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com/2009/10/porno-cyborg-
3.html)
Al Woodstock Film Festival è stato presentato "2B - The Era of Flesh is Over", un film di
fantascienza ambientato in un futuro molto prossimo ispirato all’attuale rivoluzione tecno-
scientifica.
Collegato ai temi del film, il pannello di discussione "Redesigning Humanity -- The New
Frontier", moderato dal bioetico James J. Hughes, a cui partecipano Ray Kurzweil, il
produttore del film Martine Rothblatt e l’autore Wendell, prova ad esplorare le prospettive
neo-tecnologiche – relative soprattutto a Intelligenza Artificiale, nanotecnologia, ingegneria
genetica – che forniranno all’umanità la possibilità di trascendere i propri limiti fondendosi
con la tecnologia.
Oggi, per costruire in laboratorio un “uomo da sei milioni di dollari” come l'astronauta
bionico Steve Austin - impersonato da Lee Majors nel fortunato telefilm degli anni Settanta
– ne basterebbero 250 mila.
A dirlo sono gli scienziati dell'inglese Institution Engineering & Technology che in un
articolo pubblicato sulla rivista dell'istituto hanno spiegato come esistano già dei prodotti in
grado non solo di riprodurre un uomo bionico (con tanto di gamba, mano e occhio
artificiali), ma di dargli pure una forza sovrumana e come queste innovazioni funzionino e
si combinino perfettamente su un corpo umano.
«Chiunque sia cresciuto con il mito dell'uomo da sei milioni di dollari sarà probabilmente
molto sorpreso dal fatto che non siamo ancora in grado di correre a velocità record o di
saltare da un palazzo all’altro – ha commentato il direttore della rivista, Dickon Ross, dalle
colonne del Daily Mai" – ma che in realtà ci sono dei recenti ed interessantissimi sviluppi,
che stanno trasformando la tecnologia da fantascienza a scienza di fatti e a prezzi
contenuti».
Qualche esempio, giusto per rendere l'idea: il "Power Knee" dell’islandese Ossur è il primo
componente bionico di un corpo artificiale destinato a coloro che hanno dovuto subire
l'amputazione della gamba fino al ginocchio ed è in grado di sincronizzare
automaticamente il suo movimento con quello della gamba sana (costo: 126mila dollari,
ovvero 87mila euro); l' “i-LIMB” dell'inglese Touch Bionics è una vera mano ricostruita in
laboratorio, i cui movimenti delle singole dita sono controllati da fili che ricevono i segnali
direttamente dal cervello. L'arto può poi essere ricoperto con pelle artificiale (costo: 73mila
dollari, equivalenti a circa 50mila euro); altro prodotto già pronto all'utilizzo è l'esoscheletro
(ovvero, una struttura mobile esterna, in grado di potenziare le capacità fisiche
dell'utilizzatore che ne viene rivestito e che costituisce una sorta di "muscolatura
artificiale", ndr) sviluppato dalla Berkeley Bionics e formato da due gambe motorizzate, un
piccolo computer e uno zaino pieno di pesi che nessuna persona normale potrebbe
reggere sulle spalle per troppo tempo (costo: 20mila dollari, poco meno di 14mila euro);
mentre, grazie al lavoro degli scienziati del Moorfields Eye Hospital di Londra è già
possibile avere la vista a raggi infrarossi (utile soprattutto per i soldati al fronte) per merito
di un impianto sulla retina (costo: 30mila dollari, pari a circa 20.500 euro).
L'uomo da sei milioni di dollari? Oggi ne costerebbe 250 mila 12 settembre 2009
The cut-price $6m man: Scientists say they can recreate him... for just £150,000 12
Settembre 2009
L'innovazione rende più realistica una protesi della mano 09 ottobre 2009
Power Knee
Tessuto cerebrale umano collegato a una macchina. Il primo tentativo di creare un vero e
proprio cyborg.
Una volta che una coltura di neuroni umani, precedentemente predisposta, avrà raggiunto
i requisiti necessari, Kevin Warwick e Ben Whalley, due fra gli scienziati che occupano di
questo progetto all'Università di Reading, la collegheranno ad un meccanismo robotico
che sarà controllato da un cervello bio-elettronico contenente lo stesso materiale biologico
del cervello umano.
