neppure conosciuta.

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d) Il piano confessionale Infine c un piano del discorso dove si parte dal presupposto che si diano storicamente diverse entit che pretendono di essere la chiesa di Cristo, mentre in realt solo una fra tutte lo veramente. Si pensi a come ciascuna delle tre grandi conformazioni ecclesiastiche si sia qualificata, per distinguersi, con un aggettivo del quale nessuna delle altre potrebbe in alcun modo fare a meno: forse pensabile una chiesa che non voglia essere evangelica, o non pretenda di essere ortodossa, o che possa rinunciare a dirsi cattolica? Il presupposto tuttaltro che privo di senso, dal momento che questa esistenza di chiese, al plurale, del tutto anomala, anzi da ogni cristiano considerata come una situazione peccaminosa. naturale, quindi, che lecclesiologia si trovi aperto davanti anche questo piano di discorso per la sua riflessione. La questione centrale quella della necessaria individuazione della vera chiesa. Anzi, nel quadro di una teologia controversistica e non ecumenica, questo il problema decisivo di ogni possibile ecclesiologia. Non meraviglia che D. Palmieri abbia potuto dare al suo trattato un titolo siffatto: Tractatus de Romano Pontifice cum prolegomeno de Ecclesia (Romae 1877). Lapice della controversia confessionale, infatti, sta nella questione del papato. Non appena ci si collochi su questo piano, evidente che non si potr sviluppare unecclesiologia adeguata e corretta senza prima aver risolto (previamente) il problema del primato. Ugualmente significativa limpostazione di R. Bellarmino. Se la chiesa linsieme degli eletti, per cui nella chiesa visibile la vera chiesa resta nascosta e non se ne possono determinare i confini, come volevano i riformatori, naturale che Bellarmino, ritenendo invece necessario definire un confine visibile al di fuori del quale non si pu parlare di vera chiesa, volesse costruire unecclesiologia che si muovesse esclusivamente sul piano della visibilit. Certamente egli non riteneva che potesse esistere unautentica chiesa cristiana senza interiorit, senza la fede del cuore, la carit dellanima cristiana e la presenza dello Spirito Santo. Ma il discorso necessario in quel momento era quello di unecclesiologia confessionale e bisognava elaborare una criteriologia per la possibile legittimazione della chiesa empirica. Lappello al divino, in questo quadro, doveva restare sullo stesso piano: sar la volont, storicamente manifestata, del divino fondatore. Se Ges ha voluto una chiesa dotata di una certa struttura, le condizioni da lui poste segnano i confini della vera chiesa. Che poi questo corpo di credenti abbia tutto un suo mondo interiore, misticamente ricco e carico di grazia, sar un dato che non interesser pi lecclesiologia. Quando la riflessione teologica si svolge su questo piano, logico che la dimensione misterica della chiesa non risulti determinante e che la prospettiva escatologica non interferisca. La stessa dinamica segno-grazia, esteriore-interiore, caratteristica del piano semantico sacramentale, non appare rile14

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vante. Ecco perch una tale impostazione ecclesiologica confessionale non appare pi praticabile. Ma possibile unecclesiologia che resti del tutto assente dal piano confessionale? Il libro di Hans Kng, La Chiesa 28, era un tentativo interessante di elaborare un saggio di ecclesiologia ecumenica che tentava di accostarsi il pi possibile allideale di un discorso transconfessionale grazie allapporto biblico, inteso rigorosamente come lelemento fondante e il principio critico di tutti gli sviluppi successivi. Ma fino quando la divisione fra le chiese persiste, possibile in ecclesiologia mantenere la riflessione teologica sempre al di qua del piano confessionale? Il farlo significherebbe, come minimo, ignorare che c pure una manifestazione della volont divina sulla forma empirica della chiesa e che questa forma empirica non costituisce una grandezza totalmente incommensurabile con il mistero dellelezione e della grazia. Mantenendosi al di qua del piano confessionale loggetto dellecclesiologia verrebbe a scomparire: resterebbe da trattare in teologia dogmatica del mistero dellelezione e della grazia e in teologia pratica dellorganizzazione dei credenti pi adeguata per la predicazione del vangelo e la celebrazione dei sacramenti. e) Conclusione Osservando come il termine chiesa tenda sempre a scivolare da un piano semantico allaltro, diventa inevitabile linterrogativo radicale: mai possibile fare unecclesiologia? Se ci collochiamo sul pi ano fenomenico, potremmo studiare laggregazione dei cristiani dal punto di vista sociologico e storico, oppure da quello di altre scienze umane Se lo consideriamo sul piano del mistero, allora sconfineremmo nella teologia della grazia. Se sottolineiamo le valenze escatologiche, affronteremmo le questioni cardine di una teologia della storia. Se invece consideriamo il problema delle divisioni confessionali, ci troveremmo nel settore dellecumenismo. C quindi ununica possibilit di fare ecclesiologia: individuare un punto in cui i diversi piani semantici si intersecano, in modo che dello stesso identico oggetto si possa ragionare su ciascun piano. Non sar certo labbandono di una o pi prospettive possibili a garantire ladeguatezza e lunivocit della riflessione ecclesiologica. N sarebbe facilmente accettabile la posizione fondamentalmente rinunciataria di chi, nellultima fase della neoscolastica, giustapponeva due trattati ecclesiologici: quello apologetico, che trattava della chiesa dal punto di vista della sua struttura sociale, e quello dogmatico, che ne studiava il mistero29. Neppure si potrebbe garantire la correttezza del di28

Brescia: Queriniana, 1969; orig. ted. 1967. Cfr. anche i lavori di H. SCHUTTE, La Chiesa nella comprensione ecumenica (Padova: Messaggero, 1993) e di G. CERETI, Per unecclesiologia ecumenica (Bologna: E.D.B., 1997). 29 T. ZAPELENA, De ecclesia Christi. Pars apologetica. Editio quinta recognita et aucta (Roma: Universit Gregoriana, 1950); ID., De ecclesia Christi. Pars altera apologetico-dogmatica (Roma: Universit Gregoriana, 1954).

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scorso ignorando la complessit del linguaggio e mescolando fra loro i diversi modi di parlare. Una condizione fondamentale, necessaria per parlare bene della chiesa, sar invece quella di rendersi sempre consapevoli del piano sul quale il nostro linguaggio ha possibilit di essere sensato, per non passare da un piano allaltro senza mutare contemporaneamente i criteri del discorso. 1.4. Loggetto Il problema della complessit del parlare cristiano intorno alla chiesa non consistito, lungo la storia, semplicemente in una questione di parole; al contrario, esso si imposto con prepotenza soprattutto nei momenti delle grandi crisi della chiesa. linterrogativo della coscienz a cristiana sulla autenticit della realt stessa nella quale il cristiano vive, che egli chiama chiesa e di cui si d omanda se sia davvero la chiesa di Ges Cristo. 1.4.1. Un oggetto nascosto (la vera chiesa) Nellantichit cristiana, prima di Gioacchino da Fiore (1130-1202), la posizione che tradizionalmente si teneva era quella antignostica di Ireneo (135/140-200), secondo cui la chiesa vera semplicemente quella che pu vantare una discendenza diretta dalle istituzioni apostoliche. Nel secondo millennio, invece, si cominci a porre la questione della vera chiesa nella sua dimensione globale e si sollev la domanda di fondo sulla stessa autenticit cristiana dellesistenza ecclesiale. In particolare nella riflessione cattolica si riteneva che MARTIN LUTERO (1483-1546), andando alla ricerca della vera chiesa, avesse negato legittimit a tutte le forme storiche che pretendessero di renderla visibile agli uomini. La chiesa sarebbe stata quindi una realt invisibile e inafferrabile. Nel pensiero poco sistematico di Lutero la riflessione teologica (non solo cattolica) rilevava almeno una costante: con il termine Chiesa Lutero comprendeva due realt30: La prima, che naturale, fondamentale, essenziale e autentica, noi la chiameremo una cristianit spirituale, interiore; la seconda, che costruita ed esteriore, noi la chiameremo una cristianit corporale, esteriore31. I commentatori di Lutero hanno discusso nel corso dei secoli sulla questione di sapere se i termini Chiesa visibile e Chiesa invisibile designano due realt separate o due aspetti distinti di una medesima realt. Tutto dipende dallinterpretazione del seguito della citazione, che cos prosegue:
non che noi intendiamo separare luna dallaltra, ma proprio come quando io discorro a proposito di un uomo e lo chiamo, secondo lanima, un uomo spirituale, secondo il corpo, un uomo corp o30 31

Questa costante sottolineata da A. BIRMEL, glise, in Encyclopdie du protestantisme, Paris-Genve 1995, 488. LUTERO, Del Papato di Roma (1520), in ID., Scritti politici (Torino: U.T.E.T., 19682), 81.

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rale, o come lApostolo (Rm 7,22s) che ha labitudine di parlare delluomo interiore ed esteriore. Allo stesso modo anche lassemblea cristiana, secondo lanima, una comunit che concorda in una medesima fede, bench, secondo il corpo, essa non possa essere raccolta in un medesimo luogo, mentre ciascun gruppo raccolto nel suo luogo. Questa cristianit governata dal diritto canonico e dai prelati stabiliti nella cristianit: di essa fanno parte tutti i papi, cardinali, vescovi, prelati, preti, monaci, suore e tutti coloro che, nello stato delle cose esteriori, sono reputati dei cristiani, che essi siano autentici e solidi cristiani o che non lo siano. In effetti, anche se questa comunit non fa un solo vero cristiano poich tutti gli stati nominati possono esistere senza la fede, nondimeno mai essa rimane senza qualcuno che, inoltre, anche autentico cristiano, proprio come il corpo non fa s che lanima viva, mentre lanima sicuramente vive nel corpo e anche, sicuramente, senza il corpo. Ma coloro che sono senza fede e senza la prima comunit in seno a questa seconda comunit, allo sguardo di Dio sono morti, sono degli ipocriti.

Alcuni autori affermano di conseguenza che la Chiesa visibile e la Chiesa invisibile costituiscono due realt differenti, e quella che merita veramente il nome di Chiesa la realt interiore: [non vi ] alcun dubbio che Lutero ha voluto mantenere integralmente la sua nozione di Chiesa, per essenza spirituale e invisibile come lanima32. Altri sottolineano al contrario che il punto di partenza di Lutero non la comprensione dellelezione e della separazione tra eletti e dannati, ma la constat azione che, seppur giustificato davanti a Dio, lessere umano che vive in terra cittadino di due regni, quello di Dio e quello del mondo; perch egli simul iustus et peccator. La distinzione non quindi da operare tra le persone umane, ma allinterno di ciascuna di esse. Ecclesiologicamente, ci significa che la comunione spirituale dei credenti una comunit corporale terrestre e dunque visibile. Le coppie visibile-invisibile, esteriore-interiore o corporale-spirituale indicano che la necessaria distinzione non separa due chiese esistenti per se stesse, ma descrivono due aspetti della realt complessa della Chiesa unica33. Si potrebbe perci dire seguendo lanalisi di Sergio Rostagno, che si iscrive nella seconda linea interpretativa che per Lutero la chiesa non una realt invisibile, bens una realt nascosta: Abscondita est ecclesia, latent sancti34. La tesi di Lutero, insomma, non mirerebbe a separare gi in questa terra la vera chiesa da quella falsa. Al contrario, essa sembra voler dire che qualunque strumento usassimo per scoprire la vera chiesa, mai potremmo raggiungere lo scopo. Si possono individuare dei segni, che per non costituiscono un vero e proprio criterio discriminante. Per Lutero

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H. STROHL, La Pense de la Rforme (Neuchtel: Delachaux et Niestl, 1951) 178. Lautore annota: Dopo che i luterani moderni esaltano, a loro volta, la loro Chiesa visibile [essi hanno creduto di poter] discernere nello stesso Lutero lesistenza tra le due cristianit del medesimo legame che c tra il corpo e lanima. La Chiesa invisibile sarebbe dunque, come in certe teorie cattoliche, lanima della Chiesa costituita. Ma il seguito [del testo di Lutero] vieta questa interpret azione. 33 A. BIRMEL, glise, op. cit., 488. 34 LUTERO, De servo arbitrio, WA 18, 652.

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infatti esistono tre tipi di societ umane: quella secolare, quella ecclesiastica delle cerimonie e quella quae in fide, spe et caritate ambulat, estque christiana. Di questultima il papa certamente non il capo, non sembrando egli camminare alla sua testa in fide, spe et caritate35. Questo non perch Lutero concepisca la chiesa dentro uno schema platonico, quasi che la realt visibile fosse umbratile e ingannevole mentre la realt vera risiederebbe altrove, bens perch lessenza della chiesa deve consistere nella vita prodotta dallo Spirito santo, che solo la fede pu percepire e che va colta al di l del valore morale delle opere che caratterizzano lesistenza dei p astori e dei fedeli. Alla radice di questo modo di pensare sta Zwingli (1484-1531) che, a sua volta, si muoveva sulla linea di Agostino (354-430). Questi, provocato dalla controversia donatista, era giunto a parlare della chiesa come di un corpus verum atque permixtum o verum atque simulatum, in quanto gli ipocriti sembrano essere parte della chiesa mentre in realt non appartengono al corpo di Cristo. Certamente, il corpo unico propter temporariam commixtionem et communionem sacramentorum, per non si deve dimenticare che si tratta di un corpus permixtum36. Questa tematica fu sempre sollecitata dal bisogno di domandarsi se coloro che appartengono alla chiesa, quale la si vede e la si vive nellesperienza quotidiana, le appartengano fino in fondo oppure no. Nel caso di Lutero sar, infatti, il detto di Mt 26,16 (Molti i chiamati pochi gli eletti) a farlo parlare della ecclesia abscondita come del coetus electorum. Egli amer distinguere fra una chiesa spirituale e una chiesa corporale, utilizzando questa concezione per dire che nellinsieme della chiesa corporale solo una parte composta da eletti, mentre chi siano costoro nessun uomo lo pu n decidere n discernere, poich Dio dispensa i suoi doni come vuole, al punto da doversi aspettare che un giorno gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi (Mt 20, 16). La chiesa resta una realt nascosta solo in questo senso, cio in quanto essa, come oggetto della fede, il coetus electorum. Il corpo degli eletti, anche se resi tali per il dono imperscrutabile dello Spirito, non costituisce sic et simpliciter una realt invisibile; vero per che impossibile tracciarne in maniera storicamente determinata i confini. Non si tratta, quindi, nel pensiero di Lutero, dellesistenza di due realt di chiesa, una vera e una falsa, ma piuttosto di due aspetti sotto i quali la medesima realt ecclesiale deve essere sempre considerata.

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S. ROSTAGNO, Ecclesia abscondita. Appunti su un concetto controverso, in Studi Ecumenici VI (1988) 183-192. AGOSTINO, De doctrina christiana, III, xxxii, 45, CCL 32, 104s.

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A proposito della ecclesiologia dei Riformatori, quindi, la questione de vera ecclesia andrebbe articolata distinguendo la chiesa nascosta, che la vera chiesa in quanto distinta dalla chiesa in senso lato che la comunit dei battezzati che si rif alla Parola e al sacramento. Tuttavia se si vuole distinguere la vera chiesa da quella falsa lo si pu fare solo a riguardo della chiesa in senso lato, cio in ordine alla sua forma visibile. Ad ogni modo, dove c una chiesa visibile che si presenta in una forma autentica, l presente anche la chiesa nascosta. Se viceversa si possa dare una presenza della chiesa anche l dove la sua forma empirica non sia autentica, non andrebbe escluso come teologicamente impensabile, ma sarebbe un fatto contingente e passeggero. Attraverso queste distinzioni ai Riformatori fu possibile attribuirsi il diritto di smantellare tutte quelle strutture della chiesa visibile che non erano chiaramente prescritte dal dettato della S. Scrittura, anzi della Sola Scriptura. Quale che sia il vero pensiero riformato, possiamo rilevare almeno diversi elementi significativi che convergono verso un orientamento comune. 1) La questione della natura della Chiesa dipende dalla questione che concerne i membri della Chiesa: chi ne fa parte? I peccatori sono inclusi nella sua unit essenziale? Unanimemente i riformati lo rifiutano mantenendo una nozione univoca di membro della Chiesa secondo cui solo i giusti appartengono veramente alla comunit di salvezza. 2) La terminologia ben stabilita. nata la coppia Chiesa visibile, esteriore, constatabile con i sensi, e Chiesa invisibile o nascosta, opera divina, interiore, inconoscibile. 3) La relazione tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile la grande questione ecclesiologica. Certi testi inclinano nel senso di una dualit stretta (separazione), mentre altri indicano un legame pi forte ma che resta estrinseco. La chiesa visibile una realt che rimane umana, mentre la Chiesa invisibile una pura realt di grazia. cos che la teologia controversistica cattolica si trovata a dover affrontare in maniera esplicita e in un neonato quadro confessionale il problema della molteplicit dei piani semantici del discorso ecclesiologico. Ormai la questione de vera ecclesia era stata sottratta al discorso sulla dimensione interiore della chiesa e non disponeva pi di alcun piano sul quale poter essere posta, che non fosse quello della chiesa visibile. E su questo piano la teologia cattolica, con in testa il Bellarmino, la pose. Nessuno ignorava le ricchezze interiori della chiesa. Se per si doveva discutere sul luogo in cui poterla trovare, dove raggiungerla, come appartenerle, non aveva senso parlare della sua interiorit: era necessario giudicare della verit della sua forma storica e della legittimit della sua struttura sociale. Fu cos che il Bellarmino, per liberare il discorso dai possibili equivoci, pot affermare:
Perch uno possa dirsi in qualche modo parte della vera chiesa non riteniamo necess aria alcuna

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virt interiore, ma soltanto lesterna professione della f ede e la comunione nei sacramenti, cose che i sensi possono percepire37.

Nonostante lintenzione di contraddire le affermazioni ecclesiologiche dei protestanti, Bellarmino accetta di restringere la questione della definizione reale della Chiesa alla questione dei suoi membri i protestanti considerano le condizioni di una piena appartenenza ecclesiale (i giusti), egli invece si attiene al minimo richiesto , adoperando la medesima terminologia di Chiesa visibile e Chiesa invisibile e la concezione secondo cui esse sono fra loro separabili. Egli si giustificava, pensando di riproporre il pensiero di Agostino; ma si sbagliava: mentre questi infatti considerava lappartenenza di ciascun membro con il corpo e con il cuore allunica Chiesa, Bellarmino parla dellappartenenza al corpo e al cuore (o allanima) della Chiesa. Questa concezione sfocer pi tardi nellidea ventilata nellecclesiologia della manualistica che esistono due comunit, di certo normalmente unite, ma che possono anche essere separate. 1.4.2. Un oggetto sdoppiato Nella manualistica si aperta cos la strada ad una sorta di bilocazione dellecclesiologia: certamente, la definizione reale della Chiesa esprime lassemblea di coloro che verificano la triade bellarminiana degli elementi esteriori (il corpo della Chiesa) e possiedono le virt interiori (lanima della Chiesa); per cui il corpo e lanima della Chiesa sono inseparabili. Tuttavia ci non si verifica di n ecessit per il singolo individuo, il quale pu appartenere al corpo senza appartenere allanima il caso delleretico occulto e, reciprocamente, pu appartenere allanima e non al corpo coloro che si trovano nel caso di errore o di ignoranza invincibile. Questa separabilit, limitata ai soli individui, influisce tuttavia sulla concezione della comunit nel suo insieme. Questultima, in quanto visibile, raccoglie gli uomini il cui comportamento sociale conforme, e tra loro pure gli ipocriti. Il suo principio di unit visibile e assicura una corporeit di tipo sociale-naturale. In quanto vivificata soprannaturalmente, la Chiesa invisibile; il suo principio di unit , su questo piano, puramente interiore. Anche se raramente esplicitato, questi due principi conducono a distinguere realmente, sebbene inadeguatamente, due comunit e non una sola38. Cos allinizio del XX secolo comunemente ammesso che: Il corpo comprende lelemento visibile o la societ visibile alla quale si ap37 38

Disputationum Roberti Bellarmini de controversiis tomus secundus, Venetiis 1721, 1a controv., liber III, caput II, 53s. Lesempio pi illuminante si trova in L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi (Prati 19033) 272: Altra la forma del corpo della chiesa secondo che essa precisamente un corpo sociale, e altra la sua forma secondo che essa vivente della vita di grazia. Cos unincorporazione alla Chiesa non di per se stessa unincorporazione al Cristo ( Ibid., 320321).

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partiene mediante la professione esteriore della fede cattolica, la partecipazione ai sacramenti e la sottomissione ai legittimi pastori, e lanima comprende lelemento invisibile o la societ invisibile, alla quale si appartiene per il fatto che si possiede i doni interiori della grazia39. Lecclesiologia cattolica classica nella controversia controriformista accetta cos di distinguere nella Chiesa un corpo e unanima; questo corpo per non pi il Corpo di Cristo paolino, ma una realt sociale naturale. In secondo luogo essa limita la visibilit della Chiesa alla sua corporeit cos intesa. Ne risulta una concezione del visibile ecclesiale che non costituisce un segno indirizzato alla fede, ma una manifestazione puramente sociologica. Infine, se il visibile-naturale separabile dallinvisibile-soprannaturale, essa non pu ritenere, in coerenza col mistero del Verbo incarnato, che linvisibile abiti nel visibile, vi si esprima e si comunichi per la sua mediazione. Il pericolo di una simile visione di lasciar credere che la Chiesa sia composta di due met capaci di esistere separatamente, che si finir per chiamare, luna Chiesa visibile e laltra Chiesa invisibile40. Nellecclesiologia contemporanea nessuno ritiene di poter fare una teologia del mistero della chiesa senza tenere conto della sua forma sociale, n alcuno aspira a costruire unecclesiologia che possa ritenersi indipendente dalla riflessione sul mistero. Ci per non significa che la meta di una ecclesiologia globale sia facilmente raggiungibile come testimoniano diversi tentativi della teologia neoscolastica, la quale, nelle sue ultime produzioni, sotto la spinta della Mystici Corporis (1943) di Pio XII, affiancava al trattato sulla chiesa-societ quello sulla chiesa-corpo di Cristo. Tale organizzazione era giustificata per ragioni di pura comodit. Ma gli stessi autori segnalavano che sarebbe funesta se avesse la conseguenza di far pensare allesistenza di due trattati teologici distinti, uno relativo allorganizzazione ecclesiastica (il trattato sulla chiesa), laltro concernente la vita profonda delle membra di Cristo (il trattato sul corpo mistico). In tal caso essa porterebbe, di fatto, a scindere lorganizzazione gerarchica dallorganizzazione della carit, la chiesa dal corpo di Cristo41. Cos nellecclesiologia contemporanea si sono moltiplicate le voci che proclamano il superamento delle antitesi, tipiche del momento della Riforma, fra una chiesa invisibile e una chiesa visibile:
Colui che nella confessione di fede dice: credo Ecclesiam, non trascura con orgoglio, questo volto concreto della chiesa e confessando: credo resurrectionem carnis, non pu pi trascurare luomo reale tutto intero, che corpo e anima, n la sua speranza, come se proprio a lui la resurr ezione non fosse promessa. Ma egli non guarda attraverso e al di l di questo volto in maniera per cos dire malinconica, come se non fosse che un aspetto trasparente, dietro il quale cercare altrove la chiesa. Esattamente come non pu trascurare il volto pi o meno avvenente del prossimo che gli
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E. DUBLANCHY, glise, in Dictionnaire de thologie catholique, tome IV (Paris 1911) col. 2154. CH. JOURNET, Lglise du Verbe incarn, t. 2. Structure interne et unit catholique (Paris 1951) 574. 41 T. ZAPELENA, De ecclesia Christi. Pars altera apologetico-dogmatica, op. cit., 338s.

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comandato di amare, n guardare al di l di questo volto! Il suo sguardo penetra nel visibile della chiesa che la realt. Vedendo quello che sotto gli occhi di tutti, egli vede non a lato o dietro ma dentro quello che tuttavia non sotto gli occhi di tutti. Egli non si libera dunque del tutto da quello che c di visibile nella chiesa. Non lo sfugge per andare verso qualche paese delle meraviglie. Il credo Ecclesiam pu e deve senza dubbio includere in lui molte distinzioni e molte domande, molta afflizione e vergogna. Pu e deve essere senza alcun dubbio un credo molto critico. In relazione a tutto quello che c di visibile nella chiesa, pu e deve esprimere semplic emente una speranza impaziente. Ma proprio in tutta la sua visibilit, che poi la sua esistenza storica sulla terra, che il credente la prende sul serio. Quel credo confessa la fede nellinvisibile che proprio il mistero del visibile. Con la fede nella Ecclesia invisibilis luomo passa sul campo di lavoro e di lotta della Ecclesia visibilis. Senza fare questo, senza prendere parte, con discernimento ma con seriet, alla vita storica della comunit, alla sua attivit, alla sua costruzione, alla sua missione, restando al livello di una ecclesialit teorica e astratta, non si ancora ripetuto, dandogli tutto il suo senso, il credo Ecclesiam42.

Unasserzione cui fa eco anche H. Kng, per il quale: Non ci sono due chiese, una visibile e una invisibile. E non si pu nemmeno dire, nello spirito del dualismo platonico e dello spiritualismo, che la chiesa visibile (in quanto materiale e terrena) limmagine della chiesa autentica, invisibile (spirituale e celeste). Come pure non che linvisibile sia lessenza e il visibile la forma storica della chiesa. Ma lunica chiesa nella sua essenza e nella sua forma storica sempre contemporaneamente visibile ed invisibile. La chiesa oggetto della fede dunque ununica chiesa: la chiesa invisibile nel visibile, o meglio nascosta nel visibile43. Tutte queste riflessioni ci hanno mostrato linsufficienza delle categorie e delle distinzioni utilizzate per districare la complessit delloggetto, con la pretesa di riuscire a distinguere laspetto empirico da quello misterico in modo tale da poter parlare del primo liberi dalle implicazioni del secondo, e viceversa. Se si vuole parlare davvero della chiesa, la sua forma empirica anche quando sia il puro apparato sociale dellaggregazione dei cristiani, anche quando sia forma storica contingente e non essenziale allidea di chiesa, anche quando sia piena di peccati non accetta di essere svuotata del mistero della grazia che la costituisce. Cos, al contrario, se lecclesiologia non deve ridursi a pura riflessione sul mistero della grazia, si pu cogliere qualcosa del credo ecclesiam solo scrutando il mistero dentro la forma empirica della chiesa e nelle sue componenti puramente esteriori, per quanto esse siano contingenti, inessenziali e segnate inevitabilmente dal peccato degli uomini. Da qui nasce il problema di come individuare lazione della chiesa nella storia. In proposito Jacques Maritain nella sua famosa teoria sullazione politica dei cristiani distingueva fra lagire del cri-

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K. BARTH, Kirchliche Dogmatik, IV/I (Zrich: E.V.Z., 1953) 730 [trad. franc. IV/I ***, 12-13]. H. KNG, La Chiesa, op. cit., 43.

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stiano da cristiano e lagire del cristiano in quanto cristiano44. Secondo questa visione i credenti si possono impegnare nellazione sociale e politica portandovi tutta la forza e tutti i valori della loro fede, ma senza che la loro azione debba essere considerata unazione della chiesa e ne possa compromettere le responsabilit: la chiesa, infatti, si muover sempre a un livello diverso, quello caratterizzato non gi dalla contingenza storica bens dalla sua natura trascendente e divina. In modo simile la formula parallela che K. Rahner suggerisce risulta, ecclesiologicamente, ancora pi netta. Egli afferma, infatti, che i laici nel campo dellazione temporale agiscono christlich (cio cristianamente), e non kirchlich (ecclesialmente), mentre solo la gerarchia agisce kirchlich45. Tale distinzione ha un effetto particolarmente significativo sullecclesiologia, in particolare a proposito del rapporto fra la chiesa e la storia. Da un lato il corpo cristiano sarebbe chiamato a esercitare un influsso decisivo sulla societ, sulla sua vicenda politica e, quindi, sulla storia degli uomini, senza che tutto questo debba avere un qualche significato ecclesiologico, non essendone la chiesa il vero soggetto. Dallaltro lato la storia dovrebbe registrare lazione vera e propria della chiesa la quale, per, non ne condividerebbe le caratteristiche della contingenza e della fallibilit. Si tratterebbe quindi di processi storici che non si intreccerebbero con quelli degli altri soggetti e, pi che appartenere alla storia, la attraverserebbero con il loro carattere di assoluta trascendenza. Ci domandiamo se, nella prospettiva maritainiana, si possa ancora fare una storia della chiesa, o se questa non debba ridursi allagiografia, alla storia della liturgia e alla storia dellepiscopato e del papato46. La questione teologica, infatti, si ribalta inevitabilmente sulla disciplina storica che ha per oggetto la chiesa. In realt una riduzione della storia della chiesa come quella che sembrerebbe doversi ipotizzare a partire dallecclesiologia di J. Maritain, non si mai verificata in maniera riflessa e formale, anche se di fatto, non di rado, gli storici della chiesa vi si sono avvicinati. Oggi, poi, che il Vaticano II ha attribuito al popolo di Dio il ruolo di autentico soggetto storico della missione, lo storico della chiesa aspira esplicitamente ad allargare gli spazi della sua ricerca e a scrivere la storia vissuta del popolo cristiano47.

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J. MARITAIN, Umanesimo integrale (Roma: Borla, 1980) 307-320. Cfr. ID, La Chiesa del Cristo (Brescia: 1971). K. RAHNER, Grundstrukturen im heutigen Verhltnis der Kirche zur Welt, in F. ARNOLD - K. RAHNER, Handbuch der Pastoraltheologie, II/2 (Freiburg Basel Wien: Herder, 1966) 203-267. 46 Cfr. quanto dice la Gaudium et spes al n. 40: La chiesa condivide la stessa sorte terrena del mondo e quanto poi stato affermato a partire dalla Evangelii nuntiandi alla Christifideles laici, a proposito di una concezione della missione della chiesa, della quale fa parte, a tutti gli effetti, anche loperare dei laici nellambito temporale. 47 J. DELUMEAU (ed.), Storia vissuta del popolo cristiano (Torino: Sei, 1979).

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1.3.3. Un oggetto storico ambiguo La questione pi importante allinterno del problema della individuazione delloggetto della storia della chiesa non riguarda pi lestensione materiale della cosa da studiare. La questione pi int eressante quella del suo oggetto formale: di qual genere sia la cosa su cui gli storici della chiesa devono interrogarsi e, quindi, di qual genere sia la scienza cui essi si stanno applicando. 1) A partire dal Rinascimento, passando poi per lUmanesimo e lIlluminismo, la storia ecclesiastica si emancipata dallo schema storico-salvifico-dogmatico in cui era stata situata classicamente da Eusebio, ma anche dalla sua funzione apologetica a servizio della dogmatica, come si era venuta a maturare, specialmente ad opera del Baronio, a partire dalla Riforma, e infine anche dalle speculazioni condotte nellalveo di una filosofia della storia, quelle che riscontriamo, ad esempio, nello spirito dellidealismo tedesco Si trattava insomma di descrivere come erano andate effettivamente le cose. Ma quel che poteva sembrare pura oggettivit, in effetti era laffermarsi di una vera e propria concezione del mondo, che parve inconciliabile col metodo dogmatico. La storia della chiesa divenne quindi il focolaio di tutti i pericoli cui la teologia sarebbe poi andata incontro (Dllinger e il Vaticano I; il modernismo). Daltra parte la storia si rivelata quale locus theologicus indispensabile anche per la stessa dogmatica, che ai nostri giorni non pi concepita come una scienza aprioristica deduttiva, ma piuttosto come una scienza ermeneutica che procede con metodo storico e che comprende i dogmi della chiesa partendo dalla loro genesi storica e quindi pure dal loro nesso storico48 (cfr. Optatam Totius 16). Questi sviluppi hanno fatto sorgere due tendenze negli storici della chiesa: per alcuni la storia della chiesa solo una disciplina scientifica, mentre per altri la storia della chiesa una disciplina teologica. (a) Secondo una prima corrente (O. Khler, G. Alberigo, E. Poulat, V. Conzemius) la storia della chiesa teologicamente rilevante proprio in quanto una storia seriamente approfondita e si afferma per sua stessa natura come disciplina storica autonoma. Se la storia della chiesa e deve rimanere una disciplina storica, dovr avere per oggetto la chiesa assumendo questa espressione non nella sua accezione dogmatica, bens in quella fenomenologica, intendendo cio tutte le manifestazioni di vita, di pensiero, di organizzazione che si sono espressamente rifatte al cristianesimo, il cui statuto storico uno statuto ecclesiale49. La storia della chiesa storia della salvezza nel suo in-

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W. KASPER, Storia della chiesa come teologia storica, in Teologia e Chiesa (BTC 60; Brescia: Queriniana, 1989) 104-120, qui 107. 49 G. ALBERIGO, Nuove frontiere della storia della chiesa, in Concilium 6 (1970/7) 82-102.

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sieme. Ma lo storico non in grado di cogliere una storia nel suo insieme. A lui non resta che esporre la storia della chiesa come storia profana, anche se in conformit alla sua comprensione esistenziale delloggetto di cui tratta, deve prendere come punto di riferimento quella base che lo pone in relazione con levento, cio la relazione della chiesa, nella sua storia, con la Sacra Scrittura, di cui la storia della chiesa in qualche modo esposizione e interpretazione50. (b) Una seconda corrente (H. Jedin, J. Lortz, E. Iserloh, W. Brandmller) sostiene una concezione teologica della storia, non per contestare le acquisizioni dellet moderna. Essi intendono piuttosto integrare la storiografia, con la sua autonomia, in una pi ampia concezione di teologia storica. Il problema, infatti non quello di distinguere i diversi livelli di riflessione o valutare dal punto di vista teologico dei fatti che precedentemente sono stati accertati in modo storico, dato che la scienza storica sempre inevitabilmente condizionata dalla precomprensione dello storico. Non possibile, per costoro, una lettura profonda dei fatti se non li si legge al livello superiore delle intenzioni: cos che alla storia della chiesa si apre la possibilit di una scienza teologica, senza che con questo venga disattesa limponenza dei fatti. Per i cristiani il principio e la fine della storia sono veri e pr opri dati di fede: lepifania di Dio in Ges Cristo il dato determinante di tutta la storia e la sua parusia ne il punto di arrivo. Dio stesso, nella persona del Figlio, che non solo agisce sulla storia ma vive egli stesso una propria storia. La chiesa il dispiegarsi di questo evento nel cammino complessivo della storia umana. Ecco perch la storia della chiesa presuppone un concetto di chiesa fondato sulla Scrittura e sulla prima tradizione. La chiesa infatti non pu distanziarsi dalla sua origine. Per quanto sia difficile a delimitarsi, c quindi nella chiesa uno ius divinum, ed nel ritorno alla forma evangelii che essa si fa creativa e si d continuamente una forma nuova. 2) Unutile messa a punto del problema ci offerta da Walter Kasper51, il quale chiarifica le questioni ermeneutiche ed epistemologiche sottostanti raccogliendole attorno a due punti di vista fondamentali. Innanzitutto, egli precisa che la storia si costituisce con la fusione dialettica tra lavvenimento storico oggettivo e la sua interpretazione storica soggettiva. Lideale di una scienza storica che faccia a meno di qualsiasi presupposto, sia neutrale rispetto ad ogni valore una illusione. In secondo luogo, questa fusione continua, mai conclusa, tra soggetto e oggetto possibile solo entro lorizzonte di unanticipazione del senso intero della storia.

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O. KLHER, La chiesa come storia, in My Sal VIII (Brescia: Queriniana, 1975) 651-729, qui 726-728. W. KASPER, Storia della chiesa come teologia storica, art. cit. Cfr. pure il bilancio storiografico di S. XERES, Storia della Chiesa, in G. CANOBBIO P. CODA (edd.), La Teologia del XX secolo un bilancio, 1. Prospettive storiche , Citt Nuova, Roma 2003, 203-247.

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Per cui, in primo luogo, occorre riconoscere il significato costitutivo del soggetto nel processo della comprensione storica. Il soggetto insomma lunico accesso universale possibile al reale, il mez zo che consente una conoscenza oggettiva della realt, per quanto sempre entro una certa prospettiva e per frammenti. Per cui una scienza senza presupposti necessaria nel senso che lo studioso deve sempre porre sotto controllo le premesse da cui parte, renderle oggetto della sua critica; nella consapevolezza che le scienze dello spirito rimangono continuamente legate ad una determinata epoca storica, al grado di maturazione personale che lo studioso ha conseguito, come pure agli atteggiamenti di fondo in cui si traduce una certa visione del mondo e su cui si basa anche la sua comprensione. La virt della scienza non si basa nellassenza dei presupposti, bens nellautocritica dei fondamenti (E. Spranger). Se poi si applica questa considerazione alla storia della chiesa, vediamo perch una comprensione secolarizzata della storia della chiesa non meno pregiudiziale di una sua comprensione teologica, anzi un pregiudizio ancor pi pericoloso, perch oggi sembra affatto plausibile e quindi rimane a livello inconscio, non pone interrogativi critici. In realt nemmeno i sostenitori di una storia della chiesa non-teologica possono fare storia della chiesa senza presupposti di ordine teologico, perch se invece di scrivere la storia della chiesa in modo conformistico, ponendosi dalla parte dei vincitori, si preferisce fare una storia degli eretici, ci si espone ancora una volta, bench in altro modo, alla tentazione di trasferire le categorie delloggi nel passato S oprattutto i grandi rivolgimenti storici ci inducono ad orientare lo sguardo verso i profeti e precursori (V. Conzemius), che allimprovviso appaiono estremamente interessanti, quando per il passato non avevano goduto di molta attenzione. Qui si corre facilmente il rischio di una conclusione affrettata, atta a confermare tendenze del momento52. Una comprensione teologica della storia della chiesa ha il vantaggio di indicare chiaramente i presupposti da cui parte e di interpretare loggetto delle sue riflessioni proprio a partire da tali presupposti. In secondo luogo, si deve tener conto della struttura anticipatrice della storia. Perci la precomprensione teologica non qualcosa che si inserisce nella storia in modo puramente esteriore e soggettivo, ma deriva dalla stessa dialettica di soggetto ed oggetto che costituisce la storia. Infatti la mediazione sempre frammentaria di soggetto e oggetto riesce possibile solo nellorizzonte e nellantici pazione di un senso globale della storia. Proprio per la natura del circolo ermeneutico il singolo individuo, che entra in rapporto con la storia, pu essere compreso solo alla luce dellintero, come viceversa si pu comprendere lintero solo a partire dallindividuo. Ma siccome la storia si realizza

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K. SCHATZ, Ist Kirchengeschichte Theologie?, in Philosophie und Theologie 55 (1980) 481-513.

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interamente solo alla fine del suo corso, ogni comprensione di tipo storico rappresenta una anticipazione della totalit di senso della storia stessa. Proprio nel suo carattere frammentario la storia permeata da una problematica, da una speranza, anzi da un tratto escatologico: i grandi errori e le confusioni della storia pongono il problema del senso della storia stessa, ed anche di una giustizia pi piena. In tal modo la storia stessa solleva un problema che a sua volta introduce in una dimensione in cui il teologo risponde professando la propria fede in Dio, Signore della storia. Naturalmente anche possibile omettere o lasciar aperta, dal punto di vista metodologico, una tale questione che motiva la scienza storica, ma pure la trascende, e limitarsi quindi volutamente alla storiografia, lasciando tutti gli altri problemi ai filosofi e ai teologi. In questo senso si pu considerare la storia della chiesa come qualcosa di meramente profano. Ma quando si tematizza coscientemente il problema e lo si vuol risolvere anche in chiave teologica, si far della storia della chiesa una teologia storica, che scienza di fede non soltanto per il proprio oggetto materiale, ma anche per quello formale. In base a questi due presupposti Kasper pu esporre la sua tesi. (a) Innanzi tutto occorre riconoscere come punto di partenza che la teologia parte dalla confessione di fede che in Ges Cristo si manifestato in modo escatologico definitivo il senso della storia. Essa intende la chiesa come segno sacramentale di questa salvezza in cui tutta la storia spera, senza per essere in grado di realizzarlo. Di conseguenza la storia della chiesa la maturazione di ci che la chiesa nelle mutevoli costellazioni del processo storico. (b) Questa tesi si basa sullenunciato teologico di fondo che Ges Cristo lautocomunicazione di Dio alluomo, lautocomunicazione escatologica definitiva, in quanto per sua stessa natura non pu essere storicamente superata. Ma questa vittoria escatologica della verit, giustizia, amore, realt storica soltanto quando viene assunta nella storia degli uomini storici, cio laddove Dio trova degli esseri umani che credono e che pubblicamente attestano questa fede. La comunit di fede della chiesa dunque un momento intrinseco del compimento escatologico della storia salvifica in Ges Cristo. Per la chiesa ci significa che da un lato essa la presenza vittoriosa della verit, dellamore e della vita di Dio nella storia. Partecipa al carattere escatologico dellavvenimento di Cristo, per cui non potr mai perdere la verit di Ges. Essa il corpo di Cristo e il tempio costruito da Dio nello Spirito santo. Daltro canto la chiesa porta questo tesoro in vasi di creta. la presenza del nuovo eone nelle condizioni dellantico. chiesa santa, ma al tempo stesso anche chiesa dei peccatori. (c) Ne consegue che al pari di qualsiasi soggetto storico, anche la chiesa ci riesce comprensibile soltanto se abbiamo compreso e seriamente assunto il suo modo di intendersi. Ma la chiesa non pu non intendersi se non in termini storico-salvifici. Certo la storia della chiesa non pu essere a sua

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volta storia della salvezza: avremmo un progresso storico salvifico che allinterno del processo st orico porta oltre lo stesso Ges (cfr. la tesi di Gioacchino da Fiore della et dello Spirito contestata da S. Tommaso). Ma da questa precisazione non si pu concludere che oggetto della storia della chiesa sarebbe soltanto la storia mondana della chiesa. Ci troveremmo di fronte a una concezione dualistica, ad unecclesiologia dissociata, analoga alla cristologia dissociata dei nestoriani, in cui lelemento terreno e quello celeste della chiesa verrebbero collegati tra loro in termini quantitativi e additivi. Al contrario in una concezione sacramentale, il visibile, lumano e il terreno che c nella chiesa va concepito come attualizzazione simbolico-reale del Divino, dellescatologicamente Definitivo. Se si assume questa prospettiva sacramentale, si converr che la chiesa ha la propria essenza teologica non accanto o dietro o al di sopra della storia, ma nella stessa storia. Cos la storia della chiesa la storia della sua essenza, e loggetto della storia ecclesiastica la storicit dellessenza della chiesa stessa. Ovvero la storia della chiesa, concepita come teologia storica, teologia della realizzazione essenziale della chiesa allinterno di epoche e culture storiche in continuo mutamento. La storia della chiesa allora risponder alla domanda: negli eventi della storia della chiesa, che cosa c di concretizzazione storica del Vangelo e che cosa sua falsificazione e riduzione? 3) In modo simile Gerhard Ebeling ha concepito la storia della chiesa come storia dellinterpretazione della Sacra Scrittura53. Se per esegesi scritturistica si intende laccezione pi ampia in cui la esprime il modo cattolico di intendere la tradizione, tradizione che si attua non solo in formule teologiche, bens in tutto ci che la chiesa fa, tutto ci che la chiesa ed in cui crede (DV 8), allora la storia della chiesa sar pure la riflessione sulla presenza dellEvangelo della salvezza escatologica in Ges Cristo nelle mutevoli costellazioni della storia. Nella consapevolezza che la storia dellessenza della chiesa si svolge nelle condizioni di una storia umana, anzi di peccato, non cons egue una strumentalizzazione apologetica (erroneamente intesa). 1.4.4. Un oggetto vissuto Secondo M. Kehl (La Chiesa, 13-31) esiste un forte legame tra spiritualit ed ecclesiologia. A suo parere in molte controversie non entrano in gioco soltanto dei fattori biografici e socio-psicologici, e neppure soltanto diverse posizioni ecclesiologiche e interessi di politica ecclesiale (elementi che senza dubbio concorrono in modo decisivo), ma spesso alla base di tutto si trova unesperienza spirituale fondamentale della chiesa, una visione spirituale di essa e unopzione che raggiungono gli
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G. EBELING, Kirchengeschichte als Geschichte der Auslegung der Heiligen Schrift (1947), in ID., Wort Gottes und Tradition. Studien zu einer Hermeneutik der Konfessionen (Gttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1964) 9-27.

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strati emozionali profondi della fede. Per esperienza spirituale della chiesa intendo un legame di carattere fondamentale tra il mio personale atto di fede e la comunit credente: quale significato esistenziale ha la chiesa (anche in quanto chiesa universale!) per la mia fede personale?. A dispetto di molte tendenze attuali nella propria spiritualit non basta concentrarsi esclusivamente su Ges Cristo o sul regno di Dio; di entrambi, infatti, ogni tempo e ogni singolo individuo possono farsi facilmente unimmagine che si adatta a loro. Alla concretezza e impegnativit della nostra sequela di Cristo e dellintera nostra spiritualit appartiene una relazione spirituale con la chiesa (ibid., 18). 1.4. Conclusioni 1.4.1. Essenza in forma storica Il concetto di chiesa essenzialmente connotato dalla relativa forma storica della chiesa stessa. Ciascun tempo ha una sua idea di chiesa, elaborata partendo da una particolare situazione storica, vissuta e strutturata da una particolare chiesa storica, tratteggiata concettualmente da particolari teologi nel corso della storia. Tuttavia, permane qualcosa di stabile, unessenza imposta dalla sua origine, che permanentemente la determina. Quindi, nella storia della chiesa e della comprensione che essa ha di s, c un elemento costante, che tuttavia si palesa solo in ci che si muta. C qualcosa di identico, ma solo nel variabile; un continuo, ma solo nellevento; unessenza della chiesa non in una immobilit metafisica, ma solo in una forma storica in continua trasformazione. Proprio per scorgere questa originaria permanente essenza in divenire dinamico , si deve fare attenzione alla forma storica in perpetuo cambiamento. Anche il NT non comincia con una dottrina sulla chiesa, che si sarebbe realizzata in seguito, ma con la realt della chiesa, che in seguito diviene oggetto di riflessione. La chiesa reale in primo luogo un esserci, un fatto, un evento storico. Lessenza reale della chiesa si attua in forma storica. Si tenga presente, per, che: a) Non si deve separare lessenza dalla forma: non si possono scindere lessenza e la forma della chiesa, ma si devono vedere nella loro unit. La distinzione tra essenza e forma non una distinzione reale, ma solo di ragione: in realt non c e non ci fu mai unessenza della chiesa in s, separata, allo stato puro, estratta dal flusso delle forme storiche. Il mutabile e limmutabile non si lasciano ripartire con precisione: ci sono costanti che permangono, ma non ci sono settori irreformabili a priori (LG 48c; UR 6a). Unessenza senza forma informe e dunque irreale, cos come i rreale una forma senza essenza, mancando appunto dellessenza. Nonostante tutto ci che vi di relativo, la forma storica non deve essere considerata semplicemente irrilevante nei confronti di

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unessenza sussistente da qualche parte al di dentro o al di sopra. Solo se si vede lessenza della chiesa, non al di fuori n al di sopra, ma nella sua forma storica, si ha a che fare con la chiesa reale. b) Non si devono identificare essenza e forma. Essenza e forma non possono essere poste sullo stesso piano, devono anzi essere viste nella loro differenza. Anche se la distinzione che intercorre tra essenza e forma una distinzione di ragione, essa tuttavia necessaria. Come potremmo altrimenti determinare ci che permane nel divenire delle forme? Come potremmo, altrimenti, esprimere un giudizio sulla concreta forma storica? Come avere altrimenti un criterio, una norma per determinare ci che legittimo in una manifestazione storico-empirica della chiesa? Non esiste una forma della chiesa neppure quella offerta dal NT in grado di abbracciare lessenza della chiesa cos da averla come possesso definitivo. E neppure esiste una forma della chiesa nemmeno quella del NT che rispecchi perfettamente ed esaustivamente lessenza della chiesa. Solo se, nel mutare delle forme, percepiamo come distinta lessenza immutabile, ma sempre presente della chiesa, noi riusciamo a cogliere la chiesa reale. 1.4.2. Essenza e non-essenza La distinzione fra essenza e forma, per, non basta a descrivere completamente la realt della chiesa. Infatti, in tutti gli elementi negativi a cui si appiglia la critica alla chiesa e che lammirazione s uperficiale non prende o prende non sufficientemente in considerazione, non si esprime solamente una forma storica della chiesa; neppure vi si esprime lessenza buona stabile e insieme mutevole della chiesa. Piuttosto qui si introduce il male nella chiesa, la non-essenza (Hans Kng parla di Unwesen nel senso di essenza pervertita). La non-essenza della chiesa in contraddizione con lessenza, bench le viva addosso: essa non lessenza genuina, legittima, unessenza pervertita, illegittima. Essa non dovuta alla volont di Dio, ma alla debolezza degli uomini che compongono la chiesa. Come unombra la non-essenza accompagna lessenza della chiesa in tutte le sue forme storiche. Lessenza reale della chiesa si realizza nella non-essenza. Non solamente il suo carattere storico in generale, ma precisamente il fatto che la chiesa sia intaccata storicamente dal male deve essere per ogni ecclesiologia un dato fondamentale di cui tenere conto a priori e sempre senza alcuna falsa apologetica. per questo che lecclesiologia non potr mai semplicemente prendere o addirittura giustificare, come norma, lattuale status quo della chiesa. Essa contribuir piuttosto con tutte le sue forze a partire dal Vangelo a quella purificazione critica che premessa per il rinnovamento continuamente necessario (LG 8; UR 6). La chiesa quale realmente: lessenza con la sua forma storica e contemporaneamente lessenza con la non-essenza.

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1.4.3. La chiesa oggetto della fede Ci che distingue dagli altri gli uomini che costituiscono la chiesa, e la costituiscono realmente, che essi credono. Essi intendono essere una comunit di credenti (communio fidelium). Ci che credono e sperano per se stessi, intendono crederlo e sperarlo per gli altri. Ma essi sono convinti che li si conosce male, se si dimentica che essi sono una comunit di credenti. Essi pensano che si conosce male questa chiesa ogniqualvolta non la si capisce in quel che essa ha di pi specifico. In quanto chiesa della fede, essa fa appello alla fede della chiesa. Non dunque un caso storico, ma esattamente il fondamento dellintelligenza di ci che la chiesa , che essa sia stata inserita nella confessione di fede. Solo con la fede la comprendiamo per quello che pretende di essere, ossia non come loggetto termine della fede (credo in Deum), ma come il luogo in cui lo Spirito santo opera. Cos per il cristiano la chiesa anzitutto oggetto di fede. Quello che importante non ammirare o criticare la chiesa ma crederla; credere che la chiesa, comunit di credenti, crede essa stessa (fede della chiesa, genitivo soggettivo: Ecclesia credens) e che luomo crede non nella chiesa, ma la chiesa (fede della chiesa, genitivo oggettivo: credens Ecclesiam). 1) Che noi non crediamo nella chiesa significa: (a) che la chiesa non Dio. Certamente il credente convinto che nella chiesa e nel suo operato agisce Dio. Ma lazione di Dio e quella della chiesa non sono identiche, n si implicano semplicemente luna laltra. Bisogna invece distinguerle. Ogni divinizzazione della chiesa resta cos esclusa; (b) che noi siamo la chiesa: in quanto comunit di credenti la chiesa non qualcosa di diverso da noi. Se noi siamo la chiesa, la chiesa una chiesa pellegrina e segnata dal peccato. Di conseguenza ogni idealizzazione della chiesa esclusa. 2) Che noi crediamo la chiesa significa: (a) che la chiesa si fa in virt della grazia di Dio attraverso la fede: una comunit che non crede, non chiesa. La chiesa non esiste in s ma negli uomini concreti che credono. La chiesa non procede semplicemente dalla disposizione di Dio, ma anche dalla decisione degli uomini destinati a costituire la chiesa, dalla loro decisione radicale per Dio e il suo regno. Questa decisione la fede. (b) che la fede si realizza per grazia di Dio attraverso la chiesa: Dio che chiama lindivid uo alla fede. Ma senza la comunit che crede, neanche lindividuo arriva pi alla fede; anche la fede non esiste in s, ma negli uomini concreti che credono. Ma non lhanno neppure direttamente da Dio. Essi lhanno attraverso la comunit che loro annuncia, nella fede, il messaggio e che richiede la loro fede personale. Questo non vuol dire che il cristiano crede sempre a causa della chiesa. Pu anche accadere che luomo creda piuttosto malgrado essa, come gli appare nella sua forma storica. Anzi 31

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pu essere che la chiesa sia accettata semplicemente per la fede in Dio ed in colui che Dio ha inviato. Eppure la chiesa, in quanto comunit di credenti, non solo oggetto di fede, ma insieme luogo e patria della fede. La fede della comunit suscita e stimola la fede del singolo ed in seguito non cessa di abbracciarla e sostenerla. La fede dellindividuo partecipa cos della fede della comunit e della verit comune. Insomma n la fede si pu dedurre semplicemente dalla chiesa n la chiesa semplicemente dalla fede. La chiesa non esiste come dato oggettivo, indipendentemente dalla decisione di fede del singolo, n i credenti si uniscono alla chiesa da soli. Fede e chiesa rimandano luna allaltra e si fecondano luna laltra in servizio reciproco; ma in ultima analisi si radicano non in se stesse, n luna nellaltra, ma insieme nel misericordioso atto salvifico di Dio. 1.4.4. Invisibile nel visibile Il credo Ecclesiam si riferisce alla chiesa reale. Precisamente la chiesa oggetto della fede non una chiesa di spiriti, una chiesa spirituale, ma la chiesa degli uomini, accessibile ai sensi. La vecchia diatriba fra chi sostiene una Ecclesia invisibilis e chi sostiene una Ecclesia visibilis oggi superata. 1) I riformatori si opponevano ad una chiesa medievale in cui si rivelava un Imperium politicospirituale, accentuando laspetto invisibile e nascosto della chiesa. Ma con ci essi vollero rinnovare la chiesa visibile e non fondare una chiesa invisibile. Una chiesa puramente invisibile non mai esistita n allepoca della fondazione della chiesa n allepoca della Riforma. Come potrebbe mai essere invisibile questa chiesa reale fatta di uomini reali? Il fedele cristiano, senza illusioni, sar conscio con realismo che la chiesa che egli crede, esiste effettivamente, cio, dato che questa chiesa fatta di uomini, visibilmente. Certo, spesso pu essere scandaloso, per il fedele cristiano, che questa chiesa della fede, sul piano storico, psicologico e sociologico, non solo sia inequivocabilmente delimitabile, ma anche confrontabile ed esaminabile; e che perci proprio questa chiesa della fede, che vuole essere formalmente differente, possa essere messa sullo stesso piano di raggruppamenti, di societ, di organizzazioni secolari pi o meno rispettabili. Ma precisamente nella fede che il cristiano inquadrer, o meglio accetter, questa situazione, sapendo che la chiesa che egli crede non solamente visibile, ma deve essere tale, poich fatta dagli uomini e per gli uomini. Essa dunque visibile non contro la sua essenza, ma in conformit alla sua essenza. 2) Da quello che finora si detto risulta che la teologia cattolica della controriforma e del medioevo aveva fondamentalmente ragione quando, contro tutte le tendenze spiritualistiche, ha sostenuto la forma visibile della chiesa e, contro ogni fanatismo, ha difeso lordine della chiesa. Ma non si potuto n si voluto fondare una chiesa puramente visibile. Nella misura in cui la chiesa riconoscibi32

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le fide solum54 essa nascosta, invisibile. La chiesa reale quella che si crede nel visibile e perci una chiesa invisibile nel visibile. La sua visibilit perci di tipo tutto particolare: ha un aspetto intimo e invisibile che le essenziale. La parte visibile della chiesa vive dellinvisibile, coniata, marcata, dominata dallinvisibile. La chiesa dunque essenzialmente di pi di quello che sul piano visibile: non solo un popolo, ma un popolo eletto; non un corpo qualsiasi, ma un corpo mistico; non un edificio qualsiasi, ma un edificio spirituale. Essa non pu evitare dessere percepita costantemente nel mondo unicamente per quello che visibilmente: un fenomeno sociologico come molti altri, unorganizzazione religiosa, da favorire, da combattere o da ignorare Nel migliore dei casi essa pu protestare e professare che essa pi di quello che visibilmente. E soprattutto essa pu cercare di vivere talmente di fede da diventare per gli uomini un problema senza posa inquietante: se non vi sia cio in essa qualcosa di pi di quello che visibile. Guai invece alla chiesa che si perde nel visibile e che si mette al livello delle altre organizzazioni ritenendosi un gruppo di pre ssione fra i molti55. Una chiesa siffatta si condanna da sola. Nella visibilit le manca lessenziale che la rende segretamente ci che essa dovrebbe essere: lo Spirito che invisibilmente penetra il visibile e la rende spiritualmente viva, feconda e degna di fede. Oggi nessun cattolico che crede la chiesa reale, oser dire come il Bellarmino che la chiesa visibile come la repubblica di Venezia. Egli si atterr al Catechismo Tridentino, secondo cui quello che c di essenziale nella chiesa nascosto e riconoscibile solo con gli occhi della fede56. Non ci sono due chiese, una visibile e una invisibile. E non si pu nemmeno dire, nello spirito del dualismo platonico e dello spiritualismo, che la chiesa visibile (in quanto materiale e terrena) limmagine della chiesa autentica, invisibile (spirituale e

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Catech. Trid., I, 10, 21: Che cosa dobbiamo credere nella Chiesa. Non gli uomini furono autori di questa chiesa, ma Dio stesso immortale che lha edificata sopra una pietra solidissima, come attesta il profeta: Laltissimo stesso lha fo ndata (Sal 86,5); perci chiamata eredit di Dio e popolo di Dio. Anche il potere che ha ricevuto non umano, ma dovuto a un dono divino. Quindi, come non lo si pu conquistare con le forze naturali, cos pure solo con la fede noi comprendiamo che nella chiesa ci sono le chiavi del regno dei cieli, che ad essa stato trasmesso il potere di rimettere i peccati, di pronunciare scomuniche e di consacrare il vero corpo di Cristo, e che i cittadini viventi in essa non hanno quaggi una dimora permanente, ma cercano quella futura. 55 Quello che c di terribile nellintegrismo che, nello scontro di due mentalit che evident emente deve decidersi nel cristiano stesso con il massimo di coscienza lintegrismo oppone chiesa visibile a non-chiesa visibile e su questo fronte rivendica per la chiesa (perch la battaglia si decider sul piano del mondo) proprio i mezzi della non-chiesa: H.U. 3 VON BALTHASAR, Esperienza della chiesa in questo tempo, in Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1985 , 14. 56 Catech. Trid., I, 10, 20: Perch il credere nella Chiesa di Cristo appartenga agli articoli di fede . In ultimo si dovr spiegare perch entri negli articoli di fede il credere nella Chiesa. vero infatti che ognuno con la ragione e con i sensi rileva che sulla terra c la Chiesa, ossia una societ di uomini dedicati e consacrati a Cristo Signore; e a comprendere questo non c bisogno della fede, tant vero che non ne dubitano neppure i Giudei e i Turchi. Tuttavia soltanto la me nte illuminata dalla fede, e non gi convinta da ragioni, pu intendere quei misteri che sono contenuti nella santa Chiesa di Dio Poich questo articolo, non meno di tutti gli altri, supera la facolt e le forze della nostra intelligenza, a buon diritto professiamo che lorigine, i benefici e la dignit della Chiesa non li conosciamo con la ragione umana, ma li sco rgiamo con gli occhi della fede.

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celeste). Come pure non che linvisibile sia lessenza e il visibile la forma storica dell a chiesa. Ma lunica chiesa nella sua essenza e nella sua forma sempre contemporaneamente visibile ed invisibile (cfr. LG 8). La chiesa oggetto della fede dunque ununica chiesa: la chiesa invisibile nascosta nel visibile. Questa chiesa crede ed creduta. Ma in chi crede questa comunit? da chi viene? 1.4.5. Lorigine della chiesa data come criterio della sua verit Lecclesiologia essenzialmente storica, in quanto essa, come la chiesa stessa, fatta dagli uomini e per gli uomini che vivono nel tempo e nel mondo, nellirrepetibile nunc del loro mondo in continua trasformazione. Lessenza della chiesa esiste soltanto nella storia della chiesa. La chiesa reale non ha soltanto una storia, ma essa stessa esiste vivendo la sua storia. Non esiste quindi una dottrina della chiesa intesa come sistema immutabile, bens soltanto una dottrina in rapporto con la storia della chiesa, del dogma, della teologia, cio essenzialmente determinata dalla storia. Il condizionamento storico sempre nuovo di ogni ecclesiologia, che non preclude il riconoscimento di determinati tipi e stili ecclesiastici, perci un dato fondamentale che non ammette eccezioni. Non solo nel senso che ogni teologo vede la chiesa in una prospettiva diversa e da un punto di vista personale. Ma soprattutto ad un livello di rapporto pluralistico dove lecclesiologia, in quanto si realizza nel mondo, cui pure la chiesa appartiene, ha a che fare con un contesto storico concreto sempre nuovo, con un linguaggio che muta in continuit, con un rapporto chiesa-mondo sempre nuovo. La situazione storica in continuo mutamento, da cui lecclesiologia viene plasmata e in cui a sua volta si inserir, stimola una sempre nuova, precisa configurazione e determinazione nella libert. La dottrina sulla chiesa assieme alla chiesa stessa necessariamente soggetta al continuo cambiamento e deve perci essere sempre ripensata daccapo. Come la chiesa, cos anche lecclesiologia, non pu essere vincolata ad alcuna situazione particolare passata, presente o futura. Essa non pu identificarsi completamente con i programmi e i miti le categorie di un mondo e di un tempo particolari. Peraltro lecclesiologia, proprio in quanto storica, pu e deve lasciarsi determinare da quella che la sua origine: dalla chiesa. Questa origine non semplicemente una situazione storica e meno ancora un principio trascendentale ideato dalla filosofia e che si esplica nella storia della chiesa. invece unorigine data, posta, costituita in modo assolutamente concreto: secondo la fede della chiesa, attraverso il grande intervento storico di Dio stesso in Ges Cristo mediante lo Spirito Santo tra gli uomini, a favore degli uomini e quindi anche mediante gli uomini. Lorigine della chiesa, fondata sullatto salvifico di Dio in Ges Cristo, non determina soltanto il suo primo momento o la sua prima fase, bens lintera storia della chiesa in ogni suo momento, determina la chiesa nella sua essenza. Cos la chiesa reale non pu mai lasciarsi indietro la sua origine, anzi non pu mai separarsi 34

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da essa. Dalla sua origine in poi si trova, in ogni forma storica, in ogni cambiamento, in ogni situazione concreta, una continuit nella verit, nella solidit. Alla chiesa la sua essenza non solo stata data, ma le stata anche affidata. La fedelt allessenza originaria (UR 6) nellevolversi storico del mondo in funzione del quale la chiesa esiste, non possibile per nella forma antiquaria dellimmobilismo, ma soltanto nel dinamismo dellaggiornamento (Giovanni XXIII). La stabilit della chiesa dipende dallunione che essa ha con la sua origine: Ges Cristo e il suo messaggio; dalladerenza pi o meno totale al fondamento della sua esistenza: latto salvifico di Dio in Cristo, valido una volta per tutte, presente in virt dello Spirito Santo, il quale ha il compito di ricordare lopera e la parola di Ges Cristo, introducendoci cos nella verit intera (Gv 14,26; 15,26; 16,13s). Una riflessione retrospettiva sullorigine quindi continuamente necessaria. Concretamente essa si attua riflettendo sopra la primitiva testimonianza di fede, cui la chiesa di ogni tempo costantemente legata. In quanto originaria, questa testimonianza unica nel suo genere, non superabile. E dato che essa unica nel suo genere, irripetibile, essa obbliga vitalmente, normativa per la chiesa di tutti i tempi. Noi troviamo la testimonianza e il messaggio originari negli scritti dellAntico e del Nuovo Testamento. Cio quegli scritti che la stessa comunit ecclesiale, in un complesso e secolare processo di discernimento, ha riconosciuto quale testimonianza originaria, autentica dellazione che Dio ha compiuto in Ges Cristo per gli uomini. (a) nellobbedienza che la chiesa ha riconosciuto la parola che la riguardava nella raccolta degli scritti del NT, nel loro legame con lAT e nellesclusione di speculazioni e di aggiunte fantastiche. Questo stato il metro, la pietra di paragone, la linea di demarcazione del canone neotestamentario. Proprio nella parola umana di questi scritti, la chiesa credente ha percepito la parola di Dio, quale stata definitivamente proclamata a compimento dellantica alleanza in Ges Cristo. Il fatto che nella parola umana di questi scritti sia originariamente attestata la rivelazione divina, dunque il motivo finale per cui la loro testimonianza incomparabile, insuperabile, vincolante in maniera unica e vitale. Ogni altra testimonianza della tradizione ecclesiastica non pu in fondo che gravitare intorno a questa originaria testimonianza sulla parola di Dio: nientaltro che interpretare, commentare, spiegare e applicare questo documento originario, a seconda della situazione storica, sempre diversa. Proprio per via della situazione sempre nuova della predicazione ecclesiale, delle questioni e delle esigenze della vita concreta in continuo mutamento, questo documento primitivo viene scandagliato a profondit sempre nuove. Ma la Scrittura rimane la norma normans di una tradizione ecclesiale che, proprio perch norma normata, deve essere presa sul serio.

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Tuttavia nemmeno i testi neotestamentari sono semplicemente piovuti dal cielo, n sono documenti divini fuori del tempo; n scritti di estatici, la cui personalit e individualit annullata dal divino invasamento; essi testimoniano la parola di Dio in una parola autenticamente umana. Perci queste testimonianze sono profondamente storiche. Nel caso dellecclesiologia ci significa che la storia della chiesa, come pure la storia della nozione di chiesa, non cominciata solo dopo il NT, bens nel NT, che a sua volta presuppone lAT. Gli scritti del NT perci non ci pongono solo premesse e basi per la storia della chiesa e dellidea di chiesa, ma gi le prime e decisive fasi della storia della chiesa e della sua autocoscienza. Non solo dopo il NT, ma gi nel NT ci sono differenti concezioni di chiesa. E si pu dire che le diverse accentuazioni, prospettive e tensioni che notiamo nellecclesiologia dei secoli seguenti, sovente riflettono accentuazioni, prospettive e tensioni presenti nello stesso NT. Dietro tutto questo non si cela solo lindole particolare dei vari autori e delle tradizioni da questi accolte, ma anche i diversi orientamenti teologici degli autori e delle comunit retrostanti e inoltre le diverse situazioni pastorali nel contesto delle quali questi scritti si inseriscono. (b) Allinterno del NT ci sono testimonianze molto varie. Solo se si prende sul serio lintero NT con tutti i suoi scritti quale positiva testimonianza del vangelo di Ges Cristo, si sfugge a una dissociazione delle contrastanti affermazioni ecclesiologiche del NT, che porta a una semplificazione del messaggio neotestamentario, alla selezione e alleresia, e che un attentato allunitariet della Scrittura e allunit della chiesa. Ma vale anche il contrario: solo se si prende sul serio lintero NT con tutti i suoi scritti differenziati e con le rispettive caratteristiche, si evita quellarmonizzazione delle opposte affermazioni ecclesiologiche del NT che porta un livellamento del suo messaggio, che un attentato alla variet della Scrittura e della chiesa. (c) Daltra parte che la chiesa del NT sia lorigine normativa della chiesa non significa un ripristino antistorico, n una riproduzione della comunit neotestamentaria. La chiesa del NT non un modello che si possa copiare con servilismo, senza tener conto del cambiamento dei tempi e delle situazioni sempre nuove. Neppure le parole di Ges si devono pronunciare o riprodurre materialmente. La lettera uccide, lo spirito che vivifica E lo Spirito ricorda Ges introducendo profeticamente nel futuro (Gv 16,13). Il suo compito sta nel riattualizzare la novit di Ges proprio nel suo carattere di novit e nel renderla quindi spiritualmente affascinante. Egli attualizza il messaggio e lopera di Ges Cristo in modo da rispondere ai diversi segni dei tempi (GS 3, 10 passim). Di conseguenza, se la chiesa intende rimanere fedele alla propria natura, non pu semplicemente conservare inalterato il proprio passato, ma deve cambiare proprio perch realt storica. Ci non significa che il NT autorizzi ogni sviluppo a piacimento; ci sono evoluzioni storiche sbagliate e involuzioni. Infatti il

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messaggio del NT, quale testimonianza originaria, listanza critica cui rifarsi col mutare del tempo. Esso la norma critica cui la chiesa di ogni tempo deve riferirsi. Senza dimenticare per che listanza cui affidata la comprensione della Scrittura la chiesa: la Scrittura il libro della chiesa. E linterpretazione vissuta del vangelo di Cristo, in cui consiste la storia della chiesa non pu essere trascurata nel tentativo di capire il significato del Vangelo (il senso della tradizione). Infine, occorre ricordare che lunico e medesimo Spirito che opera nei diversi suoi doni; per cui i diversi doni ed effetti dello Spirito dovranno integrarsi, interpretarsi e correggersi a vicenda. Criterio indispensabile per il discernimento degli spiriti allora quello che mostra come lunit dello Spirito risulti garant ita e la comunione ecclesiale non compromessa, bens edificata. Il criterio della tradizione vera star allora nellunanimit e nella sintonia con la fede della chiesa intera, di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Proprio in vista di tale consenso, il Magistero svolger il proprio servizio (DV 8)57. 1.4.6. Una ecclesiologia cattolica a) In quanto teologia ecclesiale ogni spiegazione della Sacra Scrittura, allora, si trova sempre gi allinterno di un processo storico di interpretazione, la Tradizione quale autotradizione di Dio attraverso Ges Cristo nello Spirito Santo per una presenza continua nella chiesa (W. Kasper). Solo la reale partecipazione alla storia degli effetti della fede biblica allinterno della tradizione della fede ci dischiude il significato di questa fede perennemente salvifico e liberante allora come oggi. In questo senso la teologia dogmatica si comprende quale trasmissione della fede come realt presente ad ogni tempo (Drey). b) Allinterno di questo evento della tradizione, lecclesiologia cattolica attribuisce unimportanza particolare proprio alle spiegazioni storiche della fede biblica che sono normative e rappresentano la chiesa universale: le professioni di fede ecclesiali, gli interventi magisteriali dei concili universali, dei papi e del collegio episcopale, ma anche di singoli vescovi Accanto a queste testimonianze esplicite della tradizione ecclesiale della fede, sono importanti anche le forme di vita ecclesiale acquisite e riconosciute a livello regionale e universale nella liturgia, nellannuncio e nel servizio. Inoltre, rilevanti sono poi le testimonianze dei santi, della spiritualit, dellarte c) Infine occorre prestare ascolto anche alle voci critiche e profetiche che in ogni fase della storia richiamano la chiesa dalle sue deviazioni per ricondurla al centro della sua vocazione. Il modo in cui gli altri ci vedono non affatto indifferente per la comprensione teologica della chiesa.
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K. LEHMANN, Norma normans non normata? La Bibbia nel contesto fondante di teologia e magistero, in Il Regno. Attualit 53 (2008/16) 563-572.

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Ecclesiologia 2012/2013. Parte I: lorigine della Chiesa

I. LORIGINE DELLA CHIESA NELLA TESTIMONIANZA DELLA SCRITTURA 1.0 Introduzione: il Ges storico, una memoria pericolosa per la chiesa Quando noi ci interroghiamo sullorigine normativa della chiesa, che fondamentale per la verit della chiesa nella sua autocomprensione e nel suo attuarsi, non basta presentare semplicemente il processo postpasquale attraverso il quale sorta la chiesa oppure le differenti concezioni ecclesiologiche presenti negli scritti neotestamentari, per poi accertare lesistenza di taluni punti che coincidono con la nostra chiesa e teologia attuali1. Decisiva per la normativit della chiesa primitiva e della sua teologia della chiesa la dimostrazione del suo legame costitutivo con il Ges Cristo storico che, proprio nella sua realt storica, il Salvatore assoluto (escatologico); fin dalla sua origine, infatti, la chiesa rivendica di essere corpo, popolo e sacramento di Cristo e di essere a servizio esclusivamente del suo rendersi presente. Ma di che genere questo legame? Laccertamento del legame costitutivo della chiesa al Ges storico non pu limitarsi unicamente alla verifica di carattere apologetico di una fondazione di tale entit sociale e storica da parte di un fondatore (Ges Cristo). Infatti il richiamo al Ges storico per la chiesa non rappresenta una ricerca di scuola che possa essere condotta con distanza tipica dello studio storico, ma solleva numerosi interrogativi provocatori rivolti alla chiesa: essa vive effettivamente nella sequela, documentabile anche storicamente, di questo Ges al quale costantemente si richiama? In effetti, la figura di Ges rappresenta anzitutto una memoria pericolosa (J. B. Metz) per la chiesa e questo per diversi motivi: a) La chiesa totalmente in relazione con il regno di Dio venuto e ancora da venire ed essa a servizio del suo prendere forma nella storia come anticipazione della realt definitiva. Ci implica un monito nei confronti della tentazione delle istituzioni ecclesiali di assolutizzarsi divenendo fine a se stesse e di porre la propria stabilit come fine ultimo dellagire salvifico di Dio nella storia. b) Con la sua critica nei confronti di alcuni aspetti disumani delle tradizioni religiose del suo popolo (ad es. la comprensione del sabato: Mc 2,27s) Ges ha stabilito un parametro sulla base del quale anche la chiesa deve lasciarsi misurare. Il criterio ultimamente decisivo per il suo annuncio e

Abbiamo raccolto queste riflessioni introduttive da M. KEHL, La chiesa, op. cit., 257-258. Sul tema si veda anche lequilibrata posizione della COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti di Ecclesiologia (7 ottobre 1985): cap. I. La fondazione della Chiesa ad opera di Ges Cristo, in EV IX, nn. 1683-1680.

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il suo ordinamento perci esclusivamente la salvezza degli uomini (cfr. CIC can. 1752). La chiesa deve mettersi al servizio di questa salvezza come segno anticipatore e strumento che la comunica. c) Ges ha dato chiare istruzioni per la vita comune dei suoi discepoli (ad esempio, Mt 23,8-11; Lc 22,24-27) che con il loro gruppo devono rappresentare una sorta di modello del vero Israele. Le strutture giuridiche e di governo istituzionalizzate devono quindi differenziarsi profondamente da tutte le altre strutture di dominio: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi per non cos; ma chi vuol essere grande tra voi si far vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sar il servo di tutti (Mc 10,42-44). La verit e la credibilit della chiesa dipendono dalla sua disponibilit a esporsi sempre di nuovo al pericolo di questa memoria del Ges storico, dalla sua disponibilit a convertirsi costantemente dalla tendenza a garantirsi semplicemente la propria sopravvivenza individuale e istituzionale e a mettersi a tutti i livelli in cammino sulla via di Ges verso la comunione compiuta del regno di Dio. Solo a questa condizione essa pu richiamarsi a Ges come al suo fondatore senza suscitare limpressione di operare una falsificazione ideologica della storia. 1.0.1 Premesse ermeneutiche a) La questione della fondazione della chiesa a) Nella dottrina ecclesiale preconciliare condizionata dallorientamento controriformistico (controversia e apologetica) e nella dogmatica neoscolastica la legittimit biblica della chiesa era riassunta, richiamandosi a determinati passi biblici, in una chiara asserzione storico-dogmatica: Ges ha istituito o fondato lunica chiesa2. Tale affermazione si trova nella forma pi chiara nel giuramento antimodernista del 1910 di Pio X (sostituito solo nel 1967): Credo fermamente che la chiesa custode e maestra della parola rivelata stata istituita immediatamente e direttamente dallo stesso Cristo vero e storico, mentre era tra di noi, e che essa stata edificata su Pietro, principe della gerarchia apostolica, e sui suoi successori per sempre (DzH 3540). Affermare listituzione o la fondazione della chiesa da parte di Ges significa qui che il Signore terreno e risorto ha posto in modo consapevole ed esplicito determinati atti giuridici formali attraverso i quali egli ha fondato la chiesa come una istituzione visibile e costituita giuridicamente dalla sua volont nei suoi aspetti essenziali. Ci implica che tutte le istituzioni ecclesiali essenziali risalgono
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S. WIEDENHOFER, La Chiesa. Lineamenti fondamentali di ecclesiologia (Cinisello Balsamo: San Paolo, 1994) 47-56.

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Ecclesiologia 2012/2013. Parte I: lorigine della Chiesa

a Ges stesso (cfr. Mt 16,18s; Mt 18,18; Gv 20,23; Lc 22,17-20 par.; Mt 28,18-20 e altri): il primato papale fondato nellistituzione della chiesa su Pietro, il collegio episcopale nella chiamata del co llegio apostolico, la gerarchia ecclesiastica e la sua triplice potest nel conferimento della triplice potest di Cristo (ufficio magisteriale, pastorale e sacerdotale) agli apostoli e inoltre i sacramenti (in particolare leucaristia) e linsegnamento della fede. In questa prospettiva la chiesa era compresa come organo di salvezza visibile, permanente e ordinato gerarchicamente, che pu trasmettere la salvezza agli uomini poich stata dotata da Cristo di tutte le istituzioni necessarie e da lui ha ricevuto anche i poteri necessari. In forza di questo essa stessa una societ perfetta, cio possiede tutti i mezzi necessari per la salvezza ed perci distinta e indipendente rispetto a tutte le altre istituzioni. Tutte queste affermazioni relative alla fondazione della chiesa provengono da un contesto apologetico-polemico. Esse servono alla legittimazione e alla distinzione rispetto a determinati avversari. Lasserzione sullistituzione dei sette sacramenti, ad esempio, rivolta contro i riformatori (DzH 1601); il discorso sullistituzione del primato papale e sulla costituzione della chiesa contro le altre confessioni e contro la modernit (DzH 3055; cfr. 3050, 2997s); laffermazione relativa alla fondazione della chiesa si rivolge contro il modernismo (DzH 3452-3457; 3540). b) Nellesegesi recente questa concezione diventata problematica per diverse ragioni. Dal punto di vista storico bisogna partire dal presupposto che i vangeli sono sorti nella situazione ecclesiale postpasquale. Ci significa che essi trasmettono le parole di Ges in modo gi attualizzato in riferimento a questa situazione ecclesiale. Anche i due passi nei quali nei sinottici ricorre la parola chiesa (ekklesa, Mt 16,18s e Mt 18,17) sembra abbiano origine con ogni probabilit dalla situazione post-pasquale. Di fatto per le situazioni prima e dopo la Pasqua sono assai diverse: i vangeli annunciano le parole e le azioni di Ges in modo nuovo e sulla base di una nuova esperienza, quella della morte e risurrezione di Ges e della comunit che a partire da essa si raccoglie e attende il ritorno del Signore. In Ges, invece, al centro sta qualcosaltro: anzitutto la sua predicazione escat ologica nella quale egli annuncia lirrompere imminente del regno di Dio e, in secondo luogo, le sue azioni con carattere di segno nelle quali egli, in concrete situazioni di sventura, conferisce una forma percepibile nel nostro mondo allamore incondizionato e senza limiti di Dio e alla sua miser icordia. Oltre a ci, Ges si rivolge allintero Israele (senza escludere alcun gruppo). Il suo scopo la raccolta, il rinnovamento e la preparazione dellintero popolo in vista del regno di Dio che viene. In questa prospettiva Ges non voleva n fondare una nuova comunit religiosa, n costituire un resto o una comunit particolare allinterno di Israele. Che da tale movimento di raccolta di fatto derivi una separazione non dipende perci dalla volont di Ges ma dal rifiuto dei destinatari. In tale quadro una fondazione della chiesa secondo la comprensione tradizionale perci difficile da collocare. 40

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b) Orientamenti esplicativi a) Entrambe le risposte, quella apologetico-dogmatica e quella esegetica, tradiscono lacune e problemi e necessitano quindi di una valutazione ermeneutica. La risposta apologetico-dogmatica ingenua dal punto di vista storico, poich essa riconosce la chiesa attuale senza alcun problema nelle allusioni bibliche, e arrischiata dal punto di vista pratico perch in questo modo finisce per legittimare tutti gli sviluppi successivi oppure, con la sua concentrazione sullessenza della chiesa, li sottrae alla critica. La corrente posizione storico-critica ingenua dal punto di vista sistematico perch non tiene conto in maniera sufficiente dei suoi presupposti (la sua comprensione della storia, della societ, della lingua, della comunicazione, della tradizione, della sua antropologia e ontologia) e della complessit dei suoi concetti generali o caratterizzazioni (chiesa, fondazione); e questo si riflette dal punto di vista pratico nella sua lettura dei fenomeni storici e sociali. Da entrambe le parti si devono perci precisare le scelte ermeneutiche. b) Dal punto di vista dogmatico devono essere poste in relazione in maniera adeguata linsuperabile ecclesialit della fede (che cos la chiesa si pu sapere solo nella partecipazione allautocomprensione della chiesa stessa, non al di fuori di essa) e la canonicit della sacra Scrittura (ci che fede ecclesiale deve essere conforme alla testimonianza apostolica della Scrittura). Dal punto di vista teologico-dogmatico si pu presupporre che una chiesa che trasmette la sacra Scrittura come propria legge fondamentale, in linea di principio sia in continuit con la sua origine biblica (senza chiesa non c Bibbia). Poich tuttavia la chiesa non trasmette un proprio prodotto ma un bene che le stato affidato, che, come norma della sua fede, la precede, essa pu e deve anche essere interrogata criticamente sulla base di questa testimonianza biblica (la Bibbia come norma per la chiesa). c) Dal punto di vista esegetico devono essere collegate in maniera adeguata la fondatezza storica della fede (come andata effettivamente) e la pluralit dei presupposti della conoscenza storica (la conoscenza storica sempre legata a determinate supposizioni, attese, timori e pregiudizi e a servizio di determinati interessi, bisogni di legittimazione e strategie di azione). Laccesso storico-critico consente, attraverso il suo strumentario metodologico, di formulare ipotesi fondate su come si sono svolti effettivamente i fatti. Laffidabilit dellipotesi storica, per, cresce nella misura in cui lapproccio storico anche oggetto di riflessione sistematica (in relazione ai suoi presupposti logico-ontologici, e alla sua utilizzazione dei concetti) e pratica (in relazione alla situazione della comunicazione e degli interessi).

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La comprensione apologetico-dogmatica dellistituzione della chiesa sorta in un contesto storico ben determinato ed legata a problematiche e interessi precisi: tale visione della chiesa infatti si fonda nello sviluppo medioevale dellecclesiologia. Essa trova la sua elaborazione vera e propria nel periodo post-riformistico, in particolare nella distinzione e nella difesa nei confronti della Riforma. Solo verso la met del XIX secolo per questa comprensione della chiesa diviene una dottrina teologica ed ecclesiale fissata. Fino alla met del secolo XX essa ha determinato e dominato la visione teologico-dogmatica della chiesa. Una tale visione dellistituzione della chiesa ha senso dunque solo in un quadro polemico-apologetico, legato alle controversie circa la legittimit. Questa comprensione della fondazione della chiesa ha avuto effettivamente una certa funzione quando era in gioco la legittimazione della chiesa contro pretese concorrenti, quelle del potere regale medioevale prima e poi quelle delle altre confessioni, le quali rispondevano a questa questione in maniera opposta, ma nel quadro della medesima logica. Una tale visione inoltre ha senso soltanto entro una determinata forma di pensiero e di determinati presupposti, cio nel quadro della dottrina aristotelica delle quattro cause e dellutilizzo della Scrittura come testo di diritto. Di fatto, tutti i testi magisteriali sulla fondazione della chiesa anteriori al Vaticano II provengono da tali situazioni di legittimazione. Al passaggio da unimpostazione apologetica a unimpostazione teologica collegato in maniera coerente nella teologia recente anche il passaggio linguistico dallidea di istituzione della chiesa ai concetti di origine della chiesa o inizio della chiesa. Sintomaticamente la Lumen gentium si esprime in questo modo: Il mistero della santa chiesa si manifesta nella sua fondazione (in eiusdem fundatione). Il Signore Ges, infatti, diede inizio alla sua chiesa (Ecclesiae suae initium fecit) predicando la buona novella, cio la venuta del regno di Dio da secoli promesso nelle Scritture... (LG 5). Anche la corrente interpretazione storico-critica della questione della fondazione della chiesa non per priva di presupposti. In conseguenza della critica illuministica della legittimit delle istituzioni tradizionali (Stato, chiesa, diritto), essa unisce un interesse pratico illuminato nei confronti delle attuali istituzioni a una spiegazione storica della loro origine. La sua comprensione dellistituzione della chiesa rigorosamente ha senso solo in un tale quadro di critica dellistituzione. In particolare, il metodo storico-critico rischia di sottovalutare il fatto che la storia il tentativo di conferire agli eventi passati il carattere del puramente passato ha originariamente la forma di un racconto, per cui i contenuti obiettivi hanno la loro verit primariamente non come contenuti proposizionali fissati, ma come parti integranti di un atto linguistico (nel senso pi ampio del termine) in cui essi solo difficilmente sono separabili dallattitudine propriamente personale del tradente nella sua intenzione di incontrare lorizzonte recettivo di coloro ai quali si rivolge.

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Inoltre il metodo storico-critico ha ricercato la verit dellorigine facendo astrazione dalla validit della tradizione, costituendosi chiaramente prima di tutto come antitesi alla tradizione. Ci si pu provare anche in relazione alla problematica della Leben-Jesu-Forschung. La prima fase di questa ricerca (da Reimarus fin quasi alla prima guerra mondiale) era segnata da una radicale ripulsa verso tutto ci che si poteva identificare come aggiunta della tradizione allautentico Ges storico. Sintomaticamente la tradizionale ricerca sul Ges storico ha inteso le testimonianze nel senso di informazioni. Essa cerca questo Ges per cos dire alle spalle dei testimoni neotestamentari e perde di vista con ci lo stesso atto della testimonianza nel quale, soltanto, lincondizionato pu essere storicamente portato come valore. Questo ancora il caso in cui si cercano gli ipsissima verba et facta Jesu sulla via della ricerca della storia delle forme. Sebbene anche quelle originarie briciole dalle quali si potrebbe ricostruire lo scheletro del Ges storico siano state riconosciute come configurate kerigmaticamente come parte di un annuncio, ci si nondimeno sforzati, astrazion fatta da questa configurazione operata dalle prime comunit, di impadronirsi del vero Ges storico3. d) Dal punto di vista teologico-sistematico si deve inoltre considerare un altro aspetto. Alla questione se Ges abbia fondato una chiesa non facile dare risposta n dal punto di vista storico, n da quello sistematico. Prima di poter dare una risposta si deve chiarire che cosa si intenda precisamente con la domanda. Entrambi i concetti principali che in essa si trovano (chiesa e fondazione) si prestano a diverse interpretazioni. Essi possono avere un contenuto e unampiezza differenti. Se si utilizza chiesa in un senso molto stretto (= comunit dei fedeli che, sotto la guida del papa e dei vescovi, condividono la stessa fede ecclesiale e ricevono gli stessi sacramenti), alla questione se Ges abbia fondato la chiesa difficile dare una risposta affermativa in modo indifferenziato. Se al contrario si intende chiesa in un senso pi ampio e aperto (= comunit suscitata da Cristo nello Spirito di coloro che accolgono le esigenze del Regno) una risposta positiva invece senzaltro po ssibile. Lo stesso vale per luso della parola fondazione. Vi sono infatti modelli culturali assai differenti per tali processi di fondazione, di istituzione. Il modello dipende dallimmagine delluomo e del mondo, dalla rappresentazione del tempo e da determinate condizioni di vita della societ. e) Dal punto di vista filosofico-sistematico la spiegazione apologetico-dogmatica e quella storicocritica del sorgere della chiesa sono vincolate a un importante presupposto comune: unaccentuata

Queste osservazioni pertinenti sono di H.-J. VERWEYEN in La Scuola Cattolica CXXV (1997) 517-538.

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riduzione ermeneutica del significato delle testimonianze storiche allintenzione dellautore, cio a ci che lautore stesso con le sue espressioni ha inteso o voluto. Nellapologetica tradizionale questa riduzione avveniva sotto linflusso della teoria aristotelica della significazione, dominante nel pensiero occidentale. Secondo tale teoria, le parole sono segni delle rappresentazioni (mentali) e queste sono simili alle cose. La relazione significante (cio la relazione tra parola e rappresentazione/significato/concetto oppure tra forma e contenuto della parola) convenzionale, cio fissata storicamente e socialmente. I significati delle parole dipendono dunque dal loro uso effettivo allinterno di una comunit linguistica. Una teologia che si basa su tali presupposti perci cercher subito e in modo quasi esclusivo il contenuto proposizionale delle frasi (ci che viene affermato come vero o falso) o il contenuto dei concetti e, a causa della mancanza di senso storico e della pressione derivante dal bisogno di legittimazione, ritrover anche sulla bocca di Ges Cristo, il fondatore della chiesa, il legame abituale tra la parola e la rappresentazione chiesa. Nel metodo storico-critico tale riduzione avviene sotto linflusso dellermeneutica romantica, la quale porta a compimento uno sviluppo gi iniziato nellepoca moderna. Per capirne la portata ne indichiamo le due fasi principali, che raccogliamo sotto i due nomi di Spinoza e di Schleiermacher. Con SPINOZA si introduce una nuova strategia interpretativa del testo sacro. Lesegesi patristica e medievale, infatti, era finalista: essa si basava sulla convinzione che la Scrittura era ispirata e quindi conteneva la dottrina cristiana. Di conseguenza quei testi oscuri o ostici, in cui apparentemente si rilevava uno scarto dalla dottrina gi posseduta, dovevano essere presi non in senso letterale ma in senso figurato (allegorico). I tempi moderni invece vedono la nascita di una nuova strategia interpretativa di tipo operazionale, dominato dalla filologia: nellinterpretazione della Bibbia la preoccupazione principale non tanto quella di trovare il senso vero (o spirituale, conforme alla dottrina), bens il vero senso, cio quello che risulta dallapplicazione rigorosa al testo di un metodo scientifico di interpretazione. Questa rivoluzione nellesegesi opera di Baruch Spinoza col suo Trattato teologico-politico (1670). Secondo Spinoza, occorre distinguere radicalmente un discorso che produce una conoscenza, dunque di tipo scientifico, che non pu derivare che dalla ragione, da un discorso che mira a suscitare unimpressione e a indurre un comportamento, che oggi chiameremmo di tipo ideologico. Il discorso biblico, che mira a muovere le anime, appartiene al secondo tipo e quindi non pretende di condurre ad alcuna conoscenza razionale. Cos la sua interpretazione non mirer a scoprire la sua verit, ma il suo senso. Linnovazione di Spinoza in apparenza minima: egli abolisce la separazione tra testi sacri (sensati e veri) e testi profani (sensati ma non necessariamente veri) e dichiara che non esiste alcun testo il cui senso sia necessariamente vero. Questo spostamento di frontiere, tuttavia, ha delle conseguenza capitali: non solo si tratta la Bibbia come qualsiasi altro 44

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testo, ma si prende anche coscienza delle tecniche utilizzate tradizionalmente nellinterpretazione dei testi non sacri, e li si erige a programma, assumendo le loro implicazioni ideologiche. La conseguenza uninversione dellesegesi patristica: mentre questultima non libera dal senso del testo, il quale dato in anticipo, ma relativamente libera nel metodo, lasciato alla volont dellinterprete, lesegesi spinozista non presuppone alcun senso, che invece da trovare liberamente, ma esercita la sua costrizione sul metodo il cui rigore non pu essere attenuato. Questa costrizione sar in particolare di ordine grammaticale: necessit di conoscere la lingua, strutturale: presupposizione della coerenza del testo, storico: necessit di situare il testo nel contesto storico del suo autore. Se Spinoza fa il passo decisivo, una vera e propria ermeneutica filosofica generale, al cui interno si inserisce come una regione quella della Bibbia, elaborata da Friedrich D.E. SCHLEIERMACHER, il quale persegue a pi riprese il progetto di una Ermeneutica generale. Con lui lermeneutica filosofica si interroga, per la prima volta, sulla comprensione del senso come tale e cerca di coglierne le regole globali fondate immediatamente sulla natura del pensiero e del linguaggio. Lidea feconda di Schleiermacher di articolare il linguaggio o pi precisamente il discorso al pensiero. Si abbandona definitivamente la concezione razionalista di una relazione univoca tra la parola (il segno) e il suo senso (la rappresentazione indipendente e comune a tutti gli uomini), a vantaggio di un insieme complesso in cui il senso non pi semplicemente fissato per convenzione linguistica, ma risulta anche dalla molteplicit degli usi individuali degli elementi linguistici. Schleiermacher si riferisce qui al circolo ermeneutico secondo cui la totalit del senso si comprende sempre a partire dai suoi elementi, mentre la comprensione di ciascun elemento suppone gi che si sia colta una totalit sensata. La lingua o il discorso implica dunque nel suo centro una sorta di oscurit, o lesistenza di una incomprensione spontanea che accede qui per la prima volta a uno statuto fondamentale. Essa necessita allora la comprensione, non pi come esperienza spontanea, ma come unarte metodica e generale. Inoltre, se il senso e il significato di un testo dipendono esclusivamente dallatto creativo della loro produzione da parte di un determinato autore, allora sar certo possibile comprendere uno scrittore meglio di quanto egli non abbia compreso se stesso, ma il comprendere inteso quale riproduzione dellatto creativo originario dellautore. Certamente rimane il difficile problema di come il lettore attuale possa divenire contemporaneo del lettore originale o dellautore, ma il senso di un testo, da rilevare con il metodo storico-filologico, in questa prospettiva deve rimanere legato necessariamente allintenzione originaria dellautore. In questa traiettoria lesegeta deve comprendere la questione dellinizio della chiesa come questione delle testimonianze esplicite circa lintenzione di Ges di fondare la chiesa, soprattutto quando egli lega tale questione a quella circa la legittimit della chiesa in quanto tale oppure circa la legittimit di un determinato ordinamento ecclesiale. 45

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La recente filosofia del linguaggio (soprattutto di orientamento pragmatico e analitico) ha per condotto a un importante ampliamento nella comprensione del linguaggio e del testo e, corrispondentemente, anche nellermeneutica della comprensione e interpretazione delle testimonianze linguist iche o testuali. Secondo tale visione, il significato del testo non dipende solo dalla sua struttura sintattica e semantica (ad es., quali possibilit grammaticali o quali concetti e metafore sono stati utilizzati). Il significato dipende anche dalla struttura pragmatica (quale funzione aveva questa asserzione in una determinata situazione comunicativa)4. Tale funzione pu essere molteplice (affermare qualcosa, mettere di fronte a una decisione, chiedere riconoscimento, testimoniare qualcosa, produrre una nuova relazione tra chi parla e chi ascolta) e pu essere assai complessa, nel caso che una funzione ne presupponga unaltra. Quando, ad es., Ges, con il suo annuncio del regno di Dio, pone i suoi ascoltatori in una situazione escatologica di decisione, questo atto linguistico dellappello i mplica anche laffermazione di essere realmente linviato escatologico di Dio (anche nel caso che Ges stesso non labbia esplicitamente affermato). Se da un punto di vista pragmatico ogni testo viene costituito dalla cooperazione tra chi parla e ascolta o autore e lettore, nessun testo concluso. In ogni caso, la reazione dellascoltatore inseparabilmente legata allazione di chi parla. Ci che lannuncio del regno di Dio da parte di Ges significa non pu essere perci determinato indipendentemente dalla reazione dei suoi ascoltatori (certo non indipendentemente dalla sua intenzione). La storia degli effetti appartiene immediatamente al significato dellannuncio di Ges. Daltra parte, ogni espressione linguistica possibile solo allinterno di un mondo linguistico gi esistente e regolato (sintatticamente, semanticamente e pragmaticamente) in cui chi parla entra, che assume e solo con laiuto del quale egli pu esprimersi. Se nellannuncio o nellagire di Ges fondata o inizia una chiesa, dipende dunque anche dal mondo linguistico nel quale Ges si esprime. f) Se si assume come punto di partenza unermeneutica che integra le acquisizioni della semiotica o della pragmatica linguistica, il significato delle azioni linguistiche storiche non dipende solo dallintenzione di chi parla ma anche dai modelli di azione e di linguaggio utilizzati (dal contesto

J. Austin (How to Do Things with Words, London 1962) ha riconosciuto in un atto linguistico almeno tre aspetti: laspetto locutorio per il quale lespressione ha un significato (dire qualcosa: esecuzione di un atto di dire qualcosa; latto con cui emetto una serie di suoni articolati che, in una determinata lingua, assumono un certo significato); laspetto illocutorio per il quale lespressione ha un valore o forza (compimento di unazione che si fa parlando: esec uzione di un atto nel dire qualcosa; latto con cui imprimo al mio atto linguistico una certa tonalit che pu svariare dal consiglio al comando, dalla preghiera allammonimento, allelogio...); aspetto perlocutorio per il quale lespressione ha un effetto (produzione di alcuni effetti sulla situazione nella quale si parla o nel nostro interlocutore). Cos unespressione come tu non puoi fare questo produce: un atto locutorio egli mi dice: Tu non puoi fare questo (senso dellespressione); un atto illocutorio egli protest contro il mio atto (forza illocutoria dellespressione); un atto perlocutorio egli mi dissuase dal fare questo (effetto reale dellespressione).

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antecedente di azione nel quale si muove colui che parla) come pure dallinterazione e ricezione (dal contesto conseguente di azione che chi parla mette in moto). Il significato (fondatore della chiesa) dellagire del Ges prepasquale deve dunque essere colto non solo a partire dallintenzione di Ges, ipoteticamente ricostruita, ma anche a partire dalla preistoria e dalla storia degli effetti di tale azione, come pure dai suoi contesti sociali (in particolare la continuit dei gruppi portatori della tradizione o lidentit del gruppo dei discepoli). Su questo sfondo opportuno distinguere diversi aspetti del formarsi della chiesa che possono essere cos riassunti: Dato che la chiesa connessa con un processo di separazione in Israele e ha nella celebrazione eucaristica il suo luogo proprio e il suo centro (Ekklesia come comunit cultuale cristiana) pu esserci chiesa in senso stretto solo dopo Pasqua o dopo Pentecoste. Solo a questo punto pu realizzarsi anche la concreta istituzionalizzazione della nuova comunit di fede. Daltra parte questo sviluppo non pensabile senza la storia del Ges prepasquale. Il movimento escatologico di Ges, orientato alla raccolta di Israele, e i segni della vicinanza del regno di Dio che creano comunione costituiscono il fondamento teologico-oggettivo e anche storico-sociologico dellistituzionalizzazione postpasquale della chiesa. Poich il movimento di raccolta di Ges non concepibile fuori di Israele, anche la storia dIsraele e il carattere sociale della sua fede sono parte integrante della preistoria fondatrice della chiesa.

1.1. Il popolo di Dio nellAntico Testamento 1.1.1. Quale lettura ecclesiologica dellAT ? Per investigare i fondamenti biblici dellecclesiologia cristiana dobbiamo studiare non solo le fonti neotestamentarie, quasi che la chiesa fosse un fenomeno nato allimprovviso, bens anche quelli anticotestamentari e giudaici. LAntico Testamento e il suo sviluppo estremo nellepoca del giudaismo del secondo tempio, tracciano infatti delle linee storiche e teologiche che fanno da binario alla realt storico-culturale della chiesa. Non vi chiesa neotestamentaria, come fenomeno storico-culturale, senza le radici giudaiche5. Si tratta di determinare come si arrivati, nel quadro della tradizione biblica a quella che in termini teologici si definisce la nuova creazione di Cristo, la chiesa. La questione implica due prospettive

Riprendiamo alcune riflessioni di M. NOBILE, Ecclesiologia biblica. Traiettorie storico-culturali e teologiche (Bologna: EDB, 1996) 5-12.

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complementari, una, che potremmo chiamare orizzontale, laltra invece verticale. Riguardo alla prima, la chiesa pu essere considerata come unespressione socio-religiosa e culturale, inserita e leggibile in un tessuto storico tipico, che la cosiddetta epoca di Ges (I sec. a.C. - I sec. d.C.). Ci implica la conoscenza della realt geo-politica e religiosa del tempo; qual era il contesto storico prossimo e remoto, quali le espressioni sociali e culturali che lo caratterizzavano; che cosa si pensava e si voleva; come si viveva e che cosa si credeva. Lobbligatoriet di queste domande nasce dal fatto che la rivelazione biblica storica e, quindi, mediata da una lingua di volta in volta ben pr ecisa e definita, appunto la lingua della storia, nel suo divenire ininterrotto e cangiante, nelle sue peculiarit epocali e culturali nuove, eppur sempre antiche, perch inserite nel continuum della storia6. La chiesa primitiva espressione e frutto del giudaismo del secondo tempio, cos come si sviluppato in epoca ellenistica (dal IV sec. a.C. in poi) e cos come esso ha sviluppato leredit di quello che noi cristiani chiamiamo lAntico Testamento. La seconda prospettiva della questione ecclesiologica consegue dalla precedente: il fondamento biblico della ecclesiologia non pu limitarsi al piano orizzontale della letteratura neotestamentaria, ma deve investigare anche verticalmente lAT e le idee religiose del giudaismo, inteso come lerede delle Scritture ebraiche. A questo punto per bisogna stare attenti a non cadere nella trappola apologetica. Questo rischio stato frequentemente corso anche dalla lettura ecclesiologica dellAT. Di fatto linteresse ecclesiologico del ricorso allAT si sviluppato in quattro tappe successive di crescente e progressiva profondit. 1) Dapprima si cercato di capire il significato di alcuni termini (come chiesa, popolo di Dio, Israele di Dio) e di altre metafore, mediante lanalisi filologica. Per quanto ampio, questo st udio si limita a considerare lAT come luogo ermeneutico per la comprensione del linguaggio del NT; anche se il presupposto di una certa continuit tra Israele e la chiesa costituisce un principio di grandi risonanze. Questa la via gi percorsa dai manuali De ecclesia. 2) Un secondo passo viene compiuto quando si recupera lampiezza della lettura tipologica propria dei padri; allora tutto lAT si trasfigura ed acquista senso, anche se questa strada aiuta ad evidenziare piuttosto la superiorit, la discontinuit, la novit della chiesa (cfr. J. Danilou; H. Rahner)7.

Questo non vuol dire che ci che avviene nella storia sia sempre logico e conseguente o completamente razionale. Tuttavia, la conoscenza approfondita delle varie manifestazioni umane che caratterizzano unepoca una condizione inel iminabile, anche quando oggetto della ricerca un tema non esauribile nelle coordinate storiche, qual un tema teologico. Lattenzione a tale esigenza coerente con il tempo e lo spazio entro cui si manifesta il trascendente. 7 Cfr. H. RAHNER, Simboli della Chiesa. Lecclesiologia dei Padri (Cinisello Balsamo - Milano: Edizioni San Paolo, 19942; originale tedesco 1964). Pensiamo alle categorie di promessa-adempimento; Israele secondo la carne e Israele

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3) Il terzo passo allarga la considerazione a tutta la storia; non solo alle figure o ai tipi, ma a tutto larco delle vicende del popolo dIsraele, legando la storia della chiesa a quella di Israele come fase successiva, nella continuit-discontinuit di ununica storia della salvezza; in questo caso si pu parlare di chiesa gi presente nellAT8. 4) Lultimo passo viene appena timidamente avanzato: anche il mistero della sopravvivenza degli ebrei tocca la riflessione sulla chiesa; la storia del popolo di Dio dellAT ha qualche riflesso anche nella storia di quel popolo fino ad oggi; la chiesa deve leggersi ed interpretarsi anche in questa ulteriore storia. Questo tipo di discorso teologico appena abbozzato dal Concilio Vaticano II con la Dichiarazione Nostra aetate, cap. 49. Orbene, la pregiudiziale apologetica scatta allorch si accentua in maniera impropria lapporto di una metodologia caratterizzata da due elementi. Il primo consiste nella concezione statica del rapporto tra AT e NT. In base a tale premessa, si compila una serie sistematica di figure o di testi presi dallAT e li si dispone su di un dittico ideale e fisso, del quale occupano un campo; laltro offre la serie corrispondente di immagini e di testi del NT. Questultimo la realizzazione piena del primo; lAntico Testamento sta al Nuovo come lombra alla realt, come la promessa al compimento, come limperfezione alla perfezione, come la verit fittizia alla verit vera. La concezione sostenuta dal secondo elemento, che la predisposizione ermeneutica. La convinzione della superiorit del NT sullAT, da un lato offre al ricercatore un percorso scontato, un binario predeterminato che trasforma lo studio in un esercizio di pura quanto superflua erudizione, dallaltro, di conseguenza, i ndebolisce il rigore della ricerca scientifica e la possibilit di autentiche scoperte: vale la pena di prendere sul serio il rigore oggettivo dellesercizio scientifico e di non fare finta dinteressarsi alle radici veterotestamentarie e giudaiche della fenomenologia neotestamentaria. La predisposizione se-

secondo lo Spirito; gi e non ancora. Ricordiamo lespressione di Agostino: Novum Testamentum in Vetere latet, et Vetus in novo patet: Quest. in Hept., 2, 73: PL 34, 623, espressione ripresa nella Dei Verbum al n. 16. 8 Lantesignano lottimo articolo di N. FGLISTER, Strutture dellecclesiologia veterotestamentaria, in MySal VII, 23-113. Cfr. pure M. NOBILE, Ecclesiologia biblica, op. cit.; H. SIMIAN-YOFRE, La Chiesa dellAntico Testamento. Costituzione crisi e speranza della comunit credente dellAntico Testamento (Bologna: EDB, 1996); G. LOHFINK, Dio ha bisogno della Chiesa? Sulla teologia del popolo di Dio (Cinisello Balsamo Milano: San Paolo, 1999). 9 Questo nuovo approccio teologico stato ripreso e approfondito da due documenti pastorali vaticani: SEGRETARIATO PER LUNIONE DEI CRISTIANI, Orientamenti e suggerimenti per lapplicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, Roma, 1 dicembre 1974, in EV 5, 772-793; SEGRETARIATO PER LUNIONE DEI CRISTIANI, Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dellebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica , Roma, 24 giugno 1985, in EV 9, 1615-1658. Un altro importante documento quello della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana , Citt del Vaticano 2001. Sono poi da ricordare gli interventi di Giovanni Paolo II nelle sinagoghe di Magonza (1980) e di Roma (1986): cfr. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 2 (1980) 1274s; ibid., IX (1986) 1027s; come pure i discorsi tenuti da Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia (2005) e di Roma (2010): cfr. Il Regno. Documenti, 50 (2005/15) 393-395 e 55 (2010/3) 71-73.

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ria avr come risultato non solo un approfondimento della verit, che non mai banale e scontata, ma sar anche un buon apporto alla soluzione di un problema che attanaglia gli ebrei e i cristiani da duemila anni e che, a causa anche dei tremendi eventi della seconda guerra mondiale di cui tutti portiamo addosso una ferita, si reso pi pressante ai nostri giorni, in campo laico e in campo religioso. Il problema unico, ma costellato di varie domande: qual la vera natura della relazione tra lebraismo e il cristianesimo? Il secondo forse in un rapporto di successione e di sostituzionenegazione rispetto al primo? Se cos, la pretesa cristiana fondata nello specifico teologico cristiano o si tratta piuttosto di una consolidata esagerazione di ordine psicologico? Se invece non si tratta di un banale rapporto di esclusione reciproca, si ripropone il problema della natura, dellorigine, dellautentica parentela (che non minimizza le differenze) della relazione tra il giudaismo e il cristianesimo. Conosceremo tanto meglio noi stessi, quanto pi indagheremo nelle nostre radici comuni con il giudaismo, nella cui galassia si situa la nascita della chiesa cristiana. Oltre a ci occorre considerare ancora due criteri ermeneutici. Unindagine sulle radici veterotestamentarie della chiesa diviene di solito una ricerca tipologica: unesigenza che viene da lontano, dalla tradizione perenne del cristianesimo, che si radica nello stesso NT, ove le realt nuove portate da Ges Cristo vengono spesso presentate nella sequenza binaria di tipo-antitipo10. Daltra parte un fatto che il metodo tipologico stato contestato dagli interlocutori ebraici del di alogo ebraico-cattolico; ci stato riconosciuto anche in un documento vaticano:
Dallunit del piano divino deriva il problema del rapporto tra Antico e Nuovo Testamento. La Chiesa, sin dai tempi apostolici (cfr. 1Cor 10,11; Eb 10,1), e poi ininterrottamente nella sua tradizione, ha risolto questo problema soprattutto attraverso la tipologia, che sottolinea il valore fondamentale dellAntico Testamento nella visione cristiana. Ma la tipologia s uscita in molti un senso di disagio che forse lindizio di un problema non risolto11.

Certamente, il criterio tipologico pu e deve funzionare anche oggi. Tuttavia, bisogna chiarire in che senso e in che modo. Di sicuro non canonizzando un metodo esegetico temporaneo, perch legato al

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I dodici apostoli sono lespressione delle nuove dodici trib dIsraele, quindi del nuovo popolo di Dio (cfr. Gc 1,1: Giacomo, servo di Dio e del signore Ges Cristo, alle dodici trib che si trovano disseminate nel mondo: salute!). Le due mogli di Abramo sono per Paolo il pretesto, legittimato dal tipo di esegesi del suo tempo, per unargomentazione tipologica: Ditemi voi che volete stare sotto la legge: non ascoltate ci che dice la legge? stato scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello avuto dalla schiava, nato secondo la carne, mentre quello avuto dalla donna libera nato in virt della promessa. Tali cose sono dette per allegoria ( hatina estin allgoroumena): le due donne sono le due alleanze, una proviene dal monte Sinai, genera i figli per la schiavit ed Agar. Ora, Agar significa il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme di adesso, che difatti si trova in stato di schiavit con i suoi figli. La Gerusalemme celeste invece libera. Essa la nostra madre (Gal 4,21-26). Nellesegesi di Paolo, quindi, Agar e Sara sono il tipo dellantica e della nuova alleanza, dellantico e del nuovo Israele.

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gusto di unepoca, quale quello rabbinico di Paolo o quello allegorico dei padri della chiesa. Piutt osto, da considerare che cosa desse al NT prima e ai padri poi, la possibilit di adoperare tale metodo. La possibilit inscritta nella natura del linguaggio. Le realt salvifiche, rappresentate dalla storia dIsraele e delle sue istituzioni, sono venute a costituire una grammatica semantica idonea a dare nome e un nome specifico (storicamente definito e rilevante) al processo trascendente che la fede ha sempre visto in atto nella storia. La fede, sia giudaica che cristiana, ha poi dato rilevanza autorevole a tale grammatica, cos che per parlare di quelle realt soprannaturali, si potesse e si dovesse farlo prioritariamente solo per il tramite di quei termini semantici. Quando la chiesa primitiva parla di un nuovo Israele o di una nuova Gerusalemme, non inventa un modo dinterpretare il nuovo sulla base dellantico: tale metodo era gi diffuso da alcuni secoli nel giudaismo del secondo tempio, e quella della chiesa stata unesegesi dei fatti tra le tante altre (storicamente parlando) della galassia giudaica. Quindi, cercare di capire i simboli e le immagini del NT sulla base della tipologia dellAT, non significa innanzi tutto, in unermeneutica storica, giudizio negativo e fagocitamento o eliminazione delle interpretazioni concorrenti, passate e contemporanee allesegesi neotestamentaria. Lantico, infatti, rimane come figura del nuovo; il nuovo non sarebbe comprensibile senza lantico, ma lo tras-figura. Il nuovo riempie lantico: la narrazione biblica non progredisce se non con la ripresa incessantemente rinnovata delle figure antiche; ci nellAntico e nel Nuovo Testamento. Il secondo criterio ermeneutico, che deve sottendere la nostra ricerca, la dipendenza intrinseca dellecclesiologia dalla cristologia. Non a caso il documento vaticano citato aggiunge:
importante anche sottolineare che linterpretazione tipologica consiste nel leggere lAntico T estamento come presentazione e, sotto certi aspetti, come il primo delinearsi e come lannuncio del Nuovo (cfr. per es. Eb 5,5-10, ecc.). Cristo oramai il riferimento-chiave delle Scritture: quella roccia era il Cristo (1Cor 10,4). dunque vero, ed bene sottolinearlo, che la Chiesa e i cristiani leggono lAntico Testamento alla luce dellavvenimento del Cristo morto e risorto e che, a questo titolo, esiste una lettura cristiana dellAntico Testamento che non coincide necessariamente con la lettura ebraica. Identit cristiana e identit ebraica debbono essere pertanto accuratamente distinte nella loro rispettiva lettura della Bibbia. Ci, tuttavia, nulla sottrae al valore dellAntico Testame nto nella Chiesa e non vieta che i cristiani possano, a loro volta, utilizzare con discernimento le tradizioni di lettura ebraica12.

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SEGRETARIATO PER LUNIONE DEI CRISTIANI, Ebrei ed Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione (Roma, 24 giugno 1985), in Enchiridion Vaticanum IX, n. 1627. 12 Ibid., nn. 1629-1630. Sul tema cfr. anche PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Linterpretazione della Bibbia nella Chiesa, I.C.2. Approccio mediante il ricorso alle tradizioni di interpretazione giudaiche, Citt del Vaticano 1993; e PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana , Comprensione cristiana dei rapporti tra Antico e Nuovo Testamento, II.A.1-7.

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Per trattare lo specifico della chiesa cristiana, bisogna tenere sempre presente il suo fondamento storico e teologico: levento di Ges Cristo. Ma proprio nel correlarci costantemente al fondamento cristologico, verremo aiutati, nella nostra ricerca, a situare la chiesa nella scia di quelle traiettorie storico-teologiche che partono dallAntico Testamento:
Del resto, lo stesso Nuovo Testamento esige parimenti di essere letto alla luce dellAntico. La c atechesi cristiana primitiva vi far costantemente ricorso (cfr. ad es. 1Cor 5,6-8; 10,1-11)13.

1.1.2. Linee riassuntive dei dati biblici a) Dalla storia veterotestamentaria della fede provengono tanto le pi importanti designazioni e immagini della Chiesa quanto i pi importanti modelli sociali dellorganizzazione ecclesiale. Ancora pi rilevante per il fatto che anche la struttura religiosa profonda della Chiesa cristiana ha trovato la sua forma previa nellesperienza religiosa della socialit del popolo di Israele. C perci ununit fondamentale tra il popolo di Dio veterotestamentario e neotestamentario. Senza questa unit la nascita della Chiesa cristiana rimarrebbe incomprensibile. b) Lautocomprensione di Israele come popolo eletto di Yhwh da un lato segnata dalle diverse condizioni politiche e sociali della sua storia. Cos, ad es., le denominazioni popolo di Yhwh ( am Yhwh, laos theou o kyriou, Es 19,4-7; Dt 4; 7,6-12; 32,8ss) e dodici trib di Israele (Gn 49,1-28; Dt 33) si riferiscono allorganizzazione delle trib nel periodo anteriore alla costituzione dello St ato, con una federazione non rigida e decentralizzata di trib, clan e famiglie e una strutturazione genealogica. Qui Israele per cos dire la stirpe, la parentela, la truppa e lesercito di Yhwh. Cos le denominazioni regno di Yhwh o regno di Dio (malkut jhwh, basileia tou theou; cfr. Sal 102,19 [LXX]; 144,11-13 [LXX]), regno di Davide (cfr. 2Sam 7; 23,1-7; 1Cr 17,17) e le due case di Israele (Is 8,14) rimandano alla forma di organizzazione come Stato territoriale del periodo monarchico con la sua struttura sociale centralista. Le designazioni resto santo (schear o schearit; cfr.

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Ibid., n. 1631. Il documento della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, n. 6 precisa: LAntico Testamento possiede in se stesso un immenso valore come Parola di Dio. Leggere lAntico Testamento da cristiani non significa perci volervi trovare dappertutto dei diretti riferimenti a Ges e alle realt cristiane. Certo, per i cristiani, tutta leconomia veterotestamentaria in movimento ver so Cristo; se si legge perci lAntico Testamento alla luce di Cristo possibile, retrospettivamente, cogliere qualcosa di questo movimento. Ma dato che si tratta di un movimento, di un progressione lenta e difficile attraverso la storia, ogni evento e ogni testo si situano in un punto particolare del cammino e a una distanza pi o meno grande dal suo compimento. Leggerli retrospettivamente, con occhi da cristiani, significa percepire al tempo stesso il movimento verso Cristo e la distanza del rapporto a Cristo, la prefigurazione e la dissomiglianza. Inversamente, il Nuovo Testamento pu essere pienamente compreso solo alla luce dellAntico Testamento.

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2Re 19,4; Is 1,9; Ez 9,8) e diaspora (diaspora; cfr. Is 49,6) presuppongono la dispersione tra i popoli pagani, la situazione dellesilio, mentre alla base delle espressioni comunit cultuale o assemblea di Israele (qehal jhwh, ekklesia kyriou; cfr. Dt 9,10; 23,2ss. 9; edat Yhwh, synagoge kyriou; cfr. Nm 27,17; 31,16; Sal 73,2 [LXX]) e citt santa, Gerusalemme o Sion (cfr. Is 1,8s; 46,13; Sal 149,2) stanno gli sforzi di restaurazione post-esilica nel quadro di una forma organizzativa prevalentemente familiare, con associazioni che hanno i loro punti di cristallizzazione nelle sinagoghe. Tutte queste denominazioni e immagini sono gi state sviluppate e trasformate dalla dinamica della fede in Yhwh e perci esistono di fatto gi con una pluralit di significati e di aspetti. Le espressioni che indicano la forma sociale della fede di Israele designano tanto (1) una realt empirica, lIsraele concreto con le sue condizioni di vita storiche, politiche, sociali e culturali, come pure (2) una realt ideale e normativa della fede, lIsraele di Yhwh; esse indicano infine anche (3) una realt escatologica, la sperata e attesa nuova comunit di Yhwh. c) Dato che tutte queste designazioni e immagini sono state accolte nel canone dellAntico Test amento, anche la forma sociale della fede di Israele viene affermata come una realt multiforme e complessa, un cammino con diverse situazioni e tappe piuttosto che una forma unitaria e compiuta. La singolarit di Israele non consiste nella peculiarit della sua situazione politica o socioculturale ma nella particolare dinamica della sua esperienza di Dio: un Dio che non la somma del mondo e delle sue forze, n la sorgente del mondo, da cui questo emanerebbe, ma piuttosto un soggetto Altro dal mondo, colui che crea il mondo e quindi non pu identificarsi con esso, e il Signore della storia. Proprio questa esperienza unica conferisce al popolo la propria identit e gli fa inoltre superare e comprendere anche i tempi di crisi. In forza di questa esperienza di Yhwh, Israele ha compreso le grandi esperienze di redenzione e di salvezza come rivelazioni di Yhwh e, perci, ha visto la propria esistenza fondata nella liberazione dallEgitto, nel dono della legge al Sinai o nellelezione di Sion. In forza di questa esperienza di Yhwh i credenti di Israele hanno per compreso i tempi di crisi della loro storia come una nuova e pi profonda rivelazione della fedelt e della potenza del loro Dio e, in tali situazioni, hanno imparato anche a comprendere se stessi in modo nuovo. d) In questo modo, ad es., la crisi della conquista assira nellultimo terzo dellVIII secolo, sperimentata come giudizio, nella reinterpretazione profetica della fede diventa occasione per una trasformazione dellimmagine di Dio (con unaccentuazione della singolarit, trascendenza e santit di Dio accanto alla sua misericordia, bont e vicinanza) e per la trasformazione dellautocomprensione (con unaccentuazione della relazione individuale, soggettiva e personale con Dio) e insieme anche di una interiorizzazione, spiritualizzazione, soggettivizzazione e moralizzazione del modo di esiste-

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re politico, fino ad allora indifferenziato, del popolo. Su questo sfondo, nel VII secolo, avviene anche la sintesi della Torah nel Deuteronomio la cui intenzione fondamentale ha trovato la sua espressione pi bella nello shema Israel (ascolta Israele), che entrato anche nella liturgia:
Ascolta, Israele: il Signore il nostro Dio, il Signore uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta lanima e con tutte le forze (Dt 6,4-5).

Relazione con Dio e relazione con se stessi sono qui inseriti in una struttura di reciproca determinazione: nel momento in cui il popolo fedele, come conseguenza dellaffinarsi della coscienza religi osa ad opera dei profeti, si riferisce totalmente alla unicit, santit e indisponibilit del Tu divino, si concentra e si approfondisce anche la coscienza di s, o la coscienza della socialit, nella totalit del cuore, della persona e delle forze. E quanto pi lindividuo credente o il popolo credente nello sforzo morale riesce a dare, attraverso lamore verso Dio, unit e profondit alla propria vita, tanto pi intensamente anche Dio diviene riconoscibile e sperimentabile nella sua unicit, santit e libert. e) Ancora pi radicale la crisi del tempo dellesilio. Dopo la perdita del tempio, della terra e del regno i credenti di Israele scoprono in maniera nuova la divinit di Yhwh, che ora include esplicitamente il suo dominio universale sulla storia e la sua potenza creatrice, la sua insondabile libert e onnipotenza. In questo modo il problema della mediazione si manifesta con estrema acutezza. Da una parte, il solco profondo tra il Dio trascendente e la storia terrena da ora in poi viene superato con laiuto di esseri divini con funzione mediatrice (parola di Dio, spirito di Dio, sapienza di Dio). Dallaltra parte, in questa situazione di miseria nella quale sembra che Yhwh abbia abbandonato il suo popolo, la speranza si lega a mediatori umani della salvezza, che intervengono come inviati di Yhwh a favore del popolo: Mos, i profeti, il servo di Yhwh sofferente, il Messia. In questa esperienza di crisi il Deuteroisaia interpreta in maniera nuova anche lidea di elezione e di conseguenza anche la funzione del popolo di Israele (soprattutto nella figura del servo sofferente come pure nella figura del re-messia pacifico). Il mezzo adeguato della signoria di Yhwh nel mondo non laffermazione di s, la forza e la violenza ma la sofferenza vicaria, la non violenza e la pace. La vocazione di Israele non solo quella del testimone passivo della presenza di Yhwh nel mondo, ma anche quella di essere un centro salvifico tra i popoli del mondo, un portatore di benedizione che attraverso il culto, nella forma dellintercessione e della lode, si trasmette ai popoli. Inoltre la questione della mediazione viene affrontata anche attraverso un processo di istituzionalizzazione delle precedenti oggettivazioni della parola di Dio, mediante la sintesi della Torah, la messa per iscritto della tradizione sacra e la formazione del canone delle sacre Scritture.

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i) La socialit del popolo di Israele riceve una nuova struttura a partire dal III secolo nelle correnti apocalittiche che, nella situazione sempre pi disperata della diaspora, con loppressione insopportabile e la disastrosa perdita della fede, potevano trovare consolazione solo in unultima radicalizz azione dellantica idea dellalleanza: solo lunilaterale e gratuita fedelt di Yhwh pu ora rendere possibile la continuazione dellesistenza del popolo. Solo se il corso della storia della salvezza non pu essere minacciato da alcuna stoltezza e malvagit umana possibile la speranza. Il compito dellapocalittico di spiegare la situazione storica come la realizzazione di un piano divino di sa lvezza concepito prima del tempo, che trover il suo compimento alla fine della storia ormai imminente. In tal modo nel concetto della comunit di salvezza entra un ultimo elemento: la tensione tra la misera forma terrestre della comunit e la sua forma finale ricreata da Dio alla fine dei tempi. g) Soprattutto dopo la massiccia politica di ellenizzazione di Antioco IV Epifane (che govern dal 176/175 fino al 164 a.C.), la comprensione giudaica del popolo di Israele si differenzi ulteriormente. Ognuno dei gruppi che si erano formati aveva le proprie idee su chi apparteneva a Yhwh e al suo popolo. Il giudaismo riformista radicale sosteneva la politica di ellenizzazione di Antioco IV poich si era schierato non solo a favore di una modernizzazione del giudaismo, ma anche per una religione universale illuminata e naturale. Per questa corrente il popolo di Dio lunica umanit nella misura in cui essa accetta il monoteismo etico. Il giudaismo riformista moderato, che si incontra negli scritti di orientamento sapienziale della diaspora come pure in Filone e Giuseppe Flavio, mantiene lidea di elezione di Israele e di alleanza, anche se le interpreta come paradigmi: Israele il popolo eletto in quanto modello per il mondo, ma Israele tale solo nella misura in cui esercita effettivamente la sua funzione esemplare. In tal modo si giunge qui a una chiara distinzione tra il popolo terreno e il popolo di Dio celeste. Per contro, la politica religiosa di Antioco IV suscit anche la resistenza dei credenti fedeli alla tradizione. Lorientamento teocratico e ierocratico dei Maccabei e degli Asmonei con lidea di guerra santa persegu una de-modernizzazione e una deellenizzazione del giudaismo, con lo scopo sacerdotale-cultuale di purificare il tempio santo e di restaurare Israele come una comunit cultuale riunita attorno al tempio di Gerusalemme e al sommo sacerdote. La sua comprensione del popolo di Dio dichiaratamente particolaristica, esclusivistica e ierocratica. Con questa corrente collaborarono strettamente i sadducei, il partito conservatore formato dalla classe pi elevata del sacerdozio del tempio di Gerusalemme, per il quale la priorit assoluta spettava alla celebrazione corretta del culto. La questione dellidentit viene risolta in modo diverso nel movimento pietistico-nomista dei chassidim, degli esseni e dei farisei. Mentre i chassidim e gli esseni, di orientamento escatologico o apocalittico, attendevano in comunit chiuse ed elitarie lirruzione prossima della signoria di Dio, con un esplicito orientamento verso la fede retta, il culto 55

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autentico, la rigorosa osservanza della legge e comprendevano se stessi come germe e avanguardia o come fondamento e nucleo del futuro compimento del popolo di Dio, ai farisei interessava in primo luogo una vita comunitaria ispirata alla legge della santit, con pasti comuni e momenti fissi di preghiera, con lo scopo di realizzare lobbedienza e la necessaria fedelt in rappresentanza dellintero Israele e, in secondo luogo, di rendere la Torah praticabile per tutto il popolo. h) Ne consegue che alla domanda radicale: Chi appartiene a Israele?, nella coscienza credente del popolo si danno risposte diversificate. Ne elenchiamo, certamente semplificando, almeno tre. (1) Da una parte troviamo la prospettiva universale dal tempo della profezia recente, Deutero e Trito Isaia. Israele impara a comprendersi come testimone di Dio davanti a tutti i popoli. Israele si conosce come popolo santo, regno di sacerdoti (Es 19,6), che ha una funzione di mediazione tra il suo Dio e i popoli del mondo (Gen 12,3; Is 19,24-25; 55,5)14. Inoltre si ritiene che da questi popoli usciranno uomini che diventeranno membri di Israele assumendo su di s il giogo della legge ed entrando nellordinamento cultuale (Is 56,3.6-7; Est 9,27)15. Ma per tutti si attende nel futuro la raccolta dei popoli attorno a Israele e Gerusalemme come centro. Lidea profetica del pellegrinaggio dei popoli verso Sion, enunciata per la prima volta in Is 2,1-516 e ampiamente illustrata in Is 60-65, fu un elemento centrale dellattesa apocalittica del futuro: alla fine del tempo la salvezza che rifulge in Israele e da Sion raggiunger tutti i popoli e tutti gli uomini. (2) A questa prospettiva universalistica si oppose la tendenza a sottolineare una distinzione interna a Israele stesso. Se il criterio di appartenenza a Israele ladesione alla torah e la fedelt al Patto di Dio, chi non soddisfa tale criterio fa ancora parte del popolo di Dio? La tradizione vede il sorgere di

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Gen 12,3: Benedir coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledir e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra; Is 19,24-25: In quel giorno Israele sar il terzo con lEgitto e lAssiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedir il Signore degli eserciti: Benedetto sia lEgiziano mio popolo, lAssiro opera delle mi e mani e Israele mia eredit; Is 55,5: Ecco tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te popoli che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo di Israele, perch egli ti ha onorato. 15 Is 56,3: Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: Certo mi escluder il Signore dal suo popolo!. Is 56,6-7: Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurr sul mio monte santo e li colmer di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perch il mio tempio si chiamer casa di preghiera per tutti i popoli; Est 9,22: I Giudei stabilirono e presero per s, per la loro stirpe e per quanti si sarebbero aggiunti a loro, limpegno inviolabile di celebrare ogni anno quei due giorni, secondo le disposizioni di quello scritto e alla data fissata. 16 Is 2,1-5: Ci che Isaia, figlio di Amoz, vide riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sar eretto sulla cima dei monti e sar pi alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perch ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Poich da Sion uscir la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sar giudice fra le genti e sar arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un

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questa domanda nellannuncio che Yhwh fa ad Elia: Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non lhanno baciato con la bocca (1Re 19,18). Lidea che Dio separer dal popolo un resto di quelli che costituiscono il vero Israele e sono i portatori della salvezza, acquist contorni sempre pi precisi nella predicazione profetica (Am 5,15; 9,8s; Is 1,9; 4,3; Zac 13,8)17, cos da legarsi alla fine con la prospettiva sul giudizio venturo: Or in quel tempo sorger Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sar un tempo di angoscia, come non cera mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sar salvato il tuo popolo, chiunque si trover scritto nel libro (Dan 12,1). Dunque, solo quelli che nellelezione di Dio per la vita hanno stabilit, possono essere considerati Popolo di Dio. (3) Inoltre, trasversale alle due prospettive, al tempo del NT si nota anche la tendenza a recuperare una definizione di Israele su base etnica e statale. Questa tendenza si prepara nellepoca postesilica mediante il ricordo vivo dellantica forma di organizzazione nelle dodici trib. Si ricostituiscono le genealogie, in cui si deve registrare chi vuole appartenere al popolo (Esd 2,59-63; Ne 7,5-7)18. Ciascun israelita al tempo di Ges era in grado di indicare il suo capostipite e sapeva a quale trib apparteneva. Questa tendenza riconoscibile dal tempo di Esdra e Neemia si rafforz in seguito alla grande crisi ellenistica sotto Antioco IV Epifane. A questo periodo appartiene anche il tentativo degli asmonei di ottenere unindipendenza statale per la Giudea e di stabilire un regno sacerdotale (1Mac 13-16). Nel passaggio tra il secondo e il primo secolo a.C. essi intrapresero sistematicamente la rigiudaizzazione della Galilea insediando giudei immigrati fedeli alla legge. Lobiettivo era quel-

popolo non alzer pi la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno pi nellarte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore. 17 Am 5,15: Odiate il male e amate il bene e ristabilite nei tribunali il diritto; forse il Signore, Dio degli eserciti, avr piet del resto di Giuseppe; Am 9,8-10: Ecco, lo sguardo del Signore Dio rivolto contro il regno peccatore: io lo sterminer dalla terra, ma non sterminer del tutto la casa di Giacobbe, oracolo del Signore. Ecco infatti, io dar ordini e scuoter, fra tutti i popoli, la casa dIsraele come si scuote il setaccio e non cade un sassolino per terra. Di spada per iranno tutti i peccatori del mio popolo, essi che dicevano: Non si avviciner, non giunger fino a noi la sventura; Is 1,9: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, gi saremmo come Sodoma, simili a Gomorra; Is 4,3: Chi sar rimasto in Sion e chi sar superstite in Gerusalemme sar chiamato santo, cio quanti saranno iscritti per restare in vita in Gerusalemme; Zac 13,8-9: In tutto il paese, oracolo del Signore due terzi saranno sterminati e periranno; un terzo sar conservato. Far passare questo terzo per il fuoco e lo purificher come si purifica largento; lo prover come si prova loro. Invocher il mio nome e io lascolter; dir: Questo il mio popolo. Esso dir: Il S ignore il mio Dio. 18 Esd 2,59-63: I seguenti rimpatriati da Tel-Melach, Tel-Carsa, Cherub-Addn, Immer, non potevano dimostrare se il loro casato e la loro discendenza fossero dIsraele: figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekod: seicentoquarantadue. Tra i sacerdoti i seguenti: figli di Cobai, figli di Akkoz, figli di Barzilli, il quale aveva preso in moglie una delle figlie di Barzilli il Galaadita e aveva assunto il suo nome, cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono; allora furono esclusi dal sacerdozio. Il governatore ordin loro che non mangiassero le cose santissime, finch non si presentasse un sacerdote con Urim e Tummim; Ne 7,5-6: Il mio Dio mi ispir di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento. Trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dallesilio la prima v olta e vi trovai scritto quanto segue.

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lo di riguadagnare al popolo di Israele la terra di Israele nella sua estensione originaria. probabile che proprio allora giungessero in Galilea gli antenati di Ges, i quali si annoveravano nella famiglia di Davide (Rm 1,3; Mt 1,1). Questo sviluppo venne per interrotto molto presto gi verso la fine del dominio asmoneo con linclusione della Palestina nellarea egemonica dellimpero romano (63 a.C.), ma la tendenza ad identificare Popolo, Terra e Stato si rafforz di nuovo, soprattutto nei gruppi nazional-religiosi degli zeloti, e condusse Israele alla catastrofe del 70 d. C. i) In questo sviluppo protogiudaico della comprensione della comunit di fede quindi sono gi esplorate tutte le principali possibilit di comprensione del rapporto tra particolarit della comunit e promessa universale. Nella storia della Chiesa riappariranno tutti questi modelli fondamentali. Anche per ci che riguarda le attuazioni fondamentali della comunit o i criteri essenziali di appartenenza in questo contesto sono gi sperimentati tutti i modelli che successivamente avranno un ruolo anche nella storia della Chiesa. La terna farisaica dei segni che assicurano lappartenenza al popolo di Dio: discendenza, circoncisione e comportamento etico, viene presupposta in tutti i gruppi giudaici, anche se si attribuisce un peso diverso ai singoli elementi: lappartenenza pu essere fondata in modo primariamente etnico, cultuale o etico. In seguito alla trasformazione cristiana questi elementi diverranno i tre noti segni dellappartenenza: fede in Cristo (professione), battesimo (sacramento) e comunione fraterna (etica), i quali pure sono valutati in modo assai diverso. Concludendo possiamo tracciare alcune linee sintetiche su tre punti sui quali i diversi prospetti di teologia biblica trovano una certa consonanza. 1) Anzitutto si nota che la coscienza di Israele venuta formandosi attraverso una serie successiva e molto varia di vicende storiche. Potremmo riassumerle cos: Israele dapprima passato attraverso una lunga situazione di nomadismo; e poi s trovato ad affrontare una ancora pi lunga situazione di diaspora (che dura tuttoggi). La terza situazione, che intermedia tra le due precedenti, quella della stabilizzazione in un territorio e in una struttura politica (stato) che laccomuna agli altri popoli, qualcosa di secondario, di precario, almeno nella prospettiva profonda di coscienza unitaria del popolo; tant vero che lunit politica dura poco (sorgono i regni del nord e del sud, con storie spesso autonome) e la stessa forma politica monarchica deve subire una pesante critica soprattutto da parte dei profeti (cfr. la satira politica di Gdc 9,8-15, e la ben pi pesante obiezione religiosa di 1Sam 8,5-8). Resta invece pi duratura la fisionomia delle trib, e lunit nazionale tenuta desta dai profeti va al di l delle stesse divisioni delle trib e dei regni, come pure il valore religioso e trascendente dellesperienza dellunit politica (Gerusalemme, Sion, tempio, regno) viene percepito e celebrato dopo lesperienza dolorosa dellesilio, mediante una trasfigurazione in prospettiva spiri58

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tuale ed escatologica. Lesperienza base, dunque, quella di un popolo privo di sicurezze umane, in balia al tempo stesso di Dio e degli altri popoli. La sua singolarit lo fa apparire centrato in se stesso, ma in realt vive decentrato, eccentrico, in quanto la sua esistenza totalmente sospesa a ci che sta sopra di lui o fuori di lui. Le due situazioni, di cui sopra, sono contrassegnate dalle due punte estreme dellesodo e dellesilio: due eventi forti, costitutivi della coscienza del popolo. Ambedue mettono a nudo il peso della schiavit e lanelito alla libert, e disegnano Dio come colui che salva e libera, che trae dalla schiavit o castiga con essa, per purificare e poi richiamare alla libert: Egli colui che finalmente raccoglier Israele da tutti i popoli fra i quali stato disperso e riconcilier le fratture interne al popolo di Dio (Dt 30,1-6; Is 11,12s; Ez 37,21 )19. 2) La seconda riflessione della teologia biblica riguarda appunto il tipo di coscienza che maturata nel popolo di Israele in seguito alle vicende di nomadismo (esodo, deserto) e di diaspora (esilio e post-esilio). Israele ha percepito progressivamente che lunit sua pi profonda era costituita dalla sua relazione unica con Dio: esso un popolo nato dalla fede. E anche se in Israele la famiglia naturale e la parentela del sangue svolgono un ruolo del tutto particolare, la tradizione biblica, fin dai suoi inizi, conferma che lesistenza del popolo di Dio non si regge sul sangue, sulla parentela nat urale e tanto meno su un automatismo genealogico (cfr, ad es. il caso di Abramo in Gen 12 e 22). In questa prospettiva si comprendono la variet e la ricchezza di temi, che, a seconda delle esperienze particolari, esprimono la relazione singolare dIsraele con Dio: popolo santo, sacerdotale, imparentato con Dio, vigna di Dio, gregge di Dio, tempio di Dio Il tema pi ricco e dominante sar quello dellalleanza (bert); ma va ricordato che solo progressivamente verr data unaccentuazione allaspetto di intimit tra Dio e il popolo e allelevazione di questi al livello inaudito di partnership con Dio. Certamente questo approfondimento della coscienza unitaria di Israele comporta una maggior attenzione a problemi concreti di fedelt e di adeguamento alla vocazione. Soprattutto lesperienza dellesilio indurr a riflettere sulle condizioni di permanenza delle promesse e della fedelt di Dio al suo popolo, e si far strada linterpretazione spirituale ed escatologica di popolo di Dio, erede delle benedizioni dellalleanza: il giudizio di Dio tocca anche Israele, scevera al suo i nterno, per riduzione progressiva, un resto santo, che evidenzier il carattere di povero-servo-figlio di Dio, nel quale si riassume la dignit del popolo di Dio; e cos le strutture storiche della teocrazia saranno superate, idealizzate, trasferite in prospettiva superiore e futura.
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Sul tema cfr. LOHFINK, Dio ha bisogno della Chiesa?, op. cit., 69-78. Egli osserva che lo stesso Ges ha inteso riunire Israele in nome della sovranit di Dio (Mt 12,30; 23,37), e che, quando nellebraismo rispuntata lantica coscienza che Israele deve riunirsi, risuonata la parola Kibbuz, dallantico concetto teologico qabaz (= raccogliere, riunire), p. 77.

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Al tempo stesso la coscienza di Israele approfondisce laltro aspetto della sua singolarit, che gli deriva dal suo sperimentarsi in balia anche di tutti gli altri popoli (e non solo di Dio). Israele scopre, anzi, dalla sua vicinanza con Dio, dalla sua familiarit con lui, un impegno e una missione per tutto il mondo. Proprio la coscienza di rappresentare il luogo della presenza, della manifestazione e dellazione di Dio nella storia (tramite Israele, Dio si rivela come lEmmanuele, il Dio con noi), porta il popolo di Dio a sentirsi progressivamente gravato di una responsabilit singolare nei confronti di tutti gli altri popoli. Si pu parlare di vocazione missionaria di Israele. Lesperienza dellesilio e poi del ritorno dei dispersi alla citt santa fa percepire lorizzonte futuro di un ritorno allunit di tutti i popoli, di un ritorno al Dio di cui popolo santo lIsraele di Sion, della citt santa; e Gerusalemme col suo tempio, nella sublimazione profetica, viene indicata come punto di raccolta di tutti i popoli della terra. di questa comunione con tutta lumanit che vive Israele; e non solo della comunione intima con Dio. Anzi, proprio la comunione intima con Dio che apre questo alla comunione con gli altri popoli. La scelta di Dio caduta su Israele a vantaggio dei popoli. Dio ha bisogno di avere nel mondo un testimone, un popolo nel quale poter rendere visibile la sua gloria. Perci la scelta grava sul popolo eletto con tutto il suo peso. Essere eletti non un privilegio, non una preferenza sugli altri, ma unesistenza per gli altri. Questi i tratti essenziali della coscienza di Israele. Ma linterpretazione ulteriore di questa vocazione comporta accentuazioni varie, addirittura polarizzazione di tendenza. Linterpretazione spiritualizzante dovr sempre tenere conto anche delle esigenze di unit storica, e quindi anche delle strutture sociologiche e giuridiche (riguardo al culto, alla politica, al territorio). Alcune linee accentueranno la prospettiva della potenza, anche in senso positivo e non automaticamente negativo (illustrata dal successo di guide e capi gloriosi, come i Giudici, Davide, i Maccabei); altre sottolineeranno la funzione dei profeti, la forza dellevangelizzazione della parola di Dio (sullesempio dei profeti: ecco limportanza delle sinagoghe, nella diaspora, dopo la distruzione del tempio); altre affermano limportanza della mediazione cultuale, della preghiera e del sacrificio a favore dei popoli (il post esilio evidenzier il popolo di Dio come comunit cultuale, popolo sacerdotale). Difficile sar, in ogni caso, interpretare il movimento di questa vocazione missionaria universalistica dIsraele: alcuni tenderanno a vederlo in direzione centripeta, come assorbimento degli altri dentro Israele; altri lo vedranno maggiormente in direzione teocentrica centrifuga (rispetto ad Israele), come cammino verso il regno di Dio escatologico, e come evento di novit che trasformer lo stesso Israele. 3) Il terzo punto che la teologia biblica sottolinea riguarda appunto il rimando ulteriore che la coscienza messianica e missionaria di Israele opera per rapporto alla propria storia. Duplice rimando,

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ossia duplice allargamento in orizzonte. Indietro, verso la storia anteriore ad Abramo, verso la protologia per legare lalleanza specifica tra Dio ed Israele con precedenti altre alleanze; Dio in tutta la storia si manifestato Dio dellalleanza con gli uomini; importante, nella preistoria (rispetto alla storia di Israele) gi lalleanza paradisiaca con Adamo, ma emblematica soprattutto lalleanza dopo il diluvio. Rimando ed allargamento, poi, in avanti, per rapporto al futuro, al tempo successivo allalleanza antica; gi dentro lantica alleanza si danno chiari cenni di una prospettiva di superamento, di novit ulteriore e superiore: nuova legge, nuovo tempio, nuovo patto, nuovi cieli e nuova terra, nuova lingua, nuova cittadinanza (cfr. Ger 31; Ez 36). La lettura di questa prospettiva sar ovviamente evidenziata dal NT (cfr. in particolare la simbolica dellApocalisse), e poi ampliata dalla riflessioni dei padri della chiesa. Sar proprio questa coscienza del cristianesimo fin dai suoi inizi, di essere cio il nuovo popolo di Dio, il nuovo Israele con tutto ci che questo comporta, sar questa coscienza che porter al tempo stesso ad affermare la continuit e la discontinuit tra Israele e chiesa, tra antico e nuovo popolo di Dio. La chiesa si trova quindi gi prefigurata e in qualche modo iniziata prima della sua stessa apparizione storica nella vita e nella coscienza di Israele.

1.2. Ges e lorigine della chiesa evidente che senza la Chiesa oggi non avremmo neppure i testi che ci parlano di Ges. Il gruppo riunito attorno a Ges, la comunit generata dalla sua parola il soggetto portatore del suo messaggio. Questo non ci accessibile se non nel prisma della risposta credente dei discepoli. Gi questo fatto dovrebbe renderci attenti contro le facili semplificazioni di chi afferma Ges s, chiesa no!. La chiesa si presenta infatti come un prolungamento dellazione e della parola di Ges, ma la sua pretesa seconda e derivata rispetto a quella originaria del Signore e pu scadere nell'infedelt che la storia ci testimonia. Per questo il suo essere segno del dono di Cristo deve essere sempre riaccolto nella fedelt e nella libert. Tuttavia tale fedelt non dipende dalla libert della risposta della chiesa, ma sorretta dalla promessa di Cristo. La promessa di indefettibilit assicurata dal Signore risorto. Ma Ges ha effettivamente promesso cos? Ossia: Ges ha voluto la chiesa? Ges ha annunciato il Regno di Dio insinuava Loisy allinizio del secolo e ne venuta la chiesa! Questo sospetto che la chiesa sia come il surrogato dellintenzione di Ges, il misero tradimento della sua predicazione sta sempre sullo sfondo della critica, ma non viene mai affrontato direttamente. Se al centro del messaggio di Ges sta il regno di Dio, la chiesa in che relazione posta con questo centro? La chiesa compatibile col regno di Dio? Hans Conzelmann, ad es., afferma risolutamente lincompatibilit delle due cose: con lannuncio che Ges fa di Dio non si accorda la 61

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fondazione di una comunit escatologica organizzata20; lautocoscienza escatologica di Ges esclude lidea di una chiesa presente21. Il problema diviene pi acuto se consideriamo i testi in cui Ges parla dellattesa imminente: Se Ges ha visto e annunciato come imminente lavvento della signoria di Dio, allora sembra non ci possa essere posto per una chiesa che si costituisce nel mondo, progettata per durare nel tempo; ci significherebbe, infatti, vedere in essa soltanto una soluzione provvisoria e unistituzione ad interim, destinata a durare per un periodo di tempo calcolato di stretta misura22. Osserviamo quindi che la questione di una fondazione o derivazione di una chiesa dal Ges prepasquale impone di considerare quale relazione ci sia fra linteresse centrale dellopera di Ges, ossia lannuncio del regno di Dio, e una eventuale realt storico-sociale connessa con questo. 1.2.1. Il messaggio di Ges circa il regno di Dio Per la realizzazione della vera chiesa di Dio erano in concorrenza tra loro, al tempo di Ges, diversi gruppi-comunit-chiese religiose e allo stesso tempo socio-politiche (tra cui i farisei, i sadducei, gli zeloti, gli esseni di Qumran, la comunit di Giovanni il Battista, gli ebrei della diaspora), non tanto con tendenze separatistiche miranti a rompere con la chiesa universale di Yhwh, quanto piuttosto nello sforzo di rinnovare nel suo insieme tale chiesa universale. Lidentit dei diversi gruppi dipende non da ultimo dalle rispettive comprensioni di chiesa (con diversi atteggiamenti nei confronti del tempio, dellosservanza della Torah, del paese, della potenza di occupazione). a) La concentrazione di Ges su Israele Proprio questo il contesto in cui venne a trovarsi Ges e in cui dovette prendere posizione sul problema della chiesa; e lo ha fatto, anche se non possibile dimostrare che abbia parlato di ekklesa o di qahal di Dio. Nel complesso oggi indiscusso che Ges abbia voluto dare avvio alla raccolta definitiva, escatologica, di tutto Israele e lo ha voluto come messaggero escatologico (cfr. Mc 12,6) e come sapienza di Dio23. Lo possiamo affermare in base ad alcuni indizi.

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H. CONZELMANN, Eschatologie II, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart II, 3a ed. 1956-1965, 668. H. CONZELMANN, Grundriss der Theologie des Neuen Testament (Mnchen 1968) 50. 22 W. TRILLING, Ecclesiologia implicita. Proposta sul tema Ges e la Chiesa , in ID., Lannuncio di Ges. Orientamenti esegetici (Brescia: Paideia, 1986) 73-97. 23 Mc 12,6: Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo invi loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!: Mt 12,41-42: Quelli di Ninive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perch essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c' pi di Giona! La regina del sud si lever a giudicare questa generazione e la condanner, perch essa venne dall'estremit della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c' pi di Salomone!.

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Come nel caso del Battista, cos anche in quello di Ges il messaggio e la prassi sono caratterizzati dallattesa prossima: la situazione si fatta grave; non c pi tempo; bisogna prendere una decisi one definitiva. Per questo il Battista vuole riportare il popolo di Dio nella condizione dellantico Isr aele, affinch impari di nuovo a fidarsi del suo Dio; dal deserto, attraverso lacqua del Giordano proprio nel punto in cui, secondo la tradizione, Giosu laveva fatto attraversare ai figli della generazione del deserto per introdurli nella terra promessa , egli vuole fargli riattraversare i confini della terra promessa. Lintero Israele sta sotto la minaccia della collera di Dio, e non pu rivendicare come garanzia di salvezza la propria appartenenza alla stirpe di Abramo (Mt 3,9). Soltanto un inizio totalmente nuovo, pu salvare ancora il popolo di Dio. Pure Ges si reca da Giovanni, entra nella situazione di deserto creata dal Battista e si lascia immergere nel Giordano. Tuttavia per lui ci che imminente non il giudizio come nel Battista, bens la salvezza. La basilia di Dio si avvicinata (Mc 1,15, Lc 10,9)24, e precisamente nel senso che diventa gi presente (Lc 11,20; 17,20s.)25. Questa escatologia del presente costituisce unulteriore differenza dal Battista. Naturalmente la presenza della salvezza non elimina limminenza, ci che ancora manca della salvezza. Perci non solo nel Battista, bens anche in Ges la costellazione escatologica spinge ad agire: Israele deve lasciarsi radunare nel vero popolo di Dio, perch il kairs giunto; ma finch Israele non convertito, non ha ancora preso la sua decisione per il Vangelo, la basilia, sicuramente vicina, non ancora del tutto presente (cfr. Lc 14,15-20). b) Ges opera in territorio ebraico Prima di osservare da vicino i detti e i gesti di Ges, osserviamo una caratteristica della sua missione: nella sua attivit egli si concentrato sul territorio ebraico. Nazaret, Nain, Cana, Cafarnao, Chorazin e Betsaida sono localit da lungo tempo abitate da una popolazione ebraica. Non esiste neppure un solo motivo che induce a pensare che Ges abbia mai abbandonato il territorio ebraico per dedicarsi a insegnare tra i pagani. Quando egli abbandon il territorio ebraico (Mc 5,1; 7,24; 8,27)26, in realt dovrebbe aver lavorato tra gruppi ebrei marginali residenti in territori di confine. I relativi testi non dicono infatti sorprendentemente che egli sia entrato in Gerasa, Tiro o Cesarea di Filippi, ma

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Mc 1,15: Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete al vangelo; Lc 10,9: curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si avvicinato a voi il regno di Dio. 25 Lc 11,20: Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, dunque giunto a voi il regno di Dio; 17,20-21: Interrogato dai farisei: Quando verr il regno di Dio?, rispose: Il regno di Dio non viene in modo da attirare lattenzione, e nessuno dir: Eccolo qui, o: eccolo l. Perch il regno di Dio in mezzo a voi!. 26 Mc 5,1: Intanto giunsero allaltra riva del mare, nella regione dei Gerasni; 7,24: Partito di l, and nella regione di Tiro e di Sidone; 8,27: Poi Ges part con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesara di Filippo.

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parlano sempre del territorio delle campagne, che circondava ognuna di queste antiche citt-stato. Ovviamente Ges poteva imbattersi in pagani dappertutto, anche in territorio ebraico. In occasione di tali incontri egli ha pi volte guarito anche pagani. Ma nella tradizione sinottica queste guarigioni di pagani sono espressamente narrate come eccezioni: tanto nella storia del centurione di Cafarnao (Lc 7,1-10) quanto in quella della sirofenicia (Mc 7,24-30) viene esplicitamente rilevato il riferimento a Israele: Neanche in Israele ho trovato una fede cos grande (Lc 7,9); Non bene prendere il pane dei figli [cio di Israele] e gettarlo ai cagnolini (Mc 7,27). In questo contesto non si pu ignorare che, vicino ai luoghi dellattivit di Ges, esistevano numerose citt di tipo ellenistico con popolazione prevalentemente pagana o perlomeno forti gruppi di popolazione pagana: ad es. Sefforis, Scitopoli, Hyppos, Gadara, Gerasa, Cesarea di Filippi, Tiberiade. Non sembra che Ges abbia operato in alcuna di tali citt. Forse durante la sua attivit pubblica le ha addirittura evitate intenzionalmente. Viceversa sale a Gerusalemme, cio l ove Israele concentrato e rappresentato. Chi voleva parlare a tutto Israele, doveva farlo in Gerusalemme. Tutto ci non un caso, ma mostra che Ges ha consapevolmente operato solo in Israele (cf. Mt 10,5-6). Una comparsa tra i pagani sarebbe stata certo possibile e forse sarebbe stata coronata da grande successo. Tuttavia Ges si concentra su Israele, perch di fronte allimminente basilia deve radunare il popolo di Dio. quanto dimostra in maniera chiarissima la seguente azione simbolica. c) La missione dei Dodici Da una cerchia pi ampia di discepoli Ges ne ha scelto dodici e li ha mandati a due a due: Ne costitu Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perch avessero il potere di scacciare i demoni (Mc 3,14; cfr. 6,7 e Mt 10,6). Laoristo epoesen indica un evento irripetibile, verificatosi in un luogo determinato e in un tempo determinato. Con un gesto dimostrativo, che rimane impresso nella memoria, Ges costituisce un gruppo di dodici discepoli. Il numero dodici pu riferirsi solo al numero delle trib dIsraele. Ma le dodici trib costituiscono un punto centrale della speranza escatologica dIsraele. Infatti anche se allora il sistema delle dodici trib non esisteva pi da lungo tempo a parere dei contemporanei ormai sopravvivono solo due trib e mezzo: Giuda, Beniamino e la met di Levi , si spera per il tempo salvifico escatologico la piena restituzione del popolo delle dodici trib. Gi la parte finale del libro di Ezechiele descrive in modo programmatico come le dodici trib, richiamate in vita alla fine dei tempi, ricevono la parte definitiva della terra loro destinata (37; 39,23-29; 40-48). Sullo sfondo di questa speranza la costituzione di dodici discepoli da parte di Ges pu essere interpretata solo come un gesto escatologico di compimento posto consapevolmente. I Dodici illustrano la rinascita e il raduno dIsraele, avviati da Ges, nel popolo 64

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escatologico delle dodici trib27. Simboleggiano tale raduno gi per il fatto che sono costituiti come Dodici, ma poi anche perch poco dopo (o subito?) sono mandati a tutto Israele (Mc 6,7-13). Ma la costituzione e linvio dei Dodici non simboleggiano solo la volont di Ges di radunare lIsraele escatologico. Tale azione simbolica va vista anche nel contesto del suo messaggio della basilia. I Dodici devono infatti predicare il regno di Dio (Mc 3,14; Lc 9,12) e renderlo presente con la cacciata dei demoni (Mc 3,15; 6,7). Anzi, dobbiamo spingerci ancora pi avanti: non solo la loro attivit, bens gi essi stessi e il fatto della loro missione sono segni della basilia che ora si sta manifestando. Con la loro esistenza e la loro attivit essi simboleggiano la pretesa di Dio su tutto Israele, e precisamente di un Israele che si sottomette completamente alla sua sovranit. Equivarrebbe naturalmente a sottovalutare in maniera grave la dimensione profonda di una simile azione simbolica, se la considerassimo solo come illustrazione o dimostrazione. Essa certamente luna e laltra cosa. Ma oltre a ci unazione che d inizio al futuro, che si realizza anticipatamente gi nel segno posto in maniera profetica e in tale sua realizzazione germinale prospetta gi il futuro. Con la costituzione dei Dodici e con la loro predicazione del regno di Dio comincia gi lesistenza dellIsraele escatologico, in cui la sovranit di Dio abbraccer tutto. Per il resto, nella creazione dei Dodici si manifesta quella correlazione tra regno di Dio e popolo di Dio, senza la quale non si comprende Ges. La basilia ha bisogno di un popolo in cui potersi imporre e da cui poter irradiare. Altrimenti non sarebbe localizzabile. Se a proposito di Ges possiamo parlare di una istituzione o fondazione, lo possiamo fare anz itutto in relazione alla istituzione e creazione dei Dodici. Tale azione simbolica, nel mentre esprime la pretesa di Ges, possiede addirittura una dimensione giuridica. Soltanto che essa non si riferisce a una Chiesa di nuova fondazione, bens allIsraele da radunare. d) Le parole di condanna su Israele I vangeli di Matteo e di Luca contengono un numero relativamente grande di parole di condanna pronunciate da Ges su Israele. Tra di esse vanno annoverate la sentenza di Mt 8,11s., inoltre le sentenze contro Corazin e Betsaida (Lc 10,13s.), contro Cafarnao (Lc 10,15), contro Gerusalemme (Lc 13,34s.) e soprattutto contro questa generazione (cfr. spec. Lc 11,29-32.49-51). Quasi tutte queste parole di condanna sono pervenute attraverso la fonte dei lghia e dovrebbero aver avuto un preciso Sitz im Leben nella missione postpasquale verso Israele (pi precisamente: nel suo fallimento). Ci

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Si noti che il numero dodici non indica solo che tutto Israele chiamato, bens anche che ora si tratta di creare lIsraele escatologico, il quale torner ad essere un popolo di dodici trib.

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non esclude naturalmente affatto che esse risalgano a Ges stesso. Gli elementi loro comuni sono i seguenti. Se astraiamo da Lc 10,13-15ab, esse si riferiscono a tutto Israele. Particolarmente chiaro ci risulta nelle parole su questa generazione. Questa generazione indica la generazione dIsraele attualmente vivente, che messa di fronte al messaggio e alla prassi escatologica di Ges. Che si tratti del destino di tutto Israele risulta chiaro anche dal fatto che in Mt 8,11s.; Lc 10,13s. e Lc 11,29-32 i pagani sono antiteticamente contrapposti al popolo di Dio. Queste parole di condanna fanno pensare a un ripudio definitivo dIsraele. Ges non le ha sicuramente pronunciate allinizio della sua attivit pubblica. Esse presuppongono una attivit piuttosto lunga da parte sua, anzi sono state pronunciate verosimilmente nella situazione in cui si andava delineando la sua morte violenta. Esse mostrano che per Ges Israele entrato nella crisi decisiva della sua storia. Naturalmente la decisione del popolo non ancora definitiva. C ancor sempre unultima speranza che gli uditori di Ges comprendano i segni del tempo e si rendano conto della loro situazione28. Proprio per questo Ges adotta anche la forma iperbolica del linguaggio di condanna. La gravit della minaccia mira a provocare una conversione allultimo momento. Molto sorprendente il modo e la frequenza con cui Ges attacca singole citt dIsraele o addirittura tutto il popolo come un collettivo. Non avrebbe dovuto distinguere pi accuratamente tra la parte del popolo che opponeva un rifiuto, da un lato, e i suoi discepoli e simpatizzanti, dallaltro? Luniversalit delle minacce non dovrebbe dipendere solo dal genere letterario, ma avere motivi pi profondi. Questi dovrebbero consistere soprattutto nel fatto che Ges ha a cuore appunto tutto Israele. Egli non vuole conquistare solo una parte del popolo, tanto meno fondare una comunit-resto; per lui tutto dipende dal fatto che tutto il popolo di Dio, inclusi i suoi capi, accolga la basilia. Si tratta di una situazione simile a quella successiva di Paolo. Neppure costui si contenta che rimanga eletto un resto dIsraele. Tutto Israele deve essere salvato (Rm 11,26). e) I discepoli di Ges Le parole di condanna contro Israele segnano chiaramente una cesura nellazione di Ges. Come sono andate le cose dopo? Ges, una volta constatata lindifferenza del popolo, ha modificato la finalit della sua attivit e da quel momento si concentrato sul gruppo dei discepoli, per farne il nucleo di una futura Chiesa? Pu certamente essere che alla fine Ges si sia dedicato maggiormente

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Lc 12,54-57: Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e cos accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sar caldo, e cos accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?.

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allistruzione dei discepoli. In tal modo per egli non mut affatto lessenza e il compito del loro gruppo. Durante il tempo di Ges questo ebbe dallinizio alla fine lo stesso compito. Quale? Ma prima ancora, chi sono questi discepoli? (1) Chi sono i discepoli. Tra gli abitanti di Israele che ascoltano Ges e gli credono dobbiamo distinguere, in linea di principio, due gruppi. Abbiamo anzitutto coloro che accolgono il messaggio di Ges ma rimangono nel loro villaggio o nella loro citt per attendervi il Regno di Dio, il gruppo dei simpatizzanti sedent ari29. Dove Ges passa, lascia dei seguaci, che con le loro famiglie attendono il Regno e che accolgono lui e i suoi messaggeri; si trovano in tutto il paese, soprattutto in Galilea, ma anche in Giudea, per es. a Betania e nella Decapoli (Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: Va nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ci che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato. Egli se ne and e si mise a proclamare per la Decpoli ci che Ges gli aveva fatto: Mc 5,18-20). Soprattutto per nei vangeli si trovano, accanto allethos radicale e senza compromessi dei discepoli che seguivano Ges nei suoi spostamenti, anche segni di un comportamento morale che rispecchia chiaramente le condizioni di vita della famiglia, della professione, del vicinato e dei villaggi (cfr. Mc 10,2ss. 13ss; Mt 6,16; 23,1ss; 18,20). Di questi discepoli alcuni li conosciamo anche per nome, come ad esempio Giuseppe di Arimatea, un membro autorevole del sinedrio, di cui leggiamo che aspettava il Regno di Dio (Mc 15,43). Non lo faceva certamente a prescindere dal messaggio di Ges. Deve aver apprezzato e rispettato Ges, come mostra lepisodio del sepolcro (Mc 15,42-47). In questo contesto dobbiamo ricordare anche Zaccheo a Gerico, trasformato in un uomo nuovo dallincontro con Ges. Egli promette di dare in futuro la met dei suoi beni ai poveri, e di restituire quattro volte tanto ci che ha frodato; e Ges parla della salvezza che entrata in questa casa, cio in Zaccheo e nella sua famiglia (Lc 19,8s.). Ma lesempio pi bello di seguace sedentario di Ges Lazzaro, che abita a Betania (Gv 11,1). Egli viene chiamato discepolo e amico di Ges (Gv 11,11). Dai seguaci di questo tipo vanno invece distinti i discepoli in senso proprio. Il termine greco corrispondente (mathets) dovrebbe essere tradotto propriamente con allievo; in questo modo apparirebbe subito evidente che almeno per quanto riguarda la terminologia sullo sfondo c il rapporto rabbinico maestro-allievo. Lo stesso vale del termine seguire. Ogni volta che nel vangelo

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G. THEISSEN, Ges e il suo movimento. Analisi sociologica della comunit cristiana primitiva (Torino: Claudiana, 1979) 31-38.

