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LI .

G9175P
Guastalla- Rosolino Il Poliziano e i poeti minori volgari del secolo XV.

LI.

G9H5p

PRESENTED TO

THE LIBRARY
BY

PROFESSOR MILTON
OF THE

A.

BUCHANAN

DEPARTMENT OF ITALIAN AND SPANISH


1906-1946

ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA ITALIANA

- IX.

IL POLIZIANO
E
I

POETI MINORI VOLGARI DEL SECOLO XV

LETTURE SCLTE
DA

ANNOTATE

ad uso delle RR. Scuole Normali

ROSOLINO GUASTALLA
Insegnante di Lettelo nella R. Scuola Normale Maschile
i Oneglia.

FIRENZE
R.

BKMPORAD
-

& FIGLIO
ROMA
Via,

Librai-Editori
27
|

MILANO

Via Agnello, 6
S. Lattes

Mmattc,

l'ISA

Bottoborj

TORINO,

&

C. -

NAPOLI, Societ Commerciale Libraria

BOLOGNA

GENOVA

Ditta Nicola Zanichelli Edoardo Smotti

Prezzo:

Cent. 40,

PROPRIET LETTERARIA
degli Editori R.

Bemporad &

Figlio.

Firenze, 11-1906

Societ Tipografica Fiorentina

Via

S. Gallo, 33.

LEONARDO GIUSTINIANI
(1388-144(5).

Lamento amoroso.
Ai me, che son ferito

da una anzoleta naia


Quel suo polito viso

al

paradiso.

m'ha
()

tolto el core, e

auzoleta, o caro el

da mi s' partito. mio thesoro,


in

del
<

mio viver colonna,


testa d'oro!

brezze biondo, che hai

Son ghirlande e corona;


o angelica persona,
onesta,
bel

vaga, acorta e signorile!


viso
z< 'utile

ohe dle belle donne porli


Misericordia,
pei

el

flore!

dio,

e'

'

le

domando,

o fiore d' ogni bellezze,

che zorno e riocte per


per
le

li

va penando

Ine zenlilezze.

Le lue bellezze adorne

me

ben

in

pene, e mai non trovo loc.

"

'-'

pace.

_
Questo amoroso foco

m'ha posto in Tu sei zentile,

guai e messo a mal partito.


savia e acostumata
:

honesta, vaga e bella

ora te vivi, madonna, inam orata,


lucente pi che stella
;

non
Mi,

esser, per Dio, quella


sii

che inver de mi tu
ti

chiama

crudele

servo Adele,
te

merc

chiamo, che non sia bandito.


ti

Oi me, se non credeste in

merc sperare,

per Dio,
so

me

alcideria

*
;

pur eh'
tu,

el te

piace pace adimandare.

Dolce speranza mia,

vo
el

che per

ti

sia

nostro amore al tuto posto in bando?


te

Amore,

racomando
el

questo to servo, eh'

non

sia bandito.

GIUSTO DE' CONTI


(1379?-1449).

Benedice

il

giorno che vide primamente la sua donna.

dunque benedetto il primo inganno Onde mi prese si che ancor mi tene Amor ferito a morte e V alta spene Che volle la mia vita a tanto affanno. E le faville accese che mi stanno
Sia

A
1

mille a mille sparse infra le vene

chiamata.
'1

mi

ucciderei.
'1

cfr.

Petrarca, sonetto
.

Benedetto sia

giorno e

mese

1'

anno

E Tor
Per
gli

eh' io scopersi lauto

bene

Sia benedetto l'amoroso

mi fanno. lampo Che mi percosse d'un soave ardore


occhi che di e notte dir
Il

di

eh' io vidi

il

bel sembiante

umano.

Sia

benedetto, quando per mio scampo


Corsi, x "fc>& fuggendo i
i

il

caldo d'altro amor


della bella

Alla dolce

ombra

Mano.

DOMENICO

DI

GIOVANNI

detto IL

BURCHIELLO

(1404-1449).

Per correggere

figliuoli.

Quando

il

fauci ul da piccolo scioccheggia

Castigai con la scopa e con parole,

da' sette anni in su, e

si

si

vuole

Adoperar

la sferza e la correggia:
ei

Se da' quindici in su

pur folleggia
ci

Prova

il

baston, che altro non

vuole,

tante gliene d, che, dove suole


;

Disubbidirti, perdonanza chieggia

se da' venti in su ei

t'

affatica

Fa mtterlo

in prigion se te

ne

cale,
:

E
E

quivi presso a

un anno

tei

nutrica

se dai trenta in su ei

pur fa male,

Amico mio, non durar pili fatica Che di trent' anni castigar non vale
Partii
*

da
li

te cotale
sia

Me' che tu puoi, bench

gran duolo,

fai

ragion

che non

ti

sia figliuolo.

allontanalo.

fa' conto,

Sul prender moglie.

CANZONETTA.
Pratel mio, non pigliar mogli*

Se non vuoi tormenti e doglie


Io
ti

voglio consigliare
il

Senza chieder

consiglio

!
:

Non
Non

voler moglie pigliare


il

Se tu vuo' far

tuo meglio

entrare in tal perglio


lieto e

Se vuoi star

contento

Che non
Sotto
'1

e'

maggior tormento
1'

Ciel che

aver moglie.

Fratel mio, etc


Sai perch lo fece

Dio
al

?
;

Per degnarci

Paradiso

per scampar canto e riso, Che non s' ha (io te n'avviso) Quella gloria senza pena E non e' tal disciplena 3 Sotto '1 Ciel che d'aver moglie.
:

E E

questo era

il

suo desio

Fratel mio, etc


Io lo so che l'ho provato

l'ho provato a tutte

1'

ore,

Clic

ho moglie

e parentato

Di tormento

e di dolore.

senza che sia chiesto.

farci degni.

disciplina,

tor

mento.

Vuo'

tu
la

far

lo

tuo migliore
o frate] mio,

Non

trre,
li

Clie io

giuro, in f' di Dio,


e'

Che non
Guarda come

le

maggior
grasso

doglie

Fratel mio, etc...


io ero

Trionfai, bello e polito,

Ed

or son smagrito e lasso

Tutto quanto sbalordito.


Questo avvien che son marito Questo bene
il

nome

dritto

Non

marito, anzi smarrito


piglia moglie.

Di qualunque

Fratel mio, etc....

Lamento
(attribuito a

di Pisa.
di

Pacino d'Antonio

Fucino da

Pisa).

Pensando

rimembrando
e'

il

dolce tempo

l'onorate pompe,
tutti e'

grandi onori

Da

gran signori
le

Gi ricevute, e

immense
e'

glorie,

E' gran trionfi e le spesse vittorie

le
i'

magnificenzie,
lio

gran tributi gran palazzo,

Ch'

gi ricevuti,
al
il

Stando nella mia sedia

l'allegrezza,

il

piacere,

sollazzo,

Che in ogni modo er' usata d'avere, Con ogni gran piacere
Di canti, di
viole,

giostre e ballo

il

senso resta sospeso.

Tal

volta

per piacere, ero a eavallo

Accompagnata come gran rei ini, Non come cittadina D'uomini e donne di gran degnitade. E cavalcando per la mia cittade
Vagheggiandola tutta per
diletto

Su nel divin cospetto


Salia,

vedendo in

lei

tanta bellezza.

altre volte per pi piacevolezza,

Come di i>i voler si muta l'omo, Andava al mio bel Domo


Poi a vedere
el

mio

bel Camposanto.

Poi ch'io avevo rimirato alquanto

Le

belle storie e
visitar le fonti

V arche

dei defonti,

Del mio bel san Giovanni ero in cammino.


Poi per piacere in questo e in quel giardino

Cogliendo violette, rose e

fiori

Di diversi

colori

Gli svernanti uccelletti stavo a udire.

Chi mai potrebbe vantarsi d' avere


Diletto avuto pari n maggiore

Di me, quanto nel core


N' era vedere le quete maree Accompagnata da cento galee
In una barca tutta ornata d'oro,

per mio concestoro

Donzelle e donzelletti in compagnia.

Al mondo non fu mai

tal

melodia

Di Di

canti, di viole e di liuti


pifferi e di fiuti
2

D'arpe, d'organetti e di

salteri

flauti.

strumenti musicali a corda.

Al

mondo non fu inai maggior piaceri, Come tal compagnia non stando indarno Per lo bel nume d'Arno
Vedere andar tanta gentilezza.

Qual potrebbe esser maggior allegrezza

Come

di

mezzo agosto

alla

gran festa

Veder si nobil gesta 8 Accompagnata da tanta milizia? Qual potrebbe esser mai maggior letizia

Come

a veder quel popol franco e drudo

Giucare a mazza e scudo


Colle vermiglie e dorate visiere
?

Or

chi avesse

veduto quelle schiere

Venire in piazza sotto bei stendardi,


Giovanetti gagliardi

Con diverse
Elmi con

divise e sopraveste,

fiocchi,

pennoncelli e creste

Con pennacchi di struzzi e di paoni Armati i buon pedoni Con grandi scudi e con le mazze in mano

serenissimo principe Gismondo

In cui la imperiai voce risona,


Vieni e piglia corona:

Qui mostra tua virt e gran potere.

Che

stai?

Che pensi pi? Vieni a sedere


il

Tutto

mondo
li

te

chiama, ornai che pensi


disiato onore

Vien per
E, se tu se'

tuoi gran censi


il

Vieni acquistare

magnanimo

Signore,

Come

per l'universo n'hai la fama,

la

festa

dell'Assunta.
di

compagnia.

baldanzoso.

V imperatore Sigismondo

Lussemburgo.


Tulla
II

10

alia

ti

chiama

Vieni acquistare tue citt e castella, Vieni a veder la tua camera bella

Che

diventata

un publico bordello

Vieni pel tuo gioiello,

Non comportare
Se sol per

pi cotanto oltraggio.

me

dovessi far passaggio


:

Dovesti ornai aver fatto mossa

Che

sai

che polpa e ossa,


stato,

Per mantener tuo

ho consumalo.
in tutto..

