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LE

ANTICHIT
DI

ROMANE

DIONIGI
D A L I C A R N A S S O
VOLGARIZZATE

DALL' AB. MARCO MASTROFINI


g i ' PROFESSORE DI MATEMATICA E DI F I L OSO F IA N E L SEMINARIO DI FRASCATI
E D IZ IO N E 7E5TO

T 0.A10

M I I .A N O
DAL LA T I POG R AF I A D e FRATELLI SONZ O GNO

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D E L LE

A N TIC H IT ROMANE
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DIONIGI A L I C ARNASSEO

L IBRO OTTAVO.

I. U opo questi, furono creati 'consoli C ajo Giulio Juk, e Publio Pinario Rufo, correndo la olimpiade sessantesima tersa nella quale Astilo Crotoniate vinse allo stadio, mentre Ancfaise era l arconte di Atene (i).
( i ) Lapo Bella ma versione latina premette a questo libro un ta l argomento dal quale s'intende che t si tratta principalmente la guerra di Coriolano, e la morte, come la guerra cogli Ernici , cogli E qui, e coi V olaci ; la proposltione della legge Agraria fatta da Spurio Cassio ; l ' accusa e la condanna di esso ; e finalmente la nuova guerra co' Volsci e coVejenti ; e che tali cose non comprendono se non lo spaiio di due olimpiadi, cio di otto anni.

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Eletti questi dal popolo (i) appunto perch dindole non bellicosa, ne incorsero in molti e grandi pericoli, scoppiando nel lor consolato una guerra dalla quale per poco non fu Roma distrutta. Imperocch quel Mar cio Coriolano accusato gi di brigar la tirannide , ed espulso con fuga perpetua, indispettito della ingiuria, voglioso di vendicarsene , considerando come, e con quali forze ci conseguisse , vide i competitori de Ro mbai nei V olsci , se concordandosi ' scegliendosi un buon capitano, movessero ad essi la guerra. Ne argo mentava dunque , che se persuadeva li Volsci a rice verlo , e confidargli la cura delle armate ; di leggeri farebbe il suo intento: ma non poco turbavaio il ri flettere che egli avea dato colpi terribili, e tolto loro citt f compagne guerra. Ncfa desist per dal ten tarlo , per la gravezza del pericolo, anzi deliber di fervisi incontro, e prenderne ciocch mai ne seguisse. Aspettata una notte ben tenebrosa venne su 1 * ora ap* punto' della cena , ad Anzio, citt nobilissima fra quelle deVolsci: e recato! in casa di Azio Tulio r uno dea principali pef lignaggio e ricchezza , (tomo altronde che sentiva magnificamente di s stesso per le asioni: mili tari , e per lo pi capo della su gente , sedette sup plichevole suo presso del focolare (a). E qui narrando
(i) Anni di Roma a65 secondo Catane , a0 7 - accollilo Vintone , e avanti Cristo. (?) Andare in casa, e sedere presso -del focolare in sileniio era un antichissima maniera'di supplicare. Addila anche ci Tucidide nel 1 libro, discorrendo di Temistocle: e si vede un tal rito pi& ehiacasuale in Plutarco nella vita di Coriolano, appunto in questo luogo.
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LIBRO V ili.

le calamit che lo flagellavano, e lo inchinavano a ri correre perfino ai nemici , pregavalo ad avere idee miti e benevole verso chi rivolgevasi a lu i, non a tenerlo, mntre davaglisi nelle mani, come avversario, n a mostrar la sua forza contro gl-infelici e depressi, e ri flettere piuttosto quanto istabili fossero le sorti degli uomini. E ci p u o i, disse , apprendere principalmente da m e, che gi potentissimo fr a tutti in citt grandis sim a, ora derelitto, infelice , bandito, senza patria, debbo correr la sorte che vuoi tu destinarmi. I o , se tu amico me ne rendi , io ti premetto fa r tanto bene ai V olsci, quanto male ad essi cagionai, m entre ne era nemico. M a se prevedi lutt altro di m e , siegui F ira tua, dammi in sull tto la morte , immolando colle stesse tue mani il supplichevole tu o , presso d tuoi focolari. II. O r lui cosi dicendo , Tulio gli stese la destra, e sollevandolo, animavaio a confidare ; perocch non sof frirebbe cose indegne della sua virt : professavasi in sieme obbligatissimo che avesse ricorso a lui, per essere questa non picciola significazione di onore : promise che renderebbegli amici tutti i Volsci , cominciando dalla patria sua, n mentite ne furono le parole. Dopo non molto tempo deliberandone da solo a solo, Marcio e T ulio, conchiusero di movere la guerra, Tulio, con centrando tutte le forze de'Volsci, voleva marciare im mantinente su Roma, mentre era agitata ancora dalla sedizione, e sotto consoli imbelli. Marcio in opposito pensava che' vi abbisognasse prima un titolo onesto e giusto di guerra ; dicendo che gl Iddj meschiavansi a

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tutte le cose, e particolarmente a quelle della guerra; quanto sono p ii rilevanti, ed oscure nell esito. Aveaci allora tra Volsci e tra'Romani sospension d arme, e tregua ed amiciiia, conchiusa poco innanzi per due anni. S e m ovi , disse, inconsideratamente e precipito tornente la guerra , tu sarai colpevole di aver rotti gli accordi, n re ne avrai propiej gFIddj; ma se aspetti che i Romani ci facciano ; si giudicher che tu ri> jotpingaU , e protegga la confederazione che violano. Ben ho io con assai provvidenza trovato come ci fa c ciasi , e come essi i primi valgansi alle arm e , e noi siam giudicati t f imprendere una guerra giusta e san ta. Bisogna che per maneggio nostro essi i primi o f fendano il giusto: e tale questo maneggio che io finora ho celato profondamente , aspettandone U tem po , e che ora di necessit, sollecitissimo, ti svelo , procurandone tu a esecuzione. Debbono i Romani fa r sagrifizj e giuochi assai sontuosi e m agnifici, e molti accorreranno di fu o ri agU spettacoli. A ttendi la occasione, ed accorri tu pure a tanto apparato, dando opera insieme, che vi accorra, il pi che per te si possa de Volsci. Come tu sia in citt , fa che alcuno degli intimi tuoi vadane ai consoli, e dica loro secretissim am ente, che i Volsci tra la notte assaliranno Ro m a , e che perci vengono in tanta moltitudine. Tu ben sai quanto apprezzeranno la nuova: vi cacceran senza indugio da R om a, e vi porgeranno un titolo giusto di risentimento. I II. Esult Tulio meravigliosamente, ci udendo : e differito il tempo d imprendere ; diedesi ad apparec-

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chiare la guerra. Approssimatisi poi gli spettacoli, ed essendo gi consoli Giulio e Pinario ; accorsevi da tutte le citt la giovent pi florida, dei Volsci , come Tulio bramava. La maggior parte non avendo ricetto nelle case e presso degli ospiti, presero alloggio in sacri e pubblici luoghi ; e quando giravansi per le strade, ne andavano a crocchi e moltitudini : tantoch gi su loro m citt si faceano discorsi e sospetti non buoni. In que sto mezzo venne ai consoli un delatore apparecchia t da T u lio , c ome avea Marcio suggerito : e quasi avesse a svelare a'nemici una pratica arcana in danno degli amici suoi, strinse i consoli a giurare di salvar lu i, o mai dire ad alcuno de Volaci chi avesse ci pale sato , e poi dinunzi gli assalti mentiti. Parve ai con soli vero il racconto, e ben tosto invitati i senatori ad uno ad uno, si congregarono. Presentatovi il delatore, ed avutene le eguali promesse, replic la dinunzia me desima. Coloro a quali parea gi cosa piena di sospetto che vennta fosse agli spettacoli tanta giovent di una sola nazione nemica, assai pi ne temerono, aggiungendovisi ora una dinonzia della quale ignoravano la frodolenza. Parve a tutti che si cacciasser di citt quei forestieri prima che il di tramontasse con bando di morte a chi non ubbidisse; e che li consoli invigilas sero sicch tranquilla ne fosse la uscita, e senza offese. IV. Decretalo ci dal Senato, altri scorrendo le strade intimavano ai Volsci di partire immantinente tutti per la porta detta Coperta, ed altri con i consoli li scor tavano, mentre partivano. Or qui pi che altrove si conobbe quanta mai fosse, e quanta vigorosa quella

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moltituchne ; uscendo in un tempo tutta per una porta. Usci sllecitisaimo Tulio prima che tutti, e prese non liingi da Roma un tal posto, dove raccogliere gli altri che seguitavano. E quando tutti furono giunti, convo catane ladunanza, assai v incolp li Romani, dichia rando grave ed indicibile 1 affronto de Volsci, unici ad essere espulsi fra tanti forestieri : ed eccitandoli tutti perch ciascuno lo raccontasse in sua patria, e vi trat tassero le mapiere di vendicarsene e reprimere per lav venire tanta insolenza ne Romani. Cosi dicendo ed' in fiammandoli , dolenti gi per 1 oltraggio, sciolse 1 udienza. Ricondottisi in patria, ridissero ciascuno ai -compagni la ingiuria , esagerandola, tanto che tre fu rono tutti esacerbati, n potean rattemperarne lo sde gno. E spedendo una citt all altra degli ambasciadori, chiesero un congresso generale, per cncordarvisi in torno la guerra. Succedeva tutto ci per briga di Tulio principalmente. Cosi li magistrati di tutte le citt , e moltitudine grande ancora di altri adunaronsi nella citt di Eccetra , riputata la pi acconcia per congregarvisi. Dettevi assai cose dai capi di ogni citt, si dispensa rono i voti finalmente, e prevalse il partito di mover la guerra , avendo primi i Romani conculcato gli ac cordi. V. E qui proponendo i magistrati varj che si discu tesse la maniera di fare la guerra, presentatosi Tulio consigli che si chiamasse. M arciose da lui si udissero i melodi di abbattere la potenza Romana : giacch niun pi di lui conoscea da qual lato questa fosse inferma, e da quale vigorosa. Il consiglio piacque e tutti escla-

LIBRO V II I .

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marono che si chiamasse immantinente il valentuomo. Marcio ottenuta loccasion che volea, presentatosi mesto e piangente (i) soprastette alcun tempo e poi disse: Se 10 vedessi che tutti pensaste ad un modo su la mia disgrazia, giudicherei non essere necessario difender mene. M a considerando che tra indoli tante e varie evven forse alcuna che forma concetti n veri n degni sopra d im e , quasi il popolo to abbia per cagioni solide e giuste espulso di patria ; debbo innanzi tutto dir qui tra voi circa il mio esiglio. E voi che ben sapete l infortunio che io m ho da nem ici, e come indegnamente io sia perseguitato dalla sorte, v o i, mentre qui lo espongo, contenetevi, prego, n vogliate desiderare d intendere ciocch dee fa r s i , prima che ne abbiate compreso chi sia che vi consiglia. Breve ne sar il discorso quantunque pigliato dalle origini. Era 1 1 governo Romano da principio un tal misto del comando di un solo e dei pochi ; finch Tarquinio , V ultimo de monarchi, tent volgerlo tutto in tiran nide. Adunque i capi nel comando de pochi insorgen done , lo espulsero : e subentrando essi al maneggio del pubblico , basarono una reggenza pi savia, per confessione di tu tti, e pi buona. Ma da ora in die tro non pi che tre o quatti a n n i, i pi m iseri, e li pi oziosi de cittadini, dandosi capi scelerati, ne coperser d' ingiurie ; tentando infine di abbattere l au(i) Queste lagrime {orse le vide pi lo storico che M arcio. Il contegno di questo valoroso era stato ben altro coi tribuni e col popolo di R oma come apparisce dal libro antecedente ; e come pu concludersi dal $ 4* del presente.

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toril de pochi. / capi del Senato ne incoUerir'no tu tti , e cercarono come reprimere la insolenza de*ri voltosi. D i mezzo a quegli ottimati Appio t uno dei seniori, degnissimo di lode per tanti tito li, ed io V uno de) giovani, parlammo sempre Uberissimamente non per combattere il popolo , ma perch sospetta ci era la prepotenza de' ribaldi; non per rendere schiavo niuno, ma per garantire a tutti la libert , come ai migliori il comando sul pubblico. VI. Or ci vedendo que tristissimi capipopolo vol lero in principio tor di mezzo noi franchissim i oppo sitori : e gittarono le m ani, non gi su tutti due in un tempo perch il fa tto non fosse grave troppo ed esoso,, ma su me primieramente che era il pi gio vane , e men difficile da opprimere. Cos tentarono di perdere me prima senz autorit di giudizio , e poi m i chiesero dal Senato per la morte. M a venuti lor meno ambedue que tentativi ; mi citarono ad un giu dizio (e d essi aveano ad esserne i giudici) per in colpazioni di bramata tirannide ; n videro che mun tiranno tenendosela co*pochi combatte il popolo, e che piuttosto egli col popolo conquide il partito pi valido nella citt. Un giudizio m i destinarono non per centurie, com era t uso della patria, ma un giu dizio come tutti consentono, iniquissimo, e, la prima e r unica volta, su me praticato , un giudizio dove i mercenarj , li vagabondi, e quanti insidiano gli averi altrui, preponderavano su boni che voleano salvi i diritti ed il pubblico. E tante erano in me le ragioni per non esserne condannato , che sottomesso ai gi-

LIBRO VIII.

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d itj di una turba , odiatrice in gran parte d buoni, e per mia nem ica, non fui sopraffatto che per due voti : sebbene i tribuni divulgassero che assai sareb bero disonorali nel loro comando, e patirbbono da m e t estremo de mali se io fssi assoluto , ed insi stessero intanto contro me con tutto t ardore e la sollecitudine nella causa. Cos malmenato da miei cit tadini , reputai che pi' non sarebbe vita la m ia , se non prendessi di loro vendetta. Quindi sebbene il potessi , ricusai vivere senza cure, o tra*parenti nelle citt de L a tin i, o nelle colonie fondate di recente da miei maggiori : e tra voi mi ricorsi, che io ben papeva essere tanto offesi da Rom ani e nemicissimi loro , per farne con voi quanto potessi le vendette colie- parole, se le parole vi bisognavano ; o colle o p er , se le opere. Intanto io vi rendo amplissime grazie ; perch m i avete voi ricevuto , e perch m i date tedi significazioni di onore, niente ricordando, n contando i mali che un tempo voi nemici miei, avete da m e sostenuto fr a le arme. VII. Or dite j e qual genio sarei io mai se spo gliato da uomini per me beneficali, della riputazione e degli onori quali tra miei mi si competevano, 6 privato della patria y della fam iglia, degli am ici, dei n u m i p a tem i, delle tombe avite e di ogni altro bene; se ritrovate tra voi tutte queste cose per le quali gi in grazia d i essi v infestai colla guerra ; ora terribile n o n mi dimoitrassi con quelli che nemici m i furono in lugo di cittadini, e propizio agli altri che amici Itti si rendono di nem ici? Io sicuramente non terrei

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nemmeno per uomo. chiunque n avesse nim ciziaper chi gli fa guerra, n benevolenza per chi lo ha salvato : non islimo mia patria una citt che mi ha ripudiato, ma quella, dove sebben forestiero divengovi cittadino : n gi reputo amica la terra ove sono oltraggiato , ma quella ove trovo la sicurezza. E se Dio ne porga il favor suo , e voi pronta , com giusto , V opera vo stra ; seguiranno , spero , grandi e subiti cambiamenti. Voi ben sapete che i Romani cimentatisi con tanti nemici non han temuto niun pi che voi ; e che niente cercan pi attenti quanto indebolire la vostra nazione. E pigliandole colle arm e, e deviandovele colle spe ranze di am icizia, ritengonsi le vostre citt per que-, sto appunto , perch unendovi tulli in un corpo non, portiate su loro la guerra. S e voi dunque a vicenda persevererete procurando il contrario ; e se avrete co me ora, tulli un animo per la guerra ; Jacilmente abbatterete la loro potenza. V il i. E poich ricercate il parer mio sul modo di enti'are in campo e dirigervi, sia per attestato della esperienza m ia, sia della vostra benevolenza, sia per l uno e t altro ; io dir tu lio , e senza velo. Primie ramente vi esorto a vedere che vi abbiate una causa religiosa e giusta di guerra. E come religiosa, coma giusta , come utile insieme ve labbiate ; m udite. Pic ciolo , sterile, aveano da principio i Romani il lor territorio , ma vasto , e buono quel che vi aggiun sero , togliendolo a vicini ; e se ciascuno dei derubati, ripeta il suo, niuna citt diverr quanto Roma picciola, debole, bisognosa. Or io penso che voi dob

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biate i primi cominciare. Spedite ambasciadori che richiedano le vostre citt, quotile ne tengono, e che intimino loro di abbandonare, quanto han-fabbricalo per le vostre campagne , e li premano a rendervi , quanto si hanno di vostro appropriato colle armi : n vogliate prima che vi rispondano , romper la guerra. Cosi facendo otterrete l una o altra delle cose che pi >bramate. Vuol dire , o ricupererete le cose vostre, senza pericoli e spese ; o rinvenuto avrete il titolo onesto e giusto di prender le arme : giacch. tutti confesqeran per bellissima la condotta di non chieder t altrui, ma il proprio; e di combattere in fine se non ottengasi. Or su , qual cosa pensate, faranno i Rom ani a tali vostre proposte ? che renderanno forse le vostre' regioni ? ma qual cosa impedirebbe pi mai che lasciasser tutto la ltru i? se verrebbero poi gli E q u i . e gli A lb a n i, se i Tirreni e tanti altri a ripe tere ognun le sue terre. O pensate che riterranno le vostre cose, n vorranno affatto la giustizia? Cos appunto io ne penso. Voi dunque protestandovi, i p r im i, offesi da loro; e volgervi per sola necessit alla guerra ; avrete compagni, quanti spogliati debeni hanno fi n qui disperato ricuperarli altrim enti, che p e r le arme. Bellissima poi la occasione, e di cui non avrete mai pi la simile per andar su Rom ani, preparata fu o ri di ogni. speranza dalla sorte. propizia a g li o ffesi; perciocch li Rom ani, discordi e sospetti Jra loro a vicenda, nemmeno han capi idonei per la guerra. E questo quanto io poteva suggerire e rac comandar con parole agli amici t detto tutto con cuor

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sincero e benevolo : quanto poi si dovr provvedre compier colle opero , lasciate che i duci delE Ormata lo curino. Rispettai a me son pei1 vo i , comunque di me disponiate ; e mi sformer di non riuscirvi il pi ignobile sia de' soldati sia de centurioni, sia de ca pitani. Spendetemi dape pi vi san u tile , e tenetevi certo, che io > .che gi contro voi guerreggiando, tanto vi ho danneggiata ; ora > per voi combattendo , altrei tanto vi giover. IX. Marcio cori d in e , e li Volsci, mentre portava ancora, davan segno di gradirne i diaconi : ma poi che laeque, tutti a gran voce attestarono che benissimo consigliava ; e senza concedere che altri pi disputasse, ratificarono il parer suo. Quindi stesone il decreto, e celti immantinente i personaggi p ii riguardevoli di agni citt , gl inviarono ambasciadori a Roma : dichiararono Marcio metnbro de* consigli in ogni ciu, e lo autoriz zarono a conseguire in ciascuna le magistrature e gli onori , pi grandi che vi erano. Per altro anche innanzi le risposte de Romani, si diedero agli appavecchj di guerra* E quanti erano ancra disanimati per le perdile nelle battaglie antecedenti, tutti si rincorarono quasi fossero per abbattere la potenza Romana. Gli oratori spediti a Roma, presentati al Senato, dissero, che sa rebbe d Volsci carissimo cessare le controversie coi R om ani, e viverne da ora innanzi alleati ed amici senz ai lifioj ed inganni : e dichiarano che stabile sar questa fe d e e quest amicizia , se riabbiano le terre e le citt che furono tolte loro da Romani : laddove in altro modo n pace mai vi sar , n amicizia costane

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te ; giacch V offeso naturalmente in guerra perpe tua coll offensore. Chiecleaao pertanto di non essere> colla esclusione delle giuste dimande necessitati alla guerra. X. Detto ci, fecero i padri ritirar gli oratoci, e consultaron fra loro. E conchiusa la risposta IL richia marono in Senato, e dissero : Conosciamo o Volsci che voi non l amicizia cercate ; ma pretesti splendidi d i guerra: perocch ben vedete che mai vi sorari. concedute le dimande, per le quali venite , indegne, inammissibili. Se voi date ci aveste da voi stessi e pentitine poi ci raddomandaste le vstre terre ; non sareste affatto oltraggiati, non riavendole. Ora per voi oltraggiate n o i, pretendendo ciocch degli altri: giacch non eravate voi gli arbitri delle terre , se la legge delle armi ve le toglieva. E noi teniam per giustissimo quanto possediamo per le vittorie : , n prim i noi abbiamo fondata questa legge, n. la ere* diamo degli uomini , anzich degli Dei. E se i Grecia se i barbari tutti se ne valgono ; noi non daremo gi in ci segni di debolezza, n renderemo punto delle nostre conquiste. Imperocch ben sarebbe vituperosisi sima cosa lasciarsi per timore e per stoltezza rito gliere ci che per senno e per magnanimit si pos siede. N oi n a combattere vi neeessitiamo, se non volete ; n se volete, ve ne ritiriamo. La rispingeremo , se ce la incominciate, la guerra. Riportate ai Volsci queste risposte, e d ite, che se pigliano essi i prim i le arme , noi gli ultimi le deporremo.
D I O N I G I , Urna I I I .
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XI. Prese queste risposte le riferirono gli ambascia dori al Comune de Volici. E convocalo di bel nuovo il Consiglio, si concbiuse in fine d intimare a nome di tutta la nazione la guerra ai Romani. Quindi scelsero Tulio e Marcio con assoluto potere capitani di tutta 1 ar mata , e decretarono che si ascrivesser milizie , si contribuisser danari, e si facessero altri apparecchi, quanti ne vedean necessari per la impresa. E gi essendo per isciogliers l adunanza; Marcio levatosi in pi disse: Bonissimo -quanto si qui decretato dal vostro Co mune ; e facciasi pur tutto a suo tempo. Intanto per che qui scrivonsi le milizie, e preparansi le altre cose che dimandano cura e tempo ; io e Tulio ci porremo in su V opera. Seguite noi, quanti volete , saccheg giando le campagne nemiche , partecipare a gran prede. Io vi prometto , se il d el ne ajuta, molti e grandi vantaggi. L i Romani non sonasi ancora apparecchiati, vedendo che noi non abbiamo riunito le fo rze; sicch potremo senza paura scorrere a nostro beltagio tutte le loro campagne. XIL Accettalo da Volsci anche questo partito, i duci uscirono immantinente, e prima che in Roma se ne sapesse, con molta soldatesca volontaria. Tulio si gett con parte di essa nel territorio latino per impedire i soccorsi che di l ne andrebbero ai nemici, e Marcio guid le altre alle campagne di Roma. Il male giunse improvviso a quelli che vi erano; e caddero in poter de' nemici molti ingenui Romani e molti schiavi ; e bovi e giumenti, ed altro bestiame non poco. Quanto era derelitto di grano , di ferramenti, o di altro onde

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la terra coltivasi, tutto fu predato , 0 disfatto. Da ul timo recando fino il uoco , lo gettarono i Volsci pecasali ; tanto che quelli che ne furono spogliati, non po terono ripararli se non dopo gran tempo. Soggiacquero a tanto infortunio i poderi de plebei principalmente, lasciandosi inviolati quelli de patrizj. E se taluni di questi ebber danno, parve che lo avessero ne' bestiami e nei schiavi soltanto. Avea cosi Marcio ordinato aVoU sci t perch i patrizj divenissero pi sospetti a plebei n cessasse in Roma la sedizione ; come appunto suc cesse. Imperocch nunziatasi in Roma la incursione, saputosi che il danno non era eguale per tutti; i po veri vociferarono conu'o de ricchi, quasi tirassero Mar cio su loro. Se n scusarono i patrizj, scoprendo 1 arte del capitano : ma pe sospetti e pe timori vicendevoli di tradimento, niuno voleva accorrere a riparare le cos che perivano ; o preservare le altre, intatte ancora. Cosi che Marcio ritir tranquillissimamente 1 esercito, e ri dusse tutti alle proprie magioni, senza che avessero patito nulla di grave, sebbene avvessero fatto quanto volevano* e tornassero pieni di preda. Torn poco appresso anche T ulio con grande utilit dalle campagne de Latini : pe rocch non ci aveano nemmen ivi soldatesche da ribat tere inimico ; essendo'improvvednti ancor essi contea i colpi del nembo impensato. Animaronsi i Volsci a tanto per belle speranze : e pi presto che altri non crede, e,' iscrisse la milizia, e si forni quanto vollero i duci. XIII. Riunite tutte le forze , Marcio si concert col suo collega sul resto delle operazioni. A ine sembra, disse, o Tallo il migliore che dividiamo in due f a t-

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mata ; e che poi F uno di n o i col fio re de' pi ar denti e pi bravi marci a nem ici per combatterli ; e decidere con una battaglia la sorte , se han cuore di venire alle mani ; e se , come io penso paventano rischiare il tutto con reclute nuove e duci inesperti di guerra, scorra allora e devasti tutta la campagna , separi i loro alleati, strugga le colonie , e faccia infine , quanto p u, loro di male. L altro duce- poi qui resti, e curi il territorio e le citt , perch stan-,dovisi improvveduti, non giungano inosservati i ne m ici, e ne abbiamo danno bruttissimo , spogliati delle cose presenti, mentre aspiriam le lontane. Dee simil mente chi resta rialzare le mura in quanto sono cadute ; purgar le fosse , munire i castelli perch < i cultori delle terre possano ripar arvisi ; descrivere una nuova armata, supplire i viveri a quei che son fu o r i , fabbricare le a rm i, e fornire speditamente quant altro bisogna. Io te ne lascio V arbitrio : eleg gi ; sia che tu vogli condurre un esercito d i l dai confini, sia che qui comandarlo. Assai compiacquesi Tulio del suggerimento , e conoscendo la efficacia e la buona sorte del valentuomo , lasci che regolasse la spedizione di fuori. XIV. Marcio senza pi indugio mosse coll Armata verso la citt Circea tenuta dacoloni Romani (i) e dai paesani, e , cammin facendo, la prese. Imperocch quando i Circei seppero che il proprio territorio era in poter de nemici, e che ornai l esercito si approssi ( i) Fo Tarqoinio Superbo che se ne impradroni, e vi mand una colonia di Romani; come si legge nel lib. 4 di questa istoria $ 63.

LIBRO Vili. aI maya alle m ura, spalancarono le porte : ed ascendo inermi incontro agli armati, pregarono che accettassero la loro dedizione. G ci fu cagione che non subissero Sciagure gravissime ; tantoch il duce n bandi, n uc cise niuno di loro : ma tassandoli de viveri di un mese pe soldati come pure di vesti e di somme discrete di argento, ritir l esercito, lasciatane picciola parte in citt per difesa degli abitanti, affinch non fossero of fesi dai Romani n vi si facessero poscia demutamenti. Nunziatisi in Roma gli eventi ; destovvisi turbazione , e tumulto molto pi grande. I patrizj incolpavano il popolo di avere espulso per mentite cagioni da Roma un uomo bellicoso , intraprendente, pieno di sublimi pensieri, e di averne preparato il comandante pe Volsci. Per Top*, posilo i tribuni ne faceano 1 * accusa del Senato, di cendo , esser tutto un maneggio insidioso di questo, e dando a credere che la guerra non era contro di tutti, ma de' plebei solamente: e co tribuni univansi di sen timento i pi ribaldi del popolo. Adunque per gli odj e le incolpazioni vicendevoli nelle adunanze neminen pensavano ad ascriver milizie, intimar gli alleati, e prer parare quanto facea pi di bisogno. XV. In vista di ci concertatisi fra loro i pi pro vetti tra Romani persuasero in privato ed in pubblico i plebei pi sediziosi a finire una volta i sospetti, e le accuse contro de patrizj ; facendo riflettere che se per 1 esilio di un spi uomo cospicuo erano incorsi in tanto pericolo, assai pi dovrebbero paventare se molti di questi fossero astretti a pensar come lu i, sazj degli ob-. brobrj del popolo. Chetarono per tal modo il disordine

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della moltitudine, e chetatolo, si tenne il Senato, e rispose a legati Latini venati per chieder soccorso, che non poteasi questo allora concedere : che permetteasi per che i Latini formassero milizie proprie con proprj capitani, e mttessero in camp un esercito , grande quanto i Romani per essi ve Io metterebbero: cose proibite ambedue ne trattati di alleanza tra i due po poli. Commise a consoli di reclutare secondo i cataloghi un armata , di presidiar la citt, e di convocar gli al leati ; ma di non uscire in campo finch non fosse tutto ben ordinato. Il popolo ratific tutte queste cose, ma picciolo era il tempo che rimaneva ai consoli per co mandare. Tantoch non poterono ultimare ninna delle cose decretate, ma lasciaronle tutte imperfette pe suc cessori. XVI. Venuti dopo loro al comando Spurio Nauzio Sesto Furio (i) ricavarono dai registri civili un armata, grande quanto poterono: Stabilirono osservatori e segnali di fuoco in luoghi munitissimi, perch niente s igno rasse di quanto faceasi per la campagna : ed in piccolo tempo apparecchiarono in copia danari, frumento, ed armi. Pertanto ordinarono questi le cose proprie, sic ch pareva che nulla pi Vi mancasse. Non obbidirono per gli alleati con prontezza ; essendovene alcuni alieni di concorrere alla guerra. Nondimeno non vollero astrin gerli , temendo di esserne in fine traditi. E gi taluni ribellavansi manifestamente da essi, e secondavano i Volsci. Gli Equi cominciarono i primi la rivolta , im(i) Anni di Roma a 6 6 secondo Catone, a63 secondo Vairone e 486 avanti Cristo.

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perocch ne andarono ai Volsci appena si ebbe la guer ra , e concordarono, e giurarono 1 alleanza. Or questi spedirono a Marcio la milizia pi numerosa pi riso luta. Dato da questi un principio , molti altri aucora favorivano occultamente i Volsci ; mandando loro dei sussidj non per per decreto o pubblica approvazione. se taluno' de loro voleva d quelli congiungersi, ve gl incitavano , non che gl impedissero. Dond che i Volsci accozzarono in breve tempo tanta milizia, quanta mai pi per addietro, nemmen quando le loro citt pi fiorivano. Marcio che ne era il duce la gitt di bel nuovo su le campagne di Roma ; e tenendovisi molti giorni, devast quanto erasi lasciato nella prima incursione. Non prese per questa volta prigionieri molti ingenui uo mini , giacch, raccolte le cose pi pregevoli, trans! questi ritirati in Roma, o ne castelli pi vicini , e me glio fortificati. Ma depred il bestiame che non aveano potuto ridurre altrove, e gli uomini che lo pasturavano, c ome il grano tenuto ancora nelle aje ed altri prodotti che raccoglievansi, o che erano gi ne grataj. Cos de rubata e guastata ogni cosa, non osando1 alcuno di c ontrapporglisi, riport nuovamente in patria 1 esercito , carico di grandi acquisti, e quindi lento in sua marcia. XVII. I Volsci veduto lampio guadagno, e convin tisi dell abbattimento de Romani, che predatori gi delle robbe altrui , miravano ora devastarsi impunemente le proprie; ne imbaldanzirono soprammodo, e conce pirono pur la speranza di dominare, quasi fosse per loro facilissima e vicinissima cosa annientare il potere degli avversarj. Adunque faceano agl Iudj sacrifizj di

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ringraziamento, ed ornavano i templi ed i pubblici fori di spoglie che dedicavano. G lutti iu feste, in sollazzi, ammiravano e celebravano Marcio, qual nomo insignis simo fra gli altri nella guerra, e qual duce cui niun pareggiava non Romano, non Greco, non barbaro capi tano. Soprattutto lo felicitavano della sua prosperit ; vedendo che quanto intraprendeva, rmscivagli tutto speditissimamente, secondo i disegni. Tanto che niun v era di et militare il qual volesse nou esSer con lui ; ma spiccavansi, e venivano da tutte le citt per aver parte nelle sue gesta. Il duce, corroborato l ardore dei Volsci, e depresso il cuor de nemici, e ridottolo ad irrisolutezza indegna de valentuomini, marci coll' esercito contro le citt che alleate di essi leneansi ancora fedeli : ed avendo ben tosto apparecchiato quanta ricercavasi per gli assedj , piomb su Toleriui , gente del Lazio. I Toleriai, preparatisi molto prima per la gueiv r a , e portato in citt , quanto bisognava della cam pagna, ne scoatraron lassalto. Ben resisterono alcun -tmpo , combattendo e ferendo in copia i nemici, dalle m ura, ma risospinti e travagliati poi fino a sera dai frombolieri, le abbandonarono in gran parte. Marcio, compreso ci, diede ordine ad altri che applicasser le scale alla parte derelitta del ricinio : ed egli ne and col fior de bravi alle porte ; sebbene infestato cogli strali dalle torri : e l spezzati i serragli, il primo si mise in citt : ma perciocch si era disposta alle porte una schiera folta e poderosa di nemici ; questi lo rice verono virilmente ; disputandogli lungo tempo intrepidi 1 intento, finch perdutine molti , dieder volta, e sban

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dati fuggirotisi p erle vie. Gl.insegu Marcio, ucciden done quanti ne sopraggiungeva ; se gettate le armi non Volgeansi atte preghiere. Intanto. gli ascesi per le scale impadrouironsi delle mura. Cosi la citt fu presa, e Mar ci separ dalle prede quanto era donativo pe' numi, o decorazione per le citt de Volsci, abbandonando il re sto a soldati. Aveanci nellacquisto uomini, danari, grani; tanto che non riusci facil cosa a vincitori tor via tutto iu un giornft. Adunque menandoselo, o trasportandolo successivamente di per sestessi, eogiumenti, furono astretti a consumarvi gran tempo. XVIII. Il duce levatine i prigionieri e tutt altro, e lasciata la citt diserta, marci coll esercito su Bolani, altra citt,de Latini. Prevedutone quegli larrivo. aveano preparato tutto per contrapporsegU. Marcio, quasi per. espugnarla di assalt, prese ad investirne in gran parte le mura. I Bolani, aspettatane 1 ora conveniente, spa lancano le mura ; e sboccandone in numero, a schiera, e con ordine ; si avventano su quelli che stavano a fronte: ed uccisone molti, e pi ancora feritine, e ridotti gli altri a turpissima foga, rientraron le mura. Marcio, che non era-presente al sito dell infortunio, conosciuta la fuga de Volsci accorse di tutta fretta con pochi : e raccogliendo quei che vagavan dispersi, li ricongiunse e rianim : poi riordinatili, e dimostrato ciocch era da fare ; comand loro di attaccar la citt verso le porte appunto. Ricor sero i Bolani a tentativi medesimi, emergendo in gran moltitudine dalle porte. Non gli aspettarono i Volsci, ma ripiegandosi fuggirono gi pel declivio come il duce avea gi suggerito. Non videro i Bolani l inganno, e

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moltissimo li seguitarono: quando sfontanatisi gii dalle mura ; Marcio che avea seco il fiore de giovani, diede su loro: e qoi molta ne fu la uccisione; fuggissero o resistessero. Seguitando poi li respinti fino alle porte, li prevenne ; internandovisi a forza, prima che si richiu dessero. Impadronitosi il duce appena delle porte ; ecco giugnere altra moltitudine di Volsci. Li Bolani abban donate le mura, ripararonsi nelle case. Divenuto in tal modo l arbitro anche di questa citt, concedette a sol dati di farne schiavi gli uomini, e di porne a sacoo le robe. E trasportatane, come altre volte, successivamen te , a grand agio, tutta la preda, abbandon la citt finalmente alle fiamme. XIX. Pigliando quindi 1 esercito, ne and su Labicani. Eran questi, come altri, colonia gi degli Albani, ma popolo allora anch' esso dei Latini. Or egli per at terrirli fin dentro le mura, sparse, giuntovi appena, su loro campi il fuoco, principalmente in quelli donde era per essere pi visibile. Ma i Labicani, avendo ben fortificate le mura n sbigottirono per l arrivo di lu i, n diedero segno alcuno di debolezza : ma si opposero e pugnarono generosamente ; trabalzandoli pi volte fin da sopra le mura. Non per resisterono con successo ; combattendo pochi contro di molli, e senza requie mai, nemmen picciolissima : giacch frequenti erano intorno la citt gli assalti successivi de Volsci ; ritirandosene via via gli stanchi, e cimentandosi altri recenti. Adunque data per un intero giorno battaglia , n fattasi pausa nemmen su la notte, furono dalla stanchezza astretti a lasciare in fine le mura. Marcio} espugnatele, ne rend

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schiavi li cittadini, e di tatto in predii a*soldati. Di l trasferendo I esercito in ordinanza contro la citt de Pe dani , Latina anch essa di popolo , la pigli di forza, giuntovi appena. E trattatala come le altre gi prese , levandone in su 1 alba le truppe , le men bentosto sa Corbione. Ma nell approssimarvi gli abitanti 1 apersero, ed uscirongli incontro, presentando simboli di pace, e la resa loro senza combattere. Ed egli, encomiatili conte savj nel provvedere a sestessi, eomand che gli portas sero grano ed argento, come l ' esercito ne bisognava ; e ricevuto tatto secondo i comandi, marci co suoi con tro Coriolo. Cederono gli abitanti pur questa senza re sistenza ; ma perciocch con pienissima propensione sup pliron o viveri, danari, e quanto sen chiese, ne ritir 1' armata, come sa territorio amico. E per fermo ; egli procurava con ogni sollecitudine che quelli che si ren devano non subissero i mali causati dalla guerra ; ma riacquistassero intatte le loro terre, e li bestiami, e gli schiavi che aveano lasciati ne* loro poderi : n permet teva che le troppe alloggiassero nelle citt di essi; per ch non focsevi danno di furti o prede, ma le accam pava presso le mura. XX. Di qua mosse l esercito verso Bovilla (t) citt (cospicua allora e contata tra le primarie deLatini, che
(i) Nel testo dice Boia: ma forse dee leggersi Bovilla ; perch Co* nolano gi era stato ai Tolerini, a Boia , a Labico, a Pedo, a Cor bione , ed a Coriolo. Potrebbe dubitarsi se sia scritto Boriila nel 1 8 o nel presente di questo libro : Si descrivono tutte due come su T allure; parlandovisi di declivj; e Bovilla era nella via Appia io piano , secondo Cluverio.

a8 D EL L E ANTICHIT. RO M ANE eran pochissime. Non lo accolsero gi quei che v erano dentro, confidati nelle fortificazioni assai valide, e nel. numero dei difensori. Adunque egli eccitando le truppe a combattere generosamente, e proponendo amplissimi premj a primi che ne salisser le mura; si accinse aM assalio. Or qui vivissima fu la battaglia, perch li Bovillani non solo travagliavano dalle mura chi vi si appres sava; ma perch , spalancate le porte, ne uscirono in furia ed in copia, e ne incalzarono abbasso quanti ne erano a fronte. Assai perirono di Volsci in quella sorti ia , e diuturna fu la zuffa sopra le mura ; sicch mai pi speravano d invaderle. Ma il duce supplendo nuovi soldati non fe conoscere la perdita degli altri: e raccese 1 ardore dei vacillanti ; portandosi egli stesso alla parte di esercito che pericolava: N spiravano coraggio i detti soli , ma i fatti ancora di Ini : corse a tutti i pericoli, n lasci tentativo, finch non si preser le mura. Im padronitosi poi della citt, messa parte dei vinti a 61 di spada per le leggi dei forti, e parte rendutala schiava, ricondusse l esercito. Egli rimenavalo dopo una segnalata vittoria carico di spoglie bellissime, e ricco de tanti da* nari, ivi presi, quanti in niuna delle citt conquistate. XXI. Dopo ci tutta la regione percorsa era in po ter suo, n pi gli resisteva niuna citt se non Lavinia, la prima delle citt fondate da' Trojani approdali con Enea nell Italia, dalla quale derivano i Romani come di sopra fu dichiarato. Gli abitanti pensavano dover pri ma incontrare ogni male, che mancar di fede ai discen* denti loro. Adunque vi ebbero attacchi terribili su le mura, e battaglie veementi per le fortificazioni: non per

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l espugnarono a prim* impeto ; ma parve abbisognarvi assedio, e tempo. Postosene Marcio allassedio cinse intorno la citt di vallo e fossa, e<guard le strade , perch non le si. recassero esterni soccorsi e viveri. I Romani udita la rovina delle citt vinte, compresa la necessit delle rondatesi a Marcio , pressati'da messaggi quotidiani delle altre, fedeli ancora , che imploravano ajato, spaventati insieme dalla circonvallazione che tira tasi intorno Lavinia, e convinti che se, cadea questo torte, la guerra verrebbe addirittura su loro, crederono ano solo il rimedio a tanti mali, decretare il ritorno di Marcio. Tatto il popolo gridava questo , e li tribuni voleano fare una legge per annullarne la condanna : ma li patrizj si opposero, ricusando che si annullasse aU cuna sentenza emanata. non essendone fatto decreto antecedente dal Senato, non istimarono i tribuni di pr* porre 1 affare al popolo. Egli certo da meravigliarsi come il Senato gi si zelante per Marcio, ora si oppo nesse al popolo deliberato di richiamarlo. Voleva espio* ram e 1 animo f voleva infiammarlo ancor pi col tardo concedere ? o volea dissipar le calunnie contro s concepute di non essere autore, n cooperatore di quanto faceasi dal valentuomo ? E difficile indovinarne i secreti disegni. XXII. Marcio, adito ci dai disertori, sdegnato co ni era * immantinente lasciato un presidio a Lavinia mosse l esercito, addirittura incontro di Roma : e fer matosene cinque miglia lontano si accamp presso le fosse chiamate Cluuilie. Saputosi in citt l arriv di lui; vi si gener tanto tumulto, quasi allora allora giuguesse

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che si benevoli gi nel caso tuo ti ci dimostrammo 7 , Che pi : ben rilevasi ancora che nemmen tutto il popolo voleali discacciare ; se per due voti soli tu, fo s ti condannato. Sicch non guerreggi tu con giusti zia nemmen quelli che ti assolverono come innocente. M a poniamo , se cos vu oi, che tu cadessi nella tua sciagura perch cosi ne parve a tutti del popolo, e del Senato : poniamo che giustissimo sia t odio tua contro d i essi. Le donne o Marcio in ohe ti offesero mai queste ; si che tu le combatta. ? qual voto m ai diedero per V esilio tuo ? o di quali indegni discorsi sono mai ree ? Che fecero , che pensarono mai tf il legittimo i nostri fanciulli che pericolano incorrere il giogo , e gli altri mali compagni, se Roma soc combe ? T u non adoperi o Marcio rettamente, n p en si, come a 1virtuosi conviene , se credi che cos dbbi odiare gli offensori e nemici ; che non abbi a perdonare nemmeno gl' innocenti e gli amici. Ma per lasciar tutto ci, che diresti tu m a i , viva D io, se alcuno ti chiedesse che abbi sofferto tu mai dogli antenati che ne scoperchi le tombe , e li privi degli onori che otteneano da m ortali? E le are e le capr pelle e i templi degl Iddii per vendetta di quali colpe li spogli, e li abbruci , e devasti, e defraudi de ler gittimi onori ? Che risponderesti tu mai ? certo io noi vedo. E ci sia detto o Marcio sul diritto per n o i, pel Senato, per gli altri cittadini che tu vuoi , non offeso , distruggere , e per le tombe , pe' templi , e per la patria, che ti ha generato e nudrito. \ XXV. S i conveniva forse che pagassero a te le

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pene con essere sterm inati,, tanti uomini che non ti hanno o ffeso , tante .fem m ine, tanti giovinetti? Si conveniva che, sentissero il frutto della stoltezza dei tribuni, tanti num i, tanti ero i, tanti genf , e che niente fo sse preservato , niente impunito d a te? Non avevi riscosso forse vendetta che ti bastasse coll ec cidio di tanti uom ini, col guasto di tante campagne tra l fuoco e tra l fe r r o , collo strazio di tante citt per fino da fondam enti, con tor fe ste e sagrifizj e culto a tanti numi e g en j , quali in pi. luoghi li hai gi ridotti senza celebrit , senza vittime , senza ono ri? Certamente, io non reputo degno di un uomo che tien cura anche minima della virt., confondere g li , amici co nem ici, e serbar odio , duro , implacabile., su chi ne ha o ffesi, specialmente se pi volte gi ne ha subito segnalati castighi : E tali sono le difese, nostre , tali le preghiere che pel popolo ti por tiamo. T ali sono poi le cose , che i pi riguardevoU degli amici tuoi vengono per benevolenza a dichiarrarti e promettere , s colla patria ti riconcilii. Fogli ( e qui stia principalmente la tua potenza, e gF Id di vi ti ajutino ) vogli moderare e dispensar savia mente cotesta tua sorte; riflettendo che tutto varia quaggi, n cosa mai si rimane la stessa. N on fugge quanto soprainnalzasi, la indignazione de num i, e giunto i massimo della grandezza rispinto in nien te : e ci soffrono principalmente le aspre, le orgo gliose procedure, che la umana sorpassano. T u puoi nobilissimamente dar fin e alla guerra ra che il SeD I O N I G I , tomo I I I . S

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nato desidera decretare il tuo ritorno, e pronto il popolo ad annullar col suo voto il tuo bando per petuo. Che dunque impedisce che rivenghi alla dolce, alla carissima vista de1tuoi pi congiunti, e ricuperi t amatissima patria, e comandi, come ti si conviene, a chi comanda, e sii duce de duci, e ne lasci Vam plissima gloria a tuoi fig li e nipoti ? E che tali e tante promesse avran prontissimo effetto, noi, quanti qui vedi, noi tutti ne siamo i mallevadori. Finche n stai di fronte col campo e colla guerra, non parve a l Senato n al popolo r fa r su te decisione niuna di clemenza e di moderazione ; ma se ti levi dalle ar me , avrai, n ta rd i, e noi lo porteremo, il decreto del tuo ritorno. XXVI. T ali sono i beni se alla patria ti riconcilii: ma se ti ostini, se l odio non deponi verso noi ; dure e molte ne saranno le conseguenze : ed io due le pi manifeste te ne addito : vuol dire : la prima che avresti il barbaro amore di un'ardua anzi im possibile cosa, di abbattere cio la potenza d i Ro m a , e colle arme de1Volsci : t altra che quando pure tu ben indirizzi e riesca a lt intento, ne sa rai creduto il pi sciaurato de mortali. E perch io cos congetturi su te ; lo ascolta o Marcio, n t inacerbare sul franco mio dire. E prima ne intendi la impossibilit. Molta in Rom a, e tu lo sai, la gio vent. paesana : e se le si tolga ( e torrassele per la necessit presente in tal guerra ) la sedizione, rac chetando il timore comune tutti i dissidj, non pi li V lisc i, ma niuna gente d Italia ci abbatterr. Molte

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sono te milizie de L atini, molle quelle degli alleati, coloni di Rom a, le quali aspettati che in breve giun gano per soccorrerci. I capitani, come te , seniori o givani, tanti sono di moltitudine, quanti in tutte le altre citt non sono. M a f ajuto pi grande d i tutti, quello che non ci ha mai deluso negrandi accidenti, e che pi vale di tutte le forze degli uom ini, la benevolenza de num i, per la quale teniamo questa citt gi da otto generazioni non pur libera, rtia f e lice, ed rbitro di tante nazioni. Non pareggiarci ai P ed a n i , ai T ollerini, agli altri popoletti, de quali sormontasti le cittadelle. Anche un altro duce minore di te , e con esercito minore che questo tuo , violen tato avrebbe tali fiacche e poco presidiate munizioni. Ma considera la grandezza della nostra c itt , la luce sua per tante imprese guerriere, e l ajuto d i vino pel quale, gi p icch ia , tanto s ingrand: n concepire che si diversifichi codesta tua fo rza colla quale vieni a tanto cimento : anzi ricordati che un esercito meni di Volsci e di Equi che noi stessi abbiam vinto in tante battaglie in quante osarono di affrontarci : Talch ben vedi che porti a combattere i men fo r ti contro i pi valorosi, e chi sempre per dette contro vincitori costanti. E quand anche fosse il contrario ; pur sarebbe da meravigliare , che tu perito d i guerra non sappi, che ne' pericoli non pari l ardire in chi difende i suoi beni, ed in chi cerca gli altrui : che questi se non vincono, niente vi scapitano ; ma niente agli altri pi resta, se perdono . E questa principalmente la causa che le grandi

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armate svaniscono contro le pccole, e le migliori contro le meh buone. Ch pu la terribile necessit , ponno i pericoli estremi spirare coraggio anche ad indoli che non ne abbiano. E quanto a lt arduit del t impresa potrei dire pi cose, ma bastino queste. . XXVII. M i resta a fa re un solo discorso, cui se accompagnerai colla ragione non co lf ira, vedrai che esso giusto, e ti verr pentimento del procedere tuo : ma quaV mai questo discorso ? G li Dei non concessero a niuno che nasce mortale solida scienza delV avvenire : n troverai da tutti i secoli alcuno cui tutto riuscisse propizio senza mai contrariet della sorte. Perci li pi avvanzati in prudenza, quale il vivere lungo e la molta esperienza la recano, deono prima di accingersi ad una impresa considerarne il term ine, non solo se riesca come pur lo vorrebbono, ma nel caso ancora che devii dai disegni: e ci deono i comandanti principalmente delle guerre, a 'q u a li, quanta pi essi dispongono gravissimi a ffa ri, tanto pi tutti ascrivon la origine de' buoni o tristi suc cessi; tal che se vedono esser niuno, o ristretto e piccolo il danno dell azione se la sbagliano, allora la intraprendono , ma se vario e grande lo vedono, la tralasciano. Or f a tu similmente ; prevedi avanti di operare ciocch sia per incontrarti > se m anchi,. o se tutto non ti viene a seconda nella guerra. Tu sa rai colpevole presso gli ospiti tuoi di aver tentato im prese , grandi pi che eseguibili. Concepisci ( n gi lasceremo impuniti quelli che han preso ad offen derci ) ch r esercito nostro vengavi novamente ,

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devasti le loro campagne : non potrai evitare, o di essere obbrobriosamente trucidato da quelli a quali sei causa di mali s grandi, o da noi che ora vieni per uccidere e per soggiogare. Forse essi stessi in-' nom i d i patirne alcun male , tentando fa r pace con noi dovrari consegnarti alla patria che ti punisca : gi Greci e barbari assai, ridotti a pari vicende , dovettero ci sopportare. Or ti pkjono queste picciole cose , non degne a discorrerle, e tali che debbansi trascurare, o non piuttosto mali estremi a p a tirsi , fr a tutti i m ali? XXVIII. M a via ; n abbi tu pure il' buon termine; e qual frutto allora ne avrai cos desiderabile, cosi meraviglioso ? qual mai gloria ne avrai ? Deh ! con sidera questo ancora. T i succeder primieramente di esser privo degli obbietti che pi a m i, e pi ti ap partengono ; io dico della madre alla quale porgi amara la ricompensa di averti generato e nudrito, e de tanti travagli che sostenne per te : dico della sa via consorte la qual vedova e solitaria sta desideran d o ti, e deplorando d e notte il tuo esilio: e fin a l mente de due tuoi fig li d quali spettavasi, come ai posteri d i egregj progenitori, che ne percepissero pieni d i fa m a buona gli onori se la patria fo sse f e lice. D i questi tutti sarai costretto a vedere le dolo rose e sfortunate catastrofi, se ardirai sospingere fino alle mura la guerra ; giacch a niuno de tuoi perdo neranno gli altri che temono pe cari loro, e che pa tiscono disastri eguali da te. Concitati dalla propria calamit daransi terribilmente e spietatamente a bat-

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torli, ad ingiuriarli, e fa r loro ogni specie di vili pendi : e d i ci non questi che il fanno ma tu ne sei P autore, che ve gli astringi. T ali i fru tti sono che gusterai, se ti giunge l intento. Or su contempla la lode che te ne avrai, la emulazione, gli onori, cose tutte desiderevoli a buoni: TJuccisore sarai nominato della m adre, V uccisore de fig li, il traditore della consorte , la rovina della patria. E niuno buono , niun giusto von , dovunque tu capiti, partecipare ai tuoi sagrifizj, alle tue libagioni, al tuo consorzio : n sarai caro a quelli nemmeno per la benevolenza de quali ci fa i : ma godendo ciascun cTessi il frutto della tua empiet , detesteranno la ostinazion del tuo cuore. Lascio di dire come senza l odio che avrai fin da pi m iti, ti sar intorno la invidia non piccola degli eguali, il sospetto degl inferiori , e per queste due cause , le insidie , e tanti altri infortunj, quanti verisimile che sopravvengano ad un uomo, privo di amici in terra d i estranei. Lascio di dire le fu rie che ispiransi da numi e da genj negli empj e ne fa c i norosi , dalle q uali, straziati ne corpi e n e lt anima, vivono sciaurata la vita , aspettandone misera ancora la fine. T ali cose considerando o Marcio correggiti ; e cessa d inseguir la tua patria. Riguardando la sorte come autrice de mali che' hai da noi tollerato, o fa tto a noi , torna felicissimo aC tuoi , ricevi gli amplessi carissimi della tua madre , le amorevolezze soavissime della tua sposa, ed i baci dolcissimi dei tuoi figli : e rendi te stesso, fregio bellissimo , alla patria che ti ha generato , e ridotto s valoroso e s

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XXIX. Avendo Minucio discorse tali cose; Marcio soprastette alquanto, e poi disse: O M inucio, o voi qui mandati con Minucio dal Senato , voi vedete un amico f uno che propensissimo a voi, dovunque io possa giovarvi, perch voi gi mi fo ste propizj in molte e gravissime occasioni, quando io era vostro concittadino e maneggiava il comune, e perch pscia ion vi alienaste da me nella mia fu g a in dispregio della mia sorte , quasi non pi potessi beneficare o nuocere, ma vi serbaste amici buoni e costanti, sol leciti della madre m ia, della moglie, e de figli,''fino a raddolcirne collo zelo vostro la calamit. Ho in orrore gli altri Romani e guerrggioli quanto pi posso , n mai dall odio loro desister. Questi per le tante e belle mie gesta, per le quali si conveniva che mi onorassero , mi hanno, quasi offensore gra' vissimo del comune, bandito dalla patria ; senza ve recondia per la mia m adre, senza piet pe' miei f i g li , e senza sensibilit niuna per la mia sorte. Co nosciuto ci, se voi abbisognate per voi stessi di me; non vindugiate a proporlo, ch non sarete in quanto io posso , respinti : -ma dispensatevi di pi parlare d i amicizia e di accordi, quali me li chiedete in verso del popolo ; speranzandomi di un ritorno. Potrei forse io rivenire di buon grado ad una citt dove il vizio s ha i premj della virt? dove chi non ha delitti, v ha la fine dei delinquenti? E p o i , s u , dimmi per Dio , per quale ingiustizia mai provo tal sorte ? Che feci mai non degno demiei progenitori? Uscii la prima volta , giovinetto ancora coll armata ; quando com

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battemmo coi re che volevano a fo rza ritornare. In que cimenti f u i premiato dal capitano colla corona de bravi, perch difesi un cittadino , e spensi un nemico. Poi quante altre azioni io fe c i equestri e pe destri, in tutte me ne asegnali, riportandone un pre mio : n citt si prese d i assalto che io non la sa * lissi o prim o, o coi pochi ; n si caus nelle batta glie fuga al nemico, della quale non riconoscessero tutti da me la cagion principale : n pi v'ebbero in guerra splendide e nobili gesta senza il mio vivido ardire , e la propizia mia sorte. XXX. Forse altri valentuomini potran dire, se non tante, almen simili cose d i s. Ma qual altro pu gloriarsi o centurine , o comandante aver presa come io la citt de Coriolani (i )? O qual altro in un giorno stesso ruppe V armata nemica come io ruppi quella degli Anziani, che veniva per soccorrere gli assediati ? Lascio di ricordare che dopo tai pegni di virl potendo io prendere in copia dalle prede oro , argento, schiavi, gium enti, greggie , e (erre vaste, e feconde, non volli : ma intento a serbarmi principal mente senza invidia, pigliai per me solamente dalle prede un cavallo militare , e da prigionieri V ospite m io, ponendo tutto il resto ad util comune. Dite : era io per tanto degno d i premj o di pene ? Dovea subire la legge da vilissimi- cittadini, o darla io lo ro? O non mi espulse il popolo per questo, m a p er(i) La lode , perch Coriolano prese con pohi la citt , senza essere n comandante, n tribuno, a quali sarebbe stato tanto pi facile invaderla colle milizie dipendenti. Vedi lib. t i , $ 9 3 .

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ch io era nel resto della yita, un intemperante, un suntuoso, un senza leggi? M a chi potr dimostrarmi un solo, pe miei piacer non legittimi esule dalla pa tria , spogliato dalla libert, privato degli averi, o ridotto ad altra sciagura qualunque? se nemmeno nemici mai di tali cose m incolparono o calunniaro no, contestando ansi tutti come irreprensibile la vita mia quotidiana ? La scelta, dir taluno, bborrita de tuoi governamenti ti procacci questo male ; tu potendo eleggere il meglio ti appigliavi al peggiore : e dicesti e facesti tutto perch -,in patria cadesse il comando degli Ottimati, e simpadronisse del comune la moltitudine imperita, e scellerata. O Minucio ! Ben io mi adoperava in contrario , e provvedeva che il Senato maneggiasse in perpetuo il comune, e re stasse la patria form a d i governo. Per tali belli sta bilim enti, creduti fi pregievoli de? nastri antenati, io me n ebbi dalla patria la s fa u sta e beata ricom pensa , cacciatone non solo dal popolo , o M inucio , ma molto innanzi pur dal Senato } il quale, quando io mi opposi a ' tribuni che m incolpavano d i tiran nide, mi anim da principio con vane speranze , quasi esso fosse per operare la mia sicurezza , ma poi te* metido de plebei mi si distolse, e mi cedette a ne mici. O Minucio ! tu eri console quando facevasi il previo decreto pel giudizio , e quando Valerio, che tanto ne f u lodato , esortava col dir suo , che io fo s s i al popolo consegnato. Ed io temendo dal Se nato un decreto che mi consegnasse ; condiscesi, e
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promisi di andare, e presentarmi io stesso in giudizio. XXXI* Ma d i M inucio, rispondi : parvi al po polo solo , o pure al Senato ancora io parvi degno d i castigo per lo buon maneggio e condotta mia pub blica ? Se cos allora a tutti ne parve ; e tutti mi scacciavate; egli chiaro che quanti cos deliberavate, odiavate allora la giustizia, n restava in Roma al cun luogo che sostenesse il bene. Che se il Senato } violentato , si rendette al popolo , e quella f u l opera della necessit non del cuore ; confessate che siete il gioco degli scellerati, n resta al Senato podest niuna su quanto mai scelga. E ci stando mi chie derete che io men venga ad una citt dove i buoni son vittima dei ribaldi? Troppo di stolidit m i con dannate ! Or su : diamo che io persuadami, e che deposta, come chiedete , la guerra , ne andiamo ; qual sar dopo ci F animo mio ? quale la vita ? Sebbene eletto il partito pi sicuro e meno pericolo so ; cercando io poi li magistrati, gli onori, ed ali tro che io credo competermi , soffrir di adulare la turba che li dispensa ? vilissimo diventerei d i magna* nimo , e niente pi F antica virt mi gioverebbe. O restando ne miei costumi, e serbando le istituzioni piie del viver civile mi opporr a quelli che diverse ne seguono ? Or non manifesto che il popolo di nuovo mi combatterebbe , che a nuove pene mi cite rebbe , cominciando Faccusa da questo, che io rido nato da essq alla patria , pure ai piaceri di lui non pii conformo ? Certo non dee dirsi altrimente. E qui sorger tal altro insolente tribuno che simile aglIcilj

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ed ai Dee) tri incolpi di scindere i cittadini fra. loro, cTinsidiare il popolo, di tradire la patria a nem ici, di tentare , come Decio me ne imputava , la tiran nide, o ta t altra ingiustiiia, come ad esso ne paja; giacch non mancano a chi ti odia i pretesti. Produrransi dopo queste, n gi tardi, le imputazioni ancora su le cose da me fa tte in tal guerra, che io. percossi l Mostra regione > che rapii prede , che espu* gnai citt, che di quelli che le difendevano parte ne uccisi, e parte d nemici li consegnai. E se gli accu satori allegheran tali cause ; che dir io per ispedir* mene ? o con quale soccorso sostrtommi XXXII. Non dunque ehiaro o Minucio che belle t>' avete, ma pur finte le parole j e che un bel vel date ad un impuro disegno ? Non a me concedete il ritorno ; ma vittima al popolo me portate / . e forse. ( giacch buone idee su voi nn mi vengono ) vi siete concertati a ci fa r e , seppure ci non voleste, senza, prevedere ( e vi si accordi) i mali che ne avrei da soffrire. Or che varrebbemi la vostra ignoranza ? che la vostra stoltezza ? se non potreste, anche vo lendo , niente impedire $ necessitati di concedere dn che questa colle altre cose alla plebe. Se non che non pi bisognan parole a mostrare che questa , che. io chiamo via prontissima di rovina : niente, sebben voi la chiamate ritorno , giovermmi per la salvtzta. Che poi ( giacch n i invitavi a riguardare aheor que* sto ) niente o Minucio mi giovi per la buona fam a , niente per C onore f niente per la pietade , anzi che, io opererei turpissimamente ed empiissimamente se a

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voi m i rendessi; ascoltalo dalla mia parte. lo mili tai gi contro questi V olsci, e molto nel militare li danneggiai ; procacciando alla patria impero , forza , chiarezza. Non cnvenivasi che, io fo ssi onorato dai beneficati, ed abbonito dagli o ffe si? Appunto; se a ragion si operava. Ma la sorte pervert tutto, e rivolse ciocch F uno e F altro mi doveano in con trario. Voi per le cose onde io era a questi nemico, m i spogliaste di tutto il m io, e quasi ci fosse nul la , m i bandiste : laddove, questi che avean tanto infortunio da m e, mi raccolsero questi nelle proprie citt povero j abbietto, senza casa e senza ptria* N bastando loro questo splendido , questo geneivsissimo tratto ; mi han conceduto cittadinanza > ma gistrature , onori, quanti ven sono pi grandi in tutte le loro citt. Ma lasciamo questo : ora mi han fatto comandante assoluto delF esercito posto oltra i conf i n i , e regolano sul voler mio tutti i pubblici moti. . Or su, con qual cuore tradirei tutti questi, che tanto m i hanno onorato , io non offeso mai n m olto, n poco da loro ? Sono forse le beneficenze loro F ol traggio mio i come le beneficenze mie furono il vo stro ? Questo nuovo mio tradimento, risapendosi, certo un bel nome me ne darebbe tra gli uomini! E chi non mi spregerebbe, ascoltando che io trovati avversarj miei gli amici i quali doveano beneficarmi, e trovati amici gli avversati a quali era cF uopo di sterminarmi ; io in luogo di odiar chi m odiava , e di amar chi mi amava, ho fa tto tutto il contrario ? XXXIII. M a su , considera , o M inucio , quali nU

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sarebbero o ra , quali in tutto il resto della vita gli Id d j , se rendendomi a voi, tradissi questo popolo. Ora mi sono propizj a quanto io faccia contro d i voi, n impresa niuna falliscem i. E questo, quale il pensate voi segno della piet mia ? Se io portassi una guerra non giusta sulla patria; gli Dei dovrebbono contrariarmene ogtii mossa. M a dacch la sorte mi spira propizia, e quanto imprendo, tutto mi viene a seconda ; egli chiaro che io sono pietoso, e che bella t opera mia. Che dunque me ne avverrebbe, se io , cangiato proposito, ampliassi le cose vostre, e deprimessi quelle degli ospiti ? Come non avrei tutto il contrario > e scuro il destino da num i, vn dici del mio m alfare? Come io di piccolo divenuto grande non sarei bentosto di grande ridotto piccolo? come le vicende mie non sarebbero agli altri d in segnamento? T ali idee mi van per la mente rispetto de numi : e penso che le fu rie tremende, ed inevi tabili da chi pecca, quelle che tu pure o Minucio commemoravi, m inseguirebbero , flagellandomi lo spirito e il corpo, se abbandonassi e tradissi questi li quali mi salvavano da voi, che mi rovinavate, li quali dopo avermi salvato m i colmarono di tanti e s egregi beneficj, e li quali io rassicurai su lauto rit degl1Iddj che io n a malfare veniva, n a con taminar la mia fe d e , pura finora ed, immacolata. XXXIV. M a quando , o M inucio, tu chiami an cora amici miei quelli che mi han segregato , amica la patria che mi ha ripudiato , e te ne appelli alle leggi della natura , e me ne disputi li diritti santi ; tu Vu-

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nico mi sembri ignorare'comunissime cose, n da al cuno ignorate : vuol dire che non le form e de sem bianti , non lo imponer de nomi ; ma t uso e l opere contrassegnano ramico dal nemico. Tutti amiam l'utile, tutti il nocevole fuggiamo : n questa leggo f u mai posta da alcuni de' m ortali, n da alcuni mai sar to lta, sebbene il contrario volessero ; ma la natu ra , comune da tutti i tem pi, 1' ha data, e stabile per tutti i tempi Vhan ricevuta i viventi sensibili. Per* ci disconosciamo gli amici se ci offendono , ed aniiant 1 inimico se ci benefica : ci teniamo nella citt che ci ha generati se ne giova , ma la lasciamo se ci nuoce, amandola non pel, sito , ma in quanto ne utile. N gi nascono questi pensieri ne soli privati, ma nelle citt , e lelle nazioni intere. Tanto che chi va con queste regole n chiede cose aliene dlie leggi, d e'num i, n le f a contro quelle degli uomini. E d io c(n praticando credo seguire il buon dritto , pro ficuo insieme ed onesto e santo innanzi OgF Jddii. Pertanto facendo 'io cose grate agl Iddj non cerco averne giudici gli uom ini, che conghietturando e opi nando argomentano il vero. E se guida me ne sono i numi ; per certo io non tento impossibili cose ; e ben le passate additano le future. XXXV. Quanto alla moderazione per la quale mi esortate a non isbarbicare la stirpe Rom ana, n mandarne tutta la citt sossopra dafondam enti, po trei dire, o M inucio, che io non sono in ci 1 ar bitro ; e che non vuole a me fa r s i tale discorso : che io sono il duce dell arm ata, ma questi gli or-

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bitri della guerra e della pace ; tanto che. da questi avete a chiedere, e non da m e, la pace o la tregua. Tuttavia non vi do questa risposta: ma venerando gl Id d j paterni, rispettando le tombe avite , commi serando la terra ove nacqui , le fem m ine, i fanciulli non degni che su d i essi ricadano le colpe de geni tori e degli altri ; e , nornmen che per questo o Mi n u d o , in grazia di voi che foste qua deputati dalla citt ; vi rispondo , che se i Romani rendono ai Vol sci le terre tolte loro , e le citt che ne tengono , ri chiamandone i proprj coloni; se fa n n t pace con essi e comunanza perpetua di diritti, come coL a tin i, e giuramenti ed esecrazioni contro de violatori de patti; io do fine alla guerra. Annunziate primieramente ad essi questo, p o i, come avete presso me perorato , aringate presso loro sul giusto : e quanto iella cosa che ognun s abbia il suo, e vivasi in pace : quanto pregevole che niun tema n i nemici, n i tem pi: e come biasimevole che chi ritiene V altrui si esponga senza necessit alla guerra con pericolo delle cose anche proprie. Dimostrale loro che non eguali sono i premj vincendo o perdendo per chi ap> petisce V altrui : e se vi piace aggiungete, che quelli che han voluto prendere le citt degli oltraggiati, se infine poi non prevalgono , perdono pur la terra, e la citt loro , e vedono malmenate obbrobriosamente le mogli, portati i fig li agli a ffronti, e li padri loro} fa tti schiavi d i lib eri, nell estrema vecchiezza ; Per suadete insieme il Senato che dovr tanti mali alla ,stoltezza sua non a Marcio. Perocch potendo fa re il

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giusto ; potendo non incorrer n mali ; corrono agli ultimi rischi, aspirando sempre alT altrui. Questa la risposta; n potreste altra averne dam e: andate, ponderate ciocch a fa re v abbiate : io vi do trenta giorni per decidervi. In questo tempo ritiro, o Miniti ci in riguardo tuo e degli altri 1 esercito da questi cam pi, che assai se vi rimanesse, ne sarebbero dan neggiati. A l trentesimo giorno mi ci aspettate a p i gliarne la risposta. XXXVI. Ci detto sorse, e sciolse 1 adunanza : e nella notte seguente presso l ultima vigilia lev l'eser cito , e lo condusse contro le altre citti Latine, sia che realmente fosse persuaso che di l verrebbono de sussidj a Romani, come 1 ambasciadore avea detto, sia che .egli ne spargesse la voce per non sembrare d* interrom per la guerra in grazia de nemici. E piombando sopra Longola, ed impadronitasene senza fatica, e fattovi come nelle altre, dei sehiavi, e delle prede; venne alla citt de Satricani. Presala , e tenutovisi picciolo tempo, ordin che parte dell esercito recasse le spoglie raccolte da ambedue queste citt in Eccetra, ed egli marciando coll altra parte venne a Celia ( i) , che chiamano. Otte* nutala, e derubatala, si g-tt nel territorio de Poluscani (a). Non valsero nemmen questi a resistere; ed espugnatili, si avanz verso le altre citt : prese di as*
(i) Questa voce ambigua. Li-rio nomina Trebbia; ed altri in questo luogo di Dionigi vorrebbe por Sitia Sene : ma questa par troppo lontana pel viaggio di Marcio. (3 ) Lapo parve leggere Tutelarti

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salto gli Albieti ed i Mugillaoi (i) ; e ricevette a patti i Covani. Divenuto in trenta giorni padrone di stte, citt ; si rivolse a Roma con pi milzie ohe prima : e> fermandosene lontano poco pi che trenta stadj, si ac camp presso la via Tuscolana. Intanto che prendeva ed univa a s le citt de Latini, parve ai Romani, con-' soltale lungamente le proposte di lu i, di non far cosa indgna della, repubblica. Pertanto, se i Yolsci partis sero dal territorio loro, degli alleali e de sudditi, e lasciasse? la guerra e spedissero ambasciadori per trattare la pace ; il Seqato decidesse allora e ne riferisse al po polo le conditioni ; non decidesse per mai nulla di amano su loro, finch stavano con ostili maniere su le campagne di Roma e degli alleati. Conciassi scb li Ro>* mani osservarono sempre altamente di qon far mai nulla: pe comandi, n pel terror de nemici ; ma di compia-* Cere, e contentare gli avversarj pacificatisi, e rendutisi, nelle dimande se fosser discrete. E Roma ha mantenuto tale sublimit di carattere in molli e grandi perieoli, nelle guerre co cittadini e cogli esteri , e tuttavia lo mantiene. XXXVII. Deliberate tali cose, il Senato scelse am-+ basciadori altri dieci tra consolari, perch dimandassero a Marcio che non desse ordini duri n indegni di Ro*
( i ) Silburgio sospetta cbe in Itpogo di Albifcti debba leggersi La ciniati cio Laviniani di Lavinia, la presa de) quale era stata tra lasciata , come si veduto di sopra. Il cognome di Lucio Papiria M ugitlano prova che vi ebbe ima ciu OiugiUa di aoaM, donde Muo i MugiUam.
m o m o i i tomo t f l .

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m a, ma deponesse le nimicizie, ritirasse le truppe dal territorio, e cercasse di trattare eoa modi persuasivi e conciliativi, se voleva che gli accordi tra due popoli fossero permanenti ed eterni ; giacch gli accordi sia privati, sia pubblici, conceduti per la necessit e pei tempi, finiscono appunto cotempi e colla necessit. Or' questi, eletti ambasciadori, non s tosto udirono 1 arrivo di Marcio, andatine a lu i, dissero assai cose atte a guadagnarlo, badando di non offendere co' discorsi la maest della repubblica. Marcio per non rispose altro se non che consigliavali ( e questa era 1 unica tregua che dava ) a tornar fra tre giorni con deliberazioni mi gliori. E volendo essi replicare ; non lo permise : ma impose che partissero immantiuente dal campo. E mi nacciando che li tratterebbe come spie se non ubbidi vano ; quelli ammutoliti partirono incontanente. I sena tori quantunque udite le risposte ostinate e le minacce di Marcio, pure non decretarono di portare 1 esercito di l dai confini, sia che ne temessero , come raccolto in gran parte di fresco , la inesperienza , sia che 1 ab battimento temessero dei consoli, poco intraprendenti per seslessi, e giudicassero pericoloso il cimento ; sia che i segni celesti interdicessero loro quella uscita per mezzo degli uccelli, degli oracoli Sibillini, o di altra visione : cose che non sapeano gli uomini di allora, come i presenti, trascendere. Adunque deliberarono di guardare la citt con vigilantissima cura, e di respingere dalle fortificazioni gli aggressori. XXXVIII. Ci fatto e preparato ; n tuttavia dispe rando di piegar Marcio , se lo pressassero con deputa-

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zion pi angusta e pi grande, decretarono che pon tefici ed auguri, e quanti aveano sacri onori e ministeri nelle pubbliche divine cose (e molti sono fra loro sacerdoti e santi ministri, e questi i pi cospicui pel sangue paterno, o pel merito proprio) andassero in copia co simboli delle divinit riverite e festeggiate in Roma, e cinti di sacre vesti, al campo nemico, vi replicas sero gli stessi discorsi Giunti questi, e dettovi quanto, avano dal Senato, Marcio non rispose nemmeno ad essi per ci che chiedevano; ma consigli che partendo adempissero gli ordini se volevan la pace; o la guerra in citt si aspettassero: del resto intim che non pi ritornassero a lui per far parlamento. Caduti ancora di questo tentativo, e deposta ogni speranza di pace, si apparecchiavano i Romani per l assedio ; collocando i giovani pi vigorosi alle fosse ed alle porte , e li ve terani gi licenziati ma pur buoni ancor per le armi , alle mura. XXXIX. Le mogli loro, quasi approssimatasi gi la tempesta, lasciato il decoro col quale si tenevano in casa, correano ai templi piangendo ed abbracciandosi a simulacri de numi. Ed ogni sacra magione , specialmente quella di Giove io Campidoglio, risonava di f* minei ululati e di suppliche: in questa una matrona preminente per lignaggio e per dignit trovandosi allora nel meglio degli anni , attissima a provveder' ciocch deesi ( Valeria ne era il nome ) sorella di quel Poplicola il quale aveali gi liberati dai tiranni, eccitata da istinto divino, si ferm nel grado pi alto del tempio , convocate le donne compagne , primieramente le con*

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sol ed anim a non smarrirsi ne mali, poi diede vedere che restavaci una speranza di scampo, riposta in loro unicamente, se faceano quanto era d'uopo. Air Ioni l una di esse ripigli : Con quale opera nostra mai potremo noi donne salvare la patria , non sa pendo pi fa re ci gli uomini ? E qual fo rza abInani noi, deboli, sciaurate? E Valeria, non le arme, disse, abbisognano, non le m ani; dispensandoci da ci la natura, ma le amorevolezze e la persuasiva. Or qui , lattosi clamore , e pregandola tutte a svelarlo se pur ci avea rimedio alcuno, disse : In questo lutto, in questo disordine di vestimenti prendete compagne anche altre donne, e ^penando con voi li vostri fig li, ne andiamo in casa di Veturia la madre di Marcio. E ponendo i nostri fig li dinanzi le ginocchia di essa, e lagrimando ; scongiuriamola che impietosita di noi non colpevoli di male niuno, e della patria ridotta in pericolo estrem o, vada al campo nemico ; e v i meni i suoi nipoti, la madre loro e noi tutte, le quali la seguiremo co* nostri figlioletti : e che interceditrice presso del fig lio , lo dimandi, lo supplichi a non fa re la calamit della patria. Lei piangendo e rimovendo lo; nascer fo rse alcuna compassione o mite pensiero in quest* uom o, che gi non ha s duro ed impene trabile il cuore da respingere fin la madre che ab braccigli le ginocchia. XL. Poich le astanti ne approvarono il dire; ella supplicando i numi di dare persuasiva e grazia alle istanze loro part dal tempio. La seguitarono le altre ; e prese dopo ci per compagne altre donne , ne andarono in

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lolla alla casa della madre di Marcio. Yolannia la mo* glie di Marcio seduta presso la suocera st meravigli bel vederle, e disse : E che possiamo noi fa r v i, a donne, che in tanta moltitudine venite ad una casa d i sciagura e di affezione ? E Valeria soggiunse: /f* dotte a pericoli estremi noi, con questi fanciulletli, veniamo a te supplichevoli, o Feturia, per implorare t unico e solo ajuto, e primieramente che abbi piet della patria non mai fin qui stata in man de' nemici, sicch non vogU soffrire che ora la libert le si tolga dai Volsci; seppur conquistando la patria la rispar micromio, non la struggeranno dai fondamenti. Dipoi per noi preghiamo e per questi miseri fig li, sicch non veniamo tra gli strazj degl inim ici, noi niente tee de medi accaduti. Se un cuor ti resta in parte aU m eno, clemente ed umano; deh! tu ne compassiona, p Feturia, tu donna, e tu partecipe de* diritti sacri, inviolati delle donne (t); prendi teco Folunniaf que sta ottima donna, e con essa i suoi fig li, prendi coi figli nostri pur noi supplichevoli a un tempo e ma gnanime , e vieni al tuo figlio, persuadi, insisti, n i dar fine alle suppliche , finch pe tanti benefizj tuoi non ottieni da lui che si rappacifichi co suoi citta dini, e rendasi alla patria che lo ridomanda: tu, ben l sa i , trionferai di lu i, che pietosof certo te non ispregier prostrata a suoi piedi. E tu riconducendo il figlio tuo alla patria, ne avrai, eom giusto , splendore sempiterno, perch l avrai liberata da tale
{>) Nell' sto della Religione comune.

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rischio e terrore: e sarai cagione a noi di essere ono rate presso degli uomini ; perch avremo sciolta la guerra ch non pot da essi dissiparsi. Parremo cosi le discendnti veramente delle fem m ine che mediatrici terminarono la guerra di Romolo co* Sabini ; e con giunsero duci e nazioni, e grande renderono di pic ciolo la citt (1). Magnfica sar l impresa, o Fetu ria , d'aver seco riportato il figlio , daver liberata la patria, salvate le sue concittadine ; e di lasciare ai posteri suoi luce indelebile di virt. Dacci, o Fetu ria , con cuore spontaneo e vivido questa grazia ; vieni , ti accelera ; poich grande, imminente il pe ricolo non ammette pi indugio, o consiglio. X LI . Ci detto , tutta in pianto, si tacque. E pian gendo pur esse, e pregando vivamente le compagne ; [Veluria, vinta dalle lagrime, dopo breve silenzio, disse: J^oi seguite , o Faleria, leggera e fiacca speranza ; promettendovi un ajuto da noi ; donne infelici. Ben abbiamo tenerezza per la patria , e volont di salvare i cittadini, qualunque mai siano; ma la potenza e la efficacia ne mancano per compiere ciocch vogliamo. Marcio , o F a len a , ne rifugge da che il popolo f di lui l amara condanna , ed odia tutta la casa in sieme colla patria. E ci diciamo, sapendolo da Mar cio stesso, non da altri; perocch quando soggiaciuto alla condanna venne iti casa in mezzo agli am ici, trovando noi addolorale, abbattute , co figli suoi Su le ginocchia, e che piangevamo, corri era giusto, e ( 1) Vedi 1. a, $ 45 , ivi ai espone dislesamente tale storia.

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deploravamo la sorte che ci soprastava nel perderlo ; gli fermatosi alquanto da noi lontano, insensibile come una pietra, e co sguardi fissi, partesi, disse, Marcio da voi, o madre, o Volunnia donna bonissima, cacciato dai suoi cittadini perch prode, perch amico della repubblica, e perch subito ha tanti travagli per la patria. Voi so stenete , come si conviene a femmine virtuose, tanta calamit, non facendo mai nulla d indegno, mai nulla di vile: consolandovi in questi fanciulli sulla mia priva zione , educateli degni di n o i, e della stirpe. Gli Dei concedano ad essi, uomini divenuti, sorte pi buona ; ma virt non minore. Addio. Io vado, e lascio questa citt che pi non cape gli onesti uomini. Addio numi .tutelari, e tu Vesta, paterna divinit, e voi quanti siete Dei di questo luogo. Appena ci disse, noi m isere, noi dal dolore impedite, scoppiando in gemiti, e percolendoci il petto portavamo a lui, per riceverli an cora, gli amplessi estrem i: ed io menava meco il maggiora de fig li, e la madre avevasi in braccio il minore. Quando egli, ritirandosi e rispingendoci, disse: .Da ora innanzi Marcio non pi sar tuo figlio, o ma dre, togliendoti la patria in esso il sostenitore della tua cadente et, n pi sar da questo giorno il tuo spo s o , o Volunnia: ma sii pur felice, un altro cercan dotene pi di me fortunato : n pi sar padre vostro o figli carissimi: ma orfani e solitarj presso queste cre scete fino agli anni virili. Ci d etto , n soggiungendo altro, n comandando, e non significando nemmeno ove andasse, usci t di casa , o donne , solo , senza servi, in disagio , senza portare seco dell' aver suo

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neppure il vitto d i un giorno. E gi volge F anno quarto eh egli fugg dalla patria, e riguarda noi tutta come straniere, niente scrivendo , niente mandandoci a dire, e niente volendo di noi risapere. Or presso un cuore s duro, si impenetrabile , o Valeria , qual fo rza avranno le preghiere di tua alle quali non dava, partendo F ultima volta, non un amplesso, non un bacio t non significazione niuna di affetto ? XLII. Che se tuttavia domandate voi questo , e vo lete in tutto vederne umiliate ; concepite, che io 0 Volunnia a lui ci presentiamo cofigli. Quali discorsi io m adre, dirigo la prim a, quali preghiere porgo al m io figlio ? D ite , ammaestratemi. Chieder che pen doni a suoi cittadini da quali ( e senza che offesi gli /messe ) fu privato della patria ? Chieder che inte neriscasi 0 compassioni la plebe , che su lui non seppe intenerirsi, n i compassionarlo? Che abbandoni e tra disca quelli che esule lo hanno raccolto, 1 quali seb bene malmenati gi un tempo da lui tanto e s f * Talmente, pur non F odio gli mostrarono di nem ici, ma la benevolenza di amici e di congiunti ? E con quat cuore pregher, io mai questo mio fig lio che amasse chi lo sterminava, ed oltraggiasse chi lo sai* vaia ? Non sono questi i discorsi di una madre savia al suo fig lio , non di una moglie al marito : n voi ci astringete, o donne, che imploriamo da lui cose non giuste presso degli uom ini, n pietose presso gli Iddi: piuttosto lasciate noi misere nella umiliazionet ove siamo per la sorte , senza che noi pure svergot* gniamo pi ancora noi stesse,

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XLIII. Taciutasi le i, surse ua tanto lamentarsi di fmmine, e tale un pianto ne rimbomb, che udendo*' sene i clamori per gran parte della citt, si empierono di popolo le vie d.intorno la casa. Poi rinovando Va leria pi lunghe e pi commoventi preghiere, le altre donne, com erano congiunte di amicizia o di sangue con 1 una o l altra di loro, supplicavano ancora in atto di strngerne le ginocchia. Tantoch non pi resi stendo per l afflizione fra tanto piangere e supplicare ; cedette infine Veturia , e promise di andarne oratrice per la patria co' figli e colla moglie di Marcio, e con quante cittadine voleano. Racconsolatesi allora vivamente, ed invocati i numi a favorire le loro speranze , parti rono dalla casa, e nunziarono ai consoli il fatto. E questi, lodandone la buona volont, convocarono ed interrogarono i padri, s fosse da concedere che le femmine uscissero. Or molto, e da molti se ne disput; tanto che giunti a sera dubitavano ancora ciocch fosse da fare. Dicevano molti non essere piccolo cimento per mettere che le donne andassero co figli al campo dei nemici; imperocch se questi, spregiando le leggi sacre degli ambasciadori e de* supplichevoli, volessero che le femmine non pi ritornassero, prenderebbono Roma aenza combattere. Pertanto consigliavano che si lascias sero andare a Marcio solamente 4e donne che a lui si appartenevano insieme co 6gii. Altri pr giudicavano che non si concedesse che andassero nemmeno queste ; anzi -esortavano di custodirle gelosamente, e di consi derarle come ostaggi sicurissimi, perch la citt non su*

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bisse grave disastro. Per l opposi to altri proponevano che si accordasse a quante donne volevano, di uscire , perch le donne congiunte a Marno , fornissero con pi dignit la mediazion per la patria. Dicevano che non succederebbe ad esse niente di sinistro; giacch ne sarebbero mallevadori primieramente i numi col favore santo de quali si moveano ad intercedere ; e poscia il duce stesso al quale ne andavano, come uomo puro ed inviolato in sua vita da ogni ingiusto ed empio at tentalo. Vinse finalmente il partito che accordava alle donne di andare, e con decoro amplissimo di ambedue; del Senato come savio, perch vide ciocch era a farsi il migliore, senza punto turbarsi al grande pericolo ; e di Marcio finalmente per la sua piet, perch fu confi dato, che niente oltraggerebbe-tal parte imbelle, espostasi a lui quantunque egli fosse nemico. Steso il decreto, e recatisi i consoli al Foro, e raccoltovi il popolo, essendo gi notte, vi palesarono il voler del Senato , e preor dinarono , che tutti al nuovo giorno accorressero alle porte per accompagnarvi le donne che uscirebbero. Essi frattanto, dieeano, che curerebbero quanto era d'uopo. XLIV. Era ornai lalba vicina; quando le donne por tando i figli loro , andarono colle faci, e presa in su^ casa Veturia , la condussero alle porte. I consoli alle, slite pule da tiro, e arri, ed altri trasporti mollissi mi , ve le acconciarono, e seguii onle per lungo tratto : le accommiatavano intanto i senatori ed altri in buon numero con auguri., con preghiere, con eocom;, l e dendone cos p dignitoso il viaggio. Come si pot dal campo distinguere, che donne , lontane ancora, si

L ifcR O vin.

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avanzavano , Marcio spedi de cavalieri per apprendere che fosse quella moltitudine, e perch dalla citt ne venisse. risapendo da loro che venivano le donne Romane co figli, e che innanzi di latte era la madre di lui, e la moglie co tgli suoi ; stup da principio che femmine potessero aver cuore di avanzarsi co figli senza guardie al campo nem ico, e darsi a vedere ad uomini insoliti, lasciata la verecondia conveniente a matrone ingenue pudiche , l paura del pericolo nel quale incorrerebbero, se questi volgendosi allutile pi che al giusto , volessero acquistarle , e giovarsene. Ma poscia* ch furono viine 4 deliber di uscire dal campo con alquanti verso la m ad re, comandando ai littori che quando le fossero dappresso deponessero le scu ri, e le abbassassero i fasci. Usavano i Romani questo rito quando i magistrati minori s incontravano co maggiori ; ed il rito persevera ancora. Osserv Marcio allora tal praticai, e rimosse tutti i segnali dell autorit sua ; quasi gli dovesse presentarsi ad una autorit maggiore : tanta fa la riverenza, tanta Isj sollecitudine sua per la piet verso la madre. XLV. Fattisi ornai vicini * si avanz la prima per riceverlo la madre, ahi I quanto miserauda, squallidi ne vestimenti , e logora gli occhi dal pianto. Come la vid e, Marcio , duro , imperturbabile fin allora contro tutti gli assalti, non pi valse persistere nel propo* sito suo: ma vinto dagli affetti del cuore umano corse, la strinse, la baci, la chiam con tenerissimi nomi: molto iagvimandone, e curandone ; la sostenne, mentre venuta meno abbandonavasi a terra. Soddisfatta la tene

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rezza sua verso la madre, ricevendo la donna sua che sen veniva co figli disse : Fornisti o Volunnia gli offiz j di ottima donna, vivendoti presso l mia geni trice: ed io godo come su dono dolcissimo infra tu tti, che non l abbandonasti nella sua solitudine. Dopo ci chiamato a s 1 uno e laltro de figli, e ca rezzatili come si conveniva ; si rivolse novamente alla madre, invitandola a dire per qual fine veniva: ed ella soggiunse che il direbbe, udendola tutti; giacch non chiederebbe se non giustissime coke. Lo esortava dunque che sedesse nel luogo appunto dal quale solea far giu stizia a suoi militari. Con piacere ud Marcio la propo sta , perch varrebbesi di assai pi ragioni per rispon dere alle istanze di essa, e darebbe da opportunissimo luogo fra la turba la risposta (i). Adunque recatosi al tribunal militare fe' da indi rimovere e calarne al pian* terreno la sedia , giudicando non dover lui tenersi pi alto che la madre, n con maest niuna contro di lei. Poi fatti sedere presso di s li pi cospicui de capitani e dei centurioni, e lasciando che intervenissero quanti volevano ; signific alla madre che incominciasse (a). XLYI. Yeturia, poste innanzi del tribunale la donna di Marcio co figli e le altre pi ragguardevoli tra le Romane, primieramente rivolti gli occhi alla terra pianse lungamente, e mosse tenera compassione negli astanti : poi raccogliendo s stessa disse : Le donne , o
( 1 ) Perch sarebbe siala risposta pubblica; udendolo chi voleva; e perch quel luogo stesso di dignit c di comando avrebbe ricor dato alla madre le obbligazioni che egli aveva co' Volsci. ( 3 ) Anni di Roma aC6 secondo Catone, a6 8 secondo Varone, e 4 8 avanti Cristo.

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Marcio figlio , considerando g t infortuni che su di esse piomberebbero se la citt divenisse de' nem ici, diffidatesi di ogn altro soccorso, poich tu davi le si dure, le s ostinate risposte agli.uomini che chiedeano un fine alla guerra ; queste donne , o Marcio co' figlioletfi, in questo lugubre apparato ricorsero a me tua m adre, ed a Volunnia tua sposa per supplicarci a non permettere che -avessero tanto male da le, pi che da ogn altro , esse che non ci aveano offeso punto n poco , e che grande ci aveano dimostrata la benevolenza nella nostra sorte felice, e viva nem meno la compassione quando ne decademmo. Noi ben possiamo testificarti che dat ora che tu lasciavi la patria, dalT ora che noi restavamo derelitte nella so litudine , e nel nulla, esse di continuo ci visitarono, ci consolarono , piansero al pianto nostro. Memori di tanto io e questa tua donna, coabitatrice m ia , non abbiamo gi ripudialo le loro preghiere, ma preso abbiam cuore di cercarli ; e pregarti, come ci addimandavano , per la patria. XLVII. G lei parlando ancora, Marcio ripigliava : madre ! se' tu venula per un im possibile, venendomi a chiedere, efie io tradisca quelli che mi hanno ri cettalo a quelli che mi bandivano, quelli che mi do navano i beni pi grandi fr a gli uomini a quelli che tutto il mio m involavano. Io pigliando questo coman do, dava mallevadori i genj ed i numi, che non avrei tradito gli ospiti miei, n finita la guerra se cos non fo sse piaciuto a lutti i Volsci. Pertanto adorando g t Jddii su' quali giurai, riverendo gli uomini a quali

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vincolai la mia fe d e , guerreggia fino alla decisione co Romani. Se renderanno ai Volsci le terre che ne possiedono colla forza ; fe sa amici se ne faranno , accomunando ad essi tutto, come co Latini ; deport le Ormi: altrimeri te mai contro di essi le deporr ! Voi dunque andatene, o donne, riferite ai vostri un tal dire, e persuadeteli a non pretendere ingiusta mente l a ltru i, ma contentarsi del proprio, quando altri lascia che lo abbiano. Non aspettinocche si ri tolga loro colla guerra , quanto colla guerra usurpa rono ai Volsci; perocch li vincitori non saranno gi paghi di ricuperare i lor b en i , ma vorranno quelli ancora de* vinti. Se ritenendosi, e difendendo ostina tamente ciocch lor non si spetta, vanno incontro ai pericoli, accusino sestessi, a non Marcio, e non altri de mali che piomberanno su loro. E tu dall altra parte , o m adre, io figlio tuo le ne prego , non mi sollecitare a cose non degne, n giuste; n, unendoti a miei e tuoi malevolissimi, voler credere a te con ti'arf quelli che ti sono per natura amicissimi : ma standoti, coni ragionevole, presso m e, vogli riguar dare per patria quella che io riguardo, e possedere per casa quella che io possiedo, e godere con me gli onori m iei, e la mia riputazione, presi per parenti, per amici e nemici tuoi, quelli appunto eh io pren do mi. Bandisci, o m isera, l affanno sostenuto finora per la mia fuga , e cessa in tale tua form a di afflig germi. Gli altri b en i, o madre , pi belli della spe ranza,jpi grandi del desiderio mi son dati d ii numi, e dagli uomini. L affanno che io prendea su te, non

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contraccambiandoli col nudrirti n senili tuoi giorni, diffuso per le mie viscere,' amareggiava e levava la mia vita da ogni bene. Se meco ti rimani, se parte cipe ti fa i di ogni mia cosa; pi non mi mancher (alcuno tra i mortali.
XLYIII. E qui taciutosi lui , Veturia soprastando breve lempo finch cessassero le lodi che molle e grandi gli si fecero da circostanti, soggiunse: N on io, Marcio

figlio , ti voglio il traditore de' V olsci, che ricevitori puoi nell esilio , ti onorarono in tante guise , e ti affidarono il comando di sestessi ; n voglio che tu da te solo finisca senza il voto comune la guerra conti o i patti e i giuramenti, che facevi loro, quando prendevi larmata : n temere che la madre tua siasi d i tanta malvagit riempiuta ; che inviti l unigenito c carissimo figlio a cose, vituperose e non giuste: ma chiedo che tu levi col pubblico volo la guerra , ridu cendo i V lisci a temperanza, e ponendo U le due genti pace bella e decorosa. E ci sar fa tto , se al presente movi l armala e la ritiri, e fa i tregua per un anno ; perocch spedendo e ricevendo in questo tempo ambasciadori, procaccerai pace stabile, e vera amicizia. Tu ben sai che i Romani , se il disonore, o la impossibilit non lo vieta ; faranno vinti dalle persuasive ogni cosa : laddove violentali, come ora vuoi tu violentarli , non concederanno mai cosa pic ciolo o grande , come puoi tu convincertene da tanti esempj , ed ultimamente dalle cose concedute ai La tini che deposero le armi. I Volsci, dirai, sono assai pi pertinaci, come avviene ai gran fortunati. M a se

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ricordi loro che ogni pace vai pi della guerra; e che pi stabile quella che s fa per amicizia la quale rende i cuori pro p izf, che non t altra la quale p er necessit si ricev: esser proprio da savi moderare la sorte, quando stimano averla; non per mai far cosa indegna nelle vicende infelici e meste ; se dirai loro gli altri documenti quanti sen trovano ( notissimi a voi che il pubblico maneggiate) per indurre a dolcezza e mansuetudine ; scenderanno dall alterigia ove sono , e concederanno che facci quanto credi a loro giove vole. Ma se ressteranno , se non ammetteranno il dir tuo , sollevati dalle belle fortune provenute da te e dal tuo comandare, come sian queste immutabili ; rendi loro palesemente codesto tuo capitanato , n il traditore sii di chi te lo affidava , n il combattitore de congiuntissimi tuoi; c o s e t ima e l altra inde gnissime. Queste sono, o Marcio fig lio , le cose che .io vengo a supplicarti che sian fa tte da t e , non im possibili come tu dici, ma pure da ogni rimorso di ingiustizia , e di malvagit. XLIX. Tu temi ( sono questi i titoli che vai ma gnificando col discorso) tu temi . incorrere se fai quanto consigliati, la. taccia rea come dr ingrato verso i tuoi benefattori, i quali ti accolser nimico , e ti ammisero a tutti i loro b en i, quali se gli hanno co loro che nacquero cittadini. Ma d ; non hai tu re fl uto loro il moltiplice e bel contraccambio ? non hai superalo i benefizj loro coll amplitudine immensa dei tuoi? Costoro che leneano pel sommo e pel pi amabit de beni viversi liberi nella patria ; gli hai tu ri-

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dotti quatti non solo arbitri stabilmente di sestetti , ma tedi infine da bilanciare , se tornasse lor meglio, d i abbattere la potenza de" 1Romani, o di partecipare ugualmente alla repubblica che Roma ha fondato. Lascio di dire con quante spoglie abbi ornato le loro citt per la guerra, e con quanta ricchezza premiato quelli che vi militavano. E questi, tali per te dive n u t, questi giunti a tanta prosperit, credi che non cheteransi ai beni che conseguirono , ma che ti si adireranno , ed inimicheranno , se non spargi,per le mani loro il sangue della patria? Certo io noi credo. Soprawanzami ancora u n .altro discorso , validissimo se colla ragion lo discuti,. ma fiacchissimo se col+ l'i r a ; ed , che non giustamente da te si odia la patria. Imperocch quando diede su te la non giusta sentenza, n la patria era sana, n amministrata col proprio governo; ma lla era in fe rm a e sbattuta da turbine tempestoso; n tutti allora ne ebbero il voler medesimo, ma solo i pi tristi, eccitati da scellerati motori. E quando, pure fo sse cos piaciuto a tutti , non che ai pi scellerati, e tu fo s s i stato espulso , conte chi non bene amministra le pubbliche cose ; nemmeno in tal naso ti,si converrebbe perseguitar la tua patria. A d altri occorse, e non pochi, tutto che governassero per lo meglio , d i subire le uguali vi cende : e rari sono, contro la virt m anifesta-dei quali non soffiasse la invidia ingiusta degli emoli : ma tutti i , valentuomini, o Mqrcio , sostennero la sciagura con mansuetudine e con moderazione, e tra*
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smutaron citt, .dimorandovi , non' infestando la pa tria. Cos pur fece Tarquinio ( questo un domestic esempio, e dee bastarti ) quel Tarquinio io dico , che chiamavasi Cllatino. Jl quale dopo avere libe rato i suoi d tira n n i, calunniato di brigarne il ri torno, ed espulso ancor esso, n visse odiando quelli che espulso lo aveano, n port guerra al suol natio rimenandovi i suoi tirarm i, ri rend V opere sue prova innegabile delle accuse ; ma ritiratasi a Lavi n ia , citt madre di R om a, vi pass la et che re statagli benevole sempre, ed amico della patria. L. Ma poniamo p u re, e concediamo , che gli ol traggiati non distinguano , se chi fece il male siasi amico o nimico , e sdegninsi con tutti ugualmente. Non hai tu riscosso pene che bastino dagli offensori, volgendo in pascoli le fecondissim e , loro campagne , saccheggiandone le citt confederale che possedeansi a costo di tatui travagli, e tenendoci ornai da tre anni in tanto disagio di viveri ? che spingi V aspra e farnetica tra tua fino a rendere schiava , o stermi nar la tua patria ? perch niente hai riverito i se niori che t inviava il Senato per offerirti l assolu zione dalle imputazioni, ed il ritorno in patria, uo mini tutti amici e da bene che a te venivano'? e niente i sacerdoti che in ultimo ti sped Roma , ve nerabili tutti per et, li quali portavano e sprgearto i divini simboli di pace, e gli hai rigettati ; dando loro, come ai vinti, risposte dispotiche ed inaltera bili ? Certo io non so come lodare tali d u re, tali superbe maniere , le quali si discostano dalla cond

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zion dei m ortali, vedendo fr a tutti gli uomini per le mancanze vicendevoli le m ediazioni, e le discolpe , i simboli di pace, e le preghiere; e gli offensori stssi andarne supplichevoli all offeso. E gl Jddii ne diedero questo costume onde un cuore sdegnato si am mansa ; ed in luogo di odiar / inimico, ne impieto sisce. In opposito io vedo che gli orgogliosi, che quei che spregiano le preghiere de supplichevoli, cor rono alC ira de'' numi ed alla sciagura finalmente. Certo gl Iddii istituirono e ne dierono tale costume, essi i primi perdonano, e fa c ili si rappacificano ; e molti, si placarono gi pe voti , e pe sagrifizj verso di uomini, lontani per grandi reit da loro. Quando o Marcio tu non vogli che l ira de celesti sia mor tale , ma immortale quella degli uomini ; fa ra i con rettitudine e con dignit tua e della patria, se ne condoni gli errori, essa gi correggendosene, e piar candotisi, e rendendoti quanto prima ti levava., LI. Che se implacbile ti rimani , rendimi questo depositai questo benefizio} i quali niun altro pu ri peterti , e pe quali hai tu non le minime , ma le amplissime e pregiatissime d o ti, onde tutto ottenesti, rendimi il corpo tuo e V anima. Derivate le hai que ste da me ; n luogo o tempo , n beneficenze , n grazie di Volsci o di altri mai tanto eccederanno e saliran fino ai cieli ; che tu possi cancellar la natu ra, n piti udirne i diritti. Mio sarai pur tu sempre, e sempre il bene del vivere a me dovrai per la pri m a , e fa ra i senza scusartene quanto ti addimando. Ci prescrive la natura ai viventi che sentono e che

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ragionano ; e d i ci confidata pur io , ti supplico o Marcio figlio a non portare guerra a lla patria ; e qui sto per oppormiti se le fa i violenta. > O me tua madre che mi ti oppongo sagrificherai prim a d i tua mano alle fu r ie , e cosi darai principio alla guerra; o se temi la infamia d i matricida, cedi o figlio alla madre tua ; dam m i, che il p uo i, questa grazia. Se questa legge che niun tempo ha mai tolto, m i assiste> m i protegge, non giusto o Marcio che io sola sia da te priva degli onori che essa mi concede. Ma la sciando questa legge , ricordati la tanta e gran seri de'miei benefizj. Io prendendo a curar te fanciulletto, orfano del padre tu o , vedova me ne rim asi, e gli stenti tutti soffersi onde allevasi, madre tua non solo , ma padre in un tempo , educatore, e sorella dimostrandomiti, ed ogni altra specie di teneri og getti. Divenuto tu grande, potendo io liberarmi dalle cure , maritandomi ad a ltri, e darmi nuovi fig li e nuove speranze sostenitrici della vecchiezza; non volli, ma restai ne* tuoi lari dom estici, contenta della vita medesima, e ristringendo a te solo ogni mia conso lazione, ogni bene. D i questi me ne privasti tu, parte d i voler tu o , parte senza volerlo, rendendomi infe licissima tra le madri. E qual tempo, da che toccasti r et virile, qual tempo io vissi mai senz agitazioni e terrori? e quando ebbi mai f anima tranquilla so pra di te , vedendo che accumolavi guerra a guerra, che passavi da battaglia a battaglia, e ricevevi ferito sU ferite ? LU. E quando ti desti alla repubblica ed al ma-

LIBRO VIII. 6g neggto de* pubblici a ffa ri , gustai farse io tua madre diletto alcuno ? Eh f Che ne divenni allora pi mi sera , mirandoti in meteo alla cip il sedizione. Impe rocch le tue provvidenze per le quali pi sembravi valere , e per le quali sostenendo i patrizj , 'spiravi indignatane centr del popolo , queste mi spaventa vano tu tta , considerando , per quanto tnui motivi tramutasi la sorte degli uornni: e sapendo dai tanti casi uditi che qualche ira divina traversa i valentuo mini , 0 la invidia umana li perseguita. E cosi non fo s s i sta ta , come io to fera troppo vera indovina, degli eventi! La civile invidia tassali, ti sopraffece, ti svelse dalla patria. I l resto della vita mia, se vita pu dirsi da che partendoti mi lasciasti eofig li lu i, pass tra questa desolazione r tra questo apparato, di lutto. Per tutto questo io che molsta mai non ti f u i , n ti sar finch vvo , ti prego che vogli serenarti una volta co' tuoi cittadini, e fin ir V ira acerbissima che nudri contro la pairia. E con c\i d i cosa i ti prego non buona per me sola, ma per ambedue. Per. te se ten persuadi , n scorri ad azioni non degne ; perch avrai l anima immacolata e libera da ogn ira, da gni terrore di fu rie persecutrici ,, e per m e 1 pi } perch la fa m a che men verr , mentre vivo, dai cittadini, e dulie cittadine, render beati i mei gir^ n i, e quella che m i sar dispensata come io .presa gisco, dopo m orte, render sempiterno il rato nome. E se dopo morte riceve alcun luogo le anime sciolte dacorpi ; non ricever gi l mia quel sotterraneo e tenebroso ove dicono che i demoni soggiornano ; n

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il campo che chiaman di Lete; mct Vetere sublime e puro, ove dicono , che albergano tori prspera e beata sarte i figliuoli de numi. E l divulgando F anima tnia la piet e le grazie onde mhai riverita, ten chie der per sempre dagl Iddi la degna: ricompensa. . LIII. M a sa dispregi la madre tua y se inonorata la rim andi, io non so gi d ir ti, ciocch sarai per S o f f r i r n e , 'ma certo niente ti auguro di propizio. E sia che tutto il resto vadati a seconda; ben vedo che il dolore che seguir n mai pi lascer il cuor tuo per me e pe m ali miei, render la tua vita inutile a putti i beni: perocch Feturia spregiata s gravemente e inconsolabilmente in mezzo a tanti testimonj , non sosterr nemmen per poco di sopravvivere ; ma nel Cospetto di tutti v o i, am ici, e nem ici, mi uccider , lasciandoti vendicatrie mia , F orrido esecrazione e lo fu rie implacabili. D eh! che tede necessit m ai non tia > numi custodi dell imperio di Roma , ma inspi rate a Marcio pietosi degni sentimenti. E come al giugner mio rimosse le scuri, sottomise i fa s c i, cal la sedia sua dal tribunale al pian terreno, e parte dim inu, parte tlse affatto i distintivi che per legge fldornono i magistrati supremi, volendo a tutti fa r chiaroi'. che se essp agli altri soprastava, convengasi eh' a lui soprastasse la madre ; cos onorimi ora e anagfti/khi, e beneficando la patria comune, mi renda .d'infelicissima^ .felicissima fr a le donne. Che se non indegna, se legittima cosa ella mai che abbando n isi una madre ai pi di figlio ; prnder questa ed altre form a ancora di um iliazione, per salvare la patria.