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leggiamo che i discepoli seguono Ges, la parola va intesa alla lettera: quando egli si spostava, essi camminavano alcuni passi dietro di lui, esattamente come gli allievi della Torah si muovevano dietro il loro rabbi, sempre a rispettosa distanza. Questo gruppo composto da coloro che insieme con Ges percorrono le strade polverose della Palestina e che la contemporanea ricerca sociologica chiama i carismatici itineranti30. Essi sono quelli che hanno seguito la chiamata di Ges e che per lui hanno lasciato case, campo, famiglia, lavoro e propriet per andare insieme con Ges sulle strade della Palestina e della Siria in unevidente povert, senza denaro, calzature, bastone e provviste e con un solo vestito (cfr. Mc 1,16ss; 3,21; 10,28ss; Lc 5,1ss; 14,26; Mt 10,10). Quando in Mt 6,34 si dice: Non affannatevi dunque per il domani, perch il domani avr gi le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena, trova probabilmente espressione unesperienza quotidiana normale per una comunit di persone senza patria e protezione e completamente libere. Questa cerchia di discepoli che seguono Ges un gruppo ben circoscritto. Quando un sabato i discepoli strappano delle spighe, viene chiesto a Ges: Vedi, perch essi fanno di sabato quel che non permesso? (Mc 2,24). Agli occhi dei sorveglianti Ges dunque responsabile dei propri discepoli come ogni dottore della legge responsabile dei propri allievi. Tuttavia i discepoli di Ges si distinguono sotto molti punti di vista da quelli dei rabbini. Non lo seguono perch vogliono imparare la Torah, ma perch hanno udito il messaggio di Ges sulla vicinanza del Regno di Dio. Non sono loro a scegliersi il maestro come fanno di solito gli allievi dei rabbini; Ges che li chiama (Lc 9,59)31; anzi, essi sono destinati a rimanere discepoli perch uno solo il Maestro (Mt 23,10). Egli li chiama a una sequela che esige da loro la rinuncia al lavoro finora condotto e labbandono della famiglia (cfr. Mc 1,16-20). La durezza di questa richiesta appare in piena luce in un detto di Ges, che originariamente doveva suonare cos (Mt 10,37 = Lc 14,26): Chi non odia padre e madre non pu essere mio discepolo. Chi non odia figlio e figlia non pu essere mio discepolo. Ges esige quindi dai suoi discepoli il distacco deciso dalla famiglia: questo vuol dire odiare. Alla famiglia e ai legami finora coltivati subentra la comunione di vita con Ges e con chi compie la volont di Dio (Mc 3,35), ossia la nuova famiglia dei discepoli, ai quali stato confidato il mistero del regno di Dio (Mc 4,10s). Questa comunione di vita significa qualcosa di pi che un essere attorno al maestro per imparare la Torah in base ai suoi insegnamenti e al suo stile di vita. La comunione di vita con Ges comunione di destino. Essa arriva al punto che il di-

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THEISSEN, Ges e il suo movimento, 20-30.

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scepolo deve essere pronto a subire la stessa sorte di Ges, se il caso perfino la persecuzione o lesecuzione capitale: Chi non prende la sua croce e non mi segue non degno di me (Mt 10,38). Malgrado queste esigenze radicali, non dobbiamo immaginarci la cerchia dei discepoli di Ges come un gruppo molto ridotto. In ogni caso, pi ampia del gruppo dei Dodici32. Lequivalenza tra discepoli e Dodici una schematizzazione di Matteo. Conosciamo il nome di tre persone che appartenevano ai discepoli di Ges, ma non ai Dodici: Cleofa (Lc 24,18), Giuseppe Barsabba e Mattia (At 1,23). Sono pure conosciute nominalmente cinque donne che seguivano Ges e lo assistevano con i loro beni: Maria di Magdala, Giovanna moglie di Cusa, Susanna, Maria madre di Giacomo e Salome (Lc 8,1-3; Mc 15,40s.). dunque opportuno non ridurre troppo la cerchia dei discepoli di Ges. (2) Qual la funzione dei discepoli. Ma molto pi importante linterrogativo seguente: perch Ges, oltre ai Dodici, ha chiamato dei discepoli? La risposta migliore ci viene data da Lc 10,2 (par. Mt 9,37s.): La messe molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perch mandi operai per la sua messe. Il padrone della messe ovviamente Dio. La messe unimmagine biblica antichissima per indicare il giudizio, ma anche per indicare il tempo salvifico escatologico. La raccolta della messe deve indicare il raduno di Israele nel popolo di Dio degli ultimi tempi. Gli uomini che aiutano in questo movimento di raduno, dice Ges, non sono mai troppi. Poich il tempo incalza come nei giorni della mietitura. Ges ha perci chiamato e inviato i discepoli al lavoro nella messe escatologica (Mc 1,17). Essi sono collaboratori di Ges nel raduno dIsraele di fronte allimminente basilia. Quando per Israele nel suo insieme rifiuta il messaggio di Ges, alla cerchia dei discepoli viene assegnata unaltra funzione. Essa riceve ora il compito di rappresentare simbolicamente nella loro esistenza, come singoli e come comunit, quanto deve avvenire in tutto Israele: la piena dedizione al vangelo del regno di Dio, la conversione radicale a uno stile nuovo di vita, la comunicazione non violenta e non dominante, il raduno in una comunit fraterna. Qui si dovrebbe propriamente esporre tutto linsegnamento impartito da Ges ai discepoli, cosa che ora non possiamo fare. Ci limiteremo a mettere in luce quattro elementi che qualificano la comunit dei discepoli.

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Lc 9,59: A un altro disse: Seguimi. E costui rispose: Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio p adre. In Luca il simbolismo completato dal gruppo dei settanta o settantadue, che rappresenta il cerchio pi ampio dei discepoli (Lc 10,1-20). Poich secondo lantica tradizione con questo numero si indicava il numero dei popoli (non ebrei) del mondo (Gn 10; Es 1,5; Dt 32,8), questi settanta discepoli indicano lesigenza che lIsraele escatologico abbra cci tutti i popoli della terra. Il movimento di raccolta escatologica di Ges avviene dunque in particolari, determinate comunit, ma in modo tale che esse rappresentino e significhino la totalit di Israele e dellumanit.

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(I) una comunit chiamata alla sequela. Che cosa sia il Regno di Dio non si d in maniera precostituita facendo astrazione dalla risposta pratica di coloro che lo accolgono o rifiutano, ma solo nella mediazione della fede, che concorre a dare figura al messaggio stesso. Ges infatti non annuncia il regno di Dio in generale, ma si indirizza a destinatari differenziati: i Dodici, i discepoli, la folla, i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani. In questa differenza si situa anche la dinamica del diverso modo con cui il vangelo offerto e accolto. Se tutte le risposte conferiscono a dare un volto al Regno e al suo annunciatore ( un profeta, Elia, Giovanni Battista, un indemoniato, un bestemmiatore), solo chi chiamato da Ges e acconsente a vivere con lui pu essere istruito sullidentit del Regno di cui parla e sul grado di implicazione di questo Regno con colui che lo porta (Mc 4,10). Ecco perch Ges chiama a s dei discepoli perch stiano con lui e per mandarli a predicare (Mc 3,14). Notiamo che in questo atto sono gi presenti le modalit del prendere-con di Ges e dello stare-con lui, allo scopo di essere mandati-per. Comunione e missione sono gi dinamiche presenti mentre Ges ancora allopera nel suo ministero. La comunit credente non prolunga lazione di Ges una volta venuto meno lui, ma allopera mentre Ges presente e attivo. La prima caratteristica dice che la comunit dei discepoli tutta concentrata su Ges: Sal poi sul monte, chiam a s quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costitu Dodici che stessero con lui (Mc 3,13-14). Lo stare con Ges dunque il momento fondante e permanente della comunit, non un aspetto transitorio. Questo stare con Ges presenta alcuni aspetti assai interessanti. Ges chiama a s quelli che vuole, come a dire che la chiamata un dono libero del Signore. Ci non mette in luce tanto larbitrariet della chiamata, ma il fatto che il discepolo non pu creare la rel azione con Ges, bens riceverla in dono da lui, non pu meritarla, ma essa il frutto della libert di chi chiama. Inoltre il discepolo vive continuamente alla presenza di Ges, sta con lui, ascolta il maestro, lo segue ovunque vada, lo interroga e da lui viene istruito sulla qualit del vangelo (Mc 4,34). Lo stare con Ges non pu essere superato, non un momento introduttivo, ma una costante della comunit dei discepoli. Infine, il discepolo vive la sua relazione con Ges con domande, dubbi, incomprensioni, persino cadute e tradimenti. Egli ha intrapreso una strada di cui solo Ges conosce la meta e possiede la capacit di giungere fino in fondo (Ges annuncia che la croce il destino del discepolo: Mc 8,34; daltra parte, quando si profila questa eventualit, egli il primo a dispensarne i discepoli: Gv 18,8). Questa la regola essenziale della comunit: percepire il proprio stare con Ges come il frutto di una chiamata sovranamente libera, che quindi deve essere sempre assunta responsabilmente e mai pu essere lasciata alle spalle. (II) una comunit inviata per lannuncio. Il gruppo dei discepoli costituito in vista della missione. Questo avviene gi allinizio del ministero di Ges, non quando egli vede ormai profilarsi 70

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allorizzonte la sua fine tragica. La missione dei discepoli cresce e si sviluppa con quella di Ges, perch la missione della comunit non pu superare Ges, ma deve ricondurre a quellultima Parola che la storia di Ges che ci rivela la verit di Dio. Inoltre il compito affidato ai discepoli descritto contenutisticamente negli stessi termini con i quali presentata lattivit di Ges: E and per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demni (Mc 1,39). Queste due dimensioni della missione di Ges, fatta di parole (predicando) e di azioni di salvezza (scacciando i demni) sono le medesime che definiscono lo scopo per cui sono costituiti i Dodici. La comunit dei discepoli quindi rende presente la missione di Ges. Infine, si deve notare una stretta relazione tra lo stare-con-Ges e lessere-mandati-per. Il primo momento della comunione dei discepoli con Ges e tra di loro non viene superato e trasceso nel momento della missione. Ne il momento costitutivo: lattuazione del compito apostolico resa possibile dallo stare-con-Ges, dallesperienza permanente dellessere radicati in lui: solo lo stare con Ges, il vedere e il toccare con mano il Verbo della vita (1Gv 1,1-3) consente di annunciare in maniera univoca ci che una semplice istruzione verbale potrebbe fraintendere. Non ammissibile un annuncio o unazione di liberazione dal demonio senza una crescente esperienza della comunione con Ges. Per questo lo stare con Ges il momento interno della missione apostolica. (III) una comunit trasparente. Essa, infatti, deve rappresentare simbolicamente nella sua esistenza quanto deve avvenire in tutto Israele. La sequela, che caratterizza il gruppo dei discepoli e ne plasma lesistenza, non lo chiude nei confronti del resto dIsraele. Infatti la radicalit di una nuova esistenza richiesta a tutti in Israele, anche agli aderenti di Ges che rimangono legati al luogo in cui risiedono. Diverse sono solo le forme concrete di tale radicalit, che debbono corrispondere alla rispettiva situazione delle singole vite. Ges non ha chiamato tutti gli uomini dIsraele a divenire discepoli, per ha chiamato tutti a entrare pienamente nel regno di Dio. Il gruppo dei discepoli non si distingue quindi in linea di principio per una pi grande radicalit del restante Israele, bens solo per il fatto che vive la forma di esistenza sua specifica della sequela, o anche per il fatto che entrato gi ora in quella dedizione al regno di Dio, che tutto Israele deve vivere33. Inoltre, Ges non presen-

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In tal senso, ad esempio, Helmut Merklein piuttosto critico nei confronti dellidea di un doppio ethos, quello dei carismatici itineranti e quello dei simpatizzanti residenti (che ripeterebbe sotto altri termini la distinzione fra unetica delle vocazioni speciali o etica dei consigli e letica dei fedeli comuni o etica dei precetti). Perci suggerisce che: lethos dei discepoli non un caso particolare, bens soltanto un concreto caso speciale dellethos generale. Se ne ha conferma nella tradizione sinottica, nella quale le esigenze della sequela non appaiono come ethos particolare, ma sono tramandate come paradigmi della fede per la comunit. Ci significa che in determinate situazioni quanto richiesto al discepolo nella sua situazione concreta di messaggero della signoria di Dio pu farsi critico anche per i fedeli residenti,

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ta mai lappartenenza alla cerchia dei suoi discepoli come condizione per entrare nel Regno di Dio. Perci chiaro che il gruppo dei discepoli non il santo resto dIsraele e tanto meno una nuova comunit allinterno o al di fuori del popolo di Dio, comunit che Ges, una volta riscontrata una crescente opposizione, avrebbe fondato come surrogato o alternativa a Israele. Infatti, sintomatico che Ges, per interpretare il proprio modo di agire nei confronti del popolo di Dio, non abbia ripreso lidea di resto coniata da Isaia34. Egli continua a rivolgere il suo appello a tutto Israele. Perci non lecito intendere la comunit dei discepoli di Ges sul modello di Qumran. Essa pu essere capita solo nel suo rapporto e nella sua funzione di segno nei confronti dellinsieme di Israele. Essa deve rappresentare come segno ci che Israele dovr diventare. In questo senso certo mai in maniera indipendente da Ges, bens sempre e solo in unione a lui segno dellimminente Regno. Questo perch la verit di Dio che salva pu mostrarsi solo nella vita di un popolo che ne vive lidentit radicale fondandovi la propria esistenza. Per questo la legge del Vangelo ha un significato immediatamente teologico, non solo perch essa motivata a partire dallagire di Dio (Mt 5,44-45: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perch siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti), ma anche perch nel comportamento del discepolo lagire stesso di Dio che diviene visibile nel mondo (Mt 5,16: risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, perch vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che nei cieli; fino alla proclamazione estrema: siate perfetti come perfetto il Padre vostro celeste). Poich la manifestazione della verit di Dio inseparabile dalla sua appropriazione, la rivelazione di Dio in Ges non riguarda solo la sua iniziativa, ma coinvolge gli interlocutori la cui reazione concorre a determinarne levidenza. (IV) La differenza di Ges: nessuno pi del maestro. Se vero che nellagire del discepolo pu essere riconosciuta lidentit di Dio, rimane vero che leccesso fra Dio e luomo colmato solo da Ges. Egli il maestro che non pu essere sostituito: solo lui vive delleccesso di Dio che allorigine delle beatitudini, del comandamento dellamore ai nemici Esemplifichiamo il nostro assunto riferendoci emblematicamente a un episodio che testimonia alcune tensioni allinterno del gruppo, e che torna ben due volte nel vangelo di Marco (9,33-37; 10,35-

soprattutto quando ladesione a tutti richiesta allevento della signoria di Dio porta al conflitto con le norme sociali correnti: ID, La signoria di Dio nellannuncio di Ges (Brescia: Paideia, 1994) 158. 34 Proprio questa idea era di grande attualit ai tempi di Ges. Gli esseni di Qumran interpretavano lesistenza della loro comunit in mezzo a Israele sulla falsariga dellidea del resto: erano convinti di essere il santo resto di Israele eletto da Dio; tutti gli altri giudei, che non appartenevano alla loro comunit e non si santificavano insieme con loro, erano considerati massa dannata. Gli esseni consideravano se stessi figli della luce, tutti gli altri figli delle tenebre.

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40): la discussione lungo la via su chi fosse il pi grande (9,34); la pretesa di Giacomo e Giovanni di sedere nel Regno alla destra e alla sinistra di Ges (10,35-37). Si tratta di tensioni allinterno della comunit, dove emergono invidie, gelosie, problemi di prestigio e di posto, di rango e di onore. Si noti che i due episodi sono situati dopo il secondo e il terzo annuncio del destino di Ges e quindi appaiono in stridente contrasto con la missione di Ges che va precisandosi con le caratteristiche del servo. Lincomprensione dei discepoli appare grande. Ma Ges non si scoraggia, riprende il suo insegnamento con un gesto profetico e con la parola che illumina. Nel primo episodio levangelista riprende: Allora, sedutosi, chiam i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia lultimo di tutti e il servo di tutti. E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato (9,35-37). Ges compie lazione profetica di porre nel mezzo un bambino, uno dei tanti piccoli, che egli stesso aveva accolto e indica la legge del servizio degli ultimi e di tutti. Si tratta di un servizio-accoglienza da compiere nel suo nome, perch accogliendo cos si accoglie Ges come colui che inviato da Dio. Nel secondo episodio Ges, dopo aver messo in guardia i due discepoli dal senso della loro richiesta risponde: Allora Ges, chiamatili a s, disse loro: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi per non cos; ma chi vuol essere grande tra voi si far vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sar il servo di tutti. Il Figlio delluomo infatti non venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (10,41-45). Anche qui abbiamo una parola di Ges, prima con un confronto in negativo, poi con unindicazione in positivo e infine con la presentazione di una figura esemplare che qualifica il modo della missione di Ges. Notiamo gli elementi essenziali presenti nelle due risposte di Ges. La prima reazione di Ges registra il fatto che il Signore riprende la chiamata originaria: sedutosi, chiam i Dodici (9,35), allora, chiamatili a s (10,41). Di fronte alle difficolt, allinsorgere delle tensioni e discussioni Ges li rinvia alla vocazione originaria. Le tensioni si risolvono ritornando al senso della vocazione di Ges, approfondendo la chiamata, assumendo nuovi criteri di convivenza. La chiamata progressiva, lo stare con Ges prevede una crescita. Alla progressiva rivelazione del mistero di Ges corrisponde la graduale comprensione della propria chiamata. Poi Ges presenta la misura della grandezza dei discepoli, indicandola nel servizio alla comunit rivolta verso tutti gli altri (cfr. 9,35; 10,43-44). Anzitutto Ges non disprezza la domanda dei discepoli, non demonizza il loro desiderio di essere primi e grandi, non reprime il senso della loro discussione. Ges per introduce un orientamento diverso, educa il desiderio, orienta la volont dei discepoli: il principio regolatore e il criterio della grandezza sono il servizio della comunit. 73

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Del servizio viene indicato il movimento: questo servizio non sar rivolto solo alla comunit, ma cominciando da essa dovr poi irradiarsi verso tutti gli uomini (si noti il parallelismo in crescendo di 10,43-44 chi vuol essere grande tra voi si far vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sar il servo di tutti). Il servizio che anima la comunit segno e strumento di un servizio tendenzialmente rivolto a tutti, che non pu e non deve ripiegarsi sulla comunit. La comunit cos il segno di un dinamismo della carit che partendo dalla comunione non si rinchiude nel gruppo, ma si apre al mondo. Inoltre viene indicata la figura esemplare del servizio: prima in modo negativo, ricordando la maniera con cui i capi delle nazioni spadroneggiano sulle comunit che pure dovrebbero servire ed escludendo qualsiasi contaminazione nella vita dei discepoli (Fra voi per non cos: si noti lindicativo!); poi in modo positivo, mediante il gesto profetico di porre in mezzo il bambino. La cura gelosa dei piccoli e degli ultimi il servizio esemplare e il criterio decisivo della comunit. Nei confronti di questi si deve assumere lo stesso atteggiamento di Dio che si prende cura dellorfano e della vedova. Essi sono come la pupilla del suo occhio, sono al suo sguardo il bene pi prezioso. Infatti, da questi non deriva alcuna gratificazione o applauso, ma unassunzione di responsabilit. La cura dei piccoli non quindi una forma di infantilismo o una tattica strumentale della comunit, ma un segno che rimanda a quella capacit di mettere in mezzo colui che venuto per servire. Si pu partire dai piccoli e dagli ultimi con il segreto desiderio di arrivare tra i primi! Per questo il piccolo figura esemplare, ma non criterio assoluto: esso deve essere accolto nel suo nome, cio nella sua forza salvifica, nel suo stile. Ma in tal modo si accoglie Ges come rivelatore del volto del Padre che ci dona-invia il Figlio suo. Solo Ges dunque il criterio assoluto del servizio alla e nella comunit rivolta a tutti. Quindi bisogna custodire gelosamente la differenza del servizio di Ges. Perci nel secondo testo (10,45) la figura esemplare quella del servizio di Ges che venuto per servire e in parallelo si spiega dare la sua vita in riscatto per molti. I poveri li avremo sempre con noi, di piccoli saremo sempre circondati, gli ultimi saranno sempre ai margini di questa societ, ma se non verremo evangelizzati dal gesto di Ges, essi potranno gridare alla nostra porta ma noi non avremo orecchi per intendere. Perci bisogna tenere in gran conto la figura esemplare del servizio di Ges, che da ricco che era si fatto povero per noi, per arricchire noi con la sua povert (2Cor 8,9). Per questo non bisogna temere con la donna del vangelo di sprecare lolio preziosissimo per riconoscere il gesto di Ges: Perch tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere questolio a pi di trecento denari e darli ai poveri! Ed erano infuriati contro di lei (cfr. Mc 14,4-5). Senza questo spreco, senza questo gesto disinteressato che custodisce la differenza della carit di Ges, che contempla la misura incalcolabile della sua de-

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dizione, i poveri potrebbero diventare il pretesto per la nostra carit. Per questo dovunque, in tutto il mondo, sar annunziato il vangelo, si racconter pure in suo ricordo ci che ella ha fatto. La storia di Ges la storia del costituirsi delle relazioni che la parola del Regno instaura e entro le quali Ges si delinea come lunico portatore dellunivocit del suo senso. Per i discepoli laccesso al senso compiuto del Vangelo coincide con la conoscenza del legame che esso ha con la persona di Ges. Registrando lo scarto tra Ges e i discepoli, la narrazione evangelica illustra insieme la discontinuit e lunit tra la fede pasquale e la storia di Ges. Lunit assicurata da Ges, il quale anticipa ci che i discepoli comprenderanno solo dopo. Dopo la lavanda dei piedi, Ges chiede loro: Sapete ci che vi ho fatto? (Gv 13,12). I discepoli non lo sanno e tantomeno comprendono, come risulta dalla resistenza di Pietro al gesto di Ges. Egli per anticipa loro, iscrive nel loro cuore, ci che solo dopo, mediante il travaglio della memoria, potranno capire: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo (Gv 13,7). Perci i discepoli non prolungano la storia di Ges, ma dopo accederanno alla comprensione della verit di Dio che Ges, e solo lui, ha realizzato. Il superamento dello scarto che sigilla linaccessibilit teorico-pratica della verit del crocifisso suppone la nuova iniziativa di Dio: la manifestazione del Risorto. Questa introduce i discepoli nella verit di Ges realizzata sulla croce e anticipata da Lui nel gesto dellultima cena. Nel manifestarsi del Risorto Dio rivela se stesso rivelando che il crocifisso la sua rivelazione, poich mostra che la sua morte determina lessere di Dio e ne condivide la permanente attualit. Nella manifestazione di Ges da parte di Dio la morte di Ges diviene reale anche per i discepoli nellatto di Dio che ne com unica il senso. La morte di Ges attualmente presente poich latto di Dio la mantiene come la forma della sua comunicazione alluomo. Levangelista Giovanni, dopo aver visto sgorgare dal fianco squarciato di Ges sangue e acqua (Gv 19,34), pu cos commentare: Chi ha visto ne d testimonianza e la sua testimonianza vera ed egli sa che dice il vero, perch anche voi crediate (19,35). Dalla morte di Cristo, nuovo Adamo, nasce come nuova Eva la Chiesa, la comunit dei credenti. La comunit credente deve allora continuamente lasciarsi evangelizzare dalla Pasqua di Ges, deve custodire lamore che vi si rivela, deve coltivare fedelmente il suo senso, mettendo al centro Ges e la sua inaudita dedizione. Per questo il discepolo non pu essere pi del maestro, per questo la comunit della sequela rimane per sempre concentrata sulla memoria di Ges, per questo leucaristia il gesto che custodisce gelosamente e insuperabilmente lamore di Ges il gesto centrale della comunit, la sua fonte, la sua misura e la sua meta. La chiesa-comunit non pu andare al di l delleucaristia di Ges: a essa deve ritornare, da essa deve partire, diversamente misconoscerebbe linsuperabile differenza di colui che mi/ci ha amato e ha dato se stesso per me/noi (Gal 2,20).

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f) Lultima cena In che rapporto sta lultima cena di Ges con la sua prassi del regno di Dio? In questa cena Ges rimasto fedele alla sua dedizione a Israele oppure, di fronte alla propria morte, con listituzione del leucaristia ha fondato qualcosa di nuovo, cio la Chiesa (intesa come nuovo popolo di Dio)?35 La prima cosa che colpisce che egli, malgrado la morte che vede incombere su di s, persevera nella sua attesa del regno di Dio. Ce lo mostra la cosiddetta prospettiva escatologica di Mc 14,25 par, Lc 22,16.18. Nella redazione marciana pi breve essa suona: In verit vi dico che non berr pi del frutto della vite fino al giorno in cui lo berr nuovo nel regno di Dio. Ges rimane quindi convinto che quel banchetto della basilia realizzata in misura piena, di cui aveva parlato in Mt 8,11s. e Lc 14,16-24, avr luogo. La prospettiva escatologica in Mc 14,25 non soltanto una profezia della morte, bens anche una conferma di tutto quello che egli aveva predicato sullavvento della basilia. Rimane solo da domandarsi: con quale popolo sar celebrato il banchetto del regno di Dio? Per rispondere a tale domanda, dimportanza decisiva la notizia tramandata in Mc 14,17, secondo cui Ges ha celebrato lultima cena met tn ddeka. I Dodici erano infatti stati costituiti come simbolo reale dellIsraele escatologico da radunare. Quando ora, nella cornice dellultima cena, vengono loro offerti il pane e il vino, la rappresentazione dIsraele per loro mezzo raggiunge il suo ultimo spessore. Non ad essi privatamente, bens ad essi quale simbolo reale di tutto Israele, Ges, in procinto di andare a morire, offre se stesso come dono salvifico porgendo loro il pane e il vino. Ma non solo la scelta dei Dodici a commensali a mostrarci con quanta decisione Ges orienti lultima cena a tutto Israele. Un indizio altrettanto importante in tal senso lapplicazione della sua morte per i molti, espressa nelle parole pronunciate sul vino (Mc 14,24)36. Con lhypr polln Ges interpreta la sua morte imminente alla luce di Is 53,11s. come morte espiatrice vicaria37.

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questa lidea di Joseph Ratzinger: Il Padre nostro era il primo indizio di una speciale comunit di preghiera con e a partire da Ges. Inoltre nella notte, prima della passione, Ges compie un altro passo in tale direzione quando trasforma la Pasqua di Israele in un culto talmente nuovo, che logicamente doveva portare fuori dalla comunit del tempio e con ci fondare definitivamente un popolo della nuova alleanza, in ID., La Chiesa. Una comunit sempre in cammino (Cinisello Balsamo Milano: Edizioni Paoline, 1991) 18. 36 Mc 14,24: Questo il mio sangue dellalleanza versato per molti; Mt 26,28: questo il mio sangue dellalleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Paolo e Luca riportano invece lespressione per voi e la connettono il primo al pane (1Cor 11,24s.: Questo il mio corpo, che per voi Questo calice la nuova alleanza nel mio sangue) laltro sia al pane sia al vino (Lc 22,19-20: Questo il mio corpo che dato per voi; fate questo in memoria di me Questo calice la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi). interessante notare come nella tradizione neotestamentaria appaiano due motivi esplicativi che illustrano le parole sul pane e sul calice: il motivo del patto e il motivo dellespiazione. La redazione paolina collega il motivo dellespiazione alla parola sul pane e il motivo del lalleanza a quella sul calice; la versione marciana invece vincola i due motivi alla parol a sul calice. A proposito del senso dellalleanza come emerge nel detto esplicativo sul calice, riportiamo le riflessioni di Hegermann, il quale, dopo aver osservato come la forma testuale probabilmente pi antica, quella marciana, questo il mio sangue dellalleanza, ri-

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Ma chi sono i molti, cui egli dedica la sua morte come dono salvifico espiatorio? Il pi delle volte la risposta suona: tutti gli uomini. Questa concezione pu rifarsi ai pollo di Is 52,14s.38 e Mt 8,11 e inoltre alla forma giovannea delle parole pronunciate sul pane in Gv 6,5lc39. Essa ha buone ragioni a suo favore e in fondo giusta. Solo che salta un gradino intermedio40. Tutta lesistenza di Ges fu anzitutto esistenza per Israele e solo attraverso questa esistenza per Israele esistenza per i popoli (cfr. Gv 11,50-52)41. Solo se tutto Israele trova la salvezza, pure i popoli possono trovarla. In questa luce escluso che Ges, nellora dellultima cena, abbia dimenticato il suo popolo, cui era diretta la sua missione, e abbia potuto parlare di salvezza per i popoli ignorando Israele. Se ci fosse vero, la salvezza come dovrebbe pervenire ai popoli? E che ne sarebbe di Israele? Quanto abbiamo finora visto di Ges domanda che i molti indichino anzitutto Israele e mediatamente attraverso Israele

prenda alla lettera lespressione del detto esplicativo di Es 24,8 (LXX) Ecco il sangue dellalleanza che Yhwh ha stabilito per voi in base a tutte queste parole , cos continua: Questa ripresa di Es 24,8 era preparata in quanto il passo gi prima del tempo di Ges era inteso come rappresentazione di un atto di espiazione Il riferimento a Es 24,8 nel detto esplicativo sul calice pu essere inteso soltanto tipologicamente: levento di espiazione nella morte di Ges interpretato come analogia che supera quellevento veterotestamentario di espiazione. Non sintende quindi un rinnov amento del patto del Sinai, bens una garanzia di salvezza nuova, superiore, concessa da Dio nel sangue, cio nella morte, di Ges. La versione del detto del calice trasmessa da Paolo in 1Cor 11,25 (cfr. Lc 22,20) pu essere giustamente considerata come esplicazione della versione marciana. Con le parole: Questo calice il nuovo patto nel mio sangue senza dubbio ripreso Ger 31 (38),31-34, dove Yhwh proclama: stringer con la casa di Israele un patto nuovo, un pa tto del tutto diverso al confronto di quello del Sinai (v. 32): il patto di obbligazione viene sostituito con un patto di promessa. Yhwh promette il perdono dei peccati e scriver la sua disposizione nel cuore, in altri termini: dar un cuore nuovo, sicch il suo popolo faccia la volont di Dio Questa promessa viene proclamata come adempiuta nellevento di Ges: H. HEGERMANN, diathk, in Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento I (Brescia: Paideia, 1995) 793-794. 37 Is 53,11-12: Il giusto mio servo giustificher molti, egli si addosser la loro iniquit. Perci io gli dar in premio le moltitudini, dei potenti egli far bottino, perch ha consegnato se stesso alla morte ed stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. Merklein, rilevando come questo passo non avesse importanza per il pensiero teologico giudaico del tempo (non fu mai letto come dichiarazione sulla sofferenza e morte espiatoria di una figura messianica) e come nellinsieme delle prove scritturistiche di cui si serviva la comunit cristiana primitiva avesse una parte sorprendentemente limitata (gli strati pi antichi della tradizione primitiva non lo citano come prova biblica in questo senso: cfr. At 8,32s.), suggerisce che forse fu proprio un segno della creativit singolare di Ges, il quale interpret la sua morte alla luce di Is 53 secondo il motivo della espiazione: MERKLEIN, La signoria di Dio, 171172. Della stessa opinione ROLOFF, Die Kirche im Neuen Testament, 55-56. Mentre di parere contrario G. BARTH, Il significato della morte di Ges. Linterpretazione del Nuovo Testamento (Torino: Claudiana, 1995) 84-88. 38 Is 52,14-15: Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere duomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli delluomo cos si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poich vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ci che mai avevano udito. 39 Gv 6,51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita del mondo. 40 R. PESCH, Voraussetzungen und Anfnge der urchristlichen Mission, in K. KERTELGE (ed.), Mission im Neuen Testament (Freiburg: Herder, 1982) 11-70, 41 osserva che alla morte espiatrice di Ges non venne dato un valore esplicitamente universale fin dallinizio gi per il semplice fatto che, dopo la Pasqua, la comunit primitiva non ha praticato subito la missione tra i pagani. 41 Gv 11,50-52: Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo ( las) e non perisca la nazione (thnos) intera. Questo per non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizz che Ges doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Cfr. Rm 15,8-9: Dico infatti che Cristo si fatto servitore dei circoncisi in favore della veracit di Dio, per compiere le promesse dei padri; le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia.

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tutti i popoli. Ges avrebbe allora interpretato il dono della sua vita come un atto di espiazione e precisamente di espiazione per quellIsraele, che aveva rifiutato il suo messaggio e che ora si accingeva a ucciderlo. Le posizioni esegetiche che affermano che lo schema dellespiazione sarebbe stato introdotto come categoria esplicativa solo dalla comunit postpasquale e che non sarebbe conciliabile col messaggio della basilia di Ges, perch la salvezza della basilia sarebbe gi misericordia incondizionata che esclude ogni espiazione, non hanno capito quel che espiazione significa nella Bibbia42, n hanno compreso la storicit della basilia che giunge su Israele. In Ges la vicinanza della basilia non una vicinanza atemporale del semper et ubique (cfr. Gv 7,6: Ges allora disse: Il mio tempo (kairs) non ancora venuto, il vostro invece sempre pronto); al contrario, la basilia irripetibile, va afferrata ora, non ripetibile a piacimento, appunto offerta escatologica di Dio. Se in Gerusalemme i rappresentanti dIsraele ripudiano Ges, Israele rifiuta definitivamente la basilia. Ma se esso rifiuta la basilia, ha fallito il senso della sua esistenza, ha perso la salvezza per s e per i popoli e dimostrato assurda lelezione di Dio. La questione quindi teologica: e cio
opponendo a Ges un rifiuto che era s parziale, ma non meno rappresentativo, date le conseguenze che ne venivano per la maggioranza del popolo, non si portava grave pregiudizio allelezione escatologica di Dio, nella sua qualit di evento divino, che Ges aveva predicato per lintero Israele, o addirittura, la si portava allassurdo in quanto evento inefficace?43.

Solo cos si spiega la paurosa seriet delle minacce pronunciate da Ges verso la fine della sua attivit pubblica. Nel momento in cui Israele rifiuta definitivamente la basilia respingendo Ges, si crea una situazione in cui nulla pi come era allinizio in Galilea e in cui Mc 1,15 (la basilia vicina) non pu appunto essere pi ripetuto. Il kairs passato e passato inutilmente.

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G. Barth precisa che lidea dellespiazione sottende il nesso azione -esistenza, nel senso che ogni azione crea una sfera di azione che produce un destino, per cui il destino che tocca a chi compie unazione non una punizione sancita in una certa misura arbitrariamente in base a qualche norma eteronoma, ma il compimento, ovvero il ritorno di ci che egli stesso ha compiuto. Inoltre, questa concezione si inserisce nel quadro dellidea di un ordine della creazione: per la salvaguardia di tale ordine, allora, risulta necessario che lautore del male, che con la sua azione si posto fuori dei limiti del cosmo, muoia. In tal senso, compiendo il giudizio sul malfattore e permettendo il realizzarsi della catena misfatto-disgrazia, Dio dimostra la sua fedelt verso la propria creazione. LAT non conosce la possibilit che un misfatto o un peccato sia considerato semplicemente come non avvenuto e che quindi esso semplicemente non venga imputato. Il misfatto, infatti, un disturbo dellordine della creazione, che in una certa misura, mediante questazione negativa, uscito dal suo equilibrio, e pu ritornare perfettamente a filo solo quando il seguito di conseguenze, la disgrazia, si pienamente attuato, oppure quando lespiazione stata compiuta. La possibilit dellespiazione lunica via per liberare il peccatore dal suo intreccio di disgrazie. La grazia di Dio si dimostra proprio nel garantire al peccatore la possibilit dellespiazione. In tal senso per Barth i testimoni neotestamentari (mentre non si pronuncia sullintenzione di Ges) hanno interpretato la morte di Ges come espiazione vicaria, ossia nel senso che grazie alla sua morte, egli ha compiuto vicariamente per tutti gli esseri umani quellunica espiazione che pu liberare il mondo dal suo intreccio di colpa e d isgrazia: cfr. G. BARTH, Il significato della morte di Ges, 94-104. 43 MERKLEIN, La signoria di Dio, 175.

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In questa situazione di aiuto solo un atto salvifico di Dio, che di fronte al rifiuto opposto da Israele concede di nuovo la vita n meritata, n dovuta. Ma precisamente a un evento del genere si riferisce la Bibbia quando parla di espiazione44. Lidea di espiazione non contraddice il messaggio della basilia di Ges; al contrario la basilia, in quanto salvezza che sopraggiunge storicamente ed legata allaccoglienza da parte del popolo, esige in caso di rifiuto appunto latto di unespiazione.
Nellultima cena rifacendosi a Is 53 Ges avrebbe interpretato la propria morte [] come espiazione per Israele, la cui maggioranza si disponeva chiaramente a respingerlo. Ci garantiva che nemmeno il rifiuto fa recedere Dio dal proposito di offrire la salvezza escatologica, n mette in questione lefficacia dellelezione divina. Anzi, proprio nella morte del suo rappresentante lazione escatologica di Dio appare come evento efficace, poich Dio fa s che la morte del suo inviato diventi un atto di espiazione La morte espiatrice di Ges, quindi, non fonda una nuova salvezza, n questa sta, anche soltanto lontanamente, in tensione con levento salvifico che fin dallinizio del suo ministero Ges ha proclamato e rappresentato. La salvezza della morte espiatrice di Ges una componente integrale di questo evento della signoria di Dio45.

Perci, solo nella morte di Ges si manifesta in maniera definitiva la vera essenza della basilia, in quanto questa concede la vita anche nella situazione dellannientamento del suo rappresentante e precisamente cos si dimostra salvezza irrevocabilmente donata. Possiamo quindi dire: Ges persevera nella sua dedizione a Israele anche di fronte alla morte sicura, anzi la dimostra in questo momento in maniera pi profonda e radicale di quanto abbia mai fatto prima. Ci dimostra che le parole di condanna contro questa generazione sono stati tentativi estremi di guadagnare ancora il popolo. Una volta falliti anche tali tentativi, rimane solo la via del servo di Dio, che si carica la colpa dei molti. Ges, una volta che Israele oppone il suo rifiuto, non fonda una Chiesa come ripiego, ma porta a compimento la raccolta del popolo di Dio: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24). g) Il risultato I testi che abbiamo esaminato ci offrono un quadro coerente:

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Un esempio suggestivo di cosa intendere per espiazione offerto da G. LOHFINK, Dio ha bisogno della Chiesa?, op. cit., 232: Dag Hammarskjld il secondo segretario generale dellONU, perito il 17 settembre 1961 in un incidente aereo in prossimit del Katanga mentre era impegnato a porre fine alla guerra civile nel Congo ci ha lasciato un passo del suo diario, che pu aiutarci a capire meglio quanto abbiamo appena cercato di spiegare: Pasqua 1960. Il perdono spezza la catena delle cause, in quanto colui che per amore perdona, assume su di s la responsabilit delle conseguenze di ci che tu hai commesso. E questo comporta sempre sacrificio. Il prezzo per il tuo riscatto mediante il sacrificio di un altro, sta nel fatto che tu stesso sia disposto, allo stesso modo, a riscattare senza badare al rischio . Questo testo illuminato chiarisce la dimensione del concetto di espiazione vicaria: lamore perdona. Ma le cons eguenze del peccato nemmeno lamore pu cancellarle, poich sono profondamente incise nella storia. La catena delle cause, messa in atto dal peccato, continua ad estendersi. Quando lamore vero, non si limita a perdonare, ma assume su di s anche le conseguenze delle azioni degli altri. E questo ha il suo prezzo, non avviene senza sacrificio.

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1. Nella sua azione Ges si coscientemente concentrato sulla popolazione ebraica della Palestina. Le guarigioni di pagani sono rare e sono presentate come eccezioni. Una attivit didattica specifica davanti a pagani non ci tramandata da alcuna parte. 2. In Ges questa concentrazione chiaramente motivata in maniera storico-salvifica: a Ges sta a cuore il raduno escatologico dIsraele. Soprattutto la costituzione dei Dodici mostra in maniera programmatica la rivendicazione che egli avanza sul popolo delle dodici trib. Non si tratta del resto dIsraele e tanto meno di una comunit particolare allinterno o allesterno di questo. 3. La particolarit di questa concentrazione su Israele non esclude in alcun modo luniversalit, perch Ges pensa secondo lo schema profetico secondo cui proprio la salvezza dIsraele render possibile anche la salvezza dei popoli (cfr. per Mt 8,11s, par. Lc 13,28s 46). Ges viene a Israele precisamente perch la sua missione mira a tutto il mondo. Si tratta dun universalismo rappresentativo. 4. In Ges constatiamo continuamente una salda correlazione fra la proclamazione del regno di Dio e il raduno dIsraele. La sua predicazione escatologica non esclude il raduno del popolo di Dio, al contrario lo esige pi che mai. Come la basilia ha il suo tempo, cos ha anche il suo luogo. Essa ha bisogno di un popolo in cui potersi affermare. 5. Come mostrano Lc 10,2 e 11,2, per Ges il raduno dIsraele lopera escatologica di Dio, per la quale bisogna pregare. Ma contemporaneamente anche lui che compie tale opera. 6. Nellopera del raduno dIsraele esiste una dialettica fra vecchio e nuovo: da un lato a Ges sta a cuore il ripristino dIsraele. Nello stesso tempo il raduno del popolo di Dio levento di una nuova creazione escatologica, per indicare la quale il concetto di raduno non sufficiente (cfr. la parabola del seminatore). Perci dobbiamo parlare anche della creazione del vero Israele quale comunit salvifica escatologica. Il discorso del nuovo popolo di Dio, riscontrabile spesso a partire da Barn 5,747, andrebbe tuttavia evitato, perch si presta ad essere frainteso nel senso di una sostituzione di Israele. 7. Come il Battista, anche Ges pu parlare di una divisione che attraversa Israele (cfr. Lc 12,4953). Tuttavia egli non utilizza la categoria della divisione per separare in maniera esteriormente visibile il vero Israele dallIsraele incredulo. Il gruppo dei discepoli non ha la funzione di segnare una

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MERKLEIN, La signoria di Dio, 175. In questo logion Ges istituisce un confronto tra ebrei e pagani e insegna che questi ultimi sederanno al posto dei primi nel banchetto escatologico del regno di Dio. Se negli antichi oracoli profetici il pellegrinaggio dei popoli al Monte Sion la conseguenza della fedelt di Israele al suo Dio ( Is 2,2s; Zc 2,11, ), qui Ges afferma che i popoli verranno anche se Israele, o la maggioranza di Israele, respinger il suo messaggio. 47 Egli per abolire la morte e per provare la risurrezione dei morti doveva incarnarsi e soffr. Per compiere la promessa fatta i padri, prepararsi un popolo nuovo e dimostrare, stando sulla terra, che egli stesso operando la risurrezione giudicher: Lettera di Barnaba, V, 6-7, in I Padri apostolici (Roma: Citt Nuova, 19844) 192.

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simile divisione. I discepoli piuttosto prefigurano tutto il popolo escatologico di Dio. Essi sono riferiti a tutto Israele, e devono mantenere questa relazionalit. 8. Ges continua a indirizzarsi a tutto Israele anche di fronte alla morte, anzi conferma e approfondisce ancor pi tale suo orientamento: durante lultima cena interpreta la sua morte imminente come atto di espiazione posto da Dio per tutto Israele, atto che dischiude di nuovo al popolo la possibilit dellaccoglienza della basilia. 9. Il quadro risultante dalla nostra indagine non solo in s coerente, ma concorda anche con la visuale degli autori neotestamentari. Lunica differenza sta nel fatto che la teologia cristiana primitiva dovette riflettere pure sulla prosecuzione postpasquale del confronto fra vangelo e Israele e constatare un rifiuto rinnovato. In questo contesto, entro il NT si delinearono due posizioni diverse circa il ruolo definitivo dellIsraele recalcitrante: il giudizio negativo di Matteo (Mt 21,43; 28,15), da Luca (At 28,25-28) e dallautore dellApocalisse (Ap 2,9; 3,9); il giudizio positivo di Paolo (Rm 11). h) Conclusioni Per tirare delle conclusioni corrette si devono tener presenti due presupposti: 1) Innanzi tutto occorre ricordarsi che limmagine ottenuta nella nostra ricostruzione storica non pu essere utilizzata come normativa nei confronti delle diverse cristologie ed ecclesiologie neotestamentarie: utilizzare i tratti storici, cos ricostruiti come criterio per loriginariet dei diversi credo neotestamentari procedimento scorretto, perch presuppone che limmagine del Ges storico coincida con la realt del Ges terreno. Ma la ricostruzione storica, necessaria e pur insufficiente, ci d al massimo unimmagine che contiene una domanda direzionale: il compito del credente quello di svelare, nella sua indagine storica, la vita di Ges quale domanda direzionale, messa storicamente presente in modo tale da invitare al rifiuto o allo scandalo, oppure alla decisione di affidarsi con fede a questo Ges48. In questo senso limmagine di Ges frutto della ricerca storica e limmagine desunta dalla fede dei discepoli conferiscono in linea di principio alla identificazione di quella realt resasi presente nel Ges terreno o della storia. Il sapere storico, che permette di ricostruire una serie di indizi e una immagine che li collega assieme, ci mette a disposizione un indicatore che spinge la nostra attenzione a percepire i contorni di Colui che il criterio normativo per la proclamazione ecclesiastica e, inversamente, la stessa confessione di fede si mostra tale proprio in quanto si lascia determinare dalla priorit del Ges reale: in quanto confessione essa relati-

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E. SCHILLEBEECKX, Ges la storia di un vivente (Brescia: Queriniana, 19762) 68.

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va alla realt che riconosce. Per questo ricostruzione storica dellitinerario della comprensione dei discepoli e confessione cristiana primitiva concorrono simultaneamente a mostrare la continuit, pur nella progressione e di l della cesura della morte, tra il Ges pre- e post-pasquale. 2) Inoltre, bisogna considerare la tensione tra origine e fondamento: ossia, se lorigine della cristologia si trova nellopera e nella persona del Ges prepasquale, il fondamento della cristologia poggia sulla fede pasquale della Chiesa. Infatti, se fuori discussione che a fondare la fede cristiana ci sia la Pasqua, altrettanto indiscutibile ormai il fatto che alla origine della cristologia ci stia la persona di Ges di Nazareth, con la sua predicazione, la sua azione e la sua coscienza singolare. Tuttavia lattuale enfasi sul momento prepasquale corre il rischio di intendere la ricostruzione storica come normativa della professione di fede e come tendenzialmente esaustiva della sua figura essenziale. La risurrezione non solo la conferma esteriore di unidentit di Ges, la quale sarebbe gi nota prima di Pasqua: essa infatti levento che per la prima volta e in modo definitivo consente laccesso a questa identit. E ci vale anche per la sua chiesa. Ci considerato, possiamo affermare che il tema fondamentale sottostante alla nostra ricostruzione che Ges voleva radunare Israele nel popolo escatologico di Dio. Tale sua volont non concorda solo col messaggio della basilia, ma addirittura il suo necessario correlato. Infatti Dio stabilisce la sua basilia nella misura in cui essa d forma a un popolo concreto. Lavvento del regno di Dio e la nuova creazione escatologica dIsraele sono indissolubili. Come Ges non ha mai rinunciato a proclamare la basilia, cos non ha mai rinunciato a radunare Israele. 1) Il cristiano dei nostri giorni pu restare sorpreso nel vedere che Ges non si rivolto direttamente a lui, figlio dei gentili, ma con gran decisione ha interpellato Israele. E questo Israele, che Ges pensava di radunare in prospettiva escatologica, nel frattempo ha vissuto una lunga storia al di fuori di questo movimento di raccolta. 2) Inoltre un altro problema viene dallattesa ravvicinata, che Ges probabilmente condivideva. Esso pu forse essere attenuato sul piano teologico, pensando che a Ges stesso interessasse non tanto annunciare la vicinanza cronologica, quanto piuttosto proclamare che con lui aveva inizio levento della signoria di Dio? Ma poi effettivamente credibile lannuncio di un evento che addirittura dopo quasi duemila anni non ancora giunto al traguardo? Se Ges condivideva unattesa a breve termine, che stata smentita dai fatti, perch non avrebbe potuto essere vittima di un errore soggettivo anche quando parlava di unazione salvifica escatologica di Dio gi in atto? E la morte di Ges, la sua morte in croce, non la prima dimostrazione che egli non pu essere stato il rappresentante terreno dellazione escatologica di Dio? Molti suoi contemporanei sono stati di questo parere.

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3) Eppure i discepoli di Ges si sono attenuti al suo annuncio e dopo la sua morte non hanno tardato a raccogliersi in comunit; decisione, questa, per la quale si richiamavano alla pasqua e alla loro esperienza del Risorto. In realt lannuncio di Ges resiste e cade con la professione di fede nel Risorto. questo che consente di restare fedeli alla validit dellannuncio di Ges e di diffonderlo anche oltre la sua morte, in quanto si deve vedere lagire escatologico di Dio, che fa risorgere e ricrea, nei riguardi di Ges come conferma e prosecuzione dellagire escatologico creatore ed elettivo di Dio in Ges. La professione di fede pasquale anche il motivo per cui levento della signoria di Dio proclamato da Ges non pu essere messo in dubbio, con una qualche legittimit teologica, n dalla delusione provocata dallattesa ravvicinata n dal lungo periodo trascorso. Un simile dubbio non potrebbe trovare giustificazione in quello che, secondo un criterio umano, apparirebbe come evento palesemente mancato. Proprio la risurrezione del Crocifisso fa respingere come teologicamente inadeguata qualsiasi obiezione derivante dallesperienza umana poich essa esige e rende possibile credere che Dio d la vita ai morti e chiama allesistenza ci che non (Rm 4,17). In questa fede, del resto, nella risurrezione stessa di Ges si mostra che levento della signoria di Dio da lui annunciato, giunto al traguardo. In esso gi attuata la nuova creazione, obbiettivo a cui tende la signoria di Dio. Ci che lavvenire riserva a questo mondo in esso gi realt. quindi logico che il cristianesimo primitivo abbia sviluppato una cristologia e in Ges abbia visto il Figlio delluomo che deve venire o il Messia in cui trova compimento la speranza dIsraele. Si comprende anche come ben presto si sia tentato di far emergere nella cristologia lannuncio della signoria di Dio. Celebre rimasta la frase di Marcione secondo cui nel vangelo il regno di Dio altro non che Cristo stesso (Tertulliano, Adversus Marcionem 4,33,8). Origene parla di Cristo come dellautobasileia (In Matthaeum commentarius 14,7 a Mt 18,23). Questa idea non sbagliata se dopo pasqua la fede nella signoria di Dio pu essere conservata solo nella fede in Cristo; ma identificare Cristo con la signoria di Dio e la cristologia con lescatologia non cos semplice. Se anche il Nuovo Testamento si mostra al riguardo discreto (cfr. 1Cor 15,23-28), per validi motivi. La cristologia, infatti, dispiega tutto il suo significato soltanto quando viene riferita a unescatologia teologicamente orientata, che vede tutti gli uomini e tutto il mondo raccolti intorno a Cristo, nel quale la signoria di Dio ha gi raggiunto il proprio obbiettivo, affinch per dirla con Paolo quando in 1Cor 15,28 parafrasa concretamente lidea della signoria di Dio Dio sia tutto in tutti. 4) Quando Ges annuncia la signoria di Dio si rivolge anzitutto a Israele. Anche se i gentili non sono esclusi dalla salvezza escatologica, la validit di questo annuncio continua a esser legata a Israele, suo primo destinatario. E quanto alla chiesa cristiana, essa pu riferire a se stessa la promessa salvifica solo a condizione di essere in continuit con quellIsraele al quale Ges lha annunciata. 83

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Lannuncio di Ges, poi, aveva in vista tutto Israele, perch la promessa dellelezione escatologica di Dio era data a tutto il popolo. Ma Ges dovette sperimentare che il popolo, per il raduno del quale egli era stato inviato, respingeva in maggioranza il suo annuncio. E quando dopo pasqua lannuncio di Ges si trov indissolubilmente legato alla professione di fede nel Crocifisso che da Dio era stato risuscitato e intronizzato come messia, queste esperienze continuarono per la comunit dei discepoli. Cos dalla comunit comprendente tutto Israele si pass a quella costituita da una sola parte di esso. E se questa intese se stessa come il vero luogo di raccolta della comunit degli eletti, si tratt di un fatto teologicamente coerente e niente affatto singolare nella storia delle religioni. Qualcosa di simile era accaduto nel II secolo a.C., quando dal movimento degli asidei, che in principio aveva in vista tutto Israele, era sorta una serie di gruppi che consideravano Israele come comunit degli eletti, ma in modi assai differenti o in parte pretendendo di essere ciascuno la vera comunit degli eletti. Lassioma di Paolo secondo cui non tutti quelli che provengono da Israele sono israeliti (Rm 9,6b) non affatto un adagio cristiano antigiudaico, ma solo ladattamento cristiano di un teologumeno che in realt aveva scosso il giudaismo gi molto tempo prima di Paolo. Nel cristianesimo primitivo, daltra parte, lidea della vera comunit degli eletti non porta alla separazione esoterica come potrebbe essere quella di Qumran. La comunit di Dio (ekklesa tou Theou) escatologica, che a Gerusalemme si raccolse intorno ai Dodici, si adoper anche nello spirito dellannuncio di Ges al raduno dellintero Israele. 5) Una novit rispetto al primo giudaismo costituita dallavvio, nella comunit dei discepoli, della predicazione ai gentili, i cui pionieri nella teologia e nei fatti furono probabilmente gli ellenisti raccolti intorno a Stefano (cfr. Atti 6). Furono questi i primi a riconoscere che la morte di Ges, in quanto evento espiatorio escatologico, comportava la fine del culto nel tempio, di modo che anche le leggi rituali, difficili da accettare per i gentili (timorati di Dio), dovevano perdere valore. Di fatto sembra che gli ellenisti furono anche i primi a varcare i confini dIsraele (cfr. Atti 8,4-8; 11,20s.). La loro teologia e prassi furono pure la base da cui Paolo part per costruire, sul piano teologico, la dottrina della giustificazione del credente e, su quello pratico, la sua concezione della missione ai gentili. Ci nonostante non da dimenticare che Paolo non rinunci allidea, fondamentale in Ges, dellelezione escatologica dIsraele. Il suo zelo nel promuovere la colletta per i poveri di Gerusalemme (Gal 2,10) non pare proprio nato da un compromesso con lidea che a Gerusalemme andasse riconosciuto un diritto giuridico. assai pi probabile che in quella decisione forse richiamandosi alla tradizione del Trito-Isaia (cfr. Is 60,5-17; 61,6; 66,12) Paolo abbia ravvisato linizio del pellegrinaggio escatologico dei popoli a Sion. In Rm 11 egli persino guidato dalla visione profetica della salvezza dei gentili, che questa volta capovolgendo il motivo del pellegri84

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naggio dei popoli muove Israele a gelosia (vv. 11.14), e dellingresso di tutti i gentili che avrebbe portato a salvezza lintero Israele (vv. 25s.). Questa visione di Paolo non si adempiuta. Ma per quanto attiene alla teologia lidea non pu essere trascurata da qualsiasi ecclesiologia che voglia salvaguardare la validit dellannuncio di Ges. Questo diverrebbe problematico, se lelezione di Dio che esso proclama per Israele risultasse inefficace proprio nei riguardi dIsraele. Per questo Paolo attribuisce tanta importanza al resto dIsraele che non si chiuso al vangelo (Rm 11,5-7). Egli presenta la continuit con limmagine della radice nella quale sono stati innestati anche i rami selvatici dellulivo pagano (Rm 11,16-18). 6) La chiesa cristiana pu pensarsi come popolo di Dio soltanto in continuit con quellIsraele che si aperto allelezione proclamata da Ges. Da tale continuit essa sempre dipende. Ma dipende anche dallaltro Israele, da quella realt etnica che storicamente sta in continuit con coloro che allannuncio di Ges e al vangelo hanno opposto un rifiuto. Perch lelezione escatologica di Dio, alla quale anche la chiesa si richiama, pu ridursi solo alla creazione di un resto dIsraele a cui spetterebbe la funzione, storicamente limitata, di gettare un ponte per assicurare la continuit con la chiesa cristiana, costituita quasi tutta da gentili, mentre lo lascerebbe invece perdere in quanto popolo? La chiesa, dunque, non pu perdere di vista neppure il popolo dIsraele, poich la sua perfezione legata alla speranza che i rami staccati vengano reinnestati sullulivo (Rm 11,24), la cui radice porta anche i rami della chiesa costituita dai gentili (Rm 11,18). La validit dellannuncio di Ges perdura solo nella continuit con Israele, al quale egli ha predicato lannuncio della signoria di Dio, e nella speranza della redenzione finale dellIsraele che ha respinto questo annuncio (cfr. Rm 11,2527). La chiesa continua dunque a essere rimandata a Israele sia sul piano della storia della salvezza sia escatologicamente. Ma, posta questa condizione, la chiesa pu e deve concepirsi anche come destinataria e al tempo stesso dispensatrice dellannuncio di Ges. 7) Alla luce di questa premessa cristologica ed ecclesiologica, oggi ancora si pu credere che levento della signoria di Dio proclamato da Ges non ha abbandonato il mondo al proprio destino, ma specie nella predicazione del vangelo dispiega la sua efficacia divina (cfr. Rm 1,16s.) in unopera creatrice che giustifica gli empi (cfr. Rm 4,5). Cos la chiesa si presenta come il luogo in cui il popolo escatologico di Dio si raduna in attesa della liberazione del mondo (cfr. Rm 8,21). E nella misura in cui, proseguendo il compito affidato da Ges ai discepoli (Lc 10,9 par.), con la parola e le opere annuncia questo evento di liberazione, la chiesa analogamente a Ges pu concepirsi come rappresentante e ministro della signoria di Dio. Daltra parte unidentificazione pura e

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semplice della signoria di Dio con la chiesa deve essere esclusa. La chiesa infatti nella preghiera ne invoca la venuta come opera che solo Dio pu instaurare (Mt 6,10). La chiesa rappresenta la signoria di Dio e deve concepirsi come tale se vuole essere allaltezza dellincarico a lei affidato da Ges, ma sempre e soltanto per incarico di Ges e in analogia alla sua rappresentanza, salva restando la riserva escatologica. La chiesa e il singolo cristiano non possono mai avere la sicurezza di Ges (cfr. Lc 11,20 par.; 9,49-50) nel qualificare un loro singolo atto come evento della signoria di Dio; piuttosto, possono avere la fiduciosa consapevolezza che levento di pi ampia portata e preparato da Dio accade nel loro operare. In quale misura ci che la chiesa e i cristiani fanno del tutto da s sia realmente un evento in cui accade la signoria di Dio, sar rivelato dal giorno del Signore (cfr. 1Cor. 3,13; 4,4). Se dunque da una parte non si pu presumere che lagire umano sia per se stesso levento della signoria di Dio, daltra parte la riserva escatologica, che necessariamente accompagna questo agire, non deve indurre allinattivit, con il pretesto che in essa allopera Dio. Qui non in questione se linattivit umana possa mettere in forse lavvento della signoria di Dio. Ma una chiesa che prega per la venuta della signoria di Dio ed convinta che la signoria di Dio un evento gi presente, e si limitasse poi a predicare solo a parole, senza far nulla e lasciando il mondo e luomo nella loro concreta miseria, si sarebbe gi allontanata dalla propria fede. Se Ges ha collegato lincarico di predicare la signoria di Dio a quello di curare i malati (Lc 10,9 par.), non lo ha fatto a caso; anche per la chiesa dei nostri giorni questo essenziale, bench oggi essa non disponga pi, comunemente, del potere di salvare per via carismatica e debba attendere al suo compito di guarire in modi molto pi semplici. Circa lagire ancora da ricordare un altro aspetto. In Ges lannuncio della signoria di Dio si situava nella sua prassi di misericordia, nella quale era possibile sperimentare lelezione escatologica di Dio. La prassi di misericordia di Ges addirittura il luogo in cui il suo annuncio della signoria di Dio si fa concreto e grazie al quale i suoi precetti si mostrano nella loro portata e fattibilit. Quindi la chiesa, se non vuole sconfessarne lannuncio, deve essere anchessa luogo della misericordia. E in realt essa pu esserlo, dal momento che di nullaltro vive se non del perdono di Dio che lha eletta. Solo partendo dallesperienza di questo spazio di misericordia possibile attuare lethos escatologico di Ges e proporlo al mondo come modello di condotta. Nonostante la speranza, fondata sullincarico ricevuto da Ges, che levento della signoria di Dio accade nella sua predicazione e azione, la chiesa deve essere convinta di dover sempre pregare anche per se stessa con le parole: Venga a noi la tua signoria regale! e Perdona a noi i nostri debiti... (Lc 11,2.4).

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1.3. La riflessione sulla realt della Chiesa nelle comunit ecclesiali post-pasquali Nello sviluppo successivo dellecclesiologia neotestamentaria si deve riconoscere anzitutto la pluralit di realizzazioni ecclesiali e la diversit di accentuazioni nella comprensione della chiesa. Sono soprattutto due le questioni che approfondiremo, stabilendo un confronto tra le risposte che le diverse tradizioni neotestamentarie danno in proposito: 1. gli inizi post-pasquali della comprensione della Chiesa fra coscienza di continuit ed esperienza di novit (ossia come il discepolato di Ges prepasquale diviene la Chiesa del Signore risorto); 2. il passaggio dallepoca apostolica a quella successiva (testimoniato dallo stesso NT), quando nella chiesa viene meno limmediatezza della testimonianza apostolica e si comincia a porre il problema della continuit come condizione che garantisce la fedelt della chiesa alla propria identit. In questo contesto si precisano concetti importanti come quello di tradizione del messaggio apostolico e prendono forma le strutture ecclesiali (i ministeri) a servizio della tradizione (cfr. le lettere pastorali, le lettere di Giovanni, lopera lucana). Questo aspetto dellecclesiologia neotestamentaria importante anzitutto perch lanello di congiunzione con levoluzione successiva della storia della chiesa, ma anche perch mostra la problematicit di certe attualizzazioni che pretendono di trasporre immediatamente dati neotestamentari (ad es. la comunit carismatica di Corinto) nel presente. 1.3.1. Tra coscienza di continuit ed esperienza di novit. Inizi post-pasquali della comprensione della Chiesa a) Tentativo di individuare la direzione 1. Il presupposto fondamentale che ci guida in questo breve percorso alla ricerca del sorgere e svilupparsi della Chiesa dopo Pasqua costituito dal riconoscimento franco della reale connessione fra cristologia ed ecclesiologia. Come le apparizioni del risorto furono la condizione di possibilit del sorgere della fede in Ges Signore, facendo s che la Pasqua fosse il punto di partenza di una cristologia esplicita, cos il fatto che degli uomini credano in Ges di Nazaret come al Signore che Dio ha costituito e si trovino assieme nella confessione che d espressione comune a chi Ges per loro, la condizione di possibilit perch si dia una Chiesa. Per questo la fede in Cristo e la confessione di Cristo, che hanno la loro sorgente nella Pasqua, appartengono ai presupposti della Chiesa. 2. Rileviamo inoltre che i primi testimoni non parlano in nessun luogo di una fondazione o di un inizio della Chiesa, mentre al contrario essi fissano in modo preciso il momento temporale del sorgere della fede in Ges: con le prime apparizioni di risurrezione a Simon Pietro e ai dodici (1Cor 15,5;

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cfr. Lc 24,34), che verosimilmente ebbero luogo gi due giorni dopo il venerd santo, il primo giorno della settimana successivo alla pasqua di morte (Gv 20,19). Non solo; notiamo che il sorgere della Chiesa non mai collegato con queste apparizioni cosa sorprendente, anche i testimoni neotestamentari non ne parlano. Questo vale anche per il racconto lucano della Pentecoste (At 2), che a dire il vero spesso considerato come racconto di fondazione, ma a unosservazione pi precisa sul merito piuttosto ambivalente: per Atti questa non lora in cui nasce la Chiesa almeno nel senso che in questo momento per la prima volta verrebbe alla luce la comunit di Ges Cristo; essa infatti esiste gi: At 1,15 bens lora in cui viene dotata di quella forza dallalto (Lc 24,49; At 1,8), che sola la rende adeguata alla sua missione, alla sua azione salvifica nel mondo e le dona il mistero della sua esistenza escatologica. Questo silenzio sullinizio della Chiesa difficilmente solo casuale. Piuttosto pu essere un indizio del fatto che lo sviluppo della comprensione della Chiesa era subordinato non solo obiettivamente, ma anche temporalmente allo sviluppo della cristologia. Per quanto concerne la cristologia, dobbiamo osservare che i suoi dati fondamentali si sono sviluppati in maniera sorprendentemente rapida. La fase decisiva dura dai tre ai cinque anni; quelli che separano la morte di Ges e la sua risurrezione dalla chiamata di Paolo. Martin Hengel ha giustamente parlato di un impulso creativo incomparabilmente dinamico, che si espresse nella riflessione cristologica, ed egli indica come motivo essenziale la presenza di inizi di una cristologia esplicita gi nella predicazione di Ges, inizi che sollecitarono uno sviluppo. Anche per lecclesiologia non mancano degli spunti nellagire e nella predicazione di Ges. Se per qui lo sviluppo si svolse diversamente, si deve al fatto che al suo inizio non stava lesperienza di una svolta totale, ma piuttosto lo sforzo di mantenere una continuit. Le apparizioni pasquali comunicarono ai testimoni la certezza che oramai il grande cambiamento dei tempi era iniziato e che il nuovo mondo di Dio aveva fatto la sua irruzione. La riflessione cristologica fu il tentativo di comprendere concettualmente questa situazione nuova determinata dalla intronizzazione di Ges alla destra di Dio, in modo che gli inizi presenti nella sua predicazione fossero adeguati a sostenere la direzione del cammino. La comprensione della Chiesa del tempo iniziale quindi non fu in alcun modo innovativa. Il gruppo dei seguaci di Ges si comprese in un primo tempo non come una nuova comunit fondata attraverso levento pasquale. Ci che la riun fu piuttosto lincarico di continuare la raccolta prepasquale finale di Israele che Ges aveva iniziato questo certamente in una situazione nuova, creatasi per il fatto che lagire di Dio aveva manifestato che Ges era il Signore mess ianico di Israele. A questa continuit del compito segue anche la continuit della struttura della comunione prepasquale di vita e di servizio con Ges. La prima forma post-pasquale della Chiesa in larga misura determinata da questa duplice continuit. 88

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3. Che e fino a che punto la novit dellevento pasquale abbia fatto di questa comunit qualcosa di nuovo, divenne chiaro ai suoi stessi membri solo poco alla volta. Pasqua non la data di fondazione della Chiesa, piuttosto la possibilit di scoprire la Chiesa. Questa scoperta si attu in un processo progressivo di chiarificazione e di riflessione, che, iniziato a Pasqua, continua durante lintero arco di tempo documentato nel Nuovo Testamento e giunge a compimento solo nella terza generazione cristiana, cio fra l80 e il 110. Per accelerarlo si ebbe bisogno di una serie di impulsi di diverso genere, provocati da fattori sia esterni sia interni. Processi e sviluppi nellambiente della comunit richiesero che si affrontasse e risolvesse tra laltro il fatto decisivo che i Giudei nella stragrande maggioranza rifiutarono di raccogliersi attorno a Ges come al Signore messianico di Israele. In seguito fu la missione indirizzata alla societ ellenistica non formata ai valori giudaici, che suscit diversi problemi ecclesiologici. Da ci derivarono conflitti intercomunitari come pure la necessit di sviluppare forme di vita comune per credenti provenienti da cerchie tradizionali differenziate. Paolo sulla base della propria esperienza di apostolo dei gentili e di fondatore di comunit fu il primo a riconoscere pienamente il peso teologico del tema Chiesa e a sviluppare indicazioni normative. Tutte le lettere paoline che ci sono pervenute derivano sicuramente dallultima fase dellattivit dellApostolo, quindi dal tempo della sua separazione dalla comunit di Antiochia (ca. 49) fino alla sua morte. Eppure anche in esse non troviamo documentata una comprensione della Chiesa completamente rifinita; piuttosto una comprensione che in processo dinamico di sviluppo. 4. Da queste osservazioni risulta il nostro percorso. Intendiamo raccogliere quegli inizi e primi elementi della comprensione della Chiesa che si possono rintracciare nel tempo iniziale della fede in Cristo quindi entro i due decenni che separano la risurrezione di Ges dalle lettere paoline. b) La situazione di partenza: i dodici a Gerusalemme Nella nebbia della tradizione si delineano i contorni di due avvenimenti, che possono essere indicati a ragione come fattori scatenanti per la formazione della comunit primitiva: la ricostituzione del gruppo dei dodici e il suo ritorno a Gerusalemme. 1. Dopo la catastrofe del venerd santo i discepoli avevano abbandonato in fretta e furia Gerusalemme, per ritornare in Galilea, loro regione di origine49. L si verificarono, presumibilmente solo pochi giorni pi tardi, le prime apparizioni del risorto. Lantica formula di fede di 1Cor 15,5 precisa anche il nome dei destinatari: egli apparve a Cefa, poi ai dodici. chiaro che queste apparizioni

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Cfr. G. LOHFINK, Dio ha bisogno della Chiesa?, op. cit., 237ss.

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non furono esperienze individuali di carattere estatico, che servivano ad accertare che Ges era vivo presso Dio. Piuttosto in quel Ges risorto apparve a loro il Signore messianico definitivo di Israele, costituito in questa condizione da Dio stesso. Se teniamo conto di questo fatto si chiarisce perch ritroviamo non solo in 1Cor 15,5, ma pure negli antichi resoconti di apparizione dei vangeli (Mt 28,16-20; Lc 24,36-49; Gv 20,19-23), che trattano dellapparizione del risorto al gruppo dei dodici, il motivo dellinvio e dellincarico. Questo tema appartiene ai motivi centrali che qualificano la tradizione pasquale. Il contenuto dellincarico la proclamazione pubblica della potenza del risorto. Ne consegue per anche il peso particolare dato al fatto di nominare Pietro e i dodici come i primi testimoni. In questione qui il rinnovamento dellincarico specifico che i dodici avevano ricevuto gi prima di Pasqua e che stava in relazione con la rappresentazione simbolica del popolo di Israele: essi devono diventare il punto di cristallizzazione di un Israele rinnovato, segno augurale della istituzione di Ges come Signore del tempo finale sul popolo di Dio. Con la ricostituzione dei dodici viene posto un segno del nuovo inizio di Dio con Israele. Si capisce allora anche il senso della tradizione, nel suo nucleo senza dubbio antica, del completamento del gruppo dei dodici con la scelta di Mattia (At 1,15-26). Se il gruppo doveva conservare il suo significato di simbolo del popolo di Dio nella sua totalit, era necessario completarlo, dopo che Giuda il traditore era venuto meno. 2. Gi Ges era salito a Gerusalemme, per raggiungere da quel luogo simbolico tutto Israele e per chiamarlo alla scelta decisiva. La stessa cosa si ripeteva ora in coincidenza con gli avvenimenti di Pasqua. Se i dodici volevano che la loro missione abbracciasse tutto Israele, dovevano esercitarla in Gerusalemme, il centro e il punto di raccolta del popolo di Dio. Ecco perch essi ritornarono a Gerusalemme, presumibilmente accompagnati da una grossa schiera di discepoli di Ges, alla successiva festa di pellegrinaggio, la Pentecoste che si celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua. Con la ricostituzione pasquale del gruppo dei dodici si d nello stesso tempo il loro orientamento a Gerusalemme. Alla luce di questo fatto si chiarisce un po la tendenza della tradizione a spostare in Gerusalemme le stesse prime apparizioni pasquali (Lc 24,36-49; At 1,3-11; Gv 20,19-23), le quali storicamente ebbero luogo probabilmente in Galilea. Possiamo dire allora che a ragione Luca negli Atti ha considerato Gerusalemme come il solo luogo nel quale la prima comunit dei seguaci di Ges aveva fatto la sua comparsa pubblica. probabile che anche in citt e villaggi della Galilea ci fossero gruppi di seguaci di Ges che osservavano la dottrina del maestro di Nazaret e che fedelmente la tramandavano, vedendo in lui il Signore che Dio aveva confermato attraverso levento della risurrezione. Ma questi gruppi non influenzarono quanto avvenne in Gerusalemme sotto gli occhi di tutto Israele grazie al gruppo dei dodici; Luca vi pot giustamente soprassedere nella sua seconda opera, che ha come tema la diffusione missionaria del vangelo. 90

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c) Pentecoste e la discesa dello Spirito santo Con la ricostituzione del gruppo dei dodici e il ritorno a Gerusalemme si collega un altro evento: lesperienza della discesa dello Spirito di Dio. vero che, considerando le condizioni della fonte, non possiamo tentare una ricostruzione storica degli avvenimenti di Pentecoste, tuttavia dietro i ritocchi del racconto lucano (At 2) sono ancora sufficientemente riconoscibili alcuni tratti precisi. 1. Importante anzitutto il contesto biblico. NellAntico Testamento, soprattutto negli scritti profetici recenti, lattesa del rinnovamento definitivo di Israele strettamente connessa con leffusione dello Spirito di Dio. Ad es. in Ezechiele troviamo limportante visione dello Spirito di Dio, ch e scende su una pianura piena di ossa aride immagine drastica dellIsraele morto e suscita nuova vita (Ez 37). Il tema di questa visione il futuro ristabilimento del popolo di Dio. Ora in conseguenza della discesa dello Spirito questo ristabilimento non sar solo qualcosa di momentaneo e transitorio; al contrario ad esso viene assicurata una effettiva stabilit: Allora non nasconder pi a loro il mio volto, perch diffonder il mio spirito sulla casa di Israele (Ez 39,29). In Is 59,21 Alleanza e Spirito sono implicati in una relazione reciproca e immediata: Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi, dice il Signore: il mio spirito che sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca n dalla bocca della tua discendenza n dalla bocca dei discendenti dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre. In questo passo in questione proprio listituzione dellalleanza permanente e definitiva di Dio con il suo popolo. In tutte queste espressioni riconosciamo la comprensione fondamentale e anticotestamentaria dello Spirito (ruah) di Dio come del soffio che concede e conserva la vita e il respiro con una sottolineatura storico-salvifica: lo Spirito di Dio quella forza creatrice di storia, in virt di cui Dio attivo in Israele. E precisamente primariamente il popolo nella sua totalit che fa lesperienza dellefficacia di questo spirito. Tuttavia gli effetti di questo spirito riguardano anche singole persone in Israele, e ci secondo una duplice modalit. Da un parte ci si attende dallo Spirito il rinnovamento morale del singolo, come dice Ez 36,26, dove analogamente a Is 59,21, Spirito e Alleanza sono immediatamente ordinati luno allaltro: Io dar loro un cuore nuovo e metter dentro di loro uno spirito nuovo; toglier da loro il cuore di pietra e vi dar un cuore di carne. Porr il mio Spirito dentro di voi e vi far vivere secondo i miei statuti e vi far osservare e mettere in pratica le mie leggi. Dallaltra parte il libro di Gioele annuncia che leffusione dello Spirito susciter nei singoli membri del popolo fenomeni profeticoestatici: Dopo questo io effonder il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie, i vostri anziani faranno sogni e i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonder il mio spirito (Gl 3,1s), compiendo cos il desiderio espresso da Mos nel tempo fondatore del popolo: Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e 91

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volesse il Signore dare loro il suo spirito! (Nm 11,20; cfr. in tal senso Luca intende probabilmente anche il logion gesuano della bestemmia contro lo Spirito santo: Lc 12,10). 2. Su questo sfondo possiamo cogliere il significato dellesperienza della effusione dello Spirito per i seguaci di Ges: esso divenne il principio interpretativo della ricostituzione della cerchia dei dodici. La rinnovata trasmissione dellincarico di raccogliere Israele ottenne la propria interpretazione di senso attraverso la ricezione dello Spirito, poich questo era la prova del fatto che Dio stesso oramai aveva iniziato il rinnovamento finale del suo popolo. Particolare attenzione merita in tale connessione la circostanza che secondo Atti 2,33 (cfr. Lc 24,49) il Cristo risorto a effondere lo Spirito: Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. In questo caso difficilmente si tratta di una costruzione lucana, perch il legame tra la risurrezione e elevazione di Ges e linvio dello Spirito si rileva anche in alcuni testi neotestamentari di provenienza diversa. Si veda ad es. il racconto di apparizione di Gv 20,22s, in cui il risorto non solo raccoglie e incarica i discepoli, ma dona anche lo Spirito alitando su di loro, cio attraverso un diretto trasferimento del respiro di vita di Dio; si veda inoltre Ef 4,7-12, come pure, almeno come testimonianza indiretta, 2Cor 3,17, dove Cristo e lo Spirito sono posti quasi in unit. Ulteriore elemento comune a questi testi che essi, diversamente dalla maggior parte degli asserti successivi sullo Spirito, intendono lo Spirito non come dono individuale per i singoli cristiani, ma piuttosto per i discepoli nella loro totalit, cio per la Chiesa. Perci si potrebbe riconoscere alla loro base una tradizione molto antica, che intende lo Spirito come effetto dellavvenimento pasquale per la comunit dei discepoli e inoltre per lintero popolo di Dio. Questa tradizione richiama di nuovo unesperienza storica particolare del gruppo dei dodici; poich non pu essere tratta n dallAT n dalle rappresentazioni giudaiche contemporanee dello Spirito. Secondo queste infatti il Messia il portatore dello Spirito (Is 11,1s), ma mai colui che lo amministra. 3. Ci si addentrer solo brevemente nella questione del reperto storico che ricavabile dal racconto lucano di Pentecoste (At 2). Luca invero d a questo resoconto un grosso peso nello spazio della seconda parte della sua opera storica, non solo per il modo in cui lo espone, ma soprattutto per i numerosi richiami (At 10,47; 11,15-17; 15,8) con cui contrassegna la Pentecoste come linizio dellazione apostolica. Egli tuttavia rende piuttosto complicato il tentativo di risalire al fatto che sta dietro. Gi solo lesposizione che libera molteplici associazioni su piani diversi, ci fa capire che At 2,1-13 non da intendersi come una riproduzione di un evento storico unico. Concepito letterariamente per es. il triplice uso della parola lingue, che dipende dalla duplicit di significato del termine (in greco glssa pu significare anche linguaggio). Cos lo Spirito appare in forma di lin92

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gue di fuoco (At 2,3), conduce a un parlare e udire in lingue differenti (At 2,5-11) e finalmente in At 2,12, il parlare in connessione con la citazione di Gioele 3,1-5 sul parlare in lingue inarticolato ed estatico, cio sulla glossolalia. Persino la forma del miracolo delle lingue in s poco chiara. Basandosi su At 2,4 si potrebbe supporre che lo Spirito ha dato agli Apostoli la capacit di parlare nelle diverse lingue straniere; At 2,8 suggerisce per che fu piuttosto un miracolo di ascolto: ciascuno era in grado di ascoltare gli apostoli parlare nella propria lingua. Qualcuno ha avanzato lipotesi che questa descrizione del miracolo di linguaggio o di ascolto, in collegamento con la tavola dei popoli (At 2,9-11), si riferisca allesperienza di una primitiva fase della missione tra non giudei, interpretata in maniera teologica come effetto dello Spirito santo. Tale missione non venne esercitata dalla comunit primitiva in Gerusalemme, ma piuttosto dalla comunit di Antiochia. Luca avrebbe ricevuto il dato fondamentale della storia di Pentecoste dalla tradizione della comunit di Antiochia, dove costituiva il fondamento della missione tra i pagani. Le indicazioni di una glossolalia estatica (At 2,12s), al contrario, potrebbero derivare da una interpretazione lucana. 4. Che cosa si pu dire sullo svolgimento dei fatti nel giorno di Pentecoste/festa della settimane? 4.1. Losservazione della stretta connessione tra risurrezione di Ges e invio dello Spirito nella tradizione potrebbe avallare la supposizione che in quel giorno sarebbe avvenuta unapparizione del risorto messa particolarmente in rilievo grazie ai suoi effetti. Di fatto si cercato molte volte di identificare levento di Pentecoste con lapparizione davanti a 500 fratelli (1Cor 15,6) menzionata da Paolo. Questo per inverosimile, poich non solo At 2,1-13 privo di qualsiasi accenno a unapparizione del Risorto, ma inoltre le tradizioni pi antiche separano in genere le apparizioni del risorto dalla ricezione dello Spirito: anche se queste erano ristrette a una cerchia ristretta di testimoni (1Cor 9,1; 15,8), per principio da nessuna Cristo era escluso (Gal 3,2ss; 1Cor 12-14). 4.2. Spesso si suggerisce di collegare levento storico di Pentecoste con la festa delle Settimane, nella comprensione che ne avevano i giudei del tempo. Originariamente Pentecoste era una festa del raccolto, che iniziava sette settimane dallinizio della mietitura (Dt 16,9s). Da questa datazione era derivato anche il nome festa delle settimane (hag shavuot). Il contenuto della festa era la presentazione solenne del raccolto nel santuario di Gerusalemme. Presto circoli sacerdotali collegarono il termine alla festa di Pasqua, secondo la testimonianza di Lv 23,15s: dal giorno dopo il sabato [di Pasqua] conterete sette settimane complete. Conterete cinquanta giorni fino allindomani del settimo sabato. Pi tardi questo legame si rafforz con un riferimento formale anche mediante il calcolo farisaico delle date al sabato dopo il giorno di Pasqua. Perci la festa delle settimane aveva luogo regolarmente il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, e di conseguenza nello stesso giorno della settimana, quale conclusione del tempo di Pasqua che si estendeva per cinquanta giorni. La 93

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traduzione greca nel giudaismo ellenistico Pentekost (il cinquantesimo [giorno dopo la Pasqua]; Tob 2,1; 2Macc 12,32) rispecchia questo stato di cose. Durante il II secolo a.C., poi, questo sviluppo fece s che alla festa della settimane si aggiunsero nuovi riferimenti teologici, che si sovrapposero alloriginario carattere di festa del raccolto. Di fronte alla minaccia che lellenismo portava allidentit del popolo giudaico, durante let maccabaica si cerc di salvaguardare le tradizioni dei padri ancorando pi di quanto si era fatto fino ad allora gli eventi storico-salvifici significativi del tempo primitivo alle feste. Cos il libro dei Giubilei composto tra il 145 e 140 a. C. in uno dei gruppi sacerdotali di riforma sorto da poco del movimento asideo, che influ considerevolmente sul modo di pensare della comunit settaria di Qumran, di poco posteriore interpreta la festa delle settimane come giorno di commemorazione delle passate stipulazioni dellalleanza di Dio con Israele, e rispettivamente dellalleanza con No (Jub. 6,15-18), del patto con Abramo (Jub. 6,19s; 14,10-20), come pure del patto di Mos sul Sinai (Jub. 6,11), certamente senza sopprimere del tutto la connessione con lantica festa agraria. Si stabil poi anche un dispositivo formale a favore di questa nuova interpretazione: il vecchio nome hag shavuot (= festa delle settimane) con una mutazione della vocalizzazione venne letto anche hag shevuot (= festa dei giuramenti). Fu possibile cos riferirsi a quei giuramenti con cui Israele nel passato si era sottoposto allistituzione del patto di Dio. La comunit di Qumran celebrava una festa annuale del rinnovamento del patto (1QS 1,8-2,18) che una variante specifica della festa delle settimane israelitica. Questo sviluppo sfoci alla fine in una completa concentrazione della festa su quella conclusione del patto che, tra quelle accennate per la coscienza di identit e autocomprensione di Israele, aveva acquisito dopo la distruzione del tempio un significato decisivo, il patto di Mos sul Sinai, al cui centro si trovava la Tor. Per questo dal secondo secolo d.C. la festa di Pentecoste veniva celebrata come giorno di commemorazione del dono della Legge sul Sinai e il racconto biblico connesso, Es 19, divenne la pericope della festa. Questo stadio finale dello sviluppo non era ancora stato raggiunto nellanno della morte di Ges (30 d.C.), ma abbiamo buoni motivi per supporre che i discepoli di Ges appartenevano alla cerchia in cui si era imposta linterpretazione storico-salvifica della festa di Pentecoste come rinnovamento dellimpegno del Patto di Israele. Se teniamo conto di questo fatto, diventa plausibile il loro corteo verso Gerusalemme a Pentecoste. In verit al tempo di Ges losservanza del precetto del pellegrinaggio a Pentecoste era piuttosto trascurata dalla vasta massa del popolo. Tuttavia non mancavano persone, appartenenti a quei gruppi del popolo che condividevano questa interpretazione storicosalvifica, che facevano un pellegrinaggio a Gerusalemme. possibile che i discepoli di Ges, ricostituiti come gruppo dei dodici dalliniziativa del risorto, si rivolsero a costoro con lintento di rac94

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coglierli come popolo di Dio del tempo finale. probabile allora che questa offerta fosse compresa come compimento della speranza nel rinnovamento finale del patto di Dio col suo popolo. 4.3. Cos il gruppo dei dodici durante la festa di Pentecoste venne a Gerusalemme per predicare per la prima volta davanti a un vasto pubblico giudaico che Dio aveva risuscitato Ges e lo aveva costituito Signore definitivo del popolo di Dio. In quella occasione i suoi discepoli inoltre fecero lesperienza della presenza dello Spirito di Dio, atteso per il tempo finale. verosimile, anche se non del tutto sicuro, che si sia trattato di unesperienza estatica particolare almeno se ci riferiamo al significato che Gl 3,1-5 ha acquisito in At 2,17-21. Il fatto che si era riusciti a guadagnare alla fede in Ges un numero considerevole di uomini provenienti da Israele aggregandoli al gruppo dei dodici, probabilmente fece sorgere anche la coscienza del compimento della promessa dello Spirito. Cos i discepoli non solo ritennero che era ormai divenuta realt lo sperato rinnovamento finale del Patto di Dio con Israele, ma si convinsero inoltre di aver sperimentato il tempo finale, la cui caratteristica essenziale era costituita proprio dalleffusione dello Spirito di Dio su tutto il popolo. 4.4. Cos la Pentecoste giudaica con la sua tematica del Patto costitu il motivo per la prima e costitutiva esperienza dello Spirito fatta dai discepoli di Ges. Nello stesso tempo essa offr anche il concreto luogo di nascita del tema del nuovo patto, un tema cos importante per la comprensione della Chiesa. La presenza dello Spirito di Dio tra i discepoli fu per loro il segno che Dio era ormai pronto a rinnovare il suo patto con lintero popolo (cfr. Is 59,21) collocandolo nellorizzonte del tempo finale. Forse si chiarisce cos anche la stretta connessione tra Spirito e patto, presupposta da Paolo in 2Cor 3,6. In ogni caso lofferta del patto, legittimata attraverso la presenza dello Spirito, era rivolta a tutto Israele. Che sia cos lo vediamo dal ruolo che ha giocato il gruppo dei dodici. La ricezione dello Spirito non era propriamente il segno che lo Spirito sarebbe stato partecipato ai singoli quale criterio della propria appartenenza alla nuova comunit particolare che stava sorgendo. Piuttosto lofferta dello Spirito era rivolta di principio al popolo di Dio nella sua totalit come segno delladempimento della promessa. La predica di Pentecoste di Pietro, sebbene elaborata da Luca, ne ha mantenuto il ricordo essenzialmente nella conclusione: poich per voi la promessa e per i vostri figli, e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamer il Signore Dio nostro (At 2,39). Il significato della prima Pentecoste in Gerusalemme, perci, congiungerebbe per il gruppo dei discepoli la presenza sperimentata dello Spirito di Dio come conseguenza immediata dellelevazione di Ges con il tema del rinnovamento del patto. Il tema del patto potrebbe aver acquisito allora la funzione di principio interpretativo dellesperienza dello Spirito, poich ne dischiuse il significato storico salvifico nellorizzonte di Israele. 95

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La chiara coscienza di costituire la comunit escatologica, in cui leffusione dello Spirito, prome ssa per gli ultimi tempi, gi divenuta realt, sottolineata negli Atti anche attraverso le descrizioni della vita dei primi cristiani (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16): esse mettono in luce che la promessa gi formulata dalla Legge, Non vi sar in mezzo a te alcun bisognoso (Dt 15,4), di fatto per non pienamente realizzata a causa della mancata corrispondenza del popolo (Dt 15,7.11), ora divenuta realt (At 4,34: Non vi era nessun bisognoso in mezzo a loro) nella comunit santa suscitata dalleffusione dello Spirito50.

d) Fondazione dellidentit attraverso il Battesimo Gli sviluppi storici non procedono quasi mai secondo ununica linea. Questo vale anche per la formazione dellautocomprensione della Chiesa. Sicuramente i discepoli di Ges nel primo tempo post-pasquale hanno considerato come loro compito la raccolta finale di tutto Israele quale popolo di Dio. Essi rimangono cos in continuit con il loro incarico pre-pasquale. Per questo Pentecoste non costituisce per loro unesperienza di rottura. Pertanto solo a certe condizioni si pu indicare la Pentecoste come il giorno della nascita della Chiesa. Ma se questa rappresentazione difficilmente pu essere attribuita allautocomprensione dei discepoli di Ges, tuttavia autorizzata da una retrospettiva, che interpreta lavvenimento di Pentecoste alla luce degli sviluppi che esso istituir. Partendo dalla Pentecoste si delineano dei fattori che, se come tali in un primo tempo non fondarono alcuna identit di gruppo separato da Israele, tuttavia nel corso ulteriore costituirono gli inizi di una identit di gruppo in formazione. Dal punto di vista teologico determinante fu lesperienza della novit escatologica, quale dono della presenza dello Spirito. Dal punto di vista sociologico i discepoli di Ges fecero lesperienza di un loro isolamento progressivamente pi marcato in Israele. Quale che sia il motivo decisivo, evidente che subito dopo Pentecoste essi non potevano sapere che lannuncio dei seguaci di Ges avrebbe raggiunto solo una minima percentuale di Ebrei. La raccolta di tutto Israele attorno al gruppo dei dodici come suo punto centrale non ebbe luogo. Perci i seguaci di Ges divennero agli occhi del loro ambiente uno dei molti gruppi giudaici particolari, una hairesis (At 24,5.14; 26,5), analogamente ai discepoli di Giovanni e alla comunit di Qumran. Inoltre essi diedero vita a una forma di vita di gruppo molto specifica, che li differenzi dal loro ambiente; cosa che in parte da attribuire al fatto che provenivano in maggioranza dalla Galilea e alle difficili circostanze esteriori della loro esistenza in Gerusalemme. Il luogo in cui si concretizz in modo primario lesperienza teologica di novit, fu il battesimo. Esso appartiene fin dallinizio alle condizioni base della fede in Ges. Secondo At 2,38 i primi battesimi

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Cfr. V. FUSCO, Le prime comunit cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo delle origini (Bologna: EDB, 1995) 195.

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ebbero luogo a Pentecoste, e non abbiamo alcun motivo per mettere in dubbio questa notizia. In ogni caso nel NT non ci sono tracce di una discussione sulla necessit del battesimo; esso viene praticato fin dallinizio in modo del tutto spontaneo. La cosa tanto pi sorprendente per il fatto che n Ges ha battezzato n sono state tramandate delle istruzioni sue a riguardo del battesimo. Quali ragioni cerano per una sua ripresa dopo Pasqua? 1. Giovanni il Battista ne aveva rivendicato il significato di azione/segno escatologico: chi si convertiva e si faceva battezzare si sottometteva allimminente agire finale di Dio verso il suo popolo; un agire che oramai stava per spuntare. Per questo ai discepoli, che raccogliendosi attorno a Ges come al Salvatore definitivo del popolo si ritenevano i destinatari del dono della salvezza di Dio, fu possibile vedere nel battesimo il segno della sottomissione allagire di Dio. 2. Gi per Giovanni Battista il Battesimo era connesso con lo Spirito. Chi si faceva battezzare, si preparava anche alla venuta del pi forte, il quale avrebbe battezzato con Spirito e fuoco (Mt 3,11; Lc 3,16). I discepoli di Ges, quindi, collegarono facilmente il compimento del tempo finale della promessa biblica delleffusione dello Spirito di Dio per tutti in Israele con il segno del Batt esimo; tanto pi che dichiarazioni bibliche come Is 44,3 e Gl 3,1s annunziavano la venuta dello Spirito utilizzando la metafora dellacqua. Il battesimo divenne cos un segno visibile dellinserimento nellambito della salvezza presente; un ambito determinato dallo Spirito. 3. Lo stesso Battesimo di Ges deve aver giocato un ruolo essenziale per la fondazione del battesimo cristiano. vero che nel resoconto sinottico del battesimo (Mc 1,9-11 e par.) mancano riferimenti diretti alla prassi battesimale ecclesiale, tuttavia i riferimenti tematici alla teologia del battesimo rendono verosimile una tale connessione. Cos Ges in virt del battesimo proclamato portatore dello Spirito (Mc 1,10), mentre la voce dal cielo lo dichiara Figlio di Dio. Allo stesso modo nel battesimo cristiano il conferimento dello Spirito collegato con lo status di figli di Dio. Cos per Paolo (Gal 4,5-6; Rm 8,15; cfr. Ef 1,5) il dono proprio del battesimo il conferimento della filiazione che si attua mediante lo Spirito. Per cui solo il battezzato, in forza dellefficacia dello Spirito santo, pu nominare Dio Padre. Il racconto del Battesimo da una parte evidenzia che Ges col suo farsi battezzare ha preso possesso del battesimo di Giovanni e gli ha conferito il proprio significato istituto da Dio. Daltra parte esso d al battesimo di Ges un riferimento tipologico alla vita dei credenti: come il battesimo si trova allinizio della via di Ges, cos si trova pure allinizio dellesistenza cristiana. I credenti in virt del battesimo sono in comunione con Ges; essi si sottopongono come lui al compimento della rivendicazione della giustizia di Dio cfr. Mt 3,15. 4. I due aspetti si ritrovano nelle formule che riferiscono il battesimo a Ges: en t onmati Iesou Christou (At 10,48; cfr. 2,38: epi) e eis t noma tou kurou Iesou (At 8,16; 19,5; 1Cor 1,13.15; 97

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cfr. 1Cor 10,2; Mt 28,19). La prima sottolinea che Ges lautorit che ha istituito il battesimo. Lamministrazione avviene facendo ricorso ai suoi pieni poteri. Il battesimo di Giovanni infatti era collegato al potere del Battista che aveva ricevuto da Dio lincarico di amministrarlo. Ormai per Ges gli subentrato. Siccome Ges colui da cui dipende la venuta dello Spirito di Dio del tempo finale, la subordinazione sotto la potenza dello Spirito pu aver luogo solo mediante il battesimo amministrato nel suo nome. La seconda formula esprime invece il passaggio di propriet. Se nellAT Israele proclamando su di s il nome di Dio si riconosceva come popolo di propriet di Dio (Dt 28,10; Is 43,7), ora i credenti in Ges confessando il suo nome sono incorporati alla Signoria presente dellinnalzato (Gc 2,7), che ha il suo raggio di azione nella comunit dei credenti. e) Il nuovo culto liturgico Il secondo luogo nel quale si concentra come centro nevralgico la novit teologica esperimentata del discepolato di Ges, e che perci divenne anche sociologicamente il principio per lo sviluppo di una specifica identit di gruppo, fu il culto liturgico. Ci risulta dai resoconti degli Atti degli Apostoli sulla vita liturgica della prima comunit di Gerusalemme. Cos noi leggiamo nel sommario di At 2,46: Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicit di cuore. Mentre At 5,42 dice degli apostoli: Ogni giorno nel tempio e a casa non cessavano di insegnare e di evangelizzare il Cristo Ges. Di conseguenza, allinizio cerano due diversi tipi di assemblea liturgica, che si differenziavano considerevolmente non solo in riferimento al luogo, ma soprattutto a riguardo della loro configurazione. 1. La prima era la partecipazione al servizio del tempio, ossia al servizio liturgico di tutto Israele. Poich Gerusalemme era il centro di Israele e il luogo dellattesa raccolta del popolo di Dio, il te mpio poteva essere considerato come il centro di Gerusalemme e il centro della raccolta. Perci la comunit dei seguaci di Ges qualificava la sua presenza in Gerusalemme stando nel tempio. Essi prendevano parte alle tre ore di preghiera quotidiana (At 3,1) sfruttando inoltre loccasione favorevole alla predicazione missionaria data dal convenire in quel luogo di molti giudei (At 3,11-26). Lelemento centrale del servizio cultuale al tempio era sicuramente la celebrazione dei diversi sacrifici quotidiani. Non dovremmo escludere a priori la possibilit che la comunit primitiva abbia preso parte ai sacrifici del tempio. Essa non condivideva i principi della comunit di Qumran, che boicottava come illegittimo il culto sacrificale, poich considerava illegittimo e impuro il sacerdozio del tempio (cfr. 1QM 2,1ss). Ges aveva avuto una relazione sostanzialmente positiva verso la piet sacrificale giudaica (Mt 5,23; 8,4; 23,18), perlomeno di lui non ci viene tramandato alcun giudizio negativo definitivo sul sacrificio. Lunico fondamento per respingere il culto sacrificale poteva esse98

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re lintuizione che la morte di Ges era ormai lunico sacrificio valido, che superava ed aboliva il sacrificio finora celebrato. Questa intuizione emerge gi presto dalla riflessione teologica sulla cena del Signore, in primo luogo sulle parole di istituzione del dono della vita per i molti ( Mc 14,24) [cfr. Rm 3,25]. discutibile tuttavia che tale intuizione possa essere gi presupposta per il tempo iniziale. Se cos stanno le cose, allora non fu di primo acchito la svalutazione del tempio e la critica al culto divino ivi celebrato, che indusse i discepoli di Ges a sviluppare accanto a questo una propria forma di servizio divino. Il motivo primario dovrebbe consistere piuttosto nell intuizione che per seguire la volont di Ges si doveva continuare quella comunit di mensa che egli aveva istituito in modo permanente nella notte delladdio. 2. Ci avviene nella forma di assemblee domestiche, che si tenevano nelle case dei membri della comunit. In proposito si suppone che la casa di Maria, la madre di Giovanni Marco (At 12,12), sia stata per il tempo iniziale un importante (e forse unico) luogo concreto di raccolta. Queste assemblee domestiche nel giudaismo gerosolimitano del tempo non erano affatto qualcosa di insolito, se consideriamo che questo il tempo della crescita disordinata delle comunit sinagogali: secondo la tradizione talmudica (jMeg 73b) in Gerusalemme ci sarebbero state allora 480 sinagoghe. Anche se questa cifra fosse esagerata, evidente limportanza del nuovo movimento per la raccolta di piccoli gruppi, promosso principalmente dal fariseismo. Le sinagoghe erano in parte articolate per gruppi di connazionali ed erano ospitate nelle case dei membri benestanti, dove si tenevano delle assemblee liturgiche, al cui centro cerano listruzione sulla Tor e preghiere. Esternamente anche le assemblee domestiche della comunit originaria erano analoghe a questi culti sinagogali. Ciononostante solo in Gc 2,2 si applica ad unadunanza cristiana il termine sinagoga. Il fenomeno linguistico documenta la coscienza della diversit contenutistica e della novit di queste assemblee. 3. I segni distintivi di queste nuove assemblee sono descritte dal sommario proveniente da unantica tradizione: At 2,42: erano assidui nellascoltare linsegnamento degli apostoli, e nella , nella frazione del pane e nelle preghiere. 3.1. La dottrina aveva qui il proprio luogo, esattamente come nelle sinagoghe. Ma non era pi la Torah con la sua spiegazione e continuazione nella Halacha orale; piuttosto la dottrina degli apostoli, che sicuramente comprendeva anche la trasmissione delle parole di Ges, innanzi tutto le sue istruzioni etiche (cfr. 1Cor 7,10.25), come pure linterpretazione della sua storia alla luce del venerd santo e della Pasqua. Gi molto presto si svilupp un modo peculiare di interpretare le Scritture, che cercava di mostrare come le promesse delle Scritture avevano ricevuto il loro adempimento nellagire di Dio con Ges. Se consideriamo che linsegnamento della dottrina esige continuit, non sbagliato immaginare che essa fosse rivolta a coloro che nel battesimo si erano sottomessi a un 99

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impegno vincolante e quindi avevano un riferimento stretto alla comunit: coloro che mediante il battesimo erano stati incorporati nellambito della Signoria finale del Cristo innalzato, si trovavano uniti fra di loro in una relazione particolare. Limpegno vincolante della comunione con Cristo aveva come conseguenza limpegno vincolante dellessere-con nella comunione dei battezzati. 3.2. Un secondo segno distintivo lo spezzare del pane (At 2,46; 20,7.11; 1Cor 10,16). Questo segno distintivo senza dubbio antico intende la cena del Signore, di cui mette in rilievo come pars pro toto lelemento centrale dellavvenimento della cena, attraverso cui si attua linclusione dei partecipanti. Antichi sono anche i segni caratteristici che sottolineano il carattere di comunione: si parla di un radunarsi assieme (sunrchomai: 1Cor 11,17s.20.33s; 14,23) e di essere assieme in un medesimo luogo (enai ep t aut: At 2,44; 1Cor 11,20; 14,23). Ora, uno degli elementi basilari della venuta della condizione escatologica era costituito proprio dal radunarsi del popolo di Dio disperso e, per estensione, di tutta lumanit in un medesimo luogo intorno alla persona del Messia, perch si potesse attuare il giudizio del mondo e si stabilisse il regno di Dio51. Mediante la celebrazione della cena del discepolato, il Cristo rinnovava continuamente la sua comunione e dischiudeva la partecipazione alla salvezza finale. Nel primitivo tempo gerosolimitano la cena si celebrava con giubilo (en agallisei: At 2,46), cio in unatmosfera escatologica, che si nutriva dellesperienza della risurrezione. La certezza della comunione conviviale permanente con il risorto sfociava in unattesa intensa del compimento escatologico creduto ormai prossimo. 3.3. Latmosfera di gioia e di speranza trovarono espressione immediata nelle forme liturgiche della celebrazione, cio nelle preghiere. Il punto di partenza per lo sviluppo venne offerto dalle preghiere del pasto festivo giudaico, la preghiera di benedizione (berakah) sul pane al suo inizio e la preghiera di rendimento di grazie (kiddush) sul calice conclusivo (1Cor 10,16). Qui troviamo anche le radici per una indicazione come pars pro toto della cena come eucaristia, che se in verit attestata esplicitamente solo attorno al passaggio al secondo secolo (Did. 9,1.5; Ign Ef 13,1; Phld 4; Sm 8,1), tuttavia dovrebbe essere pi antica. Come elemento integrante centrale della celebrazione della cena del Signore tramandato il grido di invocazione aramaico: marana tha = Signore nostro, vieni!

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Il tema emerge qua e l nel vangelo: in Mt il regno di Dio paragonato a una rete gettata nel mare, che raduna ogni genere di pesci (Mt 13,47), mentre, in termini ancor pi espliciti, nella descrizione della parusia del Figlio delluomo leggiamo che, in quel giorno, saranno radunate davanti a lui tutte le genti (Mt 25,32). In Gv lo scopo della passione di Cristo e, per estensione, di tutta lopera salvifica, non so lo la salvezza di Israele, ma anche il radunare i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52). Non a caso Paolo offrendoci la pi antica descrizione delleucaristia ci dice che la chiesa riunita in un medesimo luogo (1Cor 11,20). Un riflesso del tema si ha gi nella prima letteratura postapostolica; ad es. nella Didach cos si prega: Come questo pane spezzato sui colli e radunato divenne una cosa sola, cos la tua chiesa sia radunata dai confini della terra nel tuo regno (9,4). Ecco perch si parla di sinassi eucaristica.

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(1Cor 16,22; cfr. Ap 22,17.20). Con questa invocazione la comunit implora (o confessa) la venuta presente del Signore innalzato alla comunione conviviale in attesa di partecipare con il Signore alla futura cena del compimento messianico, a cui la celebrazione attuale della cena rinvia come anticipazione. Nellorizzonte della cena si svilupp quindi una particolare forma di preghiera cristiana52. 4. Per quel che riusciamo a capire, la celebrazione della cena costituiva il motivo centrale per la raccolta dei discepoli di Ges. Ci significa che la corrispondenza della comunit dei discepoli di Ges con le comunit sinagogali giudaiche si limita allaspetto sociologico53. indubitabile quindi che la comunione di mensa sia stato il principio decisivo per la formazione della specifica autocomprensione e coscienza di identit della primitiva comunit. Certamente questa coscienza di identit non comportava una delimitazione nei confronti di Israele. Le assemblee di mensa di Gerusalemme avevano luogo ancora allombra del tempio. Non che non ci fossero tensioni: i discepoli di Ges ne erano consapevoli, e tuttavia speravano che si arrivasse a una soluzione prossima. Molto presto per si presenteranno dei fattori che muteranno la vicinanza in contrapposizione. Verosimilmente il primo colpo venne sferrato dalla critica teologica al tempio dei giudeo-cristiani ellenistici della cerchia di Stefano (At 6,14), che riprese i motivi della polemica di Ges contro il tempio e il culto del tempio erigendoli a principi fondamentali. f) Il nuovo stile di vita Dal punto di vista storico, lethos del cristianesimo delle origini si colloca tra ebraismo e paganesimo54. lethos di un gruppo che deriva dallebraismo, ma che trov la maggior parte dei suoi seguaci nel paganesimo. Lethos cristiano primitivo si distingue da quello ebraico solo per gradi, i n-

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Rimane aperta la questione sulla frequenza della celebrazione della cena nella comunit originaria. Difficilmente si pu ricavare da At 2,46 lindicazione che essa fosse celebrata quotidianamente. Verosimilmente la celebrazione aveva luogo settimanalmente nel primo giorno della settimana, il giorno del Signore ( At 20,7; cfr. Ap 1,10). 53 Considerato il fatto che lassemblea conviviale cristiana orientata alla costituzione di una cerchia stabile di membri, cio i battezzati, come pure la posizione centrale del pasto, qualcuno la mette in parallelo ai raduni dei gruppi farisaici (khaburot), che si impegnavano accanto allo studio della Legge a compiti caritativi. Anche i membri di queste khaburot si assegnavano degli obblighi stabili, e pare che essi celebrassero linizio del sabato con particolari tempi di pasto c omuni (bEr 85b; bPes 101b). Ma a prescindere da ci, per quel poco che ne sappiamo questi tempi di pasto in comune non avevano alcun significato costitutivo per la comunione. Il parallelo pi vicino del giudaismo contemporaneo si ha nei pasti comunitari della comunit di Qumran, poich anchessa celebrava dei pasti liturgici di carattere fortemente escatologico che avevano unimportanza considerevole per lautocomprensi one del gruppo. Tuttavia a fronte di questa somiglianza, spicca la profonda differenza: i pasti di Qumran avevano un carattere sacerdotale, essi esprimevano visibilmente la separazione dal culto ufficiale del tempio. Al contrario, non troviamo un tale presupposto nelle assemblee conviviali precristiane. Il gruppo dei credenti in Ges si radunava in queste assemblee conviviali non per sostituire il culto del tempio, bens per obbedire al comando di Ges e attestare cos che erano sua propriet. Se lapparten enza era fondata sul battesimo; essa acquisiva la sua strutturazione mediante la celebrazione della cena. 54 Ci ispiriamo per questa sezione alle riflessioni di G. THEISSEN, La religione dei primi cristiani. Una teoria sul cristianesimo delle origini (Torino: Claudiana, 2004) 93-158.

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tensificando e radicalizzando elementi gi esistenti nellebraismo, con una tendenza a superarli in virt di una migliore giustizia (Mt 5,20). Questa tendenza al superamento viene portata avanti nellambito pagano. In specie, il cristianesimo delle origini introduce nella societ pagana due elementi provenienti dalla tradizione ebraica ma del tutto nuovi in questa forma: lamore per il prossimo e lumilt. Il legame tra i due valori il vero elemento innovatore allinterno del mondo pagano. Inoltre, essi si riferiscono a due dimensioni fondamentali dei rapporti sociali: lamore concerne soprattutto il rapporto tra chi si trova allinterno e chi allesterno del gruppo. Lamore dei primi cristiani vuole superare questo confine. Lumilt concerne, invece, il rapporto tra alto e basso. a) Lamore per il prossimo esiste gi nellAT e nellebraismo. Esso viene richiesto la prima volta nella Legge di santit: Lv 19,18 si riferisce allamore nei confronti del vicino, che in linea di principio gode del medesimo status. Questo amore per il prossimo si collega in Levitico 19 a un ethos orientale della carit abbastanza diffuso, che si riferisce ai deboli, alle vedove e agli orfani. Solo in Israele, per, la categoria di queste persone miserevoli viene estesa anche ai forestieri: Lv 19,34. Ora, lethos cristiano primitivo dellamore per il prossimo una radicalizzazione dellethos ebraico. Quel che c di nuovo che il duplice comandamento dellamore per Dio e per il prossimo si coll oca al centro e viene esplicitamente definito come il pi grande dei comandamenti. Anzi, in primo luogo, lamore per il prossimo diviene amore per i nemici (Mt 5,43s). Si noti che qui il nemico non soltanto il nemico personale: si parla infatti di nemici come di un gruppo che ha potere di persecuzione e di discriminazione. Perci il comandamento non si rivolge ai singoli, bens, al plurale, alla comunit: amate i vostri nemici!. In secondo luogo, lamore per il prossimo viene esteso fino a diventare amore per lo straniero (Lc 10,25ss). Il samaritano della parabola si rivela essere il prossimo non perch abbia uno status che giustifichi tale definizione, ma per il suo comportamento. Infine, lamore per il prossimo diventa amore per il peccatore (Lc 7,36ss). Questa estensione del concetto di amore si associa nella tradizione di Ges a un rifiuto dellamore nei confronti dei parenti pi stretti: Lc 14,26. Ci indica che lamore si separa dal suo primo Sitz im Leben lamore allinterno del circolo parentale per essere rivolto a coloro che in genere si trovano al di fuori di questo gruppo ristretto: la nuova famiglia di Dio (Mc 3,31-35; par.). Non solo: con tale estensione, questo amore per il prossimo rischia di perdere la sua simmetria di principio. Quando Matteo distingue il comandamento dellamore dei nemici da quello dellamore per il prossimo e rappresenta lamore per il nemico come radicalizzazione dellamore per il prossimo, egli omette, citando Lv 19,18, la formula di equivalenza. Egli non dice: Avete inteso che fu scritto: ama il tuo prossimo come te stesso, ma soltanto Ama il tuo prossimo (Mt 5,43; diversamente in102

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vece Mt 19,19; 22,39). Matteo avverte giustamente che lelemento dellequivalenza deve venir meno nellamore per i nemici. Ci nonostante, questa tendenza al riconoscimento dello stesso valore di altri esseri umani viene mantenuta. Soprattutto Luca vi si mostra molto sensibile: Lc 6,31; Lc 10,29ss; 7,47; 7,5 Gli sviluppi nel cristianesimo delle origini prendono per unaltra direzione: qui troviamo tendenze che vanno verso una certa restrizione del comandamento dellamore. Ancora in 1Ts 3,12, Paolo mette sullo stesso piano lamore degli uni verso gli altri e verso tutti, ma in Gal 6,10 comincia gradualmente a fare alcune distinzioni: Cos, dunque, finch ne abbiamo lopportunit, facciamo del bene a tutti, ma specialmente verso i fratelli nella fede. Giovanni va ancora oltre e sembra scavare unopposizione tra il mondo e la comunit; qui lamore ormai solo amore degli uni per gli altri (Gv 13,34; 15,12.17) Nelle lettere di Giovanni, esso appare come amore fraterno, ma limitato alla comunit (1Gv 2, 10). Tuttavia, non ci si deve ingannare: anche questo amore reciproco deve avere un effetto verso lesterno. Esso dovr essere un segno di distinzione dei discepoli di Ges, che render possibile la loro identificazione da parte di tutti (Gv 13,35). Tutti sono potenzialmente inclusi in questo amore, poich Dio ha amato tutto il mondo e non solo gli eletti (Gv 3,16). Questa tendenza alla restrizione non da interpretarsi semplicemente come perdita: il fatto che nella comunit lamore sia sancito come nuovo Sitz im Leben, fa s che anche la tendenza, in esso intrinseca, alluguaglianza fondamentale di tutti emerga in maniera pi chiara, e ci specialmente in Paolo, in Giacomo e in Giovanni: si vedano le esortazioni di Paolo ai forti nei confronti dei deboli (1Cor 8,9ss; Rm 14,15; Filem 16); Gc 2,1-11; lepisodio della lavanda dei piedi (Gv 13,1ss), in cui Ges, il Signore e il Maestro, nellesercitare il sevizio dello schiavo manifesta lestremo dellamore e rivela tutto ci che il Padre gli ha rivelato, facendo dei discepoli i suoi amici (Gv 15,15). Troviamo quindi nellelaborazione del comandamento dellamore nel cristianesimo delle origini due tendenze: da una parte, il superamento dei confini tra gruppo esterno e gruppo interno; dallaltra, il superamento dei limiti gerarchici tra alto e basso. b) Se lamore per il prossimo si rivolge fondamentalmente al vicino e al prossimo ma riscontra ovunque reali disuguaglianze, la relativizzazione e il superamento delle differenze di status devono necessariamente diventare un valore complementare. Nella tradizione biblica la rinuncia allo status corrisponde spesso a un innalzamento di status: umiliazione ed elevazione sono associate. Alcune particolarit dellumilt nel cristianesimo primitivo si evincono gi da una breve analisi delle pri ncipali affermazioni al riguardo. Nel cristianesimo primitivo si pu parlare di cambio di posizione come di scambio fra il primo e ultimo (cfr. Mc 10,31; Mt 19,30; 20,16; Lc 13,30) o di relazione interna tra umiliare ed elevare (Lc 14,11; 18,14; Mt 23,12; Fil 2,6ss; 2Cor 11,7; Gc 4,10). Ma la va103

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riante pi caratteristica del cambio di posizione soprattutto lumiliazione di s che mira allelevazione di altri: Mc 10,43; cfr. 9,35 e Mt 23,11. tipico del cristianesimo delle origini fare della rinuncia allo status una condizione per lautorit allinterno della comunit. Lumilt, normalmente un atteggiamento degli schiavi e di chi sottomesso, diventa cos la caratteristica distintiva di coloro che vogliono assumere posizioni di guida nella comunit. Nella letteratura epistolare si invita allumilt come atteggiamento interiore, anzi allumilt reciproca (Fil 2,3; Rm 12,16; Ef 4,2; 1Pt 5,5). Come si giunse alla scoperta di questa nuova virt sociale? Il primo passo si ha quando il timore di Dio diventa non solo espressione di timida paura di fronte allarbitrio della divinit, ma immagine di speranza: cfr. il cantico di Anna (1Sam 2,6s). In secondo luogo questa virt comincia ad essere inserita nellideale dei re: cfr. Zc 9,9. Il terzo passo fu compiuto solo in piccoli gruppi comunitari: cfr. gi allinterno dei rotoli di Qumran (1Qs 2,23-25). Lethos cristiano primitivo dellumilt porta fino in fondo questi tre presupposti, con due tendenze: nella tradizione sinottica lassioma del cambio di posizione agisce insieme al richiamo alla rinuncia allo status; le esortazioni allumilt, come atteggiamento determinante per lazione compaiono nel la letteratura epistolare sotto la forma di umilt reciproca, finch questa diverr verso la fine dellepoca cristiana primitiva unumilt della sottomissione unilaterale. Nei Sinottici troviamo nel Cantico di Maria la prima delle condizioni indicate: lazione di Dio interpretata come umiliazione salvifica ed elevazione (Lc, 1,52). Questo cambio di posizione si manifesta in particolare nella nascita del Messia. Si trova nei Sinottici anche la seconda condizione: un ideale di regno umano, del quale fa parte lautolimitazione del potere per via della rinuncia allo status. Ges colui che realizza questo ideale: egli re umile che entra in Gerusalemme in groppa a un asino (Zc 9,9 = Mt 21,5; cfr. Gv 12,15). Egli il sovrano Figlio di Dio, che potrebbe esercitare tutti i poteri divini, ma che vi rinuncia per percorrere il cammino fino allestrema umiliazione sulla croce. Come Figlio delluomo che non venuto per farsi servire ma per servire tutti con il sacrificio della propria vita, egli allo stesso un esempio per i suoi discepoli (Mc 10,45) e una contro-immagine speculare dei sovrani della terra che opprimono i popoli e abusano del loro potere (Mc 10,42). Tra i discepoli, quindi, avr autorit solo colui che disposto a essere servo o schiavo di tutti. In questa tradizione sinottica, lumilt non una virt degli umili, che devono semplicemente accettare la propria posizione inferiore, bens limitazione del Signore delluniverso che rinuncia spontaneamente al proprio status. Lumilt una virt del potente. Nella letteratura epistolare cristiana primitiva prende inizio una nuova evoluzione: qui lumilt si lega alla terza condizione sopraccitata: al sua collocazione nelle comunit locali. Qui lumilt non 104

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un atteggiamento servile di fronte ai sovrani, bens un comportamento da tenere nei confronti di chiunque, a prescindere dal suo status sociale. Essa imitatio di colui che ha abbandonato il status superiore per portare la salvezza agli esseri umani attraverso lumiliazione di se stesso. Rispetto alla tradizione sinottica qui si aggiunge un nuovo elemento: nelle comunit si pretendono reciprocamente lumilt e la rinuncia allo status. Il legame interno tra amore e umilt si evince da Gal 5,13, dove Paolo esorta: Per mezzo dellamore siete a servizio gli uni gli altri; cfr. Fil 2,2s; 1Cor 13,5; Rm 12,9ss; Ef 4,2. Paolo poi lega lethos dellumilt reciproca a una visione critica delle autorit comunitarie: 1Cor 3,21-23; 2Cor 11,7. Questo tema si precisa nella 1 Pietro, in cui allumilt reciproca si aggiunge linvito a sottomettersi agli anziani della comunit: 1Pt 5,5. La Prima Clementis va ancora oltre: in essa lumilt non pi un fatto di reciprocit, ma il riconoscimento unilaterale delle autorit comunitarie (1Clem 56,1). c) Questi due valori fondamentali si riflettono poi sulle altre norme e valori. Qui accenneremo ai loro riflessi su quattro ambiti: potere, propriet, sapere e santit. - Circa il primo, il potere, notiamo che le tre caratteristiche che nei Salmi di Salomone (17) erano proiettate sul futuro re messianico potere teocratico, realizzazione della pace, vittoria sui nemici sono ora legate ai seguaci di Ges, cio a persone umili provenienti dal popolo; anzi la basileia di Dio viene aperta a tutti i pagani (Mt 8,11). Lattesa messianica tradizionale stata trasformata in un messianismo di gruppo (il regno dei cieli appartiene ai poveri in spirito: Mt 5,3; i figli di Dio sono esentati dal pagamento di particolari imposte: Mt 17,24ss; i dodici giudicheranno le trib di Israele: Mt 19,28; i cristiani regneranno con Cristo: Rm 5,17; giudicheranno gli angeli: 1Cor 6,3; i cristiani gi regnano: 1Cor 4,8), i cui nemici non sono le altre nazioni, ma Satana e i demoni (Mt 12,28). - Anche nei confronti della propriet e della ricchezza un fatto riconosciuto che la carit cristiana (rivolta di preferenza ai poveri e ai deboli) ha preso il posto dellevergetismo antico. In proposito sono importanti i due passi: Vi pi gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35); e le opere di misericordia di Mt 25,31ss. Questi atteggiamenti filantropici, che nellantichit connotavano i comportamenti delle classi elevate, diventano ora condotte tipiche anche dei poveri (cfr. la vedova: Mc 12,41-44). Per quanto, poi, riguarda le motivazioni psicologiche troviamo la moderata messa in guardia contro lavidit o pleonexia (cfr. Mc 7,22; Lc 12,15; Col 3,5; Ef 5,3): essa fa parte dellidolatria (Col 3,5; Ef 5,5) ed esclude dal regno di Dio (1Cor 6,10; Ef 5,5). Pi radicale lesigenza contenuta nella tradizione sinottica di liberarsi anche dalle preoccupazioni per i bisogni elementari della vita, e non solo dal desiderio del superfluo: Mt 6,25ss. Il motivo di fondo sta nellesempio dato dal Cristo stesso che, come ha rinunciato al potere di questo mondo, divenuto prototipo della rinuncia alla povert: 2Cor 8,9. 105

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- In modo simile le indicazioni precedenti valgono anche per la sapienza. Anche qui Cristo incarna il cambiamento radicale dei paradigmi: colui che la sapienza stessa di Dio si fece follia (1Cor 1,18ss). Notiamo innanzi tutto che nei sinottici Ges ha trovato nuovi destinatari della sapienza di Dio, non i sapienti e gli intelligenti ma piuttosto i piccoli, coloro che sono gravati dal lavoro ( Mt 11,28ss; cfr. al contrario di Sir 38,24-39,11) e persino le donne (Lc 10,38-42). In Paolo questo processo di capovolgimento continua: la sapienza della croce di fronte al mondo sembra pazzia, ma in realt la vera sapienza (1Cor 1,26ss; cfr. Gc 3,13-18). Questa sapienza si concentra infine non nella torah, ma ultimamente nella persona di Ges (Mt 12,42; Col 2,3; Gv 1,1ss): trasmessa da lui, essa diventa accessibile a tutti, in Israele e anche oltre i suoi confini (al contrario delle correnti apocalittiche che la riservano a pochi e rari visionari: Enoch etiopico, 42,1-2). - I potenti e i ricchi tendono a circondare la loro potenza e la loro ricchezza con laura del sacro e della legittimit. Sapienti e sacerdoti amministrano questaura, poich il loro vero potere quello della definizione: secondo Lv 10,8 ai sacerdoti spetta di discernere ci che santo da ci che profano, ci che impuro da ci che puro. Ora, il mantenimento dello status proprio dei sacerdoti si otteneva in Israele attraverso una serie di restrizioni circa la discendenza, il comportamento matrimoniale e tramite lirrigidimento dei tab. Dallaltra parte, Israele consapevole che a tutto il pop olo Dio chiede: Siate santi, perch io, il Signore vostro Dio, sono santo (Lv 19,2; 22,31ss). Tutto il popolo riceve la profezia: sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione santa (Es 19,6). Nel movimento di Ges questa tendenza allestensione della santit viene addirittura dilatata ai non ebrei, quando questi si convertono alla fede cristiana. Il mantenimento dello status sulla base della discendenza nel cristianesimo viene completamente eliminato (cfr. gi la predicazione del Battista: Mt 3,9ss). Nel cristianesimo la potenza che conferisce la santit e la purit lo Spirito santo, che riveste Ges e in seguito inabita i cristiani, conferendo loro lo statuto di figli di Dio, indipendentemente dalla discendenza e dalla loro origine (Rm 8,4; Gal 4,6). Tutti i battezzati sono santi (Rm 1,7; 1Cor 1,12 passim): sono tutti nella condizione che prima apparteneva soltanto ai sacerdoti. Essi, pertanto, devono comportarsi in maniera irreprensibile, poich i loro corpi sono tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,18s); il loro corpo lofferta vivente, santa e gradita che devono offrire a Dio (Rm 12,1). Mediante Cristo, tutti sono lavati, santificati, giustificati (1Cor 6,11): il battesimo quindi purifica, porta alla santificazione e conduce verso una nuova vita etica, fatta di giustizia. I cristiani formano in quanto comunit, un edificio spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali (1Pt 2,5); di conseguenza devono comportarsi in modo esemplare tra i pagani (1Pt 2,11s). Questo ethos si fonda sullevento della risurrezione di Ges Cristo, la quale ha dato inizio a una nuova realt in mezzo al vecchio mondo, aprendo nuove possibilit di comportamento. 106

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g) La formazione di una propria struttura organizzativa Ogni vita associata che non dipende dalla pura spontaneit del momento, ma piuttosto vuole essere stabile e continua, ha bisogno di strutture permanenti. I compiti devono essere ripartiti, le responsabilit devono essere delegate a persone o a gruppi di persone. A dire il vero noi conosciamo poco circa lo sviluppo della costituzione comunitaria e delle strutture di direzione in Gerusalemme. Dobbiamo affidarci a notizie pi o meno incidentali presenti negli Atti e nelle lettere paoline. Quanto poi alle considerazioni teologiche e pratiche sottostanti a questo sviluppo ne sappiamo ancora meno. Qui noi non possiamo fare altro che offrire delle congetture. Tuttavia al fondo del materiale a disposizione possiamo cogliere almeno due elementi comprensivi: (1) Nei primi due decenni fino al concilio apostolico (ca. 48) i rapporti allinterno della comunit cristiana furono in rapido mutamento. Si susseguirono e in parte esistettero luno accanto allaltro diversi modelli costitutivi. Qualcuno parla di una fase di esperimenti, in cui si cerc di rispondere convenientemente alle necessit esterne in divenire e nello stesso tempo di conferire allautocomprensione comunitaria ancora fluttuante unespressione appropriata. (2) Se si cerca di ricondurre questo sviluppo a un denominatore comune, allora abbiamo a che fare con una crescente caratterizzazione istituzionale nei confronti del giudaismo. Da movimento escatologico di raccolta di Israele oramai esso diviene la Chiesa di Ges. Si pu giungere ad unappropriata comprensione della storia della costituzione della Chiesa primit iva solo se si resiste alla tentazione ovvia di costringerla nel reticolo delle posizioni confessionali dellet moderna. Queste sono inadeguate. Se sul versante cattolico si sempre cercato di rintracciare nella comunit primitiva gli inizi di uno sviluppo organizzativo ininterrotto che avrebbe condotto allordinamento gerarchico posteriore, al contrario gli interpreti evangelici, che negavano tutto ci, vi hanno trovato una conferma della propria posizione critica per principio nei confronti del ministero: la comunit primitiva si sarebbe caratterizzata per una vita comune determinata solamente da una comunicazione spontanea e libera da strutture di ordinamento. La tesi di una costituzione carismatico-democratica senza persone speciali che detengono un ufficio, sostenuta fino ad oggi dalla teologia protestante, anche se in generale non pi nella formulazione radicale di R. Sohm, il quale, prendendo a modello la comunit di Corinto, opponeva la Chiesa dello spirito e della carit alla Chiesa del diritto. Si vedano ad es. le riflessioni di H. von Campenhausen:
La comunit non dunque vista in Paolo come una organizzazione sempre strutturata, gerarchizzata o stratificata, bens come un cosmo vivente, unitario, di liberi doni spirituali che si servono e si integrano a vicenda e i cui depositari non possono mai elevarsi gli uni sopra gli altri o chiudersi gli uni agli altri. Dal momento che ogni costrizione, ogni potere permanente di comando espressamente escluso, il quadro della comunit che cos si presenta, se inteso nel senso di un ordina-

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mento sociale umano, utopistico. E ancora: Per un ufficio di direzione secondo il tipo del presbiterio o del posteriore episcopato monarchico, non c posto in Corinto, n in pratica, n in linea di principio55.

Ora, certamente un errore pretendere che le comunit paoline avessero gi unorganizzazione canonica, visto che questa sorge da situazioni e prospettive posteriori. Let apostolica gode di norme speciali, poich lapostolo in senso paolino, cio linviato di Ges Cristo, chiamato personalmente da Dio al suo servizio, una figura eccezionale, cos come il carismatico abilitato immediatamente dallo Spirito al suo servizio nella comunit. Questo ordinamento apostolico e pneumatico , per, essenzialmente diverso da quello canonico o gerarchico? Eduard Schweizer osserva giustamente che libert dello spirito e ordinamento giuridico non si possono contrapporre e non si escludono a vicenda. Egli, per, presenta questo ordinamento nei seguenti termini:
lo Spirito di Dio, che indica nella libert quello che lordinamento della comunit poi ricon osce: questo dunque funzionale, regolativo, di servizio, non costitutivo; e proprio questo determinante56.

Rinviando a pi oltre la questione decisiva, se un determinato ordinamento o costituzione fosse costitutivo gi per la Chiesa primitiva, qui ci limitiamo a raccogliere i dati a disposizione. 1. Nel tempo post-pasquale primitivo i dodici costituirono il centro attorno al quale si raccolse la comunit. Essi dal loro sorgere rappresentavano il simbolo kerigmatico di quella raccolta di tutto Israele a cui mirava Ges. Per questo agli occhi delle persone che si univano a loro, essi erano primariamente i testimoni dellinnalzato, segni viventi del regno che viene e centro del popolo di Dio della fine dei tempi oramai in processo di raduno visibile. Osserviamo che i dodici non devono essere identificati in modo puro e semplice con la prima successiva cerchia degli apostoli e che come singoli non sembra abbiano esercitato unattivit missionaria al di fuori di Gerusalemme; piuttosto essi furono attivi con la loro comune testimonianza nella citt santa. 2. Pietro godeva nel gruppo dei dodici di una posizione di preminenza essendo il confidente pi stretto di Ges e il primo testimone della risurrezione (1Cor 15,5). Egli agiva anche in modo indipendente, precisamente sia come portavoce della comunit verso lesterno (At 3,1-10; 5,15) e di fronte alle autorit giudaiche (At 3,11-26; 4,8-22) sia come colui che regolava le questioni interne (At 5,1-11). La tradizione lo presenta come un instancabile predicatore, che grazie al dono dello Spirito diventa un testimone coraggioso (At 2,14), e come una guida autorevole della comunit; at-

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H.F. VON CAMPENHAUSEN, Kirchliches Amt und geistliche Vollmacht in den ersten drei Jahrhunderten (Tbingen 1953) 69,71. 56 E. SCHWEIZER, Gemeinde und Gemeindeordnung im Neuen Testament (Zrich 1959) 186.

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traverso la sua parola lo Spirito interviene a liberare come pure a giudicare la vita della comunit (At 5,1-11). Un ruolo simile, anche se in posizione inferiore, si pu attribuire a Giovanni di Zebedeo e (presumibilmente) anche a suo fratello Giacomo (At 12,2). 3. Il primo organo direttivo ecclesiale in senso proprio si incontra nel gruppo dei sette ellenisti attorno a Stefano (At 6,5). Sebbene Luca ci informi solo in modo molto frammentario sulle circostanze e il retroterra da cui emerge questo gruppo, siamo in grado di ricostruirli in modo pi o meno plausibile. Gli ellenisti sono Giudei di lingua greca, venuti dalla diaspora, che avevano aderito alla fede in Ges e tuttavia tenevano assemblee liturgiche proprie. Alla base di questo comportamento ci possono essere motivazioni linguistiche, anche se queste probabilmente non erano decisive: di fatto risulta anche che cerano differenze teologiche, poich gli ellenisti, diversamente dalla comunit di lingua aramaica, avevano una posizione critica nei confronti del culto del tempio. chiaro che questi ellenisti non erano oppure non erano sufficientemente integrati nel sistema della assistenza sociale e dei compensi finanziari, che erano stati istituiti nella comunit di lingua aramaica: questo dovrebbe essere lelemento di verit della presentazione lucana che parla di un conflitto circa lassistenza delle vedove degli ellenisti (At 6,1). Essi si trovarono perci nella necessit di istituire un proprio sistema di assistenza, cos come in fin dei conti accadeva in ciascuna comunit sinagogale. La costituzione organizzativa scelta da loro rientra totalmente allinterno del tradizi onale mondo giudaico. Lorgano dei sette corrispondeva cio alla struttura di direzione delle comunit sinagogali locali, alle quali presiedeva un organismo di sette anziani con un compito analogo: allesterno d oveva rappresentare la comunit e allinterno preoccuparsi dello svolgimento ordinato della sua vita. Cos gli ellenisti per primi fecero lesperienza che bisogni amministrativi e sociali potevano rendere necessaria la creazione di ministri. 4. Presto il gruppo dei dodici si trasform e si allarg al gruppo degli apostoli. Dopo che Giacomo di Zebedeo sub il martirio durante la persecuzione di Erode Agrippa nellanno 44 (At 12,2) si rinunci a indire unelezione suppletiva: la potenza kerigmatica del numero dodici apparentemente aveva perso di incisivit57. Questo fatto ci fa pensare allinizio di un processo di cambiamento di paradigma: fino ad allora i fattori decisivi erano lattesa imminente del Regno e con essa la raccolta e

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O forse come suggerisce Christian Grappe la missione dei Dodici, i quali costituiscono sia il nucleo dellIsraele del tempo finale sia i giudici futuri delle dodici trib, non poteva che terminare con la morte. Pertanto, mentre lapostasia di Giuda Iscariota cre un vuoto in seno al gruppo e costrinse i rimanenti a indire unelezione suppletiva perch la sua parte di eredit (At 1,20) fosse attribuita ad altri cosicch non fossero messe in pericolo lesistenza e il significato del gruppo, alla morte tragica di Giacomo non ci fu alcuna altra elezione: egli, infatti, aveva portato a termine la sua missione: C. GRAPPE, Dun temple lautre. Pierre et lEglise primitive de Jrusalem (Paris: PUF, 1992) 147.

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il compimento di tutto Israele, da ora diventano la legittimazione ricevuta dal Signore risorto e il compito di raccogliere missionariamente la comunit di salvezza. 4.1. Per questo rileviamo che a Gerusalemme sono stati applicati rigorosi criteri per stabilire chi apparteneva alla cerchia degli apostoli. Infatti pu rivendicare il titolo di apostolo solo chi ha visto il Signore (1Cor 9,1), cio chi stato testimone di unapparizione del Risorto. Le apparizioni del Risorto erano avvenute in un periodo cronologico relativamente ristretto; Paolo non solo presenta la sua cristofania, occorsagli allincirca due anni dopo le apparizioni a Pietro, come lultima, ma la qualifica pure come uneccezione (1Cor 15,8-11) anche per la differenza cronologica dalle altre apparizioni. Per questo la testimonianza venne intesa in un senso contenutisticamente qualificato: decisiva infatti non era tanto la pura visione del Risorto, ma piuttosto laver ricevuto insieme con quella anche un incarico. Da una parte ci trova la sua espressione nella struttura formale di quelle tradizioni pasquali delle apparizioni del Risorto davanti al gruppo dei discepoli che sfociano in una parola di incarico, che ha di mira la raccolta e la guida della comunit di salvezza nel nome di Ges (Mt 28,16-20; Lc 24,36-49; At 1,3-8; Gv 20,19-23; Mc 16,9-20). Daltra parte anche Paolo nel resoconto della sua vocazione in Gal 1,15 si richiama espressamente a un incarico conferitogli da Dio. 4.2. Coloro che erano stati chiamati in questo modo compresero di essere stati personalmente costituiti e inviati quali messaggeri, che dovevano rendere noto pubblicamente levento salvifico in vista della raccolta della comunit salvifica del tempo finale. La parola greca apstolos, che divenne un termine apposito per designare questa funzione, proprio di formazione cristiana: essa sorta probabilmente come traduzione dellespressione protogiudaica shaliah. Lespressione faceva parte del vocabolario del diritto di rappresentanza, le cui radici si trovano nellantico diritto semitico del messaggero (cfr. 1Sam 25,40; 2Sam 10,1ss) e che al tempo rabbinico ha trovato la sua formulazione pi pregnante nel principio: linviato di un uomo come lui stesso (Ber. V,5). Ci significa che lincaricato di diritto il rappresentante di colui che gli ha dato lincarico. Egli, in virt della mi ssione conferitagli, autorizzato e obbligato a rappresentarne gli interessi. La missione vale solo in absentia e cessa alla presenza del ritorno di colui che lo ha inviato. 4.3. Considerati i criteri richiesti, il gruppo degli apostoli in Gerusalemme era un gruppo stabile e chiuso; i suoi membri erano noti a tutti. Ciononostante non ci pi possibile dare un nome a tutti quelli che vi facevano parte verosimile che i dodici fossero annoverati tra gli apostoli, come pare dica 1Cor 15,5 ( ed apparve a Cefa, poi ai dodici). Poich se Cefa/Pietro, il portavoce del gruppo dei dodici era considerato apostolo in ragione della sua apparizione pasquale, lo stesso dovrebbe valere anche per gli altri membri del gruppo. Probabilmente anche Giacomo, il fratello del Signore, era apostolo. Ci risulta dallespressione di Paolo formulata probabilmente in analogia i n110

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tenzionale a 1Cor 15,5 poi apparve a Giacomo, infine a tutti gli apostoli (1Cor 15,7), che nomina le persone allora decisive nella comunit di Gerusalemme (cfr. Gal 1,18) e nello stesso tempo allude allo spostamento del rapporto di direzione; se allinizio le persone determinanti erano stati i dodici e, come loro esponente, Pietro, oramai sono quelli attorno a Giacomo come uno degli apostoli. 4.4. Gli apostoli, come gi il gruppo dei dodici, inizialmente risiedevano ancora in prevalenza a Gerusalemme (cfr. Gal 1,17.19). La loro autocomprensione perci non era ancora determinata dallidea di un invio missionario esteso al mondo. Essi probabilmente ritenevano che il loro compito fosse quello di raccogliere la comunit di salvezza in Gerusalemme, il luogo dellatteso compimento di Israele. E tuttavia con il passaggio dai dodici agli apostoli ebbe luogo un significativo spostamento di accenti: lidea della ricostituzione dellIsraele delle dodici trib nella pienezza attesa per il tempo finale retrocesse a favore della creazione di una comunit convocata su incarico di Ges. 4.5. Ma cos posto il fondamento per comprendere questa comunit come una comunit autonoma con confini ben delimitati. Se gli apostoli sono i portatori esclusivi legittimati da Ges Cristo e, con la fine delle apparizioni del risorto, definitivi dellannuncio salvifico, allora ci che viene messo in rilievo e delimitato lambito storico nel quale si pu ascoltare lannuncio di salvezza. Chi assiduo allinsegnamento degli apostoli (At 2,42), chi si unisce a loro e diviene membro della comunit, si trova in una relazione vincolante di subordinazione allevento salvifico attuatosi nellagire di Dio in Cristo. Se il gruppo dei dodici era stato un simbolo pieno di speranza che anticipava la salvezza futura, allora nellapostolato si esprime il riferimento vincolante allagire salvifico di Dio gi attuatosi e la possibilit di sottomettersi alla sua azione salvifica presente. 4.6. Da questa comprensione del ministero apostolico come incarico missionario del risorto risult uno sviluppo, nel corso del quale lincarico missionario acquis un significato centrale per lautocomprensione degli apostoli. Il motore di questo sviluppo fu in primo luogo Pietro, che come primo membro del gruppo gerosolimitano degli apostoli oper missionariamente in Giudea e nella regione costiera (At 9,32-43), e con questa sua attivit guadagn alla comunit persino uomini che appartenevano ai cosiddetti timorati di Dio (At 10). In seguito fu Paolo che diede allapostolato lorientamento missionario univoco. Nella misura in cui lazione degli apostoli si spost verso lesterno, si ridusse il loro significato per la direzione della comunit di Gerusalemme. 5. In ogni caso constatiamo nella Gerusalemme degli anni 40 un mutamento significativo nella direzione della comunit. Il fatto che questo si attu in una parziale continuit del personale direttivo, non deve far passare in secondo piano il cambiamento delle indicazioni della funzione poich in esso si esprime una nuova accentuazione della comprensione teologica delle funzioni direttive.

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5.1. Probabilmente in connessione con la persecuzione della comunit primitiva sotto Agrippa I, che mirava con la forza a una restaurazione giudaica nazionalistica (At 12,1), Pietro fu costretto a rinunciare alla direzione della comunit e almeno temporaneamente ad abbandonare la citt. Forse egli si era screditato agli occhi dei rigoristi giudaici col suo comportamento lassista nei confronti della Legge; per questo per la comunit, che non voleva abbandonare la sua collocazione allinterno del giudaismo, era diventato persona ormai compromessa. Gli subentr Giacomo il fratello del Signore (At 12,17). Lo incontriamo anche nel resoconto che Paolo fa del concilio apostolico, a dire il vero non espressamente come apostolo, ma come membro di un organismo direzionale a tre, nel quale cerano anche Pietro e Giovanni di Zebedeo; un organismo che porta la duplice indicazione de gli autorevoli (oi dokountes) (Gal 2,2) e le colonne (oi stloi) (Gal 2,9). La metafora colonne ascrive a questo organismo a tre una funzione fondante e portante, sul cui sfondo possiamo intravedere la rappresentazione fondamentale per lecclesiologia della comunit santa come del tempio finale di Dio (cfr. Ap 3,12). In Gerusalemme, la citt del tempio antico, gi iniziata ledificazione del nuovo e definitivo tempio di Dio: la comunit di salvezza, fondata e sostenuta dai tre uomini che Dio ha scelto per questo incarico. In ogni caso chiaro che nella designazione colonne si esprime la coscienza di essere centro e autorit determinante della comunit di salvezza e, come pure la certezza che questo centro ha il proprio luogo naturale ed ereditario esclusivamente in Gerusalemme. 5.2. Questo ministero delle colonne non ebbe certo una lunga durata Gal 2,9 poco pi che unistantanea che fissa una fase transitoria di uno sviluppo in corso dello stabilirsi dellautorit solitaria di Giacomo. Gi poco dopo il concilio apostolico Pietro probabilmente abbandon per sempre la citt, e anche le tracce di Giovanni si perdono. Rimase come unica figura normativa solo Giacomo. Paolo durante lultima sua visita a Gerusalemme lo incontr come guida autorevole che prendeva le decisioni con un potere individuale e pieno (At 21,18). Da dove gli derivava questa posizione? Di certo dallautorizzazione ricevuta dal Risorto; egli infatti era ritenuto un apostolo e una colonna. In modo simile anche la sua parentela con Ges deve aver avuto un ruolo importante. Se questo sicuramente contribu a rafforzare il suo prestigio, tuttavia non fu lunico motivo. Decisiva fu infine la sua autorit carismatica, con cui egli riusc non solo a tenere assieme le forze e correnti differenti nella comunit gerosolimitana, ma persino ad esercitare un influsso considerevole anche allinterno di Gerusalemme. Lo stesso Paolo, con cui probabile non ci fosse una sintonia teologica piena, nelle sue lettere non accenna mai ad una polemica contro Giacomo. 5.3. A fianco di Giacomo troviamo un gruppo di anziani (At 15,2.4.22s; cfr. 21,18). Questo gruppo sta in una qualche analogia col primitivo sviluppo nei gruppi comunitari ellenistici del tempo, dove i sette costituivano gi un organismo di anziani. La costituzione di anziani caratteristica del112

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lambito giudaico. Nella sinagoga gli anziani erano i rappresentanti della tradizione, che tramandavano la loro esperienza e la loro conoscenza della Legge, garantendo cos la continuit della vita comunitaria. Ci che qualificava lanziano era la maturit e la sapienza di vita; ecco perch di regola essi erano uomini di et avanzata. Nella comunit primitiva le cose erano pi o meno simili. Qui gli anziani erano dei cristiani provati, che come organismo dovevano decidere su precise questioni riguardanti la comunit e come singoli a seconda del bisogno offrivano aiuto e servizi amministrativi. In ogni caso gli anziani rappresentano un elemento di un ordinamento costituzionale. Questa immagine dellordinamento gerosolimitano del decennio tra il 50 e il 60 - Giacomo dotato di autorit carismatica come guida spirituale di una Chiesa locale, in compagnia di un organismo di anziani, che tutelava gli interessi tecnico-amministrativi con qualche precisazione potrebbe offrire lanticipazione del modello del monoepiscopato, che pochi decenni pi tardi si afferm in modo generale. g) Le autodesignazioni 1. La pi antica autodesignazione dei seguaci di Ges in Gerusalemme forse discepoli (matheta) (At 6,1s.7; 9,26; cfr. 9,10.19). Il termine esprime la coscienza della continuit con la cerchia della sequela del Ges prepasquale. Decisiva qui non la conoscenza diretta e personale di Ges, ma piuttosto la relazione di fede in lui, che si esprime nellimpegno nei confronti della sua dottrina e nel legame alla struttura sociale da lui istituita. 2. Altrettanto antica la designazione, estremamente frequente nel NT (At 10,23; 11,1.12.29; Rm 1,13; 7,1; 1Cor 1,1), dei membri della comunit come fratelli (adelpho). Lespressione non esprime il legame verticale con Ges, bens il vincolo orizzontale che connette fra loro i credenti, e che dovuto al coinvolgimento nella stessa causa. In modo simile la designazione fratelli era corrente nella comunit settaria di Qumran (1QS 6,22; 1Qsa 1,18). Solo sporadicamente (Mt 28,10; Gv 20,17) traspare limportanza di una relazione stretta simile a quella di una famiglia. 3. In modo molto pi vicino ai principi teologici dellautocomprensione comunitaria si avvicina lautodesignazione i santi (oi hgioi), che in verit si incontra di preferenza in Paolo (Rom 1,7; 1Cor 1,2; 2Cor 1,1), ma dovrebbe derivare da un antico uso gerosolimitano (At 9,13.32.41; 26,10; cfr. 2Cor 8,4; 9,1.12). Santo secondo luso linguistico anticotestamentario in primo luogo Dio stesso, e precisamente per la sua purezza, perfezione e separazione da ogni impurit e peccato, come pure anche tutto quello che appartiene alla sua sfera e alla sua presa quotidiana. In tal senso nei testi veterotestamentari posteriori (Dan 7,21; Tob 8,15; 12,15; 1Mac 1,46) anche degli uomini che appartengono a Dio possono essere chiamati santi. La parola poi applicata, anche se raramente, a tutto Israele (Lev 19,2; 1Mac 1,49). Quando la comunit di Gerusalemme si denomina i 113

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santi, esprime con ci la sua illimitata appartenenza alla sfera di Dio, cos come si dischiusa nellevento Cristo. Non che essa intenda rivendicare una perfezione gi conseguita, ma piuttosto la sua illimitata disponibilit a Dio e alla sua causa. Dio in Cristo ha cominciato ad affermare la sua Signoria escatologica, mentre egli fa risaltare la santit del suo nome (Mt 6,9); la comunit dei discepoli confessa di essere lambito, in cui tutto questo oramai iniziato e nello stesso tempo lo strumento di cui egli si serve per raggiungere questo suo scopo. 4. Tuttavia lautocomprensione della comunit dei discepoli post-pasquale trova la sua espressione pi pregnante nella designazione: ekklesa tou Theou = Chiesa/comunit di Dio. 4.1. Il significato del termine. Il concetto ecclesiologico neotestamentario con cui le comunit cristiane si autodesingano ekklesa58. Per i primi cristiani, in particolare per gli ellenisti, questo termine era ben conosciuto perch corrente nel greco profano. Il sostantivo etimologicamente deriva da ek e kalo e conseguentemente indicherebbe (la totalit de)i chiamati fuori; tuttavia questo significato originario a quanto pare non gioca pi alcun ruolo nel nostro materiale. Esso stato completamente rimosso da variazioni di senso che il termine ha subito nel corso di una lunga storia. Nella grecit classica come anche nellellenismo il vocabolo divenuto un termine tecnico indicante lassemblea popolare costituita da uomini liberi aventi diritto di voto. Questo uso linguistico politico si trova anche in At 19,39 dove indica la regolare assemblea popolare degli abitanti di Efeso59. Ma in un senso pi ampio il vocabolo pu venire adoperato anche per ogni riunione pubblica: cos in At 19,32 esso indica un assembramento tumultuoso provocato nel teatro di Efeso dagli argentieri di quella citt (cfr. anche 19,40). Il termine era per corrente anche nelluso linguistico veterotestamentario e giudaico; nei Settanta (III-II sec. a. C.) serve frequentemente come equivalente greco della parola ebraica qahal. In questuso distinguiamo due significati di ekklesa, che troveremo nel Nuovo Testamento. 1) In connessione con Israele il termine significa lintero Israele (nella sua totalit esterna ed empirica), che si riunisce in un luogo o che rappresentato da questa concreta assemblea; in particolare lespressione ekklesa di Dio o del Signore, che connota lazione di Dio che convoca e raduna il suo popolo, definisce Israele come lassemblea convocata da Dio. 2) Mentre luso linguistico elleni-

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Le 114 presenze sono ripartite nel NT in modo diseguale. Tra i sinottici soltanto in Mt se ne trovano tre (16,18; 18,17 [bis]). In Gv il vocabolo manca del tutto. Il maggior numero di presenze si ha in Paolo (46, di cui 22 in 1Cor), nelle deuteropaoline (16) e in Atti (23). In Eb se ne trovano 2. Nelle lettere cattoliche il vocabolo compare solo in 3Gv (3 volte) e in Gc (1 volta). Delle 20 presenze in Ap, 19 si trovano nel contesto delle sette missive (Ap 1-3). 59 At 19,39-41: Se poi desiderate qualche altra cosa, si decider nellassemblea ( ) ordinaria. C il rischio di essere accusati di sedizione per laccaduto di oggi, non essendoci alcun motivo per cui possiamo giustificare questo a ssembramento. E con queste parole [il cancelliere] sciolse lassemblea ( ).

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stico significher la concreta assemblea di un popolo, di una plis, di una comunit e non tanto (come nel giudaismo) il popolo di Dio nel suo insieme nel suo significato teologico. 4.2. Il senso dellespressione nel NT. Nella stragrande maggioranza dei passi neotestamentari in cui compare, il termine ekklesa ha un carattere prettamente cristiano e va tradotto con comunit o assemblea della comunit o chiesa. Una ripartizione dei passi rispondente a queste varie accezioni possibile soltanto entro certi limiti. In particolare occorre tener presente che la distinzione tra comunit come associazione dei cristiani di un determinato luogo e chiesa come societ sovraccomunitaria del popolo di Dio o della totalit dei cristiani del tutto estranea al NT, e ci dipende dal fatto che il cristianesimo primitivo intende la ekklesa primariamente non come entit di carattere organizzativo, ma come entit teologica. N la ecclesia universalis soltanto unassociazione secondaria di singole chiese particolari autonome, n la comunit locale soltanto ununit di tipo organizzativo subalterna alla chiesa universale; sono invece entrambe lassemblea locale dei cristiani e la sovralocale comunit dei credenti forme egualmente legittime della ekklesa costituita da Dio. infine da sottolineare come i primi cristiani non ripresero la denominazione corrente delle assemblee giudaiche, synagog, non tanto per la volont di distinguersi dal giudaismo (almeno fino a che non divenne completa la rottura fra i due movimenti), ma perch gli obiettivi e il senso delle assemblee, fissate dalla Legge e dai costumi ebraici, non corrispondevano pi a quelli delle assemblee cristiane. Occorreva unaltra designazione per segnalare, in primo luogo ai giudei, ci che queste assemblee avevano di specifico60. A disposizione dei cristiani di lingua greca la Settanta forn la parola necessaria con il termine cultuale ekklesa. 4.3. Sullorigine della espressione nella prima comunit cristiana registriamo almeno due posizioni che se immediatamente non coincidono, nondimeno possono essere complementari: quella di Jrgen Roloff e quella di Pierre Grelot61. - ROLOFF fonda la sua proposta su uno studio di una serie di passi, che rifletterebbero il pi antico uso linguistico cristiano, in cui compare lespressione ekklesa tou Theou, comunit di Dio (1Cor 1,2; 10,32; 11,22; 15,9; 2Cor 1,1; Gal 1,13. Plurale: 1Cor 11,16.22; 1Ts 2,14; 2Ts 1,4). Qui il genitivo di Dio non unaggiunta che determina in modo pi preciso il precedente concetto comunit, ma parte costitutiva e integrale di una formulazione terminologica compatta. E questa per Roloff potrebbe essersi formata come traduzione dellespressione qehal el (1 QM IV,10; 1 QSa I,25

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P. GRELOT, Sur cette pierre je btirai mon glise, in NRTh 109 (1987) 642-643. J. ROLOFF, Ekklesa, in DENT I, 1092-1106; ID., Die Kirche im Neuen Testament (Gttingen: Vandenhoech & Ruprecht, 1993) 82-85; P. GRELOT, Sur cette pierre je btirai mon glise, in NRTh 109 (1987) 641-659.

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[em]) attestata nel giudaismo apocalittico, dove indicava la schiera di Dio della fine dei tempi62. Roloff ne deduce che lespressione ekklesa tou Theou (qehal el) sia stata in primo luogo unautodesignazione della primitiva comunit gerosolimitana in formazione dopo la pasqua. Essa vi si prestava perch corrispondeva esattamente al concetto escatologico che tale comunit aveva di s. Questa aveva coscienza di essere la schiera eletta da Dio, da lui destinata a diventare centro e punto di cristallizzazione dellIsraele della fine dei tempi, al quale ora doveva essere rivolta la sua chiamata. I giudeocristiani ellenisti della cerchia di Stefano, gli etnicocristiani antiocheni (At 11,26; 13,1) e anche Paolo poterono senza difficolt far propria questa denominazione, bench la loro concezione della legge fosse diversa da quella dei gerosolimitani; anzi la comune coscienza dei giudeocristiani e degli etnicocristiani di essere la comunit di Dio della fine dei tempi si mostr infine come il vincolo unificante senza il quale il fondamentale riconoscimento, nel concilio apostolico (Gal 2,6-10), delletnicocristianesimo, libero dalla legge, da parte del giudeocristianesimo, fedele alla legge, difficilmente sarebbe stato immaginabile. - GRELOT, nota per che n lebraico qahal e il suo equivalente aramaico, n il greco ekklesa figurano per designare lassemblea religiosa di Israele in un contesto escatologico63. Egli perci ricava queste conclusioni: (1) La parola biblica e non una semplice trasposizione dell ekklesa civile. (2) Lassemblea cristiana un compimento delle Scritture, ma non delle promesse profetiche, perch la parola qahal/ ekklesa non figura in un contesto originario orientato verso lescatologia o in testi che il Giudaismo contemporaneo di Ges avrebbe interpretato in prospettiva escatologica.

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Questo modo dintendere per Roloff rivedrebbe la concezione tradizionale, secondo cui il termine cristiano ekklesa sarebbe stato tratto dai Settanta, che lavrebbero introdotto come traduzione del veterotestamentario qahal, assemblea, schiera del popolo di Dio. Una tale ripresa diretta dellAT secondo Roloff improbabile per vari motivi: 1) qahal nei Settanta non tradotto soltanto con ekklesa, ma anche con synagog, e proprio questultimo il concetto di gran lunga pi profilato e pi pieno di contenuto teologico per la designazione della comunit di salvezza. 2) I Settanta rendono qehal jhwh con ekklesa (synagog) kyriou, mentre il NT parla in prevalenza di ekklesa tou Theou. 3) Manca nel NT una prova scritturistica che parta dal concetto ekklesa (fatta eccezione forse per At 7,38), cosa insolita per un concetto di tale importanza tratto direttamente dallAT. Daltra parte, si devono tuttavia far valere anche alcune considerazioni co ntrarie alla tesi (di Schrage) secondo cui il concetto di ekklesa sarebbe stato dapprima assunto come autodesignazione nella cerchia dei giudeocristiani ellenisti raccolti intorno a Stefano ( At 6) e poi ulteriormente sviluppato da Paolo precisamente in antitesi polemica col concetto synagog, gi gravato di nomismo giudaico. Essa non regge, tra laltro, per il fatto che in nessuna delle presenze in Paolo riscontrabile una nota di critica alla legge, e anzi il concetto in Mt 16,18 si inserisce a pieno titolo nellambito della concezione giudeocristiana della legge p ropria della comunit di Mt. A ci si aggiunge che Paolo in 1Ts 2,14 include nella designazione ekklesa tou Theou anche le antiche comunit giudaiche. 63 P. GRELOT, Sur cette pierre, 644. E Ne 13,1 [= 2Esdra 23,1 LXX] sembrerebbe dargli ragione. Qui infatti si utilizza proprio lespressione ekklesa tou Theou [qehal elohm] in un discorso che intende determinare le condizioni di appartenenza alla comunit di Israele, gi fissate in Dt 23,4 [passo in cui si adopera invece lespressione qehal Yhwh = ekklesa tou Kyriou].

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(3) Inoltre non da supporre un trasferimento alla comunit fondata da Ges del titolo dato precedentemente allassemblea cultuale di Israele, in particolare quella del deserto che aveva ricevuto il dono della Legge, perch pi propriamente la medesima ekklesa. Ci sarebbe, nella realizzazione storica del disegno di Dio, una sola ekklesa, una sola assemblea santa riunita per assicurare il vero culto di Dio. Fondata nel deserto allepoca dellalleanza sinaitica e del dono della Legge, questa assemblea santa ha trovato il suo compimento supremo e la sua struttura definitiva grazie al sangue della Croce, che il sangue dellalleanza (Mc-Mt) attraverso cui stata realizzata la nuova alleanza (Lc-1Co), e mediante il dono dello Spirito promesso (Lc 24,29; At 1,5.8; 2,1-36). La ekklesa allora non si sostituisce alla comunit di Israele riunita in vista del vero culto di Dio. Essa ne la fioritura finale. (4) Cos l ekklesa di Israele, senza recidersi nessuna delle sue radici storiche, riceve da Dio la sua ultima mutazione. Non si tratta tanto di rimpiazzare una istituzione con unaltra. Il mutamento era stato abbozzato durante il ministero di Ges dal gruppo di discepoli che egli aveva riunito attorno a lui e si realizza pienamente dopo la sua risurrezione. Lo sviluppo della ekklesa cos trasformata prosegue durante tutta lepoca apostolica. Ma uno dei suoi elementi essenziali la sua apertura a tutte le nazioni: cfr. Mt 28,19-20. In questo contesto non si tratta di creare un nuovo gruppo religioso accanto a Israele, in concorrenza con lui, ma di raccogliere Israele e le nazioni o almeno coloro che avranno creduto in Israele e nelle nazioni in seno al gruppo dei discepoli di Ges Cristo. Non sono quindi i discepoli che si organizzeranno in una ekklesa, per loro iniziativa, per fare concorrenza al giudaismo da cui il loro gruppo primitivo sar escluso dopo aver sussistito a titolo particolare. Ma Ges Cristo, risuscitato tra i morti, che d loro la missione di condurre la ekklesa, gi esistente in Israele, al suo compimento definitivo, in riferimento a ci che egli ha detto e fatto fino alla sua morte e alla sua esaltazione suprema. (5) Il termine tecnico qahal / ekklesa scelto esattamente, nel linguaggio religioso, per mostrare questa continuit dei due Testamenti attraverso la mutazione che la venuta, la morte e la risurrezione di Ges Cristo hanno introdotto nel popolo di Dio, per fare s che il regime di alleanza, fondato sul Sinai e rifondato di nuovo dal Cristo, realizzi effettivamente la salvezza degli uomini. Ci avverr raggiungendo la totalit del genere umano, senza obbligarlo ad entrare nella nazione giudaica. Ges fu, personalmente, il solo Resto giusto dell ekklesa sinaitica, per far scoppiare i limiti di questa e farle raggiungere i limiti del genere umano tutto intero. Il vocabolo ekklesa da solo, dove compare come termine ecclesiologico, va inteso come abbreviazione dellespressione originaria ekklesa tou Theou, va cio sottintesa la precisazione di Dio co-

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me genitivus auctoris. Talvolta in Paolo anche Cristo menzionato in connessione con la ekklesa, cos in Rom 16,16: Vi salutano tutte le chiese di Cristo. Tuttavia che qui Dio non sia stato affatto sostituito da Cristo come autore e iniziatore della comunit, risulta chiaro da 1Ts 1,14: Infatti voi siete diventati imitatori delle chiese di Dio in Giudea in Ges Cristo (in Ges Cristo si riferisce alle chiese di Dio e non a imitatori). Lazione di Dio che fonda la chiesa mediata da Cristo. La comunit in Tessalonica deve la sua esistenza, non diversamente dalle comunit in Giudea, a Ges Cristo operante nella parola del vangelo. La medesima cosa espressa in forma abbreviata in Gal 1,22: le chiese della Giudea in Cristo. In Cristo qui non soltanto unespressione convenzionale che sostituisce laggettivo cristiano ancora mancante; una tale qualificazione non avrebbe senso poich Paolo non conosce altra ekklesa che quella cristiana. Si fa piuttosto ancora una volta riferimento allorigine della comunit di Dio nellevento di Cristo. 4.4. Sintesi riassuntiva. (a) ekklesa lassemblea dei credenti e specialmente lassemblea liturgica (1Cor 11,18.20): come Israele si sente comunit di Dio nella celebrazione pasquale, cos pure la comunit cristiana nella celebrazione liturgica e in specie della cena del Signore si intende come la comunit escatologica che Dio ha raccolto mediante lopera redentrice di Ges Cristo; (b) ekklesa la comunit locale concreta (1Cor, 1,2; 14,23; 2Cor 1,1; Rm 16,4; Gal 1,2; 1Ts 1,1; Flm 2): la singola comunit nonostante la sua limitatezza locale, , nel concreto adempimento dellobbedienza di fede, chiesa di Dio in senso pieno, non come singola entit isolata, ma in quanto in essa assume forma visibile loperare di Dio, volto in tutto il mondo alla raccolta del popolo; essa lassemblea dei cittadini che, possedendo pieni diritti di cittadinanza alla nuova realt sociale e salvifica istituita da Dio (Fil 3,20; Ef 2,19), sono veramente liberi (Gal 5); essa il luogo in cui vengono prese decisioni determinanti come lespulsione o la riammissione di un membro nella comunit (1Cor 5-6; 2Cor 2,5-11); (c) ekklesa , infine, lintera comunit dei credenti in Cristo (Gal 1,13; 1Cor 15,9; 12,28; At 20,28; Col 1,18.24; Ef 1,22; 3,10.21; 5,23-32), che si comprende come lassemblea escatologica del popolo formato dai santi di Dio, la cui costituzione ha preso un inizio definitivo a partire dalla risurrezione di Ges e dallinvio dello Spirito. Secondo i dati neotestamentari non c contraddizione tra luso locale e luso universale del termine ekklesa. Il primo uso privilegia il concetto paolino secondo cui la singola concreta assemblea dei credenti chiesa in senso proprio; il secondo riprende soprattutto lidea gerosolimitana (ripresa in Ef e Col) dellunica Chiesa di Dio che comprende tutti i credenti.