Deh

prendati di

me

ornai peccato

Si che

non paia abbandonata

LEON BATTISTA ALBERTI


(1406? -1472).

L'Amicizia.
(Per
il

certame coronario del

1441).

Eccomi,

i'

son qui Dea degli amici,


li

Quella, qual tutti

omini solete
:

Mordere, e falso

fuggitiva dirli

Or Eccomi
j

la volete.

e gi dal soglio superno

Scesa, cercavo loco tra la gente,

Pront' a star con chi per amor volesse

Darne
Vennine primo
Principi, d'

ricetto.

in casa de' patrizi

onde una maligna coppia

Fammisi

contro, a simili palagi

Degna

famiglia.

cfr.

Dante, Purg., V.

a torto, latinismo.

Livor V uno macilente,

tristo,

Cinto con serpi e d' odii coperto


Falsit

V altra

e dea

fraudolenta

()

Gridano ver me Dea plebea animosa troppo,


Della mortale s|)ecie nemica,

Che

vai

errando petulante scurra

Donde
Qua! tuo t'ha ino
2

rigiri

scellerato fatto
iridi,

Spinta dal cielo e revoluta d'


In

tua forma e varii colori

Credula troppo
Fuggi' mi verso
il

! . .

loco di coloro

Che
Tal

la

fortuna ha rilevato ricchi,

clic

vedendo
:{

gli aditi potenti

Dentro
IVrch'
io cresi,

ricorsi.

dove

si

governa

Tanto

vii

turba stolida, impedita,

Esser almanco dove ricrearmi

Ma

il

Diva potessi. mio pensiero nichilato manca


1'

Perch

insulsa e stupida astritrice


lusso

Pompa, ed insieme stomacoso


Troppo
prolisso riferir sarebbe
eli'

Stavano dentro.
Gli empii strazi

io

li

soffersi,

Empii, e certo meritando onore

Troppo molesti.
Po' che da tutti
gli

omini infugata,
in

Po' che schernita


Vidimi, strinsi

popolar tumulto

gli
I

omeri e

sali'

mi

V ond' era scesa.

bullona, latinismo.
'

ora, dal

latino modo.

:*

credetti,

forma arcaica.

dn astringere,


Ora sentendo
1'

12

la terra

odierna fama

Torno, n fuggo V abitar


Si che se qui

me

rimaner volete
Lieta rimango,

Pur che con meco, mia cara famiglia, Grazia ardente e Fede candidata
1

Possino

star,

qnal

dove son

ricette

Portano pace.

Da

voi sol voglio per

Parit voglio

rifattovi

mio sacro censo amore


:

Gaudio e laude, e bene sempiterno


State beati.

FEO BELCARl
(1410-U84).

Rappresentazione di San Panunzio.

La
terra.

Rappresentazione quando San Pannunzio preg Iddio

che gli rivelassi a quale

nomo santo

egli J'ussi simile sopra

hi

IJ

Angelo annunzia
elette a quel

e dice

Anime

bene indicibile

Che per grandezza qui non si pu intendere, Mostrar vorrei 1' amore incomprensibile Di Ges Cristo, e fare ognuno accendere,

E seguir le virt quanto possibile E questo mondo al tutto vilipendere Un bello esempio in questo di v' annunzio
:

State in silenzio ad udir San Panunzio.

dalla veste candida.

le quali.


Sw
dicendo:

13

Panunzio s'inginocchia,

fa orazione a

D'io

cosi

U padre
I'

eterno, o dolci' Signor mio,


il

priego te con tutto quanto


far contento el

core

mio desio, E rivelarmi per tuo grande amore Qual santo sia in questo mondo rio Simil a me, tuo fedel servitore Tu sai ben quanto affanno i' ho sofferto

Che degni

quel eh'

i'

pato

in questo

gran diserto.
e

Un Angelo

ajypare a

San Va nunzio,

cosi gli risponde:

L' immenso Dio, eh' carit infinita

Cognosce

il

tuo parlar semplice molto


alla

Ma non guardando
Con amore
Acci che
l'

domanda
s'

ardita,

e dolcezza a te

vlto

alma tua
'1

sie

ben vestita
j

Dell' umilt, che

vizio tien sepolto

Simil tu se' a quel cantor sublimo

Che suona

e canta in questo

borgo primo.

detto questo V Angelo si parte, e

San Panunzio, stando


a
s

alquanto

stupefatto per
:

la

risposta dell'Angelo, dipoi

millesimo dice

povero Panunzio, or

se'

venuto
:

Al paragon della tua vita austera Delle due cose l'ima i' ho veduto

Che

ti

convien veder per fede vera

tu non se' quel che tu se' tenuto

Da' padri santi

di

mente sincera,
cosa
sta nascosa.

o questo sonator ha qualche Di gran virili, che al mondo

pulisco.


Ora
al

14

nome
io vo'

di

Dio andianne presto,

Ch'

cognoscer questo mie compagno,

La

vita sua

mi far manifesto
si

Se qui ho fatto poco o gran guadagno,

Stando eremita in luogo


Glie spesso
il

molesto,
:

viso di lacrime bagno

Non si ravvolse mai tela in Come fo io intorno a questo

sul subbio

dubbio.

E detto

questo,

San Panunzio
e

ra a trovare
:

il

SONATORE,

truovalo che snona

canta, cosi dicendo

Chi tiene

el

suo cor lieto vive assai


1'

L' anima trista fa disseccar Se vuoi passare


il

ossa

tempo senza guai


sie

Fa' che ogni colpa

da

te

rimossa
sai,

L' accidia d dolor, come tu

E mena l'uom E

per insino alla fossa;

Rallegrati del ben con ogni buono,

spera de' peccati aver perdono.

San Panunzio,

udito questo, dice umilmente al Sonatore:

Salviti Dio, fra tei

mio dolce

e caro

-,

V vengo Tu pu'
E
Per
ti

a te per una grazia sola

levarmi da un dubbio amaro,


;

farmi certo sol con tua parola


priego che non
il

mi

sia

avaro

Ma

perch

tempo, veggio, passa e vola


'1

Dimmi

della tua vita el bene e

male

Che a me saperlo molto giova

e vale.

legno tondo del telaio, per tenderei

fili

e la seta.


VA
ti

15

rispondi'

Sonatore con molta ammirazione


:

a San Pa-

un: io dice mo

Vo' siale

il

ben venuto, padre santo,


'1

La

vostra petizion mi d spavento:

Sentendo vo' eh' abbiate

cor affranto
:

Per saper

la

mia vita pien di vento

10 fui ladrone, ed or vivo di canto,

di

sonar con questo mio stormento,


il

Mettendo

tempo mio nella zampogna,

Per non far cosa di maggior vergogna.

San Panunzio
alquanto su spirato
e

intesa la risposta molto si duole, ed avendo

pianto, dice cosi al Sonatore

Dimmi, per Ges Cristo onnipotente,


11

qual

ti

doni qui grazie compiute,

Se nello stato che tu se' al presente

Hai fatto cosa o


se

fai di

gran virtute,

quando

eri

ladro in fra la gente

Facesti opere degne di salute.

Deh aprimi
Ch'
i'

del core ogni secreto,

ti

far del

mio domandar

lieto.

Allora
i/li

ci

Sonatore
opere

udita la promessa di San


quali
si

Panunzio,

dici- dui- Intoni-

di-Ile

ricorda, cosi dicendo:

Un'

altra

volta,,

essendo ancor

nell'

ermo,

Dove nascoso stavo

per ladrone,

Viddi ima donna, andar come un infermo


Debile e stanca e con gran passione
M;i
nel
;

suo aspetto

di

certo e di fermo

metatesi per strumento.


Mostrava onesta

16

e di nobil nazione.

Ond'

io le dissi:

perch va' tu errando


cosi tapinando
:

Per questo luogo e

La

donna mi rispose allora Non mi far rinnovare e' mie martiri Ma son contenta star senza dimora Come una serva a tutti tuo desiri Io pur dir, perch '1 cor mi divora El mie marito sta in pianti e saspiri
gentil
;

Per debito comune incarcerato,

spesso colla fune tormentato.


in prigion tre figliuoli

Ancor abbiamo
Per
le

gravezze del

commi
si

predetto,

Ed

oltre a tante

pene e

gran duoli
cospetto

Mi voglion

jiresa in

luogo molto stretto.

Ma vo fuggendo innanzi al lor E senza cibo, questo il terzo


Misericordia allor di
lei

giorno

Per Dio m'aiuta, sanza far soggiorno.

mi mosse,
la cibai
;

nella

mia spelonca

Ancor la carit tanto mi cosse, Che trecento monete le donai, Ond' ella e' figli e '1 marito riscosse, Che stavon presi in molte pene e guai,

cosi per v'

Ges

li

feci lieti

Ora

ho detto

e'

mie maggior

secreti.

San Panunzio rimane alquanto


mando
dice
:

stupefatto per

la

carit

ndita del Sonatore, dipoi, alzando gli occhi al

cielo, cosi escla-

Gresil

Cristo,

Per

me

mio signore e padre, non furon fatte mai tal

cose.

nascimento.

cio per debito di Comune,


3

come ha
4

il

testo

delle Vite de' Santi Padri. (Al. D'Ancona).

indugio.

da me.


Costui vivendo infra

17
le

gnte ladre,

Senz'aver
Ila

libri

sacri

o sante chiose,
e si leggiadre
:

fatto opere

degne

forse ancor

ne son molte nascose

Perch dell'umilt porta l'ammanto:

Chiamasi ladro, ed

io

mi tengo

sauto.

Nessun giudichi mai


Perch
Pel
lo

il

suo fratello

reggia in abito mondano,

perch vada fuor come un uccello

mondo mercatando
el

in

modo

strano

Dio non risguarda

vestimento bello,

Ma

dentro, se di cuore

mondo

e sano.

Per che in ciascun ordine di vita


Si truova gente di virt vestita.