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LIY. E cos dicendo, prostratasi ed abbracciatasi eoa ambedue le' mani ai piedi di Marcio, .li baci, Levarono al cader suo tutte intorno le donne acuti e lunghi ge miti. Non sostennero i Volsci presenti lo spettacolo in solito , e si rivolsero altrove. E Marcio alzatosi in un lampo da sedere, e chinatosi alla madre, la sollev che l'espirava appena, dalla terra; e tenendola, in un am, plesso , e. di lagrime inondandola , disse : Vincesti o

madre ! ma con una vittoria non per me fortunata n per le, la quale, hai salvato la patria, e perduto insieme il pietoso ed amantissimo tuo figliuolo. Cosi detto, s ritir ne' suoi padiglioni ; comandando che lo seguitassero la. moglie, la m adre, i figli : e vi si tenne tutto il resto del giorno , consultando con esse ciocch era da fare. Furono le risoluzioni: che n il Senato proponesse al popol , n il popolo decretasse nulla del suo ritorno , prima che si persuadesse a Volsci V amicizia e la cessazioii della guerra; Egli leverebbe e ritirerebbe V esercito, marciando come su terre di amici: Dato conto del suo capitanato, e dimostratine i beni; pregherebbe quelli che glie lo aveano co n fi dato, a volersi ricongiungere per giuste condizioni ai nem ici, ed incaricare lui perch vi fosse n patti t equit , senza nkina frodolenza. Che se protervi pei successi fe lic i noti accettasser la pace; egli si spoglierebbe del comando. In tal caso o non sosterrebbero essi di eleggere un altro per mancanza di buoni capi toni; o cimentandosi di affidare le forze ad un altro qualunque, imparerebbero a grande lor danno, ciocch era V utile a Jare. Tali sono le deliberazioni fra loro

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

tenute, e riconosciute per eque e giuste, e capaci presso tutti di buona fama, oggetto principalissimo delle cure del valentuomo. Ben erano essi agitati da un timido sospetto che la turba irragionevole speranzata di debellar 1 *inimi* co, delusane, alfine infuriasse; e senzammetter discorso trucidasse come traditore quel suo capitano: tuttavia deli* berarono dincontrare non pur questo ma ognaltro pi tetro pericolo, e serbare virtuosamente la fede. E poich il giorno piegava a sera; datesi vicendevoli significazioni di affetto > uscirono da' padiglioni, e quindi le donne tornarono a Roma. Espose Marcio agli astanti le cause che lo inducevano a scioglier la guerra, e preg lun gamente i soldati che gliel condonassero, e che tornati in patria, ricordevoli de suoi benefizj, noni permettes sero ssi compagni suoi, che subisse alcun reo tratta* mento dagli altri. E ragionate altre cose, tutte persua sive , comand che facessero le bagagjie t onde partire la notte seguente* LV. Come seppero dalla fama, percorsa* alle donne, d ie levavasi il pericol loro, uscirono lietissimi i Ro mani dalla citt per incontrarle; dicendo e facendo ora a cori, ora ad uno ad uno, salutazioni e cantici e trip u d j, quali gli fanno e li dicono quelli che da rischio terribile passano a prosperit non pensata.' Si men poi la notte tutta in feste e conviti: nel giorno appresso il Senato adunato da consoli su Marcio dichiar che si differisse in tempo pi acconcio a risolver gli onori da farsegli : ma che per lo zelo dimostrato si desse alle donne ne pubblici antichi registri un elogio che ne por tasse terna la memoria tra posteri, ed un donativo s

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qual sarebbe il p ii caro e prezioso per esse che lo ri cercano. Il popolo ratific li decreti. Consultatesi le donne fra loro , piacque ad esse di chiedere boti doni invidiabili, ma che il Senato concedesse loro di fondare nn tempio alla Fortuna Muliebre, ove 'porgessero pre^ ghiere pel popolose riunendosi facessero ogni anno sagrifizj nel giorno appunto in cui preduser la guerra. II Senato ed il popolo decret che se ne comperasse col pubblico argento e se ne consecrasse il luogo alla diva, e tempio quivi ed ara le si ergesse giusta il voto dei pontefici, e sagrificj a pubbliche spese vi si facessero , a quali desse principio una donna, che esse per la sant (unzione sceglierebbono (i). Dopo tale decreto del Se nato fa la prima volta eletta dalle donne sacerdotessa., Valeria, quella che propose la deputazione, e che per suase la madre di Marcio ad essere adjutrice loro nella impresa. Offersero le donne, dandovi cominciamento Valeria, il primo sagrifizio sullara fabbricata nel luogo santificato, prima che il tempio si ergesse, e la statua, nel mese di dicembre dell anno seguente, al primo giorno della luna,' che i Greci chiamano novilunio ed i Romani colende; ; giorno appunto che disciolse la
(i) Coriolano si approssim due Volle a Roma ; la prima volta si accamp presso le fosse dette Cluvilie in distatila di cinque mi g lia , e la seconda in luogo anche pi vicino a Roma. Silburgio scrive che in questo second luogd appunt fu eretto il tempio della' Fortuna M uliebre. A questa semenza sembra corrispondere quanto leggiamo nel 1. i , e. 8 di Valerio M assimo il quale sciive : F orta noe etiam muliebris simulacrum quod est via Latina ad quartun m illiarium , eo tempore cum aede sua consecratum quo Coriolaiium ai $xcidio urbis , maternae p resti repulerunl.

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guerra. Nell* altro anno appresso al primo sagrifizio, il tempio eretto a spese dellerario fu compiuto, e consecrato nel mese di luglio, il giorno settimo della luna, giorno che chiamasi tra Romani le none di luglio ; e -Virginio Proclo luno de consoli fu quegli che Io consecr. LVI. Ben sar consentaneo all'indole di una storia ed a rettificare quelli che pensano che gl Iddi n si dilettano di essere onorati dagli uom ini, n sen disgu* stano per le opere- empie ed ingiuste , dichiarare le signifcazioni, fatte in quel tempo dalla Dea non u n a , ma due yolte, come i libri narrano de pontefici: e ci per ch quelli che riveriscono circa la divinit le massi me degli antenati le custodiscano [con diligenza e co stanza; e quelli che le disprezzano, n credono i numi arbitri affatto delle cose umane, depongano principal mente questa massima su loro : e se incurabili non la depongono, tanto pi ne. sentan l ira ed il peso della miseria. Scrivcsi dunque : che avendo il Senato decre tato che si formasse la santa magione e la statua a spese del pubblico , le doone un altra ne fecero pi grande ancora co danari da lor contribuiti: e che essendo am bedue que simulacri dedicati nel primo giorno della consagrazione, luno di essi, quello appunto apprestato dalle donne, proruppe alla presenza di molte con voce ben intelligibile e chiara in alquante parole latine che interpretate in greco significano : Voi mi avete dato o matrone ai riti santi d i Roma. Or come suole 'acca dere circa le voci e le visioni impensate, grande fu tra le astanti il sospetto, se umana fosse, o del simu lacro la voce. Specialmente quelle, che intente ad altro

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4on aveano veduto d ii avesse allora parlato, te ne mo stravano incredule all* altre che veduto lo avevano. Quand ecco riempiutosi di bel nuovo il tempio, e fat* tovisi per pera della Dea silenzio altissimo , disse quel simulacro in raon pi forte le parole medesime ; tal ch pi dubbio non. vi rimase. Il Senato, ci udendo, decret che vi si facessero oggi anno sagrifizj pi so lenni ancora e santo culto, come i pontefici prescriverebbono. Le donne sul voto della loro sacerdotessa isti tuirono che mai n le vedove offerissero, n le bigame sovrapponessero corone a quel simulacro, ma che le sole spose novelle tutto ne avessero il servigio e lonore. O r tale istoria de paesani n convenivasi lasciarla ia tutto; n raccontarla pi a lungo si converrebbe. Ma ritorno col donde qui soeso il discorso. LV IL Dopo la. partenza delle donne dal campo, Marcio sull alba levato l esercito, lo ritir, viaggiando come su terre amiche. Giunto a campi de* Volsci, di spens, n on riservandone punto per s, tutt la preda a soldati, e li dimise, ognuno verso la sua casa. La m ilizia, gi compagna di lui ne cimenti, congedata ca rica di ricchezze, non ricev con dispiacere la iqterruzion della guerra , e favorendo il valentumo, . cscu savaio se non la ultimava, mosso dalle preghiere e dalla compassion della madre. Ma la giovent rimasta nelle c itt , tocca da invidia per le grandi prede fatte dall e* eercito, e delusa delle speranze che aveva, se prenden dosi Roma ne era fiaccato l orgoglio ; ne frem ette, e si esulcer contro del capitano. E finalmente assunti per capi della scelleraggine uomini potentissimi tra quelle

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genti, imbarbar, e commise on indegnissimo fatto. Isti* gavala soprattutto Azzio Tulio circondato da non pochi di ogni citt. Costui non potendo pi la invidia sua contro Marcio ; aveva gi da uu tempo risoluto di uc ciderlo occultamente e frodole'ntemente, se quel duce riuscendo ne disegni, e fiaccando Roma tornava dal sottometterla ai V olsci, o di darlo manifestamente ai suoi partigiani ed ucciderlo come traditore, se falliva nella impresa, e tornavane senza l intento. Ora ci fece appunto. Imperocch convocando gente non poca ; le accus quel valentuomo argomentando dal vero il falso, e conghietturando dalle cose gi state, quelle che non sarebbero mai : poi comand che deponesse il comando, e desse conto del suo capitanale. Duce costui delle truppe rimaste nelle citt, come ho detto di sopra, era larbitro di raccogliere le adunanze, e di chiamare chi voleva in giudizio. LVIII . Marcio giudicava non dover contrapporsi a niuna delle due intimazioni; solamente discordava nel metodo di soddisfarvi ; credendo che egli dovesse prima dar conto de fatti della guerra, e poi deporre, se cos paresse a tutti i Volsci, il comando. Affermava che non dovesse di tanto esser arbitra una sola citt corrotta in gran parte da T u lio , ma tutta la nazione^ raocolta in coraizj legittimi, ove fossero spediti deputati da ogni citt, come portava il costume, quando aveansi a discutere i grandi affari. Opponevasi a ci T ulio, ben vedendo che se Marcio, altronde parlatore, faceasi tra la pompa, di capitano a .dar conto delle tante e belle sue gesta trionferebbe della moltitudine; e non che su-

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bire le pene de traditori, ne diverrebbe pi. onorato e pi grande. Imperocch sarebbero per concedergli tutti che solo finisse a piacer suo la guerra , ed arbitro re alerebbe di ogni cosa. Adunque per molto tempo se ne suscitarono ogni giorno dicerie vicendevoli, e reclami in Senato, ed alterazioni vive nel Foro ; non essendo lecito a niun di essi far violenza all altro , garantito dalla dignit pari della magistratura. Or poich non da vasi fine alla disputa; 'Tulio comand a Marcio di venire in dato giorno a deporre il suo grado, e sotto mettersi ai processi di tradimento. E sollevati con lu singhe di benefizj, uomini audacissimi, e messili per capi della scelleraggiue indegna ; si port nel Foro de* stinato. Asceso nel tribunale accus Marcio con molte incolpazioni ; ed istig la moltitudine a degradarlo a forza, se spontaneo non lasciava il comando. LIX. Ascese Marcio anch esso per far le difese; ma i grandi clamori de seguaci di Tulio gli tolsero di par* lare. Dopo ci gridandosi : tira, fe risc i , lo circonda rono, e con nembo di-sassi lo uccisero uomini inso lentissimi. Ed essendo lui strascinato pel Foro>, quelli che erano presenti allo spettacolo , e quelli che vi so pravvennero dopo eh egli era spirato , deplorarono il valentuomo; perch non degna avea'da loro la ricom pensa. E ridiceano quanto bene avea fatto al comune , e 1 arrest voleano degli uccisori, perch dato aveano esempio di opera ingiusta, e lesiva delle, citt, spe gnendo senz ammetterne l difese violentemente un di lo ro , e questo, comandante. Ne fremeano soprattutto i compagni di lui nelle spedizioni. E poich non erano

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tati da tanto d impedirne i mali mentre viveva ; deli* berarono riconoscerlo de benefizi, almeno dopo la mor te; recando al Foro quanto alla debita onorificenza ri cbiedesi de valentuomini. Quando tutto fu pronto, col locarono lui con veste di capitano su letto vaghissima* mente ornato : poi facendo precedere quelli che reca* vani) le prede, le spoglie, le corone, le immagini delle citt prese da lui; ne sollevarono il feretro i giovani pi segnalati fra le armi. Lo portarono al sobborgo pi ragguardevole, accompagnandone il cadavere i cittadini tatti con gemiti e lagrime: e lo sovrapposero al rogo gi preparato. Immolarono poscia le vittime, e misero al rogo le primizie, quante in morte se ne mettono de monarchi e de comandanti. Li pi affettuosi verso del valentuomo si rimasero col finch la fiamma fu consumata. Raccoltene allora le reliquie le seppellirono appunto in quel luogo, ergendovi sopra coll opera di molti un alto e cospicuo monumento. LX. Questa fine ebbe Marcio: uomo il pi grande di tutti al suo tempo nelle armi. Continente da tutti i piaceri che trasportano i giovani, seguiva la giustizia non involontario per le leggi che forzano col timore de snpplizj ma spontaneo, come per inclinazione din dole bennata. Non tenea per virt non offendere; e bramava non solo di esser puro egli stesso da ogni malfare, ma credea giusto di astringervi anche gli altri. Magnanimo, liberale, intentissimo a soccorrere quando conoscevalo, il bisogno degli am ici, non era inferiore a niuno de patrizj nel maneggio del pubblico. E se la sedizione della citt non lo avesse impedito da' pubblici

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affari, forse Roma preso avrebbe da'regolamenti suoi grande augumento dimpero. Ma gi non pu farsi ch tu He le virt si uniscano nella natura di un uomo ; n da seme mortale e caduco sorger mai niuno per ogni parte perfetto. LXi. I I destino che propizio avea sparso in esso i germi di tali virt, ve ne taise altri ancor* di sciagure e di mali. Non era dolcezza n illarit ne suoi m odi, non degnevolezza ne' saluti e ne colloquj, non facilit di placarsi, non moderazione nell ira se contro alcuno la concepisse, n grazia infine, quella che adorna tutte le umane cose. Veduto lo avresti sempre difficile, e sempre acerbo. Nocquero a lui molto tali maniere, e soprattutto la severit sua smoderata, incredibile, e senza scintilla mai di demenza nella custodia del giusto e dlie leggi. Ma ben sembra vero il detto de filosofi antichi, che le virt specialmente quelle della giustizia , sono moderazioni, e non estremit de costumi : perocch sia che la giustizia manchi dal m ezzo, sia che lo ec ceda; non pi giova i mortali, cagionando talvolta gran danni, e riducendo a stragi miserande, ed immedica bili mali. N fu che la troppo sollecita e troppo austera esigenza del giusto la quale ridusse Mardo fuori della patria, e senza il frutto dell altre bdle sue doti. P o tendo piegarsi per alcuna maniera al popolo, e lasciare qualche cosa ai loro desiderj e divenire il primo fra loro; non volle: ma contrariandoli in qualunque cosa la quale ad essi non si dovea, se ne concit l odio, e fu cacciato dalla patria. Potendo, appena sciolse la guerra, lasciare il comando dellarmata, e trasferire al-

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trpve k sua dim or, fioche gli fosse conceduto il ri torno ftUa patria, an che esporre s stesso a nemici, ed alle stoltezze della moltitudine ; ne ride la necessit di farlo , . e non volle. Ma giudicando dovere affidare s stesso a chi gli aveva affidata l'arm ata, e dar conto del suo capitanato, e se trovavasi' reo di cosa alcuna ubirne le pene secondo le leggi; raccolse amaro il frutto di tanta giustizia. LXI1. Pertanto se col diaciogliersi de corpi anche l anima, qualunque cosa ella sia, si discioglie, n punto ne sopravvanza; io non vedo come chiamare beati quelli che non goderono della loro virt niun frutto, anzi per essa perirono. Ma se le anime nstre soprav vivono immortali adatto come pensano alcuni ; o qual che tempo almeno dopo la partenza loro dal corpo, il pi lungo quelle de' b uoni, ed il pi breve quelle dei malvagi (i); certo parr ben grande ai virtuosi l onore che li seguita. Imperocch sebbene la fortuna siasi loro contrapposta; avranno buona fama e lunghissima la ri cordanza tra viventi, come appunto accadde questo uomo. Perocch non solamente morto lo piansero e Io onorarono i Volsci come virtuosissimo ; ma li Rom ani, conosciutone appena il caso, riputandolo sciagura altis sima di Rom a, ne fecero privato e pubblico lutto. Le donne come usano in morte dei domestici loro amatis simi , lasciarono da uu cauto l o ro , la porpora , ed
(i) Il Vossio nel lib. i , de Idololitlria deduce da questo passo che Dionigi credetle che le anime esistono dopo la morte del corpo ma solo per un tempo limitalo j e per ci lo riduce nella classe di quelli che pensavano quanto alla duraiione delle anime come gli Stoici..

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ogni altro ornamento, e copertesi di negre vesti, me narono lutto per un anno. E volgendo ornai l anno cinquecentesimo da quell infortunio non caduta an cora la memoria di colui, ma si festeggia e si celebra come quella di un uomo giusto e pietoso. Tal fine ebbe il pericolo cbe minacciava i Romani dalla ' parte dei Volsci e degli Equi sotto gli auspicj di Marcio, peri colo il pi grande di tutti i precedenti, e che per poco non mand sossopra Roma dai fondamenti. LXIII. Pochi giorni appresso i Romani uscirono all perto ecra molta milizia guidata dai due consoli, e proceduti fino ai confini misero il campo su due colli, assicurando ciascuno fle consoli il suo su luoghi munitissimi (i). Tornarono per senza fare nulla di grande, quantunque i nemici ne dessero loro belle occasioni. Perciocch li Volsci i primi e gli Equi condussero l esercito sul territorio Romano, risoluti di non lasciare la occasione, e di piombar su nemici mentre sembravano ancora oppressi dalla paura, quasi fossero per sottomet tersi volontr). Ma nata disputa quale dei due popoli dovesse presedere nella spedizione; impugnarono le ar m i, e si attaccarono e combatterono fra loro senza re gola, senza comando, misti e confusi: tanto che grande ne fu la strage in ambe le parti ; e forse totale ne sa rebbe stata la rovina, se il sole non tramontava. Ma cedendo , loro malgrado, alla notte, che impedivali d contendere, separaronsi, ed alloggiaronsi ciascuno nel
( i ) A n. di Roma i 6 6 secondo Catone, 486 a v . Cristo.
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secondo Varrone, e
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proprio campo. La mattina i duci levando le truppe si ricondussero alle loro case. Udirono i consoli dai diser tori e da altri divenuti prigionieri col fuggire dalla bat taglia , qual furia e quale flagello divino fosse nelleser cito; non per colsero la occasione tanto a proposito per essi non lontani pi di trenta stadi, n gl incalza rono nella ritirata : nel qual tempo se essi freschi, in buon ordine, avessero perseguitato gli emoli stanchi, feriti, confusi, e gi pochi di m olti, di leggieri gli avrebbero totalmente distrutti. Sciogliendo aneli essi il campo, tornarono in patria sia che fossero paghi del bene dato loro dalla fortuna, sia che non fidassero su l armata loro non disciplinata, sia che assai valutassero il perdere anche pochi soldati. Ma giunti in citt vi furono vituperati, riportandovi fama di pusillanimi per tale condotta. N facendo altra spedizione, rassegnarono il poter loro a consoli susseguenti. LXIV. Presero l anno appresso il consolato Cajo Aquilio e Tito Siccio , uomini periti di guerra ( i ). E facendo questi proposizioni di guerra; il Senato decret che si spedisse un ambasceria per chiedere soddisfazione? secondo le leggi dagli Eroici, popolo amico e confede rat o , il quale aveva offesa Roma nel tempo della guerra de Volsci e degli Equi con prede e scorrerie su le terre contigue : e decret che intanto che ne avessero la risposta i consoli iscrivessero milizie quante ne pote vano , convocassero con messaggi gli alleati , ed appa recchiassero sollecitamente col mezzo di molti ministri
(i) An. di Roma 367 secando Catone, 369 secondo Varrone, 'e 485 av. Cristo.

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a rm i, grano, danari, e quanto necessario per la guerra. T ornati, esposero gli ambasciadori le risposte degli Ernici, i quali diceano non esservi pubbliche con venzioni tra loro e tra Rom ani, e che pensavano gi sciolte quelle che vi furono tra loro e tra Tarquinio , come detronizzato, e morto in terra straniera : che le prede e le incursioni non furono ingiustizie del pub blico, ma di privati intesi al guadagno: e che non do veano per nemmeno gli autori di quelle consegnarsi al supplizio: e lamentandosi che avessero anche gli Ernici patito altrettanto ; significavano che volentieri accette rebbero la guerra. Il Senato, ci udendo, decret che si dividessero in tre parli le nuove reclute descritte: che il console Cajo Aquilio marciasse colf una sugli Ernici gi in arme anch essi: che Tito Siccio, laltro console, ne andasse coll altra su i Volsci : che Spurio L argio, nominato da consoli comandante della citt , prendesse fa terza p arte, e guardasse le vicinanze di Roma : che tutti gli akt'i esenti gi da registri militari , ma buoni ancora a portare le arm i, si ordinassero sotto le ban diere, e presidiassero i luoghi forti e le mura di Ro ma , onde non succedessevi assalto improvviso di ne mici, standosi in campo tanta giovent: finalmente che fosse duce di questa milizia Aulo Sempronio Atratino, uomo Consolare. E tutte queste cose furono adempiute, n gi tra mollo tempo. LXV. Aquilio l uno de consoli trovando lesercito degli Ernici che lo aspettava nel suol Preneslino , si accamp dirimpetto di essi, quanto pi pot da vicino, in distanza di stadj dugento in circa da Roma. Nel

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terzo giorno da che si era accampato uscendo gli E r nici in ordinanza dagli alloggiamenti allaperto, e dando i segni della battaglia; anchegli cav le milizie a schiera a schiera, e con ordine contro di essi. Approssimatisi alzarono il grido della battaglia, e corsero e pugna rono prima i soldati leggieri col trar degli archi e delle fionde, restandone molti feriti in ambe le parti, e poi li cavalieri piombarono a squadroni su cavalieri, e com batterono fanti con fanti per coorti. Era 1 azione vivis sima , sostenendola gli uni e gli altri con ardore; e gran tempo si restarono nel luogo dove si erano schie rati senza che gli uni cedessero agli altri. Se non che cominci poi la legione Romana ad abbandonarsi come astretta , allora dopo molto tempo, a combattere. Aqui lio ci vedendo comand che fresche milizie, a ci ri servate , sottentrassero ove la legione pericolava, e che i feriti e spossati si ritirassero dietro di essa. Gli Ernici osservando un tal moto ne Romani lo crederono un principio di fuga : ed animandosene a vicenda scagliaronsi con schiere dense alla parte che vacillava dei nemici. Li riceverono i Romani freschi delle riserve, e ritorn forte, come in principio la battaglia, accalorane dovisi animosamente ambedue; tanto pi che gli Ernici ancora erano' rintegrati da capitapi con schiere fresche da supplire le affaticate. Era il giorno ornai verso la sera quando il console eccitando i cavalieri a portarsi appunto allora da valentuomini, ne prende il comando egli stesso, e gli avventa contro lala destra de nemici. Questi tengono fronte alcun tempo, ma poi piegano ; e grande si fa quivi la strage. Pertanto il corno destro

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delli Ernici abbandonasi, e lascia la battaglia. Opponevasi il sinistro ancora e pressava il corno destro de Ro mani: ma tra poco cedette anch'esso; perocch Aquilio accorse ancor ivi col fiore de giovani animandoveli ed eccitandoveli a nom e, essi gi soliti a segnalarsi ne con flitti. E dove le coorti non pareano combattere con ar dore egli levando agli alfieri i vessilli, gittavali in mezzo al nemico, perch la paura, se non li salvavano, della pena della legge, le necessitasse al coraggio. Egli assi st sempre dovunque la parte su pericolava finch cac ci di posto anche l altro corno. Scoperti i fianchi; nemmeno il centro pi resse. Gittaronsi allora gli Er nici a fuga turbata e disordinata verso gli alloggiamenti. Gl inseguirono i Romani uccidendo ; e tanto per tale conflitto si accesero, che alcuni tentarono infino di ascendere il vallo nemico quasi per espugnarlo a primo impeto : ma il console vistone limpegno n sicuro n utile, e fatta intimare la ritirata, stacc gli assalitori sebbene in vol ontari dalle trincee ; temendo che se fos sero investiti di sopra dovessero alfine levarsene con in fmia e danno grande, e perdervi la gloria della vitto ria gi riportata. Allora dunque i Romani, essendo gi il sole per tramontare, tornarono esultando e cantando agli alloggiamenti. LXVI. Si ud nella notte seguente dal campo degli Eroici strepito grande e voci, vedendo visi insieme assai Itimi. .Disperando essi di resistere tra nuova battaglia aveano risoluto di ri tirarsene anche senza comando ; e questa era la causa del clamore e disordine. T u tti, se condo che aveano potere e velocit, fuggivano, chia-

86 D E L L E A N T IC H IT R O M A NE mand e chiamati senza attendere punto i pianti e fe suppliche di quelli che abbandonavano per le ferite e pe morbi. I Romani ignari di ci, sentilo avendo innanzi da' prigionieri che verrebbe un altro corpo a soccorrere gli Ernici, e pensando eccitate le voci e lo strepito ap punto dall' arrivo di esso diedero di piglio alle arme ; e cingendo gli alloggiamenti perch ira la n o tte non se ne tentasse 1 assalto, ora destavano fragore d arme, ed ora come si attaccassero , alzavano il grido cupo dell battaglia. Ci raddoppiava il terrore negli Ernici, e quasi fossero inseguiti danemici, correano sparsi chi per una e chi per altra via. Sorta Jalba, quando i ca valieri spediti ad esplorare annunziarono* che non solo non era giunto sussidio alcuno agli avversar}, che anzi quelli stessi che aveano combattuto nel giorno antecedente fug givano ; Aquilio cav larmata ed invase gli alloggiamenti nemici, pieni di giumenti, di vettovaglie e di arme; im padronendosi insieme de feriti, numerosi nommeno dei fii ggitivi. Quindi spedendo la cavalleria su quelli eh er ravano sbandati per le strade e per le selve, fecene molti prigionieri r e pei scorse depredando impunemente le terre degli E rnici, senza che alcuno osasse pi di contrapporsegli. Or ci quauto fu operato da Aquilio. LXVII. Tito Siccio laltro console spedito contro dei Volsci scaric sul territorio Veliterno la parte pi po derosa dell esercito ; perch ivi si stava con fiorentissime schiere Azzio Tulio il duce deVolsci deliberato, come fe Marcio quando ruppe la guerra , d infestare prima le terre degli alleali de Romani , sul concetto che sentissero anche in Roma listessa paura , n fossero per mandare

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alcun soccorso a citi pericolava per essi. Apparse, e ve dutesi ; attaccaronsi le annate immantinente. Era il luogo intermedio agli eserciti, ovessere dovea la battaglia, elevato, sassoso, e dirotto in pi parti ; tanto che niente varrebbevi la cavalleria dell uno o dell altro. Or ci vedendo i cavalieri Romani e credendosi vituperevoli se presenti alla zuffa nulla vi conferissero, andatine in buon nu mero al console , chiesero, se bene glie ne parea, che si concedesse loro di scendere da' cavalli, e combattere a piede : ed il console, lodatili ampiamente, fe che smon tassero e stessero schierati con esso per esplorare , e soc correre quelli che pericolavano. E questi Romani furono la cagione della vittoria tanto luminosa che si riport. Perocch la fanteria delluno e dell'altro somigliava mol tissimo per numero, per arm e, per ordinanza, e peri zi a di uomini nel combattere, avanzandosi o ritirandosi, ferendo o difendendosi; per essere i Volsci, quando ebbero Marcio per capitano, passali dalle arti proprie di guerra a quelle de Romani. Per tanto le due solda tesche rimasero gran tratto della giornata senza vincersi, quantunque il luogo ineguale offeriva per sua natura molte opportunit per le quali gli uni prevalessero agli altri. Quando i cavalieri Romani bipartendosi gli uni pre sero a fianco i nemici dal corno destro, e g li altri alle spalle col girarsi intorno del colle. Allora chi scagli lance su nemici u n iti, chi colle spade equestri assai lunghe li feri nelle braccia e ne cubiti, troncando a molti le mani cinte delle arme stesse di resistenza o di fesa, e chi molti, fermissimi ne loro posti, ne rovesci semivivi con. colpi profondi ne ginocchj e ne piedi.

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Sopraslava d ogn intorno il perco lo su Volsci ; peroc ch saveano li pedoni di fronte, e li cavalieri a fianchi ed a tergo. Ben presero cuore sopra le forze, e die dero molte prove di sperienza e di ardire; nondimeno nellala destra quasi tutti furono trucidati. Quei del cen tro e dellaltrala vedendo il destro corno gi ro tto , e venire al modo stesso i cavalieri Romani su lo ro , riti ra ronsi poco a poco in larghe fila verso gli alloggia menti. Ma seguendoli i cavalieri Romani, e giugnendo alle trncere; sorse un altra battaglia ardente e varia, perocch tentavano questi di ascendere in pi parti gli steccati. Ora essendone i Romani in travaglio, il con sole comanda ai fanti che portino materie ed eropian le fsse, ed egli s avanz, dov erane il passo, con i ca valieri pi gravi fino alle porte degli alloggiamenti, le quali erano munitissime. E respinti quelli che gli com battevano a fronte, e spezzati i: ripari delle porte ; en tr la uinciera e vi ricevette i fanti suoi che lo segui tavano. Lo attacc co Volsci pi robusti e pi arditi Azzio T ulio, e fece assai cose magnanime, bonissimo combattitore chegli era, quantunque non idoneo al co mando , ma in fine vinto dalla stanchezza e dalle fe rite , mor. Gli altri Volsci, espugnatone il campo, o resisterono e perirono ; o giitarono le arm i, e ricorsero alla piet del vincitore ; giacch pochi soltanto si erano salvati fuggendo alle case. Giunta in Roma la nuova pe'messa ggieri spediti da consoli inond gioja vivissima il popolo, e ben tosto decret sagrifizj di ringraziamento agl Id d i, e la gloria del trionfo ai consoli; non gi eguale per ambedue , ma la pi grande a Siccio, il

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quale sembrava di aver liberato la citt da pericolo mag giore , annientando l esercito insolente dei V olsci, ed uccidendone il comandante. Adunque entr costui la citt con le prede, co prigionieri, colle milizie compa gne , cinto di regia clamide, com usa ne trionfi pi insigni, e seduto su carro tirato da cavalli adorni di freni di oro. Aquilio ebbe il trionfo minore che chia masi ovazione ; ed io ho gi di sopra dichiarata la dif ferenza tra questa ed il trionfo maggiore ( 1). Egli en tr a piedi la citt conducendo il resto della sua pompa.' E cosi fin questo anno. LXVin. Succederoao dopo lro al consolato (2 ) Pu blio Verginio e Spurio Cassio che per la terza volta fu console. O r pigliando essi il comando militare e politico uscirono in campo: Verginio contro le citt degli Equi e Cassio contro quelle de Volsci e degli Ernici, dopo decise le spedizioni colla sorte. Gli E q u i, fortificate le citt, e ritirato tutto il pi prezioso dalle campagne, tra scuravano che loro si devastasse il territorio e vi dessero i casolari alle fiamme. Dond che a suo grandissimo agio Verginio lo percorse e lo danneggi, n compa rendo alcuno a combattere ne ritir 1 esercito. Gli Er nici e i Volsci contro i quali avea marciato Cassio, di segnando ancor essi di non curare il guasto delle cam pagne, eransi rifuggiti nelle citt. Non persisterono per ne* disegni : perocch vinti dalla compassione al mano mettersi delle terre loro bonissime, le quali non cos di
( 1 ) V e d i lib . q n in to $ 47-

(2) Anni di Roma a68 secndo Catone , 270 secondo Varrone, e

484 avanti Cristo.

QO

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leggeri /speravano di rivendicare, n fidando abbastanza a' luoghi forti nei quali si erano ricoverati ; spedirono ambasciadori per supplicare il consolo della pace. Fe cero ci primi li Volsci ; e ben tosto la ottennero ; dando largento multato dal console, e somministrando quanl altro bisognava all esercito ; dopo avere promesso che sarebbero i sudditi de Romani, n pi da tali acr (tordi si leverebbono. In ultimo gli Ernici vedutisi rima sti soli, trattarono col console di amicizia e di pace. Ma Cassio assai richiamandosi di essi con gli ambasciadori , disse, die prima doveano fa r quanto conviene ai vinti ed ai sudditi, e poi discorrer di pace; e soggiungendo gli ambasciadori che lo farebbono se moderata e possibile ne fosse la esecuzione, co mand loro che gli portassero in grasce i viveri di un mese, ed in argento la somma onde stipendiarne i sol dati secondo il solito per sei mesi: e definendo un nu mero di giorni entro cui potessero tutto apprestargli ; concedette intanto ad essi una tregua. Presentarono gli Ernici ogni cosa con prestezza ed impegno, e spedirono di bel nuovo i parlamentarj di pace. Li lod Cassio e li rimise al Senato. Ne deliberarono i padri a lungo; e piacque loro che si ammettessero questi allamicizia, e Cassio il console esaminasse, e decidesse le condizioni de trattati da conchiudersi. Approverebbero i padri ciocch egli ne stabiliva. LX1X. Prescritto ci dal Senato; Cassio tornando in citt chiedeva un secondo trionfo per aver sottomesso i popoli pi riguardevoli : arrogavasi per quest onore per le aderenze, piuttosto che di giustizia lo ricevesse.

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Imperocch non avendo n prese citt per assalto, n disfatti eserciti in campo aperto ; non potea menar seco in spettacolo i prigionieri e le spoglie che sono gli or namenti dei trionfi. Ma lo amare il piacer suo ; non le risoluzioni simili a quelle degli a ltri, gli concit subi tissima invidia. Impetrato il trionfo pubblic la concor dia , com aveala firmata con gli Ernici. Erano le con dizioni trascritte da quella conchiusa gi co Latini. Dicch molto si dolsero i pi provetti ed autorevoli, e tennero lui per sospetto, sdegnati che gli Ernici, estra neo popolo, fossero pareggiati di onore ai Latini loro congiunti ; e quelli che dato non aveano qeppur minimo segno di benevolenza partecipassero le cortesi retribu zioni di chi tanti dati ne avea. Soffrivano ancora di mal' animo la superbia di quest uom o, perch onorato dal Senato non aveali a vicenda onorati, fissando e pubblicando i patti come glie ne parve ; non di concerto comune coi padri. Cos la troppa felicit nuoce , non giova ; divenendo insensibilmente per molti cagione di orgoglio incredibile, e stntolo di desideri superiori alla natura; come avvenne a costui. Condecorato al lora dalla citt egli solo fra tutti con tre consolati e due trionfi ampliava l onorificenza su a, ambizioso del regio potere. Considerando per che la via pi sicura per chi ambisce il regno e la tirannide quella di guadagnare il popolo cobenfizj, e di costumarlo ad essere alimen tato da chi dispensa le pubbliche cose; a questa si ri volse , e senza manifestarsene ad alcuno. E perocch ci aveva un terreno amplissimo del comune ma trascurato e goduto da ricchi ; deliber di compartire questo trai

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popolo. E se contentato si fosse di procedere fin qui ; forse riuscito sarebbe nedisegni. Ma trasportatosi a trop p o ; cagion sedizione non picciola, e fine sciaorato a sestetto. Imperocch presunse congiungere alla division del terreno non pure i Latini ; ma gli E rnici , ricevuti ultimamente per cittadini. LXX. Tali cose ideando a conciliarsi quelle nazioni, convoc nel giorno dopo il trionfo il popolo a parla mento. Quindi asceso in tribuna com l uso de trion fatori , prima di conto delle opere sue, delle quali era la sostanza : che fa tto console la prima volta vinse i

S abini, e li rend sudditi a Roma alla quale dispu tavano il comando : che fa tto console per la seconda, racchet la civil sedizione, e restitu la plebe alla pa tria : e ridusse amici e compartecipi della cittadinanza di R o m a , i Latini che erano consanguinei, ed emoli eterni delJt impero e della gloria di lei; tantoch non pi la contrariarono, ma riguardarono Roma come patria loro.. Chiamato la terza volta al consolato ne cessit li Volsci ad essere am ici, di nemici che erano, eolie arm i, e sottomise spontanei gli Ernici, popolo vicino, grande, potente, ed attissimo a nuocer mollo, o giovare. Esponendo queste e simili cose chiedeva al popolo che attendesse a lu i, provido soprattutti ora e per sempre della repubblica, e chiudendo il discorso disse che farebbe e tra non moltQ tali e tante benefi cenze che supererebbe quanti erano encomiati di aver amato e salvato il popolo. Disciolta 1' adunanza invit nel giorno appresso a raccogliersi il Senato sospeso e Umoroso pedetti antecedenti di lui. Prima di ogni altra

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cosa propose iin tal suo sentimento tenuto occulto alla plebe, e chiese ai padri che giacch questa era stata si utile per la libert dando mano a farli dominare su gli altriprendessero cura-di'lei e le .dispensassero il ter reno,, pubblico in sestesso per essere acquistato colle arm i, ma , goduto in fatti senza niun dritto da patrizj impudentissimi : e poi chiese che si rendesse dal pub blico tesoro a quelli che ne avevano comperato, il prezzo del grano, che spedito da Gelone tiranno di Siracusa in dono, doveva anche in dono dispensarsi tracittadini. LXXI. Fecesi, mentr egli parlava ancora , strepito , grande, odiando e ripudiando tutti quel discorso: e poi che tacque ne fecero moltissime accuse come se richia-r masse la sedizione , Verginio il collega suo nel conso lato , li senatori pi provetti e venerandi, e. pi che tutti Appio Claudio; continuando molte ore ad esaspe rarsi ed ingiuriarsi veementissimamente fra loro. Ne'giorni dipoi Cassio tenne concioni consecutive, e catiivavasi il popolo, e parlavagli della partizion dei terreni, e molto accusava presso lui chi vi si opponeva. Ma Verginio adunandolo ogni giorno, apparecchiava co voti comuni del Senato guardie ed ostacoli a forma delle leggi. Avea ciascuno gran folla che seguivali e difendeane le per sone : era con Cassio la parte indigente, svergognata , audacissima : ma gl ingenui e puri teneansi con Vergi nio : dond che la parte men buona come pi estesa di numero prevalse talvolta su laltra nelle adunanze : ma pi le si ridusse eguale; accostandosi i tribuni al partito migliore ; sia perch non riputassero spediente rendere la moltitudine corrotta, scioperata, malvagia con

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largizioni di argento, o partizioni di pubblici b e n i, sia per invidia, giacch un altro proponeva la beneficenza e non essi, capi del popolo, sia per paura ( e niente rieta pensarlo ) che l ingrandimento di quest uomo cre scesse pi assai di quello he giovasse alla patria. Co storo dunque si opposero validtssimamente nelle adu nanze alle leggi di Cassio ; convincendo il popolo che era ingiusto che i beni da esso acquistati con tante guerre fossero non de Romani soli, ma de' Latini in sieme che niente vi aveano combattuto, e degli Ernici, recentissimi amici, pe quali ben era assai che vinti non fossero spogliati de proprj terreni. Il popolo che ascoltava, ora aderivasi ai tribuni considerando che pieciola n degna di considerazione sarebbe la parte di cia scuno , se divideansi le terre co Latini e cogli E rnici, ed ora secondava di bel nuovo le aringhe di Cassio , quasi i tribuni tradissero la moltitudine ai patrizj. Im perocch se coloro davano per titolo specioso della op posizione la partizione eguale co Latini e cogli Ernici ; Cassio dicea comprenderli nella legge per convalidare appunto la causa de poveri, ed escludere ehe potesse alcuno mai rivendicare i beni dispensati ; e giudicava partito pi sicuro e migliore per essi aver picciola parte ed eguale, che sperar molto e perdere tutto. LXXII. Con tali discorsi aringando e decidendo Cas sio pi e pi volte la plebe in contrario, fecesi innanzi Cajo Rebulio, 1 uno de tribuni ; uomo non privo gi di senno, e promise calmare ben tosto le discordie dei consoli, e chiarire la moltitudine su quanto dovesse ella fare. E qui date a lui grandi acclamazioni} e poi fatto

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silenzio , disse : o Cassio , o Verginio , non sono i capi della legge controversa, primieramente se debbansi le terre del pubblico dispensare ad uno ad uno ai privati, e secondariamente se debbano parteciparvi anche i Latini e gli Ernici? E quelli: appunto, sog giunsero. E Rebulio ripigli: T u cerchi, o Cassio, che il popolo approvi col voto suo lu n a e t altra tosa. E tu , per D io , d , Verginio, d qual di queste non ammetti nel progetto di Cassio : quella fo rse su gli alleali, pensando che gli Ernici e i Latini non deb bano a noi pareggiarsi nella divisione? o Poltra forse, giudicando che non si debbano nemmeno tra noi ri partire i beni pubblici? rispondi, e nulla occultarmi. E replicando Verginio che egli contrariava alla divisione eguale co' Latini e cogli E rnici, ma che ammetterebbe la partizione tra cittadini, se cos a lutti ne paresse ; il tribuno volgendosi alla moltitudine disse: poich li due consoli convengono su l una delle. cose, ma discordah su r altra ; e poich sono degni ambedue di riverenza eguale, n pu ? uno fa re a ll altro violenza; facciamo per ora ciocch da ambedue ci si concede , e diffe riamo ad altro tempo ciocch resta ancora indeciso. Ed acclamando la moltitudine come bollissimo fosse il suggerimento, e chiedendo insieme che si levasse dalla legge il punto il quale manteneva le dispute; Cassio incerto che fare ; non volendo cangiar parere n po tendo oslinarvisi a fronte de tribuni che lo contraria vano dimise allora l adunanza. Ne giorni appresso fin tosi infermo non apparve nel Foro : ma tenendosi in casa adoperavasi di far valere colle mani e colla forza

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la legge. Pertanto convoc Latini ed Ernici pi che pot perch dessero il voto. Accorsero questi in folla ; tanto che tra poco la citt fa piena di forstieri. Av vedutosene Verginio f- per le vie proclamare che cbiun* que non aveva il soggiorno in citt ne partisse in tempo dato e n on lungo. Cassio in contrario fe bandire che restassero finch fosse ultimata la legge quanti erano partecipi ugualmente della cittadinanza. LXXUL Ma perciocch la disputa non piegava a niun termine ; i patrizj temendo che si venisse alle arm i, alle mani , ed a quanto suole accadere quando ne co mizi si discorda su di una legge proposta, tennero Se nato per deliberare in una volta su tutto. Appio, ri chiesto il primo del parer suo non accordava la partizhm delle terre t r a l popolo, dando a vedere come il volgo ozioso che abitava in R om a, costumato a divo rare i pubblici beni, ne diverrebbe molesto ed inutile, n pi lascerebbe al comune pubblici poderi o danari : dicea che ben era cosa da fa r vergogna s essi che

aveano accusato Cassio di progetti scellerati, dannosi, corruttivi, approvassero poi questi come udii, e giusti co9 voti comuni. Considerassero che i poveri divisesi le terre pubbliche, non sarebbero gi grati a loro se ci concedevano, e decretavano, ma solamente a Cas sio che ne avea fa tto il' progetto , e che sembrava necessitare i padri, anche loro malgrado, ad ammet terlo. E dette prima queste e simili cose, in ultimo consigli, che scelti i pi onorabili desenatori andas sero questi e definissero la terra che era pubblica, e riconoscessero , e ne restituissero al comune ogni parte

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che sottratta di furto o per fo r z a , serbatasi dai pri vati ai pascoli o per la coltura. Dividessero poi la terra fissata da essi in tanti fondi quanti poteasi, e la distinguessero con termini convenienti : esortava che ne vendessero principalmente la parte controversa dai privati, con condizione, che se questi la ripetevano, i compratori non dovessero litigarne a lor conto: che parte t affittassero per cinque anni : e che il prezzo proveniente dagli affitti si spendesse pe viveri delle m ilizie, e per gli apparecchi necessari alla guerra : diceva: ora giusta la invidia de7poveri verso dei ricchi, perch questi appropriatisi i beni del comune te li tengono. N fa meraviglia che tutti vogliano che i beni pubblici si dividano piuttosto, che solo pochi senza verecondia li possiedano. Quando ne vedranno esclusi quelli che ora se li godono, e le pubbliche cose al pubblico ritornate ; cesseranno d'invidiarci, e languir la insistenza per la divisione individuale dei terreni; perocch ben vedranno che pi utile la possidenza pubblica di tutto ci , che non la privata per piccicle particelle. N oi. mostreremo loro quanto sia questo divario; e come un povero che abbia un campo non grande, ma tristi vicini non potr colti varlo di per s stesso per la inopia, n trover chi lo prenda in affitto se non il vicino : laddove le grandi possessioni capaci di lavoro moltiplice e degno di un agricoltore, se affittinsi dal comune r porge ranno gran rendita. E mostreremo quanto sia meglio ai poveri che recansi in guerra aver stipendi e viveri
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dal pubblico erano, che al pubblico rario portarne dalle lor case. Non di raro stenterebbero dalla pe nuria , e specialmente quando sarebbero gravati dal soddisfare ai tributi. LXXIV. Avendo Appio dichiaralo tali sentimenti con approvazione manifesta e grande , interrogato il secondo Aulo Semproaio Atratino disse: Non prendo ora io per la prima volta a lodar Appio idoneissimo a colcolare da lontano il fu tu ro , e dar consigli sanissimi e bellissimi, uomo costante , ed immobile nesuoi giud iz j, che n per paura cede n piegasi per favore t ma sempre ne loder, e ne ammirer la prudenza , e la magnanimit sua contro de' pericoli. Quindi ia per me non propongo altro parere che il su o , ag giungendovi alcune picciole cose che a me sembrano da Appio pretermesse. Nemmen io penso che abbiami le nostre terre a dividere cogli Ernici e co' Latini ammessi di recente alla cittadinanza. Imperocch non possediam queste terre dappoich ne son essi,am ici divenuti, ma da tempo pi antico , tolte avendolo senza che niuno di essi ce ne ajutasse, con solo pe rcolo nostro ai nemici. Rispondiamo dunque loro che le possidenze nostre, quante ognuno ne avevamo quando stringemmo alleanza, debbono ad ognuna rimanere inviolabili. Ala quante ne guadagniamo dopo V epoca deir alleanza guerreggiando in comune; tanto sarati per sorte ripartite fra lutti. Or ci non dee porgere cagione legittima et ira agli alleati perch non oltraggiali; n paura al popolo di sembtare di ante porre ? utile a lf onesto. Consento pienamente alla no*

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,mina dei deputali die Appio vuole che definiscati^ le terre del pubblico : perocch tal cosa ci render4 pi liberi sopra de cittadini, li quali di presente rat tristatisi per ambe le cose ; vuol dire perch essi non godono niente delle terre pubbliche, e percli intanip se le godono altri ingiustamente. M a se le vedranno restituite al comune , ed applicate le rendite loro ad usi pubblici e necessarj, concepiranno che niente ri levi per essi aver parte nelle terre o n ell utile ch& ne. proviene. Tralascio di dire che alcuni poveri com piaccionsi delle perdite altrui pi che d eli utile loro. M a non basta , q penso, che alleghisi lu n o e Poltro titolo nel decreto : penso che dobbiamo noi affezio narsi e ristorare il popolo per altra onesta condiscetir d enza, la quale indicher poco appresso, quandi avr dimostrato la causa anzi la necessit per cui dee cos farsi. LXXV. Voi ben sapete i discorsi tenuti dal tribune n e li adunanza, quando interrog Verginio il consolej qual cosa pensasse della divisione delle terre pubbli che, se ammettesse che si dispensassero ai cittadini bens non qgli alleati, o se riprovasse che noi pure a sorte ci ripartissimo i beni del comune : sapete coni egli accord che si dividessero tra cittadini se paresse a tutti ben fa tto ; e come tale concessione rend favorevoli a noi li tribuni, e mansuefece la plebe. Perch dunque leveremo ora ci che abbiamo gi conceduto ? E che gioveranno i belli, i generosi stabilim enti, e sieno pur degni del governo , se non persuadiamo su di essi il popolo che debba osservarli?

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ora noi mai noi persuaderemo questo popolo ; e niuno di voi se lo ignora; imperocch deluso nella speranza non riportando ciocch a lui f u promesso , assai pi ci si opporr che se avuta non avesse alcuna pro messa (i). Verr di bel nuovo chi gli lusinghi, e trasporti ; n pi niun de tribuni con noi si terr. Udite dunque ciocch io vi esorto a fa r e , e ci che aggiungo ai pareri di Appio : ma non v i movete , non vi turbate prima di udir pienamente , quanto io sono per dire. Incarnate quelli che saran deputati per la ricognizione e limitazione delle, terre, sian essi dieci o quanti ne volete , a determinare quale e quanta fia la terra pubblica, la quale aumenti le rendite del comune con gii affitti quinquennali ; e quale e quanta sen dee compartire tra l popolo. E la terra che diran divisibile,. quella , voi stessi pigliandone cura , divi detela tra tu tti, o tra quelli che non hanno campagna o poca s o la m e n te o comunque meglio ve ne sembri. E perch breve il tqmpo che resta pe' consoli pre senti , lasciate- che li consoli nuovi abbiano cura di quelli che riconosceranno e divideranno le terre, e del decreto che voi dovrete fa re per la divisione, e di smili cose. Imperocch non esigono queste pic ciolo tempo : n li consoli che ora sono discordi pro cederebbero pi saviamente degli altri che saran de* ftin a ti, se come speriamo, avran pace fr a loro : utile
(i) C |ii ba ricevuto una promessa di avere una qualche cosa e poi uoa la ottiene, assai pi si duole di chi subito ne ba la ri pulsa. Perch uel primo caso vi una ripulsa di fatto ed un tra dimento. Dionigi allude a questa verit.

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per molti capi la dilazione e meno pericolosa; in ducendo il tempq in un sol giorno grandi mutazioni. E la concordia de capi del governo la sorgente di ogni bene per le citt. Tale il mio sentimento, e se altri ne vede un migliore, lo esponga. LXXVI. Al tacere di lui molti furono gli elogi degli asianli, e niuno degl interrogati d ipoi, si decise pei1 altro parere. Quindi il Senato decret per iscritto che si nominassero dieci de consolari seniori i quali deter minassero la terra pubblica, e dichiarassero quanta se ne dovesse affittare, e quanta compartire tra l popolo, che dallora in poi se gli alleati e gli ammessi alia cit tadinanza militando con loro acquistassero nuove cam pagne ne avessero ancor essi una parte secondo i trat tati : e finalmente che i consoli venturi eleggessero i dieci, ultimassero la division delle terre e quanl' altro era da fare. Portato questo decreto al popolo fe tacervi le istigazioni di Cassio, n permise che la sedizione, ac* cesa tra poveri procedesse pi oltre. LXXVII. L anno segunte cominciando 1 olimpiade settantesima quarta nella quale Astillo siracusano vinsft allo stadio essendo Leoslralo arconte di Atene , pren-< dendo il consolato Quinto Fabio e Servio CofneKo (<) intanto Fabio Cesone fratello del console, e Lucio Va* lerio Poplicola (a) nipote dell espulsore dei re , freschi per et, ma nobilissimi per lo splendore degli antenati,
(1) Anno di Rom. 2 6 9 secondo Catone, 2 7 1 secondo V arrone, 463 av. Cristo. ( 2 ) E ra figlio di M arco Valerio fratello di Pubblio Valerio il quale fu soprannominato Poplicola .

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potenti per aderenze e ricchezze , e tutto che giovani, non inferiori a niun pari loro nel trattare le pubbliche cose esercitavano la questura. Ed arbitri per questo di intimar le adunanze accusarono al popolo con incolpa zioni di tirannide Spurio Cassio il console dell anno precedente che os dintrodurre le leggi su la partizione delle campagne ; e prefiggendogli il giorno, lo citarono a giustificarsene presso del popolo. Adunatasi nel giorno prescritto gran gente essi invitandola ad ascoltare di mostrarono che le opere manifeste di quest uomo non comprendeano nulla di buono : primieramente perch mentre i Latini appagavansi di essere ammessi alla cit tadinanza , e riputavano sommo il favore se la ottene vano; egli console non solamente conced la cittadinanza che dimandavano, ma decret che si desse loro il terzo delle spoglie della guerra, se in comune la sostenessero: secondariamente perch rendette amici in luogo di sud diti , concittadini in luogo di tributar) gli Ernici c h e , vinti, doveano ben esser contenti se non erano dan neggiati collo smeihbramento delle lor terre; anzi ordin Che si desse loro pur la terza parte delle prede e delle campagne ch fossero mai per conquistare. Tanto che divisa la preda in tre parti doveano i sudditi e forestieri pigliarne due parti , ed i paesani e padroni una sola. Dimostravano che da questi due assurdi ne seguirebbe l uno o altro, se volessero pe molti e segnalati servigi condecorare un altro popolo come i Latini, o come gli Ei-nici che niuno prestato ne aveano, vuol dire: a che non avrebbero ebe dar loro ( i ) , o se volessero pareg( i ) Il testo di Reiske qui manca delle voci ) ci% f fi r< i T * vrn l u m e n f t t f t s che abbiamo redute nel testo di Silburgio.

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giarli con eguale decreto ; non essendo lasciata per essi pi di una parte, resterebbero senza niuna. LXXV1II. Aggiungevano a tanto che egli accintosi a dividere i beni del comune*, siccome n il- Senato ci decretava, n il console compagno glielo approvava, tent d introdurre colla forza la legge, lesiva ed ingiusta non solamente per questo che egli rendeva beneiicenza di un solo quella che sarebbe stata beneficenza di tutti i magistrati, se il Senato che doveala decretare prima la decretava; ma per quello ancora, che certo il pi grave, cio perch il dividere le te rre , ei in parole un darle, ma in fatti era un toglierle ai citta dini: imperocch se ne lasciava ai Romani che tutte le possedevano una parte sola, mentre due se ne davano agli Emic ed ai Latini, a quali non appartenevano. Rile vavano ancora che non solamente egli non si arrese ai tribuni che voleano esclusa la legge quanto alla parte della divisione eguale cn gli esteri ; ma persistette a brigare il contrario in onta dei tribuni, del Senato, dell altro console, e di tutti in fine i meglio animati per la repubblica. Esposte tali cose, e datine per testi moni tutti i cittadini, produssero argomenti reconditi ancora della tirannide, cio che Latini ed Ernici aveano a lui portato danari, e supplito delle arme ; che a lui ne andavano, a lui taciti si consultavano o ministravano in molte e molte cose i giovani pi audaci delle citt: e di questo allegavano in testimonio molti non pur dei Romani ma degli alleati, uomini n spregevoli n ignoti. Diede ad ssi udienza il popolo : anzi non mosso pi n dai discorsi studiatissimi tenuti da quest uom o, n

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ihtenerendosi io vista almeno de tre sttoi figlioletti, spet tacolo potentissimo per impietosire, o di altri parenti ed amici che ne gemevano; n condonandogli cosa al cuna in grazia delle belliche gesta di lui per le quali era salito a tanta riputazione; ne sentenzi la condanna. Anzi era il popolo tanto irreconciliabile al nome di ti rannide , che non frenando lira nemmeno su la inten sit della pena, lo condann alla morte. Imperocch te meva che bandito costui dalla citt, prestantissimo come era fra tutti allora nelle arm e, la facesse in fine a simigKanza di Marcio: e detestando le genti amiche, e conciliandosi le mimiche; portasse guerra inestinguibile alla patria. Dato tal fine al giudizio , i questori mna irono Cassio alla rupe soprapposta al foro, ed in vista di tutti ne lo trabalzarono. Questa era allora la puni zione consueta tra Romani pe condannati alla morte. ' LXXIX. Ecco la storia la pi verisimile tra quante se ne abbiano su quest uomo : non si dee per trala sciare neppure la men verisimile, giacch vien creduta da m olti, e ricordasi in scritti degni di stima. Narrano alcuni ehessendo occulte ancora le brighe di .Cassio per la tirannide, il padre di lui per il primo ne sospettas se; e presone esame diligentissimo ne andasse al Se nato: che fatto venirvi anche il figlio ve ne desse l in dizio e laccusa : e che avendolo in fine condannato il Senato ; lo rimenasse in casa e ve l uccidesse. La du rezza , e la inesorabilit de padri Romani , principal mente in quel secolo, contro de figli, offensori della repubblica, non esclude nemmeno tali racconti. Impe rocch B ruto, 1 espulsore dei Tarquinj , condann per

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3 primo ambedue li;suoi figli alla morte per la legge su malfattori ; e furono colla scuce decapitati, perch convinti di cooperare il ritorno dei tiranni. Dopo lui ManHo duce nella guerra co Galli sebbene avesse ; coro nato col premio de bravi il figlio che vi si era segna- lato, poi rimproverandone la disubbidienza lo uccise come disertore; perch non erasi tenuto al posto pre scritto, ma contro gli ordini del duce era uscito a combattere (i). E molti altri padri, chi per cause maggiori chi per minori, non perdonarono n commiscrarono i figli. E su tale riflesso non saprei come ho detto ri* gettar quel racconto come improbabile. Nondimeno a contrario parere mi spronano e forzano quest indizj ; cio che dopo la morte di lui ne furono confiscati i beni e sterminata la casa ; rimanendone ancora scoperto il sito se non quanto ne occupa il tempkv della Dea Tellure fondatovi negli ultimi tempi dalla repubblica , lungo la via che mena alle Carine (2). Roma consacr
( 1 ) Anche Sallustio scrive che Manlio fece acoidere il figlio nella guerra Gallica, perch questo avea combaltutp contra gli ordini col nemico. Nondimeno certo per 1 autorit degli altri scrittori che ci succedette nella guerra co Latini. (1 ) All argomento di Dionigi pu rispondersi ciocch trovasi in Livio; t u o !dire che il padre stesso esamin la causa del figlio, a lo b a tt , e lo uccise, consecrandone i beni a Cererei F alrem , eum, cognita dom i causa, verberasse ac necasse , peculiunique Jilii Cereri consecrauisse : signuni inde factum esse, et inscriptum , ex Cassia fam ilia dalum . Del resto Livio non esclude l altro racconto della condanna pubblica, anzi la reputa pi verisimile. E quest secondo racconto concorda con ci che ne scrive Cicerone nella. Orazione pr domo sua e Valerio Massimo nel lib. 6 , c. 3 il quale aggiunge : che Roma stermin la casa di Spurio Cassio ; e che nel (ilo di essa domum supcriedl ut penalium quoque strage punirtur

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le primizie de beni di esso in altri tempj, e Cerere ne ebbe statue di bronzo, la iscrizione delle quali manife sta di quali beni fossero le primizie. Ora se il padre stato fosse indicatore , accusatore , e punitore di lui ; n la casa ne sarebbe stata abbattuta, n invasi i beni dal comune. Imperocch tra Romani finch vivono i padri niente proprio de figli; potendo i padri disporre come pi vogliono de' beni non meno che delle per sone de figli. DoncP che Roma non avrebbe mai tol lerato che per le delinquenze del figlio, si togliessero e confiscassero i beni del padre che ne avea svelato le brighe per la tirannide ; e per questo io decidomi piut tosto per la prima narrazione. Le ho nondimeno riferite ambedue, perch coloro che leggono aderiscano a quale pi vogliono. LX X X . Insistendo poscia alcuni perch si uccides sero i figli ancora di Cassio ; parve al Senato aspra la inchiesta n utile. G congregatosi decret che si rila sciassero, e vivessero sicurissimi da esilj , da infamie , da ogni sciagura. Da quel fatto si stabili tra Romani 1 uso , custoditovi fino a miei giorni, che vadano im muni da ogni pena i figli di padri delinquenti, sian essi figli di tiranni, di parricidi o di traditori, che tra loro il massimo dei delitti-. G quelli che vicini al no stro tempo, circa il fine delia guerra Marsia } e della guerra civile dandosi ad abolire quest u so , impedirono finch dominarono che i figli dei proscritti da Siila giungessero agli onori paterni e prendessero posto in Senato , sembrarono far opera degna della esecrazione degli uomini, e della vendetta de numi. Perocch col

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volger degli anni raggiunse loro la giustizia, vendica trice non riprovata, p er'la quale furono dal colmo della gloria precipitali al fondo della miseria; non lasciandosi del lignaggio loro se non la prole nata di femmine. E colui (1) che li distrusse riordin quel costume comera ne principj. Presso di alquanti greci per non cosi mite il costume ; perch alcuni credono giusto che i fi gli da tiranni co tiranni finiscano; ed altri con perpetuo esilio li puniscono ; quasi non consenta la natura che sorgano figli buoni da padri rei ; n figli rei da buoni padri. Ma su ci lascio che altri discuta, se migliore luso de Greci o migliore quel de Romani : ed io pro sieguo la storia. LXXXI. Dopo la morte di Cassi i fautori del co mando depochi divennero pi baldanzosi, e spregiatori del popolo. Laonde gl ignobili per nome e sostanze se ne abbatterono ; accusando molto sestessi di stoltezza, perch aveano colla condanna di lui distrutto il custode fidissimo della fazion popolare. Era questa la causa per la quale i consoli non eseguivano il decreto desenatori pel quale doveano eleggere i dieci che determinassero la terra pubblica , e riferire in Senato quanta parte ne fosse da dividere, ed a quali persone. Adunque si tenean de crocchi mormorandovisi in ciascuno su l in ganno , ed incolpandovisi pi che tutti i tribuni pre cedenti come traditori del comune : similmente faceansi dai tribuni d allora continue le adunanze e le richieste della promessa. O r ci vedendo i consoli deliberarono rimovere col pretesto di guerra la parte sediziosa della
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citt ; perocch di que tempi il territorio era infestato da ladronecc i , e dalle scorrere de popoli circonvicini. Adunque per far la vendetta degli aggressori aveano inalberato i segnali di guerra, ed iscriveano le milizie della citt. M a, non dando i poveri il nome loro, non potevano astringervi a norma delle leggi gl' indocili, perocch li tribuni proteggevano la moltitudine, e lo avrebbero impedito, se altri tentava portar la violenza su le persone , o le robe di chi ricusava. Adunque lanciarono i consoli molte minacce, che non permette* rebbero che alcuno rivoltasse la moltitudine ; e sveglia rono ne cuori un secreto sospetto che nominerebbero un dittatore il quale sospendesse tutti gli altri magistrati, ed avesse egli solo un potere supremo ed irrefragabile. In tale apprensione i plebei temendo che il dittatore fosse Appio, uomo duro e difficile, piegaronsi a sof frire ogni cosa, piuttosto che questa. LXXX II. Descrittone il ruolo, i consoli presero le milizie, e marciarono su l inimico. Gettatosi Cornelio nel territorio de Vejenti ne port via la preda sorpre savi. Allora i Vejenti spedirono ambasciadori, ed egli rilasci loro i prigionieri per date somme, e conced la tregua di un anno. Fabio coHaltr armata piomb su la terra degli Equi , e quindi su quella- de Volsci. Pa zientarono i Volsci alcun tem po, ma non molto, che fossero i ' campi loro predati e devastati: poi spregiando i Romani come venuti con armata non grande impu gnarono in buon numero le a rm i, ed uscirono su le terre degli Anziati per incontrarli : se non che ne andaroho anzi precipitosi che savj : perocch se giunge*

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vano inaspettati, e sorprendeano i Romani mentre erano qua e l dispersi ; ne avrebbero assai variato le vicende; ma il console istruito del giunger loro dagli esploratori, richiam bentosto i suoi, sbandati com erano, da fo raggi , e di loro la ordinanza conveniente alla guerra. Come i Volsci che venivano confidando e spregiando-, videro fuori dell imaginazione tutte le forze nemiche ordinate e raccolte, sbalordirono allo spettacolo inpia nato : n pi curando la salvezza comune, provvide Dgnuno alla sua, e dando volta, con quanto aveano di Velocit, fuggirono tutti chi per una e chi per altra via; salvandosene la maggior parte nella citt ( 1). Solamente un picciolo corpo il quale era pi che gli altri ordinato ritirandosi alla cima di un monte , quivi pose le armi e vi pernott. Ma ne giorni seguenti essendo dal con sole circondata 1 altura e chiusene tutte le uscite , ne cessitato dalla fame si sottomise , e cedette le arme. Il -console fe vendere pe questori quanto vi era , prede , spoglie, prigionieri, onde riportarne danaro alla patria. Non molto dopo lev 1 esercito dalle terre nemiche e a suoi lo ricondusse , ornai standosi 1 anno per termi nare. Giunto il tempo da creare i magistrati, i patrizj che vedevano il popolo irritato e pentito della condanna di Cassio , deliberarono di sopravvegliare, perch non facesse movimenti elevato di nuovo a speranze di do nativi e di divisioni di terre da taluno che prendesse gli onori consolari pieno della facondia per aringarlo travolgerlo. Parve loro che se il popolo desiderasse punto di ci, potesse impedirseli con eleggere un con fi) Anzio-

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6ole ad esso non favorevole. Conchiuso ci confortane perch ^spirino al consolato Fabio Cesone 1 uno degU accusatori di Cassio, fratello di Quinto, console attuale e Lucio Emilio, altro patrizio propensissimo agli Otti-mali. Non potendo il popolo impedir questi due che aspirassero al consolato, usc dal campo e si lev dai comizj. Perciocch ne comizj centuria ti tutto il poter desuffragi assorbivasi dacittadini pi illustri e primi di ordine ; e di raro cosa alcuna si decideva col voto an cora delle centurie intermedie di ordine: la classe estrer ma 'poi nella quale votava la parte pi misera e pi numerosa non avea, come innanzi fu detto, se non u q . voto solo, il quale era l ultimo. LXXXUI. Adunque negli anni dugento settanta dalla fondazione di Roma ( i ) essendo Nicodemo 1 arconte di Alene divennero consoli Lucio Emilio figliuolo di Mamerco, e Fabio Cesone figliuolo di Cesone. Ora s u o cedette loro secondo il desiderio di non essere pertur bati da sedizioni civili ; per essere la repubblica investita di fuori. E le cessazioni delle guerre esterne sogliono rieccitare le nazionali, e dimestiche tra Greci, tra baribari, e dovunque, principalmente tra'popoli che vivono fra le armi e i travagli per amore della libert e del comando ; perch gli animi avvezzi a bramare ognora pi , ridotti senza gli esercizj consueti difficilmente si contengono. Su tal vista comandanti savissimi fomentano sempre alcuna discordia cogli esteri; giudicando migliori le guerre nelle regioni altrui che nella propria. Allora
( i ) A d d di Roma e 4^3 av. Cristo. 270

secondo Catone,

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secondo Varronq,

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secondo il genio appunto de consoli, occorsero come ho detto, le insurrezioni desadditi. Imperocch li Volsci sia che fidassero nemoti interni di Roma, contendendq il popolo co magistrati ; sia che fremessero per la infa* mia della precedente disfatta, ricevuta senza combattere; sia che insuperbissero per le forze loro che eran gran dissime; sia che seguissero tutte insieme queste cagioni; aveano deliberato far guerra ai Romani. raccogliendo i giovani da tutte le citt marciarono con parte dell'e* sercito contro le citt de Latini e degli E rnici, e col1 altra che era la pi numerosa e pi forte teneansi pronti a ribattere chiunque si avanzasse contro le loro. I Romani ci saputo deliberarono dividere 1 armata in due corpi, e guardare con uno le terre degli Ernici e de Latini , e correre coll altro a depredare quelle dei Volsci. LXXXIV. Avendo i consoli, com loro costume , tirato a sorte le milizie; Fabio Cesone assunse il co mando di quelle che andavano a soccorrere gli alleati , e Lucio marci colle altre contro la citt degli Anziati. Avvicinatosene ai confini, e vedutevi le armi nemiche, si accamp su di un colle a fronte di esse. Ma uscendo i nemici ne giorni consecutivi pi volte in campo, e sfidando alla battaglia; egli credette avere il buon pun to , e cav le sue schiere. Ed ammonitele, e riammo nitele prima del ciment ; alfine diedene il segno e le avvent. Bentosto i soldati alzato il grido consueto della battaglia pugnarono folti , a schiere e coorti. Esaurite poi le lance , i dardi ed ogni arme da tiro si scaglia rono, rotando le spade, gli uni su gli altri con ardire

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e desiderio eguale di misurarsi. Era' in ambedue simi lissima la maniera di combattere : n maggiore tra Ro mani la saviezza la sperienza che gli aveva rendutr gi pi volte vincitori, n maggiore la costanza e la sofferenza per l esercizio di tante battaglie; ma le doti stessissime brillavano pur tra nemici 6u dall o ra , che fa duce loro Marcio, famosissimo duce tornano. Adun que gli uni resistevano agli altri senza cedere il posto preso in principio. Ma dopo alquanto i Volsci a poco a poco si ritirano , schierati, e con ordine, tenendo fronte ai Romani. Tendea quel movimento a dividere le milizie di questi e combatterie da luogo elevato. LXXXV. In opposito i Romani credendo che questi principiasser la fuga tennero anch essi a passo a passo in buon ordine dietro loro che si ritiravano. Ma poich videro che a rilancio correvano agli alloggiamenti an ch essi rapidissimi, in disordine li seguitarono. Intanto le centurie estreme e la retroguardia , quasi gi vinci trici , spogliavano i m orti, e davansi a predare la re gione. Vedendo ci li Volsci che facean credere .di fuggire, giunti appena alle trincee, voltata faccia , si contrapposero: e quelli che erano negli alloggiamenti, spalancale le porte , accorsero numerosi da pi parti. O r qui cambiarono le vicende della battaglia : chi per seguitava fugge , e chi fuggiva perseguita. P erirono, com naturale, molti bravi Romani incalzati gi pel declivio , e circondati ; essi pochi, dai molli. Non dis simile sorte incontrarono quanti eransi dati a spogliare e predare , impediti di retrocedere schierati e con oi>t dine ; imperocch sopraffatti ancor essi da nemici resta

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vano trucidaci o prigionieri. Quanti per di questi o di quelli respinti gi. pel inopie fuggivano in salvo ; soc corsi, bench tardi., . dalla icavalleria, tornavano alfine a proprj alloggiamenti : e, parve che a non essere, inte ramente distrutti giovasse loro unacqua dirptlissim dai cielo, ed un bujo qual formasi. per nebbia profondissi m a; perocch non potendo i nemici vedere pi di lontano , infasudirusi a seguitarli pi ; oltre. La notte ap presso il console movendo l'a rc a ta la ritir cheta, in buon ordine , sicch l inimico noi comprendesse. Al tornar della sera mise il campo; presso la citt di Longla ; scegliendo un' altura, idonea, onde respingerne gli assalitori. E qui fermatosi curava gli egri .dalle ferite, e rianimava gli afflitti dalla vergogna della, disfatta im pensata. LXXXVI. Tale era lo stato de Romani. Li Volsci poi come al nascere dei giorno conobbero che quelli eransi diloggiati; portarono pi da vicino il campo loro. Quindi spogliato avendo i cadaveri de nemici, raccolto i semivivi che davano speranza di guarigione, e seppel lito gli estinti loro compagni, rientrarono la citt di Anzio che prossima rimaneva. Qui cantando inni e por* gendo in ogni tempio sagtifizj per la vittoria , si diedero Begiorni seguenti ai conviti , e piaceri. .E se teneansi a quella vittoria, n intraprendevano altra cosa; la guerra avrebbe avuto per; essi un esito fortunato. Imperocch li Romani non aveano cuore di uscire dagli alloggiamenti per combattere ; anzi desideravano di ia&ciare le terre nemiche, anteponendo una fuga, ingloriosa ad una morie
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manifesta, Infiammati per da speranze maggiori, pei* derono la gloria ancora della prima vittoria. Udendo da gli esploratori e dai disertori che i Romani andati salvi eran pochi, e per lo pi feriti ; ne concepirono disprezzo grandissimo , ed impugnale le armi marciamo sn loro. Li seguitarono senza 1' anni molli della citt per veder la battaglia, e per fare insieme prede e guadagni. Ma quando giunti *11 altura circondarono gli alloggiamenti, e presero a svellerne gli steccati; proruppero, prima sa di essi i cavalieri Rom ani, postisi piede per la con* dizione del luogo, e poi li triarjj, schieratisi strettissimi. Sono questi i veterani a* quali si d U guardia degli al- loggiamemi, se le milizie escono per combattere , ed a quali per mancanza di altri ripari Si ha lestremo in* dispensaci ricorso quando avviene strage funesta de gio* vani. Ne sostennero i Volsci la irruzione e pugnarono gran tempo pieni di valore. Ma non favoriti poi dalla natura del sito se pe rimossero : e fatto a nemici danna tenne, n degno di memoria, e ricevutolo essi pi grande ancora ; calarono a^a pianura. Messi quivi gli alloggiamenti, schiccarono ae giorni appresso 1 .armata, e provocarono i Romani alla battaglia : n i pertanto usci-* rono qnesti al paragone, I V olsci vedendo ci li spre giarono : e convocete le milizie dalle loro citt ; s api parecchiaroso, per espugnarne le trincee colla molliti!* dine. beri erano per fare alcuna cosa di grande ri ducendo per patti 9 colia forza il console e i suoi cha gi penuriavano ; ma giose prima di loro il soccorsa Romano , e furono traversati da compiere con bellissima fo guerra. Imperocch Fabio Cesone laltro co.nsMe?

LIRRO V ili..

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capendo a quali termini fosse l armata che atfea combattnlo co'Volsci deliber di marciare eoo quanto area di prestezza contro quelli che lassediavano. Ma perciocch non erano a lui propitj i segni degli augarj e <Wsagrifizj e gl Iddj lo ritraevano dall andare ; egli non and , ma Scelse e sped le migliori sue schiere al com pagno. Le quali per strade occulte con viaggio in gran parte notturno s intromisero taciti agli alloggiamenti, senza saputa de nemici > ma con incoraggimento grande di Emilio. Confidati i Volsci nella moltitudine ivi aocorsa dei lo r , ed imbaldanziti dalVnon uscire dei Ro mani a combattere, ascesero strettissimi sul monte. La sciarono i Romani che ascendessero in Calma grande 4 e che a lungo si faticassero intorno degli steccati : m t . non s tosto fu dato il segno della battaglia , atterrato iti p ii parti il vallo, sboccaron su loro. Usavano quei che vennero alle mani, la spada: ma gli altri dalle trin* cee tempestavano gli assalitori con sassi, e strali, e lance : n colpo alcuno cadeva in fallo ; affollatisi' tanti in tanto picciolo luogo. Rispinti da quell* altura, e per* dutivi moki de' loro, si abbandonarono i Volsci alla fuga) salvandosi a stento nei proprj alloggiamenti. I Romani come gi rassicurati scesero nelle campagne di essi, e ne ebbero frumeto ed ogni cosa di cui penuriavasi nella trincee. LXXXVII. Giunto il tempo de comizj Emilio si ri mase nel campo vergognandosi di entrare in citt per la disfatta vile onde avea desolato il fior dellesercito. Scorsa per altro a Roma il coU egadilui, lasciando i suoi luo gotenenti nel campo. Costui convocata la moltitudine

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DELLE ANTICHIT 1 ROMANE

pe' comizj nemmeno vi propose gli uomini consolari cer cati dalla moltitudine pel consolalo, perch non lo bra mavano: ma chiam le centurie e fece che votassero per altri, ambiziosi di quel grado. Erano questi preeletti gi dal Senato ed istruiti a concorrervi quantunque non molto graditi tra 'l popolo. O r furono nominati. consoli per 1 anno venturo il fratello minore del console pre sidente i comizj Marco Fabio figliulo, di Cesone e Lucio Valerio figliuolo di Marco (i) , quel Lucio ap punto che avea fatto giudicare e condannar di tirannide Cassio, autorevole gi per tre consolati. Venuti questi al comando (a) cercarono altri coscritti per Supplire nella coorti gli estinti nella guerra contro gli Ansiati : ed avu tone il decreto del Senato; intimarono il,giorno in cui dovessero presentarsi quanti aveano et militare. : Sorse a ci rbmor grande, e dicerie sediziose de poveri che sdegnavano di prestarsi al decreto de padri e, seguire l autorit de consoli perch aveano tradite le promesse intorno la division delle terre. Accorsi dunque iu folla presso de tribuni rimproveravano le deluse speranze, e reclamavano altamente il loro patrocinio. Non pr?e ad alcunitenipo opportuno da ravvivare civili discordie;, es sendovi guerra di l da confici : ma Cajo lVfapio luno di loro disse : che; non tradirebbe quei del popolo, e

non permetterebbe ai consoli di arrotare m ilizia, se


(i) Questo Marco era fratello di Poplicola e Lucio ne sarebbe i) nipote. M arco era stato console l anno quinto dopo la espul sione dei re: vedi 77 di questo libro. (i) Anno di Roma 2 7 1 secondo Catone , 3 7 8 secorfdo Varrone e 4 8 1 av. Cristo.

LlRRO V ili. 117 prima Han nominassero i definitori della terr pubblica e divulgassero scrtto il decret stila partizione di essa: Ripugnarono a tanto i consoli ; protestando la gurra' attuale pel* non conceder alctina delle cose che dimane dava : ma colui replic che non darebbe loro udienzaf ed impedirebbe il catalogo nuovo con tutta la forza: e l imped ; non per con effetto. Imperocch li consoli usciti dalla citt misero nel prossimo campo il lor tri bunale e l fecero la iscrizion militare , limitando nella roba gl' indocili giacch non poteano menarsene le per sone. Se altri avea poderi, li desolavano, abbttendone per fino le abitazioni : o se viveva n'ep oderi altrui, col tivandoli ; ne rapivano e rimoveano -quanto era vi per uso della cultura, gioghi di buoi, greggi, bestie da soma , ed ogni stromento onde la terra lavorasi o il frutto se ne trasporta. Or contra ci niente potea fare il tri buno , proib toV del catalogo : perch li tribuni non aveano fuori della citt diritto alcuno ; limitando le mura ' di questa il poter loro. Dond che non lecito ad essi pernottarne di fuori , eccettuato il tempo in cui. tutti i magistrati di Roma ascendono al monte Albano per farvi sagrifizio comune a Giove su la gente latina. Ed il co stum e, che 1 autorit de tribuni niente p ossa fuori di R om a, Conservasi pur ne miei giorni. Anzi tra i molti motivi della guerra civile de miei tem pi, grandissima fra tutte le antecedenti , quello che solo parve bastare a scindere la citt fu questo , eh essendo alcuni tribuni perch non fosser di nulla pi arbitri, cacciati di Roma dal duce che reggeva allora lItalia ( 1) , essi non vendo
( 1) Pompeo.

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DELLE ANTICHIT1 ROMANE

love pi volgersi, ricorsero al dace che tene* Delle Gallie 1 rogata ({). Ed egli valutasi di tqle ocwsioue in vista di soccorrere piamente e giustamente un magistrato santissimo (a) spogliato dell autorit sua in onta de'giu ramenti aviti , venne di per sestesso colle armi su la pa tria , e restitu gli esuli ai gradi loro. LXXXVHI, I plebei dunque niente valendo loro il p oter de tribuni, si mansuefecero, e presentatisi agP in* caricati della coscrizione diedero il giurajpieotQ, e fu rono compartiti pe corpi varj. I consoli dopo avere sup plite le coorti mancanti, tirarono a urte comando *gi eserciti. Prese F 9 bio l ' esercito sostenitore degli alleati, e Valerio l altro che accampava traVolscj; re-> candovi le nuove reclute. I nemici saputo il giugner di lu i, deliberarono far venir nuove truppe, trincerarsi in luogo pi forte, n correre, come prima , per lo di spregio rovinose vicende. F ornirono i duci tutto ci speditis^imamente , intenti l uno , e l 'altro, a guardare le tri ocere pue dagli assalti, ppn a<J assalir le iniigH&e, per espugnarle. Cos focone pan poco tempo fra tertor vicendevole che 1 uno 1 altro investisse. Non pot* cono per 1 *uno e laltro o s s e rv a fino al fipe il pr-* ppsito. Imperocch quante volte spedivasi alcuna parte di esercito pe frumenti o per altro bisQgqo ; dayapgi at-r taccili e percosse, eoa esito non sempre vittorioso pe* (i) Cesare. , (3) Allentare su tribuni era delitto gravissimo, perch le per sone loro si riguardavano come sacre ed inviolabili : Quindi Cice rone nel lib. 3 de legibus scrive : quodque ii prohibessint, quod

que plebem rogassint ralum esto j sanetique sunto.

L IB R O V i l i .

M g

un de' parlici. Ne perirono in tante scaramucce non po chi ; restandone feriti ancor pi. Non riparava le prdite Romane alcun nuovo rinforzo venuto altronde; mentre i< Volsci, sopravvenendo ad essi schiere su schiere, si erano moltissimo ampliati. Dond che animatine i duci lo ro , cavarono dalle trincee 1 esercito per la battaglia. LXXXIX. Usciti i Romani nommeno schieratisi a fronte, insorse una mischia grandissima di cavalli, di fatiti, d i soldati leggeri, pieni tutti di ardore e di sperienza e ciascuno col disegno che dipendesse da lui solamente la vittoria. Cadutine dall una e dall altra parte moli estinti, e pi ancor semivivi; si ridussero a pochi quelli d i tuttavia rimanevano tra la mischia e il pericolo. ;Or non polendo questi fare le azioni di gurra perch gli scudi destinati a difendere, pieni di dardi conficcativi, aggravavano la sinistra, n. permettevano! che si tenesse ferma in atto di ripercotere i colpi, e perch le spade rano ornai spuntate, ro tte , inutili; tanfo pi che il combattere di tutto il giorno gii aveva stancati, sner vali , illanguiditi a ferire, e la sete, il sudore, l'affanno ^rfcvagliavali come chi combalte a lungo nelle ardentis sime ore di estate; la battaglia non prse termine me* inorando , ma 1 uno e l altro duce ritirarono ben vo. lenitevi le armate: e tornarono a proprj alloggiamenti. Non. uscivano pi gli uni o gli altri a combattere , ma standosi dirimpetto spiavano a vicnda le sortite degli moti pe bisogni di guerra. Parve nondimeno, e molto in Roasa se ne discorse, che la milizia Rom ana, po tendolo , non facesse odila di luminoso per odio contro del console , e per indignazione su patrizj, mentitori

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DELLE ANTICHIT ROMANE

nella divisione delle terre. In opposilo i Soldati accusa vano il console come insudiciente; scrvendone ognuno lettere ai suoi. Tali forouo gli evnti nel campo in Roma intanto molti segni celesti annunziarono lira divina cn voci, e viste inusitate. E tutti i segni ^'concorrevano a questo, come i vati e gli spositori delle sante cose, te-*nutone consiglio , interpretavano , che alcuni de numi erano esacerbati, perch non ricevano gli onori l*git tim i, o riceveano sagri fizj non p u ri, n pii. Faceasi dnnque grande ricerca, finch diedesi indizio a' sacerdoti che l una delle vergini, custodi del fuoco sacro ( Opi ni ia n era il nome) avea la verginit contaminato, e con la virginit le sante cose.' O r questi con indagini e discussioni chiaritisi esser vero pur troppo il fallo in dicato , spo gliarono quella delle sacre bende, e condot tala di su pel foro, la seppellirono viva tra sotterranee pareti. Flagellarono pi nella pubblica luce ed occiserodue convinti del fallo con essa. E ben tosto favorevoli le sante cose, e favorevoli si ebbero le risposte deglin dovini, come per la pace renduta da numi. XC. Ghlnto il tempo decomizj, e venutivi i consoli, ebbevi briga e contenzione assai viva tra patrizj e tra l popolo su personaggi che avrebbero da pigliare il co mando. Voleano quelli promovere al consolato giovani intraprendenti n amici della plebe ; e per insinuazione loro chiedevalo il figlio di Appio Claudio, di quello ri putato gi si contrario al popolo ; ed era qusto figlio pieno di orgoglio e di audacia, e potente per amicizie e clientele pi che lutti dell et sua. Per l opposit il popolo nominava a far l utile pubblico e volea per con-

LIBRO Vili:

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soli personaggi anziani, notissimi per le dolci maniere/ I magistrati discordavano , e rendeano con ci vana la loro autorit. Se i consoli convocavano la moltitudine per indicarle i concorrenti al consolato, i tribuni scio glievano , arbitri che n erano, i comizj. Allincontro se intimavano questi il popolo pe' comizj ; non lo permt tevano i consoli che aveano il diritto di chiamar le cen turie, e dispensare i voti. Dond che vicendevoli erano le accuse, e continue le altercazioni degli nni coi) gli altri circondati dal seguito loro; tantoch alcuni si per cossero fra loro per la rabbia, e per poco non si venne alle armi.' Or ci vedendo il Senato, ponder lunga mente come dovesse espedirsi, non potendo far violen za , n volendo cedere al popolo. Chiedeavi la parte meno pieghevole che pe comizj si eleggesse dittatre 1 uomo riputato' il migliore : che costui preso il coman do , cacciasse di citt gli autori del male: che se ci -avea difetti nelle magistrature quali erano, le rettificasse , or dinandovi come pi vcileva il governo; e che desse ad uomini degni le cariche. Ma la parte pi mite voleva che si eleggessero interr gli uomini pi provetti e pi venerabili ; i quali provvedessero che si facessero rattissi ma mente i ' magistrati, come subito dopo i re si facevano. Accostatisi i pi di loro a tal sentimento, fu nominato in terr Aulo Sempronio Atralino , e le altre magistrature cessarono.' Costui diretta ne' giorni a lui conceduti la citt senza sedizione , nomin , com l uso, per nuovo interr Spurio Largio. O r avendo questo convocato i comizj centuriati, e fattovi dispensare secondo le classi il voto; furono con beneplacito di ambe le parli eletti

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D EL L E ANTICHIT* ROMANE

consoli Cajo Giulio uomo popolarissimo per la prima volta , e per la seconda Quinto Fabio il figlio di Ce sone , uomo patrizio di anima (i). Il popolo non avendo niente sofferto dal primo suo consolato ; permise che ri pigliasse quel grado per odio contro di A ppio, e per ch assai dilettavasi che costui si restasse sfregiato (a). I primi magistrali poi credeano che la discordia finisse a lor modo ; giugnendo pe maneggi al consolato un uomo intraprendente, e che non sarebbe per concedere vil mente niuna cosa alla plebe. XCI. AL tempo di questi consoli gli Equi prorom pendo sul territorio deLatrai ne trasportarono con la trocinio repentino schiavi e bestiame numeroso. Pari mente i Tirreni detti Vejenti danneggiavano colle scor rerie molti de campi Romani. Deliberato il Senato <H chiedere ragione daVejenti ; differiva intanto la guerra ontro degli Equi. Questi dunque raccolto buon frutto della prna incursione, n comparendo chi vietasse loro le altre ; invasi da ardore non ragionevole risolverono di fare una spedizione non in forma per di ladroni. Adunque con esercito poderoso investirono ed espugna r ono il popolo di Ortona ; e saccheggiatine i campi e U citt partirono con preda copiosa. Li Vejenti rispon dendo ai deputiali venuti da Roma che i predatori delle campagne non erano spediti da .essi ma da altri Tirreni; li congedarono senza rendere loro giustizia. Or s im batterono i deputati appunto in Vejenti die tsasporta4 S0

(i) Anno di Roma 3 7 3 secondo Catone av. Cristo. (a) Colla ripulsa del figlio.

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secondo V airone,

LIBRO V ili.

I 23

vano dalle terre deRomani la preda. Il Senato ci udendo decret la gaerra su' Vejenti, e che l ' ano e l'altro con sole vi marciasse colle armate. F u tal decreto un subbjetto di contraddizioni : perocch molti non lasciavano che la guerra ascisse, ricordando a 'p lebei la.partizion delle terre decisa gi da cinque anni dal Senato , e come tra le belle speranze furono defraudati, e protestando che non particolare ma comune sarebbe quella guerra, se la Etruria tutta levavasi unanime a soccorrere i suoi nazionali. Non poterono per nulla tali sediziosi discorsi; imperocch per le insinuazioni di Spurio Largio anche il popolo ratific la sentenza d' padri : pertanto i con soli cavarono gli eserciti, e gli accamparono separati 1' ano dall' altro , non lungi da Vejo. Si tennero in tal modo pi giorni: non uscendone per linimico collar mata ; datisi a saccheggiarne i campi, sen tornarono con quanta poteano pi preda in patria. Or ci e non altro vi ebbe di memorabile sotto questi consoli.

ia 4
DELLE

A N T IC H IT ROMANE
DI

DIONIGI A L I C ARN ASSEO

LIBRO NONO.

I . -L i ANNO appresso nacque disparere tra 1 popolo e tra i senatori su la scelta de consoli : imperocch que sti voleano promovere al consolato due di cuore patri zio, laddove la moltitudine due ne volea popolareschi. Arse la disputa finch tra loro si persuasero, che am bedue le parti dovessero nominare , ciascuna, un console. Pertanto il Senato elesse Fabio Cesone per la seconda volta, quello appunto che aveva accusato Cassio come reo di tirannide, ed il popolo cre Spurio Furio (i )
{i ) Anno di Roma i j 3 secondo Catone, 375 secondo V arrone, 479 ay. C rino.

D E L L E A N T IC H IT ROM A N E L1B.

IX .

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nella olimpiade settantesima quinta ; essendo Cailiade Arconte in A tene, al tempo appunto che Srse fece la sua spedizione contro della Grecia. Or avendo questi preso appena il comando, vennero in Senato gli am basciadoYi Latini per sapplicarvi, che si mandasse loro coll* esercito l ' uno de consoli, il quale non permettesse che la insolenza degli Equi procedesse pi oltre. AnnonziaVasi insieme che la Etruria tutta era in m oto,,e che tra non mollo uscirebbe colle armi per essersi gi riunita in comizj generali : come pure che avendo i Vejenti insistito per congiungersele contro i Romani, ne aveano finalmente ottenuto, che potesse ogni Tirreno participare alla impresa : dond i che fatto si era un corpo riguardevole di Vejenti voltntarj, per militarvi. Or ci vedendo i magistrali Romani deliberarono che si recltasser le : armate, e che li consoli uscissero con esse l uno per combattere gli Equi', .ed esser il vindice dei Latini.; e l altro per marciare contro l Etvuria, Oppo nessi a ci Spurio Sicini (i) 1 uno detribuni , e con gregando ogni giorno il popolo a conckme raddomandava le promesse dal Senato, e protestava che non, per metterebbe , che si eseguisse niuna delle :cpse decretate da padri su nemici o su iq citt, se prima non. creavano s .D i ^ p e r definire le terre del pubblico , e non le compartivano,, come eransi obbligati in verso del popolo. Implicavasi, ni. sapeva che fare, il Senato ; quando Ap(i) la alcuni codici si legge Jcilio : e Livio stesso nel lib. 4 , dice : auctores fuisse tam U teri popul ' su ffra g i Icilios accipio , x fam ilia UtfcMliuitna p a lritiu tr a in eurn armum tribuno plebi* arcatili., , .

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

pio Claudio sugger che $i procurasse la dissensione tra questo e gli altri Tribuni ; perciocch vedea, oh' essendo Foppositore inviolabile, ed impedendo col poter delle leggi i decreti depadri, non rimaneva altra via da rin tuzzamelo, se non quella che un altro di eguale onore e potenza operasse m contrario, e proibisse ciocch egli proibiva; consigliava inoltre che quanti prenderebbero successivamente il consolalo si adoperassero, e mirassera sempre ad avere fecnigliari ed amici de tribuni, ripe* tendo non esservi altr arte da invalidarne il potere, se non quella di ridurli discordi, II. Parve ai consoli che Appio ben consigliasse, ed essi, e gli altri depi polenti si affaticarono vivamente, perch quattro de tribuni si dessero ai voleri del Se* dato. Or questi cercarono alcun tempo persuadere coll parole Sicinio a desistere dalla mira* che i terreni si di* videssero innanzi la fin della guerra. Ripugnando e gi* rando, e dtendo per costui proterv issiinamente, che vorrebbe piuttosto vedere la citt caduta in poter dei Tirreni e di altri nemici , che lasciare placidi a sestesei que' che godeansi le trre del pubblico, pensarono di prender quindi la beila occasione di p a r l a r e e di ope* tare contro tanta arroganza, non udita con piacere * nemmeno dal popolo. Adunque dichiararono r)3gK el proibivano ; e fecero velatamente, quanto piacque al Senato, ed ai consoli. Dond' che icinio rimasto solo non era pi 1' arbitro di cosa niuna. Fecesi dopo ci )a iscrizion dell annata, e si apparecchiarono dai pri* vati, c dal pubblico con ogni diligenza le cose tutte necessarie per la gperra. I consoli, tirata a sorte la sp-*

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dieion lro, Uscirono ben tosto allaperto, Spurio Furi o contro le citt degli E qui, e Fabio Cesone contro i Tirreni. Corrispondevano i successi appunto ai disegni di Spurio ; non avendo i nemici nemmen cuore di venire alle mani: e pot di quella spedizione raccogliere da nari e prigionieri in buon numero ; imperocch per poco non scorse tutto il territorio nemico , menando o p or tando via. Conced tutte le prede in dono ai soldati: e se parea gi da gran tempo l'amico del popolo; pi che mai se lo accarezz con tal suo capitanato. Del quale, finito il tem po, ricondusse l esercito intero, in violato , ricchissimo divenuto, alla patria. III. Fabio Cesone diresse nommeno bene il comando dell armata, pnr and privo delle lodi delle opere, non per colpa sua, ma perch fin d?allora che fe giudicare, e dare a morte Cassio il console, come intento alla tit rannido, non avea p ii l'affetto del popolo. Dond e che li soldati suoi non erano disposti n ad ubbidire colla prestezza la quale abbisogna al dufce, che ordina, n ad espugnare con ardore quantunque muniti di forze convenienti , n a guadagnare colle insidie i posti op portuni al buon succsso, n a fare cosa niuna dalla quale raccogliesse ooore e fama buona pe comandi che dava. Le altre incongruenze poi colle quali spregiavano esso capitano erano per lui meno gravi, n di tanta ro vina per }a patria. Se non che quel che fecero in ultimo cre pericolo non lieve, e grande ignominia per ambe* due. Imperocch scesi a battaglia campale fra i due cotti SU quali alloggiavano diedero molte e splendide prove di valore, fin a stringere i nem ici a dar volta ; non

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per gl inseguirono nella fuga, sebbene il capitano ve gli scongiurasse, n vollero con fermezza assediarne gli alloggiamenti ; ma lasciata la bell opera imperfetta si ritirarouo alle proprie trincee. Ansi tentando il con-< sole capitano dire alcune cose ( i ): molti a gran voce ne lo beffarono, e redarguironlo che avesse per la ira* perizia sua nel comandare, fuo tra -lor la rovina di tanti valentuomini: ed aggiungendo altre maldicenze e querele, esigerono che sciogliesse il campo, e li ricon ducesse a Roma, come insufficienti ad una seconda bat taglia , se il nemico su loro tornasse. N punto si pie* garono per le ammonizioni, n si commossero , pe ge miti , e per le suppliche di lu i, n le grandi minaccie ne riverirono ; ma sdegnandosene ognora pi si osti narono. Per le quali cose tanta , e tanto universale fu la insubordinazione, e il dispregio pel capitano; che le vatisi intorno la mezza notte, dismisero le tende, e rac-i colsero le armi ; trasportandone li feriti ,. senoa comando niuno. ' IV. Il duce vedendo ci fa costretto dare il segno per tutti della partenza; temendo l audacia e lanarchia loro: ed essi come salvatisi colia fuga, pervennero in gran fretta su l alba presso di Roma. Le guardie delle mura ignorando che fossero amici, brandirono le arm i, e chiamaronsi a vicenda ; e tutto il resto della citt si empi di confusione e tum ulto, come per grande scia gura : n si aprirono le porte, se non a d luminoso, quando si ravvis eh era 1 esercito loro. Questo poi ,
(i) Secondo un altra lezione il senso sarebbe: a n zi tentando al cuni dra al console nome d Imperadore ec.

LIBRO IX.

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per tacere la infamia dell abbandono del campo, corse a rischio, non lieve , traversando disordinatamente di notte le terre nemiche. Imperocch se gli emoli se ne avvedevano, e io inseguivano , niente impediva che lo sterminassero. Cagione, come ho detto, di questa irragionevol partenza, o fuga, fu lodio del popolo contro del capitano, e la invidia su la onorificenza di lui, af finch pi autorevole non divenisse per la gloria del trionfo. I Tirreni conosciutane al nuovo d la rimozione, spogliarono i cadaveri de Romani, presero e trasporta rono i feriti, e saccheggiarono nelle trincee tutti gli apparecchi, certamente ben grandi, come per guerra diuturna. Alfine dopo avere, quasi vincitori, depredate le terre nemiche pi prossime, ricondussero in patria ! armata. V. Creati consoli dopo questi Cajo Mallio, e Marco Fabio per la seconda volta, siccome il Senato decret, .che marciassero (i) contro Yejo con armata quanta poteano numerosa, intimarono il giorno per la iscrizion dei soldati. Ben pose loro impedimento per questa Ti berio Pontificio 1 *uno dei tribuni con reclamare il de creto su la partizione delle terre : ma essi, come aveano fatto i consoli antecedenti, guadagnando altri de tribu ni , disunirono que' magistrati, e cos diedero escuzione pienissima ai voleri del Senato. Finita in po^hi d la coscrizion militare, uscirono contro de nemici ; condu cendo ciascuno due legioni, reclutate dall* interno di
(i) Anno di Roma 374 secondo C atone, 376 secondo Vairone 478 av Cristo.
D I O N I G I , tomo I I I .

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Rom a, e milizia non minore , spedita dalle colonie e da sudditi. Giunse dai Latini e dagli Gmici il doppio del soccorso intimato, non per li consoli lo usarono ta tto , ma rimandandone la m et, li ringraziarono am plissimamente di tanto buon animo. Accamparono in nanzi di Roma una terza armata floridissitha di due le gioni, per guardia del territorio , se mai vi si presen tasse altro esercito nemico improvviso; e lasciarono a difenderne le fortezze e le mura gli altri non pi com presi nella iscrizion militare, ma validi ancora per le armi.. Quindi guidando gli eserciti fin presso di Vejo ne misero il campo su due colli non molto lontani fra loro. Acoampavasi davanti la citt larmata nemica, nu merosa e buona pur essa ; anzi maggiore non poco della Romana per esservi accorsi i primarj di tutta la Etruria eo lor dipendenti. Allaspetto di tanta moltitudine, allo splendore delle arm i, assai temerono i consoli di non bastare . vincere, se metteano l esercito loro non bene concorde a fronte dell esercito unanime de nemici. Adun que deliberarono i consoli fortificare il campo , e pren der tempo, finch l audacia nemica elevata da un irragionevol disprezzo, desse loro la opportunit di ben fere. Seguivano dopo ci preludj continui di battaglie, e brevi soaramucce di soldati leggeri ; non per mai nulla di grande o di luminoso. VI. Mal soffrendo i Tirreni la dilazion della guerra accusavano i Romani di vilt perch non uscivano a bat taglia , e msgnificavansi, quasi avessero questi ceduta loro laperta campagna. Anzi tanto pi si elevavano a spregiare le milizie nemiche e vilipenderne i consoli ;

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quanto che credeano gl' Iddj combattere pe Tirreni. E certo caduto un fulmine nel quartiere di Cajo Mallio 1 uno de consoli, ne abbatt la tenda, ne mand sosso* pra i focolari, ne macchi le arme , le bruci d*intor* no, o in tutto glie le distrusse; e ne uccise il pi co spicuo de cavalli dei quali valeasi nel combattere, ed alquanti de serri. E conciossiach gl indovini diceano che i numi annunziavano la presa del suo campo, e la rovina de personaggi p ii riguardevoli ; Mallio lev l e* sercito , e trasferendovelo su la mezza notte , lo con centr nel campo stesso del compagno. I Tirreni co nosciuta la traslazione, ed uditane la causa da' prigio nieri , s ingrandirono tanto pi nel cuor loro, quasi il cielo ancora guerreggiasse i Romani; e moltissimo con fidarono di vincerli. E glindovini loro i quali sembrano aver meglio che quelli di altri popoli esaminato i segni superni, e d onde scoppino i fulmini, e dove finiscano dopo il colpo, da qual Dio vengano, e con quale pre sagio di bene o di male; esortavano che si andasse al nemico, interpetrando il segno avvenuto a Romani in tal modo : poich il fulm ine cadde nella tenda con solare ov' J l centro del comando , e disfacevi tutto insino ai focolari ; egli indizio divino a tutto l esereito delT abbandono del campo espugnato a forza, e della rovina de' pi riguardevoli. Se dunque , di ceano , coloro che ebbero il fulm ine restavansi nel luogo fulm inalo , n tiasportavano ciocch erane signi ficalo infra gli altri ; la presa di un campo , e la distruzione di un armata sola avrebbe appagalo lo sdegno del nume che li contrariava. Ma perciocch

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cercando precedere col senno gli Dei si trassero, ac altro campo, lasciato deserto il proprio, quasi il segno celeste fosse pel luogo non per gli uom ini, quindi che t ira divina fulminer tutti e chi trasmuta/vasi, e chi li raccolse. E' siccome mentre la necessit divina pronunziava la presa del campo essi non aspettarono, ma lo cederono di per sestessi nemici, cos non il campo abbandonato sar preso di f o n a , ma quello che ricett chi lo abbandonava VII. I Tirreni, udite tali cose dagl'indovini, invasero con parie dell' esercito il campo derelitto da Romani, per valersene, contro dell altro. Erane il luogo ben forte, e molto accomodato per impedire chi da Roma andava all esercito. Fatte poi diligentemente altre cose colle quali superar l inimico, recarono in campo 1 ar mata. Ma standosene i Romani in calma, i pi audaci fra loro scorsi e fermatisi a cavallo presso le trincee , rampognarono tutti, quasi femmine : e dicendo simili i duci loro agli animali pi tim idi, gli sbeffavano, e chiedeano luna delle due, vuol dire; che se disputa vano altrui la gloria delle armi ; scendessero in campo, e ne decidessero con una sola battaglia : ma se riconosceansi per codardi ; cedessero le arme ai pi forti , subissero la pena delle opere, n pi aspirassero a nulla di grande. Replicavano altrettanto ogni giorno: ma per ciocch niente ne profittavano ; deliberarono rinserrarli dtorno intorno con muro, per astringerli, almeno colla fam e , alla resa; I consoli luogo tempo guardarono so lamente ciocch facevasi non per codardia n per mol letta, essendo luno e laltro animoso e guerriero; ma

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perch temevano il mal talento, e l ritrosia nata perpetuatasi ne' soldati plebei fin dallora che il popolo tumultu per la di vision delle terre. Ancora stavano loro su gli orecchi, e sii gli occhi le cose che avea fatte nell anno precedente pr astio sul console, vitu perose n degne di Roma, cedendo la vittoria ai vinti ie sostenendo fin gii obbrobrj di Una fuga non vera , affinch colili non trionfasse. Vili. Volendo tot via finalmente dall esercito la se dizione e richiamare alla concordia primitiva la molti tudine; e dirigendo a ci tutti i disegni e le previden te ; poich non poteano ravvederla u co supplizj par ziali come protervissim ed armata, n codiscorsi com insofferente di essere persuasa, concepirono che du vie rimarrebbero per la riconciliazione : vUol dire : la 'infamia di essere vilipeso danemici per gli uomini (che pur ce ne avea ) d indol moderata, e la necessit * cui tntti paventano, per gl indocili al bene. Adunque per effettuare ambedue queste cose, lasciarono che i nemici li disonorassero colle parole, biasimando la cal ma loro come la calma de vili ; e li necessitassero coi fatti pieni di arroganza e disprzzo a tornar valentuo^ mini* se tali non dimostravansi per sestessi. Speravano, se ci faceasi, grandemente che accorrerebbero tutti al quartier generale fremendo , gridando , ed istando di esser condotti al nemico. Or ci appunto addivenne ) imperocch non si tosto prese il nemico a rinchiudere con fossa e steccato le uscite dal campo, i Romani considerata la indegnit dell opera , ne andarono prima tn pochi , indi in folla alle tende dei consoli , e vi

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schiamazzarono , e come di tradimento li redarguirono; protestando infine che se niun de due li guidava, essi di per sestessi volerebbero colle armi alla mano su gli avversar). Ci fatto da tutu, giudicando i consoli venula alfine la opportunit cbe aspettavano, imposero agli araldi di chiamarli a parlamento. Allora Fabio recatosi innanzi disse : IX. Soldati, capitani, tarda la vostra indigna

zione su vilipendj che vi si fa n da nemici ; n pi in tempo la volont che avete di combatterli, per ch manifestatasi troppo dopo il bisogno. AUora doveasi ci fare quando li vedeste la prima vlta scen dere dalle trincee\ e cercar la battaglia: Allora bello era il combattere pel comando, e degno della subli mit de Romani. Ora necessario ne si reso, e certo non di eguale decoro , quando ancora vincessimo. Nondimeno sta pur bene che vogliate una volta ri scuotervi, e riavervi delle occasioni tralasciate. E molto siete lodevoli per tale ardore verso le nobili gesta ; imperocch procede da virt, e vai meglio cominciar ciocch deesi anche tardi, che mai. E d oh! cos tutti v abbiale sentimenti consimili per t ulil vostro , e vi animi tutti uno zelo medesimo per combattere. Pa ventiamo noi per che i trasporti de plebei contro de magist rati per la division delle terre, siano cagione al pubblico di sciagure. E ci noi paventiamo, perch i clamori, e le istanze, e la insofferenza per uscire, non fo rse in tutti effetto di vn disegno medesimo. Ma qitali di voi anelate uscir dal campo per punir t inimico ; e quali per fvggirvene. E cagione del ti-

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mr nostro non sono gi gl' indovini, non le conget ture; ma fa lli pi die notorj e non antichi, anzi fre schi d elt anno precedente, come tutti sapete, quando uscendo contro questi nemici medesimi un esercit nostro numeroso e fo rte , e pigliando fi n la prima battaglia un esito propizio per n o i, mentre Cesone mio fratello, console condottiero poteva espugnare gli alloggiamenti loro e riportare alla patria una vittoria luminosa, alquanti presi da invidia della gloria di lui perch n era popolare n mirava nel suo governo a fa r le voglie de poveri, levarono le tende la notte stessa dopo la battaglia, e fuggirono fu o ri di ogni comando, senza valutare il pericolo che comprendevali n ell andare privi di ordine e di capitano per le terre nem iche, e fr a la notte , e senza riguardare quanta vergogna n avrebbero , perch quanto era in loro, cedevano V impero a nemici, essi gi vincitori ai vinti. Tribuni, centurioni, soldati ! in vista di tali uomini, non buoni n per dominare, n per fa rsi dominare, che pur sono molti e caparbii, e colle arm i, non abbiamo noi fi n qui voluto la battaglia , n osiamo ancora per tali compagni decidere in campo la somma delie cose, perch non sian essi et impedimento e di danno a chi presenta tutto il buon animo. Ma se la divinit richiami ancor essi a buon senno, se, lasciate da parte le discordie per le quali ha il nosti'o comune tanti mali e s gravi, e differitele ai tempi di pace , vorranno redimere ora col valore t obbrobrio passato: niente impedisce che ne andiamo caldi di belle spe ranze al nemico. Oltre le tante opportunit di vin

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cere, le pi grandi e pi solide ce le porge la stoli* dit degli avversarf medesimi. Costoro superiori a noi di molto nel numero, ed atti con ci solo a contrab bilanciare l animosit e perizia nostra, han privato sestessi fin di quest unico vantaggio, consumando il pi delle milizie in guardia delle loro fortezze. A p presso , quantunque dovrebbero fa re ogni cosa con diligenza e saviezza considerando con quali e quanti grand uomini abbiano a misurarsi, pur vanno con arroganza ed incuria al cimento , come sian essi in vincibili, e noi sopraffatti dal terrore di essi. E le fosse con-che ci cingevano , e le corse a cavallo fi n sotto ai nostri alloggiamenti, e ta n i altre ingiurie colle parole e colle opere, questo appunto dimostrano. Or via dunque, ci riguardando e le tante e si belle antiche battaglie nelle quali gli avete vinti: andatene con ardore a questa ancora. E quel luogo dove cia scuno sar collocato, quello concepisca essere la casa, i poderi, la patria sua : concepisca che chi salva il vicino in battaglia salva s ancora: e che abbandona sestesso a nemici chi abbandona il compagno. Ram mentatevi soprattutto che di quelli che persistono va lorosi e combattono , pochi ne soccombono ; laddove pochi ne scampanof e a stento, di quelli che piegano, e figgono. X. Egli seguitava ancora , in mezzo a lagrime co piose , tal discorso animatore , e chiamava a nome cia scuno de tribuni, de centurioni, e de soldati, noto a lui per le belle prove di valore date nel combattere, e pr ometteva a chi pi segnalato sarebbssi nella batta

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glia molti e gran pegni, di benevolenza , onori, ric chezze , soccorsi d ogni guisa in parit delle imprese ; quando proruppe da tutti una voce che invitavalo a confidare , e portarli al nemico. Cessata questa, gli si fece innanzi dalla moltitudine Marco Flavoleio , plebeo di condizione ed artefice, non vile per , ma per le sue virt pregiato , e prode in guerra; e per tali due rispetti condecorato in campo di una presidenza lumi nosa , cui sieguono ed ubbidiscono per legge sessanta centurie. I Romani chiamano primipili nel patrio idio ma tali condottieri. Or quest uomo, altronde grande e bello, postosi in parte, donde fosse a tutti visibile, al fine disse : Y o i temete, o consoli, che le opere nostre

non corrispondano alle parole? Io per il primo vi dar su mestesso le assicurazioni meno equivoche della mia promessa. E voi cittadini, voi compagni della sorte medesima, voi che avete risoluto di pa reggiare ai detti le opere , non sbaglierete facendo quanto io fo . E q u i, sollevando la spada, giur con forinola sacra e solenne ai Rom ani, per la sua buona fede, di non tornare, se non dopo vinti i nemici, alla patria. Sorserb al giuramento di' Flavoleio lodi amplis sime dognintorno. Fecero bentosto altrettanto i consoli e mano a mano i duci minori, tribuni e centurioni ; e la moltitudine Gnalmente. Videsi dopo ci molto buon anim in tutti, molta benevolenza fra loro, molta con fidenza , e fermezza. Partiti dall adunanza , chi metteva il freno al cavalli, chi le spade aguzzava e le lance ; e chi riforbiva gli scudi ; ond che tra poco tutta T ar mata fu in pronto per la battaglia. I consoli, invocati

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gl Iddi eoa voti, con sagrifizj, con suppliche, perch fossero i duci essi . stessi di quella uscita, portavano fuori degli steccati l esercito, schierato in buon ordine. I Tirreni vedutili scendere dalle loro trincee, ne stu pirono , e vennero ad incontrarli con tutte le forze. X I. Come furono gli uni e gli altri sul campo, e le trombe annunziarono il segno della battaglia , corsero quinci e quindi con alti clamori. E fattisi i cavalieri su i cavalieri, ed i fanti su i fatiti; pugnarono, e molta iu la occisine in ambe le parti. I Romani dell ala de* stra comandati dal console Mallio malmenavano il corpo che ti contrastava , e smontati da cavallo combattevano appiede: ma quelli dellala sinistra erano circondati dal corno destro de nemici. Imperocch essendo ivi la mi lizia tirrena pi elevata e pi numerosa , i Romani ne erano battuti, e coperti di ferite. Comandava in questo corno-Quinto Fabio luogotenente e gi due volte con sole. Egli resist lungo tem po, ricevendovi ferite sopra ferite; ma poi trafitto da una lancia nel petto fino alle viscere , esangue ne stramazz. Come ci ud Marco Fabio il console che erasi ordinato nel centro, pigli seco i pi bravi, e, chiamato Fabio Cesone l uno dei fratelli, marci verso 1 altro Fabio (i). E proceduto buon tratto, e trascorso all ala destra denemici, venne a quelli che circondavano i suoi. Dato lassalto, caus 6trage cu pa a quanti avea tra le mani, e fuga ad altri che erano da lontano. Trovato il fratello che respirava
( i) Il ferito. Par questo il senso migliore. Nel testo si legge in luogo di Fabio. Qui dunque si hanno tre F a b j, Marco , Quinto , e Cesone> fratelli tutti tre.