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1.3.2. Il punto della situazione a) Chiesa come implicazione nellagire di Ges La nostra riflessione sulla relazione fra Ges e Chiesa giunta alla conclusione che la Chiesa implicata in modo necessario (ossia teologico) nellevento Ges. Se quindi possiamo parlare di una cristologia implicita nel Ges prepasquale, analogamente si pu parlare di una ecclesiologia implicita. In entrambi i casi abbiamo parole e azioni di Ges, che nelle condizioni mutate della situazione post-pasquale costituiscono il principio per una nuova comprensione. Come lautotestimonianza e la rivendicazione di autorit di Ges costituiscono gli impulsi iniziali insostituibili per la cristologia, cos lo sono per la forma e lautocomprensione della Chiesa il suo comportamento di convocazione e la figura sociale della cerchia dei suoi discepoli. Pertanto i seguenti impulsi provenienti da Ges si ripercuotono come istruzioni direttive per il discorso neotestamentario sulla Chiesa: 1. Nel segno dellimminente Regno di Dio Ges d inizio alla raccolta della comunit salvifica degli ultimi tempi. Per Ges, allora, Signoria di Dio e Popolo di Dio si coappartengono immediatamente. Qui troviamo il presupposto per cui la comunit post-pasquale dei discepoli, mentre comprese la risurrezione di Ges come linizio dellevento salvifico finale, nello stesso tempo impar a comprendere se stessa come inizio e nucleo del popolo di Dio definitivo. Perci escatologia ed ecclesiologia si trovano unite in una relazione mutua. 2. Ges manifesta la coscienza di essere inviato a Israele. La comunit salvifica, la cui raccolta egli cerc di realizzare, doveva essere nel suo nucleo il popolo delle dodici trib compiuto e rinnovato. Questa missione di Ges verso Israele durante la sua attivit terrena non raggiunse un compimento visibile. Tuttavia essa rimase una norma vincolante per le prime due generazioni cristiane. Il problema ecclesiologico fondamentale che si present fu che Ges voleva raccogliere Israele, tuttavia ci che ne venne fu la Chiesa dai giudei e dai pagani. Ma il fatto che, da una parte, Israele in maggioranza avesse rinunziato a credere in Ges e che, daltra parte, i pagani avessero accolto la chiamata alla conversione e alla fede in lui, necessitava di un fondamento teologico. Questo proprio il punto di partenza della riflessione ecclesiologica esplicita del cristianesimo primitivo: ossia la relazione tra la Chiesa composta da ebrei e pagani e Israele. Nonostante le differenti risposte, gli autori neotestamentari concordano sul fatto che la Chiesa si trova in una relazione indissolubile con Israele e che la chiamata alla salvezza una conseguenza immediata della raccolta del popolo di Dio iniziata da Ges. Ne deriver come conseguenza permanente per la Chiesa di Ges il suo legame canonico alle Scritture e alla storia di Israele, che diventano Antico Testamento. 3. Lorientamento di Ges a Israele pi che esclusivo, fu inclusivo. Egli volle raccogliere per

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Dio e la sua Signoria non un resto santo, piuttosto lintero popolo fino ai suoi margini pi estremi i pubblicani e i peccatori. Nel suo orizzonte entrano almeno indirettamente anche i pagani: lIsraele totale potr cos finalmente adempiere alla sua funzione di segno salvifico per i popoli del mondo. I discepoli riconobbero che Ges aveva aperto definitivamente questa prospettiva inclusivista nei confronti dei pagani soprattutto nelle parole pronunciate sul calice durante lultima cena (Mc 14,24 par.), e riflettendo su di esse trovarono la legittimazione post-pasquale della missione ai pagani. Cos la Chiesa di Ges avr come tratto essenziale la sua apertura universale: nessuna condizione etnica, sociale, culturale, religiosa pu impedirne lappartenenza (Gal 3,28). 4. Ges ha fatto s che sorgesse una struttura sociale nuova nella cerchia degli uomini da lui raccolti. Questa si riferiva in primo luogo ai discepoli chiamati alla forma di vita della sequela, ma non circoscrivibile ad essa. Tale struttura sociale era determinata dalla vicinanza del Regno di Dio e i suoi segni distintivi essenziali erano la rinuncia alla forza e al dominio, la disponibilit al servizio e la capacit di accogliersi nellamore e nel perdono. Cos la comunit dei discepoli divenne una societ di contrasto, che attraverso la propria esistenza offriva un segno pubblico in grado di alimentare la speranza nella Signoria imminente di Dio64. Questo un fattore centrale per lautocomprensione della Chiesa primitiva. Naturalmente esso rimase vivo soprattutto in gruppi fortemente determinati da una teologia apocalittica della storia (Apocalisse) e rispettivamente nelle comunit che si dovevano affermare come minoranze in un ambiente ostile (Matteo, 1 Pietro; scritti giovannei). Ma anche dove, nel quadro di unapertura alla societ non cristiana, questa coscienza di contrasto perse di importanza (lettere pastorali), rimase tuttavia lintuizione che la comunit cristi ana debitrice nei confronti della societ della testimonianza di una condotta singolare. 5. La nuova struttura sociale dei discepoli di Ges si costituisce solo perch Ges chiama a farvi parte e offre la sua comunione. Ges stesso che incarna la figura della nuova vita, determinata dalla vicinanza della Signoria di Dio; ma soprattutto lui che apre laccesso a questa vita in modo ultimo e definitivo nellorientamento del suo morire alla comunit dei discepoli durante lultima cena. La presenza di Ges in mezzo alle persone che gli appartengono, il suo esserci-perloro e essere-con-loro, fin da allora un presupposto decisivo per lesistenza della Chiesa. b) Le esperienze e le decisioni della generazione apostolica La generazione apostolica ha inoltre posto alcune pietre miliari per la comprensione della Chiesa.

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Sulle norme di tavola del regno di Dio, si veda G. LOHFINK, Dio ha bisogno della Chiesa?, op. cit., 203-215; cfr. anche ID., Ges come voleva la sua comunit? (Cinisello Balsamo - Milano: EP, 1987) 61-102.

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1. In primo luogo emerge il peso centrale della escatologia. Senza dubbio la coscienza della Chiesa ha le sue origini nellesperienza della presenza dello Spirito di Dio degli ultimi tempi nella comunit post-pasquale dei discepoli. Questa impar a comprendersi come strumento e punto di cristallizzazione per quel rinnovamento del popolo di Dio, il cui punto di partenza era lelevazione di Ges alla destra di Dio. La Pentecoste non signific alcuna rottura con la storia di Israele, piuttosto il suo compimento finale; era la conclusione e lofferta escatologica della stipulazione del patto di Dio per il suo popolo. Cos escatologia e storia della salvezza appaiono intrinsecamente connesse. La presenza della novit definitiva fu compresa come lobiettivo ultimo dellagire storico di Dio, il quale nel passato aveva sempre di nuovo chiamato, rinnovato e legato a s il suo popolo. Questo legame tra escatologia e storia della salvezza come appare anche terminologicamente nellautodesignazione ekklesa tou Theou fu pure determinante per lintuizione della essenziale unit della Chiesa: come Israele era il popolo unico, al quale Dio aveva attestato nella storia il suo agire creatore, e che era il segno della sua Signoria, cos anche il popolo pi grande, attraverso cui Dio pu attestare il proprio agire finale che ha di mira la totalit del mondo e della storia, e che il segno presente della sua nuova creazione, pu essere solamente uno. In virt di questa intuizione la Chiesa dal tempo primitivo in poi ha resistito tenacemente a tutte le tentazioni ovvie di dar forma, analogamente alle altre comunit di culto, ad associazioni determinate esclusivamente da fattori regionali e culturali, indipendenti luna dallaltra. La prova decisiva fu il concilio apostolico. 2. Una decisione fondamentale fu quella di aprire la missione ai pagani. probabile che in essa si vide il compimento delle parole pronunciate da Ges sul calice nellultima cena (Mc 14,24), nella nuova interpretazione resa possibile dallesperienza escatologica presente. La raccolta dei molti annunziata da Ges come effetto del suo morire appariva come un dato reale deciso e perseguito in potenza da Dio stesso. Nella stessa direzione orientava anche la fede nella risurrezione e nellelevazione di Ges quale Signore definitivo del mondo e della storia: luniversalit della Signoria di Ges Cristo aveva come segno manifesto la raccolta di un unico popolo per Dio in tutto il mondo. 3. Altro elemento fondamentale fu la nuova interpretazione cristologica del Battesimo. Il battesimo fu inteso come quellatto con cui Dio incorpora sia giudei sia pagani allambito della Signoria di Cristo nello Spirito, ossia al popolo di Dio degli ultimi tempi, la Chiesa. Sicuramente il battesimo fin dallinizio fu compreso come levento, attraverso cui il singolo entra in connessione con Cristo, come atto di legame personale a lui e come inclusione nella salvezza da lui resa effettiva. Questo si esprime gi nelle formule del Battesimo sul nome di Cristo e nel suo nome. Cos si intese il battesimo come la continuazione e la trasformazione della chiamata prepasquale di Ges al suo discepolato nelle nuove condizioni della situazione post-pasquale. Come poi la chiamata al discepola121

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to non istituiva solo una relazione personale del chiamato a Ges, ma nello stesso tempo anche lappartenenza alla comunione dei discepoli di Ges, cos pure il battesimo divenne latto della i ncorporazione nella comunione della Chiesa e pure un atto di iniziazione. Il battezzato veniva aggregato (At 2,41) alla comunit di quegli uomini, che gi come concreta figura sociale, si sottoponevano allambito dellevento salvifico del tempo finale. Tra il battezzato e la Chiesa si costituiva du nque una relazione di legame mutuo. Proprio questa comprensione del battesimo come corrispondente post-pasquale alla chiamata di Ges al discepolato, forn il presupposto per cui tre dei quattro vangeli canonici leccezione Luca con la sua visione storicizzante iscrissero completamente la loro immagine della Chiesa nello spazio della storia della comunit pre-pasquale dei discepoli. 4. Paolo congiunge ecclesiologia e cristologia. Egli presenta la Chiesa come la comunione di coloro che sono riuniti nella koinona dellunico corpo, grazie alla partecipazione al dono che Ges ha fatto di se stesso nella morte per i molti. La Chiesa per Paolo quindi un organismo vivente; pe rtanto le sue relazioni vitali sono determinate in modo costitutivo dal principio Cristo dellessere a servizio gli uni per gli altri. Perci Paolo attribuisce alla cena eucaristica la capacit di costituire la Chiesa. Il suo modello ecclesiologico fondamentale la comunione liturgica a quella mensa che il memoriale della cena del Signore, e che contemporaneamente anche comunione di vita. Questo modello fondamentale trova la sua manifestazione concreta nellassemblea locale, poich solo qui possibile esperimentare la coappartenenza di comunione eucaristica e di comunione di vita. Nellesistere come assemblea locale, cio come comunit, la Chiesa mantiene la fedelt a ci che la informa ossia lessere luno con laltro e luno per laltro in virt della comunione di mensa con Ges. Solo perch essa vive come comunit che sorge dalla mensa eucaristica, la Chiesa preservata dal comprendersi come associazione di opinioni religiose. Inoltre solo cos essa pu percepire la propria funzione, di essere segno dellagire salvifico di Dio nel mondo di fronte alla societ. Tutti i tentativi di sostituire la comunit locale concreta attraverso altre, sedicenti forme di organizzazione conformi ai dati sociali della moderna societ, hanno contro di loro il veto teologico di Paolo. 5. Poich Paolo ha dato allidea della forma sociale vincolante della Chiesa un profilo cos netto, egli ha chiarito che la visibilit appartiene allessenza della Chiesa. La sua forma sociale impressa nella Chiesa per il fatto che essa diviene corpo di Cristo, organismo vivente, nel quale Ges, il servo che ha dato se stesso, continuamente presente e attivo. Ed essa visibile, poich la nuova creazione di Dio, di cui Cristo il primogenito, deve avere un segno pubblico in cui manifestarsi. Paolo esprime cos a partire dal suo principio cristologico quello che finalmente la convinzione di tutti gli scrittori neotestamentari. Egli su questo punto concorda pienamente con Matteo. Anche il primo evangelista sottolinea la forma sociale vincolante e nello stesso tempo la visibilit della Chiesa: essa 122

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la comunione dei discepoli, che vive nella sequela di Ges e nella radicale obbedienza ai suoi comandamenti e per questo costituisce per il mondo un segno di speranza della vicinanza di Dio. 6. Sebbene Paolo abbia certamente istituito il modello interpretativo cristologico della Chiesa come corpo e per quanto gli abbia dato un peso fortissimo, non lo ha assolutizzato; piuttosto egli ha continuato nello stesso tempo il modello interpretativo tradizionale, che vedeva la Chiesa come popolo di Dio degli ultimi tempi. Tuttavia linsorgente bipolarit nella comprensione della Chiesa, non espressione di irrisolutezza e incoerenza teologica, piuttosto deriva dallintuizione che lessenza della Chiesa non pu essere sufficientemente compresa da ununica prospettiva, ma richiede una considerazione bidimensionale. Il modello interpretativo popolo di Dio fa risaltare la dimensione storico-salvifica e perci anche escatologica della Chiesa. Esso mette in rilievo che la Chiesa la realizzazione di quellagire creatore di storia in forza del quale il Dio di Israele si scelto nella storia il suo popolo. A motivo di questo agire di Dio, essa posta in una continuit permanente con Israele ed perci radicata nel passato. Proprio questo agire di Dio per ci in forza del quale essa divenuta il segno di ci che viene, del nuovo mondo di Dio. Con il modello interpretativo popolo di Dio viene espressa per cos dire lorizzontalit storica dellessenza della Chiesa, il suo essere in rapporto con la totalit della storia e del mondo. Il modello interpretativo cristologico con le sue metafore centrali corpo e edificio/tempio risponde invece alla verticalit della presenza di Cristo nello Spirito. Essa esprime che la Chiesa come realt presente determina e visibilmente produce i suoi effetti nella sua figura sociale come . Poich Paolo accoglie entrambi i modelli interpretativi e si premura di connetterli fra loro nonostante tensioni permanenti , egli ha posto una norma vincolante, sulla quale tutti gli altri discorsi e riflessioni sulla Chiesa devono lasciarsi misurare. Perci si pu correttamente dire che la Chiesa popolo di Dio non altrimenti che a partire dal corpo di Cristo crocifisso e risorto: J. RATZINGER, Lecclesiologia del Vaticano II, in ID., Chiesa, ecumenismo e politica (Cinisello Balsamo: EP, 1987) 24. 7. Tra i fattori significativi per la prima generazione si deve finalmente menzionare anche il ministero dellApostolato. Nella specifica impronta che riceve soprattutto da Paolo, esso diviene lanello di congiunzione personale tra Cristo e la Chiesa. Lapostolo colui che porta e trasmette lannuncio del vangelo, annuncio che ha di mira la raccolta del popolo di Dio degli ultimi tempi. Nello stesso tempo per egli anche linviato di Cristo, che nella sua persona rappresenta la forma di esistenza determinata da Cristo, il Servo e colui che ha dato se stesso, in una maniera normativa per la vita della Chiesa. Questa immagine dellApostolo pone il principio per la comprensione del ministero di direzione delle comunit, come si svilupp nelle comunit paoline.

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1.3.3. Il passaggio dallepoca apostolica a quella post-apostolica a) Lera sub-apostolica nel Nuovo Testamento Se gli apostoli sono il fondamento solido su cui si appoggia la santa casa della Chiesa (Ef 2,20), cosa avvenuto quando lultimo testimone apostolico morto, e la chiesa non poteva pi fondarsi sulla testimonianza di coloro che avevano visto il risorto? Anche solo dal punto di vista sociologico il problema della continuit e della successione sorge inevitabilmente con la scomparsa dei capi originari di un movimento. La crisi si accentua quando questi capi hanno spinto innovativamente i loro seguaci lontano dai precedenti criteri di autorit. Dal tempo in cui morirono gli apostoli, le chiese si stavano allontanando o si erano gi allontanate da gran parte di ci che anteriormente costituiva lautorit nel giudaismo; ma allora esse hanno dovuto sopravvivere senza la vivente tutela delle grandi figure della prima generazione. Come hanno pensato di affrontare la sfida della continuit con la testimonianza apostolica quale garanzia della fedelt della chiesa alla propria identit? 65 In passato si rispondeva a questa domanda volgendosi alle opere scritte dopo il NT, perch si presumeva che il NT e lera apostolica fossero confinanti. Si pensava che i libri del NT fossero stati scritti dagli apostoli e la fase storica successiva al NT fu chiamata sub-apostolica. Nella tradizione cattolica questa visione venne sintetizzata nellassioma che la rivelazione si era chiusa con la morte dellultimo apostolo; ci presupponeva che la composizione del NT si fosse completata prima della morte degli apostoli. Oggi, invece, si anticipa la fine del periodo apostolico allinterno della fase storica del NT. Cos si pu ragionevolmente ipotizzare che la maggior parte del NT nella forma finale in cui ci pervenuto fu scritto dopo la morte dellultimo apostolo conosciuto66.

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Raccogliamo qui alcune riflessioni di R. E. BROWN, Le Chiese degli Apostoli. Indagine esegetica sulle origini dellecclesiologia (Casale Monferrato (Al): Piemme, 1992). 66 Forse questaffermazione restrittiva ha bisogno di essere spiegata. Sebbene molti siano chiamati apostoli n el NT, noi ne conosciamo dettagliatamente soltanto tre. Se iniziamo dai dodici, la maggior parte di loro non sono altro che nomi. Escludendo Giuda Iscariota, ne emergono soltanto quattro, cio le due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Anche se nei vangeli questi quattro apostoli vengono presentati spesso in compagnia di Ges, nella storia che il NT d della chiesa primitiva Andrea scompare; Giacomo viene martirizzato allinizio degli anni 40 ( At 12,2); e Giovanni menzionato allombra di Pietro in pochi passi (3,1; 4,13; 8,14; Gal 2,9). La tradizione posteriore abbell la biografia di Giovanni identificandolo con il discepolo prediletto della tradizione del IV Vangelo, ma una simile identificazione tuttaltro che certa. Di conseguenza, Pietro lunico membro del collegio dei dodici sulla cui carriera ecclesiastica siamo oggettivamente informati, grazie alle lettere paoline ai Galati e ai Corinzi, grazie al libro degli Atti e alle lettere della tradizione petrina. Allinfuori dei do dici conosciamo parecchie cose su Paolo, grazie alle tredici lettere attribuite a lui nel NT e grazie alle informazioni biografiche fornite dal libro degli Atti. Giacomo il fratello del Signore era probabilmente un apostolo, sebbene non fosse uno dei dodici. La sua importanza come guida della comunit di Gerusalemme ci attestata sia nelle lettere paoline che nel libro degli Atti; una delle Lettere del NT attribuita a lui, mentre nella lettera di Giuda lautore si identifica in relazione con Giacomo. S econdo una tradizione attendibile, Pietro e Paolo morirono a Roma negli anni 60, e Giacomo mor a Gerusalemme nello stesso periodo. Cos, entro lanno 67 d.C. i tre apostoli di cui possediamo una conoscenza dettagliata erano spariti dalla scena.

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Si pu, perci, adottare una terminologia che distingua una et apostolica, che si riferisce al periodo che va fino agli anni 60, dal periodo sub-apostolico, che designa gli ultimi trentanni del primo secolo. Con leccezione delle indiscusse lettere di Paolo, forse la maggior parte del NT stata scritta in questi ultimi trentanni del primo secolo, un periodo in cui gli autori del NT scrivevano senza usare i loro nomi propri e a volte si celavano sotto il nome dei loro predecessori apostolici. La tradizione successiva tender ad assegnare un nome agli autori dei vangeli; ma le ricerche moderne hanno messo in discussione lattendibilit di queste attribuzioni che, in ogni caso, possono essere intese come indizi sullautorit che si trova dietro lopera individuale, pi che non sulleffettivo autore. Come per le epistole deutero-paoline (le pastorali, Ef, e Col) e le lettere cattoliche, la designazione degli autori come Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda probabilmente rappresenta una pretesa di fedelt agli apostoli piuttosto che una obiettiva designazione di paternit apostolica. In verit, lanonimato dei veri autori ben si adatta allambiente sub-apostolico, dove la fedelt alla memoria dei grandi apostoli era la caratteristica dominante. In questa terminologia il periodo post-apostolico comincia alla fine del primo secolo quando abbiamo gli scritti cristiani che si fondano sulla propria autorit, ad esempio le lettere di Ignazio di Antiochia e la lettera della chiesa di Roma alla chiesa di Corinto, che noi conosciamo come la prima lettera di Clemente. Questi scritti della terza generazione muovevano dal presupposto di avere gli apostoli come fonte diretta67. Se lepisodio della morte dellultimo apostolo si pu datare alla met degli anni 60, il problema di sapere che cosa accade quando lultimo apostolo spar dalla scena, ottiene una risposta gi in gran parte del NT. b) Vari approcci al periodo sub-apostolico 1. La risposta classica, gi data nella prima lettera di Clemente (n. 42 e 44), che come Ges elesse gli apostoli (i dodici insieme a Paolo), cos anche gli apostoli elessero i vescovi e i presbiteri che succedessero loro68. Di conseguenza, si form lidea di una ordinata successione di autorit nella fa67

Lespressione tre generazioni per indicare i periodi apostolico, sub -apostolico e post-apostolico una generalizzazione utile se non la si prende troppo alla lettera; la 2Pt evidentemente non rientrerebbe nella nostra divisione. 68 1Clem., XLII. XLIV: Gli apostoli predicarono il vangelo da parte del Signore Ges Cristo che fu mandato da Dio. Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volont di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore no stro Ges Cristo e fiduciosi nella parola di Dio con lassicurazione dello Spirito santo andarono ad annunciare che il regno di Dio era per venire. Predicavano per le campagne e le citt e costituivano le loro primizie, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Cos, infatti dice la Scrittura: stabilir i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede [Is 60,17] (...) I nostri apostoli conoscevano da parte del Signore Ges Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente lavvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati...: in I Padri apostolici (Roma: Citt Nuova, 19844) 76-77,78.

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se sub-apostolica, sulla base di una chiesa unita, sfigurata soltanto dagli eretici. Queste tesi classiche cominciarono a essere rigettate al tempo della Riforma e sono state messe in discussione dagli studi moderni che hanno mostrato che limmagine clementina era troppo semplice e non universale. 2. Nel XIX secolo unaltra risposta fu data da F.C. Baur. Nella sua concezione hegeliana della storia della Chiesa, la tesi e lantitesi erano rappresentate da Giacomo e Paolo: una concezione filogiudaica in conflitto con una concezione filo-pagana del cristianesimo. Il secolo II vide la sintesi di ci che precede, e limmagine di Pietro fu invocata per simboleggiare un cristianesimo intermedio tra Paolo e Giacomo. Essenziale alla sua ipotesi era una datazione molto tardiva di alcuni documenti usati per sostenere tale sequenza, ad es. Atti. Gran parte degli studi moderni smentiscono tale datazione e considerano come contemporanei i vari atteggiamenti cristiani osservati da Baur. 3. Nel XX secolo sono state date altre risposte alla questione del cristianesimo sub-apostolico. Walter Bauer sostenne che il periodo del NT e la sua immediata prosecuzione formarono unera in cui non esisteva alcun cristianesimo standard o ortodosso: tra le tante diverse prospettive in antagonismo, una risult vittoriosa e nel secondo secolo divenne lortodossia; questortodossia si spost da Roma verso est. La maggioranza degli studiosi ammettono alcune delle diversit che Bauer pone nel periodo del NT; ma recentemente c stato un crescente coro di obiezioni che rimproverano allipotesi di Bauer di essere troppo semplicistica e di lasciare senza risposta alcune domande fondamentali. Ad es., la prospettiva che prevalse sulle altre era pi fedele a ci che Ges insegn, rispetto a quelle che erano state sconfitte? Dalla lettura di Bauer e della sua proposta si pu avere limpressione che tutte le diverse prospettive erano di uguale valore e ci che emerse come ortodossia fu semplicemente un accidente storico, la sopravvivenza del pi forte o del pi adatto. 4. Unaltra risposta quella di Kirsopp Lake che ha interpretato il periodo sub-apostolico in termini di grandi centri cristiani rappresentati dalle citt. Durante la vita di Ges, il suo ministero si era svolto tra la Galilea e Gerusalemme. Nel periodo apostolico, se ci concentriamo sullovest, vediamo la fioritura di centri come Gerusalemme, Antiochia e Corinto. Nel periodo tardo-apostolico ed in quello sub-apostolico, secondo Lake, Efeso e Roma emersero come i grandi centri cristiani con i quali molti dei libri del NT possono essere associati. Roma era considerata come rappresentante del cristianesimo giudaico, pi conservatore, sostenitore di unecclesiologia forte e di una cristologia debole69. Collegate a Roma sarebbero Rm, 1Pt, Eb, 1Clemente ed il Pastore di Erma. Sarebbero in-

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Cristologia forte significa una presentazione di Ges che pone un accento pi marcato sulla sua divinit ed il suo essere associato a Dio; la cristologia debole pone laccento sullitinerario umano di Ges (senza necessariamente negare o omettere la sua divinit).

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vece collegate ad Efeso le lettere ai Col ed agli Ef, ed il IV Vangelo, opere di ecclesiologia debole, nel senso che pongono poca enfasi sulla struttura della chiesa, ma di alta cristologia, in quanto associano Cristo con la creazione. Recenti studi potrebbero trovare limitativa la concentrazione di Lake su due centri cristiani, perch certamente anche Antiochia ed Alessandria avevano un ruolo importante nel periodo sub-apostolico e/o post-apostolico. Nonostante ci, la sua osservazione di un cristianesimo pi conservatore e pi strettamente associato al giudaismo (Roma) e di un cristianesimo pi instabile (Efeso) rimane una valida intuizione. Di fronte a queste varie prospettive, che non hanno ancora trovato una soluzione soddisfacente, possiamo almeno indicare alcuni elementi sui quali c un consenso crescente. c) Rivendicazione normativa e molteplicit storica 1. Con unosservazione molto generale rileviamo innanzi tutto che in tutti gli scritti e gruppi di scritti neotestamentari si delineano concezioni teologiche specifiche. Noi vi possiamo discernere rappresentazioni teologiche almeno abbozzate circa lessenza, la funzione e la figura di Chiesa. Certamente queste rappresentazioni hanno il loro luogo originario nella concreta esperienza della realt ecclesiale; tuttavia non si pu dire che vi si esauriscano del tutto: in connessione e opposizione alla propria esperienza pratica della Chiesa, si dovette pure comprendere che cosa la Chiesa secondo la volont di Dio e perci che cosa essa deve anche essere. Perci il discorso neotestamentario sulla Chiesa rivendica di essere un discorso normativo. 2. Questa rivendicazione normativa sembra messa in questione dal fatto che nel NT troviamo luna accanto allaltra molteplici rappresentazione della Chiesa. Oggi non pi possibile avvicinarsi al NT con laspettativa di trovarvi una dottrina unica sulla Chiesa, che come tale, poich conforme alla Scrittura, pu essere trasferita senza mediazione nella nostra situazione presente. E questo un bene, poich di fatto questa procedura per lo pi si concludeva col ritrovare nel NT solo la conferma di quelle rappresentazioni sullessenza e figura della Chiesa, che erano valide per la propria tradizione confessionale. La ricerca storico critica opera qui come correttivo, che resiste al tentativo di incassare con troppa fretta a proprio vantaggio gli asserti neotestamentari. Essa ci svela la loro molteplicit e nello stesso tempo anche la loro estraneit, invitandoci cos ad entrare in un processo di comprensione differenziato di fronte alla ricchezza del mondo neotestamentario. Quando si tenta di usare queste testimonianze per ricostruire le situazioni della comunit nel periodo sub-apostolico, un serio problema metodologico quello di accertare se i pensieri espressi siano peculiari allautore o siano veramente condivisi da una comunit. Quando si tratta di epistole o di lettere, la situazione spesso pi facile da determinarsi. Nonostante ci, per il fatto che tutti gli 127

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scritti sono stati conservati (e perfino accettati come canonici), siamo certi che almeno alcuni cristiani trovarono in essi una guida. Un altro problema metodologico richiede cautela nel valutare il livello parziale in cui gli scritti ritraggono le prospettive della comunit. Se le Pastorali pongono laccento sulla struttura presbiterale e ColEf sottolineano il corpo di Cristo, questo non significa che i cristiani che ricevettero le Pastorali e lautore che le scrisse ignorassero la teologia del corpo di Cristo, n che le persone coinvolte in ColEf fossero alloscuro della struttura presbiterale. Si pu soltanto essere certi della rilevanza positiva che i cristiani attribuivano ai temi che emergevano in uno scritto particolare. Inoltre chiaro che le differenti concezioni di Chiesa che noi rileviamo, non sono da intendere come rappresentazioni alternative, tra le quali possiamo scegliere a seconda del bisogno. Questa sarebbe una procedura possibile, nel caso che conoscessimo il riferimento preciso di ciascuno di questi abbozzi a una determinata situazione storica situazione che in nessun caso congruente con la nostra. Di fatto avviene spesso che noi ritroviamo nelle singole concezioni elementi che ci sono familiari a partire dalle nostra tradizioni confessionali e che perci ci piacciono particolarmente. Cos c una chiara vicinanza della tradizione luterana alle lettere pastorali con la loro sobriet, la loro accentuazione di confessione e tradizione come la loro comprensione del ministero come un compito di insegnamento (anche se alcuni tratti della comprensione del ministero delle Lettere Pastorali, innanzitutto il legame retroattivo personale del ministero allApostolo, sono estranei al Luteranesimo). Mentre ci fa pensare a un carattere cattolico in senso ampio la lettera agli Efesini, soprattutto con la sua comprensione della Chiesa come ambito e strumento della salvezza. Gruppi di chiese libere con una rigorosa struttura interna o comunit monastiche al contrario si sentono meglio garantite da Matteo. Ma proprio la coscienza di tale vicinanza a una determinata concezione dovrebbe essere ampliata attraverso la riflessione sulla totalit della testimonianza neotestamentaria della Chiesa come pure attraverso la riflessione critica sulle sue possibili riduzioni, unilateralit e deficit. Di fronte al reperto esegetico differenziato sono inadeguate anche due letture determinate un poco dal moderno pensiero confessionale. Dal lato evangelico la riduzione del principio scritturistico a un centro della Scrittura che si cerca nella testimonianza della prima generazione e soprattutto in Paolo. Proprio il considerevole emergere del tema Chiesa negli scritti posteriori che di fatto costituiscono la parte predominante del canone neotestamentario viene considerato volentieri come conferma del loro protocattolicesimo. Ma a prescindere da ci, il fatto che il tema Chiesa gi in Paolo sia affrontato con una intensit sorprendente almeno non sufficientemente presa in considerazione nella consueta tradizione interpretativa protestante , dovrebbe chiarire che gli scritti posteriori con i loro asserti vo128

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gliono prendere posizione sui problemi che stavano sorgendo nellet sub-apostolica: il problema della identit della Chiesa in una storia che continuava, della sua corretta relazione con leredit del tempo originario del vangelo come pure del rapporto della Chiesa alla societ non cristiana. Ma proprio questi sono quei problemi per cui anche lecclesiologia odierna alla ricerca di una soluzione. In questo caso la conversazione con let sub-apostolica e con la sua comprensione della Chiesa ci pu dare delle indicazioni importanti. Al contrario lecclesiologia cattolica, che in stretto rapporto con lidea della crescita della conoscenza della verit e della molteplice pienezza, obbligata nelluso che fa della Scrittura a seguire lidea della pienezza e della conforme crescita organica della verit del vangelo. Poich in questa tradizione lecclesiologia ha sempre giocato un ruolo centrale, essa inclina non solo a valorizzare gli scritti posteriori come testimonianza di una verit in sviluppo, piuttosto a leggervi uno sviluppo organico, voluto da Dio, che conduce in modo pi o meno lineare alle strutture di ordine e di ministero della Chiesa antica. Questa visione per non considera adeguatamente la pluralit di questi scritti. d) Problemi e principi di soluzione dellet sub-apostolica 1. Let sub-apostolica ha offerto un contributo importante e consistente alla ecclesiologia perch si trovata ad affrontare due questioni decisive e vitali. Proprio riflettendo su di esse, essa ha cercato di rispondere alla questione pi radicale su che cosa la Chiesa: (1) la questione circa lidentit e la continuit del popolo di Dio nella storia che continuava e (2) la questione circa la sua relazione al mondo e alla societ. 2. La questione della identit e continuit si posta alla Chiesa in conseguenza dellesperienza che la storia continuava. Di fronte allo scemare dellattesa della imminente parusia, lautocomprensione della Chiesa come segno che preannunciava la raccolta definitiva del popolo di Dio, attuata e autorizzata da Ges, in vista dellimminente nuova creazione di Dio, se non si pu dire che si mostr inadeguata, almeno apparve come bisognosa di completamento. La Chiesa doveva riflettere sulla sua relazione alla storia. Essa di fronte ai mutamenti esterni, che si riflettevano nel suo interno il pi spettacolare dei quali fu il passaggio al mondo pagano , doveva chiarirsi che cosa di quanto era apparso con Ges e con la generazione dei primi testimoni rimaneva fondamentale e determinante per la sua esistenza nella storia. E nello stesso tempo essa doveva cercare di conservare questo fondamento dandogli una figura vincolante affinch la sua permanente efficacia operativa fosse assicurata anche per il futuro. In altre parole: dallesperienza della storia emerse il compito necessario e teologicamente legittimo della istituzionalizzazione, che gi in Paolo emerge sintomaticamente nella cura prestata alla custodia della tradizione. 129

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3. La Tradizione come attuazione essenziale della Chiesa 3.1. La parola tradizione fa pensare come lequivalente latino traditio a un bene tradizionale, istituzionale, consolidato, secondario una volta sospetto ai Riformatori come unassolutizzazione umana, che agisce come uno sbarramento pi che come apertura nei confronti della Parola di Dio e persino nei confronti dello stesso Spirito. Ma se studiamo il termine pardosis o meglio ancora il verbo paradidnai nel NT, ne ricaviamo unimmagine differenziata e di grosso spessore teologico.
Nel linguaggio profano questi termini significano anzitutto latto giuridico di trasmettere degli oggetti o dei beni a un nuovo proprietario, spesso uneredit al legittimo erede. Gli stessi termini s ono applicati al processo mediante cui si perpetuano dottrine e pratiche religiose, tramandate da una generazione allaltra attraverso la parola e lesempio vivente. Il termine stato esteso poi allinsieme dei contenuti cos comunicati. La riflessione rabbinica ha formalizzato il processo della tradizione e della recezione mediante le formule qibel (trasmettere) e masar (ricevere), che significano quei procedimenti che garantiscono una tradizione legittima e senza errore. Il movimento cristiano ha assunto questa idea e lha pure qualificata in senso cristologico e pneumatologico. Se Dio si rivelato una volta per sempre nella storia di Ges di Nazaret, manifestato nella sua risurrezione dai morti come il Cristo e il Figlio di Dio, per la salvezza di tutti gli uomini, allora il cristianesimo si vede confrontato, fin dalle sue origini, col problema della trasmissione missionaria di ci che stato rivelato. Gli apostoli sono in ci i testimoni autentici, privilegiati, di questa tradizione prima, compresa sia come contenuto del Vangelo sia come azione di ricezione e di trasmissione, tanto pi che essi hanno ricevuto lo Spirito santo (Lc 1,1-4; At 1,1-6.21). Loggetto della tradizione evidentemente il Cristo vivente: ci conferisce al contenuto del vangelo il valore di una dottrina vera e propria (Rm 6,17) alla quale ciascuno deve conformarsi (2Ts 3,6), e di una regola di vita che richiede anche un comportamento preciso che i credenti possono ricevere e seguire solo in quanto trasmessa dallesempio dei missionari (cfr. 1Ts 4,1; Fil 4,9). Nelle Lettere pastorali laspetto dottrinale riceve un accento del tutto particolare. La tradizione si identifica allora con linsegnamento apostolico verificato come tale (2Tim 1,12; 2,2), ed un deposito ( parathke) che bisogna fedelmente conservare (1Tim 6,20), con laiuto dello Spirito che abita i credenti (2Tim 1,12ss). La genuinit (1Tim 1,10; 2Tim 4,3; Tt 1,9; 2,1; cfr. 2Pt 3,1s) e la sicurezza di questo deposito tradizionale si devono difendere, confondendo coloro che la contraddicono (Tt 1,9). La memoria collettiva della fede non pi recente: essa deve attraversare lo spazio di pi generazioni. Cos vitale per le chiese che il deposito sia confidato a ministri sicuri, a presbiteri che esercitano lepiskop, cio unispezione responsabile su di esse (Tt 1,9; cfr. At 20,28ss). Alla r adice di questo processo di trasmissione il NT riconosce, per, latto di consegna di Ges. Infatti il NT mostra di sapere molto bene che il termine non significa solo affidare, lasciare, trasmettere, ma pure consegnarsi (nel senso della dedizione a Dio) a dire il vero anche tradere nel senso di consegnare e tradire.

Se cerchiamo un passo centrale del NT in cui troviamo espresse le due dimensione della pardosis, ossia quella della consegna a Dio e quella di lascito testamentario agli uomini, siamo rinviati a Gv 19,30, dove si dice che al momento della sua morte Ges pardoken to pneuma. Giovanni qui non vuole dire solo che Ges spir, poich in Mt (27,50) si dice: aphken to pneuma; e in Mc (15,37) e Lc (23,46): expneusen = esal lo spirito, spir. La presentazione giovannea della morte di Ges libera molteplici strati semantici: infatti la morte in croce di Ges costituisce nello stesso tempo il lascito testamentario dello Spirito, come pure il lascito dei sacramenti spirituali del Battesimo e

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dellEucaristia e della vera celebrazione della Pasqua. Ma prima di procedere ulteriormente con Giovanni, vogliamo vedere qual il significato teologico che Paolo ha dato ai termini paradidnai e pardosis: essi intendono esprimere (1) la consegna alla morte di Ges e il suo effetto di riconciliazione con Dio, e in collegamento con questo anche (2) la trasmissione apostolica del messaggio della redenzione proveniente dallopera di salvezza di Ges, quale offerta della salvezza. Paolo presenta il primo significato in Gal 2,20: Io vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Cristo qui chiamato: colui che ha dato/consegnato se stesso (o paradn eautn). Si pu cos dire che Ges stesso il contenuto e latto della pardosis. Questa dottrina di Paolo viene ulteriormente sviluppata in Ef 5. Cos in Ef 5,2 si dice: Camminate nella carit, come anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio come oblazione e sacrificio di soave odore (pardoken eautn hypr hemon). La dimensione del per noi cos inseparabilmente collegata allorientamento della dedizione sacrificale di Ges a Dio. E in Ef 5,25 il destinatario diretto di questa pardosis che Ges ha fatto della sua vita proprio la Chiesa: i mariti devono amare le proprie mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dellacqua mediante la parola. La pardosis che Ges ha fatto di se stesso continua cos a essere attiva nella Chiesa, in particolare nel Battesimo il tema che si trova sullo sfondo dellargomentazione sviluppata nel passo. 3.2. La pardosis che Ges ha fatto di s sulla croce e la tradizione di Confessione di fede, Battesimo ed Eucaristia in Paolo e Giovanni. Paolo fa uso di una nozione apparentemente tecnica della tradizione, che pu essere parafrasata cos: ci che Cristo ha istituito una volta per la Chiesa, raggiunge il singolo attraverso la mediazione della pardosis dellApostolo (e in seguito attraverso la successione di insegnamento e di direzione che origina dallApostolo nella Chiesa). Gi Paolo, il quale a pi riprese afferma che il suo apostolato gli stato conferito direttamente da Cristo e non per la mediazione dei primi apostoli, si vede incorporato in una catena di trasmissione. Egli riconosce quindi che il processo della tradizione, nel quale egli si lasciato incorporare, a riguardo della predicazione della dottrina, del Battesimo e della Eucaristia gi iniziato con i primi apostoli. (a) Le attuazioni fondamentali della tradizione ecclesiale secondo 1Cor 11,23ss e 1Cor 15,3ss. In due passi di 1Cor Paolo accenna al fatto che egli si trova in una catena di tradizione, che proviene dal Signore, e che egli ha trasmesso tale tradizione alla comunit di Corinto dalla sua fondazione come un ordinamento vincolante. Sono i passi di 1Cor 11,23 e 1Cor 15,3. Il primo si trova direttamente prima del racconto paolino della Cena con il comando di fare memoria di Ges, quale moti-

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vazione della prassi della cena del Signore nella Chiesa. Cos in 1Cor 11,23 si dice: Poich ho ricevuto dal Signore (parlabon), ci che vi ho trasmesso (pardoka). Il testo prosegue con il ben noto racconto di istituzione: Il Signore Ges nella notte in cui fu consegnato prese del pane. Nel secondo passo si tratta della tradizione della confessione della Chiesa con i suoi elementi essenziali: morto per i nostri peccati e risorto il terzo giorno. Di nuovo Paolo allinizio del v. 3 dice: Poich vi ho trasmesso (pardoka), anzitutto, quello che anchio ho ricevuto (parlabon). Poi ammonisce i cristiani di Corinto a rimanere saldi in questa confessione di fede, perch da essa si ottiene la salvezza, se viene mantenuta nella forma [tini lgo = in quella espressione] in cui lha annunziata. E vi fa seguire il brano linguisticamente preformato: Cristo morto per i nostri peccati apparso a Cefa e quindi ai dodici. Paolo sta quindi citando un antico brano della tradizione (di Antiochia?); addirittura lo qualifica come euanglion (1Cor 15,1) e krygma (15,11). La confessione ecclesiale con i contenuti essenziali della morte e della resurrezione di Ges di 1Cor 15,3-5 e la cena del Signore ricordata in 1Cor 11,23 costituiscono cos le due linee nodali della tradizione. Sicuramente Paolo presuppone anche la tradizione del Battesimo e di fatto in 1Cor 12 (cfr. Ef 5,25) offre una dettagliata esposizione degli effetti che derivano alla Chiesa quale Corpo di Cristo dal Battesimo, e in particolare considera i molteplici doni di grazia che lo Spirito conferisce mediante il Battesimo. Cos il Battesimo pu essere indicato come la terza linea nodale essenziale della tradizione apostolica proveniente da Cristo e vivente nello Spirito, grazie alla quale la Chiesa si attua sempre di nuovo in modo essenziale e totale. (b) La presentazione testamentaria della morte di Ges e le sue implicazioni pneumatologiche e sacramentali nel vangelo di Giovanni. Dopo Paolo Giovanni che mostra nel suo vangelo come continua nella Chiesa la pardosis originaria che Ges ha fatto di s sulla croce anche come dono testamentario dello Spirito del Signore innalzato; in modo particolare essa continua a vivere in modo liturgico e concreto nei sacramenti del Battesimo e dellEucaristia, ma anche nella grande anamnesi di Cristo della notte pasquale, che porta a compimento nella comunit primitiva quello di cui i Giudei facevano memoria nella celebrazione della cena con un agnello pasquale immolato nel tempio. Notiamo innanzi tutto che Giovanni in alcuni passi del vangelo presenta la morte di Ges come elevazione: Quando sar innalzato da terra Gv 12,32 attirer a me ogni cosa. E levangelista soggiunge: Egli disse questo, per indicare di quale morte doveva morire. Linnalzamento sul supplizio della croce realizza visibilmente la parola/segno dellelevazione; e le braccia aperte inchiodate al legno della croce sono per Gv il segno della volont salvifica con cui il Signore sulla croce abbraccia lumanit. Questa volont salvifica si rende presente nella Chiesa e riceve la sua massima efficacia nellEucaristia. Non a caso la rappresentazione e le parole di Ges in Gv 12,32 hanno avu132

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to un seguito liturgico molto importante. Gi la Traditio di Ippolito, che ci offre la testimonianza della preghiera eucaristica pi antica, attorno al 215, ha utilizzato nella liturgia il passo di Gv, per riassumere e presentare lintera opera salvifica di Ges con le parole: Per compiere la tua (del P adre) volont e acquistarti un popolo santo, egli ha steso le braccia, quando pat, per liberare dalla passione, coloro che in lui credevano. E la seconda preghiera eucaristica romana, che imita continuamente il modello della Traditio, ha evidenziato il riferimento a Gv 12,32 ancora pi chiaramente di Ippolito e lha formulato nella maniera seguente: Per compiere la tua volont e acquistarti un popolo santo, ha steso le braccia sul legno della croce. Queste e altre interpretazioni teologiche della morte di Ges in Gv tra cui la descrizione mistagogica della morte di Ges in Gv 19,30-37 , ci consentono di dire che anche la parola di Gv 19,30 parkoken to pneuma = rese lo Spirito, non significa solamente come nei passi paralleli di Mc e Lc: spirare, esalare lo spirito. Qui viene espressa insieme alla dimensione della dedizione al Padre anche una dimensione soteriologico-ecclesiologica, come si indicato anche a proposito della dichiarazione egli diede se stesso (parkoken eauton). La dimensione soteriologica ed ecclesiale in Giovanni inoltre retta dalla dimensione pneumatologica. Cos lespressione: parkoken to pneuma di Gv 19,30 compie nello stesso tempo ci che secondo Gv 7,38 Ges aveva promesso a gran voce nel grande giorno della festa della capanne, giorno in cui aveva luogo una processione lustrale: Chi ha sete venga a me; e beva, chi crede in me. Dal suo (del Messia) seno scorreranno fiumi di acqua viva. E levangelista aggiunge: questo egli disse riferendosi allo Spirito che i credenti in lui avrebbero ricevuto: infatti non cera ancora lo Spirito perch Ges non era stato ancora glorificato. Quindi quando Ges stato innalzato e glorificato entrambi gli aspetti formano un insieme unitario secondo Gv 12,23-28 e Gv 13,31-32 ha luogo la pardosis dello Spirito, cio lo Spirito donato gratuitamente a coloro che credono. La relazione diretta del discepolo con il Ges terreno come portatore messianico dello Spirito ora resa possibile dal Paraclito che il Signore innalzato e glorificato mander dal Padre. Osserviamo infine che questa dimensione pneumatologica della morte salvifica di Ges riconoscibile anche in Gv 19,34-35, come pure in 1Gv 5,6ss. In connessione immediata con la testimonianza della morte di Ges, Giovanni sottolinea solennemente che dopo la morte del Signore uscirono dal fianco trafitto sangue ed acqua. Questo passo ha il suo corrispondente in 1Gv 5,6, secondo cui ci sono tre testimoni, che nella vita della Chiesa mantengono presente in modo permanente ci che in una modalit storico-salvifica e unica avvenne in questo mondo, ossia il venire di Ges nellacqua e nel sangue. Cos 1Gv 5,8 dice espressamente: Sono tre che danno testimonianza: lo Spirito e lacqua e il sangue. E questi tre sono concordi. C quindi secondo 1Gv 5 una triplice pardosis nella Chiesa, nella quale sfocia quella pardosis che 133

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Ges ha fatto di s in croce: il permanente effetto salvifico dello Spirito, congiunto con i due sacramenti dello Spirito, il battesimo e la cena del Signore. Questa triplice pardosis nella Chiesa sar ripresentata ancora nella concretezza liturgica, cos come tramandato dalla pi antica prassi della comunit primitiva nella celebrazione della notte pasquale70, che, facendo lanamnesi di Cristo, diviene il luogo centrale anche della confessione di fede cristiana. In essa culmina lesperienza liturgica del mistero di Cristo: lesperienza di come la Chiesa vive della pardosis che Ges ha fatto di se stesso e dello Spirito che Ges sulla croce ha consegnato e che come dono spirituale della pardosis ispira nella sua Chiesa (cfr. Gv 19,30; 20,22). 3.3. Limportanza permanente delle tradizioni apostoliche centrali e le forme di attuazione liturgica. Caratterizzeremo ora le tradizioni originarie, che abbiamo raccolto da Paolo e da Giovanni, della dottrina apostolica e delle attuazioni liturgico-sacramentali del tempo apostolico, che sono costitutive per lidentit della Chiesa in qualsiasi epoca. Se qui ci concentriamo sulle linee nodali della tradizione apostolica non per negare il carattere apostolico di altre tradizioni. E ci non affatto insignificante per lidentit della Chiesa. Infatti parlando di tradizione apostolica, ipso facto in gioco anche la continuit del ministero apostolico, la quale non si pu separare dalla confessio nella Chiesa, dallEucaristia, dal Battesimo e dalla anamnesi di Cristo dellanno liturgico. - La tradizione apostolica della confessio, che si rispecchia in 1Cor 15,3-5 e che Paolo contrassegna con la parola chiave pardoka = io vi ho trasmesso, nellepoca posteriore della Chiesa continua a vivere in una forma pi concentrata prima nella confessione battesimale, poi nel Simbolo Apostolico, mentre quella forma di anamnesi (presupposta gi in 1Cor 15,3-4) della storia della passione con lattestazione della risurrezione trover espressione compiuta nella forma del vangelo. - Il Battesimo levento sacramentale della nascita dallalto, dallacqua e dallo Spirito santo (cfr. Gv 3,5), e d inizio perci alla vita nella Chiesa e con la Chiesa per chiunque giunge a credere in Cristo. Ma, come mostra la prassi battesimale della Chiesa fin dal suo inizio, in connessione con il Battesimo troviamo anche la confessione della fede cristiana nella sua totalit. Questa confessione se in un primo tempo era orientata a Ges in quanto Cristo, nel tempo apostolico successivo si

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Sarebbero qui da valutare anche gli aspetti di teologia pasquale presenti in Paolo (in 1Cor 5,7 Cristo presentato come agnello pasquale; inoltre in 1Cor 10,1ss diversi avvenimenti dellEsodo vengono presentati come compiuti nella st oria salvifica nel mistero di Cristo del Battesimo, e tutto questo sullo sfondo di una celebrazione pasquale cristiana, che a Corinto celebrata molto probabilmente come nella comunit primitiva di Gerusalemme) e nel quarto vangelo (si pensi solo al fatto che Giovanni caratterizza in posti decisivi del suo vangelo la morte di Ges sulla croce perci la pardosis di se stesso allinterno della Chiesa come morte sacrificale del vero agnello pasquale) e la tradizione apostolicoliturgica della celebrazione della liberazione della notte di pasqua.

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strutturata trinitariamente. La formulazione trinitaria del comando di battezzare in Mt 28,19s non rispecchia una formula battesimale trinitaria con cui si amministra il sacramento, piuttosto il riflesso di una confessione battesimale strutturata trinitariamente, che appare anche in Ef 4,4-6, e poi documentata in tutte le testimonianze battesimali che si sono conservate dei secoli III e IV da Ippolito a Basilio , dove la confessio costituisce nello stesso tempo anche la forma linguistica del Battesimo, per il fatto che limmersione eseguita direttamente sulla confessione dei Battezzandi. Dopo che nel V secolo si giunge a una formula di amministrazione del ministro durante il Battesimo, la confessione dei battezzandi (in forma di domanda e risposta) precede immediatamente latto battesimale e rimane ancora in questa forma semplicemente la confessione modello della fede ecclesiale. Possiamo quindi affermare che gi nel tempo neotestamentario la prassi battesimale costituisce il luogo pi importante della tradizione della confessio. Questa tradizione si continuer poi nel collegamento tra Battesimo e confessio, che costituir per i Padri di Nicea e di Costantinopoli la sorgente normativa da cui essi attingeranno i propri simboli. - Infine la cena del Signore non da considerare solo come il terzo dei sette sacramenti. Se infatti se si rispetta listruzione data da Paolo in 1Cor 10,16s lunico Pane e lunico Calice, ai quale partecipano i credenti, sono semplicemente la causa dellunico corpo ecclesiale di Cristo. E come accaduto per la tradizione battesimale, cos anche la stessa celebrazione eucaristica appare nella sua totalit come una confessione di fede. Infatti le antiche preghiere eucaristiche ad es. la preghiera di Ippolito , la cui struttura contenutistica gi tracciata nelle eulogie ed eucaristie in Ef e Col, sono strutturate come un ringraziamento storico salvifico indirizzato a Dio, il Padre e come preghiera di domanda per la chiesa. Ma in questo esse abbracciano tutti i contenuti centrali della Cristologia e della Soteriologia, della pneumatologia e della ecclesiologia. Perci la Confessio, il Battesimo e la tradizione della cena del Signore sono nella Chiesa fin dal tempo apostolico le linee nodali della tradizione apostolica e le attuazioni viventi della Chiesa che rendono presente lopera salvifica di Cristo come pure articolano la fede della Chiesa. 4. Il ministero ordinato Abbiamo gi visto che sulla questione del ministero ordinato i conflitti confessionali dividono ancora la lettura dei testi del NT. Alcuni elementi condivisibili, per, si possono almeno individuare. 4.1. Lintima struttura della Chiesa si differenzia da ogni comunit o societ puramente umana. Essa sa di essere sottomessa al Signore glorificato che, con il suo Spirito, la dirige e la edifica, laccresce di sempre nuovi fedeli: Il Signore accresceva ogni giorno il numero di coloro che sarebbero stati salvati (At 2,47; cfr. i passivi di 2,41; 5,14; 11,24); il successo della evangelizzazione una cresci135

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ta della parola di Dio (At 6,7; 12,24; cfr. 19,20); la mano del Signore con i missionari in Antiochia, cosicch una grande moltitudine si converte alla fede nel Signore (11,21). Questa non solo la concezione di Luca, visto che anche Paolo convinto che gli stata aperta la porta dal Signore (cfr. 1Cor 16,9; 2Cor 2,12; Col 4,3); che il Signore ha concesso a Pietro la grazia per lapostolato tra i circoncisi e a lui tra i Gentili (Gal 2,8; cfr. 2Cor 3,5s), che Cristo opera attraverso di lui e attraverso la sua parola per chiamare i pagani allaccettazione della fede, per la potenza dei miracoli e dei segni, per la potenza dello Spirito (divino) (Rm 15,17-19; cfr. 1Ts 1,5; 1Cor 2,3-5). La stessa edificazione interna delle comunit non propriamente il frutto delle fatiche degli uomini, quanto piuttosto opera di Dio e dello Spirito Santo. Cos Luca pu asserire che: La Chiesa in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria era in pace poich era edificata e camminava nel timore del Signore, e si accresceva con il conforto dello Spirito Santo (At 9,31). Paolo sviluppa una teologia della crescita (1Cor 3,6s; Col 1,6.10) e della edificazione della Chiesa (1Cor 3,9-11; 14,5.12. 26; 2Cor 12,19; Ef 2,21; 4,12-16), in cui il primato attribuito a Dio e alla sua potenza. Cos le persone incaricate di uffici e di servizi per la Chiesa, sono solo strumenti di Dio, ministri di Cristo, organi dello Spirito Santo (1Cor 4,1; 12,4-6), e quindi loro inerente un carattere sostanzialmente diverso da quello di tutti i funzionari designati solo da un ordinamento e una costituzione umana. 4.2. La legge che vige per tutti i membri della Chiesa, qualunque siano le funzioni esercitate nellintero e per lintero organismo, quella del servizio e dellamore, come Ges stesso ha stabilito e richiesto per i suoi discepoli (cfr. Mc 10,42-45 par.) nel senso paradossale che proprio chi si abbassa, sar esaltato (da Dio: Lc 14,11; Mt 23,12). Il contesto in cui queste massime sono inserite (cfr. Mt 23,8-10; Lc 22,24-27), mostra che la Chiesa primitiva era consapevole che questo ordine nuovo era normativo anche per la sua vita concreta. Sul tema sono particolarmente efficaci le parole con cui Paolo presenta il ministero apostolico (cfr. 1Cor 4,1s; 9-13; 2Cor 4,5.12.15; 6,4-10; Fil 2,17). Il servizio cristiano non paragonabile a quello richiesto nellambito della vita sociale, poich nella Chiesa primitiva non soltanto questione di un bene comune superiore (anche se questo aspetto non manca, cfr. 1Cor 12,7), ma anche di un ordinamento escatologico. 4.3. Per questa ragione gli uffici e i ministeri che man mano compaiono nella comunit, il loro numero, designazione e genere non sono determinanti, purch si conservi lordinamento voluto e stabilito da Dio (cfr. 1Cor 12,28; 14,33). La storia della costituzione del cristianesimo primitivo misurata con questo metro, appare di fatto non unitaria e mutevole. Anche la tanto dibattuta questione, se accanto agli uffici carismatici, cio a quelli che venivano assunti grazie a doni spirituali riconoscibili, ve ne fossero degli altri istituzionali o amministrativi, i cui detentori venivano costi-

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tuiti mediante semplice incarico e con vincolo locale, perde di importanza se ogni ufficio della Chiesa primitiva ha senso solo in quanto concesso da Dio e confermato dallo Spirito. Perci anche la differenza tra uffici permanenti e uffici transitori di scarsa importanza. Quello che importa che si riconosca un ordinamento che viene da Dio, voluto da lui, mediante il quale Cristo permane il capo della sua comunit terrena che egli regge in forza dello Spirito. Rimane ancora discussa la questione se la Chiesa nel Nuovo Patto secondo la volont di Dio e la disposizione di Ges Cristo debba avere nella sua struttura visibile un ordinamento articolato, graduato (gerarchico), con potere di direzione in determinati organi, o se il popolo santo di Dio come tale sia depositario di ogni potere, e ogni necessario ordinamento debba essere stabilito di volta in volta solo dalla disposizione dello Spirito Santo (comunque essa si manifesti). Detto in breve: un determinato ordinamento fondamentale costitutivo per la Chiesa di Ges Cristo? 4.4. La visione protestante tradizionale opponeva il concetto di Chiesa della primitiva comunit di Gerusalemme a quello di Paolo. Nella comunit di Gerusalemme ci sarebbe stata fin dallinizio la presenza di una regolare gerarchia, di un ordinamento divinamente stabilito, di un diritto ecclesiastico divino, di una Chiesa come istituzione nella quale vengono accolti i singoli fedeli. Paolo, invece, avrebbe avuto un concetto nuovo e del tutto diverso di Chiesa: per lui gli apostoli, che in Gerusalemme godevano di una preminenza divina permanente, che li autorizzava alla direzione della comunit, sarebbero stati solo degli strumenti, ministri, annunciatori, ambasciatori di Cristo. In tal senso le persone come tali non avrebbero avuto grande importanza, mentre essenziale era piuttosto la testimonianza data al Cristo. Senza entrare nel difficile dibattito sulle relazioni fra Paolo e le colonne di Gerusalemme notiamo che egli ha coscienza di essere apostolo come loro, chiamato direttamente da Dio e autorizzato dal Signore e tuttavia cerca continuamente il contatto e laccordo con loro (cfr. Gal 1; 2,2-10; 1Cor 15,3.9-11) , ci limitiamo a studiare il rapporto che egli in quanto apostolo di Ges Cristo intrattiene con le sue comunit. Ebbene di fronte ad esse, Paolo sa di avere unautorit che include anche il potere di dirigere e di comandare. Paolo conscio del pieno potere (exousa) che il Signore gli ha dato (2Cor 10,8; 13,10), anche se non vuole servirsene per la distruzione, bens per la edificazione della comunit. Egli non fa dipendere in alcun modo il suo potere dalla libert della comunit nel seguirlo. Delicatamente, ma inequivocabilmente, egli chiede ai Corinti: Cosa volete? Devo venire a voi con il bastone o con lamore, in spirito di ma nsuetudine? (1Cor 4,21). Nonostante la sua assenza da Corinto, egli ha gi deciso il caso dellincestuoso e si attende che la comunit riunita, presso la quale si sente presente in spirito, esegua il giudizio di anatema: il passo, sintatticamente non chiaro (1Cor 5,3-5), manifesta chiaramente che lApostolo non accorda alla comunit alcuna libert di decisione. Anche le istruzioni che d sul cul137

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to hanno un tono autoritativo (cfr. 1Cor 11,17-33): egli non solo esorta, ma d anche disposizioni concrete (diatsso; cfr. 1Cor 7,17; 16,1; Tit 1,5), adoperando lo stesso verbo con cui in 1Cor 9,14 viene riferito un ordine del Signore. Certamente Paolo distingue un chiaro comando del Signore (1Cor 7,10) da una decisione che solo sua (1Cor 7,12): egli per la prende con tale risolutezza da non tollerare obiezioni. Anche le istruzioni sulla condotta morale che d nel Signore Ges (1Ts 4,2) sono precise e concrete (cfr. 1Ts 4,11; 2Ts 3,4.6.10.12). La comunit di Corinto deve aver riconosciuto questa direzione apostolica: altrimenti non si capirebbe perch gli abbia sottoposto determinate questioni (cfr. 1Cor 7,1: i capitoli successivi rispondono ai quesiti sottoposti). Paolo espressamente nota: Cos io prescrivo per tutte le chiese (1Cor 7,17). Con queste premesse, si pu contestare la separazione che in genere si introduce fra le lettere pastorali e il Paolo delle lettere alle comunit, come se le prime fossero testimoni non soltanto di una evoluzione della situazione, ma anche di una concezione del ministero totalmente diversa. Infatti, in primo luogo, non si pu dire che le lettere alle comunit diano un quadro esaustivo dellagire apostolico di Paolo, dellorganizzazione e delle prescrizioni che egli ha disposto per le sue neofondazioni. In secondo luogo, si deve notare che anche nelle lettere indirizzate a queste comunit sono menzionate delle persone che nella comunit hanno assunto compiti e funzioni organizzative e direttive; cos gi in 1Ts 5,12, inoltre 1Cor 12,28 (kybernseis) 16,15s (siate loro sottoposti!); Rm 12,6-8. Anche se lattivit e le facolt di tali ausiliari locali di Paolo nelle comunit (distinti dai suoi inviati) erano limitate (cura dei poveri, amministrazione, ma anche compiti pastorali), tuttavia evidente che Paolo designa o riconosce queste persone, ne sostiene la posizione in seno alla comunit e la rafforza con la sua autorit: sebbene egli rimanga il padre e il capo delle comunit. In questo modo si dovrebbe intendere anche la nomina degli anziani, cui accenna il resoconto di At 14,23. Perci il quadro che le pastorali offrono del periodo di consolidamento delle comunit paoline tuttaltro che inattendibile. Limitandoci a quanto detto, chiaro che Paolo non solo il predicatore della parola e il servitore delle sue comunit, bens anche lApostolo dotato di pieno potere, consapevole della sua autorit e del suo potere direttivo; anzi, quando necessario, ne fa anche uso. 4.5. Se consideriamo poi la testimonianza dei Vangeli i quali, pur tenuto conto della importanza della redazione da parte degli Evangelisti, tramandano anche e soprattutto la conoscenza che la Chiesa primitiva aveva di s, fondata sulla parola e sullazione di Ges notiamo che essi ricordano che Ges ha assegnato agli inviati una particolare dignit e potere. Laffermazione: Chi ascolta voi, ascolta me; e chi rifiuta voi rifiuta me: chi poi rifiuta me, rifiuta colui che mi ha mandato (Lc 10,16; cfr. Mt 10,40; Gv 13,20), enuncia il principio generale secondo cui vanno giudicati i messaggeri di Ges: essi continuano la sua missione e partecipano corrispondentemente al suo 138

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mandato e al suo potere che viene da Dio. Secondo Mc 3,15; 6,7.11.17s e par. Lc 10,19, Ges gi durante la sua attivit terrena ha concesso ai suoi discepoli una partecipazione alle sue facolt e ai suoi poteri. Non perci corretto dire che i Dodici originariamente non avevano niente a che fare con lufficio apostolico posteriore (la designazione apostoli in Lc 6,13 secondaria), ma che erano solamente il gruppo di coloro che, accogliendo lannuncio del Regno, vivevano nella sua luce ed erano suoi messaggeri, incaricati di chiamare tutto Israele alla conversione e un giorno suoi giudici nel Regno futuro. Secondo Mc 3,14s lo scopo dichiarato della elezione del Dodici da parte di Ges quello di stare con lui e di mandarli a predicare (keryssein), e ad avere potere (chein exousan) di scacciare i demoni. Ma questo corrisponde alla stessa missione di Ges: annunziare il Regno di Dio che si avvicina e renderlo visibile nella sua potenza (cfr. Mc 1,39). Mandato e attivit dei Dodici (Mc 6,7.13) sono dunque in linea con lazione specifica di Ges. Gli uomini scelti da lui, riuniti intorno a lui e partecipi della sua opera, hanno un compito preciso nella formazione della comunit escatologica di salvezza. Essi non rivestono solo un significato simbolico (lIsraele completo del tempo escatologico), un compito di profezia per il presente (richiamo al popolo delle dodici trib) e una funzione escatologica (giudici su Israele: cfr. Lc 22,30; Mt 19,28), bens possiedono anche pieni poteri per raccogliere nel nome di Ges lattuale comunit di salvezza. In Matteo troviamo inoltre il detto sul potere di legare e sciogliere (Mt 18,18): anche se non vengono esplicitati i suoi destinatari, difficile pensare che non siano i Dodici, tanto pi che lespressione analoga di Gv 20,23 rivolta solo a loro. Se il potere di legare e sciogliere abbraccia unattivit che consiste nellannunciare e nellinsegnare autorevolmente, nellobbligare, nellorganizzare e nel giudicare, e principalmente il potere sacro di insegnare e di giudicare, difficile supporre che sia la Chiesa in quanto totalit il soggetto di questo potere. Si veda in proposito quanto riportato dagli Atti (cfr. 5,1-11; 6,2-6; 15,6-29), come pure dalla coscienza apostolica di Paolo (cfr. sopra). Anche se la comunit fatta partecipe di importanti decisioni (cfr. At 15; 1Cor 5), rimane per riconoscibile la guida autorevole dellApostolo. Lassemblea che in Gerusalemme discute sulla necessit della circoncisione per i cristiani non giudei, si articola negli apostoli e anziani insieme con tutta la comunit (At 15,22; cfr. 6.12.23). Le comunit locali sono dirette da presbiteri (collegi di presbiteri) e solo ai capi della Chiesa di Efeso il Paolo degli Atti dice: Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come ispettori (episkopous) per pascere la Chiesa di Dio (At 20,28). Alla base della concezione paolina di 1Cor 12,28 vi limmagine di una Chiesa articolata, distinta in gradi secondo le funzioni: Vi sono alcuni che Dio ha costituito nella Chiesa, in primo luogo apostoli, in secondo luogo profeti, in terzo luogo dottori, poi quelli con la potenza dei miracoli, con il dono delle guarigioni, il dono di assistere, di governare, 139

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di parlare in varie lingue. Sebbene Paolo si preoccupi di correggere la stima eccessiva che i Corinti danno ai carismi col rischio di stilare classifiche fra i fedeli , esaltando invece la necessit delledificazione comune, egli non cancella le differenze e le articolazioni della costruzi one, anzi fa risalire a Dio la designazione ai differenti uffici (cfr. Ef 4,11). La menzione degli apostoli al primo posto, poi dei profeti e dei dottori (in Ef 4,11: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori) non casuale. Il quadro non corrisponde ancora alla posteriore gerarchia, ma mostra il principio di un ordinamento santo che Dio ha dato alla sua Chiesa. Il santo popolo di Dio viene guidato anche da pastori umani che sono responsabili davanti al Pastore supremo (cfr. 1Pt 5,2-4). Diventa cos evidente la composizione apostolica della Chiesa primitiva. 4.6. Lattenzione al ministero ordinato come elemento che permette di garantire la continuit della Chiesa nella storia che procede ha avuto un grande peso soprattutto negli scritti vicini a Paolo e al paolinismo, in modo eminente nelle pastorali. Questo fatto una conseguenza del significato che Paolo ha ascritto alla stretta correlazione fra Vangelo e Apostolo. lapostolo che, come persona inviata con una missione speciale dal Signore stesso, manifesta la struttura del Vangelo; e la Chiesa sorge e viene formata mediante questa testimonianza. Questa funzione di servizio al Vangelo assegnata personalmente venne raccolta e continuata nelle comunit paoline dopo la morte degli Apostoli dalle guide delle comunit. La teologia del ministero che si delinea in modo chiaro nelle lettere pastorali vuole fornire cos uno strumento per la configurazione della continuit ecclesiale. Dedichiamo unattenzione particolare alla figura del ministero ordinato quale appare nelle pastorali. Esse, sebbene presentino ancora una strutturazione ancora un po fluida71, certamente anticipano quello che la Chiesa del secondo secolo ha riconosciuto essere un elemento essenziale che mantiene la Chiesa fedele alla sua origine e alla sua essenza. Le tre epistole pastorali (1 e 2Tm e Tt) costituiscono il pi formale trattamento esplicito della continuit sub-apostolica nel NT. Paolo trascorse gran parte della sua vita cristiana come missionario, accrescendo costantemente il numero di coloro che erano venuti alla fede in Ges Cristo.

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La variet dei titoli con cui nel NT ci si riferisce al ministero denota una evoluzione che a partire da un ministero specificamente apostolico sfocer in un ministero ecclesiale con una forma sempre pi istituzionalizzata: 1 \ a Gerusalemme abbiamo i dodici, i sette ellenisti, poi i profeti, gli anziani ( presbyteroi), i didascali (rabbi); 2\ a Cesarea un evangelista (Filippo), le cui figlie profetizzano; a Joppe ci sono delle vedove (Tabit); 3\ ad Antiochia, una triade pastorale in una strutturazione gerarchica: apostoli, profeti e didascali; 4\ a Efeso, un evangelista (Timoteo), gli episkopi; 5\ a Corinto la stessa triade di Antiochia; si parla anche di diaconi (Rm 1 e 2Cor) e di proistamenoi presidenti (cfr. Rom), 6\ a Roma di hegoumenos, dirigente (Eb). Levoluzione e la stabilizzazione dei ministeri si spiega: 1\ per la situazione della Chiesa di Gerusalemme, dalla Pentecoste alla guerra giudaica; 2\ per lo sviluppo della Chiesa (da 60.000 verso il 60 d. C. fino a 240.000 verso l80, di cui un quarto nella provincia di Asia); 3 \ per la sparizione degli apostoli e dei ministri itineranti; 4\ per il ruolo della Chiesa di Roma, che si sostituisce a quella di Gerusalemme.

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Lambientazione delle due lettere scritte a Timoteo e della lettera a Tito vede Paolo nellultimo p eriodo della sua vita: giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa (2Tm 4,6-7). In conformit a questo contesto i suoi pensieri si rivolgono ai cristiani che egli sta per lasciare. Come possono sopravvivere, specialmente con un pericolo enorme rappresentato da falsi maestri che potrebbero traviarli (Tt 1,10; 1Tm 4,1-2; 2Tm 3,6; 4,3)? In altre parole, gli interessi di Paolo non sono pi primariamente missionari ma pastorali; egli preoccupato di curare il gregge gi esistente. Naturalmente, un tale interesse non manca nelle sue prime lettere, ma giustamente queste tre lettere sono state designate Pastorali per eccellenza72. Il consiglio del Paolo alla fine della sua vita terrena sul come sopravvivere, dato a Timoteo e a Tito, e attraverso essi alle comunit cristiane, in sintesi una risposta in termini di istituzione. Alcune delle comunit paoline non sono complete nel senso che esse non hanno autorit locali, ma adesso a tale carenza si deve rimediare, nominando in ogni citt dei presbiteri-vescovi (Tt 1,5-7). La guida autorevole di questi uomini preserva le comunit ecclesiali locali dalla disintegrazione. Sebbene la parola presbyteros (comparativo di prsbys vecchio, che in greco significa anziano) si riferisca allet, il costume di chiedere consigli agli uomini pi anziani di una comunit implic che anziano o presbitero finissero per designare un funzionario scelto idealmente per la sua saggezza, spesso pi avanzato in et, ma non necessariamente. Le sinagoghe giudaiche avevano un gruppo di anziani o presbiteri che stabilivano la linea di condotta della sinagoga. I presbiteri cristiani, comunque, avevano un ruolo di sorveglianza pastorale che andava al di l del loro equivalente giudaico; perci li troviamo designati con un secondo titolo, epskopos, soprintendente, sorvegliante, vescovo. La frequente pretesa che presbyteros sia un ruolo preso in prestito dal giudaismo mentre epskopos sia preso in prestito dalla amministrazione secolare e religiosa dei pagani troppo semplificata e non tiene conto delle testimonianze dei rotoli del Mar Morto. Nei 150 anni precedenti la nascita del cristianesimo gli Esseni descritti nei rotoli avevano, a parte i presbiteri, dei funzionari chiamati sovrintendenti, con ruoli di insegnamento, di ammonizione e di amministrazione quasi

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Un cambiamento simile si trova nella figura di Pietro in Gv 21. I vangeli sinottici ricordano Pietro come il pescatore che si era trasformato in pescatore di uomini (Lc 5,10). Nella prima parte di Gv 21 (1-11) Pietro fa una pesca miracolosa e trascina verso la riva una rete carica di 153 grossi pesci. La scena cambia bruscamente quando Ges tralascia il fatto dei pesci ed ordina a Pietro di nutrire i suoi agnelli e le sue pecore ( Gv 21,15-17). Le immagini del mondo della pesca sono molto appropriate allattivit missionaria di condurre gli uomini dentro la comunit cristiana, ma non si prestano alla cura continua di coloro che sono stati accolti in essa. Limmagine canonizzata del NT per indic are la cura pastorale il prendersi cura di un gregge; limmagine dalla quale noi traiamo il termine pastorale. Nella stessa maniera in cui il missionario Paolo, raffigurato come vicino alla morte, diventa primariamente Paolo il pastore che si prende cura di coloro che ha convertito, cos in Gv 21 c un cambiamento di immagine: da Pietro il pescatore a Pietro il pastore. Nella epistola pastorale petrina, Pietro d un consiglio sulla cura pastorale (1Pt 5,1-3).

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uguali a quelli dei vescovi delle Pastorali. I sovrintendenti della comunit religiosa degli Esseni erano figurativamente descritti come pastori, proprio come lo erano i vescovi cristiani (At 20,28-29; 1Pt 5,1-3). Perci, plausibile che dalla sinagoga i cristiani presero un modello di gruppi di presbiteri per ciascuna chiesa, mentre il ruolo di sorvegliante pastorale (epskopos) dato a tutti o a molti di questi presbiteri73 proveniva dal modello organizzativo di gruppi giudaici, i cui componenti vivevano in un rapporto di solidariet molto stretta, come ad es. gli Esseni del Mar Morto. Non si dice nelle Pastorali che i presbiteri-vescovi presiedessero leucaristia o il battesimo74. Non sappiamo neppure come venivano nominati i presbiteri-vescovi, sebbene dal tempo in cui furono scritti gli Atti Barnaba e Paolo potessero essere descritti come coloro che nominavano presbiteri in ogni chiesa (14,23). Che questa immagine sia stata troppo semplificata indicato da Tt 1,5 dove chiaro che ci sono delle citt di missione paolina senza presbiteri75. Secondo la Didach 15,1 i cristiani erano invitati a nominare per se stessi vescovi e diaconi76. Una tale informazione di retroterra sui presbiteri-vescovi pu essere utile, ma non dovrebbe distoglierci da quelle funzioni dei presbiteri-vescovi che fanno di loro una risposta delle Pastorali al modo in cui le comunit paoline sopravvissero dopo la morte dellapostolo. Il primo e pi importante aspetto nelle Pastorali che i presbiteri-vescovi devono essere i maestri ufficiali della comunit, ancorati alla sana dottrina ricevuta da Paolo attraverso Tito e Timoteo, e avversi ad ogni insegnamento nuovo o differente. Essi possono proteggere la comunit dallerrore perch hanno lautorit di ridurre al silenzio i falsi maestri (Tt 1,9-2,1; 1Tm 4,1-11; 5,17). Essi devono custodire il buon deposito (2Tm 1,14; cfr. 1Tm 6,20; 2Tm 1,12). Essi lo possono fare in virt del dono dello Spirito (2Tm 1,6: ti ricordo di ravvivare il dono [chrisma] di Dio che in te per limposizione delle mie mani) che hanno ricevuto mediante limposizione delle mani da parte del

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Negli scritti di poco posteriori al 100 d.C., ad es. in quelli di Ignazio di Antiochia, viene attestato il modello ecclesiale che prevede un solo epskopos a presiedere su un gruppo di presbiteri (e diaconi). Il fatto che le Lettere Pastorali usino il termine presbyteros sia al singolare che al plurale, mentre epskopos attestato (2 volte) solo al singolare, ha indotto alcuni studiosi a ritenere che lorganizzazione ecclesiale con un solo vescovo era gi vigente quando le Pastorali ve nnero scritte (negli anni 80?). Tuttavia in Tt 1,5.7 i due termini sono interscambiabili, per cui cerano anche diversi pr esbiterivescovi nella chiesa di una data citt menzionata nelle Pastorali. Una osservazione in 1Tm 5,17 suggerisce,per, che non tutti i presbiteri esercitavano una funzione di controllo e di insegnamento; evidentemente la funzione episcopale di controllo stava diventando pi stimata: J. SCHLOSSER, Episkopos, Episkop, Ekklesia nel Nuovo Testamento: quali relazioni?, in La relazione fra il Vescovo e la Chiesa locale, Quaderni di studi ecumenici 14, Venezia 2007, 51-81. 74 Gc 5,14 mostra, per, che i presbiteri hanno un ruolo speciale nella preghiera sugli ammalati e nellunzione. Dal te mpo di Ignazio, la presidenza delleucaristia e del battesimo era affidata al (singolo) vescovo o ad un suo d elegato. 75 Per questo ti ho lasciato a Creta perch regolassi ci che rimane da fare e perch stabilissi presbiteri in ogni citt, secondo le istruzioni che ti ho dato. 76 Eleggetevi, dunque, vescovi e diaconi degni del Signore, uomini mansueti non desiderosi di denaro e provati. Essi esercitano per voi anche il ministero dei profeti e dei dottori: in I Padri apostolici, op. cit., 38.

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presbytrion (1Tm 4,14: Non trascurare il dono spirituale che in te [tou en soi charismatos] e che ti stato conferito, mediante una parola profetica, con limposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri) accompagnata da parole profetiche nel quadro di una celebrazione liturgica in cui lassemblea cristiana gioca un ruolo di testimonianza (1Tm 1,18: Questo lordine che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie gi fatte su di te; 1Tm 6,12: Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni; 2Tm 2,2: Le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri). In proposito si pu parlare di un legame di successione di tipo dottorale; anzi, siccome la trasmissione del deposito - che lelemento primo ed essenziale - non avviene al di fuori della catena dei ministri istituiti, si pu persino parlare di successione apostolica. Il secondo aspetto che, poich la chiesa la casa di Dio (1Tm 3,15; un confronto reso pi significativo dal fatto che la chiesa si incontrava appunto in una casa), i presbiteri-vescovi devono essere simili ai padri che portano la responsabilit di una famiglia, ne amministrano i beni ed offrono esempio e disciplina. La stabilit e una stretta relazione simile a quella di una famiglia terranno la chiesa unita contro le forze disgregatrici che la circondano o la invadono. Le qualit richieste ad un presbitero-vescovo sono virt istituzionali tali che sarebbero apprezzate in una organizzazione ristretta con una impostazione familiare77. Queste richieste riflettono lemergere della chiesa come una societ con delle norme prestabilite e con suoi funzionari ufficiali. Naturalmente, lautore delle Pastorali spera che uomini con doni carismatici siano nominati presbiteri-vescovi, ma egli disposto a sacrificare le qualit carismatiche a favore di qualit pi prosaiche che promuoveranno larmonia nella comunit cristiana. Listituzionalizzazione del movimento cristiano fu un aspetto di ci che gli studiosi chiamano proto-cattolicizzazione. Mentre il giudizio su quel termine e su quella tematica richiede delle sfumature, certo che se la chiesa una societ, una normativa, costitutiva o meno, un inevitabile sviluppo sociologico che della natura nella chiesa. Il terzo aspetto che rivelano le pastorali lidea di conservare uneredit apostolica contro idee e maestri radicali. Una forte stabilit e una solida continuit sono segni di una struttura istituzionale

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Egli deve essere irreprensibile, retto e santo; padrone di s, non arrogante n avventato ( Tt 1,7-9). Deve essere capace di condurre bene la propria famiglia e di vigilare sui suoi figli ( 1Tm 3,4). Ci implica che egli debba essere capace di far quadrare il bilancio della sua casa; in particolare, non deve essere attaccato al denaro ( 1Tm 3,3-5); esigenze importantissime se, come si pu ben sospettare dai paralleli dei rotoli del Mar Morto, il presbitero-vescovo doveva amministrare il denaro comune della comunit cristiana. Egli non pu essere sposato pi di una volta; non pu essere un neo-convertito; i suoi figli devono essere cristiani (Tt 1,6; 1Tm 3,2-6).

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(presbiteri-vescovi e diaconi) destinata a conservare leredit apostolica. Le Pastorali hanno trovato un modo per evidenziare lunicit dellapostolo e nello stesso tempo per estendere la sua influenza al di l del tempo della sua vita. Lapostolicit personificata in Paolo nessun altro apostolo menzionato e di nessun altro c bisogno e questo apostolo provvede al tempo successivo alla sua dipartita trasferendo la sua eredit ai presbiteri-vescovi sotto la sovrintendenza di Timoteo e di Tito. Enfaticamente Paolo un maestro, un maestro delle nazioni (1Tm 2,7; vedi anche 2Tm 1,11); e la principale funzione dei suoi successori di insegnare la sana dottrina (Tt 2,1), portando avanti le linee direttive date dallapostolo ai suoi discepoli. Il vescovo deve essere attaccato alla dottrina sicura, secondo linsegnamento trasmesso (Tt 1,9). Timoteo, che ha osservato il modo di insegnare di Paolo (2Tm 3,10), ammonito: Persevera in ci che hai imparato e in cui hai fermamente creduto, sapendo da chi lo hai appreso (3,14). Il nemico contro il quale questo avviso diretto sono i maestri che introducono nuove idee, un gruppo descritto come uomini insubordinati, vuoti ciarlatani e ingannatori78. Le circostanze storiche in cui le epistole pastorali furono scritte portavano con s un grande pericolo per la forma del cristianesimo che alla fine sarebbe stata chiamata ortodossia. I propagandisti dello gnosticismo (1Tm 6,20: ci che falsamente chiamata conoscenza [gnosis]) avevano gi conquistato aderenti tra i cristiani79. Adesso comincia la lotta allultimo sangue che sarebbe culminata intorno al 180 con lAdversus haereses di Ireneo. Gi il Paolo delle Pastorali aveva intuito che la migliore risposta ad una moltitudine di prospettive che pretendono di essere rivelate o perfino tradizionali era una tradizione con una genealogia sicura, che coinvolgeva legami tra la fase apostolica e i funzionari ecclesiastici approvati. Ireneo avrebbe soltanto perfezionato largomentazione quando si appell ad una catena di vescovi dei grandi centri cristiani nella sua confutazione delle dottrine gnostiche. La massima: mantieni fermamente il sicuro insegnamento che hai ricevuto (Tt 1,9) stata unarma essenziale nei tempi di maggiori crisi dottrinali: nei momenti in cui la libert teologica tende a divenire anarchia, la chiesa del Dio vivente, il sostengo e roccaforte della verit (1Tm 3,15) ha il diritto di non lasciarsi distruggere dallinterno. 4.7. Al termine della nostra riflessioni sul tema del ministero possiamo presentare due risultati. In primo luogo ci sembra legittimo concludere che la Chiesa primitiva sia nel suo complesso sia nelle sue singole comunit non fu mai priva di ordinamento, e questo non era un ordinamento che di volta
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Cfr. le varie descrizioni in 1Tm 1,3ss; 4,lss; 6,20-21; 2Tm 2,16-18; 3,1-9; 4,3-4; Tt 1,10-16; 3,9. In realt non chiaro il fatto che solo una forma di pensiero eretico fosse il bersaglio, poich 1Tm 1,7 e Tt 1,10 considerano giudei e giudeo-cristiani come oppositori che potrebbero non equivalere agli gnostici.

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in volta doveva essere stabilito dallo Spirito Santo e riconosciuto dalla comunit, ma era basato su una costituzione fondamentale della Chiesa, determinata da Dio e obbligante fin dallinizio. Ci non esclude la guida costante e anche le indicazioni immediate dello Spirito Santo, tanto meno esclude la cooperazione della comunit. Resta inoltre alla Chiesa spazio sufficiente per la configurazione concreta della sua costituzione e libert sufficiente per la designazione di uffici e ministeri di volta in volta necessari. La Chiesa primitiva, tuttavia, non vede se stessa semplicemente come popolo di Dio che deve attendere e prestare ascolto alle direttive immediate del suo Signore celeste, ma piuttosto come gregge di Cristo, che il Signore ha provveduto sulla terra anche di pastori umani, i quali la governano e guidano nel suo nome. In secondo luogo non dovremmo generalizzare il modello di continuit presentato dalle pastorali applicandolo in modo puro e semplice alle altre chiese di tradizione non paolina; tuttavia questo modello a poco a poco venne accolto e riconosciuto come fondamentale dalla Chiesa antica e trasmesso a noi come normativo. Perci non lecito pretendere di reinventare la Chiesa a partire da una ipotetica ricostruzione storica delle comunit cristiane custodi di altre tradizioni che presenterebbero unalternativa, ingiustamente soppressa nella storia della Chiesa, che attenderebbe dalla sua riscoperta un presente nella nostra storia. Meglio parlare pi correttamente di istanze custodite dalla testimonianza neotestamentaria con cui la Chiesa attuale deve confrontarsi e su cui deve misurarsi allinterno di un contesto storico e culturale ben diverso da quello con cui si dovevano confrontare le comunit neotestamentarie. Proprio questa osservazione ci introduce alla seconda grave questione che dovette affrontare let sub-apostolica. 5. La questione della relazione della Chiesa al mondo e alla societ. I limiti della risposta offerta dallet sub-apostolica a questa questione sono segnati da due posizioni estreme, difficilmente conciliabili. 5.1. Da una parte si colloca lApocalisse di Giovanni, la cui comprensione della Chiesa deriva da una cristologia radicale della fine dei tempi. Secondo lApocalisse la Chiesa coinvolta nella batt aglia finale di Cristo contro il suo avversario, le potenze politico-sociali. Poich appartiene a Cristo e nello stesso tempo esiste nel mondo, analogamente a Cristo il vero signore del mondo , con la propria testimonianza non pu che suscitare ostilit e sopportare tale ostilit con una condotta passiva-sofferente. In questottica la Chiesa si trova in opposizione al mondo e alla societ; anzi questa opposizione intrinseca alla sua essenza cio di essere lambito della salvezza di Cristo e perci non superabile in modo intramondano. Il motivo della societ di contrasto trova qui la sua espressione estrema. Similmente, anche se in modo meno radicale, le lettere ai Colossesi e agli 145

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Efesini intendono la Chiesa come lo strumento mediante il quale la Signoria finale di Cristo ricapitola a s tutte le cose sottomettendo le potenze di questo mondo. 5.2. Laltro estremo segnato dalle lettere pastorali. Presupponendo la presenza permanente del vangelo del mondo in virt e a partire dalla venuta di Ges Cristo, esse intendono la testimonianza della Chiesa come la realizzazione della volont salvifica di Dio, che ha di mira tutti gli uomini. Chiesa e societ cos non sono separate luna di fronte allaltra, piuttosto secondo la volont di Dio in relazione luna allaltra; anzi viene riconosciuta pure una fondamentale disponibilit della societ ad aprirsi allannuncio della Chiesa. La Chiesa viene espressamente incoraggiata ad assecondare questa disponibilit in modo da avvicinarsi alle norme e ai modelli di pensiero della societ. Luca non va cos lontano come le lettere pastorali, ma si muove su posizioni vicine, quando negli Atti allude alla forma positiva della relazione fra Chiesa e Impero Romano e la sua societ, come a una possibilit sperata. 5.3. Se queste due posizioni non si possono conciliare con un semplice compromesso, tuttavia riconosciamo almeno un tratto comune e precipuo di tutte le testimonianze dellet sub-apostolica che in grado di coprire tutte larco delle posizioni: la fiducia nella efficacia della condotta di vita pu bblica della comunit cristiana. La Chiesa mediante la testimonianza della sua condotta opera efficacemente nel mondo o per provocare la latente ostilit del mondo contro Cristo (Ap) oppure per dimostrare il compimento dellideale etico della societ (Pastorali). Il compito centrale della Chi esa di conseguenza, di rendere visibile lalterit della Signoria di Dio nel suo Cristo evitando di adattare supinamente la propria condotta di vita ai costumi della societ circostante: essa infatti vive come societ di contrasto caratterizzata dal compito di servizio di Ges nel mondo e nella societ. e) Conseguenze Questa generazione cristiana non ha concluso una volta per sempre il discorso sulla Chiesa. Esso rimane aperto anche dopo. Il nostro compito quello di proseguirlo. Noi lo possiamo fare perch possiamo abbracciare lintera storia dellesperienza ecclesiale e, almeno dopo il Vaticano II, anche la comprensione ecumenica contemporanea di quello che la Chiesa pu essere. Il patrimonio neotestamentario, per, ci fornisce alcune istanze irrinunciabili. Senza pretendere di farne un inventario completo, segnaliamo alcune conseguenze che si possono trarre da queste istanze, allo scopo di suscitare anche una riflessione personale. 1. Non si sono trattati qui i differenti modelli di chiesa che vengono offerti dal NT, perch nessuno degli autori biblici intendeva offrire un quadro complessivo di ci che la chiesa dovrebbe essere. Se uno degli autori avesse voluto presentare un modello, potremmo essere certi che dai loro rispettivi 146

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scritti sarebbe emersa una ecclesiologia pi completa e pi ricca di sfumature. Non cera alcuna testimonianza in queste opere che facesse emergere una ecclesiologia coerente o uniforme. Piuttosto, scritti indirizzati a diverse comunit neotestamentarie avevano degli accenti del tutto diversi80. Anche se ciascuna accentuazione poteva essere efficace nelle particolari circostanze dello scritto, ciascuna aveva anche degli aspetti di manchevolezza che avrebbero costituito un pericolo se fossero state assolutizzate e ritenute valevoli per tutti i tempi. Prese globalmente, comunque, queste accentuazioni costituiscono una lezione notevole sulle idee del cristianesimo primitivo a proposito della vita delle comunit. 2. Noi che viviamo nelle chiese del ventesimo secolo, che cosa possiamo ricavare da un tale studio? Ci sono cristiani che ancora rifiutano lesistenza di diversit nel NT. Alcuni lo fanno a partire da una rigida concezione della divina ispirazione che svaluta la situazione umana degli scritti del NT ed insiste sul fatto che il loro messaggio deve essere uniforme perch solo la voce di Dio pu essere ascoltata. Altri rigettano le diversit nel NT perch proiettano nel primo secolo una situazione ideale in cui Ges aveva progettato la chiesa, gli apostoli concordavano tutti nel portare avanti le sue direttive, e gli unici che differivano erano gli agitatori condannati dagli autori del NT. Nessuna di queste obiezioni ultraconservatrici alle diversit del NT pu reggere dinanzi alle testimonianze. Daltro lato, alcuni studiosi acutizzano le diversit riscontrabili nel NT in conflitti dialettici e posizioni contraddittorie. Nessuno pu dimostrare che qualunque delle chiese qui studiate abbia rotto la koinona con unaltra. Non neppure verosimile che le chiese del NT di questo periodo subapostolico non avessero il senso della tra i cristiani e che fossero delle conventicole chiuse in se stesse che andavano ciascuna per la propria strada. Paolo eloquente sullimportanza della koinona, e nelleredit paolina la preoccupazione per lunit dei cristiani visibile in Lc/At ed in Ef. Pietro una figura ponte nel NT, ed il concetto di popolo di Dio in 1Pt richiede una comprensione collettiva del cristianesimo. Con tutto il suo individualismo, il quarto vangelo sa di altre pecore che non sono di quellovile e sa del desiderio di Ges che esse siano riunite. Mt ha un concetto della chiesa, ed espande gli orizzonti del cristianesimo fino ad includere tutte le nazioni. La maggior parte del NT fu scritta prima delle maggiori rotture della riscontrabili nel secondo seco-

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Queste accentuazioni potrebbero essere contrarie e logicamente in uno stato di tensione reciproca, ma esse non sono contraddittorie; e non c alcuna testimonianza del fatto che qualunque comunit da noi studiata stesse escludendo (che cosa diversa dal correggere) le sottolineature presenti nella tradizione di unaltra comunit. Pu essere utile ripetere che noi non sappiamo se i cristiani di una chiesa specifica di quel periodo sapessero molto di preciso circa le opere del NT presso altre chiese, sebbene essi possono aver conosciuto le altre tradizioni cristiane e i loro stili di vita. I grandi a-

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lo81, e perci le diversit del NT non si possono usare per giustificare le divisioni dei cristiani di oggi. Noi cristiani moderni abbiamo rotto la koinona; perch, esplicitamente o implicitamente, ci siamo scomunicati a vicenda e/o abbiamo stabilito che le altre chiese sono infedeli alla volont di Cristo nelle sue esigenze pi importanti. Ora, tale situazione di divisione non approvata dal NT. 3. Se non possiamo ignorare le differenze ecclesiologiche del NT n possiamo usarle per giustificare lattuale status quo, in che modo possono esserci utili? Primo: esse ci rafforzano. Molti di noi appartengono ad una particolare chiesa cristiana, perch siamo nati in famiglie che facevano parte di quelle chiese. Tuttavia, quando siamo cresciuti, se siamo rimasti fedeli alla nostra chiesa di origine, stato perch vi abbiamo trovato degli aspetti che ci portavano vicino a Cristo e allamore di Dio. Cos lappartenenza ad una chiesa divenuta una questi one di convinzione. Uno studio delle diverse sottolineature nelle chiese del NT pu illustrarci le forze che noi ammiriamo nelle nostre chiese e pu accrescere il nostro apprezzamento per come questa chiesa rimasta fedele alleredit biblica. Secondo: esse ci lanciano una sfida. Un uso del NT per rafforzare lapprezzamento della propria chiesa, comunque, non per nulla nuovo per il mondo cristiano. In una cristianit divisa, abbiamo avuto una lunga storia delluso delle Scritture teso a dimostrare di essere nel giusto, sia da parte delle chiese che da parte dei singoli. Il contributo pi grande dei moderni studi sul NT, perci, pu consistere nel mettere in evidenza quei modi in cui la Scrittura pu sfidare costruttivamente. Un riconoscimento della gamma delle diversit ecclesiologiche del NT rende molto pi complessa la pretesa di qualsiasi chiesa di essere assolutamente fedele alle Scritture. Noi siamo fedeli, ma nel modo che a noi proprio; ed entrambi gli studi ecumenici e biblici dovrebbero portarci alla consapevolezza che ci sono altri modi di essere fedeli, ai quali non abbiamo reso giustizia. In breve, uno studio

postoli (Pietro, Paolo, Giacomo) erano in contatto reciproco, ma noi non siamo sicuri se i loro discepoli della successiva generazione fossero in frequente contatto gli uni gli altri. 81 Allinizio del movimento cristiano non cera un corpo dottrinale fissato ma una fede in Ges che aveva bisogno di e ssere articolata. Di conseguenza il periodo neotestamentario implic uno sviluppo di intuizioni e di formulazioni su Ges e sulla comunit che conservava il suo nome, una crescita a cui diedero dei contributi decisivi le figure maggiori della prima generazione. Naturalmente, cerano delle volte in cui Pietro, Paolo e Giacomo differivano tra loro; ma queste di fferenze non causarono una rottura di , per quanto possiamo sapere. Dalla fine del primo secolo, comunque, alcuni cristiani resistevano in maniera veramente forte agli sviluppi che avevano preso piede in altri gruppi, e i diversi punti di vista sostenuti riguardo ad importanti istanze cominciarono a diventare veramente contraddittori. stato allora che probabilmente avvennero le pi grosse fratture di , per esempio, nella comunit giovannea, come attestato da 1Gv 2,19. Il secondo secolo vide un tentativo di determinare quale di queste contraddittorie visioni preservasse meglio la comprensione apostolica e quale la distorcesse maggiormente. Questa fu la questione dellortodossia e delleresia. un travisamento affermare che questo punto di vista significhi che lortodossia non esistesse prima del tardo secondo secolo. Leredit che alla fine fu riconosciuta come ortodossa esisteva fin dal tempo di Ges, non in un m odo statico ma in un modo dinamico.

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franco delle ecclesiologie del NT potrebbe provocare ogni comunit cristiana a chiedersi se essa sta trascurando parte delle testimonianze del NT. Se le chiese hanno accettato il canone della Bibbia, esse non possono permettere che le loro preferenze riducano al silenzio alcuna voce biblica. Terzo, per le chiese che vivono oggi in un orizzonte ecumenico sar finalmente importante, che invece di perseverare nellisolamento autosufficiente, comincino a prendere sul serio la verit dellessenziale unit del popolo di Dio e che, invece di assicurarsi nei confronti del futuro che appare insicuro brandendo con preoccupazione le proprie posizioni confessionali e culturali a volte ormai datate, arrischino confidando nella presenza dello Spirito santo procedendo coraggiosamente verso quella novit, che stata promessa come opera dello Spirito. 4. Dalle considerazioni sopra svolte emerge inoltre limportanza decisiva del momento istituzionale: esso non si pu semplicisticamente contrapporre allo Spirito. Daltra parte occorre verificare che le forme istituzionali non contraddicano lopera dello Spirito. Solo cos infatti si pu essere evitare che listituzione Chiesa diventi un guscio vuoto e lo Spirito una spiritualit disincarnata. 5. Importante pure il motivo della chiesa come societ di contrasto. Nel nostro contesto segnato dalla fine della cristianit, quale potrebbe essere la testimonianza che la Chiesa pu dare alla societ? Quale che essa sia, non dovrebbe mai rinnegare la forma cristologica del servizio per gli altri come il Figlio delluomo che non venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (Mt 20,28), e della mutua accettazione, di cui il Signore e Maestro ha dato lesempio cos che come ha fatto lui cos facciano anche i suoi discepoli (Gv 13,14s).

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II. LAUTOCOMPRENSIONE DELLA CHIESA NELLA STORIA Avvertenza preliminare 1) Questa parte dedicata allillustrazione dello sviluppo storico della comprensione della chiesa vorrebbe evitare di limitarsi alle dottrine teologiche sulla chiesa, per considerare la storia della chiesa in quanto tale come luogo in cui la chiesa rivela la comprensione di s, non solo nella forma della elaborazione dottrinale, ma anche con le concrete scelte storiche che le conferiscono una determinata forma. Ovviamente questo studio possibile solo in modo assai limitato e per temi maggiori. 2) Una descrizione del mutamento operatosi nellimmagine della Chiesa non deve ripetere quanto gi esposto nelle presentazione teologico-biblica. Tuttavia loggetto, che con questo tema sintende descrivere, si basa su quel fondamento. Ci simpone, se levento che la Scrittura attesta non costituisce un puro inizio nel tempo ma anche una origine permanente e normativa. Storia e storicit, inserite nellorizzonte della rivelazione, della storia di salvezza, della fede e comunit dei credenti, quindi della Chiesa, svolgono la funzione di condurre lorigine nella pienezza (J.A. Mhler) ad effetto, alla maturazione ed alla concretizzazione sempre diversa nel tempo. Questo per non si verifica n nel senso di un progresso inarrestabile e nemmeno in quello di una defezione, che sarebbe sopravvenuta subito dopo i primi inizi, bens nei termini di una attualizzazione, condizionata tanto dalle possibilit e forza di realizzazione, quanto dalle remore, dalle opposizioni, dalla defettibilit dei credenti di ogni tempo e della comunit dei fedeli, sempre e variamente intessuta di nessi storici. Per questo motivo, nella storia e nel mutamento storico operatosi nel contesto della fede e della Chiesa, presente e vitale la sua stessa origine, e in misura pi o meno intensa anche fedelt e corrispondenza. Qui si radicano anche ne sono leffetto una istanza critica decisiva, di carattere storico e tradizionale, e un criterio teologico, atto a valutare i diversi momenti storici e la realizzazione della fede e della Chiesa in essi prodotta. 3) Alla base di una esposizione del mutamento verificatosi nellimmagine della Chiesa sta lintero ambito in cui questa vive, si esprime e si articola: professione di fede, liturgia, spiritualit, riflessione teologica, espressione simbolica ed artistica. Nelle riflessioni seguenti il nostro discorso non verter dunque soprattutto su concetti di Chiesa, su una caratterizzazione essenziale della Chiesa cio che risponda, di volta in volta, ai requisiti di una definizione, quanto piuttosto sulle immagini, nelle quali non si astrae affatto dal concreto ma, in quanto lo si espone, lo si implica pure.

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4) Immagine della Chiesa presenta una duplice accezione. Con essa sintende, per un verso, (1) una raffigurazione vitale, una idea espressiva che la comunit dei credenti si fa di ci che la Chiesa e deve essere. Ma sintende pure (2) la figura concreta che nelle diverse epoche la Chiesa presenta allosservatore, che vive in essa o anche al di fuori delle sue cerchie. Queste due dimensioni si trovano in un rapporto di interazione e confluenza: la Chiesa concreta viene organizzata secondo limmagine che di essa ci si fa e che si cerca nella concretizzazione storica del suo attuarsi. Daltra parte limmagine che della Chiesa ci si fa, dipende dalla sua figura storica effettiva, e dalla sua realt concreta. Da questa combinazione ed intreccio inscindibili di idea e realt originano delle tensioni, le quali per non costituiscono un danno per la Chiesa, ma sono la sua necessaria espressione, la figura che abbraccia tutte le sue dimensioni. In una storicit cos compresa troviamo la ragione profonda del fatto che, realmente e di necessit, esiste un mutamento nellimmagine della Chiesa.

2.1. I primi tre secoli: la Chiesa come mistero 2.1.1. Situazione storica 1) Nei primi secoli non esiste ancora unecclesiologia autonoma. La Chiesa compresa anzitutto come parte del piano divino di salvezza che stato rivelato in Cristo e ora annunciato a tutto il mondo. Dato che lattenzione dei credenti di questo tempo si concentra completamente sullevento della redenzione attuata da Dio in Ges Cristo, anche la mediazione ecclesiale del mistero di salvezza viene compresa come parte dellazione divina, come parte delleconomia della salvezza, come mistero della fede. Daltra parte, la Chiesa non ancora divenuta oggetto diretto di riflessione, poich essa in misura maggiore o minore si identifica con lesperienza stessa della fede, con la stessa vita cristiana. Anche da questo punto di vista la Chiesa soprattutto mistero della fede. 2) Questa particolare visione della Chiesa, caratteristica dei primi secoli, dipende anche da una serie di presupposti e di condizioni storiche.
Nonostante la rapida diffusione, i cristiani, ancora allinizio del IV secolo, continuano a rimanere una min oranza nella societ (forse il 12-15 per cento, anche se in alcune regioni raggiungono gi la met della popolazione complessiva). Fino alla svolta costantiniana le comunit cristiane rimangono un corpo estraneo allinterno del loro contesto socioculturale. Un gran numero di principi del loro stile di vita e del loro sistema di credenze si oppone direttamente ai principi della societ ellenistico-romana: lapertura universale della comunit che accoglie tutti coloro che credono (per cui accanto agli strati inferiori e medi della societ sono rappresentati in essa anche la classe superiore e gli intellettuali) costituisce una messa in questione di fondo del carattere rigorosamente classista della societ dellimpero (aristocrazia senatoriale, cavalieri, uff i-

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ciali dellamministrazione, plebe, liberti, schiavi). La pretesa assoluta di verit della fede implica non solo esigenze etiche elevate, ma si contrappone anche allatteggiamento sincretistico della cultura ellenistico romana. Fino a quando lambiente pi forte, i cristiani si trovano perci nella posizione di potenziale o acuto rifiuto e di persecuzione. In tale situazione non solo passa in primo piano il carattere comunitario e decisivo della fede, ma anche la sua alterit; la consapevolezza di essere quaggi in una condizione di esilio e di avere il proprio punto di riferimento nellaldil, riceve costantemente una palese co nferma. Come mostrano lo sviluppo del commercio e della tecnica, il progresso della civilt urbana e la costruzione di numerosi splendidi edifici, la fioritura economica dellellenismo era proseguita in epoca imperiale. Essa per recava vantaggi solo alle classi pi elevate e alla popolazione delle citt. Gi verso la fine del I secolo per cominci ad annunciarsi in Italia una crisi economica che doveva estendersi rapidamente a tutto limpero; tale situazione determin un aumento della pressione statale sulla popolazione, fino a quando i d isordini allesterno e allinterno nel III secolo fecero sorgere una brutale dittatura militare con es torsione di tributi, confische e un peso fiscale insopportabile. Finch durarono lo sviluppo economico e la fase di conquista politico-militare, il sincretismo religioso (politeismo) venne confermato nella sua funzione di integrazione. Esso per cess di essere utile politicamente quando, con la fine della politica di conquista e della pacificazione esterna, si trovarono in primo piano i conflitti interni e gli scontri di interessi. La macchina militare da sola, a lungo termine, non poteva mantenere lunit. Lunica possibilit di sopravvivenza era rappresentata da un mondo simbolico (religioso) unitario in grado di fondare il consenso e legittimare il potere. In tal modo si creava per il cristianesimo una nuova situazione politico-sociale: la pretesa di verit universale del monoteismo e lo stile di vita integro che fino ad allora avevano causato la sua emarginazione lo collocano ora in una posizione di vantaggio. Non appena, sotto la spinta di questa nuova plausibilit, saranno compiuti i primi passi sulla via per divenire religione di Stato e verso una perdita della distinzione tra Chiesa e societ (questo accaduto in forma iniziale gi prima della svolta costantiniana), ci avr immediatamente delle conseguenze per lautocomprensione della Chiesa e la formazione delle proprie strutture.

3) In questi primi secoli si sono sviluppati nei loro tratti essenziali i lineamenti fondamentali della Chiesa che permangono anche nei secoli successivi: le norme fondamentali della fede (canone della sacra Scrittura, confessione di fede, regola della fede), le forme fondamentali della liturgia (battesimo ed eucaristia), della costituzione ecclesiale (ordinamento episcopale) e della trasmissione della fede (annuncio, catechesi, teologia); ci tuttavia accade in connessione con queste concrete condizioni storiche e sociali. In tale situazione non era possibile giungere a una ecclesiologia unitaria. Piuttosto vi sono luoghi assai diversi dellautocomprensione ecclesiale. Se si vuole sapere come la Chiesa antica si compresa si devono dunque conoscere questi differenti luoghi della sua autocomprensione nella loro diversit, nella loro influenza reciproca e nel loro sviluppo.

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2.1.2. Luoghi dellautocomprensione ecclesiale e della riflessione ecclesiologica a) La Chiesa nel contesto della liturgia 1) Lassemblea liturgica stata fin dallinizio uno dei luoghi centrali della formazione dellautocoscienza ecclesiale. Qui si incontra la Chiesa soprattutto come realt spirituale e mistica, come mistero della fede. Qui infatti viene creduto e celebrato in segni e riti sacri il fatto che lagire salvifico di Dio ha trovato una forma di apparizione storica ed escatologica nella concreta figura terrena della comunit di salvezza e, in particolare, nella sua assemblea liturgica. Questo contesto liturgico significativo dal punto di vista ecclesiologico in primo luogo a motivo della connessione dellidea storica di rivelazione e salvezza (soprattutto della ripresentazione anamnetica della morte e risurrezione di Ges Cristo) con le immagini arcaiche cosmiche e mitiche, con i segni, i simboli e i riti che toccano gli strati pi profondi dellanima. Nella liturgia battesimale, ad esempio, laccoglienza nella comunit e il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla sepoltura nelle acque della morte alla risurrezione alla vera vita, formano unintima unit. Ma questo contesto liturgico significativo dal punto di vista ecclesiologico anche per il legame costitutivo tra culto e stile di vita: la comunit ecclesiale costituita, per cos dire, dallunit di queste due forme della fede. 2) Questa figura completa della comunit raccolta per il culto viene compromessa in diversi modi dai processi di differenziazione che hanno luogo nei primi quattro secoli. Con il crescere delle comunit e il manifestarsi del peccato allinterno di esse, si rende necessaria la strutturazione del catecumenato e della penitenza pubblica. In questo modo per, oltre alla delimitazione nei confronti dei pagani e degli ebrei, viene istituzionalizzata anche unaltra dist inzione allinterno della comunit riunita per il culto (in particolare per la celebrazione eucaristica). Con lo sviluppo di dispute allinterno e il sorgere di movimenti eterodossi, diventano necessarie istanze normative a garanzia dellunit ecclesiale (canone, regola della fede, confessione di fede, vescovo). Comunione ecclesiale e comunione eucaristica divengono cos dipendenti reciprocamente in modo nuovo. Quanto pi le comunit diventano numerose e la comunit ecclesiale si trasforma in societ cristiana (a partire dal IV secolo), tanto pi forte deve diventare la differenziazione allinterno della Chiesa (la formazione di una gerarchia di uffici e di ministeri con una chiara distinzione tra clero e laici1). In tali circostanze, infatti, il battesimo e la fede battesimale non possono pi essere la condi-

Sembra che fu Tertulliano il primo a introdurre una sintomatica rilettura de llespressione laos tou Theou nel senso di plebs o turba fidelium, ossia la specifica denominazione di quanti non sono stati insigniti di un ordo vero e proprio: cfr. G. MAZZILLO, Popolo di Dio: categoria teologica o metafora?, in Rassegna di Teologia 36 (1995) 553-587.

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zione sufficiente per avere accesso alla comunione eucaristica; ora si richiede in pi lortodossia dottrinale e la comunione con i legittimi pastori della Chiesa e le loro comunit. 3) Tuttavia la liturgia rimane il luogo in cui viene trasmessa unautocomprensione spirituale e relazionale della Chiesa: unautocomprensione che essa sa di ricevere esclusivamente dallagire di Dio e a cui cerca di corrispondere nellassemblea liturgica e nel comportamento quotidiano. In questo modo, la comunit si sperimenta nelleucaristia non solo come popolo di Dio raccolto da tutti i popoli, ma anche come mistero del corpo di Cristo: attraverso la partecipazione allunico pane, la pluralit e la diversit dei suoi membri vengono unite per formare una comunit. Al tempo stesso, quello che viene celebrato nel segno liturgico, il dono redentivo del corpo di Ges, deve essere reso presente ora nella storia, dal suo corpo che la Chiesa. Come illustra S. Agostino:
Se vuoi comprendere il mistero del corpo di Cristo, ascolta lApostolo che dice ai fedeli: voi siete il corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Se dunque voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ci che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: il corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perch sia veritiero il tuo Amen. Perch dunque il corpo di Cristo nel pane? Non vogliamo qui portare niente di nostro; ascoltiamo sempre lApostolo il quale, parlando di questo sacramento, dice: Pur essendo molti formiamo un solo pane, un solo corpo (1Cor 10,17). Cercate di capire ed esultate. Unit, verit, piet, carit. Un solo pane: chi questo unico pane? Pur essendo molti formiamo un solo corpo. Ricordate che il pane non composto da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando si facevano gli esorcismi su di voi venivate, per cos dire, macinati; quando siete stati battezzati siete stati, per cos dire, impastati; quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo siete stati, per cos dire, cotti. Siate ci che vedete e ricevete ci che siete2.

Nella comune lode di Dio, la comunit si sperimenta come comunit riempita dallo Spirito Santo, unita nella comunione del Dio trino, nellunit di amore, per formare un cuore e unanima sola. 4) In questa prospettiva, la Chiesa rimane una realt liturgico-sacramentale, o misterica, la forma simbolica attuale della vicinanza del Dio trino. Come segno vivente della bont creatrice di Dio, del dono di Cristo e della forza trasformante dello Spirito di Dio, essa deve essere espressa anche in un grande numero di immagini prese dalla Bibbia o da altro contesto simbolico3.

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AGOSTINO, Serm. 272; Discorsi, IV/2, NBA vol. XXXII/2, Citt Nuova, Roma 1984, 1042-1045. Notiamo che il simbolismo utilizzato dai Padri deriva da una temperie platonica, in cui fondamentale il rapporto fra loriginale e limmagine (eikon). La chiesa terrena viene osservata come una copia dellimmagine originaria e celeste, la quale porta in se stessa i contrassegni dellautentico, del permanente e delleterno. La struttura e lordinamento della chiesa sono quindi una copia dellordinamento celeste; i segni, simboli, sacramenti e modi di agire della chiesa sono ri-

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(a) Immagini naturali: luna, piantagione, vite, paradiso, giardino. Una raffigurazione applicata alla chiesa, molto usata e feconda per la sua vasta possibilit di impiego, quella del mysterium lunae4. Ci che si afferma innanzitutto la verit fondamentale che la chiesa non vive e risplende di luce propria, ma grazie a Cristo, che la luce; la chiesa luce da luce, luce ricevuta, e il suo splendore un riflesso della luce ricevuta da Cristo. Come la luna nella notte, cos anche la chiesa risplende, di luce riflessa, nelle tenebre del tempo, dellignoranza, della colpa, della perdizione. Come la luce della luna, anche quella della chiesa una luce schermata, languida, rifratta, condizionata dalla capacit riflettente, tipica delle condizioni naturali della luna. Mentre il sole (Cristo) irradia sempre con la stessa intensit la sua luce e il suo splendore, la luce della luna (chiesa) attraversa incessantemente delle fasi alterne, ora crescendo ora calando, e questo sia rispetto alle sue dilatazioni esteriori e spaziali, sia al calore smisurato del suo interno; immagine molto appropriata per esprimere la variabilit del cammino ecclesiale. Un destino quello della luna che pu sfociare fin quasi alla sparizione della sua luce: donec auferatur luna. Questo tramonto per, che non conduce mai allestinzione totale della sua luce, segna linizio della rinascita imminente, della fase crescente. La forza e la garanzia del rinnovamento stanno al centro della luce, sulla quale la luna traccia la propria via: il sole, Ges Cristo, in cui essa tramonta per risorgere rinnovata e di nuovo splendente. (b) Immagini antropologiche: limmagine della chiesa sposa di Cristo intende indicare allo stesso tempo la presenza interiore di Cristo nella chiesa e con la chiesa e al contempo la non-identit tra Cristo e chiesa, il carattere della contrapposizione personale e quindi anche la distanza tra Cristo, signore e sovrano, e la sua chiesa. Questa immagine non risponde soltanto alla domanda chi sia la chiesa5 a differenza dellaltro interrogativo, riferito allistituzione, cio che cosa sia la chiesa

produzioni delle realt divine ed invisibili, che si manifestano agli uomini nelle forme visibili. Cfr. Y. CONGAR, Chiesa, in Dizionario di Teologia I, Queriniana, Brescia 19693, 229-242; qui 230-231. 4 H. RAHNER, Mysterium lunae, in Simboli della Chiesa. Lecclesiologia dei Padri, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 19942, 145-287. 5 Secondo von Balthasar lessere persona non la condizione originaria dellessere creato, bens il risultato del suo incontro con la Persona assoluta: il soggetto non diviene persona che in questo scambio con Dio, lasciandosi attrarre al di l di s stesso nel compimento di una missione. Cos, il modello e larchetipo della persona il Cristo, perch egli la persona singolare e concreta in cui si opera la congiunzione, da una parte del dono irrevocabile di Dio, che si impegna di persona nella temporalit, e daltra parte dellaccoglienza di Dio da parte delluomo, come capacit di lasciarsi afferrare e guidare nel pi completo dono di s. Di conseguenza ogni soggetto diviene persona qualitativamente unica mediante la sua integrazione nella persona archetipica del Cristo, partecipando del Cristo. Similmente la Chiesa assume la sua personalit propria in coloro che secondo gradi diversi si avvicinano sempre di pi a Dio e che divengono cos animae ecclesiasticae. Spossessata di s, gettata al di fuori dei limiti della propria sussistenza naturale, dilatata e aperta alluniversale secondo un grado stabilito da Dio, lanima ecclesiastica, assunta nella persona del Cristo, si unisce al Cristo sofferente per la salvezza dellumanit, ed perci chiamata a vivere, in una perfetta disposizione di dono di s, in vista delledificazione del Corpo che la Chiesa. Queste persone singolari aprono lo spazio alluniversale. La Chiesa realizzata cos (analogamente) in queste persone umane ecclesializzate; e solo loro, in definitiva, sono la pe r-

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ma rende anche chiaro che essa deve essere descritta a questo modo in quanto, nella sua condizione di chiesa storica e concreta, chiesa dei peccatori. Limmagine della casta meretrix un motivo ricorrente nella ecclesiologia dei Padri6, lo si esemplifica con linterpretazione allegorica della figura veterotestamentaria della meretrice Rahab, applicata alla chiesa. Analogamente vengono interpretate in chiave ecclesiologica anche le figure di Tamar, la donna di Osea (Gomer), e la Maddalena neotestamentaria, utilizzate per spiegare tanto il destino quanto la missione della chiesa. Secondo la stessa accezione sinterpretano pure le parole del Cantico: Nigra sum, sed formosa (1,5), per le quali si rivela determinante linterpretazione che ne ha dato Origene nel suo commento, pure confermata dallimmagine di una chiesa senza macchia e senza rughe (Ef 5,27), della sposa immacolata (1Cor 11,2), e quindi una distinzione allinterno della stessa chiesa concreta: come lite dei santi e puri, dei perfetti, e come il gran numero di coloro che, per quanto vivano nella chiesa, non si adeguano al suo ideale. Laltra differenza, desunta dal passo suaccennato, distingue nella realt della chiesa, la manifestazione esteriore e percepibile dalla sua dimensione profonda, che si lascia esperire soltanto in spirito7.

sona-Chiesa. Al limite, la Chiesa non persona realmente e adeguatamente che in Maria, la quale, come persona singolare infinitamente dilatata, aperta alluniversale, viene a coincidere con la Chiesa stessa: H.U. VON BALTHASAR, Chi la chiesa?, in Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1985, 139-187. Lautore ha sviluppato queste riflessioni in, Il complesso antiromano e in Teodrammatica, t. II: Le persone del dramma, vol. 2: Le persone nel Cristo. Se ne pu trovare unesposizione sintetica in J.-N. DOL, Qui est lglise? Hans Urs von Balthasar et la personnalit de lglise, in NRT 17 (1995) 376-395 e pi approfondita in B. LEAHY, Il principio mariano nella Chiesa, Citt Nuova, Roma 1999. 6 H.U. VON BALTHASAR, Casta meretrix, in Sponsa Verbi, 189-283. Proprio nelle tre espressioni tipicamente femminili che Balthasar attribuisce alla missione della Chiesa la verginit, la sponsalit e la maternit , emerge che la perfezione di Maria supera quella della Chiesa: Maria infatti perpetuamente vergine (cfr. anche la pienezza di grazia che si confessa dellImmacolata Concezione), mentre la Chiesa , sotto un certo aspetto, una prostituta a cui il Cristo ha reso la verginit; inoltre, la Chiesa madre mediante la fede, che la fede di Maria il suo fiat, quale infinita disponibilit nelle mani di Dio, come il terreno nel quale pu germinare la Chiesa; Maria infine la Nuova Eva associata al Nuovo Adamo perch la Chiesa possa scaturire come sposa e non solamente come corpo di Cristo alla Croce, occorre che sia dato un s personale, nuziale, ed ancora Maria che lo d a nome dellumanit peccatrice (che essa rappresenta, bench preservata per la sua Immacolata Concezione): cfr. DOL, Qui est lglise?, art. cit., 386. 7 Agostino riprender questa intuizione e, associando il tema della Chiesa come immaculata (Ef 5,27) a quello della columba mea del Cantico (Ct 5,2), svilupper la teologia della columba. Secondo questa visione la columba quella parte della Chiesa che non solo oggettivamente immacolata, ma che anche comunione soggettivamente amante in maniera perfetta, la sposa e il corpo di Cristo, che in collegamento perfetto con lui concorre ad attuare la sua opera della dedizione amorosa per la redenzione del mondo. Lo Spirito Santo donatole stabilmente a Pentecoste e che inabita nei santi foggia nel fuoco dellamore quellargentea columba, che in modo fecondo collabora a operare la remissione dei peccati: Petra enim tenet, petra dimittit; columba tenet, columba dimittit, unitas tenet, unitas dimittit (De Baptismo, III, xviii, 23). Il suo amore per il Cristo rende efficace il sacramento del perdono anche quando viene amministrato da un ministro indegno. Infatti essa lautentico soggetto ecclesiologico delle operazioni santificanti, e soprattutto del perdono dei peccati. Non che Agostino separi il ministero, che ha lamministrazione del sacramento, da questa dimensione spirituale della Chiesa. Ma a Pietro vengono conferite le chiavi in typo unitatis. Solo cos Agostino pu superare dallinterno il donatismo: la condizione per un efficace legare e sciogliere non la santit personale del ministro insignito dellufficio, ma la santit personale della vera Chiesa, la columba, che lega e scioglie non senza il principio ministeriale dellufficio.

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Anche limmagine della chiesa-madre pu ricollegarsi a motivi biblici. Comprendendosi come Mater ecclesia, la chiesa vuole segnalare la propriet che la qualifica, di essere cio la mediatrice della verit e della salvezza. E lo in quanto mediatrice di parola, sacramento e fede specialmente nel battesimo, nelleucaristia e nella penitenza e colei alla quale stata affidata anche la cura di preservare e custodire la prole che le stata donata: Cipriano ad esempio afferma che nessuno pu avere Dio per padre se non ha la chiesa per madre (De unitate ecclesiae, 23)8. Limmagine si concretizza nellinterpretazione di Eva e Maria secondo una tipologia ecclesiologica. Il paragone tra la chiesa ed Eva ha condotto, nella patristica, alla diffusa concezione secondo cui la Chiesa sarebbe scaturita dal costato di Ges Cristo, il secondo Adamo, stando al racconto di Gv 19,34, dove si parla del sangue ed acqua che scaturiscono dal costato di Cristo. Sangue ed acqua furono interpretati come simboli dei due sacramenti fondamentali: eucaristia e battesimo9. (c) Immagini storiche, tecniche o politiche: citt, tempio, torre, arca, vascello. Unimmagine tipica del tempo dei Padri, molto usata, desunta dal simbolismo nautico: la chiesa come un vascello che solca il mare del mondo10. La ritroviamo in diverse varianti: la chiesa una nave, fabbricata col legno della croce, il cui albero maestro si interseca con lantenna e forma una croce; il suo nocchiero Cristo. La sorte della chiesa-nave si ritrova espressa nella frase: fluctuat, non mergitur. Qui si rispecchia anche la sua condizione di variabilit e di pericolo continuo, ma anche la certezza che laffondamento impossibile e lapprodo sicuro. Lequipaggiamento e lattrezzatura della nave, il catalogo nautico e lantico simbolismo marinaro, servono a descrivere la realt della chiesa nel suo insieme: i suoi ministri, la sua organizzazione e la sua struttura. Linterpretazione della chiesa mediante limmagine dellarca di No (1Pt 3,20) illustra come la chiesa, in mezzo al diluvio universale del tempo e del mondo, offra riparo, scampo, salvezza. Essa larca della salvezza, non possibile salvarsi senza di essa, necessaria alla salvezza. Cristo, al pari di No il giusto, si trova nellarca nella sua qualit di capostipite di un nuovo genere umano. Questa immagine spiega concretamente lespressione extra ecclesiam nulla salus, che gi nel periodo patristico Cipriano aveva coniato e variamente illustrato (De unitate ecclesiae, 6), e la cui spiegazione e conseguenze da essa derivanti, principalmente in riferimento alla possibilit di salvarsi al di fuori della chiesa, avevano condotto a forti controversie e a non pochi malintesi fin dagli inizi (in concreto, con la questione se ammini-

K. DELAHAYE, Per un rinnovamento della pastorale. La comunit madre dei credenti negli scritti dei padri dei primi tre secoli, Ecumenica, Bari 1974; H. DE LUBAC, Meditazione sulla chiesa, Jaca Book, Milano 1987, 161-192. 9 H. RAHNER, Flumina de ventre Christi, in Simboli della Chiesa, 289-394. 10 H. RAHNER, Antenna crucis, in Simboli della Chiesa, 395-966.

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strare o meno il battesimo agli eretici). Limmagine chiarisce ancora una volta la struttura dialettica della chiesa: questa la chiesa dei peccatori, o in termini simbolici unarca che accoglie anche gli animali impuri, ma che al contempo lunica chiesa dei salvati, ai quali la grazia della redenzione viene partecipata allinterno di questa imbarcazione. Linterpretazione della chiesa come barca di Pietro rimane nellorizzonte di quanto gi affermato. La situazione di pericolo deriva dalla storia stessa della chiesa; il felice esito di questo viaggio sta nella promessa. Il vascello quello di Pietro pescatore (Lc 5,3), che, sotto la guida del nocchiero Cristo, anche pilota dellimbarcazione; a lui sono state indirizzate le parole di salvezza e di guida. Questimmagine fu interpretata e specificata nel corso del tempo soprattutto nel senso che la posizione privilegiata di Pietro, il pescatore di uomini, comportava il primato romano: Ges infatti insegna dalla barca di Pietro. Questa barca fu interpretata poi in chiave di politica ecclesiastica, fino a giungere allidentificazione: navis Simonis est ecclesia Petri. In tutte queste immagini al centro sta lessere una cosa sola della Chiesa con Cristo, che lesperienza fondamentale della comunit liturgica che determinante nel formare lidentit della Chiesa. b) La Chiesa nel contesto della missione e dellapologia 1) Quando ci si rivolge allesterno si parla della Chiesa in modo diverso. Nellannuncio missionario e nella difesa della nuova fede cristiana dagli attacchi degli intellettuali pagani in primo piano non stanno n la liturgia n lordinamento ecclesiale, e neppure la Chiesa in quanto tale. Qui si tratta piuttosto, da un lato, della nuova situazione salvifica e liberante per lumanit che stata creata attraverso lincarnazione di Dio e nella quale entra chi crede in Cristo e vive secondo i suoi precetti. Dallaltro lato, si tratta proprio della prassi morale alternativa, verificabile empiricamente, che diviene invito rivolto a coloro che stanno al di fuori. Il testo pi caratteristico di questo modo di pensare senzaltro costituito dalla Lettera a Diogneto.
V. I cristiani non si distinguono dagli altri uomini n per regione, n per linguaggio, n per costumi. Infatti, non abitano citt proprie, n usano un gergo che si differenzia, n conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, n essi aderiscono ad una corrente filosofica umana Vivendo in citt greche e barbare, come a ciascuno capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera patria loro, e ogni patria straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle

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leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbe ro dire il motivo dellodio. VI. A dirla in breve, come lanima nel corpo, cos nel mondo sono i cristiani. Lanima diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle citt della terra. Lanima abita nel corpo, ma non del corpo; i cristiani a bitano nel mondo, ma non sono del mondo. Lanima invisibile racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione invisibile. La carne odia lanima e la combatte pur non avendo r icevuto ingiuria, perch impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perch si oppongono ai piaceri. Lanima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. Lanima racchiusa nel corpo, ma essa sostiene i l corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. Lanima immortale abita in una dimora mo rtale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando lincorruttibilit nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande lanima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno pi si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non lecito abbandonare11.

2) Questo discorso apologetico sulla Chiesa opportunamente non utilizza n le immagini e le rappresentazioni bibliche e liturgiche n le espressioni dellautoesperienza immediata nella liturgia. Quando si deve spiegare allesterno la particolarit di questa nuova comunit di fede meglio ricollegarsi a quei modelli di esperienza che sono pi familiari al cittadino normale di una citt romana. Tra di essi vi certamente la pluralit di associazioni, consorzi, circoli, club, scuole, collegi (factio, secta, corpus, curia, coitio), che, a partire dal II secolo, esistevano in gran numero nellimpero romano. Del medesimo genere era anche limpatto con la comunit di fede per coloro che stavano allesterno, come un tipo di associazione, con una cassa comune, con incontri regolari per il culto e pasti nelle feste, una direzione e un cimitero comune. Una descrizione apologetica che sottolineava questa analogia poteva, da una parte, dimostrare la normalit civile di questa nuova associazione e, dallaltra, attraverso la distinzione rispetto alle altre associazioni, cercare di most rare la particolarit e singolarit della Chiesa. Con la sua pretesa universale essa ha, in certo modo, assorbito in s tutte le finalit delle singole associazioni.

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A Diogneto, in I Padri apostolici, a cura di A. Quacquarelli, Citt Nuova, Roma 19844, 356-358.

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Proprio cos argomenta Tertulliano nel suo Apologeticum (197 d. C.) quando egli, da una parte, mediante il rimando al carattere simile alle associazioni della comunit cristiana, vuole dimostrare la legittimit del cristianesimo, ma al tempo stesso sottolinea la particolarit religiosa e morale di questa associazione.
Ora esporr lo scopo della comunit cristiana (negotia christianae factionis), affinch, dopo la confutazione del male, vi mostri il bene. Noi formiamo un solo corpo mediante il vincolo di religione, lunit della d isciplina e della comune speranza Preghiamo anche per gli imperatori, per i loro ministri e magistrati, per la conservazione del mondo, per la tranquillit dellordine, per il ritardo della catastrofe finale. Ci raduni amo per leggere le divine Scritture Certo, il nostro cibo sono le parole sante: con esse innalziam o la nostra fede, confermiamo la nostra speranza e nel contempo irrobustiamo la nostra disciplina inculcando i comandamenti Presiedono anziani gi provati, che sono pervenuti a tanta dignit non col danaro ma per la test imonianza della loro virt, perch nessuna cosa di Dio venale. Abbiamo pure una specie di cassa comune, ma non costituita con elargizioni onorarie, come prezzo dacquisto di una religione. Ciascuno, mensilme nte, quando crede opportuno, se lo vuole e se lo pu, offre un modesto contributo. Nessuno costretto ma si offre spontaneamente. Queste offerte sono come il deposito della piet ( quasi deposita pietatis)12.

In questa ottica missionaria, orientata verso il mondo esterno, la Chiesa dunque a un tempo realt escatologico-trascendente e realt morale. I due aspetti sono strettamente collegati fra loro. c) La Chiesa nel contesto della questione circa lunit e lidentit della fede 1) Tra le esperienze fondamentali della fede cristiana, che determinano la sua struttura sociale, vi anche quella dellessere inviata nel mondo in modo che, come nuova comunit di salvezza, possa servire da testimonianza e da segno di fronte al mondo, affinch gli sia possibile aderire a questa via della fede portatrice di redenzione. Con questa fondamentale esperienza dellessere inviata, la comunit dei credenti assume una singolare caratteristica di soggetto. Tale caratteristica non si esprime solo nei diversi atti dellannuncio e della testimonianza, ma anche nelle azioni liturgiche e nel lattivit sociale. Questa capacit di azione pubblica e unitaria assai presto si trov a essere minacciata e messa in questione. Con la crescente distanza dallorigine e il passaggio in nuovi spazi s ocioculturali, la questione dellidentit, della continuit e dellunit della fede divenne sempre pi importante. Con laumento delle controversie teologiche, delle eresie e delle divisioni nelle comun it, non era screditata solo la testimonianza unitaria di fronte al mondo, ma era messa in pericolo an-

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TERTULLIANO, LApologetico, 39, Edizioni Paoline, Roma 1950, 165-166.

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che la stabilit della comunit di fede. Perci, in tale contesto, il carattere di soggetto capace di agire proprio della Chiesa deve essere tematizzato dal punto di vista teologico, spirituale e pratico. 2) Questo avviene in primo luogo ponendo al centro la Chiesa come soggetto di azione nei contesti in cui opera: la Chiesa il soggetto terreno, istituito da Dio, della mediazione della salvezza. Perci devono rimanere uniti ad essa quanti cercano la salvezza. A lei infatti stata donata da Dio la comprensione della verit; essa, ripiena dello Spirito Santo, conserva la tradizione apostolica della fede; essa predica, insegna e trasmette la grazia e la nuova vita; essa il luogo della verit, dellamore, dello Spirito Santo, della comunione con Cristo, della pace e della salvezza. In secondo luogo, in questi contesti, deve essere indicato anche il concreto soggetto di azione che rappresenta listituzione ecclesiale e che in essa diviene segno e criterio dellunit e dellautenticit della fede: i vescovi come successori degli apostoli. Non appena divenne chiaro che nella tensione tra origine e presente la questione posta dalla precariet dellidentit e della continuit non poteva pi essere risolta solo con laiuto di un richiamo alla tradizione apostolica materiale e che anche le altre norme poste a garanzia dellidentit (canone della Scrittura, regola della fede, confessione di fede) non p otevano risolvere tutti i problemi, il soggetto personale rappresentativo della tradizione (il ministero episcopale e, pi tardi, i sinodi e il papato) dovette essere rafforzato e consolidato nella sua autorit. In determinate situazioni di crisi, infatti, solo le decisioni di queste istanze potevano garantire e conservare la continuit e lidentit della fede nonostante la sua discontinuit storica ed sociale. Nellopera Adversus haereses (circa 180 d. C.), con cui Ireneo di Lione cerca di confutare la gnosi, il concorrente che allora minacciava lidentit della fede cristiana, si pu rilevare in modo evidente lemergenza della Chiesa come soggetto di azione come pure la sua concretizzazione nel ministero episcopale. In particolare per Ireneo sono tre i criteri che permettono di discernere la vera chiesa in continuit con la chiesa degli apostoli: lepiscopato che, fondato dagli apostoli e continuato nei successori da loro istituiti, garantisce la validit della dottrina ecclesiale; il Nuovo Testamento che, scritto dagli apostoli, rappresenta la testimonianza autorevole e definitiva allatto salvifico di Dio in Cristo; il canone della verit che, trasmesso dagli apostoli, provvede una concisa presentazione della fede in forma di credo. In tal senso egli cos presenta lintreccio delle varie norme della fede.
La predicazione della Chiesa solida da ogni parte, rimane sempre uguale ed sostenuta dalla testimonianza dei profeti, degli apostoli e di tutti i loro discepoli, come abbiamo dimostrato, in base allinizio, il mezzo e la fine, e per mezzo di tutta leconomia di Dio e la sua opera sicura per la salvezza delluomo e che fonda la nostra fede. Questa labbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: essa per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso contenuto in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche

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il vaso che la contiene. Alla Chiesa infatti stato affidato il Dono di Dio, come il soffio alla creatura plasmata, affinch tutte le membra, partecipandone, siano vivificate; e in lei stata deposta la comunione con Cristo, cio lo Spirito Santo, arra di incorruttibilit, conferma della nostra fede e scala della nostra salita a Dio. Infatti nella Chiesa dice Dio pose apostoli, profeti e dottori (1Cor 12,28) e tutta la rimanente operazione dello Spirito. Di lui non sono partecipi quelli che non corrono alla Chiesa, ma si privano della vita a causa delle loro false dottrine e azioni perverse. Poich dove la Chiesa, l anche lo Spirito di Dio; e dove lo Spirito di Dio, l la Chiesa e ogni grazia. Ora lo Spirito Verit. Perci quelli che non partecipano di lui non si nutrono alle mammelle della Madre per la vita, n attingono alla purissima sorgente che sgorga dal corpo di Cristo, ma si scavano cisterne screpolate ( Ger 2,13) [Il discepolo spirituale] giudica anche quelli che provocano scismi, che sono vuoti dellamore di Dio e guardano al pr oprio interesse pi che allunit della Chiesa e per qualunque futile motivo tagliano e dividono il grande e glorioso corpo di Cristo e per quanto dipende da loro lo uccidono; parlano di pace e fanno la guerra, e veramente scolano il moscer ino e inghiottono il cammello (Mt 23,24): perch da loro non pu venire alcuna correzione che sia tanto grande, quanto grande il danno dello scisma. Giudica anche tutti quelli che sono fuori della verit, cio fuori della Chiesa. Ma lui non giudicato da nessuno, perch tutto in lui solido: la sua fede integra in un solo Dio onnipotente, dal quale vengono tutte le cose; e la sua adesione ferma al Figlio di Dio Ges Cristo, il Signore nostro, per mezzo del quale vengono tutte le cose, e le sue economie per cui il Figlio di Dio si fece uomo; la vera gnosi nello Spirito di Dio, che d la conoscenza della verit, che presenta le economie del Padre e del Figlio, secondo ogni generazione, per gli uomini, come vuole il Padre: la dottrina degli apostoli, lantico organismo della Chiesa in tutto il mondo, il marchio del corpo di Cristo secondo le successioni dei vescovi, ai quali essi affidarono ogni Chiesa locale, la conservazione non finta delle Scritture giunta fino a noi, la raccolta completa senza aggiunta e senza sottrazione, una lettura senza frode e, conforme alle Scritture, una spiegazione corretta, armoniosa, esente da pericolo e da bestemmia; e infine leminente dono della carit, che pi prezioso della gnosi, pi glorioso della profezia e superiore a tutti gli altri carismi13.

Nel contesto dellidea di missione e della salvaguardia dellidentit la Chiesa si colloca in primo p iano come il soggetto della mediazione della salvezza, dotato da Dio di tutti i doni necessari: essa ha la comprensione/intuizione della verit, conserva fedelmente la tradizione della fede, insegna, predica e guida. Essa il luogo della verit, dellamore, della salvezza. Nel vescovo posto nella successione apostolica la Chiesa si concretizza come soggetto di azione. 3) Da questo contesto di azione segnata pure la struttura costituzionale della Chiesa. Anche la Chiesa universale esiste nella forma di una comunione, una communio di Chiese locali autonome, ognuna delle quali rappresenta lessenza integrale della Chiesa. Nel corso del II secolo il ministero
13

IRENEO DI LIONE, Contro le eresie e gli altri scritti, Jaca Book, Milano 1981, 295-296, 377-378 [corsivo ns.].

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del vescovo monarchico (monoepiscopato) si affermato in tutte le Chiese per diverse ragioni. Vi sono sicuramente motivi di ordine teologico-pratico: la migliore garanzia dellunit della comunit. Vi sono ragioni di carattere teologico-sistematico, quali la rappresentanza dellunico Dio o di Cristo, e motivi storico-teologici: lidea della successione apostolica che assicura una catena personale di tradizione grazie alla quale si legati allorigine. Soprattutto, la rivendicazione da parte della nuova comunit di fede di un carattere universale e pubblico a rendere necessaria anche una rappresentanza pubblica del soggetto ecclesiale di azione nellannuncio, nella liturgia e nella diaconia. In questa prospettiva, la comunit non si comprende secondo il modello di unassociazione, di un partito o di un circolo, ma secondo il modello della citt antica e della sua amministrazione (polis, civitas, curia), che sa di essere responsabile per tutti gli aspetti della vita dei suoi membri. Se lunit della Chiesa locale garantita dal vescovo (insieme al collegio dei presbiteri e dei diaconi), lunit della Chiesa universale lo dal collegio dei vescovi. Nel corso del tempo questa unit trover sempre pi un punto fisso nel primato del vescovo di Roma. A partire dal III secolo c unesplicita rivendicazione da parte dei vescovi di Roma di una preminenza sovraregionale e, successivamente, anche sulla Chiesa universale. Descrizione riassuntiva La Chiesa appare nei primi tre secoli, e anche oltre, primariamente come una realt immediatamente connessa con la fede e in misura minore come risultato della riflessione teologica o dellordinamento giuridico. Poich il credente vede la sua esistenza interamente nella presenza dellagire salv ifico divino sempre attuale, la Chiesa gli appare anzitutto come realt storico-escatologica e poi pneumatico-sacramentale. Solo in una mutata situazione storica e sociale avviene la prima tematizzazione di s da parte della Chiesa, una differenziazione e unacquisizione di autonomia che portano con s subito degli spostamenti di accenti.

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2.2. La svolta costantiniana: la chiesa come dominio spirituale 2.2.1. Situazione storica 1) Nella Chiesa medioevale, il cui inizio in Occidente viene collocato tra il IV secolo (la svolta costantiniana) e lVIII secolo (la scelta da parte dei papi dei re franchi e la nascita dello Stato pontificio), e che si dissolve nel XVI secolo (con la Riforma), il contesto storico muta in maniera profonda. Esso fa s che ora al centro ci sia linteresse per il lato sociale, politico e istituzionale della Chiesa. Allinevitabile messa a tema di questi aspetti della Chiesa sono legati anche i primi inizi di unecclesiologia orientata in senso giuridico nella quale la gerarchia sta in primo piano. Il dominio spirituale perci la metafora fondamentale per la comprensione medioevale della Chiesa. 2) I fattori storici responsabili di questo cambiamento sono di natura diversa. In seguito alla svolta costantiniana la Chiesa perseguitata diviene libera (editto di Milano: 313) e, ben presto, si trasforma in Chiesa di Stato (editto di Tessalonica: 380); da Chiesa dei martiri e dei confessori diviene rapidamente Chiesa di massa e impero cristiano o comunit dei popoli cristiani. Per raggiungere i propri obiettivi e svolgere le proprie funzioni, la chiesa si serve delle stesse articolazioni e strutture politiche ed organizzative dello stato romano; utilizza i templi, costruisce veri e propri edifici cristiani. I vescovi sono equiparati agli alti funzionari dello stato, ai senatori, e ottengono insegne, onorificenze e privilegi. Con la crescente integrazione tra Chiesa e mondo la coscienza escatologica regredisce. Non si diventa pi cristiani per decisione, ma per nascita. Il populus Dei diviene populus christianus, un concetto culturale, sociologico e politico. Anche la tentazione cui la Chiesa esposta diviene meno spirituale e assume una forma geografica e politica identificabile: il nemico che si trova al di fuori del popolo cristiano e che perci deve essere combattuto (attraverso le crociate, la persecuzione degli ebrei e degli eretici e linquisizione). La triade ebrei, eretici e pagani come nemici della cristianit una formula fissa della teologia e della predicazione tardomedievali14.

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La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani [FULGENZIO DI RUSPE, De fide seu de regula fidei ad Petrum 38, n. 81], ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli [Mt 25,41], se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti: CONCILIO DI FIRENZE, Bolla Cantate Domino, 4 feb. 1442, in DzH 1351. Gli ebrei furono colpiti in modo peggiore perch combattere pagani ed eretici si era infatti rivelato assai difficile. A partire dalle crociate, lostilit verso gli ebrei sviluppatasi nella teologia si estende anche alla vita quotidiana, come mostrano le parole di Pietro di Cluny: A che cosa serve cercare e combattere i nemici della fede cristiana in terre lontane se dissoluti e bestemmiatori ebrei, che sono di gran lunga pi malvagi dei saraceni, non in terre lontane, ma qui in mezzo noi senza ostacoli e temerariamente oltraggiano impunemente, calpestano con i piedi e disprezzano Cristo e tutti i sacramenti cristiani? Come pu lo zelo divino animare i figli di Dio se gli ebrei, i peggiori nemici di Cristo e dei cristiani, se la cavano impavidi?: cit. in WIEDENHOFER, La Chiesa, op. cit., 115.

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In Oriente, limperatore ormai cristiano acquista un crescente influsso sulla Chiesa: egli, lepskopos ton ekts (vescovo esterno)15, legifera in materia di regolamento ecclesiastico come in questioni dottrinali; convoca e dirige i concili; crea e modifica le circoscrizioni ecclesiastiche; nomina i vescovi delle sedi principali; d alle decisioni dei concili valore di legge dellimpero. In lui limpero cristiano sembra riflettere il regno di Dio incominciato. Questa tendenza verso il cesaropapismo16 fu sostenuta anche dal reclutamento dei vescovi esclusivamente tra le file dei monaci. Secondo le intenzioni, questa prassi doveva garantire il carattere spirituale dellautorit ecclesiale, ma, di fatto ha condotto allabbandono dei compiti giurisdizionali allautorit imperiale. In Occidente, in condizioni diverse (mancanza dellautorit imperiale, caduta della struttura statale antica, formazione di signorie territoriali e del sistema feudale, presenza e ruolo della Sede romana, differenziazione sociale e politica a partire dal XI/XII secolo) e non senza influssi riconducibili alla riflessione agostiniana (De civitate Dei), allinterno del popolo cristiano divampa la lotta per il predominio tra papa e imperatore, tra il potere secolare ed ecclesiale. Contro la riduzione della chiesa a funzione della politica nel periodo dalla Chiesa imperiale sotto gli Ottoni, a partire dalla riforma gregoriana dellXI secolo, la libert e lindipendenza di essa sono riaffermate con laiuto della rivendicazione papale della supremazia sul popolo cristiano, mediante cio una sorta di monarchia papale. Nella Chiesa viene stabilita in modo sempre pi chiaro la divisione tra chierici e laici. Questa la nuova forma in cui lantica tensione escatologica tra Chiesa e mondo si manifesta in una s ituazione mutata: preti e monaci sono gli uomini spirituali, superiori ai laici che conducono la vita del mondo. Anche la struttura costituzionale della Chiesa cambia: dato che quasi tutto lOccidente, seguendo lidea carolingia di impero, fu incorporato nella liturgia romana e, in seguito alla missione anglosassone, integrato nellamministrazione romana e poich gli ordini mendicanti, che dipendevano direttamente dal papa, esercitarono con successo una cura pastorale orientata in senso centrali-

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Eusebio racconta che Costantino avrebbe detto ai vescovi: Voi siete stati creati vescovi da Dio per ci che riguarda la situazione interna della chiesa. Io invece sono stato designato come vescovo per gli affari esterni: Vita Constantini II, 17; GCS I, 84, 20-30. 16 Occorre per sfumare laccusa di cesaropapismo, perch 1) la cristianit bizantina non ha mai accettato che limperatore avesse autorit assoluta in materia di fede e di morale; 2) essa non ha evitato il cesaropapismo opponendo allimperatore unaltra autorit opposta (quella del sacerdozio), ma riferendo ogni autorit direttamente a Dio (cfr. la sesta Novella di Giustiniano: Le pi grandi benedizioni del genere umano sono i doni di Dio che ci sono stati concessi dalla sua misericordia dallalto il sacerdozio e lautorit imperiale. Il sacerdozio officia alle cose divine; lautorit imperiale posta sopra, e mostra diligenza nelle cose umane; ma entrambe procedono dalluna e la stessa sorgente, ed entrambe adornano la vita delluomo); 3) limperatore ha un ruolo determinante nei concili ecumenici (e questo fino al concilio di Firenze del 1439); 4) gli stessi papi glielo riconoscono; anzi i papi si attendono il concorso del potere temporale per far trionfare la fede e riconoscono allimperatore un ruolo unico nella cristianit: cfr. le osservazioni puntuali d i J. MEYENDORFF, Rome, Constantinople, Moskow. Historical and Theological Studies, St. Vladimirs Seminary Press, New York 1996, 174-175; E. LANNE, in Il primato del successore di Pietro, LEV, Citt del Vaticano 1998, 220-221.

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stico, lintera Chiesa latina viene per cos dire assorbita nella Chiesa della citt di Roma. Lunit della Chiesa come comunione delle diverse Chiese locali diventa sempre pi luniformit della Chiesa nellunica Chiesa romana. Secondo tale concezione esiste in fondo soltanto una Chiesa, cio la Chiesa locale romana diffusa in tutto il mondo. Tutte le altre Chiese sono sue suffraganee che derivano da essa, sono permanentemente inserite in essa e da essa sono governate. I vescovi sono solo aiutanti e vicari del papa dal quale ricevono la potest per partecipare alla cura della Chiesa universale. Al papa soltanto conferita la plenitudo potestatis; i vescovi sono chiamati solo in partem sollicitudinis. Il plurale le Chiese in questo modo perde di fatto e teologicamente il suo contenuto17. Monasteri indipendenti (esenti) dai vescovi, che sono direttamente sottomessi al papa, sono impiegati sempre pi come strumenti per lesercizio di una giurisdizione papale diretta nelle Chiese locali. La posizione dei legati pontifici configurata in modo che essi sono posti al di sopra dei vescovi. 3) Anche nel Medioevo latino vi sono luoghi diversi nei quali si sviluppa la comprensione della Chiesa; tuttavia la differenziazione politico-religiosa legata alla controversia tra papa e imperatore viene ad assumere la posizione centrale in modo cos dominante che tutti gli altri luoghi dellessere Chiesa e del suo articolarsi sono assorbiti nel vortice di questo movimento.

2.2.2. Luoghi dellautocomprensione ecclesiale e della riflessione ecclesiologica a) La chiesa nel contesto apologetico della controversia politico-religiosa 1) Levento della conversione di Costantino ha segnato in maniera indelebile la Chiesa: Eusebio ne parla quasi come fosse la realizzazione di un vecchio sogno, quello millenaristico (cfr. Ap 20): attraverso la mediazione politica e istituzionale la legge del Vangelo diventa legge del mondo. Nellepoca moderna diverr facile criticare lera costantiniana, lalleanza tra Chiesa e Stato, come colpa originale che generer i compromessi storici della Chiesa con le potenze politiche. Vi si visto la rottura con il Vangelo quale fermento che fa lievitare la pasta del mondo. Da ora in avanti, la potenza politica, sostenendo la parola di Dio con la sua efficacia sociale, sar lo strumento per far accedere alla nuova fede le masse popolari. Si deve per, da una parte, capire lentusiasmo che suscit questa conversione, la quale sald unalleanza fino allora ritenuta contro natura: il Regno vi e-

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Poich la comunit della citt di Roma incorpora tutto lorbis latino nello spazio ristretto della sua urbis ne consegue che lintero Occidente per cos dire solo pi ununica comunit locale e perde sempre pi lantica struttura dellunit nella pluralit, la quale diventa infine del tutto incomprensibile: J. RATZINGER, Primato ed episcopato, in ID., Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 19843, 148-149.

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ne finalmente in questo mondo, un mondo non destinato alla perdizione, ma a realizzare concretamente il sogno dei profeti di Israele e del messianismo di Ges. Daltra parte dobbiamo considerare come i cristiani cercarono di definire il ruolo del politico nellavvento del Regno: essi si rifecero alle immagini veterotestamentarie, che evocavano lunit politica del popolo eletto o persino delle nazioni sotto lautorit di Dio, rappresentata dal suo delegato: il re, di cui Davide costituiva il mode llo; in seguito il Messia regale. Ges durante la sua missione non aveva esercitato queste due modalit di potere. Da risorto, non li aveva forse delegati a coloro che non separavano pi la finalit del potere politico dallutopia biblica di un Regno di giustizia e di pace? Chi sarebbe stato la guid a di questo tentativo di iscrivere il Regno nelle istituzioni sociali, politiche e culturali: la Chiesa o lautorit politica? In ogni caso, questo tentativo generoso di integrazione del politico alla finalit religiosa di iscrivere il Regno in questo mondo condusse ad assumere delle sanzioni che corrispondevano ai modelli delle punizioni penali, cio a considerare come delinquenti coloro che trasgredivano, con opinioni o azioni, le norme stabilite dalla legge ecclesiastica (cfr. linquisizione). Quale che sia lintenzione, luso della violenza per costruire un regno di pace, di giustizia, mostra il carattere illusorio dellimpresa. La cristianit non riuscita a bandire la violenza. Non solo, laddove lintreccio tra religione/Chiesa e societ/Stato presupposto come ovvio contesto di esperienza e di azione, il concetto di Chiesa, automaticamente, subisce una dilatazione politicoculturale. Per quanto in Oriente e in Occidente si sia cercato ripetutamente di distinguere in linea di principio il potere spirituale da quello secolare e ci sia anche riuscito, tuttavia in entrambi i mondi lambito politico ed ecclesiale, a causa della mescolanza di fatto e di modelli di pensiero arcaici che continuavano a far sentire la propria influenza, rimanevano legati a una concezione politicoreligiosa unitaria che doveva portare a un contrasto interno alla Cristianit. 2) Al seguito dei padri greci, in Oriente, la Chiesa viene compresa allinterno della storia salvifica che porta alla divinizzazione delluomo: nellumanit di Cristo, Dio diventato quello che noi siamo in modo che noi diveniamo quello che lui . Perci la Chiesa, come corpo di Cristo, la totalit del mistero salvifico della nostra divinizzazione e abbraccia il cosmo, la storia e lessere umano. Questo evento di divinizzazione si compie soprattutto nella sacra liturgia, in particolare nei sacramenti, si riflette nellarchitettura e iconografia come pure nella santit della vita (perci i monaci, come gli autentici uomini spirituali hanno un ruolo centrale nella Chiesa). A questa visione mistica della Chiesa si lega lidea di una profonda unit (sinfonia) tra Chiesa e Stato, che di fatto tende al cesaropapismo, anche se vi sono sempre stati tentativi di salvaguardare lindipendenza della Chiesa. Sulla base di una ecclesiologia della comunione e di un attualismo pneumatologico, si respinge con decisione lo sviluppo occidentale dellimmagine della Chiesa. Nel XIII e XIV secolo ci avviene at167

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traverso la resistenza contro il tentativo occidentale di unione e si esprime nella critica della monarchia papale e nellaccentuazione del carattere collegiale e patriarcale dellordinamento ecclesiale. Nellanno 1357 il greco Atanasio, di fronte al legato romano Pietro Tommaso, giustifica cos la richiesta greca di una struttura patriarcale collegiale:
Ho detto anche che gli apostoli sono dodici, lo so, ma essi non sono dodici capi della Chiesa. Come i fedeli, nonostante il loro numero, come noi affermiamo, formano la Chiesa e lunico corpo di Cristo grazie allidentit del culto e della religione, allo stesso modo, comprendimi bene, anche gli apostoli, bench siano in numero di dodici, sono un unico capo della Chiesa, in forza dellidentica dignit e della uguale potest spirituale18.

3) In Occidente, a partire da Gelasio I, si distingue lautorit sacra dei papi (auctoritas sacrata pontificum) e il potere regale (regalis potestas)19. In Occidente rimane viva anche la tradizionale visione storico-salvifica e sociale della Chiesa. Nonostante questa differenziazione e il legame con la tradizione, per, i concetti teologici fondamentali vengono ora dilatati in senso politico. Cos, il popolo di Dio, il popolo spirituale che Dio ha radunato da tutti i popoli, la cui vera patria nei cieli, divi ene una realt politico-teologica, il popolo cristiano o la comunit dei popoli cristiani. Accanto ai concetti Chiesa di Cristo (ecclesia Christi) e popolo di Dio (populus Dei) (e talvolta in modo da sostituirli) compaiono ora in modo caratteristico i concetti di cristianit (christianitas) e di popolo cristiano (populus christianus). Anche il concetto Chiesa universale (ecclesia universalis), che dai tempi di Agostino designava linsieme dei giustificati dalla grazia di Cristo, comprende ora sia laspetto spirituale che quello secolare. 4) Lo stesso slittamento concettuale si pu registrare anche nella comprensione della Chiesa come corpo di Cristo. La stretta connessione e il legame reciproco tra eucaristia e Chiesa si dissolvono sempre pi. Leucaristia diviene sempre pi ricezione individuale della grazia nella comunione e presenza divina degna di adorazione. La Chiesa diviene sempre pi istituzione di diritto divino, il cui ordinamento esige una costituzione rigorosamente giuridica e la cui unit fondata sulla presenza di un capo visibile, il pontefice romano. La Chiesa dunque corpo di Cristo nel senso di un organismo ordinato gerarchicamente a capo del quale si trova la Sede romana.

18 19

Citato da Y.-M.-J. CONGAR, Lglise de saint Augustin lpoque moderne, Cerf, Paris: 1970, 265. Lettera di Gelasio I allimperatore Anastasio del 494. La famosa teoria delle due spade subir un certo sviluppo nel corso del medioevo: Gelasio infatti aveva detto che due potenze si spartiscono limpero eminente del mondo; mentre al tempo di Pipino il Breve si dir che due potenze si spartiscono limpero eminente del mondo o Chiesa. La Chiesa passa quindi a designare linsieme della societ, ci che noi chiamiamo christianitas. La teologia soggiacente a questa prospettiva quella della regalit universale di Cristo, in cui si trovano riunite le funzioni di re e sacerdote, mentre sulla terra nella Chiesa queste funzioni sono ripartite tra i due poteri.

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In tal senso particolarmente istruttiva levoluzione della espressione corpo mistico (corpus mysticum). Essa compare nel IV secolo per significare il pane eucaristico consacrato oppure il corpo del Signore presente in forma sacramentale, attraverso il quale i fedeli sono trasformati nel vero corpo di Cristo (corpus verum), cio la Chiesa. Questo uso linguistico si mantenuto quasi universalmente nella teologia latina fino al IX secolo. NellXI secolo, in reazione alla controversia con Berengario di Tours, che tendeva verso una concezione puramente simbolica della presenza di Cristo nel sacramento, scompare la parola corpus mysticum riferita alleucaristia. Verso la met del XII secolo la coppia di concetti ricompare, ma con un rovesciamento del significato: per sottolineare il realismo sacramentale della presenza di Cristo nel sacramento dellaltare ora il corpo eucaristico viene designato come vero corpo di Cristo mentre la Chiesa solo corpo mistico. Nel XIII secolo si afferma questuso linguistico e si parla comunemente del corpo mistico della Chiesa. Inoltre il co ncetto di corpus, che proviene dal contesto sacramentale, viene sempre pi fortemente determinato dal concetto corporativo-sociologico di corpus, gi corrente nella scienza canonistica del XII secolo. Chiesa come corpus mysticum significa ora il corpo dei cristiani il cui capo il papa20. 5) Una simile trasformazione si trova infine anche nella comprensione della Chiesa come tempio dello Spirito Santo o come comunit carismatica. Quanto pi i canonisti si sforzavano di comprendere lautorit spirituale come controparte del diritto imperiale o regale, tanto pi tendevano insensibilmente ad assimilare il diritto spirituale della Chiesa a quello secolare; comprendevano cio lautorit spirituale come una potestas che inoltre tendeva a diventare un dominium. Ora i laici, in quanto non chierici, vengono distinti dalla gerarchia che, grazie alla potest spirituale a essa conferita, diviene il vero nucleo della Chiesa. A partire dallXI secolo questa potest spirituale non pi solo la potest che lordinato riceve indipendentemente dalla comunit; essa si divide in una potest sacramentale di ordine, finalizzata allamministrazione dei sacramenti, e in una potest past orale di carattere giuridico che serve per il governo della Chiesa. Al termine di questa evoluzione si pu affermare semplicemente: Il potere sacerdotale si distingue in potere di ordine e potere di giurisdizione. Il potere di ordine attiene alla consacrazione del corpo reale del Signore nelleucaristia, il potere di giurisdizione si riferisce invece al corpo mistico di Ges Cristo e consiste nella capacit di governare e di guidare i fedeli verso la beatitudine celeste21.

20

Bonifacio VIII, Bolla Unam sanctam, 1302: La sola e unica chiesa ha dunque un solo corpo, un solo capo, non due teste come un mostro, e cio Cristo e il vicario di Cristo (DzH, n. 872); Bartolomeo da Lucca, in Tommaso dAquino, De regimine principum, III, 10, verso il 1300, a cura di T. Mathis, Marietti, Torino-Roma 19482, 49. 21 L. ANDRIANOPOLI, Il catechismo romano commentato, Ares, Milano 1983, 274, 283.

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6) Nel momento in cui lautorit spirituale non venne pi compresa come ministerium, come servizio della comunit e nella comunit, ma come dominium, si giunse necessariamente anche a un conflitto allinterno della stessa gerarchia. La differenza di funzioni tra papato ed episcopato, con questi presupposti, doveva condurre al conflitto tra le rivendicazioni dei due poteri pi alti. Tanto pi che linsegnamento teologico corrente, pur continuando a veicolare una comprensione della chiesa ispirata alla Bibbia e ai Padri e principalmente incentrata sullimmagine del Corpo mistico, di fatto i nterpretava questa immagine caricandola di una connotazione di tipo corporativo, secondo cui la testa rappresenta il corpo, come riassumendolo in s22. Si capisce allora perch, ad esempio Agostino Trionfo ( 1328), appoggiandosi alle teorie gerarchiche dello Pseudo-Dionigi, pu scrivere nella Summa de potestate ecclesiastica (1326) che il papa il capo di tutto il corpo mistico della chiesa in modo tale che egli non riceve nulla, quanto a forza e autorit, dalle membra, ma soltanto agisce sempre su di queste, perch egli semplicemente il capo. Daltra parte, anche questi stessi autori, favorevoli alla monarchia papale assoluta, ammettevano uneccezione alla regola che prima sede a nemine iudicatur, ossia quando il papa fosse incorso in una deviazione dalla fede23. In questo caso il papa poteva essere giudicato dalla chiesa, cio dal concilio, il quale, come rappresentante della chiesa universale, avrebbe contato pi del papa da solo. Nellepoca del grande scisma (1378-1417) si diffuse pure unaltra convinzione, ossia che solo un concilio era in grado di attuare la riforma della chiesa divenuta chiaramente necessaria tam in capite quam in membris. Voci si erano alzate per denunciare gli abusi del sistema di finanziamento del papato in occasione delle nomine di vescovi e di abati e delle sanzioni che ne conseguivano. Ad esempio nel 1328 il papa Giovanni XXII aveva scomunicato 36 vescovi e 46 abati perch non avevano pagato le tasse a tempo debito. Agli occhi di molte persone pie era lo stesso papato che costitutiva il principale ostacolo alla riforma, o, secondo i termini di Jean Gerson al concilio di Costanza, una tirannia che distrugge la chiesa. Proprio in queste traiettorie si collocavano altri teologi che, sensibili allaffermazione degli stati nazionali e quindi allautonomia del potere temporale (pensiamo allinflusso di Marsilio da Padova e di Guglielmo di Ockham), interpretando la congregatio fidelium nel senso corporativo di tutto il popolo che soggetto di vita e di potere, erano favorevoli ad una limitazione dellautorit pontificia da parte della ecclesia e dei suoi rappresentanti.

22

Non a caso la grande scolastica del XIII secolo svolgeva le tesi teologiche riguardanti la chiesa nel quadro della grazia capitale di Cristo (gratia capitis): per S. Tommaso (S. Th., III, q. 8) luomo Ges, possedendo la pienezza della grazia, allo stesso tempo la Testa dellumanit e del corpo della Chiesa, di cui lo Spirito (secondo la prospettiva di S. Agost ino) lanima: la chiesa quindi lambito dellinflusso spirituale del Cr isto. 23 Cfr. GRAZIANO, Decreto I, dist. 40, p. III, c. XI.