In precedenza era stato realizzato, da Steve Potter nel 2002, un “Hybrot” controllato da un
computer che utilizzava cellule neurali di topo. L’esperimento attuale, invece, che
dovrebbe portare anche e sopratutto a una maggiore comprensione delle malattie neurali,
coinvolgerà cellule neuronali umane coltivate in vitro: l'agglomerato di neuroni umani verrà
appilcato ad un chip di silicio.
Come il precedente robot, anche questo avrà le dimensioni di una tazzina da caffè: una
volta posizionato in una apposita test area, dovrà superare una serie di ostacoli con
l'ausilio dell'intelletto.
Nel descrivere i vari aspetti della ricerca, Warwick ha confermato la volontà sua e dei suoi
colleghi di indagare più a fondo nella struttura del cervello umano, osservandone le
reazioni a vari stimoli: "Cercheremo di capire - ha spiegato - quali possano essere le
differenze o le similitudini tra i due robot sotto l'aspetto dell'apprendimento e della
memoria".
Dal punto di vista etico non dovrebbero esserci ostacoli: il mercato delle colture cellulari è
libero.
Dentro il robot, cervello umano PI 11 settembre 2009
Hybrot - Wikipedia
Distrutto per l'omicidio del suo piccolo bambino investito da una macchina, un uomo
d'affari americano di Tokyo non riesce più a controllare la rabbia, repressa nel corso di
un'intera esistenza, e poco a poco si trasforma in un mostruoso ibrido tecno-biologico:
vapore e olio, fibre muscolari che diventano letali armi metalliche, esplosione a raffica di
pallottole, un vero e proprio “bullet man”, un uomo-proiettile.
“Tetsuo: The Bullet Man”, primo film in lingua inglese del regista nipponico Shinya
Tsukamoto, chiude una trilogia cominciata nel 1988 con “Tetsuo The Iron Man” e
proseguita nel 1992 con “Tetsuo II: Body Hammer”, un progetto cinematografico radicale
caratterizzato da un linguaggio e un'estetica divenuti inconfondibili: la mutazione
transumana della “nuova carne”, le deflagrazioni metalliche industriali dell’inferno
metropolitano (contrappuntate dall'elettronica martellante di Chu Ishikawa), l’invasione
della macchina, il sex-appeal dell’inorganico.
Il cineasta totale Tsukamoto (al solito, anche sceneggiatore, direttore della fotografia,
montatore e scenografo) si fa demiurgo che implora la sua stessa creatura di ucciderlo:
The Bullet Man riflette violentemente sulla dicotomia tra "la perfetta evoluzione dell'essere
umano" (indistruttibile androide, nuova potenziale arma di distruzione di massa) e quel
poco di cuore (e sangue non contaminato) che gli è rimasto.
Il primo esemplare è stato presentato alla International Robot Exposition di Tokyo nel
2003. Da allora ne sono stati prodotte diverse versioni. Tutte comunque modellate
sull’immagine di una giovane donna media giapponese.
Actroid è la prima macchina che realizza nella realtà ciò che da tempo la fantascienza
aveva immaginato usando i termini androide e ginoide. È in grado di imitare alcune
funzioni vitali come sbattere le palpebre, parlare, respirare. I vari modelli della serie
possono anche interagire avendo la capacità di riconoscere e processare il linguaggio. I
sensori interni gli consentono di reagire in modo apparentemente naturale.
I primi modelli avevano 42 punti di articolazione, quelli più recenti ne hanno 47, anche se il
movimento della parte inferiore del corpo è più limitato. Il sistema sensorio del robot
insieme con I suoi movimenti lo rende abbastanza rapido da reagire ad eventuali
movimenti invasivi come uno schiaffo o una spinta. La sua intelligenza artificiale gli dà la
possibilità di reagire in modo differente a tocchi più gentili come una pacca sulla spalla.
Gli Actroidi interattivi possono comunicare ad un livello rudimentale parlando con umani:
attraverso dei microfoni registrano le parole poi il suono viene filtrato per rimuovere il
rumore di sottofondo e tramite un software specifico l’audio viene convertito in parole e
frasi che vengono processate dall’intellligenza artificiale; dopodiché Actroid darà una sua
risposta attraverso altoparlanti esterni all’unità.