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ancora, lo sollev; ma questi non molto sopravvivendo, mor. Crebbe qni l ' ira a' vendicatori suoi su nemici. N pi riguardando la propria salvezza lanciatisi in picciola schiera nel mezzo di essi, dove erano pi folti, vi al zarono monti di cadaveri. Pericol da questa parte la milizia toscana, ed essa che prima incalzava era incal zata dai vinti. Per lopposito quelli dellala sinistra che gi crollavano , e gi mettevansi in piega l dove_era Mallio., quelli fugarono i Romani contrapposti. Imperoc ch trafitto Mallio con una lancia da banda a banda in un ginocchio , e riportato da suoi che lo circondavano agli all oggiamenti ; i nemici lo credettero estinto , e se ne animarono ; ed assistiti pur da altri forzavano i Ro mani , ridotti senza duce. I Fabj dunque lasciato il corno sinistro furono di nuovo astretti a soccorrere il destro. I T irre n i, vistili che venivano con esercito po deroso , desisterono dall inseguire : e strettisi fra loro, combatterono in ordinanza, perdendovi molti deloro; e molti uccidendovi de'Romani. XII. Intanto i Tirreni che avevano invaso gli allog giamenti lasciati da Mallio, alzatone il segnale dal ca pitano, marciarono con gran fretta ed ardore verso gli altri alloggiamenti Romani perch non bene forniti di guardie. Era il loro concetto verissimo ; perch tolti i triarj e pochi giovani, non v erano se non mercadanti, e servi , ed artefici. Ma ristrngendosi molti in picciolo spazio presso le porte, ebbevi una viva e tenibile zuffa con strage copiosa e vicendevole. Accorso con i cavalieri Mallio il console per ajuto ; cadde col cavallo, n po tendo risorgere per le molte ferite vi mor. Perirono

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ancora intorno a lui molti giovani valorosi : e per tale infortunio gli alloggiamenti furono espugnati; verificane dosi cosi li vaticinj fatti ai Tirreni* E se avessero bea usato la sorte presente, e guardato quegli alloggiamenti; sarebbero stati gli arbitri delle provvigioni de' Romani e gli avrebbero costretti a partire obbrobriosamente : ma datisi a predare le cose rimastevi, e li pi a ristorarsi ancora, lasciaronsi fuggir di mano una bella occasione* Imperocch nunziatasi appena all altro console la presa del campo , accorsevi co' fanti e cavalieri migliori. Li Tirreni saputo che veniva cinsero le trincee ; e fecesi battaglia ardentissima tra chi voleva ricuperar le sue cose, e chi temea , se ricuperavansi, 1 ultimo eccidio. Ma traendosi in lungo , e riuscendovi migliore assai I* condizione de' T irre n i, perch combatteano da lucfgo elevato contra uomini stanchi dal combattere di tutto il giorno; Tito Siccio legato e propretore, consigliatosene con il console, intim la ritirata ; e che si riunissero ed attaccassero tutti le trincee dal tanto pi facile. Trascur la banda verso le porte per un discorso plau sibile che non lo ingann; per questo cio, che i T ir reni sperando salvarsi, ne uscirebbero : laddove se di ci disperavano circondati da nemici senza uscita niuna; sarebbero necessitati a far cuore, Portatosi in Una sola parte lassalto; non pi si diedero i Tirreni a resistere; ma spalancate le porte, salvaronsi ne proprj alloggia menti. XIII. Il console, rimosso il pericolo, scese di nuovo a dar soccorso nel piano. Dicesi che questa battaglia de Romani fu maggiore di tutte le antecedenti per la

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Moltitudine degli uom ini, per la durazione del tempo, e per l alternarvi della sorte ; imperocch venti mila erano i fanti, tut di Roma, floridi e scelti, oltre mille dugento cavalli che univansi alle quattro legioni; ed al trettanta era la milizia de' coloni, e degli alleati. La battaglia cominciata poco prima dvl mezzogiorno si estese fino all occaso, e la sorte ondeggi quinci e quindi gran tempo tra vittorie e tra perdite. Occorsevi la morte di un console, di un legato , stato due volte console, e di tanti altri capitani, tribuni, e centurioni, quanti mai pi per addietro. Il buon esito della giornata fu creduto de' Romani non per altro , se non perch li Tirreni fra la notte lasciarono il proprio campo, e pas sarono altrove. Il giorno appresso fattisi i Romani a saccheggiare il campo Tirreno abbandonato, e seppel lire le morte spoglie dei lo ro , tornarono agli alloggia menti. Dove riunitisi a parlamento diedero i prem) di onore a quelli che avevano, combattuto da valorosi, e primieramente a Fabio Cesone fratello del console, che avea fatto grandi, e meravigliose gesta : in secondo luogo a Siccio, cagione che gli alloggiamenti si ricu perassero ; ed in terzo, a Marco Flavoleio duce di una legione, s pel giuramento, che per la magnanimit sua tra' pericoli. Rimasero dopo ci per alquanti giorni nel campo ; ma niuno pi dimostrandosi per combatterli tor narono alla patria. In Roma per battaglia s grande la quale prendea fine bellissimo, voleano tutti aggiungere 1' onor del trionfo al console che tornava : ma il con sole stesso noi consent, dicendo, non essere pia cosa, p giusta, che egli s' avesse pompa e corona trionfale

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per la morte del fratello e del collega. E qui lasciato le insegne , e congedato 1 esercito , depose ancora il consolato due mesi prima del termine suo , non po tendo ornai pi sostenerlo per la grande ferita che lo travagliava e riducevalo in letto. XIV. Il Senato scelse gl interr pe comizj, e convo cando il secondo interr la moltitudine nel campo Mar zo , vi fu nominato console Tito Verginio, e per la terza volta Fabio Cesone, colui che ebbe i primi preinj della battaglia ed era fratello insieme del console , che avea deposto il comando. Questi, decidendo ciascuno per s 1 esercito col mezzo delle sorti, uscirono in campo, Verginio per combattere i Vejenti e Fabio gli Equi che scorrevano, depredando, le campagne Latine (). Gli Equi all udire che i Romani venivano, si levarono in fretta dalle terre nemiche, e ritiraronsi alle proprie citt, sopportando che si derubassero le terre loro: tanto che il console col subito venir suo s impadron di datteri, di persone, e di altre prede in copia. Si tennero i Ve jenti in principio tra le mura ; ma quando parve loro di avere il buon punto, uscirono su Romani sbandati, ed intenti alla rapina delle campagne. E perciocch piombarono num erosi, in buon ordine contro di essi, non solo ne ritolser-le prede; ma uccisero, o fugarono quanti si opposero. E se Tito Siccio legato non accor reva , e li frenava, con soldatesca ordinata appiedi e a cavallo, niente impediva clie 1 esercito in tutto si di* struggesse. Ma giunto lui per impedir ci, si affretta
( i ) Anno di Roma 375 secondo C atone, 277 secondo Varrone e 479 av. Cristo.

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rono a riunirsegli, senza eccettuarne alcuno, tutti i di spersi. Concentratisi tutti occuparono a sera un colle, e vi pernottarono. Animati dalla prosperit li Vejenti ac campanasi presso del colle e chiamarono altri dalla citt, quasi avessero addotti i Romani in luogo, privo in tutto de' viveri, e potessero tra non < rtiollo necessitarli ad ar rendersi. Accorsavi gran moltitudine, si misero due campi ne lati possibili ad espugnarsi del colle ; ed altre picciole guarnigioni in sili men facili ; tanto che tutto ribbolliva di armati. Fabio l altro console intendendo per le lettere del compagno che gli assediati nel colle erano agli estremi, e sul punto ornai di rendersi per la fame , se alcuno non li soccorreva ; raccolse 1 esercito , e corse su Vejenti. E se giungeva un giorno pi tardi; niente gli sarebbe valuto , ma trovato avrebbe 1' esercito rovinato. Imperocch quei del colle costretti dalla pe nuria ne uscirono per correre a mone pi onorata ; e fattisi alle prese co' nemici, combattevano esausti dalla fame, dalla sete, dalla veglia, da ogni disagio. Ma dopo non molto, quando videsi l esercito di Fabio che giungeva numeroso, in buon ordine, torn la confidenza ne Romani, e la paura negli avversarj. Dond che i Tirreni pi non estimandosi acconci per fare giornata contro di un esercito fresco e polenta, abbandonarono l'im presa, e partirono. Ma non s tosto le due armate Romane si ricongiunsero, fecero un amplissimo campo in luogo munito presso della citt. Trattenutisi quivi pi giorni, e saccheggiatone il meglio del territorio di Vejo ; rimenarono in pfetria gli eseiciti. Avvedutisi i .Vejeuti che le milizie Romane eransi levate dalle iqse-

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gne, presa la giovent pi spedita che essi tenevano in arme , e quanta ne era presente de loro vicini, si get tarono su campi confinanti, e li depredarono pieni di frutti, di bestiami, di uomini ; per essere i contadini calati da castelli a pascere i bestiami e lavorare le terre su la fiducia che aveano nell' esercito Romano trincierato innanzi di loro. Non eransi questi al partir delle sercito affrettati a ritirarsi colle cose loro, non temendo che i Ve}enti, tanto danneggiati, dessero cosi pronta la ripercossa a nemici: F u la irruzione de Vejenti pic cola se se ne guardi il tempo; ma grandissima per la quantit de campi saccheggiati : ed avanzatasi fino al Tevere verso il moule Gianicolo a meno di venti stadj da Roma ; le rec dolore e vergogna insolita ; non es sendovi sotto le insegne milizie che impedissero a quella di estendersi. Cosi lesercito de Vejenti prima che que-r ste si riunissero ed ordinassero, corse desolando, e parti. XV. Adunatisi quindi il Senato e i consoli, e datisi a considerare in qual modo fosse da far guerra a Ve jenti; prevalse il partito di tener ne confini milizie di osservazione pr onte sempre in campo per la difesa del territorio. Conturlavali che grande ne diverrebbe il di spendio , laddove l 'erario era esausto per le imprese continue , n pi bastavano i beni ai tributi ; e molto pi conturbavali la recluta di tali presidj da spedirsi ; perocch niuno valeva star in guardia per tutti: doven dosi travagliare non a volta a volta, ma sempre. Essen do per taK due cause mesto il Senato; i due Fabj ( 1)
(1) I due Fabj sono Marco Fabio, e Fabio Cesone nominali di sopra.

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convocarono quanti partecipavano il loro lignaggio. Con sultatisi , promisero al Senato di andare spontaneamente essi per tutti a tal rischio , conducendo seco amiti e clienti, e militandovi a proprie spese ; finch durerebbe la guerra. Ed esaltandoli per la disposizion generosa, e contando tutti di vincere anche per questa opera sola,, pigliarono essi famosi in citt le arme tra sagrfizj e tra i voti, e ne uscirono. Era duce loro Marco Fabio il console dell anno precedente, quegli che vinse i Tirreni in battaglia. Esso menava presso a poco quattro m ila, clienti per la maggior parte ed amici , ma trecento sei ve n erano della stirpe de'Fabj. Usc non molto dopo su le orme loro 1 armata Romana, comandata da Fabio Cesone, luno deconsoli. Avvicinatisi al Cremer, fiume non molto discosto da Vejo , fortificarono su di una balza precipitosa e dirotta un castello opportuno a di fendere tante milizie, e vi scavarono intorno doppie fosse, e vi elevarono torri frequenti. Cremer fu nomi* nato ancor esso il castello dal fiume. E conciossiach molti esercitavano, ed il console stesso coadjuvava quel lavoro, fu terminato prima che noi pensassero. Allora cav l esercito, e marci su 1 altra parte alle terre dei {Vejenti, poste incontra al resto della E truria, dove quelli tenevano i bestiami, non aspettandovi mi larme Romane. Fattavi gran preda se la rec nel nuovo ca stello , esultandone per due cause , cio per' la vendetta non tarda pigliata su nemici, e per 1 abbondanza che dava copiosissima ai soldati che lo presidiavano, percioc ch niente ne riserv per l erario, o ne dispens tra lo
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sue biilizie, ma tutto concedette a quelli che guarda-* vano la regione, greggi, giumenti, gioghi di buoi > ferramnti, e quanto era utile per la coltura. E dopo ci rtnen 1' feserfcito a Rotila. Erdno dopo fondato il Castello i Vejenti a mal termite ; tttn potendo n lavo* rare con sicurzza le terre, u ricevere estrne vetto vaglie. Imperocch li Fabj (i) diviso in quattro prti la gente lo ro , con una difendevano il castello , e le tre altre scorrevano l regione nemica pigliando, e traspor tando. E quantnque molte volte i Vejenti gli assalirono Con truppe non poche nell aperto, e s li tirsitono diletto iti terre piene d insidie ; essi nondimeno viiiser 1 uno e 1 altro pericolo ; e fatta grande uccisine, si ricotadussero salvi al castell. Pertanto non s&vftno pi li nemici d investirli, ma tenendosi per lo pi tra le tnurtt, ne faceano furtive sortite. E cosi ne and queli inverno. XVI. Entrati lanno appresso (a) in consolato Lucio Emilio, e Cajo Servilio, fa nunzito a Romani , che i Volsci e gli Equi ransi cotivenUti di portare su loro la guerra, e d invaderne tra tion mlto le terre; e ve rissimo ne era 1 annunzi. Imperocch , armatisi'gli uni e gli altri prima dell aspettazione, corsero , . e devasta rono , ciascuno, l regione vicina a sesiesso , persuasi che non potrebbono i Romani combattere in un tempo i Tirreni -, e rispiugere altri che gli assalissero. Poi so. (i) Cio quelli f quali presidiavanb il cartello oli gli auspicj di Marco Fabio. (a ) Anno di Roma 376 secondo Catone, 378 secondo Varrone ; e 476 *v. Cristo.

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prawnendo altri ridicevano che l Etruria tutta levavasi 10 guerra contro i Romani, e preparava*! di spedire ia comune un soccorso a Vejenti. Or lo avevano i Ve jenti , incapaci di espugnare il castello, implorato quosto soccorso ; commemorando la unit del sangue, Y amicizia, e le tante guerre che aveano insieme combat* tute. Ansi aveano dimandata lalleanza loro nella guerra co Romani non s per questi riflessi, come per quello ancora , che i Vejenti erano su la frontiera dell' Etraria; e frenavano una guerra,, che versavasi da Roma su tutta la nazione. Convinti di tanto i Tirreni promisero mandare tutti i susslj che richidevano. Per l opposto 11 Senato, informatone, risolvette spedire tre eserciti. Ed rrolate in fretta le milizie; fu spedito Lucio Emilio su i Tirreni. Usc pu r con esso Fabio Cesone, colui che avea di fresco deposto il comando, ottenuta dal Senato la facolt di ricongiungersi in C remer, e partecipare i pericoli della guerra colle genti Fabie che il fratello aveaci condotte in difesa del luogo: ma egli v andava co suoi compagni ornato di autorit proconsolare. Cajo Servilio l altro console marci contro i Volsci, e Servio Furio proconsole contro gli Equi. Seguivamo ciascun di essi due legioni Romane , e truppe alleate non minori .di E rnici, di L atini, e di altri. Servio il proconsole -esped la guerra con termine rapido e lieto ; perciocch fug gli Equi con una battaglia , e senza stento ; im paurendoli al primo investirli : e poi rifuggitisi questi neluoghi forti ; ne devast le campagne. Ma Servilio il console fattosi a combattere con fretta ed orgoglio, in contr ben altra sorte da quella che ne aspettava: Op-

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postillisi i Volsci bravissimamente , vi perdette molti va* lentuomini: tanto che si ridusse a non far pi battaglia; ma standosi negli alloggiamenti, deliber di mantenere la guerra con tenui mosse e scaramuccie desoldati leg geri. Lucio Emilio mandato nell E trurU , trovando ac campati innanzi della citt li Vejenti con grandi rinforzi di quella nazione, non indugi per imprendere : ma dopo un giorno da che erasi. trincerato, present le schiere in battaglia. Vi si lanciarono i Vejenti arditisshnamente: ma divenuta questa eguale in ambe le parti; prese i cavalieri, e gli avvent su 1 * ala destra de ne mici : e perturbatala ; corse su la sinistra , combattendo a cavallo dov'era luogo da cavalcarvi, e dove ab, smon tando , e combattendo a piede. Venute in travaglio am bedue le ale ,. nemmeno il centro pot pi sostenersi, forzato dalla fanteria : e fuggirono tutti verso gli allog giamenti. Emilio allora gl! iusegu con le milizie ordi nate, e molti ne uccise. Giunto presso gli alloggiamenti diedevi -con mute continue 1 assalto, ostinandov i tutto quel giorno e la n otte seguente: finch nel giorno ap presso languendo i nemici pel travaglio, per le ferite ; e per la veglia , se ne impadron. Quando i Tirreni videro i Romani trascendere le trincee , le abbandona rono, e fuggirono quali in citt, e quali amonti vicini. Tennesi il console per quel d negli alloggiamenti ne mici ; ma nel giorno prossimo onor con doni conve nienti i pi segnalaci in combattere, e concedette a sol dati quanto era ivi stato lasciato, giumenti, schiavi , e tende piene di ogni ricchezza. E l esercito Romano se ricolm quanto non mai per altra battaglia; inope-

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rccb li . Tirreni vivono vita delicata e sontuosa in pa tria , ed in campo; e portan seco, non che le cose necessarie -, suppellettili ancora di pregio e di artifizio , ond' esserne in piaceri e delizie. XVII. Ne giorni appresso stanchi da mali i Vejenti spedirono ambasciadori i pi anziani della citt co modi de' supplichevoli per trattare intorno la pace col console* Or questi sospirando, prostrandosi, e dicendo, tra molte lagrime, quante cose mai sogliono impietosire ; indus sero il console a questo, che permettesse loro d'inviare oratori a Roma per dar fine in Senato alla guerra : che non danneggiasse in tanto la terra lo ro , finch ne tornassero colle risposte. Ad ottenerne per qusto, pro misero, come volle il vincitore, dar grano per due m esi, e danari per sei pe stipendj di tutta l armata. E portate, e ric e v u te le dispensate tra' s h o tali cose , il console conchiuse con essi la tregua. Il Senato , uditi gli ambasciadori, viste le lettere del console che. molto pregava, e raccomandava che si finisse il pi presto la guerra co' Tirreni ; deliber dar la pace che dittianda* vasi : e che nel darla il console Lucio Emilio stabilisse le condizioni che gli sembrasser migliori. Il console a tale risposta si concord co Vejenti, facendo una pace anzi umana, che utile pe' vincitori, senza riserbare per essi delle terre, senza impor nuove multe, n garantire i patti cogli ostaggi. Or ci lo mise in grand odio, e fu causa che non avesse -dal Senato ringrazia menti, come savio nel procedere suo. Imperocch chiese il trionfo; ed i padri si opposero ; incolpando 1' arbitrio de' suoi trattati, definiti senza il pubblico voto. Affinch per

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non sei prendesse ad ingiuria , n sen corucciasse ; Io destinarono a portare le armi contro de Volsci in soc corso dell altro console, perch, come fortissimo uomo eh egli e ra , desse ivi , se poteasi, buon fine alla guer ra , e dissipasse 1 odio dell azion precedente. Ma costui sdegnato su la negazion degli onori fece presso del po polo lunga accusa de senatori, quasi dolesse loro che spenta fosse la guerra co Tirreni. Diceva , che ci fa cevano ad arte in medicamento de poveri, perch i poveri, delusine gi tanto tempo, n o n insistessero per la division delle te rre , se tornavano dalle guerre di fuori. Queste e simili contumelie lanci con indigna zione vivissima su patrizj , e sciolse 1' armata che avea con lui combattuto, e richiam, e conged 1 altra che era tra gli Equi sotto Furio proconsole. Con che re stitu molto potere ai tribuni di malignare nelle con cioni contro del Senato, e di alienare dai ricchi i poveri. XV lil. Presero quindi il consolato Cajo Orazio, e Tito Menenio ( i ) nella olimpiade settantesima sesta , quando vinse allo stadio Scamandro da Mitilene, es sendo in Atene Fedone l ' arconte. Il torbido interno imped questi a principio ufatti del comune, fremendo la .moltitudine, n tollerando che si fornisse niuna pub blica cosa innanzi la divisione delle trre. Ma poi, vinto il popolo dalla necessit, lasci quanto facea sommossa e tumulto, e ne aud spontaneo in sul campo. Impe rocch le undici popolazioni Tirrene non comprese nella
( i ) A nno di Roma 377 secondo C atone, 379 secondo Varron*j e 475 a C r i s t o .

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pace, tenuto consiglio, a c c u sa n o i VejeQti.su la pace, fetta co Romani senza il voto cpmuqe , e chiedevano che la rompessero , o n ayre})bero guerra da loro, e$si e i Romani. Esqu^ayansi i Vejenfi sulla necessit della pace, e proponevano che il consiglio nazionale, delibe rasse come potessero decorosamente rescinderla, Quivi fu chi sugger che reclamassero sul castello di Cremer, donde non toglieva) ancora l guarnigione. Ceppassero prima con parole che lo disgombrassero; ma se ppj non ve gl indueevano; lo assediassero, e dessm) cqn ci principio all guerra. Le varo usi, pi convei^utg , dal parlamento. Indi a non molto spedirono i Vejenti a r i d o mandare da' Fabj il castello, e gi tutta i Etruria era su 1 arme. I Romani,, conosciuto ci per lejttere spedite da F a b j, decretarono che uscissero ambedue i cpqsol l uno alU guerra che orge# dati Etruria , e 1 ? ajtro $ quella che ardeva gi co Volsci* Orazio marci op due legioni e ton truppe alleate beq ^bjcti 0 9 0 ^ 9 deVolsci, Menenio dovea con altrettanta soldatesca incampoarsji contro 1 Etruria, Ma intanto che si appareccbij, e s i ri fugi? $ il castello di Cremer fa pre?Q, e distrutta la stirpe ide Fabj. La sciagura de qua L i si narra a due modi 1 ubo bob persuadevole, 1 altro pi prossimo al vero, lo gli esporr tutyi d u e , come gli ebbi. XIX. Nanwao alcuni che sovrastando un patrio sa gri ficio che dpveasi porger daFabj, us cirono gli uqirnni con pochi clienti per compierlo , ed andarono, senza esplorare le strade, con ordinati Rotto le insegne , ma incauti e negligenti, quasi passassero terre amiche, nei giorni lieti della pace. I T irreni, saputane anzi tempo

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1 andata, disposero tra via le insidie con parte dell' eJ sercito, mentre l ' altra parte veniva in ordinanza n on mo lto addietro. Approssimatisi i Fabj, sorsero i Tirreni dalle insidie, e gl invasero di fronte , e di fianco ; as salendogli non molto dopo da tergo il resto deTirreni. Circondatili d ogn intorno con Sonde , con archi, e d ard i, e lance; gli uccisero tatti colla moltitudine dei colpi. O r tale racconto a me sembra poco persuasivo. Imperocch non par verisimile, che tali u omini, addetti com' erano alla milizia, ne andassero dal campo in citt senza il voto del Senato per sagrificarvi ; potendo il santo 'rito fornirsi per altri del lignaggio medesimo, gi provetti negli anni. Che se tutti erano partiti da Roma senza che stesse nepatrj lari alcuno deFabj; nemmeno pu credersi, che uscissero dal castello quanti di questi il guardavano; imperciocch se ne andavano tre q quat tro , bastavano a compiere il santo rito per tutta la pr* sapia. Per tali cagioni a me non sembra credibile questo racconto. XX. L altro che io reputo pi verisimile su la di* struzione di essi, come su la presa del castello, cosi procede. Andando questi di tempo in tempo per forag giare, e spandendosi ognora pi da largo, come queUi che prosperavano ne'tentativi ; i T irreni, raccolte gran forze, si accamparono, senza che il nemico ne sapesse, in luoghi vicini : poi facendo uscire da castelli masse di pecore, di buoi, di cavalli, come per pascere, accen devano i Fabj ad invaderli : ond che venendo questi predavano i pastori, e menavano seco i bestiami. Davano i Tirreni di continuo tal esca, traendo i nemici sempre

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pi' lontani dal campo: or quando ebbero con gli allet tamenti perpetui dell utile rallentate le provvidenze loro per la sicurezza ; misero di notte gli agguati in luoghi opportuni, intanto che altri stavano su le alture per esplorare. Nel giorno appresso mandati innanzi alcuni soldati, come per difesa de pastori, cavarono molto be stiame da castelli. Come fu nunziato ai F ab j, che se andavano di l dai colli vicini , troverebbero ben tosto il piano ripieno d' ogni bestiame senza valida guardia : lasciarono nel castello un idoneo presidio, e vi si di ressero. E trascorrendo frettolosi, ardenti, la via , pre sentarono schierati iu arme ai pastori : i quali senz aspettarli fuggirono. I Fabj come sicuri arrestavano essi e ne menavano gli armenti,; quando i Tirreni uscendo per pi luoghi dalle insidie gl investirono dogn in torno. Sbandatisi i pi de' Romani non poterono gli uni soccorrere gli altri, e perirono. Gli altri che erano in schiera, intenti a raccogliersi in luogo sicuro, affrettavansi ai monti ; e trovaronsi in mezzo di agguati, di sposti tra balze e selve. Fecesi grande combattimento, e strage vicendevole. Pur li respinsero i Fabj , ed em piuta la valle di cadaveri, corsero ad un altura non fcile a prendersi, ove , privi di tutto il bisognevole, passarono la notte seguente. XXI. Quei che guardavano il castello saputa nel giorno appresso la sorte dei loro , come gran parte ne era pe rite tra le prede, come il fior d essi era assediato, e ristretto in una cima deserta , e come se non davasi pronto soccorso vi sarebbero vinti pel disagio; v anda rono a gran fretta, lasciato, dov erano , un presidio

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assai scarso. Ma corsi da proprj castelli i Tirreni li cir condarono , prima che a suoi si riunissero, e gli ucci sero infine tutti, quantunque dimostrassero sommo va lore. Dopo non molto i refuggiti nel colle spinti dalla fame e dalla sete risolverono di andarne al nemico : e scagliatisi pochi su molti, pugnarono dalla mattina alla sera; facendo tanta strage che i cumoli decadaveri ne mici gl impedivano in pi luoghi dal combattere. I Tir reni perdutovi pi che il terzo, e temendo pel resto dellesercito, sospesero alquanto la zuffe, e a gran voce annunziarono per gli araldi, e promisero a Fabj libera la uscita, se lasciavano le arate e il castello. Non ac cettando per questi l invito, anzi preferendo una mode generosa; ripigliarono i Tirreni gli uni dopo gli altri l attacco non a pi frmo e da presso , ma fulminan doli da lontaao con strali e sassi, tanto che pareano questi, denei come neve, discendere. I Romani, ristret tisi nelle schiere, corsero sopr essi che non sosteneano l incontro, e vi si tennero ia mezzo ai colpi che riceveano d ogn intorno. Ma rimasti alfine molti con spade rintuzzate, rotte, inutili, e con scudi laceri intorno da gli strali, e trovandosene i pi trafitti ^ esangui, invalidi 9 moversi per le ferite ; i Tirreni gli spregiarono e corser su loro. Scagliatisi come, fiere i Romani ne afferra rono e spezzaron le aste ; e strapparono loto di mano le spade , presele per le punte. Alcuni prostrati in terra ne sorgeano combattendo , anzi colla virt, che colle frze. T anto che non pi venivano con essi alle mani i nemici sbalorditi dalla, fermezza devalentuomini, e spa ventati dallardore che aveano concepito disperando della

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vita: ma slontanatisi di bel nuovo li tempestavano con iegrii e issi e con quanto capitava lor o ; sopraffacendoli infine colla quantit dei colf. Distrattili, eorsero al ca stello recando seoo ie tette de pi riguardevoli, per abbattervi col solo presentatisi, quelli che verano; non succedette per secondo i lor voti. Imperocch li soldati lasciativi in guardia , presi da inyidia della morte gene rosa de compagni, e parenti, uscirono , sebbene po chissimi , e fatta lunga battaglia so ccomberono come gli altri ; dond che i Tirreni presero il castello diserto. Questo secondo racconto a me sembra d'edibile pi del prim o; pur si ha l un o e l altro in pregiati, scrittori Romani. X X II. Quello poi che aggiungesi tutto che non vero, n versimile, ma finto sia dalla moltitudine per voci uditene, pure non si dee tralasciare sema considerarlo. Dicono alcuni che spenti i tre centosei Fabj n on rimase della stirpe loro che un fanciullo. O r tale narrazione non solo improbabile , ,m a impossibile ; imperocch non pu essere che i Fabj andati al castello mancassero tutti di mogli di figli; quando un antichbsima legge obbligava al matrimonio in et conveniente, e ad alle varne indispensabilmente la prole: n gi avrebbero essi i soli violata una legge mantenuta dagli avi fino a loro. E se altri dica anche questo ; certo non conceder .che non avessero fratelli di et puerile ; se pur non vuole le favole somigliare e le finzioni teatrali. Ed in Unto scadimento di stirpe i padri loro idonei ancora a dar figli, non ayrebberae generato degli altri perch n i sagrifizj aviti si tralasciassero, n lo splendore in tutto

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perisse della lor gente? Che se non erasi lasciato niun padre loro idoneo a tanto, egli impossibile che rima* sti non fossero teneri fanciullini, e mogli gravide, fra telli im puberi, e padri impotenti. Pertanto, consideran dolo, non giudico vero quel racconto: ma ben giudico v ero, che tenuto per sett' anni il consolato dai tre Fabj Cesone, Marco, e Quinto , rimanesse a Marco solamente un figliuolo ; e niente impedisce credere che questo sia quello il qual dicesi 1' unico sopravvanzato. E forse 1' essere in et matura divenuto insigne e celebre lui solo porse a molti la occasione di dire , che non eravi rimasto de Fabj che un solo, non perch non ve ne fosse niun altro, ma perch niunaltro somigliava quelli, se argomenlavasi la prosapia dalla virt , non dalla nascita. Ma ci basti su questo. XXIII. I Tirreni dopo disfatti i Fabj e preso il ca stello di Cremer, marciarono armati contro le altre forze Rbmane. Menenio, i altro de' consoli, non tenea n lontano il campo, n in luogo sicuro. E quando la gente Fabia periva co'suoi clienti, era discosto soli trenta stadj dal luogo della sciagura. Or ci diede a molti so* spetto, ch egli saputo il rischio de Fabj, li trascurasse per astio della virt , e della gloria loro. Dond che chiamatone da' tribuni in giudizio principalmente per ci, vi fu condannato. Imperocch pianse Roma tali e tanti valentuomini, inesorabile su quanti pareano cagion della perdita: e dichiar negro e nefando il giorno dell infortunio ; talch pi non vi si desse principio ad imprendere le utili azioni in memoria della sorte incon tratavi. Avvicinatisi i Tirreni ai Romani e vedutone ac

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campalo lesercito appi di un lato del monte; spregia rono la imperizia del duce, e seguirono di buon grado la bella occasione presentata loro dalla sorte. Presero le truppe equestri, e ben tosto per laltra parte del monte ne ascesero fin su le cime senza ostacolo alcuno. Oc cupata laltura che soprastava ai Romani, vi posero gli alloggiamenti, e vi trassero le milizie tutte in salvo ; cingendoli con alte palizzate e fosse cupe. Se dunque avvertito il vantaggio dato da esso a'nemici e pentitone, avesse menato altrove in luogo sicuro le sue genti; Me nenio sarebbesi condotto da savio. Ma vergognatosi com parire di aver mancato , e sostenendo il proposito suo rimpetto ad altri che ne lo richiamavano, cadde in colpa veramente obbrobriosa. Imperocch li nemici , spiccatisi ad ora ad ora da luogo superiore, assai ne prosperarono; derubando i viveri che si recavano ad essi da merca tanti , e sopraffacendo quelli che uscivano pe foraggi , o per l acqua. Il console ne fu cosi ristretto che non era pi l arbitro n del tempo di combattere, n del luogo ; ciocch sembra troppo accusare la imperizia nel comandare. Pur non seppe risolversi a rimovere nem meno allora 1 esercito ; ma lo cav e l ordin per la battaglia , spregiati gli utili consigli degli altri. Li Tir reni riputarono grande lor sorte la stolidit del capitano, e scesero non minori del doppio de' nemici dalle trin cee. Attaccatisi ; ecco farsi strage orrida de Rom ani, impotenti a serbarsi con ordine: imperocch li balzavan di poste i Tirreni, favoriti dalla natura del luogo e dei compagni, li quali soprastavano e pressavano a tergo per lungo e per largo. Caduti i centurioni pi insigni,

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tutto il resto de' Romani pieg, e fuggi verso gli al* loggiamenti. Gl' inseguirono quelli, e ne involarono le insegne , e i feriti , e rimasero gli arbitri de' cadaveri. Ed assediandoli, ed assalendoli tutto il resto del giorno e la notte; espugnarono le trincee alfine abbandonate dalle milizie cke v' erano: vi sorpresero nondimeno u or mini e suppellettili in cpia. Imperocch chi fuggi, non avendo spazio di raccoglierle, fu ben contento di scainpare; tanto che moki non serbarono nemmeno le armi. XXIV. Salvatisi i primi a Roma in gran fuga e s sendo ancor n o tte, e saputavist la disfatta dellesercito, e la presa del campo, sorgevi, coni verisimile, grande tumulto. E ben tosto impugnate le arme , quasi 1 ini mico fosse per giugnere , chi circond le mura , chi guarn le p o rte, e chi si pose nell alto della citt. Corressi , gridatasi per tutto disordinatamente e rinfusamente : tenessi la turba dei domestici pronta su tetti a respingere : frequenti v' erano i fuochi, come fra la notte e le tenebre: e tante faci splendeano dallinterno e dallalto delle case, che, mirandovi da lontan, parca tutto un incendio ed ardere la citt. E se li Tirreni negligentato il saccheggio del campo seguitavano im mantinente quelli che fuggivano ; forse andava a niente lutto l esercito, uscito per combatterli. Ma voltisi a predare le cose derelitte nel campo, e quindi al riposo, tolsero a sestessi un vantaggio pi grande. Nel di se guente marciando alla volta di Roma ne occuparono di lungi circa a due miglia il monte detto Gianicolo, dal quale la citt si contempla. Di l spicc,idosi rapivano, e trasportavano dalle campagne senaa ostacolo, con di-

l5g sprezzo sommo di quei dentro, finch non ricomparve Orazio 1 - altra console che riconduceva 1 armata dai Volsci. Credendosi allora sicari, armarono i Romani la giovent interna, ed uscirono allaperto. Data una pru ota battaglia un miglio di l da Roma presso al tempio della Speranza, vinsero , e fugarono gl inimici ; e poi ^datane un altra presso la porta, detta Collina, sebbene accorsa vi fosse fnilizia Tirrena ancora pi numerosa, vi operarono glorisi ssimamente. Respirarono cou ci dalla paura ; e l anno fini. XXV. Lanno seguente pm efo il consolato nel Giu gno circa il solstizio estivo (i) due valentuomini in guerra, Spurio Servilio , ed Aulo Vergili io. Or questi tennero la lotta co Tirreni, quantunque grave e diffi cile , per lggeva ih pat-agone dell dltra che cl avea dentro le mura. I mperocch per la occupazione del moni vicino , e per le scorrere continue, sendosi gi consumato l inverno senza seminare , n recandosi a l tronde dei viveri da mei*cadadti ; aveasi penuria somma di frumento in Rma. E questa era piena delle genti sue cme di altre venutevi dalla campagna; imperocch li cittadini adulti, cme rilevasi dal cens ultimo, erano pi che cento undici mila i il complesso delle donne , d e' fanciulli, de setvi, de negotianti, degli artefici di
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( i ) Anno di Roma 278 secondo Catone , 380 secondo Varroe, e

4^4 a v - Cristo.
Vi chi sospetta ohe nel Usto debba leggersi: nel mese d i Di cembre circa il solstizio invernale , io luogo delle voci: nel Giu gno circa il solstizio estivo. M a il pararvisi dell inverno come gi passata ; scinde i sospetti aniidetti. Per altro questo luogo uon fe libero affatto da difficolt.

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arti vili ( giacch non era lecito al Romano il far l ar tigiano (i) o il taverniere ) non era men grande del triplo de'cittadini. Or questi non era facile intrattenerli, e crucciavansi, e correvano al F o ro , e gridavano ai. magistrati, e ne andavano in folla alle case de' ricchi, e tentavano involarne sepza compera i cibi che vi ri servavano. E li tribuni, convocando il popolo , ed ac cusandogli i ricchi, come intenti sempre a' mali de' po veri , e dicendo opera loro , quanto 1 opera di una sorte improvveduta , ed inevitabile ; li renderono inso lenti , se gi erano esasperati. Fra tanti mali i consoli spedirono con molti danari chi comperasse grano dai luoghi vicini : e comandarono che chi teneane in casa oltre i bisogni moderati della vita , lo recasse al pub blico: e destinatone i prezzi convenienti, e fatte queste e cose altrettali, ammansarono i poveri che si sfrena vano , e si rivolsero di bel nuovo agli apparecchiamenti della guerra. XXVI. E certo tardando a giugnere le vettovaglie di fuori, e finite in breve le interne, non aveaci altro scampo damali: ma doveasi necessariamnte o rischiare tutte le forze e snidare i nemici dal territorio, o morire tra le mura per le discordie e la fame. Adunque eles sero farsi incontro ai nemici, come al meno dei mali. E levatisi di citt coll* esercito valicarono circa la mezza notte su picciole barche il fiume, e prima che il giorno fsse luminoso, gi teneano il campo presso a nemici. Donde cavato nel giorno appresso l esercito, 1 ordina ci) Di atti illiberali o sordide. Silburgio intende quelle nelle quali arte manuaria cibus qucerilur.

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ren o per la battaglia. Reggea Verginio 1 ala destra , e Servilio la sinistra. I Tirreni vedendoli apparecchiati per combattere , n esultarono ; quasi avessero , se ritt^ sciva lor bene quel solo cimento , a sterminare il prin? cipato di Roma. Imperocch miravano avventurrvisi tutto il fior deRomani, e speravano con molta vanit, vincerli facilmente , perch aveano vinto Menenio che pugn contra loro in sito men buono. Data una viva e diuturna battaglia uccisero molli Romani; ma perdutivi pi ancora dei loro, si ritirarono a poco a poco fra le trincee. Verginio ehavea 1 ala destra non consenti che i Romani gl incalzassero, ma volle che si contentassero di quanto erasi fin allora ottenuto. Per V opposito Ser vilio, comandante laltrala, insegu lungo tempo quelli eh erano a lui contrapposti. Ma non s tosto fu giunto alle falde de monti, i Tirreni voltarono faccia , e soc corsi da quelli degli alloggiamenti gli si avventarono. I Romani sostennero l urto per breve tempo; e poi si ripiegarono, e fuggirono. Perseguitali gi pel colle soc combevano sparsi qua e l ; quando Verginio udendo in qual pericolo fosse la milizia del corpo sinistro guid la su a , tutta ordinata com era , per la strada obliqua del monte. E fattosi alle spalle di quelli che incalzavano i suoi lasci parte dellesercito per traversare i soccorsi che venivano dagli alloggiamenti, e collaltra marci sul nemico. Rianimati quei di Servilio dalla presenza dei compagni si voltano, e fermansi e combattono. Rinchiusi i Tirreni d ogn intorno , non potendo procedere pi innanzi per la battaglia di fronte , n fuggire indietro
V l O N I G f , tomo Z i .
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agli alloggiamenti per lassalto da tergo; furono in gran parte uccisi miseramente. Acquistata una vittoria lut tuosa , non essendo l esito della battaglia per ogni parte propizio, i consoli accuaparonsi, e rimasero la notte seguente innalzi de cadaveri. I Tirreni che teneano il Gianicolo , non giungendo niun rinforzo dei lo ro , deliberarono di abbandonarlo : e , presa di notte la m arcia, ne andarono a V ejo, citt vicinissima & quelle de Tirreni. Impadronitisi i Romani del campo , vi depredano quanto eravi derelitto per non potersi trasportar nella fuga ; e prendono molti feriti, quali abbandonali negli alloggiamenti, e quali giacenti via via: perocch taluni spinti dal desiderio di tornare alla pa tria , seguirono i compagni, e resisterono, e si sforza rono olir il potere. Ma aggravandosene poscia pi e pi le. membra, caddero semivivi a terra ; e quindi in bala de cavalieri Romani , che andarono innanzi buon tratto di strada. Alfine non apparendo pi nemici ri presero il forte; e rientrarono colle spoglie loro in Ro ma : ina perciocch riportavano i cadaveri degli estinti in battaglia, mestissimo ne riusc lo spettacolo , per la moltitudine, e per la virt perduta di questi. Tanto che il popolo non volle n menar festa come per conflitto di esito buono ; n lutto come per calamit grande, e senza riparo. Il Senato decret li sagrifizj dovuti agli id d ii, n concedette che i consoli trionfassero. Dopo non molli.giorni la citt si empi di viveri; introducendovisi grano in copia da pubblici commissari, e dai soliti mercadanti: dond che tutti ne riebbero l'abboA* danza di prima.

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XXVII. Finite in tal modo le guerre in campo a per-, t o , .ribollirono le interne sedizioni ; concitando i tri- buoi di bel nuovo la plebe. I patrizj , opponendovisi, bea aveano fatto svanire ciascuno de' loro progetti ; per quanto per brigassero, non poterono escludere l accusa contro Menenio, console dell anno precedente. Citato questi in giudizio da due tribuni Quinto Quintilio s Tito Genuzio, ed astretto a dar onto dell'esito n fau sto n decoroso del sud capitanato, e soprattutto accu- salo della rovina' de Fabj della presa di Cremer ; vi fu condannato dal popolo per trib, poco metio che col voto di tutti ; quantunque egli fosse il figliuolo di quel Menenio Agrippa che avea ricondotto dalla fuga, e riconciliato i plebei co patrizj , di quello io dico, il quale morendo era stato a pubbliche spese onorato dal Senato con funerali magnifici, e dalle matrone Romane col lutto di un anno, spogliatesi dell oro e della por pora. Non per li giudici suoi Io condannarono della morte, ma di una multa Ja quale paragonata a quelle de nostri tempi parrebbe ridicola ; ma per gli uomini dallora i quali travagliavano colle proprie m ani, e viveano del necessario, e principalmente per quest' uomo che avea ereditata dal padre la povert, riusc grave e molesta. Import la multa due mila assi, e 1 asse era moneta di rame, del peso di una libbra, tanto che tutta la somma dovuta dava in peso di rame sedici talenti (i). Or questa parve di que' tempi odiosissima : ond che volendo correggersene abolirono le multe in danaro, e
( i ) Intende i talenti che pesavano ia 5 lihbre. Quindi che se dividasi aooo per i a 5 risulta 16. Casaub.

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le trasmutarono in altre di pecore e b u o i, tassato an che il numero di questi per le ammende avvenire, che i magistrati imporrebbero su privati. La condanna di Menenio fu causa che i patrizj si sdegnassero col po polo , n pi gli permettevano di fare la divisione delle terre, n voleano in cosa niuna condiscendergli. Ma tra non molto fu pentito il popolo de*suoi giudizj, appunto nell'udire la morte di Menenio. Imperocch non erasi questi mai pi veduto nelle adunanze, o ne pubblici luoghi : e potendo pagare l ammenda ( giacch non pchi de suoi eran pronti a soddisfarla per esso ), e con ci non perdere niun pubblico diritto ; non volle : ma giudicando pari la ingiuria alla morte ; si tenne in casa, n pi ammise persona , e rifinito dal dolore e dalla fame abbandon la vita. E tali sono le operazioni di quest anno. XXVIII. Divenuti consoli Publio Valerio Poplicola e Cajo Nauzio ( i) , fu -condotto a giudizio capitale anche un altro patrizio Servio Sen-ilio , console dell'anno pre cedente, non molto dopo che aveva lasciato il comando. Due tribuni Lucio Cedicio, e Tito Stazio erano quelli che lo accusavano al popolo ; chiedendo ragione non d ingiustizia alcuna, ma degl infortunj suoi, perch nella battaglia co Tirreni spintosi egli fin sotto alle trin cee nemiche con pi ardire che prudenza , e rincal zatone da quei d entro che ne uscirono in copia , vi perdette il meglio de giovani. Questo giudizio parve ai patrizj il pi duro di tutti. E congregavansi, e doleansi ,
( i) Anoo di Roma 379 facondo C atone, 38 1 secondo Vairone , e 473 av. Cristo. .

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e ternano per gran male se il bell* ardire, e il n on ri cusarsi ai pericoli accusatasi n* capitani die non trovavan propizia la sorte, e da quelli che non eran nemmeno stati ne' pericoli : dicevano, che que giudizj sarebbero, com era verisimile, cagione di timori e di ignavia ne'comandanti, e di non far loro mai pi con cepire nuovi trovamenti : che perita n sarebbe la li bert , come annientata l autorit del capitano. Ed in sistevano caldamente presso la plebe, perch non con dannasse quest' uom o, avvertendola che grande ne sa rebbe il danno se punivansi i duci pe successi non buobi. Venuto il tempo del giudizio, fattosi innanzi Lucio Cedicio, uno de'tribuni, accus Servilio di avere per imprudenza ed imperizia di comando menata 1 ar mata incontro a pericoli manifesti, e rovinato il fiore della repubblica: tanto che se informato ben tosto il console compagno della sciagura volando a Jui coll esercito, non respingeva i nemici, e salvava i suoi) niente impediva che non fosse disfatta anche tutta 1 altra mi lizia , e che in avvenire per met decadesse, non die si ampliasse la potenza di Roma. E cos dicendo presen tava per testimoni i centurioni, quanti ve n* erano, ed alcuni soldati i quali, volendo rilevare 8estessi dall infa mia della disfatta e della fuga d allora , versavano. sul capitano la colpa degl infortuni del combattimento Quindi inspirando viva compassione verso gli ^estinti in quella giornata, ed esagerando quel male, ne ricord con molto disprezzo ancor a ltri, i . quali detti in comune contro i patrizi, scoraggiavano chiunque di loro volesse intercedere per Servilio ; e dopo ci gli conced la dis colpa.

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XXIX. E Servilio pigliando a difendersi disse ; Cit tadini , se mi chiamate al giudizio, e chiedete ragione del mio capitanato ; son pronto a renderla : ma se mi chiamate ad una pena gi risoluta, e 1niente pi giova eh io dimostri che non v offesi; prendete, usa temi come avete gi stabilito. Egli pur meglio chio mora non giudicato eh ottener le difese, n persua dercele ; perciocch sembrerei patir con giustizia ogni cosa che su me sentenziaste. Altronde voi meno sa rete colpevolij se togliendomi le difese, mentre oscura ancora la mia colpa , se colpa ho mai fa tta ; secon date i vostri risentimenti. I l pensier vostro dalla vostra udienza m i sarei chiaro : il silenzio o il tumulto mi saran tf argomento se n i avete alle discolpe chiamato, o alla pena. E ci detto si tacque. E fatto silenzio, e gridando ben molti che facesse cuore, e dicesse ciocch voleva, cos ripigli : Cittadini, se vai siete i giudici, non i nemici miei ; di leggeri spero convincervi , che non v offesi; e comincio da ci che tutti sapete. Io f u i scelto console coll ottimo Verginio, quando i Tir reni fortificatisi nel colle imminente a R om a, domi* nava.no tutta intorno la campagna, sperandosi di abo lire ben tosto , anche il vostro principato. Eravi in citt ' fam e, discordia, d eficien za o n d e risolvere. In * contratomi in tempi cosi turbati e terribili ruppi y unito al collega, due volte in battaglia i nemici, gli astrinsi a lasciare il castello , che guardavano. Feci dopo non molto cessare la fa m e, ricondotta f abbondanza nel Foro , e consegnai a consoli susse guenti sgombro da nemici il territorio che n era pie

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o , e Roma sana da tutti i mali politici, o v e i ca~ pipopali l aveano inabissata. S e dunque non de litto vincere gC inim ici, e di che mai son io colpevole presso voi ? O come ha Servilio offeso il popolo, se alcuni bravi incontraron la morte col maschio combat* tere ? Gi non v niun Dio che assicuri ai capitani la vita de' suoi militari ; n prendiamo il comando con patti e form ale d i vincer tutti i nem ici, e non perdervi alcuno denostri. E chi m a i , segli uotno\ chi si offerirebbe di riunire in s tutti i bei tratti di consiglio buono , e di sorte ? A nsi i grandi risultali con pericoli grandi s ottengono. XXX. N gi io sono il primo che m avessi tale incontro in combattere, ma se febbero, direi, quanti fecero pericolose battaglie con poche schiere contro le molte nemiche. Incalzarono alcuni i nemici > e pi furono incalzati', ne uccisero, e ne furono uccisi, an che ira pi numero. Lascio di dire che m olti, disfatti in tutto , sen tornarono con gran danno vergogna E niun diede per tali successi le pene, essendo la sciagura stessa la pena : a n z i , quando tutto manchi, lo stesso non ottener lode niuna sommo castigo / come debbe esserlo per un capitano. Che pi ; tanto io sono lontano dal dire ( ciocch i savj pur direb botto giusto ) che io non debbo dar conto della mia sorte; che, se niun soffrirebbe di venirne in giudizio J 10 noi ricuso, e lasciovi, esaminar la mia sorte, nom+ meno che le mie risoluzioni. Ma prima lasciate eh io dica, che io vedo calcolarsi la felicit o la infelicit delle imprese degli uom ini, non dagli atti parziali

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che sono molti e ben varj, ma dal fine: quando questo sia lieto, sebbene pi casi intermedj noi siano, senio esser quelle applaudite , invidiate, e credule fortunate da tutti : laddove se il fin e sciaurato, sebbene quanto precede sia fa u sto ; (diora quelle si ascrivono alla sorte rea , non alla sorte buna di cld le opera. Or vo i , ci considerando , vedutale g t in contri eh io n i ebbi nella guerra : e se mi trovate vinto infine da'nem ici, dite pur trista la ventura mia, ma buona, se vincitore. M a quanto alla sorte sebbene io possa dim e assai p i , lo tralascio, sapendo quanto molesti si rendono quelli che ne parlano. XXXI. S i accusano, egli vero , i miei consigli, ma niun puote accusarli di tradimento , niuno di vii* l , pe' quali due litoli si giudicano altri capitani. E su la im perizia , su la imprudenza del comandare , quasi io mi esponessi a pericolo non necessario spin gendomi cot esercito fin sotto al vallo nemico, su questo ancora voglio io darvi conto ; potendo innanzi tutto dirvi eh egli ben facile e comune malignar su le azioni ; ma che ben arduo, e da pochi il cimen tarsi alle grandi intraprese: che le cose future non appariscono quali saranno, come le passate appari scono ; perocch queste si estimano con ci che sen tiamo e paliamo , laddove quelle rintracciami opi nando e divinando, mezzi molto fallaci: e finalmente chegli, ben facile fu o r del pericolo, come stansi gli accusatori m iei, guidar con parole una guerra. Ma lasciam pure queste cose : ditemi per gli D e i, vi sembro io forse il primo o il solo che slanciami clle

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schiere contro un luogo munito , e su per l allo conducole ? o pure ho fatto ci sull esempio di tanti vo stri capitani, riuscitivi altri con termine buono, altri con doloroso ? E perch dunque lasciate gli a ltri, e me giudicate ; se a norma ponderate delle leggi le opere, non degne della sapienza e del capitanato ? Quante imprese p< audaci ancor della mia cadde in pensiero a capitani di compierle, quando l circo stanza non ammetteva consigli sicuri, e gi maturati? Chi strappando le insegne dalle mani de soldati, le gitt fr a nemici , perch i suoi scoraggiati ed intimo r iti, si rianimassero a fo r z a , istruiti , che chi rutti salvavaie ne avrebbe morte ingloriosa dal comandante. A ltri scorrendo sul territorio nemico, valicarono e ruppero i ponti de fiumi valicati, perch, i soldati non vedessero scampo nella fu g a , se la tramavano, e com battessero con ardore e ferm ezza. A ltri dando alle fiamme le bagaglie e le tende , necessitarono i suoi a ritrovare nelle terre nemiche quanto lor bisogna va. Lascio mille altre im prese, audaci tu tte , ed ideate da capitani, che io potrei pur dire su la sto ria , e. su la sperienza, e per le quali niuno m ai, fallitagli la prova, soggiacque alle pene. E gi niuno pu redarguirmi che mettendo i compagni ad aperto pericolo, io men tenessi lontano. Se io mi vi esposi cogli ~ a ltri, se ultimo me ne ritolsi, se vi corsi la sorte comune di tutti; e di che sono io reo? Ma basti il fin qui detto su me. XXXII. Voglio ora dirvi alcune poche cose intomo del Senato e de p a trizj, perocch Podio pubblico

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contro di loro per la division sospesa delle terre donneggia ancora a me, n l accusatore mio occult que sto, facendomene parte non piccola d e lt accusa. E questo dir mio sar libero ; giacch diversamente n io saprei parlarvi, n vpi profittarne. Popolo! voi n giusti siete , n retti , non rendendo grazie a l Senato' de tanti e grandi benefizj che ne aveste ; e sdegnatidovi che non per invidia ma per calcolo di ben pub blico, vi si oppone in cosa che dimandate, la qual conceduta assai nocerebbe al comune. Piuttosto do vevate accettarne i consigli come nati da principi sai disfim i, pe{ bene d i tutti , tenervi dalle sedizioni ,* 0 se non potevate con tal sano discorso frenar gli appetiti non sani , dovevate implorar le dim ande, persuadendo, non violentando. Imperocch l doni spontanei rimpetto de violenti son pi cari per chi li dona, e . pi stabili per chi li riceve. Or v o i, viva D io , non avete ci considerato : ma commossi ed inaspriti dai capipopolo, come il mare dai venti che insorgano , l un dopo t altro, non avete lasciato che la patria riposasse, nemmen picciolo tem po, tra la calma, e il sereno. D o n i che noidobbiam pensare migliore per noi la guerra, che la pace; giacch nella guerra maltrattiamo i nem ici, ma gli amici nella pace. Se voi riputale tutti buoni e tutti utili r come >sono, 1 decreti del Senato ; perch non avete riputalo tale anche questo ? E se credete che il Senato non prov veda con semplicit, ma che male, e vituperosamente amministri, perch noi degradate vi tu tto , e ven prendete le cariche, e consultate le guerivggiate voi

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per la potenza di R om a, ma lo stuzzicate, e lo in debolite poco a poco , chiamandone i personaggi pik illustri in giudizio ? Certo sarebbe pur meglio che fo s simo tutti insieme combattuti, che calunniati ad uno ad uno. Sebbene, non siete vo i, cotti io diceva , la cagione di.ci , ma i capi del popolo che vi sommo^ vono, non sentendo ssi n ubbidire , n comandare. E per db che spetta alla loro imprudenza ed impe rizia , gi pi volte sarebbesi la nave rovesciata. E p pure il Senato che ha riparato tante volte i loro sba gli , che f a che la vostra repubblica navighi rettamente, ascolta il peggio della maldicenza da loro. Or queste cose, vi piacciano o rto , le ardisco io dire.con ogni verit : e vorrei piuttosto m orire, valendomi di una libert profittevole al pubblico ; . che salvarmi adu landovi. XXXIII. Cosi dicendo, senza volgersi a lamentare o deplorar la sciagura, senza umiliarsi a suppliche, e pr* strazioni non degne, e senza palesare affezione alcnnrf men che generosa, lasci che parlassero gli altri, vo gliosi di coadiuvarlo arringando , o testificando. Lui dii scolpavano molti che eran presenti, singolarmente Ver* giuio, gi console con espo lu i, riputato lautore della vittoria. Costui non solamente dimostr Servilio irre prensibile , ma degno ,che si encomiasse ed onorasse come peritissimo in guerra, e savissimo tra capitani.' Diceva che se credeano buono il termine della guerra dovevano ringraziar lutti due ; o tutti due punirli se sci aurato ; giacch avevano tutti due avuto comuni i consigli, le opere , la fortuna. Commovea non solo il

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discorso di Ini ma la vita intera, sperimentata in tutte le belle azioni. Aggiungevasi, ciocch ispir pi com passione , la forma addolorevole, qual suol essere in quelli che han sofferto, o siano per soffrire mali ter ribili. Tanto che li congiunti degli uccisi, quelli che pareano pi implacabili contro l ' autore del danno, la sciaronsi vincere, e deposer lo sdegno ohe ne aveano manifestato; imperocch niuna trib nel dare il voto lo diede per la condanna. E tal fu la fine de' pencoli di Servilio. XXXIV. Marci non molto dopo contro i Tirreni l armata Romana sotto gli auspicj del console Publio Valerio, perocch si era di bel nuovo levata in arme la citt di Vejo , unendosele i Sabini, alieni fino a quel giorno di unirsele, quasi aspirasse cose impossibili: quando per videro Menenio in fuga e presidiato il monte prossimo a R om a, giudicando scadute le forze Romane, e sbaldanzito l animo di quella repubblica, concertaronsi co' T irren i, spedendo loro milizie nume* rose. I Vejenti confidati su le schiere proprie e su quelle giunte di fresco da Sabini frattanto che aspettavano le ausiliarie degli altri Tirreni anelavano di volarsene a Roma col pi dell esercito, quasi niuno ne uscirebbe a combattere, ma dovessero per assalto espugnarla, o ri durla con la fame. Indugiandosi per essi ed aspettando i confederati, lenti a congiungersi, Valerio ne prevenne i disegni, guidato contra loro il fiore de R om ani, e gli alleatiT con sortita non manifesta, ma occulta quanto potevasi. Imperocch uscito da Roma sul far della sera, e valicato il Tevere; si accamp non lontano dalla citt.

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Poi levando lesercito su la mezza notte, si avanz con marcia ordinata; e prima che fosse il giorno, investi l ' un de' campi nemici. Erano due questi campi, di sgiunti , ma non molto, fra loro , l uno de T irreni, 1' aliro de Sabini. Fattosi primieramente sul campo Sa* bino, assalirlo Ih prenderlo ; dormendovi i pi senza guardia sufficiente, come in terra amica, e liberi da ogni sospetto, mentre non si annunziavano in parte al cuna i nemici. Preso il campo, quali furono uccisi tra il sonno , quali sorti appena, o mentre si armavano, e quali armati g i i , mal resistendo disordinati e dispersi: la pi parte peri, fuggendo verso 1 altro campo, sor* presa dalla cavalleria. XXXV. Valerio, invaso il campo Sabino, marci su l altro de' V ejenti, postisi in luogo non abbastanza si curo: ma non poteano pi gli assalitori giungervi oc culti , per essere il giorno gi chiaro, e datovi da fug gitivi l ' avviso della strage Sabina, e di quella immi nente ai Tirreni. Pertanto eia necessario andar con fortezza al nemico. Ecco dunque resistere con ardore sommo i Tirreni avanti gli alloggiamenti, e farvisi aspra tenzone e strage vicendevole; stando lungo tempo in certa, e pendendo or quinci or quindi la sorte della guerra. Alfine dan volta i Tirreni , sospinti dalla ca valleria Romana, e ricacciansi tra le trincee. Segueli il console, ed approssimatosi alle trinciere n ben for m ale, n in luogo, come ho d e tto , abbastanza sicuro, le assal da pi parti ; ' travagliandovi tutto il resto del giorno , n desistendone pur nella notte appresso. I T ir reni , vinti da mali incestanti, abbandonano su l alba il

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campo ; altri in citt fuggendosi, altri dispergendosi pei boschi vieini. Il console, invaso pur questo campo, di riposo in quel giorno all esercito : e nel seguente com parti la preda copiosa de due alloggiamenti tra. le sue milizie, coronando co* premj usati chiunque s era pi segnalato nel combattere. Servilio il console dell anno precedente, quegli che sfuggi le pene popolari, man dato ora luogotenente di Valerio, parse, aver pi che lutti risplenduto fra le arm e, e sospinto i Vejenti alla fuga; e per tale suo merito ne ebbe il primo i premj, riputati pi grandi tra'Romani. Fatti quindi spogliare i cadaveri nemici, e seppellire quelli desuoi, marciando, e venendo il console coll esercito e campi prossimi a Vejo ; sfid quelli d entro per la battaglia. Ma non presentandovisi alcuno, e conoscendo altronde esser cosa ben ardua pigliarli d assalto, come chiusi in citt for tissima , scorse in gran parte il lor territorio, e si gitt su quello de Sabini. E saccheggiato per pi giorni, pur questo , che era ancora intatto ; ricondusse l ' eser cito carico di prede amplissime in patria. Usci di citt molto a dilungo per incontrarlo il popolo cinto di ghir lande : ed accolse lu i, dove passava con profumi d in censo , e l armata con crateri di vino con mele. Il Se nato in fine decret loro la pompa trionfale. Cajo Nauz io , 1' altro console, a cui tocc per sorte la difesa dei Latini e degli Ernici, s* indugi per andarvi, aspettando 1 esito della guerra co Vejenti, non per imperizia , o timor de pericoli, ma perch se l armata aveva in essa disagio, ne stesse un altra pronta in citt , per impe dire che i nemici spaziassero pel territorio quando ve

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nissero, e tentassero come prima fortificarsi presso di Rma. Frattanto anche la guerra degli Equi e deVol aci contro i Latini prese buon termine : e venne chi annunzi che i nemici vinti in battaglia erapsene levati dal territorio , n pi vi si bisognava allora degli alleati. Nauzio nondimeno dopo li bei successi contro i Tirre ni y cav 1' esercito, e piomb su le campagne deVoisci; ma fattosi a scorrerle non vi occup clie poco di bestiame e di schiavi, per essere gi state derelitte. Di le fiamme ai lor seminati, rigogliosi gi per le messi; e fatti altri danni non .lievi, n comparendo alcuno pei: combatterlo ; ne ritir le tailizie. E tali furono le gesta, di que consoli. XXXVI. Succeduti loro i consoli Aulo Mallio e Lu cio Furio ( 1); il Senato decret che l uno dedue mar ciasse contro di' Vejo , ed essi decisero, come usavasi, colle sorti, chi andasse. E toccato a Mallio, vol col1 armata, e mise il campo presso a nemici. I Vejenti ristrettisi fra le m ura, resisterono intanto, e spedirono alle citt T irrene, ed ai Sabini, recenti loro alleati, chiedendone che mandassero sollecito ajuto. Ma percioc ch non furono secondati e consumarono tra poco i viveri; alfine, necessitati dalla fame, uscirono i perso naggi pi provetti pi venerandi e co simboli di pa ce , ne andarono ambasciadori al console per intercedere da esso il fin della guerra. Mallio comand che portas sero a lui li viveri di : due mesi per tutta l armata, e tanto di argento da stipendiamela per un anno, e ci
{1 ) Anno di Roma a8 o secando Catone i r . Cristo.

3S2 seoondo Varrooe,

J'J

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fatto, spedirebbero al Senato per trattarvi la pace. Ac cettarono i Vejenti le condizioni, e dati ben tosto gli stpendj, e per con cession del console, anche in luogo del grano il suo prezzo, ne andarono a Roma. Intro dotti in Senato cercarono perdono delle cose operate fin allora, e requie dalla guerra in tutto i avvenire. Disputate pi cose per lana e l altra sentenza, al fine prevalse quella che insinuava la riconciliazione, e vennesi ad una tregua di quarant' anni. Gli oratori, avuta la pace, assai ne ringraziarono Roma , e partirono. In pposito Mallio vi torn finita la guerra, e vi chiese , e nebbe il trionf a piede (i). Fe cesi, reggendo questi consoli, il censo ; ed i cittadini che assegnarono s Messi, i beni, e li figli gi puberi, furon o poco pi che cento trenta mila. XXXVIL Giunti dopo questi al consolato Ludo Emilio Mamerco per la terza volta e Giulio Vopisco nella olimpiade settantesima settima (a), nella quale vinse allo stadio Date Argivo, mentre Carit era l 'ar co nte di Alene ; ebbero assai travaglioso e turbato il comando, sebben tacesse la guerra di fuori. Standosi ogni nemico in calma ; incorsero per le sedizioni interne in pericoli, prossimi a rovinar la repubblica. Sciolto il popolo dalla milizia insist ben tosto per la division delle terre. Imperocch fra i tribuni aveacene uno baldanzoso, n disacconcio alle arringhe. Gneo Genuzio era desso l istigatore del popolo. Egli ad ora
(i ) L ovazione. (a) Anno di Roma 181 secondo Catone ; a 83 secondo Varroae , e 471 av. Cristo.

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ad ora adunandolo , per conciliarsi i poveri ; pressava i consoli ad eseguire il decreto del Senato su la divi sion delle terre. G questi ricusavano dicendo, non es serne la esecuzione stabilita pel consolato loro t ma per quello di Verginio, e di Cassio a' quali era diretto il decreto : similmente che gli ordini del Senato non eran leggi perpetue, ma providenze, valide per un anno. In mezzo a tali pretesti non potendo costringere i con soliche aveano autorit pi grande della sua ; diedesi a protervi consigli. Mise in pubblica accusa Mallio e Lucio , consoli dell' anno precedente, e prescrisse loro il giorno nel quale dovesse giudicarsene, pronunziando svelatamente per titolo dell' accusa , chessi aveano offeso il popolo col non avere nominati i decemviri, comera il decreto del Senato, per dividere finalmente i terreni. Che se non menava in giudizio altri consoli quando dodici erano i consolati dalla emanazione del decreto, ma faceva r e i, questi due soli, della promessa tradita; davane per cagione la mansuetudine sua. In ultimo disse, che i consoli attuali allora unicamente ridurrebbonsi a divider le terre , quando vedessero alcuni de' trasgres sori puniti dal popolo, , considerando che avverrebbe anche ad essi altrettanto. XXXVIII. Ci detto, esortati tutti a venir pel giu dizio , giur per le sante cose, che egli osserverebbe il proposito, ed insisterebbe con tutto l'ardore su la con danna di quelli, e prefisse il giorno in cui sen farebbe la causa. I patrizj, oi udito, caddero in molto timore e sollecitudine, come dovessero liberare q u e 'd u e , e reprimere l ' audacia del tribuno. Deliberarono resistere
D I O N I G I . tomo I I I . il

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al popolo fortissimamente, e bisognandovi, colle armi ancora, n permettergli cosa niuna, se mai la decre tasse contro la dignit consolare. Non per vi bisogn violenza Aiuna, cessando il pericolo con risoluzione ina spettata e repentina. Imperocch quando mancava al giudizio un giorno solo; Genuzio fu rinvenuto morto nel sno letto, senza indizio niuno di uccisione non per istrazio , o capestro, o veleno } n per altre insidiose maniere. Risaputosi il caso, e portatone il cadavere nel F o ro , parve questo come un impedimento divino, e ben tosto il giudizio fu tolto. Imperocch niun tribuno os di riaccendere la sedizione, anzi molto condann le furie di Genuzio. Se dunque i consoli quando il cielo chet la discordia avessero ceduto, non insistito in con trario ; non sarebbero incorsi in altro pericolo. Ma da tisi ad insolentire e spregiare il popolo, e fatti vogliosi di mostrargli quanto era il potere del loro comando ; causarono mali gravissimi. Intimata una iscrizion mili tare, e forzandovi chi ricusava, con multe e verghe: ridussero il pi del popolo alla disperazione, principal mente per tali molivi. XXXIX. Publio Valerone , un plebeo, d'altronde illustre fra le arme, e gi capitano di centurie nelle guerre precedenti, fu segnato da essi per semplice le gionario. Or lui reclamando, e ricusando un posto che lo disonorava quando non aveva demeriti anteriori, sde gnaronsi i consoli de liberi m odi, e comandarono ai littori di nudarlo a forza, e di batterlo. Il giovine in vocava i tribuni, e chiedeva, se era colpevole, di es-> sere giudicato dal popolo. Ma nou udendolo, ed insi

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stendo i consoli perch i littori sei Alenassero , lo bat tessero ; egli riguard la ingiuria come insoffribile, e divenne appunto il vindice di s stesso. Imperocch, fortissimo ch egli era, trae de pugni in faccia, ed at terra il littore che primo lo investe, e poi l'altro. Esa sperandosene i consoli, e comandando a tutti insieme i satelliti di avventategli ; parve l 'azion superbissima ai plebei che eran presenti. E congregandosi, e schiamaz zando per istigarsi l ' uno 1' altro alla vendetta; ritolsero il giovane, e respinsero colle percosse i littori. Alfine si spiccavan su i consoli, e se questi non isparivan dal F o ro ; sarebbevisi fatto male gravissimo. P er tale evento tutta la citt se ne scinde; ed i tribuni placidi fin alx lo ra , fremendo ne accusano i consoli : e le contese per la division de' terreni cangiaronsi in altra pi grave su la forma del governo. Imperocch irritandosi i patrizj come i consoli, quasi fosse l autorit conculcata di questi ; voleano precipitar dalla rupe l audace ehe in sorse su i littori. Per l opposito i plebei riunivansi, e vociferavano e concitava nsi a non tradire la libert. Si rimettesse la causa al Senato, vi si accusassero i con soli , e se n esigesse un castigo, perch non lasciarono goder de suoi dritti, e trattarono come uno schiavo, e diedero a battere un uomo libero, un cittadino, che chiedeva l ' ajuto de' tribuni, e di essere, se fosse re o , giudicato dal popolo. F ra tali contrasti e ritrosie di ce dere gli uni agli a ltri, decorse tutto il tempo di quel consolato senza fatti di guerra, o di governo, belli e memorandi. XL. Venuto il tempo de comizj furono dichiarati

l8o DELLE ANTICHIT ROMANE consoli Lucio Pinario e Publio Furio ( i ). In principio di quest anno Id citt fu piena ben tosto di religiosi e divini terrori pe molti portenti e segni che apparvero. E li vali, e gl' interpreti delle sante cose, dichiaravano tutti , esser questi gl indizj dello sdegno celeste per al cuna sacra cosa, fatta con ministero non pio, n puro. E dopo non molto ne venne su le donne un morbo , chiamato contagioso, e tanta mortalit per le gravide principalmente, quanta mai pi per addietro. Imperoc ch partorendo prole immatura e gi m orta, perivan con essa. N le suppliche ne templi e nelle are denum i, n i sagrifizj di espiazione fatti a scampo della pa tria o delle famiglie, portarono un fine ai mali. In tal rio stato un servo di cenno a pontefici, che una delle vergini sacre, custodi del foco inestinguibile , ( Orbilia ne era il nome ) avea la sua verginit estinta, e che non pura sagrificava ; ed essi traendola dal Santuario, e dandola a giudicare ; poich per gli argomenti fu rea manifesta , la batterono, e condottala con pompa lugu bre per. la citi , la seppellirono viva. Di quelli poi che ebbero il mal' affar colla vergine, 1 uno si di la morte di per s stesso; l altro fu preso nel Foro pe sopra* stanti delle sante case, e flagellalo come uno schiavo, ed ucciso. Dopo ci fin ben tosto la infermit soprav^ venuta alle femmine , e la tanto lor perdita. XLI. La sedizione gi si diuturna in Roma deplebei co patrizii, vi riboll per opera di Publio Valerone tri buno , quello che nell anno precedente aveva disubbi( i ) A d d o di Roma 381 secondo Catone, a 84 secondo V airone, 470 av. Cristo. e

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dito i consoli. Emilio e Giulio quando il segnavano per legionario, di centurione che era. Costui nato di stirpe vilissima, e cresciuto in grande oscurit e disa gio , fu creato tribuno dal ceto de' poveri, appunto perch sembrava che avesse il primo tra' privati umi liato il grado consolare, autorevole fin allora come quello dei monarchi, e molto pi per le promesse che dava di togliere, giunto al tribunato, la potenza de patrizj. Costui quando l ' ira del cielo era cheta , convocando il popolo, fece una legge su le elezioni popolari trasmu tando i comizj che i Romani chiamano per curie i i quelli per trib. Io sporr qual sia la differenza degli Uni e degli altri. Li comizj curiati perch fossero va lidi , conveniva che precedesseli il decreto del Senato, che il popolo vi desse il voto di curia in curia ; e che oltre questi due requisiti, niun segno, n augurio ce leste vi si opponesse : laddove gli altri comizj compivansi dalle trib con un giorno solo senza decreti an teriori del Senato , senza, sagriGzj, e senza le divinazioni degli auguri. Due degli altri quattro tribuni volean co ni egli la legge ed esso tenendosi amici que due ; ne andava superiore a fronte degli altri che la ricusavano i quali eran meno. I consoli,.il Senato, i patrizj intendeano tutti a distoglierla e rnderla' vana. E recatisi in folla al F oro nel giorno prefisso dai tribuni per fon dare la legge > vi furono aringhe di consoli, di sena tori provetti, e di chiunque il volle, per dimostrare gli assurdi di essa. Risposero i tribuni, e di bel nuovo i consoli ; e prolungandosi molto le altercazioni , fecesi notte, e l adunanza fu sciolta. Proposero nuovamente

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i tribuni pel terzo mercato la discussion su la legge ; ma concorsavi gente anche in pi copia, se n'ebbe un fine simile al precedente. Or ci vedendo Publio, de liber di non permettere ai consoli di accusare la legge , n ai patrizj di trovarsi al dar de suffragj. Perocch questi co loro amici e clienti non pochi, ingombravano gran parte del F o ro , facendo animo a chi denigrava la legge, e romore a chi difendevala , e cose altrettali che nei dar dei voti sono indizio di violenza e disordine. XLII. Se non che ne interruppe i disegni tirannici nnaltra calamit mandata dal cielo. Imperocch sorse in citt un morbo pestilente che infuri p ur nel resto d Italia ; non per quanto in Roma. N valeva per gli infermi soccorso um ano, morendovi del pari e chi era con ogni diligenza curato, e chi non lo era. Nemmeno giovarono allora suppliche, sagrifizj , espiazioni privale o pubbliche, alle quali necessitati si rivolgono gli uo mini in teli casi per estremo rimedio. Il male non di stinse non et, non sesso, non vigore, non debolezza t non arte , non cosa niuna di qaelle che pajono ren derlo pi leggero; ma comprendea del paro uomini e donne, giovani e vecchi. Non per dur gran tem po, e questo imped che la citt ne perisse totalmente. Si gett come torrente o incendio su gli uomini con im peto furibondo, ma passeggero. Quando il male di requie; Publio era per uscire di carica. E siccome non potea stabilire in quel resto di tempo la legge ; soprastando i comizj , chiese di nuovo il tribunato per 1 *anno seguente, fatte molte e grandi promesse al po polo: e di nuovo se lo ebbe egli, e due de compagni.

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Per l'opposito i patrizj tentarono far console un uomo aspro, odiatore del popolo, e che non lascerebbe punto diminuire l autorit de pochi ; io dico Appio Claudio, figlio di quell Appio eh erasi tanto opposto al ritorno del popolo. Or questuomo che moltissimo contraddiceva alla scelta dei tribuni, questo che non avea nemmeno voluto venire al campo pe comizj, sei crearono con sole , quantunque assente, avutone precedentemente il decreto del Senato* XLIII. Terminati ben tosto i comizj, per esserne partiti i poveri appena udito il nome di Appio ; pre sero il consolato Tito Quinzio Capitolino ed Appio Claudio Sabino, uomini non simili di caratteri e di voglie (i). Perocch Appio voleva distrarre tra le mi lizie di fuori il popolo ozioso e povero, affinch coi stoi travagli guadagnasse dai beni del nemico il vitto giornaliero, di cui tanto penuriava , e rendendo utili servigj alla patria, pon fosse malaffetto e molesto apa dri che governano il comune. Dcea che avrebbe pure le cagioni plausibili di guerra una citt che si procac ciava il comando, e che era da tutti invidiata : chie deva che argomentassero dalle cose passate le future, esponendo quanti moti erano stati in citt, e come sempre nella cessazion della guerra. Quinzio per non pensava di portare ad altri guerra: dichiarando che dovea bastar loro quando il popolo ubbidiva chiamato contro ai pericoli esterni, che sopravvengono e strin gono , e dimostrando, che se forzassero nel caso pre fi) Anno di Roma a 83 secondo Catone , a85 secondo V arrone, 469 av. Cristo.

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sente gl' indocili, indurrebbero la disperazione come i consoli precedenti l avevano indotta. Dond* che porrebbonsi essi a repentaglio o di opprimere la sedizione col sangue e colle stragi, o di scendere con vitupero ad appiacevolire la plebe. Comandava Quinzio in quel me se ; tantoch non potea 1 altro console far nulla senza il consenso di esso. Ma Publio e li compagni ripiglia rono senza indugio la legge, che non aveano potuto stabilire nell anno precedente, aggiungendo a questa, che si creassero ne' comizj stessi ancora gli edili: o che tutto in fine, quanto si trattava o risolveva dal popolo, si trattasse e risolvesse nel modo medesimo con i comizj per trib. Or ci era l annientamento manifesto del Senato , e l inalzamento del popolo. XLIV. A tale notizia mpensierirono, e discussero i consoli , come togliere pronti e sicuri la sommossa e la sedizione. Appio consigliava che si chiamassero al1 armi quanti volean salva la forma della repubblica ; e che si numerassero tra nemici quanti si opporrebbero ad essi che le impugnavano. Ma Quinzio giudicava che si dovesse prendere il popolo colla persuasiva , e con vincerlo che per ignoranza de veri interessi slanciavansi a rovinose risoluzioni. Dicea esser f estremo della de

menza estorcere' colla f rza da cittadini ritrosi ciocch aver ne poteano di buon grado. Ora approvando pur gli altri senatori il parere di Quinzio ; i consoli ne an darono al F o ro , e chiesero da tribuni un aringa , ed il giorno in cui farla. Ottenuta, a stento l uua e laltra istanza, venuto il giorno richiesto, e concorsa al Foro moltitudine d ogni genere preparata per opera de due

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magistrati in favor lo ro , presentanosi i cnsoli per cen surarvi la legge. Quinzio, nomo altronde discreto, e persuaso che il popolo aveasi a guadagnar col discor* rere, chiese il prinio udienza, e ragion cose a propo sito , e con piacere di tutti ; cosicch li fautri della legge impotenti a dir cose pi giuste o benigne, assai ne furono imbarazzati. E se il console collega non davasi ancora troppo gran moto ; forse i plebei ricono scendo che non cercavano n il giusto, n il ben ripudiavan la legge. Ma perciocch colui tenne un discrso superbo, e grave ad udirsi da'poveri ; il popolo ne fu crucciato, implacabile, e discorde, quanto mai pi per addietro. Non parl costui come a uomini liberi, a cit tadini arbitri di fare e disfare le leggi : ma quasi par lasse con uomini vili , forestieri, n liberi solidamente; vi lanci detti am ari, insoffrbili : vi lament le assolu zioni dei debiti, e ricord la separazione dai consoli ; quando dato di piglio alle insegne, che pur sono san tissima cosa, abbandonarono il campo, volgendosi ad un esilio volontario. Richiam li giuramenti che avean fatti, quando presero per la patria le arm i, che poi contro lei sollevarono. Pertanto diceva che non sarebbe meraviglia se essi che avevamo spergiurato gl'iddj, lasciato i capitani,' e diserta , quanto era in loro, la patria , e che vi erano tornati, confusavi la buona fede, e sov vertitevi le leggi ed il governo , ora non si dimostras sero moderali ed utili cittadini : ma incitati da nuovi desiderj ed eccessi, talvolta chiedessero magistrati prop rj, scelti dall ordin lo ro , e questi indipendenti, in violbili; tal altra chiamassero in giudizio per cagioni

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turpissime que patrizj che loro paressero, 'trasferendo dal ceto pi poro al pi sordido i poteri eoa cui Roma faceva un tempo giudicare sull esilio e la morte; e ta lora i mercenarj e privi de patrj lari com erano, fis sassero leggi ingiuste ed oppressive coatra i bennati , senza lasciare al Senato la facolt di proporle prima col suo decreto, tolta ad esso una prerogativa che aveva sempre avuta senza contrast, fia sotto demonarchi, e de'tiranni. E dette molte altre cose consimili, senza' lasciare indietro memorie amare, n i risparmiare nomi ingiuriosi; alfine pronunzi questo ancora per coi tutto il popolo ne infuri, vale a dire che mai la citt che* terebbesi totalmente dalle sedizioui ma che sempre in frmerebbesi per nuovi m ali, finch fessevi il poter dei tribuni ; affermando che negli affari politici si dee ve dere che i principi sian buoni e giusti, giacch da buon seme si ha frutto buono e felice, ma infelice e reo da reo seme. XLV. Dieva : se questo potere fosse entrato in

citt di buon accordo per util comune; venutovi col favor degli augurf e della religione , sarebbe stato a noi causa di molti e gran beni, d i unione, di leggi savie, di speranze belle dal canto de'num ide di miUe altre cose. Avendovelo per introdotto la violenza, la prevaricazione , la discordia, il timore di una guerra interna, e tutti i mali pi odiati fr a gli uomini; come con tali principii ne sar mai fausto e salutare ? B en superflua cosa cercar farmachi e cure quante sen possono ai mali che ne germogliano finch restavi la radice viziata. N mai vi sar termine , mai requia

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alcuna dallo sdegno celeste, finch quest invidia, in saziabile fu ria in citt s' annida , e lorda, ed infra h cida tutto. Ma per tali cose vi sar discorso, e tempo pi acconcio. Ora, poich si vuole rimediare alle cose presenti ; io lasciando ogni acerbit, vi dico : Ni questa legge, n altra qualunque non approvata prima dal Senato sar mai valida nel mio consolato. Ma so* sterr con parole gli ottimati, e quando anche 1' o pere vi bisognino , nemmeno in queste sar vinto dagli avversar). E se non prima avete saputo quanta sia r autorit de' consoli, nel mio consolato lo sa prete. XLVI. Appio cosi disse, quando Cajo Lettorio il pi provetto e pi venerabile de' tribuni, uomo rico nosciuto non ignobile in guerra, e buono al maneggio degli affari, sorse e replic, cominciando da alto , e ragionando a lungo sul popolo , quante difficili spedi zioni avessero intrapreso i poveri, da lui vilipesi, non solo nel tempo dei r e , quando forse era necessit, ma dopo la espulsione loro per acquistare aUa patria la libert e il comando. Pur non ebbero , dicea , ricom pensa niuna da patrizj, n goderono alcuno de pub blici beni ; ma quasi presi in guerra , furono privati infino della libert : e se volevano conservarsela do vettero abbandonare la patria , cercando una terra ove non fo ssero , essi liberi uom ini, insultati. Senza violentare, senza obbligare colle arme il Senato, eb bero nella patria il ritorno, condiscendendo a lui che chiedeva e pregava che si rendessero alle abbandonate lor cose. E qui spose i giuramenti, e ramment gli

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accordi fatti per questo ritorno; tra'quali vera l amni stia di tutto il passato, e la concessione a' poveri di eleggersi magistrati i quali proteggessero lo ro , e resi stessero a chiunque volesse mai conculcarli. Scorrendo su tali subjetti, annover le leggi fondate poco prima dal popolo ; come quella su la traslazion dei giudizj per la quale il Senato cedeva al popolo die chiamasse in giudizio qual pi volesse de' patrizj ; e l ' altra sul dar dei suffragj, 1 *Iua^ rendeva arbitri devoli i comizj per trib, non quelli per centurie. XLVII. E cosi ragionato sul popolo ; rivolgendosi ad Appio disse : E tu ardisci et insultar quelli pe*quali

la repubblica divenne d piccola grande, e luminosa d'ignobile ? tu chiami sediziosi gli altri, e rimproveri loro come fuorusciti? Quasi non tutti rammentino ancora ciocch avvenne tra n o i , vuol dire che gli avi tuoi levarono il capo contro de magistrati, abbondonaron la patria, e supplichevoli qui s'alloggiarono. S e non forse voi , che avete abbandonata la ptria per amore della libert , voi v avete fatto un opera bella, n bella quella de Romani che han fa tto altret tanto. Tu ardisci calunniare lautorit detribuni come introdotta a mal fa tto ; e persuadi qui noi che c in voliamo questo sacro, questo immobile rifugio depo veri , confermatoci da numi e dagli uomini per tanto grandi cagioni ? Va tirannissimo , va nimicissimo che sei del popolo / E non giungi nemmeno dunque a vedere, che ci dicendo , oltraggi il Senato , oltraggi la tua magistratura ? Insorse pure tutto il Senato contro dei r e , pi non potendo sofferirne la superbia,

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e gli affronti; e fond il consolato , e prima di ban dirli da Roma fecesi altri ministri del regio potere. Tantoch ci che dici contro del tribunato come in trodotto a mal fato, per la origine sediziosa, ci dici ancora contro del consolato ; giacch non altra causa il f nascere se non lo scuotersi depatrizj contro dei re. M a che parlo io di queste cose con te quasi con cittadino buono e moderato , quando tutti sanno che tu sei di stirpe mal grazioso , anzi acerbo , anzi in fe sto al popolo, n buono da ingentilire la salvatichezza tua ? O perch non pospongo i detti, e in vesto co' fa tti, e ti mostro che tu che non ti vergogni di chiamare il popolo un sordido, e senza casa, tu non sai quanta sia la fo rza di lui? quanta quella del suo magistrato cui le leggi ti obbligano di dar luo go e di cedere ? ma gi lasciati 1 rammarichi delle parole , comincio le opere. XLVIII. E ci detto giur col giuramento, pi rive rendo infra lo ro , di sostenere la legge; o di morire. E qui taciutisi tu tti, e tutti empiutisi di ansiet su ci che farebbe : comand che Appio ne andasse dall' adu nanza. E perciocch non ubbidiva, ma cingendosi coi littori e colla turba che aveasi perci condotto di casa, ripugnava ad andare; Lettorio, intimato pe banditori silenzio, consigli che i tribuni facessero portare il con sole nella carcere. E qui la guardia di lui si avanz, comandata, come ad arrestarlo ; ma il littore, che il primo se la ebbe innanzi, la batt e respinse. E levatosi romor grande e rammarico; v'accorse lo stesso Lettoro, eccitando la turba in suo ajuto. Se gli oppose Appio

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con giovani bravi e numerosi; ed eccone quinci e quindi vituperazioni, grida, spinte ; talch la contesa divenivane zufi , ornai cominciandovisi il trar delle pietre. Se non che ripresse tali colpi , e fece che il male noa procedesse pi oltre Quinzio l altro console, caccian dosi egli e li pi anziani de' senatori, tra le minacce, supplicando e scongiurando tutti a desistere. Non avanzava allora se non picciola parte del giorno, e per si divisero finalmente, ma di mal' animo. Incolparonsi i magistrati a vicenda ne' giorni appresso : il console accusava i tribuni che tentassero di annientare il suo grado col volere in carcere chi lo rappresentava ; ed i tribuni il console , pe' colpi portati su persone, sacre ed inviolabili per la legge ; e de' colpi avea Lettorio i segni manifesti nel sembiante. Intanto stavasi la citt scissa e fremente. I tribuni ed il popolo occuparono il Campidoglio, non tralasciandone mai la guardia, giorno e notte : il Senato adunatosi tenne lunga e travagliosa discussione intorno ai modi di chetar la discordia, con* siderando la gravezza del pericolo, e come nemmeno i consoli fossero uniti fra loro; giacch volea Quinzio concedere al popolo le istanze moderate, ed Appio vi ripugnava, a costo ancora della vita. XLIX. E poich niuna cosa avea term ine, Quinzio presi un per uno i tribuni ed A ppio orando, scon giurando , raccomandava lor di anteporre il ben pub blico al proprio. E vedendo alGne ornai rimplaciditi quelli, ma duro in sua caparbiet il console compagno; persuase Lettorio e i seguaci di lui, sicch rimettessero al Senato l'esame de'privati e pubblici risentimenti. Con-*

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vocato quindi il Senato, lodativi ampiamente i tribuni, e scongiurato il compagno a non contrastare la salvezza pubblica, invit tu tti, secondo il solito, a dirne il pa rer suo. Invitato per il primo Publio Valerio Poplicola, disse: che doveansi dal pubblico condonare, non por

tare in giudizio le incolpazioni vicendevoli de tribuni e del console su quanto s avean fa tto o sofferto nel tum ulto} perch non erosi fatto per mal anim o, n per ben propiro , ma per gara di preminenza in re pubblica: quanto alla legge poi sen facesse previo decreto in Senato ; giacch Appio console non voleva che senza questo al popolo si proponesse. D el resto provvedessero tribuni e consoli insieme il buon ordine, e larmonia de' cittadini nel dar de suffragi. Appro varono tutti quel dire ; e ben tosto Quinzio fe dare il volo a senatori su la legge. Accusolla Appio per pi capi, e molto i tribuni se gli opposero, ma vinse final mente di gran lunga il partito per introdurla : stesone il decreto del Senato, ne tacquero le gare demagistrati, il popolo di buon grado Io accolse, e fece co' suffragi suoi la legge. Da quello ( 1) fino a miei tempi i comizj per trib decidono col voto loro la scelta de' tribuni e dgli edili senza dipendenza niuna dagli augurj e dalle cose di religione. G tal fu la soluzione de' dissidj che di que'giorni conturbarono Roma. L. Piacque dopo non mollo ai Romani di arrotar le milizie, e spedire ambedue i consoli contro gli Equi e li Volsci: perocch nunziavasi loro eherano uscite truppe
( 1) Anno di Roma a83 secondo Catone, ^85 secondo Varrooe,
e 469 *v. Cristo.

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m gran numero dell uno e dell* altro popolo e depre davano gli alleati Romani. Apparecchiati dunque in fretta gli eserciti, e sceltone colle sorti il comando ; Quinzio marci contro gli Equi, ed Appio contro de'Volsci. Ma ciascun dei due consoli v'ebbe le vicende che meritava. Imperocch l'armata di Quinzio benevola al valentuomo per la moderazione, e per la dolcezza di lu i, ne ubbi diva pronta i comandi, e le pi volte anche senza co mandi affrontava i pericoli, per acquistargli fama ed onore. Dond che scorse in gran parte, saccheggiando, la region de' nemici ; senza eh ardissero questi venirne alle mani : e raccoltevi amplissime prede , e vantaggi, e dimoratavi alcun tempo scevra in tatto da mali; si pre sent di bel nuovo in patria, rimenandovi il suo capi-i tano luminoso per le .belle azioni. Ma l arm ata, anda tane con A ppio, lasci per odio di lui molti patrj do veri; perocch fu mal animata in ogni spedizione e poco curante il Suo duce: e quando le bisogu far battaglia co Volsci, schieratavi da esso, ricus ; di venire alle mani. Centurioni ed antesignani, chi lasci la schiera sua, chi gett l insegna, e rifuggironsi agli alloggia menti. E se gl inimici, sorpresi dalla stranissima fuga , ed intimoriti per essa di un qualche inganno , non de sistevano dall incalzarli ; perivane il pi deRomani. O r ci faceauo a mal cuore del capitano , sicch egli sul1 esito di fauste battaglie , non crescesse col trionfo, e con altri onori. Nel giorno appresso ora il console re darguendoli per la fuga ingloriosa, ora esortandoli a cancellarne la infamia con un generoso combattimento, ora minacciandoli che varrebbesi del rigor delle leggi sa

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non teneansi fermi contro a pericoli, essi indocili tut tavia lo intronarono clle grida, e chiesero che li ri tirasse dalla guerra, come invalidi a pi resistervi per le ferite. G quasi feriti davvero , aveansi alcuni fasciale membra sanissime. Appio adunque, necessitatovi, ritir l'esercito dalle terre nemiche; ed i Volsci tenendogli dietro, ne uccisero non pochi. Giunti in terre amiche, il console convocatili, e fattine i grandi lamenti, an nunzi che- punirebbeli come i disertori. E quantunque seniori e magistrati militari assai lo pregassero a tem perarsi , n volgere la patria di danno in danno ; gli non tenne conto di alcuno, e stabil la pena. Quindi i centurioni le cui centurie fuggirono, e li portatori delle bandiere, che le aveano perdute, gli uni furono decapitati colle scuri, e gli altri colle verghe battuti e morti. Del resto della milizia ne peri, tirata a .so rte , la decima parte per tutti. Tale fra* Romani il castigo per chi lascia 1 *ordinanza , o getta la insegna. Dopo ci egli, duce odioso , conducendo 1 avanzo dell* eser cito mesto e disonorato ; ornai sovrastando i oomiz] , si rimise ih patria. LI. Dichiarati consoli, dopo questi, Lucio Valerio per la seconda volta , e Tiberio Emilio ( 1) ; i Tribuni contenutisi gi per qualche tempo , introdussero di bel nuovo il discorso su la divsion deterreni. Ed andatine ai consoli, chiesero supplichevoli ed insistenti che si mantenessero al popolo le promesse fattegli dal Senato
(1) Anno di Roma >84 secondo Catone , a86 secondo Yarrone, 468 av. Cristo.
D I O N I G I , tomo I I I . ,j

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sotto i consoli Spurio Cassio, e Profilo Verginio. Uni ronsi loro ambedue i consoli, Tiberio Emilio mosso da vecchio, n irragionevole odio contro del Senato, per* ch non concedette al padre di lui il trionfo che di mandava ( i) , e Valerio affine di mitigare lo sdegno conceputo dal popolo contro lui per la morte di Cassio: perocch V alerio, allora questore, di la morte a que st'u o m o , famosissimo in quei d nel condurre gli affari militari e civili, quasi aspirasse la tirannide, perch primo propose in citt la legge per la division de' ter reni ; ed incorse principalmente , perci 1' odio de' pa tria] , come avesse anteposta ad essi la plebe. Promet tendo allora dunque i consoli di confortare in Senato la inchiesta loro su la pariizion delle terre pubbliche, e di dar mano alla legge; i tribuni su ci confidatisi, vennero in curia, e ven fecero mite discorso. Non si contrapposero i consoli, come per iscansare il nome di contenziosi, ma chiesero su ci gli anziani del giudizio loro. E dimandalo il primo Lucio Em ilio, il padre dell uno de' consoli, disse-, parere a lui giusto ed utile

(i Roma che le cose del comune fossero di tutti non di pochi : consigliava di condiscendere alle istanze del popolo , perch la concession loro si avesse per un benefizio ; laddove erano stati ridotti ad accordare di fo rza tante e tante cose che non aveano concedute di buon grado : dicea voler la ragione che chi riteneva i fo n d i pubblici ringraziasse il Senato pel frutto fino allor percepitone senza titolo , non si ostinasse in contrario , se non pi potea percepirli > e ci diceva
(i) Vedi S 1 di questo libro.

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sai diritto, riputalo da tutti bollissimo, che le cose del pubblico sian comuni a tu tti, e le particolari, acqui state legittimamente, sian de' privati : aggiungeva es

sere necessit che eseguita fosse la division dal S e nato , il quale aveala decretata , erano gi diciassette anni. Dimostrava che il Senato aveva allora ci de cretalo per util pubblico , perch n il terreno fosse incolto, n la povert si stesse, come ora , oziosa in Rom a , ed invida dell altrui : e finalmente perch la giovent, allevata ne' patrj lari e beni avesse come educarvisi onestamente , e pe' grandi pensieri. Per ciocch li non possidenti, quelli che pafconsi scarsa mente pelavori mercenarj nefo n d i altrui, non hanno in s voglia di generare, o se pur Phanno don fru tti re i , n ben augurati, perch nati di matrimonio mi sero , ed in misero stato cresciuti. la dunque, soggiun geva propongovi che i consoli confermino le cose gi decretate dal Senato , e sospese fin qui per la tur bolenza de tem p i, e dichiarino i decemviri per la divisione. LII. Erasi Emilio taciuto, quando invitato a dire Ap pio Claudio il console dell' anno precedente espose con trario parere : affermava che nemmeno il Senato ebbe mai volont che i pubblici beni si compartissero. S e n o , gi da gran tempo sarebbono i decreti suoi stati seguiti. Egli differ prima la discussion della causa da tempo a tem po, intento a comprimere la sedizio ne f introdotta dal console, che amb la tirannide , e ine trov le petie meritate I consoli eletti dopo quel decreto nemmen essi lo effettuarono , considerando*

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quanto seme di mali si porrebbe in citt calC assue fare i poveri a dividersi a sorte i beni del comune. Dopo, quel primo consolato negli altri successivi che pur furono quindici, i consoli, tutto che ridotti a molti pericoli dal popolo , mai risolveronsi a fa re cioc ch non giovava , sul pretesto che il decreto accordava ai primi consoli, non ad essi la facolt i creare i riconoscitori delle terre. Cos pure egli non berfatto, n sicuro, che tu o Valerio, e tu Emilio , nati am bedue da egregj parenti, intromettiate la division delle terre, senza esserne comandati dal Senato. E ci basti sul decreto al quale non siete tenuti voi, che tonto tempo dopo v avete il consolato. Ora dir bre* ve mente su quelli che di forza o in occulto s appro priano le cose del comune. Chi sa che alcuno usufluttua beni de quali non pu mostrarne legittimo il possesso, ne dia l'indizio d consoli, e sen giudichi t* norma delle leggi; perocch non dobbiamo gi far cele nuove, ma antiche sono ; e niun tempo mai lo abol. Siccome poscia Emilio disse pur dellutile, quasi la division delle terre sia per essere, con pubblico be ne ; non vo trasmettere senza censura nemmen questo punto. A me sembra che egli non miri che il pre sente, senza guardar tavvenire, e di quali e quanti gran medi vi fia cagione il donare (che par lievis sima cosa) agli oziosi e poveri, i beni pubblici. I l costume che con tal fatto s' insinua, ed in citt si rim ane, ne diverr, pi che tu tti, tremendo e rovi noso. Imperocch il soddisfare i m a l i d esid eri NON GLI ESTIRPA GI DALL ANI MOMA VE GLI AC-

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CRESCE s p e g g i o r a . E documento i fa lli ne siano! altronde e che gioverebbe a voi dar mente alle mie voci o di Emilio ? LIII. Tutti sapete quante genti abbiamo debellato , quanti territorii saccheggiato, quante prede raccolto da citt conquistate, e come privali di esse i popoli ; che ne erari fe lic i, or ne stiano in cupo disagio. E sapete che i nostri, che lamentano la loro miseria non furono esclusi da niuna parte di spoglie , ma se ri ebbero non meno che. gli altri. Or ne sembra egli per tali acquisti ridirizzato lo stato loro , o se ne fa tto pi chiaro per agiatezza? Cerio io bramerei, e gi io g iddj ne pregava, che meno in citt ci pe sassero. Nondimeno m irateli, uditeli querelarsi, che desolante la loro penuria. DoncT che non miglioreranno la sorte loro nemmen se ottengano ci che ora presumono , e pi ancora. Non proviene f inopia loro dalla sorte; ma dai costumi : n per tali costumi basta il compiccilo, anzi nemmen tutti i doni vi basterebbono de' principi, e de tiranni. Se noi condi scendiamo in ci; farem con essi a simigliamo dei medici che curan l inferm o, come pi brama. Non che risanisi la parte inferma della citt; la sana an coro se ne guaster. In somma assai dovete attendere o padri, assai riguardare a serbare da ogni reo de siderio i costumi che vanno in citt peggiorando. M i rale ov giunta la protervia ! nemmen pi soffre il popolo il comando de consoli ! E non che pentasi della insubordinazione sua, qui tra noi, fino in campo la manifesta ; gitta le arm i, e levasi di schiera , e

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lascia a' nemici le insegne, e fogge obbrobriosamente prim di combattere, quasi tolga a me solo non alla patria ancora la gloria d aver vinto i nemici. A l pre sente i Volsci innalzano trofei contro de' Romani; si ornano ila ro tempj delle nostre spoglie: e le loro citt , quelle che supplicavano dianzi i nostri duci per non. ssere schiave distrutte , quelle si magnificano ora, quanto mai pi per addietro. giusto egli forse e conveniente che voi ringraziate costoro per s belle imprese ? e finiate di onorarli, co doni pubblici, f a cendo ad essi dividere a sorte la terra che quanto da loro, sarebbe de' nemici ? Ma perch redarguir lungamente costoro , se per la mala educazione e ria stirpe poco apprezzano il bene ; quando essi vedono che nemmeno p costumi nostri abbiamo noi t antico dettame : ma la gravit ce la nominiamo orgoglio, la giustizia un corto vedere, e capriccio diciamo il co raggio , e stolidit la saviezza. Ciocch' era l orrore degli antenati ora lo scopo sublime de* cittadini : e pajono alC uom corrotto meravigliosissimi beni la im becillit , la buffoneria , T animo reo, la cabala nel brigare, la temerit da fa r tutto, la facilit nel Li sciarsi persuadere, e non mai per lo meglio : vizj lutti che gi postisi in grandi e potenti citt le di strussero. E queste sono , o padri coscritti , le coset le quali, piacciavi udirle o n o , vi dico , veracissimo, e libero , come utili di presente, e sicure per avve nire , se lascerete mai persuadetene ; quantunque per me che affronto pel pubblico bene l'odio altrui saran causa di medi non pochi. Imperocch ragionando an tivedo , e presentomi i casi altrui come norma de'miei.

L IBRO IX* *99 LIV. Appio cos disse , e consentendo con Ini quasi tutti, fu sciolto il Senato. Irritaronsi i tribuni per la ripulsa : e partitisi considerarono come punirne Un tal Uomo. In mezzo al molto discutere piacque loro di son* toporre Appio ad un giudizio capitale. Pertanto accu sandolo nell' adunanza del popolo, invitarono tutti a venire in giorno determinalo, per sentenziare su lui. Sarebbero queste le incolpazioni, vuol dire che stabiliva

massime ree contro il popolo ; che riaccese in citt la sedizione; che alz violento le mani sul tribuno ad onta delle leggi sacrosante ; e che duce d ell esercito, sen torn pieno di sciagura, e cTinfamia Annunziate tali cose al popolo , e destinato il giorno in cui dice* vano che ne farebber la causa, intimarono ad Appio di comparire a difendersi. Sen dolsero e prepararonsi i padri con tutto l ardore a salvarlo. Ed esortandolo a cedere al tempo , e prender abito conveniente alle cir* costanze ; replic che mai non farebbe azione vile, n degna delle precedenti; e che sosterrebbe anzi mille morti che prostrarsi supplichevole ad alcuno. R imosse alquanti che eran pronti d'intercedere per lu i, dicendo che sarebbegli stata doppia vergogna, se vedesse altri fare per lui ciocch non dovea fare nemmeno per s stesso. Dette queste, e cose consimili, sebza cambiar vestimenti, n tenor di sembiante, n la sublimit del lanimo , quando vide la citt levata e sospesa in espet1 tazion del giudizio, mancandovi ancor pochi giorni, si uccise. Li congiunti di lui finsero che per una infermit morisse. Portatone quindi il cadavere nel Foro , il figlio di lui fattosi innanzi ai tribuni ed ai consoli dimand

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che convocassero l ' adunanza legittima : e permettessero a lui di fare sul padre suo la funebre lauc|azione, usata in morte de' valentuomini. Intimarono ai consoli l adunanza ; ma vi ripugnarono i tribuni, ed imposero al giovine di tor via quel cadavere. Non sofferse il popolo n guard con indifferenza che inonorato il cadavere si. rimovesse ; ma concedette al figlio di rendere i con sueti onori al padre: E tale fu la fine di Appio. LV. I consoli arrotarono, e cavarono di citt le mi lizie ; Lucio Valerio per combattere gli Equi e Tiberio. Valerio i Sabini; perciocch gli ultimi ne'tem pi della sedizione entrarono il territorio romano, e danneggia tane gran parte, ne partirono con amplissima preda: gli Equi poi venuti pi volte alle m ani, e presevi molte ferite, eransi riparati in luogo fortissimo, n pi ne scendevano per combattere. Ren tent Valerio di asse diare quelle trincee, ma ne fu proibito dal cielo. Im perocch mentre v' andava e poneasi all' opera ; si mise il cielo in caligine, in pioggie, in folgori, e tuoni spaventevoli. Se ne sband l esercito, ma sbandatosi appena cess la procella : e fecesi grande serenit. Prese il console come cosa di religione un tal fatto : e per ciocch gl indovini diceano non essere d a'p o r quellas sedio ; egli di volta, e saccheggi la terra e lasciata in utile de soldati la preda , ricondusse in patria leser cito. Tiberio Emilio per scorrea fin dal principio con assai negligenza le regioni de nemici, n aspettavane ornai pi le milizie ; quando uscirono a fronte i Sabini, e sen fece battaglia ordinata, quasi dal mezzod fino a sera. Sorprese dalla notte ritiraronsi le armate ciascuna

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al suo campo , n vincitori n viiite. Negiomi appresso i duci presero cura de' loro estinti, e munirono di fossa gli alloggiamenti; ambedue con proposito di difendervisi, non di uscirne per offendere. Poi col volger del tempo levarono le tende, e partironsi cogli eserciti. LYI. L 'anno dopo, (i) nella olimpiade settantesima ottava in cui vinse nello stadio Parmenide di Possidon ia , mentre Teagene avea l 'annuo magistrato di Atene, furono in Roma consoli Aulo Verginio Cclimontan e Tito Numicio Prisco. Ascesi appena questi al comando, ridicevasi che giungevano i Volsci con esercito poderoso. N molto dopo fu invaso da essi, e dato alle fiamme un posto, ne'dintorni di Roma: e non essendo questo molto lontano ; il fumo stesso annunziava alla citt lin fortunio. Immantinente, essendo ancor notte, inviarono i consoli de cavalieri per osservare, e misero guardie su le m ura; ed essi stessi schieratisi fuori delle porte co' soldati pi spediti, v aspettavano i rapporti de ca valieri. Fatto giorno raccolta la milizia che avevasi in Roma, andarono contro a nemici: ma questi, derubato il luogo ed incendiatolo, ne erano ben tosto partiti. Liberarono i consoli le cose che ardevano ancora, e lasciatovi un presidio sen tornarono a Roma. Pochi giorni appresso usci coll' armata propria , e con quella degli alleati luno e l'altro console: Verginio contro degli Equi e Numicio contro de Volsci : e ciascuno se n ebbe fra le armi il successo che desiderava. Deva stando Verginio le terre degli Equi non ardirono questi
(1) Attuo di Roma 385 secondo Catone, 8j secondo Vairone , e 4^7 Cristo.

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di venire alle mani. Bea posero ima imboscata di no mini scelti ove speravano di piombare su liaimico sbandato; ma vanissima ne fu la speranza. Imperocch sa putosi ben tosto pe Romani, fecevisi vigorosa battaglia: ove gli Equi tanto perderon de' suoi cho pi allora nu vennero al paragone delle armi. Numicio marci su la citt degli Anziati, 1 una aUora delle primarie traVol sci , ma non se gli oppose armata niuna , riducendosi tutti a rispingerlo da entro le mura. F u dunque sac cheggiato gran tratto della lor terra, e presa una citta della in sul lido, la quale era per essi come arsenale ed emporio, ove concentravano il molto che andavano depredando sul mare. L' esercito si attribu per conces- sione del console gli schiavi, i danari, i bestiami, le merci : ma gli uomini liberi che non erano periti tra l gtierra furono presentati allincanto. Si acquistarono nommeno su gli Anziati ventidue navi lunghe, ed apparec chi ed armi di navi. Alfine per comando del console i Romani ne bruciarono le case, ne devastarono l arse nale , e ne distrussero da fondamenti le m ura; perch, ritirandosene essi, quel luogo non fosse ua castello vantaggioso per gli Anziati. Tali furono le azioni -se parate de consoli ; poi gettatisi insieme sul territorio dei Sabini, e depredatolo, rimenarono a Roma gli eserciti; e l anno fin. LVII. Lanno appresso fatti appena consoli Tito Quiazio Capitolino, e Quinto Servilio Prisco ( i) , tutti la milizia romana fu in arm e, e spontanea si present
(i) Auno di Roma a86, secondo Catone, a88 secndo Vairone* e 466 av. Cristo.