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Queste correnti alimenteranno il

CONCILIARISMO,

quando esso si presenter come la sola maniera di

uscire dallimpasse al momento del grande scisma dOccidente. In questo caso il concilio non solo giudic pure della legittimit dei papi che si opponevano fra di loro, ma si riun pure senza essere stato convocato da uno di loro. Diversi teologi affermarono in questa occasione che la sopravvivenza dellecclesia esigeva che il potere di convocare un concilio generale appartenesse alla chiesa stessa (Pierre dAilly, Jean Gerson). Lidea conciliarista si trovava peraltro accreditata dal nuovo modello di funzionamento corporativo, quello delle citt e delle universit, sviluppatosi nel XIV secolo. Questo modello di universitas forn al medioevo che fino al secolo XII conosceva soltanto la sovranit personale (re, duca, conte) in gerarchie graduate in cui gli inferiori sono sottoposti ai superiori, ma non derivano da questi, come dalla loro fonte, la loro autorit , un nuovo modello di comunit. In queste corporazioni luniversitas, rappresentata da un organo eletto, deteneva il potere supremo (sovranit), in particolare quello legislativo. Il rector al di sopra dei singoli membri, ma non delluniversitas: di cui piuttosto il delegato e a cui deve rendere conto. Le differenti tesi conciliariste applicheranno questo modello ai rapporti tra papa e concilio. Si dice ad esempio che il papa al di sopra di tutti i membri della chiesa, ma non al di sopra della chiesa nella sua totalit; oppure che il concilio ha il potere legislativo, il papa quello esecutivo; che il papa non possa essere giudicato da nessuno, significa da nessuna persona individuale, ma non vale per la totalit della chiesa o per la sua rappresentanza in concilio ecumenico, che anzi pu deporre il papa non soltanto per eresia, ma anche per altri gravi motivi. Questo influsso dei modelli politici del tempo non deve per oscurare il fatto che il conciliarismo veicolava pure lantica ecclesiologia di comunione, soffocata nellalto medio evo dallinflusso del modello feudale. Il tema agostiniano del potere delle chiavi date a Pietro, non come persona individuale ma come personificante la chiesa, restava bene comune di teologi e canonisti. La dottrina conciliarista, almeno nella sua forma moderata, trova una formulazione netta nel decreto Haec sancta (6 aprile 1415) del concilio di Costanza (1414-1418): Questo santo sinodo di Costanza, costituendo un concilio generale, legittimamente radunato nello Spirito
santo a lode dellonnipotente Dio, per estirpare il presente scisma e per realizzare lunione e la riforma della Chiesa di Dio nel capo e nelle membra, con lo scopo di conseguire pi facilmente, pi sicuramente, pi fruttuosamente e pi liberamente lunione e la riforma della Chiesa di Dio ordina, definisce, stabilisce, giudica e dichiara quanto segue. Per prima cosa dichiara che questo sinodo, legittimamente radunato nello Spirito santo, costituendo un concilio generale e rappresentando la Chiesa cattolica militante, riceve la sua autorit direttamente da Cristo; chiunque, di qualunque condizione e dignit, fosse pure quella papale, tenuto a obbedirgli in ci che appar-

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tiene alla fede, alla estirpazione dello scisma gi ricordato e alluniversale riforma della s tessa Chiesa di Dio, nel capo e nelle membra. Ancora dichiara che chiunque, di qualunque condizione, stato, dignit, fosse pure quella papale, avr con ostinazione disprezzato lobbedienza alle ingiunzioni, alle disposizioni o ordinamenti, ai comandi di q uesto sacro sinodo e di qualunque altro concilio generale legittimamente radunato, nelle materie richiamate sopra o ad esse attinenti, tanto quelle gi decretate quanto quelle che lo saranno in futuro, se non si sar ravveduto, sia sottomesso ad una penitenza proporzionata e sia debitamente punito ricorrendo, se necessario, anche ad altri strumenti del diritto24.

La portata di questo decreto non ha cessato di essere oggetto di discussione nella chiesa cattolica, soprattutto in seguito alla condanna ulteriore del conciliarismo e alle definizioni del Vaticano I sul primato del papa. Storicamente questo decreto non ha ricevuto lapprovazione formale dei papi, a cominciare da Martino V (1417-1431) che fu eletto a Costanza; ma, nota Yves Congar, la dottrina dellepoca non lo richiedeva e il concilio non lha nemmeno cercato25. Le circostanze storiche non indicano la volont di proporre una definizione dogmatica. Gli stessi Padri del concilio non hanno cercato di insistervi con i seguaci di Gregorio XII (e cos pure quelli di Benedetto XIII), tanto che a questo papa venne consentito di convocare ancora una volta il concilio, prima di abdicare. A lui e ai suoi seguaci si concesse la norma giuridica, che solo con il loro ingresso il concilio aveva avuto inizio (e che perci anche tutte le sedute precedenti, compresa quella in cui fu proclamato Haec sancta, non erano ancora sedute valide) e si ascolt pazientemente la bolla di convocazione. In certo qual modo, dunque, il concilio di Costanza ha relativizzato il principio conciliaristico, per la causa dellunit. Resta che, nonostante questa portata limitata, il decreto conserva un significato ecclesiologico durevole: ogni ecclesiologia che lega la Chiesa al papa, senza volere anche il contrario, viene confutata dallesperienza storica del grande scisma e dagli eventi connessi. Da questa discussione tra il conciliarismo e la rivendicazione di autorit suprema da parte del papato, che ha segnato il XIV, XV e XVI secolo, nascono i primi trattati propriamente teologici De Ecclesia (quelli di Giovanni Stojkovic da Ragusa e Giovanni da Torquemada) che, di conseguenza, trattano solo della gerarchia e la considerano esclusivamente dal punto di vista della potest (potestas). In precedenza, la questione circa la vera Chiesa e la sua identificabilit esterna era gi stata articolata nella presa di distanza rispetto ai movimenti settari ed eretici del secolo XII.

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Testo in G. CANOBBIO (ed.), I documenti dottrinali del magistero, Queriniana, Brescia 1996, nn. 548-550. Y. CONGAR, Lglise de saint Augustin lpoque moderne, op. cit., 326-327.

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Se in Oriente si giunse a un tentativo di impossessarsi dellambito ecclesiale da parte di quello pol itico, in Occidente, al contrario, si svilupp piuttosto il tentativo di sottomettere lambito politico a quello ecclesiale. In Oriente perci sorge una tendenziale teologizzazione della politica e una marcata sacralizzazione dellimpero, mentre in Occidente, al contrario, si determina una politicizzazione e giuridicizzazione della Chiesa e specialmente del papato. Nellalto Medioevo perci la Chiesa si i ncontra soprattutto secondo il modello del dominio sacro. 7) Sotto linflusso di questo contesto nellalto Medioevo muta anche la presentazione iconografica della Chiesa. Certo, il motivo misterico radicato nella Scrittura e nei padri si ritrova anche durante il Medioevo, ma nel nuovo contesto subisce una profonda trasformazione: da vergine, sposa o madre presentata come partecipe del mistero di Cristo, la Chiesa diviene ora la dominatrice del mondo, presentata come signora incoronata e regina (domina et regnatrix, imperatrix) che, per incarico divino, vuole ordinare tutta lecumene secondo le leggi di Cristo. 8) La differenziazione socio-politica ha determinato profondamente anche la struttura della Chiesa: uno dei risultati principali di questo processo di differenziazione infatti che ora il popolo cristiano composto dalla gerarchia e dai laici. In quanto rappresentanti della dimensione propria, spirituale della Chiesa e detentori della potest spirituale, i chierici sono posti chiaramente al di sopra dei laici e talvolta identificati addirittura esplicitamente con la Chiesa26. Cos Graziano pu dire che:
Ci sono due tipi di cristiani. Il primo, in quanto incaricato di un servizio divino e dedito alla contemplazione e allorazione, conveniente che stia lontano da ogni tumulto delle cose temporali. Di esso fanno parte i chierici e coloro che sono dedicati a Dio e cio i religiosi (conversi). [] Laltro tipo di cristiani costituito dai laici, dal greco las, che in latino significa popolo. A costoro permesso possedere beni temporali, ma solo per luso. Non c nulla di pi meschino che dispre zzare Dio per la ricchezza. A costoro concesso sposarsi, coltivare la terra, giudicare tra uomo e uomo, trattare cause in tribunale, deporre offerte sullaltare, pagare le decime: cos potranno sa lvarsi, se per eviteranno il vizio e faranno del bene (Decreto, can. 7, c. XII, q. 1).

Per comprendere questo deprezzamento della condizione comune dei battezzati occorre considerare per due fatti. Da una parte, il periodo delle invasioni aveva causato un abbassamento generale della cultura, per cui di fronte alla stragrande maggioranza della popolazione, che era analfabeta, si trovava una lite clericale, la quale, siccome possedeva la lingua scritta, il latino, era la sola categoria a scrivere e quindi a lasciarci il proprio punto di vista. La causa principale stata per lapplicazione

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La Chiesa viene quindi paragonata a una piramide perch la base, dove sono situati i carnali e gli sposati, larga, mentre la parte superiore, dove la via stretta proposta ai religiosi e agli ordinati, appuntita: GILBERTO DI LIMERICK, De institutione ecclesiastica, PL 159, 997 a.

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di criteri ascetici per gerarchizzare gli stati di vita. Unetimologia della parola aghios, nel senso di separato dalla terra, ha attraversato tutto il Medio Evo, veicolando lidea che il pi perfetto colui che il pi distaccato dai beni terrestri. Se si considera poi che erano spesso i monaci a diventare vescovi e Papi, si capisce perch si giunse a pensare che solo i viri spirituales potevano dirigere la Chiesa, mentre gli altri dovevano dedicarsi agli affari temporali. La prevalenza dei valori monastici produsse una svolta nel cristianesimo: riforme come quella cistercense svilupparono lidea del contemptus mundi, che non solo il disprezzo dei suoi aspetti negativi come la violenza, ma piuttosto il rifiuto generalizzato della carne. In certi momenti si arriv a pensare che solo i vergini potevano essere veramente santi, mentre gli sposati rimanevano in qualche modo invischiati nel peccato. Poich il papato diviene il cardine di questa struttura e la Chiesa latina viene per cos dire assorbita nella Chiesa romana (Chiesa cattolica = Chiesa romana), al posto della struttura sinodale ed episcopale della Chiesa antica subentra ora un ordinamento papale centralistico. Egidio Romano (1244-1316) potr cos dire nel suo De ecclesiastica potestate: Papa qui potest dici ecclesia (c. 13), e Bonifacio VIII concludere la sua bolla Unam sanctam (1302) con laffermazione: Porro subesse Romano Pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus, diffinimus omnino esse de necessitate salutis (DzH 875). Un testimonianza particolarmente significativa di simile concezione costituita dalle asserzioni di Gregorio VII nei Dictatus papae (1075):
1. La Chiesa romana stata fondata soltanto da Dio; 2. Solo il pontefice romano si dica di diritto universale; 3. Egli solo abbia il potere di deporre e reintegrare i vescovi; 4. Durante un concilio il suo legato, anche se di grado inferiore, presieda a tutti i vescovi e possa pronunciare sentenza di deposizione contro di loro; 5. Il papa abbia il potere di deporre anche gli assenti; 6. Con chi stato scomunicato da lui tra laltro non do bbiamo nemmeno rimanere nella stessa casa; 7. Solo a lui sia lecito, a seconda delle necessit del momento, istituire nuove leggi, fondare nuove pievi, trasformare in abbazia una chiesa canonicale e viceversa, smembrare un episcopato ricco ed aggregare quelli poveri; 8. Solo il papa possa far uso delle insegne imperiali; 9. Al papa e solo a lui spetta che tutti i principi bacino i piedi; 10. Solo il suo nome venga proferito nelle Chiese; 11. Il suo nome unico in tutto il mondo; 12. Gli sia lecito deporre gli imperatori; 13. Gli sia lecito, qualora la necessit lo imponga, trasferire i vescovi da una sede allaltra; 14. Egli abbia il potere di ordinare chierici in ogni Chiesa in qualsiasi momento lo voglia; 15. Chi stato ordinato dal papa pu essere preposto ad altra Chiesa, ma non prestarvi servizio; costui non deve ricevere da un altro vescovo un grado superiore; 16. Nessun sinodo senza indicazione del papa deve essere chiamato generale; 17. Nessun canone e nessun libro siano da considerarsi canonici senza la sua autorit; 18. A nessuno sia lecito ritrattare le sue sentenze; lui solo possa ritrattare quelle di tutti; 19. Nessuno lo possa sottoporre a giudizio; 20. Nessuno osi condannare chi si appella alla sede apostolica; 21. Le cause di maggior importanza, di qualsiasi Chiesa, siano rimesse alla sede apostolica; 22. La Chiesa romana non ha mai errato n potr mai errare, come testimonia la

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Sacra Scrittura; 23. II pontefice romano, se stato ordinato secondo i canoni, indubitabilmente reso santo per i meriti del beato Pietro, come testimonia il vescovo di Pavia Ennodio, seguito in ci dal parere di molti santi Padri e come scritto nei decreti del beato papa Simmaco; 24. Per suo ordine o con il suo consenso sia lecito ai gradi inferiori presentare accuse (contro i superiori); 25. Egli abbia il potere di deporre e reintegrare i vescovi anche senza riunire il sinodo; 26. Non sia considerato cattolico chi non daccordo co n la Chiesa romana; 27. II pontefice pu sciogliere i sudditi dal vincolo di lealt verso gli iniqui27.

9) A questo sviluppo dellordinamento ecclesiale legata anche la specifica problematica della Chiesa medioevale in Occidente. Si ricordi infatti che ci che sembra unesagerata affermazione di pretese da parte del papa, deve essere giudicato correttamente dal punto di vista storico come strumento per riaffermare la libertas Ecclesiae, cio la liberazione della Chiesa dalla sua dipendenza dallimperatore e dal suo invischiamento nelleconomia familiare della societ nobiliare feudale. Gregorio VII lott duramente contro questa tradizione secolare di mescolanza tra impero, nobilt e Chiesa. In questo egli lesponente di una nuova epoca della storia delloccidente che pu essere definita in modo pertinente processo di differenziazione. Lunit ingenua e indistinta tra Chiesa e societ va perduta; la Chiesa si crea un proprio spazio di libert per poter adempiere il proprio specifico compito spirituale senza impedimento. Questa delimitazione, per, avviene (a differenza del secolo V) non rispetto a una societ pagana, ma a una societ che almeno esternamente ampiamente cristianizzata. Per questo la formazione di strutture ecclesiastiche proprie porta quasi inevitabilmente alla contrapposizione tra una cultura cristiano-clericale e una cultura cristiano-laicale. Se la Chiesa non vuole pi essere semplicemente identica alla societ cristiana in generale, stabilisce una differenziazione rispetto a questultima diventando prevalentemente lambito definito dal papa e dai suoi vicari, i vescovi e i chierici. La clericalizzazione e la giuridicizzazione della Chiesa che inizia nel medioevo hanno qui una delle loro radici storiche pi rilevanti. Infatti, lo sforzo di assicurare per mezzo di categorie politiche la libert dellautorit ecclesiale dallintromissione secolare e di fondare il carattere non derivato dellautorit papale e loriginalit e sovranit del diritto ecclesi ale, ha condotto, contro le intenzioni, a trasformare lautorit ecclesiale praticamente e teoricamente in unautorit secolare di ordine superiore. Perci la rivendicazione da parte dei papi dellalto Medioevo di una preminenza teorica del potere spirituale, in modo non intenzionale (ma logicamente), stata tra le cause della secolarizzazione del potere spirituale tardomedioevale.

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Da Il papa e il sovrano. Gregorio VII ed Enrico IV nella lotta per le investiture , Europia, Novara 1985.

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Il ministero petrino del vescovo di Roma in questo modo diviene sempre pi unistituzione ierocratica e unistanza amministrativa centralistica. Il ministero episcopale, che dallinizio del Medioevo coinvolto nel processo di feudalizzazione (i vescovi diventano signori delle citt, di Chiese proprie e signori con investitura regale), nella maggior parte dei casi verso la fine del Medioevo diviso tra un vescovo nominale, che come signore secolare cura i suoi interessi mondani, e un vescovo ordinato che, come aiutante episcopale, serve quando c un sacramento da amministrare. b) La chiesa nel contesto della liturgia 1) Nellambito della liturgia ecclesiale e della sua spiegazione teologica e spirituale inizialmente lautocomprensione della Chiesa antica rimane intatta. Anche lo stretto legame tra Chiesa e Cristo, in particolare tra Chiesa ed eucaristia, rimane pacifico nellalto Medioevo: la Chiesa come comunit dei fedeli frutto delleucaristia; lunit del corpo di Cristo si realizza attraverso la comune partecipazione al corpo e sangue sacramentali di Cristo. Leucaristia, a sua volta, celebrazione e azione della totalit della Chiesa, compiuta in una responsabilit organicamente differenziata.
Si pu dire che nel sacramento dellaltare ci sono due cose: il vero corpo di Cristo e ci che egli significa, cio il suo corpo mistico, che la Chiesa. Ora, come un solo pane fatto di molti chicchi, ed prima bagnato, macinato e cotto per diventare pane, cos il corpo mistico di Cristo, cio la Chiesa, formata dallunione di molte persone come da altrettanti chicchi di grano, bagnata dallacqua del battesimo, macinata tra le due mole dei due testamenti, l Antico e il Nuovo, oppure tra le due mole della speranza e del timore cotta infine con il fuoco della passione e della tribolazione, per meritare di essere il corpo di Cristo (Simone di Tournai, De Sacramentis).

La liturgia romana del primo millennio non conosce nessuna preghiera liturgica che non abbia come soggetto il noi della comunit (famuli tui, fideles tui, populus tuus, familia tua, grex tuus). Dal punto di vista iconografico, lautocomprensione della Chiesa come custode e celebrante dei misteri di Cristo, caratteristica della Chiesa antica e della liturgia, continua anche nel Medioevo. La Chiesa viene rappresentata come colei che genera figli alla nuova vita nel lavacro battesimale, come colei che sotto la croce raccoglie il sangue del Salvatore dalla ferita del fianco per porgerlo ai fedeli. 2) La clericalizzazione della Chiesa tuttavia non si arrest neppure di fronte alla liturgia. Anzi, essa divenne sempre pi un affare proprio del clero; il popolo venne degradato a spettatore passivo e alla fin fine poteva persino mancare del tutto. A partire dallVIII secolo infatti la messa privata era divenuta, nei monasteri prima e poi anche presso il clero secolare, la regola, cos che il suo rito (al pi tardi nel XIII secolo) influenz sempre pi anche il rito della celebrazione normale. Alla individualizzazione della liturgia, in particolare delleucaristia (nello sviluppo delladorazione eucaristica), ancora una volta legata una individualizzazione e una perdita del carattere misterico della Chiesa. 176

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Nelliconografia, il processo medioevale di dissoluzione della comprensione sacramentale (simbolico-mistica) della Chiesa trova espressione in un nuovo realismo. La Chiesa assume sempre pi anche nella sua rappresentazione simbolica quella forma nella quale il fedele concretamente e attualmente la incontra: la forma cio di sacra istituzione di carattere amministrativo, giuridico e cultuale. c) La chiesa nel contesto del movimento (spirituale) di riforma 1) A partire dal monachesimo del IV secolo, che aveva cercato di compensare la coincidenza tra Chiesa e mondo con una rinnovata e consapevole presa di distanza dal mondo, passando attraverso la chiesa monastica dei benedettini, gli ordini riformati del XII secolo e i movimenti ascetici popolari e pauperistici dallXI al XIII secolo e fino ai movimenti evangelici del tardo Medioevo, che avevano sempre reagito a una Chiesa mondanizzata, in contrasto con la commistione di Chiesa e mondo e con listituzionalizzazione, la giuridicizzazione, la politicizzaz ione e secolarizzazione della Chiesa, si svilupp una rinnovata accentuazione dellelemento carismatico e contemplativo, come pure una spiritualizzazione diretta o indiretta e una individualizzazione della comprensione della Chiesa (che perci raggiunge ugualmente il suo vertice nel tardo Medioevo)28. Attraverso la borghesia cittadina, che dal XII-XIII secolo viene ad essere sempre pi in primo piano, questa spiritualizzazione e individualizzazione della comprensione della Chiesa nel tardo Medioevo assume, per cos dire, anche un significato direttamente sociale e politico. Infatti la borghesia, sempre pi consapevole culturalmente, socialmente e politicamente che non poteva pi trovare alcuno spazio e funzione in una Chiesa sempre pi clericale, doveva (insieme ai suoi sostenitori ed esponenti clericali e monastici) sviluppare un nuovo protagonismo nella spiritualit della carit (nella fondazione di ospedali, case di accoglienza per i pellegrini, confraternite) ridefinendo in molti casi la Chiesa in termini spiritualistici o individualistici per trovare in essa una nuova patria spirituale questo avviene, ad es., nei numerosi movimenti di riforma pratico-mistici del tardo Medioevo, in particolare nella devotio moderna (Imitatio Christi di Tommaso da Kempis) oppure attaccare frontalmente dal punto di vista teologico e politico listituzione ecclesiale clericalizzata; per questo Ockham, Wyclif, Girolamo da Praga, Hus e altri si sono richiamati con nuovo vigore e accenti sempre pi forti alla Chiesa invisibile e autentica contro quella visibile e inautentica. 2) Un tale impulso di riforma, di carattere carismatico e orientato al vangelo, nellalto Medioevo poteva ancora, come mostra lesempio di Francesco di Assisi, sottomettersi in modo deciso e consape-

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vole allordinamento ecclesiale e ai suoi rappresentanti e cos garantire la propria efficacia allinterno della chiesa. La teologia del primato fu sviluppata proprio dagli ordini mendicanti. Contro gli attacchi del clero secolare, che combattevano la nuova forma di vita degli ordini mendicanti come contraria al vangelo e alla tradizione precedente, i rappresentanti dei mendicanti legittimarono il loro movimento di riforma richiamandosi allautorit del papa che, a nome della Chiesa, aveva canonizzato Francesco e Domenico e aveva preso sotto la sua protezione la nuova forma di vita. Ci che era in questione, al di l delle dispute di territorio e di influenza, era la percezione tradizionale della chiesa come comunione di chiese locali. In effetti, collegandosi immediatamente al papa, i nuovi ordini davano corpo a una nuova forma di appartenenza alla cattolicit: la loro patria spirituale non era pi una chiesa locale quanto la chiesa universale. Accanto alla chiese legate alle strutture feudali e ai luoghi particolari, essi rappresentano la dimensione missionaria, la mobilit, lestensione universale della chiesa. Ma, rivendicando la missione ricevuta dal papa, essi rafforz avano linfluenza di questi e la rappresentazione della chiesa come una diocesi universale29. Nel tardo Medioevo tuttavia, in un contesto in cui si veniva a contatto con la Chiesa vista soprattutto come centro di una burocrazia e di un fiscalismo mondanizzati, che impiegava i suoi mezzi spirituali senza ritegno per fini politici o economici e che nello scisma dOccidente si era rivelata profondamente divisa al suo interno, un legame tra movimento spirituale di riforma e istituzione papale non rappresentava pi una possibilit reale.

2.2.3. Descrizione riassuntiva 1) La Chiesa medioevale in Occidente si pu rappresentare con la metafora del dominio spirituale. Questo significa che la Chiesa si attiene s alla differenza di principio tra ambito spirituale e secolare, ecclesiale e politico, ma che essa si esplica principalmente nel contesto del conflitto politicoreligioso e per mezzo di una concezione del potere di tipo politico e giuridico. Se la Chiesa dei padri e della tradizione agostiniana si comprendeva come la parte della Chiesa celeste in cammino nella storia terrena, ora essa diviene la Chiesa militante, che conduce alla Chiesa trionfante del cielo. 2) Sotto il peso prevalente del modello religioso-politico, che fonda la libert della Chiesa sulla indipendenza e superiorit dellordinamento giuridico spirituale, si trasformano anche le rappresenta-

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Pensiamo a Gioachino da Fiore (ca. 1130 1202), che nellecclesia spiritualis vede il futuro della chiesa attuale e che ne attende il compimento e la realizzazione nella nuova e imminente et dello Spirito. 29 Cfr. J. RATZINGER, Linflusso della disputa degli ordini mendicanti sullo sviluppo della dottrina del primato, in ID., Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 19843, 55-80.

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zioni, immagini e strutture dei rimanenti luoghi della comprensione della Chiesa. Lantica immagine della mater Ecclesia, ad esempio, riceve nella riforma gregoriana un senso completamente nuovo rispetto a quello della patristica. Ora essa serve a esprimere il primato della Chiesa romana, la sua sovranit, la forza normativa universale e la sua autorit; limmagine assume ora lo stesso significato di domina. I tentativi di riforma spirituale vengono assunti nella commistione di dominio spirituale e secolare; allinizio del Medioevo le istituzioni monastiche sono integrate tanto nella strutt ura delle Chiese proprie come nella Chiesa del Re. Unistituzione ascetica che vuole distanziarsi dal mondo diviene cos il monastero della cultura, rivolto al mondo, nel quadro di una stretta simbiosi tra monachesimo e nobilt. Analogamente, nel basso Medioevo, gli ordini mendicanti sono integrati nel centralismo papale. Daltra parte, i movimenti di riforma spirituale (soprattutto, nel tardo Medioevo), di fronte alla massiccia istituzionalizzazione della Chiesa e alle rivendicazioni dirette di dominio da parte della gerarchia, sono coinvolti in un processo di spiritualizzazione e di individualizzazione. 3) Il processo di differenziazione tra lo spirituale e il secolare, il religioso e il sociale, lecclesiale e lo statale avvenuto in Occidente ambivalente. Il duplice movimento, conclusosi in epoca moderna, di ecclesializzazione della religione e di statalizzazione della societ e la fondamentale distinzione tra spirituale e secolare che in tale movimento si affermata nella societ e nella cultura ha probabilmente il suo presupposto pi importante e il suo fondamento nella disputa medioevale tra papato e regno e nella lotta sostenuta per la libert e lautonomia della Chiesa. Senza tale differenziazione una correlazione critica delle due realt non sarebbe possibile. Certo, il progresso fu ottenuto a caro prezzo: alla Chiesa formata dai chierici stava ora di fronte una societ secolare formata da laici. Nel contesto complessivo dello sviluppo medioevale la Chiesa appare anzitutto come unistituzione sacra, fondata da Cristo e che da lui ha ricevuto tutti gli organismi necessari alla sua vita e i rispettivi poteri e che, cos armata, combatte nel mondo per la gloria di Dio.

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2.3. La Chiesa dellepoca moderna: Chiesa come confessione

2.3.1. Situazione storica: la frantumazione della Christianitas a) Per motivi tanto sociali che culturali, lidea di ordo, dominante nel Medioevo, cio lidea di un ordinamento unitario divino del mondo, dal XIV secolo, e ancor pi dal XV, cade in una profonda crisi. Pian piano si dissolve lidea di christianitas universalis, di una Chiesa fino allora identificata con limpero che si differenzia secondo le diverse nazioni e secondo il particolarismo che in queste affiora e che pone in questione, se non il cristianesimo come tale, certo per la sua compattezza, lecclesia universalis che trovava il proprio apice nel papato. Le grandi forze che muovono il conciliarismo e che ispirano la critica alla Chiesa pontificia sono un altro chiaro sintomo del nuovo momento storico. Nel contesto del processo di formazione dello Stato moderno, le rivendicazioni in concorrenza reciproca del potere delle corporazioni, dei patrizi e dei prncipi indeboliscono in modo crescente la capacit di integrazione propria delle istanze superiori: regno, impero e Chiesa. Lo Stato moderno, infine, nasce in reazione diretta contro le guerre di religione. La conflittualit politica e sociale causata dallinsolubilit della questione della verit religiosa dovette in certo modo suggerire la soluzione assolutistica del problema della pace: la monopolizzazione della funzione di assicurare la pace da parte del sovrano che perci deve essere dotato di un potere assoluto sopra tutti i soggetti; la creazione di un ambito pubblico di azione politica soprareligioso e sopramorale, puramente razionale, dal quale sono bandite coscienza, morale e fede come cause dei dissidi politici; la relegazione della religione e della morale nellambito privato della persona. b) Lo sforzo del nominalismo tardomedioevale di salvare lindipendenza della fede rispetto alla ragione e di salvaguardare la divinit di Dio condusse non solo a una rigida distinzione tra fede e sapere, rivelazione e ragione, ma anche a unimmagine di Dio nella quale lonnipotenza incomprensibile e la libert illimitata erano cos accentuate da rendere Dio un Dio nascosto per la ragione e da dissolvere lordine del mondo fondato nella creazione. Una ragione umana resa cos abissalmente incerta doveva rovesciarsi nellautoaffermazione e nella autofondazione sovrana. Si pu cos dire che caratteristica peculiare del periodo proprio la progressiva emancipazione dellindividuo, del soggetto, della libert personale, del pensiero, di una critica che come si esprime la filosofia che verr poi pensata da Descartes eleva il dubbio a principio metodico (de omnibus dubitandum); che riconosce nella certezza che il soggetto ha di se stesso (Cogito, ergo sum) il fondamento di ogni sicurezza ed accertamento; che nelle scienze naturali, che si vanno formando, scopre un ambito

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di realt autonomo e diverso da quello mediato dalla Chiesa per quanto questa, come lo dimostra il caso Galilei, volesse disporre e decidere normativamente anche in tale sfera ed accessibile alluomo mediante la verifica metodica, tramite lesperienza, lesperimento e la regolarit delle leggi colta secondo schemi matematici. In questa nuova prospettiva sinserisce direttamente il ritorno, iniziatosi con il rinascimento e lumanesimo, allantichit, riscoperta e riproposta nellarte, nella letteratura e nella filosofia, spogliata da ogni mediazione e integrazione ecclesiastica, presentata nella sua originalit e affermata nella sua autonomia. Si delinea cos una nuova immagine delluomo, pi emancipata, orientata verso il mondo di quaggi, e questa a sua volta offre nuovi motivi per una critica alla Chiesa ed al suo operare. Bisogna per anche aggiungere che in questo periodo proprio il papato si rivela come il difensore pi eloquente e lalleato pi strenuo dello spirito nuovo. I papi del rinascimento e le loro imprese architettoniche ed artistiche, senza dubbio imponenti, di cui la pi nota la costruzione della basilica di S. Pietro a Roma, conferiscono allimmagine imperiale e trionfalistica della Chiesa una dimensione quasi anacronistica e scandalosa. c) Con la libertas Ecclesiae nella lotta per le investiture, la Chiesa ha preso le distanze dallimpero per evitare gli abusi causati dallintromissione dellimperatore negli affari ecclesiastici. In quanto ambito spirituale, la Chiesa viene rivendicata come realt propria dagli ecclesiastici. La societ, come organizzazione della sfera temporale, risulta despiritualizzata, e, in un certo senso, collocata al di fuori della Chiesa. Per accedere alla salvezza, e quindi far parte della Chiesa, la societ deve realizzare lordine cristiano sulla terra ponendosi sotto la direzione del potere spirituale; il sovrano temporale, per non essere extra Ecclesiam, non pu che riconoscersi vassallo di Roma. Sembra questo, in termini sbrigativi, lunico modo per ritrovare, attraverso la legittimazione del potere spirituale e lobbedienza ad esso, la possibilit della salvezza. lunico guado consentito: la societ, i l potere temporale, i laici, la vita quotidiana, si trovano dallaltra sponda del fossato e potenzialmente al di fuori della salvezza, a meno di sottomettersi allautorit clericale, la quale decide ratione salutis anche nella gestione degli affari del mondo. Lextra, infatti, evoca il mondo, il saeculum, inteso come spazio dellerrore e delliniquit. Cos il tema della distinzione e separazione tra spirituale e temporale diventa fondamentale nella storia europea, con la continua ricerca di confini difficilmente precisabili tra la Chiesa come realt salvifica e il mondo come sfera del profano non redenta o persino assoggettata al male, e con un pensiero dicotomico, sia dei chierici con la loro cultura separata, sia da parte dei laici con la loro cultura critica della religione. Il superamento della complementarit gerarchica e la conseguente pretesa di subordinazione del temporale allo spirituale-ecclesiastico da parte dellautorit religiosa, aprono una strada media al rapporto tra le due sfere, quella della progressiva mondanizzazione dellambito politico con la 181

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corrispettiva ecclesializzazione del cristianesimo. Se le strutture ecclesiali, in quanto strutture cl ericali, si autonomizzano nella forma istituzionale delle chiese, laltra sponda potr e dovr organizzarsi in modo autonomo, con fondamenti non pi spirituali, dando valore e dignit alla vita temporale, magari recuperando il religioso al di l della identificazione con lecclesiastico. Sar poi il coagularsi delle monarchie nazionali ad approfittare del distacco delle due sfere: in una logica di penetrazione in profondit e in intensit della collettivit territorialmente determinata, il potere politico diventa veramente sovrano, tendendo al monopolio dellappartenenza dei sudditi; e non mancher di attuare una sacralizzazione sui generis della sfera temporale, in concorrenza con la sacralit clericale e in contrapposizione alla rivendicazione di supremazia del potere ecclesiastico. Cos, superata la logica della complementarit gerarchica, il mondo appare sempre pi come luogo di impegno per luomo, da trasformare, da costruire, attraverso la conoscenza e il dominio. Da un certo punto di vista il mutamento non avviene affatto allinsegna della laicizzazione, in quanto limpegno di trasformazione del mondo o linteresse per il secolo non negano il riferimento allappello di Dio, tanto che possiamo notare una contemporanea crescita degli standards religiosi del clero secolare e degli ordini monastici, nonch degli standards etico-religiosi tra la popolazione laica impegnata ad agire responsabilmente in conformit con la volont divina. Ci che nuovo la simultaneit dellimpegno nel mondo e lindividualizzazione della fede: pi linvestimento effettivo per laldiqua seriamente considerato, vissuto ed assunto nella sua autonomia oggettiva, pi limpegno della fede si fa soggettivo. Tradizionalmente linteresse per linvisibile comportava un certo distacco dal visibile, o viceversa: era logico che in questottica, la vita monastica rappresentasse il livello pi elevato di vita religiosa. Ora lidea di far marciare luno con laltro, anzi di far procedere luno attraverso laltro: limpegno e la conquista del mondo sono la risposta e la verifica delle sollecitazioni suscitate dallinvisibile. Non quindi una questione di scristianizzazione: il fattore religioso ben vivo ed operante a livello di coscienza, anche se in parte dissimulato dietro ai duri dati del mondo; il valore religioso pu essere, anzi, pi concretamente vissuto nella storia. In questione lidea di religione di Chiesa, non solo per lidentificazione del religioso con lecclesiastico, ma anche per la complessiva mediazione ecclesiale; conseguentemente, e pi in generale, sono in questione la condizione storica del cristiano e della comunit credente, e il senso dellesperienza umana e della civilt; in definitiva in questi one lidea o la concezione della fede cristiana nella realt storica, sia ecclesiale che civile.

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2.3.2. La nuova immagine di chiesa che sorge nella Riforma a) Lavvenimento pi decisivo per la nostra tematica costituito comunque dalla Riforma. Come si sa, i motivi che ispirano il movimento sono i pi diversi: essa ripropone listanza di un rinnovame nto della Chiesa che si estenda dal capo a tutte le membra; ancora pi appassionatamente esercita una critica agli abusi e alle carenze presenti nella Chiesa, addebitati non soltanto al fallimento soggettivo delle singole persone ma ascritti anche allistituzione: papato, curia e vescovi, almeno nella figura e nei tratti in cui concretamente si danno. La Riforma ha riconosciuto inoltre limportanza e la forza delle Chiese nazionali che si emancipano dal papato e che a livello nazionale determinano le modalit di una alleanza tra Chiesa e mondo, tra Chiesa e popolo; ha riconosciuto di quale forza dispongano i laici, coscienti della propria autonomia, soprattutto lautorit civile. b) La Riforma, per, si fonda soprattutto sullesperienza basilare, teologica e religiosa, che accompagnava di pari passo questi fattori e che era vissuta da singoli individui, dai riformatori, primo fra tutti Martin Lutero, il quale, mosso dallinterrogativo: come posso essere accetto a Dio?, aveva scoperto il vangelo della giustificazione mediante la sola fede, senza le opere della legge: sola gratia, sola fide, sola Scriptura. Egli riscopr la verit del sacerdozio di tutti i fedeli come fondamento della comunione dei credenti; fece la scelta radicale di una teologia della croce e del carattere nascosto della attivit e presenza di Dio, rifiutando la theologia gloriae. Si noti che Lutero condusse queste esperienze nellambito di quella Chiesa nella quale e nella cui tradizione era cresciuto, nella quale aveva vissuto da monaco agostiniano ed esercitato la professione di insegnante di teologia, della cui esistenza e necessit non dubitava, nella cui cerchia egli credeva di potere, anzi di dovere, proporre e realizzare la propria istanza come un contributo offerto alla reformatio ecclesiae, possibile solo allinterno di questa Chiesa e non al di fuori di essa. Questi processi di differenziazione si sono poi evoluti nel tempo e collegandosi a fattori anche extra-teologici non hanno condotto alla riforma della Chiesa, ma di fatto hanno prodotto la divisione della Chiesa occidentale in diverse confessioni e corpi ecclesiali e a una pluralit di pretese di verit e di Chiese che si combattevano reciprocamente in modo sanguinoso. Listanza teologica di Lutero, che non verteva sulla questione del papa e della Chiesa ma sul problema della giustificazione e della salvezza, investiva per anche delle realt ecclesiologiche che di fatto entrarono al centro della contestazione in un periodo successivo. Egli esamin il problema del legare e sciogliere del papa, un potere che non veniva contestato in se stesso al contrario, allinizio Lutero annetteva la massima importanza al consenso del papa ma nelle modalit della sua applicazione, pi concretamente nella prassi delle indulgenze.

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Lutero sollev anche la questione del magistero, esigendo che si riconoscesse la Scrittura come unica norma normans e che ci si lasciasse da essa interrogare e vagliare essa infatti sui ipsius interpres , che si rispettasse listanza ultima del giudizio della coscienza (dieta di Worms, 1521). Egli affront la tesi secondo la quale i papi e i concili non possono errare ed esercit una critica agli abusi della Chiesa, soprattutto nei termini che ritroviamo in quattro scritti decisivi del 1520: Sul Papato di Roma, Sulla cattivit babilonese della Chiesa, La libert cristiana e Alla nobilt cristiana della nazione tedesca. In questultimo, che il primo dei grandi scritti riformatori, Lutero si scaglia contro gli abusi introdotti nella Chiesa e individua soprattutto tre aspetti, giudicati inaccettabili per le differenze che introducono nella Chiesa. Si tratta delle tre muraglie innalzate dai romanisti che Lutero, come Giosu davanti alle mura di Gerico, intende far crollare: lesenzione del clero nelle questioni temporali dalla sottomissione allautorit civile (soprattutto in ambito giudiziario), motivata con la superiorit dellautorit ecclesiale rispetto a quella civile; laver riservato al papa la spiegazione autentica della Scrittura; laver riservato al papa la convocazione del concilio. Questa situazione di privilegio di cui il clero gode inaccettabile, tanto pi che i pastori si rivelano incapaci o non intenzionati a realizzare la necessaria riforma della Chiesa. Contro questi abusi Lutero afferma un duplice principio: anche il clero sottoposto alla spada dellautorit civile, la quale, essendo istituita da Dio, pu esigere la sottomissione di tutti nellambito di propria competenza; in s econdo luogo, tutti i cristiani, laici compresi, hanno il diritto e il dovere di dare il proprio contributo alla vita ecclesiale e, in concreto, di operare per la convocazione di un concilio cristiano (cfr. WA 6, 413, 27-33) e per la riforma della Chiesa, dato che essa non viene attuata dagli ecclesiastici30. Lutero cos un caso singolare in cui confluiscono simultaneamente le tre correnti ecclesiologiche del Basso Medioevo: lopposizione al papato; lidea conciliarista della riforma (a cui in seguito rinunci); la nozione spiritualistica di Chiesa come communio sanctorum (cfr. Wyclif, Hus). c) Su queste premesse, Lutero si cre uno spazio di libert e di distanza nei confronti delle numerose tradizioni ecclesiastiche e concezioni tradizionali che cozzavano contro la sua dottrina della giustificazione e che secondo la sua esperienza sminuivano la divinit di Dio. Questo atteggiamento lo condusse a riscoprire lidea delluguaglianza dei fedeli fondata sul sacerdozio battesimale. Solo la fede nella parola di Dio, infatti, pu rendere luomo giusto e pio, cio

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Sono abbastanza evidenti le ascendenze conciliariste di questa tesi di Lutero: quando nella Chiesa lautorit comp etente non in grado di compiere ci che dovrebbe fare, devono subentrare le istanze inferiori. Non a caso Lutero giustifica spesso lintervento dei laici nellambito che propriamente spetterebbe ai ministri richiamandosi alla situazione di necessit, che si determinata: Y. CONGAR, Lglise. De Saint Augustin lpoque moderne, op. cit., 311.

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porlo nella corretta relazione con Dio, e al tempo stesso renderlo libero nei confronti delle opere della legge, perch solo la fede realizza lunione dellanima con Cristo, come una sposa si unisce al suo sposo31. Lunione, che si compie mediante la fede, si definisce per ladesione a una parola predicata e al Cristo annunciato mediante questa parola. Da questa unione luomo spirituale riceve nello scambio di beni che avviene grazie allunione sponsale con Cristo, i doni della regalit e del sacerdozio. Lutero non intende questi due munera primariamente in termini funzionali, come abilitazione a compiere determinate attivit, ma li qualifica espressamente come dignitates, come privilegi che sono propri del credente e che determinano una fondamentale uguaglianza allinterno della Chiesa. Proprio su questa base Lutero pu riscoprire la verit del sacerdozio di tutti i fedeli come fondamento della comunione dei credenti32. In particolare egli riprende lidea che nella Chiesa tutti sono sacerdoti per mostrare che insostenibile la posizione di chi afferma lesistenza di uno stato ecclesiastico al quale spetterebbero in maniera esclusiva determinate competenze:
Hanno avuto la trovata di chiamare ecclesiastici ( geystlich stand) i papi, i vescovi, i preti e gli abitatori dei conventi, secolari (weltlich stand) invece i principi, i signori, i commercianti e i contadini; la qual cosa una finissima ed ipocrita costumanza, ma nessuno si lasci abbindolare da essa,

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Non soltanto la fede concede che lanima divenga simile alla parola divina e cio ripiena dogni grazia, libera e beata, ma unisce anche lanima a Cristo, cos come una sposa si unisce al suo sposo. Da questo matrimonio ne consegue, come dice S. Paolo (Ef 5, 3-32), che Cristo e lanima divengono un corpo solo, uniti nella buona c ome nella cattiva sorte ed in tutte le cose, e ci che Cristo possiede diviene proprio anche dellanima credente, e ci che lanima possiede d iviene proprio di Cristo. Cos Cristo ha tutte le beatitudini ed i beni, ed essi divengono propri dellanima. Cos lanima ha tutti i vizi e i peccati su di s, ed essi divengono propri di Cristo. Si compie in tal modo lamoroso scambio e la lieta d isputa. Mentre Cristo Dio e uomo che ancora non ha peccato, e la sua virt insuperabile, eterna ed onnipotente, ora nello scambiarsi lanello nuziale, cio la fede, con lanima credente, fa propri tutti i peccati di lei e insomma altro non fa che apparire come se egli stesso li avesse commessi; ma avviene necessariamente che in lui questi peccati devono essere ingoiati e scomparire, perch la sua invincibile giustizia assai pi forte di qualsivoglia peccato; cosicch lanima, gr azie al dono nuziale, cio alla sua fede, viene resa pura e libera di tutti i peccati e dotata delleterna giustizia di Cristo suo sposo: Della libert del cristiano: WA 7,25, 28-26, 5 (trad. it. in Scritti politici, op. cit., 373-374). 32 Si capisce allora perch in diversi testi di teologia si trova laffermazione che questa dottrina rappresenterebbe uno degli aspetti pi caratteristici della teologia della Riforma. Nella maggior parte dei casi per questa tesi si riduce a una formula dal contenuto assai vago, aperta alle interpretazioni pi diverse. Il tema del sacerdozio universale dei fedeli pu diventare allora la cifra della visione della Chiesa proposta dalla Riforma, che si pone come alternativa radicale alla concezione cattolica basata su una mediazione sacerdotale, oppure la bandiera di una visione democratica della Chiesa e della societ elevata contro le tendenze assolutiste della tradizione precedente: cfr. ad es. C. EASTWOOD, The Priesthood of All Believers. An Examination of the Doctrines from the Reformation to the Present Day (London: Epwort Press, 1960) 1-65. Nella presentazione che ne fa lautore, il tema del sacerdozio universal e dei fedeli perde ogni contenuto specifico per diventare la cifra della teologia della Riforma che si oppone con forza alleresia romana, caratterizzata dallistituzionalismo, dalla pretesa di disporre della grazia mediante i sacramenti, dal pelagianesimo . In realt, come riconosce H.M. Barth, nelle stesse Chiese nate dalla Riforma il tema del sacerdozio universale stato s usato frequentemente come slogan in funzione critica nei confronti di Roma e del clericalismo, ma non sempre se ne sono comprese a fondo le implicazioni ecclesiologiche. Cfr. H.M. BARTH, Einander Priester sein. Allgemeines Priestertum in kumenischer Perspektive (Gttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1990) 13-19. Daltra parte, pure in campo cattolico il sacerd ozio dei fedeli stato riscoperto anche prima del Vaticano II, ad es. nel movimento liturgico e nella riflessione sullapostolato dei laici. A questo proposito si veda il testo di P. DABIN, Le sacerdoce royal des fidles dans la tradition ancienne et moderne (Bruxelles-Paris: LEdition Universelle Descle De Brouwer, 1950).

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e per le seguenti ragioni: i cristiani tutti appartengono allo stato ecclesiastico ( geystlichs stands), n esiste tra loro differenza alcuna, se non quella dellufficio ( ampt) proprio a ciascuno; come dice S. Paolo (1Cor 12), che noi siamo tutti un solo corpo, ma che ogni organo ha il suo compito (werck) particolare con cui essere utile agli altri; e ci avviene perch tutti abbiamo uno stesso battesimo, uno stesso Vangelo, una stessa fede e siamo tutti cristiani allo stesso modo. Il battesimo, il Vangelo e la fede, infatti, ci fanno tutti spirituali ( geystlich) e tutti cristiani. E la potest ch del papa o del vescovo, cio di ungere, ordinare, consacrare e vestirsi diversamente dai laici ( leyen), pu rendere uno fariseo o prete consacrato, giammai per serve a rendere uno cristiano o uomo spirituale (geystlichen menschen). Infatti tutti quanti siamo consacrati sacerdoti dal battesimo, come dice S. Pietro (1Pt 2,9): Voi siete un sacerdozio regale ed un regno sacro; e lApocalisse: Col tuo sangue ci hai fatti sacerdoti e re (Ap 1,6). Giacch, se non fosse in noi una consacrazione pi alta di quella che ci d il papa o il vescovo, giammai uno sarebbe fatto sacerdote con la sola consacrazione del papa o del vescovo, n potrebbe celebrare messa, predicare e assolvere33.

In questo testo il cardine su cui poggia tutta largomentazione laffermazione che ogni cristiano, in forza del battesimo, membro a pieno diritto del popolo di Dio ed geystlich, cio spiritualeecclesiastico34. Lautorit della Chiesa non pu pretendere di porre una persona in uno stato che gli appartiene originariamente in forza del battesimo e non pu neppure privare il battezzato della dignit e dei diritti che gli devono essere riconosciuti. Lattuale distinzione tra gli stati perci equivale di fatto a un disconoscimento del valore del battesimo. Lutero non nega che, accanto alla fondamentale uguaglianza di tutti i cristiani, vi siano anche delle differenze. Tali differenze non riguardano per la dignit che spetta ai membri del popolo di Dio (geystlich stand), ma sono relative allufficio esercitato (des ampts odder wercks halben: WA 6, 408, 28). Lattivit di chi annuncia la parola non conferisce a questa persona una dignit maggiore rispetto a quella di chi fa lartigiano, n si stabilisce alcun rapporto di subordinazione e di dominio, perch il senso del ministero quello di essere a servizio degli altri. In particolare, per lesercizio del ministero della predicazione e dellamministrazione dei sacramenti, necessario un mandato specifico (cfr. WA 6, 408, 11-17). La chiamata da parte della comunit allesercizio di un ministero dunque necessaria, ma non modifica lo stato spirituale di colui che chiamato; questa la ragione per cui Lutero rifiuta la dottrina medievale del charachter indelebilis35.

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Alla nobilt cristiana: WA 6, 407, 10-28; trad. it. in M. LUTERO, Scritti politici, (Torino: UTET, 19592) 130-131. Il termine geystlich letteralmente significa spirituale, ma anche designazione corrente per i membri del clero ed precisamente questa ambivalenza semantica che Lutero utilizza nella sua argomentazione. 35 Lutero incontra il concetto di stato anzitutto nel suo significato giuridico: lo stato clericale e quello laicale differiscono tra di loro per le potest che sono proprie del primo e mancano al secondo. Il concetto di stato ha per anche un significato sociologico: dal concetto giuridico si infatti passati a ritenere che i due gruppi nella Chiesa costituiscano quasi due caste separate, due corpi a s stanti. Lutero si oppone tanto al concetto giuridico di stato (riferito alla potest), come a quello sociologico (che configura una casta sacerdotale) e a quello ascetico (proprio del monaco). Lutero assume invece un concetto teologico di stato, indicante la realt ontologica, spirituale, interiore e soprannaturale, proveniente dalla ricezione del medesimo battesimo e dal possesso della stessa fede.

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La critica di Lutero non riguarda soltanto gli effetti che la distinzione rigida tra clero e laici determina nella Chiesa, ma si rivolge anche contro la radice di questa concezione, cio la teologia sacramentaria, che legittima questa distinzione affermando che il sacerdozio conferito mediante lordinazione. Questo punto di vista centrale nellargomentazione sviluppata nella parte sullOrdine dello scritto De captivitate babylonica ecclesiae praeludium, che si propone di verificare sulla base della Scrittura la dottrina romana dei sacramenti. noto che la teologia medievale aveva definito il ministero ordinato a partire dal potere di consacrare leucaristia e, su tale base, si era stabilita una stretta connessione tra la concezione delleucaristia come sacrificio e il ministero inteso come s acerdozio finalizzato allofferta del sacrificio. Lutero reagisce contro questa concezione e la critica sulla base della Scrittura, in primo luogo affermando che la Scrittura non utilizza il vocabolario sacrificale per lEucaristia e quindi essa non un sacrificio e il ministro di conseguenza non un sacrificatore; in secondo luogo precisando invece che la Chiesa edificata dallannuncio della parola di Dio e che quindi il ministero di coloro che sono chiamati a servizio della Parola essenziale per la costituzione e la vita della Chiesa. In ogni caso il ministro radicalmente eguale in dignit a qualsiasi battezzato, perch ununzione corporea non pu dare a un uomo un di pi di sostanza spiritu ale, tale da conferirgli una dignit e una potest superiore a quella dei laici. Tutti i cristiani infatti sono unti dallo Spirito Santo nel battesimo ed quindi il battesimo che rappresenta la consacrazione sacerdotale fondamentale. Il sacerdozio non pu essere inteso come privilegio personale, che trova la sua espressione primaria nella preghiera corale e nella celebrazione delle messe private. Lunica distinzione legittima nella Chiesa quella che espressione di un ministero esercitato per la comunit, non pu invece essere fondata su una differenza di potest esistente prima ancora che vi sia lesercizio di un concreto ministero. Una gerarchia autosufficiente, che non si dedica allannuncio ma si basa soltanto sullunzione sacerdotale, si trasforma infatti in struttura di dominio e in tirannia. Nel De captivitate babylonica si coglie con molta chiarezza la duplice linea argomentativa seguita da Lutero: contro la pretesa della superiorit dello stato clericale, la dottrina del sacerdozio universale afferma luguaglianza di tutti i battezzati; contro una concezione del ministero ecclesiale come sacerdozio sacrificale, si afferma che esso non definito correttamente con la categoria di sacerdotium, ma lo si deve concepire come ministerium verbi. La progressiva valorizzazione delluso neotestamentario della categoria di sacerdozio come norma per il linguaggio teologico, fino ad attribuirgli un valore normativo, corre parallela alla maturazione delle convinzioni teologiche fondamentali nei primi anni della sua attivit accademica. Lutero incontra il tema del sacerdozio in modo massiccio nelle lezioni sulla lettera agli Ebrei che tiene nel 1517/1518. In questo contesto laffermazione centrale che Cristo il nostro solo sacerdote, nel 187

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quale ha trovato compimento il sacerdozio dellAntico Testamento; in lui possiamo dunque confidare in vista del giudizio di Dio. Accanto a questo motivo cristologico si trova anche una esortazione allimitazione: se Cristo il sacerdote, al suo esempio deve ispirarsi la condotta dei sacerdoti; essi infatti non sono sacerdoti per s ma per gli altri e devono avere per i fedeli la stessa cura che Cristo mostra per gli uomini36. Si pu dunque osservare che la centralit del sacerdozio di Cristo affermata, ma non avvertita in contraddizione con lattribuzione ai ministri della Chiesa della qualifica di sacerdoti. Si stabilisce anzi una relazione positiva tra sacerdozio di Cristo e ministri della Chiesa, che devono ispirarsi al suo esempio. Nel modo di descrivere la relazione con il sacerdozio di Cristo si pu per notare gi una chiara preferenza: tale relazione non vista in termini ontologici, ma piuttosto operativi, non si basa su una unzione, ma sulla conformit a ci che Cristo ha compiuto. Il tema del sacerdozio universale giunge alla sua maturazione negli scritti del 1520, dove il dato scoperto attraverso lo studio del Nuovo Testamento assume una nuova rilevanza nel contesto polemico. La regolazione del linguaggio teologico proposta nel Tractatus de libertate christiana (1520) rappresenta il punto di arrivo di questa progressiva valorizzazione del tema neotestamentario del sacerdozio: il sacerdotium definisce la condizione di tutti i battezzati, mentre il concetto di ministerium definisce coloro che sono chiamati al servizio della parola. In sintesi, la nozione di sacerdozio universale dei fedeli una nozione complessa, nella quale si intrecciano i seguenti elementi: a) davanti a Dio ogni cristiano ha la stessa dignit sacerdotale in forza del battesimo e della fede; b) reso partecipe dei beni di Cristo, il cristiano sacerdote e non ha bisogno di altro mediatore se non di Cristo per poter accedere a Dio; c) il sacerdozio dei fedeli abilita ed impegna a offrire sacrifici spirituali attraverso la personale mortificazione e il servizio della carit; d) in forza del sacerdozio ogni cristiano ha il compito di trasmettere il vangelo che ha ricevuto, cos da permettere ad altri di credere. Si deve infine sottolineare che solo nellambito della communio sanctorum il sacerdozio universale dei fedeli compreso adeguatamente e il suo esercizio corretto. Non corrisponde invece al pensiero di Lutero la concezione del sacerdozio come un insieme di diritti individuali spettanti alla persona considerata isolatamente. Per quanto riguarda il ministero (al singolare! si noti bene) e il suo fondamento occorre riconoscere che Lutero passato attraverso a fasi diverse, anche in dipendenza dal mutare della situazione eccle-

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Scrive Lutero commentando Eb 2, 17: Duo commendat in Christo, quae et in omni sacerdote exemplo Christi lucere debent, scl. ut sit misericors super populum et fidelis pro populo ad Deum. Per misericordiam enim debet exinanire seipsum et omnia subditorum mala facere sua nec alio effectu ea sentire, quam si ipse in illis versaretur. Per fidelitatem autem debet omnia bona sua impertiri illis (WA 57, 136, 16).

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siale in cui la sua attivit si esplica. Schematicamente si possono distinguere due impostazioni legate, la prima, alla polemica contro gli avversari romani e la loro concezione dellautorit della Chiesa e la seconda, alla presa di distanza dallala radicale della Riforma e dalla relativizzazione da essa propugnata di tutti i mezzi esterni di salvezza. Negli scritti del periodo iniziale della Riforma prevale una fondazione ecclesiologica del ministero. Egli afferma che la vita ecclesiale deve svolgersi in modo ordinato e quindi le funzioni che, in linea di principio, spettano a ciascuno dei membri della comunit devono essere compiute solo da chi stato chiamato a esercitare pubblicamente il ministero. Successivamente Lutero, posto di fronte allesigenza di dare unorganizzazione alle Chiese che avevano aderito alla Riforma, mette in risalto il fondamento cristologico e apostolico del ministero, il quale deriva dalla missione che Cristo ha affidato agli Apostoli ed dotato di unautorit che ha la sua origine dalla missione ricevuta. A questo mutamento di prospettiva corrisponde lattribuzione del compito di selezionare i candidati al ministero e di ordinarli alle autorit centrali della Chiesa territoriale e non alla singola comunit locale. Se dunque nella prima fase il ministero tende ad essere considerato come rappresentante della comunit (an der Gemeinde statt), nella seconda fase si trova in primo piano lautorizzazione ricevuta da Cristo (an Christus statt). Oltre a questo aspetto, occorre ricordare che per Lutero c solo un ministero, che non prevede al suo interno gradi diversi; in altre parole non c alcuna differenza teologica (se non di diritto umano) tra vescovo e presbitero. Da ci conseguita una crisi nella forma episcopale di governo della Chiesa e linterruzione della successione episcopale nellordinazione dei ministri. Questo in particolare anche perch egli dovette esperimentare che tutti i vescovi senza eccezioni impedivano lattivit dei predicatori evangelici e si rifiutavano di ordinare coloro che avevano idee orientate nel senso della Riforma. Di fronte allalternativa tra la fedelt al messaggio scoperto e la conservazione della forma tradizionale di governo della Chiesa e di trasmissione del ministero, Lutero e gli altri Riformatori giudicarono decisiva lapostolicit della dottrina e rinunciarono a un ministero inserito nella successione episcopale. Per fare ci si fondarono anche sullopinione di Girolamo, secondo cui lepiscopato non differisce dal presbiterato dal punto di vista sacramentale. Ma ci facendo, ci si concentr sul pastore della comunit locale come figura principale e compiuta del ministero ecclesiale e sulla comunit locale come figura paradigmatica della Chiesa. In seguito le funzioni episcopali vennero assunte dai vescovi di emergenza (Notbischfe), ossia dai principi che si assunsero il compito di vigilare sulla realizzazione della Riforma nei loro territori e sul governo della Chiesa. innegabile che la dottrina luterana del sacerdozio universale dei fedeli insieme a quella del ministero ecclesiale quale ministerium verbi introduce una novit rilevante rispetto alla concezione della Chiesa ereditata dal medioevo. Una teologia di ispirazione biblica, messa a servizio dellintento di 189

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riforma, porta infatti a prendere le distanze in modo deciso da una concezione del ministero ecclesiale imperniata sul sacerdozio e a superare la visione di ispirazione dionisiana che dominava lecclesiologia medievale e che poneva in primo piano la distinzione degli stati di vita e la relazione gerarchica esistente tra di essi37. Lattribuzione della qualifica sacerdotale a tutti i fedeli (e la conseguente ridefinizione del ministero ecclesiale come ministero della parola) non per motivata soltanto dalla volont di essere fedeli alle categorie bibliche; alla base sta la concezione luterana della giustificazione come unico elemento in grado di definire lidentit cristiana. Il tema del sacerdozio rappresenta uno dei modi in cui Lutero descrive il risultato dellazione della grazia divina accolta nella fede e permette di cogliere allinterno della teologia del Riformatore il punto di snodo tra lantropologia e lecclesiologia. Se con la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli Lutero opera una rottura rispetto alla tradizione medievale, daltra parte non si pu negare che in questo modo egli abbia richiamato lattenzione dellecclesiologia su elementi che hanno un fondamento biblico e sono attestati dalla Tradizione. Infatti, nonostante lunilateralit derivante dallintento polemico della sua riflessione, egli ha sempre mantenuto la distinzione tra sacerdozio universale dei fedeli e ministero ecclesiale. Da questo punto di vista, i testi che sottolineano la responsabilit di tutti i membri della comunit per la parola di Dio e la conseguente responsabilit nella scelta dei pastori, possono essere visti come indicazione della convinzione, condivisa anche dallecclesiologia cattolica, secondo cui tutti i battezzati sono soggetti della missione della Chiesa, la quale per si realizza secondo modalit diverse. Le tensioni presenti nel pensiero di Lutero tra laccentuazione della responsabilit originaria della comunit in nome del sacerdozio universale e il riconoscimento del compito proprio dei pastori e dellautorit ad essi spettante, pongono la questione circa il modo di articolare la missione di tutti i membri della Chiesa e la missione del ministero ordinato, una questione alla quale ogni ecclesiologia deve dare risposta. La dottrina luterana del sacerdozio universale, dunque, non equivale a una semplificazione in senso egualitaristico che eliminerebbe ogni distinzione allinterno della Chiesa; uguaglianza e distinzione sono invece collocate su piani distinti, quello della fondamentale identit cristiana e quello del ministero. Lelemento di distinzione si ritrova non solo nella relazione tra sacerdozio universale e ministero ordinato, ma anche nella considerazione della specifica condizione di vita che propria di ogni battezzato. Sotto questo profilo interessante levoluzione del concetto luterano di vocazione. Nella

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Sintomatica a questo proposito la prospettiva assunta dai teologi controversisti nel confutare le tesi di Lutero circa il sacerdozio universale: la loro lettura dei dati biblici circa il sacerdozio e il ministero condizionata in modo determinante dalla concezione dionisiana dellordine e della gerarchia.

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polemica contro i voti monastici, Lutero afferma che la vocazione monastica non pu avanzare la pretesa di essere uno stato di salvezza privilegiato rispetto a quello degli altri cristiani38. In senso positivo invece egli valorizza la realt secolare della professione (Beruf) attraverso cui il cristiano d il suo contributo alla societ ed esercita pure un dovere di carit. Anche in questo caso si pu osservare come la diversit non sia negata, ma sia collocata altrove, nellambito secolare, che chi aramente distinto da quello spirituale, ma non al punto da essere totalmente estraneo rispetto ad esso. d) La novit del peso teologico dato alla vocazione profana si coglie meglio se viene compresa alla luce del tema pi vasto (e complesso) dei due Regni. Le premesse remote indispensabili per comprendere questa teoria, che struttura nel Luteranesimo il rapporto Chiesa/mondo, sono, da un lato, la crescita degli stati nazionali allinizio del XVI secolo, che ha comportato il progressivo affievolirsi del potere papale39, dallaltro lato, il sentimento di estraneit nei confronti di Roma da parte di molti poteri civili Los von Rom un motto molto comune al tempo nei paesi germanici. Inoltre, la premessa prossima costituita dallatteggiamento di Lutero: egli da una parte, reagendo agli eccessi degli Schwrmer (= fanatici) i quali avevano favorito un vero e proprio movimento iconoclastico di caccia ai preti (Pfaffensturm), di distruzione di immagini sacre pi volte ribadisce che la Riforma sostiene la libert, ma non la rivoluzione; daltra parte, pure lui si trova nella necessit di affrontare la questione del rapporto fra le due sfere o i due fori, il civile e lecclesiastico. In Lutero la teoria delle due spade diventa la teoria dei due regni. Causa immediata del ricorso di Lutero a tale teoria e alle sue immagini la vicenda di Thomas Mntzer, secondo cui il principe era una figura teologicamente e politicamente irrilevante: se ogni sovranit nelle mani del Cristo, allora i riformatori possono brandire la spada come novelli Gedeone contro il tiranno. Per Lutero, invece, la spada non poteva n doveva mai essere strumento di evangelizzazione. Egli, per, sapeva bene quale vantaggio poteva ricavare dallappoggio della Ritterschaft (cavalleria) alla Riforma. Comincia cos ad elaborare linsegnamento dei due regni (o regimi) secondo cui la Chiesa non si identifica col mondo, cos come la sfera spirituale non si identifica con quella temporale. Con il suo Regiment, cio con la sua obbedienza di fede allordinamento divino e quindi con il suo Vangelo e i suoi sacramenti, la Chiesa nel mondo, mai dal medesimo separata e separabile. Attraverso il suo

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Cfr. De votis monasticis iudicium (1521), WA 8, 573-669. Bonifacio VIII e Giovanni XXII avevano preteso lestensione del potere papale anche alla sfera temporale: in contrasto con la prassi e la dottrina consolidata, Bonifacio VIII aveva reinterpretato la teoria delle due spade, pretendendo che vi fosse una sola fonte di potere allorigine di tutti gli altri poteri, ed un solo cap o, quello spirituale, che ne disponeva secondo la plenitudo potestatis. A queste teorie si contrapposero Marsilio da Padova e Gugliemo di Ockham, per i quali lo Stato ha nel popolo il suo legislator humanus ed ogni potere, anche ecclesiastico, ne dipende.

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Regiment, lo spirituale scende nel temporale, ma non si fonde con esso. Essa nel mondo, ma non del mondo: la Chiesa non mai mondo, altrimenti non sarebbe Chiesa. Il punto di partenza della sua riflessione la distinzione fra spirituale e temporale. Lo spirituale proviene e dipende dallo Spirito santo: perci luomo spirituale non ha bisogno della legge, n del suo vindice, n di chi indichi o imponga le vie da seguire; egli giudica da s e da nessuno viene giudicato (1Cor 2,15). In quanto spirituale non soggetto alla legge n a chi la tutela con la spada e il diritto: per luomo spirituale lunica guida e governo la fede, cio lo Spirito e la Parola40. Quindi c distinzione fra regno di Dio e regno temporale, ognuno dei quali obbedisce alla propria legge. Ma poich entrambi provengono da Dio, non ci pu essere antitesi fra loro: essi sono due distinte modulazioni del Regiment di Dio. Di fronte allordinamento papista, che riduce la Chiesa a regno e il papa a imperatore, trasformando cos il vangelo in legge e riducendo la vita ecclesiastica a fatto puramente giuridico, Lutero distingue tra regno spirituale e regno temporale. Ma di fronte agli Schwrmer ribadisce invece che neanche la legge estranea a Dio ed egli continua a governare il mondo in abscondito servendosi non solo del Vangelo, ma anche degli ordinamenti mondani e della stessa spada. Quindi anche il regno temporale fa parte di un progetto divino: attraverso la mediazione dei governanti Dio si serve della spada per mantenere lordine creaturale, neutralizzando cos lefficacia devastante del peccato e le tendenze eversive che derivano. Essi per non possono intromettersi nellambito spirituale e dottrinale, perch il regno di Dio geystlich e quindi di esclusiva competenza ecclesiastica. Cos tra i due regni non ci sono interferenze: anche se entrambi appartengono a Dio, ognuno ha un suo statuto ed un proprio ambito operativo. Con il Vangelo e il suo Spirito (e quindi non con il diritto canonico), Dio governa la Chiesa; con la legge e la spada governa il mondo. In effetti il mondo non governabile con il solo Vangelo e cos la spada quasi una fatalit: come potrebbe, infatti, il cristiano combattere i Turchi se non opponendo la spada alla scimitarra? Il cristiano, per, non impugna le armi e combatte in quanto cristiano, ma in quanto soggetto allautorit temporale; come cristiano, invece, oppone ai nemici soltanto preghiere e penitenza. E nel caso dovesse cadere prigioniero, rispetta lautorit del suo vincitore fa eccezione solo il caso in cui venisse costretto a combattere il vangelo o a perseguitare i cristiani.

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Di conseguenza non c alcuna realt esteriore, pure ecclesiastica, che per se stessa abbia un valore teologico, anche se di istituzione divina. Lapostolicit non questione di locus, perch solo la Parola lelemento apostolico. In fondo la Riforma stata una rivolta contro la dimensione istituzionale dellapostolicit, ritenuta derogatoria e offensiva nei confronti della sovranit di Dio. La logica dominante non quella apostolica, ma quella profetica (Congar).

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Il principe ha quindi lobbligo, in quanto signore locale, di affrontare i nemici e di non ritirarsi dalla guerra per la difesa dei suoi sudditi. Si noti bene: i suoi sudditi, non la Chiesa o la fede. Egli, infatti, non il capo della cristianit n il protettore del Vangelo. Questa la ragione per cui al regno temporale non si deve chiedere nulla che esuli dal campo del secolo. Sullo sfondo di tale riflessione scorgiamo la consapevolezza acuta della presenza ed efficacia del peccato nel cristiano anche dopo il battesimo. Come il cristiano resta simul cittadino e battezzato, peccatore e giusto, cos egli deve assoggettarsi alla legge e al vangelo, al regno temporale e al quello spirituale. Ma in questa simultaneit sta pure la ragione delle conseguenze pratiche che ne derivano: lassoggettamento alla legge e al vangelo, al regno temporale e simul a quello spirituale. Lineludibile presenza del peccato rende inevitabile la spada e il suo esercizio. Il cristiano, invero, governato dalla parola, guidato dallo Spirito, nutrito dal Vangelo di fede e grazia; ma peccatore, cio ripiegato su se stesso, adoratore di s come tale soggetto alla giurisdizione dellautorit civile, la quale non interviene per esautorare la Chiesa, ma per ovviare agli effetti nefasti del peccato, cio per ristabilire lordine e la pace, per fronteggiare chi delinque e per tutelare i buoni. Se infatti il peccato non ci fosse, non ci sarebbe bisogno n della spada n del diritto. Il regno spirituale, che privo di spada, invece, perviene al suo scopo non coercitivamente, bens suasivamente. Il cristiano, in tal modo, subjectus Caesari per corpus, ma subiectus Christo per fidem. Su tale differenza Lutero fonda il diritto alla resistenza non tanto contro il regno temporale, quanto contro il principe che governi con pregiudizio per la giustizia. Il cristiano cittadino del regno temporale per la sua nascita, invece cittadino di quello spirituale per la fede in Cristo. Peraltro egli deve far valere la sua libert non solo nel regno spirituale, ma anche in quello temporale. In particolare egli deve essere libero dai beni di questo mondo e dai suoi condizionamenti: anche quando soggetto allautorit del principe, guidato dalla libert e dallamore. Per Lutero il superamento dei precetti nei consigli non un ideale semplicemente monastico, ma di tutti coloro che sono al seguito e al servizio di Cristo. La dottrina dei due regimi ha contribuito non poco a riconoscere lautonomia dellagire politicosociale nei confronti del Vangelo e il carattere secolare delle istituzioni del mondo. In ci la riflessione di Lutero e pi in generale lesperienza del Protestantesimo si presenta da un lato come fattore accelerante la rottura del tradizionale schema cristiano quale si era espresso nella cristianit e, daltro lato, come un processo di estensione alla struttura interna della organizzazione religiosa del principio di autonomia della societ secolare dalla Chiesa o dal religioso-ecclesiastico. Il Protestantesimo ha indubbiamente accelerato il processo di degerarchizzazione. A parte la possibile solidariet fra lascetismo contemplativo del monaco e lascetismo intramondano del193

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limprenditore, la Riforma, interpretando e valorizzando lautonomia dellindividuo rispetto alla sua comunit di appartenenza, abbandona la visione integrativa dei rapporti fra il regno spirituale e il regno temporale per prospettare una visione tendenzialmente dualistica della realt. Non soltanto Dio Altro, e luomo pu rapportarsi a Lui solo riconoscendo ci che da Lui lo separa (e cio la sua totale caducit di fronte alla maest del Dio trascendente); ma anche il mondo altro, luogo dellimpegno trasformativo delluomo da attuare nella seriet del dovere e della responsabilit, eppure luogo in qualche modo esteriore alluomo, il cui operare non ha nulla a che vedere con il credere. Anche la Chiesa esteriore: essa lassemblea di tutti i credenti (Confessione di Augusta, 1530), o la compagnia dei fedeli (Confessione di La Rochelle, 1559) che si costituisce in forza della sola iniziativa di Dio: luogo necessario e obbligato per il cristiano in quanto l impara, come in una scuola, ad essere cristiano, ma non luogo della fede e della santificazione e meno ancora istituzione di salvezza (la Chiesa empirica come tale carnale e non certo il corpo di Cristo!). In quanto organizzazione ecclesiale, essa , in fondo, un affare secolare; perci appartiene al principe, che in quanto capo del popolo cristiano, per ci stesso il capo della Chiesa (esteriore). indubbio che la Riforma aument la tensione fra lideale cristiano e la realt del mondo proprio per il fatto che le vocazioni secolari furono poste su un piano di uguaglianza morale rispetto alla vita religiosa: una tensione che va ben al di l di tale uguaglianza, stimolando la fede ad essere pi interiore, pi consapevole e pi libera, ma rendendola pi inquieta, pi incerta, pi indeterminata e, alla fine, rischiosamente soggetta o esposta al potere politico o alle circostanze storiche. pure indubbio che la Riforma ha contribuito notevolmente alla diffusione della responsabilit e della partecipazione religiosa dei laici, attribuendo un nuovo e positivo valore religioso alla vita secolare e familiarizzando vasti strati di laici con la Bibbia. Resta per in sospeso il senso di tale valorizzazione religiosa della vita secolare, posto che i rapporti sociali e le istituzioni, tra cui la stessa famiglia, sono in qualche modo estranei alla religione, sottratti cio alla legge del vangelo e assolutamente non perfettibili secondo la giustizia cristiana, ma solo secondo il giusto civile che non pu riferirsi alla giustizia di Dio e quindi non giustifica di fronte a Dio. Pure fluido, e alla fine ugualmente in sospeso, il problema del rapporto tra i ministri e i laici. Non si possono dimenticare inoltre alcune incongruenze: il potere politico viene considerato, contro gli anabattisti (per Bucer e Calvino anche contro la rigida separazione di Lutero dei due regni), come un vero e proprio ministero-magistero, prolungando una cristianit ormai desueta e dando origine al principio della Chiesa di Stato; gli anziani, nella tradizione calvinista, sono contemporaneamente laici e ministri e i diaconi, voluti come un ordine da Lutero, diventano presto degli impiegati municipali; la comunit ecclesiale appare poi costantemente divaricata fra la guida del pastore e la teologia dei teologi. 194

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e) Dallinsieme di questi tratti si pu cogliere anche una precisa immagine di Chiesa. Notiamo che Lutero non amava la parola Kirche (= Chiesa), perch a suo dire per la gente semplice designava ledificio di culto. Preferisce quindi esprimersi in buon tedesco ed affermare: una comunit (Gemein[d]e) o riunione cristiana, o meglio ancora e nel modo pi chiaro una cristianit santa41. Ma questa congregatio, questo santo popolo cristiano che crede in Cristo (Von den Konziliis und Kirchen: WA 50, 624, 29) non il risultato di una libera associazione umana, bens creatura verbi. Vangelo, battesimo e pane sono i suoi segni di riconoscimento, e il vangelo proclamato pi importante di tutti42. Lutero pu quindi dire che: Tota vita et substantia ecclesiae est in verbo Dei, cum ecclesia verbo Dei nascatur, alatur, servetur et roboretur (WA 7, 721). La Parola lo strumento con cui lo Spirito santo si raccoglie un popolo santo, perch essa santa e santifica. Dando maggior importanza ai credenti (congregatio fidelium) che alla dimensione istituzionale (institutio salutaris), sostenendo che la Chiesa si realizza l dove la Parola e i sacramenti sono posti in atto e non prevedendo un ordinamento ministeriale superiore al pastorato, ne consegue che per Lutero la realizzazione paradigmatica della Chiesa si attua a livello locale. Perci egli ascrive alla singola comunit la capacit di giudicare e di decidere senza bisogno di ricorrere ad unistanza superi ore (cfr. il breve scritto del 1523: Che una assemblea o comunit cristiana ha il diritto e il potere di giudicare tutte le dottrine, di nominare, istituire e deporre tutti i dottori (WA 11, 408-416). Lutero, inoltre, insegna che la Chiesa una realt nascosta. Essa infatti una realt spirituale, accessibile solo alla fede un articolo della fede: WA 50, 629,19; est autem talis congregatio Ecclesia, quam nisi Spiritus sanctus revelavit, humana ratio non potest apprehendere WA 39, II, 148, 21. Daltra parte, essa nascosta anche perch durante il suo pellegrinaggio terreno inestricabilmente unita alla falsa Chiesa (WA 51, 477, 30) infatti i papisti sono certamente nella Chiesa, ma non della Chiesa o membri della Chiesa (WA 505, 27, 30). Essa per non una realt evanescente: la Chiesa non soltanto una realt interiore, anche esteriore; non solo spirituale, anche corporea e materiale. Essa partecipa profondamente della condizione del Verbo incarnato, il quale rivela Dio sub contrario. Nel Cristo umiliato e schernito Dio rivela la sua potenza sotto lapparenza dellestrema debolezza; in lui, la stoltezza di Dio, si rivela la sapienza di Dio; in lui, abbandonato alla morte, Dio rivela e nasconde la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte. La chiesa, intesa come la comunit-comunione di tutti coloro che per

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Grande Catechismo, II, 3. articolo, in: BSLK, 656. In Wider Hans Worst i segni esterni sono pi numerosi: Parola, Battesimo, Sacramento dellaltare, chiavi, ministero ecclesiale, preghiera, croce, confessione, rispetto dellautorit, matrimonio (WA 51, 482, 17ss).

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la fede in Cristo sono giustificati (cio, partecipano della redenzione da lui operata), prolunga nel mondo lincarnazione del Verbo, riflettendo in tutto e per tutto il destino di Cristo. Lincarnazi one del Verbo, compresa alla luce della theologia crucis, perci la premessa tematica e per cos dire lambiente entro cui soltanto diventa comprensibile la realt della chiesa in Lutero. Lincarnazione e la redenzione costituiscono un ephapax che ha per una sua continuit nella chiesa, in particolare nella predicazione della Parola e nei sacramenti. Nella sua connessione col Verbum (increatum et incarnatum et vocale) la chiesa si configura come creatura Verbi et Spiritus sancti. Una buona sintesi della concezione luterana della Chiesa si ha nella Confessio Augustana (CA VII):
Allo stesso modo insegnano che la Chiesa una e santa sussister in perpetuo. Invero la Chiesa lassemblea dei santi (congregatio sanctorum) nella quale si insegna lEvangelo nella sua purezza (pure docetur) e si amministrano correttamente (recte administrantur) i sacramenti. E per la vera unit della Chiesa sufficiente laccordo sullinsegnamento dellEvangelo e sullamministrazione dei s acramenti. Lunit non esige che si tengano ovunque le medesime cerimonie, istituite dagli uomini43.

facile scorgere come la determinazione fondamentale della Chiesa sta nel riconoscimento che questa una realt permanente nella storia intera, una comunione dei fedeli, o dei santi. La Chiesa viene sufficientemente costituita, e lo nella sua essenza, nella sua unit e nella sua attualit, dalla parola e dal sacramento. Questo servizio viene affidato al ministero ecclesiale (CA 5) che appartiene ai segni esterni della Chiesa ed un suo elemento costitutivo, in quanto Dio e il Cristo lo hanno costituito mediante la missione affidata agli Apostoli perch eserciti lannuncio pubblico del Vangelo e lamministrazione dei sacramenti conformemente alla loro istituzione. Esso affidato pubblicamente dalla Chiesa e non pu essere assunto per iniziativa personale (CA 14); ha gradi diversi, anche se di diritto umano. Pertanto si vuole conservare il ministero episcopale (CA 28), il cui potere delle chiavi consiste appunto nel rendere un servizio alla parola e al sacramento. Espressamente si respinge la contaminazione del potere spirituale con quello terreno, si rifiuta la teoria delle due spade, si pone una chiara distinzione tra i due regni, governi e autorit, e si mira cos ad una decisa separazione tra imperium ed ecclesia. Inoltre si afferma che entrambi i ruoli ed autorit, in quanto massimi doni di Dio su questa terra devono essere tenuti in onore. Se i vescovi esercitano, o esercitavano una autorit terrena, questa deriva loro dai diritti degli imperatori e dei re il contrario di ci che pretendeva Bonifacio VIII. Con questa immagine di Chiesa, i riformatori non intendevano porsi al di fuori dellantica Chiesa, ma piuttosto realizzare tali tratti nella compagine ecclesiale es istente e quindi assolvere limpegno del rinnovamento procedendo dallorigine, dal nucleo e dal dato

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Confessio Augustana (versione tedesca), 1530, art. VII (BSLK, 61).

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principale: la Chiesa cristiana non consiste semplicemente in una comunione di cose e di segni esteriori, ma innanzitutto una comunione della fede e dello Spirito santo nel cuore dei fedeli. Essa il corpo di Cristo, che Cristo rinnova, santifica e governa col suo Spirito.
La Chiesa per non una societ costituita solo di segni e di riti esterni come le altre, ma principalmente comunione interiore dei beni eterni nel cuore, dello Spirito Santo, della fede, del timore e dellamore di Dio. La stessa Chiesa tuttavia ha dei segni esterni, dai quali la si riconosce, cio dove la parola di Dio annunciata rettamente e i sacramenti sono amministrati conformemente alla stessa parola, l vi sono i cristiani e la stessa Chiesa viene chiamata nella Scrittura Corpo di Cristo44.

Durante la lotta contro gli Schwrmer, Lutero si occup anche del problema del governo della Chiesa. Giunse alla soluzione, ritenuta provvisoria, che lautorit secolare, cristiana, la quale avesse professato una fede secondo i princpi della Riforma, dovesse assumere anche il governo dellapparato esteriore della Chiesa, e che i signori territoriali, in quanto membri ragguardevoli della Chiesa, dovessero garantire la cura religionis in qualit di vescovi provvisori. Questa disciplina trov la sua ultima e preoccupante articolazione nella pace religiosa di Augusta (1555): cuius regio, eius religio, o nella dizione originaria: ubi unus Dominus, ibi una sit religio. Si tratta di una regola che doveva instaurare una disciplina tra le diverse confessioni di fede presenti nelle regioni dellimpero, ma che non poteva certo soddisfare le esigenze di libert di coscienza cristiana. f) Con la concezione di fondo luterana della Chiesa concordano anche gli altri riformatori, specialmente Giovanni Calvino (1509-1564). Egli, appartenendo alla seconda generazione di riformatori, presenta, anche nella dottrina ecclesiologica, molti punti di contatto col pensiero di Lutero e giunge a una sintesi personale, rivelandosi miglior organizzatore di comunit rispetto al teologo sassone. I presupposti teologici operanti in Calvino sono i seguenti. (1) La concezione di Dio, in cui la trascendenza identificata con linsuperabile distanza e la libert con larbitrariet (nominalismo); la giustificazione per la misericordia di Dio, senza che luomo sia reso buono in s, la legge del rapporto tra il Creatore e la creatura; il soli Deo gloria non mero principio morale, ma metafisico, in quanto esprime lessere di Dio nella sua esclusivit45. (2) La dottrina della Provvidenza e della predestinazione. Calvino rifiuta il concetto di provvidenza universale per salvaguardare la trascendenza di Dio; luomo deve sottomettersi alla sovranit assoluta (= arbitraria) di Dio, anche se appare ingiusta; da qui una duplice predestinazione come atto della volont divina che determina coloro che si salvano e coloro che si dannano: praedesti-

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Apologia Confessionis (versione tedesca), 1531, art. VII (BSLK, 234s). CONGAR, Calvin, in Catholicisme II (Paris 1949) col. 413ss.

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nationem vocamus aeternum Dei decretum, quod apud se constitutum habuit quid de uno quoque homine fieri vellet. Non enim pari conditione creantur omnes: sed aliis vita aeterna, aliis damnatio aeterna praeordinatur46. (3) Si tratta della predestinazione di un popolo, di cui lelezione il momento intradivino, la vocazione ne la realizzazione nella storia; tale elezione/vocazione si realizza attraverso la predicazione del vangelo e lilluminazione dello Spirito; pur essendo predicato a tutti, pochi possono salvarsi, il che segno della gratuit della salvezza; la predestinazione vista nella volont di Dio e nella volont (colpevole) delluomo considerata da Calvino innanzitutto nel Cristo; Dio elegge luomo in Cristo, Dio vuole salvi coloro che sono chiamati, coloro che sono stati illuminati dal Cristo e dal Cristo sono stati introdotti nella Chiesa. Da qui, con laggiunta di un certo biblicismo, possibile scorgere gli elementi essenziali del lecclesiologia del riformatore svizzero e del suo seguito. (1) La Chiesa nata dalla Parola e luogo della Parola: il rapporto Parola/Chiesa fondamentale: il popolo di Dio la Chiesa ha fondamento, nascita e vita dalla volont di Dio di farsi conoscere e accogliere (lelezione/chiamata del popolo precede quella dellindividuo); lazione della Parola che fonda la Chiesa vista istituzionalizzata nella predicazione, pertanto egli intende la comunit come visibilizzazione della volont salvifica di Dio, la quale per pi ampia (in quanto la predicazione soltanto il mezzo ordinario). La forma visibile di questa Parola la predicazione del Cristo testimoniata dalla predicazione apostolica proseguita nel ministero stesso della predicazione, luogo e strumento in cui Dio continua oggi a fondare la sua Chiesa e a darle efficacia (fin dalla prima edizione dellIstituzione, la dottrina ecclesiologica cristocentrica e organica). Calvino chiama Chiesa gli uomini eletti, e anche gli uomini radunati ad accogliere la Parola; si tratta di due accentuazioni diverse: la prima basata sullatto trascendente e inconoscibile di Dio, la seconda basata sugli uomini radunati dalla Parola. Inoltre Calvino chiama Chiesa i mezzi di salvezza coi quali Dio ha deciso di radunare i suoi. (2) Chiesa visibile e Chiesa invisibile: per Calvino lelezione divina segreta e passa attraverso due fasi: la vocazione generale e la vocazione speciale. La vocazione generale vera offerta di grazia, ma tra coloro che sono chiamati, Dio sceglie alcuni nei quali questa chiamata diventa efficace: vocazione speciale. La vocazione generale lelezione a essere popolo di Dio, a essere Chiesa (visibile), mentre la vocazione speciale elezione a essere, nel suo popolo, il gruppo di coloro che appar-

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Christianae religionis Institutio III, 21, 5.

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tengono al Cristo, nei quali lelezione diviene efficace (Chiesa invisibile). Secondo questa visione vi sono tre gruppi di persone: a. gli uomini non eletti: i dannati; b. uomini a cui rivolta la predicazione e offerta la salvezza, ma non efficacemente: anchessi dannati; c. uomini chiamati ed eletti: i salvati; questi ultimi costituiscono, nella Chiesa (visibile), un piccolo gruppo (Chiesa invisibile). Non vi sono due chiese, ma ununica Chiesa spirituale nella Chiesa visibile, quella visibile non separabile da quella invisibile, anzi: le indispensabile per la salvezza. Sappiamo cos dov la Chiesa invisibile (Ovunque riscontriamo la Parola di Dio essere predicata con purezza e ascoltata, i sacramenti essere amministrati secondo listituzione di Cristo, non deve sussistere alcun dubbio che quivi sia la Chiesa), ma non possiamo sapere chi ne fa parte (Solo Cristo conosce i suoi)47. (3) La Chiesa corpo di Cristo: per Calvino la Chiesa corpo di Cristo, egli intende lunione cristiani/Cristo di natura incomprensibile, una mystica unio e chiama Ges Cristo nostro capo e primogenito di molti fratelli. Commentando Rm 12, Calvino chiama corpo di Cristo i fedeli nella comunit, dove ognuno ha un suo dono e ruolo. La Chiesa si presenta quindi visibilmente come comunione di doni e di ministeri. Ma queste espressioni (corpo di Cristo, inserimento in Cristo, corpo della Chiesa) vogliono dire, per Calvino, la stessa cosa soltanto quando si tratta della Chiesa invisibile, quella dei predestinati. (4) I limiti della Chiesa: nel suo Catechismo, Calvino vede i limiti della Chiesa nei suoi rapporti con il Regno di Dio: la Chiesa annuncia il Regno, ma essa non il Regno. La Chiesa limitata non solo dal Regno a venire di Dio, ma anche dal Regno presente di Cristo. La Chiesa limitata anche dallo Stato (che, secondo Rm 13, di istituzione divina). Ne conseguono alcune condizioni di vita della Chiesa: il suo governo spetta unicamente a Cristo, il suo compito specifico non consiste nel dire qual la vera filosofia o politica, bens essere la custode dellinteresse vitale del mondo, compiendo cos il ruolo specifico donatole da Dio. (5) Lordinamento della Chiesa determinato da una struttura che si articola secondo quattro ministeri: pastori, dottori, diaconi, anziani. A differenza della riforma luterana in Calvino il ministero ecclesiale assume unimportanza decisiva nellassicurare lo spazio in cui lannuncio del Vangelo possa compiersi in modo debito e lintera vita dei credenti si svolga in obbedienza alla volont di Dio. In questo modo la competenza e lautorit del ministero ecclesiale tendono a dilatarsi al di l dellambito della predicazione e dei sacramenti per comprendere linsieme della vita della comunit sottoposta allesercizio della disciplina ecclesiale.

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Christianae religionis Institutio IV, 1, 9.

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Lo schema ecclesiologico calvinista sembra pi chiaro e completo rispetto a quello luterano: meno medievale di Lutero, meno realista nelle sue posizioni sacramentarie, Calvino fonda certamente meglio il valore cristiano e la consistenza propria dellordine visibile della Chiesa. Inoltre, egli stato pi di Lutero un organizzatore di Chiesa. Di fronte alla Tradizione cattolica, sia orientale sia latina, rimane per una grave questione, che esige una risposta senza ambiguit. Si tratta di sapere se si prende sul serio lunione al Cristo storico come causa di salvezza per gli uomini []. Il protestantesimo costantemente incline ad attribuire al cristianesimo uno stato profetico, che comporta cio degli atti di Dio che, per rimanere veramente di Dio e liberi, siano privi di nesso con le operazioni umane ed ecclesiali48. g) Nessun avvenimento nel corso della storia ha provocato la cristianit nel suo insieme pi della Riforma. Come risultato finale abbiamo delle Chiese separate in confessioni, che contrapponevano altare ad altare e che credevano di poter realizzare soltanto in questo modo ci che stava loro a cuore: il rinnovamento della Chiesa secondo la sua origine, natura, vocazione ed immagine vera. Tale conclusione contrasta apertamente contro i propositi iniziali. Non si fu in grado di conciliare i moti impetuosi e contrari originati dalla Riforma e di integrarli in un insieme pi vasto. Da quello che allinizio sembrava provvisorio si pass ad uno status; ci che aveva un carattere regolativo assunse un tratto costitutivo. Ne derivarono le confessioni, separate nel dato di fede cristiana. La prima conseguenza fu che ogni confessione si caratterizzava proprio in ci che la differenziava dallaltra. Una confessione era la negazione dellaltra. Questo condusse ad una seconda conseguenza, cio che i tratti comuni presenti nelle diverse confessioni, non emersero pi sufficientemente a livello di coscienza, ma vennero sempre pi repressi. Cattolico non poteva pi significare riformatore, n riformatore cattolico. In questa situazione il reciproco accostamento era caratterizzato dallasprezza e dalla polemica, dallostilit oggettiva e personale, o almeno dalla controversia. Ci per signific pure che si ins egnava e si imparava il catechismo luno contro laltro, che i contrasti venivano acutizzati, il pi po ssibile ingigantiti, al fine di articolare come si diceva la verit nei termini pi chiari e cos motivare il diritto, lobbligo e la necessit della separazione. Una terza conseguenza, forse la pi radicale, sta nella comprensione sacramentale della chiesa, ossia nel ruolo che essa proprio in quanto istituzione svolge nella comunicazione della salvezza (non a caso questa differenza emerge in modo evidente nella diversa comprensione del ministero

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Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa (Milano: Jaca Book, 19942) 332-333.

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ordinato e del significato che ad esso spetta nella celebrazione dei sacramenti): semplificando un po i termini si potrebbe dire che la teologia protestante in genere, mentre accetta che il sacramento e la realt istituzionale della Chiesa siano un segno della grazia, tende a problematizzare la loro funzione di strumento effettivo della comunicazione della grazia: ci recherebbe pregiudizio alla trascendenza e alla libert di Dio e luomo diverrebbe padrone di Dio e della sua parola. Frutto di salvezza e mezzo di salvezza tendono a separarsi irrimediabilmente, per non correre il pericolo di dimenticare il carattere totalmente divino, gratuito e incondizionato del dono della salvezza e di vincolare la comunicazione di questo dono a mediazioni e condizioni inaccettabili. Lelemento discriminante di per s quindi non tanto il fatto che la Chiesa sia strumento nella comunicazione della salvezza, ma la natura di tale strumentalit. La tradizione cattolica accentua il carattere attivo della strumentalit ecclesiale, cos che ad es. Karl Rahner pu affermare che la Chiesa attua se stessa nella celebrazione dei sacramenti. La teologia evangelica invece pu riconoscere una strumentalit della chiesa nellannuncio della Parola e nella celebrazione dei sacramenti, ma, alla luce della do ttrina della giustificazione per la fede, le attribuisce un carattere passivo49. Una quarta conseguenza emerge dal confrontarsi di due posizioni ecclesiologiche di fondo sul rapporto Scrittura e Chiesa. La norma della fede dei fedeli la tradizione o la testimonianza della Chiesa, di cui il corpo episcopale il custode, tradizione e testimonianza che si riferiscono al testo fondamentale e normativo delle Sacre Scritture, oppure questa norma linterpretazione diretta e personale di un testo che si potrebbe conservare e leggere al di fuori della tradizione della Chiesa? Se cos fosse, ognuno potrebbe, come Lutero, senza missione e motu proprio, autonominarsi predicatore di una nuova dottrina. Come Johann Adam Mhler noter, non esiste fondatore di sette (o eretico) che non abbia avuto la pretesa di giustificare la sua posizione coi testi della Bibbia. Perci lappello alla Scrittura necessariamente un appello a una certa lettura o interpretazione della Scrittura, e dunque, finalmente, un appello ai dottori50.

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ANDR BIRMEL individua qui la differenza fondamentale tra lecclesiologia cattolica e quella protestante: Alla sc operta riformatrice della giustificazione per la sola fede corrisponde nellecclesiologia che solo il Vangelo predicato (e non la Chiesa) d al credente certezza di salvezza. La Chiesa e il suo ministero non hanno alcuna funzione mediatrice (Vermittlung) che superi la semplice comunicazione (Mitteilung) del Vangelo liberatore. Lecclesiologia luterana co ntemporanea , su questo punto, erede fedele della teologia del Riformatore Laffermazione della giustificazione per la sola fede nella teologia luterana ha come corollario necessario laffermazione di una strumentalit soteriologicamente passiva della Chiesa: A. BIRMEL, Le salut en Jsus Christ dans les dialogues oecumniques (Paris Genve: Cerf Labor et Fides, 1986) 246.250. 50 CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa, op. cit., 394-395; cfr. J.A. MHLER, Simbolica (Milano 1984) 39.42.

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2.3.3. Lecclesiologia polemica e apologetica della Controriforma a) Questo stato di cose provoc nella Chiesa cattolica una risposta e reazione: la controriforma e il rinnovamento cattolico. Bisognerebbe scrivere la storia, illustrare il decorso e i risultati del concilio di Trento (1545-1563), il quale venne troppo tardi e quindi non fu pi in grado di arrestare la separazione, ma soltanto di registrarla e di opporre una chiara e distanziata risposta cattolica ai novatores. Il concilio si era prefisso come compito quello di debellare gli errori e conservare la purezza del vangelo (DzH 1501). Nelle sue sessioni non affront, in un trattato, il tema della Chiesa il papato temeva troppo rigurgiti di conciliarismo per metterlo allordine del giorno , tuttavia discusse alcune tematiche importanti per lecclesiologia: il problema dei rapporti fra Scrittura e Tradizione; il problema della Scrittura nella Chiesa in riferimento allinterpretazione della Bibbia ed allindividuazione del senso scritturistico; la dottrina della giustificazione nelle sue diverse implicazioni: santificazione, fede, opere, merito; la questione dei sacramenti, del loro numero ed istituzione; il problema delleucaristia con le sue componenti: transustanziazione, carattere sacrificale della messa, ordinazione e sacerdozio, differenza tra sacerdoti e laici; il problema della gerarchia; la dottrina sui santi, sul purgatorio e sulle indulgenze. Sono per da notare tre punti espressamente ecclesiologici: 1) il dibattito sullepiscopato che si concentr sullorigine della giurisdizione episcopale: proveniva immediatamente dal Cristo o derivava dal papa? La questione non venne risolta per mancanza di unanimit ; 2) lidea di concilio pur rifiutando le tendenze conciliariste, non si impose la concezione puramente monarchica (Gaetano) di un concilio che riceveva tutta la sua autorit dal papa: in effetti i decreti di Trento sono decreti del concilio, non del papa con lapprovazione del concilio; anche se il presidente chiuse il concilio facendo approvare ai Padri una richiesta di conferma da parte del papa (COD 799) ; 3) la messa in opera di un apparato e linizio di un regime centralista il XVI secolo segna la fine della cristianit; di fronte e al di sopra delle nazionalit, la Chiesa cattolica realizza ununit specifica, puramente religiosa, con il suo diritto, il suo ordine, le sue strutture e i suoi servizi; ne consegue anche una vera e propria centralizzazione. Non a caso, Trento affermando che il Cristo non unicamente redentore, ma anche legislatore (DzH 1571 e 1620), ha favorito in tal modo la costruzione dellordine gerarchico, non attorno allEucaristia, ma secondo il regimen, di cui Roma occupa il centro e la sommit e ha aperto per lecclesiologia teorica unera di giuridismo. C os nella professione di fede tridentina (13 novembre 1564) possiamo leggere in sintesi: Io riconosco la Chiesa santa, cattolica, apostolica e romana come madre e maestra di tutte le Chiese; prometto e giuro obbedienza al papa di Roma, successore di san Pietro, principe degli apostoli e vicario di Ges Cristo (DzH 1868). 202

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In queste direttrici ed accenti si delinea limmagine di Chiesa che si voleva realizzare allora e nel periodo post-tridentino. Emerge un profilo controriformistico della Chiesa intesa come la custode di una fede vera e contenutisticamente intatta. Si tratta di una caratterizzazione della Chiesa mediante i sacramenti, in specie leucaristia, che viene intesa e celebrata come vero sacrificio. la determinazione della Chiesa per mezzo della gerarchia, del ministero, del sacerdozio, della sua autorit che si fonda sullordinazione, del suo potere specifico ed esclusivo in merito alla celebrazione della messa e allamministrazione del sacramento della penitenza, della sua distinzione essenziale dal sacerdozio dei laici, dellarticolazione della visibilit e percepibilit della Chiesa che trova il suo vertice e la caratterizzazione pi chiara nel papato, nella rappresentazione concreta del termine communio sanctorum nella forma della venerazione dei santi, e infine del grande onore dovuto alla Tradizione ed alle tradizioni. Passano invece in seconda linea quelle realt ecclesiali che i riformatori, anche in modo non polemico, avevano sottolineato: la parola di Dio, lecclesia abscondita, la Scrittura intesa come istanza critica nei confronti della Tradizione, la theologia crucis, il sacerdozio dei battezzati. b) Di fronte ai sommovimenti socio-culturali ed alla contestazione protestante, la distinzione fra i pastori ed il gregge, o fra il clero e i laici, tende a diventare quasi una contrapposizione naturale in base a cui viene pensata ed organizzata la vita ecclesiale. I laici rischiano di essere considerati come non cristiani, in quanto troppo esposti allinflusso negativo di quella societ che rivendica la propria autonomia e costruisce la vita associata quasi prescindendo dallo spirituale-ecclesiastico; per cui la Chiesa sempre pi assimilata al clero e lazione pastorale pogger sempre pi sul clero come unico soggetto attivo a fronte di un gregge oggetto o destinatario passivo della sua cura pastorale. Non stupisce che, in questottica, uno dei provvedimenti pi efficaci della Controriforma sia la creazione dei seminari quali istituti specializzati per la formazione del clero: nella prospettiva propria del Concilio di Trento, lesaltazione del sacerdozio e la cura della formazione dei sacerdoti sono la risposta pratica alla contestazione protestante del sacerdozio cattolico e alla negazione del primato dello spirituale-ecclesiastico da parte della societ. Il Bellarmino, strenuo sostenitore dellidea di Chiesa societas perfecta, non esita ad affermare:
Da qui [dalletimologia: las, popolo; klros, porzione o eredit] sono cos denominati i laici: come dire i plebei e gli appartenenti al popolo, ai quali non stata affidata alcuna parte della funzione ecclesiastica. Clero, per contro, si usa quasi ad indicarlo come appannaggio ed eredit del Signore, chierici poi si dicono quelli che, consacrati al culto divino, si sono addossati, per ordine di Dio stesso, la responsabilit e la preoccupazione di amministrare la religione e le cose sacre51.

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R. BELLARMINO, De Membris Ecclesiae Militantis, I, De Clericis, in ID., Opera omnia, II (Neapolis 1857) 449.

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Al di l della problematica teologica connessa alla potestas del ministro ed alla realt sacramentale dellordinazione, la distinzione-separazione tra clero e laicato tende ad apparire quasi come costitutiva dellessere della Chiesa, in quanto questa concepita come un sistema ierocratico che si struttura e si organizza in base ad una rigida e netta separazione di sacro e profano. La sovradeterminazione del prete e la crescente sua autonomia rispetto allinsieme dei fedeli sono a un tempo causa ed effetto di questa logica della differenza. A partire da essa si precisa si costruisce e si legittima simbolicamente lidentit del prete-pastore: come chierico, e cio dotto, ha una visione dotta del mistero cristiano, in contrasto con le espressioni popolari ritenute superstiziose o paganeggianti; come clerico e cio clero, eletto, e la sua vocazione diventa lunica vocazione, che esige una rottura anche di stile di vita con chi non gode del privilegio di una simile chiamata. Nella pratica pastorale questa logica consente al clero di personificare il collettivo e di rappresentare lintera Chiesa: la categoria degli ecclesiastici lunico vero soggetto della Chiesa e dellazione pastorale, in grado di risolvere ed assorbire in s linsieme della Chiesa e quindi di esigere un rapporto di s ubordinazione e di sottomissione da parte del gregge e dei semplici fedeli. La riforma del clero iniziata dal concilio di Trento e via via attuata come automatica riforma della Chiesa propone un modello di vita sacerdotale quale vita autonoma e separata che il clero deve assumere come suo progetto di vita; in quanto testimone ed artefice dellautentica vita cristiana e come amministratore esclusivo della comunicazione del sacro, la sua identit e la legittimit del suo operare dipendono dallappropriazione ed attuazione del modello. La sua superiorit rispetto ai semplici fedeli e la distanza da essi, sia nella vita quotidiana che nel modo di pensare, appaiono richieste, pi che dalla volont di dominio, dalla necessit di affermare la mediazione della Chiesa che deve respingere dottrine e prassi giudicate lesive dellistituzione stessa. Allazzeramento della specificit dei religiosi e dei preti nella Riforma che accomuna ogni sorta di vocazione, la Controriforma risponde esaltandone la specificit, fin quasi a dimenticare che nellambito della fede ci che proprio non esclusivo e tantomeno monopolio riservato. Si attua cos un processo di elevazioneclaustrazione-recinzione sacra del clero che esige la sua separatezza rispetto ai fedeli e che comporta una scissione della religione, suo patrimonio, rispetto ai diversi aspetti della vita. La teologia, ormai scienza del clero pi che della fede del popolo cristiano, finalizzata alla formazione del clero e si esercita allinterno delle mura sacre, quelle degli istituti ecclesiastici, estranea alla cultura ambiente. Ma il processo ben pi vasto: ad esempio ledificio chiesa diventa sem pre pi sacro e, al suo interno, si crea uno spazio riservato ancor pi sacro, delimitato dalla balaustra. Lestetica liturgica si fa ieratica, la majestas del luogo e della celebrazione esige uno stile regale e i segni di un alto prestigio sociale. Lascesi del prete imperniata sul trascendimento della quotidia204

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nit e sul superamento delle apparenze legate alla vita quotidiana: uno stile di vita sublime, extraquotidiano, straordinario, anche se poi nella pratica del sacerdozio la diversit sfumata ed al prete si consente di svolgere i pi diversi mestieri. La spiritualit sacerdotale si richiama sempre pi ai nuovi ordini religiosi, come i Gesuiti e i Teatini, e il ministero sacerdotale viene sempre pi assimilato allo stato di perfezione e vissuto come unica ed esclusiva forma di ministerialit. Limmediata identificazione del prete con Cristo (sacerdos alter Christus) fa del prete un super-cristiano, da cui dipende, secondo la tradizione sulpiziana (Olier, Tronson), tutta la vita della Chiesa: egli il pastore di un gregge a lui affidato come oggetto della sua cura, di cui ha la rappresentanza ufficiale e su cui ha la potest piena che gli deriva, sulla scia della spiritualit dellcole franaise, dalla sua potest su Dio stesso. Ritroviamo leco di questa concezione nelle prediche fatte in occasione delle prime messe. Esemplare quanto scrive il cardinale Katschthaler, arcivescovo di Salisburgo, in una lettera pastorale del 1905:
Voi sapete, carissimi, che il sacerdote cattolico ha il potere di rimettere i peccati Per questo scopo e per questo momento Dio ha conferito la sua onnipotenza al suo rappresentante sulla terra, al sacerdote autorizzato Dov in cielo un simile potere? Cristo, lunigenito Figlio di Dio P adre, grazie al quale sono stati creati il cielo e la terra e che porta lintero universo cattolico, si trova in questo caso soggetto al volere del sacerdote cattolico52.

Nella misura in cui la clericalizzazione pi spinta, fino a fare del prete un cristiano a parte, ne consegue la sottomissione del gregge ritenuto passivo, minore det, gregario, la cui vita deve essere regolata fin nei dettagli secondo la prospettiva clericale. Lassolutezza del clero, e rispettivamente della religione della Chiesa e della coscienza cristiana, dunque allorigine della dipendenza del laico e della tendenziale separazione tra fede e vita, tra Chiesa ed esistenza personale, e pi in generale, fra coscienza cristiana e realt storica. In una sorta di circolo vizioso pi si accentua tale assolutezza pi si estende il processo di secolarizzazione, per cui il clero tende ad isolarsi e a proteggersi come ceto che vive un particolare stile di vita in un milieu particolare, che elabora una cultura particolare e pretende di essere lunico soggetto attivo dellopera del regno di Dio. Se lesaltazione del sacerdozio e la concentrazione nelle mani del sacerdote della complessiva realt ecclesiale sono in gran parte dovute allo spirito controversistico, come difesa ad oltranza della mediazione ecclesiale spesso massimalisticamente contestata, sembra pure possibile scorgere in questo processo di differenziazione-separazione del clero una certa congruenza od affinit con levoluzione socio-culturale che tende a rimarcare le differenze di vario genere allinterno del complessivo siste-

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La citazione si trova in G. SIEFER, , Der Priest, ein geweihter Mensch?, in Diakonia 2 (1969) 133 n. 21.

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ma societario. Basti accennare alla divaricazione che viene a crearsi tra la cultura scritta ed erudita da un lato e la cultura orale e tradizionale dallaltro, al distacco della nascente borghesia dalle masse rurali, alla scissione fra compiti direttivi e compiti esecutivi tra gli agenti dei processi produttivi e allinterno della vita politica. Non sembrano dunque affatto estranee alla dinamica sociale la trasformazione della teologia in sapere specialistico, la codificazione rigorosa e minuziosa della dottrina e del culto, la centralizzazione della vita ecclesiale, la considerazione aristocratica degli ecclesiastici, la divisione fra la componente attiva e quella passiva allinterno della Chiesa. Anche i diversi e numerosi movimenti spirituali dalle confraternite ai terzordini, dai begardi e dalle beghine alle diverse congregazioni sembrano partecipare della stessa logica dello spazio proprio, del recinto particolare, anche quando evidente lintenzione di superare lopacit della Chiesa clericale: la vita in comune tende spesso ad essere come una riduzione, un microcosmo ispirato da un lato a una perduta genuinit religiosa e dallaltro lato allimmagine escatologica o apocalittica della nuova Gerusalemme. Anche in questi casi, se lintento di ricreare una vita religiosa pi unitaria e pi autentica, la pratica spesso risponde alla logica dellautonomizzazione e della particolarit, con un accresciuto distacco dalla realt socio-culturale e dalla comune vita dei semplici fedeli, come se fosse ormai impossibile vivere in modo attendibile e significativo la vita cristiana nelle comuni condizioni di vita. c) Lespressione pi lucida di questa ecclesiologia la troviamo espressa nelle Disputationes de controversiis christianae fidei di Roberto Bellarmino, il quale svilupp e concentr lecclesiologia proprio nei punti controversi e contro i quali si era indirizzato lattacco dei riformatori, attento cos a sottolineare al massimo le mediazioni visibili ed istituzionali della comunit ecclesiale in alternativa allinvisibilismo, attribuito ai Riformatori53. Egli individua cinque fraintendimenti possibili dellidea di Chiesa: il primo quello che risolve lecclesiologia in teologia, concependo la Chiesa come comunit degli eletti (congregatio praedestinatorum), totalmente dipendente dallarbitrio assoluto di Dio54. Il secondo costituito dalla visione pelagiana, che trasforma lecclesiologia in antropologia, identificando la Chiesa con la comu-

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Cfr. A. ANTN, El misterio de la Iglesia. Evolucion historica de las ideas eclesiologicas I (Madrid Toledo: BAC, 1986) 879-893; CONGAR, Lglise de saint Augustin lpoque moderne , cit., 369ss. Del Bellarmino cfr. specialmente le Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos (Controversiae) (1586-1593) (Ingolstadt 1601) t. II: Prima Controversia generalis, liber III: De Ecclesia militante, caput II: De definitione Ecclesiae. 54 De re ipsa quinque sunt haereticae sententiae. Prima, quod Ecclesia sit praedestinatorum congregatio, ita ut soli et omnes praedestinati sint de Ecclesia. Ita Johannes Wiclef, Johannes Huss: ibid., 74.

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nit dei perfetti, che grazie alle loro capacit e ai loro meriti ne sono i soli veri membri55. Il terzo fraintendimento attribuito dal Bellarmino a Novaziano e ai Donatisti si avvicina al precedente, restringendo per lesigenza di perfezione al mantenimento della fede pura, e comprendendo di conseguenza giusti e peccatori nella comunit ecclesiale fino al momento in cui non abbandonino la vera dottrina56. In queste tre impostazioni il monofisismo ecclesiologico ad emergere, la riduzione, cio, della complessa tensione fra lumano e il divino, che costituisce la Chiesa, a una sola delle due nature del mistero ecclesiale, o nel senso dellassorbimento dellumano nel divino, o in quello contrario della risoluzione del divino nelle sole possibilit umane. Gli ultimi due fraintendimenti segnalati dal Bellarmino richiamano invece una sorta di nestorianesimo ecclesiologico, e cio di separazione netta fra la componente umana e quella divina della Chiesa, unite al pi in un accordo morale fondato sulla fede. Il penultimo quello caratt eristico dellecclesiologia dualista, che Bellarmino attribuisce ai Riformatori, per i quali la realt ecclesiale sarebbe sdoppiata nella contrapposizione fra una Chiesa invisibile, costituita dalla congregatio sanctorum di quanti credono e obbediscono a Dio, nota solo agli occhi dellEterno, ed una Chiesa esterna, riconoscibile dalla professione dellunico Credo e dalla partecipazione ai medesimi sacramenti, comprendente giusti e peccatori57. Il quinto ed ultimo fraintendimento caratterizzato parimenti dal dualismo ecclesiologico ed attribuito a Calvino separa la Chiesa dei predestinati, eletta da Dio e solo a Lui nota, da quella visibile, in nulla garantita da Lui e risolta in pura forma antropologica: si mescolano qui tanto la riduzione teologica, quanto quella antropologica dellecclesiologia58. Contro questa complessa rete di equivoci, Bellarmino intende affermare lunicit e loggettivit del dono di Dio, che costituisce la Chiesa: egli afferma perci che la Chiesa una sola, non due, e unica e vera la comunit degli uomini raccolti mediante la professione della vera fede, la comunione degli stessi sacramenti, sotto il governo dei legittimi pastori e principalmente dellunico vicario di

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Secunda, quod Ecclesia sit hominum perfectorum nullum peccatum habentium multitudo: ibid. Tertia, quod Ecclesia sit justorum congregatio, seu potius eorum, qui numquam lapsi sunt circa fidei confessionem: ibid. 57 Ipsi duas Ecclesias fingunt. Unam veram et ad quam pertinent privilegia, quae narrantur in Scripturis, et hanc esse sanctorum congregationem, qui vere credunt, et oboediunt Deo, et hanc non esse visibilem, nisi oculis fidei. Alteram externam quae nomine tantum est Ecclesia, et hanc esse congregationem hominum convenientium in doctrina fidei, et usu sacramentorum et in hac bonos et malos inveniri: ibid. 58 Quinta sententia est quasi conflata ex omnibus istis. Docet enim Ecclesiam constare ex solis justis praedestinatis. Ita Calvinus, qui tria docet. Primo, fidem semel habitam, numquam in aeternum perdi posse, et proinde omnem, qui habet fidem, necessario esse praedestinatum Secundo docet, veram Ecclesiam a solo Deo cognosci posse, ejusque fund amentum esse divinam electionem Tertio docet, esse praeterea quandam Ecclesiam externa m, in qua sint boni et mali: ibid., 75.

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Cristo sulla terra, il romano pontefice59. Ci che Bellarmino vuole rifiutare ogni separazione di visibile ed invisibile nella Chiesa, quasi che il divino e lumano possano incontrarsi solo per uniniziativa di Dio che escluda ogni attiva partecipazione delluomo, o al contrario per un protagonismo umano che non faccia spazio ad alcun intervento dallalto. Nel primo caso la Chiesa sarebbe la comunit invisibile dei predestinati, nel secondo quella visibile dei perfetti. In realt, nella coerenza con la logica dellincarnazione, la Chiesa altrettanto visibile quanto lo la missione del Figlio e lappartenenza ad essa si misura sulloggettiva esperienza del dono di Dio:
Perch qualcuno possa essere dichiarato membro di questa vera Chiesa, di cui parlano le Scritture, noi non pensiamo che sia da lui richiesta alcuna virt interiore. Basta la professione esteriore della fede e della comunione dei sacramenti, cose che il senso stesso pu constatare. La Chiesa infatti una comunit di uomini cos visibile e palpabile come la comunit del popolo romano, o il regno di Francia, o la repubblica di Venezia60.

Si avverte in queste parole linfluenza dello spirito del secolo in cui oper Bellarmino: La mental it barocca richiedeva che il soprannaturale fosse il pi manifesto possibile e la teologia del tempo tentava di ridurre ogni cosa a idee chiare e distinte61. La caratteristica di questa definizione linsistenza sullinseparabilit dellelemento umano e di quello divino nella Chiesa, motivata da un intento doppiamente polemico, contro ogni monofisismo e contro ogni nestorianesimo ecclesiologico. Qui sta il permanente contenuto di verit della sintesi bellarminiana: Lecclesiologia della separazione (nestorianesimo ecclesiologico) appare nel tentativo di dividere la Chiesa visibile da quella invisibile cio la Chiesa del diritto dalla Chiesa dellamore o anche semplicemente in un naturalismo volgare che considera la Chiesa come una semplice istituzione umana. Lecclesiologia della mescolanza (monofisismo ecclesiologico) si mostra nella tendenza a considerare la Chiesa come un fenomeno puramente divino, nel quale luomo viene assorbito62. In quanto si oppone a entrambi questi poli, si fa un torto a Bellarmino se, basandosi sulla preponderanza dellaspetto esteriore e giuridico della Chiesa rilevabile dalla sua definizione, si vuole vedere in lui un miscono-

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Nostra autem sententia est Ecclesiam unam tantum esse, non duas, et illam unam et veram esse coetum hominum ejusdem christianae fidei professione, et eorundem sacramentorum communione colligatum, sub regimine legitimorum pastorum, ac praecipue unius Christi in terris vicarii romani pontificis: ibid. 60 Ut aliquis aliquo modo dici possit pars verae Ecclesiae, de qua Scripturae loquuntur, non putamus requiri ullam internam virtutem, sed tantum externam professionem fidei, et sacramentorum communionem, quae sensu ipso percipitur. Ecclesia enim est coetus hominum ita visibilis et palpabilis, ut est coetus populi romani, vel regnum Galliae, aut respublica Venetorum: ibid. 61 A. DULLES, Models of the Church (New York: Image Books Doubleday, 19872) 16. 62 H. MHLEN, Una Mystica Persona. La Chiesa come il mistero dello Spirito Santo in Cristo e nei cristiani: una persona in molte persone (Roma: Citt Nuova, 1968) 690.

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scimento dellessenza pneumatica della Chiesa63. Resta vero tuttavia che laccento posto soprattutto sul rifiuto della concezione attribuita alla Riforma, e perci sulla continuit fra il mistero dellIncarnazione e la realt storica della Chiesa, oltre che sulla visibilit e verificabilit empirica di una tale continuit. A questa esigenza risponde il modo in cui la struttura visibile della Chiesa viene concepita, perch sia storicamente riconoscibile: il tutto che la Chiesa, unito dalla fede unica e dagli stessi sacramenti, si presenta articolato in parti o porzioni, collegate fra loro al vertice, cio sotto la guida del Capo visibile della comunit ecclesiale, il Vescovo di Roma. La potest dei vescovi locali proviene dal Papa e quindi non una realt sacramentale; daltra parte Bellarmino ins egna che ritenerli solo dei luogotenenti del Pastore universale una vera e propria eresia64. Inoltre, pur affermando la primazia del potere spirituale su quello temporale, egli insegna che lautorit spirituale non gode di un potere diretto sulle cose temporali, bens solo di un potere indiretto (dottrina che resister fino al Vaticano II) che pu giungere, in casi limite, fino a sospendere o a ritirare la sua autorit a un sovrano che viola i diritti dello spirituale, ma non permette neppure in questo caso allautorit spirituale, fosse anche quella del Papa, di sostituirsi a lui e nemmeno di sostituirgli un altro che non sia il regolare successore della sua legittima autorit65. Data questa definizione della Chiesa, egli risolve anche la questione della sua appartenenza:
Da questa definizione si comprende facilmente chi appartiene alla chiesa e chi non appartiene ad essa. Tre, infatti, sono le parti di questa definizione: la professione della vera fede, la comunione dei sacramenti e la sottomissione al legittimo pastore, il Romano Pontefice. A motivo della prima parte sono esclusi tutti gli infedeli: sia quelli che mai sono stati nella chiesa, come i giudei, i turchi e i pagani, sia quelli che sono stati in essa e poi si sono da essa allontanati, come gli eretici e gli apostati. A motivo della seconda parte, sono esclusi i catecumeni e gli scomunicati, perch i primi non sono ammessi ai sacramenti e gli altri ne sono esclusi. A motivo della terza parte sono esclusi gli scismatici, i quali hanno la fede e i sacramenti, ma non sono sottomessi al legittimo pastore []. Sono inclusi invece tutti gli altri, anche se sono reprobi, delinquenti ed empi.

Il Bellarmino conosce per anche una definizione teologica della Chiesa: la Chiesa un corpo vivente composto di unanima e un corpo. Lanima sono i doni dello Spirito santo, le virt teologali; il corpo sono la professione esterna della fede e la comunicazione dei sacramenti. Accade cos che alcuni appartengano allanima e al corpo della chiesa (i membri vivi per la fede e la carit), altri appartengano allanima e non al corpo, come i catecumeni e gli scomunicati se, come pu avvenire, hanno la fede e la carit, e altri appartengano al corpo ma non allanima della chiesa, come quelli

63 64

Ibid., 6. Controversia de Summo Pontifice, lib. II, cap. XXXI; ed. VIVES, Opera omnia, t. I, 1870, p. 614. 65 Op. cit., lib. V, cc. vi e vii; ibid., t. 2, pp. 155ss.

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che non hanno nessuna virt interiore, e tuttavia per speranza o per qualche timore temporale professano la fede e partecipano ai sacramenti sotto il governo dei pastori; essi sono come i capelli o le unghie o i cattivi umori del corpo umano66. La teologia della Chiesa diventa con Bellarmino una apologetica della Chiesa. Questa si definisce e si costituisce secondo le notae. Egli ne enumera diciotto, pi tardi ridotte a quattro, ossia quelle che il simbolo confessava come propriet essenziali della Chiesa e che ora diventano note distintive. Esse devono offrire una prova argomentativa, dimostrare quale, tra quelle chiese che accampano la pretesa di essere la vera Chiesa di Ges Cristo, effettivamente soddisfi ai requisiti necessari. Nella demonstratio catholica, questa prova devessere prodotta nella forma di un preciso sillogismo. Questa concezione non , peraltro, che lestremo frutto di una serie di reazioni successive: contro il regalismo, tendente a subordinare il potere spirituale a quello temporale, si era sviluppata la teologia dei poteri gerarchici e della Chiesa come regno organizzato (Egidio Romano, ad esempio); contro le teorie conciliari, che subordinavano il ministero del Papa allautorit del Concilio, si era accentuato il ruolo del primato papale; contro lo spiritualismo di Wyclif e di Hus la dimensione ecclesiastica e sociale del cristianesimo; contro la Riforma, si era voluto riaffermare il valore obiettivo dei mezzi di grazia, specie dei sacramenti e del ministero gerarchico. Anche dopo la sistemazione bellarminiana la concezione visibilista e giuridica della Chiesa verr ulteriormente marcata sotto lo stimolo di nuove reazioni: contro il giansenismo, pi o meno legato al gallicanismo episcopale e regalista, che tendeva a valorizzare le Chiese nazionali, saranno ribaditi i poteri del centralismo romano; contro il laicismo e lassolutismo statale del XIX secolo si insister sulla Chiesa come societ perfetta (societas perfecta), dotata di diritti e di mezzi propri e sufficienti; contro il modernismo, infine, si avr laffermazione vigorosa delle prerogative della Chiesa docente. Linsistenza su un solo aspetto della Chiesa quello esterno e giuridico comporter il pericolo di smarrire lequilibrio, ancora custodito nella sintesi del Bellarmino: Nellepoca immediatamente seguente, in cui domin il pensiero deistico dellIlluminismo, questa particolare esposizione del mistero della Chiesa scivol in uno spaventoso naturalismo, soprattutto nella teologia pratica Lumano si fa cos predominante nella coscienza, che il divino viene trascurato o non viene affatto preso in considerazione67.

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Notiamo che Bellarmino pur riferendosi al Breviculus collationis, cap. III, di Agostino una citazione che gli storici non sono mai riusciti a rintracciare , modifica sensibilmente la dottrina agostiniana, secondo cui non si doveva distinguere nella Chiesa unanima e un corpo, ma si doveva distinguere la modalit di appartenervi del singolo fedele: o col cuore o solo col corpo. 67 H. MHLEN, Una Mystica Persona, op. cit., 6.

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d) Si gi parlato dellimpoverimento che la riflessione sulla Chiesa e la rappresentazione della realt ecclesiale hanno subito a causa di queste restrizioni apologetiche, allora intese come determinazioni essenziali. Si preso come teologia De Ecclesia quello che era soltanto un capitolo polemico sui punti controversi68. In questa prospettiva la Chiesa cattolica, la Chiesa di Ges Cristo, venne con tutta naturalezza identificata semplicemente ed esclusivamente con la Chiesa cattolico-romana. Facendo leva sulla demonstratio catholica e sul carattere di esclusivit che essa implica, si negava la qualit di Chiesa alle altre confessioni. Queste, dal canto loro, contribuivano al rafforzarsi di tale tendenza, dato che, in parte, rinunciavano al termine Chiesa e, dopo un rifiuto iniziale, concessero lappellativo di cattolica alla Chiesa di Roma; questultima poi, ormai caratterizzata come cattolico-romana, trasform la qualifica di cattolica in una nota confessionale. A tale mutamento non si opposero le altre confessioni, che si affermavano come riformate o luterane69. La Chiesa, che a questo modo si identificava con la vera Chiesa, con la Chiesa di Ges Cristo questo un secondo passo nel processo di restrizione venne interpretata come Chiesa pontificia perch, come gi abbiamo detto, qui il papa e il papato costituivano la dimensione essenziale ed allo stesso tempo laspetto pi combattuto da parte dei riformatori. Questa Chiesa, che sintende come Chiesa gerarchica, romana e pontificia e che conformemente si struttura, viene bollata dalle altre confessioni proprio con tali appellativi. E cos si credette di aver proferito anche un giudizio teologico su di essa, una valutazione che giustificava la specificit della propria confessione e che vedeva nella frantumazione dellunica Chiesa un imperativo promanante dalla verit e dalla fede. Una volta accettato laccoppiamento di romano con cattolico, allinterno dellecclesiologia cattolica la romanitas divenne un nuovo e limitante indizio di cattolicit, anzi una nota che comprendeva in se stessa tutte le altre70. Le affermazioni di Roberto Bellarmino sulla Chiesa hanno influito notevolmente e questo conferisce loro una speciale rilevanza sul periodo successivo; sono penetrate nella teologia, che ora va qualificata come post-tridentina, nei catechismi, quindi nelle stesse forme dinsegnamento impartito ai fedeli; e hanno sorretto, condizionato e definito anche limmagine di Chiesa. e) La Controriforma e Riforma cattoliche riuscirono, sfruttando una iniziativa suggerita dal concilio di Trento e decisamente propugnata dai nuovi movimenti laicali e ordini religiosi sorti in Italia e in Spagna, soprattutto quello dei Gesuiti, con le loro figure pi rappresentative (il motto Ad majorem
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Y. CONGAR, Chiesa, in Dizionario di Teologia I (Brescia: Queriniana, 19693) 229-342. M. SECKLER, Katholisch als Konfessionsbezeichnung, in ThQ 145 (1965) 401-431. 70 Ibid., 404; Y. CONGAR, Romanit et catholicit, in glise et papaut. Regards historiques (Paris: Cerf, 1994) 31ss.

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Dei gloriam venne assunto per indicare lobbedienza al papa, vicario di Ges Cristo, come obbligo del tutto specifico), a stabilizzare la Chiesa cattolica, ad affermarla nei propri territori e ad aiutarla a recuperare anche quelli perduti. La sequela del Christus praesens in ecclesia militante, il sentire cum ecclesia, cio con la vera sposa di Cristo nostro Signore, la nostra santa madre, la Chiesa gerarchica, come pure lentusiasmo ecclesiale, da cui non era estranea la mentalit del crociato e del cavaliere, sono tratti peculiari dellordine gesuitico, che non tanto un risultato della Controriforma quanto piuttosto un frutto della Riforma cattolica. Il modo di concretare queste intenzioni, in un periodo cos particolare, doveva condurre ad una attivit controriformatrice, antiprotestante71. Quando questi sforzi vennero poi coronati dal successo, acquist nuova figura e vitalit anche il motivo trionfalistico, col quale si rappresentava la Chiesa come la vera Chiesa di Ges Cristo vittoriosa nelle sue battaglie. Lespressione artistica pi imponente fu quella del barocco. Qui riemersero a livello di coscienza i tratti considerati pi tipici del cattolicesimo: il motivo dellAd majorem Dei gloriam, la sua concretizzazione nel venerare e adorare leucaristia, laltare e il tabernacolo che assumono la forma di trono di Dio, ledificio di culto che viene interpretato come la sala del trono di Dio e quindi lo si arricchisce di luce, di splendore, di sfarzo e di colori. La Chiesa terrena avvertita come vestibolo della ecclesia caelestis, e tale convinzione viene ad esprimersi nel modo di raffigurare i santi, la comunione dei santi con gli apostoli, coi confessori, i martiri, i dottori della Chiesa, e con Maria al vertice. Vi si associa un nuovo motivo trionfalistico, appena acquisito: in vari modi la Chiesa cattolico-romana viene rappresentata come colei che trionfa sulle false dottrine, che avanza verso la vittoria, che troneggia sul furore impotente degli eretici, assisa sul carro trionfale. Questa vittoria poi viene interpretata, senza alcuna esitazione, come una vittoria di Dio stesso e quindi anche come una dimostrazione visibile della vera Chiesa, una controprova imponente che le porte dellinferno non prevarranno su di essa (Chiesa) e su Pietro. Questi elementi influiranno decisamente anche sulla spiritualit e piet del cattolicesimo.

71

B. SCHNEIDER, La devozione di S. Ignazio di Loyola verso la Chiesa, in: Sentire Ecclesiam 1, 505-560. Negli Esercizi spirituali di santIgnazio di Loyola, tra le diciotto regole per il vero criterio nella Chiesa, si trova anche la tredicesima regola, che stata oggetto di molte discussioni: Per non sbagliare, dobbiamo sempre ritenere che quel che vediamo bianco sia nero, se lo dice la Chiesa gerarchica. Perch crediamo che quello Spirito che ci governa e ci sorregge, per la salvezza delle nostre anime, sia lo stesso in Cristo nostro Signore, che lo sposo, e nella Chiesa, che la sua sposa. Infatti la nostra santa madre Chiesa retta e governata dallo stesso Spirito e Signore nostro il quale dett i dieci comandamenti: IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali (Roma: Edizioni Paoline, 19805) 304-305. Per comprendere queste espressioni nel loro contesto e quindi nel loro vero significato si vedano le osservazioni di KEHL, La Chiesa, cit., 13ss.

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2.4. La chiesa nel contesto del conflitto con la modernit: Chiesa come societ perfetta a) Tra molti problemi sociali, politici, economici, intellettuali e religiosi allinizio dellepoca m oderna emerge un nuovo problema fondamentale che, per la comprensione della Chiesa, si riveler almeno altrettanto caratterizzante quanto la controversia confessionale: la relazione della fede cristiana con la modernit, la relazione della Chiesa con la societ moderna secolarizzata e pluralista e con il suo frutto, il deismo e lilluminismo. Nel XVII secolo, e ancora pi chiaramente nel XVIII, lannuncio ecclesiale in Francia si trova di fronte un nuovo tipo umano: la borghesia istruita o economicamente affermata, per cui la religione cristiana tradizionale, in rapporto alla vita moderna, ha perso la propria verit e rilevanza. Essa non pi necessaria per dare senso alla sua vita. Nel suo comportamento concreto non fa quasi differenza se egli la pensi in un modo o in un altro circa la verit della fede cristiana. La religione ora deve diventare un elemento ragionevole e calcolabile, oppure un affare strettamente privato. Questo periodo contrassegnato dallesaurimento, seguito alle controversie e soprattutto alle guerre di fede, di confessione e di religione, che apparentemente avevano condotto al trionfo della verit, ma con le quali sintrecciavano ben altri motivi politici, e che di fatto non posero fine alla lacerazi one bens la confermarono e consolidarono, sacrificando numerose vittime e mantenendo lo stato di ostilit. I segni dei tempi indicavano comunque il desiderio della pace. Una pace che, per, si poteva raggiungere soltanto qualora si fosse riusciti a dimenticare, a omettere, ci che divideva, per trovare un principio comune di fondo. Lo si consegu quando si elev a principio ermeneutico luomo, la natura, la sua ragione. Ne deriv che se prima il segno di genuinit e di veracit era il confessionale, ora lo diviene luniversale cristiano. Questo poi acquis la sua dimensione pi vasta quando venne interpretato come religione naturale, religione razionale, e quando si formularono le verit comuni a tutti gli uomini: Dio, limmortalit, la libert, la virt e il suo premio, la beatitudine. Poich era stato dimostrato che la verit, il dogma e le preoccupazioni di salvaguardarlo avevano creato sempre nuovi motivi di conflitto e di contesa, e ci nella stessa misura in cui si moltiplicavano gli articoli di fede (per Erasmo di Rotterdam gli articoli aumentano, ma lamore diminuisce), ci si sent stimolati a scoprire e a rendere fecondi lethos, lagire, lortoprassi come forza unificante; impegnati a realizzare lamore, la conciliazione, la virt, la tolleranza, al fine di giungere ad un nuovo fondamento. Si raggiunse cos unintesa nel modo di comprendere sia le pi fondamentali qualit ed istanze insite nel cristianesimo, sia le esigenze e bisogni tipici delluomo del tempo. Qu esta autocomprensione delluomo si tradusse nella forma dellilluminismo, che secondo le note affermazioni di Kant si intese come liberazione delluomo dal suo stato colpevole di minorit, come 213

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coraggio di servirsi della propria ragione72, come fiducia nella forza critica della ragione, come rifiuto della superstizione, come un rivolgersi allesperienza, un appellarsi alla libert e alla virt, un sentirsi impegnati nella tolleranza, nella fraternit, nella felicit terrena di tutti gli uomini. Da questi princpi deriv una nuova interpretazione del dato cristiano, nel quale veniva a superarsi ogni elemento di separazione confessionale. Secondo lo scritto La religione entro i confini della semplice ragione (1793) di Kant, le affermazioni dogmatiche sulla grazia, giustificazione e salvezza devono essere spiegate come un tentativo di chiarificazione, purificazione e miglioramento delluomo. Gli altri dogmi vanno valutati secondo il criterio della loro valenza morale. I misteri, se intesi come dottrine misteriose, devono essere respinti. Secondo Kant il cammino storico appena iniziato proseguir passando attraverso le seguenti tappe: dalla fede ecclesiastica alla fede biblica, da questa alluniversale fede di ragione, al vero regno di Dio. Lautentico servizio religioso quello morale lesercizio della virt. Ed esso non richiede pi alcuna dimensione religiosa, espressamente riferita a Dio. Nellagire etico si onora Dio e tutte le speciali cerimonie di corte devono essere considerate come illusioni religiose e superstizioni. Ges Cristo per non assente, ma viene riconosciuto come luniversale maestro dellumanit, che ha reso accessibile alluomo la sua determinazione umana e gli ha insegnato ad essere uomo umanamente, razionalmente. Virt e moralit sono la vera sequela di Ges. In questa concezione il dato cristiano non viene respinto, ma nel suo insieme e soprattutto nei suoi tratti peculiari recuperato mediante una nuova interpretazione, umana e morale, riferita allagire; acquista la propria credibilit e forza e supera tutto ci che suona ostile, tutto ci che separa, tutto ci che crea barriere confessionali; conduce alla conciliazione tra gli uomini e alla comunione fra i cristiani; si articola in quel tertium quid nel quale tutti possono essere una sola cosa e che al contempo offre la possibilit di ununificazione tra gli uomini. b) Ne derivano anche soprattutto nellambito della concezione cattolica molteplici conseguenze per limmagine della Chiesa. Questa viene fortemente demitizzata e desacralizzata ed ass ume la forma di una istituzione morale, di un corpus morale, di una societ: societas legalis inaequalis secundum iuris naturae principia (B. Stattler). Il che significa che il principio strutturale della Chiesa quello di una societ umana, di una istituzione fondata sui principi del diritto naturale. Lidea di corpus Christi viene compresa proprio in questa dimensione sociologica. Il compito

72

I. KANT, Risposta alla domanda: che cos lIlluminismo (1784), in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto (Torino: UTET, 1965) 141-149.

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della Chiesa consiste nelleducare gli uomini alla ragione, alla pace e alla virt; lannuncio del vangelo si traduce nellistruzione sui princpi della morale, di cui il vangelo la quintessenza. Nelle conseguenze derivanti da questi princpi implicita la necessit di semplificare le forme della piet e della liturgia cristiane, di distanziarle dalle espressioni barocche, esuberanti e legate a dati leggendari, di renderle comprensibili ed accostarle al popolo: avendo cura della lingua madre e dei canti liturgici, risvegliando linteresse per la Scrittura. Questi sforzi nellambito di un illuminismo catt olico moderato sono stati fecondi per la Chiesa e per la sua comprensione e non hanno favorito soltanto una estraneazione razionalistica73. Ricordiamo limportanza di autori come L.A. Muratori (Della regolata devozione de cristiani), J.M. Sailer e le grandi prospettive come pure gli esiti incerti del Sinodo di Pistoia (1786) e del Congresso di Ems (1786). c) molto opportuno ricordare che questa Chiesa, la quale si affermava come corpus morale e societas legalis, venne pure caratterizzata come societas inaequalis. Essa cio una societ nella quale devono esserci alcuni che hanno la preminenza sugli altri. Questi sono i capi, cui spetterebbe il compito di vigilare sulla conservazione fedele delle leggi salutari; sono i giudici, che dovrebbero comporre le diverse azioni dei loro sudditi con la norma della ragione e con le prescrizioni ereditate dal passato; i maestri, che dovrebbero essere in grado di analizzare i casi dubbi, di determinare i pi gravi, di correggere quelli quotidiani e di stornare quelli pi pericolosi; tutti amministratori dei mezzi di salvezza, resi salvifici dal sangue del Redentore, e intenti ad applicarli alle persone ben disposte e a rifiutarli a coloro che non hanno tali sentimenti. Ci significa che, nellambito di unimmagine desacralizzata della Chiesa, emerge una nuova forma di gerarcologia, di clericalismo. Il chierico propriamente il titolare e soggetto dellagire ecclesiale, il membro in senso pieno, che si contrappone al popolo ecclesiale, ridotto alla funzione di mero ricettore, e ci anche nel caso in cui venga qualificato soltanto come servitore della religione, come maestro. In queste condizioni si giunge pure ad una forma estrema di istituzionalizzazione, di ministerializzazione ed alla conseguente riduzione della libert attribuita allattivit dello Spirito. In questa nuova sottolineatura della gerarchia svolge un ruolo importante anche una concezione tipica del deismo. Ricordiamo che caratteristica del clima teologico del secolo XVIII fu la scarsa attenzione data al soprannaturale della religione cristiana. Il deismo, anche ammettendo lorigine divina della creazione, rifiut ogni altro intervento di Dio nel mondo delle sue creature. Nellambiente razionalista e illuminista i dogmi non erano che affermazioni della ragione umana e norme di con-

73

G. SCHWAIGER, Lilluminismo nella visione cattolica, in Concilium (ed. it.) 7 (1967) 101-118.

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dotta per luomo. Due fattori influirono soprattutto in questo concetto di dogma: la creazione di una filosofia della storia profana e indipendente da ogni influsso teologico; lequiparazione del cristianesimo, privato del suo carattere soprannaturale, con le altre religioni del mondo. Proprio in questo spirito sorge una concezione deistica della Chiesa, caratterizzata da Mhler con le note parole: Dio cre (allinizio) la gerarchia, ed ha provveduto pi che abbastanza per la Chiesa, fino alla fine del mondo74. Dio attivo ed efficace solo agli inizi della Chiesa, in analogia al suo agire nella creazione; lulteriore svolgimento, il decorso della storia, si svolge seguendo leggi, strutture e funzioni autonome, immanenti alla Chiesa; legittima garante di questo svolgersi la gerarchia. d) Se la Controriforma aveva sottolineato che la Chiesa era una societ visibile come lassemblea del popolo romano, il regno di Francia o la repubblica di Venezia (Bellarmino), era inevitabile che risorgesse unantica questione: quali sono le relazioni di questa societ al regno di Francia o alla repubblica di Venezia? Allo stesso tempo, la forte enfasi nel periodo successivo a Trento sulla Chiesa quale societ gerarchicamente organizzata sotto i legittimi pastori fece rinascere unaltra questione: come sono organizzati i diritti e le responsabilit di questi pastori? Limpatto culturale e politico della crescita degli stati nazionali nellEuropa Occidentale offr il contesto nel quale a queste domande si poteva rispondere in due modi: o si comprendeva la Chiesa come una societ fortemente centralizzata con lautorit posta primariamente in un papato modellato sulle monarchie assolute oppure si poteva vedere la Chiesa delimitata dai confini nazionali e cos enfatizzare il ruolo delle gerarchie nazionali. sintomatico che le discussioni ecclesiologiche fino al tempo della Rivoluzione Francese furono concentrate proprio sulle questioni interconnesse della politica ecclesiastica (il Gallicanesimo episcopaliano in Francia; il Febronianesimo nei paesi di lingua tedesca) e le relazioni fra Chiesa e stato (il Gallicanesimo regalista in Francia; il Giuseppinismo in Austria). Il Gallicanesimo un fenomeno complesso con radici molto antiche. La pretesa che la Chiesa in Francia fosse pi o meno esente dallautorit papale in ragione di vari privilegi collegati alla corona francese era stata asserita con vari gradi di forza fin dallalto Medio Evo; aveva raggiunto il suo apice durante il Grande Scisma Occidentale in congiunzione con le dottrine conciliariste, ed era stata difesa storicamente, canonicamente e teologicamente da vari autori anche dopo il Concilio di Trento (ad es. Edmond Richer [1560-1631], Pierre de Marca [1594-1662]). Nello stesso tempo misure pratiche di Gallicanismo regalista cercarono di limitare il potere della sede di Roma nella Chiesa di

74

ThQ 5 (1823) 497; sul tema J.R. GEISELMANN, Chiesa e spiritualit nei movimenti spirituali della prima met del sec. XIX, in: Sentire Ecclesiam II, op. cit., 121-220.

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Francia. La Prammatica Sanzione di Bourges (1438), in cui il clero francese asseriva che le propriet ecclesiastiche e le nomine dei vescovi in Francia non erano soggette alla giurisdizione papale, era stata soppiantata dallancora pi esteso Concordato di Bologna (1516) che riconosceva il diritto della corona di Francia a designare virtualmente tutti i vescovi e gli abati nei suoi domini. Poich i decreti del Concilio di Trento erano in conflitto con le provvisioni del Concordato, la monarchia francese non permise la loro pubblicazione in Francia. Il cardinal Richelieu (1585-1642) aveva persino pensato alla formazione di un Patriarcato di Francia, equivalente in autorit ai patriarcati orientali, che avrebbe reso la chiesa di Francia virtualmente indipendente dalla sede papale. Nel 1663 la facolt della Sorbona, su sollecitazione del re, pubblic una dichiarazione che affermava la libert della corona dallautorit papale, asseriva la supremazia dei concili ecumenici sul papato e rigettava linfallibilit papale. La formulazione pi semplice delle rivendicazioni gallicane sono i quattro Articoli Gallicani scritti da Jacques Bnigne Bossuet (1627-1704) ed accolti dallassemblea del clero francese del 1682. Gli Articoli affermavano che il papa non ha alcun potere sulle questioni temporali e che perci i re non sono soggetti allautorit ecclesiastica in tali materie; che il papato non pu n deporre un monarca n sciogliere i sudditi dal vincolo di fedelt; che un concilio generale possiede unautorit maggiore del papa; che le tradizionali libert gallicane sono inviolabili; e che finch non sono ratificati da un concilio generale, i decreti papali sono riformabili. In tal modo le due correnti del Gallicanesimo quello regalista che asseriva lindipendenza dei monarchi dallautorit ecclesiastica, in specie quella papale, e quello episcopalista, che difendeva i diritti dei vescovi individuali e delle gerarchie nazionali nei confronti della centralizzazione romana confluirono luno nellaltro negli Articoli e si rafforzarono a vicenda. Sebbene questi Articoli furono condannati da Roma nel 1690 e ritirati da Luigi XIV nel 1693, la loro sostanza continu ad essere oggetto di insegnamento nelle scuole e nei seminari francesi per tutto il diciottesimo secolo. Nei territori germanofoni la corrente episcopaliana trov la sua pi chiara espressione nel Febronianismo. Il nome viene da Justinus Febronius, lo pseudonimo di Nikolaus von Hontheim (1701-90), vescovo suffraganeo di Treviri, il quale nel 1763 pubblic il De statu Ecclesiae et legitima potestate Romani Pontificis liber singularis, sui rapporti fra il vescovo locale e il papa. Seguendo i canonisti gallicani con cui aveva studiato in Belgio, Hontheim riteneva che il Cristo aveva conferito il potere delle chiavi alla Chiesa tutta, sebbene esso fosse esercitato dai vescovi individualmente e raccolti in un concilio generale. Il primato papale era puramente un primato di onore; il ruolo del papa era quello di un coordinatore che cercava di assicurare la pace e larmonia nella Chiesa universale. Era richiesta unapprovazione episcopale, sia individuale che conciliare, per la validit di ogni direttiva papale. Il papa non aveva alcuna autorit per nominare o persino confermare i vescovi e certamente 217

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non di deporli. Hontheim suggeriva un piano di azione con cui i vescovi tedeschi avrebbero potuto forzare il riconoscimento romano di ci che egli riteneva lordine proprio della Chiesa. Ad un i ncontro tenutosi nel 1786 a Bad Ems i rappresentanti delle maggiori sedi metropolitane di Germania emanarono una dichiarazione in ventitr articoli, la Punctatio di Ems, che essenzialmente incarnava il programma di Febronio e invitava limperatore a sollecitare un Concilio di tutti i vescovi tedeschi. Il corrispettivo tedesco del Gallicanesimo regalista fu il Giuseppinismo, dal nome dellimperatore Giuseppe II (1741-90), un despota illuminato, che cerc di riformare lAustria e la Chiesa secondo i principi dellIlluminismo. Il suo principio base era quello di ritenere che la Chiesa e i suoi ministri erano subordinati allautorit civile in tutte le materie che non toccavano direttamente la dottrina, come per esempio la riforma delle pratiche liturgiche, la disciplina del clero, il regolamento delle scuole ecclesiastiche, la ristrutturazione dei confini delle diocesi e delle parrocchie Egli vedeva i vescovi e i parroci come amministratori civili che dovevano assecondare lo Stato, vera e unica societas perfecta, nel suo compito di educazione complessiva dei sudditi. 2.5. Il rinnovamento ecclesiologico del XIX secolo 2.5.1. La Rivoluzione francese e le sue conseguenze a) Il periodo che segue allilluminismo in parte condizionato dallimmagine di Chiesa delineatasi in questepoca e rimane contrassegnato da alcuni avvenimenti storici. Innanzitutto bisogna ricordare la Rivoluzione Francese. In quanto abbattimento del sistema sociale del feudalesimo in nome della libert, delluguaglianza e della fraternit, e proclamazione dei diritti delluomo, insita nellistanza dello stesso illuminismo francese, questa rivoluzione comport ad incominciare dalla Francia la soppressione dei privilegi e dei poteri fino allora accordati al ceto clericale, soprattutto alle cerchie imparentate con la nobilt. Ma signific pure la dissoluzione delle precedenti forme di organizzazione ecclesiastica e la separazione della Chiesa dallo stato, ora secolarizzato, pienamente conscio della propria dignit e deciso a rivendicare i suoi pieni poteri anche in campo religioso. Questa nuova coscienza condusse in parte anche ad una ostilit aperta nei confronti della Chiesa, fino a sfociare nella persecuzione. In ogni caso la Chiesa dovette subire gravi umiliazioni, alle quali contribu in modo determinante anche il modo in cui Napoleone tratt il papa, con lobiettivo di sottoporlo interamente al servizio del proprio disegno politico. Dal canto suo il papa fu costretto a creare un nuovo ordine di rapporti con lo stato e con gli stati servendosi a tale scopo dei concordati. Tuttavia il corso degli avvenimenti volle che il papa, cos impotente, avvilito e umiliato, conferisse anche un nuovo prestigio ed una crescente simpatia al proprio ministero. 218

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b) La secolarizzazione, strettamente connessa con lilluminismo e con la rivoluzione francese, signific soprattutto per la Germania, con il bando della deputazione imperiale, la fine del potere clericale territoriale (1803), la confisca dei beni sino allora posseduti dalla Chiesa, specialmente da monasteri e capitoli, a favore dei principi secolari; la fine dellorganizzazione ecclesiastica esistente e delle sue forme, ma anche la fine dellidea medievale dellimpero, del sacro romano impero della nazione germanica. La secolarizzazione sottrasse alla Chiesa le sue basi economiche, le sue molteplici istituzioni e soprattutto il suo apparato di formazione, molto esteso e influente. Signific pure la fine di quella funzione protettiva che il potere imperiale aveva svolto nei confronti della Chiesa. Anche la secolarizzazione fu un modo di esprimere il distacco tra potere spirituale e potere terreno e comport una depoliticizzazione della Chiesa. Tuttavia questa perdita in realt fu un guadagno. Rese infatti i vescovi liberi da ogni compromissione secolare, specialmente di ordine politico; li spogli del loro ruolo di principi, di signori territoriali, di principi elettori, e li richiam finalmente ai loro compiti e responsabilit spirituali e pastorali, da lungo tempo dimenticati o ritenuti di secondaria importanza. La nuova situazione costrinse la Chiesa a rinunciare al braccio secolare e ai mezzi che esso le metteva a disposizione; a contare soltanto sulle proprie forze, a basarsi e mantenersi soltanto sul fondamento della propria natura e missione, ad esprimere e a realizzare ci che ad essa proprio, che non pu essere barattato con alcunch n pu derivarle da altri. E questo le riusc quanto pi chiaramente le circostanze laiutarono, od anche la costrinsero, a battere da sola tale camm ino, senza lasciarsi coinvolgere in altri interessi e senza contare su aiuti estranei. 2.5.2. Il Romanticismo Un altro avvenimento importante per limmagine di Chiesa il diffondersi di questa tendenza cult urale, che sorge come movimento diretto contro certi impulsi del razionalismo (illuminismo e deismo) e si diffonde in tutti i campi del sapere e dellagire umano. Tale tendenza rimette in luce limportanza della tradizione e della storia, risveglia una sensibilit nuova per le dimensioni del linteriorit, del sentimento (del cuore), per la realt del popolo e della comunit e per gli elementi vitali su cui queste si fondano. Una vasta corrente romantica ha influenzato le impostazioni ecclesiologiche dinizio 800 e ha contribuito non poco allevoluzione della dottrina ecclesiologica. Da questi impulsi deriva una nuova immagine di Chiesa che, se non presente ovunque in senso geografico, tuttavia determinante per la geografia ecclesiologica75. Dopo la rinascita religiosa e

75

R. AUBERT, La geografia ecclesiologica del XIX secolo, in Sentire Ecclesiam II, op. cit., 47-120.

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teologica promossa da Trento, infatti, la teologia aveva conosciuto un certo ristagno e decadenza, e aveva visto la prevalenza di forme ripetitive di neo-scolastica postridentina, con unimpostazione ecclesiologica prevalentemente guidata da canoni socio-giuridici. Nella prima met del XIX secolo vi una certa fioritura teologica, quella che Congar chiama rinnovamento della teologia del XIX secolo76. Questa figura di Chiesa, ispirata dai motivi del romanticismo, si afferm soprattutto in Germania e in particolar modo nella scuola cattolica di Tubinga, dove J.M. Sailer segn il passaggio dallilluminismo al romanticismo. Lesponente pi importante della nuova ecclesiologia, accanto a J.S. Drey, il fondatore, Johann Adam Mhler 2.5.3. Fermenti di rinnovamento nellecclesiologia della Scuola di Tubinga a) Introduzione Ai problemi posti dal razionalismo e dal liberalismo nella cultura e nella politica, e alle tendenze episcopaliste e giuseppiniste nelle relazioni tra vescovo e papa concernenti il governo della chiesa e tra le relazioni Chiesa-Stato, nellambito politico-ecclesiastico, risponde lecclesiologia ultramontana (cfr. infra 2.5.4.) rafforzando lautorit della chiesa e, concretamente, della gerarchia, tanto nella dimensione dottrinale come nelle sue relazioni con il potere temporale. Mentre questa immagine della chiesa, centrata dalla fine del sec. XVIII sugli aspetti dellautorit, domin nei circoli dei teologi e dei canonisti ultramontani e negli ambienti ufficiali della curia papale, fermenti di rinnovamento dellecclesiologia e, di conseguenza, dellimmagine stessa della chiesa cercarono di farsi strada. Questi partivano dalla nozione teologica della chiesa come organismo vivo di quanti sono uniti tra di loro e con Cristo, anzitutto, mediante vincoli soprannaturali di grazia, inclusa, naturalmente, la sottomissione allautorit gerarchica. Fondandosi su questa nozione di chiesa e tornando alle fonti della teologia, i rappresentanti pi illustri della scuola di Tubinga (e poi della Scuola romana) si proponevano un autentico rinnovamento dellecclesiologia e una vera restaurazione della chiesa tam in capite quam in membris. b) Lopera ecclesiologica di J.A. Mhler (1796-1838) Esponente della Scuola cattolica di Tubinga, influenzata dal romanticismo, Johann Adam Mhler (1796-1838) il teologo considerato simbolista per eccellenza e anche precursore del pensiero ecumenico in ambito cattolico. La sua teologia della Chiesa presente principalmente in due opere:

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CONGAR, Lglise de saint Augustin lpoque moderne, op. cit., 417.

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Die Einheit in der Kirche (Lunit nella Chiesa, cio il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri della Chiesa dei primi tre secoli, 1825) e Symbolik (Simbolica o esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici, 1832, 18385). Superando unecclesiologia condotta secondo criteri meramente esteriori, morali e socio-giuridici, egli si scosta dalle concezioni illuministiche, controversistiche e anche meramente spiritualistiche (presenti nel pietismo), si scosta dai modelli classici di tipo somatico e politico, optando per un modello pneumatologico: la Chiesa vista come vita nello Spirito. Nella prima opera egli, alla scuola dei Padri, vede la radice dellunit nella Chiesa nellopera e creazione dello Spirito, dello Spirito di Cristo vivente nella comunit dei fedeli. Questa unit interiore, sorretta sempre dallo Spirito, crea un espressione conforme alla propria natura nellunit del corpo della Chiesa: negli organi e nei ministeri della Chiesa, che a loro volta devono essere la traduzione corporea della realt interiore, la manifestazione dello Spirito nella fede, nella speranza e nella carit. Tale principio che la fede cristiana , anzitutto fede nella comunicazione della vita di Dio nello Spirito, dove ogni individuo deve accettare in s attraverso unesperienza religiosa personale, la vita santa che esiste nella Chiesa. Egli deve trasformare e fare veramente propria nella sua contemplazione lesperienza religiosa della comunit. Deve infine lasciare che si crei e si sviluppi in s una vita tutta santa, in armonia con le disposizioni che la sua conoscenza del Cristianesimo avr suscitate. Cos la totalit dei doni dello Spirito sta soltanto nella totalit dei credenti. Parlando di Tradizione, Mhler dice che consiste nel Vangelo predicato cominciando dagli apostoli; osserva che il Vangelo scritto posteriore al Vangelo vivo e predicato e riproduce questultimo. Pertanto, linterpretazione della Scrittura va respinta se non conforme alla Tradizione viva che sussiste nella Chiesa. Oltre che radice dellunit di fede e di tradizione, lo Spirito Santo alla base anche dellunit di governo della Chiesa, dal momento che il ministero episcopale sorge in forza di unistanza pneumatica. Il nostro Autore argomenta cos:
Appena il santo principio, formatore di unit, divenuto attivo nellanima dei fedeli, questi si sentono tanto attirati gli uni verso gli altri e tesi verso lunione con tutti, che le loro aspirazioni profonde sono soddisfatte unicamente quando vedono la loro unit rappresentata, concretata in una figura. Il vescovo , per un luogo determinato, la figura visibile dellunione invisibile di tutti i cr istiani. In lui personificato lamore degli uni per gli altri; egli la manifestazione e il centro vivo dei sentimenti cristiani che aspirano allunit []. Egli lamore dei cristiani realizzato e pi enamente cosciente. Inoltre egli il mezzo migliore per alimentarlo e conservarlo in unit77.

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J.A. MHLER, Lunit nella Chiesa (Roma: Citt Nuova, 1969) 226.

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La vita dello Spirito, per, unisce i fedeli ben oltre i confini della diocesi; sono quindi necessarie altre personificazioni dellunit interiore: i metropoliti e i patriarchi, i quali costituiscono non solo il centro, ma anche il frutto di una tensione ultradiocesana. Si giunge poi, al culmine supremo dunit, al Pontefice Romano, che la personificazione, il centro, il frutto dellunit di tutta la chiesa. Cos la vita cristiana, lo spirito del cristianesimo effetto dello Spirito santo vivente nel cuore dei fedeli e da loro ricevuto solo tramite la comunit ha la sua massima manifestazione, garanzia ed esplicazione nella persona del papa, che il frutto pi maturo della carit di tutta la chiesa. La concentrazione pneumatica, che Mhler d alla sua ecclesiologia in questopera, controbilanciata dalla ripresa in Symbolik della dimensione cristologica la quale gli consente meglio di opporsi allidea protestante di una Chiesa invisibile: il fondamento ultimo della visibilit della Chiesa sta nel Verbo incarnato. Questimmagine di Chiesa fortemente cristocentrica e sacramentale lo porta a parlare della comunit dei credenti come una sorta di incarnazione continuata:
La Chiesa il Figlio di Dio che si manifesta perennemente tra gli uomini in forma umana, che si rinnova continuamente e permane sempre immutabile, cio la continua e perenne incarnazione del Figlio di Dio78.

Laspetto esteriore della chiesa fondato sullautorit e sulla concretezza storica di Cristo; da lui promana la realt sacramentale e gerarchica della chiesa. Non solo lazione unitaria dello Spirito che concretizza lunit nei vescovi e nel papa, ma anche lautorit di Cristo, il quale li ha istituiti come continuatori della sua opera redentrice. Oltre a questo aspetto esteriore, vi , per, laspetto interiore della chiesa, che pur sempre basilare. Questo elemento interno ora per viene visto fondamentalmente in Cristo, Figlio di Dio fatto uomo. Con ci non viene esclusa lazione dello Spirito santo. Egli continua a vivere e ad agire nella chiesa; ma non si presenta pi in modo indipendente, quasi assoluto; sempre lo Spirito di Cristo, da Cristo mandato. La sua azione ecclesiale ubbidisce ora alla legge fondamentale dellincarnazione. La chiesa non tanto una continua Pentecoste, quanto una continua incarnazione; o meglio, pur sempre considerata come una Pentecoste, ma tenendo presente che lo Spirito disceso dal cielo lo Spirito del Verbo Incarnato, da lui inviato. Non per nulla ha preso un aspetto concreto, visibile, quando disceso sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco: ci in piena consonanza con la visibilit del Verbo Incarnato, la quale fonda la visibilit essenziale della chiesa. E lazione dello Spirito continua a svolgersi per mezzo di elementi visibili: i segni visibili nei sacramenti; i predicatori,

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J.A. MHLER, Simbolica (Milano: Jaca Book, 1984) paragrafo 36.

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nellannuncio della verit. La chiesa dunque non solo la vita nuova che germoglia sotto lazione dello Spirito santo, o la carit da lui promanante; essa fondamentalmente la continuazione viva e perenne dellopera redentrice del Cristo. La chiesa non pi lunit nellamore formata dallo Spirito santo, ma listituzione salvifica fondata da Cristo e penetrata dalla potenza del Figlio di Dio fatto uomo; il Cristo redentore che continua a vivere e ad operare; lincarnazione sempre attuale del Figlio di Dio. Cos il Papa non pi solo coronamento, ma anche fondamento dellunit. Per cui Mhler pu dire che tutto il cristianesimo fondato sul Figlio di Dio fatto uomo. Ecco perch la Scrittura ha chiamato i credenti corpo di Cristo. In modo analogo e vivente, essa una copia delloriginale Cristo, in quanto in lei si d tanto lelemento divino che lumano senza confusione e senza separazione. Tra il Verbo incarnato e la chiesa si d un rapporto di vera analogia. Questa immagine non venne propugnata soltanto dal Mhler e dalla scuola di Tubinga, ma influ sullintera teologia tedesca ed anche su quella straniera, come ad es., sulla Scuola Romana (cfr. infra 2.6.1.); anche se bisogna aggiungere che limmagine della Chiesa, nella prima met del sec. XIX, non caratterizzata soltanto dal Mhler e dai suoi impulsi ecclesiologici. 2.5.4. Lecclesiologia ultramontana Nello stesso periodo si nota che, quanto pi si riduce il potere terreno della Chiesa e lo stato ecclesiastico perde dimportanza, tanto pi viene accentuato con unilateralit il dato gerarchico e soprattutto il ruolo pontificio. Questa sottolineatura della figura papale, larticolazione della sua supremazia giurisdizionale con la prerogativa dellinfallibilit significano tanto una reazione alla sorte riservata ai pontefici del tempo quanto una risposta allassoggettamento dei vescovi al potere dello stato, e quindi allimplicito pericolo dellisolamento e frantumazione. Quasi di per se stesso il papato, i nteso come centro di unit, si offriva come il mezzo di difesa ed il garante della libert. Lesponente di questo ultramontanesimo e papalismo in Francia, dove sopravviveva ancora un gallicanesimo moderato, aspramente combattuto dalle cerchie ultramontaniste, fu JOSEPH DE MAISTRE, con la sua opera Du Pape (1819). Egli, facendo leva su ragioni politiche e mirando a una restaurazione della sovranit monarchica, sosteneva che come al tempo del Medioevo cos anche ora il papa era chiamato ad assolvere una missione europea, la quale necessariamente comportava il privilegio del primato e dellinfallibilit. In una lettera al conte di Blacas cos sintetizzava la propria posizione:
Il cristianesimo si fonda interamente sul papa. Per cui potremmo enunciare il principio ispiratore dellordinamento socio-politico [] con questa concatenazione: non si d pubblica morale e

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nemmeno carattere nazionale a prescindere dalla religione, come non c religione europea senza il cristianesimo, il cristianesimo senza il cattolicesimo, il cattolicesimo senza papa, e non c papa che non goda di sovranit79.

chiaro che al de Maistre interessava pi la restaurazione della monarchia che la sorte del cattolicesimo. Daltra parte, dobbiamo riconoscergli un merito: egli si era accorto che una questione come quella dei rapporti tra il papa e la chiesa non si poteva risolvere unicamente rifacendosi alle situazioni esistenti nellantichit cristiana, ma che era necessario considerare attentamente anche le condizioni attuali della chiesa (il principio dello sviluppo dogmatico). Un influsso maggiore soprattutto sui centri ecclesiastici fu quello di HUGO FELICIT ROBERT DE LAMENNAIS

[fino al 1834: de La Mennais]. Di fronte agli influssi liberali che cercavano di affermarsi

al principio della restaurazione egli pensava che solo dalla chiesa, incarnata nel Papa, il re poteva ricevere un potere abbastanza forte per imporre lordine nella societ; daltra parte, soltanto un clero indipendente dallo stato e diretto da un papa infallibile, signore incontestato nella chiesa, poteva godere del prestigio morale necessario per salvare la libert spirituale dal potere politico. Lultramontanismo di Lamennais non era propriamente parlando una fede nella superiorit soprannaturale del papa, ma piuttosto un metodo politico. Il successo del suo Saggio sullindifferenza in materia di religione, fece s che la sua campagna in favore dellultramontanesimo attirasse lattenzione di un certo numero di giovani preti, preoccupati di rinnovare i metodi dellapostolato. Questi formarono un nucleo di discepoli entusiasti (Gerbert Salmis, Guranger80, Combelot, Rhorbacher) che non vennero meno neanche dopo la defezione di Lamennais a seguito della enciclica di Gregorio XVI Mirari vos (1832). In questo atteggiamento di fondo si staglia sempre pi decisamente il fattore della romanit, tipico dellimmagine di Chiesa delineatasi in quel periodo e secondo cui la realt ecclesiale deve essere innanzitutto compresa come chiesa pontificia ed ogni essere ed agire ecclesiali derivati dal papato e da questi determinati in modo centralistico. Non si era dunque tanto lontani da un culto al papa che rasentava persino la bestemmia: Louis Veuillot riferiva, ad es., alla persona stessa del pontefice il passo di Eb 7,6, che la lettera applica al Cristo, e linno Veni sancte Spiritus. Lultramontanismo ha i suoi esponenti anche in altri paesi. In Germania troviamo diverse cerchie: a Magonza (Liebermann), a Mnster, a Monaco; in Austria, a Vienna (Hofbauer); in Inghilterra

79 80

J. DE MAISTRE, Lettre au Comte de Blacas, 22 Mai 1814, in Correspondances IV (Lyon 1821) 428. M.-H. DELOFFRE, Confesser lglise. Introduction lecclsiologie de dom Gueranger, d. de Solesmes, 2006.