“Repliee Q1”, o più brevemente Q1, è il primo robot veramente androide costruito da
Hiroshi Ishiguro, professore dell'Università di Osaka (è stato presentato all'Expo 2005 di
Aichi).
Q1 è la replica robotica di una donna giapponese di giovane età, molto realistica. Lei e la
sua “sorellina” (Repliee R1) sono dotati di una certa intelligenza e sono capaci di avere un
certo grado comunicatività. Uno degli obiettivi del costruttore consiste nel riuscire ad
ingannare un essere umano in modo che creda, almeno per qualche minuto, di essere
davanti ad un altro essere umano. Una sorta di test di Turing rivisitato.
«Io voglio arrivare a costruire robot così simili all'uomo da riuscire a ingannare la nostra
percezione anche per una decina di minuti», ha dichiarato Ishiguru, che ha anche
precisato di essersi accorto molto presto nella sua attività di creatore di robot di quanto
fosse importante l'aspetto delle sue creature.
L'aspetto di Q1 è davvero notevole, non solo perchè si tratta proprio di un'androide molto
«graziosa», ma anche perchè molti aspetti fondamentali per la «resa emotiva» sono
curatissimi, a cominciare dalla pelle, realizzata in soffice silicone invece che con la
comune plastica dura usata di solito in questi casi.
Il modello “sorella”, Repliee R1, è una replica artificiale di una piccola giapponese di
soli cinque anni.
Ha anche il «dono» della parola. Poche frasi, ben inteso, si esprime proprio come una
bambina qualsiasi della sua età.
Dal Giappone arriva l'androide femmina 29 luglio 2005
EveR-2 Muse the Uncanniest Humanlike Robot Yet? Wired 03 gennaio 2007
Actroid - Wikipedia
C’è poi Simroid, un paziente robot odontoiatrico concepito come strumento di formazione
per dentisti: può seguire istruzioni vocali, monitorare attentamente le prestazioni di un
dentista durante la simulazione trattamenti, e reagire in un modo umano, come per il
dolore della bocca.
In pochi secondi risolve equazioni, individua colori, riesce a leggere, nonché ad accudire il
proprio "marito". Anagraficamente ha 20 anni, è alta poco più di un metro e mezzo, ha
pelle di silicone e morbidi capelli ed ha il visetto tipico della maliziosa collegiale nipponica,
già visto in innumerevoli manga.
Aiko, l'androide creato dall'ingegnere Le Trung dopo due anni di intenso lavoro e diverse
migliaia di dollari spesi, è stata ribattezzata “la donna perfetta”.
Aiko, che in giapponese dovrebbe significare "love child", riesce a riconoscere gli oggetti,
a seguirli con lo sguardo, a memorizzare più di 250 volti associando il relativo nome in
pochissimo tempo, ad eseguire in pochi secondi la stessa equazione, ad indicare la toilette
e a fornire le previsioni meteo di qualsiasi città connettendosi ad Internet. Ma non solo:
Aiko riesce a leggere perfettamente in Inglese e in Giapponese e a pronunciare circa
13mila frasi.
Aiko ha un carattere tutto suo che non esita a tirar fuori in qualsiasi occasione: sembra
educata, decisa, ma un po' freddina. Com'è normale che sia, reagisce agli stimoli, anche
quelli meno ortodossi: basta farle qualche complimento sul suo seno o chiederle di leccare
un alluce per sentirsi rispondere frasi del tipo "smettila di prendermi in giro e di fantasticare
su di me" oppure "non farò quello che mi hai chiesto, non sono la tua schiava personale".
Dal momento che ad ogni evento dal vivo i suoi seni sono oggetto di generose carezze
maschili, il suo padrone le ha insegnato anche a "menare": dopo il primo avvertimento
vocale, Aiko elargirà un sonoro ceffone a chiunque tenti di toccarla in maniera
inappropriata.
La notizia ha subito fatto il giro di blog e tabloid, creando un curioso scenario che vede il
creatore innamorato della sua fidanzata robotica, un'atmosfera che ricorda da vicino il film
“Lars e una ragazza tutta sua”.