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quella degli alleati, prima che richiesti ne'fossero. Dopo ci fatte suppliche ai numi, ed espiato l esercito, "mar ciarono i consoli contro a nemici. Li Sabini contro ai quali era andato Servilio, non che schierarsi in batta glia , non uscirono nemmeno all aperto : ma tenendosi dentro del chiuso, lasciavano che si devastassero loro le terre, s incendiasser le case, e gli schiavi se ne fuggissero. Dond che i Romani tornarono a grand' agio dalle lor terre, carichi di preda, e risplendenti di glo ria. E cos termin la spedizion di Servilio. Quinzio, ed il seguito suo, movendosi con marcia pi che mili tare contro gli E q u i, ed i Volsci, venuti ambedue dalle regioni loro in un sito stesso a combattere per gli al tri , ed accampatisi davanti di Anzio : diedesi a vedere improvviso. E fermatosi non lungi dal campo loro in un luogo, basso per s medesimo, che era quello ap punto dove prima fu veduto e vide gli avversar), posevi le bagaglie per far mostra di non temere i nemici, quantunque superiori di numero. Or com' ebbero am bedue tutto in punto per la battaglia, uscirono in cano po , ed avventatisi pugnarono infino al mezzogiorno. Non cedevano, non superavano, questi o quelli, risto rando sempre la parte che vacillava, cosussidj ordinati per questo. Allora quando come superiori di numero, cominciarono i Volsci e gli Equi a vantaggiare, e pre valerne ; non avendo i Romani moltitudine , pari allar dore , Quinzio veduti estinti molli de' suoi, e ferito il pi de superstiti, era per intimare la ritirata : ma te mendo poi di dar vista ai nemici di fuggire; concluse, ch egli dovea cimentarsi. E scelto il nerbo de'cavalieri,

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vola in soccorso de'sdoi neH'ala destra, dove princi palmente percclavano. Ed ora sgridando di codardia li duci stessi, ora ricordando le passate battaglie, e di pingendo la infamia ed il percolo loro se fuggivano; alfine disse una cosa finta s i, ma che rincor li suoi pi che tutto, e sbigott l inimico. Egli divulg che laltr' ala sua incalzava gi gli avversarj, e gi stava prossima agli alloggiamenti : e divulgandolo, spron sui nemici; e sceso di cavallo co'bravi suoi cavalieri, prese a combattere di pi fermo. Torn 1 audacia allora nei suoi che ornai si abbandonavano , e divenuti quasi altri da quelli che erano, fulminaronsi tutti sul nemico. Tal ch li Volsci contrapposti appunto in quella parte, dopo aver lungo tempo: resistito , piegarono finalmente. Quin zio fugatili appna , rimonta il cavallo, e corre all' al tr ala, e mostravi a1 fanti suoi disfatta l'ala nemica, e raccomanda che non sieno per virt minori decompagni. LVIII. Dopo ci niuno pi de' nemici tenne fronte, ma fuggirono tutti alle trneee. Non gl inseguirono lungo t6mpo i Romani, ma bentosto se ne rivolsero forzati dalla stanchezza, n pi avendo ornai l arm e, pari al bisogno. Decorsi alquanti giorni, convenuti per seppellire gli estinti, e curare i mal conci, avendo gi riparato quanto mancava loro per combattere, fecero nuovo conflitto intorno gli alloggiamenti romani. Impe rocch venute nuove reclute ai Volsci e agli Equi dalle terre circonvicine, inanimito il capitano perch i suoi erano il quintuplo de Romani , e perch vedeva le trin cee di questi su luogo non abbastanza munito, cre dette il buon punto d assalirvegli. Con tal disegno guid

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(il la mezza notte 1' esercito intorno al vallo de Roma* n i, e citiseli, e tenneli in guardia, perch inosservati non s involassero. Quinzio saputa la moltitudine de' ne* mici, ebbe caro di accoglierla. Ed aspettando che fosse giorno, e principalmente lora nella quale il Foro suol riempirsi, quando vide che i nemici venivano ornai stanchi dalla vigilia e dalle scaramucce, non per centu rie , n in schiera , ma confusi e sparsi; immantinente, spalancate le porte , precipita su loro col. nerbo de ca valieri , mentre i fanti lo seguitavano serrati e sfretti. Sbalorditi i Volsci dall audacia, dopo aver sostenuta breve tempo la furia della irruzione, rinculano, e la sciano gli, alloggiamenti. E perch non lungi da questi aveasi un colle alquanto elevato ; vi accorrono, come a riprendervi requie ed ordine. Non riusc per loro di fermarsi e di riaversi, giungendo ben tosto i nemici, stretti quanto poteano colle coorti , per non esserne trabalzati, nell ascendere a forza la pendice. Fattasi azione vivissima per gran parte del giorno , ne perirono molti degli uni e degli altri. I Volsci , tuttoch supe riori nel num ero, e rassicurati dal posto occupato, non goderono alcuno de' due vantaggi : ma violentati dallar dore e dalla virt de Rom ani, abbandonarono il colle. Fuggendo per verso le trincee, molti ne soccombe rono. Imperocch non cessarono i Romani dinseguirli, ma tennero immantinente dietro loro, senza desisterne, finch ne presero a forza il campo. Impadronitivisi dei prigionieri e di ogni cosa lasciatavi, cavalli, arm i, da nari, che eran pur molti, passarono ivi la notte. Nel giorno appresso il console, apparecchiato ciocch biso-

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goava per un' assedio, diresse 1 esercito alla citt degli Anziati, non lontana pi di trenta stadj. Per avventura ivi stavan di guardia alquanti Equi ausiliarj e custodivan le m ura, e questi per terrore della baldanza romana macchinavan fuggirsene. Saputo dagli Anziati, ed impe diti partirne, congiurarono dar la cittade a'Romani che si appressavano. Gli Anziati avuto sentore pur di que sto , cedettero al tempo : E convenutisi con loro ; si die dero a Quinzio, in modo che gli Equi per patto si dimettessero, accettassero gli Anziati in citt la guarni gione , e seguissero i co mandi de' Romani. Divenuto pertanto il console arbitro della citt, pigliatine stipendj ed altri bisogni dell' esercito, e presidiatala, se ne ritir. Uscitogli per tal gesta incontra il Senato, lo accolse gratissimamente, e lo onor del trionfo. LIX. L anno appresso (i) furono consoli Tiberio Emilio per la seconda volta, e Quinto Fabio figliuolo dell' uno dei tre fratelli, duci gi della guarnigione spe dita in Cremer , ed ivi periti co' loro clienti. Ora fa vorendo Emilio console ai tribuni, e rimescendo questi di bel nuovo il popolo intorno la divisione de' cnapi ; il Senato voglioso di cattivarselo, e sollevarne i poveri, stabili di compartir loro un tratto del territorio conqui stato 1 anno avanti su gli Anziati. Furono deputati per la divisione Tito Quinzio Capitolino, quello appunto a cui si erano gli Anziati rendati, e Lucio F urio ed Aulo Verginio. Non per fu cara la divisione ; quasi per essa i poveri ed altri del popolo fossero espulsi dalla
(i) Anno di Roma 287 secondo Catone, 389 Secondo Vairone 4^5 av. Cristo.

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patria. E siccome non si ascrisser che pochi, n giusta oe sarebbe la spedizione; il Senato concedette a qual pi voleva degli Ernici e de'Latini di tor parte nella colonia. Divisero i deputati spediti ad Anzio la terra infra i lo ro , lasciatane ancor parte per gli Anziati. Frattanto marciarono coll esercito tutti due i consoli. Emilio in terra de'Sabini, e Fabio degli Equi. Ma per quanto Emilio col si restasse, ninno gli si present per combatterlo ; talch ne manomise a grande suo agio le campagne , finch giunto il tempo de comizj, ricon dusse in patria 1 armata. Gli Equi prima di essere agli estremi per eserciti perduti e citt espugnate , inviarono a Fabio oratori per la pace; e Fabio, esigendone due toniche per ogni soldato, i viveri di due mesi, gli sti pendi di sei, e quant altro era d upo per 1 armata, conced loro la tregua, finch andatine a Roma vi ottenesser la pace. Il Senato intendendo ci, trasmise a Fabio i poteri di concordare, come a lui ne paresse con gli Equi. Pertanto col mezzo del console si con cluse questo trattato : cio che gli Equi obbedissero a R om a, conservando le loro citt e le terre, senza spe dirle altro che milizie a proprie spese, quando ne fos sero dimandati. Concluso ci Fabio ritrasse le truppe, e preordin col compagno, i magistrati per 1 anno se guente. LX. Furono per essi designati consoli ( 1) Spurio Po* Stumio Albino per la prima volta, e Quinto Servilio Prisco per la seconda. Nei lor giorni gli Equi risolvet ti). Anno di Roma a88 secondo Catone, p 464 av. Cristo.
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secondo Varrone,

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tero violare i patti, recenti co' Romani, per <juesla ca gione. Gli Anziati che avevano case e campi, rimasero rfella lor patria, coltivando le terre ad essi concedute, come quelle attribuite ai coloni, a' quali davano con regole fisse parte del frutto: quelli pev che nulla pi avevan di questo, si trasmigrarono. Gli accolsero di buon grado gli Equi fra loro ; ma uscendone, depredavano le terre latine : dond che i pi: audaci., e pi poveri ancora degli E q u i, fecero causa con essi. Lamentarono i Latini l insulto in Senato, e chiesero che mandasse loro un esercito, o loro concedesse di ribattere gli au tori della guerra. Il Senato , udito c i , n volle esso inviare un esercito , n permise ai Latini che lo menas sero : ma scelti tre ambasciadori, capo de'quali era Far ,bio, quegli che l ' anno avanti avea conchiuso il trat tato , ordin loro di chiedere dai primarj della nazione, se mandava il pubblico per que latrocinj necampi degli alleati di R oma ,; anzi di Roma stessa, ne' quali era osi anche fatte alcune scorrerie da quegli esuli : o se il pubblico non avea di ci colpa p'tuna : E se diceano che l opera era de'privali senza volete del popolo; chiedessero nelle,mani le prede nommeno che i preda tori. Venuti gli oratori,.ed ascoltatili ; gli Equi diedero oblique risposte , dicendo, che 1 opera non era certe fatta per pubblico voto, ma che non istimavano bene consegnarne gli autori , perch, ridotti gi senza patria, e vaganti , erano come supplichevoli stali ricevuti nelle campagne (i). Addolora vasi Fabi o , e reclamava i patti
(1) Vuol dice pareva loro come tradire la fede ospitale , u li consegnavano.

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traditi, pur vedendo che gli Equi s'infingevano, e di mandavano tempo a consultarsi, e lo intrattenevauo come pe doveri ospitali ; si rimase infra loro con di segno di esplorare le cose della citt. E visitando ogni luogo sul titolo di vagheggiarvi le cose dei templi e del popolo, gli opifizj delle arme da guerra o finite o che si- lavoravano, comprese i loro disegni. Tornato in Roma disse in Senato quanto aveva udito, e 1 ve doto. Ed il Senato, non pi dubbioso," decret che si mandassero i F eciali per intimare agli Equi la guer ra , se non cacciavan da loro i fuoruscili di Anzio, n promettevano rintegrare i danneggiati. Replicarono gli Equi baldanzosi, fino a dir che accettavano, n gi di mala voglia, la guerra. Li Romani p e r , sia che im pedisseli il cielo, sia che le infermit , dominate gran parte dell*anno t r a l popolo, non poterono inviare in quell' ann un armata contro di loro : solamente usci per difendere gli alleati poca milizia comandata da Quinto Servilio console, e si tenne su* monti latini. Frattanto Spurio Postumio il collega dedicava in citt sul colle Capitolino ( 1) alle none che chiaman di G iu(1) Non ben chiaro se qui si parli di an tempio nel oolle Ca pitolino. Cosi la intese Lapo il primo traduttore Latino di Dionigi; aia nel testo propriamente si legge tir i rS rvaA tv sul

colle Marziale secondo Giuseppe Scaligero. Nel lib - 4 Lingua Latina di Varrone si legge : Collis BtulialU quinticepsos apud aedcm Dei Fidii in delubro ; e se qui pongasi, correggendo, Martialis in
luogo di M utialis, come pretende lo stesso Scaligero ; concepiremo che non l i si tratta di un tempio sol colle Capitolino j ma di u a altro fabbricato pur da Tarquinio sup erbo, ab da lui consagrato: tanto pi che il tempio di Giove Capitolino era gi stato consa grato. Vedi lib. , 35.
P I O N I C I , tomo I H .
i;

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gno il tempio di Giove Pidio edificato dall ultim o re Tarquinio , ma non consagrato da Ini secondo i riti romani. Parve allora al Senato che Postum o avesse per a la iscrizione del tempio (i). ^N sotto questi consoli occorse altra cosa degna di ricordanza. LXI. Nell olimpiade settantesima nona nella quale S enofonte corintio vinse allo stadio quando Archedemide era l arconte di Atene entrarono consoli Tito Quinzio Capitolino , e Q . F abio Vibulano : Quinzio assuntovi dal popolo per la terza volta e Fabio per la seconda (a). Il Senato spedi 1 uno e 1' altro con eserciti grandi e ben apparecchiati, Quinzio a custodir ne confini la campagna romana , e Fabio a devastare quella degli Equi. Fabio trov gli Equi che lo aspettavano ne con fini con validarmata. Alfine dopo aver luno e gli altri preso alloggiamento in fortissimi luoghi uscirono in campo, provocando e cominciando gli Equi la battaglia. Pugnarono buona pezza del giorno ardenti, infaticabili, n alcuno ponea la speranza di vincere in altri che in s. Ma divenuta poi la spada inutile ai pi pe colpi continui, e sonalo da capitani a raccolta , ritiraronsi, ciascuno alle sue trincee. Dopo ci non pi v ebbe combattimento ordinato, ma preludj e scaramucce, per lo pi eguali, de' soldati leggeri intorno le acque e i foraggi. Frattanto un corpo dell armata degli Equi
( i ) Cio che si scrivesse nel tempio che questo per decreto del Senato era stalo dedicalo d a Postum io: ciocch era di onore non piccolo. (a) Anno di Roma 389 secondo C atone, agi secondo Y arrona, * 463 av. Cristo. .

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avanzatosi per vie non osservale piomb sul territorio romano in parte assai lontana dai loro confini ( e per non difesa. Predatavi roba ed uomini assai, tornossene al suq campo, senza saputa di Quinzio e de'suoi, <^ie guardavano il territorio. E replicandosi spesso la vicen da, ne diede ai consoli vergogna non poca Ma poi sapendo Fabio col mezzo degli esploratori e de'prigionieri essere usciti dagli alloggiamenti le milizie pi forti degli E q u i, egli lasciati i veterani nelle trincee, accorse fra la notte col nerbo de' cavalieri e de fanti. Gli E q u i, dato il sacco ai luoghi invasi, ritiravansi pieni di preda. Non eransi ancora molto slontanati; quando Fabio ap parendo ritolse loro la preda, e vinsene quanti con ar dore di valentuomini lo aspettarono per la battaglia: gli altri sbandati e sottrattisi, per la perizia de sentieri, a chi gl inseguiva, rifuggironsi agli alloggiamenti. Bat tuti gli Equi con tal colpo improvviso, levarono in su la notte il cam po, e partironsi verso la citt, n pi ne uscirono : ma tenendovisi, mirarono raccolte dal ne mico le messi gi m ature, via portati i bestiami, tolti i danari, incendiate le case , ed imprigionati in copia gli uomini. Dopo ci sopravvenendo il tempo di ceder ad altri la sua magistratura, Fabio ricondusse l'esercito, e Quinzio fece altrettanto. LXII. Tornati in Roma designarono consoli Aulo Postumio Albo e Spurio Furio. Preso da questi il co mando (i) vennero messaggeri, spediti a gran fretta dai Latini. Introdotti questi in Senato svelarono che la cal(i) Anno di Roma 390 fecondo Calotte, 393 secondo Varroae, e 463 . Cristo.

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ma degli Anziati non . era abbastanza sicura : che gli Equi teneano con essi pratiche occulte: che sul pretesto di mercantarvi andavano alla loro citt molti Volsci guidativi dagli Anziati, li quali uscitine gi per la mi seria quando sen divisero i cam pi, eransi, come ho detto , ricoverati presso degli Equi. Aggiungevano che il morbo erasi insinuato non solo tra' paesani , ma tra molti pure deforestieri (i). Che se dunque non fossero questi preoccupati con giusto presidio, sorgerebbene quindi guerra inaspettata ai Romani. Non molto dopo di loro, altri spediti dagli Ernici, annunziarono chera uscita un' armata potente di Equi , che accampava sa le terre degli Ernici , che involava e portavaselo : che xnilitavan cogli Equi* anche i V olsci, e formavano il pi delle schiere. Vennero anche alcuni Anziati a di fendersi; ma chiaro appariva che non aveano sani pen sieri. Laonde il Senato decret spedire una nuova guar nigione su turbolenti di Anzio, onde rassicurarsene , e Spurio Furio laltro deconsoli coll'esercito contro degli Equi. Marci ben tosto 1 uno e 1 altro ; ma gli Equi udendo uscita gi larmata romana si mossero dacampi degli Ernici per incontrarla. Vedutisi appena fra lo ro , tutto che non fossero molto distanti , per quel giorno si trincierarono. Nel giorno appresso i nemici vennero quasi alle trincee deRomani per esplorarvene gli animi. E poich questi non uscivano alla battaglia, fattevi delle scaramucce, e niente di memorando, sen partirono assai
(i) Allude ai Romani portati non molto prima in Astio , come poloni perch nel tempo stesso invigilassero e tenessero in soggesion^ ] | citt proclive alla ribellione.

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magnificandosene. II console lasciate nel giorno seguente quelle trincee, come non molto sicure , trasposele in sito pi acconcio , e vi scav fossa pi profonda , e vi piant steccati pi alti. Crebbe a tal vista il cuor dei nemici, e molto pi quando ad essi pervennero altri sussidj de' Volsci e degli Equi ; tanto che senza pi indugj marciarono al campo romano. LXIIL II console considerando che a lui non bastava lesercito coatro le due nazioni, spedisce alcuni cavalieri con lettere in Roma perch mandisi a lui pronto soc corso , pericolandogli tutta l'armata. Giuntivi questi su la mezza notte, Poslumio il collega di lui ricevendole, f' convocare per via di molli araldi i padri in Senato: e prima che il d si chiarisse, erasi decretato che Tito Quinzio gi console per la terza volta portasse bentosto con autorit proconsolare il fior de' giovani a piedi ed a cavallo sul nemico , e che Aulo Postumio il console raccolte il pi presto le altre milizie, a raccoglier le quali vi abbisognava pi tempo, li soccorresse. Q ubzo riuniti sul principio del giorno presso a cinque mila volontarj, dopo non molto marci. Gli Equi ci sospet tando non jstavansi a bada : ma deliberati d assalir le trincee de Romani prima che vi giungesse il soccorso, si divisero ia due corpi , e v andarono per espugnarle colla forza , e col numero. Fecesi per tutto il giorno calda battaglia , spingendosi questi audacemente in pi parti suripari, n reprimendosene pe tiri continui delle lance , degli archi, e delle fionde. Adunque, conforlativisi a vicenda, il console ed il legato spalancando in un tempo le porte , ne sboccano, e piombando co'sol

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dati pi validi da ambedue le parti del campo su i ne mici, ne rispingono quanti vi salivano. Messili in fuga, il console insegu breve tempo i soldati a lui contra posti, e poi si ripieg: ma il fratello suo e Publio F urto il legato trasportati dalla impresa e dall ardore corsero incalzando e uccidendo fino al campo nemico ; e non avean seco se non due coorti, numerose in tutto di mille nomini. Gli avversarj loro che erano intorno a cinque mila, osservato ci, si avventano dagli steccati. E mentre questi vetagon di fronte, la cavalleria , fatto u n giro, prende alle spalle i Romani. Publio ed il se guito suo cos circondato e disunito dal resto de' suoi ben potea salvarsi se cedeva le arme, esibendogli questo i nemici, che assai valutavano far prigionieri quemille bravi, quasi potessero in vista di essi ottener pace ono* rata: ma i Romani spregiato linvito ed animatisi a non far cosa indegna della patria, combatterono e spirarono tutti tra' cadaveri de' nemici. LXIV. Morti questi, gli Equi inebbriati dal buon successo presentaronsi alle trincee romane elevando con fitto alle aste il capo di Publio e di altri cospicui, per iscoraggirne quei dentro, e necessitarli a ceder le arme. Ma se venne ad essi piet per la sciagura degli estinti compagni, e se ne pianser la sorte 7 si moltiplic ben anche lo spirito per combattere e l ' onorato amore di vincere o di morir come quelli prima che andar pri gionieri. Circondati dunque, comerano de'nemici, pas sarono i Romani senza sonno la notte, riordinando le parti che aveano sofferto nelle trincee, e quant' altro mai potea respingere gl' inimici se tentavano un' altra

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volta investirceli. Fecesi nel giorno appresso di bel nuovo 1 assalto , schiantandovisi lo steccato in pi parti. Pi volte furono gli Equi respinti da quei d entro che ne uscivano a schiere , e pi volte nell' audacia delle sor tite , lo furono questi dagli Equi. Dur tutto il d la vicenda: quando fu il console romano ferito nel femore da uno strale a traverso dello scudo, e feriti pur furono molti de* pi riguardevoli, quanti li combattevano in torno. Ornai vacillavano i R om ani , quando su l ' im brunir della sera ecco inopinatamente apparire Quinzio per soccorrerli col corpo de' prodi volontarj. I nem ici, vedutili che avanzavano, diedero di volta, lasciando lssedio imperfetto: ma quei d'entro incalzandoli nella ritirata facean strazio della retroguardia : se non che indeboliti per la pi parte dalle ferite, non gl* insegui rono a lungo ; ma presto si ripiegarono verso il lor campo. Dopo ci si tennero gli uni e gli altri lungo tempo fra le trincee , guardando sestessi. LXV. Quindi mentre il nerbo de' Romani era im pegnato in campo , altre milizie di Equi e d Volsci credendo il buon punto d'irne depredando la regione, uscirono tra la notte ; ed invasala in parte lontanissima dove gli agricoltori viveano scevri d ogni paura , occu parono non poco di robe e di uomini. Non per ne ebbero bella in fine n facile la ritirata , imperocch Postumio il console menando agli assediati nel campo i soccorsi adunati, appena ud le operazioni de' nemici, si present loro contro la espettazione. Non sbalordironsi ssi, n tremarono, ma ponendo a bellagio le bagaglie * le prede in luogo sicuro , e lasciandovi guarnigione

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che bastasse, marciarono ordinati al nemico. Venuti alle m an i, sebben pochi contro m olti, fecero memorabili prove. Imperocch precipitandosi gi dalle campagne uomini in copia cinti di lieve armatura contr' essi che eran tutto arme il corpo, fecero grande uccision dei Romani ; e per poco non si ritirarono , lasciando nel l'altrui territorio un trofeo su gli assalitori. Ma il con sole e con esso i cavalieri pi scelti spronandosi a re dini abbandonate su' loro , dov erane il forte, e com battevano ; ve li sbaragliarono e prostrarono in copia. Battuti que prim i, anche il resto dell armata respinto fugg: e la guarnigione delle bagaglie, lasciatele, s in vol di su pe monti vicini. Cos pochi moriron di essi nella battaglia; ma moltissimi, nella fuga, perch ignari de luoghi ed inseguiti dalla cavalleria de Romani. LXVI. Intanto Servio 1 altro console persuaso che il collega ne veniva a lui per soccorrerlo, e temendo che i nemici non gli uscissero incontra e glien traversasse? la strada ; risolv frastornameli, con assalirli negli al loggiamenti. Questi per lo prevennero; perciocch sa puta la sciagura de compagni dai predatori salvatisi, levarono il' campo, e nella notte, che fu la prima dopo la battaglia, rientrarono in citt, senza che avesser pptuto quanto aveano disegnato. Ma.se ne periron di loro tra le battaglie e i foraggi ; ne soggiacquero nella fuga d allora assai pi di prima tra quelli che restavano addietro. Aggravati questi dal travaglio e dalle ferite , traendosi a stento innanzi, perch non prestavansi ad essi i lor m em bri, stramazzavano , vinti principalmente dalla sete , presso de ruscelli e de fiumi : e raggiunti

LIBRO IX. 217 dacavalierironjani, erano tracidati. Nemmeno i Romani tornarQno felici in tutto da quella guerra ; perdutivi molti valentuomini, ed il legato che vi si era segnalato, pi che tu lli, nel combattere. Non pertanto rivennero in patria con una vittoria non inferiore a niuna. E ci fecesi. in quel consolato. LXVn. Succeduti consoli Lucio Ebuzio , e Publio Servilio Prisco ( 1) ; i Romani premuti da morbo con tagioso , quanto mai pi per addietro, non fecero in quell' anno cosa ntuna degna di rimembranza n in guerra n in pace. Gettatosi quel morbo in prima trai gli armenti de cavalli, e de' bovi, e poi delle capre e delle pecore, disfece quasi tutti i quadrupedi. Quindi serpeggiando tra' pastori e tra* coloni via via per tutta la regione, in ultimo invase anche Roma. Non facile ridire quanti servi, quanti mercenari, quanti della classe indigente perissero. Da principio se ne trasportavano i cadaveri a mucchi su carri : ma poi quelli de men ri guardevoli si gettarono nella corrente del fiume. Con tasene perito il quarto de senatori, e con essi i due consoli, ed il pi de tribuni. Cominci quel morbo in torno a primi di settembre, e prosegu per un anno intero, investendo e consumandone di ogni sesso e di ogni et. Saputosi travicini ,il disastro romano, gli Equi ed i Volsci lo riputarono occasione bonissima da levar sene il giogo, e fecero patti, e giuramenti, di alleanza, fra loro. Quindi preparalo quant.era d'uopo per 1 as sedio , uscirono gli uni e gli altri il pi presto colle
(1) Anno di Roma 391 fecondo C ato ne, a < > 3 fecondo Varron* , e 461 av. Cristo.

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milizie ; inondando su le prime il territorio de' Latini e degli Ernici, onde precludere a Roma il soccorso degli alleati. E nel giorno che giunsero al Senato gli oratori de' due popoli assaliti per ottenerne ajuto , in quel giorno appunto era morto Ebuzio 1' uno de' consoli , standosi gi Servilio , eh' era 1' altro , per morire. Or questo, sopravvivendo anche un poco, convoc il Se nato. Portativi i pi de' padri malvivi su le lettighe di chiararono ai legati di annunziare a lor popoli, che il Senato concedeva ad essi di respingere col proprio va lore i nemici, finch ' il consolo si risanasse , e fosse raccolto un esercito per soccorrerli. A tali risposte i Latini concentrato ciocch poteano dalle campagne, guardavano le mura, trascurando ogni altro danno. Ma gli Ernici non reggendo al guasto ed al sacco decampi, diedero allarmi, ed uscirono. Infine dopo fatte luminose battaglie con perdervi molti deloro ed uccidervi molto pi de* nemici, fuggirono , necessitati, fra le mura , n tentarono pi di combattere. , LXVIII. Pertanto gli Equi ed i Volsci, depredatone il territorio, si avvanzarono impunemente ai campi T u scolani. E derubati pur questi senza che niuno li re spingesse , scorsero fino ai Sabini ; e giratisi impune mente anche su le terre lo ro , avviaronsi a Roma. Ben poterono essi turbarla; non per conquistarla. Quantun que languidi nella persona, e perduto uno e f altro console, mortone di fresco ancora Servilio, armatisi ol tre le forze i Rom ani, si misero su le mura. Estese allora per circuito quanto quelle di Atene, sorgeano queste parte su i colli e su scogli dirotti, fortissimi per

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natura, e bisognevoli appena di difesa, e parte assicu rate dall' alveo del Tevere, fiume largo quattrocento piedi ( 1) , profondo da navigarvisi con legni grandi; rapido quant altri e vorticoso nel corso. Non passasi tpiesto appiedi se non per via de p o n ti, de' quali ve n era allora sol a n o , e di legno , cui disfacevano nei tempi di guerra. Il lato di Roma men arduo ad espu gnarsi dalla porta chiamata Esquilina fino alla Collina era fortificato coll'arte; imperocch scavata innanzi ci avevano una fossa, larga, dove eralo il m eno, pi di cento piedi, e cupa di trenta, e quinci e quindi su la fossa elevavasi un muro, cinto da argine interno ampio ed alto, talch n battere quello si potrebbe cogli arieti, n rovesciar sbucandone le fondamenta. Lungo questo lato circa sette stadj spandesi cinquanta piedi per largo. O r qui schieratisi in folla i Romani respingevano 1 * as salto nemico : perocch non sapevano allora i mortali n far testuggini sotterranee, n macchine espugnataci delle mura. Diffidatisi gli assalitori di prendere la citt ritiraronsi dalle m ura, e devastandone, ovunque passa vano la campagna, sea tornarono in patria. LXIX. I Romani come sogliono quando restano senza chi comandi, scelsero gl' interr per tenere i comizj, e vi crearono consoli Lucio Lucrezio e Tito Velario Gemino (2 ). Sotto questi ebbe requie la pestilenza; put;
(1) Nel testo t r ir r u ftt r f * t : la foce w Xi r f t t a interpreta da altri per jugero : Svida la interpreta per cento piedi. Ma tale esposizione non corrisponde. (a) Anno di Roma 292 secondo C atone, ag 4 secondo V arrone, a r . Cristo.

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furono differite le controversie civili private o pubbliche! e tentando Sesto Tito 1' uno de tribuni , riaccendere quella su la division deterreni; il popolo gli si oppose, e rimisela a tempi pi acconci. Eccitossi in lutti in vece un desiderio di punire quanti aveano dato guerra all* repubblica negiorni del morbo. Cos decretata la guerra dal Senato, e ratificata dal popolo, si arrotarono le soldatesche : e niuno di anni m ilitari, quantunque pri vilegiatone per le leggi, cerc sottrarsi da quell impresa. Diviso l esercito in tre parti 1 * una fu lasciata in guar dia di Roma sotto gli auspicj di Quinto F ab io , uomo consolare; e le altre seguirono i consoli contro i Volsci e gli Equi. Aveano gi fatto altrettanto i nemici. Riu nitesi. le milizie migliori d ambedue quelle nazioni, teneano il campo aperto sotto due capitani per cominciare dalla terra degli Ernici , dove allor si trovavano , a devastarne quanta ne soggiaceva ai Romani : la parte men atta delle milizie erasi lasciata in custodia delle citt,. perch su di esse non venisse irruzione improvvisa dagli ' emoli. Avuto infra loro consiglio, crederono i consoli il meglio d investire innanzi tutto le loro citt sul riflesso che la unione delle armate si. scioglierebbe, se ciascuno udisse ridotta in pericolo estremo la sua pa tria; giacch riputerebbero assai meglio salvare le pro prie cose che guastar le inimiche. Cos Lucrezio piomb su gli E qui, e Veturio su i Volsci. Gli Equi trascu rando ogni rovina di fuori guardavano la citt e li ca stelli.
LX X . In opposito i Volsci ardimentosi, arroganti, spregiando l armata Romana come diseguale contro la

LIBRO IX.

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lo r moltitudine , uscirono a combattere pel territorio proprio, e misero il campo presso di Veturio-Ma crne accade a milizie recenti, raccolte per la circostanza alia; rinfusa di mezzo a villani e cittadini, privi in gran parte di arme o di sperienza, non ebbero cuore nem men di venire alle mani : e perturbatine i pi fin dal primo avventarsi de' Romani, non reggendo n al suono delle arme percosse, n ai gridi, preludio-della batta glia tornarono con dirottissima fuga in citt. D ond che incalzati dalla cavalleria ne perirono molti nello stretto de' sentieri, e pi ancora mentre a gara si cac ciano tra le porte. A tale disastro accusarono i Volsci sestessi d imprudenza, n pi tentarono di cimentarsi. Li capitani per che tenevano in campo aperto le mi lizie dei Volsci e degli Equi all udire, com erano in vestite le loro citt, deliberano di fare ancor essi alcuna magnanima impresa, levandosi dalle terre de' Latini e degli Ernici , e marciando con quanta avean furia e prestezza su Roma. Ancor essi avean mira che riuscisse loro l ' unQ o 1' altro de' due belli disegni, cio d inva dere Roma improvvista , o di richiamarvene le annate di lei dai loro territorj, necessitando i consoli a soc correr la patria. Su tale .pensiero marciarono a gran fretta per essere inaspettati su Roma ; coll' effetto dell opera. . LXXI. Avvicinatisi di nuovo al Tuscolo, udendo che le mura di Roma erano tutte piene di arme, e che in nanzi le porte si stavano schierate quattro coorti cia scuna di secento soldati, desisterono dall inoltrarvisi : ma fermatisi diedero il guasto al territorio suburbano,

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D E L L E ANTICHIT * R O M A N E L IB .

IX .

trascurato nella spedizion precedente. Ma presentatosi ed accampatosi non lontano da loro Lucio Lucrezio console ; essi riputando il buon punto di combatterlo innanzi che giungesse a soccorrerlo 1' altra armata Ro mana retta da Yeturio; concentrarono le bagaglie in un colle con due coorti di guardia, ed uscirono in campo. Scagliatisi addosso de' Romani portaronsi gran tempo da valentuomini. Ma poi vedendo scendere una soldatesca gi pel monte dai castelli da tergo , sospettarono venir 1' altro console coll esercito, ed impauriti di essere colti in mezzo da ambedue, non pi tennero fronte , ma fuggirono. In questo combattimento morirono tra luce di azioni bellissime tutti due i lor capitani e molti altri valentuomini, i quali pugnavano intorno di loro. Quelli che ne fuggirono , salvaronsi sbandali per la pi parte nelle lor patrie. Dopo ci , presa gran sicurezza, an darono Lucrezio devastando le terre degli Equi, e Ve* turio quelle dei Volsci, finch giunse il tempo de' co mizj (i). Allora levando l'arm ata , si ricondussero in casa. Trionf 1 uno e 1' altro per la vittoria, entrando ambedue Roma Lucrezio *su la quadriga , e Ve turio appiede ; imperocch si concedono dal Senato trionfi, come ho detto di due specie, similissimi in tu tto , ec** cetto che nell' uno il capitano sul carro , ed appiedi nell altro.
( i ) Anno di Roma aga secondo C atone, ig 4 secondo V a iro n e , e 46o a r . Cristo.

DELIE

A N T IC H IT
ni

R O M AN E

DIONIGI LICARNASSEO

LIBRO DECIMO.

L J C jn t r ( i) (topo quel consolato 1 *olimpiade ottan tesima nella quale Toribante di Tessaglia vinse in su 10 stadio, essendo F rasicleo 1' arconte di Ateue : ed ia Roma furono istituiti consoli Publio Volumnio, e Ser
ti) Nella ediiione del letto greco fatta dallo Stefano si pone p er principio di questo libro l argomento di esso il quale tale: 11 libro decimo delle Antichit romane tcritle da Dionigi di A li carnasso comprende le cose operate da' Romani dalT anno primo della olimpiade ottantesima sotto i consoli Publio Volumnio e Pu blio , cio S e rrio , Sulpitio , scorrendo fin o a l duodecimo anno appresso colle sue narrazioni.

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

(1) Anno di Roma 393 secondo C atone, 29S secondo Vairone , 459 av. Cristo. " (1) Cio le semente erano m iti, compiaceToli, giuste, arroganti secondo che i magistrati come consoli, pretori ec - erano miti, com piacevoli , giusti, o superbi. Giovan Giacomo Reiske dice esser credibile che i pi di que magistrati fosser arroganti, superbi, scor te s i, d u ri,.fie ri, perch nello sceglierli si tenea conto principa l mente della nobilt dei natali. Questa ragione curiosa, e certo dovrebbe essere ignobile e falsa t perch il genere umano non do vrebbe aspettare dai n o b ili, che i bei tra tti, le cortesi maniere, la equit, la giustizia, insomma la luce e la sublimit delle operatio-. n i , come contempla nelle stelle lo spettacolo vaghissimo de eielu

vio Sulpicio Cameriao ( i ). Non portarono questi fuora niun' armata n per punire gli offensori loro o degli alleati, n per guardare il proprio territorio, ma solo invigilarono in citt perch il popolo, congiuratosi, non disponesse alcun male al Senato. Imperocch inculcan dosi da tribuni leguaglianza come bonissima infra tutte le istituzioni per uomini liberi, tumultuava il popo lo nuovamente, e voleva che ogni cosa privata o pubblica si conformasse alle leggi; giacch di que'giorni in Roma n le leggi erano ancora pari per tu tti, n pari la li bert del d ire , anzi non erano nemmeno scritte tutte le leggi. E veramente ne primi tempi i re definivano di per sestessi i diritti a chi li reclamava, e tutte le loro sentenze eran leggi : cessati i re si appartenne ai superiori dell anno la discussione dei diritti, come altre regie incombenze , ed essi li decidevano in ogni con troversia ; se non che risentivansi tali decisioni dell in dole de superiori eletti d entro il rango degli ottimati al comando (2 ). Appena ci avea ne libri sacri alquante risoluzioni con autorit di legge ; ma non erano note j < ' ' '

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cha a pochi patrizj, perch ia citt dimoravano; ladd * e ignoravale il popolo intesto al traffico ed Ila cui-' M a , perch non capitava in citt se non pe'm ercati p o molti: giorni Cajo Terrenzio tribuno dell anno' ntecedente aveva >tentato il primo d introdurle (rte' eguaglianza; ma dovette lasciar 1' opera imperfetta, trH vandosi il . gran numero del popolo nell armata in sfli> campi nemici , tenutovi ad arte da coasoli , finch il tempo finisse del loro, governo. IL Postisi quindi a tale , impresa il tribuno Aulo Vv~. ginio e li colleghi, voleano consumarla : ma i consoli ,. col Senato, e con altri in citt pi potenti adoperavano costantemente, per ogni maniera , affinch ci non 'se guisse, n dovessero governareisecondo le leggi: e pi1 volte sen tenne V adunanza del Senato,, pi volle quell del popolo; facendo i lor magistrati ogni sforzo gli uni contro degli altri ; dond era a tutti visibile che verrebbe da tanto dissidio alla citt disastro insanabile e grande. A tali presagj dal cuto degli uomini aggiunge v a n s ii i r r ori dal casto del cielo , d alcuni de.quali non tro IBvansi i simili ne pubblici scritti, n per monumentocpalunque. Ben tcovavansi occorse ancora in antico :e cBrruscazioni scorrenti pel cielo ed accensioni fisse in ut* laogo, muggiti e scosse continue della terra , e larve ^ua e l vaganti, per l a e re, e voci desolatrici, e cose altrettali: Bta: ciche non erasi mai n sperimentato at udito, e che pi che tutti perturbava, era che il cielo nevig dirottamente non gi con nembo di neve , m con brani pi o men grandi di carne che tali cariai
p i O N I G I , tome U t . iS

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furono, mentre cadeano, afferrate per l aere dai rostri d uccelli che volano a torm e , laddove le carni che toccarono terra tuttoch giacessero gran tempo per la citt e pe' cam pi, n scoloraronsi come le stantie, n marcirono, n diedero- alcun tetro odore. Or su tale portento non sapeano gli auguri intemi vaticinarne: quando si trov ne' libri Sibillini che verrebbero esterni nemici tra le m ura, e Roma correrebbe -pericolo di

essere schiava; che della guerra cogli esteri sarebbe foriera una civil sedizione : la sterminassero , nata appena, dalla citt: deviassero i mali placando gC iddj co sagrifizj, e co' voti ; e vincerebbero t inimico.. Ri saputosi ci Ina l popolo, i sacri ministri aquali ci si spettava , jjecerb aagrifizio agl iddj che dedi nano e re spingono i mali. Adunatisi poscia a consiglio i padri deliberarono collintervento dei tribuni sopra la sicurezza e la salute di Roma, III. Tutti dunque conclusero cbe doveano, come da masi ad intender dagli oracoli, lasciare i lamenti vicen devoli , e rendersi unanimi. Non creava per loro poca difficolt la maniera di far questo, donde cominciasse un partito a cedere all altro , talch se ne chetasse infine la sedizione. I consoli ed i capi del Senato additavano gli autori della turbolenza ne' tribuni che introducevano metodi nuovi, cercando di abolire il governo antico della patria: in opposito dicevano i tribuni di b o b far cosa che fosse non degna, non ginata, o non giovevole ; giacch volevano intromettere le buone leggi e la egua glianza : i patrizj ed i consoli essere i colpevoli ; giacch ampliavano il mal delle leggi > e le preminenze, ed/

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emulavano le maniere de' tiranni. Per pi giorni si dis sero queste e cose consimili, frattanto indarno si tem poreggiava , n in citt si ultimava aflore ninno privato 0 pubblico. Adunque non profittandone , lasciarono i tribuni i discorsi e le accuse ebe andavano disseminando contro del Senato ; e convocato il popolo, gli promisero far leggi sa ci che voleva ; ed applauditine gli re aita rono immantinente il progetto apparecchiato. Grane il cardine: che il popolo adunatosi in comizj legittimi sceglieste dieci i pi anziani e pi. savj , amanti della

riputazione e del buon nome : che questi scrivessero leggi su tim i i rispetti privati o pubblici, e le propo nessero al popolo : che si tenessero poi fisse nel Forof come regola dei diritti vicendevoli per i magistrati delP anno e per 1 privati. Progettata questa legge la sciarono a chi volea, l arbitrio di contradirla fino al ritorno del terzo mercato. O r molti del Senato giovani e vecchj, n gi de' pi dispregevoli, la contraddissero per pi giorni con assai studiati discorsi. Stanchi poscia 1 tribuni per tanto consonarsi di tem po, pi non per misero che altri aringasse in contrario : ma predesti nando il giorno nel quale espedire la legge, invitarono i plebei a raccogliersi appunto in quello i giacch non Sarebbero pi conturbati dalle lunghe concioni, ma voterebbero su di essa per trib. Cosi promisero, e sciolsero 1 adunanza. IV. Dopo ci li consoli e li patrizj pi potenti an datine pi esasperati ad essi reclamarono, e dissero che non permetterebbero che introducessero lggi senza ^previo decreto d el Sonato : ssssss l e lbgoi t p a tti

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LA P A RTE .

DEL c o m u n e d e l l e c i t t a * n o n d i u n a p a r t e d e * G l i A B IT A N T I D I QUESTE l CHE QUANDO M A N IF E STO D I D A N N O TRISTO CISSIMO. M E N S A N A V I D A ' LEOGl A L L A MIGLIORE ;k PRELUDIO I N S A N A B I L E -, SCON

Quale , aggiungevano, qual potere avete, voi o tribuni d ifa r leggi o distruggerle ? Voi non avete, con. questi diritti ricevuta dal Senato la magistratura', voi chiedeste il tribunato in difesa de' poveri offesi o soverchiati, non per altra briga niuna. Che se aveste, gi prima , tal potenza cedendo il Senato ad ogni vo stra. pretensione ; non i avete voi questa perduta col mutar dei comizj ? perciocch non i decreti del So nato , non i voti dati per centurie destinano voi per tribuni : voi non premettete ai comizj per la vostra creazione n i sagrificj dovuti per legge , n altri oxsequj verso de n u m i , n pietose opere verso degli uomini. Come a voi si appartiene fa r cose ( quali api punto sono le leggi) che abbisognavano di culto e di sagrifizj d i un dato rito , se . i. riti tutti violate ? Cosi dissero ai tribuni i patrizj seniori , cos li giovai, che andarono cinti da un seguito per la citt : e ricupera rono colle dolci i cittadini pi miti spaventando i ca parbi, e li turbolenti se non face ano senno col: terror de pericoli; anzi battendo come schiavi, ed escludendo dal Foro alcuni de' pi bisognosi ed abjetti, i quali non curavano se non l'utile proprio* V. L uno di quelli che ebbe maggior seguito, e ohe poteva allora pi di tutti i giovani fu Quinzio Cesone, figlio di Lucio Quinzio chiamato Cincinnato, nobile , ptrarupo, bellissimo, valentissimo nelle arm i, e nel dice/

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Or questi molto allora -si scaric su plebei, non aste nendosi n da parole , molestissime ad uomini liberi , n da fatti corrispondenti alle parole. Pertanto i patrizj lo onoravano , e istigavanlo pi a tener fronte ai peri coli , pr omettendogli sicurezza essi stessi : ma i plebei 1 odiavano pi che ogni altro. Or da un tal uomo ri solverono liberarsi i tribuni avanti tutto per abbattere in esso gli altri giovani , e necessitarli ad esser pi savj. Ci risoluto, e preparati assai discorsi e testimonj , lo citarono come reo di pubblica offesa per punirlo di morte. Intimatogli di presentarsi al popolo-, venutone il giorno, e convocata 1 adunanza , perorarono lungo contra lui , numerando tutte le violenze fatte, ed alle* gandone gli offesi stessi per testimonio Or qui data li cenza di parlare ; il giovine chiamato a difendersi non ubbidiva r ma volea soddisfare ai privati in quanto diceansi oltraggiati da lu i, secondo le leggi, tenutone il giudizio innanzi de consoli : ma il padre di lui vedendo i plebei sofferirne malamente le ritrose, prese a difen* derlo egli stesso ; dimostrando le tant delle accuse come false, ed insidiose , e dimostrandole, quando negar non poteansi, come picciole, leggere , n degne dell ira del popolo, e su cose , fatte non per trama o disprezzo, ma piuttosto per enfasi giovanile di gloria^ Per questa diceva eh eragli occorso talora di fare e tal altra di pa tire forse incautamente nelle contese ; non essendo lui nel fiore degli anni e del senno. Pertanto pregava il popolo non solamente che non se gli adirasse pel di scorrere suo , ma che giel condonasse in vista delle belle gesta di esso le qnali operarono fra le armi la libert

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de' privati ed il comando della patria, ed invocavano fin d allora per lui quando avesse mancato , la clemenza ed il soccorso di tutti. E qui narr le campagne da lui sostenute, e le battaglie neUe quali avea riportato dai capitani la corona de' prodi, quante volte eravi stato la difesa de' cittadini, e quante avea primo salito le mura de nemici : da ultim o si rivolse ad impietosire e scon giurare il popolo in riguardo della moderazione sua verso tu tti, e del vivere suo conosciuto sempre come innocente ; chiedendo che ia grazia almeno gli salvas sero il figlio. V I. Compiacevasi il popolo a tali discorsi, e deliberavasi rendere il figlio al padre. Se non che riflettendo Verginio che se costui non subiva le pene ; ne diver rebbe intollerabile 1' audacia e la caparbiet de' giovani, orse e disse t Contestata o Quinzio la tua virt , la

tua benevolenza verso del popola e te sm debbo tutta la stima: ma lam olestia, e la insolenza di codesto tuo figlio verso tutti non ammette escusazione o perdono. Egli educato con la tua disciplina s discreta, come tutti sappiamo , e s popolare ; ne abbandon gli ammae stramenti e segui V arroganza de tirarm i, e la sfre natezza de barbariportando in citt gl incentivi a tristissime opere. E sia che tu noi conoscessi per tale ; ora che tei conosci ben dei con noi e per noi concitartene : ohe se per tale il sapevi, e lo coadiu vavi in quanto egli inviliva ognora pi la sorte dei poveri ; eri anche tu lo scellerato , e mal sonavati intorno la fa m a d i uom probo. Ma tu non vedevi (e d io, stesso potrei contestartelo ) quanto egli dalla

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tua virt degenerava. Sebbene io tenga per, che al lora tu non partecipavi con esso nell offenderci ; dolgomi y che ora come noi non t ne sdegni. Ma. perch tu meglio conosca qual mostro abbi nudrito senza avvedertene contro la patria, quanto tirannico, e non puro nemmeno dal sangue de cittadini ; odi la egregia opera su a , e contrapponi a questa, se puoi , li bellici suoi premj. E vo i, quanti siete im pietositi al pianger di. un padre , considerate se stia bene che risparmisi un tal cittadino. VII. E qui f' cenno a Marco Volscio l ' uno de\suo colleghi perch sorgesse e dicesse quanto sapeva di quel giovane. E fatto silenzio, e grande espettazione ; Vol scio soprastando alcun poco, disse : Oltraggiato, e pi che oltraggiato che io f u i da quest uomo, ben avrei voluto pigliarmene, o cittadini, le pene che n i erano concedute dalle leggi : ma impeditovi allora dalla ima debolezza , d a lf esser mo di plebeo , prender era che mi dato , le parti di testim onio, se quelle non posso di accusatore. Udite le acerbit, le inde gnit cke men ebbi. Era Lucio , fra te i mio , che io amava pi cke tutti i mortali. Avea questi cenato meco presso di un conico , quando al giungere della notte ci levammo, e partimmo. E gi passavamo per U Foro , quando si abbatt con noi codesto petulan te , seguito da giovani pari suoi : li quali bbrj ed arroganti che erano , beffarono ed . insultarono n oi, quanto insultato e beffato avrebbero i meschini e g li ignobili. Cos provocati , V uno di noi parl liberis simamente. Or codesto Cesone estimando ria cosa

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udire ciocch non voleva , gli t avvent , lo batt : e malmenatolo con i calci e con ogni guisa d i sevizie, e d ingiurie ; lo'uccise. Ucciso lu i, manomise ancor m e, .che ne gridava, e ne repugnava quanta io po teva : n m i lasci , se non dopo credutomi estinto , al -vedermi immobile in terra , e senza voce. A llora se ne and giubilando come per bellissima prova;ed allora gli astanti raccolsero noi lordi dal sangue , e riportarono a casa Lucio il mio fratello , ' morto , come ho detto , e me presso che morto , e che certo ornai poco sperava di sopravvivere. Occorse ci sotto i consoli Publio Servilio , e Lucio E buzio, quando spaziava in Roma la gran pestilenza, alla quale era vamo soggiaciuti ancor noi. Quindi non potei diman darne ragione , morti essendo i consoli tutti due. Sue* cederono poi consoli Lucrezio e Tito Verginio. Io voleva allora citarlo in giudizio ; ma ne fu i impedito dalla guerra, lasciartelo ambedue per essa la citt: Ritornati . questi dal ceunpo , quante vlte lo citai presso de m agistrati, quante volte mi vi accostai, tante ( e ben molti lo sanno ) f u i da esso ferito. E questo , o popolo, che io ne ho tollerato, questo vi ho detto con tutta la verit. V ili. Alzarono a quel dire , gli astanti le grida, ten tandone molli la vendetta colle lor mani. Ma vi si op posero i consoli, ed i pi de tribuni, alieni-che in citt s introducesse la rea consuetudine ; tanto pi che la parte pi sana del popolo non voleva che si togliessero le difese' a chi pericolava in giudizio delia vita. La cura dunque della giustizia represse alloca gli empiii della in-

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scienza, 'ed il giudizio fu differito non senza conten zioni e dubbj non piccioli, se dovesse intanto il reo serbarsi nella carcere, o dare i mallevadori per la sua dimissione , come il padre di lui dimandava. Il Senato adunatosi decret che se ne desse malleveria sotto obbligazion pecuniaria ; ed egli libero andasse finch di Idi si giudicasse. Or mancando il giovine di comparire al suo tempo; i tribuni convocarono il giorno appresso la m oltitudine, e contro lui sentenziarono; dond che i mallevadori, eh eran dieci, pagarono la multa conve nuta in sicurezza della sua presentazione. Colto dunque fra tali insidie dai tribuni che guidavano tutta la tram a, colle testimonianze di Volscio , che poi false si riconob bero , Cesone fugg nell Etruria. Il padre di lui venduto il pi di sue cose, e rintegrati i mallevadori delle multe obbligate visse tra il disagio e lo stento in un poderetto; che aveasi con picciolo abituro lasciato di l dal Tevere, coltivandolo con pocchi servi, n pi recandosi in citt p er 1 afflizione, c la inopia, n riabbracciando gK am ici, n in tramettendosi a festa, o ricreazione niuna. Ai tribuni per succed ben altro che le loro speranze: imperocch non solo non se ne chet per alcun modo la giovent contenziosa ammaestrata dai mali di Cesobe ; ma ne impervers pi ancora, contrastando co detti e co fatti la legge ; talch non poterono affatto stabilirla, consumandosi in brighe la loro magistratura. Pertanto il popolo conferm pel nuovo anno i tribuni medesimi. IX. Ascesi al grado consolare Valerio Poplicola, e Cajo Claudio Sabino (i), Roma corse in pericoli, quanti
( i) Anno di Roma aj)4 secondo C atone, 396 secondo V airone, e 458 a r . Cristo.

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mai p i , per la guerra cogli esteri, attiratale dalle di scordie domestiche, come aveano prenunziato i libri sibillini, e li segui dimostrati 1' anno precedente dai numi. Io sporr la cagione che suscit la guerra, e ci che fu per questa operato allora da consoli. Li tribuni preso di nuovo il lor grado su la speranza di fondare la legge, vedendo console Cajo Claudio pieno di odio ereditario contro del popolo, e sollcito per ogni guisa ad impedite quanto facevano; e vedendo i pi potenti de' giovani trascorsi in furia manifesta da non combatterli colla forza, ed i pi della plebe obbligati da' servigi de patrizj, e rimasti senza il primo ardore per la legge; deliberarono spingersi all intento con mezzi pi risoluti, onde atterrire quei deHa plebe, e far desistere il console. Su le prime procurarono spargere voci varie per la citt, poi sederono da mattina a sera consultandosi visibilmente senza comunicarne ad alcuno n consigli n parole. Ma quando parve loro tempo di eseguire i disegni, finsero delle lettiere; facendosele recare mentre sedeano nel Foro da un ignoto. E come prima le lessero , battendosi la fronte , e contristandosi ne sembianti ; levaronsi in piede. Accorsa gran moltitudine, ed insospettitasi che fosse in quelle lettere indicato alcun grande infortunio, essi or dinarono pe banditori silenzio e dissero ; La repubblica

o cittadini sla negli estremi pericoli. E se la benevo lenza degl! iddj non avesse provveduto a chi era per incorrervi ; noi tutti saremmo in fera li sciagure. Chie diamo che vi leniate qui breve tem po, finch riferiamo al Senato ciocch ne si avvisa, e facciamo di comun voto ciocch si debbe ; E ci detto, ne andarono ai

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consoli. Frattanto che il Senato g radunava, faceansi pel Foro molti e svariati discorsi ; ripetendo altri appostatamente ne crocchj ciocchi era stato intimato loro da tribuni ; ed altri pubblicando, come detto ai tribuni, ciocch temeano essi stessi, che succedesse. Chi dicea che i Volsci e gli Equi aveano accolto Quinzio Cesone il giovine condannato dal popolo , creandolo comandante assoluto delle due genti e che leverebbe gran forze e marcerebbe contro di Rema : e chi dicea che quel gio vine d' accordo co' patrizj tornava cou esterne milizie, perch si abolisse una volta per sempre il magistrato he era il presidio de plebei : altri aggiungeva, che cosi qou sentivano tutti i patrizj ma i giovani soli: e vi fu ghi ardi fino dire che colui si stava occulto in citt , e che occuperebbe i pesti pi acconci. Ondeggiando cosi tutta }a citt per la espettazione de m ali, e sospettan dosi tu tti, e guardandosi gli uni dagli altri: i consoli convocano il Sepalo : ed i tribuni vengono e palesano ciocch avvisavasi loro : parlava per tulli Aulo Verginio e disse: ' X. Finch gli annunzj che ci si davan de1m a li , ci sembrarono non accurati, ma vani e senza fo n d a

mento , sdegnammo o padri coscritti, di pubblicarli, sul timore che non se ne eccitassero grandi turbam enti, come, sogliono , a lt udirsi triste cose , e con riguardo di non essere da voi creduti am i precipitosi che savj. Non per lasciammo tali annunzj, trascu randoli affatto : anzi np abbiamo investigata la ve* rit , quanto per noi si pot. Ora poich la provi* deosa celeste, la quale ci ha sempre salvato la re

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pubblica, ci benefica e svela i segreti consigli, e le ree macchinazioni di uomini nemici a g t iddj , e te niamo fin delle lettere che abbiamo di fresco ricevute in pegno d i benevolenza da o sp iti, che voi poscia udirete ; e poich concorrono e concordano gC indizj interni con gli altri di fu o ri, e gli affari che abbiam tra le mani non ammettono pi indtgio e riserva ; deliberiamo , coni giusto , palesarli a v o i , prima che al popolo. Sappiate dunque che hanno contro il popolo congiurato uomini non ignobili, tra quali di cesi esser parte , non grande per, degli anziani, ascritti al Senato, ma pi grande de cavalieri che ascritti non vi sono ; e questi, quali siano , non tempo ancora di rivelarlo. Q uesti, come udiamo , colta una notte oscura, sono per assalirci tr a i son no , quando n pu risapersi ciocch fa tto , n va liamo a congregarci e difenderci. Fermi sono d 'in vestire e di uccidere nelle case noi tribuni e quei plebei che si opposero , o fossero mai per opporsi ad essi circa la libert. Quando avran tolto n o i, pensano di aver da voi ci. che resta, sicurissima mente , cio che revochiate di comun voto le conces sioni da voi fa lle alla plebe. Vedendo per che han bisogno per compiere ci di prepararsi occultamente una milizia di fu o r i , e non piccola ., si hanno eletti) capo quell' esule nostro, quel Cesone, convinto d elV eccidio di cittadini, e della discordia della citt , e pure fa tto per alcuni di qua entro , fuggir salva dal giudizio e da Rom a, con promettere d i procurar gli il ritorno , magistrature , onorificenze, ed altri

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compensi da' servigj. E questo Cesane ha promesso di condor loro milizia di Equi e d i V olsci, quanta abbisognane. Egli verr tra non molto co pi audaci, introducendoli a pochi a pochi e sparsamente in cit t : le altre m ilizie, quando saremo periti noi capi del popolo si avventeranno su gli altri del popolo stesso i i quali difendessero ancora la libert. Queste, o pqtdri coscritti sono le terribili, le impurissime opere che disegnano fa r tra le tenebre , senza temere t ira degli id d j, n riguar dare la vendetta degli umini. XI. Agitati da tanto pericolo , a voi ne. veniamo supplichevoli, o padri, voi scongiuriamo per gl' iddj, voi pe genj adorati dalla patria, voi per la memoria dei tanti e gravi nemici da noi combattuti in comu n e , affinch non lasciate che noi patiamo le s dure, ed indegnissime offese : ma v empiate come noi di risentimento , e ne soccorriate, e puniate , come debbesi, tali macchinatori tu tti, o nei capi almeno della infame congiura. E prima che tutto , dimandiamo o padri che decretiate, come giusto, che inquisiscasi da noi tribuni su le cose deferiteci ; perciocch oltre, la giustizia, la necessit dee rendere inquisitori di ligentissimi gl investiti dal pericolo. Che se alcuni tra voi son disposti di non compiacerci punto, anzi d i contrariarne in quanto vi diciamo del popolo ; volentieri conoscer da essi quale vi disgusti delle nostre dim ande , e ci che vogliate da noi finalmente ; Che non facciamo forse niuna ricerca, ma trascu riamo la s buja e s rea tempesta che pende sul

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popolo ?. E chi direbbe li s fa tti decisori esier sani, e non corrotti, e non partecipi della congiura anzi chi non direbbe che temono per sestesfi , temono d i essere scoperti, e quindi scansano che si esamini il vero ? Perci non debbeii attendere a tali uomini. O vorranno forse che non siamo noi gV inquisitori di ci; ma il Senato e li consoli? M a che impdirebbe che i tribuni pure dicessero , che a loro che han preso a difendere il popolo, a loro si spetta la in quisizione de* plebei, se alcuni mai congiurassero' contro de' padri . e de consoli, e macchinassero la rovina del Senato ? Or che seguirebbe da ci ? que sto appunto, che mai la indagine si farebbe de m a neggi reconditi. N oi per mai ci non farem m o, per ch sospetta ne sarebbe V ambizione : e cos voi non bene adopererete dando mente a colro che non vo gliono che noi pure siam peri a voi ne* casi nostri, per fa re F esame ; ma benissimo adopererete riguar dando questi , come nemici comuni. A l presente , a padri coscritti, niuna cosa tnto bisogna , quanto la sollecitudine: grande, imminente il pericolo; e t in dugio a salvarsi sempre intempestivo ne mali che non indugiano. Lasciando dunque le altercazioni, e i lunghi discorsi decretate ornai ciocch V utile vi sembra della repubblica. XIL Attoniti a tal d ire , non sapevano i padri come risolvere: e riflettevano seco stessi , e ripetevano fra lo ro , come fosse ugualmente arduissima cosa concedere e non concedere ai tribuni di fare inquisizione su loro, in affare comune e gravissimo. Ma Cajo Claudio l uno

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de' consoli, che tenea per obliqua quella loro propo sta , sorse e disse : N on penso, o Verginio , che co

storo sospettino me come partecipe della congiura che dite macchinata cantra vo i, e cantra il popolo , e sospettino che io sorga a contraddire, perch temo per me o per alcuno de miei che ri complice ; giacch il tenore della mia vita esclude in tutto da me tali sospetti. Io dir sincerissimamente e senza riguardi ciocch reputo t utile del Senato e del popol. Molto, anzi affatto s inganna Verginio , se cncepisce che alcun d i noi sia per dire che si lasci } senza discu terlo , un tal affare s grnde e necessario ; e che non debbono aver p a rte, n star presenti alla inda gine i magistrati del popolo. Niuno s stolido , niuno s malevole al popolo ohe voglia ci dire: Che se dunque alcun chiede, qual ne ho m ale, che in sorgo contra cose che io concedo per giuste ; e che presumo io mai col mio dire ; io , viva Dio , ve lo esporr: lo penso, o padri coscritti, che i savj deb bano considerar sottilmente i germi e le linee prime di ogni affare : imperocch deesi di ogni affare d i scorrere secondo che ne stanno i principi. Ora udite da me ciocch' V intrinseco del subietto presente , e quale il disegno de tribuni. Non riesc ora loro d ultimare niuna delle cose incominciate n proseguite nelF anno antecedente , perch voi vi opponete ad essi come allora, n pi il popolo li favorisce. E ci conoscendo cercano necessitare voi, sicch cediate loro anche vostro malgrado, ed il popolo, sicch cooperi a quanto m ai vogliono. M a per quanto se ne

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consultassero, per quanto volgessero da ogni banda. l affare , non trovando mezzi semplici e buoni per . V uno e 1 altro intento ; alfine csi la discorsero. Lamentiamoci che alcuni nobili han congiurato di abbattere il popolo, e di uccidere quanti ne proeu-, rano la salvezza. G quando avrem fatto, che tali cose, preparate da gran tem po, siano in citt disseminate, e sembrino credibili al popolo ( e credibili le render. la paura ) ; allora fingeremo delle lettere da presen*. tarcisi per un ignoto in presenza di molti. Neandre mo quindi in Senato, ci sdegneremo , ci dorrem o, e cercheremo il poter d'inquisire su le dinunzie dateci. Se i patrizj ci si oppongono, prenderemo da indi )) argomento di calunniarli presso del popolo; ed il. popolo esacerbato contro di essi diverr propizio a. quanto noi vogliamo. Che se cel concedono leveremo. di citt, come trovati complici, i pi magnanimi fra loro, e pi nemici nostri, vecchj o giovani. Impe rocch coloro intimoriti di essere .condannati o pat ii tuiranno con noi di non pi contrariarci ; o saran costretti a lasciare la patria : e cos la fazion contrap1 1 posta sar desolata . XIII. Tali sono i loro, disegni o p a d ri coscritti, e quando li vedevate che sedeano o consultavano , a l lora tesseano l'inganno contro i pi riguardevoli tra-, voi, allora complicavan la rete contro i cavalieri pi puri. E che ci sia vero; presto ve lo dimostro. D ,. Verginio , dite voi, su quali pende il pericolo, da quali ospiti aveste la lettera ? dove abitano, come vi. conoscono, come seppero tali nostre cose ? Perch

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differiste a svelare i lor nom i} perch prometteste dirceli p o i, n li avete gi detti ? Qual f u V uomo che vi portava le lettere ? che noi menate voi q u i , sicch su lui cominciamo a discutere, se vere elle siano, o se piuttosto, come io penso, finte da voi? E gl indizj interni che si accordano cosegni di fio r i quali sono mai questi ? o chi mai ve li diede ? Per ch ne celate, non ne pubblicate le prove ? Se non che mal si trovano prove di cose che non furono m ai, come io credo , n mai saranno. Questi o pa dri coscritti non sono indizj di una congiura contro loro ma piuttosto delle insidie e del mal animo che essi covano contro di v o i , come V affare dichiaralo per s stesso. M a voi siete di ci la causa, voi che concedeste loro le prime cose, e portaste a tanta po tenza codesto insano loro magistrato, quando lascia ste nelV anno antecedente che giudicassero per fa ls i titoli Quinzio (lesone, e soffriste che vi strappasser dal seno un tanto difensor dei patrizj. Da ci nasce che pi non serban misura , n tolgon d i mira i no bili ad uno ad uno} ma investono e scacciano in un globo tutti i migliori della citt: E ci che peggio7 non permettono nemmeno che contraddiciate tro , e v atterriscono con darvi per sospetti , e calunniarvi come complici de1segreti disegni, con dirvi ben tosto inimici del popolo, e citarvi al popolo stesso , per ch subiate la pena de discorsi qui fa tti * M a su ci diremo altrove pi acconciamente. Ora per istringere e non prolungare il discorso , ammoniscavi che vi
{ 3 IO N IG I , toma I I I .
1$

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guardiate da codesti turbatori di R om a, da codesti seminatori de mali. N celer gi al popolo quanto qui dico ; ma gli sporr liberissimo che non pende su lui mente di male , se non quanto glien fanno i tristi ed insidiosi tribuni, benevoli ne' sembianti e nemici ne1 fa tti. Sorse al dire del cnsole clamore in torno ed applauso ben grande, e sciolsero 1 adunanza senza permettere che pi i tribuni parlassero. Dopo ci Verginio convocato il popolo, vi accus il Senato ed i consoli. Ma Claudio ve li escusava appunto co discorsi tenuti in Senato. Presero i pi discreti del popolo per vana quella paura : ma i pi slolidi per vera, credendo le dicerie : e quanti ne erano i pi scellerati, quanti i pi bisognosi ognora di un cambiamento, vi cercarono un pretesto di sedizione, e di torbido , non che mi rassero a far discernere il vero dal falso. XIV. Intanto un Sabino non ignobile di lignaggio, potente in averi, ( Appio Erdouio il chiamavano ) si pose in cuore di abbattere la potenza romana , sia che ne cercasse per s la tirannide , sia che una grandezza d un dominio ai Sabini, sia che una fama luminosa al suo nome. Comunicatosi, in quanto a tale idea, con molti amici, divisata la maniera dell impresa , ed ap provatone', riun li clienti, e li pi baldanzosi de servi suoi. Concentrati in poco tempo intorno a quattro mila uom ini, ed apparecchiate arme, viveri, e quanto biso gnava per una guerra, gl imbarc su legni iluviali. Na vigando sul Tevere , gli approssim a Roma dalia ban da , ove sorge il Campidoglio , non lontana nemmeno Uno stadio dal fiume. Era la notte in sul mezzo; ed q

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Roma calma grandissima. Egli dunqae al favore di que ste , sbarcati sollecitamente i suoi, gl intromise in citt per una porta che stavasi aperta (ed aperta era a nor ma dell oracolo una porta sacra del Campidoglio chia mata Carmenude ( 1 ) ) e cosi prese il Campidoglio. Di l spingendosi verso la fortezza, che vi contigua, in vase anche questa. Era disegno suo , dopo ottenuti i luoghi pi acconci, ricevere gli esuli, liberare gli schiavi; sdebitar con promesse i poveri, e consociare a sestesso lutti gli altri cittadini che dal basso loro stato invidia vano ed odiavano i polenti, e seguivano con diletto la mutazione. La immagine che deludevalo intanto che lo isperanziva di ottenere quanto aspettava, era la civil sedizione, per la quale concepiva che pi non vi fosse amicizia , n ligame tra i plebei e tra'patrizj. Che se non fosse a lui riuscita niuna di tali CQse; allora dise gnava chiamare con tutte le milizie i Sabini, i Volsci ed altri vicini, quanti voleano redimersi dal giogo ese crato de' Romani. XV. Occorse per che s ingannasse in tutto ; impe rocch n si diedero a lui gli schiavi, n gli esuli ripa* triarono, n gl indebitati e disonorati anteposero l utile proprio al comune, n i socj esterni ebbero spazio ab bastanza da preparare la guerra? giacch tale affare, che diede tanta paura e turbamento a' Romani , ebbe (ine ben tosto ne primi tre o quattro giorni. E^ per verit , presa appena la fortezza, datisi gli abitanti dei luoghi
(1) Qusta porta fu chiam ala ancora scellerata perch poterono p e r essa uscire ma non tornare i Fab j che andarono a Cremer $oniro i Toscani,- come indicano Fesio ed Ovidio. F a st. 3.

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intorno che non erano rimasti uccisi, a gridare e fug gire ; il popolo non sapendq che mai fosse, impugn le arm i, e corse parte ne' siti eminenti, o ne' spaziosi , ohe eran m olti, della citt, e parte ne'campi vicini. Quanti perduto il fiore degli anni erano nella impotenza delle forze, salirono colle mogi) ai tetti delle case per combattere di l li forestieri, parendo loro ogni luogo pieno di nemici. Fatto giorno, come seppesi che eran o in citt prese le fortezze, e chi prese le avesse ; i con* soli andarono al F o ro , e chiamarono i cittadini alle arme. Li tribuni convocata la moltitudine dissero che non volgano far cosa contraria alla patria ne'suoi peri coli ; ma che riputavano giusto, che il popolo il quale esponevasi a tanto cimento vi si esponesse con patti espressi: S e i patrizj., diceano, promettono, chiaman

done mallevadori gli Dei, che fin ita la guerra ci con cederanno di creare i legislatori, e di vivere pari a noi nei diritti per /' avvenire ; liberiamo con essi la patria : ma se ricusano ogni partito d moderazione ; e perch mai cimentarsi ? perch gettare la vita , quando niun bene ce ne ridonda ? Mentre cosi dice vano ed il popolo se ne persuadeva n udiva le voci di chi altro gli suggerisse; Claudio disse che non ab bisognatasi di tali che soccorressero la patria non volont/j , ma per prezzo e non lieve : che i patrizj armando sestessi e i clienti, e chiunque univasi loro spontaneamente assedierebbero le fortezze ; Che se tali milizie non pareano sufficienti; ne chiamerebbero ancora dai Latini e dagli Ernici : e se la necessit Stringesse, prometterebbero la libert agli schiavi :

LIBRO X. 245 die infine inviterebbero ' tulli, piuttosto che quelli che

v i tal congiuntura profittavano della odiosit de vecchj fa tti. Contraddiceva a tanto Valerio l'altro console: e giudicando che non dovesse mettersi in guerra coi patrizj la plebe gi adirata con essi , consigliava che si cedesse al tempo : si pretendesse dei nemici esterni il diritto : ma si usasse nelle gare domestiche equit e dolcezza. E sembrato egli al pi dei padri di aver dato il consiglio migliore, ne venne all'adunanza del popolo, e tenutovi un conveniente discorso, lo termin, giu rando , che Se i plebei si unissero a lui con ardore nella guerra , e riordinassero le cose della citt ; con cederebbe ai tribuni di far discutere al popolo la legge che essi progettavano su la eguaglianza ne'diritti, e che terrebbe modo onde ci che fosse a questo piaciuto si eseguisse bel suo consolato. Ma non portava il destino eh' egli adempiesse alcuno de'patti, seguendolo ornai da presso la morte. XVI. Sciolta 1 adunanza , intorno a' crepuscoli .ve spertini accorse ciascuno a suoi posti per dare a capi il suo nome, ed il militar giuramento; e fra tali due cure si consum quel giorno e ia notte che lo segui. Nel giorno appresso furono compartiti e collocati da' consoli i tribuni sotto le insegne sante, affollandovisi la molti tudine ancora abitatrice della campagna. Ordinata cosi ben tosto ogni cosa, i consoli divisero le milizie, e ne tirarono a sorte il comando. A Claudio tocc d'invigi lare innanzi le mura , affinch non entrasse in sussidio altr'armata di fuori; perocch sospettatasi di un moto assai grande, e temeasi che piomberebbero forse tutti i

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nemici su loro. Port la sorte che Valerio si mettesse all assedio delle fortezze. Altri duci fur ono destinati su di altri luoghi muniti, interni alla citt, ed altri su le vie che menano al Campidoglio per impedire che vi passassero al nemico gli schiavi >e li bisognosi temuti soprattutto. Non venne a Roma sussidio di alleati, se non de'T uscolani, informati ed apparecchiati in una notte e guidati da Lucio Mamilio, uomo operosissimo, e capo allora della nazione. Questi soli entrarono con Valerio a parte de pericoli , e dimostrandovi tutta la benevolenza e lo zelo ; rivendicarono con sso le for tezze. Diedevisi da tutte le parti 1 assalto : chi adattava su le fionde vasi pieni di bitume e pece incendiaria i e lanciava!! dalle case vicine in sul colle : chi recava fasci di sarmenti, e fattine cumoli ben alti su lo sco sceso della rupe gli ardeva, lasciando che il vento ne trasportasse le fiamme: i pi magnanimi ristrettisi nelle schiere salivan alto di su per vie manufatte : ma la moltitudine colla quale tanto sorpassavano l inimico , niente giovava ad essi che ascendevano per sentiero angusto , pieno sopra di sassi da trabalzameli, e tale che i pochi vi divenivano bastanti contro i molli : n ia costanza acquistata tra le molle guerre incontro ai pericoli valeva punto per chi rampicavasi diritto su pei scogli. Perocch faceasi la battaglia con colpi lontani e non a corpo a corpo onde mostrarvi audacia e forza : le arme lanciate da basso iu alto giungevano , com' verisimile , se colpivano, languide e tarde : laddove quelle scagliate dall alto in basso piombavano penetranti e piene , secondandone il peso , i lor tiri. Non per

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s invilivano gli assalitori, ma persistevano , necessitati, tra' mali, senza requie alcuna diurna o notturna : tanto che mancate {inalidente agli assediati le arme le forze dopo il terzo giorno gli espugnarono. Perderono i Ro* mani in questa battaglia molti valentuomini, ed il con sole , valentissimo, come tutti concedono. Costui seb bene ricevute molte ferite , non si levava da pericoli : ma saliva tuttavia la rocca, finch gli precipitarono ad dosso un macigno, che gli tolse la vittoria e la vita. Espugnata la fortezza, Erdonio robustissimo che era di c orpo , e bravissimo in arme , dest strage incredibile intorno di s, ma sopraffatto infine dai colpi mori. Tra quelli che avevano occupato con esso il castello, pochi furono pigliali vivi: li pi trafissero sestessi, o perirono precipitandosi dalla rupe. XVII. Finito cosi l attacco de Ladroni, i tribuni ri produssero le interne discordie , chiedendo dal console superstite che adempisse le promesse circa la islituzion della legge fatte loro da Valerio, .estinto nella battagliai Trasse Claudio in lungo qualche tempo, ora con espiar la citt, ora con fare agl Iddii sagrifizj di ringrazia mento , ed ora dilettando il popolo con spettacoli e giuochi. Alfine mancatigli tutti i pretesti disse*, che dovea$i nominare in luogo del defunto un altro console , perocch le cose fatte da lui solo non sarebbero n le gittime , n salde, ma salde sarebbero, e legittime fatte da ambedue. Respintili con questa, replica , prefisse il giorno pe comizj ove farsi un collega. Intanto i capi del Senato concertarono con maneggi occulti fra loro il console da eleggersi. Venuto il giorno decomizj, quando

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il banditore chiam la prima classe, le diciotto centurie de'cavalieri e le ottanta de'fanti ricchi di pi possidenza entrate nel luogo dimostralo nominarono console Lucio Quinsio Cincinnato, il cui figlio Cesone ridotto a gi- ' dizio capitale da tribuni, avea per necessit lasciato la patria : n pi si chiamarono altre classi a dare il lor voto, giacch le centurie che lo aveano dato superavano per tre centurie le rimanenti. Il popolo si ritir prono sticando il suo m ale, perch sarebbe il consolato in mano di chi li odiava. Il Senato spedi uomini che prendessero e menassero il suo console al comando. Quinzio arava allora per avventura un campo per se minarvi , ed egli stesso scinto di tonica, col pileo in testa, e con lascia ai lom bi, teneva dietro ai bovi che lo fendevano. Or vedendo i molti che a lui si recavano, ferm 1 aratro, e dubit buon tempo chi fossero , e perch sen venissero : ma precorrendo un tale ed am monendolo ad acconciarsi, and nell abituro, e acconciatovisi riusc. Gli uomini spediti a riceverlo, lo salu tarono tutti non dal suo nome , ma come console : e messagli la veste circondata di porpora, e dategli le scuri, e le altre insegne de consoli, lo pregarono che in citt si portasse. E colui soprastando alcun tempo e lagrimandone disse : questo mio campiceUo in questo

anno rester dunque non seminato, ed io correr pe ricolo d i non avere come alimentarmene. E qui salu tata la consorte, ed intimatole che provvedesse alle cose dimestiche, sen venne a Roma. Or questo mi son io condotto a dirlo non per altra cagione , se non perch si conosca quali erano allora i primarj di Roma, come

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operosi , come savj ; e com e, non che gravarsi di nna povert onorata, ricusavano , non ambivano i sovrani poteri. Dal che sar manifesto, che i moderni non so* migliano a quelli nemmen per poco , eccettuatine al quanti , pe' quali vive ancora la maest romana e ser basi nna immagine di que' tempi. Ma basti su ci. XVIII. Quinzio pfleso il consolato (.1 ) chet li tribuni dalle innovazioni e dalle brighe su la legge , con inti mare , che se non la finivano, porterebbe tntti i citta dini fuori di Roma , minacciando una spedizione sui Volsci. E replicando i tribuni che lo avrebbero impe dito di arrolare l'esercito; egli convocata un' adunanza, disse che tutti si erano vincolati col giuramento militare di seguire a qualunque guerra fossero chiamati, li con* soli; come di non lasciar le bandiere e di non far cosa contro la legge. Diceva che con assumere il consolato, ei tenevali tutti sotto quel giuramento. Ci detto, giur rando che si vairebbe delle leggi contro gl indocili, fe cavar le bandiere da templi. E perch disperiate di ogni aggiramento di popolo nel mio consolato , non torner, disse, da campi nemici se non dopo finitone

il tempo. Apparecchiatevi dunque in quanto v ne cessario , come per isvernare nel campo. Sbalorditili con tal parlare, quando li vide alquanto pi mansuefatti supplicarlo di esser liberi dalla spedizione, dichiar che sospenderebbe in grazia loro la guerra, purch non fa* cessero movimenti, lasciassero eh egli reggesse il con(1) Anno di Roma 994 secondo Catone, 996 secondo Vairone ,
458 av. Critto.

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solato a suo modo, e dessero ed esigessero scambievole mente il giusto. XIX. Calmata la turbolenza, ristabil su le istanze loro li giudizj interrotti da tanto tempo , ed egli stesso decise il pi delle cause colla equit e colla giustizia, sedendosi quasi lutto il giorno nel tribunale, in atto sempre compiacevole, mite, umano verso de ricorrenti. Oper con questo che il governo non sembrasse aristo cratico , che i poveri, gl' ignobili, ed altri infelici co munque conculcati dapolenti, non avessero bisogno dei tribuni, n desiderassero pi nuova legislazione per es sere trattati con eguaglianza , anzi che amassero e gra dissero tutti il ben essere attuale delle leggi. F u lodato nel valentuomo questo procedere, come pure, che finito il suo comando, ricusasse non che lieto riaccettasse il consolato offertogli nuovamente. Imperocch il Senato che vedea la moltitudine non aliena di obbedire alluom buono , rivolealo a grand istanza nel Consolato, perch li tribuni brigavansi a non lasciare nemmen p?l terzo anno il magistrato, ed egli sarebbesi ad essi contrapposto l'attenendoli dalle innovazioni colla verecondia o col ter rore. Disse che non approvava che i tribuni non ce

dessero il grado loro, ma che egli non incorrerebbe n ell accusa di essi. E convocato il popolo e lamentatovisi lungamente de riottosi a deporre il comando , giur solennissimamenle di non ricevere il consolato in nanzi di averlo ceduto. E prefisse il giorno pe comizj, e designativi i consoli, si ritir di bel nuovo nel suo picciolo abituro , e visse , come dianzi, col travaglio delle sue mani.

25l XX. Divenuti consoli Fabio Vibolano per la terza volta, e Lucio Cornelio ( i) , e celebrando i patrj spettacoli , frattanto circa si mila E q u i, uomini scelti, marciarono in lieve armatura nella notte , e la notte durando aneora giunsero al Tuscolo , citt latina, di stante nommeno di cento stadj da Roma. Trovatene aperte come iu tempo di pace, le porte n custodite le mura, la invasero al giunger primo, in odio deTuscolani, perch erano gli ardenti cooperatori dei Ro mani , e principalmente perch essi gli nici aveano fatto causa di guerra con loro nell' assedio del Campi doglio. Uccisero certo degli uom ini, non per molli nella invasione della citt ; perocch mentre prendeasi, quei che v erano , eccetto gl invalidi per vecchiezza e per m ali, fuggirono, spingendosene fuori per le porte. Fecero prigioniri, le donne, i fanciulli, i servi, e diedero il sacco alle robe. Nunziatasi in Roma la espu gnazione , i consoli conclusero che si dovesse bentosto provvedere ai fuggitivi e rendere loro la patria. Oppo nendosi per li tribuni, non permettevano che si artolasser soldati, se prima non si desse il voto su la legge. Conturbandosene il Senato, e ritardandosi la spedizione^ sopravvennero altri messi da Latini colla nuova che la citt di Anzio erasi manifestamente ribellata, accordandovisi i Volsci , antichi abitatori di essa, e li Romani venutivi come coloni , e compartecipi de terreni. Giun sero contemporaneamente de nunzj ancora dagli Ernici e dissero, che gi era uscita , e gi stava nel lor ter
LIR RO X. (i) Anno di Roma 295 secondo Catone , 297 secondo Varrone , e 457 a v . Cristo.

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ritorio un armata grande di Volsci e di Equi. A tali annunzj parve al Senato che dovesse ornai non ind* giarsi, ma corrersi con tutte le forze da entrambi i ' consoli : e che chiunque ci ricusasse, romano o con federato : si avesse per inimico* Or qui li tribuni cede rono , e li consoli descrissero qua'nti aveano et milita re , e convocate le truppe alleate, uscirono bentosto in campo; lasciando il terzo delle milizie urbane in guar dia di Roma. Fabio n and di fretta coll* sercito su gli Equi fra Tuscolani : li pi di quelli saccheggiata la citt , sn erano gi ritirati : ma pochi ne difendevano ancora il castello. E questo assai forte, n bisognavi molto presidio. Adunque alcuni dicono che le guariie del castello, dal quale, come elevato, scopronsi di leg geri tutti i dintorni, vedendo uscire da. Roma un ar mata, lo abbandonassero spontaneamente: altri pier di cono , che postovi da Fabio 1 assedio si renderono a patti, e passando sotto giogo ebbero in dono la vita. XXI. Fabio renduta la patria ai Tuscolani, lev le sercito sul far della sera, e marci di tutta fretta con tro a nemici, Equi e Volsci che accampavano, come udiva , con armata numerosa intorno alla citt dell Al gido. Viaggiando tutta la notte si trov su l ' alba a fronte dei nemici alloggiati nel piano senza vallo, senza fossa, come nel proprio territorio, con disprezzo degli avversarj. Or qui confortati i suol a farla da valentuo mini , piomb prima sul campo nemico con la cavalle ria , mentre i fanti alzato il grido militare la seguita vano. Altri furono uccisi che dormivano, altri che sorti appena davano all armi , e volgeansi a resistere : ma li

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pi gettaronsi alla fuga e si dispersero. Presi con molta facilit gli alloggiamenti, concedette a' suoi che vi s'im padronissero di robe e persone, salvo quanto era dei Tuscolani. Non istette quivi gran tempo , e men 1' ar mata su la citt degli Eccetrani, riguardevotissima allora tra quelle de'Volsci, e fondata in fortissimo luogo. Tenutovisi pi giorni da presso coll' esercito su la speranza che quei d' entro uscissero per combattere , n uscen done ; diedesi a devastare la loro campagna piena di bestiami e di uomini; non avendone gli assediati ritirato prima ci che v* era pel troppo repentino giungere dei nemici. Fabio lasci che i soldati facessero anche qui le prede per lo ro , e consumati pi giorni nel farle ; alfine con essi ripatri. Cornelio l ' altro console mossosi contro i Romani di Anzio, e li Volsci sen imbatt col l esercito loro che l aspettava a'confini. Fattovisi alle m ani, uccisine molti, e fugatine gli altri, s'avanz col campo fin presso le mura: ma non osandovisi pi uscirne a combattere; prima desol la lor terra , e poi ne rin chiuse la citt con fossi e steccati. Vinti allora dalla necessit , ne uscirono novamente con tutte le forze , che erano molte s i, ma disordinate. Paragonatisi in bat taglia , sostenutala, ancor peggio, e fuggitine scoraggiti e svergognati, si rinserrarono un' altra volta tra le mura. Il c onsole non dando ad essi tempo di riaversi, port le scale alle m ura, e ne abbatt con gli arieti le porte: e conciossiach da entro vi resistevano affaticati e lan guidi; ve li espugn senza molto travaglio. Quanto erayi pionetato, quanto di oro, di argento, di rame, f'po r tarlo nellerario: gli schiavi, e le altre prede le f'rac-

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cogliere e venderle da questori ; lasciando a soldati, quanto ve n' e ra , alimenti, vesti, e cose altrettali di lor giovamento. Poi scelti tra i coloni e tra gli Anziati nativi i capi, che eran molti, pi cospicui della rivolta, e battutili lungamente e decapitatili infine, si ravvi coll esercito alla patria. Il Senato asci all incontro dei consoli che tornavano , decretando che ambedue trion fassero: si concord, per finire la guerra, cogli Equi, che aveano perci spediti oratori, e nei patti fu , che ritenessero le citt, e le terre che aveauo nel tempo che si conchiudeva la pace, ma Ubbidissero ai Romani; non pagassero tributi, ma somministrassero nelle guerre, come gli altri alleati, truppe ausiliarie secondo il biso gno : e con ci l anno spir. XXII. L'anno appressp ( i ) fatti consoli Cajo Nauzio per la seconda volta, e Lucio Minu2 o ebbero per qual che tempo guerra domestica su diritti civili con Verginio e li compagni di lu i, tribuni gi da quattro anni. Ma poi venendo alla citt guerra da popoli intorno, e paura che le togliessero il regno ; presero con trasporto l evento come dalla fortuna: e fatti i cataloghi militari, divise in tre parti le milizie interne e confederate, e lasciatane una in citt sotto gli ordini di Fabio Vibolano ; essi alla testa delle altre uscirono immantinente, Nauzio contro de Sabini, e Minucio contro degli Equi. Imperocch questi due popoli s erano di que giorni ri bellati a Romani : li Sabini manifestamente tanto che si erano avvanzati sino a Fidene, citt dominata da Roma,
(i) Anno di Roma 396 secondo Catone , 398 secondo Varroae , o
456 av. Cristo.

L irro

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che ne era distante quaranta stadj ; laddove -gli Equi serbavano colle parole i diritti dell'ultima pace; facen dola nelle opere da nemici, con movere guerra ai La tini , confederati di Rom a, quasi nel trattato di pace non avessero inchiuso ancor essi. Comandava larmata loro Gracco Clelio, uomo intraprendente , che avea renduto quasi regio il potere arbitrario di cui era stato adornato. Costui ne and fino al Tuscolo, citt pigliata e sac cheggiata ancora nell anno antecedente dagli Equi, che poi ne furono espulsi dai Romani, e rap dalle campa gne quanti ne sorprese , uomini in copia e bestiami, guastandovi i frutti , buoni gi da ricoglierli. E giunta un ambasceria dal Senato per intendere le cause per le quali guerreggiavano contro gli alleati de'Romani quando erasi di fresco girata pace con essi, n frattanto era occorso disturbo alcuno tradue popoli, e dovendo que* sta ammonir Clelio a dimettere i prigionieri che avea di quelli , a ritirare l armata , e subire il giudizio su le ingiurie o danni fatti a Tuscolani ; colui s indugi lungamente senz* abboccarsele, come impedito dalle oc cupazioni. Alfine quando gli parve tempo di ammettere lambasceria, e quando i membri di essa ebbero espresso gli annunzj Senato ; egli soggiunse: M i meraviglio, o Rom ani, come voi per dominare e tiranneggiare,

leniate per nimici lutti gli uom ini, anche senza es serne offesi. Voi non permettete che gli Equi si ven dichino de Tuscolani, contrarj loro , senza che ci si concordasse nella pace, firmata con voi. Se dite che abbiamo oltraggiato e danneggiato voi ; vi rintegre-, remo a norma de' patii : ma se venite a chieder conto

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sii

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Tuscolani ; niente vale, che a me parliate, o vai quanto parliate con quella pianta ; e frattanto addit loro un faggio ( i) , che prossimo frondeggiava. XXIII. I ,Rodiani cosi vilipesi da colui non cavarono subito, abbandonandosi all' ira , gli eserciti : ma repli carono un altr ambasceria, e mandarono i Feciali che chiamano , u omini sacrosanti, per attestare i genj ed i num i, che essi porterebbero, necessitati, una. guerra legittima, se non erano soddisfatti ; e dopo ci spedi rono il console colle milizie. Gracco all' intendere che i Romani venivano, lev l'esercito, e lo port pi ad* dietro, seguendolo passo passo i nemici. Egli volea ri durli in luoghi da vantaggiarsene, come addivenne. Imperocch tenendo in mira una valle cinta da monti , non si tosto i Romani vi s internarono, egli volt fac cia , e si accamp su la strada che conduce fuori di quella. Segui da questo , che i Romani misero il campo non dove il volevano , ma dove la circostanza lo per metteva. Ivi n era facile il pascolo pe' cavalli, per es sere il luogo chiuso da monti ripidissimi e nudi ; n fcile, dopo aver consumato quelli che portavano , pro cacciare a sestessi gli alimenti dalle terre nem iche, o mutare il campo ; standogli a fronte i nemici, e proi bendone 1 uscita. Risolverono dunique usar la violenza, e cacciaronsi avanti per la battaglia : ma respinti e feri tivi largamente si richiusero fra le loro trincee. Clelio inanimato dal buon successo li circond con fosse e steccati, su la fiducia che premuti dalla fame gli si
(i) Livio chiama quercia quella che fe detta faggio da Dionigi.

L 1RRO X ;

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renderebbero. Giunta in Roma la notizia di ci. Quinto Fabio lasciatovi comandante , scelse il fiore ed il nerbo de'suoi militari, e li spedi per soccorrere il console, sotto gli ordini di Tito Quinzio , uomo consolare , e questore. Mand nommeno lettere a Nauzio che tenea l esercito traSabini, dichiarandogli la situazione di Mi nucio , e chiedendo che venisse immantinente. E colui, fidato il campo aluogotenenti, venne con altri cavalieri in corso rapidissimo a Roma. Entratovi di notte cupa , consultatovisi con Fabio e con altri seniori su ci che fosse da fare , e concedutosi da tutti che abbisognavasi di un dittatore, nomin a tal grado Lucio Cincinnato: e ci fatto, rivol nel suo campo. XXIV. Fabio il comandante di Roma spedi deputali che assumessero Quinzio al comando. Per avventura egli faceva allora alcuna delie campestri sue cose. Ve duta la moltitudine, e sospettando che a lui ne venisse, prese abito pi conveniente, e ne and per incontrarla. Ginntole da vicino, gli appresentarono cavalli magnifi camente bardati , e le scuri co ventiquattro fasci, e la veste di porpora, e le altre insegne, ornamento uu tempo dei re. Saputo, che Roma eleggevalo dittatore, non solo non si rallegr di un tanto onore, ma con turbandosene disse, adunque per le mie occupazioni perir pure il frullo di quest1anno , e noi lutti ne avremo grande il disagio ! Dopo ci recatosi a Ro ma ( 1), confort su le prime i cittadini con discorso al
(1) Anno di Roma 296 secondo C ato n e, agS secondo V arron, e 456 av. Cristo..
M O K I G l , tono 1 1 1 .
1

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popolo da empierlo di belle speranze. Poi convocati tutti i giovani dalla citt e dalla campagna, concentrate le truppe ausiliarie, e nominato maestro de cavalieri jiicio Tarquinio, ignobile per la povert, ma nobilis simo in arm e, usci coll esercito riunito : e giunto al questore Tito Quinzio che lo aspettava, prese pur le ue schiere , e ne and sul nemico. Appena ebbe con siderata la natura de luoghi ov erano gli accampamenti colloc parte dell armata nelle allure onde precludere agli Equi i sussidj ed i viveri, e ritenendo seco le altre milizie le avanz con ordine di battaglia, Clelio punto non si sbigott, perocch n la sua genie era poca, n poco il cor suo nella guerra, lo seontr nel suo giugnere, e ne sorse una pugna ostinata. Era gi decorso buon tempo, e li Romani come cresciuti fra le arme rinovavansi ognora al travaglio, e la cavalleria soccorrea pronta ove erano i fanti in pericolo, Gracco dunque sopraffattone, si ritir nel suo campo. Quinzio allora 10 cinse con allo Steccalo e torri frequenti, e quando seppe alfine che penuriava de'viveri, lo invest con as salti continui nel suo campo, ordinando a Minucio che uscisse dall altra parie. Esausti gli Eq|ii di viveri , di sperati di un soccorso, e stretti per ogn' intorno dal1' assedio , furono necessitati a prender forma di sup plichevoli , e spedire a Quinzio per la pace. E colui replic che la darebbe, e lascerebbe agli Equi salva la persona, se deponessero le arme , e passassero ad uno ad uno sotto giogo: tratterebbe per qual nemico Gracco 1 1 capo della guerra, e gli altri consiglieri della rivolta. E qui comand che gli recassero tali uomini in ferri.

LIBRO X .

9D 9

Umiliavansi gli Equi a tatto ; quando egli ordin, che giacch aveano senza esserne offesi previamente, sog gettato e derubato il Tuscolo citt confederata di Roma, essi consegnassero a lui Corhione, citt loro perch ne facesse altrettanto. Prese tali risposte partirono' gli ora tori , e dopo non molto tornarono traendo con s Gracco e i compagni incatenati. Essi poi cedate le arme, e lasciate le trincee , ne andarono sotto giogo, come era il volere del dittatore, a traverso del campo ro mano. Consegnarono Corbione , e con restituire i pri gionieri tuscolani ottennero solamente che salvi prima ne uscissero gli uomini ingenui. XXV. Quinzio ricevuta la citt, comaud che le prede pi riguardevoli si trasportassero in Roma con cedendo che le altre si dispensassero tra' soldati venuti con esso, e tra gli altri spediti prima eoa Quinzio il ^nestore ; e soggiungendo , che a' soldati rinchiusi col console Minucio avea dato amplissimo dono, quando li rivendic dalla morte. Ci fatto , obbligando Minucio a dimettersi dal suo grado, si ripieg verso R om a, e ne men trionfo laminoso, pi che tutti i duci menato lo avessero, perch in sedici giorni da che avea preso il comando, avea salvato l esercito amico, disfatto l altro floridissimo de nemici, saccheggiata-la loro citt, mes savi guarnigione, e conduceva seco in patene il capo, e gli altri primarj di quella guerra. Faceva soprattutto meraviglia che avendo ricevuto quel magistrato per sei mesi non sei tenne quanto concedeva la legge: ma con* .vocata la plebe , e ragionatole delle cose operate ; lo depose. E pregandolo il Senato che prendesse quanto

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volea delle terre, degli schiavi, delle prede conquistate colle arm i, e pressandolo che vivificasse la tenuit sua con ricchezza giusta, che egli possederebbe gloriosissima, come tratta colle proprie fatiche dal nemico , ed offerendogli amici e parenti, amplissimi doni, e pregiando pi che tutto adagiare' un tal uomo , . egli lodatane la cortesia, non prese nulla, ma si ricondusse nel picciolo suo campicello, ed antepose ad una splendida vita la vita sua travagliosa , nobilitandosi per la povert, pi che altri non sogliano per lopulenza. Dopo non molto Nauzio T altro console vinse in battaglia i Sabini, e scorsa e derubata gran parte delle loro campagne } ri* trasse in patria l esercito, XXVI. Dopo questi magistrati fa la olimpiade ottan tesima prima , nella quale Polimnasto di Cirene vinse nello stadio, essendo Catta l'arconte di A tene, ed in questanno assunsero in Roma il consolato Cajo Orazio, e Quinto Minucio ( 1 ). Sott essi mossero i Sabini nuo vamente le armi contro deRomani, e scorsero saccheg giando assai della lor terra , tanto che quei che veni vano in copia fuggendo dalle campagne, dicevano tutto in poter loro , quanto tra Fidene e Crustumera. An che gli Equi sottomessi ultimamente sorsero un altra volta alle armi: e recandosene tra la notte i pi robusti a Corbione, citt ceduta da essi l anno antecedente ai Romani, e sorpresavi la guarnigione nel sonno ; ve la uccisero, salvo pochi che per ventura non v erano. Gli altri marciarono in gran moltitudine contro di Ortona,
(1) Anno di Rma 297 secondo Caion*, 399 seconde Varrone,
455 t. Cristo.

LIR R O x .

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citt de* Latini, e presala a prim' impeto, fecexo per la rabbia su gli alleati de' Rom ani, ciocch non potevano su' Romani medesimi : uccisero tutti i puberi, eccetto quelli che eran fuggiti nell invadersi della citt : rende rono prigionieri, donne, fanciulli, vecch j , e raccoltovi in fretta quanto poteano trasportar di pregevole, ripar* tirono prima che vaccorressero tutti i Latini. Il Senato saputo ci da L atini, e da militari salvatisi della guar nigione , decret di far uscir le milizie , e con esse* i due consoli. Ma Verginio e i colleghi, tribuni gi da cinque anni davano a ci ritardo , opponendosi come negli anni antecedenti alla scelta militare, che faceasi pe consoli, e reclamando che si finisse prima la guerra domestica, con rimettere al popolo l esame della legge, che davano su la eguaglianza dei diritti : e la plebe coadjuvava i tribuni che assai malignavano contro del Senato. Intanto temporeggiandosi, n comportando i consoli, che si facesse in Senato il previo decreto su la legge e si proponesse al popolo ; n volendo i tribuni concedere la leva e la marcia delle milizie, anzi facen dosi accuse inutili e dicerie vicendevoli nelle concioni e nella curia, alfine fu ideato datribuni un altro disegno, che sorprese i padri e chet la sedizione attuale , ma fu causa di molto ingrandimento per il popolo : ed io sporr come il popolo se lo ebbe questo incremento. XXVII. Essendo manomesso e predalo il territorio de Romani e de' confederati, e spaziandovisi i nemici come per una solitudine su la speranza che non usci rebbe contr essi esercito alcuno a causa delle sedizioni di R otta, i consoli adunarono il Senato per consultare

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come su pericolo estremo. Tenutisi molti discorsi , riichesto il primo del parer suo Lucio Quinzio, il dit tatore dell anno antecedente , uomo non solo il pi grande allora fra le arm i, ma creduto ancora savissimo Del governo, propose il consiglio il quale poi persuase pi che tutto i tribui e gli a ltri, che si differisse in

tempo pi acconcio C esame allora non necessario della legge, e si facesse con tutta prontezza la guerra attuale, scorsa ornai fino su la citt, n si, perdesse imbellemente e vituperosamente il comando con tanti stenti acquistato. E che se il popolo non vi s' indu ceva ; si armassero patrizj e clienti, con quanti altri voleemo fa r causa con essi in quell aringo nobilissimo della patria, e ne andassero ardenti al nemico, pren dendo per duci dell andamento i Numi protettori di Roma. Imperocch ne verrebbe lu n o o l'altro buono e bel frutto , vuol dire 0 che riporterebbero una vit toria la pi gloriosa fr a tutte le riportate dai loro maggiori, o che magnanimi morirebbero pe beni che sieguono la vittoria. Annunziava che egli stesso non si ricuserebbe a tarilo esperimento , ma presente vi pugnerebbe quanto i pi coraggiosi, e che nemmeno mancherebbevi alcuno deseniori che amasse la libert e il buon nome. / XXVIII. Cos piaciuto a tu tti, senta che alcuno vi si opponesse, i consoli convocarono il popolo. Concorsi quanti erano in Roma eorae per udienza di nuove co se , fattosi innanzi Cajo Orazio, l ' uno de' consoli, tent volgere spontaneamente i plebei anche alla guerra pre sente. Ma perciocch i tribuni vi ripugnavano r ed

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plebei la sentivan con essi ; recatosi il console un altra volta in mezso disse 2 Bella , meravigliosa impresa in

Vero la vostra o Verginio che abbiate staccato il popolo dal Senato ! e che dal canto vostro avessimo gi perduto quanto abbiamo ereditato dagli a v i , e quanto ottenuto co nostri sudori. Ma n o i, non cede remo noi questo, senza lordarsi nemmeno d polvere ; ma impugnando le armi con quanti vorran salva l ptria ne andremo al cimento, isperantiti sU la bont d elt impresa. E se alcun Dio rimira le belle, le giu stissime imprese; se la sorte che da tanto tempo pro spera questa citt , noit t abbandona ; noi sormonte remo i l . nemico. M a se alcun Dio ne gravita sopra, e ci si oppone per la salvezza d i Roma ; certo di voler nostro , di nostra propensione non perir ; che; Jbrtissimamente per la patria moriremo. E voi ti belli, li generosi cap ctie siete di Roma , guardate pure colle vostre mogli le case, abbandonando tradendo noi: ma n se noi vinciamo onorata sar la vostra vita, n sicura se perderemo. Se pUr non siete atti* moti dalla misera speranza che i nemici dopo rovinati i pa trizj, preserveranno Voi per gratitudine , e con cederanno che godiate la vostra patria , la libert, il comando < e tutti i beni che ora v' avete. Si , questo appunto a voi concederanno quenemici a quali men tre voi pensavate pi saviamente avete levato tanta territorio, distrtte tqnle citt, fa ttin e Scjiiavi i popolii ed inalzali tanti trofei, tanti monumenti di nemicizia, e s lum inosi, che mai per et non periranno. M perch io mi addoloro col popolo il quale non f u mai

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tallivo di voler suo, e non pi tsto o Verginio con voi che per si bella maniera lo dirigete ? Noi certo necessitali a non pensar bassamente , noi deliberato abbiamo , e niuno cel vieter , di fa rci a combattere per la patria : ma voi che abbandonale, voi che tra dite il comune, voi ne avrete condegna, irreprensibil vendetta dal cielo: n fuggirete gi questa , se quella fuggite degli uomini. N crediate gi che io ci dica per atterrirvi : ma sappiale che quanti siano qui la sciati per guardia della citt, se mai gl' inimici prevagliono, ne destineremo come a noi si conviene. Se ad alcuni barbari, ornai tra le unghie de' nemici , venne in cuore di non lasciare ad essi non le mogli, non i figli , non le citt, ma di ardere queste , e di uccidere quelli; non faranno altrettanto per s li R o mani de'quali proprio il dominare? Cerio degeneri non saranno: ma cominciando da voi , che nemicis simi siete , ogni amica lor cosa distruggeranno. Considerale ora voi questo , e considerandolo ; fa tevi le adunanze e le leggiXXIX. Dette tali cose e molte consimili, present li pi provetti de'patrizj cbe piangevano. A tale spettacolo molti del popolo non contennero nemmeno essi le la grime: e destatasi grande commozione per gli anni e per la maest di tali uomini, il console soprastando alquanto disse : Impugneranno qusti seniori le armi per* voi giovani, n voi ve ne vergognerete, occultandovi fin sottoterra , e vi terrete lontani da questi duci, che padri sempre , avete nominati ? Sciagurati voi ! n degni pure di esser detti cittadini di questa citt fo n

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data da coloro che aveano portato su le spaile il pa dre, ^aperto loro da' numi lo scampo tra le tomi le fiamme. Come Verginio tem che il popolo fosse com mosso da quel discorso per non soffrire di dover met tersi a quella guerra contro il suo dire, fecesi avanti e soggiunse: N oi non vi abbandoniamo n vi tradiamo, n mai vi abbandoneremo o padri, come per addietro mai foste da noi derelitti su cC impresa niuna ; ma vogliamo con voi vivere, e con voi patire, comunque gli Dei ne destinino. Pronti gi sempre per voi chie diamo da voi la discreta concessione di essere pari a voi ne diritti se pari vi siamo ne' pericoli, e di met tere custodi della libert le leggi a cui tutti ubbidi scano. Che se ci vi sa m ale, se sdegnate concedere a' vostri cittadini questa grazia, e riputate coni essere la morte vostra ammettere il popolo nell eguaglianza; non pi vi darem briga su ci, ma vi chiederemo altro dono , avuto il quale fo rse non avrem pi bi sogno di nuova legislazione: se non che ci vien paura che non otterremo nemmen questo , sebbene non sia punto lesivo del Senato, e sia tutto benefico ed ono revole al popolo. XXX. G replicando il console che se rimetteano la istanza al Senato , non sarebbe negata loro cosa che discreta fosse; ed invitandolo a dire ciocch dimandas sero, Verginio abboccatosene alquanto co'suoi colleghi rispose, che lo direbbe al Senato. Dopo ci li consoli adunarono il Senato, ed egli venutovi , e divisatovi quanto competevasi al popolo, chiese che si duplicassero i magistrati del popolo -, ed ogni anno in luogo di cin*

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que si nominassero dieci tribuni. Alcuni, capo de'quali era Lucio Q uinzio, autorevolissimo allora in Senato , pensavano che ci non offenderebbe la repubblica , s consigliavano che si accordasse , non si contrastasse. Unico vi si oppose Cajo Claudio , figlio di Appio Clau dio , dell' avversario perpetuo a' voleri del popolo , se non erano a norma delle leggi. Egli ereditati i senti menti del padre, imped quando fu console che si con cedesse ai tribuni d inquisire contro de'cavalieri, calun niati di congiura, ed ora con lungo ragionamento di mostrava , ohe il popolo non diverrebbe pi moderato e pi docile, ma pi inconsiderato e pi grave. Impe rocch quelli che sarebbero di poi giunti al tribunato noi prenderebbero gi per questo con legame che li tenesse ai patti, ma ben presto tratterebbero di divisione di terre , e di egualit di diritti, e cercherebbero par lando e brigando le mille aose, estensive della potenzi del popolo, come diminuenti 1 * onor del Senato. Mosse molti un tal dire grandemente : ma Quinzio a s li ri trasse ammaestrandoli, voler T utile del Senato che i tribuni si moltiplicassero , giacch i molti raen s 'a ccordan dei pochi : esser questo l unico rimedio veduto gi da Appio .il padre di Cajo Claudio , che il magistrato discordi, n vi si penai da tutti ad un modo. Adunque cos ne parve al Senato , e si decret : che potesse il

popolo eleggersi ogn'anno dieci tribuni, non peri dal numero degli attuali. Portarono Verginio e i colleghi tate decreto al popolo, e confermatane la legge che vi s'inchiudeva , designarono dieci tribuni per 1' anno se-* guente. Chetata la sedizione, i consoli arrotarono W

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milizie , e decisero a sorte la loro spedizione. Tocc a Minucio la guerra co' Sabini, ad Orazio 1 altra con gli E qui, e ben tosto marciarono ambedue: I Sabini guar dando le loro citt , non curarono che i Romani si menassero e portassero quanto v' era per le campagne. Gli Equi spedirono unarmata per contrastarli; ma tutto che pugnassero nobilissimmente , non poterono supe rarli, e si ritirarono necessitati nelle loro citt, perduto il castello pel quale aveano combattuto* Orazio respinti i nemici , fatto assai danno alle lor te rre , abbatt le' m ura.di Corbioue, ne rovesci da*fondamenti le case, e ricondusse in Roma 1' esercito. XXXL Sotto Marco Valerio , e Spurio Verginio con soli dell anno seguente ( 1) non usc da confini armata niuna de' Romani ; ma risorser le dispute de' tribuni e de consoli , per le quali i tribuni staccarono alquanto della consolar dignit. Imperocch per addietro poteano i tribuni convocare il popolo ; n poteano convocare iL Senato o dirvi il parer loro , serbandosi tale onore pei consoli. Ma i tribuni di quellanno tentarono convocare il Senato , postovisi alla prova Icilio, capo di essi, in traprendente , n infacondo nel perorare all Romana. Anch' egli present un nuovo progetto, dimandando che si compartisse ai plebei lAvventino affinch vi er gessero delle case. l'Avventiao un colle dolcemente elevato con perimetro non. minore di dodici stadj entro il circuito stesso di Roma : n in quei giorni era tutto accasato, ma selvoso e pubblico. Concependo il tribuno
(1) Addo d i Roma agS secondo C atone,, 3oo secondo V arrone,
45 } av. Cristo.