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propugnato soprattutto dai convertiti, primo fra i quali il futuro cardinale Manning ( interessante notare la posizione ben diversa assunta invece da J.H. Newman). Questo tratto ecclesiale prese ancora pi consistenza quando incominci ad imporsi sempre pi vigorosamente la teologia romana con la sua neoscolastica. Tale riflessione teologica non traeva le sue origini da un confronto creativo con lo spirito del tempo, come invece notiamo nei tentativi intrapresi a Tubinga e in parte anche a Monaco (Dllinger), Bonn (Hermes) e Vienna (Gnther), ma era preoccupata soltanto di difendersi contro il pensiero moderno e lo spirito del tempo, che si bollavano come incompatibili con la dottrina cristiana. Il suo sforzo si esauriva nel conservare il patrimonio ereditato dal passato che si riteneva avesse trovato nella scolastica la sua articolazione ed esposizione insuperabile e nel contrapporlo come un baluardo alle tempeste e ai turbamenti dellepoca. Pu essere sintomatico di questa mentalit il fatto che ledilizia ecclesiastica non fu in grado di crearsi una propria e specifica espressione, ma si limit ad unopera restauratrice, a copiare il romanico e il gotico (ora neoromanico e neogotico), esaurendosi cos nellarte dei nazareni. Questo impulso di fondo condiziona decisamente e globalmente anche limmagine di Chiesa di quel periodo: la Chiesa lopposizione e contraddizione allo spirito del tempo perch, e negli stessi termini in cui, questo spirito opposizione e contraddizione alla fede e quindi alla mentalit dei credenti. Secondo la diagnosi stilata da questa teologia al fondo degli errori moderni ci sta il razionalismo, il culto della ragione autonoma, quella che affermando il suo primato rigetta qualsiasi altra autorit, anche lautorit di Dio e della Chiesa. Inevitabilmente, quindi, il razionalismo porta alla negazione dellesistenza di Dio e allateismo. Strettamente legato ad un atteggiamento del genere il naturalismo, quel culto della pura mondanit che sostituisce la fede in Dio con la fede nel progresso scientifico e sociale. Dal naturalismo e dallempirismo seguirebbe poi il materialismo, il quale nega la natura spirituale delluomo. In tal modo, per, si viene a mettere in questione la stessa ragione e la sua capacit di verit. Relativismo e indifferentismo sarebbero gli effetti, mentre la radice di tutti i mali consisterebbe nella Riforma, nel cui nome il giudizio privato del singolo stato insediato al posto dellautorit della Chiesa. qui che si vede il luogo di nascita della rivendicazione moderna dellautonomia delluomo, della sua ragione, della sua libert. E il liberalismo, che divulga sul terreno culturale e politico unistanza del genere, altro non sarebbe che il rifiuto dellautorit di Dio e della sua Chiesa. Contro questi errori occorre ingaggiare una battaglia senza quartiere. Ogni attivit devessere pensata e ordinata ad un unico scopo: impedire lirruzione dallesterno delle forze nemiche e devastatrici, e rafforzare il fronte interno, renderlo compatto, aumentarne le possibilit difensive. Inoltre si pensa di poter raggiungere efficacemente questo obiettivo solo conferendo unespressione chiara e univoca al contenuto della fede, e ci mediante loggettivazione dei conte225

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nuti di fede nella forma di definizione dogmatica, di rifiuto deciso di ogni eresia, confusione, falso comportamento, chiaramente diagnosticati. Espressioni emblematiche di questa concezione di Chiesa sono lenciclica Mirari Vos di Gregorio XVI (autore come Mauro Cappellari dello scritto Trionfo della Santa Sede e della Chiesa contro gli assalti dei novatori), il Sillabo di Pio IX (DzH 29012980) e il concilio Vaticano I (1869/70), il quale riassume tutti questi impulsi. Lobiettivo quello di unificare il mondo cattolico, per produrre una dimostrazione eloquente della verit, che contraddica gli errori del tempo, e adeguare la disciplina ecclesiastica alla situazione. Notiamo che Gregorio XVI aveva avvertito lappello alla riforma della chiesa come un attacco alla sua essenza, quasi che questa possa essere esposta a delle carenze. Lappello al rinnovamento ed alla conversione doveva essere rivolto al mondo soltanto, perch la Chiesa era il signum levatum in nationes, come affermer il Vaticano I (Costituzione Dogmatica Dei Filius, cap. 3; DzH 3014). In questo modo ecclesialit e antimodernit diventano praticamente identiche. La restaurazione di un cattolicesimo identificato di fatto con lautorit papale e legato al centralismo romano costituisce lo sforzo dellapologetica e della teologia della Chiesa nel XIX secolo e ancora nel XX. Questa ecclesiologia ultramontana, dominante tra il 1850 e il 1950, trova la sua espressione peculiare nella comprensione della Chiesa come societ perfetta (cio indipendente). Questa nozione, nella sua intenzione basilare, ha di mira correttamente la libert e lindipendenza della Chiesa di fronte allo Stato. Sullo sfondo dellecclesiologia occidentale e collegata alla forma razionalistica di pensiero, allapologetica antimoderna e alla fissazione della forma organizzativa centralistica dello Stato, questa autocomprensione tuttavia determina verso lesterno una rigida chiusura rispetto alla cultura e alla societ moderna e un recupero di forme di vita premoderne e, verso linterno, mediante laccentuazione dellautorit e della gerarchia, una divisione chiara nella Chiesa fra chierici e laici e, dal punto di vista della forma costituzionale, ununiformazione ultramontana e centralistica della Chiesa attraverso la liturgia e la disciplina romana, cos che la Chiesa cattolica poteva apparire dallesterno ormai solo come ununica diocesi papale. I papi del XIX secolo, sullo sfondo di una tendenza diffusa alla restaurazione, contro la sovranit dello Stato moderno, contro la critica nei confronti della Chiesa, contro le tendenze episcopalistiche e gallicane e contro i primi tentativi di una teologia e di una vita religiosa adattate allepoca mode rna, hanno ripreso con decisione lantico programma della libertas Ecclesiae ma ormai nella consapevolezza dellimpossibilit di ridare vita a un ordine unitario di cristianit sacrale: la Chiesa una societas perfecta che si distingue da tutte le altre societ per il suo carattere soprannaturale, la sua struttura gerarchica che possiede nel papato il suo principio di unit, la sua pretesa di universalit (cfr. Pio IX, Sillabo 1864, prop. 19ss.: DzH nn. 2919ss). In tale prospettiva, il papato e la sua autori226

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t divengono il perno dellindipendenza e della libert ecclesiale. Nella costituzione Pastor Aeternus del concilio Vaticano I (1870) questa ecclesiologia ricever la sua sanzione magisteriale. 2.6. Lecclesiologia dal Vaticano I al Vaticano II La riflessione teologica sulla Chiesa ha seguito una traiettoria che possiamo dividere in quattro periodi cronologicamente disuguali, ma ognuno con una concentrazione tematica distinta. Il primo periodo, partendo dal Vaticano I, comprende pi o meno mezzo secolo. La riflessione sulla dottrina ecclesiologica avviene sotto il segno dellecclesiologia proposta nella costituzione dogmatica Pastor Aeternus del 18 luglio 1870. In questo periodo lecclesiologia procede con diligenza a consolidare gli elementi fondamentali acquisiti dal Vaticano I, mentre, nello stesso tempo si va aprendo lentamente a nuove idee ecclesiologiche e soprattutto a nuovi impulsi di rinnovamento della vita ecclesiale. Questo primo periodo si pu considerare chiuso verso la fine del secondo decennio del secolo XX. Verso il 1920 si inizia il secondo periodo con un risveglio euforico del senso della Chiesa nel campo teologico e in tutta la vita ecclesiale. Da questa nuova esperienza della Chiesa nasce un rinnovamento ecclesiologico, che determina la traiettoria ascendente del progresso della ecclesiologia per quasi due decenni. Verso il 1937 questo rinnovamento dellecclesiologia incontra seri ostacoli che tentano di sviarla verso soluzioni estremiste e unilaterali. Il terzo periodo comprende pi o meno gli anni dal 1940 al 1950 con la pubblicazione della enciclica Mystici Corporis (1943) di Pio XII come punto centrale di questa fase del rinnovamento ecclesiologico sotto il segno della discussione diretta di posizioni ecclesiologiche diverse. Da questo incontro di opinioni e tendenze ecclesiologiche a prima vista inconciliabili, con laiuto dellintervento del Magistero e di una critica sincera e aperta dopo lenciclica Mystici Corporis, a quasi dieci anni dalla sua pubblicazione si delinearono gi diversi indirizzi che avrebbero reso possibile in epoca conciliare e post-conciliare una integrazione delle ecclesiologie del Corpo mistico con lecclesiologia del popolo di Dio. Il quarto e ultimo periodo comprende il decennio immediatamente antecedente il Vaticano II. 2.6.1. Sviluppo della dottrina sulla Chiesa nel segno del Vaticano I Alla vigilia del Vaticano I lecclesiologia centrata sullautorit. Nel secolo XVIII dominavano in varie nazioni idee politiche, culturali e religiose, raggruppabili attorno al gallicanesimo, al giansenismo, al febronianismo, al giuseppinismo e allepiscopalismo. Questi movimenti di pensiero attaccavano la Chiesa nella sua esistenza pubblica, cio nella sua forma costituzionale e nel suo regime di 227

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governo, provocando come reazione unecclesiologia centrata sullautorit e sulla forma monarchica di governo ricevuta da Cristo. Lecclesiologia perci si sforz di definire la Chiesa come realt che non solo unassociazione spirituale, ma una societ propriamente detta, visibile, istituzionalmente differenziata, gerarchica e indipendente, che ha da Dio un ordine proprio, dotata non solo di realt spirituali, ma di mezzi visibili, esteriori, insomma una societ perfetta; che inoltre possiede a titolo speciale non solo ministeri spirituali, che dirigono le coscienze personali verso lautorit tutta spirituale di Dio, ma anche ministeri propriamente gerarchici, che hanno ricevuto e rappresentano qui sulla terra in forma visibile e propriamente giuridica unautorit soprannaturale conferita propriamente da Dio. Autorit che esiste nei vescovi e che esiste soprattutto, per istituzione formale e speciale di Dio, come autorit di governo supremo, sacerdozio e ministero nel Papa, successore di Pietro, vicario di Ges Cristo, delegato dei suoi poteri81. Alla vigilia del Vaticano I in Occidente, tranne che in pochi centri di resistenza, credere nella Chiesa significava accettarne lautorit82. Le tendenze rinnovatrici dellecclesiologia manifestatesi nella scuola di Tubinga (J.A. Mhler) sono per recepite almeno dagli esponenti principali della Scuola Romana. Con questo nome si intendono i portavoce della teologia difesa nella Universit Gregoriana, riaperta a Roma nel 1818 e ufficialmente affidata di nuovo da Leone XII alla Compagnia di Ges nel 1824. I suoi rappresentanti pi qualificati sono Giovanni Perrone (1794-1876), Carlo Passaglia (1812-1887), Clemens Schrader (1820-1875), Johannes Baptist Franzelin (1816-1886). Tuttavia solo Passaglia e Schrader sviluppano un programma teologico proprio, che non si inquadra nelle scuole teologiche tradizionali: essi infatti recuperano una teologia positiva secondo lo stile del Petavio, che prende i suoi dati dalla tradizione in tutta la sua ampiezza, ma particolarmente dalla Scrittura e dai Padri, e inserisce la scolastica medievale entro il quadro di tutta la tradizione, nel medesimo tempo in cui si sforzano di porre le varie scienze ausiliarie al servizio della teologia. Perrone, invece, strettamente parlando, appartiene alla corrente apologetica della teologia scolastica post-tridentina, anche se nella sua sintesi ecclesiologica83 incorpor non pochi elementi della Symbolica di Mhler, sebbene pi attraverso Passaglia e Schrader che mediante un contatto diretto con il teologo di Tubinga. Secondo Perrone la Chiesa una societ, dunque una persona morale che, come un individuo, deve avere non soltanto un corpo composto dalla testa e dalle membra, ma u-

81

Y. CONGAR, Lcclsiologie de la Rvolution Franaise au Concile du Vatican, sous le signe de laffermation de lautorit, in Lcclsiologie au XIXe sicle, Unam Sanctam 34 (Paris 1960) 90-91. 82 Ibid., 100 83 Le sue Praelectiones theologicae ebbero 35 edizioni, mentre il suo Compendium 47 edizioni.

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gualmente unanima, cio un principio vitale, una forza che la ispiri e la vivifichi. Questo principio la grazia santificante. Per, continua dicendo:
Non mancano tuttavia alcuni a cui, andando pi avanti, par di vedere nella Chiesa come la continuazione dellIncarnazione. Per costoro Cristo, Dio-uomo, volle lasciare in essa la perfetta immagine e similitudine di se stesso, nella quale e per mezzo della quale egli stesso in qualche modo sembra vivere e dimorare con noi, anche dopo la sua visibile ascensione al cielo. Perci la societ, mostrando Cristo, come dicono costoro, divino-umana, sussistendo nellunit della persona con la comunicazione di entrambe le nature; in modo che lelemento, che chiamano divino, pervada e penetri lelemento umano, lo regga e lo diriga, lo nutra e quasi lo informi, e costituisca lunit a partire dai due. E quellelemento divino che dicono sia presente in questa persona morale o societ, costituisce la sua parte intima o anima; mentre quellelemento che chiamano umano, costituisce la sua forma esteriore e visibile ossia il corpo, grazie a cui come un organo lanima si protende e si manifesta esteriormente Purch queste cose siano intese in modo corretto, non troviamo in e ssi niente che sia da riprovare, anzi riteniamo che lidea contribuisca molto a spiegare la natura e la costituzione della Chiesa di modo che noi non ci rifiutiamo di adoperarla84.

Perrone difende Mhler dallaccusa di monofisismo ecclesiologico e ammette le espressioni di continuatio incarnationis e corpus Christi mysticum, per solo in senso analogo e come immagini. Al contrario, Schrader e Franzelin le intesero come definizioni della Chiesa. Per Passaglia, il teologo pi geniale della Scuola Romana, la Chiesa pu ben chiamarsi Corpo mistico di Cristo, cio la congregazione di tutti coloro, in cui Cristo si manifesta e diffonde la sua vita, mediante cui si fa visibile tra gli uomini e per cui continua ad offrire il frutto della sua economia salvifica85. La nozione della Chiesa come Corpo mistico di Cristo pass per mezzo del suo discepolo Clemens Schrader nello Schema I de Ecclesia del Vaticano I (Supremi pastoris)86. Schrader adott la nozione di Corpo mistico di Cristo nel senso paolino di Ef 4,16.24 come definizione della Chiesa. La Deputatio de Fide sosteneva questa nozione per cinque ragioni: 1) Luso frequente nella Scrittura e la sua capacit di esprimere la relazione della Chiesa a Cristo. 2) Una ragione di ordine metodologico che sarebbe stata decisiva per il rinnovamento del trattato de Ecclesia, cambiandone il punto di partenza. Si suggeriva che era conveniente che si partisse dallessere intimo della Chiesa, dalla sua realt spirituale. Escludendo ogni dicotomia, teorica e pra-

84 85

G. PERRONE, Prael. theol., vol. II, pars I, cap. II, n. 44. C. PASSAGLIA, De Ecclesia Christi, vol. I (Ratisbonae 1853-1856). 86 Lo schema prevedeva 15 cap.: I. La Chiesa il corpo mistico di Cristo; II. La religione cristiana non si pu coltivare che nella Chiesa e per mezzo della Chiesa fondata da Cristo; III. La Chiesa una societ perfetta, spirituale e soprannaturale; IV. La Chiesa una societ visibile; V. Lunit visibile della Chiesa; VI. La Chiesa una societ assolutamente necessaria per conseguire la salvezza; VII. Fuori della Chiesa nessuno si pu salvare; VIII. Lindefettibilit della Chiesa; IX. Linfallibilit della Chiesa; X. La potest della Chiesa; XI. Il primato del Romano Pontefice; XII. Il dominio temp orale della Santa Sede; XIII. La concordia tra la Chiesa e la societ civile; XIV. Il diritto e luso della potest civile s econdo la dottrina della Chiesa cattolica; XV. Alcuni diritti speciali della Chiesa in relazione alla societ civile.

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tica, il punto di partenza dellecclesiologia (procedere dalla sua realt misterica o dalla sua realt sociale?) poteva determinare la costruzione di un trattato de Ecclesia di impronta teologicodogmatica o apologetica. Sino al Vaticano I, tranne che per Mhler e Passaglia, il punto di partenza dellecclesiologia era stato indiscutibilmente listituzione. 3) Si voleva correggere le esagerazioni dellecclesiologia della Controriforma evitando sterili polemiche. Lecclesiologia cattolica non doveva dare adito al sospetto che il Cattolicesimo riducesse lessere della Chiesa alla sua realt sociale e visibile. 4) Si riconosceva la priorit ontologica dellaspetto soprannaturale e misterico della Chiesa e della sua vita intima e spirituale, per considerare poi le sue strutture visibili e la sua realt esterna, indissolubilmente unita alla realt divina e spirituale, al fine di manifestarla e comunicarla agli uomini. 5) Lultima ragione era di convenienza pastorale. La situazione storica della Chiesa era cambiata. Nel secolo XIX lesistenza della Chiesa era minacciata non tanto dalleccessiva interiorizzazione, quanto dal disconoscimento dellelemento soprannaturale. La proposta dello schema fu respinta dalla grande maggioranza dei vescovi. Questa opposizione cos decisa da parte dei vescovi non si spiega solo con la meraviglia e persino la sorpresa di imbattersi in una dottrina ecclesiologica per loro nuova. Le idee richiedevano tempo per maturare e il processo di maturazione era appena cominciato. In particolare, nei loro interventi i Padri conciliari reagivano contro unecclesiologia basata sul monopolio di una nozione ecclesiologica ad esclusione delle altre. Per loro la soluzione si doveva cercare integrando tutte le nozioni e immagini bibliche del mistero della Chiesa. Alcuni vescovi poi respingevano la nozione di Corpo di Cristo come troppo oscura, imprecisa e metaforica. La definizione di Chiesa disse Dupanloup doveva partire ab externis. Questi vescovi avevano ancora in mente la definizione bellarminiana di Chiesa. Altri vedevano in questa nozione il pericolo di troppa interiorizzazione e persino di un ritorno alla Riforma, mentre la vera nozione della Chiesa doveva insistere sullaspetto visibile. Per altri la nozione aveva sapore giansenista, poich era stata lespressione favorita negli scritti giansenisti (Sinodo di Pistoia). Respinto questo schema I, si impose la nozione di societ perfetta. Lo schema II (Tametsi Deus87), redatto da Joseph Kleutgen, ricondusse a unit lesposizione dottrinale secondo le indica-

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Lo schema aveva dieci capitoli: il cap. I afferma listituzione divina della Chiesa; il II descrive la Chiesa come coetus fidelium nel senso di vera societas e perfecta societas, la quale trascende ogni altra forma di societ tra gli uomini e quindi chiamata giustamente civitas Dei et regnum caelorum; il III cap. afferma lesistenza nella Chiesa della potest gerarchica di istituzione divina; il IV dedicato al tema dellepiscopato; il V ai membri della Chiesa, ricorrendo alla d istinzione tradizionale fra appartenenza al corpo e allanima della Chiesa; il VI tratta il tema della necessit della Chiesa per la salvezza congiuntamente con quello della sua unit; il VII e lVIII trattano del magistero e della giurisdizione e c-

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zione dei Padri, cos che il risultato fu chiaramente un impoverimento della prospettiva mistica e un arricchimento della posizione societaria, che appariva meno giusnaturalistica: la chiesa non fu pi vista come lespansione del mistero di Cristo, ma come una societ legale, ineguale e perfetta, ist ituita da Cristo e da lui diretta mediante lo Spirito attraverso i pastori, la quale si identifica col regno di Cristo in terra e nella quale i fedeli partecipano a beni della sanctorum communio. Il Concilio, mentre si stava rielaborando la costituzione sulla Chiesa, concentr la sua discussione su quello che era stato solo un capitolo, lXI, dello schema, dedicato al primato del Romano Pontefice, e ne fece una costituzione a se stante, la Constitutio prima de Ecclesia Pastor Aeternus, promulgata il 18 luglio 1870. La costituzione dogmatica Pastor aeternus aa) La problematica La costituzione dogmatica Pastor aeternus (DH 3050-3075), si divide in quattro capitoli, a ciascuno dei quali segue un canone. Essa introdotta da un proemio che indica la finalit del primato, ossia lunit e lindivisione dellepiscopato, condizione dellunit di fede e di comunione di tutti i credenti. Perci il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, affermato essere perpetuo e visibile principio e fondamento dellunit sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. Capitolo I: Listituzione del primato apostolico nel beato Pietro. Il primato di Pietro fondato su Mt 16,16-19 e Gv 21,15-17. Si insegna lunicit della relazione tra Pietro e Cristo (uni Simoni Petro; solum Petrum), la trasmissione immediata del primato a Pietro da parte di Cristo senza passare per la Chiesa e, infine, il carattere giurisdizionale (che non si situa a livello sacramentale, ma a livello di giurisdizione, o meglio di potestas pascendi) di questo primato che non un semplice titolo onorifico. Secondo la costituzione questo un insegnamento chiaro della Scrittura, che la chiesa cattolica ha sempre seguito (DH 3054). Questo capitolo, come il seguente, ebbe un largo consenso. Capitolo II: La perpetuit del primato di Pietro nei Romani pontefici. Si citano le espressioni dei legati papali al concilio di Efeso (431), di papa Leone I, di Ireneo di Lione e di Ambrogio di Milano. Nel capitolo si insegna in primo luogo che la successione nel primato di Pietro sarebbe stata istituita da Cristo, cio, di diritto divino (ex ipsius Christi Domini institutione seu iure divino: DH 3058) e quindi un successore necessario; in secondo luogo che tale successione si realizza in quella persona che succede a Pietro sulla cattedra di Roma. Il legame tra il successore di Pietro e la sede romana

clesiastica; il IX parla della Chiesa che verum regnum divinum, immutabile et sempiternum; mentre conclude col X che afferma che la vera Chiesa di Cristo non altra rispetto alla Chiesa romana.

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dalla teologia del tempo era qualificato come un fatto dogmatico, precisamente originerebbe da una illuminazione divina ricevuta da Pietro. Daltra parte da escludere la tesi secondo cui la co nnessione tra successione petrina e cattedra romana sarebbe di diritto divino. Essa infatti porterebbe con s lidea di un legame anche geografico con la citt di Roma, la quale avrebbe cos ricevuto la promessa di durare per sempre una promessa che Cristo ha fatto solo alla Chiesa universale. Al contrario, anche se Roma scomparisse, non verrebbe meno il ministero petrino. Capitolo III: Valore e natura del primato del Romano pontefice. Qui si cita alla lettera la definizione del concilio di Firenze (DH 1307). La potest di giurisdizione del papa non un semplice ufficio di ispezione o di direzione, ma una potest di giurisdizione piena e suprema (non pu essere limitata da alcuna potest ecclesiastica superiore, ma solo dal diritto naturale e dal diritto divino positivo; ed inoltre egli la possiede riguardo a tutta la vita della Chiesa e su tutto ci che questo comporta: cfr. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 94), universale ( su tutti i pastori e fedeli, singoli e globalmente presi; da ci origina un vincolo di obbedienza religiosa e di subordinazione gerarchica, che consente al papa di avere una libera comunicazione con tutti i fedeli e vescovi senza alcuna interferenza), ordinaria (e non delegata), immediata (non ha bisogno di altro mezzo per esercitarsi) ed episcopale ( della medesima natura di quella dei vescovi, perch non origina da un grado ulteriore del sacramento dellordine; si noti per che nel canone corrispondente manca il termine episcopale: DH 3064). Si tratta poi la funzione dei vescovi nelle proprie diocesi. Capitolo IV: II magistero infallibile del Romano pontefice. Si determinano le condizioni circa il soggetto, loggetto e latto in base a cui un insegnamento del papa infallibile. Il testo rinvia alla dottrina di tre concili ecumenici: il IV concilio di Costantinopoli, il II concilio di Lione e il concilio di Firenze. Notiamo, per, che sono tre concili che le chiese ortodosse non considerano ecumenici. Inoltre il IV concilio di Costantinopoli venne poi sconfessato da Roma; ci avvenne quando ci fu la riconciliazione tra Roma e Costantinopoli a seguito della disputa intorno a Fozio88. I primi due capitoli, il cui contenuto patrimonio cattolico tradizionale, non sono stati oggetto di discussione; i due ultimi capitoli, invece, contengono i nuovi dogmi sul papa che sono stati vivacemente discussi e infine definiti. Il punto controverso delle due definizioni dottrinali era linserimento del ministero papale nella Chiesa e nel collegio episcopale. I vescovi della m inoranza (circa 140 su 700, dunque circa il 20 per cento) chiedevano in fondo soltanto questo: se queste dot-

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V. PERI, Il concilio di Costantinopoli dell879 -880 come problema filologico e storiografico, in Annuarium historiae conciliorum 9 (1977) 29-42.

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trine vengono definite, devono almeno essere introdotte esplicitamente nella definizione precise condizioni e limiti del primato di giurisdizione e dellinfallibilit, per non dare limpressione che il papa possa esercitare il suo ufficio di governo e di magistero agendo in virt di un arbitrio assolutistico e staccato dalla Chiesa. La maggioranza dei vescovi, che abbracciava tutte le sfumature, dai sostenitori moderati a quelli intransigenti, riteneva invece che si dovesse rinunciare a unesplicita menzione di queste condizioni e limiti (che in s erano accettati da molti di loro); altrimenti lintento proprio delle definizioni, cio di scongiurare definitivamente il gallicanesimo e permettere cos di giungere nella Chiesa a decisioni rapide, assolutamente chiare, efficienti e tali da evitare ulteriori conflitti, sarebbe stato di nuovo annacquato. Purtroppo, su questo punto, non si raggiunse lunanimit tra i padri conciliari. Lopinione della minoranza trov scarsa considerazione. Per questa ragione i vescovi della minoranza in gran parte erano gi partiti prima della votazione finale. bb) Il contenuto dei due nuovi dogmi (I) Il primato di giurisdizione del papa (DzH 3059-3064) In questa parte della costituzione la funzione universale di governo del papa, che stata praticata a partire dal Medioevo, definita esplicitamente come dottrina della fede cattolica. La definizione pone fine alle lunghe discussioni con il conciliarismo (cio: il concilio, come ultima istanza di appello, al di sopra del papa) quando stabilisce che il papa listanza suprema nella Chiesa, al di sopra della quale non ci si pu appellare a nessunaltra. A lui spetta la pienezza (e non solo la pr eminenza come pensava il gallicanesimo) della suprema potest in questioni attinenti alla fede, ai costumi, allordinamento e al governo di tutta la Chiesa. Questa potest viene descritta come ordinaria (spetta al papa in virt del suo ufficio), immediata (non ha bisogno della mediazione dei vescovi locali) ed episcopale ( della stessa natura della potest pastorale dei vescovi, ma si estende a tutta la Chiesa). Con questo, tuttavia, non si intende limitare la potest dei singoli vescovi, che ugualmente affermata come ordinaria, immediata ed episcopale, nella loro diocesi, ma questultima deve essere riconosciuta, rafforzata e difesa (DzH 3061). Con questa chiarificazione certamente, in linea di principio, si respinge teologicamente una forma di governo assolutistica della Chiesa89. Poich, per, la concomitanza di potest episcopale e papale non n mediata teologicamente in maniera adeguata, n ancorata in modo giuridicamente vincolante nellunica struttura suprema di governo della Chiesa, rimane di fatto aperta la possibilit di un
89

Una posizione simile sostenuta anche nella cosiddetta Dichiarazione collettiva dellepiscopato tedesco, approvata da Pio IX (1875): DzH 3112-3116.

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governo assolutistico della Chiesa da parte del papa. Queste riserve non hanno affatto lintento di imporre al primato papale qualche limitazione semplicemente dallesterno, puramente nella prospettiva del diritto costituzionale. Piuttosto devono essere evidenziate in modo pi chiaro e formulate in termini giuridici le sue condizioni e i suoi limiti interni, dati eo ipso insieme alla natura del primato come servizio ecclesiale del governo e dellunit. Il concilio Vaticano II ha incoraggiato la teologia a fare questo. Il concilio certo, da una parte, in continuit con il Vaticano I e ne conferma espressamente la dottrina del primato di giurisdizione (LG 22; Nota praevia 3 e 4). Daltra parte, cerca di riequilibrare questa definizione con il recupero della dottrina antica della Chiesa come communio e conseguentemente della collegialit del ministero episcopale (W. Kasper):
Se lunit della Chiesa fosse fondata su un unico principio, essa dovrebbe diventare totalitaria. Se al contrario fondata su principi relativamente differenti e sul loro accordo, la Chiesa un sistema aperto90.

Proprio qui sta il senso autentico e permanente del dogma del primato di giurisdizione del papa: il vescovo di Roma significa e fonda in modo personalmente concreto e insieme sacramentalmente efficace lunit della Chiesa universale nella fede e nella comunione (Prologo della Pastor Aeternus). Questa unit, per, non ha il suo fondamento n nella volont del popolo di Dio, n nella volont del papa; entrambi non sono sovrani nella Chiesa (come avviene, ad es., in una democrazia o in una monarchia). Lunit della Chiesa invece fondata totalmente sullamore di Ges Cristo che nello Spirito Santo donato a tutta la Chiesa. Il ministero petrino deve essere a servizio nel modo che gli proprio, appunto sul piano della Chiesa universale, di questa unit della Chiesa che viene da Cristo. Esso perci (come ogni ministero) al tempo stesso nella Chiesa e di fronte a essa, per rappresentare in questo modo la volont di unit di Cristo per tutta la Chiesa. Per questa appunto decisivo che il contenuto teologico si esprima efficacemente in una forma empirico-istituzionale91. (II) Linfallibilit del magistero pontificio (DzH 3065-3075) Una dimensione decisiva di ogni servizio allunit della Chiesa costituita dal servizio allunit e allautenticit della sua fede. Proprio ci si vuole affermare con la dottrina dellinfallibilit del papa.

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W. KASPER, Dienst an der Einheit und Freiheit der Kirche. Zr gegenwrtigen Diskussion um das Petrusamt, in A. BRANDEBURG H.J. URBAN (edd.), Petrus und Papst, vol. II (Mnster 1978) 126. 91 Cfr. anche H. U. VON BALTHASAR, Il complesso antiromano. Come integrare il papato nella Chiesa universale (Brescia: Queriniana, 1974).

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Dobbiamo dire anzitutto qualcosa sullo sfondo storico e teologico. Questa convinzione ha il suo primo punto di appoggio gi nella Chiesa antica, per la quale la generale fedelt della Chiesa romana alla tradizione rappresentava un criterio decisivo per la communio. Solo nel XIII secolo (in Bonaventura e Pietro Olivi) questa concezione si concentra sul papa come vescovo della Chiesa romana e sullautorit che gli consente di prendere singole decisioni dogmatiche senza errore. Nel Medioevo attribuita alle decisioni pontificie questa inerranza quando in esse testimoniata la fede senza errori dellintera Chiesa92. La generale inerranza della fede. Qui trova espressione la convinzione della Chiesa primitiva, gi attestata nelle formule battesimali e nelle confessioni del I e II secolo, circa la regula fidei, che cio lassistenza promessa dello Spirito Santo, che Spirito di verit (cfr. Gv 14,17; 15,26; 16,13), preserva la Chiesa dal cadere in un errore grave in asserzioni di fede fondamentali e nella professione di fede stessa. In caso contrario, alla persona che nella fede e nel battesimo si affida per la vita e per la morte alla parola di Dio testimoniata e interpretata dalla Chiesa, essa potrebbe annunciare come importante per la salvezza qualcosa che in realt non pienamente degno di fede. Questo, per, eliminerebbe il suo carattere escatologico di comunit definitiva di salvezza, che accoglie e trasmette fedelmente lautocomunicazione di Dio in Ges Cristo. Il servizio particolare del magistero. Questa promessa, fatta a tutta la Chiesa, di rimanere nella verit della fede, nel corso dei primi secoli si concretizza sempre pi nel ministero di annuncio e di insegnamento dei vescovi, tra i quali proprio al vescovo di Roma spetta una posizione speciale. Il radicamento di tutta la Chiesa nella verit della fede, operato dallo Spirito Santo, in questo modo, nellannuncio del collegio episcopale e del ministero petrino assume una forma particolare, ecclesialmente efficace, attraverso cui deve trovare espressione normativa il fatto che la fede della Chiesa non deriva da essa stessa ma la risposta alla parola di Dio che la precede e di cui non pu disporre. Difendere questa indisponibilit della parola di Dio e la verit della fede che a essa risponde da tutte le tentazioni di reinterpretazioni falsificanti il senso del magistero nella Chiesa. Nella misura in cui adempie in modo adeguato questo servizio, esso partecipa dellinfallibilit della parola di Dio e della fede comune; in questo senso anchesso pu essere detto infallibile.

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Mentre nellalto Medioevo era ancora corrente il concetto di inerranza (infallibilit era riservato a Dio), nel tardo Medioevo i conciliaristi parlano dellinfallibilit del concilio e gli anticonciliaristi dellinfallibilit del papa. A c ausa della notevole possibilit di fraintendimento si dovrebbe parlare piuttosto di assenza di errore, di impossibilit di ingannarsi, di obbligatoriet definitiva (H. Fries), di affidabilit incondizionata di determinate asserzioni ecclesiali di fede; cfr. K. RAHNER (ed.), Infallibile? Rahner - Congar - Sartori - Ratzinger Schnackenburg e altri specialisti contro Hans Kng (Roma: Edizioni Paoline, 1971).

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Magistero vincolato. A questa salda vincolazione, solidamente attestata nella Tradizione, del magistero, anche papale, allannuncio e alla fede di tutta la Chiesa, si sono ripetutamente richiamati i vescovi della minoranza al Vaticano I. Essi richiamano alla memoria la terribile esperienza dello scisma dOccidente con la presenza contemporanea, in alcuni momenti, di tre papi (1378-1417), una situazione in cui anche il papa, nel conflitto con una cristianit divisa al proprio interno e con il concilio, non poteva pi garantire la certezza ultima per la verit della fede e lunit della Chie sa. Anche se non si vuole essere conciliaristi nel senso del tardo Medioevo e non si sostiene neppure la validit dogmatica incondizionata, che va al di l della concreta situazione di emergenza provocata dallo scisma, del decreto Haec sancta del concilio di Costanza (1415)93, tuttavia, a partire da queste esperienze storiche e dai problemi teologici che sollevano, si dovr trarre la conclusione che ogni tentativo di voler mettere al sicuro la fede della Chiesa ponendo al di sopra delle altre in modo isolato ununica concreta istanza che sia il papa, il concilio, il collegio episcopale, ma anche la sacra Scrittura, la Tradizione o luniversale consenso di fede destinato al fallimento. Nella misura in cui la Chiesa, confidando nello Spirito Santo, riesce a realizzare una cooperazione teologicamente equilibrata e strutturata in modo relativamente chiaro dal punto di vista giuridico, essa ha fatto tutto ci che sta in suo potere per evitare altre variazioni storiche della propria identit credente. Su questo pu fare affidamento incondizionatamente; infatti questa certezza della fede, fondata in Dio e che si espone con fiducia ai continui mutamenti della storia, non ha nulla a che vedere con la sicurezza, spesso dominata dalla paura, del proprio voler sapere e possedere. Lintenzione della maggioranza conciliare. Ritorniamo al Vaticano I. Senza dubbio, anche la maggioranza (pi moderata) del concilio non metteva affatto in questione in linea di principio il legame dellautorit magisteriale del papa con la Chiesa. Tuttavia essa rifiutava (come per il primato di giurisdizione) una sua descrizione giuridica pi precisa allinterno della definizione. Essa venne incontro allesigenza della minoranza esclusivamente introducendo prima della definizione vera e propria, in forma di constatazione storica riguardante il passato (non per in modo normativo!), laffermazione che i pontefici romani in precedenza nelle loro decisioni dottrinali si sono sempre serviti dei mezzi pi diversi per riconoscere ci che in accordo con la sacra Scrittura e con la Tradizione apostolica. Neppure ai successori di Pietro infatti lo Spirito Santo promesso affinch, per sua rivelazione (revelatio), essi proclamino una nuova dottrina, ma perch con la sua assistenza (assistentia) custodiscano santamente ed espongano fedelmente la Rivelazione trasmessa per mezzo

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In questo decreto si dichiara solennemente la superiorit del concilio sul papa ( COD 409-410).

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degli apostoli, cio il deposito della fede (depositum fidei) (DzH 3069s). La richiesta della minoranza di affermare che questo deve avvenire con esplicito riferimento alla Scrittura e alla Tradizione della Chiesa, ma anche al consenso di fede esistente, in particolare del collegio episcopale, fu respinta (a motivo dellesperienza del gallicanesimo) per non diminuire la chiarezza e lefficacia delle decisioni dottrinali papali nel garantire lunit94. Quali sono dunque le asserzioni teologiche centrali della definizione? Decisioni ex cathedra. Linfallibilit si riferisce soltanto a decisioni dottrinali ex cathedra, cio al caso in cui il papa esercitando il suo ufficio di pastore e maestro, in virt della sua suprema autorit apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede e i costumi da tenersi da tutta la Chiesa (DzH 3074). Per distinguere questa forma straordinaria di insegnamento dalle altre forme del cosiddetto magistero ordinario del papa, con le quali pure egli parla in modo vincolante (autentico), ma non con la pretesa di assenza di errori (ad esempio, nelle encicliche), il relatore ufficiale della costituzione, il vescovo Vinzenz Gasser, dichiar nellaula conciliare che nelle affermazioni dottrinali infallibili lintenzione di fare unaffermazione di questo genere deve essere espressa chiaramente. Questo finora avvenuto solo una volta nei centoventi anni dopo il Vaticano I, nella definizione dellAssunzione corporea di Maria alla gloria celeste (1950). Questuso estremamente cauto del dogma dellinfallibilit mostra che il suo senso recepito nella Chiesa non consiste nel decidere continuamente con valore definitivo su singole questioni riguardanti la fede e i costumi. Evidentemente, per una Chiesa che messa a confronto con la coscienza moderna della storia, pi importante che essa sia sicura di avere un concreto ultimo punto di orientamento che, allinterno di una coscienza di fede che muta pi rapidamente che in precedenza, garantisce la fedelt della Chiesa allorigine apostolica95. Infallibilit ecclesiale e pontificia. Nelle decisioni dottrinali ex cathedra al papa spetta quellinfallibilit di cui il divino Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede o ai costumi (DzH 3074). Non si parla dunque di una infallibilit privata del papa, ma dellinfallibilit della fede della Chiesa che il papa testimonia in queste asserzioni do ttrinali definitive. I due aspetti sono in relazione reciproca: la particolare infallibilit del ministero

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Di fatto, negli unici casi in cui questo dogma ha trovato applicazione, nella definizione dellImmacolata Co ncezione di Maria (1854) e dellAssunzione di Maria (1950), in precede nza stato interpellato lintero episcopato. 95 In questo senso W. Kasper sottolinea il carattere straordinario di questi pronunciamenti papali infallibili rispetto allinsegnamento normale, ordinario dellintera Chiesa. Sarebbe assai sconsiderato fare irraggiare nel modo pi estensivo possibile la pretesa di infallibilit anche sullinsegnamento ordinario del papa. La spada potrebbe essere diven-

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petrino non fa altro se non dare espressione in modo concreto e rappresentativo alluniversale infallibilit della Chiesa nella fede. Linfallibilit della Chiesa nel credere, daltra parte, ha bisogno di questa testimonianza che le sta di fronte per ricordarle che la verit della fede non proviene da lei, ad esempio dal suo consenso, ma dipende dallascolto della Parola di Dio. Perci il papa realizza nella Chiesa e al tempo stesso di fronte a essa il compito che, secondo modalit proprie, spetta a ogni ministero, cio di rappresentare in persona Christi capitis la dipendenza della Chiesa dalla parola che le annunciata. Infallibilit ex sese. Per questo tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per se stesse (ex sese) e non gi in virt del consenso della Chiesa (non ex consensu Ecclesiae) (DzH 3074). Questa formulazione era diretta contro la concezione gallicana secondo cui le asserzioni dottrinali papali sono irreformabili solo quando tutta la Chiesa abbia dato a esse il proprio assenso. Con lespressione ex sese, che si contrappone in modo marcato a questa concezione, non si dice che il papa sia infallibile da se stesso; la parola riferita chiaramente alle sue definizioni dottrinali. Tantomeno questa formulazione significa che il papa non deve prestare ascolto alla fede della Tradizione e della Chiesa attuale; questa fede infatti (e non una qualsiasi opinione privata) che egli deve eventualmente testimoniare in modo normativo (si vedano i passaggi prima della definizione DzH 3070). Con questa espressione non si vuole escludere neppure la necessaria recezione, che si compie attraverso un confronto attivo, da parte della Chiesa della dottrina proposta e la sua interpretazione. detto soltanto che tali decisioni per la loro normativit giuridico-formale non possono essere sottoposte allesame di unistanza giuridica superiore, che dunque non ci si pu appellare dal papa a un concilio generale. Lintento di chiarire che il vangelo sta di fronte alla Chiesa senza che essa possa disporne96. Questo tuttavia pu avvenire in modo credibile solo se lo stesso ministero, prima di ogni intervento in materia dottrinale, ascolta il sensus fidelium e lo integra in modo determinante; in caso contrario, il suo annuncio non viene veramente ascoltato e recepito dal popolo di Dio, ma rimane in una condizione di validit puramente formale ed privo di ogni efficacia salvante e liberante. Ma il senso dellannuncio del vangelo non pu essere questo. Recezione nel Vaticano II. Anche a questo proposito il concilio Vaticano II ha aperto la strada verso una comprensione pi equilibrata dellinfallibilit. Mentre conferma la definizione del Vaticano I (LG 25), collega espressamente linfallibilit del magistero papale (in modo simile allorientamento

tata incapace di tagliare proprio quando se ne ha veramente bisogno: Dienst an der Einheit und Freiheit der Kirche, art. cit., 136s. 96 W. KASPER, Dienst an der Einheit und Freiheit der Kirche, art. cit., 136.

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della minoranza di allora) alla Chiesa e al collegio episcopale. Nella parte sulla partecipazione dellintero popolo di Dio al compito profetico di Cristo si afferma:
La totalit dei fedeli che hanno ricevuto lunzione dello Spirito Santo (cfr. 1Gv 2,20 e 27) non pu sbagliarsi nel credere, e manifesta questa propriet che gli particolare mediante il senso soprannaturale della fede (sensus fidei) in tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici (Agostino) esprime luniversale suo consenso (consensus universalis) in materia di fede e di costumi. Infatti, per quel senso della fede, che suscitato e sorretto dallo Spirito di verit, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi (cfr. Gd 3)... (LG 12).

Il capitolo sulla struttura gerarchica della Chiesa, poi, tratta in modo dettagliato dellinfallibilit del collegio episcopale la quale nel suo modo proprio, cio collegiale ha la medesima struttura di quella del ministero petrino:
Quantunque i singoli vescovi non godano della prerogativa dellinfallibilit, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservanti il vincolo della comunione (nexus communionis) tra di loro e con il successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale si accordano su una dottrina da ritenersi come definitiva, propongono infallibilmente la dottrina di Cristo. E questo ancora pi manifesto quando, radunati in concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale; e alle loro definizioni si deve aderire in una sottomissione di fede (LG 25).

Solo dopo queste affermazioni, si mette in rilievo linfallibilit del papa, che non gli spetta come persona privata ma in forza del suo ministero di capo del collegio episcopale e di supremo pastore e dottore di tutti i fedeli (LG 25). Il papa non rappresenta altro se non la concretizzazione personale delluniversale infallibilit della Chiesa, che i vescovi insieme con lui possiedono in m aniera collegiale. Si aggiunge esplicitamente anche che il papa e i vescovi nellesercizio di tale funzione si fondano sulla Scrittura e sulla Tradizione, ma anche sul senso della fede di tutto il popolo di Dio (LG 12), e che al tempo stesso sono tenuti a utilizzare i mezzi appropriati per chiarificare e presentare la Rivelazione (LG 25). La visione della Chiesa al Vaticano I Non si capisce lo sviluppo post-conciliare della dottrina sulla Chiesa senza una visione dinsieme dei caratteri principali dellimmagine di Chiesa lasciataci dal Vaticano I. 1) Il primo tratto lautorit come elemento decisivo e centro di prospettiva ecclesiologica. Lo testimoniano le due costituzioni dogmatiche. Da una parte si fa fronte al razionalismo affermando lautorit del Magistero divino, dato che in termini di autorit che nella Dei Filius viene insegnato lobbligo di credere ed lauctoritas Dei revelantis il motivo della fede. Dallaltra, la Pastor Aeternus fa un passo ulteriore stabilendo lautorit docente del Magistero ecclesiastico e concretamen-

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te del magistero del Romano Pontefice con il suo carisma di infallibilit. Allorigine di questo int eresse troviamo una valutazione apocalittica della modernit, la quale, avendo disprezzato lautorit, era sfociata addirittura nella messa in discussione degli stessi fondamenti della societ e del vivere associato (come testimoniavano ampiamente la Rivoluzione francese e i moti del 1848). Allorigine di questo fenomeno di degenerazione, la maggioranza dei padri conciliari vedeva il disprezzo dellautorit del magistero del Concilio di Trento, che era sfociato nella canonizzazione protestante del giudizio privato, il quale aveva portato alla divisione dei gruppi ecclesiali usciti dalla Riforma e quindi ultimamente alla rovina della fede nel Cristo da parte di coloro che non accettano pi il carattere divino della Sacra Scrittura (nascita del razionalismo e del naturalismo). In un secondo passo, si era ingaggiata una lotta tra la religione cristiana, realt soprannaturale, e il naturalismo, che sosteneva contro il Regno di Cristo, unico Signore e Salvatore dei popoli, il regno della pura ragione e della natura. Infine, nel sec. XIX la ragione si era capovolta nel suo contrario, nel momento in cui, abbandonando la propria trascendenza, che tocca il legame che unisce i misteri della fede con il fine ultimo delluomo, era caduta nellabisso del panteismo, del materialismo e dellateismo: negando la natura razionale luomo moderno abbandonava ogni regola del diritto e del giusto e distruggeva i fondamenti della societ. Il compito della Chiesa, madre e maestra, era quindi quello di difendere la societ e la razionalit da se stesse, insegnando, grazie al magistero infallibile donatole da Cristo, la vera dottrina salvifica a cui si doveva lobbligo di credere97. 2) Il secondo carattere la priorit data allistituzione e allaspetto sociale della Chiesa. La priorit dellistituzionale sul misterico favorisce unecclesiologia estrinsecista e apologetica centrata sugli aspetti istituzionali e visibili della Chiesa pi accessibili alla conoscenza empirica e capaci di dar fondamento razionale al credo Ecclesiam (cfr. DzH 3012). 3) Il terzo carattere il suo orientamento papalista. Il riconoscimento dellautorit fu poi articolato con laffermazione della forma monarchica di governo, al punto che si pot isolare il capitolo sul Primato Pontificio dal resto dello schema come un tema autonomo98.

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Si veda sintomaticamente quello che dice mons. Gasser nellultima relazione (16 luglio 1870) sulle modifiche appo rtate alla costituzione Pastor aeternus: Non si pu negare che la societ umana giunta al punto in cui i suoi ultimi fondamenti stanno vacillando. A causa di questa condizione cos miserevole della societ umana non pu essere portato alcun rimedio se non dalla Chiesa di Dio, nella quale esiste unautorit istituita da Dio e infallibile, tanto in tutto il corp o della Chiesa docente, quanto nella sua stessa testa. Perch gli occhi di tutti siano attirati verso questa roccia di fede contro la quale le porte innalzate dallinferno non resisteranno, Dio ha voluto io lo credo che in questi giorni la dottrina dellinfallibilit del Romano Pontefice sia stata proposta al Concilio Vaticano: MANSI, 52, 1317 B/C. 98 Franzelin riferisce di aver inteso un canonista sostenere: Romanum Pontificem non esse nec recte dici posse membrum Ecclesiae! (cfr. Theses de Ecclesia, 360 n. 1).

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4) Il quarto carattere la priorit teorica e pratica data alle strutture gerarchiche della Chiesa con il pericolo di deviare verso unimmagine della Chiesa troppo clericale. 5) Il quinto carattere di ordine metodologico: la scelta della visione societaria port a una ecclesiologia di impronta apologetica. La Chiesa era pensata non come un aspetto del mistero della fede, ma come mediatrice dei misteri (= dogmi); ed inoltre la sua relazione a Cristo era ridotta a quella di una istituzione al suo fondatore. In particolare significativo che la Dei Filius consideri la Chiesa come dotata di note di credibilit nella sua realt storica e visibile al punto che essa stessa segno e argomento irrefragabile della sua credibilit. Si noti bene per che in questa prospettiva la realt stessa della Chiesa non appartiene strettamente allobiectum formale della fede, ma solo una conditio per la quale la Rivelazione divina giunge a noi con la sua necessaria garanzia di autenticit. Essendo la testimonianza di Dio lunico motivum formale della nostra fede, Dio deve garantire anche la fedelt della sua parola nello strumento di trasmissione che, in ultima istanza, la Chiesa. Si trattava quindi di legittimare esclusivamente la missione dottrinale della Chiesa nella sua trasmissione, e di tutelare linterpretazione autentica della Rivelazione. 6) Da ultimo notiamo lassenza di una riflessione sulla dimensione pneumatologica e missionaria della Chiesa, come pure unesposizione sulla dignit e il ruolo attivo dei laici. Lapertura ecumenica, poi, non era minimamente considerata: il desiderio di unit era reale e si era manifestato nellinvito indirizzato agli ortodossi e ai protestanti a partecipare al concilio; si esprimeva per solo nei termini di un ritorno a Roma, cos che fu da loro rispedito sdegnosamente al mittente. 2.6.2. Limmagine della Chiesa dal Vaticano I al 1920 Le linee fondamentali dellecclesiologia approvata al Vaticano I determinano lo sviluppo della dottrina sulla Chiesa e la stessa immagine reale della Chiesa durante i decenni seguenti, dato che gli elementi del rinnovamento che si erano timidamente fatti avanti durante il Concilio rimasero letteralmente sepolti negli Atti del Concilio. In particolare ci fu uno sviluppo delle riflessioni sul carattere societario e gerarchico della Chiesa (ad es. D. PALMIERI, De romano pontifice cum prolegomeno de ecclesia, Prato 18912). Nello stesso tempo si port a compimento quella tendenza a scindere la comunit di fede e di amore dalla societ gerarchica. La comunione spirituale non ha alcuna consistenza giuridica, ma ridotta allambito della interiorit mistica personale, come una pura realt spirituale senza forma istituzionale, mentre la struttura della Chiesa sottoposta a schemi puramente societari e gerarchici. In tal senso Louis Billot (Tractatus de ecclesia Christi, Roma 19032) abbandona la tesi della divino-umanit della Chiesa, tradizionale nei maestri suoi predecessori al Collegio Romano, a favore di una impostazione 241

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rigorosamente societaria, dato che laspetto interiore della Chiesa (ridotto alla grazia santificante e alle virt infuse) non proprio dellessenza della Chiesa, perch riguarda i suoi membri e non il corpo sociale come tale; il trattato sulla Chiesa, se vuole presentarne lintima costituzione, deve considerarla reduplicative qua societas, dato che essa si distingue dalle altre societ naturali per lorigine e per il fine soprannaturale ma non per la sua struttura interna. Infine, lecclesiologia dei manuali si accontentava di essere una esposizione apologetica delle strutture costituzionali della Chiesa, ormai dominate dalla tesi del primato papale. In sostanza i manuali esponevano sistematicamente una serie di questioni ereditate dalla polemica contro la Riforma (la visibilit della Chiesa e lappartenenza ad essa, i poteri gerarchici e in specie il primato, il magist ero) e dalle rivendicazioni contro lo stato liberale (la chiesa societ perfetta) con laggiunta, contro il modernismo, delle tesi circa la volont di Ges Cristo di istituire una Chiesa visibile e giuridica. In questo panorama occorre riconoscere che alcuni accenti originali e ricchi di futuro furono offerti dagli interventi di LEONE XIII, il quale nelle sue moltissime encicliche affront pi volte sotto diversi aspetti il tema della chiesa. In particolare il suo insegnamento si concentr su tre temi principali: la Chiesa in se stessa, il rapporto Chiesa e Stato, lunionismo. 1) Linsegnamento sulla Chiesa si raccoglie attorno a due punti: lunit della Chiesa e il ruolo dello Spirito Santo. Nellenciclica Satis cognitum (29 giugno 1896) Leone XIII, ispirandosi alla dottrina della Scuola Romana sulla natura teandrica della chiesa, corpo mistico di Cristo, ne dispiega lorigine trinitaria nel piano della salvezza e poi lunione di visibile e invisibile che appartiene alla natura stessa della Chiesa. Tale unione ha la sua origine e il suo fondamento nel mistero del Verbo Incarnato. Per illustrare lunit di visibile e invisibile, che non sono giustapposti, ma intimamente uniti seppur distinti, lenciclica utilizza la nozione di Corpo di Cristo riferendo analogicamente il mistero della Chiesa al mistero dellIncarnazione:
[La chiesa] poi, se si considera lultimo fine, a cui mira, e le cause pro ssime della santit, certamente spirituale; ma se si considerano i membri che la compongono e i mezzi che conducono al conseguimento dei doni spirituali, esterna e necessariamente visibile Per queste ragioni le sacre Scritture, molto spesso, chiamano la Chiesa sia corpo sia anche corpo di Cristo: Voi siete il corpo di Cristo (1Cor 12,27). Per questo motivo, per il fatto che corpo la Chiesa si percepisce con gli occhi; per il fatto che corpo di Cristo, la Chiesa corpo vivente, operoso e sano, dato che Cristo la salvaguarda e la alimenta. [] Come poi, nei viventi, il principio della vita nascosto e, profondamente nascosto, tuttavia rivelato e mostrato dal movimento e dallazione delle membra cos, nella Chiesa, il principio della vita soprannaturale si svela chiaramente da quanto operato da essa. Da questo deriva che si trovano in un grande e, al tempo stesso, pericoloso errore coloro che si inventano una Chiesa a proprio piacimento e la immaginano come se fosse nascosta, per nulla manifesta. Parimenti cadono in errore coloro che, allo stesso modo, pensano la Chiesa come una qualche istituzione umana, con un certo ordinamento di governo e con riti esteriori, ma senza la perenne comunicazione dei doni della grazia divina, senza quanto garantisce con una quotidiana e

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palese testimonianza una vita attinta da Dio. Senza dubbio ripugna che la Chiesa di Ges Cristo possa essere solo una realt nascosta o una pura istituzione umana: ripugna tanto quanto il ritenere che luomo sia composto del solo corpo o della sola anima. La composizione e la stretta unione di queste due realt quasi parti del tutto necessaria per la vera Chiesa cos come, pressappoco, lintima unione dellanima e del corpo per la natura umana. La Chiesa non qualcosa di i nanimato ma il Corpo di Cristo, dotato di vita soprannaturale. Come il Cristo, capo e modello, non tutto se, in lui, si considera o la natura visibile in quanto solo umana, come fanno i fotiniani e i nestoriani, o la natura divina invisibile, come sogliono fare i monofisiti, ma uno in forza di entrambe e in entrambe le nature, sia visibile che invisibile, cos il suo corpo mistico non la vera Chiesa se non per il fatto che le sue parti pi insigni prendono forza e vita dai doni soprannaturali e da quelle altre realt, in dipendenza dalle quali si sviluppa la loro specifica condotta e natura (DzH 3300-3301).

La Chiesa quindi unica e una: qui unicam condidit, is idem condidit unam. Cos emerge anche la necessit di un principio esterno di autorit per conservare lunit. Nella successiva enciclica Divinum illud munus (9 maggio 1897) Leone XIII, inoltre, vuole illustrare lazione dello Spirito Santo nella Chiesa. Collocata nellopera comune della Trinit ad extra lopera dello Spirito viene considerata in primis nellIncarnazione del Figlio. Lo Spirito ha operato non solo la concezione umana del Verbo, ma anche la consacrazione della sua anima, la sua unzione, in forza della quale tutte le azioni di Cristo avvengono nello Spirito. Ci costituisce lanticipazione di quella duplice missione dello Spirito che opera nella Chiesa e nellanima dei si ngoli giusti. Lazione dello Spirito nella Chiesa consiste nella comunicazione di tutta la verit divina e nello sviluppo della dottrina. Lo Spirito la garanzia che la Chiesa resti fedele alla verit di Cristo, la approfondisca sempre meglio e la annunci al mondo. Il luogo dove si manifesta questa azione dello Spirito innanzi tutto il magistero e poi la multiforme ricchezza dei carismi. LEnciclica, per sintetizzare la modalit di presenza e di azione dello Spirito, riprende limmagine dellAnima del Corpo Mistico, cara a santAgostino: poich Cristo capo della Chiesa, lo Spirito Santo ne lanima: ci che lanima nel nostro corpo, questo lo Spirito Santo lo nel Corpo di Cristo che la Chiesa (DzH 3328. La citazione finale di AGOSTINO, Sermo 267, 4,4: PL 38, 1231d). 2) Il secondo tema sul quale Leone XIII ritorn a pi riprese, fu quello delle relazioni fra Chiesa e stato nel nuovo contesto contemporaneo che vede anche il nascere di un insegnamento sociale (Rerum Novarum). In questambito Leone XIII rinnov la dottrina ufficiale. Se, da una parte, egli continua la lotta dei suoi predecessori contro le pretese della societ e degli Stati moderni di costituire il tutto della vita degli uomini, ad esclusione di un ordine di vita soprannaturale la Chiesa, infatti, in se stessa una societ perfetta di natura e di diritto , daltra parte, si distanzia dalle tesi ierocratiche, riprendendo la dottrina gelasiana, Duo sunt quibus principaliter mundus hic regitur, e la dottrina tomista della distinzione, non solo di due poteri nel quadro di ununica societ, ma di due societ aventi ciascuna il suo fine specifico e il suo ambito proprio in quo sua cuiusque actio 243

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iure proprio versetur (Litt. Enc. Immortale Dei, 1 nov. 1885: DzH 3168). Poich le due vengono da Dio, luna dalla natura, laltra dal Cristo, esse sono coordinate, secondo il piano di Dio: in ragione del primato del fine e dellordine spirituale, la societ temporale, per lo stesso suo bene, deve essere sottomessa alla societ spirituale. Questa visione globale, la quale rifiuta ogni emancipazione delle scienze o del potere civile dallautorit divina, si fonda su una determinata concezion e della natura, che qui emerge nel ruolo essenziale attribuito alla legge naturale, alla ragione naturale o retta ragione: essa consente il rispetto dei differenti ambiti e la loro iscrizione in uno schema gerarchico di diritti, opposti allanarchia della ragione emancipata dalla fede. 3) Infine, di Leone XIII ricordiamo la preoccupazione molto viva per lunit dei cristiani, anche se contrassegnata da un indirizzo palesemente unionista. Egli pubblic circa 250 documenti ispirati a questo disegno e in particolare adott delle misure per frenare il processo di latinizzazione delle Chiese orientali cattoliche (Uniati); a suo avviso esse dovevano ritornare ad essere un tramite efficace tra la Chiesa cattolica di rito latino e le Chiese ortodosse, grazie alla loro duplice fedelt. Un episodio particolarmente importante di questo interesse ecumenico costituito dalla decisione di non riconoscere la validit delle ordinazioni anglicane per difetto di forma e di intenzione espresso nella Lettera Apostolicae curae del 13 settembre 1896 (cfr. DzH 3315-3319). 2.6.3. Il rinnovamento della Chiesa e della ecclesiologia dal 1920 al 1940 Verso il 1920, in coincidenza con la fine della prima guerra mondiale, si verific una rinascita delle forze rinnovatrici sia nel campo teologico dellecclesiologia sia nel campo liturgico-sacramentale e pastorale della vita della Chiesa. In questo periodo si avvi il risveglio della Chiesa nelle anime (Guardini), tanto che molto presto si pot salutare questo secolo come il secolo della Chiesa99. a) Fattori del rinnovamento dellecclesiologia 1. Il risveglio del senso comunitario. In particolare in Germania dopo il 1918 ebbe luogo una potente reazione allindividualismo e al meccanicismo sociale, che pervase tutti i campi del pensiero e dellazione. Questa scoperta in certe correnti assunse toni irrazionalisti e biologisti 100; ma essa av-

99

O. DIBELIUS, Das Jahrhundert der Kirche (Berlin 1926). Ci si rifaceva al pensiero di F. Tnnies, che opponeva la comunit che sorge dalla modalit organica e spontanea della volont umana e si sostiene su vincoli relazionali di natura affettiva e di sangue alla societ frutto dalla modalit riflessa e egocentrica degli individui e dei gruppi particolari e che si regge su istituzioni convenzionali.
100

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venne anche in chiave diversa, cio personalista101. Questo movimento rappresent latmosfera spirituale in cui il pensiero ecclesiologico tedesco pot accogliere lidea di comunit come correttivo allimpostazione societaria ereditata dallOttocento. La Chiesa cessava di apparire come unautorit solo esterna, per tornare ad essere un corpo vivente, al di fuori del quale la personalit del cristiano non poteva svilupparsi. 2. La spiritualit cristocentrica e il contributo di Pio X al rinnovamento dellecclesiologia per mezzo del suo programma di rinnovamento pastorale e, in concreto, eucaristico. 3. Lapostolato dei laici e il risveglio del laicato alla sua corresponsabilit nella missione della Chiesa (Pio XI e lAzione Cattolica). Loblio quasi totale del ruolo proprio del laicato nella Chiesa aveva comportato lindebolirsi del senso di comunit nei fedeli e, pertanto labbandono della sua corresponsabilit nella realizzazione della missione della Chiesa. Per la piena rivalutazione del laicato nella Chiesa mancavano per in quel momento alcuni presupposti ecclesiologici. 4. Il rinnovamento liturgico. Viene superata la nozione sociologica e giuridica della Chiesa per una nozione di Chiesa come mistero, non solo nel senso gnoseologico della Dei Filius ossia di una verit rivelata, ma nella sua accezione paolina di evento dellincontro con il Padre per il Cristo nello Spirito, che realizza il suo disegno salvifico sulluomo (Lambert Beauduin, Odo Casel). 5. Il rinnovamento degli studi biblici e patristici. 6. Il movimento ecumenico. In questi anni prendono avvio molteplici iniziative ecumeniche che portano alla creazione dei due organismi ecumenici maggiori (Life and Work: Stoccolma 1925; Faith and Order: Losanna, 1927), dai quali nel 1948 nascer ad Amsterdam il Consiglio Ecumenico delle Chiese (con sede a Ginevra). b) Le tendenze ecclesiologiche nella teologia del corpo mistico Il tema su cui si concentr fra le due guerre il confronto tra le tendenze ecclesiologiche fu quello del corpo mistico. Non si tratt solo di un dibattito teologico; fu anche una intensa corrente di vita spirituale, che introdusse nel pensiero e nella piet un tono cristocentrico. Nellunit di fondo del movimento il dibattito permise di discernere diverse tendenze fondamentali. 1) Interpretazione organologica e vitale. Rifacendosi allidea di chiesa come incarnazione continuata proposta da Mhler, Sheeben e dai teologi della Scuola romana nel secolo XIX e a una certa

101

Determinante fu linflusso di Max Scheler, che contrapponeva alla societ, di origine illumin ista, e alla comunit vitale, di ascendenza romantica, la comunit di amore o persona collettiva complessa. Nel valore assoluto della persona egli fondava il superamento dellindividualismo e dellorganicismo a favore di una unit nella pl uralit.

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interpretazione della teologia di Paolo e dei padri greci, questa tendenza accentuava lidea di organismo e di relazioni vitali dei membri tra di loro e con il Capo. Essa tendeva ad assimilare il corpo mistico a un organismo naturale, senza rispettare sempre i limiti imposti dallanalogia, cancellando le distanze sia tra Dio e le creature sia tra le persone nella comunit. In questo ordine di idee certi autori insistevano sulla qualit ontologica dellunione di vita tra Cristo e il fedele, quasi una unio secundum naturam, trovandone il fondamento nel carattere pneumatico del Risorto e nella sua onnipresenza somatica, e paragonandola cos alla transustanziazione eucaristica. Emblematiche di questo orientamento sono gli scritti di Karl Pelz102 e di Feliz Kastner103, anche se accenni a tale sentire si trovano anche in Feckes, Ternus e Wikenauser. Fu per nel campo pastorale e nella vita liturgica e sacramentale che fu pi decisivo linflusso di queste interpretazioni unilaterali della forma di unione della Chiesa con Cristo in un orientamento chiaramente misticista e semi-quietista. 2) Interpretazione personalista. Questa corrente sottolinea lincontro libero e responsabile tra Dio e luomo, la relazione personale tra Cristo e i fedeli mediante le virt, e i vincoli interpersonali tra i membri. Lunione tra Cristo e i cristiani non un atto naturale ma personale ed esalta la natura spirituale e libera delle persone e il loro impegno creativo nella comunit. Questa una vita comunitaria etica; soprattutto ununione damore. Il sentire cum Ecclesia comporta il superamento dellindividualismo verso unetica di comunione. Portavoce di questa tendenza fu Romano Guardini104, mentre alla sua diffusione contribu in modo decisivo lopera di K. Adam105. Questa tendenza benefici dei risultati di quattro pubblicazioni fondamentali, perch gli autori, J. Anger106, Th.M. Kppeli107, E. Mersch108, E. Mura109, investigarono le basi teologiche di questa nozione nella Scrittura, nei Padri e nei teologi e applicarono i dati acquisiti allecclesiologia e ai nuovi orientamenti pastorali. 3) Interpretazione agostiniana del Christus totus. Questa terza tendenza rischiava di sottovalutare lelemento istituzionale nella Chiesa, a favore del suo elemento di grazia e santit. Il corpo mistico, cio, era visto soprattutto come il dominio della grazia di Cristo, il Christus totus di impronta agostiniana; esso cio costituiva la comunit invisibile di coloro che appartengono a Dio in virt del-

102 103

Der Christ als Christus (Berlin 1939). Marianische Christusgestaltung der Welt (Paderborn 21936). 104 Vom Sinn der Kirche (Mainz 1922). 105 Das Wesen des Katholizismus (Dsseldorf 1924). 106 La doctrine du Corps Mystique de Jsus-Christ daprs les principes de la thologie de S. Thomas (Paris 1929). 107 Zur Lehre des hl. Thomas von Aquin vom Corpus Christi Mystikum; mit einem kurzen berblick ber die wichtigsten Vertreter dieser Lehre (Freiburg-Paderborn 1931). 108 Le Corps Mystique du Christ. Etude de Thologie historique (Paris 1933); Morale et Corps Mystique (ParisBruxelles 1931); Le Corps Mystique du Christ. Sa nature et sa vie divine daprs S. Paul et la thologie , I-II (Paris 1934).

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la grazia. Suoi membri erano tutte le creature razionali elevate allo stato soprannaturale, compresi gli angeli e i giusti dellAT (Ecclesia ab Abel)110. La conclusione era che il corpo di Cristo non coincideva con la Chiesa visibile, ma si estendeva virtualmente tanto quanto la volont salvifica di Dio. Perci la Chiesa e il corpo mistico erano due realt estremamente vicine e luna conduceva allaltra, ma sulla terra non si identificavano perfettamente (E. Mersch). Di conseguenza il criterio di appartenenza al corpo mistico non coincideva con lappartenenza alla Chiesa: suoi membri sono tutti quelli che sono in legame interiore e vitale con Cristo. Il ruolo pressoch esclusivo attribuito alla grazia nella costituzione del corpo mistico finiva, per, col separare laspetto mistico da quello istituzionale e col non rendere pi conto della universale mediazione salvifica della Chiesa visibile. 4) Interpretazione corporativista. Questa si contrappose polemicamente alle altre, dato che il termine corpo per alcuni autori doveva essere inteso solo come una metafora che indicava laspetto societario della Chiesa111. Altri autori, invece, conservavano un significato reale e soprannaturale, ma ritenevano che non la Chiesa dovesse essere concepita a partire dal corpo mistico (inteso come il dominio della grazia), bens questultimo a partire da quella come realt visibile e gerarchica. Essi riprendevano la linea della Scuola romana circa la natura istituzionale della Chiesa e il carattere teandrico della sua costituzione e delle sue operazioni. Il rappresentante maggiore della tendenza fu Sebastiaan Tromp112, la cui intenzione programmatica fu quella di considerare in primo luogo nella Chiesa non i nessi invisibili con Cristo ma lorganismo sociale e la sua struttura, che insieme gerarchica e carismatica. La visibilit, infatti, entra nel mistero della Chiesa come entra nel mistero del Verbo incarnato: il corpo mistico, perci, la chiesa visibile in quanto organismo, ma un organismo vivificato dallo Spirito. Egli concludeva perci che la Chiesa di Cristo sulla terra una societ religiosa da lui fondata e soggetta al papa; che il corpo mistico la chiesa romana; che, infine, questa chiesa si chiama corpo mistico perch un organismo istituito da Cristo e diretto visibilmente da lui nel suo vicario, ma anche perch tale organizzazione sociale unificata, vivificata e unita a Cristo ed a lui assimilata da un principio invisibile, immessovi da Cristo, cio il suo Spirito.

109 110

Le Corps Mystique du Christ. Sa nature et sa vie divine daprs S. Paul et la thologie, I-II (Paris 1934). Y. CONGAR, Ecclesia ab Abel, in M. REDING (ed.), Abhandlungen ber Theologie und Kirche , (Dsseldorf 1952) 79-108. Emblematico di questa corrente E. MERSCH, La thologie du corps mystique, I-II (Paris-Tournai 41954). 111 M.D. KOSTER, Ekklesiologie im Werden (Paderborn 1940). 112 Corpus Christi quod est Ecclesia, I-III (Roma 1937ss).

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2.6.4. La riflessione ecclesiologica attorno alla Mystici Corporis (1940-1950) a) I prodromi Cos come il movimento iniziato dal Bellarmino port alla definizione del primato e della infallibilit pontificia nel Vaticano I, il movimento iniziato da Mhler culmin nellenciclica Mystici Corporis (29 giugno 1943) di Pio XII e nel Vaticano II. Linvestigazione teologica nel decennio 1940-1950 si concentr sulla tematica proposta dalla Mystici Corporis ( = MC). Questo fatto facilmente comprensibile se si tiene presente che lenciclica coron i lavori intrapresi nei vari campi della teologia da tutta una generazione di teologi, per cui lidea del corpo mistico fu accettata come centro di unit dellecclesiologia e penetr profondamente nella coscienza della comunit ecclesiale. Dallaltra parte, la MC si vide obbligata a frenare certe tendenze ecclesiologiche che, accentuando unilateralmente lunione mistica dei membri tra di loro e con Cristo Capo, mettevano in pericolo la verit integrale del dogma ecclesiologico. b) Lecclesiologia della Mystici Corporis (29 giugno 1943) 1. Gli errori condannati dallenciclica Lenciclica viene pubblicata contro gli errori ecclesiologici del razionalismo e naturalismo da una parte che mirano a ridurre la Chiesa a mero prodotto umano e cio a realt meramente giuridica e sociologica , e quelli di un esagerato misticismo dallaltra che non rispetta le frontiere tra lumano e il divino nella Chiesa, tanto da considerare uniti e fusi in unica stessa persona fisica il Redentore divino e i membri della Chiesa, attribuendo agli uomini cose divine, sottomettono Ges Cristo a errori e debolezze umane (DzH 3816). Inoltre lenciclica scopre forme pi moderate di misticismo ecclesiologico in quanti, accentuando con una certa esclusivit gli aspetti interiori della Chiesa nellunione dei suoi membri con Cristo e tra di loro, presentano una Chiesa occulta e totalmente invisibile Una societ formata e sostenuta dalla carit, alla quale oppongono con un certo disprezzo unaltra che essi chiamano giuridica (AAS 35 (1943) 223). Altri interpretano male lunit della Chiesa dissociando la sua realt interiore dalla esteriore: si allontanano dalla verit d ivina quanti concepiscono la Chiesa come qualcosa di inaccessibile e che non si pu vedere, quasi come si trattasse di una realt pneumatica che consta di molte comunit di cristiani che, sebbene separati tra di loro, grazie alla fede sono uniti con un vincolo invisibile (Ibid., 199-200). 2. La dottrina ecclesiologica dellenciclica Nella sua esposizione dottrinale lenciclica segue i seguenti passi: (1) la Chiesa un corpo; (2) la Chiesa corpo di Cristo; (3) la Chiesa corpo mistico di Cristo. 248

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(1) La Chiesa un corpo (visibile e organico): per corpo si intende qui la comunit indivisa, visibile, organica e gerarchicamente costituita che abbraccia determinati membri e da cui non sono esclusi i peccatori. Alla ricerca di un sintesi fra la realt invisibile e quella visibile della Chiesa, la MC, appoggiandosi alla Satis cognitum, adopera corpo in relazione diretta con il corpo umano e con ogni corporazione sociale, per significare non tanto lindivisibilit e unicit della Chiesa nel senso paol ino in modo che i molti formano un corpo (Rm 12,5), quanto la sua visibilit: Poich la Chiesa un corpo, si percepisce con gli occhi (Ibid., 199). Pertanto si deve rifiutare la concezione di una Chiesa invisibile o pneumatica, in cui i suoi membri si considerano uniti mediante vincoli meramente spirituali. Quindi, mentre il peccato non separa necessariamente dal corpo della Chiesa il peccatore un membro infermo , leresia, lo scisma, lapostasia e la scomunica, ratificate nel foro esterno, implicano la perdita dellappartenenza al corpo ecclesiale. La Chiesa poich un corpo, anche un organismo gerarchizzato in relazione ai vari ministeri gerarchici e agli altri carismi di cui sono dotati i suoi membri per il bene della totalit. (2) La Chiesa il corpo di Cristo: essa stata fondata da Cristo e appartiene a lui. Dal parallelismo fra Incarnazione e Chiesa si conclude che la Chiesa il corpo di Cristo. Per, per quanto intima sia lunit di Cristo e della sua Chiesa, questa non lunione ipostatica che si d tra la natura umana di Cristo e il Verbo. Perci lenciclica dichiara che la relazione di Cristo con il suo corpo quella del Fondatore, Capo, Sostentatore e Salvatore. La Chiesa ha Cristo come suo Fondatore perch venuta allesistenza attraverso tutto il processo degli eventi che costituiscono il Mysterium Christi, dallincarnazione fino allinvio dello Spirito sopra il gruppo dei discepoli ed essa deve rendere presente in modo efficace lopera della redenzione agli uomini fino alla fine del tempo. Il Cristo inoltre Capo del suo corpo, anche se lunione tra i due non lunione ipostatica, ma piuttosto lunione in ordine allesercizio della missione di salvezza che Cristo realizz sulla terra e, dopo la sua asce nsione al cielo, come Capo della Chiesa continua tra gli uomini. Daltra parte, lunione tra Cristo e i fedeli non da pensarsi sul modello di una societ umana: Cristo infatti presente nella Chiesa e nei cristiani cos da esserne il Sostentatore; ci fa s che la Chiesa esista quasi altera persona Christi (Ibid., 218). Perci Cristo che battezza, offre il sacrificio al Padre, insegna e regge la comunit dei fedeli. In breve, Cristo sostenta la sua Chiesa visibilmente attraverso i suoi ministri gerarchici e invisibilmente per mezzo del dono dello Spirito. In specie Cristo sostenta la Chiesa in virt della missione giuridica che egli comunic ai discepoli e che non diversa da quella che egli ricevette dal Padre, per la quale sempre lui che battezza, insegna per mezzo della Chiesa. Inoltre, lo Spirito lo Spirito di Cristo, perch il medesimo in Cristo e nei cristiani, bench partecipato in modo differente. Lo Spirito si pu cos chiamare anima della Chiesa. Perci la presenza di Cristo alla Chiesa 249

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non somatica, ma pneumatica. La MC adduce un quarto motivo per chiamare Cristo capo del corpo mistico e la Chiesa corpo di Cristo e lo fa basandosi su Ef 5,23: Cristo capo della Chiesa, lui che il salvatore del suo corpo. Egli Salvatore di tutta lumanit, per in modo speciale lo dei fedeli che si acquistato con il suo sangue per costituirli membri della Chiesa (Ibid., 221). (3) La Chiesa il corpo mistico di Cristo. La Chiesa non un corpo naturale: mentre infatti in questo solo il tutto ha la sussistenza che d alle parti, la Chiesa invece ha una moltitudine di membri che possiedono una personalit propria. Inoltre, mentre in un corpo vivente le parti sono destinate allutilit del tutto, nella compagine della Chiesa il fine ultimo il bene di ciascun membro. Daltra parte, la Chiesa non nemmeno un corpo morale, perch anche avendo caratteristiche proprie della corporazione, la supera in modo essenziale. Nel corpo morale, infatti, ci che unisce tutti i membri del corpo un fine estrinseco a tutti loro che li congiunge in ordine al suo perseguimento sotto la direzione di unautorit sociale. Tutto ci si compie anche nella Chiesa, compagine unita dai vincoli giuridici istituiti da Cristo; in essa per si d tra suoi membri ununit pi intima. Infatti la Chiesa ha come principio interno di unit lo Spirito Santo, che unifica i suoi membri in una medesima vita. Pio XII rigetta perci ogni interpretazione naturalistica che vede nellorganismo ecclesiale solo una istituzione umana. Questo corpo che non n fisico n morale si pu allora chiamare mistico. 4) Lenciclica dedica poi la sua seconda parte a precisare lunione dei membri con Cristo e tra di loro nel corpo della Chiesa. A tal fine Pio XII identifica Chiesa cattolica e corpo mistico, affermando che tanto si estende il corpo mistico di Cristo quanto si estende la Chiesa cattolica; le due realt si completano e si perfezionano a vicenda, e procedono da un solo e identico Salvatore. Quindi tra i membri della chiesa bisogna annoverare esclusivamente (reapse) quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera fede n da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo corpo, n per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorit Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un solo corpo, un solo Spirito, un solo Sign ore e un solo battesimo, cos non si pu avere che una sola fede (Ef 4,5), sicch chi abbia ricusato di ascoltare la chiesa, deve, secondo lordine di Dio, ritenersi come gentile e pubblicano (Mt 18,17). Perci quelli che sono tra loro divisi per ragioni di fede e di governo, non possono vivere nellunit di tale corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito. Quelli invece che non appartengono alla Chiesa visibile, non appartengono neppure al corpo mistico di Cristo, anche se da un certo inconsapevole anelito e desiderio sono ordinati al mistico corpo del Redentore (DzH 3821). La pubblicazione della MC segna indubbiamente una nuova tappa nella storia delle idee ecclesiologiche e costituisce un progresso innegabile, ossia il passaggio dalla considerazione sociologica o

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giuridica della Chiesa a quella propriamente teologica. Di fatto, la nozione di societ perfetta come tale era ricavata dalla sociologia e dal diritto, non dalla rivelazione, mentre la nozione di corpo mistico si trovava in S. Paolo e in tal caso poteva essere di maggior aiuto per una definizione teologica della Chiesa. Tuttavia si deve osservare anche che lenciclica adott come punto di partenza la nozione sociologica di corpo (la Chiesa una corporazione sociale e come tale visibile); ci condizion la soluzione che si diede ai vari problemi affrontati, ad es. lidentificazione del corpo mistico con la Chiesa cattolica romana e la questione dei criteri di appartenenza. In ogni caso lenciclica fece sorgere parecchie discussioni. In primo luogo ci si chiedeva se la nozione di corpo mistico di Cristo fosse da considerarsi una definizione della Chiesa in senso stretto. La discussione concluse che se questa non era da considerarsi lunica definizione, tuttavia era da preferirsi rispetto alle altre (Malmberg; Holbck; Schmaus). In secondo luogo sorse una discussione sulla identificazione che la MC aveva operato fra corpo mistico e Chiesa cattolica romana posizione che Pio XII conferm nella Humani Generis: AAS 42 (1950) 567-568 e quindi sui criteri di appartenenza alla Chiesa. Alcuni si chiedevano infatti se il corpo mistico non si estendesse oltre le frontiere della Chiesa cattolica e dellappartenenza alla Chiesa visibile. Altri parlavano di differenti gradi di appartenenza alla Chiesa, ricollegandosi a J.B. Franzelin, che ammetteva unappartenenza parziale (ex parte); parlavano perci, dincorporazione in voto e dincorporazione totale e pratica alla Chiesa (Y. Congar), di appartenenza visibile e dappartenenza invisibile alla Chiesa (A. Lig). Altri poi sottolineavano che il concetto di corpo di Cristo cos inteso disconosceva la differenza fra il presente e la consumazione futura (Fincke). In terzo luogo la discussione si appunt sul significato dellaggettivo mistico, dato che esso non apparteneva al linguaggio paolino, ma gli era posteriore. Inoltre si faceva notare come il senso cristologico-soteriologico e sacramentale che Paolo aveva dato allespressione corpo di Cristo non era stato pienamente considerato dallenciclica, interessata a sottolineare in essa soprattutto la visibilit e organicit della Chiesa. Di tutta questa ampia discussione possiamo fare nostro il bilancio conclusivo stilato da Antonio Acerbi alla luce della svolta conciliare: La teologia del corpo mistico concentr il suo interesse proprio sul lato invisibile della Chiesa, sentito come quello essenziale per la sua comprensione. Ma non arriv a coglierne il riflesso sulla dimensione istituzionale della Chiesa e confin ancora la realt della communio sanctorum nei limiti del puramente spirituale, nella sfera extragiuridica del rapporto di amore e di grazia tra Cristo e i fedeli e tra questi ultimi. La tendenza fu, perci, o a svalutare il dato istituzionale, negandogli rilevanza nel mistero della Chiesa o a mantenere intatta la prevalenza delle categorie istituzionali nella considerazione del lato visibile della Chiesa. Anche quando si sottolineava il servizio che tutti i membri della Chiesa sono chiamati a rendersi nella co251

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munione dei santi, e quando la realt mistica della Chiesa era portata a fondamento e giustificazione della sua dimensione visibile, era pur sempre listituzione gerarchica il termine prevalente della considerazione. Si continuava ad avere, cos, da un lato una comunit di fede (sentita come la realt essenziale, ma senza consistenza giuridica e rilevanza strutturale) e dallaltro lato una societ gerarchica dotata di organi gerarchici (concepita ancora secondo gli schemi della societ perfetta)113. 2.6.5. Le nuove prospettive dellecclesiologia tra il 1950 e il 1960 Tra il 1950 e il 1960 si ebbe un approfondimento dei problemi ecclesiologici, con nuove prospettive grazie a uno studio pi intenso della Sacra Scrittura e dei Padri. In particolare si pose laccento sui temi che avrebbero costituito lossatura della Lumen Gentium, quali la Chiesa come sacramento di salvezza, come comunione, come popolo di Dio; se ne mise in risalto il carattere missionario; fu approfondito il posto dei laici nella Chiesa e la specificit della loro missione (la teologia del laicato); si posero in risalto gli elementi ecclesiali presenti nelle Chiese e comunit separate; si approfond il carattere escatologico della Chiesa; furono meglio studiati i rapporti tra Maria e la Chiesa. In particolare la situazione della riflessione ecclesiologica al momento del Concilio risultava dalla confluenza di tre filoni teologici. Continuavano ad avere corso, soprattutto sul tema delle strutture gerarchiche, le soluzione giuridiste, tramandate attraverso i manuali di teologia e di diritto pubblico ecclesiastico. Accanto a queste apparivano recepiti e consolidati i risultati del rinnovamento ecclesiologico, che aveva fatto perno attorno al tema del corpo di Cristo. Infine, cominciavano ad affermarsi nuovi spunti relativi al rapporto tra gli elementi costitutivi della dimensione storica e sociale della Chiesa, cio tra il dato gerarchico, quello sacramentale e quello comunitario della societ ecclesiale. Ne venne che su molti temi si contrapponevano opinioni divergenti. a) Il mistero della Chiesa Una prima linea di spartiacque si manifestava nella questione della definizione (o descrizione) della Chiesa. Si trattava di sapere se la Chiesa andava definita facendo riferimento in primo luogo al mistero presente in essa pi che alle caratteristiche societarie della sua manifestazione storica (subordinando, quindi, la realt strutturata della Chiesa alla sua realt mistica) oppure se doveva essere definita ricorrendo in primo luogo alle categorie filosofiche correnti per la definizione delle altre societ umane (salvo affermarne la soprannaturalit dellorigine e del fine). 1) La visione societaria della chiesa era ancora dominante in alcuni importanti manuali (Vellico;
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A. ACERBI, Due ecclesiologie (Bologna: EDB, 1975) 47-48.

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Zapelena; Salaverri). Essa era difesa appassionatamente soprattutto in alcuni ambienti teologici nordamericani (Fenton). Ma la riflessione teologica nel suo complesso aveva abbandonato la prospettiva controversistica, facendo prevalere lopinione che la Chiesa primariamente una realt invisibile. Con ci non si nega affatto la visibilit della Chiesa, anzi la si richiede a ragione del concetto di mistero, che significa una comunicazione della salvezza avvolta in forme visibili114. Nel definire la Chiesa, perci, deve emergere la comunione interiore di carit e la santit comunicatale da Cristo. La sensibilit al mistero della Chiesa permetteva di integrare meglio nella teologia della Chiesa la dimensione pneumatica: la Chiesa, infatti come comunione di vita e di santit, una comunione nello Spirito115. Il richiamo al mistero dello Spirito serviva ad evitare il monofisismo ecclesiale: la Chiesa non incarnazione continuata; essa ha un rapporto solo analogico col mistero della unione ipostatica, visto che lunit in Cristo dei fedeli si realizza per la mediazione dello Spirito 116. Questa rinnovata comprensione del carattere pneumatico della Chiesa trovava espressione nella riproposizione del tema tradizionale della ecclesia de Trinitate: la Chiesa una comunit di persone in comunione con le persone divine per la comunicazione fatta loro da Cristo nello Spirito della vita e dellunit trinitaria117. Allo schema cristologico si affiancava cos uno schema trinitario. La sensibilit al mistero della Chiesa apriva anche allidea che essa non fosse definibile in senso proprio, ma che se ne potesse dare solo una descrizione di tipo metaforico o analogico118. Questa consapevolezza rivalut il valore teologico delle immagini e delle metafore, sia bibliche che patristiche, ed apr a una pi profonda comprensione della ecclesiologia dei Padri119. 2) Il dono dello Spirito il dono degli ultimi tempi. La riflessione sul mistero della Chiesa non pot, perci, andare disgiunta dalla considerazione del suo carattere escatologico. Nella prospettiva societaria listituzione non in tensione n verso il passato (la Chiesa societ perfetta non esisteva nellAT) n verso il futuro (esso irrilevante per listituzione, che non esister pi nello stadio della Chiesa trionfante), ma in se stessa conchiusa e perfetta, tutta realizzata nella volont istitutiva del suo fondatore e nelle sue cause costitutive. Nella prospettiva comunionale, invece, la dimensione escatologica ritrovava piena rilevanza. La comunione con Dio, infatti, ha unintrinseca tensione ver-

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A. STOLZ, De ecclesia (Freiburg im Brisgau 1939) 15. Y. CONGAR, La pneumatologie dans la thologie catholique , in RScPhTh 51 (1967) 250-258. 116 Y. CONGAR, Dogme christologique et ecclsiologique. Verit et limites dun parallle , in ID., Sainte glise. tudes et approches ecclsiologiques (Paris 1964) 69-104. 117 Y. CONGAR, Chrtiens desunis. Principes dun oecumenisme catholique (Paris 1937) 59-73; H. DE LUBAC, Mditation sur lglise (Paris 1952). 118 Y. CONGAR, Sainte glise, 21 n. 1; A. STOLZ, De ecclesia, op. cit., 27. 119 H. RAHNER, Symbole der Kirche. Die Ekklesiologie der Vter (Salzburg 1964).

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so leschaton e listituzione non ha ragione e consistenza in s medesima, ma la riceve da ci cui ordinata e che la sorpassa, la comunione di vita beata con Dio, ed ha valore nel suo rapporto di significazione e di servizio alla res di cui segno nella storia umana. La comunione anche una realt progressiva, in cui i diversi tempi delleconomia salvifica hanno un proprio significato fino al culmine del regno, cui tutta la storia della salvezza ordinata. La diversa sensibilit circa la natura escatologica della Chiesa trovava il suo primo campo di espressione nella considerazione dei rapporti tra la Chiesa e il regno di Dio. La tendenza prevalente tra i cattolici prima della crisi modernista era di identificare semplicemente Regno e Chiesa (cfr. ancora nel 1925 Pio XI nellistituire la festa di Cristo Re). Pi tardi, in reazione alla separazione totale che liberali e modernisti operavano tra i due, i cattolici iniziarono a distinguere tra le due realt, anche se a malapena: la differenza ammessa riguardava pi il modo che la natura. Alcuni studiosi cominciarono a distinguere tra i due anche quanto alla loro natura: la Chiesa non il Regno, che sar presente solo nella comunione finale, ma ha strette relazioni col Regno120. La rivalutazione della dimensione escatologica della Chiesa rappresentava anche una reazione allindebita assimilazione del suo stadio terreno alla sua situazione celeste e alla accentuazione del suo carattere di regnum immobile. La coscienza della sua natura escatologica relativizzava, invece, il dato istituzionale. b) La dimensione storica della Chiesa La Mystici Corporis aveva riaffermato la corporeit sociale e lunit tra lelemento spirituale e quello istituzionale del Corpo mistico di Cristo, contro il rischio di restringere la Chiesa al dominio della grazia personale o di concepire la Chiesa solo in prospettiva personalista. Tuttavia la soluzione data si limitava ad affermare la compresenza e lunit dei due elementi nella Chiesa (assumendo in senso corporativo lidea di Corpo mistico) e a proporre il lato visibile della Chiesa in termini p revalentemente societari. La riflessione successiva cerc, quindi, di chiarire il rapporto tra il dato mistico e quello sociale, con lintento di superare sia lunivoca identificazione tra Corpo mistico e societ, tra Chiesa e Chiesa romana, sia i limiti della visione societaria del lato visibile della Chiesa. 1) Alcuni autori, tra le due guerre, avevano posto in tensione i due aspetti della Chiesa come legge intima della realt ecclesiale: irriducibili come sono, essi fan s che il mistero della Chiesa possa essere espresso solo con laiuto di due proposizioni in tensione dialettica fra di loro121. Tale concezione induceva a una dualit difficilmente accettabile, ove questa fosse riposta sul piano strutturale. Ma

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R. SCHNACKENBURG, La Chiesa nel Nuovo Testamento (Brescia: Morcelliana, 1978; ed. or. 1961). K. FECKES, Das Mysterium der hl. Kirche (Paderborn 1934); Y. CONGAR, Chrtiens desunis, op. cit., 95-110.

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essa si manifestava adatta a dar ragione della non identit assoluta tra il Corpo mistico e la Chiesa romana, ove si considerassero i rapporti tra i due aspetti della Chiesa sul piano storico. 2) Allo stesso scopo intese provvedere la concezione sacramentale della Chiesa, che riprese e sistematizz un concetto gi presente tra le due guerre. Essa presenta Cristo come epifania di Dio nella sua umanit e come sacramento primordiale; la Chiesa lo solo in senso derivato: essa il sacramento di Cristo, come questi lo nella sua umanit di Dio. I sette sacramenti sono a loro volta la manifestazione particolare delluniversale sacramentalit della Chiesa122. Questa concezione cercava un principio sintetico nella nozione di sacramento per spiegare lunit, la distinzione e la co mplementarit dei due poli della realt ecclesiale. La Chiesa non solo unistituzione (necessaria per precetto divino) per acquistare una grazia che non ha in s relazione intima con la natura di tale apparato istituzionale, e nemmeno una fondazione che continua sulla terra lopera di salvezza compiuta da Cristo; essa lo rende attualmente presente, essa assicura loperazione attuale del Cristo tra gli uomini. Daltra parte, per, essa non Cristo, ne solo il sacramento. Ci comporta che il suo apparato istituzionale non solo la manifestazione esteriore della comunione di grazia, che il frutto dellazione salvifica attuale di Cristo, ma ne anche la causa strumentale. Il rapporto tra la vita spirituale dei fedeli e la sua forma societaria cos chiaramente affermato in entrambi i sensi, ma nella stretta subordinazione della realt sociale a quella spirituale. Questa concezione accoglieva lesigenza fondamentale della Mystici Corporis, quella dellunit tra il dato sociale e quello spirituale: nel sacramentum, infatti, la res e il signum sono uniti necessariamente e sussistono in e in virt di tale unione. Ma evitava lidentificazione univoca dei due dati: la res e il signum sono infatti formalmente distinti e uniti proprio in quanto distinti e correlati. 3) Una nozione fondamentale nella Bibbia e rimessa recentemente in onore ad opera di esegeti, teologi e canonisti, era quella di popolo di Dio123. Raramente presente nei manuali, essa, quando lo era, veniva considerata come specificazione dellidea generica di popolo in senso sociologico e fatta coincidere con lidea di societ. Una diversa considerazione cominci ad aversi nella polemica sul Corpo mistico, inteso come puro regno della grazia. Rifiutando tale idea come incapace di fondare la visibilit della Chiesa, alcuni teologi proposero lidea di popolo di Dio come pi esauriente nel render conto della realt della Chiesa che quella di corpo mistico. Ma decisivo fu il recupero della

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O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza (Napoli 1965; 2a ed. ted. 1955); E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dellincontro con Dio (Roma 1962; or. 1957); K. RAHNER, Chiesa e sacramenti (Brescia 1965; or. 1960). 123 M.D. KOSTER, Ekklesiologie im Werden (Paderborn 1940); J. RATZINGER, Popolo e casa di Dio in santAgostino (Milano 1971; or. 1954) cfr. il primo numero della rivista Concilium 1 (1965).

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sua specificit biblica e patristica. Lambito in cui essa andava situata era il mistero cristiano considerato come storia della salvezza in cui non inteso primariamente il singolo nella sua unione mistica col Signore, ma la totalit dei chiamati a salvezza, il popolo dellAlleanza (e solo nella t otalit il singolo)124. La Chiesa appare allora come lekklesa, il popolo che Dio elegge e convoca con la sua parola ogni istante; la Chiesa la congregatio fidelium, ma insieme anche la convocatio Dei. Essa il popolo peregrinante, sorretto dalla fedelt del Signore alle sue promesse ma soggetto anche alla miseria e alla infedelt degli uomini. Infine, essa il popolo di Dio universale: la cattolicit, per, meno una questione quantitativa e pi la capacit dellunit, per cui la Chi esa assume tutte le esigenze dello spirito umano e dei popoli in cui si incarna125. 4) Uno spostamento di accento si ebbe, poi, anche nellidea di corpo mistico, con la riscoperta del suo senso biblico e patristico. Gli esegeti misero in luce che in Paolo la nozione di corpo non ha primariamente un significato corporativo; essa indica piuttosto lunione vitale del cristiano col Signore risorto, di quanti nel battesimo e nelleucaristia partecipano della sua vita e della sua morte126. Gli storici individuarono, a loro volta, un cambiamento fondamentale, avvenuto tra il XII e il XIV secolo, nel senso del termine. Per i Padri vi era un incrocio inscindibile tra il corpo eucaristico e quello ecclesiale di Cristo, cosicch la Chiesa non poteva intendersi corpo di Cristo se non per il suo riferimento alleucaristia. Nel medioevo invece la nozione scivol sul piano sociologico, diventando in sostanza una metafora per indicare la Chiesa come una corporazione127. In quanto corpo di Cristo la Chiesa , allora, la comunit di coloro che celebrano la cena del Signore, diventando essi stessi corpo del Signore. In questa accezione, veniva meno lopposizione tra lidea di corpo mistico e quella di popolo di Dio, anzi ne appariva la profonda consonanza: la Chiesa il popolo di Dio della nuova alleanza, che esiste come corpo di Cristo128. Le scelte operate nelle questioni dei rapporti tra il dato istituzionale e quello spirituale della Chiesa comportavano un corollario e una pietra di paragone nella questione dellappartenenza alla Chiesa (e della sua necessit per la salvezza). Sostanzialmente daccordo sui dati del problema (sulla esistenza e la natura dei vincoli interiori e sociali con la Chiesa esistenti nei cattolici e non cattolici), la divisione sopravveniva circa la loro rilevanza ecclesiologica; il che si riconduceva al significato che

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H. DE LUBAC, Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma (Roma 1964; or. 1938). Si vedano i contenuti teologici di questa nozione in A. ANTON, El mistero de la Iglesia, II, op. cit., 729-753. 126 P. BENOIT, Corpo, capo, pleroma nelle lettere della prigionia , in Esegesi e teologia (Roma 1964) 399-460 [gi in Revue Biblique 63 (1956) 5-44]. 127 H. DE LUBAC, Corpus mysticum (Torino 1968; or. 1949). 128 J. RATZINGER, Kirche, in LThK2, VI, 172-183; R. SCHNACKENBURG, La Chiesa del nuovo Testamento, op. cit., 160187; L. CERFAUX, La teologia della chiesa secondo san Paolo (Roma 1968; or. 1965) 463-471.

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i teologi ponevano sotto il termine Chiesa. Inoltre si poneva anche il problema dello statuto delle chiese e delle comunit non cattoliche. 5) Infine la comprensione pi articolata a livello biblico, patristico e storico del tema Chiesa, diede nuovi impulsi per ripensare la relazione fra la Chiesa e il mondo, caratterizzata a partire dal Medio Evo come confronto fra due potenze. Il ritorno alle fonti fece emergere il mondo come soggetto di una storia il cui senso relativo al suo termine, cio lescatologia. La Chiesa cos non veniva pi concepita come potere rivale dellaltro potere; essa vedeva se stessa, lo stesso mondo e il proprio rapporto al mondo, in riferimento allescatologia. Questa visione rinnovata fondava una maniera nuova, per la Chiesa, di esercitare il suo rapporto al temporale: non pi pretesa di giurisdizione sulla citt, ma influsso esercitato dai fedeli la cui coscienza formata dalla Chiesa: in fondo era lo stesso statuto dellAzione cattolica. I cattolici uscivano dal ghetto di un cattolicesimo strettamente confessionale e sociologico-politico, per fare, insieme con gli altri, la loro parte nel mondo profano. In proposito si spesso parlato di fine dellera costantiniana. Si accettava la laicit delle strutture di questo mondo che si trattava di consacrare, non attraverso una sacralizzazione di tipo clericale ma attraverso una umanizzazione secondo Dio. Evidentemente ci impegnava una antropologia ben diversa da quella implicata nel Syllabo Luomo cristiano, ricreato nellAzione cattolica e nei movimenti paralleli, riprendeva il suo posto nella Chiesa. Il panorama delle tendenze ecclesiologiche a ridosso del Concilio peraltro qui solo abbozzato permette di cogliere la complessit della situazione, che fece da sfondo al dibattito conciliare. Le tendenze ecclesiologiche non si presentavano, infatti, ognuna come un dato unitario; anzi, neppure erano nettamente distinte, ma apparivano in parte sovrapposte, se si tien conto di alcuni problemi concreti. Se era quasi di pacifico possesso una considerazione mistica della chiesa, frutto dellapprofondimento che su questo aspetto era stato operato dalla teologia del corpo mistico (cosicch su tale punto si realizz con una certa facilit lunanimit morale in Concilio), la riflessione sullindole comunitaria della chiesa visibile conservava talora una certa fluidit di lineamenti e spartiva il campo con i ben pi vigorosi temi in materia della ecclesiologia societaria. Daltra parte, i padri erano mossi soprattutto non da preoccupazioni di sistematica teologica, ma da intenti pastorali: il recupero di una capacit di presenza e di dialogo col mondo contemporaneo, lecumenismo, il rinnovamento della liturgia, lequilibrio tra lesercizio del primato e la funzione dellepiscopato, lincarnazione della chiesa nelle civilt non europee, per citarne solo alcuni. Il Concilio rappresent un momento eccezionale di approfondimento della coscienza della chiesa attorno alla sua natura e alla sua missione; ma il problema ecclesiologico fu filtrato attraverso tali preoccupazioni dei padri.

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2.7. La comprensione della chiesa al Vaticano II Lintento di queste riflessioni di offrire unintroduzione generale alla Costituzione Lumen Gentium. Si considereranno soprattutto due tematiche. Nella prima parte si ripercorreranno le tappe principali della redazione del testo per vedere attraverso quali passaggi si giunti alla stesura definitiva; presteremo attenzione soprattutto alla struttura del testo che non affatto un elemento secondario, ma rivela limpostazione del discorso ecclesiologico. Nella seconda parte invece cercheremo, alla luce degli elementi emersi mediante lanalisi della genesi del documento, di indicare alcuni criteri interpretativi che consentono di comprenderlo in maniera corretta. 2.7.1. Le tappe principali della redazione della Lumen Gentium a) La composizione del primo schema e laffermazione della tendenza giuridica Per quale ragione il Vaticano II ha elaborato un documento come la Lumen Gentium che riprende in termini complessivi il tema ecclesiologico? A differenza della situazione in cui si sono celebrati la maggior parte dei concili della storia della chiesa, nel caso del Vaticano II non ci si trovava nella necessit di precisare aspetti essenziali della fede mediante delle definizioni dogmatiche, ma piuttosto si avvertiva il bisogno di rinnovamento della vita ecclesiale che si riteneva potesse derivare solo da una nuova esposizione dellinsegnamento cristiano e, in particolare, della dottrina sulla chiesa. Le ragioni che rendono necessario questo discorso e le finalit che esso si prefigge sono suggerite da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio:
Il nostro dovere non soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dellantichit, ma di dedicarci con alacre volont e senza timore a quellopera, che la nostra et esige, proseguendo cos il cammino, che la chiesa compie da quasi venti secoli. Lo scopo principale di questo Concilio non , quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa, in ripetizione diffusa dellinsegnamento dei Padri e dei Teol ogi antichi e moderni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto linsegnamento della chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conc iliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Est enim aliud ipsum depositum Fidei, [seu veritates, quae veneranda doctrina nostra continentur], aliud modus, quo eaedem enuntiantur [eodem tamen sensu eademque sententia] . Bisogner attribuire molta importanza a questa forma e, se sar necessario, bisogner insistere con pazienza nella sua elaborazione: e si dovr ricorrere a un modo di presentare le cose che pi corrisponda al magistero, il cui carattere preminentemente pastorale129.

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GIOVANNI XXIII, Discorso di apertura del Concilio, 11 ottobre 1962; EV I, n. 53*-55*. Abbiamo scritto in parentesi quadra le aggiunte fatte, contro lintenzione e lo scritto di papa Giovanni, dalla redazione ufficiale pr esente negli AAS.

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Lesecuzione di questo progetto fu tuttaltro che facile e la storia della redazione della LG mostra il percorso faticoso attraverso cui si cercato di realizzare il programma delineato da Giovanni XXIII (senza dimenticare la Gaudium et Spes, il secondo pilastro del discorso conciliare sulla chiesa). Dopo lannuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII (il primo annuncio pubblico venne fatto il 25 gennaio 1959 nella basilica di S. Paolo fuori le mura) si intraprese una vasta consultazione tra tutti i vescovi, gli ordini religiosi e le universit cattoliche circa i temi da trattare. Dallesame di questo materiale vastissimo e di natura assai disparata vennero individuati alcuni temi pi importanti meritevoli di trattazione. Tali temi furono affidati a delle commissioni per un primo approfondimento; alle commissioni venne affidato anche il compito di predisporre degli schemi che servissero da base per la discussione conciliare. La commissione De doctrina fidei et morum (sotto la presidenza del card. Ottaviani, prefetto del S. Uffizio e con S. Tromp come segretario) si occup delle questioni dottrinali. Essa si divise in sottocommissioni, una delle quali assunse il compito di preparare lo schema De ecclesia. Fin dallinizio si manifest con molta chiarezza allinterno della sottocommissione lintenzione di preparare un testo che portasse il Concilio ad assumere limpostazione della Mystici Corporis armonizzando gli aspetti giuridici e quelli mistici della realt della chiesa. In tal modo si voleva completare la Costituzione Pastor Aeternus del Vaticano I servendosi del magistero di Pio XII. In particolare, lintenzione dichiarata non era quella di elaborare una esposizione completa sulla Chiesa, bens di affrontare alcuni problemi, ritenuti giunti a maturazione o pi urgenti. La sottocommissione prepar quindi un primo schema che venne inviato ai Padri conciliari nel novembre 1962; esso si componeva di 11 capitoli e si intitolava Aeternus Unigeniti Pater. 1) Natura della chiesa militante
Lintento preciso del capitolo (redatto da U. Lattanzi) era quello di proporre lidentificazione reale tra il corpo mistico di Cristo in terra e la chiesa cattolica romana, tra la chiesa della carit e la societ giuridicamente organizzata, che attraverso la gerarchia esercita la potest affidatale da Cristo. Pertanto, si concludeva, solo la chiesa cattolica romana aveva il diritto di chiamarsi chiesa. Il concilio doveva quindi consacrare la posizione della Mystici Corporis.

2) I membri della chiesa militante e la necessit di questa per la salvezza


Nella sottocommissione si confrontarono due tesi. La prima, sposando le idee della Mystici Corporis e della Humani Generis, sosteneva che lappartenenza alla chiesa era una realt univoca: o si membri o non lo si ; inoltre, per esserlo, necessaria e sufficiente lintegrit dei vin coli sociali (professione esterna della fede, comunione sacramentale, soggezione allautorit ecclesiastica). Perci i non cattolici, a nche battezzati e in grazia, non appartengono ad alcun titolo alla chiesa e al corpo mistico, ma sono solo ordinati ad essa [Fenton, Brinktrine, Tromp]. Per laltra posizione lappartenenza alla chiesa una realt

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complessa ed analoga: per la piena appartenenza non bastano i vincoli di incorporazione sociale, ma occorre anche il possesso della vita di Cristo e del suo Spirito. Di pi, si pu appartenere alla chiesa secondo gradi, sia nellordine dei nessi visibili che di quelli invisibili. Da un lato, quindi, non si pu separare lappartenenza a Cristo e lappartenenza al suo corpo, la Chiesa; daltro lato, si danno membri i n senso pieno e salutare (i cattolici in stato di giustizia interiore), membri a titolo non pieno, perch manca a loro qualche condizione di appartenenza (i cattolici senza la grazia e la carit; i battezzati non cattolici, che non sono privi di nessi anche visibili col corpo sociale della chiesa) e infine, i non cristiani in stato di grazia, i quali, oltre il legame spirituale, sono ordinati al corpo sociale della chiesa per il votum ineundi ecclesiam visibilem [Journet; Schmaus; Philips; Salaverri; Congar]. La radice della contrapposizione stava nellopposta considerazione dellelemento interno (la comunione di vita con Cristo mediante la grazia e le virt) in ordine a definire la chiesa e a comprendere la verit che la chiesa cattolica e il corpo mistico non sono due cerchi che si ricoprono solo parzialmente, ma la loro estensione si identifica, sicch non si d appartenenza al corpo mistico, come ununione puramente invisibile di grazia, senza relazione al corpo sociale della chiesa. Cera poi anche la preoccupazione ecumenica, ossia quale significato ecclesiale riconoscere alle comunit non cattoliche. Il capitolo redatto da Tromp abbracci la prima opinione.

3) Lepiscopato come grado supremo del sacramento dellordine e del sacerdozio


Il capitolo, redatto da Lecuyer, aveva per scopo di proporre la dottrina della sacramentalit dellepiscopato (un insegnamento condiviso da tutti i membri della commissione). Per il capitolo non co llegava al sacramento dellepiscopato il triplice munus episcopale. Anzi gi la successione dei capitoli mostrava come si volesse separare il sacramento dalla giurisdizione episcopale.

4) I vescovi residenziali
Il capitolo, redatto da H. Schauf e da S. Tromp, era suddiviso in quattro numeri: la giurisdizione dei vescovi sulle singole diocesi (13); la loro dipendenza dal romano pontefice (14); la loro sollecitudine verso la chiesa universale (15); il collegio episcopale (16). Il collegio episcopale appariva solo in appendice ed era inteso come partecipazione ai poteri papali. Al contrario, nei vota inviati dai vescovi gi si proponeva la concezione collegiale dellepiscopato.

5) Gli stati di perfezione evangelica


Il capitolo, affidato a U. Betti, intendeva affrontare una questione particolare: non tanto manifestare il senso della vocazione e dello stato religioso nel mistero della chiesa n il ruolo dei religiosi nella struttura di questa, quanto piuttosto di indicare i principi teologici su cui deve basarsi levoluzione della vita r eligiosa e delle sue forme. Il capitolo dedicava pi della met della trattazione agli aspetti giuridici.

6) I laici
Il capitolo rappresenta una novit sia per largomento (parlare dei laici significa gi di per s parlare di un elemento non istituzionale, non gerarchico della chiesa e fissare lattenzione men o sui poteri giurisdi-

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zionali e pi sulla fondamentale unit, che deriva tra tutti i membri della chiesa dalla unit del battesimo e della missione) sia per limpronta data dal suo redattore Grard Philips. Il capitolo, in una prima parte, sottolinea fortemente lunit della missione e la corresponsabilit di tutti i membri della chiesa. In una seconda parte, presentando la situazione dei laici nella chiesa, esso non insiste solo nella determinazione della loro posizione giuridica verso la gerarchia, ma propone la loro partecipazione al triplice munus di Cristo, in forza della loro partecipazione ai sacramenti cristiani ed esplicita lindole ecclesiale della co ndizione e dellattivit dei laici, considerata secondo gli ambiti di intervento nella chiesa e nel mondo. Per questo, il capitolo fu quello che sostanzialmente sub le modifiche minori nel corso della rielaborazione successiva dello schema. Il testo per non dirimeva la questione della natura metaforica o meno del sacerdozio universale dei fedeli. Anche se la commissione teologica rielabor il testo in modo che fosse chiara la natura sia metaforica sia analogica del sacerdozio battesimale, mentre rivendic il titolo di sacerdozio vero e proprio per quello ministeriale (analogatum princeps).

7) Il magistero della chiesa


I due capitoli 7 e 8 sono apparentati, non solo perch scritti da un solo redattore, Carlo Colombo, ma anche perch sono entrambi posti sotto il segno dell autorit, quella magisteriale il primo, quella di governo il secondo. In particolare, lintenzione fondamentale del capitolo 7 pratica: riaffermare lautorit del magistero, in specie quello ordinario, contro la tendenza a sottovalutare il suo valore obbligante, e richiamare a questo scopo i principi teologici relativi. Si afferma una rigida distinzione fra chiesa docente e chiesa discente. Inoltre, il problema dei rapporti tra linfallibilit della chiesa e quella del mag istero risolto affermando solo la dipendenza della prima dalla seconda: il magistero, infatti, presentato come la causa prossima dellindefettibilit della chiesa nella fede (causa suprema per lo Spirito santo), mentre assente lidea di una funzione soprannaturale positiva del sensus di tutti i fedeli nella comprensione e nella stessa formulazione della verit di fede.

8) Autorit e obbedienza nella chiesa


Lintenzione dichiarata del capitolo ottavo di ovviare alla crisi di autorit presente nel mondo e anche nella chiesa: Il sacrosanto concilio colpito da veemente afflizione scorgendo la crisi di autorit che c nel mondo. Tutto il capitolo, perci, costruito in funzione polemica contro le idee antiautoritarie, carismatiche o democratiche presenti nella chiesa.

9) Relazioni tra chiesa e stato


I capitoli nono e decimo, redatti entrambi da R. Gagnebet, avrebbero trovato logicamente il loro posto pi in un trattato di diritto pubblico ecclesiastico che in una costituzione dogmatica sulla chiesa. In specie, il capitolo nono la ripresa pura e semplice di alcune tesi tradizionali sui rapporti tra chiesa e stato, contenute nelle trattazioni correnti del diritto pubblico ecclesiastico o nei trattati sulla chiesa di pi stretto tenore giuridico. Il capitolo, ricordata la natura di societ perfetta della chiesa, si limita a ribadire la subordinazione del fine della societ civile al fine della chiesa.

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10) Necessit per la chiesa di annunciare il vangelo a tutti i popoli e su tutta la terra
Il capitolo, nonostante il titolo, non svolge una trattazione teologica della missione affidata da Cristo alla chiesa di annunciare il vangelo, ma dedicato tutto quanto al diritto originario della chiesa rispetto a qualsiasi stato di annunciare il vangelo, e anzi al dovere di qualsiasi stato, cattolico o no, di favorire tale annuncio ai suoi cittadini, nonch al diritto preminente del papa alla evangelizzazione universale.

11) Lecumenismo
Lintenzione fondamentale del capitolo quella di negare qualsiasi valore alle comunit separate in quanto tali nel mistero della salvezza. Essa si palesa nel singolare capovolgimento, verificatosi nel corso delle successive redazioni del capitolo (inizialmente affidato al p. Witte, professore alla Gregoriana di teologia protestante ed ecumenica). Le prime, infatti, erano apertamente favorevoli allidea di una ril evanza ecclesiale delle comunit non cattoliche. Ma, via via, lidea fu eliminata, cosicch la redazione d efinitiva riport il capitolo in linea con limpostazione dei primi due; anzi si approvava incondizionat amente il proselitismo. La redazione definitiva esclude ogni significato salvifico delle comunit dissidenti e ogni loro riferimento come tali alla chiesa cattolica. Si dice solo che i dissidenti sono spinti allunit non solo come singoli, ma anche uniti nelle loro comunit. Queste conservano, infatti, alcuni elementi della chiesa che spingono allunit cattolica, ma in quanto li detengono separandoli dalla pienezza della rivelazione, le comunit come tali sono causa di divisione delleredit di Cristo.

La lettura di questo primo schema mette in evidenza abbastanza chiaramente alcuni limiti: 1. Appare come una sequenza di problemi a se stanti, legati da un nesso logico abbastanza labile. 2. Lo schema evidentemente sovraccarico e nello svolgimento successivo dei lavori conciliari verr alleggerito di numerosi temi che saranno trattati in documenti autonomi; daltra parte questa concentrazione dimostra che gi la commissione preparatoria comprendeva linsegnamento sulla chiesa come il centro del concilio (e pure Paolo VI: cfr. i discorsi di apertura del II e del III periodo). 3. Limmagine dominante della chiesa sostanzialmente quella che si affermata dopo il Vaticano I e che caratterizzata da un atteggiamento difensivo nei confronti del mondo, contro il quale necessario far valere i propri diritti. Certamente vi sono stati dei fatti nuovi (si pensi allintroduzione del metodo storico-critico nella lettura della Bibbia, allaccettazione della democrazia, al nuovo ruolo assunto dai laici nellAzione Cattolica, alla necessit di fare i conti con il movimento ecumenico), ma su questi problemi si vuole intervenire rimanendo nel solco tracciato dalla comprensione della chiesa che ha caratterizzato lultimo secolo. Lo schema intende realizzare un completamento della dottrina del Vaticano I e concepisce il Vaticano II come una conclusione del Vaticano I. 4. La struttura portante dello schema costituita dal magistero, soprattutto quello papale degli ultimi cento anni. Si ricorre ad encicliche, ma anche a documenti secondari (allocuzioni a gruppi particola-

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ri, lettere pontificie) e ai documenti delle congregazioni romane, oltre che ai canoni del CJC del 1917. La Scrittura e i Padri, quando sono citati, sono inseriti in un contesto che non determinato da essi, ma dai documenti magisteriali. In azione troviamo quindi lidea che al solo magistero attuale e vivente compete la qualit di regola prossima della fede, mentre il compito della Scrittura e della tradizione consisterebbe nel rendergli testimonianza. b) La discussione dello schema durante la prima sessione (1-7 dicembre 1962) Lo schema approd nellaula conciliare verso la fine del primo periodo (1-7 dicembre 1962) e raccolse da parte dei vescovi unaccoglienza non certo entusiasta. Anche perch nel frattempo alcuni interventi di Giovanni XXIII avevano allargato lorizzonte. Nel radiomessaggio dell11 settembre 1962 e nel Discorso di apertura della sessione conciliare l11 ottobre 1962, il papa precis lintenzione che voleva fosse posta a fondamento dei lavori conciliari. I due discorsi proponevano, da un lato, il tema della chiesa vista nel suo aspetto ad intra come mistero della vita di Cristo nei suoi fedeli e nel suo aspetto ad extra come servizio al mondo come il tema centrale dei lavori conciliari; daltro lato, anche un nuovo spirito, che il papa chiamava pastorale e si racchiudeva nello sforzo di presentare alluomo contemporaneo unimmagine comprensibile e amabile della chiesa. Lorizzonte in cui veniva inserita la costituzione sulla chiesa, diventava cos tutta la problematica religiosa, culturale e sociale delluomo contemporaneo, a cui il sinodo doveva prefiggersi di presentare la chiesa come risposta alle profonde esigenze dellumanit. La prospettiva fu ripresa in aula conciliare da due interventi di grande portata, quelli dei cardinali Suenens e Montini. Il 4 dicembre il cardinale belga, richiamando il radiomessaggio dell11 settembre, propose che il concilio assumesse il tema della chiesa lumen gentium come centrale e ordinatore di tutti i suoi lavori. Si sarebbe, quindi, dovuto prima ricercare ed esporre la coscienza che la chiesa ha del suo mistero, rispondendo alla domanda del mondo: che cosa dici di te stessa?; poi, aprire il dialogo col mondo sui suoi problemi gravi ed urgenti: Il Concilio sia un Concilio de E cclesia, e si articoli in due parti: de Ecclesia ad intra - de Ecclesia ad extra (AS I/4, 223). Il giorno successivo il card. Montini fece sua la proposta di Suenens e sugger che il Concilio si preoccupasse di rispondere alle due domande: Che cos la chiesa? Che cosa fa la chiesa? Questi sono come i due cardini, intorno ai quali si devono disporre tutte le questioni di questo Concilio (AS I/4, 292). Inoltre aggiunse che nella esposizione del mistero della chiesa si doveva dare maggiore risalto a Cristo: in realt la chiesa non pu far nulla da se stessa; essa non soltanto una societ fondata da Cristo, la continuazione di Cristo e lo strumento attraverso cui egli agisce e salva oggi il mondo.

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Nonostante gli elogi fatti al testo (in genere formule di cortesia) lo schema fu quindi oggetto di unaspra critica. Le critiche consideravano sia il modo di esposizione sia il contenuto dello schema e riguardavano principalmente i seguenti punti. 1. Lo schema mancava di coerenza logica e sembrava piuttosto una giustapposizione di diversi punti dottrinali che un insieme strutturato e coerente. (Cfr. per es. lintervento del card. Montini); 2. Si fece notare anche la differenza rispetto allo spirito del concilio, descritto da Giovanni XXIII nel suo discorso inaugurale. Il problema fondamentale era come realizzare lesposizione pastorale da tutti auspicata. Alcuni pensavano a due documenti, uno di carattere dottrinale e uno pastorale; ma la maggioranza era contraria a questa soluzione perch riteneva che la missione dei pastori fosse quella di insegnare al popolo e che il Concilio non potesse rivolgersi solo ai teologi specialisti. Solo unesposizione positiva e costruttiva, che superasse i limiti dellapologetica, poteva dare un solido fondamento alla vita cristiana. Si trattava quindi di evitare gli anatemi e anche la semplice ripetizione delle formule classiche per cercare unesposizione della dottrina immutabile in maniera corrispondente al nostro tempo (aggiornamento); 3. Lo schema teneva in conto troppo limitatamente delle nuove prospettive sulla chiesa maturate nella teologia recente, che non necessariamente dovevano essere viste in contraddizione con le vecchie (cfr. larcivescovo di Strasburgo Elchinger). 4. lo schema era eccessivamente giuridico e identificava in modo troppo diretto il corpo mistico di Cristo con la chiesa cattolica romana; mancava la dimensione storico-salvifica della chiesa (cfr. lintervento del card. Frings di Colonia). 5. mancava completamente lidea della chiesa umile, della chiesa povera (card. Lercaro), della chiesa sofferente (un aspetto sottolineato soprattutto da vescovi provenienti dallEuropa Orientale). Indicativo della critica rivolta allo schema fu lintervento del vescovo di Bruges, E. de Smedt. Il d iscorso aveva un carattere molto personale e le idee proposte non erano condivise da tutti i padri; esso sembra per indicativo di una sensibilit diversa presente in numerosi padri conciliari rispetto a quella della commissione teologica e della curia romana in genere che lascia intravedere la svolta avvenuta in Concilio. Il vescovo di Bruges, pur riconosciuti i pregi dello schema, continuava:
Nonostante ci si deve ammettere che lo schema difettoso per molti aspetti. Vorrei dire qualcosa della concezione della chiesa sottostante a questi capitoli dello schema. Questa concezione mi sembra, da una parte, mancante nello spirito ecumenico e, dallaltra, lontana dal modo in cui la dottrina deve essere pr oposta dal Concilio ai maestri e ai predicatori della fede. Mi sia permesso sottoporre alla vostra riflessione la seguente questione: lo schema non deve essere emendato da un certo trionfalismo, da un certo clericalismo, da un certo giuridismo? Ecco le tre parti.

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1. Trionfalismo. Lo schema indulge troppo in quello stile pomposo, romantico cui siamo abituati nellOsservatore Romano e in altri documenti romani. La vita della chiesa presentata come se fosse una serie di trionfi della chiesa militante; p. es. gi nel titolo stesso la natura della chiesa militante oppure a p. 10 nelle prime righe []. Questo stile poco consono con la realt, con la situazione reale del popolo di Dio che il Signore Ges, umile, ha chiamato piccolo gregge. Tutto ci estraneo agli animi sereni e tranquilli dei fratelli orie ntali, lontano dallaspirazione alla pace di tutto il genere umano. Quanto poco concordano queste cose con ci che si dovrebbe dire, ma non si dice, circa il gravissimo problema moderno della libert religiosa! 2. Clericalismo. Nei primi capitoli dello schema prevale limmagine tradizionale della chiesa. Con oscete la piramide: papa, vescovi, sacerdoti, quelli che presiedono e che in forza dei poteri ricevuti insegnano, santificano, governano; mentre, alla base, il popolo cristiano piuttosto in posizione recettiva e in certo modo sembra occupare un posto secondario nella chiesa. Si deve notare che la potest gerarchica solo qualcosa di transitorio. Appartiene a questa condizione di pellegrinaggio terreno. Nellaltra vita, nella condizione definitiva, non avr pi un oggetto perch gli eletti saranno giunti alla perfezione, allunit perfetta in Cristo. Ci che rimane il popolo di Dio; ci che passa il ministero della gerarchia. Nel popolo di Dio siamo tutti legati gli uni agli altri e abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri fondamentali. Tutti partecipiamo del sacerdozio regale del popolo di Dio. Il papa uno dei fedeli; vescovi, sacerdoti, laici, religiosi, tutti siamo fedeli. Abbiamo accesso agli stessi sacramenti tutti abbiamo bisogno della remissione dei peccati, del pane eucaristico e della parola di Dio e, per la misericordia di Dio, camminiamo verso la stessa patria. Ma fino a quando il popolo di Dio in cammino Cristo lo porta alla perfezione mediante il ministero della sacra gerarchia. Ogni potest nella chiesa per il servizio: il ministero della parola, il ministero della grazia, il ministero del governo. Non siamo venuti per essere serviti ma per servire. Nel parlare della chiesa dobbiamo evitare di cadere nel gerarchismo, nel clericalismo, nellepiscopolatria, nella papolatria. Ci che ha maggior valore (praevalet) il popolo di Dio. A questo popolo di Dio, a questa sposa del Verbo, a questo tempio vivo dello Spirito Santo la gerarchia deve prestare i suoi umili servizi perch cresca e giunga alla piena maturit, alla pienezza di Cristo. La gerarchia la madre buona di questa vita che cresce: Mater Ecclesia. 3. Giuridismo. Dalle recenti discussioni storiche e teologiche risulta che la maternit della chiesa stata come il centro della primitiva ecclesiologia cristiana. Nel nostro schema desideriamo un approfondimento di questi concetti teologici: chiesa madre; tutti i battezzati sono figli della chiesa; con il battesimo valido tutti i cristiani sono generati dalla madre chiesa. [] Concludo: trionfalismo, clericalismo, giuridismo: ecco tre punti tra gli altri che devono essere emendati in questo schema; ho detto allinizio che questo schema contiene molte cose ottime; e in verit ritengo che questo schema, purificato dai difetti, esponga la materia della splendida costituzione de Ecclesia; per

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questo chiedo che il concilio stabilisca che il presente schema sia rinviato alla commissione perch sia emendato (AS I/4, 142-144).

Limpatto dello schema con lassemblea conciliare rivel dunque che, accanto ai sostenitori (Ruffini, Siri, Florit) dellecclesiologia della societ perfetta e del corpo mistico130 che avevano il loro punto di riferimento nel Vaticano I, esisteva anche una parte consistente di padri aperti alle prospettive dellecclesiologia contemporanea. Essi erano mossi dal duplice intento di recuperare una tradizione pi antica che generalmente era stata dimenticata dallecclesiologia postridentina preoccupata di controbattere le tesi del protestantesimo e del liberalismo (ressourcement) e, in secondo luogo, di elaborare un approccio pastorale adatto ai tempi (aggiornamento). Il dibattito conciliare vide la crescita progressiva dei consensi attorno a queste idee (si forma la cosiddetta maggioranza), mentre un gruppo pi limitato era fermo su atteggiamenti di carattere difensivo, preoccupato della correttezza della formulazione dottrinale ( la minoranza conciliare che dar battaglia soprattutto sulla questione della collegialit episcopale). c) Il secondo schema (1963) A motivo delle critiche avanzate dallassemblea lo schema De ecclesia venne ritirato e durante linterruzione tra il primo e il secondo periodo del Concilio la commissione teologica si rimise al lavoro131. Come base venne assunto uno schema in 4 capitoli inviato ai Padri nellestate del 1963: 1) il mistero della chiesa; 2) la struttura gerarchica della chiesa, in particolare lepiscopato; 3) il popolo di Dio, specialmente i laici; 4) la vocazione alla santit nella chiesa. Nella discussione, svoltasi dal 30 settembre al 31 ottobre 1963, lo schema fu accolto favorevolmente ed accettato unanimemente come base per la discussione. Prima dellinizio del secondo periodo il card. Suenens aveva presentato per iscritto un emendamento nel quale proponeva di togliere dai capitoli I e III tutti i passaggi riguardanti il popolo di Dio nel suo insieme per formare un nuovo capitolo da inserire tra la descrizione del mistero della chiesa e

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Il p. Tromp calcol che il numero degli intervenuti in aula contrari allo schema era stato inferiore a quello degli intervenuti a favore (40 a 55). Il destino dello schema era per ormai segnato: preparato in una prospettiva giuridica e apologetica, aveva il difetto fondamentale di non corrispondere allo scopo che il papa aveva assegnato al concilio. 131 Furono presentati nel frattempo vari progetti per lo schema de ecclesia: il progetto Philips (ma rielaborato con lintervento di mons. McGrath, Congar, Rahner, Lecuyer, e Colombo); il proge tto tedesco (elaborato da Schmaus, Rahner, Ratzinger, Schnackenburg, Semmelroth, Grillmeier, Hirschmann, Wulf); il progetto Parente; il progetto francese (autori: Danielou, Philips, Thils, Hamer, Martimort e Lecuyer); il progetto cileno; il progetto Elchinger.

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prima del capitolo sulla gerarchia. La proposta venne accolta quasi allunanimit. Questa modifica non era solo di carattere redazionale; si trattava al contrario di una proposta di grande importanza per la struttura della costituzione sulla chiesa. Essa iniziava con un capitolo sul mistero della chiesa cio sulla sua derivazione dallalto, dallazione di Dio nella storia della salvezza, e con tinuava con un capitolo sul popolo di Dio che tratta della sua manifestazione sociale e storica. Lintroduzione di questo secondo capitolo contribu inoltre alla declericalizzazione dellimmagine della chiesa, dato che il discorso sui diversi ministeri, vocazioni e condizioni presenti allinterno della chiesa seguiva quello sulluguaglianza fondamentale di tutti i membri del popolo di Dio. Nel corso della discussione (30 settembre - 10 ottobre 1963) avvenne anche unulteriore modificazione dello schema. Il IV capitolo sulla vocazione alla santit nella chiesa era dedicato per la maggior parte ai religiosi; a questa trattazione era stata premessa una breve introduzione circa la vocazione universale alla santit nella chiesa, con lo scopo di raccordare il discorso sui religiosi con quanto affermato in precedenza. Nella discussione per emersero dei malumori soprattutto da parte dei religiosi che espressero il timore che il tema della vita consacrata diventasse una appendice e il suo valore allinterno della chiesa venisse svalutato132. Restava un ultimo punto da decidere. Numerosi padri avevano auspicato che il previsto schema sulla B.V. Maria venisse fatto rientrare in quello sulla Chiesa, di cui avrebbe costituito il coronamento, sottolineando gli stretti legami che uniscono Maria alla chiesa (molti proponevano di riconoscerle il titolo di Madre della chiesa). Ma altri padri, appassionatamente sostenuti da molti mariologi, particolarmente numerosi nel mondo ispanico, ritenevano che relegare la Vergine alla fine dello schema, dopo i laici, significasse farle un affronto. Si decise di procedere a una votazione di orientamento, per la cui preparazione il cardinale Santos, arcivescovo di Manila, e il cardinale Koenig il 26 ottobre presentarono i rispettivi argomenti a favore delle due diverse soluzioni. Fuori dellassemblea, intanto, si tenevano numerose riunioni a sostegno delluna o dellaltra tesi, e tra i padri vennero abbondantemente distribuiti opuscoli, nei quali si sosteneva in particolare che votare per linserimento significa votare contro la Vergine. La votazione del 29 ottobre avvenne cos in un clima carico di tensione. La tesi dellinserimento la spunt di stretta misura (1114 voti contro 1074). Questo venire meno, per la prima volta, del consenso generale provoc una sorta di costernazione. Allinizio di novembre una speciale sottocommissione fu incaricata di elaborare un testo capace di

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Al termine della discussione si trov una soluzione di compromesso per modificare il titolo originario in La santit nella chiesa e specialmente dei religiosi.

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far ritrovare lunanimit, ma le passioni non si erano spente e la sessione termin senza raggiungere una soluzione soddisfacente. Il papa dedic una parte notevole del discorso di chiusura al problema. d) Il terzo periodo (1964) Largomento che domin le ultime discussioni dello schema sulla Chiesa fu la collegialit dei vescovi. Era il punto nevralgico sul quale la minoranza conciliare si accaniva nellintento di difendere il primato pontificio che credeva minacciato, e di conservarlo intatto ad ogni costo. Paolo VI, nel suo discorso inaugurale (14 settembre 1964), attir lattenzione su questo punto centrale, senza dubbio al fine di ridurre la resistenza degli ultimi esitanti. Il Vaticano II si era proposto esplicitamente come scopo di completare la dottrina del concilio precedente, non gi di contraddirla. Per il Vaticano I il tema principale era stato definire il primato e linfallibilit del papa; di qui, molti cattolici avevano indebitamente concluso che dora in poi i vescovi avrebbero avuto solo un ruolo molto subordinato, e per lavvenire a stento si poteva pensare a un concilio generale. Ora, il codice di diritto canonico, can. 228 1, sanciva che il concilio ecumenico ha la pi alta giurisdizione sulla chiesa universale. Paolo VI concludeva: Questo Sinodo parimenti ecumenico si appresta a confermare, s, la dottrina del precedente sulle prerogative del Romano Pontefice; ma avr altres e come suo scopo principale quello di descrivere e onorare le prerogative dellEpiscopato (EV I, 255*). Allinizio delle discussioni del 1963 lo schema sulla chiesa contava solo quattro capitoli. In seguito ne ebbe sei, perch al popolo di Dio fu assegnata una trattazione apposita e un capitolo fu dedicato ai religiosi. Finalmente nel 1964 la Costituzione conter otto capitoli133, grazie allinserzione dello schema sulla mariologia e, immediatamente prima di questo, allintroduzione di uno sviluppo sullescatologia e i santi del cielo, un progetto accettato allultimo momento. Il cap. VII riaffermava limportanza dellescatologia per la comprensione della chiesa e trattava della comunione esistente tra la chiesa della terra e quella del cielo e dello scambio di beni spirituali che avviene nei due sensi. Anche se lo schema venne introdotto per rispondere a esigenze concrete (riaffermare la dottrina dei novissimi, spiegare il senso del culto dei santi), lintegrazione del capitolo nella Costituzione avvenuta in modo tutto sommato felice e tale da contribuire a illustrare unimportante dimensione della chiesa.

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Cap. I: De ecclesiae mysterio; cap. II De populo Dei; cap. III: De constitutione hierarchica ecclesiae et in specie de episcopatu; cap. IV: De laicis; cap. V: De universali vocatione ad sanctitatem in ecclesia; cap. VI: De religiosis; cap. VII: De indole eschatologica ecclesiae peregrinantis eiusque unione cum ecclesia coelesti; cap. VIII: De Beata Maria Virgine Deipara in mysterio Christi et ecclesiae . Sulla divisione dei capitoli si vedano: G. PHILIPS, La chiesa e il suo mistero (Milano: Jaca Book, 1975) 56; L. SARTORI, La Lumen Gentium: traccia di studio (Padova: Messaggero, 1994) 26.

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Nel terzo periodo si svilupp anche la discussione sul capitolo dedicato alla Beata Vergine Maria; si trattava di un testo che aveva accompagnato la redazione della LG come documento autonomo e che poi si era deciso di inserire nella Costituzione sulla chiesa. Tale decisione non aveva per risolto la questione del modo in cui la trattazione del tema doveva essere svolta e nella discussione si confrontavano due concezioni della mariologia: luna legata alle fonti, laltra che procedeva in modo deduttivo assumendo come punto di partenza i privilegi di Maria. Il testo proposto cerc di evitare sia il minimalismo sia gli eccessi e fu accolto senza entusiasmo da parte della assemblea conciliare.
Ci sembra interessante presentare anche le valutazioni che i Padri diedero ai singoli capitoli. Il capitolo I, De ecclesiae mysterio, riscosse unapprovazione plebiscitaria: 2114 s, contro 11 no e 63 placet iuxta modum. Anche il II capitolo, De populo Dei, ricevette unapprovazione molto favorevole: mai pi di 67 voti contrari. Tutti si aspettavano una lotta accanita sul capitolo III. Al fine di dissipare qualsiasi ombra di parzialit e di assicurare a tutti la massima libert di opinione, il segretario generale del concilio aveva diviso il testo del capitolo in non meno di 39 proposte che furono messe ai voti punto per punto 134. Per arrivare a un consenso pi ampio la maggioranza consent a inserire un certo numero di proposizioni subordinate nellesposizione sul collegio, sottolineando ogni volta che il primato pontificio restava intatto. Il capitolo fu poi diviso in due sezioni, che ricevettero rispettivamente questi voti: per la prima parte i votanti erano 2242, s 1624, no 42, iuxta modum 572, nulli 4; per la seconda parte i votanti erano 2240, s 1704, no 53, iuxta modum 481, nulli 2. Il capitolo sui laici (cap. IV) ottenne il pi alto numero di suffragi mai registrato: sulle 2236 schede depositate, solo 8 furono negative. Il capitolo VII venne approvato allunanimit. Il capitolo VIII cerc di conciliare gi nel titolo le due visioni, cristotipica ed ecclesiotipica, che si erano manifestate durante le discussioni precedenti ed ottenne nella votazione finale 2096 s e 23 no.

e) La settimana nera Il 16 novembre, il Segretario generale del concilio, mons. Felici, lesse ai padri conciliari tre comunicazioni da parte dellautorit superiore, dunque del papa. Le due prime riguardavano soprattutto la minoranza; la terza si rivolgeva piuttosto alla maggioranza. La prima comunicazione confutava lobiezione secondo cui la discussione sullepiscopato non avrebbe seguito la procedura prescritta. La seconda definiva il grado di autorit che bisognava accordare ai testi accettati; certuni non volevano vedere nella dichiarazione sul collegio dei vescovi altro che una direttiva pastorale, senza portata dogmatica. A questo proposito il papa fece leggere la risposta della commissione teologica re-

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La tesi sul collegio dei vescovi che diceva Lordine dei vescovi in comunione con il suo capo, il papa, di Roma, e mai senza di lui, depositario della suprema autorit su tutta intera la Chiesa ricevette 292 voti contrari. Listitu zione del collegio dei dodici apostoli ricevette il no di 191 padri. 322 padri si opponevano allesistenza del collegio dei vesc ovi; 325 rifiutarono di ammettere che la consacrazione episcopale conferisce la triplice funzione sacra nella chiesa.

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datta gi da mesi in termini generali. evidente, diceva la risposta, che il testo conciliare deve essere interpretato secondo le regole generali che tutti conoscono. Il santo sinodo considera definiti dalla chiesa solo quei punti di fede e di morale che esso indica esplicitamente come tali. Tutto il resto deve peraltro essere ammesso da tutti i fedeli, senza eccezione, nel senso che il sinodo gli d, come dottrina del magistero supremo della chiesa, il che significa e garantisce il massimo di certezza dopo la definizione infallibile. La terza comunicazione gettava lo scompiglio nellanimo di molti padri. Diceva il comunicato: la dottrina annunciata dal capitolo III della LG deve essere spiegata e intesa secondo lo spirito e la dichiarazione di questa Nota explicativa praevia. Il nervosismo crebbe ulteriormente a causa degli emendamenti introdotti per via di autorit allultimo momento nel decreto sullecumenismo e per il rinvio della votazione sul decreto sulla libert religiosa. Dopo di che, per i pi era impossibile leggere la Nota con tutta serenit, con la necessaria obiettivit, e analizzarla con calma. Tuttavia Philips (cfr. il suo commento, p. 64) fa notare come i quattro punti della Nota rispondono esattamente alla spiegazione ricca di sfumature che accompagnava le cinque questioni interlocutorie del 30 ottobre 1963135. Le precisazioni della nota fecero s che alla votazione finale del 21 novembre 1964 rimasero soltanto 5 non placet. Quel giorno Paolo VI espresse la sua immensa soddisfazione circa il Decreto sinodale. Nella stessa occasione, con unallusione al capitolo VIII della LG, egli promulg di propria iniziativa Maria Madre della Chiesa. Agendo cos Paolo VI ha voluto probabilmente addolcire limpressione un po penosa rimasta in certi padri di fronte alla voluta sobriet dellesposizione mariologica del concilio. Probabilmente, con il suo intervento egli volle anche suggerire che, se da un lato linfallibilit pontificia non escludeva il concilio, dallaltro la definizione del concilio non rendeva superfluo il magistero autentico del papa. La struttura finale della LG rivela unimpostazione del discorso ecclesiologico assai diversa rispetto a quella del primo schema. Si notino almeno tre elementi particolarmente evidenti.

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In quel giorno vennero proposti allaula cinque quesiti perch si manifestasse lorientamento della maggioranza su temi caldi: ossia 1) se la consacrazione episcopale costituisce il grado supremo dellOrdine; 2) se ogni vescovo legi ttimamente consacrato, in comunione con gli altri vescovi e con il Papa che il Capo e il principio della loro unit, membro del corpo dei vescovi; 3) se il corpo o collegio dei vescovi succede al collegio degli apostoli nella sua missione di evangelizzazione, di santificazione e di governo, e se il corpo in unione con il suo capo, il pontefice romano, e mai senza questo suo capo (il cui diritto primaziale resta intatto e completo su tutti i pastori e fedeli), possiede il potere plenario e supremo sulla chiesa universale; 4) se questa autorit compete per diritto divino al collegio stesso dei vescovi unito al suo capo; 5) se opportuno restaurare il diaconato come grado separato e permanente della funzione sacra, secondo le necessit della chiesa nei diversi paesi. Le questioni terza e quarta vennero proposte ai Padri corredate di un annesso esplicativo: Le note 3 e 4 significano quanto segue: a) Lesercizio attuale del potere del corpo dei vescovi regolato secondo norme approvate dal sommo pontefice; b) non c vero atto colle giale del corpo dei vescovi senza linvito o almeno la libera accettazione del sommo pontefice; c) il modo pratico e concreto secondo cui si esercita la duplice forma del potere sovrano nella chiesa ricever in seguito una determinazione teologica e giuridica, fortificando lo Spirito santo in modo indefettibile larmonia tra luna e laltra forma.

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1. I capitoli si possono leggere come dittici: il primo dittico (cap. I-II) affronta la res del mistero che la chiesa (nella sua essenza propria di mistero e nella sua forma storica)136; il secondo (cap. III-IV) riguarda la struttura organica in cui si articola tale corporeit storica del popolo di Dio (i pastori e i laici); il terzo (cap. V-VI) alza lo sguardo sul fine specifico della chiesa (la santit e i religiosi che ne anticipano simbolicamente la dimensione escatologica); il quarto (cap. VII-VIII) tratteggia nel concreto (ossia nei modelli viventi: i santi e Maria) la fase finale ed eterna della chiesa. 2. La prospettiva assunta storico-salvifica: non ci si limita alla considerazione della realt sociale attuale della chiesa (la chiesa militante), ma il punto di partenza dato dalla riflessione sul mistero della chiesa, cio sulla sua origine dalla Trinit che agisce nella storia della salvezza (cap. I). La chiesa poi viene considerata come soggetto storico (popolo di Dio; cap. II) e nel suo orientamento al regno di Dio (cap. VII). 3. Per quanto riguarda la struttura interna della chiesa si pu osservare che si afferma anzitutto luguaglianza fondamentale di tutti i membri del popolo di Dio e solo successivamente la diversit delle vocazioni: questo evidente nel rapporto tra il capitolo II che nella prima parte delinea lidentit fondamentale del membro del popolo di Dio come partecipe del compito sacerdotale, profetico e regale di Cristo e i cap. III e IV che considerano vocazioni particolari nella chiesa, ma anche nel rapporto tra cap. V che tratta della universale vocazione alla santit nella chiesa e il cap. VI che tratta della vita religiosa come una delle vie attraverso le quali trova realizzazione luniversale v ocazione alla santit nella chiesa. 2.7.2. Come interpretare i testi del Vaticano II? Il nostro accostamento al Vaticano II pu essere di tipo assai diverso. Per molti di quelli che lhanno vissuto, il tempo del Vaticano II ha costituito unesperienza indimenticabile e un evento spirituale di grandissimo rilievo (lidea di Concilio evocatrice di una stagione particolarmente viva della vita ecclesiale). Daltra parte, a quasi quarantanni da quellepoca, i documenti del Vaticano II rimangono in gran parte sconosciuti e suscitano in molti un senso di estraneit (le nuove generazioni conoscono il Vaticano II attraverso i testi). Il processo di recezione del Vaticano II a una svolta.

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Segnaliamo che la Commissione Dottrinale nello spiegare la struttura di LG ha precisato che con il capitolo secondo, Il popolo di Dio, il Concilio continuava lesposizione del Mistero della Chiesa iniziato nel capitolo primo; solo che mentre il primo capitolo aveva discusso questo mistero nel piano divino dalla creazione alla consumazione, il secondo capitolo avrebbe ripreso lo stesso mistero nel tempo tr a lascensione e la parusia, cio nella storia. Era un singolo mistero ad essere rivelato, prima nelle sue dimensioni trascendenti e poi in quelle storiche; la commissione aveva spezzato il materiale in due capitoli semplicemente perch un singolo capitolo sarebbe stato troppo lungo: AS III/1, 209-10.

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Possiamo distinguere tre fasi nella recezione del Vaticano II.


1. La fase dellesuberanza, nella quale il Concilio percepito come evento liberante, come inizio assoluto; in questa prospettiva si tende a sottolineare soprattutto il dinamismo messo in atto dal Vaticano II e questo porta in alcuni casi a ritenere superati i suoi stessi testi (cfr. la riforma liturgica). 2. Inevitabilmente segue la fase della delusione, sia perch molte delle attese relative alla nuova concezione della chiesa come communio non si sono realizzate, sia perch mutato il clima generale nella chiesa e nella societ e si manifesta una crisi profonda a livelli diversi. Cos, se da una parte i riformatori progressisti lamentavano linerzia dellistituzione chiesa, dallaltra i conservatori denunciavano fenomeni di deco mposizione. Da una parte la contestazione, dallaltra i tentativi di restaurazione137. 3. Il Sinodo straordinario del 1985 ha riproposto la questione circa il significato del Concilio e ha almeno avuto leffetto positivo di mostrare che il Concilio non pu essere archiviato 138. Si entrati cos nella terza fase del dibattito. Il nuovo dibattito vede la presenza di tendenze diverse: - necessario andare oltre il Concilio per essere fedeli al dinamismo che esso ha messo in moto; - necessario bloccare il movimento del Concilio perch compromette la identit cattolica romana; - si deve applicare rigorosamente il Concilio (Solo il Concilio, ma il Concilio intero).

evidente che le scelte ermeneutiche di partenza condizionano la spiegazione dei contenuti e portano a risultati necessariamente diversi. Ci ha comportato che alla dinamica conciliare appartengano anche le resistenze per la sua attuazione e la polarizzazione da essa prodotta. Lapplicazione del V aticano II esige quindi che si sia daccordo sui principi da applicare nellinterpretazione dei suoi testi; lermeneutica del Vaticano II uno dei compiti pi urgenti che la teologia oggi chiamata ad assolvere. Questa ermeneutica per presenta delle difficolt perch molte delle regole che sono state elaborate per linterpretazione dei testi magisteriali della tradizione ecclesiale non possono essere applicate in modo puro e semplice al Vaticano II. Nei concili precedenti un criterio fondamentale quello secondo cui la dottrina va interpretata alla luce degli errori che intendevano condannare (intenzione didattica). Il Vaticano II invece ha inteso 1) offrire unesposizione positiva della verit, 2) secondo una finalit pastorale (Giovanni XXIII). Il concilio non ha prodotto definizioni dogmatiche, cio delle precisazioni assolutamente normative (novit rispetto ai concili precedenti). Saggiunga inoltre che il concilio distingue accuratamente fra il deposito della fede e la forma in cui esso viene enunciato. In particolare non si raggiunto un consenso su che cosa si debba precisamente intendere

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Cfr. D. MENOZZI, Lanticoncilio (1966-1984), in Il Vaticano II e la Chiesa, a cura di G. ALBERIGO J.-P. JOSSUA (Brescia: Paideia, 1985) 433-464. 138 Cfr. H.J. POTTMEYER, Dal sinodo del 1985 al grande giubileo dellanno 2000, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualit alla luce del Giubileo, a cura di R. FISICHELLA (Cinisello Balsamo Milano: San Paolo, 2000) 11-25.

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per pastorale e meno ancora sulla relativa ermeneutica. 3) Una terza difficolt che nei testi del Vaticano II ci si trova di fronte a degli enunciati di tipo tradizionale, spesso giustapposti ad altri di carattere nuovo. Cos si parla di formule di compromesso. Al punto che qualcuno ha parlato di una giustapposizione, se non addirittura di un contrasto fra due ecclesiologie presenti nei testi conciliari, cio di una ecclesiologia gerarchica di stampo tradizionale e di unaltra nuova, o meglio rinnovata, lecclesiologia della communio nello spirito della chiesa antica. In tal modo sia i conservatori che i progressisti possono dunque richiamarsi a degli enunciati conciliari. Tra i molti problemi che linterpretazione del Vaticano II pone si segnalano due questioni fondamentali: 1) il rapporto tra novit e continuit con la tradizione; 2) linterpretazione delle formule di compromesso che giustappongono affermazioni di orientamento diverso. Nessun Concilio pu essere interpretato in modo radicale contro la tradizione ecclesiale perch non pensabile che un Concilio si riunisca per operare un taglio netto rispetto alla tradizione precedente della chiesa. Questo daltra parte non significa che il Concilio non dica nulla di nuovo; quello che si vuole escludere che esso rappresenti una smentita radicale della tradizione precedente. Anche se nei testi del Vaticano II, molto pi che nei testi di concili precedenti si avverte la presenza di novit, tali novit rappresentano spesso soltanto il recupero e lattualizzazione di elementi della tradizione pi antica. La contrapposizione tra prospettiva conservatrice e progressista rischia di essere fuorviante. Piuttosto i testi conciliari sono testimonianza di uno sforzo di aggiornamento che affonda le sue radici nelle fonti della tradizione (ressourcement). La maggioranza conciliare aveva a cuore la tradizione pi antica, la minoranza era preoccupata che non si tradisse la tradizione pi recente (Vaticano I); entrambe le esigenze sono legittime, anche se spesso non si raggiunta una sintesi compiuta e soddisfacente (come la maggior parte dei concili precedenti, anche lultimo ha assolto il suo compito non proponendo una teoria compiuta, ma fissando i limiti della posizione ecclesiale). Paradossalmente si potrebbe dire che i padri conciliari progressisti erano in realt pi conservatori degli altri perch volevano un recupero della tradizione pi antica (quella del primo millennio, comune a oriente e occidente) contro lassolutizzazione degli sviluppi pi recenti. Il recupero del la tradizione nella sua globalit ha avuto un effetto liberante perch ha consentito di superare le restrizioni che storicamente si erano determinate (ad es. in conseguenza della polemica antiprotestante). Come conciliare le diverse esigenze? I testi conciliari sono stati redatti da molte persone e spesso dopo interminabili dibattiti; perci logico attendersi che nei testi dogmatici si trovino sempre formule di compromesso. In alcuni casi il testo di partenza nel corso delle successive elaborazioni viene arricchito dallintroduzione di punti di vista diversi; non di rado tuttavia le modifiche successive indeboliscono il testo, lo rendono meno chiaro, fino al punto da introdurre talvolta degli elementi 273

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contrastanti. Questo rende ovviamente difficile linterpretazione: si deve privilegiare lintenzione originaria del testo o le modifiche che ne indeboliscono il senso o correggono lorientamento? Max Seckler ritiene che il Vaticano II ha introdotto un nuovo tipo di compromesso nelle formulazioni dottrinali. Nella storia della elaborazione dottrinale si trovano due tipi di compromesso: il compromesso effettivo, che si raggiunge quando possibile una affermazione comune, anche se limitata al denominatore comune, e il compromesso dilatorio che esprime limpossibilit di decidere la questione al momento presente e la rimanda al futuro. Seckler ritiene che il Vaticano II, a motivo della caratterizzazione pastorale (e non dogmatica) attribuita al suo insegnamento, ha prodotto un nuovo tipo di compromesso che definisce contraddittorio: mentre in un primo momento la minoranza conservatrice si schier contro il carattere pastorale, battendosi a favore di un concilio dottrinale, quando il pericolo di innovazioni dottrinali e dogmatiche da parte della maggioranza progressista si fece troppo forte, essa accentu improvvisamente per parte sua limpronta pratica e pastorale dei testi, allo scopo di indebolire i nuovi aspetti dogmatici. Lambiguit manipolata divenne ancora maggiore allorch la maggioranza, allo scopo di ottenere laffermazione delle proprie formulazioni progressiste, si richiam a sua volta al carattere puramente pastorale del Concilio, ottenendo in tal modo su molti punti il parere favorevole della minoranza139. Linterpretazione dei testi del Vaticano II dunque presenta delle difficolt inedite per la teologia, non per a tal punto che le regole interpretative del linguaggio ecclesiale non abbiano pi alcun valore. Possiamo indicare innanzi tutto due premesse: 1) La convinzione fondamentale di fede secondo cui i concili sono un evento dello Spirito santo che governa la chiesa e i loro esiti, quindi, una norma vincolante per la chiesa stessa. Questa normativit va riconosciuta anche nel caso in cui come al concilio Vaticano II le decisioni prese non siano infallibili, cio vincolanti in ultima istanza. Sarebbe formalmente sbagliato contrapporre lintenzione e il modo di esprimersi pastorale del concilio al significato dottrinale. La via della chiesa che sinoltra nel futuro pu essere battuta soltanto sul fondamento delle risoluzioni dellultimo concilio e della sua scrupolosa attuazione (cfr. Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 57). Una restaurazione intesa come ripristino della situazione pre-conciliare contraddirebbe gli stessi principi di quellepoca, anchessa convinta che i concili rappresentano lautorit suprema nella chiesa. 2) Daltra parte bisogna registrare che non tutti i concili validi nella storia della chiesa sono stati an-

139

M. SECKLER, Circa il compromesso in questioni dottrinali, in ID., Teologia, scienza, chiesa. Saggi di teologia fondamentale (Brescia: Morcelliana, 1988) 162.

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che concili fecondi, come ad es. il Lateranense V (1512-1517) che non fu in grado di dare un efficace contributo alla riforma della chiesa ed evitare la successiva divisione. Lo Spirito agisce attraverso degli uomini che possono anche resistere alle sue sollecitazioni. Nemmeno sul significato storico del Vaticano II stata ancora detta lultima parola. Per la teologia ci che in questione, dunque, non il concilio, ma la sua interpretazione e ricezione. Ora, a questo riguardo le opinioni divergono: dove gli uni vedono un rinnovamento, gli altri constatano un crollo ed una perdita di identit. Occorre ricordare che quasi tutti i concili hanno prodotto crisi e scuotimenti. La situazione attuale, quindi, in certo qual modo normale. Si potr arrivare ad una soluzione dei problemi soltanto se ci si accorder sui principi di ermeneutica degli enunciati conciliari. Qui ne suggeriamo alcuni140. A) I testi del Vaticano II devono essere compresi e studiati in modo integrale; non ci si pu limitare a prendere alcune proposizioni isolate dal contesto, ma anche la tensione tra affermazioni diverse rappresenta una sottolineatura del suo insegnamento. B) La conoscenza della storia della redazione un presupposto necessario per linterpretazione dei testi del Vaticano II, anche se non ci si pu limitare a unesegesi puramente filologica, ma si deve tendere a una lettura teologica dinsieme. C) Lettera e spirito del Concilio vanno intesi come ununit: ogni enunciato si comprende solo alla luce dello spirito che anima linsieme del discorso e, al tempo stesso, lo spirito dellinsieme si ricava solo da unesegesi accurata dei testi. D) Come ogni Concilio anche il Vaticano II deve essere compreso alla luce della tradizione pi ampia della chiesa; quindi assurdo contrapporre una chiesa preconciliare e una chiesa postconciliare come se si trattasse di due realt radicalmente diverse e come se fosse avvenuta una riscoperta del vangelo prima oscurato, oppure un tradimento totale della tradizione precedente. E) Per lultimo concilio la continuit della fede cattolica va intesa come unit fra la tradizione e la sua interpretazione viva e attuale rispetto alla situazione del presente qualificata da quanto stato indicato come segni dei tempi141.

140

Cfr. la Relazione finale del II Sinodo straordinario (9 dicembre 1985), in Il futuro dalla forza del Concilio. Documenti e commenti a cura di W. Kasper (Brescia: Queriniana, 1986) 18. 141 Karl Lehmann suggerisce lapertura di una quarta fase della ricezione del Vaticano II: K. LEHMANN, Concilio ecumenico Vaticano II, 1962-2002. Il quarto tempo, in Il Regno. Attualit XLVII (2002/18) 632-639. Cfr. pure: P. HNERMANN, Il concilio Vaticano II come evento, in Il Regno. Documenti XLII (1997/11) 376-384; H.J. POTTMEYER, Una nuova fase della ricezione del Vaticano II. Ventanni di ermeneutica del concilio, in Il Vaticano II e la Chiesa, op. cit., 41-64; A.T.I., La Chiesa e il Vaticano II. Problemi di ermeneutica e recezione conciliare , a cura di M. Vergottini (Milano: Glossa, 2005); G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica (Milano: V&P, 2006). Per i problemi dellermeneutica degli enunciati pastorali cfr. W. KASPER, La provocazione permanente del concilio Vaticano II. Per unermeneutica degli enunciati conciliari, in ID., Teologia e chiesa (Brescia: Queriniana, 1989) 302-311.

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2.7.3. Commento ai primi due capitoli della Lumen Gentium Dopo aver ricostruito in modo sintetico il processo che ha portato alla redazione finale della LG, esaminiamo ora pi da vicino limmagine della chiesa che emerge dalla costituzione conciliare. A questo scopo studieremo approfonditamente i primi due capitoli alla ricerca del concetto ecclesiologico fondamentale del Vaticano II. Nei due capitoli si trovano due categorie fondamentali, richiamate anche nei titoli: la chiesa mistero e la chiesa popolo di Dio. Cercheremo di verificare qual il significato di queste due categorie, in che relazione stanno tra di loro e con altre categorie ecclesiologiche utilizzate nella LG oppure presenti nella tradizione precedente, se esiste una categoria ecclesiologica fondamentale e quali conseguenze derivano da questa presentazione della chiesa. A) Il mistero della Chiesa (cap. I) Secondo Grard Philips il primo capitolo si suddivide con tutta naturalezza in tre parti: la Chiesa e la Trinit (2-4); la rivelazione della Chiesa nella Scrittura (5-7); la Chiesa come comunit insieme visibile e spirituale (8). Il tutto preceduto da un paragrafo (1), che indica lo scopo della costituzione142. In particolare, alla luce dei richiami storici precedenti, lintenzione del capitolo I sembra duplice in quanto orientata ad affermare da un lato la continuit con lecclesiologia del passato, precisamente lecclesiologia del Corpo mistico, riportata per alla sua profondit misterica, contro linterpretazione tendenzialmente giuridica; e, daltro lato, a fondare lecclesiologia nuova, precisamente lecclesiologia del popolo di Dio143. Aa) Il proemio (n. 1) Il primo capitolo tratta del mistero della chiesa e lidea di mistero presupposta chiaramente quella biblica e patristica. Le reazioni negative che nel corso del dibattito conciliare si sono registrate a proposito delluso ecclesiologico di questa categoria segnalano che ormai nel linguaggio ecclesiale era andato perduto il senso antico del concetto di mysterion come designazione del piano divino di salvezza e lo si intendeva quasi esclusivamente come verit incomprensibile. Il termine mysterion in latino si traduceva con i due termini sacramentum e mysterium, che inizialmente mantennero il significato globale del termine greco, cio piano divino di salvezza in cui Dio si rivela e comunica se stesso, ma che successivamente si specializzarono e passarono ad indicare in modo esclusivo ri-

142 143

G. PHILIPS, op. cit., 75. G. COLOMBO, Il popolo di Dio e il mistero della chiesa nellecclesiologia postconciliare, in Teologia 10 (1985) 100.