Dipoi

si

volge al Sonatore dicendo

Di

me

notizia credo abbia per

fama
t'

Tra' monaci Panunzio molto udito

El dolce Ges Cristo tanto

ama
chiama,

Che

di merito se' quant' io gradito,


ti

Per,

priego, se

'1

Signor

ti

Non

esser negligente al suo convito,

Ma

voglia per suo

amor

lasciar

'1

mondo,

Che tanto pi
El Sonatore
ti

sarai nel ciel giocondo.


dolci e umili parole
e

udite

le

un zio
:

delibera farsi

monaco,

cosi

a San

di San PaPanunzio ri-

sponde

Essendo voi, Panunzio, tanto noto

Di

sani

it

ade e di virt perfetta,

Non

vo' che tal


eli'
i'

sermon

in

me

sia

vlo.

Dappoi

veggio (pianto ('risto acceda

L' opere mie, e voglio esser remoto

Con
E2

voi

nell'elmo
7

in

vita-

molto

stretta,

conila a

vizi

miei sempre far guerra:


in

Gesti

mi

padre

ciclo,

e voi in

terza*
2

Km olino Guastalla.

li rullziauo, eto.

E
pogna
ancora
detto questo
e s
il

18

Sonatore s'inginocchia

getta via la
e

zam-

abbraccia
1

le

gambe
e

di

San Panunzio,
e

San Panunzio
dipoi

inginocchia,

abbraccia

bacia

il

Sonatore,
ringrazia

rialzandosi in piede amendua,


cosi dicendo
:

San Panunzio

Dio

Grazie

ti

rendo, Signor mio dolcissimo,

Che

sai trar

bene di ciascun nostro vizio


al

Non risguardando
Tutto
se' stato

mie dir semplicissimo


:

inverso noi propizio

Onde mi par, fratel mio dilettissimo, Che dobbiam ripensar tal benefizio Andiamo, adunque, a stare in solitudine,
:

Servendo a Dio con gran sollecitudine.

EH

Sonatore seguit San Panunzio nell'ermo senza tornar

alla propria casa.

Dalla

Rappresentazione di Sant' Ignazio


(del secolo

XV, ma
e

di incerto autore).

Traiano
El Figliuolo
dello

la

Vedovella.

Imperatore

correndo con un cara! Io


e dice:

ammazza

il

figlimi di una vedova disa vedutamente,

Om, che se lo sa l'imperatore E' m' ha la vita con giustizia a trre! Om, eh' io tremo tutto per dolore A quel che '1 ciel ci d nessun pu torre. Sua la colpa, e mio sar l'errore: Ciascun debbe fuggir se un cavai corre. Om, om, ch'io non sar creduto,
:

Misericordia, Iddei, datemi aiuto.

cfr.

Dante, Pury. X, 73

e segg.


/'//

19

la novella e dice
:

Amico

della

vedova gli porta

Donna,

i' ti

porti) assai trista novella.

La Vedova dice:

Che

ci

Amico risponde

El tuo figliuol

"

stato morto.

La Vedova

dice

lassa a me,

vedova meschinella
'1

Dov'
//Amico

la

tua speranza e

tuo conforto?

alla

vedova dice
ti

Deh, non

disperar, dolce sorella:

Lo

iinperator

non per
il

farti torto.

Cagion dela sua morte e del tuo duolo

di

Traiano

suo proprio figliuolo.

il

La Vedova
dice
:

va dov"

jUjliuol

morto,

abbracciandolo

caro figliuol mio, speranza e vita.


refrigerio spento, o

ben perduto,

alma
()

afflitta,

misera e smarrita,

santa deit, datemi aiuto.

Per
Per

me me

sar la giustizia impedita


il

peccato non

fia

conosciuto,
in corte;

Per me non sar niun


Cosi la morte tua
Aiuto, aiuto,
Il

elle parli
la

mia morte. aiuto a tante pene:


fia

vo' portar dinanzi al signor mio,


se gli giusto e giustizia
l

Clic,

mani iene
eh' io.

Doverla
Io

il

suo voler voler


fa

([nel

so che ehi

mal non de' aver hene,

ilo\ r.

20

piet de' trovar ehi non pio

Tenter pur quel che tentar m' incresce.

Ma

maggior

fla

il

dolor se

'1

mal non

esce.

Mentre che
'

la

vedova va verso

la corte,

Z'Imperatoe

dice

sua baroni

E m'

venuto lettere di
el

nuovo
;

Ch'

regno va sozopra de' pirati

Se la potenzia mia con lor non pruovo,

Sarem per

forza ogni di saccheggiati


io

questa la cagion perdi'


capitan, rassegna
e'

mi muovo

tuo soldati.

L Vedova

col figliuolo
e

morto in braccio, riscontra V Im:

peratore /nova del palazzo,

dolendosi dice

giusto imperator, famoso e

magno

Se

'1

tuo paterno amor non m' impedisce,


te figlio,

al mio fgliol compagno, ha dato, a me morte nutrisce. Il perder mio non gli sar guadagno Che tanto vo' quanto ragion patisce Quieta el mio dolor col suo tormento, E fa contento te per mio contento.

Questo a

Morte

gii

Lo Imperatore alla vedova


Lassami andar
;

dice

quand'

io sar

tornato

Del suo delitto giustizia

farassi.

La Vedova

alV Imperatore dice


se'

Fallo or, signor, che tu


Io

obbligato

non son certa

se vivo tornassi.


Lo [mperatore risponde:
S' io

21

morr,

1'

altro che terr lo stato


la

Farebbe quanto

ragion portassi.

La Vedova risponde:
Se
lui
il

facessi,

e'

non sar'
:

Traiano.

Lo Imperatoi; rispmide

Tu

di'

'1

ver

or su, indrieto tornano.


sedia,
3

Mentre che torna


dice
:

in

la

Vedova posa

el figliuole

Questa

la

morte

di
4

mia morte
della

ria

Questo V angor

madre che langue.


carne mia
;

Questa

la carnei
il

de

la

questo

sangue del mio caro sangue

Dianzi ero madre, or non so quel che sia.

volgeri al figliuol de V Imperatore e diee


()

pestifer,

crudel, mortifer

angue
:

Tu tolto n' hai quel ben che dar non puoi o imperador, fa' giustizia fra noi.
Lo Imperatore
Dimmi,
al figliuol dice:

figliuol,

come pass
ella

la

cosa
'.'

E donde deriv vostra questione


Vedi costei quanto

dolorosa,

E
/<;/

io

son posto qui per far ragione.


dice
:

Figliuolo dolendosi
Fortuna che
i

viventi
far

mai non posa

stata

del

mal

prima cagione:

sarebbe.

torniamo.

:5

sella-.

'

dolore.

:>

in

iignia

Beato transitivo.


Non
ira o sdegno,

22

ma

destino o sorte

Causa fu che

a costui diedi la morte.


altri

Ho

combattuto, e

combattendo
:

La

forza fu da la forza constretta

In qua, in l con

Condussi

al fin

un cavai correndo che la mia fin aspetta.


:

La

ragion

mi

difende, io la difendo

Costei eh' innanzi a te grida vendetta


Fagli, padre, giustizia, se tu sai
:

Che

sia contenta

me

lieto farai.
:

IJ Imperatore da se medesimo diee

Ragion mi muove e
L' onor m'incita
Cosi
1'

la piet

mi mena,
d pena:
j

L' amor mi sforza e giustizia mi strigne,


e~ crudelt
1'

mi spigne mi sprona, e costui mi raffrena, Et come carbon che cuoce o tigne Segua che vuol, eh' ogni cosa m' doglia, E non so giudicar quel eh' io mi voglia.
ritien,

un mi

altro

Costei

Un Barone conforta V Imperatore a far


Segua
1'

giustizia

noni nella sedia

della

mente
:

di

s facci a s drento ragione

La conscienza E la memoria
Paura triemi

accusi e sia presente

a s sia testimone.
e ragion virilmente
;

Sentenzi, e a lor metta esecuzione


Syte

bene giudicassimo da noi


giudicar gii Dei non
ci

arien poi.

Lo Imperatore

al figlino!, dice

Gli meglio offender s che Giove offendere

Per questa morte a morir

ti

condanno.

nella sede.

23

Lk Vedova a

/'

Imperatore dice

Tu non mi puoi per questo il figliuol rendere N col suo danno a me rifar il danno.
.//

Emperatore a

la

vedova dice

Bisogna adunque altro parlilo prendere

dare a te quel che


'1

e' ciel

dato m' hanno


figlio

Che

mio proprio

figliuol

tuo

sia

Cosi sentenzio, e tu con

Lei

va' via.

ANGELO AMBR0G1NI
Da

detto IL

POLIZIANO

(14f>4-1404).

La Giostra
LIBRO
I.

II!

Lio PREFERISCE

DILETTI DELLA CACCIA A QUELLI DI


di sua verde etate.
il

AMORE

Nel vago

tempo
il

Spargendo ancor pel vlto

primo

fiore

N avendo Le dolci acerbe cure che d amore,

bel Julio ancor provate

Viveasi lieto in pace e in liberiate.


Tal' or frenando un gentil corridore

Che
>r

gloria fu de' ciciliani

armenti,
co' vnti;

Con esso a correr contendea


(

a guisa

saltai'

di

leopardo

Or destro
Or
fea

tea

rotarlo in

breve giro:

ronzar per r aer un lento dardo

siciliani

24

Dando sovente a
Cotal viveasi
el

fere agro martiro.

giovane gagliardo:
'

N pensando al suo fato acerbo e diro N certo ancor de' suo' futuri pianti
Solea gabbarsi degli
Ali
afflitti

amanti.
!

quante ninfe per

lui sospirorno
il

Ma

fu

si

altero
le

sempre

giovinetto,

Che mai

ninfe amanti noi piegorno,

Mai pot riscaldarsi il freddo petto. Facea sovente pe' boschi soggiorno
Inculto sempre e rigido in aspetto;

'1

vlto difendea dal solar raggio

Con ghirlanda di inno o verde faggio. Poi, quando gi nel ciel parean le stelle, Tutto gioioso a sua magion tornava
;

'n

compagnia

delle

nove

morelle

Celesti versi con disio cantava,

d'antica virt mille fiammelle


gli
alti

Con
Cosi,
Si

carmi ne' petti destava:

chiamando amor lascivia umana, godea con le Muse e con Diana.