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un tal piano, venne al Senato ed ai consoli, e chiete, che facessero su di esso un previo decreto , e si pub blicasse (). Ma indugiandosi i consoli e protraendo j egli spedito un araldo intim loro di seguirlo al tribu nato , e convocare il Senato. E xonciossiach un littore, comandatone, rispinse 1' araldo ; Icilio e i suoi colleghi sdegnatine presero e trassero il littore come per balzarlo dalla rupe. I consoli tuttoch sen tenessero spregiatissimi uon poteano far violenza, e redimere quel prigioniero: e si volsero per ajuto agli altri tribuni : Perooch niun pu sospendere o proibire gli atti di alcun tribuno, se non quegli che tribuno sia parimente ; giacch li tribuni a erano fin dal principio convenuti infra loro, che niuno introdurreblie di per s stabilimento alcuno senza il beneplacito di tutti ; e niuno farebbe opposizione, ma ci si tenesse per fermo che i pi destinassero; ed aveansi ci giurato scambievolmente tra 1 sagrifizio nelr atto appunto di assumere il magistrato ; sul concetto che indelebile diverrebbe il tribunato, se la discordia se ne allontanasse. Fidi tal giuramento, ordinarono che si togliesse la guardia del console , dicendo esser questo il volere di tutti. Non persisterono per nell'ira, ma renderono il prigioniero agli anziani del Senato che lo raddomandavano. Imperocch temerono P odio del fatto ; perch essi i prim i. condannerebbero a morte un littore per avere adempito i comandi de consoli ; e te merono che per esso fatto non si volgessero i patrizj a disperati disegni.
(i) Altri interpretano: e st ne faeeise rapporto al popolo: ed il senso par migliore.

LIRRO X.

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XXXII. Adunatosi quindi il Senato, consoli vi fe cero lunghissima la querela su tribuni. Ma Icilio presa la parola , giustific lo sdegno contro del littore, alle gando la legge sacra per la quale non concedeasi n

a' magistrali n ai privati fa r cosa niuna contro dei tribuni. E quanto all aver lui comandata la riunion del Senato , dimostr che non avea fatto nulla d incongruo con ragioni premeditate di ogni genere. Ribattute.le ac cuse , fecesi a parlar su la legge che era : che quanto i privati possedeano con diritto sei tenessero: m a re stituissero al popolo quanto altri avevano occupato con violenza o di furio nell' edificare , ricuperandone le spese , come sarebbero tassale dei periti: e finalmente che il resto , quanto era del pubblico si dividesse e compartisse al popolo senza prezzo. Dava a conoscere che tale istituzione era per pi capi proficua alla re pubblica, e principalmente perch i poveri non tumul tuassero pel terren pubblico , che i ricchi si possede vano. Sarebber essi consolati con parte de siti urbani se essere noi poteano con parte de campi, preoccupati gi da molti e potenti. Unico conu-addisse a tal dire Cajo Claudio, comprovandolo molti ; ma si decret che il sito al popolo si concedesse. Dopo ci presenti i pon tefici , gli auguri, e due sagrificatori, fatti secondo il rito sagrifizj e preghiere , e convocati da' consoci i co mizj centuriati si conferm la legge , e descritta su co lonna metallica, e portata nell Avventino fu collocata nel tempio di Diana, Poscia congregatisi i plebei tira rono a sorte il suolo dpve fabbricare, e fabbricarono, Occupando ciascuno lo spazio che poteva. Unironsi al-

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l ' edilzio di qualche casa due o tre persone, e talvolta pi ancora, prendendosi uno i pianterreni, e gli altri i piasi superiori. E cos 1' anno si consnm col fab bricare. XXXHI. R inati per complicato e vario , e pieo di grandi avventare l'anno seguente ( 1 ) , nel quale, eletti consoli Tito Romilio e Cajo Veturio, fnrgno riassunti al tribunato Icilio e i colleghi. Imperocch fu di nuovo suscitata da tribuni la civii sedizione che parea venuta m eno; e sorsero guerre dagli esteri: ma queste non che danneggiarla , giovarono non poco la repubblica , con toglierne gl interni dissidj ; essendole consueto e vicendevole di essere unanime tra le guerre, ma discor-* diosa nella pace. Istruiti di ci quanti salivano al con solato prendevano con trasporto, se nascevano, le guerre cogli esteri. E se i nemici eran cheti; essi stessi finge vano mancanze e pretesti, vedendo che Roma prospe* rava e ingranditasi nella guerra , ma decadeva e debilitavasi tra le sedizioni. Animati nel modo stesso i con soli di quest anno, deliberarono cavar l ' esercito contro i nemici, sul Umore che i poveri e gli oziosi comin* classer a perturbare la pace. O r essi ben la intende vano, che vuoisi distrarre la moltitudine nelle guerre cogli esteri ; ma non ben intendevano com eseguiscasi. Quando avrebbero dovuto far leve m oderate, come in citt mal affetta ; si diedero a castigarvi colla forza tutti i renitenti, senza eseusazione o dispenta, usando ine sorabili il rigor delle leggi su gli averi, e su le persone.
(1} Anno di Roma 399 secondo C atone, Boi secondo Varroue,
453 av. Cristo.

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2 7

Presero da tal procedere occasione di bel nuovo i tri buni di concitare la plebe ; e radunatala , vi strepitarono per pi cause, come ancora perch aveano fatto portar nella carcere molti che reclamavano 1 ajuto de tribuni; e dissero che essi che soli ne aveano l autorit dalle leggi, gli assolveano da quel reclutamento. Vedendo per che niente ne profittavano, ansi che faceasi la coscrizione pi severamente , incominciarono ad opporvisi co fatti. E resistendo i cousoli colla forza del grado loro ; sen fecero altercazioni e scaramucce. La tenea pei consoli la giovent patrizia, ma teneala po' tribuni la turba ozios? e povera : e quel giorno assai prevalsero i consoli su' tribuni. Ne giorni appresso versandosi io citt pi turba dalle campagne, i tribuni, vedutisi ornai con forze da contrapporsi, convocarono assai spesso il po polo , e mostratigli i ministri loro malconci dalle pia ghe , protestarono che deporrebbero il magistrato, se non erano da esso garantiti. XXXIV. Irritatasene la moltitudine ; citarono i con soli a dar conto al popolo del procedere loro. Non gli attesero questi ; ed andatine i tribuni alla curia ove il Senato sedeva gi consultandone lo supplicarono a non trascurare essi tribuni, offesi bruttissima mente, n il popolo, che era dell aita loro privato. E qui narrarono quante ne aveano sopportate da consoli, e le maochinazioni di questi contr essi ond erano svergognati non pure nel grado, ma nelle persone. Laonde chiedeano che i consoli facessero 1 Una delle due , vuol dire , se negavano di aver fatto cosai vietata dalle leggi contro de tribuel, venissero e giurando lo negassero all aciu-

272

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nanza ; ma se di giurare non sostenevano, venissero, e vi rendessero conto ; e le trib sentenzierebbero su loro. Si difesero i consoli, dando a vedere che i tribuni erano la origine de mali per la caparbiet, per l auda cia di profanare, le persone de consoli, prima con avere imposto ai satelliti loro e agli edili di portare in carcere nomini rivestiti di ogni potere, e poi con tentar di as salirli col mezzo de' plebei pi temerarj : e qui sponeano quanto fosse il divario dalla tribunizia alla consolar di gnit , piena questa di regio potere, e nata laltra solo per protegger gli oppressi. Tanto esser lungi che po tessero far votare la moltitudine contro de consoli, che noi poteano nemmeno contro il minimo de patrizj senza nn decreto espresso del Senato. Pertanto minacciavano, se i tribuni faceano votar la moltitudine di dar 1 arme a patrizj. Continuandosi per tutto il giorno i diverbj ; il Senato niente defin per non iscemare 1 autorit dei consoli o de tribuni, cose ambedue pericolosissime. XXXV. Partiti i tribuni senz aver trovato soccorso, e toma al popolo; considerarono di nuovo ciocch, avessero a fare. Pareva ad alcuni, specialmente ai pi turbolenti, che il popolo dovesse ritirarsi colle armi alla mano nel monte sacro, dove accampato si era la prima volta ( 1 ); e che di l sorgendo dovesse far guerra ai patrizj, perch violavano gli accordi conclusi col po polo , annientando manifestamente lautorit de tribuni. In opposito pareva ai pi che non dovessero spatriare , n credere colpa di tu tti, quella di pochi contro dei
( 0 Vedi lib. 6 , 45.

L IB R O

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tribuni, purch ottenessero quanto conceder!asi dalle leggi, le quali ordinano impunemente la morte su chi oltraggia la persona de'medesimi. Ma i pi benigni non teneano per savio niun de' partili, non quello d ab bandonare la patria , e non 1 altro di uccidere senza condanna, specialmente i consoli, che erano per auto rit si cospicui, ma volevano piuttosto che si ripiegasse lo sdegno su lor fautori, castigandoli a norma delle leggi Se quel giorno i tribuni trasportali dall ir lanciavansi a far cosa alcuna contro del Senato, o de'con soli , niente avrebbe impedito che la citt di per s ro vinasse. Tanto eran tutti pronti per armarsi e combat tersi ! Ma perch sospeser 1' affare, dando a s tempo per meglio consigliarsene ; serbarono essi moderazione, e l ' ira del popolo ne fu mitigata. Intimarono pel terza mercato dopo quel giorno una assemblea popolare ove condannare i consoli ad una emenda in argento, e sciol sero 1' adunanza. Approssimandosi per quel giorno de sisterono anche da tale intrapresa dicendo, di concedere ci alle istanze li uomini i pi venerandi per anni e per grado. Poi congregando il popolo; dichiararono che essi rimettevano le offese proprie, sai desiderio di molti buoni, a' quali non era lecito contraddire : ma che le ingiurie fatte al popolo e punirebbero queste, anzi le toglierebbero. Imperocch direttamente ( 1 ) aggiungereb bero tra le leggi pur quella su la division delle terre differita ornai da treni'anni e quella su1diritti eguali
( 1) Nel lesto * v $ is nuovam ente, torse svdvf a dirittura.
V I O N 1G I } tomo I I I .
18

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per luti!, presentata bens da tribuni precedenti, non ' firmata per da voti del popolo. XXXVI. Ci promesso e giurato; annunziarono i giorni di adunanza pe'quali il popolo voterebbe su di esse leggi. Venutone il tempo proposero innanzi la legge agraria. Ed avendo essi allegate le molte ragioni per essa; invitarono chi pi volea del popolo continuarle. Or qui presentandosi m olti, e narrando le imprese da loro fatte tra le arm e, e dolendosi che dopo levato tanto terreno al nemico, essi non ne avevano parte al cuna ma lo vedevano usurpato ed usufruuuato violen temente dai potenti per amici e danari, e dimandando che il popolo non fosse a parte de pericoli soli ma delle consolazioni ancora e devantaggi della repubblica; erano con diletto ascoltati dalla moltitudine: non per niuno in paragone di Lucio Siccio Dentato imbaldanz; pi il popolo col dirgli le tante sue gesta, fino a ren-> derlo impaziente di ogni contraddizione. Era quest uo mo , meraviglioso a vedere, nel sacro della et per gli anni cinquantotto che numerava , buono ad intendere ciocch doveasi, n invalido a d ire , per quanto si ap partiene a un guerriero. Egli fecesi innanzi e disse: Se

io volessi o popolo commemorare ad una ad una le opere da me fa tte ; innanzi mancherebbemi il giorno : ma io le toccher brevissimamente come posso per sommi capi. questo Vanno quarantesimo che io milito per la patria ; e 1' anno trentesimo (i) che ho
(1) Lapo il primo traduttore di Dionigi qui legga trentesimo fe condo : coti pure legge il Glareano il quale pi solto legge ventisei per ventisette , affinch da 36 a 33 risulti T a n n o 58 il quale era I anno della el di Siccio.

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sempre militari presidenze , ora di coorti, ora di le gioni, cominciando da consoli Cajo A q u ilio , e Tito. Siccio, destinati dal Senato alla guerra co Volsci. In quella io di anni ventisette era subordinato ai centurioni. Fatta una cruda battaglia, fi'uggiti i no stri , perito il duce della mia coorte, e presene le bandiere dal nemico , io solo gettandomi per tutti tra i pericoli, le rivendicai, e respinsi chi mi si oppo neva , e fa i causa manifesta che i centurioni non ca dessero in obbrobrio sempiterno ( 1 ) , n rimanessero a vita pi amara della m orte, come dichiararono^ essi stessi col cingermi d i una corona di oro ; e come dichiar pure il console Siccio nominando me per centurione. Sopravvenutaci un altra battaglia ove occorse che il duce della legione cadesse , e F aquila restasse in poter del nemico, io nel modo stesso presi la causa di tutta la legione , e redimei F aquila , ed il duce f u per me salvo ; ed il duce grato al bene fizio cedevami il comando suo e F aquila mi conse gnava : ma io non lo u d ii , n sostenni di levare a chi diedi la vita , gli onori, ed il ben che li seguita. DoncF che amandomene il console} mi f capo della prima legione , mortone il duce in battaglia. XXXVII. Queste sono o popolo le gesta valorose che m i segnalarono e promossero. Divenuto ornai chiaro per nom e, passai di mano in mano alle altre battaglie vergognandomi sempre che per esse deca s dessero le prime glorie e le onorificenze mie. Da indi
( i ) Perch quanto da loro non avrcbbaro supplito alla mancauta del duce morto.

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in poi fu i sempre tra le armi e gli sten ti, non te m enda, anzi nemmeno considerando i pericoli} ed in tutti ne riportai da consoli i premj de bravi, spogUe, corone, ed altri distintivi. E per dirla in un tratto , fe c i ne quarant anni da che milito circa cento venti battaglie , e v ebbi quarantacinque ferite , d i nanzi tutte , e non da terga ; delle quali dodici meri toccarono il girno che Erdanio Sabino dominava la rocca ed il Campidoglio : riportai pugnando , quattor dici corone civiche , colle quali mi avvinsero que che furono da me salvati nelle mischie : tre m urali, per ch primo salendole, occupai le mura nemiche ; ed otto per combattimenti campali della quali fu i condecorato da' capitani : inoltre ottanta tre collane di oro, sessanta braccialetti pur di oro , diciotto aste t e venticinque fulgide spoglie-, nove delle quali eran d? uomini i quali sfidavano, solo con solo , alcuno di noi , e che io vinsi entrando volontario a combat terli. Or io , cittadini, io che sono quel Siccio che ho per voi militato tanti a n ni, sostenute tante batta glie , riportati tanti onori, non temuti n ricusati pe ricoli , in camp o su le m ura, tra fa n ti o tra ca valieri , con tutti , con pochi, o solo e ferito in tutto il corpo, io che ho conquistato alla patria tante terre bonissime , e quelle che avete prese da Tirreni e dai Sabini, e quelle che possedete degli Equi, de' Volsci e di altri ; io , cittadini, e chiunque ha quanto me travagliato, niuno abbiam ricevuto nemmen picciolissima parte di queste terre : ma li pi violenti, li pi sfacciati sen tengono le migliori, e le usufruttuano

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gi da molti anni senz' averle da voi n per dono , n per compera , n per altro legittimo mezzo che possa dimostrarvisi. Se ne avessero questi dimandata parte pi grande che noi dopo avere come noi tra vagliato nell acquistarle ; certo non sarebbe stato de gno di uomini , degno d i cittadini che pochi si ap propiassero ciocchi era di tu tti; ma pur stata una causa vi sarebbe a tanta ingordigia. Ma quando non potendo dimostrare alcuna opera grande e magnanima per la quale si tengono ciocch nostro, non sen vergognano, n lo rilasciano , nemmeno convintine ; chi potr comportarli? XXXVIII. Or s u , per Dio , se io mento in ci , venga chiunque di questi onorandissimi, venga, e dimostri per quali splendide e belle gesta presuma pi parte di me.-Forse ha guerreggiato pi a n n i, in pi battaglie , con pi ferite , con pi onore di co rone , di spoglie, d i prede, o di altre marche da vincitore, per le quali l inimico se ne um ilia, e la patria magnificata ne sfolgora ? Dimostri il decimo dimeno di quanto io v ho dimostrato. Per certo i pi d essi non potrebbero allegare nemmen la minima parte delle mie gesta : anzi alcuni di loro non par * 1* ebbero di avere sofferto nemmen quanto il popoletto pi basso. Grandi essi ne d e tti , noi sono certo nelle arm i, e pi vogliono contro V amico , che a fronte d e ll inimico : non pensano essi di avere una patria a tutti comune, ma propria di loro, quasi non siano stati per noi liberati da tiranni, ma da tiranni ab* biano noi preso come un lor bene. Questi ( perocch

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tr alascio le ingiurie continue pi o meri grandi , die lutti sapete ) sono giunti a tanta insolenza , che non soffrono che alcund di noi dica libere voci, o che solo apra la bocca su la patria. E Spurio Cassio , quello che primo parl su la legge agi'aria, quello che illustre per tre consolati, e per due trionfi -glo riosi , e che avea dimostrato tanta solerzia nel co mando militare e civile , quanto niun altro in quei tempi ; quest uomo s grande lo accusarono i con so li, come intento alla tirannide, lo sopraffecero con fa ls i testimorrj, e finalm ente, precipitandolo dalla rupe, lo uccisero , n per altra cagione se non per ch era amico della patria e del popolo. E Cajo Genuzio tribuno vostro che- riproduceva dopo undici anni la stessa legge , e citava in giudizio i. consoli dell1anno antecedente come trascutati a compiere i decreti del Senato su la partizion delle terre , lo le var on d i mezzo appunto il giorno avanti il giudizio con occulte maniere , non potendolo ..colle manifeste. Donde ne venne (C successori grave tim ore, e niun pi si mise a quel rischio : e gi sono trent' anni che sopportiamo} quasi perduto il nostro potere nella tirannide. XXXIX. Ma lasciamo il resto. 1 magistrati vostri attuali, quelli che voi avete' rendati sacri per legge ed inviolabili, a quanti, mali non incorsero per vo glia di difendere gli oppressi tra l popolo ? Non f u rono questi espulsi dal Foro a pugni e calci, e con ogni altra guisa di vilipendi ? Vostro era f affronto; * voi vel comportaste , n cercaste vendicatvene con

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darne i Voti almeno, in che solo vi resta la libert. Ma su prendete spirito o miei compopolari. Presen tino i tribuni la leggi su la partizione delle campa gne ; e voi la confermate co voti vostri, n soffrite pur voce di chi reclami. Voi non abbisognate o tri buni d i esortazione a quest? opera ; voi posti vi ci siete , e benissimo fa te a non desisterne. E se la caparbiet, se la insolenza de giovani vi si opponga, e rovesci le urne in che i voti raccoIgonsi , o li voti vi levino, o sconcino ' tal altra cosa nel dar de suf fr a g i; mostrate loro quanto il potere siasi del tribunato. Che se non lecito degradare i consoli, sot toponete al 'giudizio i privati, de' quali si valgono per le violenze ; e fa te che il popolo voti su lo ro , come su conculcatori delle leggi Sacre, e distruttori del vostro magistrato. XL. O r Ini cosi dicendo, la moltitudine ne fu com mossa tanto intimamente, e manifest tanta ira contro gli oppositori, che, come ho divisato dal principio, non voleva nemmen tollerarne i discorsi. Quando sorgendo Icilio tribuno disse : che eran pur buoni i suggerimenti di Siccio,' e lungamente lo encomi, tuttavia dimostr che non era cosa n giusta, n sociale negar la parol a chi voleva perorare in contrario, principalmente di scutendosi una legge colla quale far prevaler? il diritto alla frza : varrebbonsi di occasioni consimili, quelli ehe non avevano pensieri equi n giusti sul popolo , a turbar la citt notam ente, e rimovernt ciocch le gio' vasse. E ci detto , prescrivendo il giorno seguente ai contraddittori della legge, sciolse 1 adunanza. I consoli

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adunato un consiglio privato de patrizj pi energici al* lora e pi floridi, dimostrarono che dovea la legge impedirsi per ogni modo prima colle parole, e poi colle op ere, se il popolo non lasciasse persuadersi. Adunque raccomandavano a tutti che andassero la mattina al Foro ciascuno quanto pi poteva con amici e clienti: e quindi che alcuni sj stessero ed aspettassero intorno la tribuna, onde parlasi all' adunanza , ed altri in pi croccbj tra versassero il F o ro , per intracchiudere il popolo, e vie* U rne la riunione. Parve questo il partito migliore, e prima che il d si chiarisse, erano molti posti del Foro presi gi da patrizj. XLI. Vennero dopo ci li tribuni e li consoli, quando il banditore invit chiunque voleva dir contro la legge. Presentaonsi perci molti onesti uomini, ma il romore e il disordine non lasciava ascoltarne le voci. Imperocch qual degli astanti esortava ed animava i di ci to ri, e quale gli urlava e rigettavali : n la lode pre valeva defautori, n lo strepilo degli avversarj. Sdegna* ronsi e protestarono i consoli, che il popolo dava prin cipio alla violenza col non volere ascoltare : ma repli carono i tribuni che avendo essi ascoltato ben per cin que a n n i, non faceano cosa da pdiarneli, se non voleano pi tollerare trite contraddizioni, e rancide. Cos ne andava il pi della giornata, quando il popolo chiese di votare. Allora i giovani patrizj credendo che pi non fosse da sofferire , impedirono il popolo che si racco gliesse in trib, tolsero a chi li portava i vasi de voti, e battendo e spingendo, cacciarono quanti erano a ci deputati, n seu partivano. Aliarono le grida i tribuni,

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e gettaronsi nel Meato d essi : e questi cederono e la sciarono th iuvioiati passassero ovunque , ma passare ovunque non lasciavano il popolo die li seguitava , o quello che tumultuando e disordinandosi qua e l per lo Foro moveasi verso di loro. Cosi diveooe inutile al popolo il soccorso de' tribuni : ed i patrizj la vinsero, n lasciarono che si ammettesse la legge. Le famiglie < che pi sembrarono coadjuvare i consoli furono le tre de Postumj, de' Sempronj, de Clelj, cospicuissime tutte per lo splendor de' natali, e potenti assai per amicizie f per ricchezze , e riputazione, come insigni per le im prese nella guerra. Si consente che da questi dipend principalmente che la legge non si ammettesse. XLII. Nel giorno appresso i tribuni prendendo i ple bei pi riguardevoli discussero ciocch fosse da fare : e tutti di comun voto statuirono di non citare in giudizio i consoli , ma i privati che erano stati loro ministri ; la punizione de quali ecciterebbe come Siccio avvertiva meno diceria contro del popolo. Adunque cominciarono diligentemente a discutere, quanti fossero da processare, qual titolo dessero al giudizio, e quale ne sarebbe, e quanta la pena. 1 pi bnj di carattere consigliavano che si desse a tutto un aria di gravezza e di terrore : in opposito i pi miti voleano moderazione e clemenza, e Siccio era il capo di questi', e ve li persuase; io dico colui che peror per la partizion delle terre dinanzi del popolo. Parve loro Aie si trascurassero gli altri patrizj , e si menassero al popolo i Clelj, i Postumj, i Sempronj a subirne le pene delle opere fatte : si accusassero di aver soverchiato ed impedito i tribuni dal fare ultimare

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la deriafon della legge, quando le leggi sacre del Senato e del popolo non concedono ad alcuno di poterli ri d u ce come gli altri cittadini a soffrir cosa veruna con* I n lor voglia. Quanto alle pene piacque loro di vol gersi all' intento pi discreto della legge , e non fissare pe'rei n la,m orte, n l'esilio, n altre durezze odiose, perch non fossero ad essi cagion da sottrarsene , ma solo di renderne i beni sacri a Cerere. Cosi fu con chiuso , ed alfine sen venne il tempo di giudicare co loro. I consoli ed i patrizj ( erau questi i migliori ) as sunti per consultarvisi, opinavano che si dovesse co n cedere a' tribuni la punigione, affinch impediti non causassero male maggiore, e lasciare che i plebei furi bondi versassero' l ira loro .su le sostanze. degli accusati affinch presane vendetta quanta ne voleano , s implacidissero per lavvenire, principalmente che il danno negli averi potrebbe risarcirsi a chi sosjtenevalo. Or tanto appunto addivenne. Imperocch condannati questi, senza apparire in giudizio, il popolo inasprito se ne raddolc, i tribuni pensarono che fosse renduto loro un moderato civil potere e sostegno: ed i patrizj restituirono i con dannati le loro sostanze redimendole a prezzo eguale da chi aveale dal pubblico comperate. Con tali ripari si dissiparono i mali imminenti alla repubblica. XLIIIx Dopo non molto riprodussero, i tribuni il di scorso sa la legge, ma lavviso della irruzione repentina deneimci sul Tusoolo fu causa bastante ad impedirueli. Perciocch precipitandosi li Tuscolani in fella - a Roma dicendo essere giunta una armata grande di E q u i, che avea gi devastato : le loro campagne, e che tra

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pochi giorni ne espugnerebbero fin la citt se ben tosto non soccorrevan ; il Senato decret che v andassero entrambi li consoli: ed i consoli, intimata la leva, chia marono tutti i cittadini alle arali. Ebbevi anche allora del susurro, opponendovisi i tribuni alla iscrizion mili tare, n volendo che gl' indocili si punissero col rigor delle leggi: ma tutto fu indarno. Imperocch il Senato, raccoltosi, decret che uscissero alla guerra i patrizj coi loro clienti : che quanti voleano aver parte nel salvare la patria, avessero ancor parte nelle sante cose denumi, ma che niuna pi ve n avessero quei che lasciavano consoli. Saputosi il decreto del Senato nell adunanza del popolo mlti si misero spontaneamente all' impresa. Vi si misero i pi ingenui per la verecondia di non soccorrere una citt confederala , sbattuta sempre per 1 aderenza sua con Roma : tra questi fu Sicoio 1 accu satore presso del popolo degli usurpatori delle pubbliche terre, il quale menava seco ottocento uomini, tutti co* me lui di et superiore, n pi vincolati dalla,legge a combattere: ma pieni della riverenza del valentuomo pe grandi benefzj ricevutine aveano riputato cosa >non degna di abbandonarlo, mentre riusciva egli a far guerra. Or questa tra la milizia d allora fu di gran lunga la migliore per la perizia in combattere , come per 1' ardire tra pericoli. Seguitarono ancor altri 1 eser cito vinti dall aderenza e dalle istanze de'seniori. E vi era par la milizia pronta sempre a tatti i pericoli per, amor delle prede , che si fan tra le arme. Pertanto in poco tempo ebbesi un armata numerosa , e fornita splendidissimamente. I neJhici udito che i Romani mar

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cerebbero contro di essi , ravviarono verso la patria l ' esercito : ma i consoli avanzando a gran fretta li raggiunsero, che erano accampati vicino di Anno su monte alto e scosceso, e vi si trincierarono non lontani. Rimasero alcun tempo, ciascuno neproprj alloggiamenti. Ma poi gli Equi spregiando i Romani, perch questi non avevano i primi assalito, e riputandone insufficiente la moltitudine, uscirono, e li traversarono, e respinsero colla cavalleria, mentre erano spediti per frumento, o per fieno, e glinvestirono improvvisi, mentre scendevano a tor 1 acqua ; e pi volte a battaglia li provocarono. XLIV. Or ci veduto i consoli deliberarono di non mandare pi in lungo la guerra. Spettavane in quei giorni il comando a Romilio ; ed egli dovea dare i se* g n i , ordinar le milizie, cominciar la battaglia, o so spenderla , regolandone i tempi. Or come questo ebbe imposto che i segni si alzassero della battaglia , e cav le milizie dalle trincee, e compart cavalieri e fanti per coorti, ciascuno neluoghi convenienti; alfine chiamando Siccio gli disse : Noi combattiamo da quindi o Siccio

i nemici. Tu mentre noi ed essi ci risparmiamo ap parecchiandoci, va di fianco per quella via sul monte ove il campo nemico , e v assalisci quei che lo guardano , affinch gli altri che stari contra noi ne teman la perdita, e tentando soccorrerlo ci volgan le spalle ; e come avviene in una sbita ritirata, si af follin tutti per ima strada, e con facilit li conqui diamo : o se qui si rimangono ; lo perdano il campo loro. La milizia che lo presidia, per quanto sen concepisce, gi non per s forte , ma par mettere tutta

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la fiducia sua nella garanzia del sito: ma sopravan gano a te li tuoi militari, ottocento di numero, cam pioni tutti di tante battaglie , idonei per invader improvviso e prendervi magnanimamente tutti con turbati. E Siccio replic : ben io son pronta a tutto ma facile non , come credi, la impresa : imperoc ch la rupe , ove il campo , sublim e, e dirotta, e senza vie che vi guidino, fuori che una dalla quale ei piomberanno addosso i nemici. Egli verisimile che acconcia n sia la guarnigione e quando anche scarsa fosse per avventura n valida ; basterebbe contra pi schiere che non le m ie; concedendole il sito la sicurezza. Se dunque pericolosa la prova; cangia piuttosto consiglio, o se per agni modo vuoi due bat taglie in un tem po , imponi che guerrieri scelti e ba stanti sieguano me co' miei veterani, n salirem di fu rto a quel campo , ma cospicui, e violenti per espugnarlo. XLV. Egli seguitava tuttavia , quando interrompen dolo il console; non abbisognano, disse, tante parole: se hai cuore per ubbidirmi, va , spediscili, non di scorrere da capitano: ma se ricusi e fu g g i il pericolo, varrommi St altri alla impresa. T u che combattesti i quaranC anni, in cento venti battaglie, tu che se co perto di cicatrici in tutto il corpo, tu venuto qui vo lontario , v a , ritorna, non volerti brigar col nimico , n rimirarlo ; e solo aguzza, non le armi , ma codesta tua lingua, come la usavi gi sui patrizj. Dova son ora que tanti tuoi premj , le collane, i braccia letti g le aste, gli abbigliamenti, le corone de consoUt

aS DELLE ANTICHIT* ROMANE le spoglie de'conflitti di persona a persona? Dov quella tanta farragine che abbiam tollerato nel dir tuo ? Messo a prova in una opera sola , pericolosa veramente , assai ti m anifesti, qual sei > millantatore, e non bravo , a solo di nome. Inacerbito Siccio a ud o n te, veggo, disse, o Romilio che ti hai tu proposto, che io viva , e non operi, e ricusi il pericolo, e men abbia fa m a d i vile ; o che io mora tra gli strazj oscuri e pessimi de nemici, perch l uno io ti cembrodeliberi pensatoti. Certamente mi vuoi tu spingere a morte non dubbia, ma patentissima ; pur mi vi ac cingo , e rischier me stesso non dimostrandomi vile, ma vincendo quel campo , o se ci esser non p u , morendovi coraggiosissimamente. E voi compagni di arme, se udirete la mia m orte, voi siatemi testimonj presso gli altri cittadini, che il mio valore, e il libero dir mio mi han costato la vita. Ci detto al console, e lagrimatone , e salutati i famigliar! ; ne and con gli ottocento suoi, rabbuffati e piangenti, come alla morte; e tutto il resto dellarmata ne impietosi, quasi pi non fosse per rivederli. XLVI. Siccio rivoltosi ad altra via che non quella concepita da Romilio men li suoi di fianco al monte. ^Imperocch ci aveva una selva profonda , e qua sen venne , e fermatosi disse : I l console, come vedete , mandaci atta rovina: egli vuole che ne andiamo ob~. bliquamenle per quella strada , impossibile a salirsi di nascosto dei nemici : ma io vi condurr per vie non visibili ad essi; e ben mi presagisco trovarle tali che ci guidino sul m onte, e sul campo. Inanimitevi

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dunque , e sperate. Ci detto s' avvi tra la selva, e corsone buon tratto, s'imbatt con un cittadino, parti tosi , non so d onde, e fattolo arrestare ; sei prese a guida. E colui rigirandoli gran tempo attorno del mon te , li pose al fine su di un colle rimpetto degli allog giamenti dal quale in poco e speditissimamenie vi si andava. Intanto le armate de'Romani e degli Equi eransi avventate, e combatteano di pi ferm o, eguali di nu mero, di arm, di coraggio. Adunque alternarono lungo tempo di sorte cavalieri con cavalieri, e fanti con fanti, ora prevalendo or cedendo, con perdita di valentuomini da ambe le parti. Ma da ultimo la battaglia ebbe un fine deciso. Imperocch Siccio co suoi non s tosto fu presso degli alloggiamenti, trovatone il canto verso di s derelitto dalla milizia, intenta tutta , come a spetta colo dal canto verso del combattimento ,< vi diede faci lissimamente l ' assalto , e sormonlovvi : e prorompendo in grida ; corsele come dall alto , addosso. Sopraffatta quella dal male impensato e concependo che venisse non que pochi ma 1' altro console colle sue schiere si precipit fuori delle trincee , per la pi gran parte senzarme. Quedi Siccio ne uccisero quanti ne presero, e signori gii degli alloggiamenti, ripiombarono su gli altri nel piano. Gli E q u i, conosciuta dalla fuga e dai clamori la presa degli alloggiamenti, e veduti dopo non molto i nemici correre loro alle spalle, non. mostrarono gi cuor generoso, ma disordinatisi, cercarono scampo per varj sentieri. Ma in questi appunto fecsi strage ; copiosa , non avendo i Romani lasciato d' inseguirli e trucidarvegli fino alla notte. Siccio ne era luc cisor pi

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grande tra luce d'imprese bellissime: e quando vide le cose nemiche ornai ridotte al suo termine, egli gi fatta notte , tripudiando e forte magnificandosene rimen la sua coorte agli alloggiamenti espugnati. I suoi non solo illesi ed inviolati da mali che ne temevano , ma em piutisi tutti di gloria vivissima , lo chiamavano padre , salvator e , D io, ed ogni altro bel nome, n finivano di felicitarlo con amplessi ed altre esuberanze di gioja. Intanto l ' altra milizia romana- tornava al campo suo dall inseguire i nemici. XLVII. Era gi la mezza notte , quando Siccio m minando 1 odio suo contro de' consoli che lo aveano spedito alla m orte, si pose in animo di tor loro la gloria del buon successo. Rivelato il cor suo tra com pagni , e sembratone a tatti benissimo , anzi ammiran done ognuno i concetti e l ' ard ire , egli prese e f' prender le a n n i, e prima accise quanti trov quivi omini, cavalli, ed altri animali degli Equi, e poi mise in fiamme i padiglioni, pieni di arme , di vesti, di apparecchi di guerra , e di robbe moltissime, recatevi dalla preda tuscQlana : al fine, dopo svanita ogni cosa, tra l ' incendio, parti su 1 alba senza altro che le arme, e rientr con marcia rapidissima in Roma. Osservativisi questi appena , solleciti tra le arm e, tra '1 sangue, tra i cantiei della vittoria , eccovi grande il concorso, e la smania di visitarli, ed intenderne le cose operate. Ed essi, andatine al F o ro , ve le narrarono ai tribuni : ed i tribuni, intimata un' adunanza; comandarono loro che vi favellassero. Era gi grande la moltitudine ; quando Siccio reca lolesi innanzi narr la vittoria , e le maniere

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del combattimento , e come il campo nemico era preso per le forze sue e degli ottocento suoi, spediti dal con sole a morire, e come infine le altre milizie combattute dai consoli ne furono ridotte a fuggire. Chiedca per tanto che non sapessero gra,do , se non a lui , della vittoria dicendo in ultimo : noi veniamo salve le per sone e le arme , n portiamo cosa niuna grande 0 picciola delle involate al nemico. Il popolo all udirli , impietosi, lagrim , vedendo la et , considerando la fortezza de valentuomini, e crucciandosi, e smaniando su chi voluto ne aveva privare la patria.. Sorseae, come era l intento di Siccio , l odio di tutti contro d e'co n soli. Il Senato stesso non soffri ci di buon anim o, n i decret per essi il trionfo o altro pe'fausti combatti menti Il popolo p o i, venuto il tempo della scelta dei magistrati, nomin Siccio tribuno , conferendogli la di gnit della quale era 1 arbitro. E tali furono le cose pi rilevanti operate in quell anno. XLVIII. Spurio Tarpeo, ed Aulo ( 1 ) Terminio pre sero il consolato per l aono seguente (2 }. Questi carez zarono di continuo il popolo con pi modi , come col previo decreto del Senato sumagistrati (3); imperocch
(1) Si consulti Sigonio su Livio. Di l si raccoglie che forse de* leggersi A Uria. (a) Anno di Rama oo secondo Catone oa secondo V arro ne, e av . Cristo. ( ) Cio che si potessero multare i magistrati arrogami o che trascendevano i limili dei loro poteri. Vedi o di juesto liuro. Nondimeno vi chi crede che vi si parli del senalusconsulto ftta emanare dai consoli perch li tribuni potessero fitr approvare tal

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vedeano che dal contrapporglisi non ridondava ai patrizj che invidia, odio, offese private, e sciagure per i pi ardenti nel sostenerli: e sbigottivali pi che tutto la ca lamit de' consoli deli anno precedente ; i quali soffri rono tanto dal canto del popolo, n trovarono soccorso niuno dal Senato. G per verit Siccio, quegli che avea coll espugnarne il campo, espugnato insieme 1 armata degli E qui, creato allora, come ho detto , tribuno , e fatti nel primo giorno della sua magistratura sagrifizj legittimi pel buon principio, intim avanti di ogni altra pubblica cosa a Tito Romilio di venirne al popolo ia tempo determinato per giusti ficarvisi intorno 1' abusata repubblica. E Lucio (i) allora edile e gi tribuno del l anno scaduto cit per eguale maniera Cajo Veturio , 1 altro de' consoli ultimi. Intanto prima che il d) sen venisse di quella causa facendo l uno e 1 altro degli accusati calde brighe e raccomandazioni, essi, come gi consoli, assai speravano su del Senato ; e teneano per leggero il pericolo , promettendo i seniori di quel ceto ed i giovani che non lascerebbero far tal giudizio. Ma i tribuni prevenendo tutto da lontano, e non valutando preghiere, non minacce, non pericoli ; appena giunsene il tem po, convocarono il popolo. Eransi gi riversati da campi in citt poveri e lavoranti in gran numero : or questi aggiunti alla moltitudine interna empierono il , Foro , e le vie che vi conducono.
popolo il progetto sa la formazione delle l eggi , eguali per ta l l i ; argomento allora d i contro versie, come apparisce dalle cose pre cedenti. (i) Forse Icilio tribuno dell anno precedente.

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XLIX. Introdotto per il primo il giudizio su Romi lio , Siccio fattosi avanti accus le violenze di lui nel suo consolato contro de* tribuni, e le insidie contro di s e della sua coorte nel suo capitanato. E qui de sol dati di quella spedizione allegatane per testinionj non i plebei, ma i pi distinti patrizj, e tra questi un giovine non ignobile per lignaggio e per virt private, anzi bonissimo in arme , Spurio Verginio di nome. Costui disse : che avendo egli voluto esimere da quella sper

dizione Marco Icilio , coetaneo ed amico suo, figlio di un tale della coorte, perch questi non uscisse in un tempo col padre a morire; e che avendo ottenuto da Aulo Verginio , zio suo , e luogotenente allora delle milizie di recarsi ai consoli, e chiederne questa grazia ; i consoli ebbero cuore di contraddirlo , ed egli f u ridotto al conforto misero delle lagrime, non restando a lui che deplorare la calamit dell amico : che l amico pel quale pregava, udito ci, sen venne, e chiesto di parlare protest che avea pur grandi gli obblighi agl intercessori suoi, ma che mai gradirebbe anche ottenutala una concessione che levavagli d' esser pietoso inverso del sangue suo : n mai si rimoverebbe dal padre quanto pi si avviava a morte, certa come tutti sapeano : anzi ne andrebbe con lui per difen derlo fin dove potrebbe , e correrne la sorte medesi ma. Or costui ridicendo tali cose , niun fu che non commiscrasse la sorte di tali uomini : ma quando poi chiamati, comparvero per attestarle , Icilio padre , e figlio, e narrarono ciocch era di loro ; non poterono i pi del popolo contenere le lagrime. P ero r , se ne

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difese Romilio, non ossequioso, non pieghevole ai lem* pi ; ma fastoso, e grande ne' concetti suoi, come non si avesse a dar conto del consolato. Adunque l ' ira ne crebbe de cittadini, e renduti arbitri di sentenziarne , deliberarono ripercoterlo, e condannarlo co'voti di tutte le trib ; talch la condanna fosse una multa di assi dieci mila. Siccio, sembrami, risolv ci non senza una previdenza : ma perch scadesse il .favor de' patrizj su costui, n facessero broglio nel darsene il voto, consi derando che la emenda era in danari e non altro ; e perch li plebei" fossero pi pronti a pronunziarne la pena, non dovendo spogliare luom consolare di patria, n di vita. Condannato Romilio fu dopo pochi giorni condannato eziandio Veturio. Anche la multa sua fu pecuniaria, ma suddupla di quella del collega ( 1 ). L. Sbigottirono e provvidero i consoli di quest' anno di non avere gli eguali trattamenti dal popolo dopo del consolato. Adunque non pi governavano misteriosa mente, ma con intento manifesto ai vantaggi del popolo. E prima stabilirono necomizj centuriati per legge: che tutti i tnagistrat potessero punire quelli i quali eccedevono o disordinavano i loro poteri , perch per ad dietro non altri che i corjsoli poteano far questo. Per
( 1) Cio di cinque mila assi. Ora ci sembra ragionevole; p e r ch essendo Romilio oppositore pi che Velurio de tribuni , d ovea sentirne danno maggiore. Nondimeno Livio afferma che Romilio fa condannato per dieci mila a s s i, e Veturio per quindici mila ; il che h a fatto interpretare la voce i f t i t X t o t per tetqm aluro cio per l altrettanto e m ezzo, che qui sarebbe quindici mila risp e tto del diecim ila: m a forse in vece di dee leggersi if tt r u .

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altro non lasciarono a punitori arbitrio nel castigare ; ma determinarono essi stessi la multa , limitandone a due bovi o trenta pecore la pi grande. E questa legge si osserv lungo tempo dai Romani. Dopo ci rimisero al Senato 1' esame della legislazione che i tribuni voleano introdurre comune a tutti, e per sempre. E di sputatosi molto damigliori quinci e quindi per ammet terla o no ; prevalse alfine contro l immaginare de' pa trizj e dei plebei la sentenza di Tito Romilio , che in troduceva 1' utile del pop olo pi che de' nobili. Certo concepivasi , che egli condannato ultimamente dal po polo, ne mediterebbe e proporrebbe tutto il male; ma pur quest' uomo , che era tra que' di mezzo per onori e per anni, quando interrogato per ordine dovette pa lesare ciocch ne pensava , disse : LI. Ben sarei, o padri, uno smoderato se volessi qui dire minutamente a voi , che vel sapete , quanto

ho sofferto dal popolo non per mie private ingiusti zie, ma per la benevolenza mia verso di voi; tuttavia ci ricordo per necessit, affriche vediate che io parlo per lo migliore , non per adulare il popolo , che m i contrario. N alcuno s meravigli, se io che fu i cC altro avviso pi volle, e quando f u i console , e prima , ora mutato mi sia subitamente ; n vogliate concepire che non bene consigliassi allora, o non bene mi ritratti al presente, lo finch v id i, o p a d ri, superiore lo stato de'nobili, lo favorii, come doveasi, non curando quello del popolo. Ma poich fa tto savio da mali miei, vidi a gran costo che il poter vostro minore dei vostri voleri ; e che vigandovi alla ne-

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cessit pi volte avete lasciato manometter dal popolo quelli die vi sostenevano , allora pi non tenni gli antichi pensieri. E ben vorrei che non fossero a me, n al collega mio succedute le cose per le quali voi tutti su noi vi condolete. M a poich fin ite sono tali nostre vicende, possiamo solo curar lavvenire, prov vedendo che altri non soffran lo stesso , vi esorto ad uno ad uno , e tutti insieme, che ordiniate in b ene , almeno il presente : imperocch felicissimamente go vernasi una repubblica , la qual si contempera alle sue cose; quegli il consigliero migliore che porge il parer suo per conto di utile pubblico, non di nimicizie private o furori; e benissimo lo porger su'tempi di poi chi piglia esempio delle cose futu re dalle pas sate. N o i, o padri, quante volte si disput, si con tese tra 7 Senato e tra l popolo , tante ne avemmo per alcun modo la peggio con m o rti, con esilj , con sfregi cF uomini insigni. Or quale sciagura maggiore per una repubblica che le si tolgano i cittadini mi gliori , e senza una causa ? Pertanto io vi esorto che questi ve li risparmiate; n gettiate i consoli presenti a manifesti pericoli, abbandonandoli poi tra la tem pesta , al pentimento. Deh ! che non gettiate ai peri coli niun altro qualunque, e sia pur egli piccolissimo per la repubblica. La principale per t delle cose che vi raccomando , che mandiate deputati , quali nelle greche citt et Ita lia , e quali in Atene ; perch vi cerchin le leggi migliori , e pi confacevoli d nostri costumi, e ce le riportino : che tornati questi, i consoli propongano al ^Senato , quali debbansi scegliere

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per legislatori, con qual potere , per quanto tempo , q cose altrettali come egli le creder spedienti : f i nalmente che lasciate le discordie col popolo , e di connettervi disgrazia a disgrazia ., principalmente per ifjia legislazione , la quale ha'seco, se non altro , un apparato almeno di maest. LII. Secondarono i due consoli il parer di Romilio con pi ragioni premeditate, e molti altri consiglieri lo secondarono ; tanto che la pluralit vi si decise. E gi gi se ne stetideva il decreto, quando Siccio il tribuno, quegli che aveva accusato Romilio sorse, e fattone elo gio copioso, ne laud la mutazione , e che non avesse anteposto le nimicizie sue all util comune , ma detto ingenuamente ci eh era il bene. Per tal merito, sog giunse , io gli rendo quest ossequio , e. questa ricono scenza : io lo assolvo dalla multa impostagli nel. giu dizio , e da ora in poi me gli riconcilio : perocch ci ha sopraffatto nel bene. Egli disse ; e gir altri tribuni presenti acconsentirono. Non sostenne Romilio di pren derne quel contraccambio ; ma lodati i tribuni protest che pagherebbe la multa, essere questa sacra ai num i: e non fa re cosa n giusta n pia, chi spoglia li numi di quanto si dee loro per legge : e cosi fece. Steso il decreto dal Senato., e confermato dal popolo , furono eletti a prendere le leggi da Greci Spurio Postumio , Servio Sulpicio, ed Aulo Mallio ( 1 ). Furono questi a
(1) I n Livio si legge P u b i. Sulpicio in luogo di Servio Sulpicio come scrivesi in Dionigi. Servio Sulpicio fu console l anno sg3, m a Puhlio non si trova che mai lo foste. Tanto Livio quanto Dionigi num erano Aulo Maulio tra i d e p u ta ti, ed . Aulo Manlio secondo

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pubbliche spese forniti di triremi e di ogni corred ; quanto si convenisse alla maest dell impero ; e cos l'anno spir. LUI. Nella olimpiade ottantesima seconda quando Lieo Tessalo di Larissa vinse allo stadio , e Cherofano era l arconte di Atene, compiutosi l anno trecentesimo dalla fondazione di Roma, creati consoli Publio Orazio, e Sesto Quintilio ( i ) , proruppe nella citt un morbo contagioso, il maggiore di quanti ne erano ricordati.1 Vi perirono quasi tutti i servi, e circa una met di cittadini. Non pi i medici avean cuore di curare gl'in fermi , ncn i domestici, non gli amici di porgere loro le cose necessarie ; perocch volendo assistere gli altri col tatto e col commercio ne contraevan i mali. Donde che pi famiglie si desolarono per deficienza di assi stenti. Non era la minima delle sciagure quella su la esportazion de'cadaveri, e certo era causa che il morbo non venisse meno subitamente. Su le prime per la ve recondia , e la copia de funebri apparecchi bruciavano o seppellivano i morti : ma poi curando poco la vere condia , o non avendo ciocch bisognava, ne gettavano molti nelle chiaviche, e pi ancora nella corrente del fiume. Dond che spinti ai scogli e alle arene delle riv e, sorgeane. danno gravissimo; perch spiccatasene
Dionigi fu console anno 380 : laddove in Livio seguasi in qu ell imuo per console G . Manlio. Se dunque i deputati e r a n o , comfe vernim i le , tutti uomini cousolari , il testo di Dionigi in questi luo ghi trovasi pi castigato che quello di Livio. ( 1) Aono di Roma o i secondo C a to n e , o secondo V a rro n e , e ^ 1 v. Cristo.

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un odor fetidissimo, il quale col corso de'venti causava subite mutazioni ai corpi anche sani. N lacqua portata dal fiume era pi buona da beverne; s per l'odor tri* sto , s per le ree digestioni che ne seguivano. N il male alla citt limitavasi, ma spaziava per le campagne: tanto che non poco ne fu dolente la turba de'contadini, empiutasi del morbo de'cavalli, de'buoi, delle pecore, e degli altri quadrupedi , tra' quali conversava. Finch il popolo ebbe scintilla di speranza che il cielo lo soc correrebbe, si diedero tutti alle espiazioni ed asagrifizj, introducendo ad onorificenza de'numi riti anche. insoliti, n convenienti: non s tosto per s'avvidero che i numi a loro non si volgeano, n li commiseravano ; si al lontanarono pur essi dalle pratiche sante. Morirono in questa calamit Sesto Quintilio l ' uno de' consoli, e quindi Spurio Furio elettogli successore, quattro tribuni, e molti rispettabili senatori. Or cos languendosi Roma, gli Equi destinarono di guerreggiarla, e mandarono alle nazioni nemiche di essa invitandole a prendervi parte. Ma non eransi ancora espediti a por gli eserciti in campo, ancora si apparecchiavano, quando la peste si mise pure nelle loro citt; scorrendo non gli Equi soli, ma i Volsci, e i Sabini con strage gravissima di uomini. Dond che lasciate inculte le campagne , sopravvenne alla peste la fame. Per tal morbo non fu sotto questi consoli operata in patria o tra le arme cosa niuna de gna di trasmetterla nella storia. LIV. Furono per 1 anno seguente dichiarati consoli Lucio Menenio, e Publio Sesto. In esso ( 1 ) fin la pe(1 ) Anno di Roma 3oa secondo C atone, 3 o4 secondo Varrone , e 45o av. Cristo.

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siilenza, e si fecero sagri fizj pubblici di ringraziameato, e spettacoli splendidissimi. La citt, com verisimile , dicdesi a' conviti e sollazzi ; e cosi ne and tutto T in verno. .Sorta la primavera , vi fu portato frumento in copia e di varj luoghi, il pi comperato col pubblico erario, e 1' altro condottovi da mrcadanti ; perocch il popolo eravi non poco travagliato pel disagio de viveri, essendone rimaste inculte le terre per le infermit e le morti degli agricoltori. Nel tempo stesso tornarono i deputati portando le leggi da Atene e dalle greche citt d Italia. Adunque ne andarono i tribuni ai consoli e richiesero che nominassero a norma dei decreti del Senato i formatori delle leggi. Conturbati'i consoli da tanto , non sapendo come espedirsi dalle visite e dalle istanze continue, n volendo altronde che il comando de' pochi si annullasse nel tempo loro ; opposero uno specioso pretesto , e dissero che erano imminenti i co mizj , che essi avrebbero prima ( e presto il farebbero ) a designarvi i consoli, e designatili, proporrebbero in sieme con questi ai padri la scelta de legislatori. Accordativisi i tribuni, essi intimarono i comizj. prima assai dell usato , e destinarono consoli Appio Claudio , e Tito Genuzio. Dopo questo omettendo, quasi gi fosser di altri, tutte le cure pubbliche, pi non davano ascolto ai tribuni , e solo miravano a sottrarsi di briga nel resto della loro magistratura. Occorse intanto che Menenio 1 uno de consoli s infermasse di una lunga malattia, e vi fu chi disse che il languore sopravvenu togli pei1 laffanno e per 1' abbattimento, la rendeva in sanabile. E Sestio sul titolo che egli non potea solo per

lirro

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agg

s far niente, respingeva le istanze detribuni, e voleva che si volgessero a nuovi magistrati. E questi non avendo altro modo, furono astretti in privato, e nelle adunanze pubbliche dirigersi ad A ppio, e suo collega, quantun que non avessero ancora preso il comando. Or gli ri dussero alfine qusti uomini, empiendoli di grande spe ranza di onori e di potere , se prendessero a cuore gli interessi del popolo. Imperocch Appio fu invaso dalI ambizione di avere una qualche nuova magistratura, di fondare leggi di concordia e di pace, e di far che tutti estimassero che la patria sola comandava su citta dini. Ornato per di una grand magistratura non vi si contenne ; ma inebbriaione da poteri sublimi, trascorse ai furori di perpetuarsela , e per poco non giunse alla tirannide ; come sporr ne suoi tempi. LV. Allora dunque cos pensandola con cuore buono, fino a persuaderne il collega, egFinvitato pi. volte dai tribuni alle adunanze , vi si condusse, e tennevi molli ed umani ragionamenti. I quali rigiravansi in questo

che piaceva a lui come al collega suo, principalmente che si destinasser le leggi, e si chetassero le discor die civili su diritti ; e diceano ci palesissimamente ; come pure che e ssi , perch non entrali al comando , non aveano facolt di nominare i costitutori delle leggi : 'che non si opporrebbero per modo alcuno a Menenio console e suo collega se. dava esecuzione al decreto del Senato , anzi che lo coadjuverebbero e ringrazierebbero : che se Menenio e il compagno re plica e protesta ( soggiungevano ) , che trovandoci noi designali per consoli, non pu nominare altre magi-.

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stretture le quali prendano podest pari alla consola r e ; noi dal canto nostro non saremo lostacolo della operazione : perch spontanei cederemo la nostra so prastanza, so cos piace in Senato, ai nuovi che sce glieransi in luogo de' consoli. Encomiava il popolo la buona volont di tali uomini ; e spintisi tutti in folla nella curia, Sesto ( non potendovisi trovare Menenio per la infermit ) costretto a convocare egli solo il Se nato, propose' la deliberazione su le leggi. Ren si disput quinci e quindi copiosamente, da chi lodava 1 essere comandato dalle leggi, e da chi chiedeva che si rite nessero le costumanze paterne : ma prevalse il parere de consoli designati propostovi da Appio Claudio , in terrogatone per il primo : vuol dire che si scegliessero dieci i pi cospicui tra padri : che comandassero su tutta la repubblica per un anno dal giorno della ele zione col potere che ci aveano i consoli , e prima re : e che fintanto che governavano i decemviri ces sasse ogni altra magistratura: che questi proponessero le leggi pi utili alla repubblica, scegliendone le mi gliori da quelle riportate pe deputati dalla Grecia , e dalle usanze della patria ; che le leggi scritte da de cemviri, approvate che fossero dal Senato e ratificate dal popolo , valessero per tutto F avvenire ; e che i magistrati che si creerebbero a norma di queste leg gi , discutessero a norma appunto di esse i conti cuti de' privati, e provvedessero al pubblico. LVI. Preso questo decreto , ne andarono i tribuni all adunanza, e le ito velo; assai vi encomiarono i padri, ed Appio che lo aveva proposto. Giunto poscia il tempo

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de* comizj, i tribuni convocatovi il popolo , fecero ve nirvi i consoli designati perch gli osservassero le pro messe: e questi presentatisi ; deposero il consolato. Non finiVa il popolo di encomiarli e lodarli : fattosi quindi a dare il voto pe legislatori, scelse a tal grado questi due per i primi. Imperocch ne' comizj per centurie furono eletti legislatori Appio Claudio, e Tito Genuzio, li due che doveano esser consoli l anno seguente : P u blio Sestio , console dell anno correule, li tre Publio Postumio , Servio Sulpicio , ed Aulo Mallio , i quali aveano riportate le leggi da Greci ; Romilio il console dell anno antecedente (i) il quale condannato per le accuse di Siccio dal popolo , fu poi sentito il primo a dir sentenze fautrici dello stato popolare: e tra gli altri senatori Cajo G iulio, Tito Veturio, Publio Orazio (a), personaggi tutti consolari. E cos furono sciolte tutte le magistrature di tribuni, di edili, di questori, e quante altre ven erano , proprie di Roma. LVII. Postisi nell anno seguente (3) i dieci in su gli affari, ordinarono cos la forma del governo. L uno di essi aveva le verghe, e le altre insegne dell' autorit consolare, convocava il Senato , ne ratificava i decreti, e faceva quanto ad un capo si appartiene : gli altri co ti) Cio del quinto anno addietro nel quale Romilio fu con sole insieme con Veturio* tanto che Dionigi qui riguarda geueralm ente I anteriorit de' tempi senza circoscriverla coll1 ultima a c curatezza. ( 3 ) L ivio scrive Curiazio in vece d i O razio. Forse i sbaglio dei s c r i tt i , e forse Dionigi e Livio attinsero a fonti diverse.
(3) Anno di Roma 3o3 secondo C atone , 3o5 secondo Varrone 449 avanti Cristo.

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siitutti come per un apparato popolresco il quale men si odiasse, poco si distingueano, a vederli, dal popolo: ma poi via via sottentrava un altro di essi periodica mente al comando per numero certo di giorni. Racco gliendosi tutti a consesso dal principio del giorno, trat tavano le cose private e le pubbliche ; dirimendo con tutta la equit e la dolcezza le controversie le quali ac cadevano co sudditi, con gli alleati , con ognuno di dubbia fede. Pertanto in quest anno parve lo Stato ro mano benissimo governato dai decemviri. Laudavasene soprattutto la sollecitudine inverso del popolo , e la di fesa pe deboli contra di ogni violenza : e dicevasi pub blicamente che non pi bisognerebbero a Roma tribuni ed altre magistrature, quando ordinava, tutto saviamente una sola, della quale Appio riputavasi il capo, e ri scuoteva egli solo dal popolo gli elogj per tutto il de cemvirato. Imperocch a lui davano fama purissima non' solamente le cose che egli facea di cuor buono insieme co' dieci, ma quelle che praticava costantissimo di per s co saluti, co nomi umanissimi ed altre degnazioni inverso de poveri. Or questi dieci compilando le leggi dalle leggi greche e dalle consuetudini non scritte della patria, le esposero a chiunque volesse ponderarle; uden done ogni rettificazione da privati, e contemperandole al pubblico gradimento. E gran tempo passarono con sultandone in comune co personaggi pi deg n i, e fa cendone sottilissimo esame. Or poi che parvero ad essi scritte a proposito, convocarono prima il Senato ; e niuno pi censurandole; vi si decretarono. Quindi adu nato il popolo per centurie, compite le cerimonie di

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vine , com' era il rito , da ponteGci, dagli auguri, e dagli altri sacri ministri , e restando questi presenti diedero alle centurie i voli perch sentenziassero. E siccome il popolo conferm queste leggi, le iscrissero su colonne di bronzo e le collocarono quindi nel Foro, scegliendone il luogo pi insigne. Quando infine rima nea loro appena poco tempo della magistratura convo carono i padri, e proposero a discutere su'comizj cioc ch era da fare. LVIII. Dettesi quinci e quindi pi cose, vinse final mente il partilo di chi consigliava che si tenesse ancora il decemvirato su la repubblica ; perocch compilata in picciolo tempo la legislazione non pareva in tutto ulti-* m ata, e pareva ancora che bisognasse un magistrato assoluto per obbligare, volessero o n o , tu tti, a quanta ne era gi stata decretata. Ma ci che gl indusse pi che tutto a preeleggere i dieci fu lintento di spegnere il tribunato, ciocch bramavano sommamente. Tali fu rono i risultali delle - pubbliche consultazioni : ma in privato i primi del Senato disegnavano procurare per s quel magistrato sul timore che introducendovisi uo-* mini turbolenti non cagionassero grandi sciagure. 11 po polo ricev con diletto, e ratific con pieno trasporto , dandone il voto , le sentenze del Senato. I dieci pre fssero il tempo de comizj , e li pi provetti e pi rispettabili de patrizj ambirono quel magistrato. F u qui molto encomiato da tutti Appio , il primo allora del decemvirato, ed il popolo volea confermarvelo , come se niun altro meglio di lui lo reggerebbe. Egli fingea su le prime di escusarsene, e chiedeva che lo esimes-*

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sero da un incarico, pieno di.travagli e d'invidia: ma poi stimolando velo tutti; fecesi a chiederlo novamente : anzi dolendosi dei migliori de competitori, come di animo non buono verso lui per la invidia ; favori gli amici suoi paesissimamente. Egli dunque ne'comizj per centurie fu creato per la seconda volta datore di leggi: e con esso lui furono creati Quinto Fabio detto Vibolano, gi per tre volte console ; ed irreprensibile fino a quel tempo in ogni bel costume : e tra gli altri pa trizj diletti suoi; Marco Cornelio, Marco Sergio, Lucio Minucio , Tito Antonio , e Mauio Rabulejo , uomini non molto chiari : de* plebei poi Quinto Poetelio, Ce sone Duellio , e Spurio Oppio. Aveaci Appio assunti pur questi per adulare il popolo col dire che 1 equit voleva, che , stabilendosi una magistratura unica su tutte le cose ; avessero parte iu essa anche i plebei. Applaudito in tutte queste cose , e parendone il mi gliore dei r e , e de soprastanti annuali ; prese la magi stratura per l anno che seguiva. Or questo e non altro quanto si oper degno di ricordanza nel primo de cemvirato presso de Romani. LIX. Presero nell' anno seguente la podest suprema i dieci con Appio alle idi di maggio. Allora i mesi regolavansi colla luna , e cadeva in quelle idi appunto il plenilunio. Or prima legandosi tra sagrifizj , arcani alla plebe , convennero di non contrariarsi mai fr a

loro, di ratificare tutti quanto ciascuno giudicherebbe: di ritenersi la magistratura in vita , n lasciare che alv i vi sottentrasse : di avervi tutti onore e potere eguali : di ricorrere di raro , e per necessit sola, ai

3o5 'voti del Sanato e del popolo , e di ultimare per lo pi le cose colP autorit propria. Poi venuto il giorno da pigliare il comando, ( questo giorno sacro ai Ro mani , e guardansi tutti di ascoltare o vedere cose non liete) fatto prima sagrifizio agl'iddi secondo il rito , uscirono ben tosto i dieci su la mattina con tutti i di stintivi di un regio potere (i). Come il popolo vide die non osservavano pi le maniere popolari e modeste di preminenza , e che non avvicendavan ira loro come prima i segni del comando supremo ; assai ne decadde nell* aspetto e nellanimo. Tem le scur messe tra'fasci portati da dodici littori dinanzi a ciascuno , i quali facean largo, dando de* colpi come prima al tempo dei re. Era stato questo costarne abolito ben tosto dopo la espulsione dei re da Publio Valerio, uomo popolare , quando ne succedette al comando. E parendo essere stato autore di ottima cosa; tutti i consoli posteriori fe cero come Ini, n pi misero tra' lsci le scuri, se non quando marciavano all'armata, o per altro intento usci* vano da Roma. O r quando portavano guerra agli esteri, quando visitavano i sudditi, assumeano le scuri ; perch 1' aspetto terribile di esse , come dirette contro de' ne* mici e de' servi, si rendeva men grave pe cittadini. LX. Veduto ci, che riputavasi il segnale di un re* gno , si tem, come ho detto , moltissimo, credendosi perduta la libert, e creali dieci per un solo monarca. Con tal modo sbalordirono i dieci la moltitudine : e
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( i ) Anno di Rom a a v . C tim a.

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secondo C a to n e ,

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secondo Varcat i*

D I O N I G I , tema I I I .

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A N T IC H IT R O M A N E

ferm i, che avrebbero a dominare per 1' avvenire col terrore; ciascuno fecesi un seguito di giovani i pi temerarj, e opportuni per esso. Ben era da aspettare, o sperare cbe i pi de' poveri e sciaurati si dimostrassero fautori della tirannide ; anteponendo 1 utile proprio al pubblico : ma non era da aspettare, n da sperare, e certo egli fu meravigliosissimo, che molti patrizj potendo grandeggiare per sostanze e per sangue soffrissero di opprimere co' decemviri la libert della patria. Costoro datisi a tutti i piaceri, quanti sottopongono T uomo , comandavano superbissimamente : e legislatori insieme e giudici, teneano per niente il Senato ed il popolo, ed uccidevano e spogliavano , conculcando ogni diritto. perch azini illegittime e biasimevoli sembrassero non indegne, anzi operate per giustizia; non si accingevano a farle se non previo un esame, ed un giudizio. Erano gli accusatori mandati da'fondatori stessi della tirannide, creati i giudici dal ceto de'loro amici; tantoch soleano questi in contraccambio sentenziarne per compiacerli. Molte cause per, n di poco rilievo, le definivano i dieci per sestessi. Cos quelli che erano per essere de fraudati del loro diritto , non trovando altro scampo , conducevansi necessriamente a renderseli amici. Ond che col volgere del tempo videsi la parte corrotta ed inferma maggiore della innocente. Imperocch coloro che v' erano conculcali da' decemviri sdegnavano di ri manervi , e si ritiravano nelle campagne , aspettandovi il tempo de comizj , quasi coloro finito 1 anno fossero per deporre il comando , ed eleggere nuovi magistrati. Appio intanto e i colleghi scrissero le leggi che rima-

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pevano in altre due tavole, e le unirono alle prime. In queste eravi tra le altre la legge, che non conccdeasi dp atrizj il matrimonio co*plebei: e ci non per altro, io credo, se non perch legandosi di parentado, non divenissero le due classi unanimi ne pensieri. Venuto il tempo de comizj si tennero saldi ne posti loro senza decreto alcuno del Senato o del popolo, con violazion manifesta delle patrie consuetudini, e delle nuove leggi. LXI. Dopo quest' anno correva la olimpiade ottante sima terza, nella quale Crisone Imereo vinse allo stadio mentre Filisco era l'arconte di Atene, intanto Appio Claudio riteneasi in Roma (i) la podest suprema, capo per la terza volta de' decemviri : e quelli che aveano con lui comandato 1' anno . antecedente , persistevano com' esso nel comando.
(i) Aodo di Roma 3o5 secondo C a to n e , 3o7 secondo V a rro n e , 447 C risto.

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DELLE

A N T I C H I T R O M AN E
DI

DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO UNDECIMO.

I. V o l g e h d o l olimpiade ottantesima terza nella


quale Crisone Imero vinse allo stadio mentre Filisco era l'arconte di Atene , i Romani annientarono il de cemvirato il quale governava gi da tre anni la repub blica. Ora io tenter descrvere dalle origini per qual modo , quali uomini, con quali cause e pretesti, se guendo la libert, si lanciassero a schiantare una si gnora che avea gi profonde le radici ; perciocch ne reputo la cognizione bella e necessaria principalmente al filosofo che contempla, ed all uomo di stato che amministra, per non dire a tutti. E certo molti non si

LIBRO XI.

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contentano eli conoscere dalla storia, solamente come gli Ateniesi ed 'i Lacedemoni vinsero, per esempio, la guerra col Persiano, affrontandosi in due battag lie na vali ed una campale contro un barbaro che avea tre milioni di uom ini, ssi che aveano appena cento dieci mila uomini insieme cogli alleati; ma vogliono pur co noscere dalla storia i luoghi ove occorsero , ed inten dere le cagioni per le quali si compierono le meravi gliose ed incredibili gesta , come apprendere quali fs-* sero i duci delle armate greche e persiane , n essere , per cos d ire , defraudati di cosa niuna fatta ne com battimenti. Imperocch dilettasi la mente dell uomo por* tata quasi per mano dai racconti alle opere, e come a vederle dopo ascoltatele. E quando gli uomini odono le civili vicende , non appagansi di udire la somma ed il termine degli affari, per esempio, come gli Ateniesi permettessero che gli Spartani demolissero le m ura, conquassassero le navi di Atene , ponessero guarnigione nella lor cittadella e vi trasmutassero il governo del po polo in quello depochi, senza nemmeno combattere (i); ma bentosto dimandano quali erano le angustie di quella citt, onde incorse in tali orrori e miserie, quali e di chi li discorsi che ve 1 acchetarono, e quanto seguita tali cose. Dilettarsi poi della contemplazione totale di quanto concerne gli affari comune a tutti, come agli uomini pubblici, tra quali colloco ancora i filosofi, quelli almeno che pongono la filosofia non gi nelle
( i ) Occorsero tali fatti n e ll'a n n o ultimo della guerra del P e lo p o n n e so ; come pu vedersi in Senofonte nel libro secondo lAAigrt-

%mit nel lb. l d i D io d o ro , n e l Lisandro d i Plutarco

3 lO

D EL L E ANTICHIT * ROM ANE

parole , ma neH esercizio delle opere belle. Ed oltre questo diletto i ne segue, che in tempi difficili prestino alle citt con tali cognizioni servigi amplissimi , e le indirizzino colla persuasiva, spontanee, verso quanto le giova. Imperocch gli uomini facilissimamente convinconsi di ci che giova o nuoce, quando lo apprendano pemolti esempj, e rendono testimonianza di perspicacia e di saviezza grande a chi con essi ammaestragli. Per tali cagioni piace aDche a me delineare diligentissimamente quant'occorse degno di ricordanza nell' abbattere il comando de' pochi. Io dunque ne parler, non per cominciando dalle cose ultim e, che pur sembrano a molti la cagione unica della libert, vale a dire dai delitti di Appio per gli amori della donzella; perciocch son questi un' aggiunta o piuttosto il termine delle cause dell ira del popolo , essendone precedute altre mille ; ma ne parler cominciando dalle prime ingiurie dedieci alla repubblica, e seguir mano a mano tutte le ingi stizie commesse nel governo di allora. II. La prima occasione di odio contro il comando
depochi sembra quella di aver sopraggiunto il secondo al primo decemvirato con dispregio del popolo, e con tro la mente del Senato. F u l altra causa, che bandi rono , o spensero con mentite indegnissime accuse Romani .pi autorevoli, perch non approvavano questi le operazioni loro. I decemviri traevano da proprj ade renti chi gli accusasse, e poscia essi stessi ne giudica vano (i). F u soprattutto cagione di odio concedere ai
( ) Pi fi volle, e non M m pre, come apparisce dal libro precedente.

LIBRO X I.

3 II.

giovani pi baldanzosi, che ciascuno avea d intorno a s , di menare o portar via ciocch' era de' contrarj al governo. Q uesti, quasi fosse la patria espugnata colle arm i, ne toglievano non solo gli averi di un pssesso legittimo ; ma ne oltraggiavano le mogli belle, e le nubili figlie ; battendoli come gli schiavi, se riclamava no , e riducendo quanti ne credevano intollerabile il giogo , a lasciare colle mogli e co figli la patria , ed alloggiarsi nelle citt vicine, ricevutivi daLatini in forza de parentadi , e dagli Ernici per essere stati di fresco creati cittadini da' Romani. Di guisa c h e , come per s Verisimile, non vi restarono in (ine se non gli amici della tirannide, e quelli in somma che niente curavansi della repubblica. Imperocch non rimasero in citt li patrizj, perch n voleano adulare que despoti, n po teano traversarne le opere ; n vi rimasero nemmeno, gli ascritti al Senato i quali doveano per necessit star pronti pe decemviri : ma i pi trasferendosi con quanto aveano in famiglia , dimoravano, abbandonate le case, per le campagne. Non dispiaceano gli allontanamenti de grandi personaggi agli amatori del decemvirato per pi cause, e principalmente perch i pi giovani di questi erano divenuti non che scellerati, molto insolenti, nc poteano tollerare l aspetto di quelli , innanzi dei quali doveano arrossirsi della loro impudenza. 111. Derelitta, cosi la. citt dal fior degli uomini ( i ) , e cadutavi ogni libert ; gli Equi gi vinti da Romani, cogliendo la occasion propizia di combatterli, di con e
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fi) Anno di Roma 3o5 second Catone, av. Cristo.

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secondo Verrone

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traccambiarli delle ingiurie sostenutene, e rivendicarsi quanto perduto ci aveano, apparecehiaronsi all'arm i, e marciarono con grandi eserciti contro di le i, malconcia pel comando de pochi n idonea a tener fronte, n a' concordarsi, n a curar finalmente i pubblici affari. I Sabini contemporaneamente invasone il confine, e fattavi amplissima preda e strage di agricoltori , stavansi ac campati presso di Greto, citt presso, il Tevere, lontana cento quaranta stadj da Roma (i). Gli Gqui riversatisi coll esercito su le terre de Tuscolani, adjacenti alle loro, e devastatone gran tratto, si stavan col campo nel castello dell Algido. Come i decemviri udirono la in cursione , spaventati convocarono i ceti de loro parti giani , e vi consultarono ciocch fosse da fare. Parve a tutti che si mandasse 1 armata di l da confini, n si aspettasse che giungessero le soldatesche nemiche a Ro ma. Dava loro per gran pensiero primieramente se dovessero chiamare alle arme tutti i Romani, anche gli indispettiti contro del governo ; e poi come avessero a fare la iscrizione delle milizie se co metodi austeri ed esosi de re e de' consoli, o con altri umani e benigni. N par c a loro cosa men grave a discutersi, chi dovesse decretare la guerra , e le leve, il Senato o il popolo, o niun d essi , come sospetti , ma i decemviri. Dopo
(t) Cluverio nell Italia antica lib. a pania alterato queste num ero di s u d j . E r i 4 chi pensa che debba leggerti Regio in luogo d i E reto : alla qoal senleata favorisce Stefani) Bizantina il q u a le segna Raglilo tra le citt S ab in e. M a h meglio d i concordare con L ivi il quale sc riv e: rceplo ad E retu n agitine castra locarli. Vedi $ \ s -di questo lib ro .

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XI.'

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molte deliberazioni risolverono di convocye il Senato t e far s cbe vi si decretasse la guerra, e si permettesse loro di arrotar le milizie. Imperocch lusingavansi in prima c h e , decretata cos 1 un^ e 1*altra cosa , vi sa rebbero tutti pi docili, massimamente essendo abolita 1 autorit tribunizia, la sola che potesse contrapporsene agli ordini ; e p o i, che dando essi vista di servire al Senato , e di eseguirne i voleri, parrebbono intrapren dere coll autorit delle leggi la guerra. IV. Cos risolutisi, e preparatisi tra congiuuti e gli amici, quelli che perorassero in Senato la sentenza ad essi proficua, e ribattessero chiunque le si opponeva , recaronsi al Foro, e stabilitone il banditore, ordinarono, che chiamasse ad uno ad uno li senatori. Ma niun ve recondo davagli udienza. E proseguendo il banditore a gridare i lor nom i, n presentandosi alcuno fuori che gli adulatori pi infami della oligarchia ; gli astanti nel Foro prendeano meraviglia che essi i quali mai per ad dietro aveano interpellato il Senato , sapessero allora la prima volta che eravi in Roma un consesso di valenti uom ini, a quali spettavasi discutere il bene della co mune. Veduto ci , si applicarono i decemviri a cavare i senatori dalle case; ma udendo come le pi ne stes sero vuole, differironsi al giorno seguente. Intanto spe dendo per le campagne li richiamarono. Empiutosi il Senato , Appio il capo de decemviri, fecesi innanzi e disse che portavasi a Roma la guerra da due p a rli, quinci dagli E qui, e quindi da'S abini; tenendovi un discorso artifiziosissimo, indiritto a far votare la leva flelle milizie, e condirle immantinente in capipagna,

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non permettendo 1 affare che s'indugiasse. O r lui cosi dicendo insorse Lucio Valerio soprannominato Potilo , uomo che grande teneasi pe'grandi genitori: certamente era stato padre di lui quei Valerio il quale espugn Erdonio sabino l invasore del Campidoglio, e ne ritolse il forte, morendo egli poscia in battaglia ; ed avo pa terno eragli stat Poplicola , colui che cacci li monar chi , e mise il governo degli ottimali. Or vedendo Ap pio che costui elevavasi, e temendone conlrarj discorsi ; non questo , disse, o Valerio il tuo luogo, n spet

tasi ora a te d parlare : ma quando li pi anziani e pi riguardevoli avran detto: allora tu pure invitalo per la tua volta dirai ci che te ne piace. Or taci e siedi. Replic Valerio : non io sorgo a dire su que* ste cose; ma su di altre pi grandi e pi necessarie f che io giudico che dehhansi ascoltare innanzi dal S e nato. Decideranno essi 'che odono qual sia cosa pi necessaria da udirla , quella per cui voi ci avete qui convocato, o quella che vi sar da me disputata. N on impedire dunque il parlare a me che sono un sena tore , un Valerio , un che vuol favellare intorno la salute della repubblica. Che se in ci siegui la osti nazione tu a , come in tutto ; a quali tribuni ricorro io m a i , se lo avete voi tolto quel rifugio degli op pressi ? Se non che pu darsi mai minor male di questo mio m ale, vuol dire che io che sono Valerio, F uno dei P o titi, io come uno degl infim i non ot tenga il mi dritto ; ma trovimi bisognoso di tribuni i quali m e lo rivendichino ? M a giacch noi siam privi di quei li; invoco voi tutti che avete preso colla

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vostra magistratura t autorit pur di essi , e che la citt dominate. N ignoro gi che indarno io fo que sto ; ma vo rendere a tutti manifesta la vostra con giura ; come avete per essa conturbato la repubblica , e v avete tutti un sol cuore. A n zi te solo invoco, o Quinto Fabio Tribolano , te chiaro gi per tre con solati, se pur serbi ancora t animo stesso. Che non sorgi e non soccorri gli oppressi? I l Senato non mira che in te.
V. Vergognavasi Fabio al d ir di V alerio; ma sedea senza rispondere : Appio non di meno e gli altri dieci levatisi dalle lor s e d i, gli vietarono di parlare. O r qui suscitatasi turbolenza grande in S en ato , e corucciandosene i pi de' m em bri, gli amici principalmente che giudicavano che colui come gli altri, parlato vi avrebbe dirittamente ; sorse Marc Orazio, cognominato Barbato , un discendente dell'Orazio, compagno gi nel consolato a Publio Valerio Poplicola dopo la espulsione dei re. Valevole questi nell a rm e , n impotente nel dire , era antichissimo amico di Valerio : n pi contenendo la rabbia grid : Tu mi necessiti o Appio a spezzare

bentosto ogni fren o ; poich voi non serbate pi moderazione; ma presentate un Tarquinio in voi, quando non permettete che parli chi vuole della salute della repubblica. V i forse andato via dal pensiero che vivono n Valerj i discendenti degli espidsori dei re, che serbasi ancona la prosapia degli Orazj, solili per esempio paterno di attaccare soli o con altri gli op pressori della patria ? O riputate n o i , come tutti i R om ani, codardi a segno, che basti loro che lascinsi

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vivere , n sian per dire o fa re cosa niuna per la libert della patria, e per la franchigia del perorare?, o la grandezza v inebri del potere ? Chi siete ? o quale autorit dalle leggi v avete voi che inibite a Valerio e ad altri senatori il parlare? N on fo ste voi dichiarati per un anno presidenti del comune ? non scaduto il termine del vostro comando ? Non siete ora voi per legge altrettanti privati ? E macchinate che niun tratti di tali cose col popolo ? E che impe disce , che chiunque di ni lo vuole , intimi un adu nanza, e vaccusi il potere che voi tenete contro ogni legge ? Fate che votisi da' cittadini, se debba restare il comando de dieci, o se debbano i patrj magistrati ristabilirsi. Se il popolo infatuato lo tollera ; rilenetevel pure il vostro magistrato : e se giusto credono il vostro procedere; impedite pure che altri dica cioc ch vuole per la patria; giacch degni siamo di tanto e di peggio , se vi tomiam tra le mani ; degradando con vilissima vita la dignit nostra, e degli avi.
VI. Egli parlava ancora , quando i dieci lo circon dano vociferando , ostentando 1' autorit de' tribuui , e minacciando precipitarlo, se non tacea, dalla rupe. R e clamarono tutti a tan to , come se la libert loro si op primesse ; e tutto il Senato fu pieno di dispetto e di turbamento. Come viefero i dieci irritato il Senato , pentjronsi bentosto delle loro proibizioni e minacce. E per essi facendosi a parlare Appio, e chiedendo che si chetasse per un momento il tu m u lto , e chetatolo ; S e natori , disse , noi non abbiamo interdetto ad alcuno

di voi che parlasse al suo tempo ; ma solo abbiamo.

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represso chi vlea nobilitarsi perorando, o chi sorgea


p er fa r ci prima che gli convenisse. Laonde non

vogliate sdegnarvi: N oi lasceremo che O razio, che Valerio , che chiunque parli al suo tempo , purch non parlino di altro che delle cose le quali venuti siete a discutere. Che se piuttosto che aringare di queste, diansi a concitare voi e spargere dissidj nella patria ; noi abbiamo o Marc Orazio la facolt di reprimere li sediziosi, e ci si dava dal popolo quando concentrava in noi col suo voto i poteri de' tribuni e de9consoli. N il tempo ne , come tu pensi, spirato. Imperocch noi non fum m o eletti per un anno , o per altro tempo circoscritto, ma finch avessimo com pita la legislazione. Quando avrem dunque finito quanto ci st nel pensiero , e stabilite ancor le altre leggi ; allora deporremo il comando , e darem conto delle nostre operazioni a chiunque di voi pi lo vo glia. Intanto punto non cederemo deli autorit consolare , n della tribunizia. Ora chiedo che prima i vecchi tra voi come porta la usanza e il decoro , poi che g t intermedj , ed in fin e che i giovani dicano su la guerra , via via ci che dee fa rsi per abbattere il pi presto e nel modo migliore i nemici.
VII. Ci d e llo , invit per il primo Cajo Claudio Io zio suo : e questi levatosi in piede, cos ragion : Poi

ch , o padri coscritti , Appio , onorando come a lui si conviene, il parentdo che ha m eco, Vuole che io per il primo dichiari il mio parere : e poich deggio dir ci che penso intorno la guerra degli Equi e dei Sabini ; avanti che io mi palesi, vorrei da voi rsa-

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pere, quale speranza inanimasse questi popoli a por tarci la guerra, e depredarne le terre, quando essi jinqul teneansi ben contenti ed assai ringraziavano gli D ei, se lasciavasi, che godessero in pace le uniche loro campagne. Se ci sapete ; voi saprete ancora il mezzo bonissimo onde svolgervi da questa guerra. Questi udito avendo, n a torto ( giacch il vero ne udirono, n f a d'uopo allegarne le cause, a voi che le conoscete ) che l interno della patria da gran tempo agitato e malconcio , che n il popolo n i patrizj stan di buon animo verso chi li governa ; concepivano che se oltre i mali dom estici, venivaci addosso esterna guerra, e se volevasi cavare un ar mata a difendere il territorio, n i cittadini per es sere alienati da capi loro , onderebbero tut spon tanei a dare come per lo passato il giuramento mi litare , n i capi stessi punirebbero col rigor delle leggi chi non accorreva, timorosi di causare un male maggiore : laddove se altri ubbidivano e prendeano le a rm i, fuggirebbero poi dalle bandiere ; o se vi restavano , non combatterebbero che per perdere. Or tali concetti non erano inverisimili ; perch quando la citt , tutta unanim e , colta dalla guerra , e chi regge e chi retto ne apprende Futile stesso; allora tutti vanno ardenti al cimento , n sgomentami a travaglio o pericolo. M a quando la repubblica , tro vandosi inferma in sestessa , esce in campo a com battere , prima d i riordinare il suo interno : quando la moltitudine pensa che non esponesi per F util suo, ma perch altri la predomini pi, saldamente; quando

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i capitani han contrarie le fo rze proprie nommen che le altrui ; sconcertasi allora anche il resto , ed ogni f rza basta a debellare e distruggere tali milizie. VIII. T ali sono o padri coscritti i riflessi, a quali confidandosi gli Equi e i Sabini, invasero le nostre regioni. Che se ora mal soffrendo noi che questi in* vaniscano e ci dispregino decretiamo, irritati come siamo , di uscire cantra loro coll' esercito ; temo che ci avvengano , anzi convinto sono che ci avverranno i mali antiveduti da essi. M a -se innanzi ristabilito avremo le cose che son le primarie e pi importano, come sarebbe il buon ordine della moltitudine, e che la cosa stessa apparisca utile a tu tti, rimovendo dalla citt la ingiustizia e la soverchieria che vi do m ina, e rendendo Cantica form a al governo; in tal caso sbattuti quelli che ora inorgogliano , e gettate le armi) verranno a noi tra non molto per saldarne le ingiurie, e trattare 'a pace : e noi, ciocch i savj tutti desiderano , potrem fin ir senza le a rm i, la guerra con essi. Or ci considerando, poich s grave tra le mura la turbolenza ; io giudico che dbbasi per ora sospendere ogni cura di guerra, e concedere a chi vuole di proporre mezzi d concordia, e buon ordine interno. N oi chiamati d a ' questo magistrato non abbiamo potuto gi prima di essere addotti a questa guerra, consultare su lo stato de nostri pub blici a ffa ri, e conoscere s e ,sconcio alcuno ci avesse. E d ora assai riprensibile sarebbe ch i , lasciata la occasione , cercasse di altro discorrere : e niuno dir pu con sicurezza che trascurato questo tempo, come

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D E L L E A N T IC H IT R OM A N E

men congruo, un altro ne avremo pi acconcio. A n zi se alcuno vuol concludere V avvenire dal passato ; trascorrer gran tempo senza che possiamo qui riu nirci per deliberare. IX. Jo prego te , A p p io , e voi tutti presidenti di R om a, voi che dovete provvedere non al bene vostro privato , ma a quello di tu tti, a non corucciarvi, se io parlo secondo la verit, non secondo il genio vo stro. Voi dovete por mente , che io p arlo, non per malignare, o vilipendere il vostro magistrato; ma per additare , se pur vi , una via di salvare, e diri gere la repubblica, dopo mostratine i flutti da quali sbattuta. Quanti han cara la patria, debbono forse qui tutti discorrere d e lt util comune, ma io princi palmente. Imperocch io debbo per la onorificenza fa tta m i dar principio ad opinare : e saria vergogna e stoltezza grande, se io che sorgo il primo non di cessi le cose che prime son da correggere : Appresso trovandomi io zio paterno di Appio il capo decem viro, accade che pi di tutti mi consolo, o rattristami secondo che bene o non bene governano la repub blica. Aggiungi che ho io ricvuto da maggiori miei la civil consuetudine di curare anzi V utile pubblico che il mio , senza guardare privati pericoli; n io, la tradir io questa civil consuetudine, n profaner le gesta di que valentuomini. O ra, cke il governo presente male a noi si conviene anzi cke incomoda , direi quasi tu tti; siane questo F argomento gravissi mo , che quanti trattavano le cose civili ( n gi po tete voi soli ignorarlo ) ritiram i ogni giorno da R o

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m a, lasciando le paterne case deserte. Qual de'plebei pi riguardevoli trasferisce la propria sede colle mo gli e . cofig li nelle citt pi vicine,. e quale nelle campagne pi lontane da Rom a: E molti de'patrizj nemmen essi in citt se ne vivono, ma li pi si di morano per le campagne. Ma che giova parlare degli a ltri , quando appena in citt se ne stanno alcuni pochi senatori uniti a voi per amicizia o per sangue, e cercan gli altri la solitudine pi che la patria? E quando voi v'aveste il bisogno di adunare il Senato, tornarono invitati ad uno ad uno dalle campagne ' que dessi che soleano insieme co magistrati guardare la patria , n mancare mai da affare niuno della re pubblica. Or che pensate voi che g li uomini abban donando, la patria figgano i beni o li mali ? certo che i mali. E f essere abbandonata/ da' plebei , de relitta da pcVrizii senza incontri di guerra , d i pesti lenze , e di altri disastri mandati dal cielo, ella sciagura questa non seconda a niuna per una citt , massimamente per R om a , la quale abbisogna di molte m ilizie, tutte sue ; e vuoi dominare stabil mente su vicini. X. Volete udir voi le cagioni che riducono i po poli ad abbandonare i templi e le tombe degli a v i , e lasciar diserti i poderi e le case paterne } e cre dere ogni altra terra pi necessaria della ^piria? Certamente tali cose non avvengono, senza cagioni, ed io sporrovele queste, non occulterowele. M oke Appio sono le accuse e di molti sul vostro magiV t O N I - Q I , tomo I I I . . xi

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

strato : vere o fa lse che siano , noi cerco per ora : certo che vi si fanno. Niuno , se non del vostro se guito, trova il ben suo nell'ordin presente. I grandi, fig li pur essi di grandi, a quali spettavano i sacer dozi , le magistrature, e gli altri onori goduti dai loro pad ri, frem ono d i essere da voi respinti e tolti dalle dignit degli antenati. Quei del ceto di mezzo che cercati la calma del vivere , v imputano lo spo glio ingiusto de beni loro , lamentano il disonore che fa te alle lor m ogli, la effrenatezza verso le loro figliuole nubili, ed altri oltraggi molti e gravi : e la parte pi bassa del popolo, non pi arbitra per voi de voti e delle elezioni, non pi chiamata alle adu nanze , n partecipe di alcuna civile uguaglianza, ve ne maledice appunto per questo , e tirannico chiama il vostro governo. XI. Ora come voi correggerete questi abusi, come la lingua, incolpati che ne siete , accheterete del po polo ? questo ci, che rimanemi a dire. Facciane il Senato previamente il decreto : fa te che il popolo deliberi, se torni a lui meglio ripristinare i consli, i tribuni e gli altri magistrati della patria, o conti nuare l ordin presente : se tutti i Romani avran caro il comando de pochi, e dinoteran co lor voti , che ve lo abbiate voi questo comando ; voi terrete un magistrato legittim o, non violento. M a se vorranno d i nuovo i consoli, di nuovo gli altri magistrati ; voi sarete decaduti per legge , n pi crediate dominare , se non da tiranni su gli eguali, non prendendo gli ottimati il comando , se non da cittadini spontanei.

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E nel fa r questo , o A p p io , tu dei dar principio, e tu disciogliere un comando da te stabilito , utile un tempo , ed ora nocevole. E tri odi ciocch ne guada* g n i, se mi ti arrendi, se ne deponi codesto malve duto comando. Se li tuoi colleghi a ci sindurranno ; ciascun dir che buoni fa tti su l' esempio tuo vi si indussero : laddove se questi si ostinano a tenere un dominio illegittimo ; sarai tu benedetto che volesti, almen solo , compiere il giusto ; mentre i contumaci saran con infamia e danno gravissimo degradati. Che se mai ( lo che potria ben essere ) firmato v' aveste infra voi secreti trattati e parole, pigliandovi i Dei per mallevadori, f a pur conto che siasi empietade osservarli, e vera piet vilipenderli, come contrarj ai cittadini, e alla patria. Imperocch sogliono i numi esser presi mallevadori su gli accordi buoni e giusti; non su gl ingiusti e vergognosi, Xlf. Che se tu esiti lasciare il comando per timor de nemici, sicch non ten venga pericolo ; n sii stretto a dar conto delle opere tue ; certo non. ra gionevole questo timore. Non s picciolo } non s sconoscente il Romano da ricordare i tuoi sbag li, e scordare i tuoi benefizj : ma contrapponendo i beni presenti ai mali passati giudicher degni questi di perdono , e quelli di lode. Potrai tu rappresentare al popolo le tante belle tue gesta innanzi del Decem virato , cd in vista di queste ottenerne ajuto e sal vezza , e difenderti in pi modi dalle accuse, come ad esempio, che non eri tu che abusavi, ma un altro senza tua saputa: che non bastavi a reprimerlo come

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tuo pari: o che eri necessitato a soffrire per averne altra cosa pi utile. M a troppo lungo sarebbe il di scorso , se numerare volessi tutti i modi delle difese.

Coloro che non han discolpa niuna giu sta , n plau sibile , pur confessando il delitto , e raccomandan dosi, ammolliscono il cuor degli o ffe si, con allegare il poco giudizio degli a n n i , la pravit de' compagni. la vastit del comando, o la sorte che travia ne cal coli loro tutti i mortali. Or tu se deponi il comando, tu ri avrai, lo prometto , amnistia generale de man camenti , e riconciliazione col popolo, decorosa in mezzo de' mali. XIII. Ma io tem o, che il pericolo siati pretesto non vero a non lasciare il comando ; essendo a mille riuscito di rinunziar la tirannide , n scontrarne a l cun danno da cittadini. Le cagioni non dubbie sono uri ambizione vana che cerca le apparenze di una gloria vera, una propensione pe ' rei piaceri , quali il vivere concedegli de tiranni. Ma se pi che andar dietro alle im magini, e alle ombre degli onori, e de piaceri , ne vuoi tu ci che solido; rendi alla p a tria la tua preminenza, ricevi le dignit dagli eguali tuoi , acquistati la emulazione de posteri, e lascia loro in luogo del mortale tuo corpo , sempiterna la fam a. Questi sono gli onori fon d a ti e veri, questi gtindelebili e cari n rincrescevoli mai. Pasci l'animo tuo de beni della patria : gi non parrai di aver gliene dato la menoma parte , liberandola da signo ria cos dura. Prendi esempio dagli antenati, consi dera che niun d essi mise afftto ad un potere di

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spotco , n f u lo schiavo vilissimo de piaceri del corpo; eppur' furono onorati in v ita , e morii sono celebrati da posteri ; giacch tutti fa n loro testimom anza, che furon custodi fidissim i dell aristocrazia y che Roma fo n d , dopo espulsi i monarchi. Non di menticare i detti , non i fa tti tuoi gloriosi; perciocch belle pur furono le prime tue mosse nella repbblica, e pur grandi per la speranza, che davano della tua. virt.. Deh ! che siano consentanee ancor le altre tue-, opere. Deh ! ritorna a quella indole tua Appio f i gliuolo : sii nel genio del governo un ottimate , non un tiranno. Faggi quelli, che adulando , ti parlano, quelli pe quali , se lungi dalle utili istituzioni , er rante dal diritto sentiero, gi' non & te r is im ile ,
C HE A L T R I S IA D I BEL NUOVO R fffD U T O BUO NO , V A C H I G I PESSIMO LO REND .

XIV. Quante volte dir ti-volli tali cose da solo a solo , per instruirviti dove le ignoravi, o per ammo nirtene, dove vi mancavi! N gi venni, per ci sola una volta in tua casa, ma i servi tuoi, me ne riman darono , e con dire , che non avevi tu ozio da intrat tenerti con un tuo congiunto; ma cke avevi a fa re cose pi necessarie ; seppur v cosa pi necessaria della piet verso i suoi. Forse i tuoi servi i ci co noscendo , mi vietarono di per s stessi C entrata , non per tuo comando. i? ben io vorrei, che cos fosse. Certamente questo mi ridusse a parlarti di ci che io volea nel Senato, non avendolo mai potuto da solo a solo. Ma le buone, e le utili cose dovunque, o Appio j son da dire tra gli uomini, piuttosto che

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DELLE ANTICHIT*'ROMANE

sempre tacerle. E che io a te rendessi gli offizj do vuti alla nostra prosapia; ne attesto gl Iddj de quali noi dellAppio sangue veneriamo i templi e gli altari con sagrifizj comuni: ne attesto i genj degli antenati, d quali porgiamo del paro gli onori secondi, e li ringraziamenti, dopo de' numi : e soprattutto attesto questa terra, la qual tiene nelle sue vscere il padre, ed il fratello m io, che io dedicava a te la vita e la voce per suggerire il tuo meglio. Pertanto desideroso di rettificare, per quanto io posso , gli sbagli tuoi ti prego a non rimediare male con male ; a non per dere le cose tue mentre aspiri ad altre pi grandi ; e finalmente a non dominare agli eguali e d maggiori , ed essere dominato dapi v ili, e pi tristi. Se non che, volendoti io ragionar di pi cose e pi a lungo, non so ridurmici : perocch se Dio ti rivuole a buon senno; sopravvanzan le cose anzidette: ma se ti ab bandona al tuo peggio, sarebbero indarno , quante io ne aggiungessi. Eccovi, o padri coscritti, e capi tutti di R om a, il mio sentimento per dar fin e alla guerra, ed ordine alla repubblica perturbata. Se altri tien cose migliori a ridirne ; vincano pure le ottime.
XV. Cos disse Claudio ; assai speranzandosene i pa d r i , che i Dieci deporrebbero il loro magistrato. Non replicava Appio nulla in contrario ; quando fattosi in nanzi Marco Cornelio altro Decemviro disse : Non ab

bisognano, o Claudio, i tuoi consigli: su ru tile no stro provvederemo noi da noi stessi; perocch tale appunto la nostra et, da non disconoscere ci

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che ne giova, n scarsi sietmo di am ici, cui consul tar nel bisogno. Pertanto dispensati d opra intem pestiva ; non dare o gran vecchio consigli, ove nons ne richiedono. Che se vuoi di cosa alcuna ammo nire , o pi propriamente , inveira su di Appio ; in veisci a tua voglia, ma quando s fu o r di Senato. Quivi entro per d ci, che ten pare su la guerra co'Sabini, e con gli E q u i, circa la quale se chiesto del parer tuo ; e cessa da vaniloqui fu o ri di argo mento. Sorse a tai voci Claudio nuovamente tutto me sto , e pieno gli occhi di lagrim e, e disse : Appio o pa d ri , Appio , presenti vo i, non reputa me , lo suo z io , degno nemmeno di risposta. Egli precludami, quanto da esso , il Senato, come gi la sua casa. A n zi levam i, a dirlo pi veramente, dalla citt ; perocch non io potrei rimirarvi di buon occhio un indegno degli antenati , un emulatore de'' tiranni. Io dunque raccolti i m iei} e le mie cose , vommene tra i Sabini , per abitarvi la citt di Hegillo, dond1 la origine m ia, e tenermivi finch questi trionfano nel s bel magistrato , ma quando ( n dee molto tarda re ) fia di questo decemvirato , ciocch ne antivedo ; allora tra voi mi render. M a ci basti su me. Quanto alla guerra, e sue cose, consigliavi o p a d ri, che non diate sentenza niuna, finch i nuovi magistrati non si abbiano. Cos dicendo, e svegliando grandi ap
plausi nel Senato pel maschio e libero suo spirito ; se dette. E qui rizzandosi in piede Lucio Quinzi? Cin cinnato , Tito Quinzio Capitolino , Lucio L ucrezio, e tutti i primarj tra i senatori, seguirono il parere di Claudio.

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D E L L E A NTICHIT* R OM A N E

XV I . Conturbatine i colleglli di Appio ; risolverono di non pi chiamare, a dir la sua m ente, niuno in vista degli anni, e dell' autorit sua nel consigliare; ma solo in vista della intrinsichezza, e dell'aderenza con esso loro. E qui pro cedendo in mezzo, Marco Cornelio fe sorgere Lucio Cornelio il fratello suo, uomo operoso n infacondo nella ragione politica, e gi compagno di consolalo a Quinto Fabio Vibulano, mentre Fabio eraconsole per la terza volta. Ora costui sorto disse : Egli m irbile , o padri, che uomini d tanta et quanta

ne han quelli li quali hanno prima opinato, e li quali cercano primeggiar nel Senato, portino per, gare politiche, un odio implacabile ai capi dello sta to , quando dovrebbero, quanto duopo difenderli, animare i giovani a combattere intrepidi per la buona causa, e tener per am ici, non per nimici sosteni tori del pubblico bene. M a molto pi mirabile egli , che trasferiscano la malvolenza privata alle cose della repubblica , e vogliano anzi perir co nemici, che con tutti gli amici salvarsi. Eccesso di fu ro re, e direi accecamento divino egli questo; eppure cos li capi si comportano del nostro Senato. Sdegnati questi che nel concorrere al decemvirato, che ora ac* cusano , furon vinti da altri che apparver pi idonei, fa n loro eterna , irreconciliabile guerra: e s stolida, e s furiosa ; da rovesciare da capo a fondo la pa tria , per calunniare presso voi li Decemviri. Vedon essi In nostra regione in preda a nemici : vedono che ornai giungono<a R om a , giacch breve lo spa-' zio che ne li separa; ed in luogo di esortare, e di

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incitare i giovani a combattere per la patria, e di soccorrerla essi stessi con tutta la diligenza, e F or dor , quanto la et loro ne ammette; vogliono che ora voi provvediate ad ordinare il governo , a creare nuovi m agistrati, e fa r tutto piuttosto, che conqui dere gF inimici : n san vedere che danno sentenze , anzi che tengono desiderj impossibili. XVII. E certo, fa te cos ragione : il Senato emani il decreto de'1comizj : i Decemviri lo riferiscano al popolo , destinando il giorno del terzo mercato dal giorno presente ; perocch, e come sar mai valido ciocch si vota dal popolo, se non compiasi a norma delle leggi ? Poi quando abbiano le trib dato il voto, prendano i nuovi magistrati la repubblica , e propongano a voi la guerra perch ne discutiate. Se in tempo s grande, quanto ve n ha da ora ai co mizj , si avanzino intanto i nemici, e vengano fino alle m ura; noi che farem o , o Claudio? Diremo loro: aspettate per D io, finch ci avrem fatti nuovi magi strati ? Certo Claudio suggerivaci a non decretare, n riferire mai cosa al popolo , n scriver le leve, m se prima non siasi deciso come vogliamo su magi strati. Itene dunque, e quando udirete creati i con soli, creati i magistrati, e tutto pronto per le armi ; tornate allora per trattare con noi della pace ; giac ch voi senza essere offesi da noi ci avete i primi oltraggiato ; e ci ricompenserete , secondo la giusti zia, in danaro i danni delle vostre incursioni : non per.vi conteremo le stragi degli agricoltori, non le ingiurie, e le insolenze sperimentale da femmine in-

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DELLE ANTICHIT.' ROMANE

gettue, n altro male insanabile . E d ssi li nemici a tal nostro invito useranno moderazione , e lasciato che la repubblica crei li nuovi magistrati, e faccia gli apparecchi di guerra ; torneran poi portando in luogo delle arm i, suppliche per la pace ; ed arren dendo a ,voi s medesimi. XVIII. O pur stolti coloro a quali van pel pen siero tali delirj ! e milnsi noi se non ci corucciamo con quei che li propongono : anzi sosteniamo di udirli, quasi consultino su nem ici, non su la patria e su noi! Che non leviamo di mezzo i cianciatori s fa tti? che non decretiamo sul punto , che marcisi a difen dere il territorio, il quale ci si devasta? che non armiamo quanti vi sono idonei de cittadini ? a n zi, che non portiamo le armi contro le citt loro ; ma ce ne stiamo qui a bada, ed accusando i Decemviri, ideando nuovi magistrali, e discutendo form e di go vern , lasciamo quatu nelle nostre campagne,-come nella pace , esposto al nemico ? Che s ; che infine , se permetteremo che la guerra giunga alle mura , corriamo noi rischio di essere schiavi , e 'che ne sia Roma stessa distrutta. Non sono queste , o padri coscritti, le maniere di uomini sani, non le maniere di una social provvidenza, la quale antepone al ben pubblico gli o dj privati ; ma le maniere piuttosto di una contenzione intempestiva, di un disamar scansia gliato, d i una invidia sciaurata, la qual non lascia esser savio chi ne vien preso. Tacciano per Dio le controversie ; che tenter di esporre ci che avete a decretare salutevole per la patria , ed espediente per

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voi, come terribile pe nemici. Stabilite ora la guerra, co' Sa b in i, e cogli Equi : arrotate diligentissimi e prontissimi le milizie da guidare contro ambedue : e quando la guerra abbia avuto buon termine } quando siansi in citt ricondotte le m ilizie, quando sia gi rinata la pace ; allora volgetevi ad ordinare il go verno , allora chiedete conto dai dieci delle operazioni loro nel magistrato , allora createvi nuovi ma-, gistrati, fondatevi nuovi tribunali ; e quando da voi dipendono queste cariche onoratene i personaggi che ne son degni ; avvertendo , che p u r t r o p p o n n s e r
VONO I TEMPI A L L E COSE M A LE COSE A I TE M P I.

Spiegatosi Cornelio in questa sentenza vi aderirono, toltine pochi, anche gli altri che dopo lui ragionarono, altri perch la stimavano necessaria, come convenien tissima a' fatti presenti, ed altri perch piegavansi e blandivano i Dieci per timore della loro au to rit, la quale avea costernato non picciola parte de padri. XIX. Alfine essendosi opinato dalla pi parte, c com parendo quelli che voleano la guerra superiori di nu mero agli altri; invitaron tra gli ultimi a dire Lucio V a le rio , quello che volea fin da principio proporre la sentenza s u a , ma ne fu ritardato, come gi scrissi. O r costui sorgendo tenne questo ragionamento : Vedete , o

p a d ri , l' inganno dei Dieci ! Non permisero questi che a voi fa vella ssi, com? io volea , nel principio , ed ora tra gli ultimi mel permettono ! quando pen sano che io punto non giovi la repubblica, sebbene io segua il partito di Claudio , perch ben pochi vi si appigliarono. Che se io mi dichiaro per altro con-

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A NTICHIT* ROMANE

siglio, sia quanto si vuole borrissimo, ne sar va nissimo difensore ove io contraddica gli esposti da loro. Annoverar si possono facilm ente quei che dopo me sorgeranno per dire : e quando pure consentano tutti con m e, che pu mai risultarmene, non facendo essi nemmen picciola parte rimpetto ai fautori di Cornelio ? M a sebbene io ci veda ; pur rum dubito dire il mio sentimento: a voi si spetta, quando udito lo avrete , di volgervi al meglio. Quanto al Decem virato , e le cure sue del ben pubblico, concepite che io ven dica le cose tutte, che il prestantissimo Clau dio ven diceva : e che debbesi fa r nuovi magistrati prima che votisi per la ,guerra, giacch pur questo chiedea con purissimo fine quel valentuomo. Tent Cornelio mostrarvi impossibili i costui suggerimenti , pretestando il gran tempo che abbisognavi per le civili riforme , quando la guerra ne sopra. Egli mise in burla , cose niente burlevoli, e con ci commosse , ed ebbe molti d i voi: ma io fa r vedervi, che non impossibile, n o , la sentenza di Claudio ; come niuno di quanti la derisero os dirla nocevole : e vi mostrer come salvisi il territorio, e puniscasi chi temerario danneggialo : come ristabiliscasi intanto il comando, che era qui degli ottimati; e come tutto si compia, cooperandovi i cittadini, senza che ninno tenti, il contrario. N sar gi questa una mia sa viezza ; ma io non vi addurr se non gli esempli di cose operate da voi; imperocch qual luogo hanno mai gli argomenti dove la sperienza stessa ne am maestra su ci che giova ?