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spettivamente i sacramenti e le verit della fede. Le reazioni negative suscitate dalluso del termine mistero per designare la chiesa derivano dal timore che si introducesse lidea che la chiesa incomprensibile oppure una realt invisibile (posizione classicamente attribuita ai Protestanti). Dire, quindi, che la Chiesa mistero, non significa negarne la natura di societ visibile, ma sottolineare che essa una realt che origina e fa parte dellautocomunicazione salvifica di Dio al mondo. Perci, la Chiesa non pu essere ridotta a un fatto meramente sociale e politico, perch una realt teologale, dordine divino pur nella sua creaturalit. Questa visione della Chiesa come mistero ha una portata ecumenica, perch pi vicina dellecclesiologia societaria alla teologia sia ortodossa che protestante, che accentuano laspetto misterico. Ha poi una portata pastorale, perch in tal modo la Chiesa si presenta al mondo non come una societ in concorrenza con gli Stati o le altre societ umane, ma come una realt divina dordine spirituale: essa costituisce in terra il germe e linizio (LG 5) del Regno di Dio e non lo instaura perseguendo un progetto e un programma storico-sociale di configurazione della storia umana e sociale. La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso di ordine religioso (GS 42)144. La stessa mediazione ecclesiale non coincide nemmeno con il semplice darsi storico effettivo del cristianesimo, ossia delle forme effettive della testimonianza ecclesiale. Anche l dove si edifica sul fondamento posto da Dio, rimane ancora da vedere come si edifica (1Cor 3,9). In LG 1 si trova anche unaltra categoria ecclesiologica che ha avuto grande successo nella teologia postconciliare: alla chiesa applicata la categoria di sacramento anche se in senso lato (veluti sacramentum). Gi in precedenza alcuni teologi avevano utilizzato il concetto di sacramento in senso ecclesiologico145 e dopo il Concilio alcuni hanno letto nei pochi testi del Vaticano II che attribuiscono alla chiesa la qualifica di sacramento una conferma della concezione teologica che fa derivare i sacramenti dalla chiesa come sacramento radicale o fondamentale146. In realt i testi conciliari non attribuiscono a questa categoria un significato particolarmente rilevante (ricorre piuttosto raramente e spesso accompagnata da espressioni che ne sfumano il significato)147. La presentazione del-

144

Il testo del Concilio per prosegue cos: Eppure proprio da questa missione scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunit degli uomini secondo la legge divina. 145 O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza (Napoli 1965; 2a ed. ted. 1955); E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dellincontro con Dio (Roma: EP, 1962; or. 1957); K. RAHNER, Chiesa e sacramenti (Brescia: Morcelliana, 1965; or. 1960). Per linflusso di Rahner sulla LG cfr. G. WASSILOWSKY, Universales Heilssakrament Kirche. Karl Rahners Beitrag zur Ekklesiologie des II. Vatikanums (Innsbrucker theologische Studien, 59; Innsbruck, Tyrolia, 2001). 146 K. RAHNER, Sulla teologia del simbolo, in ID., Saggi sui sacramenti e sullescatologia (Roma: EP, 1965; or. 1962) 51-107; L. BOFF, Die Kirche als Sakrament im Horizont der Welterfahrung (Paderborn: Bonifatius, 1972). 147 Per limitarci alla LG, lespressione ricorre in LG I, 1: E poich la chiesa in Cristo come sacramento, cio segno e strumento dellintima unione con Dio e dell'unit di tutto il genere umano; II, 9: Dio ha convocato lassemblea di

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la chiesa come sacramento nella LG serve a descrivere il ruolo della chiesa mistero nella storia e nel mondo, esprimendo il suo carattere di segno e strumento visibile dellazione di Dio e dellunit a cui tutto il genere umano chiamato. Questo ovviamente non preclude alla teologia la possibilit di costruire lecclesiologia fondandosi sulla nozione di sacramento, che per deve essere giustificata e non pu semplicemente essere proposta fondandosi sullautorit del Vaticano II. Proprio perch mistero, la Chiesa presentata come un sacramento, cio un segno di unaltra realt e strumento che dona realmente quello di cui segno. In quanto mistero, la Chiesa in Cristo, vive di lui, in lui e per lui: dunque sacramento di Cristo, come Cristo sacramento di Dio. Ma in Cristo si compie il disegno di salvezza di Dio, che consiste nel portare gli uomini alla comunione con Dio e tra di loro. La Chiesa, perci, in Cristo come un sacramento o un segno e strumento dellintima unione con Dio e dellunit di tutto il genere umano (LG 1). La Chiesa non presenta al mondo se stessa, ma Cristo, il quale significa in essa e compie per mezzo di essa il disegno della salvezza del Padre. Significa in essa, perch con la sua unit la Chiesa il segno dellunit degli uomini con Dio e tra loro. Compie per mezzo di essa, perch la comunione con Dio e tra gli uomini non si realizza senza lazione della Chiesa. In altre parole, la Chiesa, in quanto mistero comunione: comunione con Dio, anzitutto, ma anche comunione con tutti gli uomini. Secondo Walter Kasper il primo capitolo stato fra i meno recepiti nelle riflessioni teologiche e pastorali del post-Concilio148. Al centro dellattenzione si posto laspetto istituzionale della Chiesa, col rischio di passare sotto silenzio la sua dimensione mistica non a caso la questione della spiritualit stata privatizzata al punto da essere considerata come una questione di pertinenza della pratica della fede degli individui e dei piccoli gruppi. Perci, da una parte, la Chiesa stata identificata con la sua dimensione sociale ed empirica (e la questione dellessere-Chiesa con la ripartizione di competenze fra fedeli e istituzione gerarchica, fra Chiese locali e Sede romana), mentre daltra parte la spiritualit si disancorata dal suo riferimento ecclesiale (con fenomeni di distorsione teologica e tendenze allideologizzazione nella pratica). In realt, per la grande maggioranza dei cri-

coloro che credono e guardano a Ges autore della salvezza e principio di unit e di pace, e ne ha fatto la sua chiesa, perch sia per tutti e per ciascuno il sacramento visibile di questa unit salvifica; VII, 48: Risorgendo da morte [Cristo] infuse negli apostoli il suo Spirito vivificante, mediante il quale costitu la chiesa che il suo corpo, quale sacramento universale di salvezza. Altri riferimenti alla categoria si trovano in AG 1. 5; GS 42. 45. Cfr. COLOMBO, art. cit., 127-134; Y. CONGAR, Un popolo messianico (BTC 27; Brescia: Queriniana, 19823) 13-24. 148 W. KASPER, Le mystre de la Sainte glise. Un rappel ecclsiologique au soir dun sicle de lglise , in M. DENEKEN (ed.), Lglise venir. Mlanges offerts Joseph Hoffmann (Paris: Cerf, 1999) 309-344, qui 310. Considerazioni analoghe espresse lallora card. Ratzinger nel corso del convegno sulla recezione del Vaticano II, organizzato dal Comitato Centrale del Grande Giubileo dellAnno 2000: J. RATZINGER, Lecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualit alla luce del Giubileo, op. cit., 66-81.

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stiani, la Chiesa viene identificata in modo puro e semplice con le strutture della Chiesa visibile. Ma ci conduce a fraintendimenti ecclesiologici capitali, ad es. al fatto che si identifica lappartenenza alla Chiesa e lessere Chiesa soprattutto con la partecipazione al discorso tenuto a suo riguardo o con limpegno e lattivit in seno alla sua istituzione (i veri cristiani sono quelli impegnati!?). Riaffermare con il primo capitolo della LG che la Chiesa mistero non significa favorire una m istificazione che immunizza la Chiesa di fronte ai problemi strutturali della istituzione, ma essere consapevoli che solo nella misura in cui noi continuiamo a considerare la Chiesa come un mistero della fede, possiamo comprenderla correttamente anche come istituzione sociale, e che solamente alla luce della sua istituzione sociale noi possiamo parlare della Chiesa come un mistero della fede. Non certo un caso che sia i sostenitori di una ecclesiologia conservatrice e trionfalista sia i sostenitori di una critica ecclesiale o anti-ecclesiale della Chiesa, temono che la descrizione della Chiesa come mistero della fede rappresenti una fuga verso una Chiesa invisibile, misteriosa, n percepibile n attaccabile. I tradizionalisti temono che la comprensione mistica della Chiesa rappresenti uno smantellamento delle sicurezze istituzionali, giuridiche e politiche; i progressisti vi sospettano lerezione di un nuovo bastione soprannaturalista. Evidentemente questo rifiuto ha la sua radice in una comprensione unilaterale di ci che si deve intendere dal punto di vista teologico con mistero: appunto la comprensione dottrinalista e gnoseologica della teologia moderna. In particolare, stato Karl Rahner ad aver liberato il concetto di mistero dalle sue restrizioni gnoseologiche; mistero infatti ci in vista di cui luomo oltrepassa se stesso nellunit della sua trascendenza che consiste nel conoscere e nellamare liberamente, un aspetto primordiale, essenziale e permanente della realt totale, nel senso che questa, come totale (e quindi come infinita), rinvia lo spirito finito, creato, secondo la sua natura aperta allinfinito. Per questo motivo, secondo Rahner esiste un solo mistero: che lincomprensibilit di Dio, nella quale egli Dio, non data solamente come di lontano e come lorizzonte in seno al quale si muove la nostra esistenza, ma che questo Dio, che rimane incomprensibile, si d a noi nellimmediatezza, cos che lui stesso diviene la realt pi interiore della nostra esistenza149. Noi possiamo, quindi, parlare di mysterium secondo quattro aspetti, che devono essere pensati insieme quando parliamo di mysterium e in particolare di mysterium della Chiesa. Mysterium deve essere compreso 1) in riferimento al Dio Trinit stesso, a Dio che il senso ultimo del mondo e che si rivolto nel suo amore verso di noi per la nostra salvezza; 2) in riferimento a Ges Cristo, in

149

Cfr. art. Mistero, in K. RAHNER H. VORGRIMLER, Dizionario di Teologia (Roma Brescia, 1968) 396-397.

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quanto il sacramento originale di Dio, signum et instrumentum di questa autocomunicazione amante di Dio Trinit; 3) in riferimento allumanit che chiamata alla comunione con Dio e alla partecipazione alla sua salvezza, e che introdotta (mystagogein) in questo mistero in modo tale che nel mistero dellamore di Dio si apre il mistero della vita umana e vi si mostra secondo una comprensione globale della verit, la quale, tuttavia, 4) si sottrae ad ogni svelamento totale e ad ogni oggettivazione mediante la conoscenza. Se si vuole comprendere la Chiesa come mysterium, occorre considerare distintamente e in unione questi quattro aspetti. Nella teologia del concilio il concetto di mysterium della Chiesa si inserisce in una teologia della storia della salvezza considerata in tutti i suoi aspetti. Per far questo, il concilio si riferisce alla comprensione biblica e patristica della Chiesa, e cerca di oltrepassare unimmagine della Chiesa unilateralmente giuridica e trionfalistica. La Chiesa presentata come il mysterium della salvezza nascosto da tutta leternit, divenuto manifesto in maniera definitiva nel Cristo e che presente stabilmente nel mondo. La rivelazione di Dio la comunicazione di quel mistero che Dio stesso e rimane nella sua donazione libera, graziosa e amante alluomo. Quando Dio si rivela cos alluomo come mistero della libert nellamore e si comunica come salvezza definit iva, il mistero di questo amore non abolito, ma valorizzato in maniera definitiva. in Cristo luce delle genti che il mistero dellautocomunicazione storica di Dio si costituito in maniera definitiva e insuperabile. Il Signore , infatti, la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana (GS 10), lalfa e lomega, il primo e lultimo, il principio e la fine (GS 45). In questo contesto del mysterium salutis della storia della salvezza, che quello della teologia della rivelazione, si pu comprendere il concetto di mistero della Chiesa: essa in Cristo veluti sacramentum, seu signum, et instrumentum intimae cum Deo unionis totiusque generis humani unitatis (LG 1; LG 48; GS 45). Con questo doppio concetto mysterium/sacramentum, il concilio riprende luso linguistico dei Padri e oltrepassa la visione giuridica e canonica della Chiesa, centrata sullistituzione, che era stata elaborata a partire dal Medio Evo. A unecclesiologia che separa la Chiesa di Ges Cristo dallistituzione visibile, il Vaticano II oppone la visibilit e la realt sacramentale della Chiesa di Cristo nel mondo. Di fronte a una visione esclusivista della Chiesa, che afferma unidentit semplice e t otale della Chiesa di Ges Cristo con la Chiesa romana, il concilio afferma : Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come societ, presente [subsistit] nella Chiesa cattolica, sebbene al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verit, che, quali doni propri della chiesa di Cristo, spingono verso lunit cattolica (LG 8). Dunque, la Chiesa mistero della fede secondo laspetto teologico in riferimento alleconomia della salvezza e secondo laspetto cristologico e sacramentale. Ma essa ugualmente mistero della sal280

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vezza anche secondo gli altri due aspetti, quello mistagogico e quello gnoseologico. Essa infatti il luogo della fede, la sua tradizione il contesto semantico della fede, la sua comunit il contesto comunicativo e sociale di questa fede in cui ci a cui la fede si riferisce si mostra come vero, come manifesto e come sacramentalmente donato. In quanto Corpo del Cristo e sacramento della comunione con Dio nello Spirito, mediante lannuncio della Parola e la celebrazione dei sacramenti, come attraverso tutta la sua vita, la Chiesa dispiega nel mondo la salvezza che in lei divenuta manifesta ed essa introduce nella realt della salvezza di Dio. Essa quindi il mistagogo autentico dei misteri della salvezza di Dio. Essa non introduce in qualcosa che le sarebbe esteriore e estraneo, ma in ci che per volont di Dio essa designa sacramentalmente. E lo fa non in virt di un potere e di una capacit propri e autonomi, e senza legame con ci in cui essa introduce, ma in quanto mediazione sacramentale di Ges Cristo, essa lo fa in virt dello Spirito che il suo Signore e Capo le invia perpetuamente dal Padre. Perci la Chiesa il mistero mistagogico istituito dal Cristo nella storia. In quanto sacramento della trascendenza irriducibile di Dio che si comunica come mistero essa stessa rimane un mistero: il suo essere pi intimo infatti il mistero dellamore di Dio che si dona vitt oriosamente alluomo in Cristo. Tutte le forme storiche concrete della Chiesa, e quindi la sua stessa dimensione istituzionale, anche se si tratta di modi di esistere autentici della Chiesa di Ges Cristo, non possono mai realizzarla integralmente e secondo unidentit ontologica semplice. La Chiesa di Ges Cristo supera i limiti della nostra conoscenza oggettivante: essa ununica realt co mplessa (LG 8) che si estende fin nella speranza dei defunti e nella gloria di coloro che sono stati accolti nella gloria di Dio. Questo carattere mistico implica allora che essa non possa mai essere totalmente manifesta a se stessa. questo carattere di mistero che inteso quando il concilio presenta Maria come in fide et in caritate typus et exemplar spectantissimum della Chiesa. Perch come Maria, la Chiesa pellegrina nel cammino della fede, conservando e contemplando nel suo cuore il mistero che in lei divenuto realt, senza poterne in fin dei conti prenderne tutte le misure (LG 58). Ab) Ecclesia de Trinitate (nn. 2-4) La concezione della chiesa predominante nella teologia cattolica anteriore al concilio Vaticano II era caratterizzata da quello che Yves Congar descrive come cristomonismo150: lespressione evidenzia la privilegiata attenzione prestata agli aspetti visibili, incarnazionistici della chiesa. Il capitolo primo della LG rappresenta il recupero della profondit trinitaria della chiesa: De unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata (san Cipriano), la chiesa viene dalla Trinit, strutturata a

150

Y. CONGAR, Pneumatologie ou Christomonisme dans la tradition latine? , in EThL 45 (1969) 394-416.

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immagine della Trinit e va verso il compimento trinitario della storia. Il capitolo I della LG quindi strutturato trinitariamente e secondo Bruno Forte151 vorrebbe rispondere a tre domande: 1) da dove viene la chiesa?; 2) che cosa la chiesa?; 3) dove va la chiesa? 1) La chiesa viene dalla Trinit. Essa perci procede dal disegno salvifico del Padre (n. 2), dalla missione del Figlio (n. 3) e dallopera santificante dello Spirito santo (n. 4). 2) La chiesa icona della Trinit. Per una non debole analogia essa paragonata al mistero del Verbo Incarnato (n. 7 e 8), nella dialettica del visibile e dellinvisibile, mentre la sua comunione, una nella variet delle chiese locali e dei carismi e ministeri in esse, riflette la comunione trinitaria: Questo il sacro mistero dellunit della chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito santo opera la variet dei doni. Il supremo modello e il principio di questo mistero lunit nella trinit delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo (UR 2f)152. 3) La chiesa va verso la Trinit: chiesa dei pellegrini, in cui nella perenne conversione e riforma, in comunione con la chiesa celeste, ci si prepara alla gloria finale (n. 8 cd; cfr. i cap. VII e VIII). Chiarito il senso storico-salvifico in cui si usa la nozione di mistero, risulta decifrabile anche larticolazione del discorso sulla chiesa nel cap. I della LG. La descrizione della chiesa non assume pi come punto di partenza la chiesa militante (lorganismo gerarchicamente strutturato) come nel primo schema, ma il piano di salvezza di Dio Padre che trova la sua realizzazione nella missione del Figlio e dello Spirito Santo (nn. 2-4); il punto di arrivo di questa sezione la citazione di Cipriano secondo cui la chiesa si presenta come un popolo adunato dallunit (de unitate) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo153. Questo approccio storico-salvifico non nega la visibilit storica della chiesa (LG 8), ma precisa che essa non tutto e che una comprensione corretta della chiesa esige di considerare la sua origine trascendente, il suo essere dallalto (fondata nella Trinit economica). Presentando la Chiesa come limmagine dellunit trinitaria, il concilio pu ugualmente pensarla come communio sanctorum, cio come la comunit di coloro che sono santificati per il fatto che e

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B. FORTE, La chiesa icona della Trinit. Breve ecclesiologia (UT 9; Brescia: Queriniana, 1984); ID., La Chiesa della Trinit. Saggio sul mistero della Chiesa comunione e missione (Cinisello Balsamo Milano: EP, 1995). 152 Sul tema si vedano per le osservazioni piuttosto caute di G. CANOBBIO, Unit della Chiesa unit della Trinit, in F. CHICA, S. PANIZZOLO, H. WAGNER (edd.), Ecclesia tertii millenni advenientis. Omaggio al P. Angel Antn (Casale Monferrato: Piemme, 1997) 29-45; ID., La Trinit e la Chiesa, in PONTIFICIA FACOLT TEOLOGICA DELLITALIA MERIDIONALE SEZIONE SAN LUIGI, La Trinit e la Chiesa. In dialogo con Giacomo Canobbio, a cura di O.F. Piazza (Cinisello Balsamo MI: San Paolo, 2006) 25- 77. 153 Philips cos spiega il senso della preposizione de: La preposizione latina de evoca simultaneamente lidea di imitazione e quella di partecipazione: a partire da questa unit tra ipostasi divine che si prolunga lunificazione del popolo: unificandosi, questo partecipa a unaltra Unit; tanto che per san Cipriano lunit della Chiesa non pi intelligibile senza quella della Trinit: G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero, 87 (cors. ns.).

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nella misura in cui essi hanno parte ai beni della salvezza di Cristo. La Chiesa, come immagine della communio trinitaria cos essa stessa communio in maniera costitutiva; essa in una continuit sacramentale e mistica con il mistero dellamore realizzato nella libert in Dio stesso, ed cos il segno e lo strumento dellunit e della comunione dellumanit chiamata da Dio alla libert dei figli di Dio (LG 1, 45, 48, 52). Perci la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica abbraccia tutti coloro che, nel combattimento per la realizzazione dellamore di Dio nel mondo (cfr. GS 13), come peccatori e come giusti, camminano tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio (LG 8), ma pure coloro che sono glorificati nella loro unione con Dio, ed infine coloro la cui libert nellamore di Dio, nel corso della loro vita terrestre, stata oscurata dal peccato, ma che, dopo la morte, si trovano sul cammino della comunione definitiva con Dio (LG 49). Ac) La rivelazione della chiesa nella Scrittura (nn. 5-6) I due numeri hanno una valenza metodologica. Il n. 5, superando le ristrettezze della posizione apologetica sulla istituzione della Chiesa, presenta la fondazione della chiesa in relazione alla predicazione del regno: Il mistero della santa chiesa si manifesta nella sua fondazione. Il Signore Ges, infatti, diede inizio alla sua chiesa predicando la buona novella, cio la venuta del regno di Dio da secoli promesso nelle scritture. Si precisa, inoltre, che la chiesa non coincide col regno; anzi, essa lo deve annunziare ed instaurare in tutte le genti. Daltra parte essa non ne solo una pallida prefigurazione, ma ne costituisce in terra il germe e linizio in attesa del suo compimento. Dopo aver chiuso con un nulla di fatto le discussioni dei decenni precedenti su una possibile definizione formale della Chiesa, il Concilio ha preferito abbandonare questo tentativo e raccogliere nel n. 6 le metafore che la Scrittura adopera per descriverla. Proprio perch mistero, essa non si lascia costringere in una definizione propriamente detta; la maniera pi giusta per coglierla nella sua realt misterica il ricorso alle metafore bibliche. Cos, il concilio per descrivere la Chiesa presenta quattro campi semantici, che simbolicamente mettono in risalto luno o laltro dei suoi aspetti. Nelle immagini prescelte quelle della vita pastorale, della vita agricola, della edificazione e della sposa-madre il risalto dato a Cristo: donde il carattere cristologico, oltre che trinitario. Ad) La Chiesa corpo di Cristo (n. 7) Limmagine su cui il Concilio s soffermato pi a lungo quella del corpo, presentando unampia e organica teologia della Chiesa come corpo di Cristo154. evidente linflusso della Mystici Corporis

154

Anzi la Commissione teologica precis nella sua Relatio che haec ultima expressio, scilicet Corporis mystici, plus quam imago est et profundius in Ecclesiae mysterio introducit : AS III/I, 173.

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di Pio XII, cosicch si pu parlare di continuit dottrinale tra questo documento e la LG. Ma ci sono anche diversit di prospettive e di contenuto. La LG propone quasi esclusivamente la dottrina di Paolo sul corpo di Cristo e in essa, in consonanza con la natura di mistero della Chiesa, d risalto alla dimensione soteriologico-cristologica e sacramentale. Nella MC (e nel primo schema) si partiva da una visione organologico-societaria della Chiesa, che un corpo visibile, organico, gerarchico; inoltre la Chiesa veniva definita in modo appropriato come il corpo mistico di Cristo; infine, da tale definizione si traevano tutte le conseguenze per ci che riguarda la sua visibilit, il governo e lappartenenza. Nella LG, invece, la categoria corpo resta al livello dimmagine, anche se particolarmente significativa; si precisa a livello terminologico che Cristo comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente [mystice] i suoi fratelli come suo corpo (non si dice corpus suum mysticum constituit), perch Paolo non adopera lespressione corpo mistico; sinsiste sul fatto che in quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano e reale a Cristo sofferente e glorioso. Ci si verifica soprattutto nel battesimo e nella eucaristia, con cui siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi. per questo aspetto comunionale che limmagine del corpo gode duna preferenza rispetto alle altre. Laltro motivo di preferenza che pi delle altre essa mette in risalto il primato di Cristo, in quanto capo del corpo mistico. Proprio lo sviluppo del tema di Cristo capo della Chiesa introduce la seconda parte del n. 7 (in coerenza con la distinzione che si nota sul tema nellepistolario paolino: infatti, se Rom e 1Cor parlano della Chiesa corpo di Cristo, Col ed Ef sviluppano il tema di Cristo Capo). Ora, la LG sviluppa il tema di Cristo Capo secondo quattro aspetti diversi: a) come Capo egli rende le sue membra conformi a s; b) anima la crescita vitale della Chiesa; c) con il suo Spirito, che esiste unus et idem in Capite et in membris, la rinnova e unifica continuamente; d) infine, come Capo e Sposo ama Colei che il suo corpo indissolubilmente unito, ma non confuso, con Lui e la rende sempre pi perfetta, per farla accedere alla pienezza di Dio. Al n. 7g si accenna anche al tema dello Spirito Santo anima della chiesa, appellandosi alle allusioni dei Padri. Si evita per di andare al di l del suo senso analogico come facevano alcuni teologi che distinguevano lanima increata e lanima creata della Chiesa. Quanto allo schema del numero, si noti la successione dei paragrafi: si d importanza, prima ai sacramenti (battesimo e soprattutto eucaristia); poi ai carismi (anche lautorit dei pastori emerge qui dal loro interno e viene legata strettamente alla carit); poi si fa spazio al tema di Cristo capo del corpo; e al tema degli impegni che coinvolgono i soggetti umani nelledificazione del corpo. Su tutto, verso la fine, spicca di nuovo lappello allo Spirito Santo che nella Chiesa il principio di vita, unit e moto e lennesimo richiamo allescatologia. 284

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Ae) La Chiesa, strutturata in analogia al mistero del Verbo incarnato, una realt complessa (n. 8) Il n. 8 intitolato La chiesa realt visibile e spirituale. Lintenzione esplicita del numero di riaffermare che la Chiesa, di cui il I cap. descrive lintima e misteriosa natura, qui sulla terra si trova (concrete inveniri) nella Chiesa cattolica (Relatio n. 8, AS III/1, 176). Questa Chiesa di cui si pu fare esperienza concreta (Ecclesia empirica) rivela il mistero (mysterium revelat), anche se non senza ombre nella sua esistenza storica, finch essa non sia condotta al perfetto compimento (donec ad plenum lumen adducatur). Il numero si pu suddividere in quattro punti principali: 1) il mistero della Chiesa presente e manifestato in una concreta realt sociale, la cui struttura essenziale analoga al mistero del Verbo incarnato155; 2) la Chiesa unica e qui in terra presente (adest) nella Chiesa cattolica, anche se fuori del suo organismo visibile si trovano elementa ecclesialia; 3) la manifestazione del mistero della Chiesa avviene contemporaneamente nella virt e nella debolezza, a somiglianza della condizione di povert e di umilt del Cristo; 4) la Chiesa vince tutte queste difficolt legate al suo cammino storico per virtutem Christi et caritatem. In particolare, in relazione alla chiesa, il numero 8 affronta in due momenti il problema della sua realt complessa di mistero e societ gerarchica: dapprima il problema dellunit (con la conseguente esclusione di una reale divisione interna), e poi il problema dellunicit (con lesclusione di una moltiplicazione esterna). In breve: i due elementi costitutivi della chiesa, il divino e lumano, sono realt separate o fuse tra di loro? E poi, si pu pensare a pi chiese che, pur diverse fra loro e in opposizione reciproca, siano egualmente vere e legittime? Il primo capoverso riflette sul problema dellunit interna, precisando (in linea con la Mystici Corporis e per suo tramite con il Vaticano I) che la Chiesa strumento congiunto indissolubilmente con Cristo; in analogia con il legame tra natura umana e natura divina nel mistero del Verbo incarnato, organo attraverso cui passa lazione salvifica di Cristo. Il mistero della realt divino-umana della Chiesa espresso in LG 8a attraverso un triplice binomio: a) societ gerarchica Corpo Mistico di Cristo; b) assemblea visibile comunit spirituale; c) Chiesa terrena Chiesa ormai in possesso dei beni celesti. I termini di ciascun binomio non vengono di155

Nella tradizione dottrinale e teologica si era soliti applicare lo schema calcedonese per individuare i due rischi che lecclesiologia deve evitare: il nestorianesimo che divide (per cui la Chiesa una pura istituzione umana) e il monofisismo che unisce troppo (la Chiesa una realt divina). Su questo classico tema si vedano: Y. CONGAR, Dogma cristologico ed ecclesiologia. Verit e limiti di un parallelismo, in ID., Santa Chiesa (Brescia: Morcelliana, 1967) 83-91; J.H. NICOLAS, Le sens et la valeur en ecclsiologie du parallelisme de structure entre le Christ et lglise, in Angelicum 43 (1966) 353-358; H. MLLER, De analogia verbum incarnatum inter et ecclesiam (L.G. 8), in Periodica 66 (1977) 499512; M. SEMERARO, Spiritui Christi inservit. Storia ed esito di una analogia (Lumen Gentium 8), in Lateranum 52 (1986) 343-398. Cfr. anche H. MHLEN, Una mystica persona. La chiesa come mistero dello Spirito santo in Cristo e nei cristiani: una persona in molte persone (Roma: Citt Nuova, 1968).

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chiarati semplicemente identici, ma neppure giustapposti, quasi che uno indicasse lumano e laltro il divino (non ut duae res considerandae sunt). Essi formano una realt complessa risultante dalla unit dellelemento umano e divino che sono distinti, non confusi, ma compresenti nella stessa Chiesa una. Notiamo che i due elementi (lumano e il divino) mantengono il loro dinamismo nel formare lunit (efformant: verbo di azione al presente); di conseguenza, la realt che ne risulta resta complessa; e c sempre bisogno dello Spirito Santo per dare vita e crescita al corpo. La visione che ne risulta ci sembra quindi equilibrata. Infatti linsistenza sul carattere misterico della Chiesa non deve mettere in ombra il suo carattere visibile e storico. Cristo stesso ha costituito la Chiesa come comunit di fede, di speranza e di carit e come organismo visibile, attraverso il quale diffonde su tutti la verit e la grazia. Cos il Concilio fa proprio linsegnamento di Leone XIII nella Satis cognitum e di Pio XII nella Mystici Corporis, e mette in rilievo rigettando ogni concezione dualistica della Chiesa (Chiesa carismatica e Chiesa istituzionale, Chiesa giuridica e Chiesa della carit) lunit che esiste, nellunica Chiesa, tra lelemento misterico e lelemento visibile; si richiama allunit in Cristo della divinit e dellumanit, ma insieme si ribadisce la subordinazione e la mediazione sacramentale dellelemento visibile nei confronti di quello misterico. Il mistero di questa complessa realt viene posto in relazione ob non mediocrem analogiam con il mistero del Verbo incarnato. Notiamo che le analogie sono due: con il mistero dellIncarnazione e con la strumentalit dellumanit di Cristo quale organo di salvezza. La natura umana che il Figlio di Dio ha assunto nellunione ipostatica costituisce il vivum organum salutis, Ei indissolubiliter unitum. Non dissimili modo la compagine sociale della Chiesa al servizio dello Spirito di Cristo per la crescita del Corpo. Lattenta formulazione mette in guardia da interpretazioni o da applicazioni arbitrarie. Non si pu parlare della Chiesa semplicemente come di una Incarnazione continuata, o di una unione con Cristo di tipo ipostatico (lerrore di Pelz, condannato dalla MC). Come il dogma di Calcedonia (DzH 302) riguardo allunione tra le due nature di Cristo parla di non confusione, di non divisione e di inseparabilit, cos secondo unanalogia di proporzionalit si pu parlare di una non confusione e di una inseparabilit per lunione tra la compago socialis della Chiesa e lo Spirito di Cristo. Non il Logos in quanto tale che agisce nei singoli membri della Chiesa, ma lo Spirito, presente unus et idem in Capite et in membris (LG 7g). Lanalogia di LG 8a per anche unanalogia di attribuzione tra la strumentalit della natura umana di Cristo quale organum salutis del Verbo e la strumentalit della compago socialis Ecclesiae rispetto allazione dello Spirito di Cristo. Proprio la presenza e lazione dello Spirito di Cristo, uno e lo stesso nel Capo e nei membri, il fondamento ontologico della Chiesa sacramento universale della salvezza.

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Af) La chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica Il secondo capoverso affronta il nodo dellunicit. Si afferma, quasi come premessa, che la chiesa voluta da Cristo deve presentare necessariamente anche il tratto apostolico; essa, radicata nella successione apostolica (come preciser alcuni anni pi tardi al n. 16 la Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede, Dominus Iesus, 6 agosto 2000), ha conservato la sua continuit e la sua integrit istituzionale nel tempo, fino ad oggi. Questa Chiesa di Cristo (proprio anche in quanto societ storica) si trova nella Chiesa cattolica:
questa lunica chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo un a, santa, cattolica e apostolica, e che il nostro Salvatore ha dato da pascere a Pietro dopo la risurrezione (cfr. Gv 21,17); egli lha eretta per sempre come colonna e fondamento della verit (cfr. 1Tm 3,15). Questa chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come societ, sussiste nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui, anche se numerosi elementi di santificazione e di verit si trovino anche fuori della sua compagine: elementi che, come doni propri della chiesa di Cristo, sospingono verso lunit cattolica (LG 8b).

Va notata nellultimo periodo di questo testo laffermazione di grande portata, secondo la quale non c identificazione esclusiva tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica: la Chiesa di Cristo non (est) la Chiesa cattolica, ma sussiste in (subsistit in) essa, perch Chiese, comunit ed elementi ecclesiali esistono anche oltre i confini visibili della Chiesa cattolica. In altre parole, la realt della Chiesa di Cristo ricopre la realt della Chiesa cattolica, cosicch questa vera Chiesa di Cristo e lo , come vedremo, nellintegrit delle sue mediazioni istituzionali; ma nello stesso tempo, la Chiesa di Cristo si estende al di l della Chiesa cattolica, comprendendo realt ecclesiali, che visibilmente non fanno parte della Chiesa cattolica156. cos aperta la via a una considerazione propriamente ecclesiale delle Chiese e comunit cristiane, non cattoliche, senza che venga intaccata lunicit della Chiesa o che si consideri questa come la somma delle Chiese e comunit ecclesiali. Pio XII, prima nellenciclica Mystici Corporis (1943) e poi in Humani generis (1950), aveva asserito che il corpo mistico di Cristo e la chiesa cattolica romana sono ununica e medesima cosa, con la conseguenza che solo i cattolici romani appartengono realmente (reapse) al Corpo di Cristo. Nello stesso senso andava anche il primo schema de Ecclesia (1962) che recitava: La chiesa cattolica

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Luigi Sartori suggerisce che si cos passati dal concetto di assolutezza al concetto di pienezza: non si dice solo la chiesa cattolica chiesa, ma nella chiesa cattolica c in pienezza la chiesa. C in pienezza tutto linsieme delle mediazioni ecclesiali istituzionali: L. SARTORI, Lunit dei cristiani (Padova: Messaggero, 1992) 51. Secondo questa interpretazione sembra indirizzarsi limportante enciclica di Giovanni Paolo II, Ut unum sint (25 maggio 1995), n. 13: Oltre i limiti della Comunit cattolica non c il vuoto ecclesiale. Anzi, essa precisa: Nella misura in cui tali elementi [di santificazione e di verit] si trovano nelle altre Comunit cristiane, lunica Chiesa di Cristo ha in esse una presenza operante (n. 11) , anche se, daltra parte, nella Chiesa cattolica presente la pienezza ( plenitudo) degli strumenti di salvezza (n. 86).

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romana (est) il corpo mistico di Cristo [] e solo quella che cattolica romana ha il diritto di essere chiamata chiesa (AS I/4, 15). Questa identificazione fu aspramente criticata durante la prima sessione del concilio. Tuttavia anche il secondo schema (1963) identificava come il precedente la chiesa cattolica (senza lattributo romana) e il corpo mistico, anche se aggiungeva che molti elementi di santificazione si possono trovare fuori della sua struttura totale e che queste sono cose appartenenti propriamente alla chiesa di Cristo (AS II/1, 219-220). Questultima frase implicava almeno che simili elementi di santificazione fossero ecclesiali per loro natura e suggeriva che qualche elemento ecclesiale presente anche fuori dei confini della chiesa cattolica. In seguito, durante la revisione successiva alla seconda sessione, in seno alla stessa commissione teologica sorse la questione della coerenza fra le due affermazioni: come identificare la chiesa cattolica con il corpo mistico e nello stesso tempo riconoscere la presenza di elementi ecclesiali al di fuori di essa? La soluzione fu trovata modificando il testo: anzich dire che la Chiesa di Cristo la chiesa cattolica, si diceva che essa sussiste in essa. La spiegazione ufficiale, data ai padri per giustificare il cambiamento, fu questa: Perch lespressione possa meglio accordarsi con laltra degli elementi ecclesiali che si trovano altrove (AS III/1, 176s). Sfortunatamente per i commentatori, nessunaltra spiegazione venne offerta per precisare meglio come intendere correttamente la parola sussistere. Lunico punto certo che la scelta di non continuare a dire , rappresenta una innovazione nei confronti dellaffermazione di unassoluta ed esclusiva identit fra la chiesa di Cristo e la chiesa cattolica. Il fatto che molti elementi di santificazione e verit, sono esplicitamente riconosciuti come di natura ecclesiale, fa pensare ovviamente che deve esserci qualcosa della chiesa al di fuori di essa; diversamente non ci sarebbe stata ragione di ricorrere alla nuova espressione sussiste in, se essa avesse dovuto essere intesa in senso esclusivo (est). In ogni caso possiamo saperne di pi considerando il decreto sullecumenismo, promulgato lo stesso giorno della LG (21 novembre 1964) e che secondo lespressa dichiarazione di Paolo VI deve essere preso in considerazione per comprendere la dottrina della chiesa contenuta nella LG157. Orbene seguendo questo suggerimento, occorre scartare quelle interpretazioni che leggono il subsistit in alla luce della nozione filosofica di sussistenza158. Su questa linea ci fu addirittura chi sugger che la

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Vogliamo anche sperare che la medesima dottrina della chiesa sar benevolmente e favorevolmente considerata dai fratelli cristiani tuttora da noi separati; integrata tale dottrina dalle dichiarazioni contenute nello schema sullecume nismo: AAS 56 (1964) 1012; EV I, 293* (corsivo ns). 158 Come se la chiesa cattolica fosse lunica realizzazione della chiesa sulla terra: G. BAUM, The Ecclesial Reality of the Other Churches, in Concilium 4/1 (1965) 38; B. GHERARDINI, Sulla Lettera Enciclica Ut Unum Sint di Papa Giovanni Paolo II, in Divinitas XL (1997) 3-12. questa anche la posizione dellallora card. Ratzinger: La parola subsistit deriva dallantica filosofia ulteriormente sviluppatasi nella Scolastica Subsistere un caso speciale di esse.

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chiesa cattolica sta alle altre comunit cristiane come lesse subsistens sta agli enti creati159. Un altro approccio filosofico al problema consistito nellimmaginare che la chiesa di Cristo si dovesse pensare come una specie di idea platonica, la quale trova la sua forma concreta di esistenza nella chiesa cattolica. La maggior parte dei commentatori tuttavia rifiuta che lespressione sia da intendersi in senso filosofico e sostiene che il termine va inteso secondo il senso del linguaggio corrente, per cui significa stare ancora, stare, continuare, rimanere160. Con ci il concilio affermerebbe che la Chiesa Cattolica il luogo storico in cui la Chiesa di Cristo presente e continua ad esistere con tutte le propriet essenziali e con la pienezza dei mezzi di salvezza di cui Cristo lha dotata. La prova pi convincente di tale interpretazione si ha proprio in due passi di UR:
cos che per questa via, , tutti i cristiani, in ununica celebrazione delleucaristia, si riuniscano in quella unit delluna e unica chiesa, che Cristo fin dallinizio don alla sua chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilit di essere perduta, nella chiesa cattolica e che speriamo crescer ogni giorno pi fino alla fine dei secoli (UR 4c). Tuttavia i fratelli da noi separati, sia presi singolarmente sia le loro comunit e chiese, non godono di quellunit, che Ges Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme

lessere nella forma di un soggetto a s stante. Qui si tratta proprio di questo. Il Concilio vuol dirci che la Chiesa di Ges Cristo come soggetto concreto in questo mondo pu essere incontrata nella Chiesa cattolica. Ci pu avvenire solo una volta e la concezione secondo cui il subsistit sarebbe da moltiplicare non coglie proprio ci che si intendeva dire. Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarit e la non moltiplicabilit della Chiesa cattolica: esiste la Chiesa come soggetto nella realt storica: Lecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, in Il Concilio Vaticano II, op. cit., 79. Questa interpretazione si ritrova anche nella Notificazione sul volume Chiesa: carisma e potere del P. Leonardo Boff: cfr. EV 9, 1426 e nella nota 56 al n. 16 della Dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede. Karl Becker, sostenitore dellidentificazione fra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica, ha per dim ostrato con acribia come questa interpretazione non corrisponda a quanto inteso dalla Commissione dottrinale: K. BECKER, Subsistit in (Lumen gentium, 8), in LOsservatore Romano, 5-6 dicembre 2005, 1.6-7. Notiamo, infatti, che la Commissione dottrinale, sintetizzando il contenuto di ciascun paragrafo del capitolo I scrisse: Ecclesia est unica, et his in terris adest in Ecclesia catholica, licet extra eam inveniantur elementa ecclesialia : AS III/1, 176; ora, adesse nella scolastica non un sinonimo di subsistere. Si consideri poi che lenciclica Ut unum sint non menziona linterpretazione filosofica del subsistit in: UUS 10, 86; e cos fa anche il recente documento della Congregazione della Dottrina de lla Fede, Risposte ad alcuni quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa, 29 giugno 2007. 159 F. RICKEN, Ecclesia universale salutis sacramentum, in Scholastik 40 (1965) 373. 160 Cf. K. BECKER, art. cit.; U. Betti: In un primo tempo, ancora nella redazione datata 25 novembre 1963, si diceva che la Chiesa di Cristo presente (adest in) nella Chiesa Cattolica. Nella redazione successiva, che fu anche la definitiva, concordata in sede di Commissione dottrinale il giorno seguente 26 novembre, lespressione presente fu sost ituita con lespressione sussiste (subsistit in). Lintenzione e il significato, soggiacenti alluna e allaltra espressione, sono uguali. Si intendeva con esse affermare che lunica Chiesa di Cristo ha con la Chiesa Cattolica un rapporto di tot alit, nel senso che, in quanto societ costituita in questo mondo, presente o sussiste in essa: mentre il rapporto di ogni Chiesa o Comunit cristiana con la Chiesa di Cristo un rapporto di parzialit, nella misura, cio, degli elementi di santificazione e di verit che si trovano in ciascuna. C tuttavia tra le due espressioni una differenziazione di prospettiva. La sussistenza (subsistit in) indica presenza senza soluzione di continuit fin dalle origini, mentre la semplice prese nza (adest in) indica solo una presenza in atto, senza necessario congiungimento storico con il passato, ID., Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica. A proposito di unespressione della Lumen Gentium, in Antonianum 61 (1986) 738s. Cfr. anche limportante spiegazione data dal card. Willebrands, allora segretario del SPUC: J. WILLEBRANDS, Subsistit in. Address to the National Workshop for Christian Unity, Atlanta, Georgia USA, May 5, 1987, in Information Service n. 101 (1999/II-III) 143-149; cfr. la trad. it.: Chiesa, Corpo di Cristo, comunione nel Concilio Vaticano II, in ID., Una sfida ecumenica. La nuova Europa (Verrucchio RN: Pazzini Editore, 1995) 83-98.

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per un sol corpo e per una vita nuova; unit che le sacre Scritture e la veneranda tradizione della chiesa apertamente dichiarano. Infatti, solo per mezzo della chiesa cattolica di Cristo, che lo strumento generale della salvezza, si pu ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realt al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della nuova alleanza, per costituire lunico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che in qualche modo appartengono gi al popolo di Dio. E questo popolo, quantunque, finch dura il suo terreno pellegrinaggio, rimanga nei suoi membri esposto al peccato, cresce tuttavia in Cristo ed soavemente condotto da Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che pervenga nella gioia a tutta la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme ( UR 3e).

Per cui secondo UR la chiesa di Cristo ha continuato ad esistere tuttora con quella unit e con tutti i mezzi di salvezza di cui Cristo lha dotata, ed soltanto nella chiesa cattolica che essa continua ad esistere cos. Naturalmente qui si tratta di integrit istituzionale, di pienezza di mezzi di salvezza.
Infatti, bench la chiesa cattolica sia stata arricchita da Dio di tutta la verit rivelata e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore, per cui il volto della chiesa rifulge meno davanti ai fratelli da noi separati e al mondo intero e la crescita del regno di Dio ne ritardata (UR 4f).

Resta quindi sempre la possibilit che una comunit non cattolica, forse molto manchevole in fatto di sacramenti, possa vivere la vita di Cristo in modo pi fecondo di molte comunit cattoliche. Qual il significato del cambiamento tra e sussiste in per il nostro modo di pensare le altre comunit cristiane? Si noti che nellimmediato contesto di LG 8, il concilio parla solo di presenza di parecchi (plura) elementi (in UR 3 diventano plurima et eximia) descritti come doni propri della chiesa di Cristo. Ma che importanza rivestono tali elementi nella mente del concilio? Si ammette la natura ecclesiale delle comunit non cattoliche? Ebbene gi LG 15 d alcune indicazioni:
Con coloro che sono battezzati e quindi insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano lunit di comunione sotto il romano pontefice, la chiesa si sa congiunta per molteplici ragioni. Fra di loro ci sono infatti molti che onorano la sacra Scrittura come regola di fede e di vita, dimostrano di avere uno zelo religioso sincero, credono di cuore in Dio Padre onnipotente e in Ges Cristo, Figlio di Dio e Salvatore, sono segnati dal battesimo che li unisce a Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie chiese o comunit ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra di loro hanno anche lepiscopato, celebrano la santa eucaristia e coltivano la piet verso la vergine Madre di Dio. A tutto ci si aggiunge la comunione nella preghiera e in altri benefici spirituali, anzi una certa vera congiunzione nello Spirito Santo, che anche in loro opera con la sua virt santificatrice mediante doni e grazie; alcuni poi di loro li ha fortificati fino alleffusione del sangue.

Si precisa che questi cristiani, consacrati a Cristo mediante il loro battesimo, riconoscono e ricevono anche altri sacramenti nelle loro proprie Chiese e comunit ecclesiali. Va osservato in particolare che questultima frase fu aggiunta al testo come dice la Relazione ufficiale per rispondere alle molte richieste dei vescovi. Anzi la relazione aggiunge:

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Gli elementi di cui si fa menzione riguardano non solo gli individui ma pure le loro comunit, e precisamente in questo fatto posto il fondamento del movimento ecumenico. I documenti papali parlano abitualmente di Chiese separate dOriente. Per i protestanti i recenti pontefici hanno usato il termine comunit cristiane (AS III/1, 204).

Ma ben pi chiaramente si esprime UR 3:


Inoltre, tra gli elementi o beni, dal complesso dei quali la stessa chiesa edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori dei confini visibili della chiesa cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carit, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili; tutte queste cose, che provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto allunica chiesa di Cristo. Anche non poche azioni sacre della religi one cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna chiesa o comunit, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia e si devono dire atte ad aprire lingresso nella comunione della salvezza. Perci le stesse chiese e comunit separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e di peso. Poich lo Spirito di Cristo non ricusa [non renuit: per MC renuit: DzH 3808] di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verit che stata affidata alla chiesa cattolica.

Alcuni vescovi osservarono che questo testo attribuiva una funzione salvifica non solo ai sacramenti che si trovano nelle comunit non cattoliche, ma anche a quelle chiese e comunit in quanto tali, e perci suggerirono di correggere il testo in questo modo: In tali comunit sono preservati mezzi di salvezza che lo Spirito santo non ha ricusato di usare. La risposta della commissione fu per:
Dovunque si usano validi mezzi di salvezza che, come azioni sociali, caratterizzano quelle comunit come tali, certo che lo Spirito santo sta usando quelle comunit come strumenti di salvezza (AS III/7, 36).

Anche il titolo dellintero capitolo III di UR Chiese e comunit ecclesiali separate dalla Sede apostolica romana fu cos spiegato:
La duplice espressione Chiese e comunit ecclesiali stata approvata dal concilio ed usata in modo totalmente legittimo. Difatti c solo ununica chiesa universale, ma ci sono molte chiese locali e particolari. consuetudine nella tradizione cattolica chiamare le comunit separate dOriente Chiese quelle locali o particolari senza dubbio e nel senso proprio del termine. Non compito del concilio investigare e decidere quali delle altre comunit debbano essere chiamate Chiese in senso teologico (AS III/7, 35).

E per quanto riguarda le comunit ecclesiali? La distinzione non chiarita in modo esplicito, ma sembra fondarsi su un principio di ecclesiologia eucaristica: vale a dire, non c piena realt di chiesa dove non c piena realt di eucaristia. Infatti in UR 22 il concilio usa intenzionalmente solo lespressione comunit ecclesiali:
Le comunit ecclesiali da noi separate, quantunque manchi la loro piena unit con noi derivante dal battesimo e quantunque crediamo che esse, specialmente per la mancanza del sacramento dellordine, non hanno conservato la genuina e integrale sostanza del mistero eucaristico.

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Comunque anche ad esse riconosciuto un carattere ecclesiale. La relazione infatti si esprime cos:
Non va trascurato il fatto che le comunit che hanno avuto origine dalla separazione avvenuta in Occidente non sono la semplice somma o un aggregato di cristiani, ma sono costituite da elementi sociali ecclesiali, che essi hanno conservato dal nostro patrimonio comune, e conferiscono loro un vero carattere ecclesiale (characterem vere ecclesialem). In queste comunit lunica chiesa di Cristo presente, sebbene imperfettamente, in un modo che alquanto simile alla sua presenza nelle chiese particolari e in esse la chiesa di Cristo in qualche modo operante attraverso i mezzi dei loro elementi ecclesiali (AS II/2, 335).

Recentemente la Congregazione per la dottrina della fede nella Dichiarazione Dominus Iesus, n. 17 ha cos riassunto linsegnamento della Chiesa cattolica romana sullimportante tema:
Esiste quindi ununica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Succe ssore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari. Perci anche in queste Chiese presente e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa cattolica, in quanto non accettano la dottrina cattolica del Primato che, secondo il volere di Dio, il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa. Invece le comunit ecclesiali che non hanno conservato lEpiscopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucarist ico, non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunit sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perci, sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa. Il Battesimo infatti di per s tende al completo sviluppo della vita in Cristo mediante lintegra pr ofessione di fede, lEucaristia e la piena comunione nella Chiesa161.

Ag) La via di Cristo e della Chiesa Il terzo capoverso del n. 8 accoglie una tematica invocata da un folto gruppo di padri: quella della chiesa dei poveri; o della povert della chiesa e nella chiesa. Il tema qui solo accennato; in seguito sar sviluppato dalle importanti Conferenze del CELAM a Medellin (1968) e a Puebla (1979)162. Un a fortiori domina la riflessione: se Cristo, in cui lumano non fu sfiorato dallombra del peccato, ha battuto la via dellumilt e della povert, a maggior ragione deve batterla la chiesa, che resta ancora dentro una storia di peccato. Ecco perch la chiesa santa ma sempre da purificare. Da ultimo, il capitolo si conclude con un richiamo allescatologia: la Chiesa in cammino, pellegrina tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio (AG., De Civ. Dei, XVIII, 51, 2), protesa ad una pienezza che resta sempre pi in l, pi in avanti delle sue realizzazioni storiche.

161

Cfr. per le importanti osservazioni di J. WICKS, La signification des Communauts ecclsiales de la Rforme , in Irnikon LXXIV (2001) 57-66; ID., De ecclesia. Risposte e domande, in Il Regno. Documenti LII (2007/15) 474-481. Cfr. pure F.A. SULLIVAN, Sussiste la Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica romana? , in R. LATOURELLE (ed.), Vaticano II: Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987) (Assisi Roma: Cittadella PUG, 1987) 811-824. 162 S. GALILEA, LAmerica Latina nelle conferenze di Medellin e Puebla. Un esempio di ricezione selettiva e creativa del concilio, in ALBERIGO - POTTMEYER (ed.), Il Vaticano II e la Chiesa, op. cit., 87-106; M. KEHL, La Chiesa, 78-81.

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B) Il popolo di Dio (cap. II) Il capitolo II della LG assume come idea-guida il concetto di popolo di Dio163. Descrivendo levoluzione dello schema della LG abbiamo visto che lintroduzione di un capitolo sul popolo di Dio nella struttura della Costituzione della chiesa era tuttaltro che ovvia e che, originariamente, questo concetto designava quei fedeli che non fanno parte della gerarchia164. Se questa accezione del concetto di popolo di Dio fosse stata accolta, si deve supporre che la categoria di corpo di Cristo sarebbe rimasta quella centrale nella descrizione dellessenza della chiesa (secondo lorientamento dellenciclica Mystici Corporis). La collocazione del capitolo sul popolo di Dio subito dopo quello sul mistero della chiesa e prima di quello sulla gerarchia modifica invece anche il senso della nozione di popolo di Dio che ora non indica pi coloro che non fanno parte della gerarchia, ma tutti i fedeli. Il concetto di popolo di Dio definisce la manifestazione storica e concreta del mistero della Chiesa. Anzi il Philips, osservando che il popolo di Dio non enumerato tra le immagini della chiesa nella sezione della LG ad esse dedicata (n. 6), conclude che lespressione Popolo di Dio non si pu applicare alla Chiesa come una similitudine, perch designa la sua stessa essenza. Non si pu dire: la Chiesa simile a un popolo di Dio come si direbbe: il Regno simile a un grano di senapa. Bisogna invece affermare: la Chiesa il popolo di Dio nella Nuova ed eterna Alleanza. Quindi non pi figure, ma la piena e totale realt165. Lasciando in sospeso il problema della capacit dellespressione Popolo di Dio di

163

Cos si esprime la Commissione Teologica Internazionale: Si converr facilmente che, senza il ricorso al paragone del corpo di Cristo applicato alla comunit dei discepoli di Ges, assolutamente impossibile cogliere la realt della Chiesa Tuttavia, bench ponga in giusto rilievo limmagine della Chiesa corpo di Cristo, il concilio d maggior r isalto a quella di popolo di Dio, non fosse altro che per il fatto che esso d il titolo al capitolo II della stessa costitu zione. Anzi, lespressione popolo di Dio ha finito per designare lecclesiologi a conciliare. Di fatto, possiamo asserire che si preferito popolo di Dio alle altre espressioni, cui il concilio ricorre per esprimere il medesimo mistero, quali co rpo di Cristo o tempio dello Spirito santo: Temi scelti di ecclesiologia, EV 9, 1683. Sul tema si vedano gli articoli bilancio di G. COLOMBO, Il popolo di Dio e il mistero della chiesa nellecclesiologia postconciliare, in Teologia 10 (1985) 97-169 e Riprendere il cammino: il Vaticano II e il post-concilio, in Il Regno. Attualit 50, n. 12 (2005) 418-425; e di G. MAZZILLO, Popolo di Dio: categoria teologica o metafora?, in Rassegna di Teologia 36 (1995) 553-587 e Chiesa come popolo di Dio o Chiesa comunione?, in A.T.I., La Chiesa e il Vaticano II, op. cit., 47-62. 164 significativo che Mazzillo suggerisca come una causa di natura storica, teologica e letteraria allo stesso tempo delloblio dellespressione popolo di Dio, non soltanto leccessiva materialit dellespressione a differenza di altre figure bibliche (corpo di Cristo, sposa di Cristo, casa o tempio di Dio e simili) che sembravano pi idonee a salvaguardare il carattere trascendente della chiesa stessa (secondo lipotesi di O. SEMMELROTH, La Chiesa nuovo Popolo di Dio, in G. BARANA (ed.), La Chiesa del Vaticano II (Firenze: Vallecchi, 1965) 439-452), ma soprattutto il cambiamento di prospettiva operato gi dai primi padri latini, a partire da Tertulliano. Con lui si era insinuata la prima concezione giuridico-legale della chiesa, del resto pi consona allanimo latino, e si era prodotto un declassamento del significato originario di laos tou Theou, che diventava plebs o turba fidelium, una sempre pi specifica denominazione di quanti non fossero stati insigniti di un ordo vero e proprio: G. MAZZILLO, op. cit., 559. Da questo momento appare in modo inequivocabile che altro lordine conferito ad alcuni nella chiesa, altra la plebs. 165 PHILIPS, op. cit., 99.

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designare lessenza stessa della Chiesa, rileviamo piuttosto il significato che le attribuisce la LG. Sotto questo profilo, il Popolo di Dio non altro, in realt, che la manifestazione terrestre del mistero della Chiesa166, alla quale coerentemente devessere riconosciuta unessenza sovrastorica167, non tanto nel senso di una concezione platonica, quanto pi nella direzione del simbolo reale. Cos che si pu dire che il Popolo di Dio esprime realmente la Chiesa, precisamente in quanto essa esprimibile storicamente; fermo restando, daltro lato, che lespressione storica della Chiesa non esaurisce la realt della Chiesa, la quale coerentemente vive oltre la storia168. Il concetto di popolo di Dio non rappresenta una scoperta originale del Vaticano II. Questo concetto era gi stato utilizzato dal teologo domenicano Mannes D. Koster (Ekklesiologie im Werden, Paderborn 1940). Koster polemizzando con leuforia suscitata dallidea di corpo di Cristo (soprattutto contro Karl Adam che aveva posto questa categoria al centro della sua opera Das Wesen des Katholizismus, Dsseldorf 1924), da buon tomista ricordava che esiste una differenza tra la metafora e lanalogia: parlare della chiesa come corpo di Cristo significa utilizzare una metafora, mentre la categoria di popolo di Dio pi appropriata come descrizione della natura della chiesa. La pubblicazione nel 1943 della Mystici Corporis aveva per rafforzato lidea di corpo di Cristo. Lidea di popolo di Dio tuttavia rimasta sullo sfondo come possibile alternativa per la descrizione della chiesa, soprattutto perch era difficile accettare la posizione esclusivista della MC che distingueva fra lincorporazione alla chiesa (solo per i cattolici mediante i tre vincoli) e lordinazione (anche per i battezzati acattolici); lo stesso CJC, infatti, affermava che il Battesimo introduce nella Chiesa di Cristo. Limmagine del corpo non consentiva alternative: o si membri o non lo si ; eppure nella realt cerano gradi intermedi, che il concetto di popolo di Dio poteva meglio ospitare. Ci sono altre tre componenti che spiegano la centralit che il Vaticano II ha attribuito al concetto di popolo di Dio. La prima la consapevolezza maturata dallesegesi che il concetto di corpo di Cristo non ha il medesimo senso organologico che gli era stato attribuito dalla Scuola di Tubinga e dalla teologia del XX secolo. La seconda componente la comprensione, derivata dal dialogo con la teologia evangelica, che la Chiesa non si identifica con Cristo; essa gli sta di fronte. Alcune speculazioni sul corpo di Cristo infatti, presentavano la Chiesa come la continuazione della Incarnazi one, identificando cos la Chiesa al Cristo. Con questa formula veniva attribuito ad ogni dire ed operare ministeriale della Chiesa una definitivit che faceva apparire ogni critica come un attacco a Cri166 167

Ibid., 120. Ibid., 128 168 COLOMBO, art. cit., 102-103.

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sto stesso, dimenticando di fatto lelemento umano nella Chiesa. Doveva essere chiaramente evidenziata la differenza cristologica: Cristo solo senza peccato; la Chiesa, invece, Chiesa di peccatori, che ha sempre bisogno di purificazione e di rinnovamento (LG 8). Cos lidea di riforma divenne un elemento decisivo del concetto di popolo di Dio. La terza componente il recupero della dimensione escatologica e quindi storico-salvifica della Chiesa: essa non ancora giunta alla sua meta; inoltre essa fa parte dellunica storia della salvezza, ci che la congiunge con Israele. Seguendo la sintesi di J. Ratzinger, gli elementi rilevanti del concetto di Popolo di Dio, che il concilio ha voluto insegnare, sono pertanto: il carattere storico della Chiesa, lunit della storia di Dio con gli uomini, lunit interna del popolo di Dio al di l anche delle frontiere degli stati di vita s acramentali, la provvisoriet e frammentariet della Chiesa sempre bisognosa di rinnovamento e infine anche la dimensione ecumenica, cio le diverse maniere nelle quali congiunzione e ordinazione alla Chiesa sono possibili e reali, anche al di l dei confini della Chiesa cattolica169. Il capitolo II pu essere diviso in due parti: la prima (nn. 9-12) affronta lorigine, la natura e la vita del nuovo Popolo di Dio che reso partecipe del compito sacerdotale, profetico e regale di Cristo; la seconda (nn. 13-17), partendo dalla cattolicit della chiesa, sviluppa il discorso sui criteri di appartenenza alla chiesa e sulla relazione che esiste con i battezzati, con i credenti, con i non credenti. Il significato della nozione di popolo di Dio illustrato allinizio del capitolo II, al n. 9, che per certi versi paragonabile alla sezione iniziale del cap. I. Qui si suggerisce che il senso della Chiesa nel disegno di Dio articola 1) la possibilit universale della relazione buona e quindi salvifica con Dio (la volont salvifica universale: cfr. 1Tim 2,3-6); 2) la dimensione storica e quindi sociale, perch umana, di questa salvezza; 3) lelezione particolare di un popolo che nella sua vicenda di fede vissuta (riconoscimento e servizio) consente a Dio di rivelarsi come colui che per luomo; 4) la realizzazione effettiva dellautocomunicazione salvifica di Dio nella concreta storia di fede del popolo di Israele come preparazione e figura della rivelazione salvifica definitiva di Cristo; 5) il quale nella sua morte allorigine di quel dono dello Spirito che realizza effettivamente la possibilit universale della salvezza (Gal 3,26) superando linevitabile ambiguit e violenza presenti nellelezione di Israele (ad es. Is 43,3). Per schematizzare ulteriormente possiamo suggerire che in questo testo troviamo articolate le tre coordinate della storia della salvezza: la singolarit di Ges, luniversalit della fede e della salvezza e la particolarit della testimonianza cristiana effettiva.

169

J. RATZINGER, Lecclesiologia del Vaticano II, in ID., Chiesa, ecumenismo e politica (Cinisello Balsamo Milano: Edizioni Paoline, 1987) 22.

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Il piano di Dio per lumanit universale; esso assume quindi anche la dimensione sociale delluomo: Dio non intende salvare gli uomini come singoli, indipendentemente dal legame che sussiste tra di loro, ma vuole fare di loro un popolo. Certamente la decisione di fede individuale e ognuno libero di fronte a Dio e questo implica che Dio non limiti la comunicazione della sua salvezza a determinati periodi della storia oppure la condizioni allappartenenza a un popolo. Tuttavia lagire salvifico di Dio nella storia si concentra nella formazione di una comunit di salvezza che raggiunger la sua pienezza nel compimento escatologico quando comprender tutta lumanit. Questa volont divina ha portato prima allelezione di Israele e poi alla costituzione di un popolo formato da ebrei e pagani. Lelemento comune tra lantico e il nuovo popolo di Dio lidea di patto: dove si stabilisce unalleanza con Dio sorge il popolo di Dio, dove si stabilisce il nuovo patto, sorge il nuovo popolo di Dio. Poich Cristo il fondatore della nuova alleanza egli anche il capo del nuovo popolo. In modo sintetico in LG 9 si descrivono le caratteristiche costitutive di questo popolo di Dio: la libert dei figli di Dio, il comandamento dellamore come sua legge, lorientamento al regno di Dio. Il popolo di Dio rappresenta perci nella storia un germe validissimo di unit, di speranza e di salvezza; anche se spesso solo un piccolo gregge, assunto da Cristo per essere strumento della redenzione di tutti e ha quindi un essenziale orientamento universale. Ba) Gli aspetti emergenti da questa espressione identificativa 1) Il Concilio attraverso la categoria del Popolo di Dio ha voluto intenzionalmente esprimere e mettere in risalto lindole storica della Chiesa, la sua dimensione di Chiesa pellegrina, che vive nella tensione tra ci che essa gi e ci che non ancora, tra le promesse di Dio che gi si sono verificate in essa e il compimento di tali promesse che avverr solo alla fine dei tempi.
Come gi Israele secondo la carne in cammino nel deserto veniva chiamato Chiesa di Dio (cfr. 2Esd 13,1; Nm 20,4; Dt 23,1ss), cos pure il nuovo Israele che avanza nel tempo presente alla ricerca della citt futura e stabile (cfr. Eb 13,14), si chiama Chiesa di Cristo (cfr. Mt 16,18) (LG 9).

Ma un popolo che vive e agisce nella storia, ha una propria storia; ci significa che il suo cammino condizionato da fattori esterni; il suo sviluppo non rettilineo, ha momenti di splendore e di successo e momenti di crisi dolorose e di eclissi. Se quindi la Chiesa un popolo, la sua vita e il suo sviluppo sono soggetti alle vicende della storia e sono condizionati dalla forza delle cose e dalla volont degli uomini; perci, il volto della Chiesa avr di volta in volta limpronta del tempo in cui v ive e delle civilt con cui viene in contatto. Se la Chiesa un popolo in cammino verso la patria celeste, dove trover il suo compimento e la sua perfezione, essa esposta alle leggi della provvisoriet e dellimperfezione; anchessa, perci, soggetta a perpetuo rinnovamento (LG 48; UR 6). 296

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Un invito ad approfondire proprio questo aspetto ci viene da G. Colombo, secondo cui ci che ha indotto il Concilio a presentare la Chiesa come nuovo Popolo di Dio fa riferimento a una serie di esigenze legate alla considerazione della Chiesa come soggetto storico. Ci che in questa prospettiva viene evidenziato come importante non lunit dellaspetto visibile della Chiesa con la realt invisibile del mistero (verit gi acquisita prima del Concilio); non neppure la questione se la Chiesa in quanto soggetto sia da intendere come Chiesa universale o come Chiesa locale; bens la Chiesa come soggetto capace di fare storia, in quanto possiede la coscienza di essere Popolo di Dio. Non, dunque, la Chiesa in quanto visibile, neppure la Chiesa in quanto soggetto, ma la Chiesa in quanto soggetto storico sembra essere il punto di polarizzazione della ecclesiologia conciliare del Popolo di Dio170. Anche lecclesiologia della societas perfecta permetteva lidentificazione della Chiesa come soggetto storico. Ma tale identificazione avveniva sul presupposto che mistero e storia si escludessero almeno in partenza e, pertanto, lidentificazione non aveva come punto di riferimento il mistero, bens la societ in quanto tale, particolarmente lo Stato come analogatum princeps. La LG, invece, intende identificare il soggetto storico a partire dal mistero della Chiesa, nella presupposizione che non solo i termini non si escludono, ma che a partire dallAntico Testamento e compiutamente in Cristo, mistero e storia sono coimplicati. Cristo mistero in quanto soggetto storico, ed soggetto storico in quanto mistero171. Pertanto Colombo pu concludere che:
la questione dellidentit della Chiesa si risolve, da un lato nel suo riferimento intrinseco a Ges Cristo, e conseguentemente dallaltro nella rilevazione del soggetto storico che lo realizza. Pr opriamente la nozione di mistero intende esprimere i due aspetti, entrambi costitutivi dellidentit della Chiesa, cio il fondamentale e fondante riferimento a Ges Cristo e il soggetto storico der ivato da questo riferimento. Conseguentemente, acquisito che la Chiesa in s costituita dalla sua intrinseca derivazione da Ges Cristo, col quale mantiene la relazione permanente e ind isgiungibile, la ricerca sulla identit della Chiesa si puntualizza e si risolve nella determinazione del soggetto storico e quindi delle sue caratteristiche proprie nel quale la derivazione/relazione da Ges Cristo si realizza172.

Quanto affermato mette quindi in luce limportanza del genitivo di Dio o di Cristo e dellaggettivo nuovo nellespressione nuovo Popolo di Dio. La Chiesa il nuovo Popolo di Dio non solo nel senso che qui vi si trovano delle strutture che non esistevano nel popolo di Israele. Le strutture permanenti della Chiesa (gerarchia, sacramenti, carismi, ministeri, parola di Dio), pur essendo visibili e in parte
170 171

COLOMBO, art. cit., 159-168. COLOMBO, art. cit., 161. Gi O. Semmelroth lo aveva fatto notare: Ci che si deve dire sulla realt di popolo, lo si noti bene, riguarda sempre anche il suo rapporto con Dio, anzi da esso riceve la sua realizzazione e il suo senso determinante. E, al contrario, ci che risulta dal suo rapporto con Dio costituisce anche il segno distintivo del popolo stesso con tutte le sue caratteristiche: ID., La Chiesa nuovo Popolo di Dio, in G. BARAUNA, La Chiesa del Vaticano II, 12. 172 COLOMBO, art. cit., 148.

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soggette ai mutamenti storici, non sono sufficienti considerate in s e per s a designare le caratteristiche del nuovo Popolo di Dio in quanto soggetto storico. La storicit della Chiesa si pone a un livello pi profondo. Se, infatti, vero che la Chiesa pu considerarsi come la fase definitiva dellAlleanza che Dio ha stretto col suo popolo, non meno vero che la Chiesa continua ad essere pellegrina nella storia, come il popolo eletto nel deserto, alla ricerca della citt eterna. Questo significa che il mistero della Chiesa, che Cristo in quanto compimento delle promesse, non esclude la storia come movimento verso lescatologia e il relativo senso di incompiutezza. Nel medesimo solco il documento della Commissione Teologica Internazionale che commemora i venti anni della fine del Concilio (1985), pur non trascurando gli altri temi e senza prendere posizioni precise, dedica ampio spazio prima di ogni altro tema a quello del Popolo di Dio e alla spiegazione della Chiesa come soggetto storico173. Lespressione Popolo di Dio secondo il documento mira a sottolineare il carattere sia di mistero sia di soggetto storico che in ogni circostanza la Chiesa attualizza e realizza in modo indissociabile. Il carattere di mistero designa la Chiesa in quanto procede dalla Trinit, mentre quello di soggetto storico le si addice in quanto essa agisce nella storia e contribuisce ad orientarla. [] Cosicch il mistero costituisce il soggetto st orico e il soggetto storico rivela il mistero (n. 3.1). Pi propriamente: Ci che caratterizza fondamentalmente questo popolo e che lo distingue da ogni altro popolo il fatto di vivere ponendo in esercizio la memoria e insieme lattesa di Ges Cristo, dalle quali esso riceve unidentit storica, che con la sua stessa struttura lo preserva in qualsiasi circostanza dalla dispersione e dallanonimato e apprende ci che gli altri popoli non sanno n mai potranno sapere sul significato dellesistenza e della storia degli uomini (n. 3.2). Ne deriva la missione come azione specifica e come fine storico proprio del Popolo di Dio: Non si tratta di unazione tecnica, artistica o sociale, quanto piuttosto di un confronto delloperare umano in ogni sua forma, con la speranza cristiana, o, per conservare il nostro vocabolario, con le esigenze della memoria e dellattesa di Ges Cristo (n. 3.4). Il nuovo Popolo di Dio non si contraddistingue quindi, per un modo di esistenza o una missione che dovrebbe sostituirsi a unesistenza e a progetti umani gi preesistenti. Al contrario, la memoria e lattesa di Ges Cristo convertiranno o trasformeranno dallinterno il modo di esistere e i progetti gi vissuti in un gruppo di uomini. Si potrebbe affermare al riguardo che la memoria e lattesa di Ges Cristo, di cui vive il nuovo popolo di Dio, costituiscono come lelemento formale (nel senso scolastico del termine) che struttura lesistenza concreta degli uomini. Questa, che come la materia (sempre in

173

COMMISSIONE TEOLOGICA I

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ch lo sono sempre stati. Da qui deriva anche il carattere popolare e antielitario della Chiesa174. 3) In terzo luogo, limmagine di popolo mette in rilievo la dimensione comunitaria della salvezza. Lindividuo nasce in un popolo, ne eredita la lingua e le tradizioni e ne porta i caratteri culturali e spirituali in modo indelebile. Perci affermare che la Chiesa il popolo di Dio equivale a dire che il cristiano si salva nella Chiesa e attraverso essa; egli, cio, nasce alla vita della grazia nella Chiesa, che col battesimo lo genera e si fa garante della sua educazione; cresce e si sviluppa spiritualmente nutrendosi dei sacramenti e delle ricchezze spirituali della Chiesa; nella morte da essa accompagnato e presentato a Dio. Cos, la Chiesa costituisce per il cristiano lambito della sua vita spirituale. 4) Infine, limmagine di popolo applicata alla Chiesa fa emergere la sua organicit. Un popolo un tutto organico, in cui nello stesso tempo c unit e diversit. Il popolo, infatti, uno nel senso che tutti i cittadini sono eguali in dignit, hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, ma nello stesso tempo diverso nel senso che non tutti fanno le stesse cose, hanno le stesse mansioni e collaborano alla stessa maniera al bene comune. Se la Chiesa un popolo, tutti i cristiani saranno eguali in dignit, diritti e doveri; sotto questo aspetto, la Chiesa sar una comunit fraterna, meglio ancora, una comunione. Nello stesso tempo, per, dovr esserci nella Chiesa una diversit, sia perch tutti non hanno la medesima funzione, sia perch alcuni saranno investiti di autorit sacra (= di origine sacramentale) sugli altri; sotto questo aspetto la Chiesa sar una comunit gerarchicamente strutturata. chiaro per che il Concilio ha inteso applicare limmagine di popolo alla Chiesa, nel senso che il termine popolo ha nella Scrittura, non nel senso che esso ha assunto nelle costituzioni moderne, profondamente segnate dalla concezione democratica. Per noi, infatti, popolo sinonimo di sovranit popolare, in quanto la sovranit risiede in esso ed da esso delegata agli organi di governo. Noi, per, non possiamo applicare il concetto moderno di popolo alla Chiesa. Infatti, lautorit nella Chiesa non risiede nel popolo, e non emana dalla base, ma risiede in Cristo ed emana da lui; esercitata per il popolo e a suo servizio, ma non pu essere controllata dal popolo175.
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In tal senso osserva Dianich: Una comunit di soli adulti non pu essere detta popolo, n si pu presentare sotto forma di popolo unaggregazione elitaria, alla quale si aderisce, solo per una decisione di fede adulta, perfettamente l ibera, personale e matura. In una chiesa siffatta non troverebbe posto non solo il bambino, ma neanche la personalit debole o immatura, lhandicappato mentale, il credente dubbioso o scarsamente impegnato. Ne potrebbe essere espulso non solo leretico, ma anche il peccatore, o semplicemente colui che non condivide il particolare stile di vita della sua comunit. [] Solo sottolineando lassoluta nudit del battesimo e della pi semplice forma di professione di fede [] come condizioni essenziali di appartenenza, si apre a porta alla possibile esistenza della chiesa in forma di popolo. E cos si raggiunge ancora quellindicazione semantica che vede in popolo un termine dalla forte valenza antielitaria: S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta (Cinisello Balsamo Milano: Edizioni Paoline, 1993) 246-247. 175 J. RATZINGER, Lecclesiologia del Vaticano II, art. cit., 25-32, lamenta lenfasi post-conciliare apposta allespressione popolo di Dio, che sarebbe viziata da due tendenze fondamentali: il riduzionismo che manti ene

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Bb) Il popolo di Dio sacerdotale, profetico, cattolico e missionario Passando a trattare dei caratteri del popolo di Dio, il Concilio ne ricorda quattro: il carattere sacerdotale, il carattere profetico, il carattere cattolico, il carattere missionario. 1) Il nuovo popolo di Dio un popolo sacerdotale. LG 10 illustra il significato del sacerdozio comune dei battezzati riferendosi ai testi biblici (Ap 1,6; 5,9-10; 1Pt 2,4-10; Rm 12,1) che descrivono la condizione dei battezzati servendosi di categorie sacerdotali. Questi sono i compiti sacerdotali del popolo di Dio: preghiera, lode di Dio (At 2,42-47), la vita dei cristiani come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rm 12,1), la testimonianza resa a Cristo di fronte a coloro che chiedono conto della nostra fede (1Pt 3,15). Il NT non utilizza la categoria di sacerdozio per descrivere i ministeri ecclesiali, ma solo come categoria soteriologica per indicare la nuova situazione salvifica dei credenti in Cristo (comprensibile quasi solo in un contesto giudaico) e per caratterizzare la vita dei cristiani come nuova attivit sacerdotale. Paolo in Rm 12,1ss. presenta la vita e lannuncio del vangelo dei cristiani come la loro logik latreia (culto, adorazione di Dio spirituale). Laffermazione che tutta la chiesa partecipa del sacerdozio di Cristo una novit rilevante nellinsegnamento magisteriale. Il Concilio ha chiuso su questo punto lera della Controriforma. Infatti, a motivo della negazione del sacerdozio ministeriale, la teologia cattolica, nella controversia con i protestanti, per meglio difendere il sacerdozio ministeriale aveva lasciato in ombra il sacerdozio comune dei fedeli, esaltato invece dai protestanti come unica forma di sacerdozio cristiano. Il Concilio di Trento (sess. XXIII, cap. IV) aveva affermato che sbagliano coloro che affermano che tutti i cristiani, senza distinzione, sarebbero sacerdoti del NT e che disporrebbero tutti dello stesso potere spirituale (DzH 1767). Tale affermazione si comprende nel contesto della polemica contro le posizioni della Riforma. Era avvenuto cos, che nella coscienza del comune del popolo cristiano il sacerdozio dei fedeli era quasi scomparso o era interpretato allinterno di una concezione che considerava quello ministeriale come lunico vero sacerdozio; se non di diritto, almeno di fatto. Il sup eramento della polemica ha permesso anche alla tradizione cattolica di rivalutare questa dottrina che ha il suo fondamento nel NT e al Concilio di riequilibrare la situazione. Anche se in realt, gi Pio XI nellenciclica Miserentissimus Redemptor (1928) e Pio XII, prima nellenciclica Mediator Dei (1947) e poi nellallocuzione Magnificate Dominum (1954), avevano parlato di questo sacerdozio, seppur tra virgolette. Indubbiamente, per, limportanza attribuita dal Concilio al sacerdozio comu-

dellecclesiologia conciliare solo questa categoria; la metamorfosi e lampliamento del suo significato nel senso di una sociologizzazione dellidea di Chiesa. Popolo apparirebbe ormai come un concetto da elaborare in linea socio -politica

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ne, da una parte, ha liberato la Chiesa dal clericalismo, cio dallassorbimento della vita e dellattivit cristiana nel sacerdozio ministeriale; dallaltra, ha dato impulso a una spiritualit laicale fondata sul sacerdozio comune. In particolare, questa dottrina ha portato alla nascita dei ministeri laicali, quali il lettorato e laccolitato, istituiti dalla Chiesa col motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15 agosto 1972); ha esteso ai laici la pratica un tempo riservata al clero e ai religiosi della Liturgia delle Ore; ha dato grande importanza alla preghiera dei fedeli nella celebrazione eucaristica, perch nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini (Institutio Generalis Missalis Romani, n. 45). In LG 11 si precisa il modo in cui i membri del popolo di Dio esercitano il proprio sacerdozio: lindole sacra e la struttura sacerdotale della comunit sacerdotale vengono attuate per mezzo dei sacramenti e delle virt. Si indicano cos i due ambiti fondamentali, i sacramenti (intesi qui come atti di culto) e la vita quotidiana, in cui il sacerdozio comune trova la sua realizzazione. In LG 10 per, mentre si riconosce la partecipazione di tutti i battezzati al sacerdozio di Cristo, si ribadisce anche che esiste una differenza tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio gerarchico. Il sacerdozio comune distinto rispetto al ministero gerarchico essentia et non gradu tantum. Ci significa che il sacerdozio ministeriale non pu essere considerato di rango pi elevato del sacerdozio comune, piuttosto una realt diversa, che si fonda sul sacerdozio comune e ha un riferimento ad esso perch entrambi sono partecipazione dellunico sacerdozio di Cristo. Congar ritiene con molti altri interpreti del Vaticano II che la formula utilizzata in LG 10 non sia del tutto soddisfacente; essa per pu essere interpretata correttamente: Se il sacerdozio ministeriale differisse da quello del battezzato per grado, farebbe di questo ministro un supercristiano. Ma il sacerdozio ministeriale si situa non nella linea dellontologia costitutiva del cristiano, ma in quella del ministero. una partecipazione funzionale, che comporta il suo fondamento ontologico, ma di una ontologia di funzione o di ministero176. Il sacerdozio ministeriale o gerarchico ha dunque una funzione specifica allinterno del popolo sacerdotale; il ministro ordinato con la potest sacra di cui investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio in nome di tutto il popolo; sono dunque lannuncio e lamministrazione dei sacramenti che costituiscono lessenza del ministero sacerdotale. Il testo prosegue, per, sottolineando il ruolo attivo (e non solo recettivo) dei fe-

e che veicola unidea di chiesa antigerarchica e antisacrale.

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deli nella celebrazione eucaristica nella quale essi esercitano il loro sacerdozio: i fedeli in virt del regale loro sacerdozio, concorrono alloblazione delleucaristia. 2) Il secondo carattere del popolo di Dio, messo in evidenza dal Concilio, quello profetico. Il popolo di Dio partecipe del compito profetico di Cristo e, in questo contesto, la LG parla del senso della fede e del consenso dei fedeli177. Nonostante limportanza del tema del sensus fidei, nei testi conciliari esso non viene definito. Lunico accenno a una definizione si trova nella relazione della Commissione Dottrinale che, commentando LG 12, afferma: il senso della fede come una facolt di tutta la chiesa, grazie alla quale essa nella sua fede riconosce la rivelazione tramandata, distinguendo tra il vero e il falso nelle questioni di fede, e contemporaneamente penetra in essa pi profondamente e pi pienamente lapplica nella vita (AS III/1, 199). Il senso della fede proprio dei singoli fedeli (bench in misura diversa, a seconda dei doni di grazia ricevuti e dellaccoglienz a pi o meno disponibile di tali doni) e del popolo di Dio nel suo insieme; su questo secondo aspetto che LG 12 concentra la sua attenzione, mettendolo in relazione con linfallibilit della chiesa:
La totalit dei fedeli, che hanno ricevuto lunzione dal Santo (cfr. 1Gv 2,20.27) non pu sbagliarsi nel credere e manifesta questa sua propriet particolare mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici esprime luniversale suo consenso in materia di fede e di morale.

La chiesa dunque, come totalit dei fedeli, che include ovviamente anche i pastori, infallibile nel credere; lorgano di questa sua propriet caratteristica, fondato sullunzione dello Spirito Santo, il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo di Dio. La manifestazione di questa caratteristica si ha nel consenso dei fedeli. Lespressione infallibilitas in credendo che ricorre, anche se non alla lettera (in credendo falli nequit) in LG 12, probabilmente ha richiamato in molti padri lidea assai diffusa al Vaticano I che il senso della fede e il consenso dei fedeli si riferiscano allaccoglienza della dottrina proclamata dal magistero, al quale soltanto spetta linfallibilit attiva (infallibilitas in docendo). A ben vedere per LG non ripropone questo schema che presuppone una distinzione rigida tra chiesa docente e chiesa discente, collocando la prima in posizione attiva e la seconda in posizione solo passiva. Lo dimostra levoluzione significativa avvenuta nel corso della redazione del testo, nei tre schemi della LG.

176

Y. CONGAR, Quelques problmes touchant les ministres, in NRTh 93 (1971) 790; Cfr. R. TONONI, Differenza di grado o di essenza? Un testo problematico del concilio Ecumenico Vaticano II, in Gli stati di vita del cristiano, Quaderni teologici del Seminario di Brescia 5 (Brescia: Morcelliana, 1995) 181-211. 177 Cfr. D. VITALI, Sensus fidelium. Una funzione ecclesiale di intelligenza della fede (Brescia: Morcelliana, 1993).

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1. Nel primo schema si affermava che il senso soprannaturale della fede fa s che i fedeli (qui ancora distinti dai pastori) accolgano con animo obbediente la dottrina proposta [dal magistero], rettamente la comprendano e pi profondamente la scrutino. Questa concezione puramente passiva e recettiva del senso della fede di fronte al magistero suscita per delle critiche che inducono a introdurre delle modificazioni. 2. Nel secondo schema si dice: Lo stesso senso della fede, suscitato dallo Spirito, sotto la sua assistenza, aderisce alla Parola di Dio scritta o trasmessa ed guidato e sorretto dal magistero, a cui i credenti rispondono attivamente percependo pi in profondit la verit della fede ed applicandola pi fedelmente alla vita. 3. Il testo definitivo, senza negare la relazione con il magistero (si veda lespressione sub ductu magisterii) accentua ancora di pi il riferimento diretto alla Parola di Dio e il carattere attivo del senso della fede. In virt di questo senso della fede infatti il popolo di Dio compie queste azioni: a) accoglie non la parola degli uomini, ma, qual in realt, la parola di Dio; b) aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi; c) con retto giudizio penetra in essa pi a fondo; d) pi pienamente lapplica alla vita.

Da queste affermazioni risulta che il senso della fede, cui si attribuisce una funzione conoscitiva, di giudizio e operativa, non suscitato dallo Spirito semplicemente perch il popolo di Dio presti il suo ossequio allinsegnamento del magistero; esso ha una certa connaturalit con la verit rivelata e trasmessa per cui in grado di distinguere il vero dal falso nelle questioni di fede, di penetrare nel deposito della rivelazione comprendendolo in modo pi approfondito e di applicarlo alla vita. Il consenso dei fedeli che manifesta il senso della fede di conseguenza non potr essere interpretato come pura recettivit nei confronti delle affermazioni magisteriali e la sua infallibilit non coincide con laccoglienza delle affermazioni infallibili del magistero. Questa posizione ci sembra suggerita anche da DV 8, in cui si afferma che la tradizione apostolica progredisce nella Chiesa in tre modi:
Questa tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella chiesa sotto lassistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la profonda intelligenza delle cose spirituali di cui fanno esperienza ( ex intima spiritualium rerum quam experiuntur intelligentia), sia con la predicazione di coloro che, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verit. La chiesa, in altre parole, nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verit divina, finch in essa giungano a compimento le parole di Dio.

Nonostante alcune difficolt di traduzione178, lintima spiritualium rerum quam experiuntur intelligentia corrisponde al sensus fidelium grazie a cui, si dice, cresce la stessa comprensione della tra-

178

Cfr. D. VITALI, Sensus fidelium, op. cit., 263-266. La traduzione letterale suonerebbe: la comprensione cresce mediante lintelligenza intima delle cose spirituali, la quale [intelligenza] (i credenti) sperimentano.

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dizione apostolica naturalmente non senza lapporto specifico della teologia e del magistero. Qual , allora, il rapporto tra il senso della fede/consenso dei fedeli e lautorit del magistero? Circa il senso della fede il primo schema definisce il rapporto con la formula authentico magisterio gubernatus; il secondo schema invece dice a Magisterio ducitur et sustentatur. Il testo finale, nonostante alcuni interventi avessero proposto di accentuare la dipendenza del senso della fede dal magistero, si esprime in termini pi sfumati: non infatti il senso della fede (che suscitato dallo Spirito) a dipendere direttamente dal magistero, ma piuttosto il popolo di Dio che sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma [] aderisce indefettibilmente alla fede, appunto in virt di quel senso della fede. Riguardo al modo in cui il consenso dei fedeli si costituisce, si possono rilevare due tendenze opposte emerse nel dibattito conciliare.
1. La prima quella espressa nel primo schema: il senso della fede del popolo cristiano in ultima analisi suscitato dallo Spirito Santo che, mentre assiste il magistero nel proporre la dottrina cattolica, lui stesso opera nei fedeli perch accolgano con animo obbediente la dottrina proposta, rettamente la comprendano e pi profondamente la scrutino. Dietro questa prospettiva sta lidea che il valore della chiesa dis cente dipende completamente dalla chiesa docente. Il senso della fede e il consenso dei fedeli si identificano quindi con laccoglienza obbediente dellinsegnamento magisteriale. In questa linea si distingue anche una infallibilit attiva che propria del magistero e una infallibilit passiva che propria della chiesa discente; la infallibilit del magistero (in docendo) causa dellinfallibilit del popolo di Dio (in credendo). la tesi sostenuta dal card. Ruffini, arcivescovo di Palermo (cfr. AS II/2, 629). 2. Altri padri invece sottolineavano il ruolo attivo del senso della fede del popolo di Dio nei confronti del magistero. In questa prospettiva il senso della fede non si riferisce solo allinsegnamento del magistero e il consenso dei fedeli non soltanto lacconsentire alle affermazioni magisteriali, ma espressione di un sentire comune dei fedeli (pastori compresi), che pu illuminare lo stesso magistero nellannuncio della f ede.

Contro la tesi di Ruffini un intervento molto documentato di M. De Keyzer ricorda che i pi grandi teologi postridentini (M. Cano, R. Bellarmino, G. de Valencia, F. Suarez, J. B. Gonet, Ch.-R. Billuart) procedono dallinfallibilit del popolo dei fedeli per giungere a quella della gerarchia, e non viceversa (Cfr. AS II/3, 441-443). Di fronte a queste diverse opinioni, tuttavia, LG 12 sembra non prendere posizione in maniera decisa: si limita ad affermare linfallibilit del popolo di Dio, che legata al sensus fidei e che si esprime nel consenso universale, senza precisare la relazione tra infallibilit del popolo di Dio e infallibilit del magistero, accontentandosi dellespressione abbastanza generica sub ductu magisterii.

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Il problema il riflesso di una questione ecclesiologica pi vasta, quella cio del rapporto tra chiesa e gerarchia e dellattribuzione alluna o allaltra della precedenza: la chiesa dipende dalla gerarchia nel senso che Cristo ha istituito semplicemente la gerarchia (chiamando i Dodici) perch questa desse origine alla chiesa (come sua causa efficiente), oppure la chiesa voluta direttamente da Cristo il quale poi fa sorgere al suo interno la gerarchia, a servizio del popolo di Dio? Nonostante qualche incertezza, la struttura complessiva della LG, con la collocazione del capitolo sul popolo di Dio prima di quello sulla gerarchia, non lascia dubbi circa la scelta operata tra questi due modelli ecclesiologici. Alla luce di questa impostazione ecclesiologica generale, si pu precisare anche il rapporto tra il senso della fede/consenso dei fedeli, da una parte, e il magistero dallaltra. Il senso della fede infatti un elemento che definisce la natura del popolo di Dio (appunto come popolo profetico) e, bench abbia un riferimento essenziale alla parola di Dio scritta e trasmessa e sia sottomesso alla guida del magistero della chiesa, non costituisce i fedeli semplicemente come destinatari puramente recettivi e totalmente passivi della testimonianza che il magistero rende alla parola di Dio. Si pu affermare sulla base della precedenza riconosciuta al popolo di Dio la dipendenza dellinfallibilit del magistero dallinfallibilit della chiesa? In caso di risposta positiva, come conc iliabile questo con laffermazione del Vaticano I secondo cui le definizioni del sommo pontefice s ono irreformabiles ex sese non autem ex consensu ecclesiae (DzH 3074)? In LG 25, nel contesto del discorso sul compito magisteriale del collegio episcopale e del papa si riprende la definizione dellinfallibilit del Vaticano I: Perci le sue [del Romano Pontefice] defin izioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa, perch esse sono pronunciate con lassistenza dello Spirito Santo, promessagli nel beato Pietro, per cui esse non abbisognano di alcuna approvazione di altri n ammettono appello alcuno ad altro giudizio. interessante la spiegazione che nella relazione della Commissione Dottrinale data del testo proposto: si dice che in esso viene presentata anzitutto la ragione formale dellinfallibilit di queste definizioni, cio lassistenza dello Spirito Santo, per indicare successivamente le due conseguenze che ne derivano: il fatto che non necessitano dellapprovazione successiva di altri e che non pu esserci appello contro di esse a unaltra istanza. Il fatto che si mantenga il termine irreformabiles e non si dica infallibiles indica che il senso dellespressione deve essere cercato sul piano giuridico (cfr. G. Philips, op. cit., 288); ci che si vuole escludere non il rapporto tra le definizioni pontificie e il consenso della chiesa o consenso dei fedeli, bens la necessit di una loro approvazione successiva. Per questo alcuni Padri suggerirono di correggere la formula e di dire et non ex consensu posteriori (vel ulteriori) Ecclesiae; la proposta fu per respinta perch si tratta di una citazione del Va-

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ticano I. Se il senso della formula giuridico, allora non sufficiente, anzi non opportuno, riferirsi ad essa per precisare dal punto di vista teologico il rapporto tra consenso dei fedeli e magistero. Questo rapporto si comprende meglio alla luce dellaffermazione che si legge in LG 25 secondo cui il sommo pontefice gode di quellinfallibilit di cui Cristo ha voluto provvedere la sua chiesa. Bench si escluda una derivazione dellinfallibilit del papa (e di quella del collegio episcopale) dal popolo di Dio, intesa come una specie di delega proveniente dalla base, linfallibilit del magistero non una infallibilit separata dal popolo di Dio. Propriamente parlando quindi lunica infallibil it della chiesa che trova espressione nel consenso dei fedeli, e nellesercizio dellautorit magisteriale (sia in forma personale da parte del papa, sia da parte del collegio). Questo significa che il magistero non pu definire che quella verit che gi presente nella fede della chiesa e di conseguenza che deve avvalersi dei mezzi adeguati al fine di poterla conoscere. In entrambi i passaggi si sottolinea con molta chiarezza che i membri del popolo di Dio hanno anzitutto una uguale dignit fondata su quello che definisce la loro identit cristiana, la quale deve tradursi anche operativamente (sacerdozio comune, senso della fede). Nel popolo di Dio poi il ministero ordinato assume un compito specifico di servizio al sacerdozio universale dei fedeli e di testimonianza autorevole della tradizione apostolica, senza che questo collochi i membri della gerarchia al di fuori del popolo di Dio (essi rimangono parte della comunit ecclesiale, anche quando per il loro ministero si pongono di fronte ad essa con lautorit di Ges Cristo). Le considerazioni fatte a proposito di LG 10-12 lasciano intravedere una caratteristica essenziale del popolo di Dio, cio il suo carattere strutturato, con la relazione fondamentale tra popolo di Dio e ministero ordinato. La tensione strutturale tra lelemento comunitario (uguaglianza di tutti i fedeli) e lelemento gerarchico non un elemento estraneo rispetto alla comprensione trinitaria della chiesa che la LG assume come punto di partenza. Al contrario questa tensione strutturale riconducibile alla tensione tra dimensione pneumatologica e cristologica della chiesa. C anzitutto unuguaglianza di tutti i credenti, donata dallo Spirito Santo. Questuguaglianza di tu tti nella fede operata dallo Spirito costituisce il fondamento di ogni ordinamento e struttura ecclesiale. Il Vaticano II ha infranto la dimenticanza dello Spirito della chiesa occidentale sempre rimproverata dalle chiese orientali e ha posto intenzionalmente prima della riflessione sulla struttura gerarchica della chiesa la fondamentale uguaglianza dei membri del popolo di Dio che deve determinare tutte le possibili differenziazioni allinterno di questa comunanza (LG 9-17). Questo non rappresenta affatto un cedimento alla moda del nostro tempo orientato in senso democratico, ma un ritorno alle autentiche fonti bibliche dellautocomprensione della chiesa. In tal modo lidea della chiesa come societas inaequalis fondamentalmente superata. La comune dignit di membri del popolo di 307

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Dio precede tutte le distinzioni di ministeri, carismi e servizi. Perci LG 32 pu dire:


Quantunque alcuni per volont di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige tra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignit e allazione comune a tutti i fedeli per ledificazione del corpo di Cristo.

Questa uguaglianza trova la sua espressione sul piano delle strutture istituzionali nella maggiore importanza che lelemento sinodale ha incominciato di nuovo ad avere a tutti i livelli della chiesa (ad es. nella forma dei consigli pastorali parrocchiali e diocesani, dei consigli presbiterali, dei sinodi diocesani, dei sinodi episcopali ecc.). Il fatto che dopo secoli di processi decisionali avvenuti in modo puramente gerarchico questi tentativi presentino ancora dei limiti non deve meravigliare. Le difficolt nel funzionamento di questi strumenti della comunione suscitano in alcuni cristiani la nostalgia per i tempi andati, quando lattribuzione alla gerarchia di una responsabilit esclusiva garantiva maggiore efficacia nellazione. La vita ecclesiale strutturata in questo modo era cos priva di complicazioni e pacifica (questa nostalgia si incontra spesso anche nei fedeli). Il prezzo pagato era per troppo alto: una comunit con questo atteggiamento passivo incoraggiava in molti membri una grande mancanza di autonomia nella fede e oggi non pi allaltezza delle sf ide della attuale situazione culturale che esige credenti sempre pi consapevoli e responsabili179. Daltra parte per non v alcun dubbio che lo stesso Spirito Santo che opera questa fondamentale uguaglianza dei fedeli, realizza in essi anche differenziazione e pluralit. Lo Spirito si manifesta quindi proprio nei molteplici carismi che dona ai membri del popolo di Dio (LG 12). Tra i diversi carismi il medesimo Spirito opera unulteriore distinzione che il Concilio esprime con la formula

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Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente (10 novembre 1994) ha sollecitato tutti i fedeli a ritornare sul tema conciliare della vocazione di tutti i membri del popolo di Dio, la fede dei quali dovrebbe essere approfondita in vista di una coscienza pi matura della loro responsabilit per la Chiesa e la sua missione: suscitare in tutti i fedeli il desiderio di santit e una disponibilit allazione dello Spirito per renderli pronti alla testimonianza ( TMA, 18, 42). La riscoperta dellazione dello Spirito nei diversi carismi, compiti e servizi, un frutto del Vaticano II, che dovrebbe emergere pi chiaramente nella vita della Chiesa. A prima vista questo potrebbe sembrare un approccio meramente pastorale, eppure si tratta, in realt, della questione centrale dellecclesiologia di comunione, spesso nascosta die tro la discussione sulle strutture, ossia la questione riguardante i soggetti della comunione. Se gi per la democrazia vale il principio che pu funzionare soltanto quando i cittadini assumono la propria responsabilit democratica, tanto pi nella Chiesa questo vale quando essa vuole realizzarsi come comunione, poich essa pu diventare una reale communio fidelium soltanto quando il maggior numero possibile dei suoi membri assume la propria vocazione cristiana, il carisma personale, diventando, cos, soggetti responsabili nella Chiesa e condividendone la missione. Questa assunzione esige molto pi della responsabilit democratica e dellattivit in ambiente politico. Essere un soggetto responsabile nella Chiesa richiede la correlativa disponibilit, dedizione e competenza, alla quale appartiene il conoscere e vivere la fede, lascoltare la voce dello Spirito e lamare la Chiesa in ci che la rende mistero. Se non si vive la comunione con Dio e quella con gli altri membri della Chiesa, nessuno pu essere soggetto della communio fidelium. La mera pretesa alla partecipazione senza la correlativa competenza o la disponibilit ad acquisire tale competenza, non opera communio alcuna, bens frustrazione e viene giustamente criticata come democraticismo. Il discorso sul popolo di Dio in quanto communio fidelium qualifica i suoi appartenenti come credenti che, dopo aver coscientemente accolto il loro battesimo, cercano anche di viverlo.

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doni gerarchici e carismatici (LG 4). Con il primo termine si intendono i servizi o ministeri che sono conferiti attraverso un atto sacramentale e che sono in modo particolare a servizio dellunit del popolo di Dio: i ministeri cio del vescovo, del presbitero e del diacono. Coloro che esercitano questo ministero sono al tempo stesso nella comunit e di fronte ad essa con lautorit che ricevono da Ges Cristo. Nel rapporto che essi stabiliscono con la loro comunit trova espressione la dipendenza di questultima dal dono di grazia che continuamente essa riceve da Cristo (essa non pu darsi la parola e i sacramenti, ma li riceve da Cristo mediante il ministro ordinato). Il discorso potrebbe continuare con lillustrazione del significato che il ministero ordinato assume nella strutt ura della chiesa, ma questo esigerebbe di sviluppare una teologia del ministero ordinato. Una delle novit del post-concilio stata inoltre la scoperta del carattere carismatico del popolo di Dio, in virt di quanto il Concilio aveva affermato a tale proposito:
Ma lo Spirito Santo non si limita a santificare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, a guidarlo e ad adornarlo di virt; ma distribuisce pure tra i fedeli di ogni ordine le sue grazie speciali, dispensando a ciascuno i propri doni come piace a lui ( 1Cor 12,11). Con essi egli rende i fedeli capaci e pronti ad assumersi responsabilit e uffici, utili al rinnovamento e al maggior sviluppo della Chiesa, secondo le parole: A ciascuno la manifestazione dello Spirito viene data per lutilit comune (1Cor 12,7). Questi carismi, dai pi straordinari ai pi semplici e ai pi largamente diffusi, devono essere accolti con gratitudine e consolazione, perch sono innanzitutto appropriati e utili alle necessit della Chiesa (LG 12).

In realt, la teologia dei carismi, sviluppata nei primi secoli sulla scia di quanto aveva detto Paolo, dopo la crisi montanista (II-III secolo), entr in una specie di letargo che sarebbe durato sino alle porte del Vaticano II. Il motivo era duplice: da un lato, si riteneva che i carismi fossero solo doni rari e straordinari, come fare profezie e compiere miracoli, e non interessassero dunque la vita cristiana ed ecclesiale, non sembrando che avessero molta importanza per la santificazione personale e per lo sviluppo della Chiesa; dallaltro, tali doni erano di difficile discernimento, non essendo facile distinguere in essi quello che veniva realmente dallo Spirito Santo e quello che veniva invece dalluomo o dal maligno; senza dire che spesso i carismatici, forti dei loro doni, veri o supposti, si ponevano in contrasto con la gerarchia. Tutto ci ebbe come effetto che la teologia dei carismi non fu debitamente sviluppata, o rimase circondata da un alone di sospetto. Il Vaticano II ha avuto il merito di ridare vigore al fattore carismatico della Chiesa, sia allargando il significato del termine carisma anche ai doni comuni dello Spirito Santo, sia affermando che ognuno nella Chiesa ha i propri doni che deve mettere a servizio della vita e dello sviluppo di essa. In tal modo, ha fatto scoprire a tutti i cristiani di poter partecipare attivamente secondo i propri carismi alla vita e allapostolato della Chiesa; anzi, di doverlo fare, poich lo Spirito distribuisce i suoi doni, non direttamente per il bene di colui che li riceve, ma ledificazione di tutta la Chiesa. 309

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3) Il carattere cattolico del popolo di Dio I nn. 13-17 della LG trattano del popolo di Dio in mezzo ai popoli. Partendo dalla nozione di cattolicit della chiesa (n. 13), si sviluppa il discorso sui criteri di appartenenza alla chiesa e sulla relazione che esiste con i battezzati, con i credenti, con i non credenti. Affermando con molto vigore il carattere universale del popolo di Dio, il Concilio ha inteso far crollare il doppio muro che gli ultimi secoli avevano costruito intorno alla Chiesa: il muro di separazione della Chiesa dal mondo, e il muro di separazione elevato tra la Chiesa cattolica da una parte e le Chiese cristiane e le religioni non cristiane dallaltra. Esso, infatti, ha affermato:
A questa cattolica unit del popolo di Dio che prefigura e promuove la pace universale, sono dunque chiamati tutti gli uomini; ad essa in vari modi appartengono, oppure ad essa sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, e sia infine tutti gli uomini che la grazia di Dio chiama alla salvezza (LG 13).

La Chiesa non dunque una fortezza assediata da un mondo ostile; anzi essa deve operare affinch la sua destinazione universale possa sempre pi risaltare nelle relazioni differenziate che intrattiene:
Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo popolo di Dio. Perci questo popolo, restando uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinch si compia il disegno della volont di Dio, che in principio cre la natura umana una, e decise di raccogliere alla fine in unit i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52) (LG 13).

Con tali parole, il Concilio ha aperto la via a due fenomeni, forse i pi caratteristici del postconcilio. In primo luogo, la fine delleurocentrismo ecclesiale, cio del modello europeo di Chiesa valido per tutti i popoli e a cui tutti i paesi dovevano adattarsi; per cui lunit della Chiesa era vista come uniformit non solo dogmatica e sacramentale, ma anche teologica, liturgica e disciplinare. In secondo luogo, lo sforzo di inculturazione del cristianesimo. Grazie al suo carattere cattolico, il popolo di Dio si colloca nel cuore del mondo e della storia, non certo per sete di dominio, bens per essere per tutti i popoli sacramento dunit con Dio e tra gli uomini e promotore di pace e di fraternit. Ad esso sono incorporati i fedeli cattolici:
Sono incorporati pienamente alla societ della Chiesa coloro che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano lintero ordinamento e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e dentro questo suo corpo visibile sono congiunti a Cristo mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione: organismo che Cristo dirige attraverso il sommo pontefice e i vescovi. Non si salva per, anche se incorporato alla Chiesa, colui che non persevera nella carit, e rimane nella Chiesa soltanto col corpo ma non col cuore. Tutti i figli della Chiesa ricordino che la loro privilegiata condizione non si ascrive ai loro meriti, ma ad una grazia speciale di Cristo; se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, anzich essere salvati, saranno invece giudicati pi severamente (LG 14).

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Ma a esso non sono estranei i non cattolici. Infatti, con coloro che sono battezzati e quindi insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano lunit di comunione sotto il romano pontefice, la Chiesa si sa congiunta per molteplici ragioni (LG 15); e riconosce anzi una certa vera congiunzione nello Spirito Santo, che anche in loro opera con la sua virt santificatrice mediante doni e grazie; alcuni poi di loro li ha fortificati fino alleffusione del sangue (ibid.). In modo ancora pi preciso il decreto Unitatis Redintegratio n. 3 insegna:
Coloro che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la chiesa cattolica. Non v dubbio che, per le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della chiesa, impedimenti non pochi, e talvolta pi gravi, si oppongono alla piena comunione ecclesiastica, al superamento dei quali tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perci sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore.

Sono cos poste le basi per lo sviluppo del movimento ecumenico e per la costituzione gi allinizio del Concilio per opera di papa Giovanni XXIII (Pentecoste 1960) del Segretariato per lUnione dei Cristiani (ora Pontificio Consiglio per la Promozione dellUnit dei cristiani). Anche i non cristiani in vari modi sono ordinati al popolo di Dio (LG 16), sia per i valori religiosi di cui sono portatori e che li rendono pi o meno vicini al cristianesimo, sia soprattutto perch sono inclusi anchessi nel disegno di salvezza che Dio ha realizzato in Ges Cristo e a cui tutti i popoli devono portare i propri doni. Del resto anche in essi agisce lo Spirito Santo:
Infatti coloro che ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa senza loro colpa, ma cercano sinceramente Dio, e sotto linflusso della grazia si sforzano di compiere fattivamente la volont di Dio conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza. Anche a coloro che senza colpa personale non sono ancora arrivati ad una conoscenza esplicita di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta, la provvidenza divina non rifiuta gli aiuti necessari alla salvezza. Infatti tutto ci che di buono e di vero si trova presso di loro, la Chiesa lo considera come una preparazione evangelica, come un dono concesso da colui che illumina ogni uomo, perch abbia finalmente la vita (LG 16).

Con queste affermazioni e le ulteriori precisazioni contenute nella dichiarazione Nostra Aetate si sono poste le basi per il dialogo con le religioni non cristiane, che ha trovato la sua attuazione nellistituzione da parte di Paolo VI (19 maggio 1964) del Segretariato per i Non Cristiani (ora Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso). 4) Dal fatto di essere sacramento universale di salvezza (LG 48), e quindi dal carattere di cattolicit, promana il carattere missionario del popolo di Dio. Certamente esso missionario per un chiaro mandato di Cristo: Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole (Mt 28,19); ma pi profon-

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damente, lo perch spinto dallo Spirito Santo a cooperare affinch sia eseguito il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio della salvezza per il mondo intero e ha fatto della Chiesa, in quanto sacramento di Cristo, il sacramento della salvezza per lumanit intera:
Predicando il Vangelo, la Chiesa dispone gli uditori alla fede e alla confessione della fede, li prepara al battesimo, li sottrae alla schiavit dellerrore e li incorpora a Cristo, perch mediante la c arit abbiano a crescere in lui fino alla pienezza. Con la sua attivit fa s che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e portato a compimento per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicit delluomo (LG 17).

La missione moderna, iniziata nel 1500 dopo la scoperta che intere popolazioni senza loro colpa non avevano sentito parlare del Vangelo, passata attraverso tre fasi: nella prima (sec. XVI e XVII) la missione affidata dalla Santa Sede ai regni cattolici di Spagna e Portogallo (solo il 6 gennaio 1622 Gregorio XV istituir la Sacra Congregazione de propaganda fide per la preparazione dei futuri missionari), i quali esportano la civilt cristiana (di cui elemento caratteristico il cristian esimo) nei paesi di conquista, per salvare le anime dei singoli infedeli mediante il battesimo che li incorpora alla Chiesa (occidentale e latina) e li strappa alla civitas diaboli (le culture indigene, da distruggere perch idolatriche); nella seconda fase (dal 1850 fino alla seconda guerra mondiale), col venire meno delle potenze cattoliche e della cristianit, la missione non pi intesa come espansione di civilt, bens come compito specificamente religioso condotto non solo da specialisti (gli ordini religiosi) ma dal popolo di Dio sotto la guida dei suoi pastori (nascono istituti per la formazione di preti diocesani, ad es. il PIME; sorgono congregazioni missionarie femminili; grande il coinvolgimento dei laici a mezzo stampa; nascono anche le scuole di missiologia ad es. di Mnster e di Lovanio che teorizzano che il fine della missione non la salus animarum, ma la plantatio ecclesiae dove la Chiesa non c); la terza fase segnata da alcuni fenomeni importanti come la decolonizzazione e laccesso delle giovani nazioni allindipendenza, la scristianizzazione delle nazioni di antica evangelizzazione: ne segue, in primo luogo, che la missione non riguarda pi solo i paesi di missione, ma una dinamica essenziale di tutta la Chiesa nel suo servizio al Regno di Dio, e in secondo luogo emerge in tutta la sua rilevanza la sfida dellinculturazione del Vangelo e la sua relazione alla promozione umana. Il Vaticano II ha promulgato in merito limportante Decreto sullattivit missionaria della chiesa Ad gentes. Se vero che i membri della Commissione non hanno mai saputo decidersi fra una concezione territoriale e giuridica della missione la missione riguarda gli altri territori , e una concezione teologica della missione la missione collocarsi nel solco della missione di Cristo, nel solco del venire del Figlio dal Padre allumanit , daltra parte riconosciamo che il primo 312

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capitolo di Ad gentes fa sua una concezione cristologica, trinitaria, pneumatologica, escatologica della missione: la missione il movimento di amore che da Dio scende verso gli uomini. Proseguendo questa traiettoria lEvangelii Nuntiandi (8 XII 1975) di Paolo VI e la Redemptoris Missio (7 XII 1990) di Giovanni Paolo II hanno affrontato la necessit di una revisione dei metodi missionari e di una nuova visione dellazione missionaria, che articoli il compito unitario della missione affidato alla chiesa e le quattro dinamiche della sua realizzazione effettiva (cfr. RM cap. V). 1) Lannuncio, che innanzitutto la messa in atto di tutte quelle mediazioni la Parola, il Sacramento, uno stile di vita etico misurato sulla dedizione di Ges attraverso cui il Cristo costituisce le persone come suoi discepoli. 2) Il dialogo, che il modo in cui lannuncio va realizzato, perch ci conforma allo stile dialogico della rivelazione cristiana, in cui Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con s (DV 2). Il dialogo quindi non giustifica di diritto il relativismo religioso, in base al quale tutte le religioni o chiese sarebbero uguali o almeno complementari. Ci significherebbe minare o almeno gettare unombra di dubbio o di insicurezza sulla convinzione di fede che la rivelazione cristiana e il mistero di Ges Cristo e della Chiesa hanno un carattere di verit assoluta e di universalit salvifica (Congregazione per la Dottrina della fede, Dominus Iesus 4). Daltra parte, il dialogo non semplicemente un espediente tattico con cui perseguire in modo pi subdolo lopera di proselitismo. Ecco perch, nello stile del Dio di Ges Cristo, anche la Chiesa, rivolgendosi a tutti gli uomini in un atteggiamento di comprensione e in un rapporto di conoscenza reciproca e di mutuo arricchimento, nellobbedienza alla verit e nel rispetto della libert (Dominus Iesus 2), testimonia quel Vangelo che ad essa stato affidato e di cui deve vivere e rispondere. 3) Linculturazione. Secondo Lumen Gentium n. 13 la missione della Chiesa deve ricondurre a Cristo le ricchezze di tutti i popoli e in modo specifico la loro cultura. Linculturazione quindi il modo in cui il Vangelo si incarna nelle situazioni di un popolo per aprirle alla verit di Cristo: tra inculturazione e incarnazione si scorge perci una non debole analogia. 4) La liberazione. Il vangelo vangelo di liberazione. Non si pu annunciare il vangelo senza confrontarsi anche ai temi della liberazione delluomo, di tutto luomo: cfr. Giacomo 2,15-16. Non c quindi evangelizzazione senza promozione umana (Evangelii nuntiandi, 9. 31).

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2.8. Le questioni ecclesiologiche nel periodo postconciliare 2.8.1. Fattori di contrasto nellecclesiologia attuale raro che a un Concilio non segua una grande confusione (Lettera a Mr. ONeill Daunt, 7 VIII 1870). Questa affermazione del cardinale Newman al termine del Vaticano I risulta appropriata anche per il Vaticano II sia nel campo della riforma strutturale della Chiesa che nel rapporto con leredit dottrinale del Concilio, centrata sulla teologia della Chiesa. Nonostante ci, la confusione e, in alcuni ambienti, le crisi che hanno poi condizionato lo sviluppo dellecclesiologia postconciliare, sia nel metodo che nel contenuto, non si devono attribuire superficialmente al Concilio e alla dottrina ecclesiologica dei suoi decreti, bench questa abbia in s alcune lacune ed anomalie rilevanti che hanno motivato posizioni contrastanti sulla sua interpretazione. Non estranei a queste divergenze risultano alcuni fattori esterni ed interni alla dottrina ecclesiologica del Vaticano II. Negli ultimi cinquantanni si sono verificate, nella societ e nelle Chiese, trasformazioni tali da creare seri ostacoli per la trasmissione del messaggio cristiano (soprattutto cos come si era formato e strutturato nellambiente del pre-Concilio): lespansione economica e scientifica ha seguito un ritmo vertiginoso; i modelli classici di societ sono entrati in crisi; vaste aree del Terzo Mondo si sono sollevate contro ogni forma di neocolonialismo, mettendo in discussione la superiorit del modello occidentale; nuovi fermenti culturali, come lemancipazione della donna, il movimento ecologista, la crisi progressiva di ogni sistema totalitario, si sono affacciati prepotentemente sulla scena chiedendo una presa di posizione della Chiesa. Allinterno questa ha dovuto rispondere alle esigenze di una maggiore partecipazione di tutti i suoi membri nella elaborazione e realizzazione delle decisioni, alla necessit di instaurare un dialogo fecondo con le altre Chiese e religioni, e (soprattutto nella Chiesa del Terzo Mondo) alla sfida della povert. La confusione ecclesiologica che si diffusa dopo il Vaticano II si radica nellindole stessa della dottrina conciliare, che non vuole, solitamente, prendere le difese di una sola corrente teologica, ma mira ad ottenere il massimo del consenso possibile, comportando di conseguenza delle concessioni da parte di tutti: il testo conciliare risulta cos un mosaico di incisi, di distinguo, di precisazioni e attenuazioni. Inoltre il Vaticano II non ha voluto sciogliere in maniera definitiva alcuna questione oggetto di discussione teologica perseguendo un orientamento eminentemente pastorale. Avendo rinunciato a emettere definizioni dogmatiche vincolanti, il Concilio ha voluto perseguire un quadruplice obiettivo: precisare con maggiore esattezza la coscienza della Chiesa; perseguire il rinnovamento autentico della Chiesa; ristabilire lunit fra tutti i cristiani; intensificare il dialogo della Chiesa con gli uomini della nostra epoca, tendendo una mano verso il mondo contemporaneo. Infi314

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ne la Chiesa post-conciliare ha concentrato tutte le sue energie nella riforma delle sue istituzioni sia a livello universale che locale (per esempio il riordino delle Conferenze Episcopali nazionali, il sinodo dei vescovi, la riforma della Curia, la creazione di nuovi segretariati, la creazione di strutture di partecipazione a livello diocesano e parrocchiale come i consigli presbiterali e pastorali). Circa i problemi sollevati da questo rinnovamento, pastori e teologi non hanno sempre trovato soluzioni in grado non solo di prevenire, ma a volte di seguire il ritmo vertiginoso con cui sono sorti conflitti nei diversi aspetti della vita ecclesiale. Lecclesiologia in questi cinquantanni stata sfidata da nuovi problemi ai quali ha dovuto dare una nuova risposta rimanendo fedele alle opzioni ecclesiologiche di metodo e di contenuto adottate dal Vaticano II. 2.8.2. Impostazione metodologica del Vaticano II Le opzioni metodologiche del Vaticano II fatte proprie dalla ecclesiologia post-conciliare sono: 1) Il ritorno alle fonti della teologia, cio alla parola di Dio viva nella Chiesa e trasmessa vitalmente con laiuto dello Spirito Santo nella dottrina dei Padri, dei Concili, del magistero ecclesiastico e nella testimonianza della liturgia e della vita cristiana (cfr. Dei Verbum e Sacrosanctum Concilium). 2) Il punto di partenza della riflessione ecclesiologica costituito dal mistero stesso della Chiesa (capitolo I della Lumen Gentium) e non pi la tematica socio-giuridica dellecclesiologia apologetica pre-conciliare. Si sviluppa cos una tematica autenticamente teologica che presenta la Chiesa come oggetto di fede il cui studio deve essere ispirato dalla fede. 3) Lindirizzo storico-salvifico. La Chiesa appare come fructum salutis o creazione di Dio Padre mediante lopera redentrice del Figlio nello Spirito Santo e, allo stesso tempo, come medium salutis attraverso cui Dio comunica la sua grazia alluomo. 4) La priorit nellordine della finalit del popolo di Dio profetico e sacerdotale nella sua totalit (Lumen Gentium II e V) rispetto alle varie categorie di persone che lo compongono (III, IV e VI). 5) La consapevolezza della universalit della Chiesa (non pi Chiesa occidentale, ma Chiesa veramente mondiale: Rahner), con la necessit di considerare tutte le legittime e feconde diversit senza tuttavia tradire lunit della fede (il pluralismo sotto tutte le sue espressioni e ambiti possibili). Questi cambiamenti di ordine metodologico introdotti dal Vaticano II si sono per rivelati insufficienti nella ecclesiologia post-conciliare. Il confronto tra lecclesiologia socio-giuridica, apologetica prevalente dalla Controriforma in poi e la nuova ecclesiologia, radicata nella Scrittura e nei Padri, storica e di comunione, che ha finito per imporsi nel Concilio, non ha permesso di arrivare alla sintesi desiderata, cos che diversi teologi parlano di una giustapposizione delle due tendenze ecclesiologiche nei documenti conciliari. 315

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Il rapporto della Chiesa con il mondo insinuato solamente nella LG e descritto nella GS, oltre che per il suo intrinseco riferirsi ad un momento storico preciso e quindi datato, stato criticato anche per il suo rispecchiare la situazione della Chiesa nel mondo economicamente sviluppato. Inoltre la ragione di alcune difficolt presenti nello stato attuale della ecclesiologia sta in alcune ambiguit fondamentali dei testi conciliari. Tale ambiguit caratterizza i testi cruciali della ecclesiologia conciliare poich stato pi difficile trovare un compromesso che ottenesse il consenso pi ampio possibile (ad es. i rapporti tra papato ed episcopato nella prospettiva di un esercizio del primato che consideri tutte le implicazioni del principio di collegialit episcopale; oppure la discussione sul posto dei laici nella Chiesa, con le conseguenze derivanti dalla vera aequalitas, seppur in varietate, tra pastori e laici). Ecco perch nellimmediato post-concilio si sono giustificate visioni ecclesiologiche e scelte pastorali diverse basandosi sugli stessi documenti del Vaticano II (che a volte hanno raggiunto un accordo nei testi solo a livello di enunciati, ma non a livello di contenuti). Inoltre si deve notare la debole rilevanza e mancante precisione nel considerare lopera che lo Spirito Santo svolge nel costituire e nel far vivere la Chiesa e di conseguenza la poco precisa coordinazione fra i doni e i ministeri che Questi suscita nella vita e struttura della Chiesa (la considerazione conciliare ha sottolineato molto di pi la dimensione cristologica e istituzionale). 2.8.3. La chiesa mistero di comunione 1) Il sinodo straordinario del 1985 ha affermato che: lecclesiologia di comunione lidea centrale e fondamentale nei documenti del concilio180. Inoltre la Congregazione per la dottrina della fede (1992) ha fatto sua, pur con alcuni distinguo, questa nozione di communio come molto adeguata per esprimere il mistero della chiesa cos che pu certamente essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica181. Anche la 7a assembla generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Canberra 1991) nel documento della commissione di Fede e costituzione, Lunit della Chiesa come koinonia: dono e vocazione, ha proposto di considerare la communio come categoria chiave della visione della chiesa182. In particolare questa nozione appare sempre pi chiaramente come possibile formula di consenso verso lauspicato processo ecumenico di unione delle Chiese e come occasione per ristrutturare i concreti rapporti intraecclesiali.

180 181

SINODO DEI VESCOVI, II Assemblea straordinaria (1985), Relatio finalis, II, C, 1 = EV 9, n. 1800. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera communionis notio su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 1. Cfr. J. RATZINGER, Lecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, art. cit., 69ss. 182 Cfr. Il Regno. Documenti XXXVI (1991/7) 253. Incentrato sul tema della comunione anche limportante docume nto di FEDE E COSTITUZIONE, La natura e lo scopo della Chiesa, in Il Regno. Documenti XLIV (1999/9) 315-328.

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Ora, questa immagine di chiesa dipende dalla riscoperta del Dio trinitario, sempre pi inteso come communio di Padre, Figlio e Spirito Santo. Questo mutamento daccento nellimmagine di Dio si ripercuote anche sullattuale immagine di chiesa: considerata da un punto di vista teologico e spirituale, essa pu risultare una parabola di questo Dio trinitario e della sua communio di amore. Con una formula breve la si pu descrivere come la comunit dei fedeli unita dallo Spirito santo, conformata al Figlio Ges Cristo e chiamata, con lintera creazione, al Regno di Dio, il Padre. La relazione con lo Spirito dona alla chiesa la sua specifica forma di unit, cio lunit nella molteplicit; lo Spirito la rende ecclesia, assemblea del popolo di Dio. La relazione con Ges Cristo dona alla chiesa il suo specifico contenuto, quello di essere chiesa alla sequela di Ges: in questo modo essa diventa corpo e sposa di Cristo. La relazione col Padre definisce lorigine e il fine della chiesa, cio la creazione e il regno di Dio; in quanto popolo di Dio, essa li unisce entrambi, nel senso di una comunit in cammino con tutte le creature verso la pienezza del Regno183. Tuttavia, di fronte a questa unanime e pubblica accoglienza, di fatto questa nozione sembra essersi trasformata in una formula di un pio desiderio o in un alibi per mitigare in modo eufemistico gli inconvenienti strutturali (al riparo di questo termine simpatico) oppure per immaginarsi romanticamente una Chiesa ideale, ben diversa dalla chiesa concretamente esperita. Ma anche se ci si guarda dal cadere in questi abusi, sembra che la concezione della Chiesa come communio, riscoperta al Concilio Vaticano II sembra una visione che manca di fondamento. Di fatto, una delle riscoperte ecclesiologiche pi radicali del Vaticano II, ossia la uguale originariet e valore della chiesa universale e della chiesa locale (LG 23; 26; CD 11), del principio gerarchico e del principio sinodale, non si vede come oggi concretamente abbia una sua concreta istituzionalizzazione. Perch la teologia della communio con il suo asserto centrale della medesima originariet di unit e molteplicit, di primato e collegialit, di gerarchia e principio sinodale, possa veramente improntare il volto reale della chiesa cattolica, ha bisogno di un soggetto ecclesiale reale, che le consenta di realizzarsi a livello di strutture della chiesa universale. 2.8.4. Una chiesa - molte chiese Se infatti noi guardiamo il Vaticano II dobbiamo riconoscere che nella relazione una Chiesa-molte Chiese esso ha adottato come punto di partenza la realt e la nozione di Chiesa universale o congre-

183

M. KEHL, Dove va la Chiesa? Una diagnosi del nostro tempo, gdt 255, Queriniana, Brescia 1998, 83-84. Sul tema si vedano le riflessioni del medesimo autore nel suo manuale, La chiesa, 68-72, 139-150 e in Communio - eine verblassende Vision?, in Stimmen der Zeit 215,7 (1997) 448-456.

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gazione di tutti i fedeli in comunione con il Pastore supremo e con tutto il corpo episcopale. chiaro che la LG, quando ha rinunciato ad adottare come punto di partenza la teologia della Chiesa locale, non lo ha fatto per mettere in rilievo laspetto socio-istituzionale della Chiesa, ma piuttosto per centrare la sua ecclesiologia sul mistero stesso dellorganismo sociale reso vivo dallo Spirito e costituito dai membri uniti nella pi stretta comunione di vita spirituale. Questa impostazione per non esente da un pericolo: luniformit e la centralizzazione intese come condizioni necessarie per la realizzazione dellunit. Pertanto il compito della ecclesiologia post-conciliare consistito nellassumere gli spunti della teologia della communio presenti nei documenti conciliari per allontanare sempre pi questo pericolo, spostando progressivamente il centro di gravit verso le Chiese locali. Nel cammino verso lintegrazione tra teologia della Chiesa universale e teologia della Chiesa locale sono risultati decisivi alcuni elementi presenti nel Concilio: lesigenza di ununiversit reale della Chiesa di Cristo diffusa nei cinque continenti; gli elementi di una teologia della Chiesa come assemblea eucaristica intorno allaltare del Signore con il suo legittimo pastore; le conseguenze di una attenzione pi precisa allufficio pastorale dei vescovi, alle Chiese Orientali, allattivit missionaria. Il Concilio, insomma, ha posto i fondamenti teologici del modello della Chiesa - communio ecclesiarum, per cui le Chiese particolari non sono semplicemente parti o meri distretti amministrativi di una confederazione di Chiese, chiamata Chiesa universale, ma la stessa realt suprema dellunica Chiesa di Cristo presente e realmente attualizzata in un determinato luogo. Alla luce di questo principio ecclesiologico si comprendono le tensioni sorte in epoca post-conciliare tra centro e periferia, tra base e vertice della Chiesa, che dovrebbero trovare una futura pi armonica conciliazione che componga le due dimensioni irrinunciabili184. 2.8.5. Primato e collegialit Cercare la verit integrale e coerente sul primato e sullepiscopato stato un compito irto di grandi difficolt di ordine teorico e pratico non solo nelle discussioni in seno allassemblea ma anche nellecclesiologia post-conciliare. Non meraviglia che lattuazione della collegialit a tutti i livelli della Chiesa abbia costituito un focolaio di tensioni sia nel rapporto tra episcopato e primato sia tra le varie categorie di persone che compongono la Chiesa locale. Il Concilio non ha fatto nessuna op-

184

Attualmente le molte chiese locali e regionali (ad es. Conferenze episcopali), le quali sarebbero i soggetti della teologia della communio a livello di chiesa universale, sono per strutturalmente indebolite dagli sviluppi culturali, sociali e politici contemporanei, al punto che in diversi luoghi esse sono appena in grado di sopravvivere; e questo molto spesso solo grazie al servizio di supplenza e di sostegno del ministero petrino. Esse sono cos incapaci di salvaguardare con sufficiente efficacia questo loro ruolo: M. KEHL, Communio - eine verblassende Vision?, art. cit., 450-452.

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zione sostanziale sui punti pi controversi, ma si limitato a sottolineare lintima unione esistente tra primato e collegialit dei vescovi come due verit emananti dalla stessa rivelazione divina. La posizione del Vaticano II che non ha opposto i termini del binomio primato-episcopato chiara: come inammissibile la concezione di vescovi intesi come semplici vicari e delegati del papa, cos ugualmente inaccettabile concepire il papa come vicario e delegato del Collegio episcopale. Certamente le posizioni estreme non possono invocare a loro favore la dottrina ecclesiologica del Concilio. Ma fra i due estremi esistono posizioni centrali diverse e variegate che si muovono sullarco di una stessa comunione. allinterno di questa amplissima area che la ricerca ecclesiologica pu e deve fondarsi ulteriormente sulla struttura fondamentale del binomio primato-collegialit episcopale e trarne le implicazioni pastorali per il governo centrale e periferico della Chiesa185. 2.8.6. Rapporto tra gerarchia e laicato Linserimento nella LG del capitolo secondo sul popolo di Dio ci d la chiave per interpretare il posto e la missione dei laici nella Chiesa come facenti parte del mistero di quel popolo pellegrino che nel piano divino ritenuto il fine, mentre il ministero gerarchico un mezzo in ordine a tale fine. Con questa struttura definitiva della LG si d priorit e si accentuano gli elementi comuni a tutte le categorie di persone: lunit, la solidariet, luguaglianza essenziale nellambito dellesistenza cristiana, il mistero di comunione per il quale tutti siamo fratelli in Cristo. Il Concilio, tuttavia, non ha affrontato espressamente il problema di come promuovere questo principio di uguaglianza fondamentale seppur nella diversit tra pastori e semplici fedeli in ordine alla partecipazione attiva ed effettiva (non solo da semplici esecutori) di questi ultimi alla responsabilit per la Chiesa186. Queste difficolt nascono dalla scarsa precisione degli stessi documenti conciliari su alcuni punti della teologia del laicato: innanzi tutto la stessa nozione descrittiva e puramente negativa di laico e linafferrabilit del concetto di indole secolare (di ordine sociologico pi che teologico?) propria dei laici (LG 31). Il Concilio ha recepito i risultati delle ricerche di Congar nellopera pionieristica Jalons pour une thologie du laicat (1953): Il laico sar dunque colui per il quale nellopera stessa

185

Certo che attualmente la Curia romana sostituisce al suo livello il principio di collegialit, teoricamente riconosciuto al collegio episcopale, ma di fatto bloccato da problemi pratici. Cos il grande apparato della organizzazione centrale del potere ecclesiastico, necessario a una chiesa mondiale, ha di fatto assunto su di s i compiti di una collaborazione episcopale e collegiale col ministero petrino: M. KEHL, Communio - eine verblassende Vision?, art. cit., 450; J.R. QUINN, Per una riforma del papato, gdt 272, Queriniana, Brescia 2000; F. KNIG, Collegialit e centralismo, in Il Regno. Documenti XLIV (1999/9) 285-288. 186 Laici nel ministero: la paura di dare un nome. Intervista con p. Bernard Sesbo, in Il Regno. Attualit XLIII (1998/2) 12-16; B. SESBO, Nayez pas peur. Regards sur lglise et les ministres aujourdhui , Paris 1996; G. CA-

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che Dio gli ha affidato, la sostanza delle cose in se stesse esiste ed interessante. Il chierico e ancor di pi il monaco uno per il quale le cose non sono veramente interessanti in se stesse, ma in relazione ad un altro, cio nel rapporto che le lega a Dio, che esse fanno conoscere e possono aiutare a servire187. Evidentemente questa concezione pensa le realt di Chiesa e mondo come giustapposte, cos che i chierici e i religiosi sono gli attori sulla scena ecclesiale, mentre ai laici viene assegnata la competenza di vivere la loro testimonianza cristiana nella sfera delle realt secolari. Questa figura lesito di una concezione troppo schematica del rapporto Chiesa-mondo, che poggia sul presupposto della distinzione dei due ordini soprannaturale e naturale. Il Concilio, pur utilizzando ancora questo vocabolario, nella LG ha per indirizzato la riflessione verso unaltra direzione: quella per cui ogni credente per vocazione battesimale un christifidelis, che in ragione della sua appartenenza a Cristo deve in ogni situazione concreta del vivere testimoniare levangelo della carit. Sulla questione della indole propria del laico si sono poi sviluppate ulteriori questioni pastorali: la partecipazione laicale ai munera ecclesiastici, la sua possibilit di sostituire i ministri in alcune funzioni sacre (officia sacra) e la possibilit di dedicarsi completamente, chiamati dal vescovo, agli impegni apostolici (a che titolo?); i vari ministeri ecclesiali laicali. 2.8.7. Chiesa - mondo Con i suoi tre anni di gestazione la GS il documento del Vaticano II che riflette pi fedelmente il progressivo cambiamento dei concetti teologici di Chiesa e di mondo. Malgrado il grande entusiasmo degli esperti e dei padri conciliari nellaffrontare il tema, essi si sono trovati come inermi e divisi non solo per la sua soluzione, ma anche per il piano di lavoro e di strutturazione da dare al documento188. La sua elaborazione, infatti, esigeva di prendere posizione sul problema tanto complesso del rapporto tra naturale e soprannaturale, Chiesa e mondo. Ma il Vaticano II non poteva eludere la propria responsabilit: era meglio correre il rischio di scrivere una dichiarazione incompleta, ma capace di fissare i principi dinamici contenuti nella rivelazione e di indicare alcuni punti di rife-

NOBBIO, Laici dopo il Vaticano II, in Il Regno. Documenti LVI (2011/13) 419-427. 187 Y. CONGAR, Per una teologia del laicato, Morcelliana, Brescia 1967, 39. Cfr. una buona sintesi in M. VERGOTTINI, La riflessione teologica sui laici. Da Lumen Gentium a Christifideles Laici, in C. GHIDELLI (ed.), A trentanni dal Con-

cilio. Memoria e profezia, Studium, Roma 1995, 131-159. Una riflessione pi approfondita e attenta al lato canonico si pu trovare in E. ZANETTI, La nozione di laico nel dibattito preconciliare. Alle radici di una svolta significativa e problematica, Editrice Pontificia Universit Gregoriana, Roma 1998; G. ZAMBON, Laicato e tipologie ecclesiali. Ricerca storica sulla Teologia del laicato in Italia alla luce del Concilio Vaticano II (1950-1980), Editrice Pontificia Universit Gregoriana, Roma 1996. Una proposta storico-sistematica sviluppata invece da G. ANGELINI G. AMBROSIO, Laico e cristiano. La fede e le condizioni comuni del vivere , Marietti, Genova 1987. 188 Cfr. M. GERVASONI, Commento allo schema della Costituzione pastorale Gaudium et spes , in SCUOLA DI TEOLOGIA 2 DEL SEMINARIO DI BERGAMO, Sulle tracce del Concilio, Bergamo 1996 , 133-138.

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rimento, piuttosto che retrocedere di fronte alla difficolt di non poter elaborare un documento conciliare. Per superare la difficolt si scelse di classificare la GS come Costituzione pastorale189. a) Senso e significato di mondo Per comprendere il senso di quanto prodotto dal Concilio sul tema occorre in un primo passo richiamare, seguendo le indicazioni di Karl Rahner, la triplice classica accezione di mondo. 1) Sotto il profilo teologico il mondo designa anzitutto in un senso neutro la totalit della creazione come unita (nellorigine, nel destino e nello scopo, nelle strutture generali, nella reciproca dipendenza di tutti da tutti), con linclusione delluomo oppure distinto da lui come suo ambiente come situazione da Dio precostituita della sua storia della salvezza. 2) In quanto questo mondo (soprattutto il mondo umano), a causa della colpa degli angeli e a causa di quella originale delluomo (peccato originale) e a causa della successiva storia della perdizione, possiede, sino nel profondo della realt materiale, unimpronta antidivina e contraria alle proprie strutture e determinazioni ultime, mondo (biblicamente: questo cosmo, questo eone) significa linsieme delle forze e potest ostili a Dio, vale a dire tutto ci che nel mondo esiste come spinta a una nuova colpa e come concretezza, corporeit afferrabile di questa colpa. 3) Ma, anche in quanto mondo peccatore, esso ancora tuttavia il mondo amato da Dio, bisognoso, ma anche suscettibile di redenzione, gi abbracciato dalla grazia di Dio nonostante la sua colpa e in essa, la cui storia avr fine nel regno di Dio190. Noi qui utilizziamo in particolare la terza accezione, ossia quella di mondo lontano da Dio e tuttavia amato da Dio, proprio in questa sua lontananza. Ma, in tanto possibile questa accezione in quanto esiste un soggetto storico che media quellamore di Dio per il mondo. Questo soggetto storico (Ges e, alla sua sequela, la Chiesa) produce questo concetto di mondo nella misura in cui produce storicamente quella mediazione simbolica in cui il mondo accolto: in Ges di Nazaret con la croce, in quanto riassuntiva della sua intera esistenza che stato radicale accoglimento dellaltro ed essere-per-gli-altri; nella Chiesa, nella misura in cui si d santificazione (1Pt 1,13-22). Ma allora anche chiaro che Chiesa e mondo sempre nuovamente nella storia si rapportano secondo una variet di figure che, ultimamente, vanno giudicate, in una prospettiva teologica cristiana, nella misura in cui in esse viene riprodotta la figura del rapporto che Ges ha stabilito con il mondo. Al

189

Sulla novit di un magistero pastorale cfr. K. RAHNER, La problematica teologica di una costituzione pastor ale, in Nuovi Saggi III, Edizioni Paoline, Roma 1969, 693-721. 190 K. RAHNER, Chiesa e mondo, in Sacramentum Mundi 2, 191-218; qui 194.

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tempo stesso questa considerazione comporta che, nel nostro tentativo attuale di delineare il giusto rapporto tra Chiesa e mondo, facciano sentire il loro peso tutte le figure storiche del passato: la produzione delle mediazioni attuali solo una modifica delle mediazioni passate. Per questo necessario sempre che la determinazione teorico/pratica attuale si radichi nella memoria storica. Nei limiti della nostra sintesi non possiamo ripercorrere lintero arco delle figure del rapporto Chiesamondo, cos come sono state prodotte nella storia. Ci limitiamo ad un aspetto di questo rapporto quale si costituito in epoca moderna e che risulta decisivo anche nel momento attuale. b) Chiesa e mondo nella storia a) Fino al tardo medioevo era sembrato possibile, almeno a livello ideale, che la Chiesa si ponesse come fattore determinante di unificazione della societ umana. Da questo disegno di unificazione restavano sostanzialmente esclusi i non cristiani, in particolare i turchi, ma questo non sembrava disturbare eccessivamente la cristianit191. b) Ma ormai anche questo che risulta impossibile nella congiuntura storica determinata in Europa dalle divisioni delle Chiese cristiane nel secolo XVI: epocalmente la fede cristiana non riesce a produrre una mediazione simbolica della unit della storia ed il mondo ricerca quindi altrove, nella esclusione delle Chiese, un fondamento unitario della propria convivenza. Infatti allinterno della fede cristiana, nella figura che ha assunto nel XVI secolo, che si annida il germe della inimicizia sociale: i cristiani fanno guerra tra di loro e non possono proporsi come elemento di unit. Per trovare pace occorre mettere tra parentesi lidentit cristiano/confessionale e cercare un diverso punto di incontro. Il mondo costretto a ricercare una unit fuori dalla tutela della fede cristiana. Questo processo avviene a diversi livelli. In primo luogo lo Stato che si pone come absolutus, sciolto dai vincoli religiosi delle coscienze. Ma, pi generalmente, si impone la necessit di costruire su una base secolarizzata i fondamenti della convivenza, anche nella criminosa ipotesi che Dio non esista, etsi Deus non daretur. Lorizzonte mondano in epoca moderna si viene quindi a costituire progressivamente fuori dellorizzonte ecclesiale, proprio in quellelemento che centrale per la fede cristiana: cio rispetto alla capacit che dovrebbe possedere la Chiesa di indicare al mondo il cammino verso la riconciliazione finale. Sarebbe semplicistico pensare che la causa di questo fatto sia stata soltanto la divisione delle Chiese. Ma certo che il divenire della coscienza occidentale (segnato dal lento

191

Lo stesso Erasmo nella Querela pacis (1517) pone su un piano radicalmente diverso la guerra contro i turchi, vista come un male minore, e la guerra tra i cristiani, incompatibile in ogni caso con il vangelo di Cristo. Appare quindi come lo stesso ideale di unit della storia di cui si fanno carico i cristiani , di fatto, gi limitato alla storia interna al mondo occidentale cristiano.

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formarsi di un sapere scientifico autonomo, dal consolidarsi delle identit nazionali, dallemergere di popoli nuovi fuori della cristianit, dallo sconvolgimento degli ordines medievali e dallaffermarsi di nuove classi sociali grazie alle nuove forme di produzione economica) trov davanti a s una Chiesa di fatto impreparata ed ancora attaccata ad un ideale di cristianit ormai tramontato. c) Di fronte alla esclusione le Chiese cristiane, e soprattutto la Chiesa cattolica, reagiscono con lapologetica della inimicizia, differente da quella fuga monastica dal mondo che aveva segnato i secoli passati. Infatti la fuga monastica non avanzava pretese sul mondo, mentre linimicizia moderna della Chiesa nei confronti del mondo tutta tesa a riguadagnare un posto nel mondo alla Chiesa, in quella posizione di privilegio a cui aveva sostanzialmente posto fine lepoca delle guerre di religione, ma che la rivoluzione francese seppellir per sempre sotto le macerie dellAncien Rgime. Sempre lapologetica dellinimicizia domina, nel secolo XIX, quella che stata chiamata una ecclesiologia sotto il segno dellaffermazione dellautorit192. Si tratta infatti di ristabilire quellautorit della Chiesa sulla societ che invece negata da tutto levolversi della coscienza m oderna. Questa pretesa viene giustificata con una lettura catastrofica della realt mondana liberata dalla tutela religiosa: senza il legame religioso cristiano infatti la societ non pu che sfociare nella violenza e nella negazione di ogni autentico diritto193. E, se vero che la societ civile possiede i propri fini e gli strumenti adeguati a raggiungerli, altres vero che solo il fine soprannaturale posseduto dalla societ perfetta Chiesa pu sanare la sostanziale inadeguatezza della realt mondana. d) Lesperienza cristiana e la stessa storia della teologia conoscono, tra il secolo XIX ed il secolo XX, esempi di un diverso rapporto da quello della inimicizia e dellaffermazione dellautorit. Ma si tratta di fenomeni marginali che non riescono ad incidere nella coscienza dominante. solo dopo la seconda guerra mondiale che, in campo teologico, si affermano diverse letture della realt mondana che tentano un rapporto meno conflittuale tra Chiesa e mondo. Due furono le vie principali attraverso le quali la teologia tent di recuperare questo rapporto meno conflittuale. La prima tent di sfruttare tutti quegli elementi del tradizionale pensiero filosofico cristiano che sottolineavano una giusta autonomia delle realt terrene194. La seconda invece si impegn in una lettura amica del

192

Y. CONGAR, Lecclsiologie de la Rvolution franaise au Concile du Vatican, sous le signe de laffirmation de lautorit, in Lecclsiologie au XIX sicle, Cerf, Paris 1960, 77-114. 193 Significativa a tal proposito, la Quanta cura di Pio IX (DzH 2890); ma Pio IX non era isolato: si vedano i pareri espressi dai vescovi in preparazione al Vaticano I, raccolti in MANSI, Collectio conciliorum, vol. 49. 194 Cfr. G. THILS, Teologia delle realt terrene, Edizioni Paoline, Alba 1951. Negli anni Cinquanta nel mondo cattolico si scontrarono due correnti ecclesiologiche a proposito delle realt terrene: una che, per correggere la visione troppo ottimistica del mondo, insiste sulla distinzione e sulle sue implicazioni come la presenza del peccato nel mondo, la realt della Croce, la morte e la redenzione (linea escatologista); laltra che, al contrario, si proposta di evitare la visione pe s-

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processo di secolarizzazione195: questo processo infatti non consono al cristianesimo stesso? Gi la teologia dialettica aveva messo in crisi la funzione religiosa della fede cristiana come giustificazione dellordine mondano196. Ma, per vie diverse, soprattutto Gogarten e Bonhoeffer ottennero quasi un consenso teologico sul carattere fondamentalmente cristiano del mondo secolarizzato197. e) Resta tuttavia una certa insoddisfazione rispetto a questi tentativi: un mondo secolarizzato, sempre pi dominato dalluomo (ominizzato) e libero da qualsiasi riferimento religioso, non rischia di diventare meno umano? E lo stesso processo di secolarizzazione non ormai in crisi, affetto da quella crisi che attanaglia tutta la societ occidentale nei suoi stessi valori fondanti? Ed ancora: una Chiesa che prende semplicemente atto di un mondo secolarizzato e cerca di modellare la sue presenza in conformit a questo mondo non rischia di diventare subalterna ad esso, giustificatrice delle sue scelte e incapace di svelare la differenza escatologica che costituisce lo statuto della esistenza mondana? La teologia attuale ha quindi cercato di elaborare modelli alternativi per la presenza della Chiesa nel mondo, dalla nuova teologia politica alle varie forme di teologie della liberazione, soprattutto l dove, come in America Latina, lesperienza vissuta dei cristiani ha suscitato, prima ancora della teologia, forme inedite di coinvolgimento, lontane sia dal modello della cristianit che dal patto che in qualche modo sembra legare in Occidente Chiese cristiane e societ borghese198. La situazione della coscienza ecclesiale e della coscienza teologica sembra quindi, in questo momento, attraversare uno stato di fluidit e di incertezza nella determinazione del rapporto che deve legare lesperienza della fede cristiana a questo mondo. Forse questa fluidit , a sua volta, conseguenza di quel detonatore dei rapporti tra Chiesa e mondo che stato il Vaticano II199. Il concilio, infatti, ha recepito la svolta di atteggiamento nei confronti della storia, espressa nellallocuzione i nsimistica del mondo partendo dallunit come implicazione dei dogmi della creazione, incarnazione e del dominio di Cristo sul mondo e sulla storia (linea incarnazionista). Sulla disputa cfr. G. COLOMBO, Escatologismo e incarnazionismo, in La Scuola Cattolica 87 (1959) 344-376; 401-424. 195 Cfr. i saggi raccolti in H.-H. SCHREY (ed.), Skularisierung, Darmstadt 1981. 196 sempre attuale e importante la lettura di K. BARTH, LEpistola ai Romani (19222), Feltrinelli, Milano 1978. 197 F. GOGARTEN, Der Mensch zwischen Gott und Welt, Heidelberg 1952; ID., Destino e speranza dellepoca moderna, Morcelliana, Brescia 1972; D. BONHOEFFER, Resistenza e Resa, Paoline, Cinisello B. (Mi) 1988); ma altri nomi dovrebbero essere ugualmente citati e, in primo luogo, quello di Tillich, soprattutto per il suo influsso sulla teologia protestante nordamericana. Per i cattolici ci limitiamo a rimandare a K. RAHNER, Riflessioni teologiche sulla secolarizzazione, in Nuovi Saggi III, Ed Paoline, Roma 1969, 723-759. 198 Cfr. J.B. METZ, Sulla teologia del mondo, Queriniana, Brescia 1974; ID., La fede nella storia e nella societ, Queriniana, Brescia 1978; ID., Al di l della religione borghese, Queriniana, Brescia 1982; G. GUTIRREZ, Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972; M.-D. CHENU, La Parole de Dieu, 2. Levangile dans le temps, Paris 1964 (trad. it. parziale, Il Vangelo nel tempo, AVE, Roma 1968). 199 Solo adesso cominciano tentativi pi solidi di interpretazione del Vaticano II, fondati su ricerca rigorosa del suo significato effettivo. In tale direzione cfr. G. ALBERIGO -J. P. JOSSUA, Il Vaticano II e la Chiesa, Brescia 1985. Con interesse pi spiccatamente teologico si pongono invece R. LATOURELLE (ed.), Vaticano II: Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella, Assisi 1987 e Il Concilio venti anni dopo, 3 voll., AVE, Roma 1984-1986.

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troduttoria Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII. Questa segn, da parte ufficiale, un superamento di quel giudizio di condanna e di inimicizia nei confronti del mondo e della storia che aveva contraddistinto il magistero romano da Gregorio XVI a Pio XII200. Il concilio nella costituzione Gaudium et spes, stabilendo il principio della distinzione tra Chiesa e societ umana, ha affermato lautonomia relativa del temporale, ha imboccato la via del dialogo come metodo fondamentale per entrare in relazione con tutti gli uomini di buona volont e ha formulato un giudizio positivo sul mondo e sulla storia201. Daltra parte nel suo giudizio non sempre riuscito a distaccarsi da paradigmi culturali estranei a quel giudizio profetico che proprio dellevangelo ed il quale contiene ad un tempo laccoglimento assoluto della storia e lo svelamento della sua distanza rispetto al Regno. Il concilio ha cercato di oltrepassare quella frattura che lo separava dal mondo una frattura di carattere culturale, pi che di carattere istituzionale e/o politico, come era accaduto a volte in passato , avviando unopera generale di aggiornamento delle modalit propositive del Vangelo, adattandone il linguaggio agli uomini del nostro tempo. Nel frattempo, per, ci si accorti che il problema non si limitava al modo di proporre lEvangelo, come se esso fosse un bene noto a monte delle forme culturali che ne permettono unincarnazione effettiva. Il fatto esploso durante il Sinodo dei vescovi del 1974, dedicato a De evangelizatione mundi huius temporis: i padri, incapaci di trovare unarticolazione fra evangelizzazione e promozione umana, non riuscirono a produrre un testo unitario, lasciandone il compito a Paolo VI. Egli nel lenciclica Evangelii Nuntiandi (1975) forn non certo la soluzione quanto piuttosto un orientamento, indicando che la corretta nozione di evangelizzazione include la liberazione/promozione delluomo, senza ridursi ad essa. Levangelizzazione diveniva cos il compito precipuo della Chiesa, da intendersi per non come proclamazione verbale di un nucleo puro e immutabile del Vangelo in forme aggiornate, ma piuttosto come il processo storico mediante cui la Chiesa d figura a quelle forme di vita che lEvangelo suscita allinterno di una determinata cultura.

200

Cfr. G. ALBERIGO, Dal bastone alla misericordia. Il magistero nel cattolicesimo contemporaneo (1830-1980), in Cristianesimo nella storia 2 (1981) 487-521; G. ALBERIGO - A. MELLONI, Lallocuzione Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), in Fede Tradizione Profezia. Studi su Giovanni XXIII e sul Vaticano II , Brescia 1984, 185-283. 201 Sullottimismo del Concilio si veda per lacuto commento di A. BERTULETTI: Questo ottimismo non propriamente teologico n pastorale, ma spirituale. su questo piano che esso giustifica la forma del dialogo , di un dialogo che non subordina la verit al dialogo, poich comprende il dialogo come gi iscritto nella qualit umana della verit. La qualit cristiana della verit esige il dialogo, poich accredita a qualsiasi interlocutore la possibilit di istruire il credente sul senso del vangelo di Cristo: ID., Il magistero pastorale di Giovanni XXIII , in Echi XX/1 (1999) 22; cfr. pure A. BERTULETTI, Giovanni XXIII e il Concilio, in Giovanni XXIII e il Vaticano II, Atti degli Incontri svoltisi presso il Seminario vescovile di Bergamo 1998-2001, a cura di G. CARZANIGA, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 2003, 72-83.

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Ecclesiologia 2012/2013. Parte III: la Chiesa come popolo di Dio

III. LA CHIESA COME POPOLO DI DIO Dopo aver presentato gli insegnamenti pi importanti del Vaticano II sulla Chiesa, il passo successivo porta a precisare la natura e il carattere proprio del popolo di Dio della nuova alleanza. A questo punto la nostra riflessione proceder in tre momenti. Nel primo, indichiamo che il luogo della Chiesa nella fede cristiana quello della mediazione testimoniale1. Nel secondo, determineremo gli elementi essenziali della struttura della Chiesa nel dinamismo di comunione/tradizione. Nel terzo affronteremo le quattro propriet che il Simbolo della fede confessa a proposito della Chiesa. 3.1. Il posto della Chiesa nella fede cristiana: la mediazione testimoniale a) Senza Chiesa non c Ges. Senza la Chiesa non sapremmo niente di Ges, non avremmo neppure i testi che ci parlano di lui. Il gruppo riunito attorno a Ges, la comunit generata dalla sua parola il soggetto portatore del suo messaggio. Questo non ci accessibile se non nel prisma della risposta credente dei discepoli: infatti solo chi stato testimone del Crocifisso e ha compreso in questa forma la stupefacente rivelazione di Dio, pu riconoscere i tratti del Risorto e darne testimonianza (At 1,21-22). La Chiesa infatti chiamata alla testimonianza, cos che tutte le genti possano entrare in quella relazione salvifica con Ges propria dei discepoli (Mt 28,19). b) Lo Spirito e la Sposa2. lo Spirito per che costituisce e abilita la testimonianza della Chiesa (At 1,8): ma questo pu venire solo attraverso la vita, morte e risurrezione di Ges. Il Vangelo non quindi la proclamazione di una possibilit di cui luomo dispone indipendentemente dallevento di Ges e che si tratterebbe solo di risvegliare, ma lannuncio dellevento per il quale, soltanto, luomo ha accesso a Dio. Ecco perch la fede che precede il Cristo essenzialmente anticipazione di lui, e dopo la sua venuta testimonianza di lui. Dopo la venuta del Cristo la presenza storica della verit di Dio legata allannuncio di Ges. Solo questo gode di una univocit che permette di discernere nella sua determinatezza lo Spirito. In tal senso lapostolo Paolo stabilisce una relazione precisa tra lo Spirito e la Chiesa: lo Spirito fa della

Per un approfondimento sul tema si vedano: G. ROTA, La Chiesa nel disegno di Dio, in A. BERTULETTI ET AL., Credere da cristiani, Litostampa Istituto Grafico, Bergamo 1999, 29-58; G. ANGELINI, La testimonianza prima del dialogo e oltre, Ancora, Milano 2008; G. ANGELINI S. UBBIALI (ed.), La testimonianza cristiana, Glossa, Milano 2009. 2 Sul rapporto tra Spirito e Chiesa cfr. Y. CONGAR, Lo Spirito anima la Chiesa, in ID., Credo nello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1998, 199-265; W. KASPER - G. SAUTER, La chiesa luogo dello Spirito. Linee di ecclesiologia pneumatologica, Queriniana, Brescia 1980; I. TIEZZI, Il rapporto tra la pneumatologia e lecclesiologia nella teologia italiana post-conciliare, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1999; G. CISLAGHI, Per una ecclesiologia pneumatologica. Il Concilio Vaticano II e una proposta sistematica , Pubblicazioni del Pontificio Seminario Lombardo in Roma Glossa, Roma- Milano 2004; D. DONNELLY A. DENAUX J. FAMERE (edd.), The Holy Spirit, the Church, and the Christian Unity. Proceedings of the consultation held at the monastery of Bose, Italy (14-20 october 2002), Peeters, Leuven 2005.

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Ecclesiologia 2012/2013. Parte III: la Chiesa come popolo di Dio

Chiesa il corpo del Cristo (1Cor 12,12-13). La Chiesa, infatti, mediante lannuncio conferisce allo Spirito una visibilit storica; anzi, pi radicalmente essa condivide il carattere di concretezza e singolarit che fa del Cristo il corpo dello Spirito. Non che lo Spirito sia presente esclusivamente allinterno della comunit: esso infatti allorigine di quel grido inarticolato che sale dalla creazione intera (Rm 8,26-27) e suscita nel cuore di ogni uomo quellintima inquietudine, cui la comunit, che conosce lo Spirito, in grado di dare voce in modo consapevole. Cos, mediante la testimonianza di un popolo, che attesta la destinazione universale della salvezza testimoniando Ges, si rende manifesta la rivelazione del disegno divino sulla storia. Lo Spirito garantisce quindi la contemporaneit di Ges al tempo della Chiesa. soprattutto il vangelo di Giovanni che esprime linseparabilit e la reciprocit tra Ges e lo Spirito: lo Spirito il rappresentante del Cristo, non in quanto lo sostituisce ma in quanto lo rende presente (gli render testimonianza Gv 15,26-27) dopo che Ges stato designato come il testimone di Dio (Gv 8,12-20). Esso abilita la Chiesa a testimoniare Ges: Egli mi render testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza (Gv 15,26-27). Lo Spirito non segue al Cristo, non gli aggiunge nulla, ma proprio per questo non lo ripete: lo rende presente effettivamente nella concretezza della storia in ogni tempo. Grazie appunto allazione dello Spirito la decisione di credere, anche se non cronologicamente contemporanea a quella degli apostoli, immediata in rapporto a Ges. Lo Spirito infatti garantisce che la dedizione salvifica di Ges, il suo corpo donato, sia custodito per tutti nella forma di corpo scritturistico e corpo sacramentale dal corpo ecclesiale. Egli infatti il principio dellispirazione del corpo delle Scritture che attestano la verit di Ges; invocato come il principio della santificazione di quel pane e di quel vino con cui si fa memoria dellofferta di Ges; ricon osciuto come colui che abilita allesercizio del ministero apostolico e il principio dellunit e dellindefettibilit della comunit di coloro che confessano che Ges Signore (1Cor 12,3). Le forme obiettive dellazione dello Spirito che costituiscono il criterio di autenticit di ogni altra effusione danno una concretezza e storicit obiettiva alla presenza di Ges ed alla sua venuta dopo la sua partenza. Lo Spirito non completa la rivelazione di Ges, ma, assicurando luniversalit sul pi ano storico di ci che e rimane singolare, garante del realismo della fede di quelli che crederanno pur non avendo visto (Gv 20,29). c) La mediazione ecclesiale: la fede testimoniale (I) La Chiesa, in quanto comunione dei credenti, quindi, non unentit al di fuori dellavvenimento della rivelazione e ad esso aggiunta solo in un secondo tempo. Appartiene invece allaccadimento della rivelazione cristologica come momento specifico ed essenziale. Nella tradizione teologica questo nesso viene affermato nella confessione credo ecclesiam presente nel Simbolo: la Chiesa 326

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appartiene quindi allevento della rivelazione cristologica come momento specifico ed essenziale e daltra parte essa riconosce nei suoi confronti una strutturale asimmetria. Se volessimo poi qualificare pi univocamente la natura intrinseca del nesso fra i due aspetti, potremmo dire che la Chiesa realizza una funzione di mediazione, la cui la dimensione specifica quella della testimonianza. (II) I tratti della mediazione ecclesiale (1) La mediazione ecclesiale non sostitutiva. Essa non implica alcuna incorporazione e superamento dellincarnazione di Cristo nella appartenenza ecclesiastica e della rivelazione cristologica nella fede ecclesiastica (ortodossia). E quindi di Ges Cristo nella Chiesa. Di conseguenza la Chiesa non il sostituto o surrogato di Cristo durante questo tempo intermedio ed essa neppure coincide con la millenaristica et dello Spirito in grado di dare figura storica compiuta al regno di Dio mediante lincorporazione progressiva dello Spirito nella ist ituzione e del mondo nella Chiesa storica. Essa di questo Regno di Dio costituisce in terra il germe e linizio (LG 5) e non lo instaura perseguendo un progetto e un programma storico-sociale di configurazione della storia umana e sociale. La stessa mediazione ecclesiale infatti non coincide con il semplice darsi storico effettivo del cristianesimo, ossia delle forme effettive della testimonianza ecclesiale. Anche l dove si edifica sul fondamento posto da Dio, rimane ancora da vedere come si edifica (1Cor 3,9ss). La mediazione ecclesiale, che si concepisce formalmente quale esercizio storicosociale della fede, cos attesta immediatamente che la propria effettivit storica e sociale non coincide n tantomeno sostituisce la presenza di Dio nella singolarit di Ges (solo il Figlio rivela il Padre) n la presenza di Dio nellesistenza storica di ogni uomo che viene nel mondo (lo Spirito soffia dove vuole). Questo non implica che il riferimento alla chiesa confessionale quale grandezza socio-culturale sia accessorio: infatti senza la testimonianza ecclesiale non si d presenza storica di Ges qui e adesso. (2) La mediazione ecclesiale non una semplice inter-mediazione. Essa non vuole suscitare una fede qualsiasi, perch vuole consentire e propiziare laccesso allinsostituibile fondamento della fede teologale: la relazione con il Signore che si rivela la forma non ulteriormente mediabile del suo esercizio e della sua effettualit storica. Essa quindi custodisce e annuncia la possibilit universale della fede solo in ragione della storicit dellevento della Rivelazione. Daltra parte della storicit di questo evento essa anche il frutto e laccesso storico effettivo: in tal senso la Chiesa non come un semplice intermediario che media altro da s, poich la relazione col Signore (la nuova alleanza) ha come condizione ed effetto la stessa realt ecclesiale (il nuovo popolo).

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(3) La mediazione ecclesiale formalmente testimoniale. Essa, infatti, garantisce le condizioni obiettive dellaccesso alla verit di Ges. Le condizioni della fede apostolica, su questo punto preciso, sono le stesse di ogni venire alla fede nella forma della testimonianza. La singolarit della esperienza degli apostoli, che non ereditabile e riproducibile, data dalla indeducibilit dellevento cristologico e quindi dellaccadere della effettiva relazione storica con Ges di Nazaret (il Ges risorto pu mostrarsi solo ai discepoli, perch solo loro, mediante il travaglio della memoria, possono riconoscere i tratti del Crocifisso e simultaneamente cogliere la sua identit teologica). Ma la struttura in cui si compie il loro aver fede certamente identica a quella di ogni possibile figura storica dellaver fede: poich sin dal primo istante essa mediata dalla revisione della memoria storica di Ges di Nazaret che riconosce in lui il fondamento vivente del dono dello Spirito e il referente ultimo per la decifrazione dei segni della presenza di Dio. La fede cristiana non pu quindi essere ridotta alla figura di una fede nella fede dellaltro, a una fede di seconda mano che non dispone pi della rivelazione di Dio e quindi senza possibilit di un rapporto diretto del singolo con Dio, nella forma di una vera e propria coscienza personale della propria attuale relazione con il Signore. La fede come incontro e relazione personale con il Signore che giunge al riconoscimento della sua verit teologica non stata possibile soltanto per gli apostoli e per i primi discepoli, mentre per tutte le generazioni a venire la fede si realizzata di fatto nel dare credito alla testimonianza degli apostoli. La giusta affermazione della singolarit normativa della fede apostolica come gi accennato non riguarda il piano della struttura della fede storica. La fede infatti si edifica sempre sulla base della persuasiva evidenza della rivelazione evangelica e si compie nella certezza della incarnazione del Figlio nel Signore Ges morto e risuscitato. Essa sempre vive nella consapevolezza della presenza del Signore e nella effettivit della relazione con Lui; diversamente coinciderebbe con la semplice adesione ideologica al modo cristiano di vedere le cose o di praticare la religione. Lannuncio, invece, concerne la possibilit di avere la stessa fede, e quindi la stessa relazione con il Signore. Anche perch ieri e oggi e sempre, rimane vero che nessuna relazione fisica con Ges in grado di propiziare linfallibile certezza di una fede compiuta e di una relazione effettiva col Signore, dato che il testimone oculare non ancora il discepolo e i segni del Regno possono essere letti come opere di Beelzebul. In questo senso non c nessun vantaggio per coloro che sono vissuti prima (Gv 20,29-31). Se vero che la verit della relazione con il Signore si d soltanto nella testimonianza e mediante la testimonianza, essa non ha per tema se stessa, bens la rivelazione, la relazione, che ha per soggetto il Signore, il quale assolutamente insostituibile. Le istituzioni ecclesiali della parola, dei sacramenti, il cui esercizio pubblico affidato alla cura del ministero apostolico, vogliono appunto propi328

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ziare istituzionalmente la possibilit di accendere lattenzione al passaggio del Signore nella vita di ogni uomo e di corrispondervi in modo salvifico effettivo. Come si esercita questa mediazione della Chiesa? Attraverso lordine simbolico cristiano. 3.2. Lordine simbolico cristiano Accedere allidentit cristiana accedere alla fede in Ges come Cristo, Signore, Figlio di Dio. , di conseguenza, far propria la professione di fede da cui nata la Chiesa3. Due precisazioni si impongono fin dallinizio: la prima, a proposito della nozione didentit; la seconda, a proposito del rapporto tra lidentit personale di ognuno come cristiano e la Chiesa. - In primo luogo, parlare didentit non situarsi su un piano semplicemente giuridico o amministrativo. Certamente, non si d identit se non attraverso un processo istituzionale che esige come minimo il conferimento di un nome riconosciuto da tutti, nome debitamente registrato allo stato civile. Un processo come questo molto pi profondo che non un timbro ufficiale apposto alla tessera di adesione a un partito o a un club. Qui, infatti, in gioco la possibilit stessa di esistere come soggetti: un individuo senza identit, e soprattutto senza nome, non potrebbe che essere escluso dalla societ e non potrebbe vivere come soggetto. Parlare didentit soggettiva toccare il punto pi vivo di ci che fa di un essere umano una persona. A maggior ragione si deve dire la stessa cosa quando si tratta didentit cristiana. Diciamo cos perch qui in gioco il riconoscimento del cristiano non soltanto come soggetto umano, ma come soggetto credente: la sua identit personale legata alla professione di fede che egli fa sua, dunque al senso che, su questa base, egli d alla propria vita. Il credente coinvolto personalmente nella propria identit. Eppure, questa passa attraverso la Chiesa come istituzione. Nessuno pu accordare a se stesso lidentit di cristiano: a questo scopo necessario passare attraverso il battesimo; e nessuno pu battezzare se stesso, ma ognuno battezzato da un altro, che agisce come ministro della Chiesa, in nome di Ges Cristo. - In secondo luogo, se unidentit del genere ha una dimensione personale, essa sorge per soltanto allinterno di un modello ecclesiale comune a tutti i cristiani. questo modello che vogliamo ora analizzare. Esiste, infatti, un modello generale didentit cristiana: impossibile dirsi cristiani se non si assimilano alcuni tratti che caratterizzano il cristiano. Tuttavia, questo modello non ununiforme: le esperienze tramite cui si giunge alla fede sono molteplici. Perci, se vero che c un model-

Ci ispiriamo qui alla proposta di L.M. CHAUVET, I sacramenti, Ancora, Milano 1993; ID., Simbolo e sacramento. Una rilettura sacramentale dellesistenza cristiana, Elle Di Ci, Leumann (To),1990, 113 -218.