E, se talor nel cieco labirinto

Errar vedeva un miserello amante,

Di dolor carco,
Seguir della
3

di piet dipinto
le piante,

nemica sua
il

E dove Amore
Li pascer
1'

cor gli avesse avvinto


di

alma

due

luci sante.

Preso nelle amorose crudel gogne,


Si l'assaliva

con agre rampogne:


il

Scuoti, ineschili, dal petto

cieco errore,

Ch' a te stesso te fura, ad altrui porge:

Non nudrir
Che
Costui che

di lusinghe

un van furore
4

di pigra lascivia e d'ozio sorge.


'1

vulgo errante chiama Amore

crudele.

le

Muse.

dilettare.

nasce.

21

dolce insania a chi pi acato scorge:


Si bel titol

d'Amor ha
*

dato

il

mondo

una cicca

peste, a

un mal giocondo.
s'allegra o dole
si

Ah quanto

noni meschin, che cangia voglia


lei
!

Per donna, o mai per

qua! per

lei

di libert

spoglia
!

crede a suoi sembianti e sue parole

Che sempre

pi legger eh' al vento foglia,


il

mille volte

di vuole e disvuole:
la

Segue chi fugge, a chi

vuol

s'

asconde

come alla riva l'onde. Giovane donna sembra veramente Quasi sotto un bel mare acuto scoglio,
e vien,

E vanne

ver tra'

fiori

un giovinoci serpente
2

Uscito pur imi fuor del vecchio scoglio

Ah quanto

fra' pi miseri

dolente
!

Chi pu soffrir di donna el fero orgoglio

Che quanto ha
Quanto

il

vlto pi di belt pieno

Pi cela inganni nel fallace seno.


pili dolce,
le fere

quanto

pi sicuro

Seguir

fuggitive in caccia,
di

Fra boschi antichi, fuor

fossa o
!

muro

spiar lor covil per lunga traccia

Veder

la valle e '1 colle e l'aer puro L'erbe e' fior, l'acqua viva chiara e ghiaccia! rimbombar l'onde, Udir gli aiigei svernar,
:i

dolce

al
'

vento mormorai'
a mirar pender

le da,

fronde

Quanto giova

un'erta
;

Le capre, e pascer questo e quel virgulto E '1 montanaro, all' ombra, pili conserta,
Destar
la,

sua zampogna, e
terra
di

'1

verso inculto!

Veder

la

pomi coperta,

nascosta.
<<!

La spoglia
(pici

clic

Lasciano
clic

serpenti,
lei

can-

tari-,
a,

<

propriamente
'

cantare

usciti

verno l'anno

primavera.

piace


Ogni arbor da' suo'

26

frutti quasi occulto

Veder cozar monton, vacche mugghiare, E le biade ondeggiar come fa il mare Or delle pecorelle il rozo mastro Si vede alla sua torma aprir la sbarra: Poi, quando move lor co '1 suo vincastro
!

Dolce a notar come a ciascuna garra.

'

Or

si

vede

il

villan

domar

col rastro

Le dure
Or

zolle,

or maneggiar la marra;

la contadinella scinta e scalza


filar sotto

Star con l'oche a In cotal guisa gi


Si crede esser
1'

una

balza.

antiche genti
al secol d' oro
:

godute
le

N N

fatte

ancor
figli
3

madri eran dolenti


marzia] lavoro
*
;

De' morti
si

al

credeva

ancor la vita

a' vnti,

X del giogo doleasi ancra il Lor case eron fronzute querce

toro:
e

grande

Ch' avean nel tronco mi, ne' rami ghiande.

Non

era ancor la scelerata sete

Del crudel oro entrata nel bel inondo:


Viveansi in libert
E, non solcato,
il

le

genti liete
:

campo era fecondo

Fortuna, invidiosa a lor quiete

Ruppe ogni
Che
la

legge, e piet misse in fondo

Lussuria entr ne' petti e quel furore

meschina gente chiama amore. IL

La

Caccia.

Zefiro gi di be' fioretti adorno

Avea
1

de'

monti

tolta ogni

pruina

rimprovera.
si

la guerra.

3 si

affidava.

Brina

e in

un

senso lato

dico anche della nove, ghiaccio, etc. . (Fornaciai!).


vea
fatto al

27

suo nido gi ritorno

La stanca rondinella pellegrina: Risonava la selva intorno intorno

Soavemente air ra

mattutina
al

la

ingegnosa pecchia

primo albore
fiore.

Giva predando or mio or altro

L'ardito Julio, al giorno ancra acerbo


Allor eh' al tufo torna la civetta,

Fatto frenare

il

corridoi* superbo,

Verso
Preso

la
il

selva con sua gente eletta

cammino

(e

sotto
la

buon riserbo

Segala de' fedel can

schiera stretta)

Di

ci die fa mestieri a caccia adorni

Con
Il

archi e lacci e spiedi e dardi e corni,


lieta

Gi eireundata avea la
tolto bosco:
e gi
si

schiera

con grave orrore

Del suo covil

destava ogni fera;


e'

Givan seguendo

bracchi

il

lungo odore.

Ogni varco da lacci e can chiuso era:

Di stormir, d'abbaiar cresce

il

rumore:

Di

fischi e

bussi

tutto el bosco suona:


il

Del rimbombar de' corni

ciel rintruona.
4

Con

tal

romor, qual' ora


il

1'

aer discorda

Di Giove

fuoco

d'alta

nube piomba:

Con Con

tal

tumulto, onde la gente assorda,


il

Dall'alte cateratte

Nil

rimbomba:
sangue ingorda
li

tale orror del latin


la

Son Megera
Qua! animai

tartarea
stiza

tromba.
si

di
al

par
la

roda;

Quale serra

ventre

tremante coda.

aura.

guardia,
prodotto
"

:{

percosso.
diversi

Intendasi della dise

sonanza dell'aria
(linci
:>

dai

strepili

tuoni .

(Car

).

il

fulmine.

infernale.

-- 28

Spargesi tutta la bella compagna,

Altri alle reti, altri alla via pili stretta.

Chi serba in coppia Chi gi


'1

ean, chi gli scompagna;


2

suo ammette,
'1

chi

'1

richiama e alletta
:

buon destrier per la campagna CI li l'adirata fera armato aspetta: Chi si sta sopra un ramo a buon riguardo:
Chi sprona Chi in
Gi
le

man

lo spiede e chi

s'acconcia
i

il

(laido.

setole arriccia e ar ruota


il

denti

El porco entro

burron

gi d'
i

una grotta

Spunta gi

'1

cavrinol; gi

vecchi armenti
:

De' cervi van pel pian fuggendo in frotta

Timor g' inganni Le lepri al primo

della volpe

ha spenti

assalto

vanno

in rotta

Di sua tana stordita esce ogni belva:


L'astuto lupo vie pi
si

riusciva,

l'inselvato le sagaci naie

Del picciol bracco pur teme

il

meschino:

Ma
De'

'1

cervio par del veltro paventare,

lacci el

porco o del fero mastino.

Vedesi

lieto or

qua or
il

volare

Fuor d'ogni

scili era

giovan peregrino:
cavai mette ale;

Pel folto bosco el

fier

trista fa qua! fera Julio assale.

LIBRO
Il

II.

Giardino di Venere.

Zefiro

il

prato di rugiada bagna


di

Spargendolo

mille vaghi odori


Ovunque
D
vola,

29
la

campagna

veste

rose gigli

violette e fiori:

L'erba di sue bellezze ha meraviglia Bianca cilestra pallida e vermiglia.

Trema la mammoletta verginella Con gli occhi bassi onesta e vergognosa

Ma

vie pi lieta pi ridente e bella


il

Ardisce aprire

seno al sol la rosa:

Questa di verde
Quella
si

gemma

s'

incappella

i
:

mostra allo sportel vezosa:

L' altra che 'n dolce foco ardea pur ora

Languida cade

il

bel pratello infiora.

L'alba nutrica d'amoroso nembo


Gialle sanguigne e candide viole.

Descritto ha

il

suo dolor Jacinto in grembo:


si

Narcisso al rio

specchia

come

suole:

In bianca veste con purpureo lembo


Si specchia Clizia pallidetta al sole,
4

Adon
Mai

rinfresca a Venere

il

suo pianto,

Tre lingue mostra Croco


rivesti di tante

e ride Acanto.

gemme

l'erba
'1

La

novella stagion che


il

mondo
Sol

avviva.

Sovresso

verde colle alza superba


7 il

L' ombrosa chioma u'

mai non arriva

si

copro come d' un cappello.


il

comincia ad aprirsi.

Ja-

cinto era un giovinetto,

quale, giuocando con Apollo al disco, in-

volontariamente
un
fiore di

si

uccise; e quel dio del sangue di lui f' sorgere

questo nome, che nelle foglie alcuna volta pare che


ai,

abbia scritto

voce di dolore.

(F.).

Clizia era

una ninfa

Minante del sole: fu cambiata in fiore detto elitropio che equivale


a

girasole. (F.).

'

Adone,
letto

giovane cacciatore, caro molto alla


da-

dea
Ini

Venere, essendo sdito ucciso

nacque
clic

un
in

lime

anemone
fiocco

un oinghiale, dal sangue di Croco, o anemolo. (F.).


in tre
7

fiore

Un
si

rosso, cui

da

il

mozzo un nome di

diviso

cordoni di

color

/all'erano. (Y.).

dove.