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XX. V i ricorda che i popoli stessi che ora le man dano , spedirono ancora milizie in un tempo stesso , gi V anno nono o decimo, su le terre nostre e de gli alleati, sotto i consoli Cajo N auzio, e Lucio M inuzio ? Voi mandando allora moka florida giovent, contro i due popoli ; V uno de' consoli ridotto a trin cerarsi in luoghi disastrosi} non pot fa r nulla, am i videsi assediato nel suo campo medesimo, e sul ri schio di esservi preso per la penuria de ' viveri. N au zio poi contrapposto aSabini, impegnato da battaglie continue, non potea nemmno accorrere verso i suoi che pericolavano : non ignoratasi che se periva' l esercito contro degli E qui, non avrebbe nemmeno po tuto resistere V altro contro de Sabini, riunendosi insieme i nemici. E fr a tanti pericoli intorno della citt , mentre nemmen ci avea n e lt interno suo la concordia , qual rimedio voi ritrovaste ? Congregativi su la mezza notte in Senato ( lo che giqv sicura mente ogni cosa, e dirizz la patria che rovinava ornai miseramente ) , creaste un magistrato so lo , ar bitro della guerra e della pace, sospendendo tutti gli altri ; e prima che fo sse giorno, ebbesi un ditta tore nell1ottimo Lucio Quinzio , sebbene si trovasse allora non in citt, ma in campagna. Voi ben sapete le imprese operate dipoi dal valentuomo, come ap prest forze idone, liber V armata che pericolava , e pun gVinimici, pigliandone fino il duce prigioniero. E fa tto ci con soli quattordici giorni, e riparato quant' altro pur v era d i male nella repubblica, de pose il comando. Cos niente im ped, volendolo voi

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che si creasse il nuovo magistrato, solamente in un giorno ; e cos dovete , credo, imitarne V esempio , e scegliere, poich altro non potete , un dittatore, pri ma che di quivi usciate. Se trapassiam questo tempo, i Dieci non pi vi aduneranno per consultazione a l cuna. E perch sia il - dittatore nominato legittima mente eleggete un interr nel pi idoneo de cittadini; come soleasi fa re quando i re mancavano, o li con soli , n si aveano a ffa tto , come ora non le avete, legittime autorit. Spirato che fo sse per questi il tempo del comando ; la legge a s ne richiamava i poteri. Or questo o padri, che s fattibile ed utile, ci che vi esorto di fa re. La opinion di Cornelio porta la dissoluzion manifesta del comando degli ot timati ; imperocch se i Dieci divengano una volta padroni delle arme per tale occasione di guerra ; temo che valeransene contro di noi. Quei che non voglion deporre i fa sci , deporranno essi mai le o r- mi ? Considerate ci : guardatevi d a tali uomini ; provvedete contro tutti gV inganni ; poich vai meglio provveder che pentirsi; come cosa pi savia discre dere gli empj ; che, credutili, accusarli.
XXI. Piacque il dir di Valerio ai pi come pot ri levarsi dalle voci loro e da quelli che sorsero dopo di lui : perciocch doveano opinare ancora i giovani, le q u esti, eccetto p o c h i , tenean per bonissimo quel con siglio^ Cos quando tutti ebbero opinato , e le delibe razioni aver dovevano un termine ; Valerio chiese che i decemviri proponessero la ritrattazion dei pareri , e che di nuovo s'invitassero a dire tutti i senatori ; e

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persuase ci facilmente , volendo molti di loro cangiar di partito. Cornelio che avea consigliato che si desse a decemviri il comando della guerra, opponeasi poten tissimamente; dicendo esser questo un affare gi discus so , e portato giurdicamente al sno fine col voto di tutti : pertanto si annoverassero i voti n cosa niuna si rinovasse. Alternavansi tali detti ostinatamente a gran voce da ambe le parti, essendone scisso il Senato; pe rocch tutti quelli che voIeano; riformato il disordin ci vile , favorivan Valerio ; ma peroravano per Cornelio quanti preferivano il peggio , e temeano de' percoli da un cambiamento. I decemviri presa occasione di fare a lor modo per la turbolenza del Senato , si attenuer^ al parer di Cornelio. Ed Appio , quell' uno di essi, re catosi in. mezzo disse : Noi v abbiamo qua convocati

o padri perch deliberaste su la guerra cogli Equi e co S a b in i , e per questo abbiam fo lto che interlo quissero quanti il volevano , chiamando voi tutti dal primo all' ultim o , ciascuno ordinatamente, al suo tempo. I tre uomini Claudio, Cornelio, e Valerio in fin e , ne diedero tre pareri ; e voi tu tti , quanti altri qui restavate , li ponderaste : e ciascuno , udendolo tu tti, espose il partito al qual si appigliava. Tutto f u a norma delle leggi : ed essendo ai pi di voi paruto che Cornelio abbia presentata la sentenza mi gliore ; dichiariamo che questa prepondera ; e scritta la pubblichiamo. Valerio e li suoi partigiani, annul lino se vogliono , ma quando sian consoli, i giudizi gi finiti : ed invalidino le sentenze gi firmale da tutti. E cos dicendo , e comandando che lo scriba le-

336 D E L L E A N T IC H IT ROMANE gesse il decreto del Senato, col quale ordinava che 1 dieci facesser la leva delle milizie , e ammiuistrasser la guerra ; sciolse 1' adunanza. XXH. Quei della parte decemvirale ne andavano dopo ci superbi e gon6 , come vincitori, e come riu sciti con esser gli arbitri delle arine , nell' intento , che non si abolisse il loro comanda Per contrario quelli che aveano voluto il bene della repubblica stavansi ti midi e mesti: come se non pi ne sarebhero gli arbitri in maneggio niuno. Dond' che si divisero eoa risolu zioni diverse ; riducendosi i meno generosi per indole a concedere tutto ai vincitori, e consociarvisi ; laddove i men paventosi teneansi in placida vita lontani dalle pubbliche cure ; e li pi eccelsi di spirito faceansi un seguito proprio, intenti a difnder sestessi, e trasmutare il governo. Capi di queste unioni erano Lucio Valerio e Marco Orazio , que . dessi appunto che intrepidi pro posero i primi al Senato di ritogliersi al decemvirato: e questi custodivano la propria casa colle arm i, e se stessi con valida guardia di clienti e di servi per non patir violenza , e non mostrar di temerla insidiosa o palese. Quelli che non voleano in Roma parteggiar coi pi forti , n brigarvisi in cute pubbliche, n giudica^ vano intanto ben fatto di starvi in ozio indolente ; ne uscivano , parendo loro cosa non facile di vincere i dieci colle arme, anzi impossibile di abbtterne la grande potenza ; ed era lor condottiero l ' insignissimo uomo Cajo Claudio, lo zio d Appio Claudio capo decemviro, il quale adempiva le promesse fatte in Senato al figlio del fratello quando slimolavalo a deporre il comando,

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dc ve lo indusse ( 1 ). Lui seguivano turbe di amici e clienti: ma, datovi da esso il principio, abbandonarono la patria ancor altri colle mogli e co' figli, non gi di nascpsto ed in pochi; ma a moltitudioi ed in pubblico. Altronde i compagni di Appio indispettiti del fatto si misero ad impedirlo, chiudendo le porte, e ritraendone alquanti de prfughi. Ma poi venuti in paura , che gli impediti si rivolgessero alla forza , e considerando pi rettamente come era meglio che uscissero che rimanes sero, nemici loro, a conturbarli; spalancarono le porte, lasciarono andarne quanti mai vollero; incolpatili per come disertori-, ne invasero le case, i poderi, ed ognr cosa non potuta portar via per l'esilio, apparentemente a conto del fisco, ma in sostanza beneficandone i loro fautori, quasi comperata l avessero. Or tali imputazioni date a' primarj esasperarono pi ancora i patrizj e 1 plebei contro ai decemviri. Nondimeno se questi non aggiungevano novi errori ai gi detti; parmi che avreb bero tenuto ancora lungo tempo il comando. Imperoc ch stavasi ancora in citt la sedizione, mallevadrice del poter lo ro , cresciuta da tanto tempo, e per tante ca gioni : le quali facevano esultare a vicenda gli uni pei mali degli altri : li plebei perch vedevano mancato il cuor ne patrizj, e nel Senato ogni arbitrio su la re pubblica; e li patrizj, perch vedevano il popolo ridotto in tutto senza libert e Senza forze , fin d allora che i dieci gli tolsero lautorit de*tribuni. Ma perciocch tali decemviri n moderati in campo, n prudenti in Roma,
( 1 ) Vedi $ (5 di questo libro. 9IQ K JG I , tome I I I , ,,

338 D ELLE ANTICHIT* ROMANE insistevano con a&ai durezza contra l'uno e laltro par* tito, lo astrinsero infine a riunirsi, e deporli oolle arme stesse , avute per la guerra. Tali poi furono gli ultimi delitti pe quali svergognato il popolo , ne infuri, XXIII. Dopo che ebbero stabilito in Senato il de creto per. la guerra; descrissero in fretta le milizie , e divisele in tre parti, ne serbarono due legioni per guar dia dellinterno della citt. Presedeva a queste due Ap* pio Claudio il capo decemviro insieme con Spurio Op pio. Intanto Quinto Fabio, Quinto Poetelio e Mania Rabuleio ne andarono con tre legioni contro deSabini; partirono con altre cinque per la guerra contro degli Equi Marco Cornelio, Lucio Minucio , Marco Sergio , Tito Antonio, e Cesone Duvilio finalmente. Militarono con essi le troppe latine , e di altri alleati , non meno numerose delle romane. Ma con tante milizie urbane, con tante ausiliarie , niente riusc loro secondo il dise gno. Imperocch li nemici spregiandoli come nuove re* clule , si accamparono vicinissimi a loro ; e ne invade* vano i viveri che erano ad essi portati, insidiando le strade, e gli assalivano mentre uscivano ai pascoli. E se mai venivano ordinati alle mani cavalieri con cavalieri, e fanti con fanti; riuscivano da per tutto vincitori i nemici ; perocch non pochi Romani mandavano alla peggio ogni cosa , indocili al capitano , come restii per combattere. Quelli che erano tra Sabini, renduti savj da mali minori, deliberarono da sestessi di abbandonare il campo: e levandosene circa la mezza notte ripassarono con una ritirata, simile ad una fuga, dal territorio ne mico nel proprio; fino a Crustutnero, citt non lontana

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da Roma. Gli altri cke teneaao il campo n^U*. Algido della regione degli Equi, ne' riceverono ancor essi non poche percosse. Ma ostinandosi incontro apericoli, quasi a riaversi dalle perdite, incorsero in danni lagrimevoli. Imperocch spintisi i nemici su lo ro , cacciarono quelli che erano in guardia degli steccati; e salite le trincee , occuparono il campo, e vi uccisero i pochi che resi stevano , uccidendone anche pi nell inseguirli. Quelli che scamparono colla fuga, feriti in gran parte, e quasi tutti privi di arm e, ripararonsi al Tuscolo. ' Del resto tende, giumenti, danari, schiavi e tutti gli altri appa recchi furono preda ai nemici. Saputasene in Roma la nuova i nemici del decemvirato , quelli ancora che ne occultavano l odio, si dichiararono, esultando su la rea condotta de capitani. E gii grande era la moltitudine presso d Orazio e di Valerio, capi , come fu detto, de'crocchi aristocratici. XXIV. Appio e Spurio somministrarono a quelli che comandavano in campo arm e, danari, grano , ed ogni bisogno, pigliandone superbissimamente da* privati e dal pubblico: e reclutando dalle trib tutti gl'idonei a com battere i gl* inviarono loro in supplemento de m orti, e delle schiere. Invigilarono diligentissimi su R om a, pre sidiandovi i luoghi pi acconci; talch il seguito di Va lerio non fosse occulto nel sommoversi. Commisero per vie secretissime ai capi dellesercito di sterminare i loro contrarj, in occulto se riguardevoli, ma palesemente se ignobili, sempre per con qualche pretesto, perch pa ressero giustamente levati. Altri mandati da essi a fo raggiare , altri a proteggere t trasporti de vivrai ; ed

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altri ad altre belliche incombenze usciti dagli alloggia menti , non furono mai pi veduti in alcun luogo. Ma li pi ignobili accusati di aver dato principi alla fuga, o portato secrete notizie al nemico, o non mantenuto 1' ordine, erano in pubblico trucidati per ispavento co mune. Cosi le milizie erano in due modi disfatte : le fautrici del decemvirato pe' cimenti col nemico , e pei capitani le altre che ridesideravano il governo degK ottimati. XXV. Appio cosuoi commetteva in citt delitti con simili e non pochi : la plebe tenne picciolo conto di alcuni estinti quantunque fossero molli di numero : ma la morte barbara, ingiusta di uno de* plebei pi cospi cu i, celeberrimo per le belle virt sue nel combattere, operata nell accampamento ov' erano i tre capitani, de cise- quanti vi erano alla ribellione. Siccio fu I ucciso, quegli che avea combattuto le cento venti battaglie , raccogliendone sempre il premio de p rodi, quegli che disobbligato gi per gli anni dal guerreggiare , si di spontaneo per la guerra con gli Equi menandovi per 1' amor che gli aveano, altri ottocento, gi liberi ancor essi a norma delle leggi da'servigi militari: quegli che spedito dall uno dg consoli contro le trincee nemiche a rovina come parea manifesta; pur le invase, e prepar pienissima la vittoria pe consoli. Or quest uomo , cer cando Appio co suoi di levarsel dintorno, perch avea molto parlato in citt contro i duci del campo come codardi e imperili, lo trassero a discorsi amichevoli, lo invitarono a deliberare con essi intorno le cose del campo, e dire come fossero da emendare gli errori

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ile'capitan!, e lo indussero infine ad andare in forra* di legato all armata di Cruslumero. tra'Rom ani il legato onoratissima e santa rappresentanza, con i auto rit de'comandanti, e con la riverenza e la inviolabilit de'sacerdoti. Lo accolsero al giunger suo con benevo lenza i d uci, e lo stimolarono affinch stesse e coman dasse con essi ; anticipandogli de' d oni, e promettendo gliene ancora. Luom d'arme, tutto ingenuo in sestesso, deluso dai scellerati, come lui che non capiva i prestigi delle parole, e quanto erano ingannevoli; sugger loro le cose che utili riputava, e soprattutto che trasferissero il campo dal territorio proprio a quello de nemici ; additando i mali che ivi soffrivano, e rilevando i beni che da tale passaggio nascerebbero. XXVI. Fingeano queduci udirne con diletto gli am monimenti : Adunque che non ti fa i tu duce, gli dis sero , di questo transito , preeleggendone il sito op portuno, tu si perito de luoghi per le tante tue spe dizioni ? Noi ti daremo schiera eletta di uomini ,

espediti per armamento leggiero. Avrai tu cavallo come alt et tua si conviene, ed armatura degna dei tuoi pari. Tenne Siccio linvito, e chiese cento uomini scelti. Quegli, essendo ancor notte, spediscono lui senza indugio., e con lui cento i pi baldanzosi de loro fau tori , istruiti, e mossi ad ucciderlo con lusinga amplis sima di ricompense. Or questi giunti, ornai ben lungi dal campo, in luogo montuoso, angusto, e difficile di ascenderlo a cavallo, se non di passo, ordinaronsi, datone il segno , in maniera da serrarsi in folla su lui, Un tale, sostenitore c servo di Siccio, valoroso tra le

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arm e, indovinando il cor loro , diedeoe cenno al pa drone. Il quale vedutosi in tanto disagio di sito da non potervi nemmen slanciar con forza il cavallo , ne salta, e postosi coll unico sostenitore suo in una balza per non esservi circondato, aspetta che ve lo assalgano. Or tutti ( ed erano molti ) assalendovelo ; ne uccide intorno a quindici, feritone il doppio: e parea, se lo assalivate da presso, che avrebbe, combattendo , straziato ancor gli altri. Ma questi, conceputolo per invincibile, e come non era da prenderlo a corpo a corpo ; non vennero in tal modo alle mani: ma lenendosi lontani da lui; lo fulminarono con dardi, sassi, e legni. Ed altri avan zandosi di fianco in sul monte, e riuscendogli a tergo, rotolavano dall* alto macigni stragrandi : talch per la moltitudine de* dardi lanciatigli coatra , e per la enor mit de sassi che cadeano romorosi dall alto , lo op pressero in fine : e questo fu il termine incontrato da Siccio. XXVII. Tornarono gli uccisori co' feriti nel campo , e vi pubblicarono che una insidia improvvisa di nemici avea spento Siccio, e gli altri, che assalirono i prim i, e che essi ne erano a stento scampati, ricevutine molte ferite. Pareano questi dir vero ; tion per si giacque occulta la loro perfidia : ma sebbene avvenisse l eccidio in luoghi deserti e senza testimonj ; i fati stessi e la giustizia che invigila le cose umane, Io diedero a co noscere per segni indubitati ( 1 ). Imperocch quei del campo riputando 1 uotn forte degno di pubblica sepol ti) A questa sementa somiglia quella tanto vera di Ariosto can. 6 c Unto poco tenuta in r'enseta ta rli uomini-

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tor e di onori distinti rispetto degli altri, per pi cau se , e principalmente pel carattere suo di legato, e perch libero gi da servigi militari, eravisi cimentato di nuovo per utii comune; decisero di unirsi dal complesso di tre legioni e di uscire cosi per investigarne il cada vere , onde riportarselo con pieno decoro e sicurezza. Concederono questo i oapitani per non dare sospetto alcuno delle insidie : e prese le arme uscirono intenti all opera bella e degna. Giunti al sito e vistovi non selve , non valli , noti luoghi consueti per le insidie, ma una balza tutta nuda ed aperta, ed angusta a pas sarla; sospettaron bentosto ciocchera. Avvicinatisi quindi ai cadaveri e mirato Siccio e gli altri derelitti, ma senza essere spogliati ; si meravigliarono che i nemici, vincen do , non avessero levate loro non le vesti, n i le armi. E specolando intorno ogni cosa , n trovando vestigia di cavalli o di uomini se non le impresse nel sentiero; tennero per impossibile che i nemici fossero su loro venuti improvvisi, quasi uccelli, o uomini discesi dal cielo. Ma, pi che questi e simili indizj, il non trovarsi ivi cadaveri di avversarj fu loro argomento evidentissi mo , che gli amici ne erano stali gli uccisori e non i nemici. Imperocch non parea loro che Siccio , e quei
M iser chi maP oprando s i confida , Che gnor star debba il maleficio occulto ; Che quando ogn' altro taccia intorno grida V aria e la terra istessa in che i sepolto. E Dio f a spesso che / peccato guida I l peccalor, poi eh?alcun d g li ha indulto. Che si medesmo , sera.' altrui richiesta Inavvedutamente m anifesta.

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sostenitore suo, e gli altri che seco perirono, sarebbero morti inulti, specialmente se venuto si fosse, quanto >i p u , da vicino alle mani. Raccolsero ci ancora dalle ferite : perocch Siccio, cme quel suo sostenitore , ne avea molte per colpi di sassi o di strali e di spade ; laddove gli uccisi da loro avean colpi di spade si, non di sassi, o di strali e di 6 aette. Adunque ne sorse in dignazione , e clamore , e lutto. Alfine compianta la disgrazia ; raccolsero e portarono il cadavere al campo ; e l gridarono altamente contro de' capitani, esigendo allora allora secondo la legge militare la morte degli uccisori; o che sen fissasse almeno il giudizio ; e gi molti erano per farvisi accusatori. Ma conciossiach non davano loro udienza, e nascondeano gli uccisori, e ne differivano il giudizio , con dire ch in Roma dareb bero a chi la volea la podest di accusarli ; ben videsi che la trama era de capitani. Adunque portarono con magnifica pompa Siccio al sepolcro, alzandogli una pira meravigliosa, e , tributandogli secondo il loro potere altre primizie che la legge concede negli 6 nori estremi dei valentuomini. Alienaronsi allora tutti dal : decemvirato ; e pensarono come liberarsene. Cos l esercito presso Crbstumero e Fidene era nimico a suoi capi per la morte di Siccio legato. XXVIIF. L esercito accampato nell Algido della re gione degli E q u i, e la moltitudine in Roma erasi per tali cagioni esacerbata tutta con essi. Lucio Verginio un plebeo, non secondo a niuno nella milizia, stavasi capo di una centuria nelle cinque legioni, belligeranti con gli Equi. Avea costui per avventura una figlia vaghissima

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fra ratte le donzelle romane. Ella portava il nome del padre, ed avealasi pattuita in isposa Lucio Icilio, uomo tribunizio, come figlio ( 1) di quell Icilio che primo fe stabilire, e primo assunse 1 autorit di tribuno. Appio Claudio il apo decemviro vista la verginella che leg geva in una scuola (stavansi allora le scuole pe giovi netti intorno del Foro) bentosto ne fn preio dalla bel* lezza ; anzi vinto dalla passione era cosi tolto a sestesso , che non potea non passare pi volte intorno della scuola. Or non potendo torlsi sposa come gi sacra ad altri , anzi perch egli avea pur moglie, e perch non istavagli bene donna plebea di lignaggio contro il suo grado e la lgge scritta da Ini nelle dodici tavole ; su le prime tent corrompere co danari la giovinetta. Egli mandava ad ora ad ora delle donne con doni e pro messe maggiori alle nudrici di essa, orfana gi della madre : avea per comandate le donne che tentavano le nudrici a non dire chi fosse lamante della fanciulla, ma solo eh egli era un tale che potea, volendo, bene* ficare e nuocere. Non potendo per guadagnarle , anzi veduta la donzella guardata pi che prima , si mise, caldissimo che ne era d amore , a camminare altra via con meno ancora di senn. Fattosi chiamare Marco Claudio , 1 uno de suoi clienti, uomo ardito e pronto ad ogni servigio, gli addit la fiamma sua : e prescrit ti) Forse nipote : perch dalla' istituzione del tribunato all*anno presente decorsero 45 anni. Pertanto Lucio Icilio di coi qui si ra giona o era nipote d Icilio Ruga , o convien dire che di molto ec cedesse gli anni di Virginia destinatagli sposa ; seppure non voglia dirsi che Icilio Roga generaste ben tardi quel Aglio..

346 DELLE ANTICHIT' ROMANE togli ciocch volea che facesse, e dicesse ; lo spedi con allato uomini impudentissimi. Costui recatosi alla scuola, vi tolse la vergine , e volea recarsela palesemente pel Foro. Impedito per dai clamori e dal grande eoucor so, di recarsela dove avea stabilito; venne ai magistrato. Sedeasi allora nel tribunale Appio solo, rendendo ri sposte e ragioni a chi ne chiedeva. Or volendo colui dir , sorsene romore e adeguo tra circostanti, i quali tutti reclamavano, perch si aspettasse finch venissero parenti della fanciulla ; ed Appio ordin che in tal modo appunto si facesse. Passato appena picciolo tem po ; ecco presentarsi Publio Numitore uomo insigne tra i plebei,, zio materno di lei, con seguito di molti amici e parenti; e dopo non molto ecco giungere con numero poderoso di giovani plebei Lucio Icilio, quegli che pec le promesse del padre aver dovea la donzella in isposa. E questi, lutto sospeso ed anzio nel respiro, avanzan dosi al tribunale , addimand chi osato avesse toccare la giovine cittadina , e che mai ne pretendesse. XXIX. Fattosi intanto silenzio, Marco Claudio, que gli appunto che aveasi preso la donzella, cosi ragion ; O Appio Claudio, niente ho io fatto di temerario , niente di violento contro la fanciulla. Signore , come io tono di le i , secondo le leggi me la conduco. Or, odi com ella siasi la mia. Ho io una tal serva pa terna che ministrami gi da tempo lunghissimo. Or questa , familiare che n e era , usava di andare alla moglie di Verginio; e la moglie di Verginio persuase lei gravida a concederle , quando che fosse , il frutto del suo venire. La donna , partorita una fig lia , ( ed

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era questa ) serb le promesse ; diedela a Numiioria, con fingere presso noi che uscita fosse la d lei prole gi moria. Numiloria tuttoch madre non fosse di fanciulli o fanciulle, la pigli, la f sua, la rtudr, senza che io sapessi nel principio la vicenda. Or la so per indizj di molti e buoni testimonj : io ho fa tto t esame di quella serva, e ricorro aUa legge comune per tutti l quale vuole m che sia la prole non di chi la impostura per sua, ma di chi 1 ha gene rata ; e che libera sia se nata di libera > e serv* , se nata di serva, de' padroni stessi delle madri . Su questa legge esigo di riportarmi la jiglia della mia serva, pronto a subirne il giudizio. Che se alcuno la reclama per sua, dia certi mallevadori di riprodurla in giudizio : ma se anzi vuole che ora qui sen tratti la causa ; io lo secondo , voglioso che si espedisca anzi cke si procrastini, e che io mi assicuri con malleva dori la vergine. Scelgano qual pi vogliono di questi partiti. XXX. Claudio cos disse aggiungendo vive preghiere di uon essere considerato meno de' suoi competitori per* ch era cliente d ilu , ed umile di condizione. Quando lo zio della vergine fattosi a dire alcune poche cose quali si convengono innanzi di un magistrato , rispose : che padre della donzella era Verginio un plebeo il quale stava lontano a combattere per la patria : che madre ne era Numitoria germana di lui presente , donna pudica e buona, e morta non molti anni avan ti : che la vergine , educata come deesi una ingenua e cittadina , era gi p riti della legge la sposa et I

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cilio, e che ultimalo ne sarebbe gi stato il matrimo nio se cosi di subito non sorgea la guerra con gli Equi; che volgeva ornai C anno quintodecimo n Clau dio avea mai fa tto tali reclami. Ora che la donzlla , vaga in vista, tien la et da marito , egli vietisene amante con queste invereconde finzioni non sue, ma fabbricate da chi pensa che debba per ogni via con tentare le sue passioni. E qui diceva, che il padre di lei tornando dal?esercito ne giustificherebbe la causa: che intanto egli zio della vergine raddomandava la persona, in conformit, come desi, della legge, pronto a fa r quanto giusto: non chiedeva gi egli cosa in degna, o strana, n mai conceduta ai Rom ani, per non dire ai mortali, quando chiedea che la persona cui pretendeano fa r serva di libera, si stesse fin o al giudizio presso lui che ne difendeva la libert , non presso lu i, che glie la involava. E qui soggingeva convenirsi che Appio gamntisse un tal dritto per pi titoli: e prima perch avealo scritto come legge nelle dodici tavole ; appresso perdi, egli era capo decemvi ro : ed inoltre perch in s riuniva colla potest con solare la tribunizia, diretta per natura a proteggere i deboli e desolati tra cittadini. Pertanto impietosisse ( pregavalo ) di una vergine che a lui ricorreva, orfana gi della madre , ed allora lontana dal padre, la quale pericolava di perdere non le sostanze, ma il marito e la patria, e ciocch supera tutti i beni , la libert. Finalmente deplorata la calamit nella quale era per ca dere la vergine, e sparsane tenera compassione, fra gli astanti, cosi disse intorno al tempo del giudizio: Claudio

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mai per quindici anni non reclam la ingiustizia , ed ora vuole che sen faccia bentosto il giudizio ? Se altre persone che n o i , fossero con esso in tal briga; sen terrebbero molto gravate, e giustamente se ne dorrebbero, con chiedere che sen faccia la causa dopo conchiusa la pace, quando quelli che ora slansi nel campo siano ritornati, quando siavi per V una e T al tra parte copia di tstimonj , di am ici, d giudici: richieste tutte sociali, moderate, consuete tra'1Romani. N oi per , soggiungea , non abbiamo bisogno di aringhe , non di pace , non di folla di amici e di giu dici : n vogliamo rimandare V affare a tempi giudi ziali , ma sosteniamo' di giustificarlo in tempi di guer ra , in mezzo a penuria di am ici, con giudici non propizj , e dt improvviso: e solo da te dimandiamo o Appio tanto spazio, quanto basta perch il padre qui dal campo si restituisca , e pianga la propria sorte, e difendasi da seslesso. XXXI. Avendo Numitore ci detto } e la turba intorno a gran voce significandone come giuste le dimande; A ppio, dopo alquanto replic : non ignoro la legge emanata intorno al dar sicurt per gli uomini che traggonsi ad esser schiavi, legge che non permette che 1 uomo preteso per ischiavo stiasi presso chi lo pre tende , prima che se ne giudichi, n io la torr questa legge, scritta dalle mie mani. Essendo per due li pretendenti il padre ed il padrone ; giudicherei se fo s sero ambedue presenti, che il padre s avesse la don zella: ma stando questo lontano: giusto che se t ab bia il padrone, sotto idonea sicurt di rimenarla al

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tribunale , appena il padre di le i sia giunto. P ro ce der poi seriamente quanta ai mallevadori e alla multa, che voi non siate punto danneggiati nl giudizio: ma ora concedi tu la donzella. Data questa sentenza da Appio fecesene gran pianto dalla vergine, e dalle donne che le erano intorno ; come un clamore, un fremito cupo dalla moltitudine circostante al tribunale. Icilio che era per isposarsi la vergine' presela tenacissimamente , e disse : no , finch io vivo , niuno non por tem isela, o 'Appio. M a se vuoi tu violare la legge , confondere il giusto e rapirci la libert; non tu negare ornai la ti rannide, che tanto ti si rimprovera. Dopo ci coman da che tronchisi questo mio capo , e che la donzella sia tratta colle altre vergini e colle matrone dove ti piace. Sapranno allora finalm ente i Montani che servi soH fa tti di liberi ; n terran sentim enti, grandi pi della sorte. Che pi dunque indugj? che non spargi il mio sangue appi del tuo tribunale , innanzi agli occhi di tutti ? Sappi per chiammente che la mia morte fia principio di mali grandi o di beni d Romani. XXXII. Voleva pi dire; ma i littori, comandatine dal magistrato , lo allontanarono dal tribunale, intiman dogli di rimettersi al giudizio gi dato : e Claudio af ferrata la donzella voleasela tor via, tutta intenta come era allo zio, e allo sposo. Alzarono allo spettacolo mi serando i circostanti le grida ; n riverendo pi l ' auto rit del comando , si lanciarono su' violenti satelliti ; talch temendone Claudio l'im peto, lasci la donzella, e si ripar presso del magistrato. Appio su le prime assai ne fu conturbalo, vedendo tutti irritati ; e dubit gran, tetn*

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po ciocch fosse da fare ; ma poi chimato a .se Claudio, ed abboccatisi, pome p a re , brevemente, ed intimata calma ai circostanti disse: Romeni, giacch per quanto 10 vedo , vi esaspera , io traliccio la tanta mia dili

genza per assicurarmi della persna controversa. In tento a farvi .cosa grata ho jersuaso quel mio cliente a contentarsi che i parenti dilla vergine facciam i per lei mallevadori, finch torna il padre della medesima", recatevi dunque o Numitore a donzella: e v obbligale presentarla dimani novamene al tribunale , perocch basta oggi il tempo per dar la notizia a Verginio , bastano dimani le tre o qiattr1ore a ' qui ricondurlo dal campo. Dimandavano uelli un tempo pi luogo; ma egli senza rispondere, orse, e fe levare la sedia XXXIII. Se non che partitosi, tutto dolente e sma nioso per amore, dal F orc, deliber di non pi con cedere la fanciulla a parati ; ma cingere sestesso di pi guardie, e preoccupar i posti attorno del tribunale con numero di clienti e di am ici, e torlasi forza quando glie la ripresentavmo per la sentenza. E perch 1 1 giudizio fosse con huoia form a, sul pretesto che il padre di lei non erasi preentato ; di lettere a cavalieri fedelissimi, e li spedi nel campo ad Antonio , coman dante della legione ov' -*ra V ergi ni o , con ordine che ritenesse quest uomo esilissima m ente, talch udite le Vicende della figlia, da lui non s involasse. Ma lo pre vennero , attinenti che trano alla donzella , il figlio di Numitorio, ed il fratlo d Ieilio , spediti. avanti , sul nascere appena della sommossa. Giovani pieni di corag gio fornirono prima il vaggio sferzando i cavalli ed ab-

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baudonando loro le redini ; e narrarono a Verginio l'evento. E Verginio, taciutane ad Antonio la cagione vera , e fintogli di avei udita la morte di un suo pa rente di cui doveasi fire il trasporto , e la sepoltura secondo la legge, ebbe il congedo. E presso 1 ora in che accendonsi. i lumi ; e ne and con que' giovini, ma per altra via, temeido, come avvenne , di essere inseguito da quei del :ampo e della citt; perocch Antonio, ricevuta la lettera circa la prima vigilia, spedi contr esso una banda di cavalieri, mentre un'altra spe dila da Roma guard pei tutta la notte la strada che vi eonduceva dal campo, fife non si tosto un tale ridisse ad Appio che Verginio er. giunto contro la espella none ; egli, uscito di senno, ne and con gfan seguito al tribunale, e fece che lui si chiamassero i con giunti della donzella. Venui questi, Claudio ripet' lo stesso discorso, e dimand che Appio senza indugio decidesse l affare; dicendo eser pronto chi lo esponeva, e chi lo attestava, fin la seva, madre vera della fan*dulia. Simulava in tutti quesi atti (die assai si sdegne rebbe , se esso per essere diente di lui non ottenea come prima la giustizia egualmente che gli altri ; e di-* mandava che ajutasse chi dioa cose pi vere, non chi pi lamentevoli. XXXIV. Il padre della doizella e gli altri parenti escludeano la supposizione de parto con molti argo menti giusti e veri, per esempo che non ebbe cagion plausibile di farla la sorella d Numitorio e moglie di Verginio maritatasi vergine ad in giovine la quale par* tori tra non molto: appresso perch sebbene voluto

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avesse intrudere in sua casa un figlio altrui ; v' avrebbe intruso non il figlio di una donna schiava, ma quello di una ingenua, amica o pareute sua, onde ritener fe delmente e stabilmente ciocch riceveane: ed arbitra in tutto di scersela come volea, scelta s avrebbe la prole non feminea, ma virile: imperocch la donna che par torisce, vinta dall aderenza pe figli che partorisce, ama e nudre ciocch la natura le porge : laddove la donna che imposturasi un figlio sei cerca del sesso migliore , non del pi ignobile. Contro lui poi che dava l indi zio, e contro i molli tes.naonj esibiti da Claudio come degni di fde allegavano cagioni tratte dal verisimile : vuol dire che Nivnitoria non avrebbe operato mai pale semente e presenti molli ingenui teslimonj un fatto che abbisognava di silenzio, e che potea fornirsi col mini stero di un solo ; e ci perch la prole educata non fosse col tempo ritolta dai padroni della madre. Aggiungeano che la dilazione non picciola era segno evi dente che il calunniatore non profferiva niente di vero: perocch . colui che di l indizio della supposizione e gli altri, che la contestano l avrebbero molto innanzi svelata, non tenuta segretissima per quindici anni. Frat tanto redarguivano le prove degli accusatori come non vere n credibili, e chiedeano che si paragonassero colle altre loro, nominando molte donne non ignobili le quali dicevano aver veduta Numitoria gravida con pienezza di utero. Oltra queste ne additavano altre che in forza del parentado venute pel parto o pej la puer pera aveano mirato la prole, ed insistevano perch sinV I O N I G l , turno 1 1 1 .
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terrogassero. Era poi di tutti gli argomenti come il d i moio , che molti uomini e donne, liberi e non liberi , sosteneano che- la fanciulla era stata allattata da Nnmitoria ; imperocch ninna donna se non ha partorito pu empiere di latte le mammelle. XXXV. O r essi dicendo questi argomenti e molli consimili, validi tutti e senza rep lica ; ed ispirando viva compassione pel disastro della vergine ; gli altri che gli intndevano, su lei s'intenerivano ogni volta che la ri miravano. Imperocch chiusa in lugubre veste, squallida ne' sembianti, e sciolta i begli occhi in pianto , rapiva gli sguardi di tutti; Tanta in lei riluceva sovrumana bellezza e grazia ! tutti l infortunio ne compiangevano, dacch ornata di tali doti decaderebbe a tanto dispregio ed avvilimento. Adunque entr loro in pensiero che tolta la legge della libert.; niente impediva che le mogli, e le figlie loro eziandio soggiacessero a pari vicende. E con siderando queste e simili cose, e fra loro discorrendole, ne piangevano. Appio altronde, come non cauto per natura, e corrotto dalla grandezza del potere, invanito di sestesso, e caldo di amore nelle viscere, non che attendere al parlare dei difensori, e commoversi alle lagrime della vergine, adiravasi per la compassione che di lei sentivano i circostanti, quasi di compassione egli fosse pi degno, e patisse mali pi grandi, ridotto pri gioniero di quella bellezza. Da tali cause infuriato ardi fin di fare impudenti discorsi (pe'quali, coloro che gi ne sospettavano, furon chiari, che sua era l impostura contro la donzella ) , e compiere infine la barbara e ti rannica azione.

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XXXVI. Ancora quelli parlavano , quando egli in tim silenzio ; e fecesi. Intanto la moltitudine che era nel F o ro , contenendo lo sdegno si spinse innanzi per desiderio {T intendere ciocch direbbe ; ed esso volgen dosi qua e l per numerare col guardo i crocchi, degli amici co'quali avea prima occupato il Foro cosi favell: O Verginio , o voi qui presenti con esso, non io.

sento ora la prima volta un tal fa tto , ma lo sentii prima ancora di giungere a questo magistrato. Or udite come lo sentissi. I l padre di questo Marco Claudio ornai spirando la vita , pregavami che io prendessi la tutela del figlio lasciato da lui piccolo ; giacch essi fin dagli antichi loro son clienti della nostra fam iglia. Or mentre io m era il tutore di esso udii della donzella e come Numitoria se la suppose; prendendola dalla seiva di Claudio: ed esaminatala; trovai ch appunto cos stava la cosa. Non conve nendo per che io mi vi brigassi; riputai meglio di riserbare la cosa per lui quando fo sse pi grande , sa che volesse rivendicare la giovine, sia che la sciarla gratuitamente o con prezzo, a chi la educava. Intanto io ravvolto tra gli affari politici non tenni pi mente a quelli di Claudio. Ora per quanto vedo, esaminando costui lo stato di fa m ig lia , vien detto a lui ciocch a me per addietro su la fanciulla; n gi chiede egli cosa ingiusta, rivolendo la figlia di una sua serva. Se questi fr a lor si acconciavano ; tutto andava benissimo. Mossasi per lite ; io stesso attcsto ci che ho detto, e giudico esser Claudio pa drone detta serva.

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XXXVII. Udito ci, quanti ivi erano uomini integri, sostenitori di que che dicevano . il giusto , levarono le mani al cielo , con un grido misto d' indignazione , e di pianto : per 1 opposito i partigiani de Decemviri, mandavano voci atte a confortarli ed animarli. Irritatasi per l'adunanza, e riempiutasi di ogni guisa di affetti, e discorsi ; Appio intim silenzio , e disse : O turbo

lenti , o inutili a tutto nella guerra e nella pace / se non cessate di sommaver la p a tria , e di controporvici ; farete alfin senno per forza. Non pensate , che abbiamo noi messo. un presidio nel Campidoglio , e nella fortezza soltanto contro i nemici di fu o r i , e che lasceremo poi fa re quei entro , i quali scon ciano in Roma ogni cosa. Prendete consiglio migliore , che non avete o voi tutti d quali non spetta F a f fa re ; andatene per le cose vostre in buon ora. E tu Claudio recati via pel Foro la donzella : non teme re ; giacch i dodici miei colle scuri ti saran guar dia. A tal dire gli altri ululando, battendosi la fronte, n potendo raffrenare le lagrime, partirono dal F o ro ; e Claudio stacc via la donzella , che stringeva, che baciava il padre su o , e con voci affettuosissime lo in vocava. F ra tanti mali, Verginio si mise in pensiero un azione, amara , addolorevole ad un padre, ma de-, gna di un uomo libero, di un uomo generoso. Egli intercedette di salutare ancora una volta la figlia, e di parlare a lei le cose, che volea da solo a solo ; prima che dal Foro la involassero. Condiscesone dal capitano, e ritiratisene alquanto i satelliti, abbraccia la figlia che sviene, che abbandonasi ; e cos la sostiene, richiamila-

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dola , baciandola , rasciugandola , dalle lagrime, clie la inondavano. Poi trattala seco un poco, non s tosto fu presso la officina di un macellajo, rapiscene di su dal banco la coltella', ed immersela nelle viscere della figlia gridando: Figlia ti mando libera e casta ai nostri

sotterra: per colpa del tiranno gi non potevi tu viva serbare questi pregi. Sollevatisi intanto de clamori, tenendo in pugno il ferro insanguinato, egli stesso gron dante del sangue, schizzato su lu i, nell uccidere della figlia, corse furibondo per la citt, reclamandovi la liberl de cittadini. Passate a forza le p orte, ascese il cavallo, che teneasi per lui preparato, e rivol nel campo, riaccompagnatovi da Icilio, e d Numitorio, i giovanetti che ne l cavarono. Teneano lor dietro anche altri plebei non pochi, in numero quasi di quattrocento. XXXVIII. Appio al caso della giovinetta, levatosi da sedere, si slanci come per inseguire Verginio, dicendo, e facendo cose non degne : ma circondandolo, e pres sandolo gli amici a non traviare, si ritir , pieno di rabbia su tutti : quando ornai presso della sua casa ud da taluni de' suoi fautori, che Icilio il suocero , e Numiiore lo zio , ridottisi con altri amici, e congiunti intorno al cadavere , gridavano contra lui su colpe no te , e non note concitando tutti a rendersene liberi una volta. Colui sped per la rabbia, che ne ebbe, alcuni d e littori, con ordine d imprigionare i maledici, e di levare dal Foro il cadavere ; opera insana in vero, e sconvenientissima al tempo'. Imperocch mentre dovea carezzar la moltitudine incollerita giustamente, e cedere

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in principio al tempo , e poi difendersi, pregare, be neficare onde riconciliarsela ; egli corso alla violenza, ridusse tutti a disperarsi. Pertanto non permisero che gl inviati levassero la estinta, o portassero alcuno nella carcere: ma gridando, ed animandosi gli uni gli altri; cacciarono dal Foro coll impeto, e colle percosse i mi nistri della violenza. Talch Appio, ci udendo, fu co stretto di recarsi con molti partigiani e clienti nel Foro, e comandare che battessero, e sbandissero , chi v era , ne capi delle vie. Orazio e Valerio, duci come ho detto degli altri a riprendere la libert, sentito il disegno dell uscir di colui, menarono con s molti bravi gio vani , e si misero dinanzi la estinta. E quando ebbero pi vicini i compagni di Appio, prima inveirono, quanto poterono, su loro con clamori ed ingiurie; e quindi, pareggiando ai detti le opere, ferirono e rovesciarono quanti osarono lanciarsi su loro. XXXIX. Appio mal sofferendo l ostacolo impreve duto , n trovando come trattare tali uom ini, risolvette di correre una via la pi rovinosa. Imperocch porta tosi al tempio di Vulcano ; invitavi a parlamento la plebe, quasi benevola ancora verso di esso : e prendevi ad accusare la ingiustizia, e la insolenz di tali uomini, lusingandosi per lautorit sua tribunizia, e per le vane speranze, che la moltitudine gli concedesse di precipi tarli dalla rupe. Ma i compagni di Valerio occupata 1 altra parte del F o ro , e postovi il cadavere della ver gine visibilissimo a tatti , convocarono un altra adu nanza ; facendovi vivissime accuse di Appio c de suoi. Occorse, com era verisimile, che attirandovene altri la

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riverenza per questi uomini , altri la commiserazione verso la donzella soggiaciuta a vicende dure, e pi che dure per la sua bellezza infelice, ed altri il desiderio stesso della forma precedente di governo , vi si riun pi gente che intorno di Appio : tanto che non rima sero presso questo se non pochi, appunto i partigiani: tra' quali ce ne avea pur alcuni, che per molte cagioni mal pi si acconciavano col Decemvirato, contentissimi di rivolgersi agli avversar) , se il partito loro si fortifi casse. Appio vedendosi derelitto , fu costretto a mutar consiglio, e ritirarsi dal F o ro ; ciocch moltissimo gli giov. Imperocch preso a colpi dalla moltitudine pa gato le avrebbe le giustissime pene. Dopo ci Valerio acquistata preponderanza, quanta ne volle, si sfog pe rorando contro al Decemvirato , e decise in favor suo perfino i dubbiosi. Molto pi poi corrucciarono la mol titudine contro- ai Decemviri i parenti della vergine , recando al Foro il feretro, e l ' altro lugubre apparato, magnifico quanto potevano , e facendo la traslazione del cadavere per le vie pi illustri di Roma:, onde fossevi pi rimirato: imperocch correano fuori di casa matrone e donzelle per piangere la sciagura : e qual desse get tava su la bara fiori e ghirlande, e qual veli e nastri e fregi pel capo di una vergine, e quale in fine le anella de recisi capelli : frattanto molti uomini nobilita vano la funebre pompa con doni convenienti, presi gra tuitamente o con prezzo dalle prossime officine. Tanto che divulgatissima era per la citt la ,lagritnevole ceri monia , ed avea lutti acceso il desiderio di spegnere la tirannide. Ma quei che la difndeano, istrutti che

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erano di arm e, davano grande spavento ; laddove Va lerio co' suoi non volea finire col sangue de' cittadini la disputa. XL. Tale era in Roma la turbolenza. Intanto Vergnio che avea, come ho detto, uccisa di sua mano la figlia, spronando a briglia sciolta il cavallo, giunse agl i alloggiamenti presso 1' Algido su l ' imbrunir della sera , tutto lordo di sangue, e colla coltella in pugno, ap punto com era fuggito da Roma. Vedutolo, i soldati che stavansi a guardia innanzi di cam po, non sapeano indovinare ciocch avesse patito, e lo accompagnarono per intenderne 1' alto e terribile caso. E colui tuttavia camminava piangendo, e significando a quanti gli erano intorno di seguitarlo. Uscivano fin di mezzo alla cena da padiglioni ; presso i quali passava , soldati in folla, con faci e lampade, pieni di mestizia e tumulto, e fa* cendogli corona lo accompagnavano. Alfine giunto in un luogo spazioso del campo, e salita una eminenza ov essere da tutti veduto, narr le disavventure sue, dandone per testimonj quanti erano con esso venuti da Roma. E quando infine videne molti addolorati e pian* genti ; fecesi allora a supplicarli e scongiurarli di non permettere che restassero, egli invendicato, e concul cata la patria. E lui cos dicendo , ecco in tutti grande la voglia di udirlo e viva la istigazione perch parlasse. Adunque tanto pi animoso inve su Decemviri, mo strando di quanti aveano essi tolte le sostanze, di quanti flagellato il corpo, e quanti ne aveano ridotti senza colpa niuna a lasciare la patria, e numerando insieme le ingiurie verso le m atrone, i ratti delle donzelle nu

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b ili, i disonoramenli de liberi garzoncelli, e le tante altre ingiustizie e tirannidi. E cos, disse, d calpestano

questi, senza che ne abbiano il potere non dalla legge, non dal Senato, non dal popolo., Imperocch spirato V anno della loro magistratura ; e spirato ; doveano in altre mani trasmetterla : violentissimi per la ritengono ; spregiando in noi , quasi in femm ine , la paura grande e la codardia. Ognun di voi qui ' ricordi quanti mali ha da loro sofferti, o veduto s o f ferirsi dagli altri. Che se alcuni qui blanditi da essi mai con piaceri o fa v o ri, non temete il Decemvirato, ne apprendete che eguali mali siano per venire un giorno su voi, sappiate che non vi fed e pe tiranni, sappiate che non donano i potenti per benevolenza, e sapendo queste e simili cose , correggetevene : ed unanimi tutti liberate da tiranni la patria, quella dove sono i templi de vostri D ii , dove le tombe dei vostri maggiori, i quali voi riverite appresso g f Id d j, dove li vecchi genitori che dimandano il premio dei travagli e delle tante cure per v o i , dove le mogli vostre legittime, dove le figlie nubili, alle quali dees non tenue la vigilanza: dove infine i vostri.figli ma schi, che aspettano da voi cose degne della natura loro , e de progenitori. Taccio le vostre case, i vostri poderi, i vostri danari acquistati con tante fatiche dagli antenati e da voi : delle quali cose tutte pi non potrete essere i certi padroni finch i Dieci qui tiranneggiano. XLI. Gi non da savj, non da valentuomini cer care colla fbrtezza le cose altru i , n curare poi che

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per vilt si roviniti le proprie: fa r con gli E q u i, co Volsci, co Sabini, e con tutti intorno i vicini guerre diuturne, indefesse per la indipendenza e pel principato, n voler poi nemmeno prendere le armi per la vostra sicurezza e la libert cantra uomini il legittimi che vi comandano. Che non ripigliate lo spi rito della patria? Che non tornano in voi li sensi degni degli antenati? di quelli che per V oltraggio d i una fem m ina sola profanata da un de Tarquinj ed uccisasi da sestessa per la vergogna, tanto ne incol lerirono e infierirono, e tanto contane riputaron la ingiuria ; che sbandirono di Roma non il solo T ar quinio , ma i re : n pi soffersero che magistrato alcuno vi comandasse in vita , e senza doverne dar conto : di quelli che ne fecero altissimo giuramento fino con imprecazione su posteri se noi compievano ? Or essi non avran sopportata la ingiuria d i un sol giovinastro su di una lbera donna soltanto ; e voi vi state comportando una tirannide di tante teste , che scorre ad ogn ingiustizia e libidine , e scorrerawi anche pi se pi tra voi la tenete ? Non la ebbi io solo una figlia vaghissima , che Appio accingevasi palesemente a violentare e lordare : le avete anche molti infra voi mogli o figlie e fig li avvenenti : Or chi difendete mai che alcuno de Dieci non faccia loro come Appio ? V i raccertano forse gl Id d j che se lasciate impunita la insolenza a me fa tta , non si avanzi questa fin su molti di voi ; e che V amor ti ranno , giunto alla mia figlio., ivi si rimanga e si plachi rispetto degli altri fanciulli e fanciulle? Quanto

363 stolida, quanto aliena cosa dire che mai tali idee si effettueranno ! Illimitate sono de' tiranni le pas sioni , perch superiori alle leggi, e al timore. Su dunque fa te le mie vendette , preparate la sicurezza vostra, per non subire egual m ale, rompete o miseri una volta la catena : riguardate con intenti sguardi la libert : E per qual altra occasione mai fremerete pi che per questa, quando ne si tolgon le figlie pre* testandocele per ischiave, e quando via ne si portan le spose co littori? E se ora che siete tutti cinti d i arme la trascurate la occasione ; e quando m a i , quando il genio d i libert ripiglierete ?
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XLII. Ma intanto che egli parlava molti gli prometteano, gridando, la vendetta: e chiamati a nome i duci delle schiere gl* invitarono a por mano all impresa ; molti ancora, se ne aveano ricevuto alcun danno , fa ceansi coraggiosi innanzi, e lo rivelavano. Udjto ci li cinque, capi come ho detto delle legioni, temendo che la moltitudine facesse qualche sommossa contro di essi corsero tutti al pretorio e vi consultarono con gli amici; se poteano chetarne il tumulto cinti dalle arme de par. tigiani. Ma non si tosto intesero che i soldati eransi ri tirati nelle tende, che caduto e cessato era il tumulto, senza sapere intanto che il pi decenturioni aveva con giurato occultissimamente d insorgere e liberare la pa tria ; destinarono , appena fosse giorno , imprigionare Verginio che istigava la moltitudine , e raccolto l eser cito condurlo ed accamparlo tra nemici , e desolarvi il meglio dei lor territori ; n pi lasciare che ognuno investigasse curioso ciocch facevasi in Rom a, ma tutti

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applicarli a far prede , o combattere per sestessl. Non per succedette loro parte niuna di questi disegni. Itoj perocch, chiamato Verginio al pretorio, i centurioni non permisero che v' andasse pel sospetto che vi peri colasse: e scoperto comera ne'capi il proposito di por* tare l armata tra nemici, lo riprovavano, dicendo: V e-

rumente ci avete prima comandato benissimo, perch ora isperanziti vi seguitiamo! Duci voi di tanta mili zia , quanta niuna mai ne port da Roma , e dagli alleati non sapeste n vincere, n danneggiare i ne mici. Voi dimostrandovici v ili, im periti, colf accam parci male , e col desolare , quasi awersarj , le terre nostre , ci rendeste poveri, e bisognosi delle cose le quali noi conquistavamo col prevalere in battaglia , quando i nostri capitani eran migliori che voi. Ora il nemico inalza contro noi li trofei; il nemico si porta le cose nostre; saccheggiandoci tende , schiavi, arme, danari. XLIIL Vergin io per la rabbia, e perch non pi temea que capitani inveiva pi libero contro di essi, chiamandoli corruttori e distruttori della patria, ed ani* mando i centurioni a tor le insegne , e ricondursi in Roma colle, milizie. Molti non ardivano ancora movere le insegne, che sono inviolabili ; u riputavano cosa onesta e sicura .abbandonare i loro capitani e li co mandanti ; perocch il giuramento militare, che i Ro mani avvalorano pi che tutti, fa che il soldato siegua i suoi comandanti , dovunque lo guidino : e la legge concede a questi di uccidere, nemmen giudicandoli , glindocili e li disertori. Verginio, vedendoli tenuti an*

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cow da tal riverenza, mostr loro che la legge stessa

avea sciolto quel giuramento : giacch dee chi co manda gli eserciti, esser scelto a norma delle leggi ; e 1 autorit de decemviri era tutta contro le leggi, trapassalo f anno per cui f u destinata : fa r poi gli ordini di chi comanda contro le leggi non ubbi dienza, n piet, ma demenza e furore. Or ci uden do , giudicarono udire il vero : e suscitatisi a vicenda ; e quasi dato lor cuore dagl Iddii ; tolser le insegne, e ne andarono. I o mezzo d indoli tanto varie , n tutte conoscitrici del meglio, si rimasero co decemviri, comi verisimile , centurioni e soldati, minori per molto , non eguali di numero agli altri. Quelli che partirono dal cam po, viaggiando tutto il giorno , giunsero al far della sera in citt, senzach alcuno ve li annunziasse; n poco la costernarono, credula che giugnesse il ne mico. Adunque tutto vi divenne clamore, moto , di sordine ; ma non si a lungo , da nascerne male : pe rocch quelli passando pe capi stradarvi gridavano che eran gli. amici, e venivano in bene \ della patinare con formarono le opere ai d etti, non offendendovi alcuno. Recatisi allAventino, colle il pi acconcio entro Roma per accampanisi, allogaronsi presso il tempio di Diana. Nel giorno seguente fortificato il campo, e destinati dieci tribuni militari, de' quali era capo Marco Oppio , sul comune, si tennero in calma. XLIV. Dopo non mollo giunsero in sussidio loro con molta milizia dal campo di Fidene i centurioni mi gliori delle tre legioni, alienatisi da comandanti fin di allora che fecero trucidare , come ho detto , Siccio il

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legato ; e timidi non pertanto di cominciare i primi la ribellione in vista delle cinque legioni dell A lgido, quasi fossero amiche ai Decemviri. Ora per saputane la insurrezione; accettarono di tutto buon grado il favor della sorte: anche di queste milizie eran capi dieci tri buni eletti in mezzo alla marcia, ma Sesto Manlio ne era il pi ragguardevole. Congiuntisi tu tti, e deposte le arme, incaricarono i venti tribuni a poter dire e fare quanto doveasi pel comune. Elessero di questi venti come capi consiglieri i due pi rispettabili, Marco Op pio, e Sesto Manlio. E questi formato un consiglio dei centurioni maneggiavano tutto con essi. Non essendo ancor chiari al popolo i loro disegni*, Appio consape vole a sestesso di essere la cagione di quella turbolenza, e demali che ne verrebbero, tenevasi in casa, non che ardisse far pubblici atti. Sbigott sa le prime anche Spurio O ppio, costituito, come l u i , su la citt , quasi fossero ben tosto per assalirlo nemici, e fossero appunto per questo venuti. Quando per vide che non faceano innovazioni ; rallentando le paure , convoc li senatori nella curia, intimatili ad uno ad uno per le case. E standovi questi ancora adunati: ecco giungere i coman danti dallarmata di Fidene, irritati che la milizia avesse abbandonato 1' ano e 1 altro campo , ed insistere col Senato perch ne prendesse degna vendetta. Ora do vendo ciascuno dare il suo voto su questo. Lucio Cor nelio disse, portare il dovere che tornassero i soldati

nel giorno stesso daW Aventino ai lor campi, ed ese guissero gli ordini de comandanti. Con ci non sa rebbero tenuti rei di quanto s' era fa tto , se non gli

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autori soli della ribellione ; a quali imporrebbe la pena il duce medesimo : ma se non ubbidivano ; il Senato delibererebbe su loro , come su disertori dei p o sti , affidati ad essi da' capitani, e come su viola tori del giuramento militare. Lucio Valerio gli contra riava ( 1 ). Ma n conviene che non facciami affatto pa role delle leggi romane che troviamo nelle dodici tavole, essendo tanto venerande e pi insigni della greca legi slazione ; n conviene che sen facciano oltre il dovere, prolungando la storia delle leggi medesime. XLV. Tolto il decemvirato ebbero i primi ne'comizj centuriati la dignit consolare dal popolo come ho detto Lucio Valerio Potilo, e Marco Orazio Barbato (a), uo mini popolari per indole, come per educazione eredi taria. Fidi alla promessa che avean fatta al popolo quando lo indussero a deporre le arm i, di maneggiare sempre il governo in suo bene ; stabilirono ne comizj centuriati, mal grado i palrizj che vergognavansi di re clamarvi , oltre le leggi che non rileva qui scrivere, anche quella colla quale ordinavasi, che i decrti fa tti dal popolo ne comizj per trib valessero come i de creti emanati ne comizj cnturiati per ogni classe di cittadini ; sotto p en a , in caso di convinzione, per chiunque abrogasse o trasgredisse questa legge, della
( 1 ) Q ui manca l ultimo sviluppo de fatti co quali fu tolta l a oppressione Deoetnvira l e. P erd ila non igno bile; traltandovisi di uno d e ' graudi cambiamenti di stato. (a) Anno 446 avanti Cristo , dalla fondazione di Rom a 3o6 se condo Catone. Q uest anuo tralasciato nella cronologia di Varrone e per le due cronologie differiscono dopo questo per un anno solo, aon per due come p e r 1 addietro.

368 D E L L E A N T IC H IT R O M A N E morie e della confisca debeni. Questa risoluzione lev


le controversie tra' plebei e tra' patrizj , i quali ricusa vano di ubbidire ai decreti fatti dai prim i, e riguar davano i decreti emanati necomizj per trib come leggi singolari di esse non come universali di Roma intera : laddove ciocch fosse stabilito necomizj per centurie lo riputavano ordinato a seStessi come a tutti i cittadini. F u gi/detto innanzi che ne oomizj pe^ trib li poveri e li plebei prevaleano su patrizj , come i patrizj, quan tunque assai minori di numero , prevalevano su plebei ne comizj per centurie. XLYI. Stabilita da consoli qaesta legge con altre leggi, fautrici anch esse , come ho detto, del popolo ; ben tosto i tribuni credendo venuto il tempo di vendi carsi di Appio e de colleghi di esso, pensarono d in timar loro il giudizio e chiamarceli non tutti insieme perch gli uni non giovassero gli altri; ma l uno dopo l altro, su la idea di convinceteli pi facilmente. Ora considerando su chi prima incominciassero pi a pro posito , deliberarono mettere in istato di accusa A ppio, il pi esoso al popolo per le oppressioni, e per le in degnit recenti contro la vergine. Parea loro che assi-, curatisi di questo, disporrebbono facilmente pur degli altri; laddove se cominciassero di men forti, parea loro che l ira de cittadini, calda ne primi gindizj, s inde bolirebbe, come spesso accadde, per giudicare in ultimo i rei pi segnalati. Deliberato c i , sopravvegliarono i rei (i) ordinando a Verginio di accusare A ppio, senza
( i ) C ioi gli lu i Decemviri affinch non soccorressero Appio.

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nmmeno decidere colle sorti chi lo accusasse. Appio dunque accusato da Verginio nell' adunanza fu citato al giudizio del popolo, e chiese tempo per giustificarvisi. E siccome non si ammisero per lui mallevadori ; fu tratto in carcere per custodi rvelo finch di lui si giu dicasse. Ma prima che giungesse il di prescritto pel giudizio mor nella carcere, per opera come molti so spettano de'tribuni: ma'secondo che divulgarono hri, che li discolpano, egli appicc s medesimo. Dopo lui fu tradotto al popolo Spurio Oppio da Publio Numitorio altro tribuno : ma , dategli le difese, vi fu con dannato a pienissimi voti : e portato in carcere fin nel giorno stesso la vita. Gli altri decemviri prima di esser? necessitati al giudizio, condannarono sestessi all elio; 1 questori incorporarono allerario i beni degli uccisi e degir esuli. F u nommeno citato Marco Claudio quegli d e si accinse a tor via come schiava la donzella da Icilio lo sposo : ma pretestando i comandi di Appio fu scampato da morte , e gettato in esilio perpetuo. Gli altri ministri delle ingiustizie dei decemviri non subi* rono giudizio pubblico ma diedesi a tutti la impunit. Sugger pari economia Marco Duillio il tribuno per essere ornai turbati i cittadini, e timorosi di essere fi nalmente anch essi giudicati. XLVII. Chetate le turbolenze interne, raccolto il Senato, decretano che.esea immantinente l armata con tro a nemici. Ratificato dal popolo il decreto del Se nato, Valerio luno de consoli, marci con met delle schiere contro- gli Equi e li Volsci i quali militavano
D I O N I G I , temo U T .
si

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insieme. Consapevole per che gli E q u i, imbaldanziti pe'vantaggi precedenti, elevavansi-fino a spregiar gran demente la milizia rom ana, cerc renderli ancora pi temerarj e vani con dare di s vista ingannevole, quasi diffidasse di venire con essi alle mani, e con fare ogni cosa in aria di timoroso. Quindi scelto per accampanisi un luogo elevato e non facile lo cinse di fossa cupa , e di alti steccati. Pi volte lo sfidarono i nemici a bai* taglia , beffandolo fin da codardo ; ed egli tennesi in dolente in calma. Ma quando vide la parte miglior dei nemici uscita a predare i campi de* Latini e degli E t nici , e poca n buona la milizia lasciata neg li allog giamenti , credendo allora venuto il tempo opportuno , trafte 1 armata in buon ordine, e presentovvela come per combattere. N uscendogli alcuno all incontro con* tennesi per quel giorno : ma nel giorno appresso mar ci fino agli alloggiamenti loro non molto muniti. Gli usciti alla preda, intesone l assedio, tornarono di volo; non per congiunti ed in ordine, ma sbandati e a po chi a pochi, secondo che poterono. Come quelli' degli alloggiamenti mirarono i loro che venivano, preso cuo re , sboccarono in folla : e fecesi aspro combattimento d eccidio in ambe le parti. Pi potenti alfine i Romani fugarono gl inimici che pugnavano di pi fermo, e fu gati gl incalzarono, uccidendone o prendendone. Fatto ci Valerio dava a grand agio il guasto alle terre ne miche. XLVIII. Marc Orazio incaricato della guerra sabina , conosciuti i fatti del collega , cav pur egli le milizie dalle trincee, schierandole ben tosto tutte contro le al

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tre non minori e peritissime de nemici. Questi tutti universalmente, e specialmente il lor comandante, buon capitano insieme e buon combattitore, aveano da pro speri successi antecedenti molto coraggio ed ardire so pra de Romani : ma dimostrando i cavalieri un ardor sommo ottenne una segnalata vittoria, uccisivi molti nemici , imprigionativene pi ancora , e preso i loro alloggiamenti derelitti. Ivi trov molte provvigioni da guerra, e tutta la preda gi tolta dal territorio de Ro mani : anzi detenuti molli de suoi che liber ; non es sendosi affrettati i Sabini pel disprezzo che aveano del nemico a riporre in sicuro tanti loro vantaggi. Adunque diede a' soldati la roba nemica, preeleggendone ciocch era da offerire agl' Iddii ; ma rendette le prede a chi n er^ stato spogliato. XLIX. Fatto ci ricondusse 1' esercito in Rma ove giunse contemporaneamente anche Valerio : ambedue senlivansi grandi per la vittoria , e se ne auguravano laminosi trionfi. Non per succedette com essi ne spe ravano ; imperocch raccoltosi il Senato per essi due che stavansi coll esercito sul campo Marzo, ed esami natine le gesta , non accord loro il sagrifizio per la vittoria : essendo contrariati da molti, e da alcuni ma nifestamente , soprattutto da Cajo Claudio , z io , come Scrissi di Appio, vuol dire del fondatore dei decemviri, e tolto non ha guari di mezzo da tribuni. Cajo ricor dava le leggi colle quali avean essi diminuita l autorit del Senato, e ricordava le altre maniere da essi tenute perpetuamente nel governare : ricordava le morti o le confische de'beni dedecemviri, traditi da essi ai tribuni

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DELLE

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contro i patti ed i giuramenti, essendosi ia mezzo alle vittime convenuta tra' patrizj e tra' plebei la ditaenticanza, e la. impunit su tutto il passato. Protestava clie Appio non era caduto morto. innanzi al giudizio di sua mano , ma per malizia de' tribuni : affinch nell' essere giudicato non ottenesse n difese, n misericordia : co me potea ben ottenerle, se portato in giudizio metteva innanzi al guardo la nobilt della sua gente, e. le molte beneficenze di essa verso la repubblica ; se reclamava i giuramenti e la buna fede su la quale gli uomini ri posano , e rendonsi a far pace ; se veniva co' suoi figli, co 'p aren ti, in abito di umiliazione; in somma con gli altri modi pe' quali un popolo si disacerba, s intene risce, e perdona. Fra tali rimproveri dati loro da Cajo Claudio, e da altri presenti, fu concluso, che s i. con tentassero i due di non pagarne le pene: del resto non essere nemmeno in picciolissima parte degni del trionfo, o di concessioni non dissimili. L. Valerio ed il collega esclusi dal trionfo , tenen dosene offesissimi, e sdegnandosene ; convocano il po polo , vi accusano vivamente il Senato. Peroravano per loro i tribuni, e proposero e ne ottennero dal po polo il trionfo: ed essi primi di tutti i Romani pro dussero tal consuetudine. Dopo ci rinacquero i.dissidj, e le incolpazioni tra' patrizj, e tra' plebei. Li tribuni raccendeano questi ogni giorno concionandoli. Irritavali soprattuuo.il sospetto che li tribuni cercavano. di cor roborare con romori incerti, e di ampliare con divina zioni varie, come se li patrizj fossero per annientare le leggi stabilite dai consoli, Valerio e suo collega: e quel

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sospetto ornai tanto prevaleva che degenerava in fede. E tali sono gli eventi di quel consolato. LI. Nell'anno appresso furon consoli Laro Erminio, e Tito Verginio ( 1 ). Succederon loro Marco Gegatio...(a). LII. N rispondendo essi, ma sdegnandosene ; Scattio fcesi di nuovo innanzi e disse : ecco o cittadini che si concede dai litiganti medesimi che essi presumono, ,

parte che a lor non compete, della nostra campagna', or voi considerando ci decidete ci che giusto e congruo co giuramenti. Scattio cosi diceva : ma i con soli ardevano dalla vergogna in riflettere , che il giudi* zio prnderebbe un termine n giusto , n onoralo , se il popolo il quale mai non aveasi attribuito la campagna disputata , ora , elettone giudice , se 1' attribuisse , con toglierla ai litiganti. Adunque ad iscansare ci si ten nero dai cnsoli e dai capi del Senato molti e molti discorsi ; ma invano. Imperocch quelli che aveano pi
ti) Anno di Roma 3 0 7 secondo C a to n e , 3o8 secondo Varrone , e 445 a v . Crislo. (a) E C . Giulio secondo che si ricava d a L ivio. Nel consolato di Erm inio e di Verginio fu calma in casa e fuori. L i consoli Cajo G^gauio, e Cajo Giulio contennero la plebe dalle sedizioni con far decretare la guerra contro i Volsci e gli E qui : nel terzo anno furono consoli T ito Q u in zio , e Furio Agrippa: ruppero i Volsci e gli E q ui scorsi nel far preda (in sotto Rom a. Il Senato non concedette lofo il trionfo, nfe i consoli lo dim andarono. L a campagna controversa tra quelli della Riccia e di Ardea fu ascritta dalle trib al popolo rom ano. Il resto di quell anno fu tranquillo da m oli interni ed esterni. In Dionigi perito quanto concerne queste cose; ed ora non siegue se non un frammento di tale istoria. Lapo Birago, primo traduttore Latino di Dionigi, lavorava sa di un codice greco ove questo tratto era corroso dagli a n n i: fa m eraviglia, come p u r gli altri codici siano difettosi in questo luogo.

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

gliato i suffragi per votare diceano , essere grande stol tezza patire che le cose loro fossero tenute da a ltri, n credevano dar fine pietoso all' affare se dichiaravano l'Aricino e l'Ardeatino padrone della terra controversa, quando eglino aveano giurato di ascriverla a quelli ai quali scoprissero che apparteneva ; e fremevano co liti ganti , perch avevano assunto giudici tali che prive rebbero appunto sestessi della terra senza potersela pi rivendicare, perciocch previo il giuramento, la sentenzirebbero essere di altri. Facendo tali riflessioni, e sdegnandosene; ordinarono che in ogni trib si mettesse un urna pel popolo romano , ove si gettassero i voti ; e cosi con tut i voti il popolo romano fu dichiarato padrone della terra controversa. E tali furono le cose operate sotto que consoli. LUI. Fatti consoli Marco Genuzio e Cajo Quinzio ( i ) eccitaronsi di bel nuovo le civili discordie , esigendo i plebei che potesse ogni romano esser console. Fino a quell epoca aspirando soli a tal grado i patrizj, eranvi eletti pur soli ne comizj per centurie : ma i tribuni at tuali toltone lunico Cajo Furnio avevano unanimi tutti fra lor combinato , e proponeano su comizj consolari per legge, che il popolo fosse arbitro ogni anno di decidere quali volesse i candidati del consolato se pa trizj o plebei. Sdegnatine quei dell ordine senatorio , perch vedeano annientarsene 1' autorit loro , destina rono anzi tutto soffrire, che lasciar prevalere la legge. Continue dunque erano le ir e , le incolpazioni, le re(1) Anno di Roma 3 io secondo C atone, 3 n c 44a av. Cristo. secondo Varroo*,

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sistenze nelle adunanze private e nelle pubbliche, per essere i patrizj alienati da plebei. Li capi stessi degli Ottimati molto ne parlarono nel Senato e molto nelle adunanze , pi miti o meno , secondo che pensavano che i plebei mancassero per ignoranza, o per artifizio ed invidia. LIV. Intanto consumandosi il tempo in vano , giun sero a Roma messaggeri degli alleati i quali annunziavano che gli Equi e i Volsci minacciavano piombare su loro con esercito poderoso, e chiedeano che in tauto peri* colo si spedissero loro de' soccorsi. Diceasi ancora che i Vejenti fra Tirreni apparecchiavansi alla rivolta : gli Avdeati non ubbidivano pi per la indignazione su la terra controversa che il popolo Romano, elettone giu dice, aveva aggiudicato a sestesso nell anno precedente, Il Senato, saputo ci, decret che si reclutassero le mi lizie , e che i consoli uscissero tutti due coll armata. Ma i tribuni che promulgavano la legge si opponeano a tale decreto: han essi ancora 1 autorit di resistere ai consoli, e quindi ritoglievano loro quanti erano estratti a dare il giuramento militare , n permettevano che pu nissero chi non ubbidiva. Pregavali istantemente il Se nato che sospendessero in tal congiuntura la gara, e proponessero la legge su comizj dopo la guerra : ma tanto furono lontani dal cedere ai tempi ; che dissero che opporrebbonsi anche alle altre risoluzioni del Se nato , n lascerebbono eseguirne alcuna, su qualunque affare, se prima non faceva il decreto per la legge che voleasi dai capi del popolo. N si avanzarono solo a mi nacciare di ci li consoli nel Senato, ma concionando

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dichiararono con giuramento per essi gravissimo , vuol dire su la propria lor fede, che mai, se bene venissero persuasi in contrario, annullerebbero alcuna delle riso luzioni proprie. LV. In vista di tali minacce adunati gli Ottimati li pi anziani e principali da consoli a consiglio privato , ponderavano ciocch fosse da fare. Cajo Claudio come il men popolare , ed erede degli antenati in tal genio di procedere, inculcava ostinatissimo, che non si ce dessero al popolo n i consolati, n altro magistrate qualunque ; e che senza riguardo di persona privata o pubblica si frenasse colle arm i, se non rendeasi per le parole, chiunque tentasse il contrario. Imperocch chiun que tentava sommovere le patrie costumanze o discio gliere la forma primitiva del governo era non cittadino m nimico. Per l opposito Tito Quinzio non voleva che si reprimessero gli avversar} colla violenza, n si venisse alle armi ed al sangue civile colla plebe: taoto pi di ceva , che noi abbiamo contrarj i tribuni, che i nostri padri dichiararono sacri ed inviolabili facendo i genj e gl Iddj mallevadori dell' accordo con imprecazione gra vissima della rovina loro e de figli, se da indi ia poi lo avessero mai fidalo anche in parte. LVI. Accostavansi a questo partito ancor gli altri chiamati a congresso , quando Claudio pigliando'la pa rola disse : Non ignoro qual fondamento pongasi di m ali, per tutti n o i , se concediamo che il popolo fa c

ciasi a votare su questa legge : ma non avendo cosa pi fa rm i, n come resistere a voi, che tanti s ie te ; abbandonami ai vostri consigli. Ben giusto che

L IB R O

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ognun dica ci che sente dell util comune : ma poi siegua ci che i pi ne conchiudono. Io , come esortasi in affari che aggravano, n si vogliono, vi esorterei che non cedeste n ora n poscia il consolato a niuno, se non ai p a trizj, i quali giusta e pia cosa che lo abbiano : ma quando come al presente , siete alla ne cessit ridotti di fa r partecipi anche gli altri cittadini del grado e del.potere pi grande ; vi dico che assu miate i tribuni militari in luogo de ' consoli, definen done un numero ( otto o sei fo r s e , ch tanti credo bastarne ) nel quale i patrizj e i plebei si pareggino. Cos facendo n renderete il consolato magistratura di uomini indegni ed abbietti ; n parrete per voi fa b bricare un comando ingiusto , col escluderne affatto 1 plebei. Ed approvando tu tti, senza reclamo niuno un tal voto; udite soggiunse, ciocch restami a dire a voi consoli. Prefisso il giorno in cui stabiliate quel previo decreto , e ci che dal Senato si giudica , lasciate che parlino su la legge chi la difende e chi F accusa. Fi nita la disputa , quando fia F ora <f intenderne i voti, non vogliate da me cominciare, non da codesto Quin zio , n da altro seniore ma dal popolarissimo sena tore Lucio Valerio; interrogando appresso Orazio , se punto vuol dire. Ricercate cos le loro sentenze, or dinale cke noi seniori diciamo, lo sporr liberissima mente il parer mio contrario ai tribuni, e fia questo F utile della repubblica. Questo Tito Genuzio , se il volete, dia la proposta su tribuni militari. Parr que sto il partito pi congruo e meno sospetto se proget tisi o Marco Genuzio dal tuo fratello. Il consiglio sem

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br giusto , e partironsi dal congresso. Temerono i tri buni la secretissima adunanza, come intenta a gran danno de', plebei, percb fatta in casa , non io pubblico, e senz ammettervi alcuno de' capi del popolo. Adunque raccogliendo anch essi un consiglio di uomini, amantis simi della plebe, idearono ripari e guardie cntro le insidie cbe aspettavansi da patrizj. LVII. Giunto il tempo prescritto per fare il previo decreto, i consoli convocato il Senato, ed esortatolo grandemente al buon ordine ed alla concordia; invitarono, prima di ogn' altro , a parlare i tribuni della plebe i quali proponevano la legge. Fecesi avanti Cajo Canulejo, un di loro, ma egli non che dimostrarla, non mentov nemmeno la giustizia e la utilit della legge. Diceva che

si stupiva de consoli che avendo fr a loro ponderato e deciso ciocch era da fa re , ora quasi vi abbisognas sero consgli e decisioni, metteansi a proporlo ai Pa dri , e davano facolt di aringarvi con simulazione non conveniente n a ll et loro , n alla grandezza del comando. Diceva che introducevan i esempio 'di tristissime pratiche, quando univansi in casa a con gressi reconditi, ri vi chiamavano tutti i senatori, ma i soli favorevolissimi loro. E qui soggiungeva ch poco facevagli meraviglia che fossero esclusi da quel con siglio altri senatori ; ma grandissima gliene faceva che avessero tenuti indegni da irwitarveli Marco O razio , e Lucio V d e rio , quelli che aveano tolto il Decemvi rato , ambedue uomini consolari n idonei men di chiunque a deliberare su la repubblica : lui non poter, concludere appunto la causa di tal procedere ; indovi

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narne per quest unica: vede a d ire , che essendo essi per allegare disegni ingiusti e rovinosi alla plebe, non vollero convocarvi persone di essa amantissime, per ch sdegnate se ne sarebbero, n avrebbero tollerato che si prendesse risoluzione alcuna ingiusta e lesiva del popolo. LVI II. Cosi Canulejo arringava con indignazione cupa: e trasfondendosene la indignazione anche ai Padri non invitati a quel congresso ; Genucio, l ' altro de' consoli, fattosi innanzi per escusarsene, tent rimplacidirli, di cendo : che aveano invitalo gli amici non per trattare contro del popolo ; ma per cercate co' pi intimi cioc ch fosse da fare per non danneggiare niun de' parliti, vuol dire se dovessero affrettare o tardare di proporre al Senato l esame della legge ( i ) : che Orazio e Va* lerio non v erano stati invitati per altra cagione se non perch nel popolo non si eccitasse alcun sospetto indegno di loro quasi variati si jossero ne' modi del governare, se prendessero mai la sentenza la qual trasporta a tempo pi acconcio t esame della legge. Siccome per a lutti gli adunati parve migliore l esame anzi sollecito che tardo , io fo di presente, come a lor piacque. Cosi dicendo e protestando gl' Iddj su la verit del suo dire aggiunse che tutti i senatori con vocativi escluderebbero quella calunnia co' fa lli , non colle parole. Imperocch quando quelli che il vogliono, abbiano detto ci che giusto a persuadere o dissua( i ) P erclii nel partito d e patrizj vi erano molti i quali p ro p o nevano che l esame della legge si differisse per pi a n n i , come gi si era m andala in luogo la controversia su la legge agraria.

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fiere la legge, egli inviterebbe li primi a darne il voto loro i senatori pi giovani e creduli pi popolari, non i pi provetti e pi venerandi, se bene per usanza pa tria diasi lor quest' onore, e non quanti sono sospetti presso del popolo , quasi non siano per dire n per pensate niente di utile verso di esso. LIX. Cosi promise e diede a quanti la voleano, fa colt di parlare : tuttavia non presentandosi alcuno per approvare o riprovare la legge ; egli si trasse un altra volta innanzi, e chiese da Valerio il primo qual fosse il ben della patria, e qual suggerisse che facessero i Padri previo decreto; e Valerio levatosi in piedi e ri cordando con lungo discorso com' esso e gli avi suoi erano sempre stati in citt li promotori dell' utile delle parti popolaresche; numerando fin da principio tutti i pericoli venuti su Roma per colpa di quelli che vole vano contrario governo ; rilevando come l'odio verso la plebe erasi renduto danuoso a quanti lo ebbero; e lo dando amplssimamente il popolo come autor principale della libert e del comando della repubblica; alfine ra gionate queste e simili cose , concluse non poter esser libera quella citt dalla quale tolgasi l' eguaglianza : e quindi sembrare a lui giusta la legge la qual vuole che concorrano al consolato tutti i Romani purch siano irreprensibili ne' costumi e degni per le opere di un tanto onore: non essere per quello il tempo oppor tuno da trattare legge siffatta in tanta turbolenza di guerra per la ^repubblica. Pertanto consigliava , ai tri buni di permettere che si reclutassero i soldati, e che reclutati uscissero: ai consoli poi di pubblicare, appe*

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na dato buon fine alla guerra il previo decreto su la legge: e 1si scrivessero e si consentissero fin tT allora tali cose da ambe le pai-ti. Tale fu la sentenza di Va lerio , e tale appresso fu pur quella di Orazio ' invitato il secondo da consoli: non per n fu pari l affetto in tutti gli astanti. Imperocch quelli che voleano preclusa l legge , ne udirono con piacere la dilazione , non per con piacere ne udirono che essa dovesse decretarsi dopo la guerra : all opposito quelli che volevano che si ac cettasse la legge dal Senato intesero con trasporto che giusta si dichiarava: ma con isdeguo intesero che se ne ritardasse il decreto. LX. Nato tum ulto, com verisimile , perch questa sentenza non soddisfaceva in tutto ad ambe le parli, il console fattosi innanzi interrog per il terzo Cajo Claudio il quale sembrava ostinatissimo e potentissimo fra lutti i primarj della fazione opposta alla plebe. Costui tenne un discorso premeditato contro del popolo, rilevando di lui tutte le cose che glien parevano contrarie a begli usi della patria. Era lo scopo principale ove fendeva il dir suo, che i consoli nn proponessero al Senato l esa me di quella legge n allora , n mai come diretta a distruggere il comando degli Ottimati, e confondere ogni buon ordine. Cresciuto a tal dire il tu m u lto so rse in vitato il quarto, Tito Genuzio, fratello dell altro con-' sole. Costui, discorse brevemente le circostanze della citt, e come la complicavano all uno o all altro disastro, o di far prosperare i nemici per la discordia e 1 ambizione de cittadini, o di dare mal termine alla guerra interna e domestica per espedirsi dall altra che le era portata

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di fuori, disse, che essendo due i mali, ed essendo ne cessit d' incorrerne, loro mal grado, 1 uno o 1 altro , credeva confacevole ai Padri lasciar che il popolo urtasse alcune istituzioni proprie, anzi che rendere la patria lo scherno di forestieri e nemici. E cos dicendo propose la sentenza approvata nel congresso di quelli che si erano in casa riuniti, sentenza come io dichiarai suggerita da Claudio, che si eleggessero in luogo de'consoli i trihuni m ilitari, tre de patrizj, e tre de plebei, tutti

con potest superiore : che quando finirebbero questi il lor tempo, e si dovrebbero creare i nuovi magistra ti; allora unitisi di bel nuovo il Senato ed il popolo decidessero quali pi voleano riassumere al comando li tribuni militari o li consoli : che per valido si tenesse quello che il voto comune destinerebbe: e che pari decreto si rinovasse ogni anno. L X I.,F u la opinion di Genuzio acclamata da tutti: e gli altri che sorsero a sentenziar dop lui la tennero, quasi tu tti, per la migliore. Se ne stese dunque da consoli il decreto, ed i tribuni della plebe, pigliatolo , ne andarono , tripudiando, al Foro. E convocatovi il popolo, vi lodarono amplssimamente il Senato, e vi dinunziarono, che concorresse pure a magistrati insieme co' patrizj chiunque il volea de* plebei. Se non che il desiderio senza cagione, specialmente nel popolo, 'per s cos vano, e cos pronto a dar luogo al conlrario ; che quelli i quali facevano ogni prova per essere a parte del magistrato , risoluti se non concedeasi ci da patrizj, di abbandonare la patria come 1 avevano abbandonata altra volta , o di usurparselo colle arm i, ottenutane ap

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XI.

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pena la permissione, rattemperarono sestessi, e rivolsero, altrove i loro favori. E quantunque molti de'plebei aspi rassero al militar tribunato, e facessero per giungervi insistenze caldissime ; non riputarono alcuno degno del grande onore. Cos quando vennesi ai voti nominarono al militar tribunato tra' patrizj che vi concorrevano , Aulo Sempronio Atratino, Lucio Attilio Longo, e Tito Clelio Sicolo. LXII. Questi assunsero i primi quel grado in luogo elei consolare nell' anno terzo della olimpiade ottante^ sima quarta essendo Difilo arconte in Atene ( i ) : ma ritenutolo settantatr giorni Io deposero secondo gli usi della patria spontaneamente ; perch alquanti segu ce lesti vietavano loro il maneggio de' pubblici affari. Le vatisi questi dal comando ; il Senato si raccolse, e no min gl interr. Li quali prefssero il tempo de' comizj e proposero da risolvere al popolo se volea rieleggere li tribuni o li consoli : il popolo decise attenersi agli usi primitivi; ed essi concederono che chiunque il volea de patrizj concorresse al consolato. Adunque si elessero di nuovo i consoli dell' ordin patrizio , e furono Lucio Papirio Mugillano, e Lucio Sempronio Atratino, fratello di un de' tribuni che s eran dimessi. 1 Dond* che furono in Roma ia un anno stesso due magistrature supreme. Non per comparisce 1 una e l altra magistratura in tutti gli annali Romani : ma in alcuni trovansi i soli tribuni,
( 1 ) Anno di Roma 3 i i secondo C a to u e , 3 ia secondo V arrone , e 4 4 1 a v . C risto. T ito Livio dice che i tribuni militari entrarono m agistrati sul terminare dell anno 3 io , e perci toccarono anche l'a n n o 3 1 1 .

3 8 4

DELLE

A N T IC H IT *

ROMANE

in altri i consoli soli, osservandosi in non molti 1 una e l ' altra. Noi ci atteniamo agli ultimi n senza ragione, affidandoci alla testimonianza de' libri sacri e reconditi. Sotto questi consoli non occorse altra cosa civile o mi litare degna di ricordanza : fecesi per trattato di ami cizia e di alleanza colla citt degli Ardeati, perocch spedirono ambasciadori , pe quali, lasciate le querimonie intorno la campagna, dimandarono di essere gli amici e gli alleati de Romani. I consoli ratificarono questo trattato. LXIII. II popolo conferm co' suoi voti che si creas sero i consoli anche per 1 anno seguente ; e nel pleni lunio di Dicembre presero il consolato Marco Geganio Macerino per la seconda volta, e Tito Quinzio Capi tolino per la quinta (i). Questi rimostrarono in Senato, che per le spedizioni continue de consoli contro i ne mici , giaceansi neglette pi cose ; tra le quali la osser vanza legittima del censo de b en i, cosa pi che le altre necessaria. Imperocch per esso conoscest il numero de gli uomini di et militare , e la quantit delle sostanze, su la quale dee proporzionare ciascuno i tributi per la guerra : n pi si era fatto alcun censo, volgeva gi 1 anno diciassettesimo, dal consolato di Lucio Cornelio, e di Quinto Fabio. Adunque eraue seguitato che i buoni e gli utili cittadini teneansi ne censi e nella milizia ; mentre i pi inutili e pi svergognati eran fuori di ogni registro, e cangiavano luogo con luogo affine di viverci come loro piaceva.
( i ) Anno di Roma 3 i a secondo C ato n e, 3 i 3 secondo Varrone , 44 av. Cristo.

SUPPLEMENTI E FRAMMENTI
DEI NOVE LIBRI PERDUTI

DELLE ANTICHIT ROMANE i


DI

DIONIGI DI ALICARNASSO.

387 IL T R A D U T T O R E

AJ

LETTORI.

D ionigi di Alicarnasso scrsse le Antichit Ro mane dalle origini di Roma fino alla prima guerra Punica in venti libri estesissimamente, e di questi poi diede un compendio in cinque libri come f u gi detto nella prefazione al tomo prirr^o. De venti libri perirono qualche parte dell' undecimo , e tutti i nove ultim i, salvo alcuni fram m enti pubblicati pi volte e ridotti in fine secondo /' ordine de"1tempi in ci che narrano. Avendo io trasportato nel nostro idioma gli undici primi libri, e li fram m enti gi noti de rimanenti, f u tutto dato in luce l anno 1 8 1 2 per Vincenzo Pog gioli, editore in Roma della Collana Greca tradotta in Italiano. Quattro anni appresso per, cio nel 1 8 1 6 , apparve in Milano una stampa Grecolatina della quale il titolo latino .'.DiONYs i i HALicARNASSEi
Rom anarum Antiquitatum pars hactenus desiderata nunc denique ope codicum Ambrosiatiorum AB A n g e lo MajoAmbrosiani Collegii doctore , quantum lic u it, restituta.

Quella stampa comprende gli antichi fram m enti dei nove libri sm arriti, e parti riguardevoli derivate dal compendio, collocate prima e dopo di essi fram menti

388

per ordinare un tutto il quale dia compenso e lume di ci che erano i nova libri perduti di Dionigi. In questo letterario ordinamento ci si d ci che si trovato , e non sopra. Del resto la versione la tina precisa , corrispondente , elegante , buona , anzi molto : le note opportune, U vi si desidera diligenza : e ci basti su quelF opera. Considerando come i fram m enti veri de nove libri presentati di nuovo in quella stampa erano gi vol garizzati , F editore in Roma della Collana Greca tradotta, cerc pi volte di avere anche il volgare di que' supplementi raccolti come si pot dalla Epitome o Compendio d i Dionigi: ed ultimamente vi aggiunse pur le sue premure il nuovo editore in M ilano della Collana Greca, presa la occasione dal valersi egli ancora della mia traduzione. Su tali istanze ho con segnato il volgare di que' Supplementi ordinato coi vecchi fram m enti appunto come si ha nel testo Gre colatino. E ci quanto basta a dar luce alla giunta seguente. Roma 2 2 . Settembre i8a3,

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DELLE

A N T IC H IT ROM ANE
I) I

DIONIGI ALICA R NASSEO

LIBRO DUODECIMO.
SUPPLEM ENT I ( i ) .

avendo radunato intorno a s uomini di ogni reo genio, li nudriva, quasi fiere, contro la patria.
( i ) Supplementi. Cos\ li chiamo per distinguerli dai Fram m enti. Questi sono parti vere dei libri perduti ; gli altri sono parti deri vate dal compendio d e venti libri delle antichit di Dionigi trovato in Milano nell Ambrosiana in due codici, l uno intitolalo : D i Dio nigi d i Alicamasso Archeologo Romano t l altro t Dionigi d i A li ca rn u to Archeologo delle cose Romane. chiaro che questo titolo t dato da a ltri. Li supplementi avran sempre due virgole in p rin cipio ed in line dei paragrafi p e r distinguerli dai frammenti.

3qO

DELLE ANTICHIT ROMANE

Tuttavia se ascoltava m e , se conformavasi alle leggi , egli faceva un gran colpo per la difesa , dando segno non piccolo di non aver cospirato. Ma sbattuto dalla sua coscienza si ridusse dove quelli si riducono, i quali sieguono scellerati disegni contro dei loro pi congiunti; deliber di non presentarsi al giudizio ; e respinse a colpi di mannaja li cavalieri spediti su lui ( i ) . . . . Il suolo della sua casa i Romani lo chiamano equimelio : conciossiach equo detto da lo ro , ci che non ha prominenze. Cosi il luogo soprannominato Melio in principio fu di poi detto Equimelio alterandosi i dne nomi in un solo (a) . II. Guerreggiando i T irreni, i Fidenati, e li Vejenli co'Romani (3), e Laro Tolumio re de'T irreni segnalandovi ^ spaventosamente ; un tribuno romano , Aulo Cornelio cognominato Cosso, spron il cavallo su lui. Faitisi a combattere gi moveano ai colpi le aste ; quando Tolumnio feri nel petto il cavallo dell' emulo , talch il cavallo ne infuria e lo atterra. Ma Cornelio internando 1' asta per lo scudo e 1 usbergo nel fianco di Tolumnio rovesci pur lui da cavallo. Ben sorgea questi ancora, quando fu colto nell' anguinaja. Con ci Cosso lo uccise e lo spogli, nou solo respingendo quanti accorrevano fanti e cavalieri, ma disanimando e
( ) Questa i parte del discorso di Cincinnato sa S pu rio M elio ucciso come reo d i am bila tirannide. (a) L a occisione di Spurio Melio concorre con l anno 3 i 5 . I I libro X I di Dionigi non eccede l anno 3 i a . Pertanto-ci che m an ca a dar continua la storia delle A ntichit Romane con quella del C om pendio fe la serie dei fatti dell anno 3 ia c del li due seguenti. (3) Anno di Roma 3 1 7 .

L IB R O

X II.

'3 t ) t

impaurando quanti erano alle mani nell' uno e nell al tro corno . III. Essendo consoli nuovamente Aulo Cornelio Cosso , e Tito Quinzio (i) > penuti la terra per grati siccit, mancando non che le pigge, fita le actjue nelle sorgenti. Donde Universale fu lo scapito di pecore, di giumenti, di .bovi : e molte fra gli uomini le malattie, quella principalmente che scabbia detta, assai molsta per lo rosore nella cu te , e pi molesta ancora se in ul ceravasi : infermit miserabile in vero , e cagione Solle citissima di rovina . IV. i . . . Mal sembrava a prinlarj del Senato ad dimesticare il popolo alla pace e prolungargliene la cal m a , sul riflesso che per la pace si schiudono in citt, vizj , piaceri, e sedizioni , e solean queste prorompere ad ogni occasione, difficili n interrotte, appena si togliean le guerre di fuori . . . . meglio superar 1 ini mico beneficando, che punendo : imperocch di l siegue se non a ltro , almeno la speranza loro pi dolce sopra de Numi . V ........... Appena conobbe che i nmici lo assali* Vano alle spalle , chiuso com era per ogn intorno da essi, disper di retrocedere. Egli tene* grave sul cuore che nel pericolo comune, essi pochi contro de'm olti, essi gravati dalle arme contra milizie leggere perireb bero turpissimamente senza dar segno di opera generosa. Adunque vista unaltura conveniente n lontana destin di occuparla . VI. Agrippa Menenio, e Publio Lucrezio e Servio
(3) Anno di Roma 3a6.

3p2

DELLE A NTICHIT ROMANE

Nauzio tra gli onori di tribuni militari scopersero una insurrezione di servi destinata contro di Roma (i). Di segnavano i congiurati dar fuoco tra la notte in un tempo a pi case in pi luoghi, e quando vedeano gli altri intenti a reprimer l ' incendio , allora invaderne il Campidoglio, ed altre parti munite, e quindi provocare ad esser liberi tutti gli altri servi, e con essi ucciderne i padroni, onde averne le mogli e li beni. Manifestatasi la pratica , i capi di essa furono presi, battuti, e cro cifissi : e que' due servi che la manifestarono, ottennero essi la libert veramente, e mille (a) dramme a testa dal pubblico erario . VII. Adoperavasi il tribuno romano a compiere la guerra in pochi giorni, come lui che credea facilissimo, e quasi posto nelle sue mani , sottomettere con una battaglia i nemici. Per contrario il comandante nemico apprendendo la perizia de Romani tra le a rm i, e la costanza ne pericoli, non avea cara una battaglia in campo aperto con pari circostanze; ma traeva la guerra tra le arti e 1 inganno, aspettandone che gli si pre sentasse un vantaggio (3) . . . . ferito e morto venuto appena . VIII. # In quest anno fu 1 inverno rigidissimo ia Roma (4) , unto che dove la neve caduta era meno,
' ( i) Anno di Roma 335. (a) 11 mille manca nel lesto. E plesso a poco il num ero che supplirti consideralo ci che se ne ha presso di Livio lib. 4 c (3) Questo racconto consente per qualche modo con ci narra Livio nel capo 46 del libro q u a r to , intorno la disfatta Romani contro degli E qui. (4) Auno di Roma 355. dee ^5. che dei

LIBRO X II.

393

ivi era alta li sette piedi ( 1). Vi perirono alquanti u o mini , e molte greggi, ed altro bestiame non poco, so praffatto dal gelo o dalla fame per mancanza de'pascoli. Le arbori fruttifere inusitate alle grandi nevi o perirono in tutto, o seccate ne' rami rimasero gran tempo infe conde : molte case ne furon confuse, e talune disfatte, principalmente quelle di p ietra , allo sciogliersi delle nevi* Tale infortunio noi trovo scritto mai p i , prima n p o i, fino al mio tempo in tali regioni alquanto pi boreali del mezzo , seguendo il circolo parallelo il qual viene per 1' Ellesponto sopra di Atene. Allora per la prima ed unica volta 1 ambiente' di questa regione si allontan dalla sua temperatura (a) . IX. a I Romani fecero le feste dette lettistemi nell idioma del luogo. O r furono ammoniti a tanto pe li bri Sibillini: giacch gli astrinse a consultarne loracolo un morbo pestilenziale mandato loro da' Num i, n sa nabile per cura umana. Adunque acconciarono , come volea 1' oracolo tre letti, 1 uno ad Apollo e Latona , 1 altro ad Ercole e Diana , ed il terzo a Vulcano e Nettuno. Poi per sette giorni fecero pubblici sagrifizj , come pur fecero, ciascuno secondo le forze sue, private offerte ai Num i, e conviti sontuosi ed accoglienze di forestieri (3) .
(i)_ Livio racconta 1. v , c. i3 che il Tevere non potea navigarsi. (a) Questo franchissimo scrivere fa desiderare le cautele dellau tore dei venti libri delle A ntichit Romane. L e mutazioni anche rarissime dell atmosfera non perch non sono scritte pel tempo pas sato , p u concludersi che non avvenissero mai p i . (3) L ivio parla di tal festa nel lib. v , c . i 3 , la dice occorsa

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A N T IC H IT *

ROMANE

X. Pisone il censore fa negli annali suoi questag giunta : cio, che sebbene fossero sciol ti tutti i servi, tenuti in ferri dai padroni, sebbene Roma si empisse di forestieri, e sebbene si tenessero di e notte spalan cate le case, penetrandovi chi volea, senz ostacolo ; pur niuno si dolse che avesseUe furto, n oltraggio ; quan tunque i giorni festivi sogliono per le briachezze dar largo il campo a disordini ed ingiustizie . XI. Stando i Romani all assedio di Vejo ( 1) sul nascere della canicola quando gli stagni diminuisconsi e tutti li fiumi all infuori dell Egizio Nilo ( a ) , il lago de'monti Albani, distante non meno di quindici miglia da Roma, presso al quale fu gi la citt madre deRo mani , crebbe senza piogge , senza n ev i, e senz' altr apparenti cagioni, per le sole interne sue fonti a tal dismisura, che inond buon tratto delle adjacenze con molte case di agricoltori. E finalmente aprendosi a forza il passo tra'monti si vers con terrbile sbocco ne'campi sottoposti .
nella estate contagiosa, la qaal succedette aU1 inverno rigidissimo descritto diansi. ( i ) Anno di Roma 356. ( 3 ) A lP infuori delC E gitto IVilo. Q uesta eccezione , fa cono scere, p a r m i, che l autore del compendio non D ionigi. Im peroc ch egli nato in Alicarnasso citt dell Asia , e gi spettante al r e gno di P e r s ia , come tulio il corso dell E u fra te , non p o t e v a , e certo non doveva ignorare in tanta naturai sua diligenza che l E u frate anch esso nel luglio assai cresce e trab b o c ca , come si legge in Arriano libro v i i , p a r. a o , greco p u r esso, e scrittore delle gesta di Alessandro. Lo stfsso Arriano scrive del lib. , paragr . 7 secondo la nostra traduzione, che anche i fiumi Indiani n e llestate ingrossan o fuor di modo e nell'invercro scemano.

LIBRO XII.

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XII. Veduto ci li Romani , da principio, quasi 10 sdegno del cielo minacciasse Roma, decretarono pla care con sagrifizj i Numi ed i Genj del luogo , consultandovene pur gl' indovini, se ne avessero mai cosa da significare. Se non che n il lago ripigliava l'ordine suo, n gl'interpetr sapean dirne a proposito, ma sug gerirono che si mandasse per intenderne 1 * oracolo in Delfo . XIII. Intanto un di Vejo perito,' per lume avutone da maggiori, deH arte divinatoria di que'luoghi, stavasi per avventura in guardia delle mura. Era costui noto ad un centurione romano. E quel centurione venuto una volta presso le mura lo salut come usava ; aggiugnendogli di commiserare lui come tutti i suoi pemali imminenti nella espugnazione della citt. Per lopposito 1 1 T irreno, il. qual gi sapeva la inondazione del lago Albano, e sapeva gli antichi oracoli intorno di questa , replic , sorridendo , quanto bene conoscere F avve

nire. Voi per non conoscerne sostenete una guerra senza f i n e , e travagli irriuscibili, disegnandovi la distruzione di Vejo. Se alcuno vi rivelasse portare il destino di questa citt che allora sia presa, quando il lago Albano impoverendo nelle acque su e , non pi si mescoli al mare, cessereste di tenre voi nella fa tica , e noi tra le molestie. Assai ne impensier ci udendo il romano , e parti . XIV. Nel giorno appresso il rom ano, comunica tone il disegno co' tribuni, rivenne allo stesso luogo , ma senza le arm i, onde il Tirreno non sospettasse af fatto d insidie. Ripigli 1 usato saluto , e poi disse in-

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nanzi tutto l ' incertezza la quale agitava il campo d el Romani, e cose altrettali da rallegrarne, com egli cre deva , il Tirreno. Poi chiedealo spositore di alquanti segni e portenti occorsi di recente ai tribuni. Condi scese colui niente sospettando d'inganni. E fatto ritirare gli altri i quali erano con lui si mise egli solo col cen turione : E questi a passo a passo lo allontan dalle mura con discorsi diretti a deluderlo : Or come fu presso alle munizioni romane lo abbracci con ambe le m ani, e sei port negli alloggiameli li . XV. Quivi i tribuni or lusingando or minacciando lo ridussero a dire quanto celava sul lago A lbano, e poi lo mandarono al Senato. Non parvene a tutti i pa dri in un modo : e cbi tenea costui per uno scaltro , per un impostore, per uno cbe mente su gli oracoli de' Numi, e chi dicea lui parlare a punto il vero . XVI. Fluttuando fra tali incertezze il Senato, ecco i depistati al Nume in Delfo riportarne (i) le divine risposte, concordi a quelle, date gi dal Tirreno: vuol dire che gli Dei e li Genj li quali aveano in sorte la citt di Vejo promettevano mantenervi costante la pro sperit trasmessavi dagli antenati finch le acque sor genti del lago Albano ne traboccassero e corressero al mare : Ma quando quelle acque , mutata la fonte e il corso antico, deviassero altrove, n pi si mescolassero al mare, allora pur Vejo ne andrebbe sossopra. Parve che potesse tanto ottenersi da Romani , se scavando delle fosse intorno al lago v' incanalavano l ' acque le quali sboccavano, dirigendole in campi lontani dal mare.
() Anno di Roma
357.

QJ Conosciuto ci li Romani bentosto misero gli operaj sa l'intento . XVII. Rendutine i Vejenti consapevoli per nn pri gioniero, deliberarono spedire a chi li assediava, a fine di toglier la guerra innanzi che la citt soccombesse: e scelsero de'seniori per deputati. Rigettata dal Senato la pace , lasciavano questi, taciturni, la curia : quando il pi cospicuo fra loro e pi famoso nel divinare , fer matosene alla porta e girato lo sguardo su tutti i se natori disse: bel decreto v avete voi fa tto o Rom ani!
LIBRO XII.

e degno di voi li quali cercate dominare per tutto intorno , quando ricusate aver suddita una citt n piccola n ignobile la qual depone le armi e si ren d e , e destinate abbatterla da fondam enti senza te merne P ira de N u m i , n la vendetta degli uomini. Or ne verr per questo su voi la giustizia punitrice de' Numi con pari vicenda ; Voi che spogliate li Vejen ti di patria , v o i, tra non molto perderete la vo stra (i) . XVIII. Prendendosi (2 ) dopo breve tempo V ejo, taluni de' cittadini ne andarono, e stettero da valentuo mini contro a nemici, e ne uccisero e furono uccisi : altri diedero a s stessi la morte : ma quanti per co dardia , e bassezza di spirilo risguardavano ogni altro successo come pi mite della m orte, abbandonarono le armi e s stessi al vincitore .
( 1 ) Anche Cicerone nel lib. 1, c . 44 de N atura Deoritm fa men zione ili questa a m b asceria, e dellauaunzio del c astig o, succeduto, com egli s c riv e , sei auui dopo la presa di Vejo, col piombare dei Galli su Rom a. (a) Anno di Roma 358.

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DELLE ANTICHIT ROMANE

XIX. Camillo sotto la dittatura del quale Vejo fu presa, stando co Romani pi insigni su luogo elevato donde tutta quella citt si scopriva, primieramente feli citava s stesso della bella avventura con che gli era accaduto di espugnare e senza gran costo una citt grande e prosperosa, la quale era parte , n gi la pi ignobile della Etruria, allora fiorentissima, e potentissimaNtra' popoli dell' Italia , e la quale avea dispu tato il principato ai Romani con guerre moltiplicale per dieci generazioni {1 ) con cimentarsi alfine a tutti i mali tra l assedio non interrotto di nove anni (a) . XX. Di poi considerando per qual lievissimo bil lico trascende la sorte umana, e come niun bene tien fermezza , alz le m ani, supplichevole a Giove e agli altri Numi, perch tanta felicit non chiamasse l'invidia su lui principalmente , n su la patria : e se per con trario pubblici disastri pendeano su Roma, o privati su lui, almen fossero questi i pi lievi e pi tollerabili . XXI. Non minore di Roma per gli edificj, godea Vejo terreni am pj, d assai frutto , dove piani , e dove montuosi ih aere purissimo e salutevolissimo, senza pa ludi vicine , dalle quali sorgono aliti gravi ed ingrati , e senza niun fiume il qual dia troppe fredde le aure del mattino ; n scarse vi son 1 acque (3), n condot( 1 ) Cio per circa trecento anni assegnando trent* anni ad ogni generazione: Im perocch V ejo cominci lali sne guerre con R om olo: poco prima della sua m o r ie , a soccomb l anno 358 di Rom a. (a) L itio ed altri dicono durato questo assedio dieci anni : vu ol dire nove furono gli anni interi ciocch scrive 1 autore dell E p i tome , ma non intero fu 1 ultimo. (3) Dionigi nel paragr. i5 del libro x scrive che non lungi da.

lib ro

x ii.

3 gg

tevi altronde, ma vi scaturiscano copiose nommeno, che bonissime a beverne . XXII. Dicono che quando Enea figlio di Anchise e di Venere approd nellItalia volesse fa? pgrifizio ad un tale de Numi : e che fatte gi le preghiere, stando ornai per operare su la vittima apparecchiata, mirasse venir da lontano un greco, Ulisse forse quando fu per T oracolo di Averno , o Diomede quando si rec per soccorso di Dauno. E dicono che disgustato Enea del l incontro, tenesse come inaugurata la vista dell'inimico tra le sante cose, e che volendo respingerla si bendasse e volgesse altrove ; finch dopo la sparizione di colui lavatesi di nuovo le mani fece il sagrifizio : e siccome vi si rend fausta ogni cosa , egli ne fu dilettato per modo da custodirne di poi nelle sante cose la cerimo nia; conservandola per ci li posteri di lui quasi legge del sacro ministero . / XXIII. In conformit de patrii r it i , fatta la sup plica Camillo ancora si trasse in sul capo il manto , e volea rivoltarsi. Ma travoltoglisi ci che avea di sotto a piedi, n potendosene rattenere, ne and supino a terra. Or questo rovescio , indizio che egli di necessit cadrebbe per una miseranda caduta, questo rovescio facilissimo da intenderlo senza calcoli e divinazioni, anVejo k il fiume C rem er, e che da questo fiume fu denominalo Cremer il castello edificato d a Romani contro di Vejo. Qui si scrive che non vi niun fiume il quale dia troppo fredde le aure del m attin o: che aoefee senza fiume vi abbondano le acque. Questo esservi e non esservi un fiume fa concepire che lo scrittore del com-j p fa d io non Dionigi.

4-OO

DELLE ANTICHIT* ROMANE LIBRO XII.'

che da meno periti, questo egli noi pens degno da guardarsene e da espiarsene , ma lo ridusse tale da consolarsene come se li Numi avessero esaudito le pre ghiere di lu i, con operare che gli avvenisse il meno de'mali .

DELLE

A N TICH IT
DI

ROMANE

DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO DECIMOTERZO.
SUPPLEMENTI ( i ) .

I, jV ^Etm iE Camillo assediava la citt de' Fali- sci (a), ua di questi sia che disperasse della patria, sia che spiasse l utile su o , tradendo i fanciulli delle fami glie pi illustri a' quali esso era maestro di lettere, li
( ) Narrano che Dionigi divise jl suo pqmpendio in cinque libri. Ambedue li codici trovati del compendio delle antichit noq hann? o non ritengono indizio niuno della d 'ttin iion e in libri. (a ) Anno di Roma 3 6 q .
P I 0 1 ( I G I , tomo j t j f .
25

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

cav fuori delle porle come per passeggiare dinanzi le mura , e far loro visibile il campo romano. Poi slonta rlandoli poco a poco dalla citt, li ridusse presso le guardie Romane: queste accorsero; ed egli ced s stesso, e gli altri. Menato a Camillo disse, che da gran tempo egli volea rendere la citt de Romani : ma non avendo in sua balla n la fortezza, n le porte, n le armi, si argoment di mettere nelle mani di lui li figli de'citta dini prim arj, considerando cbe necessiterebbe li padri, solleciti di salvarli, a dar la citt quanto prima ai Ro mani. E cos diceva, immaginandosene maravigiiosi pre mj pel tradimento, a II. Camillo, dati da custodire il maestro e li fan ciulli , scrisse al Senato il successo, chiedendone ci che fosse da fare. Lasciatogli dal Senato di farse il meglio che a lui ne paresse , egli cav dagli alloggiamenti il maestro e li fanciulli, e fece alzare il suo tribunale non lungi dalle p o rte , presentandosi immensa la folla su le m ura, e dalle porte. Quindi primieramente distinse ai Falisci quanto il maestro fosse stato ardito di offenderli. Appresso ordin che i servi gli traesser .la veste, e lo carminasser ben bene colle sferzate : e quando tal pena gli parve bastare , allora di delle verghe ai fanciulli, e fece che sei menassero innanzi alla citt, legato colle mani al tergo, battendolo e malmenandolo per ogni ma niera. I Falisci ricuperato i fanciulli, e punito il maestro in proporzione del suo malfare, sottomisero la patria a Camillo. III. Lo stesso Camillo nella spedizione su Vejo ( 1 )
( l ) Anno di Roma 36o.