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lo comune, anche vero, per, che ciascuno pu essere cristiano in modo personale. Questo modello comune lordine simbolico proprio della Chiesa, cio una struttura che vogliamo analizzare. 3.2.1. La struttura dellidentit cristiana Noi rintracceremo la struttura soprattutto nelle opere di Luca: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. a) Tre testi-matrice Alcuni testi di Luca, riguardanti laccesso alla fede, sembrano costruiti su uno stesso modello. Si possono, in particolare, mettere in parallelo gli episodi dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), del battesimo delletiope (At 8,26-40) e il primo racconto della conversione di Saulo (At 9,1-20). Questi brani ci presentano una matrice comune. Nei tre casi, Luca ci situa nel tempo della Chiesa: secondo la sua teologia, dopo la risurrezione di Ges, tutto parte da Gerusalemme per andare verso tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Questo fatto viene indicato in Lc 24, nel movimento da Gerusalemme verso Emmaus (sebbene, in questo primo tempo, che quello del primo riconoscimento del Risorto, vi sia ancora un ritorno verso Gerusalemme), in At 8 da Gerusalemme verso Gaza, in At 9 da Gerusalemme verso Damasco. Nei tre casi, si in presenza di una iniziativa di Dio: attraverso il Cristo risorto in Lc 24, mentre gli occhi dei due discepoli sono chiusi; attraverso il suo Spirito in At 8, mentre chiuso lo spirito delletiope; ancora attraverso il Cristo risorto in At 9, quando stanno per chiudersi gli occhi di Saulo. importante sottolineare che, nei tre casi, liniziativa divina, che sola permette ai discepoli di acced ere alla fede, giunge attraverso la mediazione della Chiesa. questa, senza dubbio, una delle caratteristiche pi rilevanti di questi racconti. Questa mediazione della Chiesa attestata a tre livelli. In primo luogo, tale mediazione presente attraverso il kerigma, che annuncia la morte e la

risurrezione di Ges come chiave di lettura di tutte le Scritture (Lc 24,27), o nella grande pagina di Is 53 (il servo sofferente) che letiope legge senza capire, perch soltanto attraverso una guida pu coglierne il senso (quella guida di lettura che la Chiesa a fornire); quanto al racconto di At 9, vi implicato questo stesso annuncio della risurrezione di Ges crocifisso, dato che la voce dal cielo indica che egli vive nella sua Chiesa: Io sono quel Ges che tu perseguiti! (At 9,5). Si pu notare che, in tutti e tre i casi, questa iniziativa di Dio avvia un itinerario verso la fede che si traduce in una richiesta dei testimoni: Resta con noi perch si fa sera e il giorno gi volge al declino (Lc 24,29); Che cosa mi impedisce di essere battezzato? (At 8,36); Chi sei, o Signore? (At 9,5).

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Ecclesiologia 2012/2013. Parte III: la Chiesa come popolo di Dio

In secondo luogo, questa fede rimane incompiuta finch non viene informata da un gesto

sacramentale: quello dello spezzare il pane in Lc 24,30; del battesimo in At 8,38; dellimposizione delle mani seguita dal battesimo (da parte di Anania) in At 9,17. soltanto allora che si aprirono i loro occhi (cfr. Lc 24,31). In terzo luogo, gli occhi si aprono, ma su unassenza: il Risorto scompare appena riconosciuto in Lc 24,31, mentre in At 8,39 il suo testimone, Filippo, rapito dallo Spirito. Questassenza sa indubbiamente di essere ormai abitata da una presenza. Ed proprio il fatto che questa presenza divenuta spirituale4 a spingere i testimoni a proclamarla nellimpegno missionario: i due discepoli in Lc 24, cos come Saulo in At 9, ne sono ormai gli araldi e i testimoni, mentre in At 8,39 letiope prosegu pieno di gioia il suo cammino, quella gioia cos spesso ricordata da Luca e che, nel suo codice teologico, designa la gioia dei tempi messianici, la gioia della salvezza nella fede. b) Il capitolo 24 del Vangelo secondo Luca La matrice che genera alla fede, quale ci viene presentata nei testi precedenti, pu essere analizzata in forma pi approfondita a partire dal primo di essi. Non inutile, a questo scopo, situare lepisodio di Emmaus nellinsieme del capitolo 24 entro il quale collocato. Anche qui, vanno evidenziati numerosi paralleli fra le tre pericopi principali del capitolo: Lannuncio della risurrezione alle donne venute al sepolcro (vv. 1-12). Lepisodio di Emmaus (vv. 13-35). Lapparizione agli Undici (vv. 36-49).

In tutti e tre i casi i personaggi partono da un desiderio di trovare, di vedere, di toccare: Le donne, di fatto, non trovarono il corpo del Signore Ges (v. 3), mentre Pietro vide so-

lo le bende (v. 12). I due discepoli raccontano che le donne non hanno trovato il suo corpo (v. 23), mentre i discepoli che sono andati a verificare la loro testimonianza non lhanno visto (v. 24). Gli Undici, presi da timore e dubbio, sono invitati dal Risorto a vedere e a toccare (v. 39) Per il momento, da questo insieme di rilievi fissiamo un punto: questi verbi riflettono una isotopia comune, cio si ritrovano allo stesso livello o hanno un tratto similare: ci rimandano tutti al versante

Paolo insegna che il corpo del Cristo risorto un corpo spirituale (cfr. 1Cor 15). Ora, un corpo spirituale pur sempre corpo e non spirito: la risurrezione quindi per Ges Cristo lapice dellincarnazione ( At 13,33). Il corpo del Risorto di natura misteriosa, spirituale (Cf 1Cor 15,45), ma non irreale; tuttaltro. La risurrezione quindi non un ostac olo alla presenza di Cristo, ma la sua condizione, in quanto il corpo di Cristo, divenuto Spirito vivificante diventato t otalmente un essere-relazione, ed esercita la sua signoria facendo esistere in relazione.

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del cadavere di Ges (che cosa si aspettavano di trovare o di vedere, se non il suo corpo morto?) o dei segni della sua morte (vedere le bende, toccare le sue piaghe). Pi avanti, notiamo che la situazione dei testimoni si sblocca grazie al richiamo alle Scritture: Bisognava che il Figlio delluomo fosse consegnato in mano ai peccatori (v. 7). Stolti e tardi di cuore! [] Non bisognava che? (vv. 25-26). Bisogna che si compiano tutte le cose scritte (v. 44).

Questi Bisognava che vanno evidentemente letti dal punto di vista della rivelazione di Dio e del suo disegno di salvezza nelle Scritture: Cominciando da Mos e da tutti i profeti (v. 27), Nella Legge di Mos, nei Profeti e nei Salmi (v. 44). La rilettura cristiana dellinsieme delle Scritture come annuncio della morte e risurrezione del Messia di Dio o, in senso inverso, la rilettura di questa morte-risurrezione come conforme alle Scritture, costituisce la chiave di interpretazione, lermeneutica (cfr. v. 27), lapertura della mente allintelligenza delle Scritture (v. 45), da cui nata la Chiesa. Se dunque, come avviene nellepisodio di Emmaus, il gesto sacramentale dello spezzare il pane, o, come nei due testi precedenti, quello del battesimo, svolge una funzione importante nellaccesso alla fede, sempre sulla base di questa nuova interpretazione della parola di Dio nelle Scritture e della fede nei suoi confronti. c) Lepisodio dei discepoli di Emmaus Sullo sfondo di questo episodio si staglia un interrogativo. Interrogativo che era quello dei due discepoli, uno dei quali di nome Cleopa, ma che pure quello di ogni discepolo di Ges, oggi come ieri: Se vero che Ges risorto ed vivo, come mai non lo vediamo, come mai non possiamo vederlo, toccarlo, trovarlo?. A questo interrogativo, che n pi n meno quello della fede, Luca risponde con una catechesi in forma di racconto, che ha un valore esemplare per ogni credente. Landata e ritorno tra Gerusalemme ed Emmaus pu essere letto a tre livelli: anzitutto geografico; poi teologico: Luca concentra tutte le apparizioni di Ges a Gerusalemme, fuoco e centro unico verso cui converge tutto il suo Vangelo e da cui tutto parte fino agli estremi confini della terra (At 1,8), dopo la risurrezione e la Pentecoste; infine, simbolico: questa andata e ritorno geografici sono simbolo del capovolgimento interiore dei due discepoli, della loro conversione. Questa conversione costituisce una performance: quella del passaggio dalla non-fede alla fede, dagli occhi chiusi agli occhi aperti, dal misconoscimento al riconoscimento. Una tale performance corrisponde a quella che ogni essere umano deve realizzare per diventare discepolo di Ges il Cristo. Ma per poter realizzarla, Cleopa e il suo compagno devono ottenere la competenza necessaria. In questo racconto ci viene descritto lepisodio in cui i discepoli ottengono tale competenza. Esso 332

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segnato da tre indicatori temporali. Una prima sosta per strada: Si fermarono, col volto triste (v. 17). Il riposo a Emmaus: Egli entr per rimanere con loro (v. 29). Il ritorno a Gerusalemme: Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme (v. 33).

a) Il primo indicatore temporale corrisponde allinizio del dialogo tra i due discepoli e il personaggio che si accompagna loro. Essi, pur sapendo tutto su Ges, tuttavia non hanno capito nulla di lui. Certo, lo considerano un profeta, ma nulla pi. Erano arrivati quasi a considerarlo il Messia Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele (v. 21) , ma questa interpretazione politica del messianismo di Ges li aveva messi su una falsa pista. Ancora, degli angeli hanno dichiarato ad alcune donne che egli era vivo; ma n loro, n i discepoli dopo di loro hanno visto lui in persona. Tutto dunque bloccato nel loro spirito: essi si sono come lasciati rinchiudere nel sepolcro della morte insieme con Ges, e le loro difficolt sono pesanti come la pietra che chiudeva questo sepolcro. La situazione comincia a sbloccarsi nel momento in cui essi lasciano al personaggio liniziativa della parola, iniziativa contrassegnata dal richiamo alle Scritture. Infatti, egli propone loro una ermeneutica (: spieg loro), del tutto nuova delle Scritture nel loro insieme: Mos e tutti i profeti (v. 27). Essa riassunta da Luca in una sola frase: Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (v. 26). La morte e la risurrezione del Messia sono la chiave per comprendere tutto il disegno di Dio secondo linsieme delle Scritture. Ora, di capitale importanza discernere in filigrana, attraverso queste espressioni di Ges estremamente sintetizzate da Luca, il discorso della Chiesa. Infatti, che cosa fa la Chiesa? Ogni primo giorno della settimana (cfr. 1Cor 16,2), essa legge, come si faceva nella sinagoga, due testi della Scrittura: un testo di Mos, cio della Torah, e un testo dei Profeti. Questi testi venivano in seguito spiegati nellomelia, la quale, accostando i due brani e saldandoli a un altro passo della Scrittura (ad es., il versetto di un salmo che serviva da apertura a chi teneva lomelia), puntava a evidenziare il senso sempre attuale della parola di Dio. Le prime comunit cristiane hanno adottato con naturalezza, nelle loro assemblee, questa stessa tecnica rabbinica di lettura e di spiegazione delle Scritture. Tuttavia, se la tecnica la stessa, nuova linterpretazione: Mos e i Profeti (con laggiunta dei Salmi, al v. 44) sono ormai interpretati in funzione della morte e della risurrezione di Ges, come mostrano in maniera esemplare i vv. 25-27. In questa prospettiva, se dietro il discorso di Ges risorto sulle Scritture si deve percepire il discorso fondatore della Chiesa (il suo kerigma), si chiarisce il problema che comanda linsieme del nostro racconto: Voi non potete accedere al riconoscimento di Ges risorto, se non rinunciate a vedere, toccare, trovare immediatamente con prove cogenti. La fede inizia proprio con questa rinuncia 333

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allimmediatezza del vedere, sapere e con il consentimento alla mediazione della Chiesa: lui infatti, il Signore, che parla attraverso la Chiesa ogni volta che questa legge e interpreta le Scritture in riferimento a lui o, in senso inverso, ogni volta che rilegge il suo destino di morte e di risurrezione come conforme alle Scritture. In altri termini, ogni volta che lassemblea, la Chiesa, proclama e comprende le Scritture come la parola stessa di Ges ( lui infatti che parla quando si leggono nella Chiesa le sante Scritture: dir il Vaticano II Sacrosanctum concilium, n. 7 , nel solco della Tradizione apostolica), essa il suo portavoce, il suo luogotenente, quindi il suo sacramento. b) Ma questo non ancora lesito definitivo. Perch solo attorno alla tavola a Emmaus, che avviene lapertura degli occhi. Allora Ges prese il pane, disse la benedizione, lo spezz e lo diede loro (v. 30). La successione di questi quattro verbi non casuale: si tratta di quattro verbi tecnici, che ritroviamo nei racconti della Cena. I destinatari del Vangelo di Luca non potevano non pensare al racconto della Cena, dal momento che questo, quale ci trasmesso dal Nuovo Testamento (gi dagli anni 50, cfr. 1Cor 11, dove Paolo intende trasmettere fedelmente ci che ha ricevuto dalla tradizione risalente al Signore), veniva recitato ogni domenica. Come in precedenza coglievano la propria pratica di lettura e di interpretazione ecclesiale delle Scritture in quel Bisognava che di Ges, qui comprendono, in maniera se possibile ancor pi chiara, la propria pratica delleucarestia in memoria di lui. La lezione dunque dello stesso tipo di quella che in precedenza riguardava le Scritture. Anche qui, bisogna vedere Ges in filigrana attraverso la Chiesa: ogni volta ci dice Luca che la Chiesa prende il pane, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo dona, facendo memoria del Signore Ges, lui a fare tutto questo attraverso di lei. I gesti che essa allora compie, le parole che pronuncia, sono gesti e parole di lui. Essa ne , nel senso pi forte del termine, il sacramento. La performance del passaggio dalla non fede alla fede esige lo stesso stacco che era prima richiesto nei confronti del desiderio di prova immediata e lo stesso consentimento alla mediazione della Chiesa. nella Chiesa, che celebra leucaristia come preghiera e come azione di lui, cos come nella Chiesa che accoglie le Scritture come sua Parola, che lo si pu riconoscere come il Vivente. c) Gli occhi dei due discepoli si sono aperti, ma su unassenza: perch, appena riconosciuto, lui spar dalla loro vista (v. 31). Tuttavia, questa assenza ormai per essi piena di una presenza, che essi, nello stesso istante, cominciano ad annunciare. impossibile riconoscere Ges risuscitato senza essere risuscitati con lui in una novit di vita5, e dunque senza vedersi con ci stesso incaricati

Lespressione del v. 33: alzandosi allistante (anastntes aut te hra), dove il verbo anstemi che significa alzarsi uno dei due verbi principali con cui il Nuovo Testamento parla della risurrezione di Ges (egli si alzato dai morti), contiene unallusione a questo risorgere dei discepoli a vita nuova.

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di annunciarlo. Daltronde, lo schema classico dei racconti di manifestazione del Cristo nel Nuovo Testamento lo dicono: dopo aver sottolineato liniziativa del Risorto che si fa vedere, il suo riconoscimento da parte dei testimoni che vedono in lui lo stesso Ges crocifisso, ma in altro modo, si conclude sempre con una parola di invio in missione: Andate a dire, va a dire. Tornando quindi a Gerusalemme, dove cominciano con laccogliere la testimonianza analoga degli Undici, fondata su quella di Simone (v. 34), i discepoli ben presto partirono di l. Ora, questa testimonianza missionaria presenta, nel Vangelo di Luca, ma soprattutto negli Atti, una dimensione etica importante. Infatti, nei piccoli sommari delle attivit e dei comportamenti della prima comunit cristiana di Gerusalemme, che gli Atti ci abbozzano, la comunione tra fratelli occupa un posto importante: la met di At 2,42-47 e i tre quarti di At 4,32-35. Questa comunione (koinona) era prima di tutto quella dei cuori uniti (cfr. At 2,44), unanimi (cfr. At 2,46), fondata sulla fede in Ges. Tuttavia essa si traduceva concretamente in atteggiamenti e gesti di condivisione: se vero che avevano un cuor solo e unanima sola (At 4,32), questunit si manifestava soprattutto nel fatto che ogni cosa era fra loro comune (ibid.). importante avvertire che questa etica della condivisione tra fratelli a favore dei pi bisognosi non aveva per Luca un valore unicamente morale, ma teologale. Il fatto di non avere bisognosi in mezzo a loro assumeva valore di segno: la promessa di Mos si compiva a loro beneficio, essi sono la comunit messianica diventata realt presente6. In altri termini, nel codice teologico di Luca questa condivisione etica ha valore di testimonianza missionaria resa alla risurrezione di Ges. Nella teologia di Giovanni, questa dimensione teologale delletica del servizio agli altri ha una radicamento ancora pi consistente. Infatti, il quarto Vangelo sostituisce intenzionalmente la lavanda dei piedi allistituzione delleucaristia: al posto del comandamento riguardante la memoria rituale del Signore (Fate questo in memoria di me), che egli peraltro conosce (cfr. Gv 6), Giovanni pone un comandamento riguardante la memoria esistenziale: Vi ho dato infatti lesempio perch, come (kaths) ho fatto io, facciate anche voi (Gv 13,15). Basandosi sul senso molto forte che Giovanni d abitualmente a kaths, Lon-Dufour scrive: come se Ges dicesse: Agendo in questo modo, rendo anche voi capaci di agire allo stesso modo7. Non si tratta quindi semplicemente di imitare Ges dal di fuori: lui che d ai discepoli la capacit di agire come lui, lui che in questi discepoli

J. DUPONT, tudes sur les Actes des Aptre, Cerf, Paris 1967, 510. LAutore precisa (p. 508) che la comunione dei b eni non significava certo un trasferimento giuridico di propriet, bens un metterli a servizio dei bisogni di tutti. 7 X. LON-DUFOUR, Condividere il pane eucaristico, LDC, Torino 1983, 239.

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compie il servizio che deve caratterizzarli. La loro etica di servizio ha qualcosa di sacramentale nella misura in cui portatrice del dono di s che Ges ha fatto. Ma anche a prescindere da questa rapida digressione sul Vangelo di Giovanni, la lezione teologica di Luca chiara; egli dice ai suoi destinatari: Non potete realizzare la performance del passaggio dalla non fede alla fede, cio a quellapertura degli occhi che vi permette di riconoscere Ges come risorto e vivo per sempre, se non ricevete da lui la competenza per realizzarla. Perch lui a spiegare il senso delle Scritture, lui a presiedere il gesto dello spezzare il pane, lui che continua il suo servizio agli uomini attraverso i discepoli. A questo scopo, necessario che vi stacchiate dal vostro desiderio (ben naturale) di prove immediate di lui. Se no, finite per ridurlo alla vostra ideologia o ai vostri a priori: allora non pi per voi il Vivente (cfr. Lc 24,5). Piegandolo ai vostri desideri o alle vostre convinzioni acquisite, voi lo manipolate e rifate cos di lui un cadavere, come suggerisce lisotopia dei verbi vedere, trovare, toccare, del capitolo 24. Per accedere alla fede in lui stato davvero necessario che i due discepoli di Emmaus convertissero le loro convinzioni giudaiche, accettando lidea, mostruosa per ogni buon giudeo, di un Messia destinato alla morte. Dovete dunque convertire il vostro desiderio di immediatezza e accettare la mediazione della Chiesa. Ritornando al Padre, il Signore Ges ha lasciato libero il posto, come indica il racconto del lAscensione (At 1,6-11). Questo posto ormai occupato dalla Chiesa in maniera simbolica, mantenendo quindi la differenza radicale: la Chiesa non il Cristo, ma il suo testimone simbolico. Ci significa che la sua ragion dessere originaria e costante di rinviare a lui. Nella Chiesa si struttura la fede, perch la Chiesa ha il compito, in mezzo al mondo e per il mondo, di mantenere viva la memoria di ci per cui egli ha vissuto e del perch Dio lo ha risuscitato da morte; memoria attraverso le Scritture, lette e interpretate come parlanti di lui o come sua Parola viva; memoria attraverso i sacramenti (qui, lo spezzare il pane), riconosciuti come i suoi gesti salvifici; memoria attraverso la testimonianza etica della condivisione, vissuta come espressione del suo servizio agli uomini. 3.2.2. La mediazione della chiesa Notiamo che stiamo parlando dellidentit cristiana, non della salvezza degli uomini. Non si dice: Fuori della sfera della Chiesa non c salvezza, ma: Al di fuori della Chiesa non c salvezza r iconosciuta, cio non c possibilit di professione di fede in Ges come Cristo. Si pu essere salvati senza essere cristiani, cio senza appartenere alla Chiesa visibile (cfr. LG 16), ma non si pu essere cristiani senza appartenere alla Chiesa, poich lidentit cristiana inizia con la professione di fede in Ges Cristo, professione che originariamente costitutiva della Chiesa. In questo senso, non vi sono cristiani anonimi. 336

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Daltra parte, la Chiesa non un ghetto, ma esiste e ha senso soltanto in rapporto al Regno che, nel mondo, pi ampio di essa (LG 5; RM 17-20). La Chiesa non questo Regno, ne soltanto il sacramento, ma per essere tale necessario che ne sia il segno, quindi che ne presenti dei contrassegni. Questi contrassegni sono molteplici. Possiamo per ricondurli ai tre che gi abbiamo fissato. In effetti, esiste una serie di azioni, che sono ufficialmente compiute da incaricati nella Chiesa o in nome della Chiesa e che sono cos caratteristiche per la vita ecclesiale da essere compiute regolarmente o in situazioni decisive da singoli membri o da gruppi di membri della Chiesa: predicazione, catechesi, culto, sacramenti, preghiera, amore del prossimo, servizio dei poveri, impegno sociale e politico Tutte queste azioni risalgono in qualche modo a azioni strutturali esemplari della storia di Ges o del popolo dIsraele. Nel corso della storia della teologia si sono fatti vari tentativi di riassumere questa molteplicit in alcuni atti fondamentali. Larticolazione pi convincente ci sembra rifarsi a quella trilogia che abbiamo gi segnalato: (1) predicazione e testimonianza, (2) culto, sacramenti e preghiera, (3) servizio per amore e comunione fraterna, o detto in termini neotestamentari: martyria (martyra), leiturghia (leitourga), diakonia (diakona). Tale triplice suddivisione dovrebbe essere quella pi indovinata, perch riprende gli atti fondamentali della vita di Ges e, nel medesimo tempo, gli aspetti fondamentali delle grandi assemblee del popolo dIsraele. Poich gli aspetti fondamentali della storia e della missione di Ges rimangono la norma e la misura sia dellesistenza cristiana che di tutta la comunit di coloro che si sono lasciati coinvolgere in questa storia e in questa missione, essi apparvero subito anche come gli atti fondamentali della comunit cristiana che si andava formando Erano assidui nellascoltare linsegnamento degli apostoli e nellunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (At 2,42). Tali atti fondamentali, dal momento che strutturavano la missione e lesistenza della comunit cristiana, dovevano anche trovare una realizzazione istituzionale storica nella Chiesa. Esistono pertanto numerose forme storiche (anche desunte altrove e poi modificate), in cui nella testimonianza apostolica la funzione kerygmatica e testimoniale della Chiesa, la sua funzione cultuale e la sua funzione diaconale e comunionale si sono istituzionalizzate e concretizzate. In fondo pero tali atti non sono atti perch hanno dato vita a istituzioni importanti, ma perch denominano di volta in volta, con diversa accentuazione, il tutto della missione e dellesistenza ecclesiale. I membri della Chiesa non predicano e non testimoniano solo mediante le forme speciali dellinsegnamento religioso, bens anche mediante azioni cultuali, mediante una vita veramente cristiana, mediante atti di amore del prossimo, mediante rappresentazioni artistiche ecc. N il culto si limita alle azioni liturgiche specifiche. Non solo la predicazione pu essere una parte o una forma del culto, bens anche la vita cristiana una forma di liturgia. Pure lelemento sacramentale molto pi ampio dei sette sacramenti della 337

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Chiesa. La presenza simbolica di Cristo si esplica in molte forme, dal ministero ordinato fino al servizio dei poveri. In maniera simile neppure il momento diaconale della Chiesa si limita alla sua attivit assistenziale, sociale e caritativa, ma abbraccia, qualifica e norma tutte le altre sue attivit. I tre atti menzionati sono quindi fondamentali in quanto si determinano, delimitano e spiegano a vicenda. Gli atti fondamentali - martyria, leiturghia, diakonia - sono funzioni della missione della Chiesa solo perch e in quanto dapprima la Chiesa a essere il risultato di tali funzioni. La Chiesa ha il compito di predicare e di testimoniare perch e in quanto a sua volta creatura della Parola di Dio. Essa ha il compito di celebrare il culto e i sacramenti perch a sua volta di continuo costituita dalla partecipazione ai doni eucaristici. E ha il compito della diaconia e della comunione fraterna perch a sua volta nata dal servizio di Ges e dal servizio di quanti lhanno seguito. b) La priorit del noi ecclesiale Quanto abbiamo esposto mostra che la Chiesa prima degli individui: non sono i cristiani che riunendosi formano la Chiesa, ma la Chiesa che fa i cristiani. Questa una verit fondamentale. In altre parole, non ci sono uomini e donne che, innestati in qualche modo direttamente su Ges Cristo, sarebbero cristiani ognuno per conto proprio, e la cui somma formerebbe la Chiesa. Per essere cristiani bisogna invece appartenere alla Chiesa. Il Vangelo comunitario per natura, e credere in Cristo automaticamente essere messi assieme da lui, professato come il nostro Signore comune. ci che risalta in forma eminente nel battesimo, che precisamente il sacramento dellingresso nella Chiesa: qui infatti, come sottolinea san Paolo almeno a tre riprese, le barriere che separavano, secondo le rappresentazioni comuni della sua epoca, le due grandi parti dellumanit (Giudei e Greci), i due statuti sociali principali (schiavi e liberi) e i due sessi (con la sottomissione delle donne agli uomini resa visibile sul piano religioso dalla posizione inferiore che era loro assegnata sia nel Tempio di Gerusalemme sia nelle sinagoghe), sono superate (cfr. Gal 3,26-28; Col 3,10-11; 1Cor 12,13). Cristo non forse morto per abbattere il muro di separazione (Ef 2,14) e per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace (Ef 2,15)? Il battesimo non forse quel gesto della fede con cui spogliati delluomo vecchio con le sue azioni ci si riveste delluomo nuovo (cfr. Col 3,9-10)? Quelluomo nuovo non designa soltanto il Cristo personale, ma anche il corpo di Cristo collettivo (come lAdamo di Gn 2 designava luomo generico, luomo vecchio nel testo di Col 3,9): non c pi Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo tutto e in tutti (Col 3,11). Le differenze non sono ormai pi delle barriere: esse forniscono invece al corpo di Cristo quella ricca diversit di membra e di funzioni di cui tutto il corpo ha bisogno; laltro non va pi considerato come un rivale di fatto o un nemico potenziale, special338

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mente sul piano religioso, ma va accolto come fratello. La creazione di questo nuovo noi in forza del battesimo si esprime particolarmente nelleucaristia, dove ogni preghiera viene recitata alla prima persona plurale8: Noi ti preghiamo, Ti rendiamo grazie, Ti supplichiamo, Ti offriamo ecc. Ora, come ci insegnano i linguisti, il pronome noi non designa una somma di io e di tu, ma forma in partenza una persona complessa. Se dunque, sulla scia del Vaticano II, si sottolinea giustamente che attore della celebrazione la Chiesa come tale, intesa nel suo senso primario di assemblea, non per ideologia democratica, ma per una ragione propriamente teologica: il sacerdote che presiede (tutti celebrano, ma uno solo presiede) manifesta sacramentalmente o ministerialmente che il Cristo stesso a presiedere e a esercitare, in mezzo allassemblea e a suo favore, il suo sacerdozio unico; e proprio perch il Cristo che presiede, tutte le membra del suo corpo sono attori con lui sulla base della fede e del battesimo. quindi la comunit che agisce: agisce come corpo, come corpo costituito, come corpo di Cristo, anche se i ruoli e le funzioni, e in primo luogo quella del prete, sono distribuiti al suo interno in maniera diversificata. Di conseguenza, pi si sottolinea che lazione liturgica lazione del Cristo stesso risuscitato in forza dello Spirito come attesta appunto la presidenza del ministro ordinato , pi si portati a sottolineare che lassemblea, che forma il suo corpo umano attuale, la mediazione sacramentale attiva della sua azione, specialmente della sua lode al Padre e della sua supplica per gli uomini suoi fratelli. Nessuna verit pi radicata nella Tradizione, sebbene la si sia dimenticata a partire dal Medioevo. Lo stesso san Paolo ne testimone in 1Cor 11,17-34, dove egli riferisce sempre la cena del Signore al voi comunitario, e, nel capitolo 10, il soggetto che benedice la coppa e spezza il pane il noi dellassemblea (il che non impedisce affatto che essa venga presieduta da un ministro):
Il calice della benedizione che noi benediciamo, non forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non forse comunione con il corpo di Cristo? Poich c un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dellunico pane ( 1Cor 10,16-17).

Lex orandi, lex credendi: la Chiesa crede secondo il modo in cui essa celebra. La liturgia quindi un luogo teologico di primaria importanza. Essa ci mostra a modo di agire simbolico che ognuno diventa cristiano soltanto perch preso dentro la matrice comunitaria della Chiesa. Perci si pu e si deve dire: Non sono i cristiani che riunendosi formano la Chiesa, ma la Chiesa che fa i cristiani.

Due eccezioni confermano la regola: quella del Confesso a Dio, perch deriva da unapologia personale del sacerd ote nel Medioevo; e quella del Credo in Dio, perch viene dalla liturgi a del battesimo, in cui ciascuno era tenuto a professare personalmente la sua fede.

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Cos la Chiesa costituisce per ognuno la mediazione concreta prioritaria del suo rapporto col Dio vivente rivelato in Ges. Grande la tentazione di cedere al desiderio di un rapporto immediato con Cristo o di una illuminazione diretta da parte dello Spirito Santo. Lincontro con Dio, ci dice la fede cristiana sulla base dellincarnazione di Dio in Ges, passa attraverso lincontro con gli altri. La Chiesa, prima di tutto attraverso lassemblea locale ne lespressione concreta. Grande il mistero della fede! (cfr. 1Tm 3,16): prima di essere applicata alleucaristia, questa espressione si applica allassemblea concreta in quanto Chiesa. C del mistero e dello scandalo in questo. La cosa tuttaltro che ovvia, e la difficolt per lintelligenza di credere nella presenza del Cristo rischia di fungere da falso ostacolo, se non si vive questo scandalo primario, che di ordine esistenziale: quello di un incontro con il Cristo vivente che non possibile se non tramite la mediazione concreta di una Chiesa, santa, ma fatta di peccatori; corpo di Cristo, ma formata di membra divise; tempio dello Spirito, ma cos poco missionaria. Lassemblea concreta di ogni domenica fa inciampare il cristiano nella dura realt di questa mediazione che ognuno cerca di dimenticare. La pietra dinciampo che la Chiesa costituisce indica chiaramente anche lostacolo che la fede deve superare: la tentazione della immediatezza, di essere cio in relazione diretta con Cristo Luca direbbe rinunciare allimmediatezza di un vedere, trovare, toccare. I cristiani sanno certamente di non poter essere in presa diretta con Cristo. Eppure essi sono abitati dallo stesso desiderio fondamentale di immediatezza che muoveva i destinatari diretti del Vangelo di Luca. Questo desiderio pu assumere mille forme, a volte molto sottili. Se ne possono connettere le tre forme principali ai tre poli della nostra struttura didentit cristiana. La sopravvalutazione del polo Scritture pu portare a una tale venerazione della lettera della

Bibbia da cadere nel fondamentalismo. In forma pi sottile, la sopravvalutazione del polo della conoscenza spinge alcuni cristiani a classificare gli altri in funzione del loro sapere teologico o della loro capacit di esprimere in maniera critica la loro relazione con Dio. In questa prospettiva, il modello del cristiano sarebbe il teologo o il cristiano critico. Se la prima tentazione si sviluppata maggiormente nelle Chiese uscite dalla Riforma, la se-

conda, che sopravvaluta il polo dei sacramenti, caratterizza pi intensamente il mondo cattolico. Con la scusa che i sacramenti sono mezzi di salvezza e che agiscono ex opere operato, si pone in essi una tale fiducia che essi tendono a occupare lintero campo della vita cristiana. In questa prospettiva, che rasenta la magia, il modello del cristiano il praticante. La tendenza a sopravvalutare il polo delletica transconfessionale. Essa pu assumere due forme principali: la prima, pi politica, in cui il modello del cristiano il militante che, attraverso il suo impegno per la giustizia, fa avanzare il regno di Dio sulla terra, e in cui lortodossia viene 340

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giudicata sul metro dellortoprassi; la seconda, pi emotiva, dove il modello del cristiano il carismatico, la cui testimonianza personale, facendo leva su quella fraterna del gruppo, annuncia in maniera convincente la presenza del Cristo risorto e lazione dello Spirito. Aggrappato allora a questo punto fisso immaginario, il cristiano manipola Dio, Cristo o il Vangelo. Egli fa cos del Vangelo lo specchio dei propri desideri. Cos fa di Dio un idolo e, senza accorgersene, torna a fare di Cristo un cadavere, invece di lasciarlo essere il Vivente. Sono, questi, altrettanti modi, spesso sottili, di mettere le mani su di lui (cfr. Mt 26,50). c) Mantenere la distanza Ora, la fede vive unicamente grazie allo scarto fra i tre poli. precisamente questo scarto a mediare concretamente la distanza con Dio, il rispetto della sua differenza. Scarto scomodo, perch mantiene costantemente unassenza. Ma questa assenza, che limmaginario tende continuamente a colmare, ci che permette a Ges di essere veramente presente nello Spirito come il Vivente, rispettando la sua signoria. pure ci che permette ai cristiani lo spazio della creativit personale. La buona salute della fede richiede perci che il cristiano trovi un equilibrio su questo tripode. La lettura delle Scritture potrebbe, infatti, essere ancora cristiana, se non venisse riferita, da un lato alla liturgia, dove nellatto della loro proclamazione nellassemblea ecclesiale si attesta che esse s ono parola di Dio per oggi, e dallaltro alla vita etica, dove esigono di incarnarsi? Come potrebbe la partecipazione ai sacramenti essere cristiana, se non venisse riferita, da un lato alle Scritture, sul cui fondamento la liturgia non semplice celebrazione di Dio in generale, ma del Dio rivelato nella vita, morte e risurrezione di Ges, e dallaltro alla vita etica, dove il cristiano chiamato a verificare cio a rendere vero ci che ha celebrato e ricevuto nel sacramento? Infine, come potrebbe la pratica etica essere cristiana se, da un lato, non fosse confrontata alle Scritture come alla propria fonte, e dallaltro radicata nella celebrazione liturgica? Precisiamo che ci che fa della vita etica una realt cristiana non n il suo campo destensione (che lo stesso per ogni uomo), n il suo grado di affinamento (la massima non fare ad altri ci che non vorresti fosse fatto a te era nota agli antichi e ai Giudei del tempo di Ges), n il suo livello di generosit: questa pu arrivare a distribuire tutti i beni ai poveri o persino a farsi bruciare vivi per una causa nobile, senza per questo essere un atto veramente cristiano (cfr. 1Cor 13). A renderla cristiana non la sua materia, ma la forma che le dona lamore inteso come risposta allamore primo di Dio (ibid.). Ora, la liturgia il luogo in cui si attesta questa priorit del dono gratuito di Dio (eucaristia). La vita etica, di servizio agli altri, trova la sua identit propriamente cristiana, soltanto nella misura in cui essa vissuta come risposta a questo amore primo, e dunque si abbevera ai sacramenti. 341

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3.3. La Chiesa: comunione/tradizione Per determinare in modo pi preciso la struttura essenziale della mediazione ecclesiale ci siamo riferiti ad alcuni racconti esemplari che ci hanno mostrato il nascere della Chiesa e il costituirsi simultaneo dellordine simbolico cristiano, mediante il quale offerto oggettivamente ad ogni persona la possibilit di divenire discepolo di Ges Cristo (cfr. Mt 28,18-20). Sistematizzando queste indicazioni diciamo che la Chiesa nel momento in cui nasce si costituisce come comunione che scaturisce dallannuncio, un annuncio che ha come contenuto la storia di Ges Cristo, una comunione che ha un carattere insuperabilmente interpersonale, cio si realizza attraverso la condivisione dellesperienza che si fatta di Ges Cristo. Tale comunione infine ha la sua origine e il suo fine nella comunione con Dio (cfr. 1Gv 1,1-4)9. La chiesa pu essere dunque descritta come questo evento della comunione, come quel popolo adunato de unitate Patris et Filii et Spiritus (LG 4). 3.3.1. La dinamica testimoniale della fede cristiana 1) Abbiamo finora individuato dentro il dato globale della chiesa la struttura dinamica dellordine simbolico cristiano: essa ci offre un modello euristico in grado di segnalare il complesso delle relazioni strutturali che dicono il sorgere e il perpetuarsi della chiesa stessa nella sua identit. Questo elemento particolare, perch potesse fungere da modello euristico, doveva avere le medesime qualit di fondo del dato globale e doveva essere un dato dinamico, capace di mostrare un complesso relazionale che dicesse, nellinsieme della storia, il passaggio fra il non-esserci e lesserci della chiesa e, quindi, il dinamismo e gli elementi determinanti di questo passaggio. Non solo, era necessario pure che questo particolare fosse un evento che facesse da spartiacque fra la nonesistenza e lesistenza della chiesa e che, per poter essere adeguatamente conosciuto, si situasse non solo al livello storico ma anche a quello misterico. Inoltre il dato poteva fungere da modello solo se era un evento per natura sua infinitamente riproducibile in forme e contesti diversi. Queste osservazioni preliminari ci hanno condotto a concentrare la nostra attenzione su quel dato dellesistenza della chiesa che stato il suo inizio. Levento dellinizio della chiesa, effettivamente, fu un accadimento storicamente registrabile e, allo stesso tempo, fu quello che fu solo perch fu vissuto allinterno di una struttura di fede; anzi solo la libera apertura dei protagonisti allirruzione del

Ci ispiriamo con integrazioni alla proposta di S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta , Cinisello Balsamo (Mi), Edizioni Paoline, 1993; cfr. S. DIANICH S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2002.

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Regno nella loro vicenda storica lo rese possibile. Se non fosse stato vissuto in queste coordinate, non si sarebbe trattato dellavvenimento della nascita della chiesa. Quellaccadimento inoltre i ncessantemente riproducibile, perch dovunque e sempre possibile che dei credenti testimonino la fede ad altri e cos si verifichi di nuovo il germinare, in tempi nuovi e in spazi inediti, dello stesso accadimento. Ancora: un fatto che si pone in essere come un complesso di relazioni, cos da poter fungere da modello euristico e non da puro e semplice prototipo. La chiesa, infatti, nasce dallannuncio del Vangelo apostolico10, che viene comunicato nella Parola e nel sacramento ricevuto mediante la fede11. Lannuncio del Vangelo non va quindi inteso solamente come annuncio verbale: esso ha le stesse qualit della rivelazione; ma questa, come insegna il Concilio (DV 2), avviene con eventi e parole (gestis verbisque) intimamente connessi fra loro. Latto con cui la chiesa genera alla fede nuovi credenti quindi un atto complesso e qualificato dalle tre dimensioni essenziali che abbiamo individuato nellordine simbolico cristiano: martyria, leiturghia, diakonia. Lannuncio ha, quindi, fin dallinizio e strutturalmente una forma sacramentale e una qualit etica. Esso perci un atto comunicativo performativo, capace cio non solo di trasmettere una verit, ma anche di produrre una realt nuova, ossia la nascita di un nuovo rapporto fra gli uomini, che il germe della chiesa. Questa trasmissione della fede non solo qualcosa che la Chiesa fa, ma dice come la Chiesa o, meglio, come la Chiesa si fa nella storia: La chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ci che essa , tutto ci che essa crede (DV 8). Il fatto non si riprodurr mai nella forma di una pura e semplice ripetizione. La chiesa con il suo dinamismo storico sempre diversa, ma sempre vi si potr ritrovare il complesso strutturale delle relazioni che ne compongono il momento germinale.

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Il Vangelo per la chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo: LG 20a; Il mezzo principale per questa fondazione (= implantatio) [della chiesa] la predicazione del vangelo di Ges Cristo: AG 6c; La chiesa nasce dallazione evangelizzatrice di Ges e dei Dodici Nata, di conseguenza, dalla missione, la chiesa , a sua volta, invi ata da Ges Inviata ed evangelizzata, la chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori a pr edicare non le proprie persone o le loro idee personali, bens un Vangelo di cui n essi, n essa sono padroni e proprietari assoluti per disporne a loro arbitrio, ma ministri per trasmetterlo con estrema fedelt: PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 15. 11 COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA EVANGELICA LUTERANA, Chiesa e giustificazione. La comprensione della chiesa alla luce della dottrina della giustificazione (11 IX 1993), n. 39, in EO III, 1269. Il documento, frutto del dialogo internazionale cattolico-luterano, prosegue ricordando che la comunicazione del Vangelo nella Parola e nel sacramento implica il servizio della predicazione della Parola e dellamministrazione dei sacramenti. Ci corrispo nde alla testimonianza biblica, secondo la quale il servizio della riconciliazione (2Cor 5,18ss) fa parte della parola di riconc iliazione. Predicazione della Parola e amministrazione dei sacramenti non sono quindi solo atti momentanei, ma realt fondamentali che caratterizzano la chiesa in modo permanente. Mentre tutti i fedeli, ognuno al suo posto, devono diffondere il vangelo, la predicazione della Parola e lamministrazione dei sacramenti come atti pubblici [della Chiesa] d ipendono in permanenza dal ministero istituito da Dio: ibid., 1270. Si veda in tal senso anche il bel testo del Gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza Episcopale Tedesca e della Direzione della Chiesa Evangelica Luterana Unita di Germania, Communio sanctorum. La Chiesa come comunione dei santi, Morcelliana, Brescia 2003, 35-38.

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In questo evento, intanto, si trova gi la risposta alla prima e pi semplice domanda: quando e come nacque e continuamente rinasce quellaggregazione umana che chiamiamo chiesa? La comunicazione della fede fatta da un credente e accolta da un nuovo credente la dinamica testimoniale articolata nel nostro triplice polo senza dubbio la base e il punto di partenza di tutta la rete di rapporti che lega fra loro i credenti e costituisce la chiesa. Cos il fatto dellinizio sembra portare in s, sotto il segno della massima semplificazione, come in germe, tutta la complessiva dinamica dellesistenza ecclesiale. Il complesso relazionale di questo evento potr fornire, dentro il modello dellinizio, anche il principio dal quale far partire tutto il processo interpretativo. 2) Questo evento fontale, che davanti a noi come un dato di fatto accaduto allinizio della storia della chiesa e che accade ogni volta che la chiesa si rigenera, occupa un posto assolutamente singolare nel dato globale della sua esistenza. Infatti qui siamo in presenza di unazione che si presenta come latto fondamentale della missione della chiesa e, allo stesso tempo, come il luogo di origine della sua stessa esistenza. Latto della comunicazione della fede risponde sia alla domanda: La chiesa cosa fa?, sia alla domanda: Cos che fa la chiesa?. Si tratta di unazione storica, storicamente constatabile, che colloca la chiesa al suo legittimo livello di realt empirica e ci dice sia cosa faccia la chiesa nella storia, sia da cosa essa derivi. Allo stesso tempo, proprio nella comunicazione della fede, laggregazione dei credenti si crede creatura Verbi et Spiritus, per la precisa consapevolezza che la fede azione di Dio in noi. E questo non solo allinizio, ma lo cont inuamente, ogni qual volta la chiesa si rigenera. Lo sia quando in uno spazio umano, nel quale non esisteva, sta nascendo una comunit cristiana, sia quando una chiesa ormai piantata si rigenera di generazione in generazione, perch lannuncio viene tramandato, sia quando la comunit cristiana con la sua opera di evangelizzazione aggrega a s nuovi credenti. La trasmissione della fede, inoltre, non solo linizio in senso cronologico dellesistenza della chiesa, ma ne anche lelemento costitutivo primordiale, lessenziale principio dinamico. Tutta la dinamica complessiva della comunicazione della fede evidenzia il dinamismo fondamentale della Paradosis: lapostolo che trasmette ci che ha ricevuto dal Signore mette in moto un processo storico che ha raggiunto il nostro tempo e che noi crediamo, sulla parola del Signore, non si arrester sino alla fine. La chiesa, in fondo, nella storia questo processo storico. N si tratta solo di una vicenda empiricamente definibile nei termini di un qualsiasi processo storico. Nel ricevere e trasmettere la buona notizia, infatti, i credenti sono consapevoli di essere mossi dallo Spirito Santo, perch senza di lui non si pu proclamare che Ges il Signore (1Cor 12,3); vivono lesperienza della pasqua narrando la morte di Cristo non come una storia triste, ma facendone memoria nelleucaristia come di un evento glorioso e, annunciando il vangelo, si aprono alla comunicazione 344

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universale, perch esso Parola non pi legata a una sola legge e a un solo popolo. In questo ormai bimillenario processo storico si riproduce continuamente la chiesa e nascono nella Catholica nuove chiese e si rinnova continuamente il Vangelo. Fra la chiesa e la storia sta cos il principio dinamico della comunicazione della fede, capace di spiegare il carattere storico e, allo stesso tempo, il carattere misterico della chiesa, senza il quale essa resterebbe ignota nella sua dimensione autentica. 3. Porre al principio di tutto il processo interpretativo della chiesa la dinamica testimoniale significa ritenere che dalla struttura di questo atto comunicativo possano venire comandati gli sviluppi essenziali della costituzione stessa della chiesa e del suo rapporto con il mondo, della sua missione. Verso la comunit La realt della chiesa si compone di molti elementi, ma essa non esisterebbe se non fosse mossa allinterno dal dinamismo della comunicazione della fede, liberamente trasmessa e accolta. Il suo inizio non si configura come lorigine di una stirpe: alla chiesa non si appartiene per nascita, n vi si introdotti solo attraverso un rito iniziatico12. Ci che fa la chiesa lannuncio che Ges risorto ed Signore e laccoglimento di questo annuncio, sigillato dalla condivisione della professione di fede e dalla ricezione del battesimo. Da questo atto comunicativo nasce quel fondamentale rapporto comunionale fra i credenti che costituisce la base della esistenza ecclesiale. Il prologo della 1Gv (1,1-4) ci d una delle descrizioni pi significative del primordiale evento del Vangelo: il testimone racconta la sua esperienza di fede, come abbia incontrato Ges, lo abbia toccato con le proprie mani, visto con i propri occhi e creduto come Verbo della vita. Poich questo racconto accolto con fede, si crea fra il testimone e linterlocutore una comunione. La comunione che lannuncio della fede produce fra i protagonisti dellevento non un fattore nuovo e assolut amente originario, perch partecipazione a quella comunione con Dio di cui gi gode lannunciatore, e, ultimamente, partecipazione alla comunione che lega fra loro il Padre e il Figlio. Lattestazione del prologo della 1Gv, rapportando lannuncio alla comunione, non svela tanto una intenzione esplicitamente progettata dal testimone, ma piuttosto rivela una forza inscritta nella testimonianza ecclesiale stessa. Laffermazione, infatti, che Ges risorto ed il Signore non indica esclusivamente un referente oggettivo, non dice semplicemente una cosa conosciuta: una professione di fede; il suo oggetto non in alcun modo una semplice acquisizione intellettuale, che sarebbe possibile comunicare senza alcun coinvolgimento del soggetto stesso. Se si tratta di comunicare

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Gv 1,13: non da sangue n da volere di carne. Non si dimentichi poi che il rito battesimale presuppone la fede accolta e professata; la stessa casistica postridentina imponeva, nel caso limite di un battesimo amministrato ad un bambino da un non credente, che il ministro avesse almeno lintenzione di fare ci che fa la chiesa, perch almeno attraverso questo esile filo il rito ricevesse senso dalla fede.

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ci che si crede, non si pu dimenticare che il creduto oggetto e termine di una certezza profondamente deliberata e liberamente scelta, voluta e amata. Perci chi annuncia non trasmette semplicemente una notizia neutrale, ma d allaltro, in qualche maniera, se stesso, divenendo con ci un testimone. Se, allora, testimoniare la fede significa dar vita a un atto comunicativo di questo genere, naturale che linterlocutore, qualora non si rifiuti al consenso, venga immediatamente coinvolto nella stessa esperienza del testimone e cos si instauri fra i due una comunione profonda. In tal modo appare chiaro perch il nostro prologo, descrivendo lannuncio evangelico, lo veda sfociare in una comunione che con il Padre e il suo Figlio Ges Cristo. Infatti la comunicazione dellesperienza di fede da parte dellapostolo non coinvolge linterlocutore in un rapporto con Cristo quale profeta defunto che ha istituito una chiesa di cui ora linterlocutore invitato a far parte: lo coinvolge invece in quel rapporto con Cristo che operato in lui dallo Spirito e che lo pone in una comunione interiore con la stessa interiorit di Cristo, l dove Cristo in comunione con il Padre. Grazie allazione dello Spirito nel cuore delluomo, siamo quindi di fronte a una misteriosa partecipazione alla comunione esistente tra il Padre e il Figlio, e tutto il rapporto fra i credenti intrecciato con il mistero del rapporto intercorrente fra le persone della Trinit (cfr. Gv 17,21). Cos lannuncio del Vangelo diventa principio di unaggregazione di fede singolare e nuova anche rispetto alla tradizione di Israele. Se il principio la fede e non la legge, ovvio che ormai non conta pi essere n giudeo n greco (Gal 3,28; cfr. 1Cor 12,13; Col 3,11). Solo la fede in Ges morto e risorto, suscitata dallo Spirito, personalmente testimoniata e liberamente accolta, lega i protagonisti dellevento in una profonda comunione interiore. Certo, la fonte della comunione lo Spirito nella sua divina libert e imprevedibilit. Per la sperimentabilit del suo dono al livello storico, laspetto verificabile della comunione, si d attraverso il processo complessivo della testimonianza. Il rapporto fra le persone derivante dallannuncio e fondante una nuova e singolare aggregazione religiosa un fatto di grazia, possibile solo mediante la fede dei suoi protagonisti, la quale a sua volta pu essere soltanto dono dello Spirito. Levento per si presenta con un suo carattere empirico e storico, in quanto si compie dentro un fenomeno di comunicazione umana che accade nello spazio e nel tempo ed ha per protagonisti uomini concreti, storicamente situati: un evento della storia umana. Certo: le sue dimensioni misteriche non sono percepibili empiricamente, n sono rilevabili da parte del sociologo e dello storico, per vengono credute e vissute dentro levento storico, e vi sono connesse a tal punto che, senza di esse, lo stesso evento storico non esisterebbe. Le sue implicazioni di carattere trascendente hanno senso solo per i credenti che vi si lasciano coinvolgere, ma il fenomeno storicamente verificabile della testimonianza, con tutte le sue conseguenze rilevabili sulla scena della storia, resta un fatto carico di senso anche per chi non vi coinvolto. 346

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A questo livello il mistero di comunione portato dallannuncio si concretizza nel sorgere di unaggregazione sociale dotata di una precisa e determinata forma storica, che ha avuto fin da principio la preoccupazione di mantenersi fedele alla propria origine come condizione irrinunciabile della propria autenticit. Essa un soggetto storico determinato che destinato ad attraversare la storia ma restando fedele al proprio principio e conservando la propria identit. Dunque levento della comunicazione della fede che fa partecipare alla comunione col Padre e col Figlio suo d origine alla chiesa perch non limitato allinizio, ma si riproduce nel tempo, mantenendo la propria identit e le medesime caratteristiche. Questa identit possibile grazie a delle mediazioni, quali la Scrittura e i sacramenti affidate istituzionalmente al ministero apostolico; ma tali mediazioni non realizzano la comunione ecclesiale senza lazione dello Spirito (che suscita la fede in ci che la Scrittura annuncia, che opera ci che i sacramenti intendono, che abilita allesercizio del ministero). A questo proposito, al fine di comprendere la chiesa come comunione non solo occasionale, ma che ha una permanenza storica, pare fondamentale il concetto di Tradizione, cio la trasmissione nel tempo della realt totale della chiesa che mantiene una fondamentale identit con se stessa, nonostante i mutamenti storici. La nozione di tradizione decisiva perch collega un lato esterno, una continuit storicamente percepibile e documentabile che permette di riconoscere la chiesa nelle diverse epoche storiche, e unazione interiore dello Spirito che mantiene questa identit e collega il presente con lorigine normativa. In sintesi, la chiesa insieme comunione e tradizione. Verso il mondo. Questo nostro principio ci permette di comprendere anche il rapporto della chiesa stessa con il mondo. La testimonianza avviene nel mondo e, come ogni altro avvenimento storico, produce nella storia dei processi di assestamento, che coinvolgono uomini, istituzioni e intere civilt. Questo semplicemente un dato di fatto: certamente in molte cose la storia dellumanit avrebbe seguito percorsi diversi, se non fosse accaduto che un giorno in Gerusalemme qualcuno avesse proclamato che Ges era risorto e che, per salvarsi, bisognava ritenerlo lunico Signore della storia. Ora, lenunciazione della fede e la sua proposizione centrale Ges risorto ed il Signore sembrano appartenere decisamente a un linguaggio iniziatico, cio a un tipo di discorso nel quale lenunciazione ha senso solo per chi ritiene vero lenunciato. Per chi si rifiuta di credere non ha alcun senso laffermazione che un uomo crocifisso risuscitato e che oggi il destino del mondo nelle mani di un risorto da morte. Quando poi la chiesa esprime la sua fede attraverso la sua simbolica e i suoi riti, il suo discorso diventa sempre pi incapace di entrare nella conversazione umana e di intrecciarsi con il discorso degli uomini. Le resta sempre la possibilit di chiamare gli uomini a credere e ad appartenerle mediante la condivisione della sua fede. Ma con chi non accettasse linvito la

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conversazione rimarrebbe chiusa, oppure si riaprirebbe in forza della carit che ci spinge (urget nos: 2Cor 5,14) e di quel Guai a me se non evangelizzassi (1Cor 9,16). Ci nonostante la chiesa non ha mai rinunciato alla conversazione mondana, ed oggi, finito il tempo della contrapposizione, ancor pi consapevole del dovere che le incombe di dialogare con il mondo (cfr. GS cap. IV). Dialogare significa porre un atto comunicativo che abbia senso anche per chi non riterr vero lenunciato. Ebbene, la testimonianza cristiana intende essere un atto comunicativo del genere. Esso pu avere senso per il non credente prima di tutto perch il soggetto della proposizione Ges il Signore non Dio, ma appunto Ges, cio un soggetto storico. E se laffermazione che Ges risorto risulta priva di senso per chi ritiene assurda lidea di una risurrezione, le implicazioni dellaffermazione stessa, cio che questo soggetto era morto ed era stato crocifisso per aver detto e fatto certe cose nel corso della sua vita, sono dotate di senso per chiunque. Sono una pagina della grande vicenda umana. C poi una seconda ragione della possibile universale sensatezza dellannuncio: si tratta di un atto linguistico fortemente autoimplicativo. Uno dice ad altri che Ges il Signore solo se ci crede. Non pu darsi alcun krygma consistente nella pura e semplice enunciazione di un dato oggettivo. Non si pu comunicare ad altri la notizia che Ges risorto se non si include nellaffermazione la narrazione della propria esperienza di fede. Per cui, se linterlocutore si rifiutasse di prendere in considerazione il mio asserto perch lo ritiene privo di senso, gli resterebbero la possibilit e il compito di valutare tutto ci che la mia fede ha prodotto nella mia esistenza e nella mia opera di credente. Anche questa una pagina della storia umana. Questa seconda ragione pu essere considerata anche nella sua dimensione macroscopica, collettiva. Che alcuni quel giorno a Gerusalemme abbiano cominciato a predicare in quel modo, pu essere visto con gli occhi della fede oppure ritenuto uninsensatezza. Ma che da quella predicazione sia nato un soggetto storico, la chiesa, la quale ha sempre operato allinterno della vicenda umana ed ha esercitato un influsso decisivo sulla nostra storia, rester un fatto conoscibile e giudicabile da chiunque. In conclusione: se da un lato la comunicazione della fede mostra la sua piena sensatezza solo quando, per la grazia dello Spirito, la fede stessa venga accolta e condivisa, levento complessivo della testimonianza ecclesiale ha una sua pluriforme dimensione storica che lo rende sic et simpliciter significativo per il mondo. Sul piano dunque di una narrazione difatti, dal quale il credente non pu mai allontanarsi del tutto pur se vivesse la sua fede nella pi radicale tensione mistica, il discorso della fede pu essere sottoposto a ogni possibile valutazione: psicologica, sociologica, storica, politica La qualit testimoniale della fede, quindi, il principio esplicativo non solo dello strutturarsi di una aggregazione sociale intorno allannuncio, ma anche del suo difficile rapporto con il mondo.

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3.3.2. La comunione: sorgente e frutto dellannuncio Senza dubbio la prima e fondamentale componente della chiesa il dono della comunione che lega fra loro e con Dio i credenti. Ma che rapporto intercorre fra la dinamica testimoniale e la comunione? Come, a partire dal Vangelo, la grazia della comunione prende forma storica nellincontro interpersonale dei protagonisti dellevento della comunicazione della fede? a) Koinona nel Nuovo Testamento LAntico Testamento ci ha portato la rivelazione dellamore di Dio per gli uomini e ha chiamato gli uomini ad amare Dio: basti ricordare lo Shema Israel. N si possono dimenticare le grandi pagine mistiche, soprattutto presso i profeti, testimonianti lintimo rapporto del credente con Dio. Ci nonostante gli esegeti hanno osservato13 che nellAT la radice hbr, che sarebbe alla base del lessico di comunione, oltre che poco usata, non portatrice di unidea importante della spiritualit di Israel e. Luomo in realt non il compagno (haber) di Dio, ne piuttosto il servo (ebed Jhwh). Con Dio si d un bert, un patto, non una habura, una comunione. Per stipulare lalleanza con Dio Mos avanzer solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il popolo non salir con lui (Es 24,2). NellAT ci si avvicina allesperienza della comunione con Dio nel quadro del banchetto sacro e della partecipazione al sacrificio. Ma anche il banchetto sacro considerato pi un mangiare davanti a Dio che non un vivere in comunione con lui (Dt 12,7.18). Non a caso Paolo distingue nettamente ci che avviene nel mondo pagano da quello che accade in Israele quando si mangiano le vittime offerte sullaltare: i pagani pretendono con i loro sacrifici di diventare koinono della divinit e cos, in realt, diventano koinono dei demoni; la comunione che si realizza in Israele , pi rispettosamente, solo una comunione con il Thysiastrion, cio con laltare (1Cor 10,18-21). Da tutto ci sarebbe derivata la prevalenza del senso della legge sul senso della comunione, sia nel rapporto del fedele con Dio che nella compaginazione del popolo di Israele. Chi invece parler tranquillamente di comunione con Dio sar Filone (13 a.C. - 54 d.C.). E non a caso, in quanto egli rappresenta il giudaismo inculturato nellambiente ellenistico14. Ma, considerati questi precedenti, possiamo misurare lincredibile, consapevole audacia della seconda lettera di Pietro quando afferma che grazie ai beni grandissimi e preziosi che ci sono stati donati, noi cristiani siamo diventati partecipi (koinono) della natura divina (2Pt 1,4).

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Vedi, per esempio, F. HAUCK, -, in GLNT V, Paideia, Brescia 1969, 703-706. Luso del termine nel greco classico frequente; per esempio Platone, parla di tra gli dei e gli uomini (Simposio, 188 c), che le leggi devono preservare (Leggi, V, 729 c; XI, 921 c).

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(I) La dimensione teologica Nei testi del NT riguardanti il nostro tema la dimensione verticale della comunione, se non mai solitaria, risulta senza dubbio del tutto eminente. Essa in ogni caso costituisce il principio del discorso. Nel NT la comunione punto darrivo di un appello, di una chiamata. Chi ci chiama alla comunione il Dio fedele. Allinizio della 1Cor Paolo esalta la ricchezza dei doni di Dio: la grazia, la parola e la scienza, la costanza con cui la fede vissuta dalla sua comunit nellattesa del ritorno del Signore. In questo contesto lApostolo confessa la sua indefettibile fiducia che: Egli [Dio] vi confermer sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Ges Cristo: fedele Dio, dal quale siete stati chiamati alla koinona del Figlio suo Ges Cristo, Signore nostro (1Cor 1,8-9). Nellesperienza originaria della chiesa, i discepoli di Ges che ne fanno parte si sentono chiamati da Dio: lekklesa in cui si ritrovano una convocazione che viene dallalto, dal Dio fedele. (II) La dimensione escatologica La chiamata alla comunione viene dal Padre e la comunione con il Figlio. La nuova situazione in cui il credente si ritrova non , per, un punto darrivo definitivo; bens un inserimento in una dinamica nuova. Paolo esorta alla fiducia che deriva dallessere fondati nella speranza: la comunione con il Figlio sar vissuta lungo un cammino che la condurr al suo pieno compimento nel ritorno del Signore, quando essa sar totale, perch allora Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). Il senso escatologico della comunione molto forte in Paolo: egli consapevole di essere solo in cammino verso la meta finale. Per vi guarda con entusiasmo e certezza, al punto che egli, pur godendo di molte prerogative a motivo della sua origine, ha lasciato perdere tutte queste, che costituivano la sua gloria, pur di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui (Fil 3,5s.8s.). La sua speranza di essere trovato in Cristo al sopraggiungere definitivo dellschaton strettamente legata alla sua esperienza di fatica, di lotta e di martirio. La fede infatti gli d la possibilit di conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze (koinona ton pathemton), diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti (Fil 3,10s). Lesperienza personale di Paolo si riflette poi sulla condizione di vita e sullo spirit o della comunit: Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, cos, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi ben salda, convinti che come siete partecipi (koinono) delle sofferenze cos lo siete anche della consolazione (2Cor 1,57). Alla base di questo modo di sentire sta la dottrina sul battesimo, dal quale viene il principio qua350

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lificante della vita cristiana come esperienza di morte e risurrezione in Cristo. La comunione con il Figlio, alla quale Dio ci ha chiamati a cominciare dal battesimo, ci conduce, attraverso la condivisione delle sue sofferenze e nella ferma speranza della risurrezione, verso lincontro finale con lui. (III) La dimensione trinitaria La grande e significativa assenza nellAT dellidea di una possibile comunione con Dio non poteva essere superata in maniera diretta: solo un profondo senso della mediazione di Ges poteva consentirlo (cfr. 1Tim 2,5-6). Per questo nel discorso gioca un ruolo importante il senso del peccato e il simbolo del sangue: solo alla morte di Ges si squarci il velo del santuario, che non permetteva alluomo di entrare nella comunione con Dio (Mc 15,38). Questo ci spiega laccento posto da Paolo sulla comunione con Cristo nelle sue sofferenze, in rapporto alla speranza della risurrezione. Grazie allesperienza eucaristica egli non teme di mettere a confronto la comunione con il sangue di Cristo e la comunione con gli idoli, che il pagano cerca di realizzare quando mangia la carne offerta in sacrificio agli di. Lidolo nulla: ma dietro la sua figura, segnata dalla nullit, Paolo scorge le potenze demoniache e perci ordina categoricamente: Non voglio che voi entriate in comunione con i demoni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (1Cor 10,20s). In realt Paolo ben lontano dal mettere sullo stesso piano, quasi stessero in concorrenza, leucaristia e la partecipazione ai banchetti sacri dei pagani, o semplicemente il mangiare la carne sacrificata agli idoli. Egli sa benissimo che non esiste alcun idolo al mondo e che quindi, di fronte alle cose che i pagani ritengono sacre agli di, il cristiano gode di tutta la sua libert: Per noi c un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Ges Cristo, in virt del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui (1Cor 8,4-6). Il cristiano dovr rinunciare a tale libert solo per amore dei fratelli pi deboli, i quali, non riuscendo a comprendere le ragioni della libert cristiana, potrebbero restarne scandalizzati: Ed ecco per la tua scienza va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo morto. Peccando cos contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo (1Cor 8,11s). Cos pure chi partecipa della mensa del Signore si rende reo del corpo e del sangue del Signore se, incapace di condividere con i fratelli il proprio cibo, getta il disprezzo sulla chiesa di Dio e fa vergognare chi non ha niente (1Cor 11,17-34). la stessa logica. Ges ha dato la vita e ha versato il sangue perch potessimo accostarci a Dio. Dio ci ha chiamati a vivere in comunione col suo Figlio: per entrare in questa comunione dobbiamo essere capaci di condividere le sue sofferenze ed anche il suo amore e il suo rispetto per gli uomini (1Gv 1,6-7). In questo modo dal sacrificio di Cristo al quale partecipiamo nelleucaristia si dipana la rete della solidariet e della carit. 351

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La comunione con Ges, soprattutto nella partecipazione a quelle sue sofferenze dalle quali egli impar lobbedienza al Padre, cos come la speranza della risurrezione, hanno quindi il loro punto darrivo nellincontro con il Padre. Tutto ci appare in maniera evidente dai testi paolini sullopera dello Spirito. Si veda il capitolo 8 della lettera ai Romani. Per appartenere a Cristo bisogna avere in s lo Spirito Santo, che detto Spirito di Dio come pure Spirito di Cristo. Ora lo Spirito di Dio, come ha risuscitato Ges dalla morte, cos risuscita noi e ci d una vita nuova. Di conseguenza, noi siamo uniti a Dio come figli e cos siamo eredi del suo immenso patrimonio della vita: Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abb, Padre! (Rm 8,14s.). Similmente pure il testo parallelo della lettera ai Galati: E che voi siete figli ne prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abb, Padre! (Gal 4,6). Il rapporto, quindi, che il credente ha con Dio, quello di Ges con il Padre, espresso con la metafora delladozione e gridato nella invocazione Abb!, che fu in bocca a Ges nel Getsemani (Mc 14,36). Ed il rapporto con Dio che solo lo Spirito riproduce nellanimo del credente. La koinona, quindi, detta da Paolo comunione del Santo Spirito (2Cor 13,13) non solo perch partecipazione del credente alla vita dello Spirito Santo, n solo perch dono infuso dallo Spirito nel credente, ma perch nello Spirito il credente realizza la totalit della propria esistenza come esistenza relazionale, come un esistere con Cristo, con il Padre e con gli uomini. Lo Spirito quindi, nel pensiero di Paolo, il vincolo pi intimo e profondo della relazione personale tra il Padre e il Figlio e, quindi, tra Dio, il Cristo ed i cristiani: egli il principio attivo e dinamico della koinona. Allora si capisce come mai quella koinona tou hagou pnumatos, che Paolo augura alla sua comunit di Corinto, debba andare insieme con la grazia del Signore Ges Cristo e con lamore di D io. Il cerchio trinitario cos si compie e si chiude. In esso il credente chiamato e coinvolto. E dentro di esso vivono e si muovono anche i rapporti dei cristiani fra loro. Cos lunione a Cristo, lamore del Padre e la comunione dello Spirito costituiscono latmosfera vitale nella quale il cristi ano respira e vive i suoi rapporti con gli altri. In conclusione si pu dire che il Padre chiama luomo alla comunione con il Figlio e il credente vi risponde grazie allopera dello Spirito. Cos egli vive in Cristo, animato dallo Spirito e orientato verso il Padre. La 1Gv semplifica il quadro ponendo in primo piano e in recto semplicemente la comunione con il Padre (1Gv 1,3), mentre la 2Pt sembra riassumere nella sua audace e brevissima formula: partecipi (koinono) della natura divina, il senso di questi preziosi e magnifici beni che sono, appunto, la grazia di Cristo, lamore del Padre e la comunione dello Spirito (2Pt 1,4). 352

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La Trinit dunque non pu essere ridotta, come a volte succede nella predicazione, a fungere da buon esempio per i cristiani, i quali dovrebbero amarsi ed essere uniti fra loro come sono uniti fra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito. Il Padre, infatti, ci chiama alla comunione con il Figlio affinch con il Figlio incarnato possiamo condividere sofferenza e morte, consolazione e risurrezione cos come esse appaiono nei segni eucaristici della comunione del sangue di Cristo e della comunione del corpo di Cristo (1Cor 10,16). La comunione con il Figlio, a sua volta, ci immette nella stessa comunione che egli ha con il Padre: diventiamo partecipi della sua obbedienza, della sua oblazione sacrificale e, quindi, del suo amore e della sua unit con il Padre. facile capire, allora, che una di questa dimensione e profondit non pu essere il semplice frutto di unascesi umana, ma solo opera dellazione dello Spirito Santo. (IV) La dimensione ecclesiologica Abbiamo gi visto come la dimensione verticale della comunione non si contrappone mai alla sua dimensione orizzontale, anzi il discorso sulla prima implica del tutto naturalmente la seconda. Questa implicazione avviene in forma estremamente concreta sia attraverso lappello allannuncio evangelico come fonte ed esito necessario dellesperienza comunionale, sia attraverso il richiamo alle conseguenze di carattere interpersonale della celebrazione eucaristica, sia con la visione del rapporto inter- e intra-ecclesiale retto dalla grazia della . 1/ Il vangelo Il dono e la grazia dellelezione sono frutto della incondizionata iniziativa del Padre e della libera azione dello Spirito. Il prologo della 1Gv, per, ce ne presenta un altro risvolto: la comunione con il Padre e il Figlio suo Ges Cristo si realizza allinterno di un nuovo rapporto um ano che deriva dallazione dei testimoni di Ges, quando essi comunicano ad altri la loro esperienza del Signore. La chiamata del Padre e il dono dello Spirito raggiungono gli uomini attraverso la comunicazione dellesperienza del Cristo da parte del testimone apostolico. In sintonia con ci Paolo si rallegra con i suoi cristiani di Filippi perch li osserva koinono eis t euanglion (Fil 1,5), impegnati dal primo giorno fino al presente nella comunicazione del Vangelo in forza della quale espandono intorno a s quella koinona che li unisce tra di loro. Nellespressione dal primo giorno fino al presente sembra riecheggiare la preoccupazione di Paolo per la fedelt dei Galati al messaggio loro predicato allorigine, essendo essi tentati di tornare i ndietro verso posizioni giudaizzanti. Si veda la decisione con cui lApostolo dichiara anatema, sep arato, quindi in una situazione opposta a quella della comunione, chiunque fosse pure lui stesso o addirittura un angelo osasse sovvertire il vangelo, o predicare un altro vangelo rispetto a quello che era stato predicato allinizio (Gal 1,9). Una preoccupazione simile, anche se a partire da 353

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una problematica diversa, Paolo rivela nei confronti dei Corinzi, quando, ricordando loro il vangelo sul quale si basa la loro esistenza (nel quale state) e dal quale essi possono sperare la salvezza, non manca di precisare che la condizione di tutto ci conservarlo tale quale lo hanno ricevuto15. Del resto il contesto di Filippesi 1,5 proprio quello di unesortazione alla perseveranza. La koinona eis t euanglion implica il problema della fedelt e allude germinalmente al grande tema della pardosis (= tradizione), cio allesigenza, vitale per la chiesa, di restare in comunione, di generazione in generazione, attraverso ladesione allevento dal quale allinizio essa stata costituita. Il tema si fa esplicito nella seconda lettera ai Tessalonicesi: Fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese. E anche qui non manca la dichiarazione di una separazione (tenetevi lontani) da coloro che si comportano non secondo la tradizione16. Non per nulla il primo sommario degli Atti, che descrive la comunit, ne sottolinea la perseveranza nellascolto dellinsegnamento degli apostoli, prima di nominare la che la caratterizza (At 2,42). Il tema della tradizione ritorna con forza nel prologo della 1Gv, dove la comunione posta in stretto rapporto con ci che era fin da principio, che lapostolo ha annunciato perch lo ha udito, veduto con i propri occhi, contemplato e toccato con mano (1Gv 1,1-4). La lettera sottolinea la necessit per tutti di restare fedeli alla testimonianza di coloro che hanno visto e toccato con mano. Quel noi, che fa da soggetto dellannuncio, non indica necessariamente lapostolo testimone oculare dei fatti. Secondo A. Dalbesio con questo uso del plurale lautore intende sottolineare in apertura della lettera il proprio carattere di portatore accreditato di quella genuina tradizione evangelica che sta per riproporre e difendere. Allo scopo egli si presenta come voce di un gruppo ben preciso, quello dei primi testimoni della suddetta tradizione. E proseguendo, Dalbesio precisa: Egli nel reagire allintimismo, [dei cristiani spiritualisti], che pretendeva un rapporto diretto con Dio prescindendo dal Cristo storico, e nel rifiuto del loro appellarsi allo Spirito per dar credito alle proprie posizioni (1Gv 4,1-6), parte dalla piattaforma opposta, rifacendosi alla persona storica di Cristo, sperimentata e testimoniata dai primi discepoli, quale unica chiave interpretativa della tradizione evangelica. In tal modo afferma che la vera interpretazione della fede cristiana quella che si fonda sulla tradizione radicata nei testimoni diretti e non su mere speculazioni astratte e soggettive. Nel contempo viene a dire che la genuina testimonianza dello Spirito a favore di Cristo passa solo attraverso quella dei testimoni oculari. Ci implica che per lautore lo Spirito parli ora unicamente mediante i test i-

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1Cor 15,2:tni lgo dice nella forma in cui, ma lgos qui un termine forte, che potrebbe permettere anche una traduzione come con quella formula con cui. 16 Vedi tutta la pericope di 2Ts 2,13-3,15.

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moni qualificati del cui numero egli fa parte, in quanto essi, fedeli ai primi testimoni, sono i soli a partecipare della loro esperienza storica su Cristo17. Sono questi autorevoli portatori della tradizione, quindi, i soli che possono comunicare a coloro che intendono accogliere lannuncio la genuina esperienza di Cristo che essi hanno vissuto: la comunione con il Padre e il Figlio. la rivelazione stessa che consiste nel dono di s da parte del Padre e del Figlio e, accogliendola, i credenti trovano la vita perch vengono a far parte della comunione divina. Non si tratta di un puro sentimento religioso, n di una pura adesione di carattere dogmatico al Dio trinitario, bens di una partecipazione reale alla vita divina e alla comunione che lega fra loro le persone divine. Ne segue la pratica dellamore. Esso una realt spirituale e interiore che viene rivelata allesterno dallintreccio dei rapporti fraterni fra i cristiani. Per questa esperienza, che pure un autentico camminare nella luce, in realt non genera la comunione: si limita a rivelarla, poich lagape procede solo da Dio18. Lannuncio ininterrotto di questo evento, da parte di coloro che lhanno vissuto come esperienza di comunione con Dio, prolunga levento stesso e coloro che accolgono il loro annuncio entrano nellesperienza della medesima koinona. La condizione, quindi, di salvezza laccoglienza dellannuncio qualificato e garantito allinterno della comunit dal testimone apostolico, con il conseguente possesso di una comunione (koinonan chein), cio di un vivo e profondo rapporto comunitario che attinge la profondit del mistero dellunione con Dio Padre e il suo Figlio Ges. la grande idea dellessere una cosa sola e della inabitazione del Padre e del Figlio nei credenti19. 2/ Leucaristia I passi neotestamentari sulla cena eucaristica costituiscono dei luoghi significativi in cui risalta la duplice direzione della comunione, come relazione con Dio e con gli uomini. Lo suggerisce gi il fatto che la celebrazione eucaristica assume in s anche la figura della pattuizione dellalleanza, in quanto questa fu insieme fondazione di una religione e creazione di un popolo. Grande dunque la pregnanza di questi pochi versetti del capitolo 10 della prima lettera ai Corinzi, nei quali lApostolo chiede la rottura della comunione con i demoni, il distacco dalla loro tavola. C dietro queste espressioni il senso della possibile contaminazione delluomo con il torbido mistero del male, che Paolo vede esaltato nei riti del culto pagano. Alla rottura di questa malvagia corrisponde, sul fronte opposto, il sedersi alla tavola del Signore, dove il credente, mangiando il pane e bevendo al calice, entra in comunione con il sangue del Signore crocifisso e con il suo cor-

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A. DALBESIO, Quello che abbiamo udito e veduto. Lesperienza cristiana nella prima lettera di Giovanni, EDB, Bologna 1990, 108.115. 18 1Gv 4,7-8.10.16; A. DALBESIO, op. cit., 132. 19 Cfr. R.E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, Cittadella, Assisi 1986, 219-271 e in particolare 247-269.

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po che , ormai, allo stesso tempo, corpo glorioso del risorto e corpo della chiesa. Per questo, a voler seguire le indicazioni precise dellApostolo, il cristiano, pur potendolo fare, si asterr dal mangiare la carne immolata agli idoli, qualora questo suo gesto scandalizzasse un suo fratello per il quale Cristo morto! (1Cor 8,7-13). Per la stessa ragione Paolo giudica tanto grave quel modo di radunarsi dei suoi cristiani che, davvero, non ha nulla che fare con la cena del Signore , quando alla stessa tavola uno ha fame, laltro ubriaco (1Cor 11,21)20. Atteggiamenti di questo genere, simili mancanze di carit e di solidariet, sono un vero e proprio gettare disprezzo sulla chiesa di Dio e quindi equivalgono a un mangiare e bere la propria condanna (1Cor 11,22.29). Nelleucaristia, infatti, il corpo escatologico (risorto) del Cristo incorpora i cristiani in un solo corpo (10,14-22). Lunit della comunione liturgica pu essere fondata sullunicit del pane solo in quanto questo pane, come dice 1Cor 10,16, il corpo di Cristo. Questo corpo il corpo stesso di Ges Cristo crocifisso e risorto, per il fatto che egli nella notte in cui fu consegnato (1Cor 11,23), ha dato la sua vita e ha condiviso il pane non solo come segno per significare il senso salvifico del suo vivere e del suo morire per voi (1Cor 11,24), bens come mezzo efficace per aver parte a quella grazia escatologica, che la sua morte e la sua risurrezione significano. In questa grazia Ges Cristo non d qualcosa di s, bens se stesso, poich con coloro, per i quali muore, egli si identifica nella potenza di Dio al punto che egli costituisce il loro io redento (Gal 2,19s). La comunione al corpo di Cristo quindi fa s che noi diveniamo non tanto come questo corpo, bens il corpo di Cristo: il nodo dinamico qui inteso non sta tanto nellaffermazione che i cristiani costituiscono un corpo sociale uno e unico, ma che costituiscono il corpo proprio di Cristo (nel corso del tempo avvenuto per lo spostamento dal registro sacramentale a quello giuridico: da corpo a corporazione di Cristo. Cfr. invece 1Cor 12,12: cos anche Cristo). La celebrazione eucaristica ha contribuito a rivelare a Paolo lidentificazione della comunione cristiana con il corpo proprio del Risorto (voi siete il corpo del Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte: 1Cor 12,27). Nella cristologia paolina, il Cristo celeste, Signore e Spirito, si annette un corpo per realizzare la pienezza del suo essere, in particolare nel Battesimo (1Cor 12,12-13) e nellEucaristia in cui si effettua escatologicamente la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (Ef 1,23)21.

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interessante osservare che, secondo alcuni manoscritti, la colpa dei Corinzi semplicemente indicata come un non discernere il corpo, senza la specificazione del Signore. 21 Non quindi un caso che il vocabolario della comunione (= fare la comunione) caratterizzi in modo eminente proprio lEucaristia: essa il sacramento della communio; ricevere il Corpo e il Sangue del Cristo communicare; essa non celebrata che tra persone in communione. Sinteticamente Giovanni Damasceno pu quindi dire: Si dice anche [lEucaristia] koinona, e lo veramente, poich per essa noi comunichiamo ( koinonen) con il Cristo e per essa noi comunichiamo (koinonen) gli uni con gli altri: La fede ortodossa, IV, 13, Citt Nuova, Roma 1998, 271-272.

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3/ La koinona ecclesiale La pienezza della gioia, che il prologo di 1Gv vede come la meta desiderata dellannuncio, rappresenta il dono escatologico che si riceve accogliendo il Vangelo. Con questa decisione si entra quindi in una comunit aperta alla gioia e alla pace. Leucaristia, poi, s ostenta continuamente lunit di questo corpo ecclesiale, che il corpo di Cristo. Perci il secondo sommario di Atti ce la pu descrivere come unaccolta di persone che formano un cuor solo e unanima sola e in cui nessuno dichiarava suo ci che gli apparteneva (At 4,32). Crescendo a partire dalla comunione con Ges Cristo, la Chiesa non n una comunione di interessi n unassociazione costituitasi per perseguire una finalit comune, bens il popolo di Dio in Ges Cristo, che egli congiunge non solo convocandolo e dandogli un incarico, bens riempiendolo del suo Spirito, santificandolo e in futuro portandolo a compimento. La comunione dei credenti risulta dalla comune partecipazione allamore che Dio aggiudica loro attraverso Ges Cristo. Questa agape crea comunione (1Cor 13,4ss). Perci la koinona non si basa su interessi o esperienze comuni, bens sulla elezione di Dio, non su un bilanciamento degli interessi o su compromessi, bens sulla fede comune (Flm 6) nellunico Dio e nellunico Signore Ges Cristo (1Cor 8,6), e neppure su un sentimento di comunione o unidea di comunione, come se la comunione fosse un valore in se stessa; bens sulla coappartenenza delle creature tra di loro, che Dio porta a compimento nel Regno che viene e che fonda nellekklesa gi al presente. lelezione che costituisce la koinona ecclesiale, poich nella medesima originariet determina ciascun singolo ad essere conformi allimmagine del Figlio suo, perch egli sia il primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29) e raduna lintero popolo di Dio cos che la rivelazione dello Spirito viene data a ciascuno, per lutilit comune (1Cor 12,7). (a) La koinona degli Apostoli Una dimensione essenziale della koinona ecclesiale la comunione degli apostoli tra di loro. Essa non perseguita per se stessa, bens a vantaggio della Chiesa intera, poich secondo Paolo il compito/ministero dellapostolo di porre il fondamento dellekklesa, che non pu essere altro che quello che posto: Ges Cristo (1Cor 3,11). Sigillare questa koinona apostolica stato per Paolo il risultato essenziale del Concilio apostolico, che egli ha conseguito non solo nellinteresse degli etnico-cristiani bens a vantaggio delluniversalit dellEvangelo (Gal 2,1-10; cf. At 15,11-32): le colonne - Giacomo, Cefa Giovanni - diedero a me e a Barnaba la destra in segno di koinona . La stretta di mano non produce la koinona, piuttosto la constata e con ci la rafforza. La sua base la missione, con cui Dio in Cristo ha affidato a Pietro lapostolato della circoncisione, mentre a Paolo lapostolato dellincirconcisione (Gal 2,8). In ci si mostrano le dimensioni universali e la dinamica missionaria, contenuti in modo essenziale nellevento cristologico fondamentale.

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La koinona apostolica, come richiesta da Paolo e riconosciuta da Gerusalemme, non mira solo a equiparare Paolo a Pietro, bens i Giudei ai Pagani nella Chiesa e in ciascuna singola comunit (1Cor 12,13; Gal 3,28). Essa persegue quindi linteresse di una sostanziale unit della Chiesa al di l delluniformit e della molteplicit delle realizzazioni ecclesiali, concentrandosi sul servizio allEvangelo di Dio e sulla confessione fondamentale in un unico Dio e in un unico Signore. Quanto importante fosse questa comunione, lo illustra bene lincidente di Antiochia (Gal 2,1114). Infatti, quantunque Paolo secondo il proprio resoconto si oppose in faccia a Cefa (Gal 2,11), poich quegli aveva tradito la verit del Vangelo (2,5.14), non giunse tuttavia alla rottura con lui. In realt gli elementi comuni nella cristologia e nella soteriologia erano di grande spessore (1Cor 15,1-11) e si estendevano anche allambito della giustificazione, visto che nessun esponente di rilievo della Chiesa di Gerusalemme ha legato la salvezza dei gentili alla circoncisione e alla osservanza della Legge, bens alla fides Christi (cfr. Gal 2,14s). Senza la koinona, sigillata a Gerusalemme, la Chiesa sarebbe andata a pezzi, le singole comunit sarebbero rimaste isolate e soprattutto il fondamento, che Dio ha posto con Ges Cristo mediante gli Apostoli, sarebbe stato intaccato. (b) La koinona delle comunit e degli Apostoli La comunione deve per regnare anche tra le comunit e gli apostoli. Come mostra la corrispondenza di Corinto, questa non era sempre assicurata, anzi a volte ha rischiato di andare persa nei conflitti sulla fede e dovette essere riguadagnata da Paolo tra fatiche e preoccupazioni (2Cor 1,3-11; 2,5-11; 7,5-16). La comunione tra lApostolo e la comunit una comunione nel dare e avere (Fil 4,11s) concretizzata fin nel sostegno finanziario (cfr. Gal 6,6), ma pi ancora riferita allo scambio di beni spirituali (Rm 1,11), allessere uno con laltro nella sofferenza e nella consolazione della speranza (2Cor 1,7). La base di questa comunione la comune accettazione dellApostolo come di tutti i cristiani in Ges Cristo; essa si esprime nellindirizzarsi reciproco come fratelli (e sorelle), nella comune confessione (Rm 10,9s) e nel connesso lavoro alledificazione della Chiesa. Certamente questa comunione non simmetrica: Paolo il padre (1Ts 2,11) e la madre (1Ts 2,7s) dei credenti (cfr. 2Cor 6,13); i cristiani devono imitare lui, come egli imita Cristo (1Cor 11,1; cfr. 4,16); egli larchitetto, che ha posto il fondamento, mentre essi con le loro diverse attitudini e capacit devono edificare sopra questo fondamento (1Cor 3,10-17). La comunione tra lApostolo e la comunit secondo la sua essenza consiste non da ultimo nel fatto che da una parte lApostolo esercita la libert della fede (Gal 5), accresce il sapere dei cristiani, esige, promuove e rispetta la loro competenza di giudizio, risveglia i carismi (1Cor 12; Rm 12,4-8) e sostiene i servizi (1Ts 5,12s; 1Cor 12,28ss), mentre daltra parte i membri della comunit corrispondono allApostolo come allinviato di Ges Cristo (2Cor 3-5), come allannunciatore del Van358

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gelo pieno di potenza e degno di fede (1Ts 2,1-12), come guida della loro comunit e come modello nella fede (1Ts 1,6; 1Cor 4,16; 11,1). Da una parte c il riconoscimento che uno e lo stesso Spirito partecipa a ciascuno il suo dono particolare (1Cor 12,11), in modo che sorga una comunione dello Spirito (Fil 2,1); daltra parte c il riconoscimento che nessuno pu credere, se prima non ha ascoltato, se nessuno gli ha predicato, e nessuno pu predicare, se non stato inviato (Rm 10,14s). Quando tutto va bene, Paolo scrive: io rendo grazie a Dio per la vostra allEvangelo dal primo giorno fino ad oggi (Fil 1,3.5). Egli intende qui la comunione dei Filippesi con lApostolo e dellApostolo con loro, che viene fondata tramite lEvangelo; non solo attraverso convinzioni comuni, bens mediante la potenza di Dio per ciascun credente (Rm 1,17). Quando ci sono dei problemi, Paolo si d da fare per riguadagnare la comunione. Egli non si tira indietro nemmeno davanti alla polemica, al sarcasmo e alla critica. Ma egli anche pronto anche a fare gesti magnanimi di perdono. Ci che decisivo che la comunione venga di nuovo ristabilita. Essa si basa sullo stesso Vangelo e la stessa fede (1Cor 15,11); presuppone che i ruoli siano chiari e vengano accettati: quello dellApostolo come pure quello dei molti carismatici nella comunit; orientata a che la comunit divenga non solo il luogo dellesperienza di Dio e delladorazione di Dio, bens renda il proprio servizio cos che il mondo venga trasformato dallo Spirito di Dio. (c) La koinona delle comunit tra di loro La koinona ha il suo posto anche tra le diverse comunit. Non ultimo il compito che lApostolo ha di allacciare i contatti tra le comunit. In Paolo lo spettro delle sue peregrinazioni missionarie si estende oltre i suoi viaggi pastorali e linvio di collaboratori fino alla redazione delle sue lettere, attraverso cui egli promuove lo scambio di esperienze e affina una coscienza di Chiesa universale. Di grande importanza per lui lorganizzazione della colletta che chiama anche : Rm 15,26 su cui ci si mise daccordo al Concilio apostolico, in favore della chiesa di Gerusalemme (Gal 2,10; cfr. 1Cor 16,1-4; 2Cor 8-9; Rm 15,25-29). Essa una prova eminente di (2Cor 8,4; Rm 15,26s), visto che non solo unazione caritativa, bens anche unazione-segno, che deve rendere visibile la consapevolezza delle comunit fondate di recente circa la loro appartenenza a Gerusalemme come pure laccettazione senza riserve delle comunit di missione paolina da parte di Gerusalemme: Avendo i pagani partecipato ekoinnesan ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessit materiali (Rm 15,27). La koinona va ben oltre la solidariet materiale, azioni comuni e scambio di informazioni, ma giunge in profondit nella spiritualit. Paolo ricorda ai Tessalonicesi, che soffrono diverse tribolazioni, che essi nella loro sofferenza per lEvangelo imitano le comunit di Dio in Gi udea, perch avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei (1Ts 1,14). 359

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Naturalmente nel tempo neotestamentario non c ancora una struttura comunionale tra le comunit. Ma i forti e numerosi impulsi dellApostolo indicano per in modo duplice che: (1) appartiene alla vocazione delle singole comunit, di non isolarsi luna dallaltra, bens di formare tra di loro su tutti i piani quella comunione che corrisponde allappartenenza allunica Chiesa ed dovuta alla sott omissione sotto la signoria dellunico Cristo; e (2) da parte sua questa unespressione tanto delluniversalit come pure della presenza storica del vangelo hic et nunc. (d) La koinona dei cristiani nelle comunit Da ultimo anche le relazioni intracomunitarie dei cristiani sono poste sotto il segno della koinona. Paolo ricorda infatti che nelle comunit si corre il pericolo dellisolamento e delledificazione individualistica (1Cor 14), della formazione di sette e di eresie (1Cor 1-2); in senso positivo occorre invece laccoglienza reciproca, lofferta di sostegno, una testimonianza comune, una comune celebrazione del servizio liturgico, ledificazione dellekklesa. La lettera ai Romani intende anche letica nellorizzonte della koinona. Paolo inizia la parte esortativa dello scritto, illustrando ci che opera lamore (Rm 12,9-21) qualificato come il compimento della Legge (13,8ss). Essenziali sono lamore del fratello e lospitalit, il perdono e la costruzione della pace. La koinona appartiene a tutto ci. Siate solidali (koinonountes) con i santi, siate ospitali (Rm 12,13). Lesortazione mira a far s che i cristiani di un luogo forniscano agli altri cristiani, che sono in viaggio, ad es. come Apostoli e Profeti, un tetto e del cibo e si sostengano in qualsiasi modo. Questa era una premessa essenziale per una missione feconda e una comunicazione tra le comunit. Parlando in questa connessione di koinona, Paolo ricorda alla comunit che il sostegno materiale espressione della comunione nella fede e consegue dalla comune partecipazione di tutti alla grazia di Ges Cristo. Il fatto che il termine koinona ricorra solo una volta, non deve ingannarci. Secondo la res essa presente dovunque viene tematizzato lessere-con e lessere-per dei credenti. Letica paolina sintonizzata sulla koinona ecclesiale, poich la comunit il luogo primo, in cui lagape deve concretizzarsi: operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede (Gal 6,10; si veda pure Eb 13,16, dove si esortano similmente i cristiani a non dimenticarsi della beneficenza e della ). Per quanto riguarda letica della koinona, la lettera ai Romani chiarisce alcuni versetti dopo il riferimento alla parola koinona: piangete con quelli che piangono, gioite con quelli che sono nella gioia (Rm 12,15). La partecipazione al destino degli altri pi che segno di amicizia e di buon cuore. Essa tutela e trasmissione della partecipazione di Ges Cristo stesso al destino dei figli di Adamo, che egli mediante il Vangelo vuole guadagnare alla fede e al Regno di Dio. Lutilizzo ecclesiale di questo principio etico rinvia alla metafora del Corpus Christi. Paolo vede lunicit del corpo e la molteplicit delle membra nel fatto che non ci fosse divisione nel corpo, ma 360

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anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro onorato, tutte le membra gioiscono con lui (1Cor 12,25-26). (V) Conclusione Nonostante il salto di pensiero che, nel NT, fa dellidea di comunione con Dio lelemento di base dellesistenza cristiana, mentre lAT lavrebbe guardata, a dir poco, con una certa diffidenza, bisogna sottolineare la linea di continuit che va dallidea anticotestamentaria dellalleanza a quella neotestamentaria della comunione. Linteriorizzazione della legge, preannunciata da Geremia (31,33) e da Ezechiele (36,26s), si compie nella conoscenza di Dio, vera comunione con lui, resa possibile dallinabitazione della Parola nel credente, come principio dinamico del suo operare e della sua purificazione dal peccato. Ma questa conoscenza di Dio, nel NT non mai riducibile ad una gnosi. La comunione non sta al di l della storia, n isola il credente in una specie di solipsistica elevazione alla partecipazione della natura divina. Come ben ci ricorda 1Gv, la conoscenza di Dio autentica solo quando accompagnata dallamore fraterno (4,7-8); che si d una vera comunione con Dio solo se si mettono in pratica i comandamenti (2,3-5; 3,24) e si cammina nella luce (1,6-7), cio nellamore vicendevole (2,9-11); che si ama Dio solo se si ama il fratello (4,20-21). Lantica alleanza, che sulla base dellelezione di Dio aveva fondato un popolo e ne aveva costruito la storia, continua cos nella nuova: questa si compie nel dono del Padre il quale, mediante linfusione dello Spirito, chiama alla comunione con il Figlio coloro che sono destinati a formare il suo popolo e ad animare la storia dellumanit nel suo cammino verso il Regno. b) La Chiesa mistero di comunione Cerchiamo ora di riassumere i risultati della nostra analisi del NT. Se prendiamo come punto di riferimento i tre significati che in generale il termine koinona possiede 1) dare una parte, fare parte, mettere in comune; 2) partecipare, prendere parte; 3) la comunit che ne risulta , la cristiana risulta caratterizzata dai seguenti tre elementi. 1/ Lelemento primo della communio il disegno di Dio di comunicare un bene che, non cessando di essere di Dio, diviene allora un bene comune a Dio e alluomo. Vi quindi primariamente una comunicazione, che propriamente lopera del Verbo incarnato e dello Spirito donato. Questo bene che Dio vuole comunicare Dio stesso, la sua vita che comunione. Questo bene divenuto comune a Dio e alluomo non quindi unopera comune a Dio e alluomo, ma un dono. Pi precisamente, la partecipazione offerta alluomo una partecipazione alla vita del Cristo: lofferta divina raggiunge luomo mediante il Cristo (= la grazia cristica); di conseguenza anche la

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partecipazione alla comunione divina avviene in forma incarnata (verbis gestisque: DV 2). 2/ Il secondo elemento della communio la recezione effettiva della grazia da parte delluomo. La grazia dona alluomo che la riceve la capacit di corrispondere con un atto veramente suo allofferta divina mediante la fede, la speranza e la carit, che gli consentono di partecipare a ci che Dio e fa, di vivere la stessa vita di Dio. Ora, come abbiamo pi volte sottolineato, questa comunicazione effettiva si realizza nella mediazione della Chiesa ed ha come frutto ledificazione della stessa Chiesa e laccrescersi di nuovi membri della Chiesa corpo di Cristo. 3/ Il fare parte (di Dio) e il prendere parte (da parte delluomo) portano quindi al costituirsi di una comunit, fondata su un avere in comune, meglio ancora su un essere comune, ossia la conformazione a Cristo, nuovo Adamo, spirito datore di vita. La nozione ecclesiologica di communio intende quindi esprimere la comunit divina in quanto si dona per essere partecipata dalluomo secondo leconomia cristica e cristoconformante per lazione dello Spirito santo, mediata ministerialmente dalla Chiesa. In tal senso la Chiesa mediante la sua testimonianza (articolata nel tripode martyria, leiturghia, diakonia) offre ad ogni uomo la possibilit di ricevere quella competenza necessaria per confessare nello Spirito che Ges Cristo lautocomunicazione di Dio per la salvezza del mondo. La nozione ecclesiologica di communio segnala inoltre la qualit delle relazioni tra i membri e la Chiesa e tra di loro (Chiesa come communio fidelium). Alla forma comunionale della Chiesa devono quindi corrispondere le forme della comunicazione e della partecipazione a tutti i livelli: nella relazione fra le chiese (Chiesa come communio ecclesiarum), nel collegio episcopale, in un rapporto corretto tra primato e collegialit (la communio hierarchica); nella relazione tra il vescovo e i suoi presbiteri e diaconi; allinterno delle singole comunit in cui si deve dare spazio ai diversi carismi, compiti e ministeri che lo Spirito suscita per il bene della Chiesa tutta. Secondo lespressione tradizionale la Chiesa quindi chiamata a ragione communio sanctorum:
La comune partecipazione visibile ai beni della salvezza (le cose sante), specialmente allEucaristia, radice della comunione invisibile tra i partecipanti ( i santi). Questa comunione comporta una spirituale solidariet tra i membri della Chiesa, in quanto membra di un medesimo Corpo, e tende alla loro effettiva unione nella carit costituendo un solo cuore ed una sola anima. La comunione tende pure allunione nella preghiera, ispirata in tutti da un medesimo Spirito, lo Spirito Santo che riempie ed unisce tutta la Chiesa. Questa comunione, nei suoi elementi invisibili, esiste non solo tra i membri della Chiesa pellegrinante sulla terra, ma anche tra essi e tutti coloro che, passati da questo mondo nella grazia del Signore, fanno parte della Chiesa celeste o saranno incorporati ad essa dopo la loro piena purificazione22.

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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio (28 maggio 1992), n. 6.

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3.3.4. La comunit a) La questione Come si passa dallineffabilit del dono della comunione alla verificabilit storica della chiesa nella sua forma empirica? Al di l della plurisecolare querelle, che vede contrapporsi la tesi di una chiesa nascosta nella sua vera essenza e manifesta solo nella sua contingenza empirica e la tesi di una fondamentale coincidenza del dono di grazia con la forma storica della chiesa autentica, il problema pu essere riformulato in modo leggermente diverso. Pur partendo dal presupposto che il dono di grazia chiamata del Padre a entrare mediante lo Spirito nella comunione del suo Figlio venuto in carne umana e, quindi, raggiungibile solo attraverso la testimonianza e la mediazione della tradizione, nella sua dimensione storica, ancora necessario chiedersi: perch la comunione dovrebbe incarnarsi storicamente in una forma di vita comunitaria dotata di una vera e propria, sia pur minima, organizzazione sociale e istituzionale che le conferisca una precisa forma empirica ben riconoscibile e il carattere della stabilit e della durata nel tempo? Perch la comunione non potrebbe avere la sua materializzazione storica nel puro e semplice incontro dei credenti, che si compie nel semplice atto della comunicazione della fede? Oppure: perch lunione dei credenti, in forza della sua connaturale spinta escatologica, non dovrebbe concepirsi e realizzarsi proprio con un intento contrario e manifestarsi, quindi, in una forma organizzativa marcatamente contingente e provvisoria, quasi platealmente segnata dallattesa di una imminente parousa?23 Pi comunemente la questione viene posta in termini leggermente diversi: ci si interroga, cio, sul rapporto che corre fra la comunione e listituzione. Forse per preferibile proporre la domanda giocando sui termini comunione e comunit, perch la comunit anteriore allistituzione e perch in questi termini sembra riflettersi meglio un insieme di bisogni dellecclesiologia odierna. Fra levento comunionale, infatti, e la creazione dellistituzione ecclesiastica trovano posto molte realt intermedie: pensiamo solo al cammino di molte aggregazioni di cristiani, che si sono formate e han-

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questa lidea di Chiesa delle chiese congregazionaliste, soprattutto nelle loro forme recentemente pi diffuse delle cosiddette chiese libere, nelle quali non si formalizza lappartenenza, si riduce al minimo lapparato istituzionale e lesperienza ecclesiale praticamente quella che si realizza di volta in volta nellassemblea che si raccoglie di fatto i ntorno alla predicazione della parola di Dio. Su un altro versante anche la teologia barthiana segnata da questa diffidenza nei confronti della chiesa come costruzione umana di una vera e propria aggregazione sociale: la distretta della chiesa proprio quella di non poter fare a meno di esistere mentre in realt non dovrebbe esistere: cfr. ID., LEpistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 1978, 314-315. In un testo del 1948 Karl Barth sosterr che molto importante imparare di nuovo a interpretare la parola chiesa non solo come istituzione e la parola comunit non solo come esistenza e persistenza di una societ, ma tutti e due i termini come levento di un riunirsi: La chiesa. Comunit vivente di Ges Cristo signore vivente, in ID., La chiesa, Citt Nuova, Roma 1970, 45-69. 51.

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no operato a lungo, a volte per secoli, nella chiesa, dotate di una forma comunitaria stabile, compatta e del tutto determinata, ma prive di una vera e propria forma istituzionale che le inserisse formalmente nel quadro complessivo dellistituzione ecclesiastica quale regolamentato dal diritto canonico. Daltro lato, appare sempre pi evidente che solo nel contesto romantico della contrapposizione fra comunit e societ si potuto pensare la comunit come unaggregazione di credenti opposta a quelle di tipo istituzionale, inquadrate nella rete del diritto e della legge. Non detto che la comunit la quale non abbia ancora una vera e propria forma istituzionale, gi non ordini la propria vita, oltre che sui principi della fede, anche su delle regole, magari non scritte, o addirittura semplicemente abitudinarie, che essa si d e che gi le danno la forma dellistituzione. Anzi, l dove si i nsinuava la contrapposizione radicale fra comunit e istituzione, il discorso veniva ad arrestarsi assai presto, perch il termine comunit, se lo si vuole intendere nel senso di una realt pura da ogni contaminazione giuridico-convenzionale, ricade immediatamente nel campo semantico proprio del termine comunione e, quindi, tende a identificarvisi; oppure va a vivere alla sua ombra, dove gli sembra di poter raccogliere quelle aggregazioni cristiane che si danno compattezza solo con la forza dei sentimenti, con lentusiasmo della carit; in una parola: con la qualit etica dellunione realizzata. Se davvero la classica opposizione fra comunit e societ entrata in crisi, facile capire che gi al primo dei due termini compete il significato di unaggregazione sociale stabile e compatta, dotata di regole per la convivenza interna e per i rapporti con gli altri, che pu dar vita a certe sue istituzioni. E queste istituzioni, se non derivano dal puro contratto sociale ma da unautentica esperienza com unitaria, saranno certamente caratterizzate dal rispetto per la libert delle persone, dallimportanza attribuita al rapporto interpersonale, dallesaltazione della vita comunitaria, sentita come un valore in se stessa. Il bisogno di liberarsi dalla forma delle chiese di stato e, allo stesso tempo, di superare lindividualismo religioso della cultura illuministica e lanonimato di strutture ecclesiastiche mort ificanti le singole personalit dei credenti, ha dato vita a un impressionante pullulare di forme di aggregazione dei credenti, che hanno cercato di ritrovare il senso della chiesa in nuove esperienze di vita comunitaria, meno vincolate dalle esigenze pi pesanti dellistituzione ecclesiastica. Ma, dal punto di vista ecclesiologico, da tutto questo fenomeno non nasce alcun dato veramente nuovo; il problema di fondo resta il medesimo: perch il dono segreto e interiore della comunione deve sfociare nel fenomeno del costituirsi di una comunit, poco importa se questa assuma la forma pi libera e provvisoria o la pi carica di adempimenti istituzionali e canonici? A questo proposito interessante notare un fenomeno assai curioso. In passato questo agitarsi intorno allaspetto visibile e a quello invisibile della chiesa era motivato dalla convinzione che i veri membri della chiesa fossero in realt molto meno numerosi dei battezzati e dei praticanti. Al fondo 364

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di tale modo di pensare cera quel giudizio pessimistico sullo stato della chiesa e sulla fedelt a Cr isto dei suoi membri, che caratteristico dei movimenti riformatori, anche se gi Agostino, vedendo la forma empirica della chiesa tanto estesa da coprire tutto lo spazio dellumanit conosciuta, si i nterrogava se tutti coloro che le appartenevano per la communio sacramentorum avessero davvero parte alla communio sanctorum. Le nostre ultime generazioni, invece, stanno ponendo il problema nella direzione opposta, poich ora noi vediamo estremamente dilatati non gi i confini della chiesa ma le dimensioni dellumanit e, quindi, siamo inclini a chiederci se le innumerevoli persone e le immense popolazioni, alle quali la chiesa non giunta, davvero non abbiano in s alcun dono di comunione proveniente dallo Spirito che soffia dove vuole. In questo senso si mosso il Vaticano II quando definiva la chiesa come un sacramento dellunit del genere umano, perch scorgeva la chiesa storica emergere dagli strati pi profondi della vicenda umana, prefigurata fin dalle origini nel rapporto dei progenitori con Dio e fra loro, preparata nella storia di Israele e destinata a risolversi nella innumerabile assemblea escatologica di tutti i salvati, da Abele in poi, anzi da Adamo, fino allultimo dei giusti. Cos il concilio poteva parlare della comunione come di una realt pluriforme che si estende in cerchi concentrici, fino ad abbracciare tutti gli uomini dalla coscienza retta24. Nonostante limmensa vastit delle dimensioni della comunione e la sua incidenza sulla autocoscienza del credente, coloro che hanno conosciuto Cristo per averne ricevuta la memoria attraverso la paradosis cristiana, che per loro si concretizzata nelle persone effettive con le quali hanno vissuto unesperienza di comunicazione della fede, non possono non ritrovarsi legati a queste ultime per vivere insieme a loro la stessa esperienza di fede. Cos, attraverso il concetto di communio salutis et gratiae, la chiesa sa che la sua comunione si estende ben oltre i propri confini spaziotemporali, mentre attraverso la communitas mediorum salutis, che comprende tutta la trama simbolica della comunicazione cristiana, dalla parola ai sacramenti, alle strutture, alle azioni, la chiesa si forma come unaggregazione sociale visibile, stabile, organizzata e dalla forma ben determinata25. Il problema da porre, quindi, quello del rapporto fra il carattere comunionale e quello comunitario della chiesa: perch dalla comunione viene la comunit? Perch alla communio sanctorum corrisponde anche una aggregazione sociale, una chiesa che si istituzionalizza in una forma empirica? Allora la nostra questione, se posta in maniera radicale, non sta tanto nella querelle fra ecclesiologia cattolica e protestante sul valore da attribuire alla forma empirica della chiesa, quanto piuttosto

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Lumen gentium, 1 e 2; 14-16; PAOLO VI, Ecclesiam Suam, III, in EV 2/201-210, EDB, Bologna 1976, 279-299. G. GHIRLANDA, Hierarchica communio. Significato della formula nella Lumen gentium , Roma 1980, 178-190.

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nellalternativa fra una concezione della comunione priva di una dimensione storica e unidea della comunione che si risolve nella comunit, cio in un vero e proprio soggetto storico collettivo, attraverso il quale la comunione stessa si manifesta e influisce visibilmente sulla vicenda degli uomini. Se la vera comunione sia appannaggio di un coetus electorum pi ristretto della chiesa visibile o se la communio sanctorum si estenda al di l dei confini della chiesa empirica, non una questione ecclesiologica di fondo. Lo invece linterrogativo sulla chiesa come soggetto storico: possibile i ndividuare un soggetto storicamente verificabile e storicamente operante, nel quale il mistero della chiamata del Padre alla comunione del suo Figlio nello Spirito emerga al livello storico? Comunque sia non si pu confondere la comunione con la realt sociologica della comunit cristiana. Oltre tutto, se cos non fosse, non sarebbe possibile pensare una communio sanctorum che cominci con Adamo e sia destinata ad approdare alla chiesa escatologica ab Abel mentre evidente che lesistenza delle comunit cristiane non si pu datare prima di Cristo e della predicazione apostolica. Ma laggregazione sociale, in qualsiasi forma la si voglia intendere, semplicemente leffetto dellevento-chiesa e non chiesa essa stessa? Questo il punto cruciale della questione. b) La prospettiva sociologica Attualmente ci che acuisce il nostro problema il fenomeno della riscoperta della libert e della decisionalit personale della fede, come elementi determinanti della aggregazione dei credenti. Su questo terreno nasce e vive laspirazione a realizzare nella chiesa un tipo di vita comunitaria che sia profondamente diverso da quello che si sperimenta nella societ civile. Anzi per alcuni lautocoscienza ecclesiale dovrebbe sviluppare sempre di pi la sua tensione escatologica e la sua linea utopica, dando allaggregazione cristiana addirittura la forma di una societ di contrasto: una specie di contromodello delle forme di aggregazione sociale che si sperimentano nel mondo26. Riteniamo, per, che al di l della contrapposizione diffusa fra i concetti di comunit e di societ, al di l di una certa mitizzazione dellidea di chiesa come comunit, la questione radicale (non puramente teorica, ma anche eminentemente pratico-pastorale) che emerge per la Chiesa nella modernit sia quella delle diverse forme di appartenenza27. La prassi quasi bimillenaria del battesimo dei bambini alla base di un processo di riproduzione della chiesa, nel quale gli elementi, pur decisivi, della libert e della decisionalit personale dellatto di fede sembrano risultare marginali. Invece il
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G. LOHFINK, Ges come voleva la sua comunit? La chiesa quale dovrebbe essere , Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1987; ID., Dio ha bisogno della Chiesa? Sulla teologia del popolo di Dio , Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999, spec. 353-365. 27 Si veda ad es. M. KEHL, Dove va la Chiesa?, op. cit., specialmente le pp. 117-187.

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nuovo senso della missione, legato alla consapevolezza dellallargamento dellarea della non credenza anche in ambienti di antica tradizione cristiana, introduce criteri di appartenenza pi liberi e personali. Ne deriva che il processo di riproduzione della chiesa pu assumere a grandi linee due forme diverse, per cui possono darsi anche due diversi tipi di aggregazione ecclesiale. La differenziazione non coincide, di per s, con la distinzione tra la forma di societ e quella di comunit. Anche la societ quale la definisce Max Weber pu nascere da una decisione libera e personale dei suoi membri, giacch la societ civile, alla quale si appartiene per nascita, non lunica forma di societ. Viceversa non detto che ad una comunit si appartenga sempre e solo per libera scelta: i figli ad es. non appartengono alla comunit famigliare in forza di una loro scelta personale. Il vero problema ecclesiologico, quindi, duplice: quello del fondarsi della chiesa come aggregazione stabile sul dono della comunione e quello della forma di aggregazione che risulti a lei pi congrua. Questo secondo aspetto sembra porci oggi di fronte ad una alternativa nuova: dalla comunicazione della fede, con il suo carattere fortemente personale, e dal dono dello Spirito, con le sue esigenze di libert, deriva che la comunit cristiana debba avere la forma dellaggregazione adulta e libera, oppure dallannuncio evangelico nasce un popolo al quale si appartiene per generazione? c) La prospettiva del Nuovo Testamento Il termine comunit assente dal Nuovo Testamento. C koinona, che dice comunione, e c ekklesa, che i romani hanno latinizzato, invece di tradurlo, in ecclesia. La parola poi servita da conio per altre lingue, che ne hanno ricavato i termini chiesa, glise, iglesia ecc. Le prime comunit cristiane hanno detto nel modo pi completo la loro autoconsapevolezza chiamandosi ekklesa, sia singolarmente che collettivamente. Come noto, ekklesa il termine con il quale i LXX avevano tradotto in greco il significato di qehal jhwh (lassemblea radunata del popolo di Israele) e che i greci usavano per indicare la riunione del popolo di una plis. Il termine rendeva bene il carattere pubblico dellaggregazione dei cristiani, in opposizione a quello segreto delle comunit misteriche o delle associazioni di carattere privato. Il referente pi conosciuto quello del popolo o della plis. Ma mentre nellassemblea della plis greca si radunavano solo gli uomini per prendere decisioni sulla comunit, lassemblea cristiana si sente nata dalla decisione di Dio, il quale ha glorificato il suo Cristo e ha convocato tutti i credenti per la venuta del suo Regno. Il modello dei cristiani quindi , piuttosto, il popolo di Israele che si raduna al completo, uomini, donne e bambini, per accogliere le decisioni di Dio: il qahal del Sinai. Abbiamo visto sopra come la comunione venga descritta dal NT in maniera fortemente oggettiva: la comunione dei beni, dei bisogni, delle sofferenze, della gloria, del vangelo, del pane eucaristico, 367

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del Figlio, dello Spirito ecc. Alla fine una comunione delle persone fra loro, dei soggetti che vi sono stati chiamati dal Padre, per cui il gruppo dei credenti segnalato da At 2,42 per la sua fedele assiduit allinsegnamento degli apostoli, alla frazione del pane, alle preghiere e, in mezzo a queste altre cose, si cita anche lassiduit alla comunione28. Per quanto il referente della riunione dei cristiani sia la convocazione di Israele, lassiduit dei cristiani alla comunione si riferisce al rapporto con Ges, al quale si sentono chiamati dal Padre nella forza dello Spirito. Ecco perch, se resta spontaneo e continuo il richiamo al qahal e, quindi, luso di chiamare ekklesa il proprio aggregarsi, mai viene usato con questo significato il termine synagog (ad eccezione di Gc 2,2). Intanto la sinagoga , nel suo senso pi diffuso, ledificio per la riunione dei giudei; i cristiani invece non hanno edifici di sorta nei quali riunirsi: si radunano nelle loro case. Poi il termine non pu non evocare in loro sia la profezia di Ges, sia la memoria di quanti fra loro nelle sinagoghe erano stati picchiati o ne erano stati cacciati (Mc 13,9; Lc 12,11; Gv 9,22; 12,42; 16,2; At 22,19). Il termine sinagoga, quindi, rester ad indicare un altro tipo di convocazione di Israele, quella che avviene in forza della legge e della tradizione giudaica, nel suo contrapporsi ostilmente verso le nuove comunit. Quando questa tensione giunger al culmine, lApocalisse demonizzer il termine, parlando addirittura della sinagoga di Satana (Ap 2,9; 3,9). Fu quindi giocoforza, per le comunit cristiane dellorigine, appellarsi alla parola con la quale i LXX avevano tradotto il qahal di Jhwh e designato il popolo di Israele, convocato da Dio per vivere in alleanza con lui. Luso pi antico del termine chiesa potrebbe essere quello che rinveniamo per due volte in Matteo, in un contesto semiticamente caratterizzato, l dove si parla della fondazione della chiesa su Pietro e della disciplina della comunit (Mt 16,18; 18,17). Quel legare e sciogliere ha forti riferimenti alla legge, mentre il richiamo alle porte degli inferi contiene una precisa indicazione escatologica che ricollega l pasqua di Ges: non per nulla egli la chiama la mia chiesa. In Paolo molto accentuato il carattere di evento, di convocazione della chiesa: un riunirsi, un ritrovarsi insieme che accade qua e l, in questa o quella citt, come pure in casa di questo o di quello. Un evento che sentito profondamente come evento di grazia: i cristiani si riuniscono perch sono amati da Dio e si sentono chiamati a essere santi, consacrati a lui. Tant vero che della chiesa si dir non solo che in Corinto o in casa di Aquila e Prisca, ma anche in Dio Padre e nel Signore Ges Cristo (Rm 1,6; 1Ts 1,1). Il pensiero paolino, per, solo con unevidente forzatura alla

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Secondo F. HAUCK, -, in GLNT V, Paideia, Brescia 1969, 709-723, con At 2,42 non intenderebbe la comunione dei beni, ma proprio la comunione nel suo senso pi spirituale.

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potrebbe essere ridotto a unidea radicalmente attualistica della chiesa, come se la sua consistenza stesse tutta nellintimo della coscienza e nel disegno di Dio e si manifestasse qua e l, di volta in volta, solo quando dei credenti si ritrovano insieme. Gi 1Cor 14,23 (Quando si raduna tutta la chiesa) contraddirebbe decisamente una simile concezione, poich il termine chiesa qui sintatticamente il soggetto del radunarsi. Ma, ben al di l della struttura di questo asserto, non si pu dimenticare che l ekklesa per Paolo un soma, il corpo di Cristo. Anzi, il soma dell ekklesa, corpo che ha per capo Cristo, indica allinterno delluniverso uno spazio determinato e concreto nel quale appare stabilita e manifesta quella signoria di Ges che a lui compete fin dal disegno originario della creazione, ma che attende di affermarsi in maniera a tutti visibile, perch uomini e cose hanno ancora bisogno di essere riconciliati con Dio per mezzo di lui (Ef 1,3,23; Col 1,13-20). Cos il termine chiesa, dopo aver significato la pura idea di un disegno divino percepito nella coscienza individuale, o lidea di una convocazione divina che si manifesta rapsodicamente, giunge a veicolare la concezione di una concreta e determinata aggregazione di persone saldamente unite fra loro, s da poter essere immaginata come un organismo vivente, come un corpo. Non solo; Ef e Col vanno tanto oltre, da superare la visione delle varie chiese esistenti in questa o quella citt, per sentire il soma di Cristo, oltre che come il grande collettivo delle comunit cristiane, anche come un organismo che si rapporta al senso globale di tutta la creazione sostenuta nellesistenza dal Padre, attraverso il Cristo che ne il capo. Atti e Apocalisse usano poi ekklesa con grande scioltezza e forte senso storico. Si tratta delle comunit cristiane che si stanno staccando o si sono definitivamente staccate dalle riunioni della sinagoga, costituite da credenti in Cristo provenienti dal giudaismo e dal paganesimo, per le quali con la morte e la risurrezione di Ges si realizzata la grande convocazione escatologica e nelle quali si attende il pieno compimento del Regno. In conclusione sembra di poter dire che nel NT i cristiani designano il loro aggregarsi nella fede in Ges con il termine chiesa perch, pur essendo stati allontanati dalla sinagoga, sono convinti che nel loro radunarsi si compie in pienezza il mistero divino della convocazione di Israele. Daltra parte essi non si sentono pi convocati ai piedi del Sinai, bens si trovano accostati alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, alladunanza festosa. Questo perch si sentono spalleggiati non dallantico mediatore, bens dal mediatore della nuova alleanza, che con il suo sangue, pi el oquente di quello di Abele, li asperge per purificarli e renderli capaci di accostarsi a Dio (Eb 12,1824). Questo testo di Ebrei ci fa capire il senso dellentusiasmo della comunit cristiana nel suo confrontarsi con lesperienza di Israele, che non si intende affatto tradire ma si pensa di rivivere, enormemente amplificata, nella forma totale del suo assoluto compimento. Questo i cristiani delle prime 369

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generazioni volevano dire quando chiamavano chiesa la loro comunit. Questo sentivano di essere ogni volta che, anche nella forma pi modesta, si riunivano e si rapportavano al grande mistero del mondo e del suo destino, consapevoli di costituire, nella concretezza della loro pur umile e povera presenza nella storia, il corpo di quel Cristo nel quale un giorno tutte le cose dovranno ricapitolarsi. Se chiesa sembrer, a un certo punto, termine da interpretare, da completare, perch luna o laltra delle molte dimensioni che ne compongono il significato verr a prevaricare sulle altre. Accade, allora, che se al termine si d una interpretazione eccessivamente mistica, si sente il bisogno di precisare che la chiesa una societ strutturata e organizzata; se gli si attribuisce un senso eccessivamente appiattito sul piano sociologico, si insiste sul fatto che essa mistericamente corpo di Cristo; se con questo si d limpressione di voler mistificare una realt semplice, o vedere la chiesa so lo nella sua grande dimensione di mistero universale, si preme sul termine comunit, per ricordare che si tratta di persone in carne ed ossa. In questo senso non dobbiamo dimenticare che comunit pare oggi come un termine particolarmente pregnante di significati solo perch lo leggiamo dentro la cornice della svolta ecclesiologica operata dal Vaticano II. Ma di per s, o collocata sullo sfondo del NT, la parola non dice molto di pi di ci che si coglie semplicemente nel fatto che la comunione emerge e diventa storia nellaggregazione dei credenti, che si rende presente nella vicenda degli uomini come un soggetto collettivo riconoscibile per certi suoi determinati valori. La questione della forma, o delle diverse forme che la comunit cristiana deve o pu assumere, resta ancora del tutto aperta: bisogner vedere qual genere di comunit quella che ci sta davanti quando parliamo della chiesa. d) La prospettiva ecclesiologica La comunione viene da una chiamata del Padre che risuona nellinteriorit delluomo, il frutto di unazione interiore dello Spirito Santo, per cui la communio sanctorum non storicamente percepibile n definibile, n lappartenenza alla comunione in alcun modo determinabile entro confini chiaramente percepibili. Per comunit invece intendiamo un aggregarsi di credenti che si riconoscono in quanto tali e in quanto tali si fanno riconoscere. Parliamo di comunit, per, solo quando questo reciproco riconoscimento non un fatto sporadico, ma si concretizza in una rete di rapporti di carattere stabile. Per cui non solo i singoli si riconoscono fra loro e si fanno riconoscere come credenti dal mondo circostante, ma anche il loro insieme si caratterizza come un insieme di credenti, che costituisce un soggetto storico collettivo, riconoscibile in quanto tale da un osservatore esterno. (I) Comunicazione e comunit Fra la realt interiore della comunione e quella empiricamente rilevabile della comunit sta il fenomeno della comunicazione. Se il dono della comunione, come chiamata del Padre, non si fosse ma370

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nifestato nella vicenda storica di Ges, sarebbe rimasta senza nome, non sarebbe stata simbolizzabile in una comunicazione, capace di rapportarne i protagonisti in una rete di relazioni sufficientemente definita, s da rendere storicamente individuabile un certo soggetto collettivo che di questa comunione sarebbe stato leffetto e il veicolo. Se, quindi, lautodonazione del Padre non si fosse concretizzata nella vita e nella storia di Ges, avrebbe rappresentato per gli uomini un principio di comunione, ma non avrebbe necessariamente dato origine a una chiesa. la vicenda storica di Ges di Nazareth che mette in moto un processo di comunicazione, che si concretizza in narrazioni vere e proprie dotate di una ineliminabile presunzione veritativa. Non un caso che la questione dellortodossia si sia affacciata alla coscienza ecclesiale fin dallinizio, nel NT stesso. La scorrettezza della comunicazione della fede, infatti, metteva radicalmente in crisi la vita della comunit. Non qualsiasi cosa si raccontasse di Ges poteva fondare la rete comunionale nella quale vivevano i cristiani. Se era la fede, e non pi la legge, il principio nuovo per il quale si sentivano salvati, lannuncio dal quale essa veniva non poteva sfuggire a un attento controllo. Paolo ne era ben consapevole: Se anche noi stessi o un angelo del cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema. Labbiamo gi detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema29. (II) Tradizione e comunit Poche figure del NT ci danno in maniera cos netta lidea della formazione della chiesa come ce la d la metafora architettonica della oikodom, cio della edificazione della comunit: con singolare chiarezza essa disegna il comporsi della aggregazione dei cristiani nella forma di una entit stabile, duratura, eretta per la gloria di Dio, nella quale si rende a lui il vero culto spirituale e si d ospitalit e sicurezza al credente. Ebbene, alla base della costruzione sta sempre la predicazione del Vangelo. Basti citare Paolo che, preoccupato delle divisioni esistenti nella sua chiesa di Corinto, esorta a costruire la vita cristiana sulla base che egli ha posto come sapiente architetto: base che solo Ges Cristo, non il Ges creato dalla sapienza umana bens il crocifisso raccontato dai testimoni (1Cor 1,3). In Matteo Ges stesso che promette di costruire la sua chiesa e lo far fondandola su Pietro, perch Pietro ha professato fede in lui come Cristo e figlio del Dio vivente (Mt 16,18).

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Gal 1,8s. Vedi anche lo scrupolo con cui lApostolo propone il conten uto della sua predicazione alle persone pi ragguardevoli della chiesa di Gerusalemme, per non esporsi al rischio di correre o di aver corso invano ( Gal 2,1s). In 1Cor 15,1s Paolo pone come condizione precisa del compiersi della salvezza nel credente proprio quella di mantenere il vangelo nella medesima forma nella quale stato ricevuto la prima volta.

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Il fondamento della costruzione, certamente, Cristo stesso (Mt 21,42; Cfr. At 4,11). Per a Pietro viene attribuita la figura della roccia di fondazione per la sua testimonianza della fede e Paolo consapevole di essere stato lui stesso, con la sua predicazione, a gettare le fondazioni delledificio (1Cor 3,9-17). Questa consapevolezza tanto forte che genera nellApostolo lo scrupolo di andare a predicare solo l dove ancora nessuno ha predicato, per non dare limpressione di voler costruire su un fondamento altrui (Rm 15,20). Si veda poi come Paolo sia preoccupato per il dinamismo dei carismi nella comunit di Corinto e raccomandi di dare lassoluta precedenza alla profezia rispetto alla glossolalia, perch la prima serve alledificazione della comunit (1Cor 14,4). Ancora, la mirabile unione di giudei e pagani, che si realizza nella comunit cristiana, illustrata dallApostolo con la metafora della costruzione: Ges ha demolito il muro della separazione, per cui i pagani che hanno creduto in lui non sono considerati come stranieri nella grande casa. Essa ha come pietra angolare Ges e come fondamento gli apostoli assieme agli altri che hanno esercitato il carisma della profezia al servizio dei pagani (Ef 2,11-22). Il tema del culto entra nel discorso, ma con le sue caratteristiche assolutamente originali. Dalla fondazione della comunit, cio, non si deduce che essa si concretizza in un complesso rituale, bens che la sua stessa esistenza e le sue opere costituiscono, da s sole, il vero culto da rendere a Dio. Infatti la comunit primitiva non costruisce un suo tempio per realizzarvi la propria autoidentificazione; essa non sente il bisogno di darsi un volto attraverso i suoi riti e le sue liturgie, anche se, ovviamente, in fedelt al suo Signore Ges celebra la cena e il battesimo. Essa sa che il suo sacerdozio la sua vita stessa vissuta in Cristo. Le vittime da offrire in sacrificio sono vittime spirituali (1Pt 2,410), cio le azioni compiute sotto lispirazione dello Spirito Santo; il culto gradito a Dio lofferta del proprio corpo, cio della concreta esistenza del cristiano e quel sacrificio della lode cantata a Dio che la dossologia della professione di fede (Rm 12,1; Eb 13,15). interessante osservare che Paolo, quando intende descrivere in termini sacerdotali il suo ministero, non fa riferimento ad alcuna celebrazione cultuale: il sacrificio che egli, da sacerdote, offre a Dio, la fede delle comunit chegli ha fondato convertendo i pagani a credere in Cristo (Rm 15,16; cfr. 15,27). Da tutto ci si evince che non corrisponde allo svolgimento reale dei fatti ritenere che la comunit cristiana sia nata e si sia stabilmente strutturata perch il nuovo culto creato da Ges avrebbe richiesto una organizzazione sacerdotale e un apparato rituale. Caso mai vero esattamente il contrario: la struttura cultuale che si articolata sulle esigenze della trasmissione del vangelo. Si veda, per esempio, nelle lettere di Ignazio di Antiochia come il principio dellunica eucaristia e della competenza esclusiva del vescovo in ordine alla sua celebrazione si fondi sul fatto che solo il vescovo garantisce alla chiesa la fedelt alla predicazione apostolica (cfr. ad es. ad Fil 1-4). Il graduale struttu372

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rarsi dellunione dei credenti in forme stabili e determinate viene proprio dalle esigenze di una disciplina del loro stare insieme, le quali, a loro volta, scaturiscono dal bisogno dei credenti stessi di garantirsi lautenticit della loro fede nella fedelt al messaggio che fu predicato allinizio e sul quale essi fondano la loro esistenza personale e comunitaria. Che sia la paradosis lelemento che alla base dello strutturarsi della comunit, lo dimostra anche il fatto che il battesimo, latto cultuale che introduce nella chiesa, sempre preceduto dalla professione della fede. Lungo tutta la storia della chiesa non sar tanto la condotta antievangelica a mettere in crisi lappartenenza, quanto la deformazione della professione della fede con la quale ci si dichiarati credenti. Non senza significato che la presa di coscienza dei fenomeni di divisione della chiesa e il formalizzarsi dellidea di eresia avvengano con giudizi dati sulle parole. Il concilio di Nicea (325) condanner tous lgontas (coloro che dicono che) e, in seguito, la formula si quis dixerit diventer il classico incipit della denuncia di chi avr compromesso lunit della chiesa. La parola non certo pi costitutiva della chiesa di quanto non lo siano i sentimenti, i fatti, le azioni, n la fede ne forma la sostanza pi dellamore. Ma la verit della parola, nel senso della sua fedelt al compito di trasmettere una memoria, cos misurabile da poter costituire un criterio per la costruzione di una convivenza e la strutturazione di una comunit. Il confronto degli asserti permette il giudizio sulla fedelt alla paradosis. Essi non misurano la comunione intesa nel senso trascendente del dono dello Spirito vissuto nellinteriorit dei credenti, o del rapporto di amore vicendevole fra i credenti stessi. La professio fidei, per, ci che consente di costruire una comunit che possa dirsi chiesa, nel senso che chiunque vi pu trovare lautentica testimonianza apostolica. In conclusione sembra di poter dire che la comunione, attraverso la comunicazione della fede, produce nella storia la comunit cristiana come il frutto e, allo stesso tempo, come il soggetto adeguato della paradosis. Naturalmente se la parola della ortodossa professione della fede si imponesse alla coscienza ecclesiale come lunico e ultimo principio della chiesa, ignorando le sue dimensioni ulteriori, la chiesa si ridurrebbe a un organo giuridico, deputato a conservare la dottrina cristiana. Quando questo accade, nella contraddizione della carit e nella prassi dellintolleranza, il tradimento del vangelo si trasferisce dalle parole alle opere e la chiesa, pur dicendo correttamente la propria fede, la sua testimonianza diventa vuota (1Cor 13).

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3.3.5. Popolo di Dio: forma fondamentale della comunit cristiana In precedenza abbiamo studiato il rapporto fra la comunione e la comunit, senza comprometterci con nessun significato forte, riservandoci di interrogarci in seguito sulle possibilit di definire in ecclesiologia la forma che laggregazione comunitaria dei credenti necessariamente assume. La domanda potrebbe apparire ingenua quanto scontata la risposta: le forme dellaggregazione ecclesiale sono molte e diverse. Determinate circostanze storiche e geografiche, situazioni sociali e politiche diverse, contesti culturali differenziati, ispirazioni e carismi particolari di leader e di fondatori di comunit, hanno dato lungo i tempi alle comunit cristiane molte forme, le pi diverse. legittimo per ipotizzare che, al di sotto delle molte differenze e delle infinite variabili, levento ecclesiale si presenti con alcune esigenze sostanziali, dalle quali derivi non gi una forma di comunit che si imponga come unica e universale, ma un complesso di caratteri e di valori capaci di produrre una forma fondamentale di comunit, la quale costituisca un necessario punto di riferimento per tutte le altre forme che le varie aggregazioni cristiane intendessero assumere. Riteniamo che per rispondere a questa questione sia necessario considerare almeno questi elementi. 1) In primo luogo, linterrogativo sulla chiesa come soggetto storico. La comunione un dato creduto, di dimensioni altissime e del tutto incommensurabile: da Agostino a Gregorio Magno si pensato alla comunione come a una realt implicante anche gli angeli30. Per questo motivo dovrebbe essere evidente che non possibile comprendere la chiesa solamente a partire dallalto, cio dallidea della comunione: necessario, invece, considerare laltezza e la immensit del dono e, insieme, la sua manifestazione nella storia. Dicevamo che la parola di salvezza vive storicamente nella comunicazione e che, mediante la comunicazione, la comunione termina alla creazione di una comunit. Per la categoria della comunit, come si rilevato, troppo modesta e povera per dire la ricchezza di grazia che c nellekklesa. Come poter dire allora con unaltra parola, che possa fare da soggetto in una proposizione che la riguardi, la stessa verit della chiesa, senza sollevarla alla indefinibile altezza della pura communio sanctorum e senza abbassarla a unaggregazione sociale del tutto omologabile alle altre comunit o alle altre societ umane? In ecclesiologia si corre il rischio di sapere tutto su come la chiesa , sugli strumenti con cui la si pu descrivere, senza mai pervenire a dire chi la chiesa , a chi pensiamo quando diciamo: La chiesa ha detto la chiesa ha fatto. 2) In secondo luogo sta il problema, gi incluso nel primo elemento indicato, della storicit della chiesa. Come realizzare lauspicio di Paolo VI espresso nel discorso agli osservatori invitati al

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Y. M.-J. CONGAR, Lglise de saint Augustin lpoque moderne , Cerf, Paris 1970, 33s.

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concilio (17.10.1963) circa lesigenza fondamentale di una ecclesiologia conciliare, ossia storica e concreta31; con quale categoria si pu impostare una tale ecclesiologia? 3) In terzo luogo, dopo aver mostrato che la comunione attraverso la comunicazione si risolve necessariamente nella comunit, ci dobbiamo porre la questione sulla qualit della comunit ecclesiale, senza sfuggire allesigenza fondamentale di postulare una ecclesiologia che renda ragione della natura della chiesa che , per natura sua, una aggregazione sociale aperta a tutti: chiunque pu accedervi e appartenervi. Ora questa qualit si pu ricavare dalla identificazione della chiesa nel Popolo di Dio, il quale appartiene a tutti i popoli in mezzo ai quali vive, intreccia la sua sorte e il suo impegno terreno con il loro e, ci nonostante, conserva una sua identit e indipendenza. 4) Un quarto elemento ci suggerito soprattutto dagli esegeti: lidea del popolo di Dio fu la cerniera portante del drammatico rapporto fra chiesa e sinagoga. nella meditazione del destino riservato da Dio al suo popolo che le prime comunit cristiane hanno trovato la loro autoidentificazione in rapporto a Israele. logico, quindi, chiedersi se questa problematica debba essere riservata allindagine storico-esegetica, come propria ed esclusiva di una sola stagione della chiesa, o se abbia qualcosa da dire anche oggi per le relazioni della chiesa con Israele e con tutti i popoli della terra. a) Il popolo di Dio nel Nuovo Testamento stato osservato che nel NT lespressione popolo di Dio poco adoperata per parlare della chiesa e, ricorrendo per di pi nel contesto di citazioni dellAT, non sarebbe propria del linguaggio neotestamentario32. Ma questa giusta osservazione, pi che detrarre qualcosa allimportanza dellidea per lecclesiologia neotestamentaria, ci indica il luogo precipuo nel quale la chiesa rivela la sua coscienza di essere il popolo di Dio. Questo luogo consiste nella novit che il vangelo porta nella concezione tradizionale del popolo di Dio: di esso ora fanno parte anche i gentili; per la fede, infatti, essi entrano in comunione con gli ebrei credenti in Cristo, costituendo il las ex ethnon (At 15,14)33. Di fronte al fenomeno nasce non tanto una curiosit, ma un bisogno profondo di capire come sia possibile una comunione fra ebrei e pagani e come solo cos si possa realizzare il sogno messianico della convocazione escatologica del popolo di Dio. Questo il senso del ricorso alle citazioni di Os

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Si veda Civilt Cattolica 114 (1963) IV 514-518. At 15,14; 18,10; Rom 9,25s; 2Cor 6,16; Tit 2,14; Eb 4,9; 8,10; 1Pt 2,9s; Ap 18,4; 21,3. Cfr. J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971, 93. 33 Per J. DUPONT, Teologia della chiesa negli Atti degli apostoli, Dehoniane, Bologna 1984, 9, langolo visuale decisivo di tutta lecclesiologia lucana proprio quello del rapporto della chiesa con Israele.

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2,25 in Rom 9,25 e di Ger 31,33 in Eb 8,6-1234. La convinzione di essere il popolo di Dio e il corpo di Cristo si afferma attraverso diverse fasi della presa di coscienza di s. Prima di tutto si sperimenta il passaggio dallestraneit alla partecipaz ione alla politea di Israele: lesperienza di una aggregazione sociale che raduna giudei e pagani, cosa prima assolutamente impensabile. Qui compare la figura del corpo di Cristo, nel quale lui il capo (non limperatore) dellunit dei popoli nellimmenso impero35. Ma in questa singolare e nuova esperienza il cristiano vive il mistero della sua salvezza, cio della partecipazione alla vita del Risorto, il quale ha inaugurato la nuova e ultima epoca del mondo. Questo mistero si compie nella totalit del cosmo, con la vittoria del Cristo sopra le potenze (Col ed Ef): per il solo corpo visibile del Cristo ora la chiesa; essa ne costituisce la evidente manifestazione, essendo lunico popolo della terra che si costituisce attraverso labbattimento di tutte le barriere che dividono lumanit. Lelemento dominante che viene messo in risalto da questa indagine che il conflitto della chiesa con Israele non ebbe mai la forma di una chiusura settaria dei cristiani, come se questi avessero voluto isolarsi e, quindi, separarsi dalla popolazione giudaica. Esattamente al contrario, il conflitto ci fu perch le comunit dei discepoli di Ges volevano abbattere i confini, rendendo tutti gli uomini partecipi della grande eredit della fede e della tradizione ebraica. Se dunque Israele sentiva di essere popolo di Dio, la chiesa doveva darsi una forma e un nome che non significasse una ulteriore restrizione dei confini, bens al contrario lestensione universale di ci che il popolo di Israele aveva rappresentato fra gli uomini, fino allora, nella sua esclusiva particolarit. b) Popolo di Dio e cristianesimo di massa Nonostante la scelta del Vaticano II, di porre in primo piano la categoria di popolo, lecclesiologia posteriore non lha utilizzata tanto quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Probabilmente si alimentata una certa diffidenza verso questa figura, sia perch la si sentita molto vicina a quella sociologica della societ, sia perch se ne temuta la contaminazione con le ideologie nazionalistiche, con il populismo e il marxismo. Inoltre, sotto questa denominazione si pensato che si nascondesse la figura costantiniana della chiesa che aveva portato con s la coincidenza, anzi la confusione, fra cristianesimo e cristianit, fra chiesa e societ. Il tramonto di questa figura solleciterebbe pertanto la creazione di una forma aggregativa ecclesiale pi personale.

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K. BERGER, Kirche. II. Neues Testament, in Theologische Realenzyklopdie 18, Gruyter, New York Berlin 1989, 211. K. BERGER, op. cit., 204-207, a proposito della figura dellimperatore capo del corpo, cita Plutarco e Seneca.

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In effetti, da un punto di vista sociologico chiesa di popolo dice una situazione in cui lappartenenza alla chiesa di fatto legata allappartenenza a un popolo, a una tradizione, a una cultura; qui lessere chiesa trascende latomismo delle libere scelte degli individui per configurarsi come una appartenenza che si trasmette di generazione in generazione. Soprattutto nellambito occidentale segnato dalla modernit ci si chiede con preoccupazione se una tale forma di chiesa abbia ancora senso o non abbia pi alcun futuro. Il calo della pratica religiosa, lavvento di una societ multietnica dovuto ai grandi movimenti migratori, la crisi dei modelli di trasmissione familiare della fede, il fenomeno crescente dellabbandono di fatto della chiesa rendono legittima la domanda. In generale il problema si pone in tutti quei contesti, in cui il battesimo dei bambini si presenta come il titolo di appartenenza ufficiale, senza che si esiga unulteriore verifica delladesione di fede, che sola permette alladulto lo sviluppo dellesistenza ecclesiale che il battesimo aveva fondato36. Naturalmente il problema della qualit dellappartenenza fu molto meno sentito in epoche nelle quali ladesione alla fede cattolica caratterizzava in pieno lintera popolazione di un territorio e lappartenenza a un popolo coincideva sic et simpliciter con lappartenenza al popolo di Dio. Il pluralismo tipico della civilt moderna e il radicale superamento di quella che era stata la sua primitiva coartazione nel recepito assioma cuius regio eius et religio, lavvento dello stato laico e limporsi della democrazia come sistema ideale di governo della societ, tutto ci ha reso sempre pi complessa la questione dei rapporti fra una chiesa che non rinuncia al proprio carattere pubblico e una societ che tenderebbe a relegare nel privato ogni questione di fede e lorganizzazione dei credenti. Infatti, finch la popolazione di un territorio era per continuit storica e culturale totalmente cristiana, il battesimo dei bambini e la trasmissione della fede allinterno della famiglia, di generazione in generazione, costituivano unappartenenza forte alla chiesa. Oggi invece questi stessi fattori, in forza della situazione mutata, sembrano rendere debole questo tipo di appartenenza ecclesiale, in quanto in una societ pluralista aggregazioni forti sono quelle molto personalizzate, derivate dalla libera decisione dellindividuo e fortemente caratterizzanti la sua personalit. Poich lappartenenza fondata sullincancellabile carattere battesimale scarsamente sottoposta a discriminazioni da parte dellautorit ecclesiastica, in teoria la si dovrebbe reputare unappartenenza forte; in pratica per, nellesperienza concreta dellesistenza ecclesiale, essa svela una profonda de-

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H.U. von Balthasar considera la scelta di battezzare i bambini come la decisione pi gravida di conseguenze della storia della chiesa: Lesperienza della chiesa in questo tempo, in ID., Sponsa Verbi (Brescia: Morcelliana 1969) 15-16. Cfr. pure P. COLOMBO, Il battesimo e la figura storica della chiesa, in G. ANGELINI ET AL., Il battesimo dei bambini. Questioni teologiche e strategie pastorali (Disputatio 11; Milano: Glossa, 1999) 195-210.

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bolezza, perch quel certo automatismo che caratterizza il battesimo dei bambini e la trasmissione familiare della fede sembra impoverirne il carattere personale. Il punto cruciale del problema sta quindi nella prassi tradizionale del battesimo dei bambini, che costituisce uno strumento di aggregazione ecclesiale coerente a una forma di trasmissione della fede legata alla tradizione culturale di un popolo, piuttosto che alle esigenze di una evangelizzazione calata nel contesto di una societ, come la nostra, libera e pluralista, variegata ed estremamente mobile. Il battesimo dei bambini, infatti, corrisponde a un modello di esistenza cristiana che si trasmette di padre in figlio e aderisce a tutto il quadro culturale in cui vive la popolazione della citt, del quartiere Ne viene che oggi le appartenenze forti non sembrano pi essere quelle tipiche di una chiesa di popolo, bens quelle di comunit cristiane molto qualificate, come ad es. le comunit religiose o alcune particolari forme associative, alle quali si aggregano credenti dalla fede molto determinata e dallo stile di vita ben caratterizzato. Per parte sua il Codice di Diritto Canonico sembra quasi canonizzare quella forma di appartenenza che la situazione odierna ha reso debole: esso infatti conferma la prassi del battesimo dei bambini come prassi normale della chiesa, senza preoccuparsi di tutelarne la plausibilit attraverso un qualche specifico strumento canonico, quale potrebbe essere lattribuzione di una rilevanza giuridica a una qualche forma di professio fidei che il cristiano, da adulto, dovrebbe emettere come condizione necessaria per raggiungere unappartenenza personale e responsabile. Un superamento radicale di questa situazione avverrebbe solo se si ritenesse superata e impraticabile la prassi dellaggregazione alla chiesa mediante il pedobattesimo. Di fatto, seppur inconsciamente, sembrano compiere un tale superamento quei cristiani, che si aggregano a particolari comunit di associazioni, gruppi o movimenti, ritenendo che solo cos essi danno inizio, quasi ex nihilo, alla propria esistenza cristiana e mostrando cos di reputare inautentica la loro precedente appartenenza ecclesiale. Ora, questo insieme di fenomeni che oggi accadono nella chiesa ci mettono in condizione di farci unidea pi precisa del bivio di fronte al quale la chiesa si trova: essere o non essere una chiesa di popolo. Una comunit di soli adulti non pu essere detta popolo, n si pu presentare sotto forma di popolo unaggregazione elitaria, cui si aderisce solo per una decisione di fede adulta. Daltra parte, definire la chiesa popolo di Dio non significa condannarla al compromesso con il mondo e alla rinuncia al radicalismo del messaggio evangelico, non significa destinarla ad unesistenza oscura e povera di testimonianza. Se nessuno pu dire: Ges Signore se non nello Spirito Santo (1Cor 12,3), vuol dire che nessuno pu giungere a essere credente se non in quanto stato mosso e investito dallo Spirito. Ora, chi ha lo Spirito per definizione un soggetto capace di arricchire con i suoi doni la chiesa e contribuire alla missione di lei, quale che sia la sua maturit psichica, le sue qualit intellettuali e il livello del suo impegno morale. 378

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c) Popolo di Dio in ecclesiologia Giunti al termine di questa laboriosa analisi, ci resta da mostrare come la categoria di popolo di Dio costituisca uno strumento ermeneutico irrinunciabile in ecclesiologia. Il delicato e fondamentale rapporto, che abbiamo a lungo esaminato, fra il concetto di comunione e quello di comunit non basta a chiudere il cerchio dellinterpretazione, n lappello alle immagini, dalle pi svariate metafore, ai simboli, alla figura del corpo di Cristo, basta a fornire una risposta alla domanda essenziale sulla forma fondamentale della comunit cristiana. Per parlare della chiesa includendovi tutti i cristiani, il Vaticano II ha sentito il bisogno di recuperare la categoria di popolo di Dio prima di trattare della gerarchia, dei religiosi, di questa o quella categoria particolare di credenti. Ci che accadde nel concilio molto significativo: non si pu parlare della chiesa, cercando di coglierla come il soggetto della missione affidata da Cristo ai credenti, senza considerarla prima di tutto come il popolo di Dio. Se molte sono le forme che le comunit cristiane possono assumere, questa la forma fondamentale alla quale tutte le altre dovranno in qualche modo ricondursi. Per questo popolo di Dio non uno strumento ermeneutico fra i tanti, che aggiunge un punto di vista in pi per la comprensione della chiesa: invece una categoria fondamentale e indispensabile per una corretta ecclesiologia. (I) Popolo e popolo di Dio Quando diciamo che la chiesa un popolo, non pensiamo di utilizzare una metafora: osservando una grande assemblea liturgica, o le celebrazioni della festa patronale di un paese, a nessuno viene il sospetto che parlare di manifestazioni popolari potrebbe essere improprio. Qui la chiesa appare palesemente come unaggregazione di popolo: unaggregazione grande, aperta, alla quale chiunque pu associarsi. Se uno lo vuole, pu partecipare alla sua vita anche solo per una singola occasione; se poi intendesse appartenervi stabilmente, gli si porrebbe come condizione solo quella di credere in Ges Cristo. Come accade in ogni popolo, i membri indegni non ne vengono espulsi, quelli poco efficienti o poco disposti a cooperare ai compiti comuni non vengono emarginati. Si noti che la scarsissima discrezionalit attribuita dal Codice (cfr. can. 843 1) ai preti in ordine alla concessione o al rifiuto dei sacramenti una fondamentale garanzia di questo carattere di popolo della chiesa. Se ci limitiamo, per, a dire che si tratta di unaggregazione di popolo, non abbiamo indicato alcun aspetto specifico della chiesa. Per questo la chiamiamo popolo di Dio. Lespressione di Dio non vuol dire che si tratta di un popolo religioso, ma che un popolo voluto e fondato da Dio come suo, in forza della sua rivelazione che i credenti hanno accolto nella fede. N con ci la chiesa ritiene che gli altri uomini non appartengano a Dio o non siano da lui amati: come stato svelato a Paolo per Corinto (At 18,9s), in tutte le citt della terra Dio ha un popolo grande. E la chiesa va in ogni luogo a portare il vangelo, perch il popolo di Dio nascosto emerga alla luce della storia. 379

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Naturalmente il linguaggio assume ora un andamento metaforico, perch dicendo che si tratta di un popolo convocato da Dio e che a lui appartiene, il concetto del convocare gli uomini e del possedere qualcosa come proprio pu essere detto di Dio, solo con la coscienza che stiamo tentando di dire, con figure umane, un mistero ben pi profondo di quanto le nostre immagini possano suggerire. Resta che quando individuiamo la chiesa nellidea del popolo di Dio, noi acquisiamo un termine che pu sostituire il termine chiesa, sia nella sua dimensione particolare sia in quella universale, e che pu fungere da soggetto in una proposizione che la riguarda. Cosa che non pu accadere n con comunione, n con sacramento, n con comunit, n con la figura del corpo di Cristo, n con lespressione communio sanctorum. Questo avviene anche perch della chiesa dobbiamo poter parlare come di un vero e proprio soggetto storico. E un popolo essenzialmente un facitore di storia. (II) Popolo nuovo Ogni popolo diverso dagli altri, altrimenti non si parlerebbe di popoli al plurale. Per della chiesa non basta dire che un popolo diverso: bisogner sottolineare che un popolo nuovo. Anche nel senso che contiene e propone elementi escatologici riguardanti tutta lumanit: il Vaticano II la chiama popolo messianico (LG 9b). La sua dimensione escatologica si manifest nel distacco da Israele: al centro era la questione della legge. Per i cristiani, pur essendo cosa santa (Rm 7,13), la legge non il fondamento della loro unit e della loro esistenza collettiva. Questo fondamento solo la fede in Ges, risorto e Signore. Solo a questa condizione il cristianesimo pu dar vita a un popolo universale che non cancelli affatto il riconoscimento di leggi particolari, alle quali i cristiani sottostanno per la loro appartenenza a popoli diversi. Infatti il principio della fede, che si sostituisce a quello della legge, permette alle comunit cristiane di vivere sotto le pi diverse leggi. Ci significa anche la possibilit di inserirsi nelle pi diverse culture e civilt. Ne deriva che pertinente attribuire alla chiesa il termine popolo, ma allo stesso tempo che impossibile omologare la chiesa ai popoli delle societ civili e le sue strutture a quelle degli stati e dei loro governi. Questo popolo nuovo che nasce dalla fede non viene, per sua natura, a competere con nessuno. Anzi la sua proposta, inscritta nella stessa sua natura cattolica, quella della riconciliazione universale, della pace e della solidariet fra tutti i popoli. La sua missione storica contiene fra gli altri questo aspetto come suo elemento essenziale. Anche per coerenza con questa sua vocazione il popolo cristiano, che non limitato da identit etniche o nazionali, neppure pu accettare delimitazioni interne alla sua struttura: ogni uomo chiamato ad appartenergli, indipendentemente dalla razza, dalla lingua, dalla nazione, dalla classe sociale, ed anche, paradossalmente, indipendentemente dalle sue qualit morali, poich nella chiesa egli trova la via della penitenza, del perdono dei peccati e della conversione. Lunica condizione richiesta quella della fede. 380

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(III) Caratteristiche della chiesa nella sua forma di popolo Dalla chiesa in quanto tale non si pu essere espulsi, come invece pu accadere, cos come previsto e regolato dal Codice di Diritto Canonico, per tutte le aggregazioni particolari interne alla chiesa, quali il ceto clericale, gli ordini e le congregazioni religiose e le associazioni (cfr. Can. 1336 1, 5; Can. 694; Can. 308). In realt la scomunica, a dispetto del nome, non unespulsione dalla chi esa, ma la privazione di alcuni diritti che il fedele normalmente pu far valere nella chiesa37. Questo elemento, in apparenza banale, invece molto significativo: se la chiesa fosse una federazione di comunit di vario genere, da quelle religiose a quelle dei gruppi e delle associazioni, un cristiano espulso dalla sua comunit sarebbe automaticamente escluso dalla chiesa. Se invece la chiesa popolo, al quale si appartiene per chiamata di Dio, per grazia e in forza del battesimo, tutti legami che precedono i nostri meriti e demeriti, essa deve dotarsi anche di strutture tali che le permettano di offrire un sicuro punto di accoglienza e una garanzia di appartenenza anche a chi, per qualsiasi motivo, venisse allontanato da aggregazioni ecclesiali particolari. Questo naturalmente significa che la comunit di base della chiesa sempre quella che ha forma di popolo, che cio non avanza alcuna ulteriore condizione di appartenenza allinfuori della pura e semplice professione di fede cattolica. Certamente la struttura parrocchiale38 e quella diocesana, cos come si sono venute formando lungo i secoli, hanno un evidente carattere di contingenza: cos come sono nate, possono anche scomparire. Non pensabile, per, che la chiesa non si fornisca di determinate strutture che le diano il carattere di unaggregazione di popolo, s da poter albergare in s infinite comunit di vario genere, le quali per non costituiranno mai la forma fondamentale sulla quale ogni cristiano fonder la propria appartenenza alla chiesa. ovvio che nessuno cristiano e appartiene alla chiesa perch frate dellordine domenicano, o iscritto allAzione Cattolica, o membro di una comunit neocatecumenale Al contrario: solo in quanto uno cristiano e appartiene alla chiesa, pu anche essere aggregato a una delle tante sue possibili diverse comunit. Si tratta di appartenenze ulteriori radicate sulla appartenenza fondamentale, cos come le tante particolari comunit rappresentano forme particolari rispetto alla forma fondamentale della chiesa, che quella della comunit di popolo. Solo questa costituisce il luogo dellappartenenza fondamentale, perch per entrarvi basta il battesimo e la condivisione della fede cattolica, mentre lappartenenza a particolari ulteriori forme di vita comunitaria

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G. MONTINI, Scomunica e appartenenza alla chiesa, in Lappartenenza alla chiesa. Quaderni teologici del Seminario di Brescia, Morcelliana, Brescia 1991, 147-162. 38 F.G. BRAMBILLA, La parrocchia tra passato e futuro, in FONDAZIONE AMBROSIANEUM, Invito alla teologia III La teologia e la questione pastorale, a cura di G. Angelini e M. Vergottini (Milano: Glossa, 2002) 95-114.

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esige la condivisione di un peculiare carisma, o laccettazione di un determinato stato di vita, o la destinazione della propria attivit a uno scopo particolare, quando addirittura non si esiga previamente di appartenere a una particolare categoria sociale, come accade per esempio per i gruppi giovanili, o per associazioni di tipo professionale, o per gli ordini e congregazioni religiose. Solo la comunit di popolo capace di accogliere, come la chiesa deve essere capace di fare, anche i bambini e i disabili, anche i cristiani peccatori, i credenti non praticanti e quelli disimpegnati, i cattolici dubbiosi, i disobbedienti e i marginali. Cos la comunit di popolo, normalmente delimitata da un perimetro territoriale, garantisce a ogni credente il diritto di appartenere alla chiesa, di riceverne i servizi e di parteciparvi con la propria collaborazione, senza che gli sia richiesta alcunaltra specifica attitudine oltre alla sua fede in Cristo. Il criterio territoriale, proprio perch completamente anodino, caratterizza al meglio la forma fondamentale della comunit ecclesiale, in quanto offre ad ogni credente, per il solo fatto chegli tale e abita in un certo territorio, la possibilit e il diritto di essere a tutti gli effetti membro della chiesa. Anzi gli appartenenti a comunit particolari sanno che, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo essi dovessero abbandonare la propria comunit o esserne espulsi, non per questo cesserebbero di appartenere alla chiesa. Normalmente questa forma fondamentale della comunit ecclesiale finora realizzata dalla parrocchia e dalla diocesi, le quali, prevedibilmente, saranno sottoposte ad ampia ristrutturazione39. d) Conclusione Il grande assioma paolino: Non c giudeo n greco; non c schiavo n libero; non c uomo n donna, poich tutti voi siete uno in Cristo Ges (Gal 3,28) pu essere ritenuto il principio costitutivo del nuovo popolo di Dio: la chiesa non nasce ritagliandosi un suo spazio chiuso allinterno di un popolo, o di una categoria sociale, o di un qualsiasi gruppo umano particolarmente determinato. Al contrario, il dono della comunione penetra dovunque, oltre tutti i confini e, per la fede, si creano tra persone di popoli diversi dei legami assolutamente irriducibili a quelli del clan o della nazione. Ma ci non basta: come il popolo di Dio non pu identificarsi con una nazione, cos non pu n identificarsi con una categoria sociale, n essere riservato a soli uomini o a sole donne, n selezionare i propri membri sulla base di alcunaltra condizione allinfuori della sola adesione di fede in Ges Signore. Dire che la chiesa popolo e popolo di Dio contiene tutto questo, mentre nessuna definizione di comunit potrebbe implicare da s sola questo carattere di assoluta cattolicit.

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F.G. BRAMBILLA, La parrocchia oggi e domani (Assisi: Cittadella, 2003); L. BRESSAN, La parrocchia oggi. Identit, trasformazioni, sfide (Bologna: EDB, 2004).

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3.3.6. Tipi fondamentali della Chiesa nella sue realizzazione storica a) La Chiesa come complesso e comunione di Chiese e di comunit ecclesiali Il carattere locale della Chiesa una delle pi importanti riscoperte del Concilio Vaticano II. Rifacendosi alle fonti bibliche e patristiche esso ha riscoperto che le singole realizzazioni della Chiesa non sono semplicemente parti o elementi subordinati della Chiesa universale, perch la stessa Chiesa universale una communio ecclesiarum (cfr. LG 23). Tuttavia il Vaticano II non ha proposto unecclesiologia sistematica, ma, come si conviene a un concilio, ha dato alcuni orientamenti. Esso lo ha fatto in modo esemplare a proposito dellufficio episcopale e della Chiesa episcopale locale. Viceversa, non si occupato in modo simile della comunit parrocchiale quale forma fondamentale di Chiesa. A maggior ragione ci va detto per ci riguarda la famiglia, la comunit personale e la comunit di base. Il nuovo principio stato quindi illustrato soprattutto per quanto riguarda la Chiesa locale episcopale e il suo rapporto con la Chiesa universale (cfr. SC 41; LG 23). Unesposizione teologica sistematica per non pu far a meno di applicare in maniera coerente e sistematica a tutta la realt della Chiesa il principio evidenziato in Concilio. Unesposizione dogmatica odierna deve perci porre in maniera nuova in relazione fra di loro la tradizione della Chiesa e la sua realt odierna, lorizzonte attuale in cui bisogna esaminare i problemi e la struttura della fede. Se partiamo dalla storia complessiva della Chiesa, vediamo che essa si realizzata in forme chiaramente diverse, in cui si via via manifestata nella sua totalit, seppur in modo specifico. In ci si rispecchiano la struttura fondamentale specifica della fede cristiana e le sue esperienze e reazioni storiche fondamentali: la concretezza, localit, individualit e personalit storica della fede, da un lato, e la sua collettivit, socialit e universalit, dallaltro lato; la sua incarnazione nelle forme storiche della socialit umana, da un lato, e la trasformazione da essa operata di queste forme sulla base dellazione divina nel mondo e nella storia, dallaltro lato. Ci significa che la comunit di fede si fonde da un lato con forme concrete della socialit umana (e si sviluppa a sua volta man mano che queste si sviluppano), che, dallaltro lato, abbraccia tutta la gamma della socialit umana e che infine trasforma, in misura pi o meno grande, in virt della propria esperienza fondamentale, singole forme e la forma complessiva di tale socialit. In questo modo diventano visibili, nel contesto di determinate condizioni storiche e sociali, alcuni tipi fondamentali di comunit ecclesiale: la Chiesa domestica, la comunit personale o la comunit di base; la comunit locale o parrocchiale; la Chiesa locale o Chiesa particolare episcopale e le sue associazioni (patriarcato, conferenza episcopale, Chiesa nazionale, Chiesa continentale); la Chiesa universale (universa). Esse, dal momento che trasformano forme fondamentali della socialit umana

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in luoghi specifici della comunione con Dio e quindi in nuove comunit (religiose), hanno un carattere strutturale, rappresentano le forme fondamentali della Chiesa, anche se la loro forma concreta un prodotto delle condizioni storiche e sociali. Tali forme fondamentali sono perci insostituibili e si condizionano necessariamente a vicenda. Inoltre, se devono essere forme fondamentali di realizzazione della Chiesa, devono necessariamente avere qualcosa in comune e devono presentare (almeno in linea di principio) gli atti fondamentali della Chiesa e le sue propriet fondamentali. Dallaltro lato ognuna di esse deve possedere una funzione sociale specifica allinterno del tutto. Lentit sociale Chiesa esiste solo come complesso e comunione di Chiese e comunit ecclesiali, che manifestano in maniera specifica la Chiesa e sono nel medesimo tempo fra loro correlate, anzi si determinano a vicenda. Ogni credente vive perci contemporaneamente (anche se con diversa intensit) in seno a diverse forme fondamentali di Chiesa. b) La Chiesa come comunit domestica, comunit personale e comunit di base (I) Forme di comunit Il termine e la realt della comunit sono balzati al centro della teologia e della prassi cattolica solo dopo il Vaticano II. Il Concilio da parte sua vi ha contribuito non tanto con una propria teologia della comunit, bens piuttosto mediante una concezione complessivamente pi personale della Chiesa, che tenta di recuperare una comunit ecclesiale oltre la tradizionale struttura parrocchiale. Ci si fatto anche richiamandosi a tutta una serie di modelli storici: la comunit domestica della Chiesa primitiva; la comunit personale monastica; le odierne comunit di base. A queste tradizioni si rifanno oggi tentativi teologici e anche magisteriali di concepire di nuovo la famiglia cristiana come una Chiesa domestica (ecclesia domestica). Dopo alcune prime indicazioni date dal Concilio Vaticano II (LG 11; cfr. 35; AA 11), il tentativo pi sistematico e completo fatto in questa direzione costituito dallesortazione apostolica Familiaris consortio (22.11.1981) di Giovanni Paolo II sui compiti della famiglia cristiana nel mondo doggi, esortazione in cui egli riassume i risultati del Sinodo dei vescovi del 1980. Qui la famiglia cristiana viene espressamente detta Chiesa domestica, una Chiesa in miniatura, cio una determinata attualizzazione della Chiesa (n. 49). Come tale la famiglia ha un compito ecclesiale del tutto particolare e specifico: essa unintima comunit di vita e di amore (n. 50). Inoltre compie, con proprie specifiche accentuazioni, gli atti fondamentali della Chiesa: la predicazione del vangelo (nn. 51-54), il culto e la preghiera (nn. 57-62), la diaconia (nn. 63-64).