30

sotto vel di spessi rami serba

Fresca e gelata una fontana viva,

Con

si

Clie gli occhi

pura tranquilla e chiara vena non offesi al fondo mena.


il

L' acqua da viva pomice zampilla

Che con suo arco

bel

monte sospende;
al fonte

per

fiorito solco indi tranquilla

Pingendo ogni sua orma


Dalle cui labra un grato

scende;

umor distilla ombre agli arbor rende Ciascun si pasce a mensa non avara; E par che l' un dell'altro cresca a gara.
Che
'1

premio

'

di lor

Cresce l'abeto schietto e senza nocchi

Da
E

spander l'ale a Borea in mezo l'onde;

L'elee che par di mi tutta trabocchi;


il laur che tanto fa bramar sue fronde; Bagna Cipresso ancor pel cervio gli occhi Con chiome or aspre e gi distese e bionde,

Ma

1'

alber che gi tanto ad Ercol piacque


si
il

Col platan

trastulla intorno all' acque.

Surge robusto

cerro et alto
e
'1
'1

il

faggio,

Nodoso il cornio, L'olmo fronzuto,


Il

salcio

umido
il

e lento,

frassin
fischi

pur selvaggio:
vento
:

pino alletta con suoi


5

L'avornio

tesse ghirlandette al

maggio:

vuol dire che

scorrendo
2

seminata di pinti
loro

fiori. (F.).

lambiva continuamente una riva rende il' premio agli alberi delle
(F.).
il
3

ombre
secondo

col fecondarli scorrendo intorno alle loro radici, sicch


fiorenti e
piti

crescano
fu,

pili
i

belli.

Cipresso o Ciparisso

poeti,

un giovinetto

quale, avendo sprovvedutasa-

mente ucciso un suo bel cervo, venne in tanto dolore che


rebbe morto se Apollo, impietositosene non
di questo
lo

mutava nelP albero


fiori

nome.

(F.).

il

pioppo.

eytisns lubarum fiorisce a

maggio, po' monti,


gialli,

con grappoli o pannocchie di

bianchi o

spioventi in gi. (F.).

:;i

M;i

Tacer d'un color non

e contento:
a' forti:

La lenta palma serba pregio


L' elleia va carpon co'
j)i

distorti.

Mostronsi adorne

le viti

novelle

D'abiti varii e con diversa faccia:

Questa gonfiando fa crepar Questa racquieta


le

la pelle;

gi perse braccia:

Quella tessendo vaghe e liete ombrelle Pur con pampinee fronde Apollo 4 scaccia; Quella ancor monca piange a capo chino,

Spargendo or acqua per versar poi vino.


Il

chiuso e crespo busso

al

vento ondeggia,
3

E
Il

fa la piaggia di

verdura adorna:
verdi capelli orna.

mirto che sua dea sempre vagheggia


fiori

Di bianchi

e'

Ivi ogni fera per

L'un ver l'altro L'un l'altro coza

amor vaneggia: i montoni armon

le

corna;

e l'un l'altro martella

Davanti all'amorosa pecorella.


E' muti pesci in frotta van notando

Drento

al

vivente e tenero cristallo,


al fonte

E spesso intorno

roteando

Guidon

felice e dilettoso ballo;

Tal volta sopra l'acqua, un po' guizando, Mentre l'un l'altro segue, escono a gallo:

Ogni loro atto sembra festa e gioco;

N spengon

le

fredde acque

il

dolce foco.

Gli angelici ti dipinti in tra le foglie

Fanno l'aere addolcir con nove rime;


E
Di
fra pili voci
ai

un' armonia
si

s'

accoglie

beate note e

sublime
queste

Che mente involta

in

umane

spoglie

il

sole

pii
'

comunemente
galla.

boss*

o bossolo.

;;

Venere

a cui

era sacro.

32

sue cime:
boschetto

Non potria sormontare alle E dove amor gli scorge pel


Salton di

ramo a lor diletto. Al canto della selva Eco rimbomba, Ma sotto l'ombra che ogni ramo annoda La passeretta gracchia e attorno romba: Spiega il pavon la sua gemmata coda:
in

ramo

Bacia

il

suo dolce sposo la colomba

E E
Il

bianchi cigni fan sonar la proda:


presso alla sua vaga tortorella

pappagallo squittisce e favella.

Da

La

favola di Orfeo

Canzona.
Udite, selve, mie dolci parole,

Poi che la ninfa mia udir non vuole.

La

bella ninfa sorda al

E
Di

'1

suon di nostra
il

fistula

mio lamento non cura:

ci si lagna

mio cornuto armento,

N vuol bagnare il grifo in acqua pura N vuol toccar la tenera verdura;


Tanto del suo pastor g' incresce e Udite, selve, mie dolci parole. Ben si cura l'armento del pastore: La ninfa non si cura dello amante;
dole,

La

bella ninfa che di sasso


ferro,

ha

il

core,
:

Anzi di

anzi

1'

ha

di

diamante

Ella fugge da

me sempre

d' avante,

Come
Digli,

agnella del lupo fuggir sie.

Udite, selve, mie dolci parole.

zampogna mia, come via fugge


gli

Co

anni insieme la bellezza snella;

33

digli

come

il

tempo ne distrugge,
si

N
(Mie

l'et

persa mai

l'innovella

Digli che sappi usar suo'

torma bella,
viole.

sempre mai non son rose e

Udite, selve, mie dolci paiole.


Portate, vnti, questi dolci versi

Dentro

all'

orecchie della ninfa mia;


io

Dite (piani'

per

lei

lacrime versi

E E

lei

pregate che crudel non sia:

Dite che la mia vita fugge via


si

consuma come brina

al sole.

Udite, selve, mie dolci parole

Poi che la ninfa mia udir non vle.

Preghiera

di

Orfeo a Plutone.

regnator di tutte quelle genti

C hanno

perduta

la

superna luce;
produce;

Al qua! discende

ci che gli elementi,


il

Ci che natura sotto

ciel

Udite la cagion de' miei lamenti.


Pietoso Amor de' nostri passi duce Non per Cerber legar fo questa via, Ma solamente; pei- la donna mia.
:

Tua serpe tra' fior nascosa Mi tolse la mia donna,


Orni' io

e l'erba

anzi

il

mio core

meno
pi

la

vita in

pena acerba
dolore.

N posso

resistere al

Ma
Del

se memoria, alcuna in

voi

si

serba

\<stio celebrato antico


la,

amore

Se

vecchia, rapina

niente avete,

Euridice mia bella rendete.

Ogni cosa

nel

fine a

voi
a

ritorna,
voi

Ogni

vita

mortale
la
li

ricade

Quanto cerchia
live
<;i

luna con SUO corna


1

istalla.

Poliziano,

eto.


Convien
Chi
pili
eli'

34

arrivi alle vostre contrade

chi

men

tra' .superi

soggiorna;

Ognun convien che

cerchi

queste strade:

Questo de' nostri passi estremo segno:


Poi tenete di noi pi lungo regno.
Cosi la ninfa mia per voi
si

serba

Quando sua morte gli dar natura. Or la tenera vite e 1' uva acerba
Tagliata avete con la falce dura.

Chi che miete

la

sementa in erba,
sia
la

E non aspetti eh' ella Dunque rendete a me


Io

matura? mia speranza:

non ve

'1

chieggo in don; questa prestanza.

Io ve ne priego per le torbide acque

Della palude stigia e d' Acheronte,

Pel caos onde tutto

el

mondo nacque,

pel sonante ardor di Flegetonte;


te gi, regina, rnacque

Pel pome che a Quando lasciasti

pria nostro orizonte.

E
Io

se

pur

me

la nieghi iniqua sorte

non vo' su tornar; ma chieggio morte.

Coro delle Baccanti.

Una Baccante indignata


di

invita

le

compagne alla morte

Orfeo.
Ecco quel che l'amor nostro dispreza!
o sorelle! o o diamogli morte.

Tu Tu

scaglia
piglia

il

tirso; e tu quel

ramo speza;

un sasso o fuoco,

e getta forte;

Giri, percorra

cfr.

Dante, Purg., XIV,

1.

bo

Tu corri, e quella pianta O <>! t'acciaiti che pena il


Mora
Tonni
la

scaveza.

tristo porte.

o! caviamgli el cor dei petto fora.


lo

scellerato,

mora mora
la testa di

Baccante con
morto

Orfeo,

e dice

cosi:

<>!

o o!

lo scellerato!
io ti ringrazio.

Evo, Bacco, Bacco!

Per tutto

il

bosco

1'

abbiamo stracciato
a

Tal di' ogni sterpo del suo sangue sazio:


L' abbiamo a
In

membro
la

membro
*

lacerato

molti pezi con crudele strazio.


e

Or vada

biasmi

teda

legittima!

Evo, Bacco! accetta questa vittima.


Sacrificio (Ielle

Baccanti

in onore di
te!

Bacco.

Ognun segua, Bacco

Bacco, Bacco, e o!

Chi vuol bever, chi vuol bevere

Vegna
lo

a bever,

veglia qui.
8

Voi imbottate come pevere


ve' bever ancor mi. Gli del

vino ancor per


te.

ti.

Ognun segua, Bacco,


Io

ho vto gi
p

il '1

mio corno;
bottazzo
3

Dammi un

in qua.

Questo monte gira intorno,


El cervello a spasso va.

Ognun corra in qua e in Come vede fare a me. Ognun segua, Bacco,

te.

fiaccola matrimoniale.
la

imbottare significa
di

gonfiare per

il

soverchio bere;
in

pevera

<

veramente ima sorta


altra sorta
ili

imbuto: qui

vale per vaso

genere.

:;

vaso per vino.


F mi moro
Son
Star
io ebra,
i>i ritti

36

si

gi di sonno.

o
i

o no?

pi non ponno.
eli'

Voi

siet' ebrie,

io lo so.

Ognun facci com' io f: Ognun succi come me, Ognun segua, Bacco, Ognun gridi Bacco Bacco

te.

E pur
Bevi

cacci del vin gi:


'

Poi con suoni farem fiacco.


tu,

e tu, e tu.

V non

posso ballar pi.


o,
te

Ognun gridi: E, Ognun segua, Bacco,

Bacco Bacco, e o!