LIBRO X II.

43

fece voto a Giunone, Dea sovrana del luogo, di collocarle se preudea Vejo , la statua iu R om a, istitnendovene insieme culto magnifico. Pertanto dopo espugnato Vejo,mand de' cavalieri pi riguardevoli a prendere dalla sua sede il simulacro. Appena gl' inviati vennero al tempio, l ' uno di loro sia puerilmente e per beffarsene, sia per farne 1' augurio, addimand la Dea se voleva trasmi-: grarsi a Rom a, e colei soggiunse volere con chiarissima voce della statua; e due volte lo soggiunse. Imperocch non potendo que' giovani persuadersi che la statua fosse quella che avea parlato, replicarono la dimanda, e ne udirono un altra volta la voce stessa (i). IV. T ra il comando de' consoli dopo Camillo pro ruppe in Roma un morbo contagioso , apparecchiato dal non piovere e dall arsura estrema. Afflitti con ci gli albereti e li sminati porsero frutti pochi e nocevoli agli uomini , e pascoli scarsi e malsani ai bestiami. Ond S che il male consuase pecore e giumenti senza numero non solo per la inopia del cibo ma della bevanda; Tanto erano scemate le acque de' fiumi come delle altre sorgenti nella stagione in che gli animali pi assetano I Quanto agli uomini, ne perirono pophi solamente, ridotti a cibi non provati mai per addietro : gli altri caddero quasi tutti in malattie terribili le quali si tnanifestavano con picciola efflorescenza e gonfiore su la cute esterna, e degeneravano in ulceri grandi, simili alle gangrene, molestissime a vedere, come a soffrire. N s' aveano gli
( i ) Vejo e la statua fu presa P a n n o 358. M a il tem pio iu Roma le fu dedicato l armo 36a, appunto dopo la guerra Patisca. E pei6 il fatto si narra i q u e s t'a u n b che dava termine al voto.

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A N T IC H I T R O M A N E

infermi rimedio alcuno se non quanto il roder* e il graffiare continuato cagionava lacerazioni dalla cute alle ossa. i V. Dopo non molto i tribuni per invidia convo carono il popolo (i) contro Camillo, e fecero che lo multassero a dieci migliaja di . . . quantunque non igno rassero che la multa eccedeva non poco gli *veri di lui: ma ci vollero perch messo in carcere, scapitasse nell? riputazione' chi tanta ne avea per nobilissime guerre, amministrate per eccellenza. Li congiunti e li clienti a o cozzarono e diedero la somma, richiesta, affinch egli non soggiacesse vilipendj : ma il valentuomo riputando intollerabile' la ingiuria, abbandon la patria. i VI. Nel giungere alle porte fra gli astanti addo* lorati e piangenti per la perdita che farebbono, bagn di largo pianto anchesso il sembiante, e lament la in famia in che era messo dicendo : Voi Num i e Genj.

esaminatori delle opere de' mortali, voi giudici siate, prego, della mia condotta verso la patria e di tutta la vita mia precdente* E se trovate me reo delle incolpazioni su le quali il popolo mi condannava, da* temerne ignominioso e misero il fine de' giorni; M a se in quanto mi si affidava dalla patria in pace , e in guerra, in tutto vedete me pia , giusto , superiore ai non degni sospetti ; vai Q enj e Num i vindici m i siate, vai create loro pericoli e paure donde siano ne cessitati di ricorrere a me , non trovando altro scampo. E cos dicendo s incammin alla citt di Ardea. Y(I. E ben gli Dei ne ascoltarono (a preghiera :
f i ) Anno di Roma 363,

L I R O

XII I .

4 5

Imperocch tta poco i Galli peseto la ciri senia il Campidoglio. Riparatisi in questo i Romani pi distinti Vi ranb Assediati, mentr l moltitudine si era dispersa per le citt d'Italia'. Li Romani concentratisi a Vejo lcerti loro capitano nu tal Cfedicio : e Cedicio nomin Caniillo sebbne lontano per comandante , arbitro dfcll gubrra e della pace; Poi fattosi capo di legazione esort Camillo di riconciliarsi alla patria, vedutala in sventure tali che la riducevano ad invocare clii aveva oltraggiato. . V i li. qui Camillo disse : rton abbisognano le

srtazoni o Cedici. Imperocch se voi qui rton giun gevate per chiamarmi a parie dli opera, io gi era sul punto di venire a voi con la milizia la quale mi vedete presentei O Num i o Gerij tutti li quali risguardate la vita degli uomini, io vi ringrazio largamente di quello che,fin qui nie ne deste : e vi prgo che il mio ritorno sia fausto peb avvenire e felice lla P a tria: A h ! se r uomo potesse antivedere il futuro ; mai chiesto vi avrei che R om a, caduta in tal sorte a me ricorresse : mille vlte antporrei continuare la vita fu o ri delle emulazioni e della gloria, prima che io ve dessi Roma sotto il giogo de' barbari condotta a questo da non rimanerle altra speranza che in me di sal vezza. Ci detto raccolse le m iliz ie col solo improv viso apparir suo disperse i G alli, finch assalendoli di sordinati e turbati, ne f macello comc in ima greggia. ( i ) IX. Mentre stavano assediati tuttavia nel Campido glio quanti vi si erano ritirati fu spedilo loro un tal giovine dai Romani di Vejo: e colui venuto e penetralo
( i ) Anno di Roma 364;

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DELLE

A N T I C H IT R O M A N E

nel Campidoglio senza farlo' conoscere alle guardie de Galli, e dettovi ci che dovea, ne ripart fra la notte. Fattosi giorno l uno de'G alli, vistone le pedate, lo,disse al sno re (i): questi convocando isuoi pi valorosi ad dit loro le orme del Romano asceso nel Campidoglio: E qui stimolandoli a fa r. cuore , e tentare pur essi di salire la fortezza , prometteva amplissimi premj al fatto. Convenutisi molti per la impresa, intim silenzio alle guardie, affinch li Romani le credessero addormite, e si dessero al sonno anch' essi. X. Gi erano saliti alquanti, gi lasciavano che altri pur salissero, onde, fattosi buon numero , trucidare le guardie ed espugnare la rocca, e tuttavia niuno de Ro mani se ne avvedeva. Quando le oche sacre di Giuno ne , tenute nel recinto santo, schiamazzando ed avven tandosi . ad un tempo contro de barbari, palesarono il male. Allora s , ne fu tumulto e strepito, accorrendo ed esortandosi tutti alle armi : Nondimeno i Galli, gi moltiplicati si avanzavano pi addentro. XI. Or qui Marco Mallio 1 uno de consolari, dato di piglio alle arm i, e fattosi a resistere, mentre il primo de' salitori gli era colla spada sul capo, ne prevenne il colpo, ferendolo nel braccio, e troncandone il cubito. Quindi innanzi che venire alle mani percotendolo collo scudo elevalo lo stese a terra, e ve lo uccise. Appresso violentando anche gli altri gi perturbali, dove ne uc cideva , e dove nell incalzare, li precipitava dall alto. Per tanto valore ne ebbe da quelli del Campidoglio, u a
( i ) Questo picciolo re si chiamava B rtu n o . L ivio. 5.

LIBRO X III.

47

dono, pari alle circostanze, in tanto farro e vino, piant ne era il vitto giornaliero di ognuno. XII. Appresso finita la inquisizione su quanti aveano mancato alla guardia del luogo nel tempo che vi asce* sero i Galli, il Senato condann tutti alla morte ma il popolo , ridotto pi m ite, si content della morte d in a solo de' capitani: la quale affinch fosse palesissima ai barbari, legarono ad esso le mani dietro, e lo precipi tarono dall alto fino a loro. Dopo questo supplizio non vi era pi negligenza nelle guardie, ma vegliavano tutti tutta la notte. Adunque disperando i barbari prendere la fortezza per inganno o d i furto, si diedero a trattare del prezzo, cui d ato , i Romani riavessero la citt. ' XIII. Dopo giurati gli accordi; i Romani portarono l'o ro , e venticinque talenti era la somma la quale do* veano ricevere i Galli. Disposta la bilancia ecco il Gallo imporvi un peso maggiore del giusto : se ne querelarono i Romani : ma il nemico tanto fu alieno dal rettificarlo; che lo sopraccaric della sua spada, levatosela dal cinto. E chiedendo il questore che volea mai significare quel fatto i rispose, guai p vinti. E poi che il peso ivi po sto, ampliato com era, non si pareggiava, anzi mancava un terzo di tanto, i Romani si ritirarono chiesto tempo da raccoglier l intero. Sosteneano tanta insolenza ignari delle cose operate ; come abbiam detto, ip campo da Cedicio e da Camillo. XIV. Questa fu poi la cagione del Venire de* Galli nell ItaJia. Lucumone -un tal capo di Tirreni ornai sul fin dejla vita raccomand la cura dei figlio ad un suo fido, chiamato Arunte. Morto il Tirreno, Ararne assuns

4o8

BELLE ANTICHIT* 'ROMANE

la cura sollecito e puntuale'delia sua fede verso il fan ciullo. Al quale gi cresciuto rassegn quanto gli era stato affidato dal padre : non per ne ebbe da lui pari corrispondenza. XV . Avea questi una moglie formosa e giovane, e cara a lui singolarmente , come un fiore fin qui di pudicizia. Ma il giovinetto, presone dall amore, ne cor ruppe il corpo ad un tempo e Io spirito; conversandola ornai non di nascosto, ma palesemente. Addolorato Arante per lo dislacco della donzella, non pi reggeva alla in giuria , che ne avea da ambedue : n potendo pigliarne vendetta si mise ad un viaggio sotto vista di negoziare. Ud coti trasporto il giovine lo andare , dandogli 'ci che era bisogn ai guadagni, e 1 altro port nelle Gallie molti carri con otri di vino e di olio , e molti con ceste di fichi. * XVI. I Galli di quei d non conosceano il *yino delle v iti, n 1 olio , quale fra noi lo danno le olive : ma teneno vin d orzo, fermentato in acqua, e foglia me tetro all odore, usando per olio grassi vecchj di porco, ingrati a odorarne e gustarne. Come provarono frutti non prima gustati ne presero diletto maraviglioso, interrogando il forestiere, dove e come ciascuno di questi si generasse. XVII. E colui replica, che ampia e buonft la terra che li produce, e questa posseduta da uomini ,

pochi di numero : n punto migliori delle fem m ine ih fa r guerra Suggeriva, che non ricevessero pi tali cose dagli altri ad un prezzo, ma cacciassero i possessori an tichi, e se le appropriassero (i). Mossi da quel dire ven*
( i ) 1 Carri qui nominali dimandano un* via g i i comune e n o ta

L IB R O

X III.

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nero i Galli nell1Italia, e portarono la guerra ai Tirreni di Chiusi, donde era colui che li avea persuasi. X V m . Era giunta un* ambasceria da. Roma ai Galli ; ma come Q. Fabio il capo di qnella ud che i barbari erano usciti a foraggiare si diede a combatterli, e ne uccise il capitano. I barbari spedirono a Roma chiedendo che si consegnasse loro questo Fabio ed il fratello, onde subir la pena dell uccisiope. XIX. Differendo il Senato la risposta , i Galli di necessit trasportarono la guerra verso Roma ( i ). Udito ci i Romani uscirono dalla citt con quattro legioni di soldati scelti e veterani : e con numero ancora maggiore d inquilini, di oziosi, e di altri meno consueti alle ar mi. Ma i Galli ne misero ita fuga la moltitudine , ed occuparono tutta R om a, alvo il Campidoglio.
con ci gran commercio precedente. C io cc h i non si accorda con la n o v ili descritta dei prod otti recati da Arante nelle Gallie. Non facile a concedersi che ima naiione si ecciti e commova a tra smigrare p e 'ra c c o n ti di un avventuriero. Livio scrive I. 5. i4Eos ( Galli ) qui oppugnaverunt Ciusiuni non fuisse qt prim i alpes transieriut, satis constat. Q uel satis constai imporla che tal eru dizione era comune in Roma alm eno tra' letterali ai tempi di Livio, che son quelli di Augusto , nel cui regno anche Dionigi visse in Roma l uogo tem po. P a n n i d u u q u e da concluderne che lo scritto si risente di alquante nozioni le quali non erano del diligentissimo au tore delle antichit : cio questo Compendio t di on greco il quale on essendo forse vivulo nell I t a l i a , e compendiando D ionigi, vi lasciava conoscere la vena dell' ingeguo suo non si pura quanto quella di Dionigi. ( t) Anno di Roma 364-

4io
DELLE

A N TICH IT
D I

ROMANE

DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO DECIMOQUARTO
SUPPLEM ENT I E F R A M MENTI.

I. &TA la GaUa nella parte, occidentale di Euro pa tra il polo di tramontana e l ' equatore. Quadrata nella figura confina verso 1 oriente colle A lpi, altissime tra monti di Europa., verso il mezzogiorno ed il vento Noto co monti Pirenei, verso ponente col mare di l dalle colonne di Ercole, e finalmente collo Scita e col Trace verso il Settentrione ed il Danubio, fiume il qual^ scende gi dalle A lpi, grandissimo infra tutti iu quei luoghi, ed il quale trascorse tutte le terre boreali, sbocca nel mare del Ponto.

LIBRO XIV.

4l I

li. Tanta ne. la grandezza, che tieo po co meno della quarta parte d'Europa. Irrigua , pingue , rioca di fru iti, e bosissima da pascer gH armenti tagliata in mezzo dal Reno, il quale sembra il pi grande de' fiumi Europei dopo dell* Istro : la parte di qua dal Reno la qual confina cogli Sciti e co T raci, detta Germania dalla selva Ercinia fino a monti Rifei : ma la parte di l dal fiume la quale rivolta a mezzogiorno fino ai monti Pirenei, questa , abbracciando il seno Gallico , prende il nome di Gallia da quel mare. III. Tutta poi con vocabolo comune tra Greci detta Celtica da Celto, un Gigante che ivi regnava se* condo alcuni : ma per altri si favoleggia che da Ercole e da Asterope Atlantide ncquero due figli Ibero e C elto, i quali diedero il nome loro a paesi dominali da essi : Nondimeno altri narrano esservi un fiume, Celto di nome , il quale scaturisce da Pirenei e pel quale prima fu detta Celtica la regione vicina, e coll an dare del tempo anche la pi lontana. Finalmente per altri si aggiunge che quando i primi Greci facon messi a queste regioni, le navi rapite dall impeto de' venti corsero a riva ( 1 ) entro il Gallico seno : e che gli no* mini presavi terra chiamarono Celsica la regione, ap presso Celtica detta da posteri col mutarne una lettera. IV.......... In Atene nel recinto sacro di Erittonio, figlio della terra, l olivo sacro piantatovi da Minerva quando disputava con Nettuno per quella regione, bru ciato da' barbari mentre teneano la cittadella, nel giorno
( 1 ) Corsero a riva, approdarono, nel testo ccelsair, donde celsica

e poi celtica.

4 li

DELLE ANTICHIT* ROMANfe

dopo l incendio gener dal ceppo Un virgult o * com e d i Un c u b ito , volendo gli Dei m anifestare che ben presto lai c itt , ricreando se stessa, darebbe germ i novi in Vece degli antichi.

' V. Anche in Rotna il picciolo tmpio di Marte in cima al Palatino , brucialo con le case iatorno sino ai fondamenti quando s ne purg i! terreno affine di riediScarvi, conservava tra le ceneri intatto il simbolo che la citt si rifarebbe , io dico una verga * curva da uno degli estremi, come ritrto il baston dei bifolchi dei pastori, che i Greci chianiano lagobota , e Colla quale Romolo dotando prender gli angurj , descrisse i riti oVe prenderli, quando era per fondar la citt........ coll esercito spedito, senz altro che le a rm i. . . . . scop piando uno strepito come in spettacolo grandissimo per udienza bellissima altri stupefatti da vero > ed altri in Apparenza a pienb. VL Manlio segnalatosi tanto, quando Romani cercarono scampo nel Campidoglio, ora incorso in pe ricolo estremo per la incolpazione di aspirar la Tiran nide ( i ) , riguardando al Campidoglio, e stndendo le mani vers il tempio ivi posto di Giove, diss : N on

sar dunque bastante a salvarmi nemmno quel luogo elie io a tutti voi conservai quando era gi tra le mani de barbari ? Io che ivi mi esponeva allora per voi tutti alla morte , ora alla morte sai' consghato da voi ? Impietositi a tal dire Io rilasciarono per quel gior no , ma nel seguente iu precipitato dalla rupe. VII. Prevalendo contra i nemici , e riempiendo
(i) Anno di Roma 37.

L IB R O

X IV .

4*3

F esercito ano di n tili, Tito Quinzio dittatore in nove giorni prese nove citt nemiche ( i ) . . , . . Rinchiusi da ambe le parti erano gl' iniquissimi tracidati copie una greggia. VIIL Marco Furi Camillo dittatore fu tra quanti fiorirono nell' et sua 1' uomo il pi insigne nella mili zia , ed il pi sapiente nel governo della repubblica (a). 8ono pur generosi i R omani. Gli altri popoli di rigono quasi tutti nelle private e pubbliche cose i pr prj pensieri a norma del termine degli eventi, ora de ponendo le grandi inimicizie per tenui beneficenze, ed ora le antiche amicizie ripudiando per offese lievissime. Per P opposilo i Romani pensano che debbasi operare ben altrimenti con gli amici, e che debbasi a' vecchj benefizj sagrifioare la collera per gli oltraggi recenti. IX. Certamente della Romana grandezza ben fu me raviglioso quel tratto, che non malmenarono i ma lascia rono illesi tutti i Tuscolani quantunque colpevoli : ma pi meraviglioso ancora fu quanto concederono ad essi dopo il perdono (3). Imperocch fattisi a provvedere die non succedesse pi nulla di simile nella loro citt j n pi ci avessero alcuni comodit di far cose nuove, non conclusero gi di mettervi guarnigione nella fortezza, n
( i ) Addo di Roma 3 ^ . Questo e li tre seguenti paragrafi s o d o frammenti dei venti libri delle antichit Romane scritte da Dionigi e non del Compendio : sono picciole parti dall opera vera ; non parli derivate altronde per supplirla. Il testo greco e la traduzione latina si era stampata pi volte. Li frammenti si distinguono dal nqn avere le virgole n in principio n i in line dei paragrafi. (5) Ann di Roma 3 7 3 .
(a)

4 -1 4

DELLE

A N T IC H IT *

ROM ANE

di esiger gli ostaggi dal ceto pi riguardevole , u di levare le armi a chi ne teneva, n- di porgere indizj comunque di amicizia malfida : ma persuasi che il mezzo onde tenre concordi fra loro i congiunti di amicizia o di sangue l'uguaglianza sola de' beni, deliberarono di concedere ai vinti la cittadinanza, accomunandoli a tutti i diritti quanti ne banao i Romani (i). X. Nel che presero ben altra via che gli Ateniesi e li Lacedemoni ( n gi rileva parlire di altri della Greca nazione) quando ambirono dominare la Grecia. Impe rocch , per offesa ricevutane, gli Ateniesi straziarono cosi duramente e brutalmente i Samj, popolo da essi diseeso, e gli Spartani quello de'M essenj, non distinti da loro se non quanto fratelli ; ch e, rotto ogni vincolo> e soggiogatene le citt, non lasciarono contro.il sangue loro eccessi di oltraggi che i barbari pi empj potessero sopraggiungervi. XI. E potrei allegare altri errori infiniti di quelle repubbliche ; ma li tralascio ; giacch spiacemi, fino l'aver menzionato gli anzidetti. Imperocch vorrei cbe la nazione Greca si distinguesse da quelle de' barbari non col nome solo e col dialetto ; ma per la intelligenza e la scelta delle utili costumanze; e soprattutto che infra loro non si desolassero con ingiurie pi che disumane. E quei che portano in s tali massime, quelli nomino
( i ) T ito Livio cos p a d * di nn u l fallo nell'anno
373

d i R o m a:

Tantum fe re vtrborwn a Tutcutanis in Senalu factum . Pacem in pracsentia , nec multo post civitatem impctravcrunt E nell anuo 3 y j descrive i Latini accesissimi dalla rabbia perch i Tuscolani deserta comuni concilio Latinorum non in socictatem modo romano rum , seti eliain in civitatem tese dedissent.

L IB R O X I V .

4 l5

Greci, come barbari gli altri cbe altre ne portano. E di coloro io conto le risoluzioni e ie opere come per Gre che se umane sieno e benefiche; ma per Greche affatto non tengole se crude sieno e ferali, principalmente contro i parenti e gli amici. Del resto i Tuscolani , presa la loro citt, non che essere spogliati de'beni loro, e.non ch averne l'am icizia; parteciparono anche ai beni de, vincitori. XII. I G alli, con altra spedizione contr o Roma presero, e manomisero la terra Albana (i). Dove em piendosi di cibo, e del viao poro quale ivi si genera, il pi soave dopo il falerno , e mollo somiglievole al mulso, e dandosi oltre 1' usato al sonno, e per lo pi standosene all' ombra , s eran tanto im pinguati, ingen tiliti, snervati, che se talvolta eran posti ad esercitare i lor corpi o faticare nelle arm i, ne ansavano di con tinuo, e vi grondavano dal sudore, costretti a desisterne innanzi l avviso de capitani . ' XUI. Udito ci f Camillo dittatore de Rom ani, adun le sue milizie, e concion tra loro , assai vivifi candole ad imprendere : O R om ani, egli disse , noi abbiamo assai pi che i nemici betifatte le arm e , le corazze, gli elmi, gli stivali, gli scudi saldi, coi quali guardiamo tutto il corpo , le spade a due ta g li, ed

in luogo d eli asta, saette cTirreparabil colpo. Le armi colle quali ci copriamo son tali da non facilitare su noi le ferite: laddove quelle con le quali nociamo ci abilitano per ogn impresa. E poi nudo il capo dei nem ici, nudo il petto ed i la ti, nudo il fem ore e la
( i ) Anno d i R om a
387.

4-1 6

DELLE

A N T IC H IT R O M A N E

gamba infine ai piedi. Altro non hanno che li mu nisca se non lo scudo : n altro con che assalgano se non lance -, e lunghe sctble . XIV. Il luogo dove combatteremo ajula noi li quali caliamo' dall alto, dovendo essi venire da basso. Niuno di \K > i tema per la moltitudine , niuno per la statura ' del nemico, niuno per tali vantaggi di lai si disanimi alla battaglia : anzi pensi che un picciolo esercito , pratico d ci che dee fa re vale assai pi di un esercito, numeroso e mal prtico : e pensi cfia chi combatte per le sue cose s'ingrandisce per natura ai percoli come fr a l entusiasmo di chi rapito dal Nume, laddove ne' grandi cimenti suoi mancai e t ar dire a chi appetisce V altrui . XV. Nemmeno voi dovete, quasi ignari d i guer ra , temere quelle cose, colle quali impaurano e co sternano prima di venire alle mani. Potrebbero mai darvi spavento nelF assalirgli, le fo lte capellature , i sguardi cupi, o il truce aspetto ? E li strani sa lti, lo agitar vario delle a rm i , il tanto picchiar degli scudi, e quani altro ostentano di barbaro e stolido a bravar t inimico , qual vantaggio daranno ad essi i quali assalgono senza regola , o qual mai terrore a chi con tanta regola sta tra i pericoli ? XVI. Considerando tali cose voi tutti quanti no fo ste nella prima guerra coi Galli e quanti non vi fo s te , non disonorate o voi che vi fo ste l antica vir t , col tem ere, e voi che non vi fo ste non siate da meno che gli altri nel segnalarvi co 'fa tti ( i ). Andata
( i ) L a prima guerr? occorse 1 anno 364 la seconda n e ll 38 j

L IB R O

X IV .

4*7

bravi giovani : dimostratevi degni de' padri valorosi r correte intrepidamente ed nemico ; Sar con voi la mano degt Iddi per ajutarvi a punire quanto volete, questi implacabili. Io vi son duce, al quale tanto te stificate buon senno e fortuna. Da ora in poi sarete felici, sia che riporterete alla patria la nobile corona della vostra virt , sia che qui finendo la vita lasce rete a teneri fig li, e ai vecchj padri per un fragile corpo una splendida fam a immortale. M a gi non pi da tenervi. Ecco V inimico sen viene : andate , presentatevi in schiera . XVII. Era il combattere de'Barbari anzi brutale e maniaco senza le cure e la scienza delle armi. Ora alzando le sciable le abbassavano al colpo , abbandonandovisi con tutta la persona, quasi tagliatori o fossaiuoli : ed ora senza mira le menavan di fianco , in vista d troncare ad un tempo 1 armatura ed il corpo al nemico. Ond' che disestavano il taglio de ferri loro . XVQI. Laddove neRomani era acconcio il valore e ben sicuro l ' artificio contro de' Barbari. Perocch mentre questi teneano le sciable alzate , i Romani si faceaao sotto ai bracci loro con lo scudo in tesia, e curvi e ristretti, ne rendevano i colpi inoperosi e vani: e frattanto co' pugnali diritti li ferivano nell' anguinaia , o sotto alle coste, o ne solcavano tr a l petto la piaga , fino alle viscere. Che se vedevano tali parti difese, taveuiiirl anni dopo. O n d che non molli saranno alali in ambedue

i guerre.
D I O N I G I > tomo I I f .

x
a;

4 l8

DELLE

AN T IC H IT ; ROM ANE

gliavano loro i nervi de' ginocchj e de' malleoli, tanto ch ne cascavano a terra fremendo e mordendo gli scudi, e gettando, quasi b ru ti, voce di ruggiti . XIX. Gi veniva meno la forza in molti de' Bar bari , abbandonandosene le membra dalla stanchezza ; intanto che altri tenea l'armi ottuse, altri rotte, ,ed altri, disabilitate in tutto. Imperocch oltre il sangue il quale scorreva dalle ferite , sciolti per ogni parte in sudore, ornai non potevano pi n dominare la sciabla n so stenere lo scudo, non prestandosi le mani a stringere, n a colpir con vigore. Per contrari li Romani tolle ravano tutto virilmente, indurali ai lunghi travagli di guerre indefesse e continue . XX. In Roma occorsero molti segni divini de'quali fu questo il pi grande ( i ). Il Foro si sprofond verso il mezzo in voragine cupa, rimanendo pi giorni in tal modo. Quelli che presiedono agli oracoli Sibillini, consultatine,per decreto del Senato i libri sacri, rispo sero che la terra quando avesse ricevuto preziosissime cose da' R om ani, si ricongiungerebbe , e renderebbe molta r abbondanza di tali cose n eli avvenire. A tali presagi ognuno rec nella voragine oblazioni de ben i, creduti bisognare alla patria , il fior de' prodotti, e le primizie delle altre cose . XXI. Marco Curzio per stimato uno de giovani primarj per saviezza e valore, chiestane la udienza , disse in Senato : che il valore degli uomini il pi bello , il pi necessario de beni pe Romani. Cke

se la terra ottiene una oblazion di valore, e si trovi


( 1) Anno di Roma

393.

LIBRO XIV.

4 l$

chi la consacri spontaneamente alia patria , allora la patria genererebbe in copia de valentuomini. qui soggiungendo che egli non la cederebbe ad alcuno in tal g ara, prese 1' armi e il cavallo da guerra , e vi ascese. Accorsa la moltitudine urbana allo spettacolo , egli primieramente fece voti affinch li Numi avveras sero l oracolo , e facessero nascere molti , eguali a lui di valore nella patria. Dopo ci lasciate le. redini dato di sprone al cavallo precipit nella voragine. Sopra lui furono gittate in quell' abisso molte vittime , molti fru tti, molte ricchezze , molte preziose vesti e molti oggetti di arti di ogni maniera, e senza pi la terra si ricongiunse (i) . XXII............. Il Gallo avea corpo straordinario, il quale molto eccedeva la proporzione comune . . . . Li cinio Stolone stato dieci volte tribuno, quegli il quale fu capo alla istituzione delle leggi , per la quale dieci anni fu sedizione, alfine vinto iu giudizio e condannato ad una multa in danaro (% ) disse: che non vi bestia alcuna pi cattiva del popolo , il qiiale non risparmia nemmeno chi lo sostenta . XXIII. Assediando Marcio console que'di Piperno, ridotti senz' altra speranza spedirono a lui. E Marcio , indicatemi, disse, come solete voi trattare li servi li quali da voi si ribellano ? come si dee , soggiunse il legato pi anziano , punir chi desidera ricuperare la
( i ) Se mai vi fu questa voragin e, ci cbe pu beo essere, la ricongiunzione di tal m oda 4 tutta favolosa. Livia assai propizio a u l i racconti non la favorisce. V edi lib. 7 . 4 . (a) Anno di Roma 3 j j j .

420

DELLE

A N T IC H IT * R O M A N E

libert nativa. Dilettatosi Marcio del franco parlare, e se n o i, dicea, se noi ci lasciassimo piegare a rispar miarvi ogni cruccio, quali pegni ne darete voi di non farla mai pi da nemici ? e V anziano ripigliava. Sta in te o Marcio e ne' tuoi Romani sperimentarlo. S e con la patria liberi torniamo , vi ci terremo per, sempre costanti amici : ma tali mai vi saremo, se ci astringerete a servire. Marcio ne ammir li magnanimi sensi, e sciolse l'assedio a.

DELLE

ANTICH IT
OI

ROMANE

DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO DECIMOQUINTO.
SUPPLEM EN TI E FRAMMENTI.

Galli guerreggiavano Roma, a b pria* cipe d questi sfid qualunque de'Romaui .a. venire con esso al paragone delle armi (i). Un Marco Valerio tri buno proveniente da Valerio Poplicola il quale insieme con altri liber la citt dai tiranni , si fece innanzi pel combattimento. Venuti alle m ani, un corvo si mise in su l ' elmo di Valerio, sgridando e guardando terribil mente il barbaro : e se mai Io vedeva portare de' colpi jml rom ano, gli si avventava ora colle unghie alle
I. XVJL e n
tre

( i ) Anso eli Roma f o 5 .

422

DELLE ANTICHIT ROMANE

guance lacerando, ed ora col rostro agli occhi, pun gendo. Tanto che il Gallo ne andava fuori di se , non potendo trovare come ribatter l ' emolo , n come guar darsi dal corvo . II. Ma traendosi la zuffa in lungo, il Gallo fu col ferro su i' altro per internarglielo coll impeto nel seno. Corsogli il corvo agli occhi onde forarglieli, colui alz lo scudo a respingerlo: e tenendolo alzato, il Romano che ne seguiva le mosse , men da basso la spada , e lo uccise, Camillo (i) il comandante lo insign con aurea corona soprannominandolo Corvino dall uccello compagno di lui nel combattimento ; perocch li Ro man^ chiamano corvi, gli uccelli che noi coracas chia miamo. costui da quel fatto ebbe 1 elmo ornato di un corvo. In guisa che quanti fecero statue o pitture di lu i, tutti gli acconciarono sul capo quell uccello . III. Devastavano le campagne ricche di ogni bene... nomini sfiniti dalla guerra e simili ai cadaveri, se non quanto respiravano . . . Essendo calda ancora la cenere come dicono dell ucciso . . . F u vittima miseranda dell inimico Uomo il quale saziava la invidia sua col san gue civile . . Dispens tra soldati parte d vantaggi n questa la pi piccola, ma tale da sommergere fra le ricchezze la inopia di ciascuno . . . diedero il guasto ai seminati gi colmi per la raccolta, malmenando il meglio delle terre fruttifere .
. ( i ) Questo Camillo il quale apparisce ora eli anno 4 5 di Roma il figlio del famoso Furio Camillo morto 16 anni addietro. A u ch esso vinse e fug con una insigne battaglia i Galli, tuttavia m o lesti ai Romani. Livio lib. 7 . a 5 . 36.

L IB R O

XV.

4 a3

IV. . . . Ma perch spesso e molto danneggiavano i Campani come loro amici (i). Pertanto il Senato romano su le, istanze e lamenti-replicati deCampani con tro de'Napoletani sped a questi, ordinando che non pi nocessero ai sudditi della repubblica ; ma ne aves s e r o e F e n d e s s e r o ci eh' era giusto : e nascendo con troversie ira loro , le discutessero co giudizj non colle arm i, secondo le convenzioni che ne farebbono : del resto mantenessero la pace con tutti intorno i popoli , non corseggiassero il mare Tirreno , n tentassero essi per s , n cooperassero con altri imprese disdicevoli ai Greci. Soprattutto istru gli ambasciadori che cer cassero , se venivane il destro, di alienare co' bei modi verso de' potenti la loro citt dai Sanniti, e renderla amica di Roma. V. Trovavansi di quel tempo (a) in Napoli come ambasciadori di' Taranto uomini rispettabili, e , pe ligami del sangue, ospiti antichi di quecittadini: ma pur altri vi si trovavano inviativi da Nolani, confinanti dei Napoletani, tutti dediti ai Greci, i quali vi brigavano in contrario onde non concordassero co Romani n

co sudditi di essi; n lasciassero V amicizia verso dei Sanniti. Che se < Romani sei pigliassero a pretesto di guerra ; non temessero , n invilissero, come in operabile ne fosse la forza ; ma perseverassero , e combattessero come i bravi G reci, confidando su le
( i ) Manca il principio di questo ra cc o n to : pu consultarsi Lirio nel lib. 8 , c . a a . Questo paragrafo e tutto il resto del libro sona Fram m enti veri dei libri perduti delle antichit d i Dionigi.

(a) Anno di Roma 437-

4 2 4

DELLE

A N T IC H IT *

ROMANE

schiere proprie, e su le ausiUqrie che verrebbono dai Sanniti. Riceverebbero , se ne abbisognavano , pi delle loro , le fo rze navali da T arentini, le quali eran tante ,e s buone. VI. Adunato il Senato, e tenutivi molti discorsi dai legati e loro fautori, vi si divisero i sentimenti : ma li pi autorevoli pareano tenerla pe' .Romani. Non fecesi per quel giorno decreto alcuno , ma riserbato per altra sessione lesame intorno ai legati; recaronsi a Napoli in folla i primarj de Sanniti. Or questi conciliandosi con ossequiose maniere i capi del comune, pregarono il Senato a far si che decidesse il popolo dell' utile pub blico. Quindi recandosene all' adunanza, vi ricordarono i loro benefizj > P* vi fecero le mille accuse di Roma come di una ingannevole e perfida : e finalmente pro misero le meraviglie ai Napoletani se deliberavansr per la guerra: vale a dire che manderebbero lord milizie, quante ne bisognassero per difender le m ura, come Tarmata e tutta, la ciurma per le navi. Davano insieme a vedere che subirebbero tutte le spese della guerra non polo pe soldati proprj, ma pe' loro : che respinto 1' esercito romano ricupererebbero C unia, occupata dai Campani, erano gi due generazioni ( 1), con escluderne gli abitanti : che renderebbero la patria ai Cum ani, accolti, quando la perderono , dai Napoletani, e fatti partecipi di ogni lor bene: che darebbero ai Napoletani U n tratto assai grande del territorio che tenevasi dai Campani. YII. In mezzo a tal dire , la parte calcolatrice dei
( 1) Auno di Roma 335.

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Napoletani, la quale vedea da lontano i mali che ver rebbero colle battaglie su la citt , dimandava che si conservasse la, pace: ma la parte amante di cose nuove la quale cercava insieme un mezzo di arricchire nelle turbolenze lanciavasi verso la guerra. Pertanto elevaronsi a vicenda e voci e mani ; procedendo la contesa fino al tiro de'sassi. Alfine prevalendo il partito men buono, gli oratori di Roma dovettero tornarsene senza l'intento. Dond' che il Senato romano decret d'inviare un esercito contro de' Napoletani. V ili. I Romani all' udire che i Sanniti apprestavano un esercito, vi spedirono prima ambasciadori (i). E di essi quelli eh' erano scelti dell' ordine senatorio venuti ai consiglieri de'Sanniti dissero: Voi fiate ingiustamente

o Sanniti violando i trattati efie avete con noi con cordato. Am ici vi ci tenete di nome , nemici che ne siete di fa tti. Vnti voi da Romani in tanti combat timenti, sciolti per le istanze vostre caldissime dalla guerra , ottenuta la pace come la volevate , e desi derosi poi di essere gli amici e gli alleati di Roma; giuraste alfine di avere amici e nemici quelli appunto che per tali riconosceva la nostra repubblica. IX. E d ora immemori di tutto questo , e fin posti in non cale i giuramenti, avete abbandonato noi nella guerra co Latini e coi Volsci, con que popoli io dico, che sono divenuti nemici nostri appunto per vo i, perch avevamo noi ricusato di unirci con essi nel dare a voi guerra. E ne.lt anno precedente voi avete istigato con tutta la premura e V ardore , anzi
( i ) Aono di Roma

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voi avete necessitato i Napoletani che temevano fa r lo , a prendere contro noi la guerra : e voi ne sup plite le spese : voi la loro citt ven tenete. E d ora tutti intenti ad apparecchiarvi raccogliete < ogn in torno milizie , con pretesto , come pare, innocente , ma in realt con disegno di guidarle contro i nostri coloni. E d a tanta ingiustizia invitate i Fondiani e i Formiani ed a ltri, i quali abbiamo noi pareggiato ne ' diritti ai nostri cittadini. X. Or voi profanando cos scopertamente e turpe mente i trattati di amicizia e di alleanza ; il Senato ed il popolo romano deliberarono di spedirvi amba sciadori , e sperimentarvi colle parole, innanzi di procedere ai fa tti. E queste sono le cose' che anzi tutto vi dimandiamo, queste quelle} ottenute le quali, crederemo soddisfatti i nostri risentimenti: Chiediamo primieramente che ritiriate le truppe inviate in soc corso ai Napoletani: e poi che non mandiate milizie contro i nostri coloni , n provochiate affatto i sud diti nostri a voglie ambiziose. Ch se dite che tali cose non piacciono a tutti fr a voi, ma che le fanno alcuni solamente contro il voto comune; consegnateci dunque voi questi perch ne^giudichiamo , e cen ter remo contenti: ma se non gli avremo noi questi nelle m a n i , ne prenderemo in testimonio i Num i , ed i Genj invocati da voi nel giurare i trattati ; e perci siam qua venuti co' Feciali. XI. Dopo il parlar del romano consultatisi infra loro quei capi de' Sanniti diedero qusta risposta : Non gi colpa del comune che i nostri sussidj giungessero

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a vori tardi per la guerra contro i Latini. Imperocch si era appunto decretato che questi a voi s inviasse ro : ma i capitani assai s indugiarono nell' appre sta celi ; come voi troppo vi acceleraste a dar la battaglia e cos giunsero quelli tre o quattro giorni dopo il bisogno. Rispetto a Napoli poi dove sono alquanti de' nostri, tanto siamo lontani dall' oltrag giarvi soccorrendola in qualche modo mentre perico la ; che noi pensiamo di essere piuttosto gli oltrag giati e gravemente da voi. Voi, tutto che non offesi , v* adoperate a soggiogare questa citt , confederata ed amica nostra non gi da poco , n < allora che con voi ci concordammo , ma da due generazioni avanti, e per grandi e copiosi benefizj ricevutine. XII. Tuttavia non la comun dei Sanniti che of fendavi nemmeno in questo ; imperocch di propria voglia soccorrono Napoli , come udiamo , alcuni no stri , ospiti ed amici loro , o stipendiati , per la in digenza forse del vivere. N abbiam noi bisogno di staccare da voi li sudditi vostri ; imperocch senza que di F ondi, e li Formiesi, n o i, necessitati alla guerra, bastiamo a noi stessi. Apparecchiamo un esercito non per levare a vostri coloni le cose loro ; ma per difendere le nostre propriamente. A vicenda noi dimandiamo da vo i , se volete fa r la giustizia , che partiate da Fregelli, citt da noi conquistata tanto prima col mezzo delle a rm i, che mezzo di rittissimo di possedere ; e voi senz alcun titolo ve V avete , gi sono due anni , appropriata. Or tali

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cose ei si concedano, n crederemo d i essere stati oltraggiati. XIII. A llora, subentrando al discorso il Feciale Ro mano , ripigli : Niente impedisce che violando voi cosi manifstamente i trattati di pace, i Romani pas sino alle armi : n gi potrete lamentarvi d i e ssi, ma de' non sani vostri consigli. Ornai da loro si fa tto quanto doveasi per le leggi sacre e civili della patria , o di pio verso i N u m i, o di giusto verso i mortali. G li Dei che per sorte soprawegliano alla guerra, giudicheranno quale de due popoli osservasse i trattati. E qui recatosi in atto di partire , e tiratosi al capo il lembo onde cingevasi gli om eri, alz come era il costume, le mani al cielo, orando con impreca* zione gl' Iddi : che se Roma ingiuriata da Sannio , non potendo riaversi dalla ingiuria colle parole e co tribunali, procedeva finalmente alle opere , le dessero per la mente consigli buoni, e condotta pro pizia per la guerra. M a se in opposito Roma tra scurando i legami santi delV amicizia accattava pre testi non giusti onde romperla, non la dirigessero 0 ne consigli o nelle opere. XIV. Levatisi gli uni e gli altri dal colloquio, e di chiarate alle loro citt le cose disputatevi ; ciascuno dei due popoli pens molto diversamente su l ' altro. I San niti , come fan essi quando imprendon la guerra , teneano per lente assai le operazioni deRomani; laddove 1 Romani immaginavano larmata di Sannio ornai pros sima a piombare su i Fregellani , loro coloni. Donde ne avvenne a 'ciascuno ciocch erane consentaneo : Ira-

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perocch li primi apparecchiandosi e indugiandosi ro vinarono la opportunit d* imprendere : per 1' opposilo i Romani tenendo tutto pronto, udita appena la rispo*sta, decretarono la guerra, e decretatala, vi spedirono tutti due li consoli. E prima che i nemici ne udissero la marcia ; tanto le milizie reclutate di nuovo , quanto le altre che svernavano tra i Volsci sotto gli ordini di Cornelio, entrarono i confini de' Sanniti.

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LIBRO DECIMOSESTO.
SUPPLEMEN T I E F R AMMENTI.

I. T e n e n d o i Romani il campo per la guerra ul tima co' S a n c iti, un fulmine caduto in cospicuissimo luogo uccise de' soldati, e di pi strazi due insegne , e disfece molte armi e molle ne deform. Conciossiach il fulmine vien gi somigliando col nome alle opere. I mperocch tal nome si trae da una voce la qual si gnifica mescimento o mutazion del subjetto da volgerne in contrario le sorti umane. E veramente il fuoco del fulmine, stia nell etere o sotlo , quando a noi scende necessitato esso il primo a mutar sua natura ; eoa-

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venendogli quando siegue la sua natura non discendere in te tra , ma dalla terra elevarsi. Imperocch nell etere stan le sorgenti del fuoco divino . II. c Ci che si dimostra pel fuoco nostro sia che 10 abbiam da Prometeo , sia che da Vulcano. Impe rocch quando sciolto da vincoli pe quali necessi tato a rimanere fra n o i, corre subitamente per 1 aria verso l altro fuoco, suo connaturale, ed il quale cinge dintorno tutta la natura del mondo. Cosi dunque lal* tro fuoco divino, scevro da corrutlibil materia, quando per 1 aere vien gi su la terra , venendovi violentato da necessit superiore, annunzia mutazioni e retroce dimeli ti . III. Occorso anche allora un portento somigliante, i Romani lo ebbero in non cale : ma ne seguit che rinchiusi da Ponzio Sannita in luoghi irriuscibili, ridotti a perir dalla fame cederono ( ed erano quasi quaranta mila ) tutti s stessi al nemico. E quindi lasciate le armi ed ogni altra cosa passarono tutti sotto giogo : passo che il segno di chi vien prigioniero (). Dopo non molto anche Ponzio soffri da F.omani altrettanto, e ne and sotto il giogo , esso e li suoi (2 ). IV. . . . Cos dismessi, cos ridotti senza riparo

11 preghiam solamente a non aggiunger la infamia a tanto danno , sprofondando con pi che si aggrava la sorte de' m iseri ............. Non sai tu (3) quanti de no( ) Anno di Rom a 433. ( 2) A oche Lucio Floro narra la stessa vicenda nel lib. 1. 16. e Livio pi distesamente nel lib. g . i 5 . (3) Il tratto seguente sembra parte della risposta di Ponxio a l l ' inviato de Romani.

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stri nelle guerre han perduto i fig li, quanti i fratelli, e quanti gli amici? Ne quali tutti come pensi che dee traboccarne la bile , se alcuno g t impedisca placare que' morti con tante vite di nemici le quali sole son credute un ossequio in verso gli estinti ? V. k M a supponiamo che persuasi, o forzati, o per qualunque maniera vinti mi si arrendano, e concedano che questi continuino la vita, or ti pare, che sian per concedere che ritengano insieme ogni lor cosa, e senza pur neo di vergogna se ne vadano quando a lor pia* ce , quasi eroi qui apparsi per felicitarne ? O non piuttosto sopravvenendomi, quasi fie re , mi sbranereb bero appena tentassi dir questo? O non vedi come i cani da caccia quando presa la fiera la qual chiusa da essi va nella rete , circondano il cacciatore , chie dendo parte della preda ? e se non ottengono bentosto il sangue o le viscere, non vedi come lo sieguono , e pressano, e malmenano, n respinti sen partono , n percossi ? V I . . . . Faticarono tutto il d combattendo, ma poi che Je ombre tolsero di raffigurare gli amici e i nemici, tornarono a proprj alloggiamenti . . . Appio Claudio non so per qual mancanza intorno de' sagrifizj perd la vi sta , e ne fu denominato Ceco : perocch li Romani cos chiamano chi non vede . . . le scrittura custodite tra i muri ( i) , formate con lettere accuratissime, odo rifere per lo mis;o in che sono, presentano tal lloridez(i) difficile iuterpetrar* dove miri quecto rottame. Fa detta che alle soY ti Preneslint.

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za . . . I Romani chiamano calende le neomenie, come none chiamano la mezza luna, ed idi il plenilunio, a VII. Era la falange nel mezzo disgiunta e mal piena : cos quelli che ivi erano disposti in contrario, le furono sopra, e ne respinsero i combattenti . . . l ' in terna e morbosa guerra attacc tutto il fiore della cit t . . . Uomini sacerdoti, onorati co' sacri ministeri . . . Quest' uomo pien di trasporti senza consiglio, insolen tissimo, deliberando e concentrando in s tutti i poteri per la guerra . . . E poi tu ardisci di accusare la

sorte, tu che la usavi pessimamente, postola su barca gi rovesciata ? Cosi eri stolto ? . . . Alcuni membri abbisognano di cura, e tali altri cicatrizzandosene . . . V ili. ( 1 ) Ma vo' ricordare ancora un azion civile de gna degli encomj d tutti i mortali , dalla quale sia chiaro ai Greci quanto Roma allora abborrisse gli scellerati, e come fosse inesorabile contro chi viola i diriti! comuni della natura. Cajo Letorio soprannominato M ergo , uomo illustre pe' natali, come non ignobile per le belliche imprese, dichiarato tribuno militare nella guerra Sannitica, lusing per un tempo un giovinetto, suo came rata ^ vago pi eh' altri di aspetto , perch rendere si volesse agli amorosi diletti di lui (2 ). Ma perch noi guadagnava co doni, n colle gentili maniere, ornai pi non bastando a sestesso, corse alla violenza. Divulgato sene il disordine tra le milizie, i tribuni della plebe
(1 ) Q uanto siegue iu quetlo lib r o , eccettuala il paragrafo lutio frammenti. ( 1) Anno d i Roma 462. V I O L I C I , tomo I I I .
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riputandolo oltraggio comune della repubblica , ne die.dero accusa pubblica al reo , condannatone quindi dal popolo a morte con voti pieni. Perocch non toller questo cbe uomini di grado nell' esercito profanassero con ingiurie inespiabili e contrarie alla natura virile, persone ingenue, mentre esse per la libert combatte vano ( l ). IX. Se non che non molto prima di questa fece un* opera ancor pi meravigliosa per l ' ingiuria recata ad un altra persona, quantunque servile. Il figlio di Publio , io dico di uno di que' tribuni militari che umiliarono ai Sanniti 1 esercito, e ne andarono sotto giogo, fu co stretto, come lasciato in grave penuria, tor danari ad usura pe funerali del padre, quasi che sarebbene quanto prima rilevato da parenti; Ma deluso nelle sue speranze, e scadutone il termiue ; fu preso egli stesso pel debito, giovinetto com e ra , e vaghissimo ne setn( 1) Valerio Massimo p a rla d i questo fatto al capo primo del li bro sesto: raa scrive che L elorio fuggi prima del tempo della sua causa , e che poi si accise , conchiudendo: naturae modurn expleveral , fato {amen fu n ctu s universa plebis sentenlia, crimine im p u di citice dam natus est. Coa che pare che egli fosse condannato do po m orte. L a descrizione qui recata l ano d e 'fra m m e n ti d e 'lib ri per duti di D ionigi. Il fatto si narra pur nel compendio in tal m o d o ; Un ta l R o m a n o , Cajo L elo rio, insisteva con un g io v in e , suo ca m era ta , o n d aver suo diletto da l u i , vago della persona. Ma non essendo il giovane guadagnato n per d o n i , n i p er carezze , alla Jp n e divolgalo il disordine dell uo m o , i trib un i lo condannarono. D ionigi, cobi ne fram m enti, tenne per circostanza gravissima del fatto la violenza usata in fine da Lelorio : Se egli com pendiavi s stesso, come trascurava nel compendio circostanza tanto impoT-? W ntef M a il compendio su D ionigi, forse di altro scrittore,

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bianti. Or quest! ridotto a servigj, quali prestali il servo al padrone, sei comportava : ma chiesto di abbandonare a piaceri di lui le belle sue forme , sen dolse , e fermo vi ripugn. Pestatone da colpi replicati di verghe ; fuggissene al Foro : e postovisi in luogo elevato, donde potea molti far testimonj dello strazio suo , disse le in temperanze dell usuriero, e mostr le lividure delle per* cosse. Agitandosene il popolo, e riputandone la ingiuria degna delle ire comuni ; sentenai che si espiasse ooUa m orte, introdottone da tribuni il giudizio. A tanto af fronto tutti i Romani, fenduti schiavi pe debiti, furono in libert rivendicati dalle leggi ( 1 ). X. . . . e Pregando il Senato pe bisognosi e per gli indebitati . . . le carni sacrificate appeoa, si risentono e commovonsi fin tanto cbe gli spiriti naturali di esse vio lentano i pori, e si dissipano. Questa pur l cagione de terremoti iu Roma. Conciossiach tutta vuota di sotto per grandi e continuali canali pe' quali condocesi l ' acqua tien molte sfiatatele per le quali seu e&a il vento rin chiusovi : ma, quando il vento rimastovi prigioniero sia troppo e veemente, questo sommove Roma e ro^npene il suolo (a). .
( 1) Si consente in generale ta l fiuto <K que ito giovinetto : aia ti discorda sul no m e, su la fam iglia, e sul tem po. Valerio Massimo nel lib. 4 lo chiama Tito Veturio figlio non di Pubblio ma di quel T ilo Veturio che nel suo consolato fu dato ai Sanniti pel tr a tta to obbrobrioso concluso con essi. Tito Livio chiam a il giovine Cajo Publicio, e d assegna il fatto all anno IfV] di Roma Botte i oonsoli C . Poetelio, e L u c a . P a p irio , vuol dire cinquc aaui. prima di c o n solato di Veturio.

(J curiosa questa origine di tremaoto la

sarebbesi po-

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D feL LE

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XI. Riarse la guerra Sannitica per tali cagioni (i). Conclusa la pace co Romani, soprastettero breve tempo i Sanniti, e p o i, stimolati da un' antica ingiuria, mar ciarono coll armata tra i Lucani, loro confinanti. Questi affidati da principio alle forze proprie sostenner la guer ra : ma poi vinti in tutte le battaglie , perduta gran parte del territorio, e gi prossimi a perdere anche il resto, si videro necessitati ad implorare l ' ajuto di Roma. E quantunque consapevoli a sestessi di aver tradito i patti conclusi una volta con lei di amicizia e di allean za; non disperarono che concorderebbe di nuovo, se le inviassero in ostaggio insieme con gli oratori i giovinetti pi riguardevoli di tutta la repubblica loro. XII. Or questo appunto ne seguit. Perciocch ve nutivi gli oratori, e supplicandovi caldissimamente ; il Senato deliber di rieever gli ostaggi e rendere ai Lu cani 1 amicizia ; ed il popolo ne comprov la sentenza. Firmati gli accordi con gl inviati de' Lucani, il Senato elesse i pi provetti per anni e per onori, e li diresse amhasciadori al consiglio generale dei Sanniti; affinch dichiarassero ad essi che i Lucani erano gli am ici, e g li alleati di R om a , e gli esortassero a render loro le terre usurpatene , n pi trattarli ostilmente : gi

non permetterebbe la repubblica che alleati suoi che a lei ricorrevano, rimanessero esclusi dal proprio territorio.
tu ta levar t u t u levando i canali. P i volentieri diremo cbe le mosto de v enti sotterranei sono effetto ne 1terremoti a m i che la prim a cagione. ( i ) Anno di Roma 456-

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Xin. I Sanniti uditi gli ambasciadori incollerirono, e replicarono primieramente ; che i trattati di pace non erano fa tti con accordo che essi non avessero per; amico o nemico se non quello che assegnassero loro jper tale i Romani ; Appresso , che i Romani s' ave vano renduto amici i Lucani non gi in antico, ma di recente quand erano questi gi involti nella guerra co Sanniti; onct che non avevano titolo n giusto' n decoroso per romperla co Sanniti. Risposero i Ro mani: che coloro i quali avevano promesso di soggia cere, ottenendo appunto con ci la pace, dovevano obbedire in tutto a chi presedeva; e minacciavano in caso contrario di portare su di essi la guerra. I'Sanniti riputando intollerabile la presunzione di Roma intima rono agli ambasciadori che partissero su l ' istante ; e de cretarono che si apparecchiasse quanto bisognava per la guerra di tutta la nazione, e di ogni citt. XIV. Pertanto la cagion manifesta, n ingloriosa a raccontarla, della guerra Sannitica, fu. la voglia di soc correre i Lucani raccommandatisi a Rom a, quasi fosse gi pubblico e vecchio costume di essa difendere gli oppressi che la invocavano : ma la cagion recondita, e che pi li sospinse a romper la pace, era la potenza Sannitica, divenuta gi grande, e la quale crescerebbene ancora, se domati i Lucani ed i confinanti di questi si volgessero ad essi anche le barbare genti che stavansi appresso.. Cos tornati appena gli ambasciadori la pace fu rotta , e si arrotarono due armate. XV. Postumio gi console, venuta 1 ora di esserlo

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novamente ( i ) , tenersi grande per lo splendor de'na tali , come pel gemino consolato. Doleasene su le prime il collega di lui quasi escluso dall essergli uguale, e pi volte ne fece in Senato rimostrante. Alfine qual plebeo venuto in luce da poco, riconscendosegli minore per gli antnati, per gli amici, e per altre eccellenze, unii liossegli, e gli concedette di per s stesso il comando della guerra Sanaitica. Diede grande invidia a Postumio un tal fatto, come nato dalla molta arroganza sua: ma poi glien diede un altro, ancora pi indegno di un duce Romano. Imperocch separati due mila dall esercito suo li ridusse nelle campagne sue proprie senza i ferri con ordine insieme che potassero un querceto, tenen doli gran tempo in opere da mercenarj e da schiavi. XVI. E superbo tanto , prima di uscire per la spe dizione, apparve pi intollerabile ancora nel compierla; dando al Sanato ed al popolo cause giustissime onde 1 abbonissero. E certo, avendo il Senato definito che Fabio il console dell anno precedente il quale avea vinto i Sanniti chiamati P e n t r i (a)'si rimanesse nel campo con autorit proconsolare per guerreggiare con la parte stessa de Sanniti, egli con lettera sua gl' intim di par tirne , come spettasse a lui solo comandarvi. Spedirono i Padri a richiederlo che non impedisse al proconsole di stare, n ripugnasse ai loro decreti; ed egli non diede se non orgogliose e tiranne risposte, dicendo: c h e f i n
i i ) Anno di Roma /fi(3) Anche L ivio l meuziooe

di questi S anniti: nondimeno Clu verio li tralascia nella tua Italia antica.

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ck era console , egli soprastava al Senato, non il Se nato a lui. Quindi congedati i messaggeri, ne and coll' esercito verso Fabio pqr astringervelo cplle arine, se non voleva con tranquillit ritirarsene E sorpresolo cbe assediava la citt di Cominio, ne lo incalz con tumulto di orgoglio , e con alto disprezzo de' costumi antichi, talch Fabio cedendo ai furori di lui si ritir dal comando. , XVII. Questo Postumio medesimo, assediatala, espu gn su le prime Cominio con assalti non lunghi, e poi Venosa citt popolosa, ed altre molte. In tali cimenti caddero uccisi dieci mila, restandone prigionieri sei mila dugento che aveano deposte le armi. Egli per compiute tali cose non che esserne tenuto degno dal Senato di riconoscenza e di onore, perdette anche lantico splen dore suo. Perocch mandandosi dal Senato venti mila coloni a Venosa, 1' una delle citt prese, furono creati de' capitani che ve li menassero; ed egli che ne era stato il conquistatore, egli che avea proposta la spedizion dei coloni, nou fu riputato idoneo all onor di condurveli (1 ). XVIII. Ora se egli avesse comportato ci con saviezza e rattemperato la collera del Senato colle buone parole e colle opere ; non sarebbe pi slato sottoposto ad in contri che disonorano. Ma fremendo e riluttandone, di spens fra' soldati tutta la preda che raccoglieva dalla guerra ; poi disciolse 1' esercito innanzi che venisse un altro per comandarvi ; e da ultimo ne fece di suo volere il trionfo senz' essergli conceduto dal Senato, n dal
( 1) Di questa colonia parla Vellejo nel lib. 1. - Sinuessam Minturnasque mitsi coloni, post qaadrnnium Venusiani.

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popolo. Per le quali cose eccitandosegli tanto pi l ira comune; non si tosto ebber luogo i consoli consecutivi, fu citato da due tribuni dinanzi del popolo. Giudicatovi, fu condannato da tutte le trib ad un amenda di cin quanta mila monete in argento.

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LIBRO DECIMOSETTIMO.
SUPPLEMEN T I E FRAM ME N TI.

I. C rotone citt dell Italia , e Sibari anch essa, cosi denominata dal fiume che ivi trascorre . . . quando i Lacedemoni faceano guerra ai Messenj, Sparta rest senza uomini ; talch le donne maritate e le nubili prin cipalmente richiesero di non essere le une senza fi^li , e le altre senza sposi. Pertanto si mandarono dal cam po via via de' giovani per esse, e que' giovani capitarono alla ventura. Nacquero dall' uso promiscuo' figli incerti, poi trattati adulti con vilipendio, e soprannominati quelli delle Vergini. ;

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I I. Fatta sedizione, vinti quei delle vergini e. riti* ratisi dalla citt, spedirono a Delfo , e ne udirono che navigassero per 1 *Italia : che trovato nella japigia il luogo Satino ed il fiume Taranto dove mirerebbero un capro tinger la barba nel mare, ivi fondasser la sede. Fatta vela, e trovato il fiume, videro un caprifico (t) nato in riva del mare con una vite la quale al caprifico si abbracciava, intanto che una parie di essa vite toccava il mare. Interpretando che questo fosse il capro cui l oracolo prediceva, che mirerebbero tingere in mare la barba , si fermarono in quel luogo , e vinsero li japigi, e fondarono la citt cui Taranto nominarono dal fiume. III. * Artemide Calcidese avea dall* oracolo che dov trovasse il maschio soggiacere alla femmina ivi si fer masse senza navigare pi innanzi. Navigando intorno al Pallantco d Italia, e miratavi una vite intorno di un caprifico , femmina quella, e maschio laltro, talch que sto ne era coperto, concep che 1 oracolo fosse adem pito. Ed espulsi i.barbari che vi erano, vi si accas . . . Regio fu detto il luogo sia perch fosse uno scoglio dirotto , sia perch ivi interrotta la terra tien disgiunta l Italia dajla Sicilia coutrapposta : sia che tal none fosse il nome eziandio di chi vi dominava, IV. k Leucippo Lacedemone interrogando 1 oracolo, dve portasse il destino che egli co suoi prendessero sede, ne ascolt che dovessero navigare all Italia, ed ivi
( i ) Caprifico, fico silvestre. L a voce greca r f u y t r significa capro

e presso alcuni popoli caprifico. Quindi l'am biguit d 'iu le rp re ta rc


la voce per capro o caprifico.

LIBRO X V II.

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abbitare dor approdali rimanessero un giorno ed una notte. Approdata la flotta intorno di Gallipoli in un tal campo de Tarentini, dilettato Lea cippo della natura del luogo , oper coi Tarentini affinch gli concedessero di slarvisi il giorno e la notte. Cosi passatine pi giorni ; voleano i Tarentini che ne partissero : ma colui non diede lor mente, dicendo che secondo gli accordi ayea

da loro quel luogo pel giorno e per la notte, e per sino a tanto che fosse o luno o laltra non se ne parti rebbe. I Tarentini vistisi nell inganno, coosentironp che rimanessero (i). V. I Locresi popolando Zefirio (a) , una. punta d' Italia, ne furono soprannominati Epizefirii . . . Sta* tuirono cbe egli rimanesse nel luogo in che e ra , soste* nendone la guerra che ne derivava . . . furono dissipati ira 'selve e velli e ripidezze. * VI. Un Tarantino, uomo empio, e dedito a tatti i piaceri per la incontinenza e prostituzione della sua bellezza fin da giovinetto, ne fu nominato Taide Fatta la scelta dal popolo erpno partili . . . . Vilissimi e petulantissimi tra cittadini. VII. (3) F u Postumio spedito ambasci*dor ai Ta rentini : ma facendovi rimostranza ; questi non 1 atte sero , n pigliarono il contegno de savj i quali consultino su la patria che pericola : anzi, se ne uotavano mai che colui non parlava accuratissimo il greco idioma , vel
( i ) Sirabone Del libro sesto d questo medesimo racconto per la origine di M etaponto. (a) Cosi detto perch rivolto al Tento Zefiro cio di Ponente. (3) Questo e li ire paragrafi seguenti sono framqienii. ,

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deridevano, ed elevando lui le mani o la voce ; se ne irritavano, e barbaro lo chiamarono; tanto che lo espul sero infine dal teatro (i). E gi costui se ne andava co suoi, quando per istrada si avvenne con essi, F ilonide, un accattone (2 ) di Taranto , il quale sopran-i nominavasi Colila dall' uso che avea, continuo di briacarsi. Caldo del vino ancora del di precedente, come ebbe vicini i Rom ani, si tir su la veste : e scompo stosi in atto indegnissimo da vederlo, sbruff sul manto sacro de' Legati ciocch non pu nominarsi nemmeno con decenza. V ili. Scoppiatene da tutto il teatro le risa, e sbat tendogli per fino le mani da' pi protervi, Postumio riguardandolo disse : accettiamo o vilissimo uomo t au

gurio : giacch ci date fin le cose che non chiediamo. Poi rivoltosi alla moltitudine, mostratovi contaminato il suo m anto, e sentitevi universali ancora e pi grandi le risa , anzi le voci nommeno di alcuni che sen compia cevano , e lodavansi della contumelia : ridete , disse , finch v dato ; ridete pure o Tarentini; ch assai ne sospirerete di poi. F remendo alquanti alla minaccia io , replicava , perch pi frem iate vi aggiungo ; che assai laverete col sangue questa mia veste. Cosi spre giati dai privati e dal pubblico, e cosi pronunziato quasi come un vaticinio divino su lo ro , sciolsero i legati dal porto di Taranto. IX. Giunti questi sotto Emilio Rarbula magistrato
( 1 ) A d d o di Roma f a i . (a) Altri alla idea d i accattone sostituiscono quella d i un uomo btffardo c garrulo.

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recente in R om a, vi sposero non gi le risposte, che non le aveano, ma-le ingiurie ond' erano stati vilipesi, presentandone in prova la veste di Postumio. Destatavisi comune la indignazione; Emilio console raccolse il Se nato e vi deliber ciocch fosse da fare per pi giorni dal nascere del sole (ino all' occaso. X. Non volgeasi gi la ricerca sul decidere se fossero stati rotti i trattati di pace, non essendo ci dubbio, ma sul fissare il tempo acconcio per ispedire lesercito su'Tarentini. Imperocch taluni consigliavano che non s imprendesse tal guerra finch aveasi a fere colla ri bellione de' Lucani e de R ruzj, e finch era indomita la nazione grande e bellicosa de Sanniti , e 1 altra de Tirreni, situala alle porte stesse di Roma; ma quando questi popoli fossero stati sottomessi tu tti, o li pi orientali almeno, cio li, pi prossimi a Taranto." All' opposito pareva ad altri utilissimo non differire nemmen picciolo tempo, ma decretare sul fatto la guerra. In fine racco gliendosi i voti videsi prevalere il partito che chiedeane la dilazione, ed il popolo conferm la sentenza del Senato. XI. Gli uccelli i quali si aggirano in luoghi me desimi con placido volo, questi son fatti a dar buoni augurj , a chi cerca mantenere i beni proprii. Ma chi cerca l'altru i, spii questi augurj da uccelli di pronto e rapido impeto per lontani viaggi. Conciossiach questi uccelli sieguono e procacciansi ci che non hanno : ma gli altri guardano e custodiscono ci che hanno pre sente. n XII. Egli scorrea tutta la regione nemica dando alle

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fiamme l seminati gi maturi per la raccolta, e portando il ferro su le piante da frutto . . . . le citt di forma popolare somigliano per qualche modo le vicende de zpari : perocch questi, sebbene tranquilli per natura , son perturbati da venti. Or cosi le citt popolari, seb bene non sia in essa niun male, sono rimescolate da capipopolo (i). XIII. Intanto che li Tarentini voleano dall Epiro chiamar Pirro per la guerra contro de Romani, e mal menavano chiunque vi ripugnava, Melone Tarentino anch esso , per guadagnarne l attenzione , ed avvenirli de tanti mali i quali verrebbero con la regia prepon deranza in citt libera e data alle delizie , si present nel teatro dove sedea la moltitudine, coronato di fiori come venisse dal convito, abbracciato ad una fanciulla, sonatrica di tibia, la qual cantava una canzone appunto da convito. * > XIV. Andandone lo attender di tutti alle risa, anzi eccitandolo a cantare e saltare, colui gir lo sguardo , e chiesto silenzio con la m ano, poich fu sedato il tu multo disse : Cittadini delle cose che ora vedete me fa r e , di queste voi non potrete fa rn e mai pi , se

lasciate venire un monarca ed il regio presidio nella citt. Poi quando li vide commossi, attenti e desiderosi in gran patte che volesse tuttavia dire, egli ritenendo 1 allegoria del convito numerava i mali i quali verreb bero su loro. Ma intanto che li numerava, gli autori di questi lo afferrarono per la cervice, e lo respinsero dal teatro.
( i ) F a r cbe alluda ai movimntLdelle c itt d Italia e di Sicilia soprastando la guerra di P ir r o .

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XV. Epistola di Pirro al console de' Rom ani. Pirro, re degl* JSpiroti , figlio di Eacide al console, de Romani salute . verisimile che tu abbi sentito

dagli altri, che io vengo colf esercito per soccorrere li Tarentini e gli altri Italiani li quali mi chiamano i e che non ignori nemmeno da quali valentuomini io discenda, con quali azioni fin qui mi segnalassi, quanta milizia io conduca, e quanto bellicosa. Spero che tu , ponderando ciascuna di queste cose , non itogli aspettare ad imparare coi fa tti e per prova quanto il nostro valore nel combattere; : ma che lasciate in disparte le armi ttt venga a trattative. Io ti consiglio che si rimettano a me le controversie dei Rom ani, co T arentini, co Lucani , e Sanniti. Io le concilier tutte secondo la equit : fa r che gli amici miei compensino tutti i danni che io ricono scer dati da essi . XVI. * Sar poi bene sa intorno a ci di che gli altri si richiamano di voi darete i mallevadori i quali assicurino che farete come io ne sentenzio. Se adem pite ci, vi annunzio pace, e che sar vstro am ico, prontissimo per soccorrervi in quante guerre mi chia mate : ma se ricusale , non lascer che devastiate i paesi degli alleali, n derubiate le citt greche ven dendone le persone predale : io ve lo impedir colle armi : affinch cessiate una volta dal togliere e por* tarvene da tutta C Ita lia , e maltrattandone a vostro piacere gli uom ini, come gli schiavi. N e aspetto la risposta in dieci giorni, giacch non potrei pi 4 lungo ,

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XVII. Rispose il console romano a tali cose pun gendone 1' arroganza, e dimostrando insieme k subli mit di Roma # Publio Valerio Levino comandante e console de'Romani al re Pirro salute . Pormi sa

viezza mandar lettere di minacce ai sudditi: ma viiipendere come uomini da poco o da nulla uomini dei quali non siansi considerate le milizie n conosciuto il valore , questo indizio di forsennato , o di chi non sa ci che senno. M a noi sogliamo punire i nemici cof a t t i , non colle parole. N facciamo te giudice de! nostri richiami co' Tarentini, co Sanniti , e con altri: n prendiam te garante da fa r valere ci che tu giudichi. Decideremo colle armi nostre la di sputa pigliandone la pena che n vorremo. Su tali notizie apparecchiati come nimico , non come giudice nostro . XVIII. Vogli poi considerare, quali garanti ne darai per te da soddisfare le ingiurie che tu ci f a i : non ricevere a carico tuo che n Tarentini n altri nemici opprimeranno i diritti. S e hai deliberato d'im prendere per ogni maniera la guerra contro di n o i, tieni certo che ti succeder ci che di necessit suc cede a chi vuole combattere innanzi di aver ponde rato con chi sia per combattere. A bbi tutto in pen siero , e poi se cosa ti bisogna da n o i , allontana le minacce, pon gi quella tua regia fierezza , vieni al Senato , informalo , persuadilo , n vedrai mancarti non il diritto , e non l equit .

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LIBRO DEGIMOTTAVa
S U PPL E MEN TI E FRAMMENTI.

I. -Ltevm o console romano (i), proso un esploratore di Pirro fe prendere alle sue milizie le armi e schie rarsi : poi mostratone a lui lo spettcolo, gl' impose di riferirne a chi lo mandava, tutta la verit : e che oltre le cose vedute dicesse che Levino il console deRomani lo ammoniva a non inviare occultamente altri per os servare : venisse egli e vedesse palesissimamente, e spe rimentasse ci che sian l armi romane .
(t) Aouo di Roma 4jfD I O N I G I , tomo I I I .

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II. Un tal Oblaco, soprannominato Yulsinio, duce deFerentani, al vedere che Pirro non avea posto certo, ma preseotavasi rapido dovunque tra' soldati, diresse 1 attenzione a lui solo : e dove clie pe andasse il re cavalcando, ivi piegava anch esso il proprio cavallo. Osservando ci Leonnato di Macedonia figlio di Leofanto, l uno de' compagni del r e , se ne empi di so spetto, e scoprendolo a Pirro disse : Guardati o re da quelC uomo. Egli combatte nella prima schiera , n sempre ferm o in un luogo : e te adocchia , e su te mette i disegni . III. Rispondeva il monarca : E che pu mai fa re costui solo conira tue circondalo da tanti ? Poi fa cendola alquanto da giovane circa le sue forze, aggiun geva: 'e se venisse egli solo contra me solo, nemmeno allora sen tornerebbe contento. Intanto Oblaco il Ferentano, colta la occasione che aspettava, si avvent co' suoi compagni nel mezzo del regio seguito de ca valieri. E forzatolo e rottolo, ne andava diritto al mo narca con lasta, retta da ambedue le mani. Nel tempo stesso Leonnato, quegli che avea pocanzi ammonito Pirro a guardarsene, piegatosi alquanto di fianco tra fisse coll' asta le viscere al cavallo di lui. Il Ferentano per nell andar gi feri nel petto il cavallo del Mo narca: tanto che ambedue caddero co propri cavalli . IV. Un uom fidatissimo delle regie guardie del corpo fece ascendere nel suo cavallo il sovrano, e lo sottrasse. Oblaco per contrario persistendo quivi a com battere , soggiacque dalle ferite , quando alcuni compa gni, fattone combattimento grande, pigliarono lestinto,

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e se lo ri portarono. Dopo quell incontro il monarca affine di non esser cospicuo ai nemici , fece vestire a Megacld fidissimo valorosissimo tra' compagai la eia oiide sua di porpora e di oro usala da lui nel com battere, e larmatura migliore delle altre per la materia e pel lavoro, ed egli prese la clamide b runa, e 1 usbergo e la causia colla quale Megacle difendeva il capo dagli ardori. E questo fu cagione, sembra ,. a lui di salute. . V, (.) Dopo che Pirro signore degli Epiroti. aveva portato 1' esercito contro ai Romaui, deliberarono spe dirgli ambasciadori pel riscatto de prigionieri, sia che colui volesse restituirli cambiandoli, sia che tassando un prezzo per ciascuno di essi (a). Pertanto dichiararono ambasciadori Cajo Fabrizio , il quale gi console , ad dietro da tre anni, vinse i Sanniti, i Lucani , i Bruzj con strepitose battaglie , e disciolse 1 assedio di T u ri, e Quinto Emilio il quale collega un tempo di Fabrizio fece la guerra co Tirreni, e Publio Cornelio il quale gi console, addietro da quattro anni, attaco tutti i Galli chiamati Senoni, nemicissimi deRomani, e inisene a fil di spada tutti gli adulti. VI. Venuti questi a P irro , e discorsogli quanto concerneva il subjetto, come la sorte non sottoposta a calcoli, come repentini sono i cangiamenti fra le ar mi,. e come niun pu di leggieri antivederne il futuro; proposero a lui che scegliesse di rendere. i prigionieri a prezzo , o permuta.
( 1 ) A d d o di Roma f a i . (a) Il paragrafo quinto tino I t e m i fra n ia ieu li..

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VII. Ma Pirro consultatosene con gli amici rispose ; Arduo cimento il vostro o Romani , che ricusato congiungervi meco di am icizia, e richiedete i vostri prigionieri da usarli in altre battaglie in mio danna. Voi se desiderale il bene , se intenti siete all utile comune a noi due ; pacificatevi con me , e co m iei confederati , e ripigliatevi gratuitamente i vostri p ri gionieri? alleati, o cittadini che sieno. In altro modo non soffrir che vi abbiate un altra volta ta nti, e tanto valorosi. Cos disse presenti i tre legati, ma poi prendendo Fabrizio in disparte soggiunse: VIII. Odo o Fabrizio che tu se prestantissimo nel guidare una guerra, che se giusto e sobbrio e pieno d ogni virt, del? uomo privato, ma che intanto sei povero d i sostanze, e depresso in ci solo dalla sor te ; onde non vivi tu con pi agio che gl infimi se natori. Ora io volendo sollevarti anche in ero, ti offe ro tanta quantit di argento e di oro da superarne il pi facoltoso tra Romani. Imperocch io reputo liberalit bellissima , e degna d i chi presiede , be neficare i valentuomini i quali per la povert non vivono con dignit de loro genj bennati, e questi io reputo d o n i , questi monumenti luminosi per una re gia potenza. IX. Or tu vedendo o Fabrizio il voler mio, lascia egni verecondia, vieni a parte de miei beni ; e con cepisci che mi fa ra i piacer grande, . . . e che sarai presso me riverito come un amico , o un congiunto , e certo com uno degli ospiti pi onorevoli. N gi per questo mi dovrai tu prestare lopera tua in cose.

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non giuste, o non degne, ma in cose onde tu ne sia pi stimabile e grande ancora nella tua patria. E primieramente provocherai quanto puoi perch faccia la pace cotesto tuo Senato, fin qui duro , e privo di moderati consigli. Dirai che io venni in danno di Roma promettendo soccorrer i Tarentini ed altri Italia : che ora non sarebbe giusto , n decoroso che gli abbandonassi io presente qui collesercito, e vincitore gi di una battaglia; che nondimeno affari imperiosi e molti avvenutimi poscia m i richiamano alla reggia. X. Ed io qui ne do , sii tu solo o con gli altri compagni , le assicurazioni pi ferm e , che io son intento a tornarmene se i Romani mi si concordano per la pace : talch puoi dirlo pur francamente ai ' tuoi cittadini se alcuni mai ve ne fossero a quali mal suona il nome di un re, come -quello di un in fido ne trattati, e temessero di me similmente perch taluni monarchi si videro sorpassare i giuramenti, e tradire gli accordi. Fatta la pace ne verrai meco consigliero, luogotenente, compagno di ogni mia sorte; Come ho io bisogno di un uomo valoroso e fedele ; tu,-lo hai questo bisogno della munificenza e del mi nistero di stato di un monarca. Se ci concederemo a vicenda questi beni; ambedue ne saremo grandissimi, t uno per C altro. XL Or qui Pirro si tacque; e Fabrizio soprastando picciolo tempo, soggiunse: Quanto alla virt mia sep pure io ne h o , sulle cose della mia persona o del pubblico., non conviene che io te ne dica ; giacchi

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ne udisti dagli altri. E non conviene pure , che io dicati come possiedo un picciolo campicello , ed uno scarso abituro, e come non sostengo la vita cofru tti datimi dai prestiti o dai schiavi ; ciocch al pari di mostri aver ascoltato pienamente da altri. XII* Sia poi che tu lo ascoltassi altronde, sia che da te lo argomenti, non bene ti apponevi quando concepisti che la probit niente mi giova , e che io por la povera vita assai pi stento d ogni romano. Imperocch n provai n provo ora tuttavia senso alcuno di molestia per la picciola possidenza , tantoch non deploro l m ia sorte sia ne U cose private, sia nelle pubbliche. XIII. E che ne soffersi mai sicch io me ne dol ga ? Forse non potei conseguire per la povert mia dlia patria alcuno degli onori cospicui, ambiti con tanta sollecitudine dagl' ingenui? E lo posso io dir questo , che cornandovi nelle magistrature supreme , io che imprendono le ambascerie pi memorande, io al qual si affidarono le cure pi sacrosante della religione ? io finalmente che sono , quando toccami, ricercato del parer m io, su di ogni affare pi gra ve? Io vi sono applaudito, io ammirato, io non se condo a niuno de' pi potenti, e tenutovi cara esem pio di rettitudine. E sappi che in ci fa re n io, n gli altri siamo punto dispendiati: XIV. Imperocch Roma non incommoda le sostanze altrui, come le incommodano le altre *ittA nelle quali grande la ricchezza privata , ma scarsa la pubbli ca: generosa la nostra patria e magnifica porge ella

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stessa di che fa r e ogni spesa quante ne bisognano a chi prende i pubblici affari. D i guisa che nell afi dare alle cariche non valutasi il povero men del pi, ricco, ma risguardansi tutti egualmente , quanti pei meriti loro sono degni di reggerle. E se io povero non apparisco in esse minore de grandi possidenti, e di che m ai condanner la mia sorte? Forse perch non mi rese eguale a voi re li quali accumulate tanto di oro ? Eppure io nel tenue mio stato rimpetto ai pi ricchi mi credo uno de pochi felici ; e per ci m inalzo a grandi pensieri. XV. Aiagro il mio poderetto; eppure amando io di lavorarvi ed applicandomene prudenzialmente i fru tti : somministrami tutto il bisognevole ; n la na tura ci violenta a cercare pi che il bisognevole. Soave n i V alimento cui la fam e condiscemi, dolce la bevanda citi I4 sete procurasi, e molle il sonno cui la stanchezza precede. Sufficientissima m la veste che mi difende dal freddo , come acconcissimo il vose men prezioso fr a quanti danno P uso medesimo. Non saria dunque giusto accusare la sorte, la quale mi porge quanto basta alla natura, e la quale se non dovami l abbondanza , non m 'impresse nem meno desiderj superflui. XVI. Io non ho mezzi vero da soccorrere chi si debbe ; ma nemmeno diedemi Dio su le ricchezze quella cognizione (erta, o divinatoria per la quale giovasi chi ne abbisogna , come nemmeno diedemi tante altre cose. Partecipo ciocch ho colla patria e gli amici : porgo loro come comuni le tose mie , be-

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mficando come posso chi ne abbisogna , n quindi io credo mancare. E queste sono quelle maniere mie che tu giudichi prestantissime , e che sei pronto di comperare a s gran prezzo. XVII. Che se poi la gran possidenza sia degna che procurisi con tante premure e gare appunto per beneficare chi ne abbisogna , e se questa rende pi fklici i pi ricchi come sembra a voi re ; quali vie saran le migliori da procurarsela, quelle per le quali vuoi tu che io me abbia, ingloriosamente , o quelle per le quali io V avrei prima ottenuta con decoro ? Certamente gli affari di stato mi diedero tante volte per addietro mezzi da arricchirne, principalmente quando gi da tre anni f u i , console, spedito col/ esercito contro ai Sanniti, ai Lucani, agli Sruzj , quando saccheggiate tante terre , li vinsi in campo con tante battaglie ; e quando pigliandole a fo r z a , esaurii tante citt luminose. In que giorni arricchii P esercito , resi ai privati quanto avevano sommini strato per la guerra , e portai dopo il trionfo quat trecento talenti nell' erario. XVIII. E potendo di tali acquisti applicarmene quanto io voleva ; non seppi toccarne ; e trascurai per amor della gloria una ricchezza anche giusta ; come fece Valerio Poplicola, e come pur fecero altri moltissimi pe' quali Roma tanto ite grandiosa. M a da te quali d'ani mi si apparecchiane ? Non cambierei forse il meglio col peggio ? Sarebbe quella prima maniera di possedimento stata unita colla sod disfazione del cuore, con un apparato d i giustizia e

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decoro ; ma da codesta tua troppo tutto ci mnca. Imperocch q u n t o t u o m o a c c e t t a d a l l u o m o


CO M E U N P R E S T IT O C H E G L I G R A V I T A C H NO L CO M P E N SA , IN T O R N O F I N LA NA E N A SC O N D A SI PURE
,

T U R A D E L P R E S T IT O CO' N O M I SPECIOSI F A V O R I , D I B EN EFIC EN ZE.

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XIX. Or su poni che io uscendo da me prertda V oro che mi o ffer, e ci divulghisi tra' Romani. I magistrati irrejrmabili, quelli cke noi chiamiamo censori, a quali spetta esaminare il vivere de' Ro , mani e castigar chi devia dalle consuetudini della ptria , quelli mi citino e n i astringano a dar conto de' doni ricevuti, al cospetto del pubblico e dicano : XX. N oi (i) ti abbiamo inviato o Fabricio con due consolari al monarca per trattare il riscatto dei prigionieri. Tu rivieni dalla spedizione senza li pri gionieri , e senz' altro bene per la citt : Ritorni col mo , e tu solo, e non i tuoi compagni, delle regie
( i ) Questo tratto di parlata manca ne1 framm enti d e Tenti libri di Dionigi pubblicali da Fulvio U rsino nel libro de Legalionibut. P e r altro nel codice Ambrosiano pubblicato in gran parte da Mon signor M aj vi sono le ' parole greche corrispondenti alle italiane : i magistrati irreformabiti ec. come pure si aveano nel codice del qnale si valsa l U rsino. Ci che fa concepire che il resto del d i scorso bench sia n ell e p ito m e, quello stesso il quale era n e venti libri dell opera estesa di Dionigi. T ale riscontro per m induce a pensare che l'a u to re del com pendio, nel farlo seguit 1* opera co piosa d i D ionigi, m a che sso non fu Dionigi ; Im perocch gli au tori grandi restringono non solo la storia ma mollo pi le parlale # oude uon sorgano scritti sregolati con parti or nane , ora gigante s c h e . Anzi questo compendiatore molte altre V o l t e eccede egual mente circa le parlate d venti lib r i, messe nel Compendio.

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largizioni con aver fa tta di tuo volere una pace senza l'u til di R om a, e die Roma rigetta. Ora donde mai questo, se non da ci die tu ne tradisci al ne mico, s che egli col tuo mezzo soggioghi per s l 'I talia , e tu col mezzo di lui tolga alla patria la li bert ? Cos fa n tutti gli uomini di una virt simu lata, e non vera, quando si sono avanzati al grande e fo rte degli affari > . XXI. Che. se non tu adorno della dignit senatatia , e non da nem ici, e non per tradire e fa r ti ranneggiare la patria avessi accettato que' doni, ma soltanto come privato da un re confederato, e senza ombra di nude pel comune, d , non saresti da pu nire anche per questo che depravi li giovani , insi nuando nella laro vita il genio per la ricchezza, per le delizie , e per la sontuosit de' monarchi quando abbisognavi continenza estrema a preservar la repub> blica? Svergogni .li tuoi maggiori de quali niuno de vi dagli usi della patria n mut la povert deco rosa con turpi ricchezze : si tennero tutti nel tenue patrimonio, che tu ricevesti, ma poi riputasti minore d i le . XXII. A n zi tu dissipi la gloria a te risultata pe'fa tti antecedenti, la qual possedevi di uom tem perante, e superiore ai bassi desiderj. T i diletterai di esser fa tto malvagio di probo , quando dovevi an che cessare dall esser malvagio , se eri mai tale ? O sarai da ora in poi messo a parte mai pi degli onori dovuti ai buoni ? anzi levati piuttosto dalla citt, o dal Foro almeno. E se ci dicendo mi cas-

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sassero dal Senato , e mi riducessero tra' disonorati> qual cosa potrei replicare , o qual fa r giustamente in contrario ? E dopo d qual vita vivrei io m a i , caduto in tanta infam ia, e versatola in tutti i miei, posteri? XXIII. Quanto a te poi come dar segno mai pi di giova/'ti, se tra miei perdo la influenza e la riputazione , per le quali ora cerchi di affezionar* miti P Quando non potessi pi nulla nella patria , non mi rimarrebbe che uscirne con tutta la fam glia, condannandomi da me stesso ad un obbrobrioso esilio. Ma dove mi starei da indi in poi , qual luogo mi. ricetterebbe , ridotto , eom conseguenza , senza la libert del parlare? Forse il tuo regno?. Viva Giove se mi apprestassi tutta la regia tua prosperit, non mi daresti tanto bene quanto me ne, togli , levatami la libert, preziosissima innanzi tutto . XXIV. Come potrei tener vita tanto diversa, tardi ammaestrato a servire? Se chi nato no regni e nelle tirannidi quando abbia cuor generoso, ama la libert., stimando ogni bene metto d i essa; come ehi cresciuto in citt libera e consueta dominare su gli altri , passer volentieri di bene in m ale, di lbero in suddito per imbandire laute ogni giorno le >nense per aver gran seguito intorno d i servi > e pigliar diletto senza- riserva con femmine e donzelli fo rm o si, q u a si. la umana felicit sia riposta in questo e non gi nella virt ? XXV. Ma sian pure queste e cose altrettali dei gaissime di esser cercate , or quando l uso ne sar

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mai lieto , se non sono mai stabili ? Se a voi sta concedere tali amabili cose ; voi le ritogliete ugualmente, quando vi piace. Lascio di ridire le gelosie , le calunnie, la vita sempre in pericolo , sempre in timore , e tutti gli altri sconci , non degni del va lentuomo , quanti ne porta lo star presso ai monar chi. Gi non colpir tanta stoltzza Fabrizio da ab bandonare la fam osissim a Roma per vivere nelC E piro; o da ridurlo che mentre pu fa r da capo nella citt dominante, voglia essere dominato da un solo , pien di sestesso, e consueto di udire dagli altri sol tanto ci che diletta . XXVI. Gi non potrei levaret il grandioso nei pensieri, n impiccolirmiti , anche volendo, sicch tu non debba sospettare niun danno. E rimanendomi come la natura e gli usi della patria mi han fa tto , ti parr grave, e quasi tirare da ogni parte il co mando verso di me. Generalmente debbo avvertirti che non vogli ricevere nel tuo regno n Fabrizio, n a ltri, sia maggiore sia pari tuo nella virt , n a f fa tto chiunque sia cresciuto in citt libere con sensi pi grandi dell' uomo privato. Gi non sicura ai principi n cara la dimestichezza con uomini di mente eccelsa. Ma su /' utile tuo vogli tu da te di scernere ci d i da fa re : quanto a prigionieri nostri scendi mi miti consigli, lasciane andare >. XXVII. Appena Fabrizio di fine, Pirro maravigliato della magnanimit su a , lo prese p e r la destra dieendo: Gi non mi vien maraviglia che la vostra citt sia tanto celebrala ; e cresciuta q. tanta signoria > dap

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poich ella nudre tali valentuomini. Ben avrei caro che non fosse stata fr a noi briga niuna fin dall origini. M a poich vi f u , poich taluno de' numi volle che noi misurassimo a vicenda le nostre forze e il valore, e misuratolo ci riconciliassimo ; son pronto. E cominciando io la benignit la quale dimandate , restituisco in dono }' e non a prezzo i suoi prigionieri a Roma .

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SUPPLEM ENTI E F R AMMENTI.

I. jL J e c i o , un Campano , lasciato da Fabrizio console romano per capo della guarnigione di Regio ( i ), invaghito dei beni di questa, finse venutagli lettera da un ospite suo nella quale si annunziava che il re Pirro manderebbe cinque mila soldati a Reggio per invaderla, promettendogli li cittadini, di aprir loro le porte. Su tale pretesto uccise cinque di Reggio, e poi compart le maritate e le nubili tra suoi militari, e vi si fece (i) Anno di Roma 47

DELLE ANTICHIT* ROMANE LIBRO XIX.

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tiranno (i). Alfine caduto malato degli occhi m and Cercando in Messina Dessicrale m edico, prestantissimo

secondo che udiva............. II. Pirro recit li versi che Omero mise in bocca di Ettore verso Achille, quasi detti da Romani verso di Pirro:
.Ma te tale e tan t nomo io gi non voglio , / Col guardo seguitandoti, di forto , Ma palese f e r ir , sa mi riesca :

Poi soggiungendo che egli seguiva forse un tristo subjetto di guerra contro G reci, buonissimi e giustissimi, ina rimane vaci un solo e bel termine ; che li rendesse amici di nemici, con principio magnifico di benevo lenza. III. a Quindi, fattisi venire li prigionieri de' Romani, diede a tutti vesti convenienti ad uomini liberi , e le spese del viaggio, con esortargli infine a ricordarsi quale egli fosse stato inverso di essi, a manifestarlo agli altri, e cooperare con tutto 1' impegno a rendergli amiche le patrie loro , quando vi giungessero , . Certamente f oro de principi tien forza insuperabile, n fu dagli uomini trovato fin qui riparo contro di arme siffatta. . . . IV. Clinia da Crotone uomo soperchiatore priv di libert le cittadi, con dar franchigia ad esuli e schiavi numerosi de' luoghi intorno (a). Fondala la tirannide
( i ) Q uei di Reggio avevano cercato il presidio Romano, temendo ta n te de*Cartaginesi quanto di P irro . Decio accise li cinque qui si gnificati in un convito. Ma li soldati ue uccisero assai pi per le case, come si raccoglie da Dione. ( 3 ) Questo paragrafo, e li seguenti fino al duodecimo sono frani*

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col mezzo di questi accise o bandi li Croloniati pitk riguardevoli. Anassilao o ccup la fortezza di Reggio, e ritennela per tutta la vita, lasciandola appresso al figlio suo Leofrone ( i \ Dopo questi anche altri facendosi a dominar le citt vi sconvolsero ogni cosa. V. lifa. il dispotismo , ultimo a nascere e massimo ad opprimere le citt d 'Ita lia , fu quello di Dionigi, tiranno della Sicilia. Imperocch passato nella Italia in soccorso de Locresi che vel ehiamavano a danno di :que' di Reg gio., che erano loro nemici, ebbe incontro eserciti Ita liani numerosissimi ; ma postovisi in battaglia uccise moltissimi, e presevi a forza due citt. Poi tornato un' altra volta in Italia svelse dalle loro sedi gl' Ipponiesi traendoli nella Sicilia : invase Crotone e Reggio e vi tiranneggi per dodici anni finch queste citt sopraffatte dal timore di lui si diedero ai barbari. Ma poi premuti pur da barbari come nemici, si rimisero nelle mani del tiranno. E fluttuando come le acque dell E uripo, si volgevano senza requie qua e l fortuitamente , levan dosi da chiunque li malmenasse VI. Scese Pirro di bel nuovo nell Italia, non riu scendogli nella Sicilia le cose come le ideava , perch il governo di lui sembr dispotico anzi che regio alle citt principali. E per vero dire, introdotto questo in Siracusa da Sosistrato che allora yi presedeva , e da Toinone capitano della fortezza (2 ) , e ricevuto da essi 1 erario , e presso che dugento navi rostrate , e sotto
( 1) Gin si ino nel lib. Reggio.
3

fa menzione di questo Leofrouc tiranna d i

(1 ) Anno di Roma 477-

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X IX .

4^5

messa a mano a mano tutta la Sicilia , toltane la citt di Lilibeo, 1' unica la quale vi ritenessero i Cartaginesi, diedesi infine ad insolentirvi fierissimamente. VII. Imperocch, tolse le sostanze che gii amici e fa miliari di Agatocle aveano da Agatocle stesso ricevute, e le concedette ai suoi. Compart similmente le grandi magistrature delle citt fra i suoi centurioni e satelliti non secondo le leggi locali, n pe' tempi consueti, ma secondo che gli piaceva. E li reclami, e le cause, e gli altri provvedimenti civili o li decideva egli di per sestesso, o daVali a discutere e definire ai cortigiani, uo mini intenti solo a far guadagno e tresca nell' abbon danza. Per tutti questi motivi riusciva gravissimo ed odiosissimo alle citt che Io avevano ricevuto. Vili. Avvedutosi come tanti si erano alienati da lu i, mise guarnigione per le citt sul pretesto della guerra con i Cartiginesi, e poi fingendo di averne scoperte le insidie ed i tradimenti,- prese ed uccise i personaggi pi riguardevoli \ e tra questi Toinone il castellano, il pi zelante per pubblica confessione e pi attivo nel dar mano a Pirro perch scendesse nell' isola e vi regnasse, giacch si era costui recato colla flotta per incontrarlo, e gli avea Fenduta l isoletta, da lui presidiata in Sira cusa' (i). Ma tentando sorprendere ugualmente Sosistrato fu deluso ; perocch costui previde le insidie, e fugg.
( i ) 8iracusa per quanto rileviamo d a Lucio F loro era come nna cilt composta da tre citt o gran parti delle quali ognuna era cir condata di m ura. Vedi le noie al lib . a , c. 6 nella nostra tradu co n o di quello scrittore. D I O N I G I , temo I I I .
io

466

DELLE ANTICHIT ROMANE

Poi cominciando a sconvolgersi le C ose di Ini ; Carta gine credette avere il buon tempo da riprender nell isola i luoghi perdutivi, e vi spedi sollecita u' armata. IX. Evagora figlinolo di Teodoro, Balacro figlinolo di Nicandro , e Dinarco figliuolo di Nicia, tristi, infami sopra tutti gli amici di P irro , emoli con*' erano in dar consigli, alieni da numi e dal culto, vedendo il ouh Barca in disagio, cercar vie da conseguire danari, glie ne proposero una indegnissima, che era quella di aprire i tesori sacri di Proserpjna (i). Imperocch nella citt siesta eravene un tempio santo, il quale serbava oro in copia , intatto da tempo antichissimo, e dove altro Yen' era invisibile a tutti, come posto oceultissimamente sotterra. Sedotto da tali adulatori, e riputando la neoes* sit superiore a tutto, si valse de consiglieri medesimi per lo spoglio sacrilego. Quindi tntto riconfortato im barc con altre ricchezze l ' oro venutogli dal tempio, spendendolo a Taranto. X. Ma la provvidenza giusta degl Iddj manifest l ef ficacia sua. Perocch sciolte dal porto proc^derono in principio le navi col favore di un vento di terra ; ma poi cambiatosi questo in altro contrario tempest per tutta la n otte , e quali ne afiond, quali ne intruse al golfo di Sicilia ; e spinse ai lidi di Locri quelle ov era* no portati i doni, gi votivi ne tem pj, e l oro am massatone : e qui disfacendosene i legni fece perire i nocchieri naufraghi pel riflusso delle onde , e sparse 1 oro sacro su la spiaggia appunto pi prossima a Locri. Donde costernato rese il monarca alla Dea tutti gli o r-,.
(>) Anno di Roma fati.

LIBRO XIX. 4 6 7 naraenti i tesori, quasi per allontanare con ci la collera.


Stolto! che non v*dea quali tormenti Ne incorreria t ch facili non sono Tanto a mutarsi le celesti ment,

Come fa detto da Omero ( 1). Dappoich stese l a mano temeraria sa 1' oro sacro, Onde valersene in guerra, la Dea lo infatu ne' consigli, per esempio e docum ento de' posteri. XI. E per questo appunto fa vinto colle armi da' Ro mani. Imperocch non erano l Sue milizie o spregievoli o non disciplinate, ma le pi valevoli allora della Gre cia e pi invecchiate tra i cimenti delle armi: nori erane picciolo il num ero, ma tre volte pi grande delle Ro mane : non erane esso un capitano comunque, ma come tutti confessano, il pi insigne di quanti allora ne fiorissero. Finalmente non i luoghi sfavorevoli f non i soccorsi repentini de' nemici, e non altre congiunzioni ed emergenze di casi fiaccarono P irro , ma I* ira lo di sfece della Dea vilipesa, come egli ben se ne avvide e come Prosaeno raccont nella storia, anzi come Pirro egli stesso lasci scritto ne' suoi commentar}. XII (2 ). Erano per marciare come usano i soldati di grave armatura, con elmo, corazza, e scudo su ripe e lunghi sentieri ; praticati non dagli uomini, ma dalle capre per lo selvoso e scosceso in cbe sono: ed erano per andare senza ordine alcuno spossandosi dalla sete e ( 1 ) Odissea HI, i4&(a> 11 paragrafo 12 h supplito coll epitome di Diouigi, ma il seguente c lutto frammeuti toltoli* 1* parole inchiuse tra virgole.

468

DELLE ANTICHIT ROMANE LIBRO XIX.

dallo stento innanzi i scoprir l ' inimico . . . . Quelli i quali combattono da vicino afferrate le aste equestri con ambe le mar e spesso riescono a bene . . . . Quelli che li Romani chiamano principi nel combattere. * XIII. Nella notte appunto nella quale Pirro aveva deliberato di condurre 1 esercito al m onte, parvegli in sogno versare il pi dei denti dalla bocca, sgorgandone intanto sangue copioso. Turbatone ed impensieritone come per la visione di grande calamit futura volea sospendere per quel giorno la marcia : perocch altra volta dopo eguale visione tra il sonno gli era succeduta terribil vicenda . Non pot per vincere i destini , vinto egli stesso dagli amici, che ripugnarono all' in dugio, insistendo , che non lasciasse sfuggirsi tale oc casione dalle mani (i). XIV. Avvedutisi i Romani che 1' esercito di Pirro ascendeva con gli elefanti, feriscono il figlio di un ele fante : e questo port ai Greci molta perturbazione , e la fuga in fine. Poi li Romani uccidono due elefanti e ne prendono vivi otto, ridottili in luogo senza scampo, datane loro la consegna dagl' Indiaui che li guidavano : e fanno strage cupa di militari, a
( i ) Q ui finiscono i framm enti i quali erano gi parti degli ultim i nove libri perduti tra i venti delle Anticliil Romane di Dionigi. T u tto H resto k supplito col com pendio formato su li medesimi venti libri.

4^9
DELLE

A NTICHIT
i1

ROMANE

DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO VENTESIMO.
SUPPLEMENTI.

I. FA BRizio gi console , crealo censore esclu se (i) dal numero de' senatori Cornelio Rufino insigne per due consolati e per una Dittatura, appunto perch il primo di vista di troppo lusso per 1' apparecchio in vasi d' argento, possedendone in dieci libbre , le quali sono poco pi che otto mine dell Attica. IL Gli Ateniesi ebber lode perch punivano come rei contro del pubblico gl' in erti, gl' inoperosi, n frut tiferi di utile alcuno : Ma gli Spartani la ebbero perch
(t) Anno di Roma 479'

47

DELLE ANTICHIT* ROMANE

davano a seniori di poter battere colle verghe i citta dini li quali disordinavano , in ogni pubblico loco. Ma n provvedevano n sopravvegliavano alle cose operate entro casa, riputando la porta dell' atrio esser limite al vivere inosservato (i). III. Ma K Romani spalancavano le case intemandovene anche odi pi secreto 1' autorit del censore, fatto ispettore e curatore di quanto vi si operava. Conciossiach pensavano che n ii padrone dovesse esser crudele nel punire li servi, n il padre aspro o molle fuor di misura ne! governo de' figli, n 1' uomo ingiusto nella communione colla moglie, n li figli indocili ai vecchi padri, n i fratelli legittimi, disegnali nelle pre tensioni , n li conviti o il bere continuati in tutta la n o tte , n li giovani derelitti o subornati, n tralasciati gli usi aviti delie cose de templi e de'sepolcri : n che altra cosa qualunque di quelle praticate contra il decoro e 1' utile di Roma (a) . . . . . . Saccheggiavano 1 avere de' cittadini sul pretesto che aderivano al regio parti to (3).
( i ) Nel testo lim ite alla libert del pivere (a) L a Centura fu istituita secondo L ivio, I V , 8 1 anno S u . I n tal anno, o forse nel seguente cessa coll undecim o libr e m anca la storia am pia delle antichit Romane scritta d a Dionigi in venti libri. Senaa dubbio Dionigi parlava al sno luogo n e libri p e rd ati d ella istituzione della C ensura. In questo com pendio se ne p a rla ora sotto I anno 479 di proposito per occasioni della pena d a ta a C ornelio Rufino. Forse ci k stato per non rip e te re , e forse l au tore del compendio non D ionigi: perciocch quella istituitane troppo rilevante per doverne patlare al suo tem po precisam ente. (3) Di Pirro se m b ra , dovunque ci fosse.

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XX.

471

IV. * Nemerio Fabio Pittore , e quinto Fabio Mas simo , e Quinto Algunio , andati ambasciadori a T olommeo Filadelfio ( 1) , in vista di nna sua deputazione ed onorati ciascuno con doni proprii da lui che regnava su 1' Egitto, il secondo dopo Alessandro Macedone , tornando a Roma vi dieder discarico della loro missione^ e portarono i regj doni al pubblico Erario. ,11 Senato ne encomi tutte le opere: n permise che si accomu nasse ci che era stato donato in propriet dal sovrano a ciascuno: ma volle che se lo recassero alle proprie ease , come premio della virt, e monumento di onore ai posteri. V. Li Rruzj nel sottomettere sestessi spontanea mente ai Romani cederono met del territorio montuo s o , il quale chiamato Sila f pieno di piante acconce alla costruzione di case e navi, come ad ogni altro ap parecchio. Conciossiach ivi crescono in copia abeti al tissimi e pioppi, e la pingue picea, e il pioppo e il pino , e 1 ampio fggio, e il frassino, fecondati dalle acque che vi trascorrono ; ed ogni altra sorta di alberi, la qual densa ne' rami tiene continua 1 ombra su la montagna (a). VI. c Di questa selva gli alberi prossimi al mare e ai fiumi tagliati interi dal ceppo e recati ai porti vicini forniscono a tutta l Italia materiali per navi e case : gli alberi lontani dal mare e da fiumi, ridotti in pezzi, e riportati su le spalle dagli uom ini, somministrano remi
( 1) Addo di Roma 48i> ( 3) Strabono nel libro VI dice che questa selva era lunga sette cento sla d j.

'472

DELLE ANTICHIT* ROMANE

e pertiche, e mezzi di ogni arme, e vasi domestici: fi* naimente la parte di piante pi grande , e pi oleosa vien preparata a dar le resine, e sen forma la resina chiamata Rruzia , la pi odorata , e la pi soave infra quante io ne conosca. Or dagli affitti di tanto Roma ne ha ciascun anno cospicue rendite. VII. In Reggio fecesi un altra sommossa dal pre sidio lasciatovi di Romani e di confederati : seguitandone da ci sthigi ed esilii non pochi. Per tanto Gajo G enucio 1 altro de consoli usci coll esercito a punir quei ribelli. Presa la citt colle armi rendette ai cittadini pr* fughi gli averi loro, ed arrestato il presidio lo condusse prigioniero in Roma. Or su questi tanta fu 1 ira , e tanto il dispetto nel Senato e nel popolo, che non vi fu piet di parliti : ma da tutte le trib fa sentenziata su tutti la pena di morte come prescrvono le leggi su tali malfattori (i). VIII. Stabilita la sentenza di morte furono piantati de tronchi nel foro e condottivi e legati trecento a cor po nudo i quali aveano gi i cubiti avvinti dietro le spalle: e poi battuti, e poi decapitati con le scuri. Dopo i primi vi furono puniti altri trecento, e quindi altret tanti ancora ; finch in tutto furono quattro mila cin ti) L a legione Cam pana eoo Decio capitano occup Reggio la n no 474 Roma poco dopo la venuta di P irro nell' I t a l i a , occorsa appunto in quell anno. L a legione ribelle fu panila l 'a n n o 483 sotto il console Genucio. Livio X X V i l i , a 8 . dice che la pena fu dieci anni dopo il delitto , e che li puniti in Rom a furono q u a ttro m ila. Nel testo ai parla della ribellione com e seconda. Non i chiaro m la indicata in questo luogo sia d e tta seconda in rispetto a quella di Decio , o di altra antecedente.

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XX.

47 ^

quecento. Non ebbero questi sepoltura , ma tirati dal Foro in luogo aperto dinanzi la citt vi si abbandona rono , pascolo di uccelli e di cani. IX. . . . La turba mendica non tenea cura dell onesto n del giusto. Per sedotta dal Sannite (t) si rac colse in un corpo, e su le prime vivea per lo pi pei monti nelle campagne. Ma poi che fu cresciuta in nu mero ornai da tener fronte occup una citt forte , dalla quale prendea le mosse a depredare le terre intorno. Li consoli cavarono la milizia contro di questi. Ricu perata senza gran briga la citt batterono ed uccisero gli autori della ribellione, vendendone gli altri all' in canto. Era gi 1' anno avanti stata venduta la terra e gli altri acquisti fatti colle armi e l' argento risultatone dal prezzo era stato compartito ai cittadini (a).
(1) Anno d P R o m a 485. Q ui ai alluda alla guerra concitati d a L olita S annite, il quale fug gito d a Rom a dove era ostaggio, raccolte gente, prese un luogo m unito della sua regione, e t padroneggiava, e pred av a. ( 2 ) Dionigi nel lib. 1. 8 dice di tessere la storia sua fino al prin cipio della prim a guerra Punica : Q uesta occorse 1 anno 488 d i Roma : e le cose di q u e st' ultim o paragrafo concernono l anno 485. Tanto, che il compendio ha prossima corrispondenza alla storia dell* antichit stesa in venti libri. (

F IN E

DELLE A NTICHIT' ROMANE

D I DIONIGI D I AL I C ARNASSO.

474

I N D I C E
D EL LE C O SE P I ' N O T A B IL I I N D I O N IG I
D I ALICARNASSO.

I l manero ramano aceenna il libro : T altro numero i paragrafi.

.A borigeni. Son o parte degli Oenotri di Arcadia. I . 26. Se condo alcuni non differiscono daiL elegi, X. Ferefai si chia mino A borigeni, ivi. Cacciano i Sicoli dalle loro sedi, 1. E gli Umbri, 8. Occupano 1* agro Reatino. I I . 8 . Comin ciarono a chiamarsi latini sotto il re Latino. I . 1. Loro citt , 6 . Acaja detta Peloponneso dai Greci. I. 16. F a chiamata Acaja da Acheo. Acanto Spartano il primo opera nudo nello stadio. VII. 72. Acarnani rima aerati dai Romani. I . 4 a. Achille : tre navi sue perdute. I. 3 . Suo scudo fabbricato d a Vulcano. VII. 72. Sua sepoltura. I. 3 rj. Celebra de ginoch in morte di Patroclo. V. x j. Agro o campo di Tarquinio diviso ne9 cittadini. V. i 3 . Agro Romano come, diviso da Romolot II. 7. Come da Nnma. II. 76. Come da, Servio Tnllio. IV. i 5 . Numa divide un ter reno pubblico ai poveri. II. 6 2 . Anche Servio Tullio ne divide. IV. 9. Agraria (Legge) Spurio Cassio ne fu l ' inventore. X. 3 8 . Con*

475

traversie in t orn o di est. V III. 71, Continuate. X. 3 5 . Se ne propone la legge al popolo. 3 6 . Viene im pedita, i . Viene attraversata di nuovo, 3 . Coma i consoli si scher miscono dall eseguirla. I X. 3 7. L a contesa ne diviene pi pericolosa, 3 9. Agricoltura. Romolo oongiange le cure di essa c on qnelle della milizia. II. 28. Anco Marzio raccomanda l'agricoltura e li pascoli piuttosto che la guerra. I II . 3 6 . Agilla cori chiamala dai Pelasgi fa poi detta Cere dagli E trusci. I. 11.