«Aiko è quello che accade quando la scienza si unisce alla bellezza – ha dichiarato Le
Trung – non ha bisogno di mangiare o di riposo, e lavora 24 ore al giorno. È la donna
perfetta».
C’è perfino chi parla di feto artificiale: le donne potrebbero essere molto più attive sul
posto di lavoro se i bambini trascorressero la gestazione dentro uteri artificiali; si
eviterebbero le tribolazioni di una gravidanza normale, con tutti i relativi problemi delle
nausee mattutine, dell'aumento di peso, della fatica, delle smagliature, delle vene
varicose, dell'insonnia e altri inconvenienti, come l'aumentato rischio di diabete e
l'ipertensione.
Internet e sesso: il virtuale piace agli italiani e crea anche dipendenza 15 ottobre
2009
Agli inizi del 21° secolo, gli scienziati della Genom Corporation creano i "Gen-XXX",
meglio conosciuti come "I.K.U. Coders". Si tratta di esseri virtuali dotati di corpi perfetti
simili agli umani in tutto tranne che per il loro insaziabile appetito sessuale.
Programmati per raccogliere dati, gli I.K.U. si mescolano nella notte agli uomini normali
per studiarne manie e perversioni ed aprire loro le porte ad una nuova sessualità.
Premiato al Sundance Film Festival, il film “I.K.U.”, diretto dalla giapponese Shu Lea
Cheang, media artist e film-maker nata a Taiwan, trasporta le atmosfere di “Blade Runner”
in un universo cyber-porno-psichedelico popolato di porno-eroine virtuali: le I.K.U. Coders,
i replicanti della GENOM Corporation dotate di chip che trasmettono dati erotici agli utenti,
che possono raggiungere intense forme di piacere senza alcun contatto fisico, accedendo
a livello neuronale all'I.K.U. Server attraverso un “Net Glass Phone”.
Per collezionare i biodati necessari a riempire la memoria dei chip, la Corporation produce
sette donne-avatar, che agiscono come dei virus nei corpi delle persone con cui hanno
rapporti e ne catturano emozioni da rivendere. Le porno-avatar possono mutare
conformazione a seconda delle preferenze e desideri di chiunque, siano essi uomini,
donne o transgender.
Sulle orme di "Videodrome" e "Ghost in the Shell 2", I.K.U. traspone sullo schermo il "sex
appeal dell'inorganico", interrogandosi sulla possibilità di un futuro in cui la fruizione del
piacere sarà governata da grandi multinazionali e in cui gli uomini perderanno l'abitudine
del contatto fisico (il cyber-sex o virtual sex attualmente disponibile ne è una
prefigurazione)..
I.K.U. - Wikipedia
"La maggior parte dell’allevamento dei bambini ha a che fare con la conservazione dei
rapporti di potere… il modo attraverso il quale si compie, pone la donna in
contrapposizione al bambino" (S.Firestone, op. cit.). Ciò obbligava, secondo la Firestone,
la donna a scegliere tra l’allevamento del figlio e la propria esistenza. Invece, essa
sostenne, un giorno sarebbero state le macchine cibernetiche a produrre i figli e ad
allevarli ci avrebbe pensato la società comunitaria. Queste affermazioni ebbero una forza
prorompente per l’effetto che produssero: sgombrarono l’orizzonte da ciò che è era già
stato definito, creando la possibilità di un vuoto nel quale ridisegnare il proprio sguardo.
Riponendo la fiducia nella tecnologia (considerata erroneamente una forza neutra e non
uno strumento del dominio maschile, ndr), la studiosa americana invitò a sbarazzarsi
dell’ordine che inscriveva la donna all’interno della funzione materna e dentro l’ordine
familiare. Attraverso ciò, la donna poteva così liberarsi di una identità alienante definita
sulla base della costituzione biologica.
Questo costituisce un punto chiave, di svolta epistemologica, nella storia del femminismo:
pur di ribellarsi alla sottomissione di un maschio-padrone collettivo, del tutto astratto, si
comincia a mettere in discussione la natura stessa della donna, arrivando perfino a negare
una funzione primaria del femminile, ovvero la maternità, consegnandola nel grembo di un
mostruoso “tecno-utero” (in pratica nelle mani della porno-scienza controllata dalle
megacorporzioni biotecnologiche, ndr).