Dai

Rispetti continuati

Miser' a
I'

me

quando

ti

vidi in prima,
;

non sapea che cosa fussi amore


die giunse drento
al

V non
Infili

facea del mio inimico stima,

freddo core.

Ma

poi che fu della

L' ho riverito

mia vita in cima, come mio signore:


di
il

I'

Ben che faccia Ben mille volte ti mando il mio

me
di

cotanto strazio,

ne

lo ringrazio.

cor,

dolze
si

mio bene,
contente,

Da

poi che sol con teco

S' a parlar teco

alcuna volta viene,

Da ch'io

te

l'ho donato interamente;

strage di fiaschi di vino:

ma

vocabolo piuttosto raro.

M
Che sol questa speranza lo mani iene, E sai che vii a suo amor m' acconsente.

Tu

lo

puoi ben lasciar libero e sciolto,


te fedele e

Ch' a

mai

ti

sar tolto.

Siccome Tisbe gi piangendo forte


Volse morir pel suo fedele amante,

Non mi

saria per te grave la morte;

so

eli' io

non

sarei

manco

costante.

Poi che tu fusti a

me

dato per sorte.

Non t'amando
Ben mi
si

i'

sarei di

diamante:

Ma

eh' io

pu fortuna contrapporre, non t' ami non mi potr torre.

Se mille volte

Amor me

'1

comandassi

Che pu far di me strazio quanto vuole; Tanto potrebbe far eh' io non t' amassi, Quanto potrebbe far fermare il sole; E se mille altri amanti mi mostrassi
Sarebbon tutte invan
le lor parole.
i'

Tu mi
N

chiedesti

il

core,

tei

donai;

d' altri che di te

non sar mai.

Dai

Rispetti spicciolati

Per Madonna Ippolita Leoncina da Prato.


I.

Per mille volte ben trovata


Ipolita gentil, caro

sia,

mio bene,

Viva speranza, dolze vita mia. Deli guarda quel che a rivederti viene;

Deh

fagli

udir la tuo' dolce armonia;

D
Se

questo refrigerio alle suo' pene.


'1

Ino bel canto gli farai sentire

Allor allor contento di morire.

ss

IL
Io

mi sento passare

infili

nell' ossa

Ogni accento ogni nota ogni paiola:

E E

par che d' altro pascer non mi possa Ch'ogni piacere questo piacer imbola:
crederrei, s
7

io fussi

entro la fossa

^Risuscitare al

suon di vostra gola:


io fussi nello inferno,

Crederrei,

quando

Sentendo voi, volar nel regno eterno.

III.

Io son la sventurata navicella

In alto mar tra 1' onda irata e bruna, Tra le secche e gli scogli, meschinella, Combattuta da' vnti e da fortuna,

Sanza lbore

o timonj n veggio istella,

il

ciel
il

suo sforzo contro mi rauna:


tal

Pure
Ch'

cammin da

nocchier m' scrto,

io spero salvo

pervenire in porto.

IV.

La

notte lunga a chi non pu dormire,

Ma
Se

ancra breve a chi contento giace:


'1

giorno grande a chi vive in sospire,


il

Presto trapassa a chi

possiede in pace:

Vero che la speranza e lo desire Pi volte a ognun di lor torna fallace;

Ma, quando 1' aspettare al Gi mai non giunge tardi

fin
il

poi viene,

vero bene.

albero.

Dalle

Ballate

I.

Chi non

sa

come

fatto el paradiso
misi

Guardi Ipolita

negli occhi fiso.

Dagli ocelli della Ipolita discende

Cinto di fiamme uno angiolel d' amore,

Ch'

e'

freddi petti

come un' sca accende


il

con tanta dolcezza strugge


in

core

Che va dicendo

mentre eh'

e' si

muore

Felice a me, eh' io sono in paradiso.

Chi non sa come....


Dagli occhi della Ipolita
Virtii che scorre
si

move

con tanta fereza

Ch'

i' 1'

assomiglio al folgorar di Giove,


'1

E rompe il ferro e Ma la ferita ha in

diamante speza

s tanta dolceza

Clie chi la sente proprio in paradiso.

Chi non sa come


Dagli occhi della bella Leoncina

Piove

letizia tanto

onesta e grave
lei
s'

Ch' ogni mente superba a

inchina,

par la vista sua tanto soave

Che d'ogni chiuso cor volge la chiave Onde 1' anima fugge in paradiso. Chi non sa come
Negli occhi di costei belt
si

siede

Che seco

stessa dolce parla e ride:


si

Negli occhi suoi tanta grazia

vede

Quanta nel mondo mai per uom si vide: Ma qualunque costei cogli occhi uccide

Lo

risuscita poi guardandol fiso.

Chi non

sa

come....

40

II.

Dolorosa e ncschinella
Sento via fuggir mia vita

Che da voi, lucente stella, Mi convien pur far partita


L' alma
afflitta e sbigottita

Piange forte innanzi Amore;


Sospirando par che '1 core Per gran doglia si consumi.
Occhi miei che pur piangete,
Deli guardate quel bel vlto,

De' begli occhi vi pascete

me, tosto

ci

fia

tolto!

Or

fuss' io di vita sciolto,

morissi or qui piangendo

Prima che da voi partendo Per gran doglia mi consumi. Ogni spirto in foco ardente
S'

andr sempre lamentando

mio cor

tristo dolente

Kivedremla? e come? e quando? Converr che 'n vano amando

Lacrimoso

ti

distempre;

Converr che ardendo sempre

Per gran doglia

ti

consumi.

SERAFINO DE'CIMINELLl DALL'AQUILA


(140G-1500).

SONETTI.
I.

Sceglie

migliori fra' suoi pensieri per la sua donna.


affisa ci sole

L' aquila che col sguardo


Tutti
i

soi tgli

ancor prova a la spera,

non pu, sdegnata e fiera nido e non lo vole. Simile spesso fai' naia mente suole
fissar

E qual
Morto

lo

tra' del

De' soi pensier poi che son nati a schiera;


Clic qual

non mira a

la

mia donna
si

altiera

Presto

1'

occide e mai non

ne duole.

Questo quel sol eh' ogni altra vista abaglia,

Che
Perch

se

'1

vedesse ognun come

el

vidi io

Diria
la

eli' al

mio nisiun * stato se aguaglia; mente e ciascun pcnser mio


lei

Spesso convien per

tanto alto saglia

Che conoscer mi

fa che cosa Dio.

II.

Ad un

libretto della

sua donna.

(elice libretto

ove

si

spesso
scrive

Tutti

secreti soi

madonna

Deh,

di'
'1

come

el

mio cor con essa vive


1'

se

vi trar del foco ove

ha messo.

42
Io soli

d
io

lei

d lunge,

e tu

da presso.

Tu
Oh'

tocchi ove convieu eh' io

non

arri ve,

porria l'alma al par dell'altre dive

Se uua sol volta a ine fusse concesso.

E ben

ine maraviglio essendo degno Di tanto onore ognor lieto e contento Che non te accendi, essendo arido legno;

Ch'

moro e abraso se la vedo o sento non che col pianto io me sostegno Arso serria de fuor come son drente
io

se

III.

Contro la Corte di Roma.


Invida corte,
d'

ogni beu nimica,

Nuda de

fede e colma d' impiotate,

Scola de tradimenti e falsitate

d'

ogni altra virt priva e mendica.

Terrestre inferno e fonte di fatica

Radice de miseria, adversitate Rivo abondante de malignitate Et a lieta fortuna sempre ostica

l
;

Deh

quando
aprir
2

fia

gi

mai che gi dal


i

cielo

Scendano

di

Vulcano

fieri

dardi

Ad

tante fraudi e tanti inganni?


il

Ma

s' io

non moro avanti


al fondo,

bianco pelo

Spero vederte

bench tardi

Con

tuoi seguaci e perfidi tiranni.

ostile.

manifestare.

ANTONIO CAMMELLI

detto IL

PISTOIA

(1440-1602).

Dopo
Pass
il

la battaglia del

Taro (1495).

re franco, Italia, al tuo dispetto,


f'

Cosa che non

mai

'1

popul romano,

Col legno in resta e con la spada in

mano

Con nemici
E' nemici

alle spalle e inanti al petto.

Cesare e Scipion, di cui ho letto,

costui,

domr di mano in mano come un can che va lontano


:

Mordendo questo e quel, pass via netto. Madre vituperata de' taliani 1 Se Cesare acquist, pili non si dica
Insubri, galli, cimbri, indi o germani.

Concabina

di

Mida

al ciel

nemica,

C hai

dato a Vener Marte nelle mani,


:

Discordia con un vel gli occhi te intrica

Che con poca


In nel transirte
2

fatica
3

il

gallo le confine

Tutti

tuoi figli diventar galline.

Sia

come vole
l'

il

fine

Se ben del

mondo

acquistasti
il

imperio

Mai non

si

estinguer

tuo vituperio.

Di se stesso.
Pili

de cent' anni imagin natura


Di

fanne pi quanto potea difforme


disegno alla paura.

Fatte e disfatte pi di mille forine. In


fin tolse
il

Italiani.

'

passarti.

confini.

u
Gli ocelli

mi fece e

la

bocca a ventura,

Come fa chi scrivendo veglia e dorine Non ad alcun il mio viso conforme N in triangola n in tondo, n in misura.
:

Il

naso con

la

punta

al

mento

accosto,

La
Il

faccia dalla notte colorita,

petto fu, dove le spalle, posto.


:

Dalla centina in gi non son dna dita

L' un pie guarda settembre e V altro agosto,

Vo

dritto

come va
in

in arboro vita.

La mia

figura,

Quando sar finita cima a una bacchetta


una
civetta.

Pigliala pi uccei che

Bisogna esser contenti

di chi ci governa.