Agrippa vedi Menenio.


Alba L u n g a, suo fondatore e sito. I. 5 ^. Sua d u ratan e. I II. 3 i . Albani ? da quali genti risultassero. I I . 2. Catalogo dei loro re. I . 62. Dopo la morte di Amplio e di Nnmkore ebber o annui magistrati. V. 7 4 . Alleanza degli Albani de Romani sotto Romolo. I I I . 3 . G uerra tra i dne popoli ; loro capi* t a s i, ed esito della m edesim a, 2 e segg. Tradazione degli Albani in Roma, 29. A lbani, campi fertili di ave e frutti. I. 28. Bont premi nente del suo v in o , 5 g. Monte Albano. V ili. 87. Ferie Latine , ivi. A lceo , poeta esiliato. V . 7$. Algido. I Volsci e gli Equi vi accampano. X . 21. X I. 3 . I Romani vi sono danneggiati , 2 3 . Aleio, luogo degli Aborigeni. I . 11. Amiterna luogo dei. Sabini. I , 6. I I . 4 9. ' Amulio , spoglia il suo fratello Nnmitore. I. < 57. Regna X L II anni, 62. Viene assalito, ^ 5 . A nchise, figlio d i Capi e padre di Enea. I. 5 3 . Soa tomba, 5 5 . Porto di Anchise, Altri lnoghi i quali ebbero nome per Anchise, 6. Ancile o scudo caduto dal cielo. I I . 3e.

4?6
A nco, prenome di Marcio re e di Publcio Corano. Vedi que-

sii nomi.
Anfitrioni e loro congressi. IV. 2 5 . Aniene , fiume. III. 22. Non era lontano dal Monte Sacro. VI. 4-5 . E ra vicino a Fidene. III. 5 5 . Si scarica nel Te vere , ivi. A n te n n a , tua fondazione. I. 8. tolta ai Siooli dagli Abo rigeni. II. 3 5 . F a resa colonia R o m an a , ivi. Si unisce a Mamilio Tnscolano per soccorrere Tarquinio contro i Ro mani. V. 21. Antstio Petrone ucciso per inganno da Sesto T arq u in io , I V. 5 7. A nzio, i fondata da Anzio figlio di Ulisse. I. 6 3 . E citt p ri maria de* Volsci. V I E i . IX . 56 . Fa lega con Tarquinio superbo. IV. Soccorre qnei della Riccia. V. 3 6 . Soc corre i Latini contro i Romani. V I. 3 . Soccorre quei di Coriolo, Q2. preso il porto e la campagna di essa. IX . 5 6 . Si rende a Quinzio, 5 8 . Parte delle sue terre divisa tra i Romani, 5 g. Gli Anziati spogliati delle terre ne partono , sono ricevuti dagli E q u i, e fanno scorrerie sa campi deLa tini, 6o. Gli Anziati si ribellano. X. 2o. Apiolani espugnati da Tarquinio Prisco. III. Appello , la legge Valeria permise a chiunque di appellare dai magistrati al popolo su le condanne di morte o di battiture. V. 2o. Si vogliono paniti i .consoli perch impediscono que st'appello. IX . 3 q. Appio, prenome Sabino de Claqdj e di Erdonio. Vedi questi

nomi.
Aquidotti magnificentissimi di Roma. III. 67. Aquilio , C. console. V III. 6 4 - Vince gli Ernici, 6 5 . Ne ot tiene la ovazione, 67. A qoilj, L. e M. congiurati, vicende nella loro pena. V. 9. Ara massima. I, 3 i,

Arcadi, i primi fra i Greci vengono ad abitare l ' Italia. I. 3 . dove abitassero, 36 . Arcadia fa gi detta Licaonia. IL I. Atlante fa suo primo re. I. 5 i. Diluvio di Arcadia, 52, 5 9. Ardea fondata da Ardeas figlio di Ulisse. I. 63 . E citt del Lazio. V. 61. Tarqninio superbo l attedia. IV. 64 Fa tregua coi Romani, 85 . V. 1. E tolto loro parte del territorio. 21 . 54 - Si ribellano * ivi. E ti riconciliano ai Romani, 62. Aretini, popolo dell Etruria. III. 5 i. Argivi, commentar) dei sacerdoti I. 63 . Tempio di Giunone Argiva e tnoi riti, 12. Aristodemo, tiranno di Coma: tue vicende: soccorre la Rioeia : sottomette Coma : ucciso. VII. 2 e seg. Arante, figlio di Demrato. III. 6. Arante figlio di Portena : consiglia il padre a far pace coRomani. V. 3 o. Va ad assediare la Riccia. VII. 5 . Vi d uc cise, 6. Aacanio figlio di Enea e di Crema. III. 3 i. Ritorna in Troja con gli Ettoridi. I. 38 . Ascanio succede al padre nel regno latino. 55 . Chiamavasi un tempo Eurileone, ivi. Divide il regno con Romolo e Remo tuoi fratelli, 64 * Fonda Alba, 5 7. III. 3 i. Asilo aperto da Romolo. II. 15. Asilo pubblico formato da Servio T ullio. IV. 26. Ateniesi : loro repubblica amministrata con annui comandi. IV. 74. Quanto tempo predominarono in Grecia. Proemio, 3 . quanta fosse la loro gloria e pereb. III. i l . Furono spo gliati dell impero. II. 17. Permettono che gli Spartani de moliscano le mura di Atene e pongano guarnigione nella fortezia. XI. 1. Ruppero i Persiani, ivi. Condonano i de biti ai poveri per suggerimento di Solone. V. 65 . Atlante primo re di Arcadia, I. 5 i.

^ 77

47B
Atleti: erano di da* generi fra gli antichi. VII. 32 . Eran coperti nelle iole parti del sesso, ivi. Chi fa il primo at leta ohe combatti nodo in tatto , ivi. Corso , lotta, pagi lato j esercizi degli Atleti. VII. 73 . Attilio, L. Longo tribuno militare in vece di console. XI. 6 j Aventino Silvio, re di Alba. I. 62. Aventino, colle, i denominato dal re Aventino. I. 62. contiguo al Palatino* 27. Romolo lo fortifica. II. 37. Anco Marzio lo congiange con Roma. III. 43 . Si ooncede al po polo perch vi abiti. X. 3 a. il pi grande de colli ro mani. IV. 26. Altessa e circuito di esso. III. 43 - X. Si. Era il pi opportuno per accampanisi. XI. 43 . Viene oc cupato dai soldati ribellatisi ai decemviri. Sa questo colle vi era il tempio di Diana. X. 32 . Il circo massimo restava tra il palatino e l aventioo. III. 68. Auguri, loro of&sio. II. 54 - Alimentane! a pubbliche spese, 6. Tai'quinio Prisco li consulta. III. 69. Tarquinio superbo li consulta su la compra dei libri Sibillini. IV. 62. Creano insieme coi pontefici il re delle cose sacre. V. 1. Sona presenti alla formazione della legge. X. 32 . Maestri dellarte augurale presso gli Etruschi. III. 70. Augure che desorivo linee circolari e rette in terra. IV. 61. Aurunci, popolo dItalia. I. 12. Loro qualit, ivi, e VI. 32 Occupavano la parte pi bella della Campania, ivi. Son vinti da Servili, ivi. Ridomandano i campi degli Eccetrani, ivi. Ausonia era l'Italia. I. 27. Il seno Aasonio fa poi chiamato' il seno Tirreno, 3. Gli Ausoni cacciati dai Japigi vanno in Sicilia , 13. Auspizj s imprendono con essi le cose ardue. V. 28. Si de cide con essi il sito di Roma. I. 77. Pi volte sono dLsprezzaii. II. 6.

Azzio Nevio Angore, sua eccellenza. I* 61. tolto di maz zo., 63 . Azzio Tallo capo de V olsci. Vili. 1. Acooglie benignamente Coriolaiio, 2. Stimola i Volsci contro i romani : fa dichia rare Coriolano per comandante delle milizie, i 5 . Ne pro cura la morte, 5 3 segg. E uociso in guerra, 67. Suo carattere, ivi.
B

Babilonia, soa celebrit. I. 27. Sue mora. IV. 25 . Bacco, pianto dei Greci su i casi di Bacoo. II. g. Tempio inalzatogli da Postumio dittatore. VI. 17. Consagraxiono fattane, g{. Battaglia impedita dai segni celesti. IX. 55 . Prima di attac carla fanno preghiere e sagrifizio, io. Bazia luogo degli Aborigeni. I. i 5 . Bighe, gara delle medesime. VII. ij3 . Bitume , vasi pieni di bitume e pace tirati colle fiondo su i nemici. X. 16. Boario, Foro. I. 3 i. Servio Tallio vi forma un tempio della Fortuna. IV. 27. Bolani, popolo del Lazio. Bela assediata e presa da Mar zio. V ili. 18. Bovilla presa da Marcio. V ili. 20. Bruto, L. Giunio : perch si chiamasse Bruto. IV. 67. Un altro L. Giunio uomo plebeo usurpa il nome di Bruto. VI. 70. Se i Bruti posteriori discendessero dal primo. V. 18. Vedi i GiunJ. Bruzj vinti da Fabrizio. Tomo III. Legazioni. Bruzj ricevuti in Roma. I. 80. Bubetani popolo del Lazio. V. 61. Butrinto. I. 4 2.

48o

c
Caco, furto e morte di esso. I. 35. Cecilio (L.) Metello, ano trionfo e celo nel conservare le cote di Vesta ; p tatua di lai nel Campidoglio. II. 66. Cedicio (L.) tribuno della plebe accosa Servilio nomo con solare. IX. 28. Ca Iliade Arconte ,di Atene. IX. 1. Callias Arconte di Atene. VII. 1. Cameria fondata dagli Albani : diviene colonia de Romani. II. So. Si ribella ed presa e distratta. V. 4-3* Camilli, giovani inservienti ai sagrifizj. II. 22. Campania, noi campi fertilissimi. I* 28* Vacilla nella fe delt verso, i Romani. VI. 5 o. I Campani occupano Caoia. Tomo IIL Legazioni. Si lamentano dei Napolitani in Se nato , ivi. Canne, sconfitta. II. 17. Capi. L '62. Capitolino, colle * gi detto Saturnio. II. 1. O Tarpeo. III. 69. Perch poi si chiamasse Capitolino. IV. 61. Romolo lo fortifica. II. 3 <;. In cima di questo colle ossia Campidoglio vi il tempio di Giove Feretrio, 34 Tarqninio Prisco vi comincia un tempio, Tarqainio superbo ve lo continaa , sua lunghezza e larghezza. IV. G. E poi compito, e M. Orazio lo dedica. V. 35 . Va in fiamme. IV. 61. riedi ficato, ivi. Capna, citt della Campania. VII. i o. Ebbe nome da Capi.
I. 64.

Carine luogo di Roma. I. 5 9. III. 22. V ili. 79. Carmenta. I. 22 e seg. Carmentale porta. I. 22. X. l. Carsola. I. G. 1 Cartagine. Tinieo Siedo dice che fu fabbricata circa i tempi

48 i di Roma. I. 65 - Torna a cercare di nuovo l impero. II. 17. I Cartaginesi sono espulsi dal mare. Proemio, 3. Loro vittime umane. 39. Cassandra re di Macedonia. I. io . Carri lio , (Sp.) il primo ripudia la moglie non prima delFanno5ao di Roma. II. a S. Cassio (Sp.) Uscellino trionfa dei Sabini. V. 4 q. Tito Largio Dittatore lo prende per maestro de cavalieri, < j5 . Senti mento doro dicsso circa il afastigo dei Latini ribelli. .VI. ao. E (atto console di nuovo, 4 q* Guarda la .citt, 91. De dica il tempio di Crere e di Bacco , g5 . Diviene console per la tersa volta. Vili. 68. Nel resto .di questo libro siegne il racconto dell ambizione di lui -, degli sforai per in trodurre la legge Agraria, le acouse, ed il sno tragico fine , 79. I figli di Cassio non sono s privati n della pa iria , n i de* beni , ti. degli oqori po' delitti del padre per dcoreto del Senato. V ili. 80. Il popolo, si pente di averlo condannato , 82. Castore e Polisce diconsi apparsi in Roma. VI. i 3 . Monu menti in Roma della loro apparizione, giuochi, feste, ivi. Cavalieri. Servio Tallio li ordini in 18 centurie. IV. 8. Pi quattrocento plebei souo aggiunti all ordine de cava lieri. y i. 44. Cecilio (L. Metello) , suo trionfo e zelo nel conservare le oose di Vesta, e statua di lui nel Campidoglio. II. 66. Cecidio (L.) tribuno della plebe accusa Servilio nomo con solare. IX. 28. Celeri, origine del loro nome. II. i 3. Loro incombenze , 6{. Tarquinio superbo costituisce Bruto prefetto di essi. VI. < ]2. Bruto lascia questa prefettura , 75 . . Celti o Galli fann{ o vittime amane a Saturno. I. 29. Censori, loro uffzio. IV. 24-. Come permettono il divorzio
.

D IO N IG I, tomo XII.

j,

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' di Caroli. II. 25 . CommenUrj o regittr de oensori. J. 65 . IV. aa. Censo de Romani, come istituito da Servio ToUio. IV. i 5 . Classificazione de Romani, 16. VII. Numero di citta dini. IV. 22. Censo fatto ancora dai consoli. V. 2o. Censo tolto Tito Largio primo Dittatorte, ^ 5 . Altro 'oeaso ove tro vanti mil cittadini. VI. 63 . Cento dell'anno 261 di Roma. VI. 96. Cento dell anno 278 di Roma. IX. 25 . Censo dell an ho 38. IX. 56 . Cento retti Coito dopo 17 anni. XI io oe. Centurie, M ne Tanno 193 e ti dividono io tei classi. IV. 18. VII. 5{). D raro si chiedeva il roto della tetta classe. IV. 20. I.uogo speciale dello centurie negli spettacoli. IIL 68. Ceotoriati, comizj. IV. 20. VII. 5 9. Coma differiscano dai comizj per tri|>. IX. 4.1. XI. 46 * Intimazione dei Mdiizj centuriati. V. io. Loro >raa.' XI. 55 . I Patrizj vi preva levano. V ili. 82. XI, 45 * I decreti di qoesti soli comizj un tempo erano riguardati come leggi d^i patriti ,iri; Lin terri convoca questi comizj. VII. 90. Centarioni, loro scelta. IV. 17. Dove oollocati. X. 16. Cerere insego* l agricoltura a Triptolemo. I. 4 * Tempio e tacrifizj di Cerere, 24 - Postumio Dittatore le fonda no tempio per voto. VI. 19. Se le innalzalo statue tetaniche. VIII. 29. A lei ti contagrano i beni di quelli che facevano violenza ai tribuni. VI. 89. X. 4 3* Cipria, via in Roma, III. 22. Ciroe, dove abitasse. IV. 63 . Tlegono figlio di est e di Ulisae, 45 . Circei donde denominati. IV, G3 . Si rendono a Marzio. Vili. i 4 Circo Motsimo. 11. 3 i. Ghi lo incominciassi. III. 68. Vi era sul termine il tempio di Cerere. VI. q{. Citer, isola. I. i l .

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Cittadini romani coma divisi da Romolo. I I. 7 * . Come Servio Tullio volle risaperne il numero, il sesso l et. IV. i 5. , Coie'ne accrebbe il nataero, 32 . Tullio vuol pareggiare il diritto de cittadini, 9. Non era lecito battre un citta dino; IX. 3 g. Non poteva ucciderai tenta cogniaiou della causa.'VII. 50 . Quali arti non potesse esercitare. IX. 25'. Claudia, gente oriunda da Regillo citt di. Sabina. XI. i 5. ' condotta in Roma da Tito Claudio. V. 4 o. Trib Clan. - dia , ivi. Claudio (Appio) Sabino, neg? cbe potr levarsi la sedizione oon donare i debiti. V. 66. E console. VI. 23. Discorda dal col'. ' lega circa dei poveri i 4 , e eul trionfo dii lui, 5 o. Suo di scrso per chetarci le sedizioni, 38 . chiamato nemico del popolo , 8. Suo discorso circa il ritorno del popolo, 68 e su la legge agraria. Vili. ^ 3. Suo consiglio per frenare i tribuni. IX. la. X. 5 o. Claudio (Appio) nipote di C. Claudio per parte del fratello, console^ X. 54 - 1$ creato Decemviro, 5fi, 67. E creato di nuovo Decemviro, 58 e ritiene un tal grado pl terzo . anno, 61. Seguito delle sue vioende, XL f\ e seg. Mutare - in carcere. -46. Claudio (C ) Sabino, aio del Decemviro console. X. q. E contrario anche egli dia plebe , ivi. Sua parlata in Senato contro i Decemviri. XI. 7. Si ritira in Sabiaa, 22 , Claudio (M.), oliente del Decemviro ; sue pretensioni su Vir? ... gioia. XI. 32 . C laudio ( Nerone), oonsole per la seoonda volta. Proemio, 3 . Clelia fogge con gli oataggj. V. 53 e seg. Clienti o Clientele. Proemio, 8. Cloache, lore grande artificio. III. 67. > Cluvilio, capo degli Albani, occasiona la-guerra di qaest coi Romani. III. 1 .Sua morte repentina, 5. Cluvilio Gracco, sommo comandante degli Erjui. X. 22. Sua

risposta orgogliosa ai Remani. X. 23 . Gli avviluppa , 23 . E vinto e portato in trionfo, t i . Cluvilio (Q.) Sicolo, comole , e retta alla' guardia di Roma, e perch. V . 5 g. Depone il consolato e nomina Larg o per Dittatore, 72. Fa prigionieri parte de* predatori latini, 76. Cfovilio (Tito) Sioolo, i creato tribuno militare in vece di console. XI. 61. Collarino (L. Tarquinio), consolo con Bruto. IV. 76. Lascia il Contolato e si ritira a Lavinia. V. 12. Etnie ancora favo risce la patria. Vili. 4 g* Collazia espugnata da Tarqninio Prisco. III. 5. Collina, porta; Io- vergini rettali divenute ree vi sono con dotte e Bepolte vive. II. 67. La oitt 1 presso di essa de bole e viene * munita. IX- 67. Vi si combatte contro i To' soani. IX.. 34. Colonie antiche , rito nel mandarle. I. 8. Tarquinio snper' b, ne sttibilisoe dne, e vi pone per capi de' suoi figli; IV. 63 . Colonie necessarie per la difesa dei luoghi. VII. B>i. Talvolta per escludere i scellerati dalla citt propria. " IV. 34 - Colonie divenuta maggiori dell* citt madri. HI. 11. Colonne, vi si descrivono le alleanze. II. 55. Talvolta si cu stodivano ne' tempj. III. 33 . Vi s* incidevano 1* leggi. Xi 3 a. In tempi pi antichi io 'leggi !fei crivevano in tavole di quercia. III. 50 . Cominio (Poti.) console. V. 5 o. Dedioa il tempio, di Saturno. VI. 1. E console per la seconda volta, 4 f)- Saa mansnetndiMi.'-verso i Volsci vinti, g4 . E deputato a Coriolano. VIII. 22. Comizj. Vedi Centurati. Luogo di essi per creare i magistrali. IV. 84. Comizj impediti dai *tribnnu Vili; go. T alvolta creato un dittatore per i comizj, ivi. Concioni luogo di ew VI. 67. VII. j . Chi 'avesse diritto

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di convocarle. IV. 72. VII. 17. Un privato non poteva in terloquirti, ed in qoal epoca. V. l i. Confermazione. II. 25 . Consoli, primi 'cnsoli Bruto e Collatino. IV. 66. Loro di stintivi. III. 62. IV. 74. V. 7 5. X. 5 9. Diritto di convo car le concioni./VII. 17. Il Senato d loro l ' autorit di concluder la pace. Vili. 18. Il console i privato del.con solato dal Dittatore*. X. 25 . I consoli si rendono amici al cuni tribuni per contrapporli agli altri. IX. 1 , 2 . 1 oonsoli sono, citati al collegio de tribuni. X. 3 i. Contrasto ooi tribnni, ivi. Sono citati dai tribani al popolo, 34 . Comin ciano a governare favorendo la plebe, 4.8.1 oonsoli tengono fin Senato privato in casa., 55. Contesa dei patrizj e della plebe per creare consoli ciascuno deilasaa fazione : Un console si so*glie fra i fantori della plbe, ano, tra i fau tori de* patrizj. Vili, go e .seg. Si creano i Decemviri in laogo dei. consoli. X. 56 . Si torna a creare i consoli. XL 45 . Si creano i tribnni militari in luogo de* consoli, 62. Consolari, uomini, citati in giodiziodai tribuni finito il con solato per la trascuratela sa le cpse agrarie. IX. 3 <j. Sono mltati in danaro .in luogo di esporli a pene personali, e perch. X. 4 9* Ordina nel chieder loro i pareri in Senato, 5 . Limiti dell autorit consolare. IV. 75. Consolato 1 quando se ne prendeva il possesso. IX. 25, e piti veramente come nel XI. 63 . Se ne prende possesso 1 pi presto del solito aHe ealende di settembre. VI. 4 9* Conso, Nettano. II. 3 i. Corbio, presidio Romano ocoopato dai Latini. VI. 3 . Si rende a Marcio. V ili. 19. E consegnato ai R omani!. X. 24 * Torna io potere' degli Equi, 26. distrutto dai Ro mani, 3o. Coroiresi, loro sedizione.'VII. 66. Cordo, cognome di Muzio. V. 25.

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Corilla o Cortola paese,dei Latini.'IV. 45 . Coriola, oitt fanosa de Volaci vien* aitatila da Postnlnio Cominio. VI. 92. Si rende a Marcio Coriolano. V ili. ig. Marcio ebbe nome appunto da Coriola. VI. g4 Cornelio (L. Sili*) , durissimo nella sua dittatura. V. 77. C ornelio (L.) console. X. 20. Espugna Ansio, 21. Suo pa rere su le istanze dei Decemviri. XI. 16 e sopra 1 ''Idati che abbandonavano il campo dei Decemviri, 44 Cornelib (M.), fratello di Lucio.Cornelio, Decemviro. X. 68. Sua risposta a C. Claudio. XI. i 5 . Invita Lucio suo fra tello a dire il suo parere, 16. Marcia contro gli Equi, 23 . Cornelio (Ser.), console , fa tregua per nn anno coi Vejenti. VIII . 8*. Oornetan, popolo del Lazio. V. 1. Cornicolo, citt del Laaio. IV. 1. Cade in potere di Tarquisio Prisco. III. 5 t. C orni di bove 3 si convocava con essi la plebe romna. II. 8. Corona di oro donata dai Romani a Porsela. V. 35 . Corona di oro data a chi aveva salvate lebandiere. X. 36 . Corona civica donata. V1IL 29. X. 3 7. Corona murale, ivi. Il po polo esce coronato ad incontrare il vincitore. IX. 35 . Cote , segata con un rasojo. III. 71. Cremer, castello presidiato dai Romani contro i Vejenti IX. i 5 . preso dagli Etnischi, 23 Crotone, quando fondata. II. 5 g. Crotone nella Etruria tolta dai Pelaeghi agii Umbri. I. 1r. Muta abitatori e nome, ed chiamata Cotornia. 17. L ingua de Crotoniati , 20. Crostumera, non lontana da Roma. Xl. 25 . Era colonia Al bana. II. 36 . Diviene colonia Romana , ivi. I Sabini i* as sediano. VI. 3 {. X. 26. I CrustnBiBrini mandano rettovaglie ai Romani. II. 53 . Si arrendono a Tarquinio. III.

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Carni, dor fondata e da dii. VI. 3 . Sua riccberaa e poten. sa , ivi. Aristodeaso no diviene tiranno 8 . C ome se ds li bera , l i . Viene otcopata dai Campani. Tomo Legazioni. la contro in Coma dei Legati Romani. Manda *n soccorso a qoei della Riccia. V. 36. Caranj. III. l i . Loro spoglie portate in Roma, 2 i. Onri j sn* qrigine. II. 4-8Cureti, loro rili. II. 70.. Favoleggiasi ohe dnoauero Giove fanciullo. II. G. I Cureti dei Greci tono gl' istessi che i g*lj dei. Latini, 70. Carie tffirfai * el'ano parti sabalterne della divisione pi. generale dei cittadini in Roma. II. 7. $e avessero nome dalle matrone Sabine* 4-T1 Sotto R onlolp scelsero i Senatori ed i Celeri, 3 . Ordinano coi l<jro voti ohe i restituiscano i beni a Tarquinio wperbo. V. 6. Cariati. Vedi Camiti 4 Centuria ti. tinriizj. Vedi Cumif, Carioni, capi delle Curie. JI. 7, Facevano pubblico sacriCzio per le Carie. H. 6{< Curzio Lago. II. 42 . Ceraio (Mezio) valoreio difensore di Sabini. II. & 3. Cotilia o Cotina paese degli Aborigini. I. 7. E presa dai 83bifti, 4o<

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Damasia arconte di tcfte. III. 36 . Bardana* Gglio di Qiove e di Elettra, t. S t. Porta ana color nia nell Asia* ivi e fonda nella Troade nna citt chia mandola Dardaoo * 55 . Ove trasporta le sacre cose oh egli - aveva recate dalla Samotracia. II. 66. Figli di Dardano. I. 52 . Danni, popolo, assalgono Coma. VII. 5 .

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Debiti, loro effetti. V. 53. 'Rimedi apparecchiativi da Servio Tullio. IV. 8. Cittadino1battuto e fatto prigioniero pe* de biti. VI. a6. Decemviri per determinare la campagna la quale era del pub blico. Vili. Decemvirato. I tribuni propongono al popolo di creare i De cemviri per la formazione delle leggi. X. 3 . Sono creati, 56 . Accettasi il Decemvirato per un secondo anno e divien tiranno, 58 e seg. I Decemviri sono incolpati da Virginio. XI. 4 o. Le troppe gli abbandonano, 3 . Sono poniti, 56. Decime. I Pelasgbi promettono a Giove le decime di tatti i frntti cbe raccorrebbero. I. i 4 . Ercole offre ai Nomi le decime delle spoglie, 35 . Tarquinio soperbo separa le de cime delle spogli per farne on tempio a Giove. IV. 5 i. Appio punisce e decima -1 * eseroito insubordinato. IX. 5o. Decio (M.) , spedito dalla plebe al Senato. VI. 88. E ri preso da Appio Clandio. VII. 53 . Sno discorso contro di Coriolano. 63 . Allusione amara di Coriolano su Depio. VIII. 32. Delfo (Oracolo d i ) , consultato da Tarquinio superbo. IV. 69. Demaralo Corintio lascia erede universale Lncumone. III. Diana, sno tempio in Efeso. IV. 25 . Tempio eretto da Tazio a Diana e ad altri Dei. II. 5o. Tempio di Diana nell Av ventino. III. 4 5 . IV. 26. I Romani lasciati i Decemviri si accampano presso di qusto. XI. 44 * Difesa v non dee negarsi ad alcuno. V. 4- Tempo accordato per difendersi. VII. 58.. Dittatore > origine del nome. V. ^3 . Sua . autorit e dorazione. VII. 56. Creava nei tempi difficili della repubblica. XI. 20. Condotta del primo dittatore Tito Largio. V. ^ 5 . Imi tato dagli altri dittatori fino a Siila, 79. Anlo Postumio

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dittatore seobndo. TI. 3 . Manio Valerio dittatore terso. VI. 3 g. Looio Quinxio Cincinnato ditutore quarto. X. .24. In segale del dittatore, ivi. Diluvio di Arcadia. I. 5 i , 5 9. Diogneto Arconte di Atene. VI. 4 oDionigi Seniore, quando divenne tiranno di' Siraoou. VII. 1. Dio Fidio Sanco. II. 49 Doriesi, loro emigrazione. IV. 25. Crepano : promontorio di Sicilia. I. 43 . Duillio Cesone Decemviro. X. 58 . Dnillio (M.), tribnno della plebe. XI. 4 ?. E Ebuzio (L.), console, muore di peste. IX. 67. Ebuzio (T. Elva), console. V. 58 . latt maestro de cava lieri dal Dittatore Aulo Postumio. VI. 2. Impedisce il tra sporto delle vettovaglie ai Latini,:4 * B ferito e cade da ca vallo, 11. ' Eccetra citt cospicua dei Volsci. X. 21. Vi si ra4 una la preda tolta ai Romani. VIII. 36 . Gli Ecoetrani si.confe derano con Tarquinio superbo. IV. 49 - Oli Aurunei rido mandano ai Romani i campi Eccetrani. VL 32 . Fabio de vasta la campagna Eceetrana. X. 21. Edili, loro incombenze. VI. 90. Cora de' sacrifiz) nelle ferie Latine. Distintivi degli Edili. 96. Cercano'di arrestare Co riolano e sono respinti dai patrizj. VII. 2 6 , 35 . Fnbli Valerone propone la legge che gli Edili si creino nei oomitj per trib. IX. 43 . Gravit della offesa degli Edili. VII. 35. Edilit, magistrato plebeo. V. 19. Tribuno dell anno prece dente , fatto edile. X. 48 -

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Egeria, ninfa ; oongressi di Noma con essa. I L Co. Egerie, cognome di Aurante Tarquinio. II{; 5o. spe dito coDtro Fidene, 5 ^. Posterit di Egeri in Collazia. IV. 6. ' Elefanti, trionfo in Roma oon i 38 elefanti dopo vinti i Car taginesi in Sicilia. IL 66. Ellanico Lesbio suoi racconti. I. l 3 , 19 26 , 3 g. Epei Elidesi, compagni di Ercole nella sna spediziooe al le Spagne e per l Italia. L 33. Fissano la loro fede in Ita lia , 5 i. Ercole, gira la terra a distruggere i tiranni. I . 3 J. Vinte le Spagne viene in Italia, ivi. Uccide Caco, 33 diviene insigne, 34 . Abolisce i sagrifizj umani soliti a farsi a Satarno, 28. Evandro gli tributa onori divini, 3 i. Saoi com pagni che si fissano presso del, Pallanteo. IL I. Alcuni han creduto che egli lasciasse de figli noli* Italia. I. 34 . Ercole, Arconte di Atene. IV. i. Erdonio Appio oconpa il Campidoglio. X. i 4 - Muore combat tendo valorosamente , 16. Erdonio (Turno), resiste a Tarquinio superbo, cabala di que sto per ucciderlo. IV. 5 e seg. Ereto, citt Sabina. III. 69. Battaglia data in Ereto contro i Toscani. IV. 3 . Sua distanza da Roma. III. 5 s. Restava presso del Tevere. XI. 3 . I Sabini vi si accampano, ivi. Vi sono vinti da Tarqoinio superbo. IV. 5 1. Erinni, venerate dai Greci. II. 75 . Entra luogo dellAsia minore. IV. 6 i. Erminio (Lar.) consci*. XI. 5 i. Erminio-(Tito), lasciato loogotenente da Tarquinio nel cam p o , sno zelo per liberare la patria dal medesimo . IV. 8. E uno de capitani contro Porsenna. V. 22. Tito Erminio console , 56 . Luogotenente del Dittatore impedisce la foga

491 de'Romani. VX. 12. Uccido Mamiiio, lo spoglia od-* uc ciso , hi. * Er oic i, popoli Ticini ai Romani. V ili. 80 Si collegaao con Tarquinio superbo. IV. 4 {)- Rispondono ambiguamente ai Romaoi che dimandano socoorso V. 4 *< Promettono afato ai Latini contro i Romani. VI. 5 . Risposta > loro superba ai Romani. Vili . 64 . Lasciano gli alloggiamenti di notte e fbggono, 66. Chieggono la pace e ia ottengono, 68 e seg. Cassio Tool che partecipino alla divisione delle terre, 70 , 71. Mandano ai Romani il doppio de sutsidj riceroati. IX. 5 . Dimandano ajato ai Romani contro gli Equi e gli Er nici, 67. X. 20. Ersilia Sabina, autrice della Legazione muliebre ai Sabini dopo il ratto. II. 45 . IH. 1. Esequie, T arquinio Superbo le proibisce in morte di Servio Tallio. IV. 4 * Esequie per Virginio. XL 9 J. Espiazione. Romolo & saltare il popolo attraverso le -Cadmo per espiarlo. I. 79. Espiazione per occasione non toota na. HI. 23 Espiamone per Causa di m morbo contagiose. IX. 4 o. Espiazione o lustrazione di Roma dopo la morte di Erdooio. X. 17. Esploratori mandati in qualit di legati. VI. i 5 . Esqnilno, colle. II. 37. Servio Tullio lo unisce a Roma. IV. i 3 . Trib Esqnilina, i 4 - Porta E aquilina. IX. 68. Etruria : E la stessa che la Tirivnia o Toscana, fertile in vino. I. 28. E divisa in dodici principati ed i potentissima per terra, e per imare. VI. 75. Etruschi delicati e sontuosi nel vivere. IX- 16. Mandano oc corso ai Latini contro i Romaoi. HI. 5 i. Carne ai Sabini, 55 . Sono vinti da Tarquinio Prisco, ivi , e da Sergio Tul lio. IV. 27. Sono battuti da qnei della Riccia ed accolli dai Romani. V. 36 . Ricusano soceorrera tanto i Romani, quanto i Latini, 4 2- Destinano soccorrere i Vejenti contro

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i Romani. IX. 1. E li occorrono, 6. Abbandonano gii ac campamenti, i 3 . Staccano i Vejenti dall amicizia de* Ro mani. IX. 18. Ocoopano iV Cunicolo, 23 . Foggono di notte a Vejo, 26. Etruschi ventiti ad abitare in Roma. I. 80. Via Etnisca o Tirrena in Roma. V. 36 . Re degli E tra sci : loro distintivi. III. 61. Evandro.' I- 32. Viene e prenda sde con gli Arcadi in Pa lati*. I. 80. II. 1. Onori cbe porge ad Ercole. I. 3 t. Dina o Lavinia figlia di Evandro, 23 . Erileone Ascanio figlio di Enea , re de Latini. I. 56 . F Fabia, gente cccvi. Fabj marciano per difesa di-Roma contro di Vejo. IX. i 5. Il consolato ih per' sette anni continni nella casa {lei Fabj fratelli Gelone, Marco, e Quinto,-22. Se Uccisi i trecento sei J?abj sopravvanzasse nella gente Fa bia un solo fanciullo, ivi. Fabio. (Cesone), fratello di Q. Fabio, essendo questore accusa Cassio di tirannide. Vili. 97. E fatto consple, 83. Va a soccorrere gli alleati di Roma, 84 - Diviene console per la seconda-volta. IX. 1. Lesercito non lo ubbidisce e lo in sulta e mettesi in maroia senza il comando di lai, 3. E lo priva di una segnalata vittoria, ivi. Diviene console per la ter^a.volta, l 4 - Soccorre il collega, ivi. Va qual proconsole ai Fabj cbe !presidiavano Cremer, 16. Fabio (M.), fratello di Cesone, console. IX. 2 t. E mandato a soccorrere gli alleati. Vili. 88. Depone il consolato e ricusa il trionfo, i 3. Va con gli altri Fabj contro Ve- jo, ,15. Fabio (Q.), storico Romano antichissimo. Proemio, 6. ,Fabio (Q.), Pittore cosa narri dei doe gemelli di Ilia. I. 70. Coca del tradimento di T arpca. II. 38 e seg. Si rigetta la sen

4p3
. tenga di Ini circa i figli di Tarquinio P riico. IV. 6. Senti mento di Fabio tu di Egerio, 64 - Poca sna diligenza nella cronologia, 3 . Fabio (Q .), console. VIII. 99. Marcia contro gli Equi ed i Volaci, 82. Q. Fabio, figlio di Cesane, console per.la w conda volta, 90. ucciso, 20. Fabio (Q oint) , figlio di ludo dei1 tre Fabj' i qnali presiede vano alla guarnigione di Cremer, diviene console. IX. 59. Fa pace con , gli Equi, ivi. Q. Fabio Vibnlano oensole. per la secnda volta. IX; 61. DbeUa gli E qui, ivi. Q. Fabio Vibolano corisole per la ttza volto mancia contro - gii Equi. X. 20. Resta a difender Roma ooa parta dell' esercito, 22. E fatto Decemviro, 58<..Non risponde.per ver gogna ai dotti di Lnoio Valerio. XI. .3 .! Marcia eoa altri due Decemviri contro i Sabini, 23 . Fabrisio (Cpjo). Tomo III. Legazioni, Falerio, poese degli Aborigeni. I. 11. Faronia, Dea. II. 49 * Farro. Uso di esso presso i Romani nelle mense de' Numii II 23 , Fisci di verghe con le sonri si portavano, :da ogni littore inn a u i dei re Toscani. IH. 61. Uno idei consoli ,portava i dodioi littori con fasci, e stori, e 1 altro, cori (asei e senza scori alternitirament di mese in'mete. V. a, Valerio sta bilisce che i consoli portassero entr Roia i fasoi senzrf scriri, e li portassero con le eenri fnori di Roma. V. 19. Fasci coronati nel trionfo. VL 3 o. Fanno, re degli Aborigeni. I. 21, 33 . Fatatolo, presiede ai regj bestiami. I. 90. Istruisce Romolo della sua condizione, 91. E preso e portato ' ad Amulio , . Sua morte e sepolcro, 98: Faciali, tra i.Pclasghi. I. 11. , Ferentino, i Laliai vi si adunavano a congresso. III. 34, 5 i.

4p4 IV. 45 . Vi si delibera so la guerra contro i Romani. V. 5o, 52 , G. Feciali, Nama istituisce il collegio de Feoialf in Roma. II. - <j2. Sono impiegati nel conciliare la plebe oo^ Senato. VI. 89. Loro inoombanze. II. 92. Feretrio, Giove. II. 34 . r Fidene, fabbricata dagli Albani. II. 53. Era lontana cinque miglia da Roma. III. 29. X. 22. Romolo la rende oolonia Romana. III. 29. Spedizione di. Tallo Ostilio contro F i. dea e, 22. Anco Marzio prende Fidene, 4 - La prende Tar quinio Prisco, 58 . Per impulso- di Sesto Tarquinio si ri- bella dai Roani, V. 4 o* riacqoistita, 43 . I Sabini ac campati a Fidene sono vinti. IV. 52 . Fido Giore Sanoo. IV. 58 . Sp. Postami* coaWgra il tempio di Giove Fidio. IX. 60. Figli. I delitti de* figli non privano il padre 4 pfoprj beni. VIII.' 80. Figli come soggtti al padre. Vedi padre. Flamini , perch cosi chiamati. II. 64 > Flanlejo (M.), sua. bravura, premio, esortazioni. IX. io. Fortena. Ser. Tallio le fabbrica due tempj. IV. 29. Uno di questi teoipj incendia, 4 o> Tempio: ed ara inalzati alla > fortuna muliebre. Vili. 55 . Sacerdotessa della Fortuna, 56 . Foro Boario. I. 3 1. Dove formato, IL So. Foro oome ornato - da Tarquinio Prisco. III. 67. Fono Popilio. I. i 3 . Frege Ila. Tomo III. Legazioni. Frumento. Gelone ne manda in dono ai Romaun VII. 20. Il Senato fa venderne, e Cassio vuole che e ne restitui sca il prezzo ai poveri. Vil i. 90. Frameuto di Tarqaioio il superbo riguardato oome esecrando e gettato nel Te vere. V. i 3 . Fuffezio. (Mezio), succede a Cluvilio nfl comando di Alba. III. 5 . Invita Tulio Ostilio alla paee, 9. I/> tradisce, 23 . pu nito , 5 o,

Funerali solenni di Coriolano. VIII. 59. Funerali fatti eoa spese pubbliche a Val. Poplicola. V. 8. Fatti a. Menenio Agrippa. Vii 96. Funebri onori dati a Siccio. XI. 2 j. Cori Satirici nelle pompe fooebri dei ricoh VII. 92. Giuochi funebri. V. 19. Orationi funebri solite in morte de valen tuomini. IX. 54 . Qual popolo le introducesse. V. 19.- Orasio padre non rende i fubri onori alla figli? perehi non amica della patria. III. s i. Furio (Lucio) , console. IX. 36 . F urio, triumviro per dividere i terreni. IX. 5 g. Furio (Ses.) , console. V ili. 16. Furio (Spur.), console. IX. 1. Corre saccheggia le campa gne degli Equi, 2. Furio (Sparai consolo muore di pestWnea. X. 53 . Fnroio (C.)> tribuao della plebe. XL 5 a. G Gabio , colonia di Alba , e citt Latina. V. Gl. ' Rimaneva nella via Frenestina. IV. 53 . Romolo e Remo. ri aOno istruiti. I. 9 5 . E prer da Tarqainio sapeebo. IV. 58 . I) qual fogge e vi *i ricovera, 85 . Galli, cacciano gli Etrusohi dai lidi del seno Jonio. VII. 3. Qoando preaero Roma. I. 65 . Geganj, provengono da Alba. III. 29. Geganio (L.j, fratello di T. Geganio console, spedito a com prare i grani in Sicilia. VII. 1. Suo ritorno, so. Geganio (Al. Macerino), consolo. XI. 5 l . Geganio (T. Macerino), console. VII.' 1. Geli) , i due fratelli, nipoti di Bruto congiurati. V. 6. Gellio (Gn.), sentenza di lai circa l anno del ratto delle Sa bine. II. Si. Altra sul collegio de' Feciali 92. Scrisse che Noma lasci una figlia, 96. Suo parere fui venir di

fe5

496 Tarqainio a Roma. IV. G. E negligente nella ' cronologia. VII. i. , Gelone, accede ad Ippocrate nella tirannide. VII. i. Manda frumento in dono ai Romani, 20. Genuzio (Go.), tribuno della plebe, insiste per la legge agraria e ti ritrova morto. IX. Sj, 38 . chiamato Cajo in luogo di Gneo. X. 38. Tito Genutio chiama in giudizio Tito Me nenio. Tito Livio chiama Genuzio sempre Tito e non Cneo n i Cajo. IX. 29. Genuzio (M.), consolo, sua risposta ai tribuni. XI. 58 . Gennzio (Tito), fratello di Marco. XI. 56 < destinato coasole. X. 54 . Ma in vece creato Decemviro, 56 . Suo parere, 60. Di Tito Gemizio si parlato innanzi. . Gracco (C-), tribuno torba,la repubblica. II. 11. Greci, gli Arcadi i primi tra i Greci passarono ad abitare l Italia. I. 3 . Venuta de Pelasgbi, altri Greci nell' Italia , g. Venuta di altri Arcadi , 22. Altri lasciativi da Ercole, 35 . Citt Greche regolate in principio ciascuna dai re. - V. 7 I Romani -mandano a cercare 'le leggi dalla Grcia. X. 5a . Gianicolo, un tempo si disse Enea. I. G. Silo di esso 1 Anco Marzio lo cinge di muri. III. 45 . Era lontano da Roma men di 20 stadj. IX. i. Porsena lo occupa. V. 22. Lo occupano gli Etruschi. IX. 24. Lo abbandonano, 26. Giapigia, promontorio Salentino. I. 4 2Giove, spoglia Saturno del comando. II. i g. Tarquinio Prisco comincia a fabbricare in comune un tempio a Giove, Giu none e Minerva. III. 69. Giove Feretrio. II. 34 * Fidio , vedi questa parola.. " * Giove Capitolino^. mmonisoe i Romani a replicare i giuochi in suo onore. VII. 68. Sagrtfizj a Giove nel monte Albano. * Vili. 87. Romolo alza un tempio a Giove Statore. II. 5 o. Giove Terminale. II. 'ji.

Giulia, famiglia trasferita da Alba a loma. HI. 29. Giallo il pi grande de* figli di Ascanio diede origine e some alla gente Giulia. I. 61. Giulio Proclo , noi racconti su Romolo. II. 65 . Giulio (Cajo) Cesare rende alle loro cariche i tribuni espulsi da Pompeo. V ili. 98. Giulio (C.) Giulo console. Vili. 1. Giulio (C.) oonsole. V ili. 90. Giulio Decemviro. X. 56 . Giulio Vopisco console. IX. 37. Giulio (L.) Bruto percb detto Bruto. IV. 67. Sua perora tone contro la tirannide, 70. Bruto e Collatino i primi sono destinati consoli, 96. Austerit tua nel punire i eoo-, giurati a favorir la tirannide. V. 8. Fa rimovere Collatino dal consolato e prende P. Valerio per collega, 12. uc cito da Arante Tarquinio in battaglia, i 5 . riportato in Roma: sua pompa funebre, 19 e seg. Giunio (Bruto L.) , uomo plebeo. Vedi Bruto. Gianj (Tito e Tib.) figli del console congiurano sono pa niti. V. 8.Giunone, suo tempio. I. 4*. Sul Campidoglio insieme eoa quello di Giove e. di Minerva. IV. 61. Giunone Luci fera , 15.

I
Icilio (C.) Ruga, creato tribuno. VI. 89. Icilio (L.) tribuno della plebe per la seconda volta. X. 35 . Riprova in parte il parere di Siccio, o. Icilio (L.) destinato spopo di Verginia. XI. 28. La soccorre, ivi. Perora in suo favore, 3 i e seg. Icilio (M.) coetaneo e compagno di Sp. Verginio. X.
D I O N I G I , tomo I I I .
^

49** Icilio (Sp.) spedito dalla plebe al Senato insieme con L* Gioio Bruto, e M. Decio. VI. 88. Sue querele contro del Senato per la carestia e per la colonia mandata in laogbi malsani. VII. i 4 Sp. Icilio R o ga edile tenta di arrestare per ordine dei triboni Coriolano ed ri spinto dai patrizj, 26. Icilio tribnno aumenta il potere della plebe. X. 3 i. Dia figlia di Nomitore. I. 67. (atta Vestale, ed ingravidata, ivi. Partorisce dne gemelli , 69. Imatione, Remo figlio di esso. I. 63 . I mperiale, abito. VIII. 5 gIn terri, quando si c reava. XI. 20. Interr creati, morendo un consolo e stando malato 1 altro. IX. i. O morendo tatti dne i eousoli, 69. Interri c reati per cagion de comizi. XI. 62. Offizio degl* interr. IL 58 . IV. 4-0 , 7^, 80. Interregno dopo la morte di Remolo. II. 57. Dopo la morto di Tulio Ostilio. III. 36 . Fatto 1*interri cessarono tatti gli altri magistrati. V ili. 9 ou Italo, Oenotro di origine regn nellItalia le diede il nome. I. 26. Siedo creduto figlio d Italo diede nome alla Sicilia, 1 3. Ad Italo soocedette Morgete , 64 . Italia ebbe nome da Italo. I. 36. Fa gi detta Vitalia. 27. E dai Greoi Esperia ed Ansonia, ivi. Come Saturnia dai pae sani, ivi. Bont dellItalia, 27, 28. Limiti dell Italia, 2 , Anticbi limiti della medesima, 6 4 Citt Greche nell* Italia. X 5/ . 1/ Italia si ribella dai Romani. II. 17. L Labieani, popolo del Lazio. V. . Erano colonia degli Al bani. Coriolano gli espugna. VIII. 19. Lacedemoni, loro colonia passata tra i Sabini. II. 9. Uno Spartano il primo si espose uudo affatto a compiere i giuo

499 chi olimpici : non concedevano agli esteri il diritto di cit tadinanza so non rarissimamente, 19. S impadronisoono di Atene. XI. i. I Re loro erano due. IV. 9 3 . Sottoposti alle leggi. V. 94. II. i . Autorit somma nel Senato, ivi. Cosi orebbero. IV. 93. Ferderono il comando con ignomi nia. II. 9. Largio Sp. j capitano , protegge 1 *esercito ehe si ritira. V. 3 2 , a 3 . Procura i viveri a Roma, 26. E console, 36 . Sp. Lar gio consolare marcia a soccorrere Valerio , 3 g. Sp. Largio fratello di T. Largio Dittatore resta in guardia di Roma , j 5 . Sp. Largio Flavio console per la seconda volta. VII. 68. Sp. Largio mandato ambasciadore con altri a Corio lano. V ili. 22. Spurio Largio stando a difendere Roma ne protegge le vicine campagne. 64. Sp. Largio interr , go. Consiglia la guerra contro i Vejenti, g. Largio (T.) oons. V. 5o. T. Largio Flavo coni., 5 g. Sua mo derazione, 60, 91. E dittatore il primo, 93 . Sua condotta, 95. Sentenza di lui sul pacificarsi coi Latini. VI. ig. Sul ristabilire la concordia interna ed esterna, 35 e seg. E la sciata. ia guardia di Roma, 2. Suo discorso alla plebe ri tiratasi, 81. Largio (T.) legato di Postumo Cominio espugna Coriola. VI. 3. Larisse, due, nna in Italia. 1. 12. Laltra 1 1 1 Tessaglia. X. 53 . Latino figlio di Ercole ma creduto figlio di Fanno , e per ch. I. 34. Re degli Aborigini : il suo regno passa ad Enea , ivi. Latino Silvio R e. I. 62. Latini, ebbero questo nome sotto Latino. I. 1 , 36 , 5 1. Le citt Latine ricusano di ubbidire ai Romani dopo la oaduta di Alba. III. 34. Sono vinte da Anco Marzio. 39. E da Tarquinio Prisco, 49 - Si collegano con esso, 54 *Decretano far guerra contro i Romani per favorire Tarquinio Super bo, 6 i f Yinti cercano la pace. VI. 18. I Volaci cercano

5oo
sommovere i Latini, e questi ne portano gli ambasciadori legati a Roma, e ne sono premiati. VI. 2 5. Sono infestati dai Volsci. Vili. 12.'E da Coriolano, 19. Cassio vuol che par tecipino alla - divisione delle campagne come i Romani, 6g. Cercano soccorso dai Romani contro gli Equi. IX. 1. Man dano il doppio de snssidj dovuti ai Romani, 5 . Sbaragliano gli Equi ed i Volsci, 35 . Chiedono di nuovo ajuto dai Ro mani contro gli Equi, 60, 69. Citt Latine. VI. 6 3 , 7^. Vedi Ferentino- Ferie latine istituite da Tarq oinio superbo sul monte Albano. IV. 49 - Se ne aggiunge una seconda per la'espulsione del tiranno stesso il quale le aveva istituite , ed una terza pel ritorno del popolo. VI. g 5. Lazio , era luogo della regione degli Opici. I. 63 , Lavina o Lavinia figlia di Anio o di Latino. I. 5o. Lavina figlia di Evandro , 34 * Lavinio metropoli del Lazio, e di Roma. VI II. 2 i, 5 o. E fon data dai Trojani. I. 36. VIII. 21. Coriolai!o l'assedia , ivi. Qnei di Lavinio cercano soddisfazione dai Romani per lol traggio fatto ai legati. II. 52 . Laorento citt d'Italia. I. 4 4 , 46 . Era degli Aborigeni, 54 . Situazione di essa, 36 . Legge, si esaminava prima dal Senato , e poi si proponeva al popolo. IX. 45 . Tempo richiesto per l esame, 4 1- Di ritto di formare le leggi presso del popolo. II. 14. I pa trizj tenevano per leggi quelle sole emanate dai comizj centariati. XI. 45 . Ma poi riconoscono anche le altre dei Comizj per trib, ivi. Leggi di Romolo. IL 23 . Leggi di Servio Tullio. IV. i 3. Il tiranno Tarquinio toglie tutte le leggi di Tullio, 43 . Legge di Romolo sul matrimonio. II. 25 . Legge del medesimo circa la potest patria, 26. Compilazione delle leggi. Vedi Decemvirato. Queste leggi sono proposte allesame del popolo. X. 57. Ne risultano le leggi-delie dodici tarole, 60. Le quali furono stimatissime. XI. 44 -

5oi
Lettorio C. tribuno della pleberispoade al console Appio Cl. a nome della plebe. IX. 46 . Sno tumulto per arrestare Appio, 4-8. Licinio storico: sue narrazioni sa la strage di Tazio. II. 5 2 , 54 > Su Tarqainio Prisco. IV. 6. Sa la ovazione. V. 47 Sa Tarqaiaio superbo. VI. 11. Sua negligenza nell' esame de'tempi. VII. 1. Licaoni, dae. I. 3 . Licinj C. e Pab. creati tribuni. VI. 89. Licurgo, d leggi severe agli Spartani. II. 49 * Divulga di averle apprese da Apollo Delfico, 61. Lidi o Lydi, inventori di on dato giuoco. II. 9 1. . Littori> precedevano il re con fasci di verghe e con sour. III. 61. Difendono il console oontro il tribuno. IX. 48 . Rimovono per comando dei consoli la torba che tumultua. VII. 35 . Ogni Decemviro fa preoedersi da dodici littori. X. 5 q. I tribani risolvono di far gittare dalla rape tarpea un littore perch aveva ubbidito ai consoli. X. 3 i. Liguri, loro emigrazione dall Italia nella Sicilia. I. i 3 . I Li guri contrastano il passo ad Ercole nelle Alpi , 32 . Liri, fiume. I. I. Lista, metropoli degli Aborigeni. I. 6. Liti , e cause discusse ne tempi de'mercati. VII. 58 . Locri, un tempo Lelegi. I. 9. Longola citt deVolsci presa da Postumo Cominio. VI. 91. , E presa da. Coriolano. V ili. 36 . Lucani, infestati dai Sanniti. Tomo III. Legazioni. Sono viati da Fabbmio , ivi. Lucrezia violata da Setto Tarqaiaio. IV. 66. Si uccide, 69. Suo elogio, 82. Lucrezio Lue. ooasol. IX. 69. Vince gli Equi, ivi. Ne trionfa, 71. Parere di L. Lucrezio su li Decemviri. XI. 16. Lucrezio Sp. , padre di Luorezia, prefetto di Roma in assenza

5 02
di Tarquinio. IV. 82. E fatto interr dopo la espnlsiona dei re per presedere ai comizj, 85 . Saa parlata in favore di Collatino. V. 11. More console, 19. Lucrezio T . , collega d Valerio, quando questi fa console per la seconda volta. V. 20. Tito Lucrezio consolare & 1 uno de comandanti di armata, 22. Tito Lucrezio console per la seconda volta insieme con Valerio Poplicola, o. Soccorro al collega, 42Lncumone, nome etrusco, Tarqainio Prisco se Io cambia in quello di Lucio. III. 48 Lucumone etrusco ajota Romolo. IL Z1. Lupa che allatta i due gemelli. I. 70. Lupercali, festa Arcade in onore di Pane. I. 9 1. Lustrazione.- Vedi Espiazione. M Macerino. Vedi Geganio. Magistrati. Vedi Consoli, T iilm i, Edili. Magistrati non si creavano anticamente senza premettere gli auspizj. II. 61. E concedato a plebei di ambire ai Magi strati. VII. G5. I Magistrati si depongono per segni contrarj del cielo. XI. 62. Il Magistrato diveniva di nuovo tra privato finita la sua magistratura, 5 . Magistrati inviolabili. VI. 89. Dittatura. Magistrato inappellabile, indipendente. V. 90, 93. In un anno stesso farono in Roma due Magi strati supremi, Consoli e Tribuni militari. X. 62. Lonoro del Magistrato non toglie la potest patria. II. 26. Mamilio L. viene co suoi Tascolani a soccorrere Roma. X. 6. Mamilio, Ottavio, genero o figlio del genero di Tarquinio su perbo. VI. 3. Era altissimo' e fortissimo pi di tatti i suoi contemporanei, 12. Porta in sussidio i Latini a Tarqainio contro i Romani. V. 21. Saccheggia la campagna Romana.

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V. 26. Gli Etruschi ti ritirano dalla lega di Tarqninio , e di Mamilio, 34* Infesta i Romani co latrocinj, 35 Distaoca i L i tini dalla tociet de1 Romani, 5e. Inveisce contro i Ro mani ne'comizj Latini, 5 i , 61. Procura fomentare le di scordie in Roma, 53 . Mamilio e Sesto Tarqninio 'tono di chiarati generali supremi delle truppe Latine contra i R o mani, G. Loro oonsnltazioni sa la maniera di fare la guerra. VI. 3 . Si apparecchiano di andare contro Roma. V. <j6. Mamilio combatto noli ala destra. Esso e Tito Ebozio si disfidano, e pugnano e ti feriscono. VI. 11. Viene ucciso da Erminio, 12. Manlio Torquato , severit sua contra il figlio. II. 26. Lo uc cide. Vili. "jg. Manlio Aulo console, sua ovazione su* Vejenti. IX. 36 . E citato in giudizio dal tribuno Genuzio per la negligenza sua nel far eseguire la divisiono de'terreni. IX. 3 9. Ani. Manlio spedito in Grecia a raccoglier le leggi. X. 52 . fatto Decemviro, 56 . Manlio (C.) Console. IX. 5 . Sno padiglione e cavallo fulmi nati : il cavallo more, 6'. Combatte e reprme i Vejenti, 11. Muore ferito cadendo col cavallo, 12. Manlio Sesto uno de capitani delle miligie le quali abbando narono i Decemviri. XI. 44 * Marsj, guerra de1Romani oon essi. V ili. 80. Marte, incerto se sia lo stesso oon Quirino. II. 48 - Ora colo di Marte in Tiora. I. 6. Antico tuo tempio, ivi. Tem pio di Marte fuori di Roma. VI. l 3 . Botco di Marte. I. 68. Campo consacrato a Marte. V. i 5 . Sagrifitio di Servio Tulio nel Campo Marzo. IV. 2 3. Comizj nel Campo Marzo. VII. 90. Consoli che tcrivono le milizie nel Campo Marzo. V in . 87. Marzio, Anco Re figlio di una figlia di Noma Pompilio. II.

5o4
96. Le avventare di lai g narrano nel lib. I l i dal 36 ino al 4-6* Marcio C. Coriolano , tue bravare contro Coriola, e contro di Anzio. VI. 92 , g3. Sua moderazione, 94* Perch fu chia mato Coriolano, g4 * Cerca il consolato, no ha la ripalsa , e diviene inimico alla plebe. VII. 21. Inveisce contro i tri buni t 25 . I tribuni ne comandano l arresto: i Patrizj lo proteggono, 26. Minncio console lo raccomanda alla plebe, 32 , Discorso elevato di Coriolano alla plebe, 54 * E difeso dai Patrizj ^ 35 . E citato dai tribuni al giudizio del po polo, 38 e seg. E condannato per divario di dne voti , 64 . Sue parole alla madre nell andare in esilio. Vili. 4 i- Va tra i Volsci, vi ricevuto, onorato, e scelto capitano , marcia con essi a vendicarsi di Roma. V ili. 1 e seg. It Senato gli spedisce ambasciadori per plaearlo. Sua risposta a Minncio , 29. Come risponde alla seconda e terza amba sceria, 3 <j, 38 . Vinto dalle preghiere della madre, 54 * Ri tira le milizie dal territorio di Roma, 5 9. E ncciso da un partito di Volsci, 5 g. Saoi funerali magnifioi, ivi. I Romani lo piangono, 62. Medallia , colonia Albana. Romolo la invade, e ne.forma nna colonia Romana. III. 1. I Latini la esppgnano ed Anco Marzio la ricupera , 38 . Si ribella dai Romani, e si con federa coi Sabini. VI. 34 ' Menenio (Agrippa) Lanato figlio di Cajo. VI. 68. E console: V. 44 - Reca Soccorso a Postumio collega, ivi. Trionfa dei Sabini, 4 J- Saa prudenza e consiglj per ricondurre in Roma la plebe la. quale ne era pscita. VI. 4 q- Appio Clau dia si oppone, 62. Nuovi cosigli di Menenio sai rioondure la plebe, 67. Egli capo della Deputazione che il Senato spedisce alla plebe nel. Monte Sacro , 69. Suo di scorso alla plebe , 83 e seg. Concede alla plebe che possa

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crearsi magistrati o tribuni che la proteggano .VI. 88. Ma gnifici funerali di Menenio a spese del pubblico, 96. Menenio (L.) console : sua afflizione. X. 54 Menenio (T.) figlio di Agrippa, i console, condannato.ad nna ammenda, e perch. IX. 27. Ne more di affanno e d ' i nedia , 28. Mezenzio monarca Etrusco investe Enea con le truppe. I. 56 . Milizia, gli antichi Romani militavano a proprie spese. IV. ig. Militavano in campo fino allet di 45 anni, i disertori della milizia si riguardavano nelle urgenze come nemici. X. 20. I consoli vogliono astringere a militare ; i tribuni assolvono da quest* obbligo. Vili. 81. Maniere de'consoli per delu dere in tal caso i tribuni , 87. Milziade, Arconte di Atene. VII.. 5 . Minerva , inventrice del salto detto Pyrriche. VII- 72. Suo tempio antico. I. 6. Vestibolo di Minerva. III. 69. Tempio di Giunone, Giove e Minerva nel Campidoglio. IV. 61. Sa cerdote di Minerva Urbica. VI. Gg. Minosse Cretese se fu familiare a Giove. II. 61. Minturna citt, il fiume Liri la bagna. I. 1. Minucio (L.) console. X. 22. Minucio (L.) Decemviro. X. 58 . . Minncio (M.) Augurino console per la seconda volta. VII. 20. Intercede per Coriolano, 28. Sno discorso alla plebe; in favore di Coriolano, 60. Va ambasciatore a Coriolano. V1IL 12. Minucio (Q.) console. X* 26. Marcia contro i Sabini, 3 o. Miscelo fondatore di Crotone. IL 5 g. Miseno , porto. I. 4 i* VII* 3 . Morgete , succede ad Italo, e gl* Itali un tempo chiamati Oenotri ne sono detti Morgeti. I. 4 * Mugillani popoli del Lazio. VIII. 36.

5o 6
Malta, poita contro di nomini consolari in danaro non sai corpo, e perch. X. 4 9 Mora, Tarqainio Prisco il primo la forma di piatre tagliate regolarmente. III. 69. Premj per ohi saliva il primo le mora nemiche. X. 3 7. N Napoletani , ricevono i Cnmani Esnli. Tomo III- Legazioni. Erano antichi amici dei Sanniti. I Romani portano loro gnerra , ivi. Nanzio (C.) consolo compagno di P. Valerio Poplicola. IX. 28. Devasta la campagna dei Volsci, 35 . C. Nauzio con sole per la seconda volta. 'X. 22. Richiamato dalla Sabina provvede alla patria , 23 . Vince i Sabini, 25 . Naazio Sp. sao parere intorno al ritorno della plebe. VI. Gg. console. VIII. 16. Nettano, sua festa. II. 3 o. Giuochi a Nettano equestre. I. 24. Nolani dissuadono i Napoletani dall amicisia coi Romani. Tomo III. Legazioni. Nomento , colonia A lbana. II. 53 . Nomentani popolo Latino. V. 61. Si rendono a Tarquinio Prisco. III. 5 o. Norbani, popolo del Lazio. V. 61. Numicio (T.) Prisco console. IX. 56 . Devasta i campi di An zio, ivi. Nnmicio, fiume. I. 55 * Numitore , Amnlio tenta privarlo di ogni successione. I. 67. Come se ne vendica, 7 5. Ricoper il regno di Alba, 76. Nomitoria madre di Verginia. XI. 3 o. > . Numitorio (P.) zio di Verginia cerca difenderla. XI. 28. In veisce contro di Appio , 38 .

o
Ocrisia, madre di Servio Tallio. IV. i. Oenotri un tempo chiamati Aesei e Licaonj occupano parte dItalia, e quale. I. 4 . 5 . Perch chiamati Aborigeni, 5. Vengono dall Arcadia oon Oenotro. II. 1. Oenotro, sua nascita e venata in Italia. I. 3. Opici, popolo : loro porto. I. 44 * La regione loro abbracciava anche il Lazio, 63 . Gli Opici oacciano i Siedi, i 3 . Opimia, Vergine Vestale; condannata per lo stupro. V ili. 8g.' Oppio (M.) capo dell esercito che si ritira- dai Decemviri. x i. 44Oppio (Sp.) Decemviro. X. 58 . Resta con Appio Claudio a proteggere la citt. XI. 35. Convoca il Senato, 44 * E con dannato a pieni voti dal popolo e more lo stesso giorno in carcere, 46. Orbilia Vestale punita per lo stupro. IX. 4 o. Ostia ott, da chi formata. IIL 44 Ovazionej perch cosi chiamata. V. i'j. Come differisca dal trionfo. V ili. 67. P Palar)teo, citt di Arcadia. I. 22, 5 l. Palanteo nel Lazio de nominato dall altro di Arcadia. II. 1. Vi si manda nna co lonia dai Latini, 45 . Gli Albani lo circondano di maro e fossa. II. 1. Romolo cerca di fortificare il Palanteo per al loggiarvi la Bua colonia, 85 . Principj di Roma messi attorno il Palanteo. III. 43 * Il Palanteo fa detto anche Palatium, e da Virgilio Pallanteum. Palatino monte, Romolo lo munisce insieme coll* Aventino , e col Campidoglio. II. 3 <j. Trib Palatina. IV. i 4 > Salii Palatini. II. 70.

5o8
Palladio, se foste uno, o due, e se Enea li portane nellI talia. I. 60. Si dice che il Palladio fosse custodito dallo Vestali. II. 66. Si dice custodito dalla gente Namia. VI. Fallante, figlio di Ercole e della figlia di Evandro. I. 34 Pane , Dio Arcade, antichissimo. I. 23 . Roseo, e grotta di Pane, 70. Sagrifisio a Pane, 71. Panici, timori prodotti da Fanno. V. 16. Papaveri. Tarqainio il tiranno ne tronca i pii alti, e perch. IV. 56 . Papirio (C.) pontefice. III. 36 . Papirio (L.) Mugillano console XI. 62. Papirio Maoio primo re delle cose sagre. V. 2. Padri, loro podest sa i figli. II. 26. Vili. 79. Rigore nel pnnire i delitti de figli, ivi. Delitti dei padri non ricade vano nei figli, 80. Senatori perch chiamati Padri. II. 8. Padri coscritti, 12. Patri*) si chiamarono quelli che erano nati dai padri cio dai Senatori. II. 8. Officio dei Patrizj. II. 9 , io. Tarqainio Prisco inscritto nel numero dei Patrizj, e de*Senatori da Anco Marzio. III. 4 i. I Patrizj nel partir della plebe pren dono le armi, ciascuno coi proprj clienti per la repubblica. VI. 4 j. I Patrizj coi loro olienti marciano contro gli An ziati. VII. 19. La plebe inveisce contro lorgoglio dei P atrfzj. VI. 48 . I tribuni gli accasano come intenti ad op primere perpetuamente i poveri. IX. 2 5 .1 Patrizj non erano sottoposti al giudizio del popolo snza permissione del Se nato. X. 34 - Quando vi furono sottoposti. VII. 65 . Nelle dodici tavole erano proibiti i matrimonj dei Patriij coi ple bei. X. 60. Molti Patrizj divengono fautori dei Decem viri , ivi. .Patroni, loro offizio. II. 10, 1 1. Erano ereditarj , i o. Pece./Vasi di pece ardente lanciati colle fionde sa nemici. X. 16.

5og

Pelasgo, figlio di Giove , e di Niobe autore dei Pelasghi. I. 3 , 9 . Sua discendenza, 19. Quando passarono nell Italia, ivi. Pelasgo figlio di Larissa e Nettano. I. 9. I Pelasghi lasciano la Tessaglia , e vengono nell Italia, 80. Pelasghi credati gli stessi che i Tirreni, 16. A torto, 20. Furono accolti dagli Aborigeni, 9. Fioriscono, decadono e si di sperdono di nnovo in gran parte per le citt Greche, i 4 . Citt Pelasghe in Italia distrutte , 17* Peste, pi fiera ne* bestiami cbe negli nomini. VII. 68. Pesto che infuria specialmente contro le gravide. IX. 4 Peste che rapida scorre per 1*Italia , 2. Peste che dagli armenti e dai campi passa in citt , 67. Peste fierissima nell' anno trecentesimo di Roma. X. 53. Peste che in Velletri stermina met della - gente. VII.- 12, Tarqainio saperbo manda a consultare 1 oracolo in Delfo sai morbo contagioso. IV. 69. Sacrifici ed anche riti insoliti in Roma per allontanare la peste. X. 54. Pencezio fratello di Oenotro passa con una colonia in Italia; dove si posasse. I. 3 . Pinario (L.) console. IX. 4 o* Pinario (P.) Rofo console. V ili. 1. P. Pinario, uno degli am basciadori spediti a Coriolano, 22. Pinaria, figlia di Pnblio, vestale oorrotta. III. 67. Pirro, Re degli Epiroti, sua guerra coi Romani. Tomo III. Legazioni. Pisa luogo abitato dagli Aborigeni. I. i 3 . Pittagora Spartano, vince ne' giuochi Olimpici. II. 48 . Pittagora Samia , quando filosofasse nell Italia. II. 49 * Plebe, d al Senato la facolt di scegliere la forma del go verno. II. 5 8 . Vivea in gran parte ia campagna. VII. 58 . Vedi Patrizj ; la plebe si ritira nel monte sagro ; vedi Me nenio Agrippa. Offuj della plebe. II. i 4 * Ricoper gli an tichi suoi privilegi colla espulsione dei Tarqainj. V. 2. Un

5io
tempo era permetta a plebei P edilit ed il tribunato ; ap presso fu conceduta loro ancbe la dignit del conso lato. V. 18. Plebisciti dovevano essere precedati dal Senataa Consalto. VII. 39. X. 4 - Vplerone tribuno della plebe stabilisce cbe i Plebisciti ncora dei comizj per trib abbiano forza di legge. IX. 45 . Polibio non accorato soli epoca della fondazione di Roma. I. 65 . Suo parere su la denominazione del Palatium, 22. Politorio citt del Lazio espugnata da Anco Marzio. III. 3 7. I Politorini hanno lAvventino per abitarvi, 45 . Ponentini , campi. II. 4 g* Grandissimi tra campi Latini. IV. 63 . I Romani vi si recano a provvedervi del grano. VII. 1. Snessa, capitale de Pomentini, presa da Tarquinio su perbo. IV. 5 o. Pompilio , Noma, originale di Curi chiamato in Roma, per ch vi regni. II. 58 . Suo regno, leggi, condotta; dal 58 fino al termine del libro II. Pomponio (M.), e C- Papirio consoli. II. 25 . Ponte Soblicio, Anco Marzio lo forma sul Tevere. III. 45 . I Pontefici pe hanno cnra, ivi. tagliato. V. Pontcfici , Sommo Sacerdozio di Roma. I. 29. Donde cosi denominati, e loro offizj. II. 73. Vanno ambasciadori in darno a Coriolano. Vili. 38 . Loro parte nella confermazione delle leggi. X. 57. Esaminano e condannano la Vestale cor rotta. IX. 4 i. Il diritto di sorrogare n o Pontefice in luogo di altro che moriva era nel collegio de Pontefici. II. 73. Libri o commentari storici de Pontefici. VIII. 56 * Pontificio Tiberio, tribuno della plebe si oppone ai consoli men tre fanno la leva. IX. 5 . Poreena Re di Etraria unito ai Tarquinj assedia Roma. V. 21 e seg. E costituito arbitro dello controversie tra i Romani

5n
e Tarqainio. V. 32 . Fa pace co Romani* 34 . Dono mandato dai Romani al medesimo, 35 . Porta Capena. V ili. 4 . Carmentale. I. 25 . Mugonia. II. 5o. Sacra. X. i 4 . Trigemina. I. 23 . 3 o. Porzio (M.) Catone, 6uo raccont su dne gemelli d Ilia. I. 90. Su l anno della fondazione di Roma, 65 . Su le trib sta bilite da Tallio. IV. 1. Postumio (A.) consolo, nominato dittatore VI. 2. Marcia contro de Latini , 3 . Parla all* esercito per animarlo, 6'. Trionfa del Latini, 19. Lascia la dittatura e rende i suoi magistrati alla Patria, 23 . A Postumio Albo combatte bra vamente oontro gli Anrnnci, 33 . Postnmio (A.) Albo console, collega di Fario lo soccorre. IX. 65 . Postamio (P.) Tubetto console con M. Valerio , marcia a soc correrlo. V. 09. P. Postumio Tuberto, console per la se conda volta, battuto per la troppa audacia, 44 - Ripara ' l infamia, vince bravamente i Sabini, gli si accorda l o vazione , 4 ?* Postumio Tuberto legato alla plebe pr-, fuga , 9. Postornio (Sp.) Albino console. IX. 6 0. Dedica il tempio di Giove Fidio, ivi. Spur. Postumio va legato in Grecia a raccoglier le leggi. X. 52 . E creato Decemviro, 56 . Postumj, impediscono la legge Agraria, ed il popolo li con danna ad una emenda. X. 4 a* Postamio, legato vilipeso dai Tarentini T omo III. Lega zioni. Preda, parte data ai soldati , parte all erario. X. 21. Preda venduta dai questori oon metterne il denaro nell erario. V ili. 82. Colle decime della preda se ne fan Mgrifizj. VI. 19. Primizie della preda date ai valentuomini,. 94. Prenestioi, popoli del Lazio. V. 4 i. Prenestina via. IV. 53 . Proca Silvio, Re di Alba. I. 62.

5 l2

Prole. E delitto di ucciderla. I. 8. Quando potesse esporsi secondo la legge di Romolo* II. l 5 . Proserpina, se ne dedica il tempio. VI. 17 , g. Panica, prima guerra per- la Sicilia. II. 66. Suo oominciamento , quando. Proemio, 8.

Q
Quadrighe, combattimenti con esse. VII. 72, 73. Questori, vendono la preda. VII. 63 e ne portano il danaro - nell* erario. VIII. 82. Vendono i beni dei profughi , e no recano il presso nell' erario. XI. 66. Sono comandati di fare a spese pubbliche i funerali di Menenio. VI. 96. Ac cusano Cassio come reo di tirannide al popolo. V ili. j 1 }. Querquelula, popolo del Lazio. V. 61. Questura , la esercita un uomo consolare. X. 23 . Quintilj trasferiti da Alba in Roma. III. 29. Quintilio Sesto console , muore per la peste. X. 53 . Quinzia, via. I. 6. Quinzio C. o Curzio console. XI. 52 . Quinzio Ceson figlio di L. Quinzio Cincinnato, si oppone ai ' plebei : accusato al popolo. X. 5. Va in esilio , 8. Quinzio (L.) Cincinnato, padre di Cesone, fa la catfsa del figlio presso del popolo. X. 5 . Vendati' i suoi beni paga per la sicurt del suo figlio, e si ritira in un suo poderetto di l dal Tevere. X. 9. Donde chiamato al consolato, 19. Sua condotta, 17 e seg. E chiamato dal sno poderetto alla dittatura, 2^. 'Soddisfa al bisogno, e torna privato al suo campo , 25 . Suo parere sul frenare i tribuni, 29. E sul duplicarne il numero , 3 o. ' Quinzio Tit. Capitolino console, discorda da Appio suo col lega. IX. 44 - Ammansa il popolo, ivi. Divide la rissa dei tribuni e del suo collega, 48. E consola per la seconda

5i3
volta-IX. 87. Viace gli Equi e i Volaci, ivi. Ne trioafa, 59 . E console per la terza volta, 61. Proconsole porta ajuto a Ser. Furio, 63 . Questore.porta ajuto a Minncio circon dato dai nemici. X. 23 . Parere di lai sa le riobiste dei Decemviri. XI. i 5. coasole per la quinta volta, 63 . Quirino , vedi Romoh e Marte. Quirinale. IL 38 . E congiunto a Roma da Romolo, e Tazio, 5 o. Nuraa lo ricinge di mora, 62. Quiriti, nome di tutti i cittadini di Roma derivato da Cari patria di Tazio. II. 46 .

R
Rabolejo (C.) tribuno, come divise, come di fine alle con tese dei consoli. VIII. 72. Rabulejo (M.) Decemviro. X. 58. Marcia contro i Sabini. XI. a 3. Rasena duce.Tirreno. I. ai* Ratto delle Sabine. II. 3 o. la grazia di esse lasciasi ai loro cittadini vinti la patria, la libert , li beni, 35 . Reatino agro fu tenuto dagli Aborigeni. II. 48 * I Reatini ao< colgono i Listani profughi. I. 6. Regillo, citt Sabina, patria del la gente Claudia. V. 4 . Claudio a tempo dei Decemviri protesta ritirarvisi di nuovo.. XI. i 5. Regillo, lago nel Lazio. V. 4 * Regno, Nnma lo ricasa. II. 60. Suo diritto rimaneva nei ootlatori. IV. 34 i Si .regn lungo tempo (otto certe condizioni. V. 74* Perch gli antichi talvolta togliessero il governo re gio , ivi. Quanto durasse in Roma. IV. 85 . . Re delle cose sagre, vedi Manto Papirio. R ea, figlia di Numitore. I. 67. Rea t ossia Opi, suo tempio. II. 4 D I O N I G I , toma I I I . **

5 14
Religione, quanto ne Tolsero osservanti gli antichi. Vili. 3 7. Remoria. I. 76. Remo, nome data da Fatitelo. I. 70. fatto prigioniero, < j 1. sciolto , 72. Stia morte e tomba, 38. Roma, Donna Trojana, vi chi scrive ohe desse il some alla citt regia di Romolo. I. 63* Roma, se ne additano tr. Proemio, 7. Fondazione fattane da Romolo. II. 2. Il sao popolo derivava dai Greci non dai Barbari. VII. 72. Romolo e Tazio l'amplificano.-II.-So. Servio Tullio vi aggiunge il Viminale, e 1 Esqoiiliuo. IV. 13. Dividendola in quattro parti, e trib ; tanto che i colli di Roma divennero sette, i 4 - Bruto la rende libera. Vedi Giunio Bruto. Ne suoi pericoli pi grandi conserv sempre la sua dignit. Vili. 36 . Non usava cedere punto ai nemici. TI. 71. In tempo di pace era sediziosa , laddove era una nime in tempo di guerra. X. 35 . Fu rifugio a quanti vi cercavano sede sicara. V. 56 . Moltitudine della colonia che vi and con Romolo. II. 2. Quando presa dai Galli. I. 65 . Fu dominata prima dai Re; qoanto oiascuno vi dominasse, 66. Quindi ebbe per capi i consoli, poi li Decemviri, e di nuovo i consoli, i tribuni militari, e di nuovo i cousoH. Vedi queste parole. Romilio (T.) console. X. 33. Commissioni che egli diede a Sicoio, 44 Siccio lo accusa al popolo, 4 q- E condannato, ivi. Sentenza di lui su la compilazione delle leggi, 5 o. creato Decemviro , 56 . Romolo figlio di Enea. I. 4 > 63 , 64 * Nascita di Romolo e Remo, 6 9 , 70. Era decimosdltimo nella disoendenza da Enea, 36 . Non concorda col fratllo sai laogo di fabbri care Roma, 76. Uocide R emo e se ne pente , 78. Fonda zione di Roma. II. 2. creato re , dal 16 al 5 G, dello stesso libro si esprime la condotta di Romolo nel regno ; muore, 56 . Numa gli inalza nn tempio ia venerarlo con annoi sagrifizj, 63 .

5i5
Rostri net Foro Romano. I. 79. Rutuli, fanno goerra a Latino. I. 48 * ^ ribellano di nnovo da Latino , 55 . Enea muore combattendo oon tbli , ivi. Pro mettono di pSandare ajuto ai Latini. V. 4 3>

S
Sabini j cos denominati da Sabino o Sabo. II. 4 g. Vi chi li crede Spartani di origine in gran parte. II. 5o. (Jn tempo erano molli come gli Etrnsohi , 38 . Prendoao Lieta , me tropoli degli Aborigeni, i 4 < Sotto il comando di Taiio por taoo guerra ai Romani, 36 . Condizioni con le qnali con cludono la pace con Romolo , 46 . Tallo Os'tili li debella. III. 32. Rompono 1 alleanza K debella di nuovb, 33 . Come pare li vince Anco Marzio, 4 o , 4 2* Promettono ajuto ai Latini contro i Romani > 5 1. Li vinco anche T arqaiuio Prisco > 5 5 , 64 - fi Tarqainio enpetbo. IV. 5o. E li consoli. V. 3 7 , 4 * Esaltano per ana leggerti vittoria e sono disfatti ndvaniente, 45 - Ottengono ka pace * 49- A.saliscono i Romni mentre erano in festa. VI; 3 i. Movono guerra di nuovo ai Romani, 3 {. Promttono occorrere i Volsci, e sono vinti, 42 . Soccorrono i Vejnti contro i Ro mani. IX. 3 {. Sono vinti, 35 . Fra la sedinone di Roma ne devastano la campagna , 55 . Tatti due i consli deva stano la loro campagna^ 56. Servilio console li desoli no tamente, 57. Scorrono sino a Fide de. X. 22. Ja&cmettbno di nnovo 1 agro romano. X- 26. Di nuoVo fanno scorreria ne confini. XI. 3 . Combattono co Romani pel comando. VI. 75. Saoro Monte. VI. 45 * La plebe vi alta nn altare e vi sagrfica , 90. Via sagra. II. 46 > 5 o. V. 35 . Classi otto di mi nistri agri istituite da Noma , 35 . Cause spettanti a cose agre decidevami dai Pontefici, 73. Legge sagra: cio quella su la inviolabilit dei tribuni. VI.. 89. Cittadini lordi di

5i6
gangae parso si espiano prima di accostarsi alle sagre oose.
V. 57.

Sacrifici, dopo la vittoria per render grazie ai nomi. X. 5. Vili. 67. Sagrifizi per il termine della peste, ivi. Salj, istituiti da Nnma. II. 70. Tallo Ostilio ne raddoppia il namero. III. 32 . Salj Palatini, e Collini, 70. Ancili o scadi de* Salj, 71. Saline antiche all imboccatura del Tevere. II. 55 . Samotracia isola , perch cos chiamata. I. 52. Enea porta in I talia simulacri di Numi venerati in Samotracia, 60. Sanniti, sconsigliano i Napoletani dall amicisia de* Romani , loro gaerra coi Lucani ec. Tomo III. Legazioni. Satirico, giochi o salti. VII. 72. Satrico, popolo del Lazio, Coriolano lo riduce colla fona. V ili. 36 . Saturnia, colonia degli Aborigeni. I . 36. L Italia fu detta Saturnia, e perch , 25 . Saturnio colle fa detto il Campi doglio, ivi. 1 Saturno regna in Italia. I. 27. Sagrifizj fatti a Saturno, 2g. Ercole alza un altare a Saturno, 26. VI. 1.,Tempio di Sa turno sul colle Capitolino, ivi. Saturnali. IV. i. Scattini popolo del Lazio. V. 61. Scellerata, via. IV. 3g. Scola letteraria nel Foro. XI. 28. Scriba ucciso in luogo di Porsena. V. 28. Scuri, vedi Fasci. Sedia Curale. V. 47 - Coriolano fa mettere a !basso la sedia sua al venir della madre. Vili. 45 . Sempronio (Q.) Atratino console. VI. 1. Fosttamio dittatore lo lascia a presedere a Roma , 2. Console jjer la seconda volta. VII. 20. Sentenza sua su le cose agrarie. V ili. 74. Sempronio (A.) Atratino interr. Vili. go. tribuno militare , in luogo di console. XI. 61.

Sempronio (L.) Atratino console. XI. 61.' Sempronj, impediscono la legge agraria ; e ne. tono paniti. X. 42 e'seg. Senato, donde cosi detto.-II. 12. Offizj del Senato, i. Pri vilegi. VI* 56 . Romolo stabilisce nn Senato di cento. II. I I . Vi si aggiungono altri cento dopo cbe i Sabini furono messi a parte delle cose di Roma , Tarquinio Prisco ne aggiunge altri cento, rendendo il Senato di trecento. III. 67. Strazio del Senato sotto il tiranno Tarquinio. IV. 42 . Dopo espulsi i re si ascrivono dei plebei nel Senato per supplire i trecento. V. i 3. Siila pone in Senato ogni feccia di uomini, 77. Il Senato era il freno dell1 autorit consolare. VII. 55 . Il console adaaa il Senato di notte. IX. 63 . XI.' 20. I Senatori sono convocati ad uno ad ano in affari ardni. VIU. 3 . I tribuni tentano convocare il Senato sebbene tal diritto fosse dei consoli. X. 3 1 seg. I con soli adunano in casa loro nn corpo di senatori pi. scel ti , 4 o. XI. 55 . Quali fossero i primi a dire il loro pa rere in Senato. VI. 84 * I censori esaminano la vita dei Senatori. IV. 25 . Senatusconsulto avea fona per nn anno. IX. 5 < j. Ricercavasi il senatusconsnlto sa cose intorno le quali non vi era leg ge. VII 4i* I tribuni presentano alla plebe il senatosoonsnlto scritto dai oonsoli. XI. 61. La plebe approva il senatusconsulto. X. 62. Sette acque, luogo. I. 6. Sette pagi. I Vejenti li consegnano ai Romani. II. 55 . I Ro < mani li rendono a Porsena. V.. 36 . Sequinio Albano. III. i 3 . Sergio (M.j Decemviro. XL 23 . Servilj trasferiti da Alba a Roma. III. 29. . Servilio (C.) console, poco felioe contro i Volsci. IX. 16. Servilio (P.) Prisco console discorda da Claudio suo collega VI. a 3 . Placa i p overi, 36 . Eccita i plebei alla guerra, 28.

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Vince i Volsci. VI . 29. Si arroga loVaaiooe lenza beneplacito del Sanato vinco gli Aorunci , 3 & < Servilio (P.) Prisco console, prossimo 'morte convoca il Senato, IX. 67. Muore di p**le, 68. Servilio (Sp.) oonsole. IX. 25 . Pi audace che felice contro gli Elrusohi, 26- citato al giudizio del popolo appunto per qatato , 28. E assolato, 33 . E legato di Valerio nella guerra 00' Vejentt e si distingue , 35^ Servilio (Q.) fatto maestro dei cavalieri dal dittatore Vale rio. VI. 4 o* Servilio (Q.) Prisco, oonsole. IX. 5 7. Devasta la regione Sa bina, ivi. Q. Servilio console per la aeconda volta, 60. soccorre i Latini, ivi. Servi rendati liberi nelle grandi urgenze di gaerra. VII. 55 . Servo quando torna di 100 diritto. II, 27. Cospirazione dei aervi contro la repubblica. V. 5 i. Settio (P .), oonsole. X. 5 (. Diviene Decemviro, 56 . Setini popolo del Lazio. V. 61. Coriolano ne prende la loro citt Sezze. Sibille Oracoli. I. 4 - Oracoli della Sibilla Eritrea*, 46 . Libri .Sibillini esibiti a Tarquinio superbo. IV. 62. A ohi dati in custodia, e quando consultati, ivi. Si consultano in nna grande carestia. VI. 17. Come in caso di legni portentosi. X.x2. I libri Sibillini si braciaio, e ti procurano altre col lezioni di oracoli e da quali luoghi. IV. 62. Privilegi dei custodi dei libri Sibillini, ivi. Sicania fu detta an tempo la Trinacria o Sicilia dai Sioani, popolo delle Spagne. I. i 5. Siccio (L.) Dentato : sue parole al popolo per la legge agra ria. X. 36 . Propone Consigli p ii miti di altri, 42 . Siegue i consoli in guerra , ma si scusa dall* adempirne certi co nia odi , 45 . Come si vendicasse dei consoli, 46 e seg. E fatto tribuno , 4 ^ Accusa Rodlio console al popolo, 48 . Si riceaeilia con Romilio, 52. ucciso per la perfidia dei

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pocemviri. XI. 6. L* esercito gli la splendidi funerali, 27. Da alenai chiamato L. Sicioio Dentalo. Siccio (T.) consola vince i Volsci. Vili. 67. Ne trionfa, ivi. T. Siccio legato suggerisce a Fabio come riprendere gli ac campamenti , 68. Ottiene i premj delta sua predetta, ivi. Sicilia fu detta dai Siooli, popolo italiano, quella che na tempo si chiamava Sioania o Trioacria. I. i 3 . Roma spe disce in Sicilia a provvedere i grani. VIL 1. La Sicilia si ribella ai Romani. II. 17. Sicioio (C.) Belloto nomo sedizioso prooora di sollevare i ' soldati plebei. VI. 5 . VII. 33 . Sue risposte ai legati dei consoli. VI. 45 . Aduna la plebe nel monte sagro e permetto che i legati del Senato vi parlino, e fa che i plebei rispn dano. VI. 71, 7. creato tribano dai plebei, 89. E Ur bano per la secnda volta. VIL 33. Sae invettive contro Coriolano, 3 . Cita Coriolano al popolo, 38 . Fa ohe il popolose sentenzi i 61. Siooli, qual gente fossero d 'Ita lia , e dove abitassero- II. 1. Italiani nominati Siooli da Sioolo re. I. 4 -. Un tempo abi tarono Roma, 1. Ne sono cacoiati dagli Aborigeni e dai Pelasghi, ivi. Passano dall Italia nella Sioania, l 3 . Legati Siooli assaliti dagli Aniiati, VH. 37. Veabgj do Siooli ia Italia. II. 1. Sioolo figlio d italo porta nna colonia di Liguri nell Itali*. f. i 3 . Sicola re di Antonia, ivi. Sicolo prologo da Roma viene a Morgete , 64 , Signia, colonia di Tarquinio. IV. 63 , Sesto Tarqaiaio tendi invano di prenderla. V. 68. Silvio figlio postumo di Enea ood denominato dallo Selve. I . Gl. Ebbe il regno deLatini dopo la morte di Asoanio, ivi. Da lui furono Silvj denominati tutti i re di Alb*4 ivi. Socj del popolo Romano dovevano mandargli de* sassidj nella guerra. X. 21. Leggi date ai Latini drea i sassidj. Vili. i 5. E sa lacquisto de* nnovi campi, 74.

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Sole , *ao tempio. II. 5o. Fonte del iole. I. 46 ; Sparta, Spartani. Vedi Lacedemoni. Spioeto , bocca del Fo. I. 1o. Spoglie. Vedi Prede. Sterile, moglie ripudiata. II. 25 . Sobnrrana, trib. IV. l 4 Suessa Pomezia* citt riguardevole dei Volaci. VI. 29. Tarqui nio superbo, la espugna. IV. 5 o. Serrilio la prende. VI. 3Q. Abbondanza della' tua preda, 74* I Soessani profughi ec! citano i Gabj a far guerra a Tarquinio* IV. 53. Saffragj. Vedi Comizj. Solpizio (Q.) Camerino console. VII. 68. Solpizio (Q.) Uno dei legati spediti a Coriolano. Vili. 32 . Sulpisio (Sei*.) Camerino console. V. 52 . .Sua prudenza Dello scoprir la congiura, 55 . Dopo la morte del collega egli prosiegue solo a reggere il consolato, 5 9. Sulpisio (Ser.) Camerino console. X. 1. Sen. Solpiaio man dato per le leggi io Grecia, 52 . E creato Decemviro, 56 . Sona o Suana, paese degli Aborigeni. I. 6. T Tanaquilla moglie di .Tarqainio Prisco perita degli augurj e d*interpretare i segai portentosi. III. IV. 3. Sua pru denza. IV. 4- Suo favore per Servio Tallio, ivi; Se Tanaquilla seppellisse Arante Ifgiio di Tarquinio. IV. 3 o. Tarentini, sconsigliano i Napoletbk4 all' amicizia de* Romani. Tom oIII. Legniioni. " Tarpeja, su tradimento, morte e sepoltura. II. SS e seg. Tarpeo , colle, poi detto Capitolino e perch. IIJ. 69. Tarpea, rupe, soprastava al Foro, e vi si precipitavano i rei. VIII. 78. IX. 4 o. Tarpejo (Spur.) console. X. 48 . Tarquinj, oitt rioca di Etruria. III.' 46 .' Tarquioiesi cospirano co* Vejenji contro i Romani. IV. 27.

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I ntercedono per Tarquinio superbo. V. 5 , 4 - Ne procurano colle armi il ritorno Hn Roma, i 4 . Tarquinio Arante, messo dittatore in Collana donde prende il nome di Collatino , esso e suoi discendenti. III. 5o. Tarqainio Arante , fratello minore di Tarqninio superbo prendo per moglie Tullia. IV. 28. B tolto di mezzo dalla moglie e dal fratello, 3o . Tarqainio Arante, figlio di Tarqainio superbo, porta nna colonia. IV. 63 . Arante e Tito Tarqainio, figli del Su perbo sono mandati- a consaltare loracolo di Delfo, 69. Arante i accisa da Rroto essendosi attaccati per disfida. V. i5. T arquinio (L.) Prisco , quando venne a Roma. IV. 6. E ca- pitano decavalieri nella guerra Latina. HI. 3 q. Come nella guerra Sabina , 4 - Per le prodezze sno nella guerra coi Vejenti ascritto nel numero de patrizj e dei senatori, 4 *E fatto r e , 4 9- Da qaesto fino al termine del lib. III si narrano le imprese di Tarqainio re , e la morte in fine.' Tarqainio (L.) superbo, prende in moglie la figlia maggiore di Servio Tullio. IV. 28. Le d -la morte, e prende la minore, 3 o. Come, e quando ' impadronisse del regno e perch fu chiamato superbo, 4 > < Da questo fino al ter mine del lib. IV si espongono lo sue azioni fioo alla per dita del regno. Esule tenta pi volte di ricuperare il trono. V. 3 . Porsena si distacca da lui, 34 . Tarqninio inoita gli Etrasohi contra i Romani, 5 i , 61. Procura sedizioni in Roma, 53 . Quanto tempo regn. I. 66. Muore in C oma. VI. 21. T arqninio (L.) Collatino torna dal campo in casa. IV. 67. La ritrova piena di latto, ivi. destinato e fatto console insie me con Bruto, 76, 84. Rinunzia il consolato e si ritira a Lavinia. V. 12. Ove muore. V ili. 4 g* Tarquinio (L.) maestro de cavalieri otto T. Quinzio Ditta tore. X. 24.

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Tarquinio (P.) e Marco di Laureato rivelano nna cespirazio ne. V. 54 - Premio dato loro, 5 ^. Tarqaiaio Sesto figlio del superbo: sao messaggio al padre da Gabio. IV. 55 , croato R di Gabio , 58. Violenta Lucrezia, 64 > Esalo fa guerra per il padro. V. 2 2 , 26. E creato capitano dei Sabini, '4 o< Manda sussidi ai Fidenati assediati, 58. E capitano dei Latini contro dei Romani, G. E noci*o, VI. 12. Tarqainio. (T.) figlio del superbo porta ona colonia io Signia. IV. 63 . Egli e Sesto fan guerra por il padre. V. 22, 26. ferito. V. 11. Tarquinia moglie di Ser. Tallio muore dimprovviso. IV. io . Strangolata da Tarqaiaio superbo, 79. Tazio (T.) re - di Curi e dace de Sabini contro i Romani. II. 36 . Fatta la paoe si fissa in Roeia , e vi regna con Romolo, 5o. Erige altari a pi D ei, ivi. Muore, 5 i. Telegono figlio di Circe e di Ulisse. IV. 5 . Tellene citt del Lazio. III. 58 . V. 61. Chi n fosso lautor. I, 8. Anco Marzio la espugna e ne porta ia Roma i cit-* ladini. III. 38 . Terensio (C.) tribuno della plebe primo tenta introdurre leggi e diritti nella repubblica. X. 1. Terenzio Vairone, cbe dica su i Sacerdoti istituiti da Romolo. II. 21. Sa la origine del nome delle Curie, 9. So gli oracoli Sibillini. IV. 63 * T ebani tolgono limpero agli Spartani. Proemio, 3 . Sono sot tomessi. II. 17. Temistocle Arconte di Atene. VI. 34 * Teologia dei Romani migliore di quella de Greci, II. 20. Termenio Cossia Aterio console. X. 48 Termini D ii, loro sagrtfiai e festa. II. Testrina o Testrana, paese Sabino. II. 4 o> Teucro Re della Teocria o Troade nella Frigia. I. 5 a> Tevere, passa vicino a Fidene. II. 55. Cbiamavasi Albata e

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prese altra nomo da Tiberina Re di Alba il [naie fu tra sportato dalla corrente di epso. I. C4. Tibortioi, popolo del I^acio. V. 1. Loro fondatori* I. 8. Timeo Sioolo, storico non aifatto diligente, oiocch scrive so gli Dei Peoati. I. 58 , E su lepoca delia fondanone di Ro ma , 65 . Tiora, paese degli Aborigeni. I. 6. Tiscrate Crotoniate vince nello stdio. V. 77. VI. 4 9 Tizio (Sei,) tribuno della plebe. IX. 69. Toga soa forma- III. 61. Io tettata di oro. V. 4 lTeleriai espugnati a forza da Coriolano. VT1 L 17. Tuoni e lampi spaventevoli dissuadono Valerio il. console dalT'assalire il campo degli Equ IX. 55 . Trabea, o Tibeuna. VI. >3 . Trebula paese degli Aborgeni. L 6. T riarj, qoali,soldati. V. i 5 . Vili. 8G, Tribuni, prefetti delle trib. IL *7. Tribnni dei Celeri e loro offizj. II. 64 * Tribani. dei soldati, venti oreati nel ritirarsi Io. armate dai Deot.^viri- XI* 44Tribaqi iqilitari destinati in luogo dei oonsoli. XI. 6l.Depongono il tribunato Militare dopo settantatri giorni , 6. T ribqai della plebe quando creati e quanti. TI. 89. Erano inviolabili, 89. VII. 32. Son poteva impedire le asioni di nn tribuno se non no tribuno. X. 3 i. Ma L tribnni pote vano opporsi a tatti anohe ai oonsoli. XI. 5 , 54 - Ma foori di R004 non hanno alcun potere. Vili. 87. Non potevano pernottare fuori di R oma se non cb nelle farie latine, ivi. Sottopongono a s medesimi quanto dovea giudicarti dal popolo. VII. 16. Querele de* tribuni contro il Senato che manda colonie a luoghi non sani > 4 - Altercano coi con soli , 18. Chiamati in Senato inveiscooo oontro CorioUno > 2 5 Accusano i patrizj al popolo, 3 7 Il console li riprende presso del popolo, 28. Chiedono cbe i senatori giurine.

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e poi diano la utenza V1F. 3 g. Sono ammessi in Senato, con seguenze , {9- Si arrogano l'arbitrio di accasare qoatuoi^atf patrizio, 5 9. Nel caso di Coriolano, ivi. Cominciano a ci tare al popolo qualunque cittadino, 65 . Si oppongono a;Cassio per la legge Agraria. Vili. 71. Si oppongono alla leva de* toldat i , 8j- Impediscono col loro potere i comizj, 90. Nella penaria de* viveri inoitano la plebe contro i oon soli. IX. 25 . Chiamano al gindiiio del popolo i gi consoli perch diano conto del loro consolato, 27 , 28. Rettane pel secondo anno nelle cariche loro , 2. Sforzi loro per ch simprigioni nn console, 48 * Insistono sa la formazione delle leggi. X. 1. Sono ohiamati in Senato a consultarvi sa la salute pubblica, 2. Cacciano con finti delitti Qainzio Cesone da Roma. X. 8. Restano pel ' terzo anno nella loro carica, 19. E per il quarto, 22. Confermati per nn quinto anno impediscono la leva innanzi che il Senato decreti per la formazion delle leggi, 26. Tentano di convocare il Se nato , il che aspettava ai consoli, 3 i. Il Senato concede ohe i tribuni siano dieci in luogo di oinque , 3 o. Citano al popolo i consoli i quali non ubbidiscono, 54 - & so im pediti nella legge agraria, 4 l e **g. La peste nfe 'uccide quattro, 53 . Cessano col orearsi dei Decemviri, 6. Vedi - Decemviri. Ristabiliti si Vendicano dei Decemviri. XI. 46* I stigano di nuovo la plebe contro i patrizj, 5o. Pretendono che anche i plebei possano chiedere il consolato, 52 . Cac ciati da Roma vanno a Cesare nelle Gallie. VIII. 87. Trib-, Romolo ne forma tre, divise in dieoi carie. II. 7. Tarquinio Prisoo impedito di aumentarne il numero. III. 70. Servio Tullio ne forma quattro orbane e ventuei ru stiche. rv. 14. Tributi, come tassati da Servio T ullio.TV. 9. E oome da TarquDo superbo, 45 Trionfo, maggiore e minore. V. 4 ?* Trionfo di Romolo. IL 34 > Trionfo degli ultimi tempi, ivi.

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Troia, quando presa. I. 55 . Troja , loogo d Italia. I. 3. Tullio Coroicolano. IV. i. Tallio Servio Re de Romani, sue .imprese. IV. 3 e seg. Tuscolo, citt del Lazio distante da Roma cento stadj incirca. X. 20. Tuscolani, popolo del Lazio. V. 6 i. Soccorrono qoei della Riccia,. 36 . Largio Dittatore li rilascia gratuitamente, 77. I Volsci e gli Eqai devastano il loro territorio. IX. 68. Ajntano i Romani a ricuperare il Campidoglio. X. 16. Gli Equi gl* infestano di bel nnovo, 22, ^ 3. XI. 3 . Vedi Mamlo. Fortezza Tuscolana cos alta che vedevasi Roma. X. 30. Taza Vestale porta acqua prodigiosamente. II. 6g. V Valeria , sorella di Poplicola consiglia che si mandi a Corio* lano la madre la moglie eoa altre donne. Vili. 3 g. Valerio (L.) nipote di Poplicola accusa Cassio di tirannide. V ili. j'j. Valerio (L.) Polito, figlio di Pubblio nipote di Poplicola. Ap pio gl impedisce di dire il sno parere, e come. XI. Valerio Manio fratello di Poplicola fatto dittatore. VI. 3 g. Valerio (M.) fratello di Poplicola l ano dei comandanti del1 armata Romana. V. ,22. Valerio (M.) console. X. 3 i. Valerio (P.) Sabino di origine, 1 ano dei padri della libert; Romana. IV. 67. Prende i complici della oonginra. V. 7. Nei seguenti si hanno le altre imprese. Valerio (P.) figlio di Poplicola i mandato a .comprare i grani in Sicilia. VII. 1. Valerio (P.) Poplicola console. IX. 28. X. 9. Moore colpito da un sasso. X. 16. Valerio (P-) Poplicola padre di Lucio Valerio Polito. XI. 4 -

Valerio Storico. II. i 3 . Valerio Voleto. II. 40 . Vazia, o Bazia , paese degli Abovigeni. I. 6. Vejo, fortissima citt di Etraria,. IX. 35 . Situazione e distaaza da Roma. II. Vejenti, fanno tregua con Romolo. II. 55 . Cospirano coi F i deoati contro i Romani. IH . 6. Tulio Ostilio prende i loro aocampamenti, 25 . Anco Marzio li vince, 4 *- Come pure Tarqoinio Prisco, 58 . E Servio Tallio. IV. 27. Tentano riportare al trono i Tarquinj. V. i 4 Sono vinti dai Ro mani, i 5. Cornelio accorda loro la tregua. VIII. 82. Sac cheggiano il territorio di Roma e ne sono repressi, 91. Cercano il soccorso degli Etruschi contro i Romani. IX. 1 , 5 . Assalgono i Romani dipersi, 19. Scorrono fino al Giannicolo, ivi. Implorano soocorso dagli Etruschi contro i Romani, 16. Appoggiati all aiuto degli Etruschi e dei Sabini riprendono di nuovo le armi contro i Romani, H . Ottengono nna tregua di anni quaranta, 36 . Si-accingono a ribellarsi. XI. 54 * Velia luogo di Roma. I. 12. V. 19. Velletri , citt dei Volsci ti rende ad Anco Marzio. III. 4 2E presa da Verginio coatole. VI. Rifinita di popolo dalla peste, chiama dei colorii da Roma. VII. 12. Vetbola o Sueaiola paese degli Aborgeni. I, 6. Vetta la terra. II. 66. Perch siale consagrato il fuoco : e a chi siano note le cose sacre di essa , ivi. Tempio di Ve tta ,. 5 o. Da ohi prima fosse fabbricato e dove* 65 . Perch Vi ti onttodisse il fa eoo e dalle Vergini, 66. Nel tempio non potevano pernottare de*maschi, 67. Fonte al tempio di Vesta. VI. i 3. Vestali , vergini nobilissime. I. 61. Da obi fossero prima isti tuite. II. 65 . Quante ne stabilisse Noma , e qnaote gli altri R e, 67. Tarqainio Prisco ne aggiunte- due. III. 67. Offizj loro. IL 66. Quanto tetapo dovessero conservare la ver-

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gioiti. I. 68- II. 67. Dopo questo tempo poteano maritarli. II. 67. Onori delle Vestali, ivi. Loro gastigo e lasciavano corrompersi. I. 69. II. 7. III. 67. Vestale ooovinta di stupro sottoposta a pene solenni. IX. 4 ** VIII. 89. Suppli zio dei corruttori delle Vestali. V ili. 8q. IX. o. Veto ri, madre di Coriolano. Vedi Cartolai10. Veto rio (C.) console. X. 32 . Veturio (P.) oonsole. V. 58 . Veturio (T.) Gemino console. VI. 34 . IX. 69. Marcia contro i Volsci. IX. 69. Ne trionfa: ne ottiene la ovazione , 71. E fatto Decemviro. X. 57 Virginio (A.) Montano console. VI. 34 >Va contro i Volici, 2. Va Legato alla plebe profuga, 69. Virginio (A..) console. IX. i 5. Virginio (A.) Celimontano consolo. IX. 56. Virginio (A.) triumviro. IX. 59. Virginio (A.) tribano della plebe. X. 2 e seg. Virginio (Op.) Tricosto console. V. 4 9 * Virginio Poclo console. Vili. 5 8 , 71. Virginio (Sp.) console. X. 3 i. Virginio (T.) console. VI. 2. Volsci, sono ridotti in dovere da Anco Marzio. III. i . Due citt dei Volsci si collegano con Tarquinio superbo. IV. 49 * Il quale iufesta il territorio delle altre, 52 . Mandano am basciatori a Gabio perch voglia far guerra con essi a Tar quinio , 53 . 1 Volaci ricusano soccorrere i Romani contro i Latini. V. 4 2. Anzi apparecchiansi a soccorrere i Latini con tro i Romani. VI. 5 . Giungono in soccorso dei Latini dopo la battaglia, i 4 * .Mandano ambasciatori al campo Romano per esplorarlo, 15 . Si emiliano e tornano a ribellarsi, a. Servilio li debella, 29. In pena .ne sono uccisi in Roma gli ostaggi, 3 o. Servilio ne trionfa contro il voto del Senato, ivi. Mandano legati io Roma a richiedere ciocch era stato tolto loroj 34 Sono costretti a ricever* i coloni Romani,

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VI. 43 e seg. Dopo ia gnera Latina i primi fomentano la belluine dai Romaoi, 7 6 . Poetomio Cominio li debella, g . In tempo di fame macchinano contro i Romani, ma la pe ate li raffrena. VII. 1 2 . Volici' comandati che escano da Roma tatti per ana porta. Vili. 4 - Ridomandano per mezzo di legati le loro cose ai Romani, g . Intimano guerra ai Romani e creano capitano Coriolano, 11. Il quale gli ac costuma alla disciplina militare dei Romaui, 5 7 . Marciano con gli Equi contro i Romani , e si attaocano fra loro, 6 5 . Chiedono paoe dai Romani, 6 8 . Q. Fabio li rince, 8 2 . Si confederano di nuovo con gli Equi contro i Romani. IX. 16. Resistono bravamente a Servilio console , ivi. Nauzio console devasta le loro campagne, 3 5 . Sono presi i loro accampamenti, 5 8 . In tempo di peste cospirano con gli Equi contro i Romani, 67. Sono respinti, 70. Valerio li sbaraglia. XI. 4 "} * Volscio (M.) tribuno della plebe. X* 7. Volunnia moglie di Coriolano. VIII. 4 o. Come ricevuta da Coriolano , 45 . Volunnio (P.) console. X. 1.

I NDICE
Delle Tavole e Carte contenute netti tre Volumi delle A n tich it Romane d i D ionigi d i Alicarnasso. T om .
I. II. n III. R itratto dell Autore in p rin cip io C arta Sel li Antichi Contorni di Roma . . iv i L a P o r ca 0 0 3o porcelli; e la L upa del Campidoglio iv i Carta topografica dall antica Roma . . n iv i R itratto di G ioaio B r a t o ....................................... ....... 8 9 T a v . I . e l i . Tem pio d i Giano e tu e vestigi.

FINE.

V E S T IG I

DEL

TEM PIO

DI

GIANO

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