Si entra così in una seconda fase del femminismo, la cosiddetta “seconda ondata”, seguita
alla prima ondata del movimento politico - quando le donne avevano cominciato a
scendere in piazza rivendicando maggiore libertà - che si caratterizzerà per le sue
elaborazioni culturali radicali.
Tra le maggiori intellettuali di questa seconda ondata, si afferma l’idea che le donne non
guadagneranno in libertà aderendo al tradizionale modello di soggetto libero (che in teoria
dovrebbe essere neutro ma in realtà è maschile), ma che si debbano ripensare le stesse
strutture del pensiero, in modo da consentire alle donne la "libertà di dare forma a se
stesse in accordo con tutte le differenze che ognuna trova significative" (G. Bock, S.
James, “Beyond Equality and Difference”, London-New York, Routledge, 1992, p. 7).
(...) Non potete fare a meno di mettere in dubbio il significato fondamentale di questi
elementi [maschile e femminile] e trarre la conclusione che ciò che costituisce la
mascolinità o la femminilità sia un carattere sconosciuto, che l'anatomia non può afferrare.
L'oggettività del discorso scientifico, di quello anatomico almeno, riguardo la differenza dei
sessi, finisce dunque per bloccarsi davanti l'attesa della scoperta d'una incognita (...)
Nel 1974 viene pubblicato in Francia "Speculum. De l'Autre Femme" (“Speculum L’Altra
Donnna”, Feltrinelli, Milano, 1977) di Luce Irigaray (nata nel 1930 a Blaton, Belgio), opera
divenuta pietra militare per il pensiero della differenza sessuale. Il testo appare in Italia già
l'anno successivo, edito dalla Feltrinelli per iniziativa di Maria Gregorio e Luisa Muraro
(alla quale si deve anche la splendida traduzione), che ne avevano immediatamente
intuito il valore. Il libro si rivela un vero successo editoriale e ottiene grande risonanza di
critica.
La Irigaray sostiene la tesi di fondo che l’assolutizzazione della sessualità maschile, come
nel caso della psicoanalisi, è assunta come prototipo dell’intera vita sessuale (anche di
quella femminile) con la conseguente cancellazione dell’identità sessuale delle donne, in
quanto autenticamente differente e quindi non leggibile in termini di specularità rispetto a
quella maschile.
L’Altro con la maiuscola che Lacan barra per negare che possa mai effettivamente darsi
un’esperienza con un’alterità non proiettiva, non quindi impregnata e frammista di un Io
che a sua volta non si conosce mai a prescindere dai continui, reiterati, ‘alter-ego’ che in
una specie di parossistico gioco di specchi gli prospettano i tanti aspetti di sé che volta per
volta è in grado di vedere, deve dunque, nella prospettiva femminista di Irigaray, essere
tolto di mezzo dal discorso innanzitutto filosofico che mantiene il suo ruolo di matrice
rispetto agli altri discorsi culturali
(…) (La/una) donna può dunque essere a rigore un significante – posto eventualmente
sotto la sbarra – nel sistema logico delle rappresentazioni o dei rappresentanti
rappresentativi del "soggetto", ma quest’abbattimento più che avere intenti distruttivi serve
a lasciare posto all’emergenza di un’alterità con la minuscola, necessariamente declinata
al plurale come ‘le altre’, ‘gli altri’, cioè come quella proliferazione di differenze non
omologabili all’uguale in cui si manifesta la costitutiva relazionalità degli esseri umani,
uomini e donne; relazionalità, sintetizzata nei più recenti testi di Irigaray in forma di "io tu
noi", su cui si fonda la potenzialità dialogica di discorsi che non ricadano nella ripetizione
(…) (L.Irigaray, "Io Tu Noi. Per una Cultura della Differenza", Bollati Boringhieri, Torino,
1992)
[…] Ciò che pensavamo di scoprire come mistero nei paesi lontani, si rivela mistero molto
vicino a noi, in noi: mistero di noi in quanto due generi. […] i generi non sono opposti né in
contraddizione […] la loro differenza necessita un nuovo pensiero, un nuovo discorso […]
(L.Irigaray, “Sessi e Genealogie”, tr.it., La Tartaruga, 1989).