Una donna
Che
Si che

fu gi che preg Iddio

togliesse la vita al suo signore

morendo
il

n' avesse

un migliore;
'1

Venne
I

secondo, e fu peggior che

prio.

ranocchi ebber gi questo disio

Avendo un legno per


love, a tal volont

lor protettore;

mosso a furore,

Mandli

il

serpe venenoso e rio.

voi che sete in questo nostro rivo,

Non

mutar signore o legge, Che vien sempre il peggior dopo il cattivo.


cercati
4

Desiderati

vita a quel che regge,

il

ciel

pregate che vel tenga vivo,


il

Perch oggi

lupo pastor d' ogni gregge.

Chi altro dir

si

elegge

Resta degiun dal cibar tristo pasto

Che ad ogni modo

raglia e porta

il

basto.

in albero la vite.

cercate.

augurate.

45

ANTONIO VINCIGUERRA
(?-1502).

Lode
Beata fu
la

della et saturnia.

prima gente agresto,

Che, regnante Saturno, in terra visse


Di sua dolce fatica utile e onesta.

N'erano Nate

ancor

le

sanguinenti risse
miseri mortali

fra' ciechi e

N N V

le

spoglie superbe al tempio tisse.


i

oro, clie cagion di tutti

mali,

Trovato avea questa libido immensa


Ch' oggi per tutto va battendo
1'

ali.

Ma

sol

cercava ornar la sobria mensa

Quell' aurea et di povere vivande

Che fan natura a


Di mi
ibleo,
2

la virt

propensa.

castagne, noce e ghiande


il

Nutr

la famigliola
il

padre antico
cucina grande.
il

Senza

nitor
le

de

la

'nvece de

piume era

pudico

Fien che

la pastorella scalza e lassa


lieo.

Sten dea sotto una quercia, or sotto un

si

vedea questa supina e crassa


4

Ignorante superbia, che

in la

tomba

Morte chiudendo ogni sua fama cassa.


fortunato a cui sonante tromba

Dietro rimau non di terso ori scalco

Ma

di

musa

pi celer che

colomba

non erano.
:

da

[bla, citt della

Sicilia.
la

'

splendore;

oggetto

il

soggetto

(Iella

proposi/ione e

morte.

Fu

46

quella prima etade tutta illustre,

Tutta ripiena

d'

innocente et alma
di avare industre.
*

Simplicitade, e

non
eli'

vi recavan la onorata

palma
eburnea
3

Altre palestre

1'
1'

lira
2

Che

di

immortalit

arboro incalma.
aspira
f

Ma

or chi a la Peneia fronde

Chi
Dice

gli antri

di Elicona abita e

onora f

la sciocca e vii

plebe delira.

PANDOLFO COLLENUCCIO
(1444-1504).

Canzone

alla Morte.

Qual peregrin nel vago errore stanco De' lunghi e faticosi suoi viaggi

Per lochi aspri e selvaggi


Fatto gi de' pensier canuto e bianco,

Al dolce patrio albergo

Sospirando cammina e si rimembra Le paterne ossa e sua novella 4 etade

Di se stesso piotate Tenera prende e le affannate membra


;

Posar disia nel loco ove gi nacque

di

prima
io,

gli
ai

piacque

Tal

che
in

peggior anni oramai vergo,

In sogni,

fumi, in vanitati avvolto

industrie.
J,

arcaismo per innestare.


4

L'alloro

cfr.

Dan-

te, Par.,

32-33.

giovanile.

sono vlto.


A
te

47

mie preci vlto

Rifugio singoiar, che pace apporte


Alle

umane
1'

fatiche,

inclita Morte.

Qua! navicante nelle

torbidi'

onde
aggiunto
1

Tra

ira di

Nettuno e

d' Eolo,

Quasi allo stremo punto

Le

caio merci, per salvar se, affondo,


il

disiato porto
i

Rimirando,

pericoli raccoglie

Scoisi, e fatiche tra Cariddi e Scilla;

vita pi tranquilla
2
;

Pensa, non tra pirati, vnti e scoglie

Di poi

'1

danno

nel

mal
;

fatto alfin

saggio

Del marittimo oltraggio

Tale mi son di mia fortuna accorto


.Macchiato e infetto in questa mortai pece.

A
()

te

volgo mia prece,

porto salutar, che sol conforte


il

D' ogni naufragio

mal, splendida Morte.

Placidissimo sonno, alta quiete

Che Stige e
Con

l'

infocato Flegetonte,

Oocito ed Acheronte,
le dolci onde del tuo ameno Lete Non che tempre, ma estingue, E levi d' ignoranza il scuro velo,
1 1

Sciocco chi
in
Ila,

tuo soccorso non intende.


*

tutto
gi

al

ver contende,
visla

sua
la

tenebrosa
il

al

cielo

Chi de
Clic
'l

tua piotate

don non rode,

gran Fattoi- ne diede.


quella possente che distingue

Tu
Il

Se'

ver dal falso, dal


il

perpetuo
;

'l

frale,

Dall' eterno

mortale

'

giunto.

scogli.

dopo

il

danno.

'

contrastai

Di magnanimi

4X

.spiriti

consorte

mi volgo, generosa Morte. Candido vien dal ciel, puro e divino, L' animo immortai nostro in questa Ove in tutto si spoglia
te

spoglia.

Del lume

di

sua gloria

in

suo cammino,

Fra paura

e desio,
letizie,

Dolor, vane

sdegni ed

ire,

Ove natura pugna e gli elementi Tra gli contrarii vnti


;

Mirabil cosa

tia,

se

mai

'1

ciel

mire,

Gravato dal terrestre infimo pondo


Dell' orbo, ingrato

mondo

tuo breve soccorso onesto e pio


;

Gli rende la sua pura libertade

Da
Per
Questa

te

adunque pietade
*

Chiedendo, aspetto
la
e'

alla

mia crudel
2

sorte

tua dolce man, pietosa Morte.

ha nome vita falso

in terra

Che

altro che fatica, affanno e stento,

Sospir, pianto e lamento,

Dolore, infermit, terrore e guerra

Questa acerba matrigna


Natura, in tanti mal questo
sol

bene
;

Pose per pace, libertade e porto

A' pi savii diporto

Che

'1

fine
:

attendon delle mortai pene


fia

dicon

Non

lungi chi ne spoglia

Con generosa

voglia.

Tu

se' quella,

tu sei quella benigna

Madre, eh'

e' vii

pensier de' petti sgombri,

E' nostri inali adombri

sono pronto.

a torto; cfr. pag. 10, nota 2.


Soccormi adunque,

49

Di lunga oblivion, d' imniortal scrie:


<>

graziosa Morte.

Qual

di

famosi ingegni maggior gloria,

Ebrei, Greci, Latini. Arabi e Persi,

Di lingue e

stil

diversi.

Quanti

l'antiche carie fan memoria


scritto e disiata
!

Te

lian

Felice,
Altri,

disse alcun, chi

moie

in

fasce

quando

la

vita
s"

pi diletta;
:

Chi,

quando men
torte

aspetta

Molti beato disser chi non nasce, Molti con

man
non

1*

han cerco e
!

tolta,

Grave turba,

stolta

Tu Tu
Il

breve, tu comune, e giusta e grata,


t'acil,

naturai, pronta, che sepie

bel fior dalle vepre,

Nostre calamit prego che aminone

Benigna

e valorosa,

optata

Morte.
il

Ben prego prima quel che sopra

legno,

La
Che

rabbia estinse dell' orribil angue


del suo chiaro sangue
e

Me asperga
Attenda
6

mondi, placido
fragil stato

benegno.

sua pietade
il

Non
Che

del

mio
il

van discorso,

sotto

peso delle colpe asconde


;

Caduca, arida fronde


Sua

Con amaro dolor chiedo soccorso


Infinita

bont mie' errori copra;


soli

Delle sue

man

opra.
di
'1

Fida ministra poi

sua boutade
fatai

Leve

la

tua virtute

crine

Ed

al

celeste fine

guide.
"

'-'

di quanti.
7

:{

separi.
il

desiderata,

Ges

Cristo.

guardi, osservi.
i

capello della vita.


etc.

u.i.a.

//

Poliziano,


Apri
le

50

sacrosante aurate porte

Cara, opportuna, e desiata Morte.

Canzon, costante, altera,


Col Tesbite
*

uniil,

ma

forte

n' andrai, con quel

da Tarso

Quel Signor prega e adora,


Che, per non esser di sua grazia scarso,

Dolce e bella morendo

le' la

Morte.

BENEDETTO GARETH

detto IL

CAR1TEO

(1450M515).

Pene
Ecco
la notte

d'

amore.
splende
;

el ciel scintilla e

Di
I

stelle ardenti,

lucide e gioconde
il

vaghi augelli e fere

nido asconde

E voce umana al mondo or non s' intende. La rugiada del ciel tacita scende, Non si move erba in prato o 'n selva fronde Chete si stan del mar le placide onde
;

Ogni corpo mortai riposo prende,

Ma non Amor
Ha

riposa nel mio petto Amore,


d' ogni creato, acerbo fine
il
)

Anzi, la notte cresce

suo furore.

sementato

in

mezzo del mio cuore

Mille pungenti, avvelenate spine

'1

frutto clie

mi rende

di

dolore.

Elia.

San Paolo.

seminato.

Lasciando Napoli nel 1501.


Secondi)
patria mia, dolce Sirena,

Partenope gentil, casta cittade,

Nido di leggiadria e nobiltade,


D' ogni vertute
et di delicie

piena

Con

(al

dolor

ti
!,

lascio e con tal


io inai
!

pena

Qual, lasso

soffersi in nulla etade.


!

A
Or

dio, amici
([ili

a dio, dolci contrade


le

ragion
felici,

lacrime non frena.


finita
;

Vivete voi

a cui

gi la sua fortuna

io

son chiamato
*
:

D' un fato in altro, in faticosa vita.

Mai nullo mal mi venne inopinato


Dal giorno che
Io fui dai fati iniqui esercitato.

lasciai la patria avita


3

PANFILO SASSO
(1447-1527).

Strambotti.
III.