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(II) Lecclesialit specifica delle comunit familiari e personali Comune a tutte le forme assai diverse di comunit domestiche, Chiese domestiche, gruppi spirituali e gruppi di base il fatto che esse, ferma restando la spinta alla personalizzazione impressa dalla fede cristiana, fanno diventare lesperienza di gruppo o di piccole comunit il punto di partenza dellesperienza della Chiesa. Una simile prima forma di ecclesialit fa dellesperienza di gruppo il luogo di una nuova comunione in virt di Dio, in quanto attua anzitutto il carattere personale e comunitario della fede e, in secondo luogo, in quanto pu direttamente concretizzare le implicazioni sociali e politiche della fede nel proprio contesto vitale. Inoltre la riscoperta della famiglia quale Chiesa domestica ricorda come una separazione completa delluomo concepito in senso puramente personale, soggettivo e individuale dai suoi contesti naturali, materiali e genealogici rende patologica anche la socialit religiosa e comporta sia una demondanizzazione della Chiesa, sia una deecclesializzazione del mondo. La riscoperta della famiglia come Chiesa domestica importante, perch mette a frutto per la comunit ecclesiale le esperienze sociali derivanti dai legami naturali, materiali e genealogici delluomo, in quanto ne fa in una forma rinnovata luoghi della comunione con Dio. Come in tutta la socializzazione primaria lapprendimento avviene anzitutto mediante limitazione, cos in tutti i gruppi, che rappresentano anche una comunit di vita, la trasmissione della fede avviene anzitutto mediante la comune prassi e il comune modo di vivere, che includono tutte le forme di comportamento e di azione. Quel che nella socializzazione religiosa esercita il maggior influsso, quel che unitamente alla necessaria fiducia originaria rende possibile lidentit del bambino latteggiamento interiore reciproco dei genitori, lamore cordiale e fiducioso che li lega luno allaltro. Linflusso diretto delle istituzioni ecclesiali vere e proprie qui piuttosto esiguo. La fede cristiana si attua perci nella famiglia cristiana, in un gruppo cristiano, in una comunit domestica o in una comunit di base primariamente come prassi ispirata dallamore. Tutti gli atti ecclesiali fondamentali sono qui influenzati da questo contesto vitale diretto. Di conseguenza essi sono qui sempre anche il risultato di una conoscenza esperienziale religiosa spontanea, che nasce dal contatto diretto del credente con la realt della vita (e che solo qui pu nascere), il risultato, detto in termini teologici, del senso della fede (sensus fidei) del popolo di Dio, che poggia sulla partecipazione alla missione di Cristo e sullazione dello Spirito Santo. Soggetto dellazione ecclesiale qui la comunit familiare o personale in seno alla prassi comune di tutti i suoi membri. La fede ecclesiale si attua nella famiglia cristiana, in un gruppo cristiano, in una comunit domestica o in una comunit di base primariamente come prassi animata dallamore e, per quanto riguarda gli atti ecclesiali fondamentali, come diaconia. 385

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Gi a questo primo livello la comunit diaconale ha bisogno di rapportarsi ad altre due forme, che sono in lei insite, e cio al culto e alla preghiera, da un lato, e alla predicazione, alla catechesi e alla conoscenza della fede, dallaltro lato. Senza una costante fondazione nel culto qualsiasi prassi corre infatti il pericolo di perdere la conoscenza della differenza che passa tra culto di Dio e idolatria, e senza predicazione e conoscenza della fede si riduce a routine e a tradizione meccanica. Proprio sotto tale aspetto questa prima forma di Chiesa dipende assolutamente dalle altre forme di Chiesa, vale a dire dalla comunit locale, dalla Chiesa locale episcopale e dalla Chiesa universale. Proprio nel contesto pluralistico della societ moderna la famiglia di regola posta di fronte a compiti per lei immani, se non inserita in una comunit viva, che la sorregge anche in situazioni difficili. Le strutture patologiche della societ influenzano infatti sempre anche le strutture della famiglia. Questa prima forma di ecclesialit rappresentata dalle famiglie e dai gruppi ha una funzione permanente nel complesso della Chiesa. Essa insostituibile nella fase della missione e della maturazione cristiana e costituisce un correttivo critico permanente contro una forma burocratico-anonima della Chiesa locale e contro una forma di Chiesa posta sopra le persone (e lontana dalla societ). La comunione di fede, speranza e amore si realizza in modo speciale nella famiglia concretamente come riconciliazione dei sessi e come riconciliazione delle generazioni. c) La Chiesa come comunit locale e parrocchiale (I) Forme della comunit locale Sia per motivi storico-pratici che teologici la nuova comunit religiosa dei cristiani dovette necessariamente costituire una determinata forma di comunit e quindi una determinata forma di ecclesialit anche sul piano della vita comunale locale (citt, villaggio). Fu ancora una volta lesperienza fondamentale specifica della fede, qui anzitutto la totalit, il carattere pubblico, lesclusivit e lunit di questa, a impedire che la nuova comunione si lasciasse completamente incapsulare nel modello sociale della famiglia, della parentela, dellassociazione. Fu proprio questa complessa e precisa esperienza della fede, che assieme a una serie di problemi e difficolt pratiche delle prime comunit, condusse a far s che il baricentro della Chiesa si spostasse molto rapidamente in seno alla comunit locale e a far s che la famiglia e la comunit personale, quali forme di realizzazione della Chiesa, fossero relegate in secondo piano. Le condizioni della vita comunale locale (spazio vitale comune, carattere duraturo delle relazioni sociali, differenziazione sociale, vita pubblica abbracciante tutte le generazioni e tutte le manifestazioni di vita) e le condizioni della comunit di fede si influenzano ora a vicenda fino a formare una seconda forma di ecclesialit, la comunit locale, la quale a sua volta ha conosciuto nella storia della Chiesa importanti sviluppi. 386

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Comune a tutte le forme di comunit ecclesiali locali e parrocchiali la circostanza di fare dellesperienza della vita comunale politica concreta (villaggio, citt) e dellesperienza di concrete assemblee politiche pubbliche il punto di partenza e il luogo dellesperienza della Chiesa, in quanto, collegandosi ad esse, attualizzano soprattutto la pretesa della fede cristiana di essere una fede universale e totalizzante, unitamente alla sua concretezza locale e alla sua continuit storica, e trasformano cos a loro volta la forma della comunit. (I) Lecclesialit peculiare della comunit locale Il Concilio Vaticano II considera le Chiese particolari soprattutto sotto laspetto delle Chiese episcopali e vede le comunit locali in netta dipendenza dalla diocesi, tuttavia si trovano gi alcune affermazioni orientate nel senso di una descrizione teologica della comunit locale. La comunit locale gi una forma relativamente compiuta di realizzazione della Chiesa ed veramente, in quanto comunit locale (communitas localis), Chiesa di Dio (LG 28). Tuttavia essa lo solo in costante e stretta unione con la diocesi e con il vescovo (LG 26.28). Bisogna perci tener sempre presenti le due cose: la comunit locale non ha unautonomia indipendente dal vescovo, ma non neppure una semplice filiale o un organo amministrativo subordinato della diocesi. Il suo centro la celebrazione comunitaria delleucaristia, presieduta dal sacerdote: Lassemblea eucaristica dunque il centro della comunit dei cristiani presieduta dal presbitero (PO 5; cfr. 6). A differenza della famiglia e del gruppo il mezzo socializzante vero e proprio nella comunit locale non la prassi ispirata dalla fede comune, ma il culto pubblico comunitario, soprattutto la celebrazione eucaristica domenicale. Il luogo primario dellesperienza della fede e della trasmissione o mediazione della fede su questo secondo piano della Chiesa perci la liturgia. Nella lode comune delle grandi azioni di Dio, nellascolto comune della parola di Dio, nel compimento comune delle azioni simboliche sacre, nella preghiera e nel canto comune e nello scambio della professione di fede la comunit radunata, composta da molte famiglie e gruppi, da rappresentanti di varie professioni, da diverse classi sociali e da varie opinioni politiche, viene di nuovo costituita, nella sfera pubblica di questa assemblea, come popolo di Dio che va incontro con rinnovata speranza al proprio Signore e che, professando la propria fede, si impegna nel medesimo tempo a dare testimonianza nella propria vita di quanto ha sperimentato nel culto, a testimoniare cio che lamore di Dio, il quale ha risuscitato Ges dai morti, e gi in procinto di instaurare un mondo nuovo. Questa nuova condizione, costituita dalla sfera pubblica, determina quindi anche la funzione peculiare del ministero ufficiale del parroco quale presidente della comunit. In virt della sua doppia funzione rappresentativa (rappresentanza di Cristo davanti e in seno alla comunit, rappresentanza 387

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della comunit in seno ad essa e verso lesterno) a lui compete il governo della comunit. Diversamente si dissolverebbe la struttura sacramentale della Chiesa. Tale funzione per il presbitero la detiene come membro di un collegio il cui capo il vescovo, il quale esercita il ministero apostolico di governo, e come membro della comunit in cui sono presenti molti carismi per la sua edificazione. Pure su questo piano la forma cultuale centrale di mediazione della fede ha bisogno del diretto e reciproco rapporto con altre due forme, insite nelle azioni liturgiche: di una nuova prassi ispirata dalla fede (fondata sulla partecipazione sacramentale alla prassi di Ges Cristo) e di una nuova conoscenza della fede (che ha il suo fondamento nella pretesa della fede di essere la vera fede). Alla mediazione cultuale simbolica della fede deve quindi corrispondere sia una corrispondente mediazione pratica, sia una corrispondente mediazione teoretica della fede. In questo modo la comunit locale il luogo degli atti ecclesiali fondamentali incentrato sul culto comunitario, che si spinge al di l delle famiglie e dei gruppi, nonch il luogo della comunicazione con la Chiesa locale episcopale. La comunit locale Chiesa di Dio in un luogo determinato. Questa seconda forma di ecclesialit ha una funzione permanente per tutta la Chiesa nel suo complesso. Essa non incarna solo la sua concretezza locale, il suo carattere pubblico, la sua durata e la sua pretesa di abbracciare tutti i rapporti sociali, bens anche il suo carattere di assemblea. d) La Chiesa come Chiesa locale/Chiesa particolare diocesana La comunit locale Chiesa solo come parte di una comunit pi grande, della Chiesa locale o Chiesa particolare episcopale (diocesana). Su questo piano ulteriormente differenziato lecclesialit della Chiesa possiede ancora una volta uno specifico baricentro e uno specifico modello strutturale. (I) Forme della Chiesa locale/Chiesa particolare La terminologia del Concilio Vaticano II oscillante: essa adopera otto volte lespressione Chiesa locale (ecclesia localis), quattro volte per indicare la diocesi, una volta la diocesi nel suo contesto culturale, due volte una aggregazione di diocesi e una volta addirittura la parrocchia. Inoltre adopera ventiquattro volte lespressione Chiesa particolare (ecclesia particularis), dodici volte per indicare una diocesi, dodici volte la Chiesa nel suo ambiente culturale (cinque delle quali per indicare Chiese cattoliche di un rito non latino). Ma continua ad adoperare per ben novantaquattro volte il termine classico (e giuridico) di diocesi. Il Codice di Diritto Canonico del 1983 si decide in favore dellespressione Chiesa particolare (ecclesia particularis) (al posto del termine diocesi), presumibilmente allo scopo di poter sussumere sotto un simile nuovo concetto ed espressione comprensiva le diocesi, le prelature territoriali, le abbazie territoriali, i vicariati, le prefetture apostoliche e le circoscrizioni amministrative (cfr. can. 368). Ambedue le espressioni (Chiesa locale, Chiesa 388

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particolare) hanno i loro vantaggi e i loro svantaggi. La Chiesa locale o particolare episcopale (diocesana) ha una forma fondamentale ambivalente. Da un lato (vista dalla prospettiva della Ecclesia universa) essa Chiesa in un determinato luogo e parte concreta del tutto, dallaltro lato (vista dalla prospettiva della comunit domestica o della comunit locale) unorganizzazione superiore, che stabilisce e rappresenta il collegamento con il tutto. La medesima cosa si dica dellufficio episcopale: da un lato esso rappresenta il governo concreto della Chiesa locale, dallaltro lato porta una responsabilit nei confronti di tutta la Chiesa. Il motivo di questa ambivalenza sta in un processo storico-sociale: nella differenziazione della Chiesa verificatasi nei primi secoli, Chiesa che da comunit locale governata dal vescovo diventa la Chiesa locale episcopale abbracciante una molteplicit di comunit locali governate da presbiteri su mandato del vescovo. Tale ambivalenza si ripercuote sulla complicata storia occidentale del rapporto tra episcopato e presbiterato, da un lato, e del rapporto tra episcopato e primato, dallaltro lato. La funzione ecclesiale particolare di questa fondamentale forma diocesana di Chiesa sostanzialmente determinata da colui che la presiede e la governa, dal vescovo, per cui bisogna parlare anche della Chiesa locale o particolare episcopale (Concilio Vaticano II, CD 11; cfr. CIC, can. 369). Una Chiesa locale o particolare episcopale nasce l ove a una parte del popolo di Dio, quale forma autonoma della comunione ecclesiale, viene assegnato il ministero di un vescovo quale principio e fondamento visibile della sua unit. Da un lato il vescovo governa (assieme al suo presbiterio) questa Chiesa locale come pastore ordinario e diretto, la rappresenta e agisce giuridicamente in suo nome. Dallaltro lato per, in qualit di membro del collegio episcopale, egli rappresenta di fronte ai suoi fedeli la Chiesa universa, che attraverso la mediazione del vescovo diventa presente nei suoi atti fondamentali nella Chiesa locale o particolare. Il vescovo diventa cos teologicamente e giuridicamente il punto di collegamento fra la Chiesa particolare e la Chiesa universa. (II) La peculiarit della Chiesa locale/Chiesa particolare diocesana La Chiesa locale episcopale composta da molte parrocchie, comunit e gruppi. Essi vengono raggruppati nellunit della Chiesa locale, amministrativamente mediante le istituzioni diocesane centrali, e rappresentativamente mediante il collegio presbiterale e soprattutto mediante il vescovo. La peculiarit della Chiesa locale o particolare perci, da un lato, la peculiarit dellufficio episcopale. Questa a sua volta consiste nel fatto che i vescovi compiono i tre atti fondamentali della Chiesa (predicazione, culto e comunione fraterna), che sono presenti in tutte le forme fondamentali di Chiesa, o (nel linguaggio del concilio) esercitano i tre uffici di Cristo (ufficio profetico, sacerdotale, pastorale, che devono essere esercitati da tutti), quali successori degli apostoli (LG 24), cio in rappresentanza di Cristo e della Chiesa. In virt infatti della missione divina e dell incarico eccle389

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siale, il vescovo continua nella sua persona, nel modo del segno e della testimonianza, il ministero apostolico per il mondo (cfr. LG 18-21.24-27). Ove questa forma specifica del ministero ecclesiale (rappresentazione del ministero apostolico) non viene esercitata dalla Chiesa particolare, cio dal vescovo, essa scompare per la Chiesa nel suo complesso, perch non sostituibile su altri piani. Dallaltro lato la Chiesa locale ha anche una sua struttura carismatica, che lufficio episcopale non pu sostituire o abolire. Rientra piuttosto nel compito dellufficio episcopale non solo controllare questi servizi; iniziative, doni e movimenti ecclesiali locali, bens anche favorirli, appoggiarli e coordinarli, anzi far addirittura loro spazio limitando il proprio raggio di azione, affinch essi possano contribuire alledificazione di tutta la Chiesa locale. Lufficio episcopale deriva il proprio compito e la propria autorit particolare dal fatto di continuare il ministero dellapostolo, in quanto rappresenta, nel proprio modo di agire nel tempo della Chiesa, Cristo e la Chiesa. Grazie alla missione e alla potest loro conferita con il sacramento dellordine i vescovi sono perci i presidenti della liturgia muniti dellautorit e potest di Cristo e quindi pastori e maestri, che devono testimoniare in maniera vincolante la fede autentica della Chiesa (cfr. LG 2427). Tale rappresentanza ufficiale della Chiesa raggiunge per il suo scopo solo se far posto anche allazione dello Spirito Santo nei molteplici carismi della comunit ecclesiale. e) La Chiesa come Ecclesia universa40 (I) Organi della Chiesa universale: papato e collegio episcopale La Chiesa universale (nel senso di universa) rappresenta una forma fondamentale specifica e insostituibile di Chiesa, perch la cattolicit e lunit sono propriet essenziali della Chiesa e perch la rivendicazione universale, avanzata dal vangelo, e la pienezza della rivelazione apparsa in Ges Cristo possono essere udite e accettate nel modo giusto solo dalla totalit del mondo. Ogni Chiesa particolare e Chiesa nazionale corre il pericolo di assolutizzarsi e di identificare le proprie esperienze religiose con il vangelo, qualora non viva in continuo scambio con le altre Chiese particolari. Sotto questo aspetto la Chiesa universale certamente lo scambio fra le Chiese particolari. Tale scambio deve avvenire a tutti i livelli delle Chiese locali e particolari. Ma l ecclesialit u-

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Il Concilio Vaticano II utilizza due diverse espressioni per indicare ci che noi intendiamo con chiesa universale: ecclesia universalis e ecclesia universa. Mentre la prima espressione designa tanto un soggetto chiesa localizzato quanto il soggetto chiesa ovunque diffuso e che pu persino oltrepassare i confini della Chiesa istituita, visto che raccoglie tutti i giusti da Abele fino allultimo (LG 2), il secondo termine designa la chiesa intera, linsieme di tutti i cristiani ed quello di cui intendiamo parlare nel nostro paragrafo.

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niversale, lunit e lidentit della Chiesa non sono riducibili a questo scambio, bens hanno bisogno, a motivo della struttura carismatica e ministeriale della Chiesa, di propri organi. Al fine di assolvere questo compito dellassicurazione dellidentit e della conservazione dellunit sul piano della Chiesa universa, nel corso della storia della Chiesa e attraverso un processo secolare furono istituiti degli organi che erano in grado di coordinare le Chiese particolari e di rappresentare e delimitare la Chiesa allinterno e allesterno come una sola entit: si tratta del papato e delle assemblee episcopali. Tale processo per nel medesimo tempo una delle cause e dei sintomi essenziali delle grandi divisioni della Chiesa verificatesi nei secc. XI e XVI. La questione relativa al modo di garantire lidentit e lunit della Chiesa universale e della fede rappresenta perci fino ad oggi uno dei punti pi difficili del dialogo ecumenico. Secondo lautocomprensione della Chiesa cattolica, nel corso della storia la Chiesa diviene sempre pi consapevole di quel che essa nella sua essenza: e cio il soggetto della trasmissione della fede messo in moto, mediante la prima testimonianza degli apostoli, dallautotestimonianza di Ges e animato dallo Spirito di Cristo. Nel corso della storia la Chiesa si scopre sempre pi come il soggetto di quella mediazione umano-storica, attraverso cui lautocomunicazione di Dio si mantiene presente nella storia. Tale scoperta storica di s della Chiesa come di un soggetto operante unitariamente non si verifica solo in seguito allautocomunicazione di Dio, che libera la libert creaturale e la mette in grado di rispondere con amore (appunto come soggettivit universale), ma si verifica concretamente anche allinterno del gioco combinato di determinati contesti culturali, sociali e politici. Cos dalla prospettiva cattolica, nel primato giurisdizionale e magisteriale del papa, proclamato nel Concilio Vaticano I, si espressa la coscienza esplicita del potere decisionale della Chiesa e quindi di una sua soggettivit storicamente operante in ununica persona. Dopo che questo processo di apprendimento, caratterizzante lo sviluppo occidentale della Chiesa, fu giunto in tal modo a compimento, nel Concilio Vaticano II fu possibile - tenendo presente il Vaticano I, ma riprendendo nel medesimo tempo le tradizioni della Chiesa orientale e le tradizioni sinodali e grazie a una loro rinnovata attualizzazione - estendere di nuovo pi decisamente a tutta la Chiesa la coscienza del suo carattere di soggetto. Chiesa come soggetto significa qui: il popolo di Dio, che va insieme incontro al Signore; la comunione delle Chiese locali inculturate che, in un intenso scambio fra di loro, diventano un soggetto chiaramente specifico e tuttavia aperto della trasmissione della fede cristiana; e il complesso di quei segni e di quelle testimonianze, che si impegnano solidalmente affinch tutti diventino soggetto e rinnovano cos il loro carattere di segno e di testimonianza.

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(II) Il servizio allunit della Chiesa Unecclesiologia cattolica ecumenica cercher di aprire anzitutto prudentemente, alla luce di tutta la tradizione cattolica, gli ordinamenti oggi di fatto in vigore. Il ministero ecclesiale universale del papa e del collegio episcopale potrebbe pertanto essere cos interpretato in campo cattolico: (1) In una particolare situazione di emergenza della Chiesa universale il primato giurisdizionale e magisteriale del papa pu essere visto come una specie di legge straordinaria: quando lunit e lidentit necessaria della fede ecclesiale cos minacciata in questioni fondamentali della fede e della vita e anche lunit e lidentit della stessa Chiesa sono di conseguenza cos minacciate da rendere impossibile il raggiungimento di un consenso per altra via, allora esiste la possibilit di una decisione magisteriale definitiva del papa, decisione contro cui non pi possibile canonicamente appellarsi e che non ha bisogno di essere giuridicamente approvata da alcun altro organo. (2) Che si tratti di situazioni eccezionali di emergenza o di decisioni importanti nel campo della fede, che interessano tutta la Chiesa e sono prese in punti nodali dello sviluppo ecclesiale, in ambedue i casi, quando il papa prende una decisione definitiva ex cathedra o il collegio dei vescovi prende una decisione definitiva in un concilio ecumenico in materia di fede, oppure il collegio dei vescovi predica concordemente e in maniera definitivamente vincolante (senza radunarsi in un concilio) una determinata dottrina, sia il papa che il collegio episcopale fanno ci in virt della loro potest e autorit suprema, cio in nome di Cristo e in nome della Chiesa, e godono perci dellassistenza dello Spirito Santo che, secondo la promessa di Cristo, conserver la Chiesa nellunit e nella verit della fede. Tali decisioni dottrinali sono perci infallibili, definitive, irreformabili ed esenti da errore ed esigono lobbedienza della fede da parte dei fedeli. Questo non significa per che esse sarebbero ottimali, che non avrebbero pi bisogno di alcuna ulteriore riflessione, completamento, spiegazione e miglioramento, o che esprimerebbero addirittura in maniera esauriente la verit di Dio. Linfallibilit significa solo, primo, che colui che d il proprio assenso a tali decisioni in materia di fede pu star certo di non essere sviato dalla verit di Dio, bens di essere attendibilmente indirizzato sulla via di tale verit e, secondo, che colui che consapevolmente, espressamente e pertinacemente afferma in pubblico in seno alla Chiesa il contrario di tali decisioni dottrinali deve seriamente temere di essersi separato dalla fede vincolante della Chiesa. Una simile decisione dottrinale infallibile presuppone la fede della Chiesa. Di conseguenza essa rimane legata alla precedente testimonianza della Sacra Scrittura e della tradizione vincolante della fede della Chiesa, nonch (nella misura in cui esiste) al consenso attuale della Chiesa. Il papa e il collegio episcopale sono perci moralmente tenuti a impiegare tutti i mezzi adeguati dello studio, della riflessione e della consultazione per apprendere dapprima essi stessi la fede della Chiesa 392

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quale presupposto della loro decisione definitiva sulla retta comprensione di tale fede. Questo faticoso processo di apprendimento e di formazione del consenso stato possibile seguirlo in maniera particolarmente chiara nel corso del Concilio Vaticano II. (3) Nella situazione ecclesiale normale il fedele si trova di fronte allinsegnamento autentico, cio vincolante ma non infallibile, del papa e dei vescovi. Lossequio religioso dovuto al magistero autentico contiene anzitutto un momento di fiducia: di regola il credente pu confidare nel magistero autentico della Chiesa. Chi segue tali indicazioni pu di regola esser sicuro di non essere sviato dalla verit di Dio, ma di essere condotto verso di essa. Accanto a questo presente anche un momento di ammonimento: chi consapevolmente non segue le indicazioni del magistero rischia di sbagliare, e chi insegna il contrario si gi di regola separato dalla comprensione della fede della Chiesa. Sia nel concetto di ossequio religioso (che non lobbedienza della fede) che in quello di magistero autentico (ma non infallibile) contenuta unautolimitazione: il dissenso possibile. Questa possibilit del dissenso teologicamente fondata soprattutto sul carattere di comunione della Chiesa, sulla sua struttura carismatica, sulla sua storicit, provvisoriet e peccaminosit. Allinterno di una ecclesiologia cattolica un dissenso del genere pu legittimarsi solo come eccezione. Il consenso con il magistero la regola. Un dissenso legittimo non presuppone perci solo lesistenza di motivi oggettivi chiari (richiamo alla fede della Chiesa o allesigenza di una situazione particolare), bens anche un comportamento consensuale, il che significa che si esprime il proprio parere contrario solo per servire espressamente lautenticit e la comunione della Chiesa. Un comportamento del genere dovrebbe perci includere perlomeno una seria disponibilit ad apprendere, apertura e disponibilit a rivedere la propria posizione, nonch il riconoscimento rispettoso della funzione, della responsabilit e dellautorit del magistero. Lautorit delle decisioni del magistero ecclesiale non dipende dalla forza degli argomenti teologici addotti, ma poggia sulla potest specifica della sua funzione di rappresentare Cristo e la Chiesa. Nel loro nucleo le enunciazioni magisteriali non sono perci argomenti teologici, ma giudizi pratici. Esse non riguardano la verit delle affermazioni relative alla fede in astratto, bens nella loro importanza e funzione ecclesiale. La decisione, il giudizio del magistero su affermazioni attinenti la fede scaturiscono sempre dalla prospettiva pastorale, dalla considerazione se una determinata idea teologica serve o meno alla salvezza dei fedeli, allunit e allidentit della Chiesa e allefficacia e autenticit della predicazione ecclesiale. Dato che la conservazione dellunit e identit della Chiesa uno dei compiti principali del ministero ecclesiale, non stupisce che le decisioni magisteriali quali giudizi prudenziali presentino un carattere fondamentalmente conservatore, adottino cio di regola la soluzione pi sicura e si schierino in favore di norme gi in vigore e di autori riconosciuti. 393

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Linfallibilit del dogma e lobbedienza della fede del credente significano che colui che accetta con fede tali decisioni pu star sicuro di non essere allontanato dalla verit di Dio, ma di essere attendibilmente instradato verso tale verit. Linsegnamento ecclesiale autentico del papa e dei vescovi e lossequio religioso del fedele significano che colui che accetta tale insegnamento pu di regola esser certo di non essere allontanato dalla verit di Dio, bens di essere guidato verso tale verit. Ma unecclesiologia cattolica ecumenica deve anche mirare a un ripensamento della figura del papato secondo le indicazioni della enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995) di Giovanni Paolo II, in cui ai nn. 88-96 si invoca la collaborazione di tutti per giungere ad individuare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo allessenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova (n. 95), affinch si possa cercare evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri (ibid.). (1) Il papato, se vuole diventare ecumenicamente efficace, deve divenire pi chiaramente di prima lespressione della reale cattolicit della Chiesa, cos come essa stata riscoperta nel Vaticano II. Da un lato questo significherebbe che la struttura primaziale della Chiesa va pi coerentemente inquadrata in una struttura sinodale (senza rinunciare alla propria relativa autonomia) e che, abbandonata lidea di ununit uniformistica e monolitica, trova pi spazio nella teoria e nella prassi alla conciliarit (sinodalit) e alla ecclesialit locale della Chiesa. Dallaltro lato questo significherebbe che il primato del papa viene pi chiaramente inquadrato nel primato del vangelo e ad esso sottoposto. Di conseguenza bisognerebbe definire in maniera pi chiara anche i limiti della giurisdizione papale. Similmente bisognerebbe evitare la tentazione di esercitare un potere centralistico e totalitario. (2) Il papato dovrebbe diventare pi chiaramente lespressione dellecumenicit della Chiesa. Perci il papa dovrebbe presentarsi non solo come il portavoce delleredit cristiana comune a tutte le Chiese e operare moralmente in rappresentanza di tutte le Chiese come il difensore della libert e dei diritti delluomo, ma concepire il proprio ministero in favore dellunit anche come un servizio in favore dellunit di tutti i cristiani e di tutte le Chiese. In effetti Roma lunica sede episcopale che rivendica un primato universale, che ha esercitato e continua ad esercitare un tale ministero. Un simile servizio petrino cattolicamente ed ecumenicamente inteso a lungo andare indispensabile per una cristianit riconciliata. Infatti, come lufficio apostolico ha bisogno di un segno e di una testimonianza personale visibile sul piano della Chiesa episcopale locale e anche sul piano della comunit locale, cos ne ha anche bisogno a livello di Chiesa universale. Se tale funzione viene qui a mancare, non pu essere sostituita su alcun altro piano. Pertanto lidentit e lunit della Chiesa dipendono per una parte essenziale anche dalladeguato esercizio di questa funzione.

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3.4. La chiesa una, santa, cattolica e apostolica 3.4.1. Le propriet essenziali della chiesa nel simbolo di fede a) Il significato dellinclusione dellarticolo sulla chiesa negli antichi simboli di fede Sappiamo che gi in tempo antichissimo nel terzo articolo della confessione di fede battesimale era presente pure il credere la chiesa come sacramento dello Spirito, come elemento dellintera economia della salvezza. Noi troviamo la menzione della Chiesa nel credo battesimale in uso a Roma attorno alla fine del secondo secolo. Sarebbe utile richiamare alla mente quel che conosciamo circa lo sviluppo delle primitive professioni di fede cristiana. La loro formulazione ha origine dalla professione di fede che i catecumeni dovevano fare durante il loro battesimo. Prima di ogni immersione al candidato era chiesto di dichiarare la sua fede: la prima volta in Dio Padre, la seconda nel Signore Ges Cristo, la terza nello Spirito Santo. Le pi antiche professioni di fede battesimali che abbiamo, sono in forma di tre domande alle quali il battezzato doveva rispondere: Credo. Sembra pressoch certo che nella forma pi primitiva, la terza domanda chiedeva semplicemente: Credi nello Spirito Santo? Ma sappiamo dalla Tradizione apostolica di Ippolito, scritta allincirca nel 215, che dalla fine del secondo secolo la domanda posta a ciascun battezzando nella Chiesa di Roma era: Credi nello Spirito Santo nella santa Chiesa?1. Dal III sec. in poi ogni simbolo battesimale a noi giunto sia nella formulazione pi antica di domanda e risposta, sia nella pi tardiva forma dichiarativa come si presenta nel cosiddetto Simbolo degli Apostoli, menziona la santa Chiesa dopo lo Spirito Santo (DzH 1, 10-11). In effetti la Chiesa non appare mai in un simbolo battesimale senza laggettivo santa; il Simbolo degli Apostoli aggiunge cattolica (DzH 19ss) e fu il simbolo del Concilio di Costantinopoli nel 381 (DzH 150) a fissare definitivamente in quattro gli attributi che, nel credo battesimale di qualche Chiesa cristiana orientale, erano menzionati da tempo (i quattro attributi si trovano gi nel Simbolo di S. Epifanio DzH 42 , il quale a sua volta avrebbe utilizzato quello di Cirillo di Gerusalemme DzH 41). Se ci si chiede cosa spinse la Chiesa del II secolo a cominciare a richiedere che i candidati al battesimo professassero la loro fede nella santa Chiesa, la risposta pi probabile sarebbe quella suggerita da Kelly2. Allincirca in questo periodo come sappiamo dagli scritti di S. Ireneo gli eretici gnostici, che avevano posto le pi serie minacce alla vera fede, disprezzando la gente che apparte-

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IPPOLITO, La tradizione apostolica, 21. J.N.D. KELLY, I simboli della fede antica. Nascita, evoluzione e uso del credo (Napoli: Dehoniane, 1987).

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neva alle Chiese su cui presiedevano i vescovi, si vantavano di possedere una conoscenza della rivelazione pi alta, pi perfetta di quella insegnata dai vescovi. Perci si radunavano nei loro incontri privati, avendo in spregio la grande Chiesa e i loro capi. Contro gli gnostici S. Ireneo insiste che solo nella santa Chiesa si pu trovare lo Spirito Santo e ricevere i suoi doni. In un simile clima si capisce perch, a quanti desideravano ricevere il battesimo, veniva chiesto di professare la loro fede nello Spirito Santo nella santa Chiesa. Questi quattro termini vogliono indicare quattro aspetti essenziali del mistero della chiesa; di conseguenza chi vuole cercare di capire cosa sia la chiesa costretto anche a chiedersi che cosa si intenda esprimere con la professione di fede nella Chiesa una, santa cattolica e apostolica. b) Valore ecumenico della professione di fede nella chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Quasi tutte le chiese e comunit ecclesiali cristiane accettano il credo Niceno-Costantinopolitano come normativo per la loro professione di fede3 e credono quindi che la chiesa una, santa, cattolica (evidentemente non nel senso confessionale di romana, ma di universale), e apostolica. Ci sono per ancora delle difficolt che impediscono una comprensione comune di queste quattro propriet. Tuttavia questo simbolo della fede, sebbene a volte inteso diversamente, costituisce un valido punto di partenza per il dialogo ecumenico; in particolare, la confessione di fede nella Chiesa una manifesta con forza che la situazione di divisione contraria alla natura della chiesa di Cristo. c) Luso apologetico delle quattro propriet: la via notarum La riflessione su queste propriet ha fatto il suo ingresso in ecclesiologia secondo un uso apologetico durante le dispute con gli hussiti (G. di Ragusa) e soprattutto con la Riforma, quando diverse comunit rivendicavano di essere la vera chiesa di Cristo ad esclusione delle altre. sintomatico il fatto che, mentre nel Medioevo si parlava di conditiones4 pi che di notae, nel XVI sec. troviamo qualitates, indoles, ratio, praerogativa, pi spesso proprietates (cfr. il Catechismo romano), talvolta presi come equivalenti di notae. Sono poi questi due ultimi i termini che hanno prevalso.

Per questo la proposta di un percorso di unit possibile fra le chiese ipotizzato da Fries e Rahner nello loro studio Unione delle chiese possibilit reale (Brescia: Morcelliana, 1986; ed. or. 1985) 23, pone come condizione prima di possibilit della futura Chiesa una ladesione delle singole Chiese alle verit fondamentali come sono enunciate nella Sacra Scrittura, nel credo apostolico e in quelli di Nicea e Costantinopoli. In una simile direzione si mossa pure la Commissione Fede e Costituzione del CEC, la quale nel 19 90 ha pubblicato una spiegazione comune del Simbolo NicenoCostantinopolitano: Confessing the One Faith. An Ecumenical Explication of the Apostolic Faith as it is Confessed in the Nicene-Constantinopolitan Creed (381) (Geneva: WCC Publications, 1991). 4 Conditio nel senso di stato o qualit che fonda, per una data realt, la verit di un predicato che le si attribuisce: Y. CONGAR, Propriet essenziali della Chiesa, in Mysterium Salutis VII, 439.

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La necessit di criticare i segni distintivi rivendicati dai protestanti, poi la differenza di argomentazione secondo che si avevano di mira i protestanti o i libertini, porta alla distinzione tra segni, propriet e note. Le note devono soddisfare a quattro condizioni: 1) essere pi facilmente riconoscibili della Chiesa stessa (notiores ecclesia); 2) essere facilmente accessibili a tutti, anche alle persone semplici (obviae omnibus etiam rudioribus); 3) convenire soltanto alla vera Chiesa (propriae); 4) non essere separabili da essa (inseparabiles ab ecclesia). Le propriet sono proprie alla Chiesa, ma non possono servire a farla riconoscere come listituzione divina a coloro che la vedono dallesterno. In generale si enumerano fra queste propriet il fatto di essere una societ ineguale o gerarchica, la visibilit, la necessit (per la salvezza), la piena indipendenza di vita (societ perfetta), lindefettibilit, linfallibilit, poi le nostre quattro note che sono anzitutto delle propriet. Le note in effetti non sono che delle propriet capaci di notificare o fare riconoscere la Chiesa. Per rendere la prova pi stringata si limita anche il numero dei segni distintivi. Inizialmente questo oscilla fra i quattro e i cento, ma poi poco a poco si impone il numero quattro sulla scorta della professione di fede. Ma poich non pi possibile giustificarlo richiamandosi alla professione di fede, si cerca di dedurlo come una necessit apriorica o per mezzo dello schema aristotelico della causalit o dal concetto di una societ religiosa istituita da Dio o anche storicamente. Il metodo seguito presenta la forma di un sillogismo: Maggiore: Cristo ha munito la sua Chiesa di quattro segni distintivi (quaestio iuris); Minore: tali segni distintivi si ritrovano solo nella Chiesa cattolica (quaestio facti); Conclusione: di conseguenza la Chiesa cattolica lunica vera Chiesa di Cristo.

La maggiore si dimostra storicamente in base al Nuovo Testamento; la minore si prova empiricamente, o in termini positivi mostrando che le quattro caratteristiche sono realizzate nella chiesa cattolica, oppure in termini negativi mostrando che esse mancano nelle altre chiese, o infine in termini comparativi confrontando le chiese fra loro. Se questa limpostazione della via notarum, si pu capire perch nel 1937 Gustave Thils in uno studio storico sulle note conclude affermando che la via notarum una via complessa, confusa, difettosa, un argomento inopportuno, o attualmente inefficace e in ogni caso superfluo5.

G. THILS, Les notes de lglise dans lApologetique Cath olique depuis la Reforme (Gembloux 1937) 343ss. Si veda la discussione di questa problematica in H.J. POTTMEYER, La questione della vera Chiesa, in Corso di teologia fondamentale 3. Trattato sulla Chiesa (Brescia: Queriniana, 1990) 243-278; M. SANCHEZ MONGE, Las notas de la Iglesia en la eclesiologa actual, in F. CHICA, S. PANIZZOLO, H. WAGNER (edd.), Ecclesia tertii millenni advenientis. Omaggio al P. Angel Antn (Casale Monferrato: Piemme, 1997) 944-960.

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d) Luso teologico delle quattro propriet Il Vaticano II, presentando la chiesa come mistero e non pi come motivo di credibilit (Vaticano I: DzH 3013), ha superato unimpostazione prevalentemente apologetica del trattato sulla Chiesa, consentendo il recupero della qualit dogmatica anche delle quattro propriet professate nel Simbolo. Queste quattro propriet si possono cos intendere come le condizioni della comunione redentrice che, nonostante la condizione peccaminosa degli uomini, lo Spirito santo continua a produrre in mezzo ai suoi fedeli. In quanto doni di Dio alla sua chiesa, noi le confessiamo nel credo.
Se le propriet fanno conoscere lessenza della Chiesa con la quale so no realmente identiche, rivelano anche il rapporto intimo che la Chiesa intrattiene col mistero di Cristo. In verit esiste tra le due cose una continuit: la parola stessa mistero, nelluso che ne fa S. Paolo, ingloba luna e laltra. tutto il mistero del Cristo a essere cos riflesso nella Chiesa, sua Sposa e suo Corpo. Ma si potrebbero utilmente considerare le nostre quattro propriet come lespressione, la conseguenza e il frutto dellunica mediazione del Cristo nel senso in cui ne parla 1Tm 2,1-6a: unit perch esiste un solo mediatore; santit perch egli ci ristabilisce e introduce nella comunione col Dio santo; cattolicit perch il sacramento efficace dellamore salvifico di Dio per gli uomini e per tutto luomo (1Tm 2,4); apostolicit perch tutto procede da Cristo Ges, uomo che si dato in riscatto per noi. Veramente nella Chiesa si realizza e si svela il piano di benevolenza di Dio di cui parla Ef 1-3; Rom 16,25-276.

Per questa ragione G. Thils, ha suggerito di non restringere pi la riflessione sulle note alla teologia fondamentale, ma di aprirla alla teologia dogmatica con unattenzione alle prospettive aperte dallecumenismo: in tal modo non si dovrebbe pi parlare di chiesa vera e chiese false, bens di chiesa che verifica la totalit degli elementi costitutivi essenziali richiesti dalla Rivelazione e chiese che verificano pi o meno queste esigenze. In tal modo egli pu concludere che le chiese cristiane stanno tutte in comunione reale, per questa comunione non piena7. e) Aspetti delle quattro propriet: un dono ma anche un compito Nei testi del Vaticano II si insegna che esse sono: 1) propriet indefettibili della chiesa (UR 4; LG 39; LG 13; LG 20) in tal senso sono un dono che Dio fa alla Chiesa e fanno quindi parte delloggetto della nostra confessione di fede; 2) daltra parte, nella Chiesa pellegrinante esse sono solo imperfettamente realizzate (UR 1; LG 48; UR 4) perci costituiscono anche un compito per la Chiesa stessa e quindi una prova per la nostra fede. Con Moltmann perci affermiamo che: 1. Gli enunciati che si fanno sulla chiesa sono una componente essenziale della confessione di fede. Sono prodotti dalla fede, e al di fuori di un contesto di fede perdono il loro senso. Sono parti in-

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Y. CONGAR, Propriet essenziali della Chiesa, art. cit., 446-447. G. THILS, Notes de lglise, in Catholicisme, vol. IX (1982) col. 1386.1388.

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tegranti della professione di fede nel Dio uno e trino e non possono venire isolati da questo contesto. Li ritroviamo nellarticolo di fede nello Spirito santo e risultano giustificati e comprensibili soltanto nel quadro dellopera creatrice dello Spirito. Le cosiddette note della chiesa si distinguono dunque dalle note che caratterizzano un qualsiasi altro oggetto di esperienza. Si possono percepire come segno soltanto a livello di una conoscenza partecipe. Appaiono chiari soltanto quando la chiesa viene inquadrata nel contesto della storia di Dio, nello stesso contesto in cui si colloca anche la professione di fede nel Dio uno e trino. Non sono soltanto dei segni-di-conoscenza ma anche ed allo stesso tempo segni-di-confessione. Non sono propriet di un oggetto in s, ma propriet che questo oggetto riceve da altri e lungo una storia. La chiesa riceve questi predicati dallagire di Cristo, nellopera di Cristo, per il regno futuro. Ma situati in questi ampi nessi, tali predicati diventano i segni indispensabili per il riconoscimento della vera chiesa, cio per la chiesa nella verit di Dio. 2. Se la chiesa ha la propria esistenza dallagire di Cristo, allora anche le sue propriet saranno i nnanzi tutto propriet dellagire di Cristo. La professione di fede nella chiesa una, santa, cattolica e apostolica la confessione della signoria unificante, santificante, universale e mandante di Cristo. Si tratta dunque di proposizioni di fede. Lunit della chiesa non , in primo lungo, lunit dei suoi membri bens lunit del Cristo che su loro agisce in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Cristo riunisce la propria comunit. Per cui questa comunit una a motivo del suo agire unificante. Il risultato di questo agire lunit dei credenti in Cristo (Gal 3,28) e la loro unit nello Spirito (Ef 4,1ss). La santit della chiesa non , in primo luogo, la santit dei suoi membri o delle cerimonie cultuali, bens la santit di quel Cristo che agisce sui peccatori. Cristo santifica la propria comunit, giustificandola. Per cui la santit della comunit sta nel suo agire santificante. Il risultato di questo agire la comunit dei santi. La cattolicit della chiesa non consiste, in primo luogo, nella sua dilatazione nello spazio o nella sua apertura di fondo alla realt del mondo, bens nella signoria sconfinata di Cristo, al quale stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. C chiesa dove e fin dove Cristo esercita il proprio dominio. La chiesa ottiene la propria apertura al mondo nellampiezza della signoria di Cristo. Essa cattolica in base alla cattolicit di Cristo che le stata promessa. Anche la sua apostolicit devessere inquadrata nella missione di Cristo e nellinvio dello Spirito. Fondata sullo Spirito, per mezzo degli apostoli di Cristo, essa avr come compito lapostolato nel mondo. In quanto chiesa di Cristo, la chiesa necessariamente una, santa, cattolica e apostolica. 3. Se la chiesa deriva la propria esistenza dalla missione messianica di Cristo e dal dono escatologico dello Spirito, allora le sue propriet saranno anche dei predicati messianici. Si tratter allora di proposizioni di speranza. Lunit della comunit un predicato temporale-salvifico, poich nellAntico Testamento il ripristino dellunit del popolo di Dio e dellunit del genere umano sono 399

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promesse profetiche. Il Messia degli ultimi tempi raduner coloro che sono dispersi, unificher coloro che sono divisi e porter il regno della pace. Nella sua qualit di Messia del tempo della salvezza, Cristo unisce e unifica giudei e pagani, greci e barbari, signori e servi, uomini e donne, nel nuovo popolo, per lunico regno. Secondo la promessa profetica, la santit rientra nella natura profonda della gloria futura di Dio, la quale si estender su tutta la terra. Il santo dIsraele redimer il suo popolo. Nel qualificare santa la comunit, il Nuovo Testamento intende dire che essa diventata la nuova creazione in Cristo e quindi resa partecipe della santit di quella nuova creazione che il Dio santo opera mediante il suo Spirito. La chiesa santa in quanto la comunit degli ultimi tempi. Come il vangelo e levangelizzazione, cos anche lapostolato della chiesa e gli apostoli sono inscindibilmente congiunti con gli inizi dellera messianica. Infine, la chiesa cattolica in quanto partecipa della cattolicit del regno futuro. Nella sua apertura al regno di Dio essa aperta al mondo, e nella sua attivit missionaria e nelle sue preghiere dintercessione si estende fin dove sestende la realt mondana. In quanto predicati profetici della chiesa, queste quattro propriet vanno dunque comprese entro la prospettiva del regno venturo, del regno per il quale essa esiste, che traduce nei propri lineamenti ed esprime attraverso la sua testimonianza. 4. Se le propriet della chiesa sono enunciati di fede e di speranza, allora conducono anche a proposizioni di azione. La chiesa una in Cristo, quindi devessere una. Coloro che ricevono la propria unit in Cristo devono tendere allunit. Lunico popolo dellunico regno deve creare unit fra gli uomini. La chiesa santa in Cristo, per cui i suoi membri dovranno combattere il peccato e santificare la loro vita mediante la giustizia. Essa santificata dallo Spirito, per cui i suoi membri dovranno santificare, nellobbedienza e in vista della nuova creazione, tutte le cose. Essa aperta al mondo in Cristo, per cui deve diventare cattolica e testimoniare ovunque il regno universale. Questa chiesa una, in quanto chiesa dello Spirito, anche unit unificante. La chiesa santa la comunit santificante. La chiesa cattolica portatrice di pace e quindi comunit nel senso pi ampio del termine. La chiesa apostolica la comunit che vive nel mondo portando la liberazione del vangelo. Stando a queste propriet, lessenza viene data, promessa ed affidata alla chiesa. Dalla fede, speranza e azione si delinea nel mondo la figura che la chiesa assume nellunit, santit, cattolicit ed apostolicit. La teologia non potr quindi riproporre una chiesa visibile, una chiesa del futuro od una chiesa di pure istanze. Mediante la fede, la speranza e lazione, la chiesa vive nelluna, santa, cattolica ed apostolica signoria di Cristo8.

J. MOLTMANN, La Chiesa nella forza dello Spirito (Brescia: Queriniana, 1976) 435-438.

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3.4.2. Credo la chiesa una Seguendo lordine presente nel Simbolo, anche noi consideriamo come prima tra le sue propriet lunit della Chiesa. La Chiesa una. La tradizione teologica intende questa affermazione nel duplice senso dellunicit della Chiesa e della sua interiore compattezza. Che la Chiesa sia una suppone sempre ambedue queste affermazioni9. a) Lunit della chiesa e il fatto della divisione un doloroso dato di fatto che nelluna e unica Chiesa di Cristo i cristiani sono divisi tra loro in d iverse confessioni cristiane. La storia della Chiesa ha conosciuto molto presto persone ed eventi che hanno vulnerato il mistero della sua unit.
Da Cristo Signore la chiesa infatti stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredit di Ges Cristo; tutti si professano di essere discepoli del Signore, ma la pensano diversamente e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione contraddice apertamente alla volont di Cristo, ed di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura (UR 1).

Gi il NT porta il segno delle tensioni allinterno della comunit dei discepoli di Ges fra la ecclesia ex circumcisione e la ecclesia ex gentibus. Sono poi giunte sino ai nostri giorni le gravi lacerazioni fra i cristiani causate dalle grandi controversie cristologiche del IV secolo. Nello stesso periodo la divisione dellimpero romano nelle due grandi aree delloriente e delloccidente avvi per la Chiesa in quelle medesime regioni delle storie separate che, con lemergere sempre pi insistente di diffidenze e incomprensioni, culmineranno nelle reciproche scomuniche del 1054 fra il Patriarcato di Costantinopoli e la Chiesa di Roma. In questo grande dramma della separazione fra i cristiani lintreccio di fattori teologici e non teologici di ordine linguistico, politico, etnico e culturale form un nodo intricato che ancora oggi non si riusciti a sciogliere. Limpoverimento causato dalla separazione tra oriente e occidente fu ancora di pi aggravato dallaltra grande lacerazione avvenuta in occidente con la Riforma nel XVI secolo. Sono queste le fratture pi evidenti avvenute fra i cristiani nel secondo millennio.

Questa distinzione appare esplicita per la prima volta nella bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII, del 18 novembre 1302 (cfr. DzH 870-872). In realt unit e unicit si richiamano a vicenda. Dal fatto che la Chiesa unica segue che essa indivisa. Se invece fosse o potesse essere divisa in se stessa la Chiesa non sarebbe o non potrebbe essere unica. Lunit della Chiesa, dunque, nega che ci siano pi chiese volute da Cristo e afferma che la Chiesa esiste in se stessa come indivisa. Nei documenti del Vaticano II la Chiesa chiamata unica in LG 8, UR 2.3.18, D H 1. Lespressione una e unica presente in LG 23 e UR 1.3.4.24.

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Alle varie scissioni che hanno ferito lunit del corpo di Cristo la tradizione teologica ha dato il n ome di scisma e di eresia. Ambedue i concetti hanno conosciuto una certa evoluzione nel corso della storia. Attualmente il Codice di Diritto Canonico li inserisce tra i delitti contro la religione e lunit della Chiesa10. Lo scisma di per s, in quanto distinto dalleresia, non comporta direttamente un errore circa la dottrina della fede bens una rottura della comunione al livello della Chiesa in quanto struttura visibile. Cos inteso esso il formale rifiuto, da parte di un battezzato nella Chiesa cattolica11, di sottomettersi al romano pontefice o anche il ripudio della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Per eresia, invece, sintende oggettivamente una falsa dottrina e soggettivamente lostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di qualche verit che si deve credere per fede divina e cattolica12, ovvero anche il dubbio ostinato su di esse. Fatta questa distinzione occorre precisare che lo scisma e leresia non sono, per cos dire, due concetti chimicamente puri. Con san Girolamo si dir invece: Nullum schisma non sibi aliquam confingit haeresim, ut recte ab Ecclesia recessisse videatur13. Uno scisma comporta sempre un aspetto dottrinale e dalleresia consegue sempre una rottura della comunione. Entrambi pongono il soggetto o i soggetti che se ne rendono colpevoli fuori della communio sanctorum14. Con il Concilio Vaticano II, per, distinguiamo fra coloro che sono stati allorigine dello scisma e delleresia e coloro che sono semplicemente nati in questi chiese o comunit ecclesiali:
In questa chiesa di Dio una e unica sono sorte fin dai primissimi tempi alcune scissioni, che lapostolo riprova con gravi parole come degne di condanna; ma nei secoli successivi sono nati dissensi pi ampi e comunit non piccole si sono staccate dalla piena comunione della chiesa cattolica, talora non senza colpa di uomini dentrambe le parti. Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunit non possono essere accusati del peccato di separazione, e la chiesa cattolica li abbraccia con fraterno rispetto e amore . Coloro infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene

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CIC, cann. 751 e 1364. Per il CIC, can. 1l, questi delitti (che sono cosa diversa dal relativo peccato) concernono le persone battezzate nella Chiesa cattolica o quelle accolte successivamente in essa. Perch abbiano rilevanza giuridica necessario che in questi atti concorrano gli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi, determinati dalla legge canonica (manifestazione esterna, piena responsabilit, notoriet). 12 Con questa qualificazione teologica sintendono tutte quelle verit che sono contenute nella parola di Dio scritta o tr asmessa e che tramite un giudizio solenne, o il suo magistero ordinario e universale, vengono proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate, cfr. Concilio Vaticano I. Cost. de fide catholica, c. 3: DzH 3011. Si far attenzione ai mutamenti che la nozione di eresia ha conosciuto nel tempo. Sino al concilio di Trento si intendeva come eretico anche chi con il suo agire arrecava seri danni alla vita della Chiesa. La stessa espressione verit di fede aveva un senso pi ampio rispetto a quello odierno. 13 In Epist. ad Tit. 3: PL 26, 598. 14 Tradizionalmente si diceva che sotto il profilo morale sia leresia che lo scisma provocano la perdita della grazia santificante. Considerandoli come peccati, si diceva che leresia distrugge la virt soprannaturale della fede e fa perdere la grazia santificante; il peccato di scisma distrugge la carit, ma di per s lascia sussistere, per quanto in maniera informe, la fede e la speranza.

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imperfetta, con la chiesa cattolica. Non v dubbio che, per le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della chiesa, impedimenti non pochi, e talvolta pi gravi, si oppongono alla piena comunione ecclesiastica, al superamento dei quali tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perci sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore (Unitatis Redintegratio 3).

Il Concilio precisa, poi, che secondo la dottrina cattolica, nonostante queste divisioni, la chiesa di Cristo creduta essere indefettibilmente una: infatti, quellunit delluna e unica chiesa, che Cristo fin dallinizio don alla sua chiesa noi la crediamo sussistere, senza possibilit di essere perduta, nella chiesa cattolica e speriamo crescer ogni giorno pi fino alla fine dei secoli (UR 4). Il Concilio precisa, infine, anche come si pu correttamente conciliare questa asserzione di fede con lapparente smentita proveniente dallesperienza delle divisioni confessionali. Esso rifugge dalla tentazione (protestante) di proiettare lunit nellescatologia o nella pura dimensione interiore della realt ecclesiale e pure dalla tentazione (cattolica e ortodossa) di identificare la propria esperienza confessionale con luna e unica chiesa di Cristo, negando la qualit ecclesiale alle altre denominazioni cristiane. Infatti, il Concilio insegna in LG 8 e in UR 4 che luna e unica chiesa di Cristo su ssiste nella (e non la) Chiesa cattolica e riconosce lesistenza non solo di numerosi elementi ecclesiali al di fuori del suo organismo visibile, bens pure di vere e proprie chiese e comunit ecclesiali, anche se non possono rivendicare lintegrit istituzionale della confessione di fede, dei sacramenti e dei ministeri gerarchici della chiesa cattolica. Si potrebbe dire in sintesi che la chiesa di Cristo sussiste in modo conclusivo, ma non esclusivo nella chiesa cattolica romana (G. Pattaro). b) Le dimensioni dellunit La chiesa , quindi, essenzialmente e in modo decisivo una sola chiesa, un solo popolo di Dio, un solo corpo di Cristo, una sola creatura dello Spirito. Lintero messaggio del NT lo testimonia15. Lunit della chiesa dipende dalla sua origine e dal suo fine: lunit e unicit di Dio che si comunica a lei. Questa unit si riflette anzitutto in quella della natura umana, la quale deve essere gi vista nel quadro dellunit del mondo. Il corpo mistico che la Chiesa rappresenta la forma che lunit della natura umana prende quando riflette perfettamente lunit di Dio per il fatto di essere stata assunta

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I testi classici del NT sullunit della chiesa sono noti: 1Cor 1,10-30 (messa in guardia di fronte alle fazioni ed esortazione allunit sullunico fondamento, Cristo); 1Cor 12 (unit dello Spirito nella diversit dei doni, un corpo in molte membra); Gal 3,27s (tutti, senza distinzione di razza, di posizione e di sesso, sono uno in Cristo); Rom 12,3-8 (i molti sono un corpo in Cristo); At 2,42 (perseveranza nella dottrina degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera); 4,32 (la massa dei convertiti forma un cuore e unanima sola); Gv 10,16 (un pastore e un gregge); 17,20-26 (tutti siano uno come il Padre e il Figlio); Ef 4,1-6, che riassume tutto ci che fonda lunit della chiesa.

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dal suo Figlio: assunzione che, compiuta nel Cristo, applicata alle persone dai sacramenti dellincorporazione che sono il battesimo e leucaristia. Questa unit deve crescere sino alla perfezione escatologica (cfr. 1Cor 15,28), di cui lunit attuale non solo promessa, caparra, ma gi inizio del definitivo. A servizio di questa unit spirituale il Cristo ha istituito quei mezzi che sono la confessione di fede, i sacramenti e lautorit pastorale che regola la vita sociale dei cristiani. Tra il mezzo e la realt di grazia che il Cristo vuole procurare o alimentare si d omogeneit e continuit (assicurata dalla identit del principio, che avendo istituito o garantito il mezzo, opera per tal mezzo ci di cui egli sar per sempre la sorgente), ma anche uno scarto: nella condizione terrena lideale di avere una unit sia a livello dei mezzi esterni sia a livello di grazia, ma il carattere dialettico della condizione terrena comporta anche la possibilit di una disgiunzione fra i due livelli, al punto che possibile conformarsi ai mezzi senza entrare nella vita profonda di cui essi sono gli strumenti, come pure raggiungere quella vita ignorando i mezzi istituiti per procurarla. Per questo si potuto sviluppare un concetto solo giuridico o solo spirituale della Chiesa, isolando ci che invece dovrebbe essere congiunto pur nella distinzione (cfr. LG 8). Lecclesiologia ha tradizionalmente riassunto gli strumenti che esprimono e manifestano visibilmente lunit della Chiesa richiamandosi a At 2,42: Essi erano assidui allinsegnamento degli apostoli, fedeli alla comunione fraterna, alla frazione del pane e alle preghiere. Lintero testo di At 2,42-47 articolato sulla nozione di quale tratto distintivo della vita comunitaria basata sullinsegnamento degli apostoli, manifestata nella condivisione dei beni e nella partecipazione unanime al culto del tempio e nella frazione del pane. In questa prospettiva lunit della Chiesa implica la triplice comunione: nella professione della medesima fede, nella comune partecipazione del culto divino e partecipazione agli stessi mezzi di salvezza, nella fraterna concordia della famiglia di Dio e nella comunione di vita ecclesiastica. Essa si configura, dunque come unit di fede, di culto e sacramenti e di vita sociale. Questa triade talora viene indicata come vinculum symbolicum, vinculum liturgicum e vinculum sociale o hierarchicum. Questi tre vincoli della professione della fede, dei sacramenti, del regime ecclesiastico e della comunione (LG 14 e UR 2) formano un tuttuno e non possono separarsi luno dallaltro. Isolarli s arebbe deleterio. Lunit della fede si celebra nei sacramenti, essendo la liturgia culmine e fonte della vita cristiana. Lunit sociale nella Chiesa, poi, fruttuosa solo se vissuta come risposta alleterno amore che la Parola annuncia e la fede accoglie e che il sacramento rende presente nella storia.

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3.4.3. Credo la chiesa santa Santa stato il primo attributo che si aggiunse alla parola chiesa. Lo troviamo allinizio del II sec. nella formula di saluto della lettera di Ignazio di Antiochia ai Trallensi, in quella del Martyrium Polycarpi, poi tre volte nel Pastore di Erma. La lettera detta degli Apostoli, composta in Asia Minore verso il 160-170, menziona la santa chiesa fra i cinque articoli simboleggiati dai cinque pani di Mc 6,38 (DzH 1). Non c dubbio che lattributo santa fosse applicato a chiesa nel simbolo battesimale romano, almeno nei primi anni del III secolo (cfr. DzH 10). Nautin suggerisce che la formula introdotta da Ippolito era: Credi allo Spirito santo nella santa chiesa?. Il nostro attributo si trova nel simbolo battesimale di Gerusalemme verso il 348 (DzH 41); in quello di S. Epifanio (DzH 42); ed entrato in quello di Nicea nella forma completata a Costantinopoli nel 381 (DzH 150). Nei testi del concilio Vaticano II troviamo che la chiesa confessata essere adornata di vera santit, anche se imperfetta (LG 48). Il fatto che la Chiesa in questo mondo sia adornata di vera santit vista come una conseguenza della sua indole escatologica (cap. VII). Mentre il fatto che la sua santit sia imperfetta consegue dal suo essere Chiesa pellegrinante (LG 48). Unaltra affermazione chiave del Vaticano II circa la santit della Chiesa si trova nel paragrafo introduttivo del cap. V di LG, che dice: La chiesa, di cui il santo sinodo sta proponendo il mistero, creduta indefettibilmente santa (LG 39). Dunque il mistero della Chiesa, che pure il mistero della sua santit, consiste in ci che essa, in quanto un popolo, formata di persone reali, inevitabilmente segnata dal peccato, ma, in quanto popolo di Dio, non pu venir meno nella sua santit. a) Il senso biblico della santit A) Antico Testamento: La nozione cristiana di santit derivata dalla Scrittura, nella quale Dio solo riconosciuto come il vero Unico Santo; nella quale laffermazione principale sulla santit di Dio il grido dei serafini della visione di Isaia: Santo, santo, santo il Signore degli eserciti (Is 6,3); e nella quale la definizione data da Dio di se stesso vista nel comando: Voi sarete santi, perch io, il Signore vostro Dio, sono santo (Lv 19,2). La santit di Dio ci che lo fa essere Dio e lo differenzia da ogni altra realt esistente. Ne consegue che essere santo, per qualsiasi creatura, significa attingere, in qualche modo, la propria santit da Dio. Una persona o una cosa pu essere santa solo in quanto viene santificata da Dio e per Dio. Dio che santifica le creature, separandole da tutto il profano, o comunque non associato a Dio, e facendole entrare in qualche modo in relazione con lui stesso, e rendendole partecipi della sua santit. La nozione biblica di santit, dunque, implica un essere separati da ci che non Dio, cos da appartenere in modo speciale a lui. 405

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Perci, pur sapendo che Dio lUnico Santo, la Bibbia non esita a parlare di tempio santo, di assemblea santa, di terra santa, di comandamenti santi. Tutte queste cose sono sante, ma solo in quanto e per quanto Dio le santifica. Cos la santit del popolo dovuta alliniziativa di Dio: Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra (Dt 7,6). Il tempio e il sacerdote sono santi perch sono stati separati e consacrati al servizio e al culto di Dio; cos Dio ha pure separato il suo popolo eletto per farlo diventare un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,6). Liniziativa viene sempre da Dio, ma esige una risposta dal popolo: Il Signore disse ancora a M os: Parla a tutta la comunit degli Israeliti e ordina loro: Siate santi, perch io, il Signore, Dio v ostro, sono santo. Ognuno rispetti sua madre e suo padre e osservi i miei sabati. Io sono il Signore, vostro Dio. Non rivolgetevi agli idoli, e non fatevi divinit di metallo fuso. Io sono il Signore, vostro Dio (Lv 19,1-4). La santit biblica, allora, un dono dato da Dio, ma anche un comandamento da rispettare; un indicativo: Voi siete santi, ma anche un imperativo: Voi sarete santi. B) Nuovo Testamento: ci che detto del popolo di Israele nel Nuovo Testamento trasferito alla chiesa, mediante un riferimento alle realt nuove che costituiscono precisamente il popolo di Dio nella sua novit: il Cristo e lo Spirito santo in quanto comunicato. Il Cristo infatti santo, avendo la sua esistenza dallo Spirito santo (Lc 1,35; Mt 1,18.20) e in seguito alla sua consacrazione al ministero da una nuova manifestazione celeste e dallo Spirito santo (Lc 3,22 e par.). Ges il santo di Dio (Mc 1,24, Lc 1,35; 3, 34; Gv 6,69; At 3,14; 4,27.30; 1Gv 2,20; Ap 3,7). Per questo egli diventa lorigine e il centro di un nuovo popolo consacrato e santo. Ci che stato realizzato per noi nel Cristo ci comunicato dallo Spirito santo (2Cor 13,13; Rm 5,5) a partire da un battesimo di Spirito santo (At 1,5; 2,38; 1Cor 12,13; Mt 3,11; Mc 1,8; Lc 3,16; Gv 1,33). Tutti i membri della comunit meritano perci il nome di santi (prima i fedeli di Palestina: At 9,13.32.41; Rm 15,26.31; 1Cor 15,1.15; 2Cor 8,4; 9,1.12; poi quelli di tutte le chiese: Rm 8,27; 12,13; 16,2.15; 1Cor 6,1ss; 14,33; 2Cor 13,12; Ef 1,15; 3,18; 4,12; 6,8; Fil 4,21ss; Col 1,4; 1Tim 5,10; Filem 5.7; Eb 6,10; 13,24; Gd 3). La santit quindi un dono (santificati) e un compito (chiamati ad essere santi), come dice chiaramente Paolo in 1Cor 1,2: alla Chiesa di Dio che in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Ges, chiamati ad essere santi. b) I vari sensi nei quali si distingue la santit della chiesa Il Vaticano II ha precisato che la Chiesa una realt complessa (LG 8). Nessuna sorpresa, dunque, se troviamo che pure la sua santit complessa e che, allo scopo di darne unadeguata spiegazione, dobbiamo distinguere vari aspetti di questa santit, in relazione ai diversi aspetti della Chiesa 406

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stessa. Seguendo il suggerimento di Francis A. Sullivan16, distinguiamo tre modi in cui la Chiesa santa: primo, con loggettiva, efficace santit dei suoi elementi formali; secondo, con una santit di consacrazione quale popolo sacerdotale; e terzo, con una santit di grazia e virt. (I) La Chiesa santa a motivo della santit dei suoi elementi formali La Chiesa giustamente definita popolo di Dio, e ci significa che essa composta da un certo numero di uomini, donne e bambini. Ma la Chiesa non una banale massa di gente; ci che fa essere Chiesa cristiana una moltitudine di persone il fatto che esse condividono la fede cristiana, sono battezzate, si riuniscono per celebrare lEucaristia e riconoscono alcune persone quali propri pastori. Una Chiesa cristiana un popolo strutturato: strutturato da elementi formali costitutivi, quali la fede cristiana, i sacramenti, e i doni carismatici e gerarchici che rendono le persone idonee per il ministero. Quando diciamo che la Chiesa deve la sua istituzione a Cristo, intendiamo dire che questi elementi formali non sono solo un prodotto dellingegno umano; piuttosto, essi sono il frutto del ministero di Cristo, della sua passione, morte e risurrezione, e della discesa dello Spirito Santo. Questi sono i doni che Cristo ha concesso alla sua Chiesa per renderla uno strumento efficace di grazia e di salvezza. Essi costituiscono la santit della Chiesa (Memoria e riconciliazione, 3.2). Con ci intendiamo dire che la Chiesa santa in ragione delloggettiva, efficace santit di questi elementi formali. Tali cose la parola di Dio, i sacramenti, i carismi che apprestano le persone al ministero sono sante in se stesse, perch sono doni di Cristo e derivano da lui la propria santit. Esse sono oggettivamente sante, in quanto la loro santit non dipende dalla santit soggettiva della persona che predica la parola o amministra i sacramenti. E sono efficacemente sante in quanto sono i doni per mezzo dei quali la Chiesa viene abilitata a collaborare con lo Spirito Santo nelledificazione di un popolo santo per il Signore. La parola di Dio resta santa anche se il predicatore o lascoltatore non lo sono. I sacramenti sono santi anche se una persona pu amministrarli o riceverli indegnamente. In questo senso essi godono di una indefettibile santit, che la peccaminosit umana non pu diminuire, n distruggere. E poich questi elementi formali sono costitutivi della Chiesa, la Chiesa stessa indefettibilmente santa. Tale indefettibile santit caratterizza la Chiesa proprio come sacramento di salvezza costituito da Dio, perch i suoi elementi formali la rendono capace di essere uno strumento efficace della grazia e della santit nel mondo.

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F.A. SULLIVAN, Noi crediamo la Chiesa. Lineamenti di ecclesiologia sistematica (Casale Monferrato Al.: Piemme, 1990) 74ss. Cfr. pure COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato (Citt del Vaticano: LEV, 2000) n. 3.2.

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Ma naturalmente la Chiesa non consiste solo dei suoi elementi formali. Sebbene si possa dire con S. Tommaso che la Chiesa costituita da fede e sacramenti17, essa non si compone solo di questi, ma piuttosto di persone che vengono costituite in una Chiesa, da fede e sacramenti. Perch la Chiesa sia santa non basta che i suoi elementi formali siano santi; essa deve essere un popolo santo: Alla santit della chiesa deve corrispondere la santit nella chiesa (Memoria e riconciliazione, 3.2). (II) Santit di consacrazione Come si visto, il concetto biblico di santit implica una segregazione, in modo tale da essere pi strettamente uniti a Dio. Una simile santit viene attribuita a persone e a cose separate e dedicate al culto divino, quali il tempio, il suo altare e le sue suppellettili, e soprattutto i sacerdoti che offrono preghiere e sacrifici a Dio a favore del popolo. Questa la santit di consacrazione: una santit che segna una persona per il fatto di essere chiamata e separata per il ministero sacerdotale. Essa esige pure la santit personale di vita da parte di chi cos intimamente coinvolto nel culto del Dio santo. Ma la santit di consacrazione non dipende o consiste nella virt personale; risulta piuttosto dal fatto che la persona stata separata, unta, e resa sacra (consacrata) per il culto e il servizio di Dio. La Bibbia attribuisce una tale santit sacerdotale non solo a certi individui, come Aronne, ma allintero popolo di Israele. Cos, attraverso Mos, Dio dice al suo popolo: Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la propriet tra tutti i popoli, perch mia tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,5-6). Ugualmente, nel libro del profeta Isaia, si promette: Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti (Is 61,6). Gli autori del NT attribuiscono alla Chiesa tutti quei termini che avevano definito la santit del popolo di Dio dellAT, inclusa la santit di consacrazione al servizio sacerdotale di Dio. Perci la 1Pt esorta i suoi lettori dicendo: Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Ges Cristo. Un poco pi oltre egli li definisce La stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si acquistato (1Pt 2,5.9; cfr. Ap 1,5-6; 5,9-10). Tradizionalmente si dice che il sacerdozio di tutti i fedeli, conferito per mezzo del battesimo e della cresima, una partecipazione allunico sacerdozio di Cristo (LG 10b). Lassociazione al sacerdozio di Cristo unulteriore aspetto della santit di consacrazione, assicurata dai sacramenti delliniziazione cristiana.

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S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 3.

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La teologia cattolica tradizionale intende la partecipazione al sacerdozio di Cristo come qualcosa che caratterizza i battezzati in modo permanente. A differenza del dono della grazia santificante e dellinabitazione dello Spirito Santo, essa non viene perduta da una persona che commette un peccato grave. Si tratta di un carattere o di un segno spirituale che distingue i battezzati come persone consacrate a Cristo e partecipanti al suo sacerdozio. Essi mantengono la santit di consacrazione, nonostante qualche possibile infedelt alla loro vocazione. Poich la Chiesa si compone di battezzati credenti in Cristo, lintera Chiesa contrassegnata dalla santit di consacrazione quale popolo sacerdotale. Quindi, questa una santit indefettibile dellintera Chiesa. Superfluo a dirsi, essa esige la risposta personale di un santo tenore di vita. Ma che i singoli cristiani vivano nella fedelt alla loro vocazione oppure no, tutta la Chiesa rimane sempre un popolo consacrato al culto di Dio, un tempio spirituale e un sacerdozio santo. In questo senso, allora, la Chiesa indefettibilmente santa, quale popolo sacerdotale. (III) Santit di grazia e di virt Sebbene la santit sia sempre dovuta alliniziativa di Dio, e sia suo dono, essa richiede pure una risposta da parte di coloro che sono chiamati ad una pi stretta relazione con Dio: loro dovere vivere coerentemente con la propria chiamata a condurre una vita santa. Come si esprime S. Paolo allinizio della sua prima lettera ai Corinzi, i cristiani sono stati santificati in Cristo Ges, ma anche chiamati ad essere santi. Sinteticamente possiamo dire che la santit consiste nellosservanza dei due grandi comandamenti: lamore verso Dio e lamore del prossimo. In realt, tale amore in primo luogo un dono concesso nel battesimo. S. Paolo lo interpreta cos: Lamore di Dio stato riversato nei nostri cuori per me zzo dello Spirito Santo che ci stato dato (Rm 5,5). Linabitante presenza dello Spirito Santo inseparabile dalla capacit soprannaturale di amare Dio e il nostro prossimo, che frutto della virt infusa della carit. altrettanto inseparabile dalla libert da ogni peccato grave, nonch dallamicizia con Dio, che si intende con lespressione essere in stato di grazia. La santit, allora, riguarda il camminare nella carit (Ef 5,2). Tutta la crescita in santit interessa limpegno per la perfezione della carit. Daltra parte, un fatto che noi commettiamo peccati, tanto che ogni giorno dobbiamo elevare una preghiera per il perdono dei nostri peccati. Anche se la convinzione cattolica ritiene che il peccato veniale non ci priva della santit dello stato di grazia e del possesso dello Spirito Santo che mantiene in noi la virt infusa della carit. importante riconoscere il fatto che chiunque dimora dello Spirito Santo una persona santa, davvero un santo nel senso in cui S. Paolo usa questo termine. Al tempo stesso, ricordiamo che il 409

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concilio parla di certi cristiani, i quali rimangono s in seno alla Chiesa col corpo, ma non col cuore (cfr. LG 14): sono quelli che vivono impenitenti nello stato di peccato grave. Secondo linsegnamento cattolico, rimanere in un tale stato priva la persona dellinabitante presenza dello Spirito Santo, e perci della santit di grazia e carit. Ma, come stabilisce il testo conciliare, i cattolici privi di tale santit possono rimanere ugualmente incorporati alla Chiesa, a meno che il loro peccato non comporti il rifiuto della fede cristiana o della comunione con la Chiesa. In conseguenza di ci, secondo LG 14, si debbono distinguere due tipi di cattolici: quelli in possesso dello Spirito di Cristo che sono pienamente incorporati nella Chiesa; e quelli che non perseverando nella carit, rimangono nella Chiesa ma non ne sono pienamente membri. Questi ultimi mantengono la santit del carattere battesimale, ma non hanno pi la santit della grazia santificante. Qual la conseguenza di questa situazione per la santit della Chiesa? Se la Chiesa realmente il popolo di Dio, la sua santit non pu essere indipendente da quella degli uomini e delle donne che ne fanno parte. La conclusione inevitabile: come la santit di chi vive in stato di grazia torna a vantaggio della santit della Chiesa, cos la peccaminosit dei suoi membri deve pure diminuire la santit del popolo di cui essi restano parte. Presumibilmente il concilio aveva in mente proprio questo quando affermava che su questa terra la Chiesa segnata da una santit imperfetta. Al tempo stesso il concilio definisce la Chiesa come indefettibilmente santa (LG 39). Sembra ovvio che con indefettibilmente i Padri conciliari non intendono dire perfettamente. Lindefettibile santit non tale da escludere ogni difetto o imperfezione, ma esclude la perdita della santit, la possibilit che la Chiesa un giorno cessi di essere veramente santa. La questione che ora dobbiamo prendere in considerazione se la Chiesa pu essere detta indefettibilmente santa non solo nei suoi elementi formali e nella sua consacrazione sacerdotale, ma anche per la santit di grazia e carit. In altre parole, dobbiamo chiederci se c una garanzia che la Chiesa sar sempre un popolo santo, un popolo che cammina nellamore. Il problema che nessun membro individuale della Chiesa indefettibilmente santo in questo senso. I battezzati non possono perdere la santit della loro partecipazione del sacerdozio di Cristo, ma possono mancare nella perseveranza nella carit e quindi perdere la santit della grazia santificante e linabitazione dello Spirito Santo. Nessun singolo cristiano ha la garanzia di perseverare nella carit. Il problema, dunque, questo: possiamo dire della Chiesa qualcosa che non possiamo riferire a ciascun singolo membro di essa? Possiamo affermare che, anche se nessun singolo membro indefettibilmente santo, la Chiesa invece s? Che, se ogni membro ha la possibilit di venir meno nella perseveranza nella carit, la Chiesa invece no? E che, se un individuo pu non essere pi tempio dello Spirito Santo, lo stesso non pu invece accadere alla Chiesa? 410

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Queste domande sembrerebbero esigere una risposta positiva. Infatti sembra assurdo pensare che la Chiesa di Cristo possa perdere il dono dello Spirito di Cristo risorto. Ma ci chiediamo: possibile affermare qualcosa del popolo di Dio che non si pu affermare di nessuno dei suoi membri? Per rispondere alla questione, utile richiamare alla mente ci che S. Tommaso diceva a proposito della fede della Chiesa, utilizzando il termine fede per indicare non ci che la Chiesa crede, ma latteggiamento o virt della fede. Quando parla della fede dei singoli cristiani, egli distingue tra la fede formata dalla carit e la fede non formata; questultima il tipo di fede che pu rimanere anche quando una persona ha perduto la virt della carit per un peccato grave. Di nessun membro della Chiesa si pu dire che la sua fede sar sempre formata dalla carit; difatti non sarebbe realistico pretendere che in ogni momento la fede di tutti i membri della Chiesa sia formata dalla carit. Nondimeno, S. Tommaso asserisce nettamente che la fede della Chiesa formata dalla carit18. Ci si potrebbe chiedere se nel dirlo egli stava pensando alla Chiesa come ad una mistica persona distinta dallo storico, concreto popolo di Dio. Dalla spiegazione che ne d, evidente che questo non rientrava nelle sue intenzioni. A suo avviso, la ragione per cui la fede della Chiesa risulta formata dalla carit che essa viene posseduta da quelli che appartengono alla Chiesa per numero e per merito. Questa frase necessita di qualche spiegazione. Appartenere alla Chiesa solo per numero significa essere annoverati tra i suoi membri, ma mancare della carit. Appartenere per merito vivere la vita di grazia. Sono i membri di questo genere quelli la cui fede formata dalla carit. Si pu notare che, pur con una terminologia differente, S. Tommaso sta facendo la stessa distinzione del Vaticano II tra quei cattolici che avendo lo Spirito Santo, sono pienamente incorporati alla Chiesa; e quegli altri che, non avendo perseverato nella carit, non sono perci pienamente incorporati, mancando il fondamentale vincolo della comunione spirituale con la Chiesa (LG 14). Alla luce della spiegazione fornita da S. Tommaso per affermare che la fede della Chiesa formata dalla carit, possiamo tirare due conclusioni sul suo pensiero: 1. la Chiesa si identifica con la comunit dei fedeli, e la fede della Chiesa la fede di questo concreto popolo, non di una qualche mistica persona; 2. corretto predicare della Chiesa ci che attualmente vero di quelli che stanno realmente vivendo la vita di lei, o, come dice il Vaticano II, dei suoi membri pienamente incorporati. La fede formata dalla carit giustamente vista come un attributo della Chiesa, perch si pu giustamente caratterizzare un corpo organico per le qualit di chi ne fa pienamente parte. In altre paro-

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S. Th., II-II, q. 1, a. 9, ad 3.

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le, per definire la Chiesa come una comunit di fede viva, non necessario che ogni singola persona che le appartiene abbia una fede viva; sufficiente che chi suo membro in modo pieno, abbia tale fede. Poich avere una fede formata dalla carit lessenza di ci che significa essere santi, appl icando il pensiero di S. Tommaso alla nostra questione, siamo in grado di affermare che la Chiesa pu essere chiamata popolo santo, perch quanti sono pienamente incorporati in lei sono santi. Affermare che la Chiesa indefettibilmente santa, allora, vuol dire che essa non pu mai cessare di essere un popolo santo e che perci non le mancheranno mai membri pienamente incorporati che vivono la vita di grazia e carit. Non sembra indispensabile che tali membri costituiscano sempre e necessariamente la maggioranza numerica della Chiesa. S. Tommaso non dice nulla che lasci presumere una cosa del genere. Tuttavia, per parlare realisticamente della Chiesa come popolo santo, sembra necessario che quanti vivono effettivamente una vita santa, costituiscano una parte considerevole del tutto. Quale sia esattamente questa parte, pare una domanda senza risposta. Comunque rimane ancora in piedi una questione importante. Abbiamo detto che la Chiesa, per essere un popolo indefettibilmente santo, dovrebbe essere costituita, in proporzione adeguata, di membri che, pienamente incorporati, abbiano una fede formata dalla carit. La domanda : quali motivi abbiamo per credere che la Chiesa non cesser mai di essere un tale popolo santo? c) La causa della santit indefettibile della chiesa Le ragioni di tale convinzione sono succintamente riportate allinizio del capitolo della Lumen gentium sulluniversale vocazione alla santit: La Chiesa, il cui mistero esposto nel sacro Concilio, per fede creduta indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito proclamato il solo Santo, am la sua Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26) e la congiunse a s come suo corpo, e lha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio (LG 39). Sulla scorta di questo testo, possiamo distinguere almeno tre ragioni per la nostra fiducia che la Chiesa di Cristo non cesser mai di essere un popolo santo: 1. perch la sua santit il frutto del sacrificio escatologico di Cristo: diversamente le potenze del male avrebbero prevalso sullopera di Ges Cristo; 2. perch Cristo ha unito indissolubilmente a s la sua Chiesa come sua sposa: la nuova alleanza definitiva; 3. perch Cristo ha dotato il suo corpo con lo stabile dono dello Spirito Santo: lo Spirito Santo non pu abbandonare la Chiesa o dimorare in essa senza realmente causare la santit del popolo.

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d) La santa chiesa anche peccatrice? A questa questione sono state offerte diverse soluzioni: alcuni, infatti, distinguono la santit della Chiesa dalla situazione personale dei suoi membri (questi ne fanno parte solo nella misura in cui sono santi) e parlano di una Sancta Ecclesia sanctorum; altri, invece, ritengono che il peccato in qualche modo entri nella Chiesa e parlano allora di una Sancta Ecclesia peccatorum; altri, infine, pensano che si possa considerare la Chiesa come Sancta et peccatrix. (I) Sancta Ecclesia sanctorum Il teologo Charles Journet, nella sua vastissima opera ecclesiologica19, ha posto i fondamenti di questa linea, seguita poi da molti altri. Egli riconosce che i peccatori appartengono in qualche maniera alla Chiesa, ma vi appartengono precisamente non in quanto peccatori, bens nella misura della loro santit20. possibile arrivare, a suo parere, a due definizioni di Chiesa tra esse incompatibili21. Se definiamo la Chiesa dal punto di vista materiale, allora dobbiamo dire che la Chiesa non pura e santa, ma peccatrice e che perfino Cristo stesso (essendo in quanto Cristo totale capo e corpo insieme) pecca nelle sue membra peccatrici; se invece la definiamo formalmente, come deve essere, allora diciamo che comprende numerosi peccatori ma essa stessa non pecca. Infatti formata da quella parte di noi che santa: le sue frontiere proprie, precise e vere, non circoscrivono che ci che puro e buono nei suoi membri, giusti e peccatori, prendendo al suo interno tutto ci che santo, persino nei peccatori, lasciando al di fuori tutto ci che impuro, persino nei giusti22. I confini tra Chiesa e mondo, dunque, passano allinterno di ogni battezzato: proprio nel nostro comportamento, nella nostra vita, nel nostro cuore che si affrontano la Chiesa e il mondo, il Cristo e Belial, la luce e le tenebre23. Non basta dire, quindi, che la Chiesa santa nel suo principio (Cristo Capo) o nei suoi mezzi (dottrina, sacramenti, ministeri): occorre dire che essa santa in se stessa e nei suoi membri. la tesi della Chiesa

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C. JOURNET, Lglise du Verbe incarn. Essai de thologie spculative. II. Sa structure interne et son unit catholique (Paris: Descle de Brouwer, 1951). Per il nostro tema si veda anche ID., La cause finale et la saintet de lglise, in Nova et Vetera 60 (1985) 185-216. 20 La Chiesa, pur comprendendo una moltitudine di peccatori, che le appartengono corporalmente, nondimeno senza peccato: (Lglise du Verbe incarn, p. 903). Invece di dire, come si fatto: Santit e peccato nella Chiesa, noi diremmo: Santit e peccatori nella Chiesa (Ibid., nota 4). La Chiesa non senza peccatori () Ma la Chiesa, consider ata teologicamente, senza peccato (Ibid., p. 904). Dopo aver citato Ef 5, 25-27, che concerne direttamente la Chiesa presente (Ibid.), lautore conclude: I peccatori appartengono alla Chiesa non certo per il loro peccato, ma per i valori di santit che portano in s e che li unisce alla Chiesa (Ibid., p. 905). 21 Cfr. Ibid., p. 911-915. 22 Ibid., p. 914. 23 Ibid., pp. 914-915.

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immacolata, cos riassunta dallo stesso autore: la Chiesa santa in tutti i suoi membri per quanto essi sono suoi membri, la Chiesa santa perch essa rende santi tutti coloro che le appartengono per quanto le appartengono24. per questo che non sembra forzato riassumere la posizione di Journet con lespressione Sancta Ecclesia sanctorum: pur ammettendo una qualche appartenenza dei peccatori alla Chiesa, infatti, essa risulta composta della sola parte santa dei battezzati. Ciascuno , per cos dire, sezionato verticalmente di modo che la sua parte peccatrice appartiene al mondo e quella santa va a formare la Chiesa. Come mai, si chiede poi Journet, alcuni testi della tradizione patristica e liturgica presentano una Chiesa che si pente, chiede perdono, si converte e fa penitenza? Se la Chiesa santa, come pu fare tutto questo? Egli risponde: mentre Cristo, che era senza peccato, poteva espiare ma non pentirsi n fare penitenza, la Chiesa, che senza peccato ma ha dei figli peccatori, chiede perdono e fa penitenza per i loro peccati e non per i suoi: La Chiesa come persona prende quindi la responsabilit della penitenza. Essa non prende la responsabilit del peccato25. Non si dovr dunque, in questa impostazione, parlare di rinnovamento o riforma della Chiesa e neppure nella Chiesa, bens solo nei membri (peccatori) della Chiesa26. (II) Sancta Ecclesia peccatorum Alcuni teologi parlano esplicitamente di una santa Chiesa di peccatori. Essi partono generalmente da una critica alle tesi di Journet, imputandogli unecclesiologia idealistica27, che considera cio la Chiesa solo nei suoi principi formali e ne trascura la storicit e la concretezza28, con lesito di una

24

Ibid., p. 916. Journet respinge quella che egli chiama definizione materiale di Chiesa perch rischia, a suo parere, il platonismo, distinguendo un cristianesimo ideale da un cristianesimo storico (cfr. Ibid.). 25 Ibid., p. 907. 26 La linea di Journet ha guidato o ispirato non pochi altri teologi che si sono espressi anche dopo il Vaticano II: ricordiamo almeno B. Gherardini, per il quale la Chiesa santa nonostante il peccato e la conseguente realt dei peccatori; tale infatti perch tutti i suoi figli sono peccatori-graziati e perch il peccato attuale che in essa non suo ma dei singoli peccatori che lo compiono e ai quali viene imputato, restando in tal modo ben lontano dal deturpare il volto di lei senza ruga e senza macchia: B. GHERARDINI, La Chiesa arca dellalleanza (Roma: Citt Nuova, 1971) 182; cfr. A. BENI, La nostra Chiesa (Firenze: LEF, 1967) p. 224; B. MONDIN, Le nuove ecclesiologie. Unimmagine attuale della Chiesa (Roma: Paoline, 1980) pp. 324-325; ID., La Chiesa primizia del Regno (Bologna: EDB, 1986) pp. 282-283. 27 Cfr. K. RAHNER, Chiesa di peccatori, in Nuovi Saggi I (Roma: Paoline, 1968) 415-441. 28 certo inoltre che la Chiesa, per i suoi principi formali e costitutivi, tutta pura. Ma baster considerarla nei suoi principi formali? Essa una realt storica, concreta: gli uomini ne sono la materia, e sono peccatori, spiritualmente ciechi e opachi, imperfetti in mille modi (Y. CONGAR, La Chiesa santa, in MySal VII, 566). La posizione dello Journet non si distacca da quella tradizionale anche se si presenta in modo pi elaborato. Ci sembra, per, che tale posizione non tenga conto della Chiesa reale, della Chiesa popolo di Dio, composta, cio da membri che sono peccatori e il cui peccato, come riconosce lo stesso Vaticano II, macchia la Chiesa stessa: V. MONDELLO, La Chiesa del Dio trino (Napoli: Dehoniane, 1978) 473. La Chiesa reale una Chiesa peccatrice: H. KNG, La Chiesa, op. cit., 369. Tuttavia davanti a questo spiacevole fatto si sono inventate alcune scappatoie: 1) la segregazione di membri santi (gnostici, novaziani, donatisti, montanisti, ecc.); 2) la distinzione tra Chiesa santa e membri peccatori; 3) la distinzione tra parte santa e parte

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netta separazione, alla maniera nestoriana, tra elemento umano e divino nella Chiesa29; a Journet, inoltre, essi rimproverano unantropologia inadeguata: la separazione verticale tra parte santa e parte peccatrice nel battezzato non corrisponde alla visione cristiana delluomo peccatore nel cuore, cio nel centro della sua persona, e l raggiunto dalla grazia che giustifica30.

peccatrice nel cristiano. Circa la seconda e la terza: La distinzione tra la Chiesa santa e i membri peccatori. Per non compromettere la santit della Chiesa si pi volte fatta distinzione tra i membri che sono peccatori e la Chiesa che resta ciononostante senza peccato. Qualunque cosa faccia il singolo cristiano, non lo fa mai per suo personale vantaggio o danno. Lo fa piuttosto, nel bene e nel male, in quanto membro pienamente responsabile della Chiesa. Nella realt concreta non c una Chiesa che stia come sospesa sulla testa degli uomini (). E questi uomini, come stato sempre s ostenuto nella Chiesa nel corso dei secoli, restano, anche come peccatori, membri della Chiesa. Non sono i peccatori, ma solo la mancanza di fede, che separa dalla comunit dei credenti (Ibid., p. 373). La distinzione tra la parte santa e quella peccatrice del cristiano Di nuovo continua Kng: Tutte le scappatoie qui non servono a nulla. Bisogna guardare in faccia la realt: la Chiesa una Chiesa di peccatori. E poich questi peccatori sono veri membri della Chiesa, lEkklesa stessa ne viene gravata, il corpo stesso di Cristo ne viene macchiato, il tempio stesso dello Spirito Santo ne viene scosso e il popolo stesso di Dio ne viene ferito. La Chiesa stessa! Proprio perch la Chiesa non una sostanza pura, idealizzata, ipostatizzata e separata da tutti gli uomini, ma la comunione degli uomini credenti, proprio per questo certo non per colpa di Dio, di Cristo o dello Spirito Santo, ma proprio per colpa dei suoi membri peccatori essa una Chiesa peccatrice (Ibid., pp. 373-374). 29 Nellecclesiologia come nella cristologia, noi dobbiamo sempre evitare il duplice errore che in cristologia stato i ntrodotto e sempre minaccia di introdursi, del monofisismo e del nesto rianesimo: sia che si assorba lumano nel divino al punto di annientarlo, sia che si distinguano ma separandoli in modo artificioso. Infatti troppo facile dire che la chiesa rimane immutabilmente santa nei suoi strumenti di grazia: il ministero apostolico, la predicazione della fede, la celebrazione dei sacramenti, mentre rimane peccatrice nella vita individuale dei suoi membri. Lobiezione immediata: da una parte, che cosa sarebbe questa santit oggettiva della Chiesa se non si traducesse in una santificazione soggettiva degli uomini che ne fanno parte?; e dallaltra il ministero, la predicazione, gli stessi sacramenti, che ci offrono della grazia, l a vita dello Spirito attinta alla sorgente, soltanto tramite canali essenzialmente umani, come potrebbero, nel loro esercizio, non subire nessuna influenza dal peccato degli uomini?: L. BOUYER, La Chiesa di Dio (Assisi: Cittadella, 1971) 580 581. Alcuni pensatori idealisti crederanno di dovere al loro saggio modo di concepire la Chiesa il fatto () di poter distinguere tra chiesa sposa amata dellAgnello e cristiani nella chiesa, poveri e malvagi rinunciatari (cfr. Ch. JOURNET, Thologie de lEglise, Paris 1958, 236). Con ci, tuttavia, verrebbe introdotta una separazione tra il corpo mistico di Cristo e il nuovo popolo di Dio che condurrebbe necessariamente a una immagine nestoriana e falsa di chiesa e facilmente non coglierebbe la realt della chiesa proprio come Nestorio che col suo pensiero ha distrutto la realt del Cristo storico: J. AUER, La Chiesa sacramento universale di salvezza (Assisi: Cittadella, 1988) 590. 30 Dei peccatori lo Journet () dice: in quanto sono tutto questo non sono la Chiesa; bisogna vederli come sezionati verticalmente e divisi tra la Chiesa e il mondo. Ma questo non forse reificare un punto di vista formale? Gli uomini non sono affatto sezionati verticalmente in due; semplicemente, lirradiamento della santit in essi, ed , mediante loro, per la Chiesa storica e concreta, limitato e ostacolato. Quei peccatori che noi siamo appartengono interamente alla Chiesa, ma con una vita cristiana o una santit molto imperfetta. I loro peccati come tali cadono fuori della Chiesa, ma coloro che li commettono sono nella Chiesa e vi sono nella loro qualit di peccatori, vincolati mediante la fede allistituzione della grazia, offerti alla penitenza e alla santificazione. Quanto alla Chiesa, per s tutta santa, pura nei suoi principi formali e tesa, per la sua logica profonda, alla purezza totale, essa cos, in virt dei suoi membri, portata a realizzazioni storiche e concrete imperfette di quello stesso che essa fondamentalmente e che ispira ad essere. Questa dottrina essenzialmente quella dei padri, dei grandi scolastici e del magistero: Y. CONGAR, La Chiesa santa, 566. Per non compromettere la santit della Chiesa, si a volte diviso perfino il cristiano concreto: in quanto luomo puro apparti ene alla Chiesa, in quanto peccatore non vi appartiene. Ma cos si pu operare solo con fantasia. Luomo concreto si oppone invece a una tale divisione. Sarebbe certamente molto piacevole per luomo poter scindere con tutta semplicit il suo essere peccatore, ed essere cos, almeno nella Chiesa, del tutto puro. Costituisce invece la sua miseria il fatto che egli non possa assolutamente sbarazzarsi della propria malizia e del suo lato peccatore, che in questo campo non gli proprio possibile far conto su nessuna divisione quantitativa (). Proprio in quanto uno indissolubile nel suo io uno e indivisibile, anche il cristiano un uomo peccatore. E cos, in questa sua totale miserabilit, egli membro della Chiesa: H. KNG, La Chiesa, 373.

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I teologi che propongono la formula santa Chiesa di peccatori mettono diverse gradazioni nellappartenenza alla Chiesa: ma non le proporzionano solamente al grado di santit del singolo fedele, bens anche alladesione agli strumenti di santit: parola di Dio, sacramenti, ministeri. Non una parte (quella santa) del battezzato che appartiene interamente alla Chiesa bens tutto il battezzato che appartiene in un certo grado alla Chiesa. Viene cos introdotta la distinzione tra appartenenza piena e non piena alla Chiesa; appartenenza che si decide sulla base del criterio della santit (Spiritum Christi habentes) insieme a quello del triplice vincolo istituzionale (parola, sacramenti, gerarchia). Secondo questa visione, dunque, il peccato dei battezzati danneggia in qual modo la Chiesa e ricade su di essa, in quanto i peccatori nella loro intera persona vi appartengono in una certa misura (anche se non pienamente). Karl Rahner il pi noto sostenitore della Sancta Ecclesia peccatorum31. Che i peccatori appartengano alla Chiesa verit di fede ribadita pi volte nella storia: nellepoca patristica contro i montanisti, i novaziani e i donatisti; nellepoca medievale contro gli albigesi, i fraticelli, Wyclif e Hus; nellepoca moderna contro i riformatori e i giansenisti. Il motivo di fondo dellappartenenza dei peccatori alla Chiesa tocca la struttura della Chiesa stessa: se essa fosse semplice aggregazione di uomini che hanno aderito interiormente al Vangelo, allora interiore sarebbe anche lunico criterio di appartenenza; ma la Chiesa anche visibilit, sacramentalit. Il principio interiore-invisibile va dunque composto con unadesione alla struttura esterna-visibile (il triplice vincolo). vero, per riconosce Rahner che il peccatore appartiene alla Chiesa in misura minore rispetto al giusto; il peccatore, non possedendo lo Spirito, non appartiene interamente alla Chiesa, poich non in comunione con la sua dimensione invisibile. Non c contraddizione tra le due affermazioni, perch la Chiesa sia comunit visibile, che comunit animata dallo Spirito. Come nel sacramento si distingue la validit dalla fruttuosit, cos nella Chiesa, Ursakrament, si pu distinguere unappartenenza solamente valida da una anche fruttuosa32.

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K. RAHNER, La Chiesa peccatrice nei decreti del Vaticano II, in Nuovi Saggi, vol. I (Roma: Paoline, 1968) pp. 443478; ID., Il peccato nella Chiesa, in G. BARAUNA, ed., La Chiesa del Vaticano II (Firenze: Vallecchi, 1965) 419-435. 32 Y. Congar (nellarticolo citato) sostiene una posizione molto simile a quella di Rahner. Anchegli sottolinea che gi nelle questioni montanista e donatista la Chiesa riconosceva definitivamente di essere una Chiesa di peccatori: punto confermato in seguito contro diversi tentativi di conservarla solamente come Chiesa dei santi. Ci non ne intaccava la professione della santit, infatti: nella misura in cui di Dio, la Chiesa assolutamente santa. Ma essa fatta di uomini, e per essa essenziale includere la libera risposta che i santi per vocazione danno alla ch iamata di Dio e alla offerta della sua grazia. Vi sono pi chiamati che eletti. Esiste dunque nella Chiesa, dal punto di vista della santit, una certa dialettica tra ci che dato da Dio e ci che ricevuto e realizzato dagli uomini. Vi si pu vedere unapplicazione della dialettica del gi e del non ancora che costituisce lo statuto desistenza della Chiesa nel suo stato itinerante. Ci intr oduce nella Chiesa una tensione in virt della quale essa deve tendere senza tregua a essere adeguata al dono di Dio. Questo dono gi fatto ed assicurato alla Chiesa in virt della fedelt di Dio alla sua alleanza. Anche L. Bouyer riconosce

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(III) Sancta et peccatrix Ecclesia Tutti i teologi che applicano lappellativo di peccatrice alla Chiesa ammettono, ovviamente, anche lespressione santa Chiesa di peccatori, ma non viceversa. Infatti alcuni di coloro che parlano di sancta Ecclesia peccatorum non intendono spingersi a dire sancta et peccatrix Ecclesia. L. Bouyer, per esempio, alla domanda se si possa e si debba dire che la Chiesa peccatrice e che santa dopo aver notato che in reazione contro un atteggiamento senza dubbio troppo idealista, che accettava di vedere nella Chiesa soltanto la santit del Cristo presente in lei, molti sono tentati, e pi che tentati, di ammetterlo risponde che la trasposizione diretta dellaggettivo peccatrice dallanima del battezzato alla Chiesa non tiene conto di un fatto di capitale importanza: mentre ogni individuo cristiano, fin quando terminata la prova della sua vita terrestre, pu alla fine perdersi, la Chiesa sicura di giungere alla vita eterna. Essa indefettibile33. Altri sostenitori della Ecclesia peccatorum non hanno, invece, alcuna difficolt a parlare anche di Ecclesia peccatrix34. Tra questi in primo luogo K. Rahner, che considera in fondo coestensive le due espressioni. Se la Chiesa santa nella sua verit pi profonda (Rahner accetta e ricorda sia la santit oggettiva che quella soggettiva), essa per anche peccatrice perch se e vero che la Chiesa come sacramento ha anche una dimensione umana-visibile i peccati dei suoi membri non sono indifferenti ad essa. Santa e peccatrice insieme, la Chiesa non per luna e laltra cosa allo stesso modo e nello stesso senso: la santit, infatti, corrisponde a ci che essa e rimarr nel

che la Chiesa una Chiesa di peccatori, certo in via di santificazione, ma ben lontana dallaverla pienamente e definit ivamente raggiunta. Ovviamente, continua Bouyer, la Chiesa per sempre santa sia nel senso oggettivo (presenza di Cristo attraverso i sacramenti, la parola, il ministero) sia nel senso soggettivo (frutti effettivi di santit personale): tuttavia la chiesa resta sempre e rester sempre macchiata, fino allultimo giorno, dagli innumerevoli peccati dei suoi ministri e dei suoi fedeli, anzi tradita dalla defezione, sempre possibile, non soltanto di tutti i suoi membri individualmente, intesi uno ad uno, ma di tutte le Chiese particolari, prese una ad una, senza le quali essa non esiste. Di qui deriva alla Chiesa la necessit di lottare contro il peccato, non soltanto come un male estraneo ad essa, che sia soltanto del mondo e nel mondo, ma soprattutto come un male che non cessa di portare in s: il male della sua carne non ancora trasfigurata dallo Spir ito della risurrezione. Per questo si pu dire con verit: Ecclesia semper reformanda. 33 L. BOUYER, La Chiesa di Dio, op. cit., 575-576. 34 Per inciso ricordiamo che una volta Paolo VI ha chiamato la Chiesa peccatrice: S, gli uomini che compongono la Chiesa son fatti dellargilla dAdamo e possono essere, e spesso lo sono, peccatori. La Chiesa santa nelle sue strutture, e pu essere peccatrice nelle sue membra umane (); santa e penitente insieme, santa in se stessa, inferma negli uomini che le appartengono: Insegnamenti di Paolo VI, III, 1071. Anche il documento della CTI Memoria e riconciliazione presenta questo tema al n. 3.4 nei seguenti termini: La santit e il peccato nella Chiesa si riflettono dunque nei loro effetti sulla Chiesa intera, anche se convinzione della fede che la santit sia pi forte del peccato in quanto frutto della grazia divina: ne sono prova luminosa le figure dei santi, riconosciuti come modello e aiuto per tutti! Fra la grazia e il peccato non c un parallelismo, e neppure una sorta di simmetria o di rapporto dialettico: linflusso del male non potr mai vincere la forza della grazia e lirradiazione del bene, anche il pi nasc osto! In questo senso la Chiesa si riconosce esistenzialmente santa nei suoi santi: mentre per si rallegra di questa santit e ne avverte il beneficio, si confessa non di meno peccatrice, non in quanto soggetto del peccato, ma in quanto assume con solidariet materna il peso delle colpe dei suoi figli, per cooperare al loro superamento sulla via della penitenza e della novit di vita.

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profondo fino alla fine: presenza di Dio e della sua grazia nel mondo; il peccato, invece, le appartiene per contrasto, in quanto contraddice ci che essa nella sua autentica natura. Sposa interamente la posizione di Rahner H. Kng, il quale arriva a parlare della Chiesa non solo come communio sanctorum ma anche come communio peccatorum. Dopo aver criticato le visioni a suo parere inadeguate di Chiesa, che non tengono conto n della sua realt storico-concreta n dellimpossibilit di sezionare il battezzato attribuendone la parte santa alla Chiesa e la parte pecc atrice al mondo, egli cos conclude: la Chiesa degli uomini, che nello stesso tempo la Chiesa di Dio, scaturita dalla sua grazia, si manifesta come la comunit che, malgrado tutto ci che di peccaminoso in essa, allo stesso tempo santa, e che, malgrado tutta la sua santit, nello stesso tempo peccatrice. Questo lecclesiologico simul iustus et peccator: una communio peccatorum che, per la grazia del perdono di Dio, realmente e autenticamente una communio sanctorum35. Come Rahner, anche Kng ribadisce per che la Chiesa santa e peccatrice a due livelli molto diversi di profondit, perch la santit appartiene alla sua vocazione autentica (ma che si compir solo nelleternit) e il peccato la contraddice. Di qui alla Chiesa pellegrinante deriva il dovere di una p erenne riforma: poich la Chiesa sempre fatta di uomini, e di uomini peccatori, poich la Chiesa sar sempre deformata dalla limitatezza e dalla peccaminosit umana, essa deve riformarsi continuamente, secondo il Vangelo di Ges Cristo, resa a ci capace e potente dalla graziosa benevolenza di Dio: Ecclesia semper reformanda!36. (IV) Riflessioni conclusive Nelle conclusioni ci rifacciamo alla proposta di M. Kehl37. Egli nel considerare la Chiesa segue una duplice prospettiva: la Chiesa, infatti, insieme per i singoli e a partire dai singoli credenti; essa dunque tanto la Chiesa che precede i singoli e li santifica mediante la parola e i sacramenti, come pure la Chiesa dei santi che si edifica a partire dai singoli che sono stati santificati in questo modo. In quanto noi dei credenti, perci, la Chiesa rappresenta sempre anche la forma espressiva comune, che porta il segno dei singoli credenti e della fede personale di ciascuno di loro. Poich tuttavia i credenti sono al tempo stesso anche peccatori, cio uomini che, nonostante il s fondamentale testimoniato nel battesimo e nella fede, non si affidano completamente alla grazia, ma si chiudono parzialmente a essa e non le permettono di esplicare tutta la sua efficacia in una vita

35 36

La Chiesa, op. cit., 379. Ibid., 390. 37 M. KEHL, La Chiesa, op. cit., 387-391.

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vissuta nella fede, nella speranza e nella carit; per queste ragioni la fede cos deficiente dei peccatori segna anche la forma comune della loro fede, appunto la Chiesa. Di conseguenza il peccato non soltanto una realt presente nella Chiesa, dato che i singoli sono anche peccatori, ma una realt della Chiesa stessa, poich essa in quanto comunit di peccatori non esiste al sicuro, al di sopra degli uomini concreti, ma viene deturpata dal loro peccato. Certamente il peccato dei singoli e la peccaminosit della Chiesa hanno una struttura formale diversa: il singolo il soggetto personale, il da dove del peccato; esso ha origine dalla sua libert. La Chiesa invece costituisce la forma oggettivata comunitaria di questa fede che danneggiata dal peccato dei singoli; in essa si manifesta il risultato sociale del peccato dei singoli soggetti. Questo lato della Chiesa legato ai soggetti (Chiesa a partire dai singoli peccatori) non pu per essere separato (certo per distinto!) dallaltro lato, quello per cui essa a partire da Cristo, sua origine personale, e da Maria, suo modello originario personificato costituisce il dono precedente, santo e oggettivo della salvezza per i singoli. In ununit senza confusione e senza separazione, la Chiesa concretamente esistente rappresenta sempre entrambi i lati. Per questo il suo essere segnata dal peccato a causa del peccato dei singoli riguarda anche la sua dimensione di previa condizione di possibilit per la fede; questo significa che anche i suoi doni pi santi, appunto la parola e i sacramenti, non sono collocati al sicuro al di l degli uomini peccatori, ma sono condizionati da essi (che sia colui che li riceve o il ministro che li amministra). Perci anche lo stesso spazio vitale precedente (il dove) della fede pu diventare per i singoli occasione di peccato personale, al modo di una struttura che inclina al peccato. Se la Chiesa come noi dei credenti non pu esistere in forma ipostatizzata, indipendentemente dai singoli credenti, allora inevitabilmente ne deriva questa influenza reciproca tra il dato previo oggettivo e lappropriazione soggettiva della fede comune, e questo non solo per quanto riguarda la santit, ma anche per il peccato. Perci essa stessa in quanto Chiesa (e non solo ogni singolo al suo interno) deve quotidianamente invocare il perdono e il rinnovamento (ad esempio, nel Padre nostro, nella confessione dei peccati durante la celebrazione eucaristica, in diverse orazioni della messa e nelle intercessioni). Daltra parte, quando si parla di Chiesa santa e peccatrice, questo e non significa la somma di due propriet, certamente opposte, ma che per il resto si trovano sullo stesso piano ontologico. Al contrario, dove la Chiesa nei singoli credenti e nella sua struttura sociale lascia spazio allazione sant ificante dello Spirito di Dio, si manifesta la sua vera natura, la sua vocazione e missione ricevuta da Dio come Chiesa santa. Dove invece essa si chiude a questo Spirito e diviene cos Chiesa peccatrice, si manifesta in essa soltanto lopposizione, che rimane presente allinterno della storia e tuttavia gi sconfitta in linea di principio da Cristo e quindi in ultima analisi ridotta allimpotenza, 419

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degli uomini (come singoli e come comunit) contro la santit operata dallo Spirito. Per questo la Chiesa non affatto il puro paradosso di ununit tra peccato visibile e grazia nascosta (Rahner). La sua identit teologica propria consiste piuttosto nel fatto che essa rappresenta la risposta visibile, resa conforme al Figlio Ges Cristo dallo Spirito Santo, allautocomunicazione definitiva di Dio nella storia e che essa nelle sue azioni fondamentali partecipa nel modo dellaccoglienza, della risposta e della sequela, allamore incondizionatamente salvante di Ges Cristo verso il Padre e verso gli uomini e quindi da lui mantenuta indistruttibilmente nella santit che le donata. Per quanto la contraddizione della Chiesa derivante dal peccato possa deformarne spesso lidentit fino a renderla irriconoscibile, la Chiesa tuttavia confida che il peccato non potr mai prevalere sullazione dello Spirito nella Chiesa e perci non potr distruggere la comunit santa di Dio. Questa certezza ultima della salvezza, daltra parte, si riferisce solo alla Chiesa nella sua tot alit e non a ogni singolo o a singoli gruppi al suo interno. Per quanto riguarda i singoli, la questione della salvezza definitiva o della perdizione, dal nostro punto di vista, rimane aperta; il loro peccato, infatti, pu separarli in modo definitivo da Dio. Il fatto che questo non possa valere allo stesso modo per la Chiesa mostra con chiarezza che essa pi della somma dei suoi membri peccatori. Se la questione della salvezza anche per la Chiesa nella sua totalit rimanesse aperta, allora verrebbe meno proprio la peculiarit di questa alleanza nuova e definitiva che Dio in Ges Cristo ha stabilito con il suo popolo (e per mezzo di esso con tutta lumanit). In questo caso, infatti, anche questa alleanza potrebbe essere infranta e distrutta di nuovo dal peccato del popolo. Questo per significherebbe che il male otterrebbe retroattivamente la vittoria sul Cristo crocifisso e risorto e sul regno di Dio che in lui venuto in modo definitivo. Lintero messaggio neotestamentario della salvezza di Dio escatologica, cio apparsa definitivamente, perderebbe di conseguenza la sua verit e la sua credibilit. Poich tuttavia la potenza salvante di Dio, cio il suo Spirito, rimane presente nella Chiesa (cfr. Gv 14,16-18; 16,7-15; Mt 16,18; 28,20; Rm 8,34-39 e altri), possiamo confidare fiduciosamente che il peccato del popolo di Dio non pi in grado di annullare lincondizionata volont di salvezza di Dio. Questa fiducia trova i suoi sicuri punti dappoggio primariamente nei santi i quali rendono trasparente in modo indubitabile lamore di Dio, ma anche nella struttura sacramentale-oggettiva della Chiesa: tanto lannuncio della parola di Dio come lamministrazione dei sacramenti sono per la Chiesa segni infallibili che lo Spirito mantiene in modo definitivo la Chiesa nella verit della fede e nella santit dellamore.

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3.4.4. Credo la chiesa cattolica a) Storia e significato della parola katholik Il termine cattolico non si trova n nei LXX n nel NT (c in At 4,18, dove significa totalmente). Nel greco profano esso era inteso come composto da due parole, kathhlou = secondo il tutto. Ci da intendersi non gi nel senso di una somma bens di una totalit, di un tuttuno. Per questo, non di rado, il qualificativo cattolico era predicato di concetti come la verit e la bellezza, in quanto distinti dagli oggetti particolari, buoni e belli, che sono esempi concreti di tale universalit. La pi antica applicazione del termine alla chiesa si trova nella lettera di S. Ignazio di Antiochia alla chiesa di Smirne, in cui si scrive: Dove compare il vescovo, l sia la comunit, come l dove c Ges Cristo ivi la chiesa cattolica (8, 2). Delle molte interpretazioni date a questa sentenza, la pi probabile sembra essere quella che Ignazio qui sta distinguendo tra lassemblea eucaristica locale e la chiesa come un tutto, nella sua interezza. Nel racconto del martirio di S. Policarpo, vescovo di Smirne, si trovano quattro ricorrenze del termine in riferimento alla chiesa. Il racconto si apre con un saluto a tutte le comunit della santa chiesa cattolica di ogni luogo. Esso riferisce come Policarpo, dopo il suo arresto, ha pregato per tutta la chiesa cattolica sparsa nel mondo (8, 1). Definisce Ges Cristo come pastore della chiesa cattolica diffusa su tutta la terra (19, 2). In questi casi, la parola cattolica sembrerebbe essere usata nel senso di universale in opposizione a locale o particolare. Comunque, anche qui cattolica non semplicemente sinonimo di geograficamente universale, poich il termine contiene, pi o meno latente, lulteriore idea dellunit, dellunicit. Per essere veramente cattolica, deve essere una e la stessa chiesa in tutto il mondo. Il quarto uso di cattolica nel Martirio introduce una nuova applicazione della parola: Policarpo definito vescovo della chiesa cattolica di Smirne (16, 2). Qui chiaramente la chiesa locale di Smirne ad essere indicata come cattolica. In che senso una chiesa locale pu essere designata da un aggettivo il cui significato originario universale? Perch nel corso del II secolo i cristiani ortodossi cominciarono a distinguere le loro chiese dalle numerose sette scismatiche ed eretiche sulla base dellunit e universalit della vera chiesa, in opposizione alla molteplicit e alla natura localmente limitata delle sette. Cos la cattolicit venne ad essere riconosciuta come un criterio di ortodossia. Secondo Kelly questo il significato dominante di cattolica dalla seconda met del secolo in poi, in Oriente come in Occidente; esso denota lunica, vera chiesa di Cristo come contrapposta a tutti i gruppi eretici e scismatici, ed indica luniversalit di quella come garanzia di autenticit. Cattolico pass a significare ortodosso o, come suggeriva Vincenzo di Lerino, ci che stato creduto dovunque, sempre e da tutti (Commonitorium, I, 2). 421

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Meno di frequente si ritrova il termine cattolica usato col significato di totalit o pienezza. Cirillo di Gerusalemme spiega che la chiesa chiamata cattolica perch si diffonde per tutto il mondo da un confine allaltro della terra; perch insegna universalmente e con esattezza tutti i pri ncipi che giovano alla conoscenza degli uomini nelle cose visibili e invisibili, celesti e terrestri; perch subordinato al suo culto tutto il genere umano...; perch sana e cura dappertutto ogni genere di peccato dellanima e del corpo commesso. Essa ha in s ogni conclamata virt nelle opere, nelle parole e in ogni carisma spirituale (Catechesi XVIII prebattesimale, 23). Lespressione non stata assunta subito nei simboli: se quello di Nicea non lo fa ancora, la cosa p er acquisita nel corso del IV secolo e recepita nel simbolo Niceno-costantinopolitano. Con la Riforma fu messa in questione lunit, e di conseguenza anche la cattolicit della Chiesa. Nella polemica confessionale si potuto vedere la chiesa cattolica come chiesa ortodossa, oppure per estensione come la chiesa diffusa su tutta la terra e che perci abbraccia popoli, lingue e culture diverse, la chiesa numericamente pi grande che dura al di l del tempo. I riformatori intendevano la cattolicit soprattutto nel senso dottrinale: cattolico ci che stato creduto dovunque, sempre e da tutti conformemente alle Scritture. I polemisti cattolici hanno reclamato non soltanto la cattolicit della dottrina, ma anche dello spazio, del numero e del tempo. Con il Vaticano II la chiesa cattolica, oltre alla classica prospettiva quantitativa della cattolicit, ha recuperato anche la prospettiva qualitativa, connessa allidea di totalit e di pienezza in ordine alla mediazione della salvezza. In LG 13 il riconoscimento della origine trinitaria della cattolicit e la sua comprensione come universalit di razze, nazioni, culture, permettono di collegare la cattolicit a unidea di unit ricca di differenze e di collocarla in relazione con tutta lumanit chiamata ad essere il popolo di Dio unico ed universale. Il termine cattolicit stato quindi protagonista di una lunga storia di interpretazioni. In una prospettiva sintetica possiamo individuare cinque piani fondamentali intorno ai quali organizzarne il contenuto semantico: cattolicit indica, in senso descrittivo, luniversitas christianorum e il corpus ecclesiarum; in senso qualitativo, la destinazione universale della chiesa; in senso geografico e quantitativo, lestensione su tutta la terra; in senso polemico, la forma confessionale della chiesa romana; in senso antropologico-cosmico, il dono escatologico. Alla luce di tutti questi dati possiamo dire che lEkklesa nella sua forma storica si d sempre d ovunque essenzialmente come comunit locale, come chiesa locale. Ma queste chiese locali sono chiese solo in quanto sono manifestazione, rappresentazione e realizzazione dellunica chiesa totale, completa e universale, cio della chiesa tutta intera. Bench la chiesa locale sia in s totalmente chiesa, non tuttavia la chiesa totale. Soltanto tutte le chiese locali sono la chiesa totale, e ci non 422

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in quanto addizionate e associate esternamente, ma in quanto interiormente unite nello stesso Dio, Signore e Spirito, lo stesso vangelo, lo stesso battesimo, lo stesso banchetto eucaristico e la stessa fede (Ef 4,4-6). La chiesa nella sua interezza la chiesa manifestata, rappresentata e realizzata nelle chiese locali. Se vero che la chiesa, in questo senso di chiesa nella sua interezza, la chiesa totale, essa pu chiamarsi, secondo luso linguistico originario, la chiesa cattolica, cio la chiesa totale, universale e completa. La cattolicit consiste essenzialmente nella totalit. Ma nella misura in cui ogni chiesa locale rende presente questa chiesa totale, pu anchessa venir chiamata cattolica. Una chiesa non perde la sua cattolicit per il fatto di essere una chiesa localmente limitata, ma per il fatto che essa, localmente delimitata, si stacca dalle altre chiese, e con ci dalla chiesa totale e intera, e si fissa e si concentra su se stessa nella propria fede e nella propria vita, pretendendo cos di bastare a se stessa. Non cattolica soltanto la chiesa particolaristica: quella che si separa (scismatica) dalla fede e dalla vita della chiesa intera, si singolarizza (eretica) o forse persino rinnega (apostata). Una chiesa non cattolica semplicemente per la sua estensione territoriale: la cattolicit non primariamente un concetto geografico. Una chiesa non cattolica soltanto per quantit numerica: la cattolicit non primariamente un concetto statistico Una chiesa non cattolica semplicemente per la variet socioculturale: la cattolicit non primariamente un concetto sociologico Una chiesa non cattolica semplicemente per la sua continuit temporale: la cattolicit non primariamente un concetto storico Anche la chiesa pi internazionale, pi vasta, pi multiforme e pi antica pu dunque alienarsi: allora essa non pi la stessa, si allontanata dalla sua essenza pi intima, deviata dal suo cammino pi proprio. Certo, la chiesa deve muoversi, deve costantemente mutare: essendo storica, non pu fare diversamente. Ma in nessun modo essa deve diventare unaltra, estranea a se stessa. La chiesa cattolica solo in ragione di unidentit completa: vale a dire che, nonostante tutti i cambiamenti di tempo e forma continuamente necessari e nonostante ogni imperfezione e fragilit, essa , deve essere e vuole essere essenzialmente la stessa dovunque, sotto ogni forma e in ogni tempo, di modo che sempre, dovunque e da tutti venga conservata, rafforzata e resa credibile la stessa essenza della chiesa. Solo con il presupposto di questa identit, la chiesa si dimostra come la chiesa integralmente totale, genuinamente universale, indivisamente completa: come la chiesa veramente cattolica Lidentit il fondamento della cattolicit Ma per la sua origine ed essenza, la chiesa universale Luniversalit la conseguenza della cattolicit38.

38

H. KNG, La Chiesa, op. cit., 347-350. Cfr. H. DE LUBAC, Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma (Roma: Studium, 1964) 39.

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3.4.5. Credo la chiesa apostolica a) Sul fondamento degli apostoli Ci siamo interrogati sullunit nella pluralit, sulla cattolicit nellidentit, sulla santit nella peccaminosit, e sempre si posta la questione del criterio: dove e in quale misura abbiamo a che fare con la chiesa una, santa e cattolica? Che cos la vera unit, la vera cattolicit, la vera sa ntit? Il quarto attributo della chiesa dona espressamente un criterio decisivo: una chiesa veramente una, santa e cattolica, solo quando essa in tutto ci apostolica. Non si tratta di ununit, santit e cattolicit qualunque, bens tale da riferirsi agli apostoli e da essere in questo senso apostolica39. Nello sviluppo dellarticolo sulla chiesa nel simbolo battesimale della chiesa primitiva, apostolica fu lultima delle quattro propriet ad essere aggiunta. Il credo battesimale della chiesa docci dente il Simbolo degli Apostoli menziona solo due attributi: santa e cattolica. Verso la met del IV secolo il credo battesimale diffuso a Gerusalemme, come sappiamo dalle catechesi di Cirillo vescovo, definisce la chiesa una, santa e cattolica. Il primo simbolo battesimale che ha aggiunto lattributo apostolica quello della chiesa di Salamina a Cipro, nella seconda met del IV secolo. SantEpifanio, vescovo di quella citt, ci fornisce il testo di quel simbolo nel suo scritto Ancoratus dellanno 374. stato questo credo, o una formula battesimale orientale analoga, che il concilio di Costantinopoli ha seguito per definire la chiesa una, santa, cattolica e apostolica nel simbolo che divenuto il credo liturgico comune alla maggior parte delle chiese cristiane. Sebbene il termine apostolica sia entrato tardi nei simboli cristiani ufficiali, ci non vuol dire che la parola sia sconosciuta al vocabolario cristiano. La troviamo per la prima volta gi nel II secolo nella lettera ai Tralliani di S. Ignazio di Antiochia (Ignazio, Teoforo, a quella che amata da Dio, il Padre di Ges Cristo, la chiesa santa che in Tralli dellAsia, eletta e degna di Dio... il saluto nella pienezza del carattere apostolico e laugurio di ogni bene: saluto). Alla met del II secolo, i presbiteri della chiesa di Smirne, raccontando il martirio del vescovo Policarpo, lo descrivono come un maestro apostolico e profetico (n. 16). Il termine si rinviene esclusivamente nella letteratura cristiana e con una variet di significati specifici, ma con un denominatore comune: lespressione di una relazione agli apostoli tanto di origine, di somiglianza, fedelt, o successione come di qualche altro modo per cui le persone o le cose sarebbero degli apostoli o simili agli apostoli40.

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H. KNG, La Chiesa, op. cit., 399. F. SULLIVAN, Noi crediamo la Chiesa, op. cit., 153-154.

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Per, gi dai secoli II e III, apostolico acquista anche un significato ascetico, e designa allora: simile agli apostoli; sia certe sette dellantichit e del medioevo (le apostoliche), sia lantica le tteratura monastica usano la parola in questo senso e intendono con ci la rinuncia alla propriet e al matrimonio. Solo relativamente tardi la parola acquista in primo luogo un significato pastorale attivo (in opposizione alla contemplazione)41 e in genere missionario. b) Chi erano gli apostoli? 1. Gli storici delle origini cristiane si accordano nellattribuire allapostolato cristiano una origine post-pasquale42. Esso fondato sulle apparizioni del Cristo risorto (1Cor 9,1; 15,5-11). Ma non tutti i testimoni della risurrezione erano considerati apostoli. Solamente le apparizioni che possedevano un carattere di appello e di missione potevano legittimare il loro destinatario, di fronte alla Chiesa di Gerusalemme, come un inviato plenipotenziario di Ges Cristo. perch Paolo soddisfaceva chiaramente questo criterio che fu riconosciuto come lultimo apostolo chiamato (1Cor 15,9-11). 2. Oltre a questo tipo di apostolato chiaramente definito, quale era rappresentato a Gerusalemme, si trovano ad Antiochia e nel retroterra siriano le tracce di un apostolato pi aperto, di carattere pneumatico e carismatico. Il fattore determinante qui non il mandato di Cristo risorto, ma unistruzione dello Spirito. Secondo la tradizione antica ripresa in At 13,1-3; 14,4.14, Paolo e Barnaba, grazie a una testimonianza profetica ispirata dallo Spirito, furono investiti del compito di inviati missionari della comunit di Antiochia e considerati a questo titolo come degli apostoli. Lorigine di questo s econdo tipo di apostolato resta oscura, ma si pu supporre che essa si radichi nella cerchia dei missionari itineranti galileo-siriani usciti dalla comunit cristiane prepasquale, alla quale si collega la fonte Q, o fonte dei logia (Mt 10,5-15 par.; Lc 10,1-12). Cos la Didach (11,3-6) attesta ancora lesistenza nella Siria dellinizio del II secolo la presenza di predicatori carismatici itineranti, che erano considerati come degli apostoli. Forse tra di loro che bisogna cercare gli avversari designati da Paolo in 2 Corinti come superapostoli (2Cor 11,5; 12,11) o come falsi apostoli (2Cor 11,13), che legittimavano il loro mandato spirituale con la parola ispirata (2Cor 10,10; 11,6), obbligando Paolo a paragonarsi a loro per le visioni (2Cor 12,1) e i segni distintivi dellapostolato (2Cor 12,12) cos come i falsi apostoli di Efeso evocati (in epoca postpaolina) in Ap 2,2.

41 42

H. KNG, La Chiesa, op. cit., 399. KEHL, La Chiesa, op. cit., 293-305; KNG, La Chiesa, op. cit., 400-409; CONGAR, art. cit., in MySal VII, 639-641; SULLIVAN, Noi crediamo la Chiesa, op. cit., 154-169; ID., From Apostles to Bishops. The Development of the Episcopacy in the Early Church (New York/Mahwah, N.J.: The Newman Press, 2001); TH. SCHNEIDER G. WENZ (edd.). Das kirchliche Amt in apostolischer Nachfolge, I: Grundlagen und Grundfragen (Freiburg: Herder; V&R: Gttingen, 2004).

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3. Paolo che ha il merito di aver approfondito e sviluppato con una vasta riflessione teologica la comprensione dellapostolato. Dai suoi scritti possiamo estrapolare i criteri base che doveva avere un apostolo di Ges Cristo: 1) aver visto il Cristo risorto; 2) aver ricevuto da lui la missione di predicare il Vangelo; 3) avere il compito di raccogliere la comunit di salvezza formata da giudei e pagani, per farne il luogo di esistenza del Vangelo nella storia. Paolo convinto di essere stato chiamato e inviato per suscitare lobbedienza della fede tra tutte le nazioni (Rm 1,1-7). Ecco perch il ministero dellapostolo ha la precedenza su tutti gli altri ministeri comunitari (1Cor 3,9-17): lui che pone il fondamento delledificio sacro della Chiesa, sul quale gli altri costruiranno (1Cor 3,917); lui il padre che, portando il Vangelo, ha generato la Chiesa (1Cor 4,15; Gal 4,12-20). In conformit a questa funzione fondatrice, il compito apostolico non limitato a una comunit particolare, ma si rapporta alla Chiesa universale. 4. Laltra riflessione forte sul ministero apostolico quella sviluppata da Luca, il quale lega lapostolato alla missione (prima e dopo Pasqua: Lc 24,44-49; At 1,8; cfr. Mt 28, 18-20; Mc 16, 1516; Gv 20, 21-23) che il Cristo ha affidato ai dodici, costituendoli cos come gli iniziatori e i garanti della tradizione alla quale la Chiesa deve conformarsi (At 2,42). Questo mandato, oltre allincarico di predicare il Vangelo ad ogni creatura, implica un ruolo di autorit nella comunit dei discepoli formata dalla loro predicazione. 5. Come abbiamo visto gi nella parte biblica gi allinterno del NT si configura il trapasso dal tempo apostolico a quello post-apostolico, dove si vede che il ministero apostolico, unico e singolare, non prevede successori agli apostoli. Ma al ministero apostolico si legano i compiti dellannuncio, della fondazione e del governo della chiesa, compiti che dovranno pur continuare, per cui riconosceremo anche un ministero apostolico che continua e che per la chiesa rimane necessario, per il suo riferimento permanente a quel ministero pur singolare affidato ai soli apostoli. Nel NT questi ministeri apostolici non si spiegano come istituzioni puramente umane, ma quali carismi, realt prodotte e donate dallo Spirito Santo (At 20,28), e che vengono conferite con limposizione delle mani e la preghiera (1Tim 4,14; 2Tim 1,6; Tt 1,5; cfr. At 14,23). Stando allenunciato riassuntivo di Ef 4,1012, lo stesso Signore glorificato ad inviare dal cielo alla chiesa e per la sua edificazione questi ministeri in dono. Questa la stessa impostazione che troviamo nel mandato missionario che si pone in bocca a Ges a conclusione dei vangeli sinottici e allinizio degli Atti (Mt 28,20; cfr. Mc 16,15; Lc 24,47s; At 1,8): il vangelo di Ges Cristo deve essere testimoniato a tutti i popoli e in tutti i tempi; questo compito missionario va oltre il tempo compreso nella vita dei primi testimoni e assume un certo qual carattere istituzionale. Dopo la morte dei primi testimoni, dei testimoni originari, ci saranno sempre degli uomini che garantiranno tale missione. Ma allora la successione non andr in426

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tesa nel senso lineare di una catena che lega tra loro, come anelli, i capi ministeriali che si succedono, ma piuttosto come una cooptazione ed incorporazione di nuovi membri nel collegio apostolico ed in una missione che deve continuare anche nel futuro. Emerge cos laspetto decisivo: la successione apostolica non qualcosa di importante per se stessa, ma interamente a servizio del vangelo di Ges Cristo e nel vangelo trova la sua norma. La successione apostolica va intesa come successione nella dottrina e nella vita degli apostoli: nella sua dimensione istituzionale ma anche in quella esistenziale. La successione apostolica quindi la figura concreta in cui e mediante cui Ges Cristo rimane con noi, nello Spirito santo, permanentemente, fino alla fine dei tempi. la figura concreta in cui la Traditio che Ges ha fatto di s una volta per sempre si comunica a noi, garantisce una presenza che continuamente si rinnova. 6. solo nel periodo post-neotestamentario che troviamo un vescovo singolo in ciascuna chiesa. Ci che possiamo affermare con una ragionevole certezza che dalla fine del secondo secolo in poi, ciascuna chiesa veniva guidata da un vescovo singolo e che questi vescovi erano riconosciuti come successori degli apostoli nel loro ministero pastorale. Questo riconoscimento, che solo gli gnostici rifiutarono di dare, fu un elemento cruciale nella coscienza della chiesa della sua apostolicit. c) Lapostolicit della chiesa post-neotestamentaria Nella chiesa antica la successio non viene mai scissa dalla traditio, ma nemmeno isolata dalla communio. Infatti la successio a servizio della traditio; daltra parte la traditio ci viene resa disponibile soltanto nel modo della successio. Sullo sfondo di questo rapporto fra tradizione e successione apostolica sta un certo modo, quello sacramentale, di intendere la chiesa e i suoi ministeri quali segni e strumenti della salvezza. Anche la successione ministeriale, quindi, si articola in segni e strumenti della realt vera e propria, il vangelo da trasmettere. Lapostolicit intesa come cont inuit storica, a servizio della apostolicit intesa come identit, contenuto vero e proprio del messaggio apostolico. Daltra parte la trasmissione del ministero apostolico avviene allinterno della communio dei fedeli (essi partecipano alla elezione del vescovo e alla sua ordinazione) e dellordo dei vescovi. Il singolo vescovo non entra a far parte della successione apostolica perch si salderebbe, quale anello di una catena ininterrotta, ai suoi predecessori, fino allapostolo, ma perch in comunione con lintero ordo episcoporum, che a sua volta succede al collegio degli apostoli e partecipa della sua missione. Da questo legame tra traditio, successio e communio non discende alcun automatismo e meccanismo: la successione un segno, non una qualche garanzia della tradizione vera. Il singolo o i singoli vescovi possono anche rinnegare la tradizione, escludendosi in tal modo dalla comunione. In questo caso non si dovr loro alcuna obbedienza. Il segno della successione, quindi, non ga427

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rantisce in ogni caso la realt significata, la vera tradizione. Daltra parte notiamo che per arrivare ad unaltra convinzione, ossia che lo Spirito, il quale garantisce la vera traditio, possa darsi anche laddove, per una qualche ragione, manchi o in parte difetti il segno della successio o della communio la chiesa e la teologia hanno impiegato pi tempo. Sar il Concilio Vaticano II a correggere limpostazione agostiniana che qui faceva sentire tutto il suo peso (cfr. LG 8.15; UR 2s). La successio, intesa come segno, e la traditio, come la cosa da essa significata e testimoniata, in concreto potrebbero anche conoscere una dissociazione. Ma il caso limite non pu essere fatto passare per norma. Se muoviamo nellottica della chiesa antica dovremo piuttosto convenire che traditio, successio e communio sono fondamentalmente riferite luna allaltra. d) La divaricazione fra traditio e successio nel medioevo e nella Riforma Nel medioevo si affievol la consapevolezza dellintimo nesso esiste fra traditio, successio e communio. Le ragioni del fenomeno sono diverse e lo sviluppo cui esso dette origine molto complesso. Dimportanza decisiva fu la perdita dellantica visione sacramentale della chiesa in seguito alla seconda disputa sulleucaristia (sec. XI). Ora la chiesa veniva considerata spesso come mero apparato giuridico e lautorit ministeriale concepita non pi come repraesentatio sacramentale ad opera dello Spirito bens quale potestas conferita al singolo pastore come sua propria, e non pi necessariamente riferita alla communio in un sistema che prevedeva ordinazioni assolute, cio disancorate dalla chiesa locale concreta. Lordine sacro tendeva ad assumere il carattere di un rito consacratorio a s stante, quello del sacramento di ordinazione al sacerdozio, mentre il ministero episcopale non si inquadrava pi nel suo contesto sacramentale e il vescovo si contrapponeva al semplice presbitero, perch dotato di una maggior potestas (iurisdictio) e dignitas allinterno della chiesa. Su questo sfondo nel tardo medioevo anche a singoli non-vescovi, cio semplici preti, pot essere conferita, attraverso la giurisdizione pontificia, la pienezza della potestas. La cosiddetta successione presbiterale, dunque, non un surrogato e unalternativa alla successione episcopale ma una figura in cui la successione stessa si articola. Ma a quali inquietanti conseguenze potesse condurre langusta prospettiva medievale ce lo mostra il fatto che per es. a Colonia diversi arcivescovi non avevano nemmeno ricevuto lordinazione episcopale: mancava ormai la consapevolezza dello stretto nesso esistente fra successio, traditio e communio. Anche a motivo di tali disfunzioni e di tante altre ancora oggi quasi inimmaginabili, la chiesa non veniva pi percepita da molti nella sua configurazione esteriore, quale segno di salvezza e di verit. Se teniamo conto di un quadro del genere possiamo capire anche laspra critica che i movimenti riformatori muovevano alla chiesa ed al ministero, indirizzandola contro un sacerdozio ordinato com428

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preso entro una visione sacramentale molto angusta e unilaterale, spesso slegato da ogni riferimento allannuncio della Parola ed al servizio della comunit, e contro un ministero episcopale e pontificio avvertito come una tirannia. Non per questo la Riforma escludeva un nesso con il ministero episcopale nella sua successione storica, se i vescovi fossero stati vescovi e la predicazione del vangelo si fosse ispirata alla dottrina riformatrice della giustificazione. Nessun vescovo per fu disposto a passare nel campo riformato ed a nominare ministri per le comunit che avevano fatto tale scelta, per cui si provvide a nominare propri ministri ed a giustificare la decisione come un provvedimento di emergenza. Ci si considerava legittimati a farlo sia perch, richiamandosi a Girolamo, si equiparava il ministero di parroco sostanzialmente a quello di vescovo, sia perch si era convinti che lintera chiesa meritasse la qualifica di apostolica e quindi fosse legittimata a nominare i propri ministri. Soprattutto per questultima motivazione appare abbastanza fragile la tesi secondo cui la critica riformatrice riguardava esclusivamente le disfunzioni e gli abusi, per poi sviluppare anche una ecclesiologia di emergenza. Facendo leva sullesperienza dello scarto esistente tra vangelo originario e chiesa di fatto, i Riformatori ponevano laccento sulla libert e superiorit che il vangelo vanta sulla chiesa concreta. E proprio per questa contrapposizione essi confidavano che il vangelo si sarebbe imposto nello Spirito e avrebbe trovato ascolto nella chiesa, senza essere costretti a legarsi a determinati ministeri e persone (Cfr. ApolCA 7,22; Calvino, Ist. IV,2,3). La vera successione, dunque, sta proprio nel vangelo che continua ad essere proclamato43. Cos il problema di un aggancio al ministero, in successione presbiterale od episcopale, divent questione di diritto puramente umano, dove pare che il nesso fra traditio e successio, od anche tra vangelo e chiesa concreta, quello che la chiesa antica considerava intrinseco, non venisse pi riconosciuto, e non soltanto in qualche sporadico caso, ma in linea di principio. E lo si rileva fin nei pi recenti documenti di convergenza, dove la successione nel ministero episcopale considerata auspicabile e consigliabile, non per irrinunciabile sul piano teologico. Questa scelta dei Riformatori poneva e continua a porre in discussione non soltanto un problema fra i tanti, ma la stessa visione globale della chiesa, in altre parole la combinazione simbolico-sacramentale degli elementi visibili

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Cfr. WA 39, 1,191,28: Haec est vera definitio Ecclesiae: non quae succedit Apostolis: sed quae confitetur quod Christus sit filius Dei. 39, 11,1765; 177,1: Successio ad Evangelium est alligata Bisogna vedere dov la Parola Ubi est verbum, ibi est Ecclesia Credendum est episcopo, non quia succedit episcopo huius loci; sed quia do cet Evangelium. Successione significa Vangelo. CALVINO, Ist. IV, 2,2: Lobiezione della successione (dei vescovi) non ha senso quando i successori non conservano intatta la verit di Cristo ed in essa non perseverano senza cedimenti; IV 2,4: ci che caratterizza la chiesa la parola di Dio. Se c questa nota caratteristica, non ci si pu sbagliare, perch sicurame nte qui c anche chiesa; dove, invece, questa nota mancasse, non ci sarebbe nemmeno una qualche indicazione di pr esenza di chiesa.

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della chiesa con la sua essenza spirituale, percepibile soltanto per fede. Quando parlavano del nascondimento della chiesa i Riformatori non intendevano certo una civitas platonica (Cfr. ApolCA 7,20). Essi non volevano confondersi con i fanatici e nella Parola e nel Sacramento, come del resto anche nei ministeri, coglievano certi elementi visibili presenti nella chiesa (Cfr. CA 5; HeidelbergerKatechismus, quest. 65s.; CALVINO, Ist. IV 1,1.5s.; 2,1; 8,13). Ci non comporta che dalla loro impostazione traspaia anche un chiaro riconoscimento del fatto che la salvezza, donataci una volta per tutte, venga mediata dalla chiesa. La frattura si oper, in prima istanza, non per il disconoscimento di una successione ininterrotta, ma per laffermarsi di una nuova concezione di chiesa nel suo rapporto con il vangelo della salvezza in Ges Cristo. F. Schleiermacher ha accentuato un po troppo questa differenza, ma la formula da lui coniata coglie comunque nel segno: il protestantesimo fa dipendere il rapporto del singolo con la chiesa dal suo rapporto con Cristo, mentre al contrario il cattolicesimo fa dipendere il rapporto del singolo con Cristo dal suo rapporto con la chiesa44. Si tratta soltanto di sapere, naturalmente, se la posizione protestante derivi da una situazione di emergenza ancora perdurante o se lo stato di necessit che a quel tempo si diagnosticava assuma un carattere stabile, costitutivo. Le risposte che oggi si danno nel protestantesimo contemporaneo sembrano differenziarsi notevolmente. Difficile la risposta che il concilio di Trento era chiamato a dare. Da una parte la teologia cattolica del tempo aveva ormai smarrito la coscienza viva del carattere sacramentale della chiesa, oltre che dellintima relazione fra traditio e successio; dallaltra i Riformatori ponevano in termini nuovi il problema della tradizione e successione. In un contesto del genere Trento, nella sua quarta sessione, stabiliva il rapporto da riconoscere tra vangelo e chiesa, tra Scrittura e tradizione, ma anche il carattere normativo dellesegesi biblica ad opera della chiesa (DzH 1501.1507). Nellesporre la dottrina dei sacramenti il concilio respingeva alcune sottolineature presenti nella concezione riformatrice del ministero, per attenersi alla successione apostolica dei vescovi e alla loro superiorit sui presbiteri (DzH 1768). In tal modo si ribadiva lantica concezione ecclesiale che nella chiesa strutturata episcopalmente vedeva il segno e lo strumento del vangelo, senza pero lasciar trasparire anche lintimo nesso sacramentale. Di pi, per controbattere la contestazione riformatrice della struttura esteriore, giuridica della chiesa e della sua mediazione salvifica, in seguito si scadr in posizioni riduttive di tipo giuridico, animate da spirito polemico e comunque estranee alla chiesa antica e medievale.

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F.D.E. SCHLEIERMACHER, Der christliche Glaube, a cura di M. Redeker, Berlin 1960, 24, p. 137.

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Anche dal modo in cui si valutarono le ordinazioni nella Riforma possiamo cogliere una mentalit articolata quasi esclusivamente secondo categorie di stampo giuridico. Per il concilio i ministri non regolarmente (rite) ordinati e inviati dallautorit ecclesiastica e canonica (ecclesiastica et canonica potestate), sono da considerarsi ministri illegittimi della parola e dei sacramenti (DzH 1777; cfr. 1769). Il problema della successione diventava cos problema della legittimit del ministero, non pi realt da inquadrare in una visione sacramentale della chiesa. Una prospettiva, dunque, abbastanza angusta, che per mostrava una certa apertura, una disponibilit quando si tratta di riconoscere i ministeri delle chiese nate dalla Riforma. Infatti quando dichiara lillegittimit di ministeri che certuni si attribuiscono in forza della propria temerit (DzH 1769), il concilio di Trento non prende espressamente posizione riguardo al problema della validit del ministero conferito secondo le disposizioni impartite da chiese separate: per risolvere una questione del genere bisogna muoversi in un contesto pi ampio, quello di una visione sacramentale di chiesa. e) Il Concilio Vaticano II: avvicinamenti e differenze che permangono Contando su tutto un lavoro teologico di preparazione, il Vaticano II riproporr la visione sacramentale della chiesa (LG 1.9.48.59 e passim), lidea quindi che la chiesa una realt complessa, fatta di elementi umani, visibili e istituzionali, da un lato, e da un elemento spirituale e divino, dallaltro, questultimo percepibile soltanto per fede (LG 8). E in tale contesto il concilio non ha inquadrato soltanto il carattere sacramentale dellordinazione dei vescovi (LG 21), ma anche lintimo nesso da riconoscere fra successio, traditio e communio (LG 20). Se il modo in cui la Costituzione sulla chiesa si esprime potrebbe dare lidea che qui la successione apostolica verrebbe concepita in termini ancora troppo unilaterali, come successione ininterrotta nel ministero, la Costituzione sulla divina rivelazione stabilisce chiaramente il nesso esistente tra la missione degli apostoli e lassistenza dello Spirito loro promessa, tra la chiesa che crede e lo Spirito Santo che in essa vive, tra la successione apostolica e la guida che lo Spirito di verit le assicura (DV 8s.). una concezione pneumatologica che troviamo organicamente affermata soprattutto Decreto sulle missioni (AG 4). Dopo le unilateralit che avevano accompagnato la riflessione teologica dei secoli precedenti, ora il concilio ripropone con chiarezza il contesto pneumatologico ed ecclesiologico entro cui inquadrare anche la successione apostolica, quellantica prospettiva ecclesiale che meglio di ogni altra favorisce un dialogo ecumenico sul tema del ministero e della sua successione. Sono soprattutto due punti che ci mostrano con quanta elasticit i padri conciliari si siano mossi allinterno del nuovo contesto e abbiano fatto i conti con la complessit del dato storico. (1) Il co ncilio dice semplicemente che tra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitarono nella chiesa, 431

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il primo posto spetta allufficio episcopale, che i vescovi garantiscono insieme ai presbiteri ed ai diaconi (LG 20). Esso non dice che la tripartizione gerarchica in ministero episcopale, presbiterale e diaconale poggerebbe direttamente su unistituzione divina, ma semplicemente fin dai primi tempi (ab antiquo) un ministero veniva esercitato in questa triplice figura (LG 28). un modo di esprimersi pi aperto, che tiene conto delle problematiche storiche e viene incontro alla posizione assunta dalle chiese della Riforma, per le quali allorigine il ministero dei presbiteri coincideva con quello dei vescovi. (2) Intenzionalmente il concilio non dice che soltanto i vescovi possono accogliere nel proprio collegio episcopale nuovi membri, non volendo dirimere questione n di diritto n di fatto, ma semplicemente stabilisce che proprio dei vescovi assumere, con il sacramento dellordine, nuovi eletti nel corpo ecclesiale (LG 21). In tal modo si allude, se non altro, alla possibilit che allinterno dellUna sancta non debbano per forza valere ununica forma ed un unico modo di vedere la successione apostolica. Anche se soltanto incidentalmente, il concilio prende comunque posizione sul modo protestante dintendere i ministeri, e parla di una mancanza del sacramento dellordine (defectus ordinis) nelle chiese della Riforma (UR 22). Ma che cosa intende dire? Dopo il concilio si osservato che defectus non necessariamente significa mancanza, ma potrebbe voler dire anche difettosit. Non basta certo il lessico o lacume filosofico a dirimere una questione cos importante: la soluzione teologica del problema va cercata allinterno del contesto nel quale sinquadrano gli asserti conciliari. Ebbene, il concilio ha detto chiaramente che la chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica, ma che anche al di fuori di essa si trovano elementi di vera chiesa (LG 8), motivo per cui lo Spirito di Dio si serve delle chiese non cattoliche e delle comunit ecclesiali separate come di strumenti per salvare i fedeli che in esse vivono (UR 3). Ma dato che tali chiese e comunit operano, in concreto, mediante i loro ministeri, un riconoscimento del genere equivale ad una valutazione degli stessi ministeri esercitati nelle chiese non cattoliche e nelle comunit separate. Delle comunit ortodosse, si dice espressamente che dispongono di un ministero episcopale e presbiterale valido (UR 15), mentre solo implicitamente si d pure un giudizio sul ministero esercitato nelle altre chiese e comunit ecclesiali. Tuttavia, dopo ci che si detto, converremo che anche qui si riconoscono degli elementi di vero ministero. Per motivi logici, dunque, e non soltanto linguistici concluderemo che il defectus ordinis di cui parla il concilio non una mancanza totale ma una difettosit di ministero pieno. Laddove stia tale difettosit il concilio non lo dice, ma stando a quel che siamo venuti fin qui ad illustrare essa non risiede soltanto nella rottura della successione apostolica nel ministero episcopale, un fatto che non certo isolato, ma da inquadrare, in definitiva, in una diversa concezione di chiesa, in un diverso modo dintendere vangelo e chiesa. E su questo piano il dissenso rimane. vero che il 432

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Vaticano II sosteneva che il magistero della chiesa non sta al di sopra della parola di Dio, ma al suo servizio; non ha per contrapposto il vangelo alla chiesa, n ha parlato di una fondamentale funzione critica che la Scrittura svolge nei confronti della chiesa e della tradizione, ma al contrario ha asserito che la chiesa attinge la propria certezza sulle cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura (DV 9) e ha sottolineato fortemente lunit e interdipendenza di tradizione, Scrittura e magistero eccl esiastico (DV 10). Ci spiega anche perch allinterno del lavoro ecumenico non si riesce ancora ad acquisire un consenso pieno riguardo la funzione critica che la Scrittura esercita nei confronti della chiesa, il suo insegnamento e la sua prassi. A rendere ancor pi ardua lintesa sta soprattutto la dottrina del carattere infallibile di certe decisioni ecclesiastiche. Al di l del consenso ormai conseguito o che si spera di conseguire, tra le chiese separate un dissenso di fondo rimane. Ridotto allosso, non si tratta del rapporto vangelo chiesa e nemmeno della validit delle ordinazioni per mano di ministri non-vescovi. La questione sostanziale sta nel sapere se e fino a che punto la chiesa concreta sia luogo, segno e strumento del vangelo di Ges Cristo. f) Il fine: diversit riconciliata nella concezione della successione apostolica Da quanto siamo venuti fin qui dicendo il reciproco riconoscimento nei ministeri che ci attendiamo per il futuro dovrebbe articolarsi nei tre seguenti passaggi. (1) Il punto di vista non devessere quello del o tutto o niente. Bisogner piuttosto ammettere che la via del riconoscimento passa attraverso tutta una serie di momenti. Il solo ammettere che il ministero non esercitato in tutta pienezza implica un certo grado di riconoscimento. E del resto questo riconoscimento parziale esprime lo stesso punto di vista dei primi Riformatori che consideravano le ordinazioni fatte al di fuori della successione apostolica una misura demergenza. (2) Quella del riconoscimento dei ministeri non una questione da risolvere come problema isolato, ma va inquadrata in un contesto in cui intervengono Spirito - chiesa - Parola - sacramenti - ministeri. (3) Dal primo e secondo momento dovremo allora concludere che il reciproco riconoscimento un processo che avanza nella misura in cui le chiese, che attualmente si trovano a vivere in una comunione imperfetta, progrediscono verso la comunione piena, quella che alla fine sar totale. Il riconoscimento dei ministeri si impone, dunque, nella misura in cui si raggiunge anche unintesa per quanto riguarda la concezione della chiesa ed il modo dintendere Parola e sacramento, che la fondano ed edificano. Naturalmente si tratta di un processo di ricezione che nelle chiese separate denuncia una certa asimmetria, dato che queste chiese e comunit presentano differenti carismi e diversi apporti ad una comunione piena. Lapostolicit, intesa come successione nel ministero episcopale, pu essere garantita soltanto da una chiesa come quella cattolica, che la possiede e che chiesa in cui la ecclesia 433

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apostolica sussiste. Il che non significa che la strada da percorrere sarebbe a senso unico e che ci sia spazio soltanto per un ecumenismo di ritorno. Dalle chiese della Riforma i cattolici non si arri cchiscono soltanto di tutta una serie di elementi apostolici: i protestanti che entrassero nella successione apostolica arricchirebbero la chiesa cattolica di una cattolicit pi piena e concreta (cfr. UR 4), anche se la cattolicit ed apostolicit saranno vissute in pienezza soltanto nei tempi escatologici. La successione apostolica nel ministero episcopale, quella che dovr portare la chiesa cattolica ad una vita in pienezza, sta a significare in primo luogo che la chiesa, anche perch apostolica, una realt non soltanto spirituale o ideale, ma anche storicamente percepibile. La questione che gli evangelici invece si pongono sul significato da attribuire a questa serie di mediazioni deve farci riflettere sul fatto che non serve a nulla una successione nel ministero se poi la chiesa non vive la sequela di Cristo nella fede e nello spirito degli apostoli. Se la tradizione cattolica ricorda il carattere normativo e concreto della chiesa e della sua dottrina, la tradizione della Riforma sottolinea invece la funzione critica e innovante propria del Vangelo. Finora non si stati capaci di comporre le due tendenze, sul piano teologico e su quello istituzionale, in modo soddisfacente. Ma questo tentativo di conciliazione non dovrebbe necessariamente mirare ad una comune struttura in cui articolare il ministero e la successione. In modo intelligente su questo punto il Vaticano II, ma ancor prima la Scrittura e la tradizione della chiesa antica, lascia alcuni problemi aperti. Ci che maggiormente interessa una comune valutazione teologica delle strutture istituzionali nel loro rapporto con la Parola e lo Spirito, la capacit di coniugare la libert del vangelo e dello Spirito, che soffia quando e dove vuole (cfr. Gv 3,8), con quel Dio, con quello Spirito che si voluto legare alla chiesa concreta. La visione entro cui si muovono le chiese ortodosse potrebbe forse aiutarci a risolvere questo problema. Esse infatti convengono, sostanzialmente, con la chiesa cattolica nel modo di intendere la successio apostolica nel ministero episcopale e nel considerare la chiesa concreta strutturata episcopalmente come il luogo, il segno e lo strumento dello Spirito di Dio. Ma per certi versi anticipano, seppure in termini diversi anche unistanza importante degli stessi Riformatori. Pi ancora della tradizione occidentale esse motivano la struttura episcopale in chiave pneumatologica e la inquadrano lucidamente nel complesso di una chiesa-comunione. Il ministero apostolico qui non viene pi concepito secondo uno schema lineare, storico, ma come rimesso continuamente in moto nello Spirito Santo, e continuamente accolto e riconosciuto dalla chiesa. Levento dello Spirito rifonda in modo sempre nuovo listituzione. Ma se si riconosce la libert dello Spirito che opera allinterno della struttura sacramentale della chiesa, in linea di principio si poi forse capaci di riconoscere come validi anche ministeri che, valutati in base a criteri meramente istituzionali non si possono accettare, ma che apprezzati in quadro spirituale risultano invece legittimi e spiritualmente fecondi. 434

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Se nel dialogo tra cattolici ed evangelici si fosse fatto leva sulla posizione ortodossa si sarebbe forse riusciti, in vista di una futura intesa, a riprendere coscienza di una tradizione pi comprensiva, quella che la chiesa antica fondava sulla Scrittura e cui fanno riferimento tutte le tradizioni ecclesiali. Ma a tanta ampiezza e libert originarie si arriva soltanto se si approfondisce la vera natura della continuit di cui la chiesa gode: quella che in prima istanza lo Spirito a garantire e soltanto secondariamente listituzione simbolico-sacramentale. In altre parole, listituzione va concepita come funzione dello Spirito, lecclesiologia come funzione della pneumatologia. Si gi visto che alcuni spunti in tale direzione sono presenti anche in testi del concilio Vaticano Il: si tratta di approfondirli. Una volta raggiunta lintesa su questo punto, perde poi dimportanza la questione del modo in cui cooptare nella successione piena, quella intesa come successione nei ministeri. Volendo riassumere brevemente il risultato di queste nostre riflessioni, diremo che per poter proseguire sulla via di una migliore consapevolezza e del reciproco riconoscimento dei ministeri, il presupposto pi importante che maturi un accordo sul modo dintendere la chiesa nella sua natura, struttura sacramentale e mediazione di salvezza. Come gi si visto, questo impegno non stato avvertito con sufficiente chiarezza: n nelle prese di posizione nel sec. XVI, ma nemmeno nei successivi documenti di convergenza. Ed proprio in questo pi ampio contesto che riusciremo a cogliere la reale portata dei consensi e delle convergenze finora raggiunti. Infatti potremo dire se e fino a che punto le differenze che ancora permangono od i consensi non ancora pieni rappresentino o meno dei fattori di divisione nelle chiese soltanto se concorderemo nel dire ci che la chiesa ed in che cosa consista la sua unit, ci che necessario e ci che indispensabile non . Il compito, di gran lunga il pi importante ed ancora inattuato, quello che il dialogo ecumenico del futuro cimpone, rimane dunque lapprofondimento della natura della chiesa. g) Le differenze fra apostolato ed episcopato (1) Gli apostoli hanno adempiuto due funzioni: (I) erano testimoni oculari di ci che il Signore Ges ha fatto per la nostra salvezza e soprattutto testimoni della sua risurrezione; in quanto tali avevano ricevuto il mandato di fondare le chiese mediante lannuncio del Vangelo. (II) Gli apostoli erano maestri e pastori nelle chiese da loro fondate. Secondo la prima funzione, i vescovi non sono successori degli apostoli. Questa infatti era legata alla persona degli apostoli. Esistono successori soltanto a livello della seconda funzione; ma anche qui non sul piano di assoluta parit. In senso stretto, pi che successori degli apostoli in quanto tali, i vescovi sono successori dei primi capi ministeriali, costituiti tali dagli apostoli (o da un apostolo), perch guidassero le chiese da loro fondate.

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(2) Anche nella successione del ministero, non vi affatto parit. Infatti i vescovi, anche considerati come collegio, non hanno il carisma di rivelazione che permette agli apostoli di costituire una Tradizione normativa. Essi sono sottoposti alla Tradizione. (3) Un vescovo singolo non succede a un apostolo singolo eccetto il vescovo di Roma a Pietro e, per un piccolo numero di casi, nel senso storico della parola: il vescovo di Gerusalemme a Giacomo, quello di Alessandria a Marco La successione (nellautorit del ministero) una successione da collegio a collegio, da gruppo stabile e strutturato a gruppo costituito (LG 22). (4) Lepiscopato e lapostolato hanno in comune di rispondere a una missione e si riferiscono a una condizione di assenza: devono luno e laltro rendere presente il Signore assente, allorch gi venuto in un certo modo, e in vista del suo ritorno.... anche se in condizioni diverse. h) Le componenti della successione apostolica (1) Ci che la successione apostolica non . Non la semplice ininterruzione nelloccupazione di una sede: questo sarebbe al massimo una successione materiale o storica, che si verificherebbe anche nel caso di una usurpazione o di un passaggio alleresia. La successione apostolica non un p uro fatto di validit sacramentale. La successione sarebbe concepita come fluido che passerebbe da consacratore validamente consacrato a consacrato. Colui al quale si succede scomparso e si consacrati da altri che rappresentano il collegio e la comunione universale. Il compito di costoro consiste nellabilitare il nuovo soggetto nellassumere la funzione, la carica e la missione, identicamente le stesse, che i suoi predecessori hanno assunto dopo il primo della serie. La successione apostolica successione nella carica; consiste formalmente nellidentit della funzione (cos si spiega anche linterdizione delle ordinazioni assolute); la sua prima condizione lidentit di fede. Ora, la carica di una comunit suppone o esige la comunione con tutta la chiesa, di cui ciascuna comunit particolare realizza localmente il mistero. (2) La successione apostolica si opera mediante la consacrazione e limposizione delle mani. La successione suppone la consacrazione. Essere stabilito nellepiscopato significa essere eletto e ordinato; dato che la successione non ha per scopo soltanto di assicurare la purezza e lidentit della dottrina, ma anche il vero culto sacramentale. (3) Tuttavia la successione apostolica costituita, come apostolicit formale, dalla conservazione della dottrina trasmessa dal tempo degli apostoli (2Tim 2,2). La successione essenzialmente successione in una carica: dal secolo II il termine cathedra stesso designa lepiscopato, la funzione e il potere che il vescovo detiene nella chiesa in virt della successione apostolica. La caratteristica formale della successione apostolica lunit di missione; il suo cuore lidentit di dottrina, per436

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ch la chiesa essenzialmente lassemblea dei fedeli e la sua identit sussiste nellidentit di fede. Per questo ogni funzione dautorit nella chiesa esige che sia fatta anzitutto una professione di fede... in fedelt alla Tradizione degli apostoli, viva e attualizzata nella storia mediante lo Spirito santo. In tal senso la successione apostolica inseparabile dallapostolicit della chiesa: esse si cond izionano e si garantiscono a vicenda. (4) Cos apostolicit di dottrina e apostolicit di ministero devono essere tenute congiunte nella teologia dellapostolicit. Gli apostoli sono stati fonte; i loro successori non lo sono. Rientrano in una corrente di cui non sono gli iniziatori. Non trasmettono se non in quanto ricevono. Per questo la consacrazione per la quale si entra nella catena della successione suppone la professione di fede degli apostoli. Se la successione legata allordinazione, lo allordinazione legittima nella comunione cattolica. A sua volta lordinazione fa s che non vi sia semplicemente un maestro con dei discepoli, ma una chiesa. Essa stabilisce nella carica e nellautorit di capo entro il popolo di Dio, con la grazia corrispondente. Quindi linsegnamento del vescovo non semplicemente quello che propone un dottore: certo, resta legato alle Scritture canoniche, al Simbolo, alla Tradizione degli apostoli; ma non si pu mettere la Regola di fede fuori della chiesa, che la giudicherebbe dallesterno. Vi una congiunzione del criterio oggettivo e dellistituzione o della funzione. Questa congiunzione non assicurata in tutti i casi particolari, ma lo alla chiesa come tale e agli atti che la impegnano in modo decisivo. Perci la conservazione della Tradizione e della professione della vera fede poggiano sul ministero istituito: cfr. 1Gv 4,3.6; per Ireneo la trasmissione senza alterazione della Tradizione assicurata dalla successione (pardosis kat diadochn).

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CONCLUSIONE Per concludere questo nostro percorso, sembra appropriata una pagina di unopera giovanile di Dietrich Bonhoeffer. Nel clima particolare del protestantesimo tedesco della fine degli anni 20, egli scriveva: Il vero amore genuino per la Chiesa condivider e amer la sua impurit e imperfezione; poich in seno a questa chiesa empirica che cresce il tempio di Dio, la sua comunit. Sono stati intrapresi diversi presuntuosi tentativi di purificazione della Chiesa nel corso della storia; a partire dalle sette perfezionistiche della Chiesa antica, fino allanabattismo, al pietismo, allilluminismo e a Kant con il suo concetto secolarizzato del Regno di Dio, e poi alle prime forme di attesa socialista del Regno di Dio, dal conte Saint-Simon passando attraverso Tolstoj, per arrivare al movimento giovanile religioso-sociale dei nostri giorni. In tutti questi movimenti si riscontra il tentativo di avere finalmente il Regno di Dio, non pi solo nella fede, ma presente e visibile, non velato nella s egregatezza di una Chiesa cristiana, ma che si manifesti chiaramente nella moralit e santit delle persone, oltre che in una soluzione ideale di tutti i problemi storici e sociali. Manca in tali dottrine quella sensibilit e quellamore che sono le condizioni necessarie per comprendere e vedere che la rivelazione di Dio si compie realmente nella storia, cio in maniera ancora velata, che questo mondo rimane un mondo di peccato e di morte, cio anche di storia, e che tale storia diventa santa dal momento che Dio lha fatta ed entrato in essa45.

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D. BONHOEFFER, Sanctorum Communio. Una ricerca dogmatica sulla sociologia della chiesa (Brescia: Queriniana, 1994) 141.

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