Questo spostamento della critica femminista si ritrova anche nella “fantascienza delle
donne”, un movimento letterario sviluppatosi tra gli anni Sessanta e Settanta ad opera di
scrittrici come Ursula Le Guin, Joanna Russ, Alice Sheldon, Doris Lessig, Octavia Butler
ecc.
A differenza del mito, che postula l’ipotesi di un tempo e un luogo originari - che la
fantascienza delle donne classica descrive spesso come un mondo pacifico, in armonia
con la natura, sotto la tutela della Grande Madre, destabilizzato dall’affermarsi del principio
di dominio maschile – la fantascienza ha un atteggiamento più realista, più disincantato,
offre uno sguardo più crudo. Questo ha permesso alle autrici più radicali di sviscerare
un’immagine più complessa della donna, comprendente diverse dimensioni, incluse anche
quelle più aschili come la violenza.
È il caso di “Female Man” di Joanna Russ, la più militante, che intraprende un viaggio
nell’Altra Donna mettendo a confronto diversi tipi femminili operanti in diversi contesti.
Proprio su questo rifiuto del mito di una originaria completezza, in generale di ogni mito
delle origini, si fonda il discorso della femminista più radicale della seconda ondata.
Nel suo "Manifesto Cyborg", Donna Haraway proclama che il mito della Grande Madre
non può più essere di grande utilità e propone di sostituirlo con un “ironico mito politico,
fedele al femminismo, al socialismo e al materialismo”, ma fedele “come l’empietà, non
come la venerazione o l’identificazione” (D.Haraway, “Manifesto Cyborg”, citato in “Houdini
e Faust Breve Storia del Cyberpunk”, Antonio Baronia e Domenico Gallo, Baldini &
Castaldi, 1997).
Per “uscire dal labirinto dei dualismi”, che hanno segnato tanto la cultura dominante
quanto quella di opposizione, Haraway “preferisce essere cyborg che dea” (Haraway,
ibidem).
“Essere cyborg (e per Donna Haraway ormai tutti lo siamo) significa accettare la
simultanea parentela con l’animale e la macchina. Ma le macchine, diversamente dagli
animali, mutano ad una velocità spaventosa. Una volta accettata la parentela con la
macchina, davanti agli esseri umani si apre la prospettiva di identità sempre parziali e
variabili, di punti di vista instabili e contraddittori. (…) La proposta di Donna Haraway è
allora quella di accettare una politica della mutazione, di abbandonare i sogni di innocenza
originaria e di abbracciare le limitazioni del linguaggio, il suo tradimento della
rappresentazione completa e totale (…) Il cyborg non vanta né primato morale né purezza
di origini, stabilisce invece l’amorale forza dell’ibrido, il potere dei margini, l’estetica delle
molteplici tradizioni” (“Houdini e Faust Breve Storia del Cyberpunk”, op. cit.)
La Haraway cita esplicitamente “Female Man” in cui la Russ aveva già rotto con l’unità del
matriarcato e dell’androginia scegliendo la frammentazione e il decentramento in perfetto
stile postmoderno.
"La riproduzione è disgiunta dalla riproduzione organica" sostiene, "il cyborg è creatura in
un mondo post-sessuale".
La rivoluzione sessuale teorizzata dalle femministe più radicali delinea fra gli "imperativi
strutturali" le condizioni sine qua non per un sistema alternativo, la prima delle quali è: "la
ribellione delle donne dalla tirannia della loro biologia riproduttiva con tutti i mezzi a
disposizione, e l'estensione di procreare e allevare bambini alla società nel suo
complesso, sia uomini che donne".
"Liberare le donne dalla loro biologia vuol dire minacciare l'unità sociale che è organizzata
intorno alla riproduzione biologica e alla soggezione delle donne al loro destino biologico,
la famiglia".
Durante gli anni Ottanta, dal convegno del FINRRAGE (Feminist International Network of
Resistance to Reproductive and Genetic Engineering) del 1985, esce una risoluzione che
recita:
“Il corpo femminile, con la sua capacità unica di creare vita umana, sta per essere
espropriato e sezionato come mero materiale per la produzione tecnologica di essere
umani. Per noi donne, per la natura, e per i popoli sfruttati del mondo questo sviluppo è
una dichiarazione di guerra. L'ingegneria riproduttiva genetica è un altro tentativo di porre
fine all'autodeterminazione dei nostri corpi. Noi resisteremo allo sviluppo e all'applicazione
dell'ingegneria riproduttiva e genetica. Sappiamo che la tecnologia non può risolvere
nessuno di quei problemi creati da condizioni di sfruttamento. Non è necessario
trasformare la nostra biologia, ma è necessario trasformare le nostre condizioni patriarcali,
sociali, politiche ed economiche.
Di fatto, " è in atto un vasto processo di speculazione che si fonda sulla manipolazione del
desiderio procreativo in particolare materno" ed è certo che "la generazione, sganciata
della sessualità, ha trovato un luogo privilegiato nell'istituzione medica" (Silvia Vegetti
Finzi).
Per la prima volta nella loro storia, le donne sono vicine alla possibilità di slegarsi da un
ruolo che se da una parte le ha vincolate al genere e alla riproduzione, dall'altra ha
strutturato la loro stessa identità, in modo univoco, nella maternità biologica.
"Sia Shulamit Firestone che Marge Piercy percepiscono la capacità riproduttiva delle
donne come un problema, un impedimento alla parità di genere. Nelle loro speculazioni
sulle società future, esse sono più inclini a cancellare la specificità del ruolo riproduttivo
femminile che a cambiarne la percezione e la validazione" (Jose van Dijk).
Nel mondo postumano dell’alta tecnologia, l'attaccarsi alle appartenenze e alle identità
fisse è troppo rischioso. Bisogna essere in grado, al contrario, di svincolarsi da tutte le
appartenenze, soprattutto quella di sesso/genere, poter porre le basi di una società post-
genere.
"Il progetto genoma di definire il genoma umano leggendolo e scrivendolo è una specie di
tecnologia dell'umanesimo postmoderno. (...) Il progetto genoma umano potrebbe definire
come esseri le specie postmoderne (con buona pace dei filosofi), ma cosa ne sarebbe
degli individui?" (D. Haraway)
Rosi Braidotti interpreta la postmodernità come l’età delle differenze, cioè l’epoca del
ritorno degli “altri” della modernità, di quelle identità escluse e svalutate, necessarie
all’affermazione del soggetto moderno. Il femminismo, le lotte antirazziste, i movimenti
animalisti e ambientalisti, rappresentano il ritorno e l’esplosione di quello che nella
modernità aveva avuto una funzione strettamente necessaria: l’altro sessualizzato (la
donna), l’altro razzializato, o etnicizzato (…), e l’altro naturale ( l’ambiente, l’animale)
hanno funzionato da specchio, in cui il Sé moderno ha potuto vedere riflessa la propria
identità, forte dei suoi chiari confini (L’Altro è lì per servire il Sé, la funzione dell’Altro è
quella di essere strutturalmente necessario e completamente invisibile).
Nell’epoca della crisi del soggetto, in cui tanti optano allegramente per la sua dissoluzione,
la sfida del femminismo è quella di trovare forme alternative di soggettività, che siano
rispettose delle differenze senza abdicare al relativismo, che non rinuncino alla rilevanza
politica del significante “donna” senza tuttavia ancorarlo a dimensioni essenzialistiche e
normative: si tratta di un balzo in avanti, non di un ritorno indietro verso la glorificazione di
un potere femminile autentico e arcaico o di una “vera” essenza finora ben occultata. Non
vuole recuperare un’origine perduta o una terra dimenticata, ma piuttosto determinare qui
ed ora una modalità di rappresentazione che assuma il fatto di essere donna come forza
politica positiva ed autoaffermativa (R. Braidotti, “Soggetto nomade. Femminismo e crisi
della modernità”, Donzelli Editore, Roma, 1995)
È indubbio che gran parte del successo del gioco e del film “Tomb Raider” sia dovuto alle
forme avvenenti della protagonista, Lara Croft.
Nel tempo sono circolate in rete diverse voci di corridoio che spiegavano il perché di
questa scelta stilistica da parte dei programmatori. Alcune affermano che il disegnatore
aveva erroneamente allungato i poligoni costituenti il seno di Lara e successivamente
aveva scelto di non correggere l'errore.
Sulla rete è diventata molto famosa la patch per PC “Nude Raider “che permette di giocare
con Lara completamente nuda.
Con le sue lunghe gambe, le spalle strette, la faccia da bambola e soprattutto il seno
abbondante, corrisponde al già familiare schema delle bambole Barbie incessantemente
propagatosi dagli anni Sessanta dall’industria dell’intrattenimento e dai mass media del
mondo occidentale come l’immagine della “donna ideale” fornita delle “misure ideali”.
Nel caso di Lara Croft, l’artificialità della costruzione è ancora più evidente: domina una
identità femminile piuttosto stabile ed uniforme, modellata secondo un gusto tipicamente
maschilista, che contraddice la definizione della Haraway secondo cui Lara Croft sarebbe
un “cyborg post-gender” con cui si possono identificare i giocatori di entrambi i sessi.
In realtà,. Lara Croft è una porno-cyborg, una creatura dell’industria culturale digitale
assoggettata ai dettami del porno impero.
«La vita di Lara è tutta improntata alla rigidità, alla coerenza, alla realizzazione della sua
vera missione; il suo comportamento è prevedibile e si ripete permanentemente; la sua
over-sessualizzazione suggerisce una femminilità inerente».
Il fatto che Lara non sia mai mostrata completamente nuda e che mai intraprende delle
relazioni con altri personaggi che potrebbero suggerire una relazione sessuale fa pensare
ad una prospettiva “eteronormativa” così come il fatto che tutte le sue azioni sono guidate
da giocatori che non si trovano direttamente nel corpo di Lara ma che lo controllano. In
realtà, anche se la “ipersessualità” di Lara non è mai trasferita in atti sessuali all’interno del
gioco, quasi preservata in una sorta di castità verginale, funziona da stimolo per la
curiosità e il desiderio dei giocatori voyeurs.
Non a caso esistono su Internet innumerevoli siti di fan in cui Lara posa completamente
nuda o come starlet soft-porno. Ci sono poi diverse “patches” in cui Lara si spoglia oltre a
quella più famosa, conosciuta come «Nude Raider», per giocare con Laura
completamente nuda.
Creazioni che mostrano come Lara sia percepita come un oggetto sessuale di desiderio,
come una bambola animata, come una porno-cyborg.
All’opposto del cyborg teorizzato dalla Haraway come figura innovatrice, eversiva,
rivoluzionaria, creativa-distruttiva, portatrice di libertà, di progresso, di evoluzione, di
potenza, vive il porno-cyborg, incarnazione del sublime neo-tecnologico, dell’intenso
piacere della tecnica, simbolo della dissoluzione dell'organico da parte dell’inorganico.
Nel film di Ridley Scott "Blade Runner", ambientato in un mondo dove ormai sono quasi
indistinguibili i cyborg dagli esseri umani, la replicante Rachele contraddice la sua natura
robotica provando sentimenti umani come la paura e l' amore.
"Cybersix", eroina dell'omonimo fumetto (in cuo il dottor Von Reichter, maestro di una
scienza della genetica piegata a fini poco morali, crea nel suo laboratorio dei cyborg
identificati da un numero la cui unica funzione é quella di esaurire l'infinita sete di potere
del loro creatore che vorrebbe arrivare a dominare il mondo) diviene la "rinnegata" da
uccidere in quanto simbolo di una libertà di pensiero e d' azione che neanche il malefico
Von Reichter è riuscito a soffocare all' interno di una provetta di laboratorio.
Il "mito della macchina", gi organismi immateriali che popolano i mondi virtuali, la “nuova
carne” tecno-biologica – “prodotto estremo del processo di contaminazione post-moderno
in cui si ha una comunione mistica della natura con la tecnologia, dell' io con il noi..."
(Canevacci – Mazzi, 1995) – si fondono nel porno-cyborg, simbolo della corruzione porno-
scientifica - corruzione delle membra, corruzione dello spirito, corruzione del desiderio,
corruzione dell’umano, corruzione della femminilità, corruzione della vita, corruzione della
sacralità - realizzata mediante lo stupro porno-tecnologico.
Cybersix - Wikipedia
PORNO CYBORG
PORNO CYBORG 2
PORNO ROBOTS
L’UOMO-MACCHINA
IO, ROBOT
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OUT OF CONTROL