Produce ogni radice ogni erba


Ride de uovo vestita
Piange,
la

el fiore,
:

terra

mio

tristo e doloroso core,

Et ogni parte de mia vita atterra.

tmpre veduto.

Barcellona.

'

travagliato.


Ogni animai Et
io

52

1'

fa pace con

aiuole,

crudele e dispietata guerra.


el

Eterno, sar, credo,

mio dolore

Dopo che sempre pi

stretto ni' aferra.

IV.

La

vechiarella peregrina e stanca


S'
el di

camina, almen posa la sera


affatica alla ri vera
el

El villanel la notte se rinfranca


S' el

giorno

s'

Se quando al Sole

bove mena
si

1'

anca,
;

Quando

la luna

almen posar

spera

Ma

s'

io patisco el

giorno affanno e doglia

Assai la notte son de peggior voglia.

Se a primavera piange filomena

L' inverno almen non se lamenta tanto Se nel bon tempo piange la Sirena

Ne

la fortuna

poi ritorna al canto,

S' el tortorin

piange V amara pena,


alfn
1'

Perso

il

compagno,
di juango

pur tempra

il

pianto

Ma

s'

un

altro

mi lamento
il

E non

che manca,

ma

cresce

tormento.

XXIV.
Gridati
3

tutti

amanti

Al foco,

al foco
;

Al foco che

me

strage per amore

Correte tutti insieme a loco a loco

Al loco dove bruscia

lo

mio

core,

usignolo.

la tempesta.

gridate.

53

E vederete come

a poco a poco

Questa vita mortai se strage e more:

E mai non 1' amor si sazio sazio De mal che non se serva a maggior

strazio.

XXXI.
Io son
La pecorella afflitta e fiacca

Clic

va piangendo dreto
la

el

pecorino

Io son

dolorosa e trista vacca


i

Che

mugendo cercando il bucino 10 son la madre che '1 petto si spacca Seguendo 1' orma del perso bambino
va
; :

11

spirto pronto,

ma

la

carne stracca:
el

Temo de non mancar

per

camino.

XXXVI.
Andiamo tutti amanti in barbarla Ove non s'oda nominar cristiani. Andiam tutti meschini in compagnia

A
E

sbatizarsi e diventar pagani


la virt di
s'

Che

qua discacian via


li

per dinar

esaltan

villani

El non vai fede, amor n cortesia

Se lor non gioca, tuoi pensier son vani.

LV.
Menar voglio
< )

la vita in

un deserto
senza coperto,

ve persona mai vista non sia


vili,

Senza pan, senza


('ni

le

fere selvagie

in

compagnia,

vitello.

efr.

Petrarca,

son.

151

in

Vita di

M.

L.


Con
gli

54

occhi bassi e col viso coperto


la

Piangendo

mia

sorte acerba e ria

Guardar non voglio il ciel perch noi m'erto Come colui che ognun scaciato ha via.

LVII.

Non

dicali

salmi,
2

ma

biastemin

forte

Quellor

eh' al

mio morir
nanti a

se

troveranno
per scorte

Non

portili croce

me

Ma
Il

foco e

un cor stradato come inganno

Sia strascinato fuora de le porte

corpo ignudo senza abito o panno


ci che

male

in vita e pegio in

morte

Sempre mi

trovi con

maggior affanno.

LXXTV.
Come
fa
il

passer solitario
la

i'

volo
:

Piangendo

mia cruda e trista sorte Come la madre che ha perso il figliolo Ch' el va cercando se lamenta forte
Che per compagno acceptaria

Io son rimasto tanto afflitto e solo


la morte,

Ch' meglio assai morir eh' essendo vivo


Esser de vita, pi che morto, privo.

SONETTO.

Or
ti

lieto dell'

avvicinarsi della morte.


or
ti

fa terra, corpo,

fa

smorto

Or ti fa orrendo e pauroso specchio, Che a poco a poco al fin i' m'apparecchio

bestemmino.

coloro.

E giunta

gi

la

mia barchetta

al

porlo.

Non ebe

in

questa vita mai conforto,

Nauti che nato fusse era gi vecchio,

E quanto
Ora
esci,

pili nel mio viver mi specchio Tanto meglio mi par quanto pi corto.

spirito mio, arditamente


si pu patire mezzo dele fiamme ardente.
ti

Clic

maggior doglia non


poi elici

Clic star in

Or

esci

convien uscire,

Non temer quel che fa la vulgar gente Ch'altra vita non dopo il morire.

IACOBO SANNAZARO
(1458-ir>30).

Da

L'Arcadia

CANZONE.
Galitio
Sovra una verde riva Di chiare et lucide onde
In un bel bosco di
fioretti

solo.

adorno,

Vidi di bianca oliva

Ornato et d' altre fronde

Un

pastor che su
il

1'

alba a pi d' un orno

Cantava

terzo giorno
;

Del mese innanzi aprile

cui

li

vaghi uccelli
gli

Di sovra

arbuscelli
et gentile
;

Con voce rispondean dolce


Et
ei rivolto al

sole,
:

Dicca queste parole

56

Apri

1'

uscio per tempo,

Ligiadro almo pastore,

Et fa vermeglio il ciel col chiaro raggio Mostrane innanzi tempo,

Con naturai

colore,

Un

bel fiorito et dilectoso

maggio

Tien pi alto il viaggio, Acci che tua sorella Pi che l'usato dorma;

Et poi per

la

sua orma
stella
:

Se ne vegna pian pian ciascuna Che, se ben ti lamenti,

Guardasti

bianchi armenti.

Valli vicine et rupi,


Cipressi, alni et abeti,

Porgete orecchie a

le

mie basse rime

Et non teman

de' lupi

Li agnelli mansueti,

Ma tome
I

il

mondo
le

a quelle usanze prime

Fioriscan per

cime

cerri in bianche rose,


le

Et per

spine dure
;

Pendan V uve mature Suden di mei le quercie Et le fontane intacte


Corran de puro lacte. Nascan erbette et fiori Et li fieri animali
Lassen
le loro
li

alte e nodose,

asprezze e

pecti crudi

Vegnian

vaghi Amori
strali
;

Senza fiammelle o

Scherzando insieme pargolecti e ignudi Poi con tutti lor studi

Canten
Et con

le

bianche Nini f
et Selvani

abiti strani
;

Canten Fauni

Ridai!
Et

li

prati et le correnti limfe


si

non

vedan ogie

Venti,

novoli o pioggie.

In questo di giocondo

Nacque
Et
le

1'

alma beltade
;

virtudi racqui staro albergo


il

Per questo

cieco

mondo

Conobbe castitade
La qua! tant' anni avea gettata a tergo:
Per questo
I

io

scrivo et vergo

faggi in ogne bosco

Tal che ornai non pianta

Che non chiami Amaranta


Quella eh' adolcir basta ogne mio tosco,
Quella per cui sospiro,

Per cui piango et mi adiro.

Mentre per questi monti

Andran
Et
li

le fiere

errando,

alti
li

pini aran pungenti foglie,


vivi fonti

Mentre

Correran murmurando
Nell'alto

mar che con amor


speme
et doglie

li

accoglie;

Mentre
Vivran

fra
gli

amanti in terra;

Sempre fa noto il nome Le man, gli occhi e le chiome Di quella che mi fa si lunga guerra
Per cui quest' aspra, amara
Vita m' dolce e cara.

Per cortesia, Canzon, tu pregherai Quel di fausto ed ameno,

Che

sia

sempre sereno.

oggi.

58

ANTONIO TEBALDEO
(1466-1635).

Dalle

Ecloghe

Clearco

dice a

Paleno

Non perdio non sia bella abbandonai La patria mia eli' egli si vaga e Come un' altra che '1 sol scaldi coi
;

lieta

rai

Ma

perch sempre

il

mio

fatai pianeta

Ivi

mi

fu contrario,

come accade,
non alcun profeta.
;

Clie accetto in patria

Vedea rider le viti e 1' altrui biade Le mie guaste da grandine e da vnti E ogni anno esser miei campi al fiume strade Vedea i greggi d' altrui grassi e gli armenti, Sempre i miei magri e ci che con le labbia
;
;

Gustavan, parea tcco da serpenti,


L' erba lor generava e
dal lupo o dal
1'

acqua rabbia

morbo m' eran

tolte

Le

pecorelle cardie ognor di scabbia.


io tutte le stelle volte

E vedendo
Partir
:

Contra me, disperato mi disposi


per che inteso avea pi volte
Certi frutti di Persia velenosi

Posti in altro terren perdere

il

tsco

farsi
:

1'

uman

gusto graziosi.
:

Dissi

Qui

steril

pianta mi conosco

Forse di
S' io
1'

tal

natura muterommi

Ma

vo sott' altro cielo, in altro bosco. empia stella mia eh' ognor guidommi Di male in peggio con suoi occulti inganni
Questo pensier da
1'

animo levommi.

51)

Leggiadra ninfa sotto verdi panni


Mosti omini, che di s tanto m'accese

Che me stesso scordai non che

gli affanni.

N maraviglia fu se la mi prese, Scudo lei troppo bella, io giovili troppo Ma qnell' et fa contr' amor difese.

Risemi

infili

eli'

ebbe ben stretto


si

il

groppo

Poi parve che

cruda divenisse
il

Che qual d' un serpe poi m' era Con diversi pastori in mille risse
Per
lei

suo intoppo.

son stato

e ben dieci anni io persi

Prima che dal suo giogo io mi partisse. Per ben servirla abbandonar soffersi
Il

pover gregge mio

taccio

il

gran grido

Che

tra le ninfe le acquistai coi versi.

Da fortuna agitato e da Cupido Fuggendo me ne venni in queste ville E sotto questa pianta ho fatto il nido.
Qui
le

mie pecorelle son tranquille


;

Qui colgo frutto


In

e,

quel che pi mi piace,


le faville.

me

spente d' amor son

la

grande fama.

pr-s^

INDICE

Li <>\ \kim>

Giustiniani

Lamento amoroso
Giusto
Di.'

Pag.

Conti
il

Benedice

giorno che vide primamente la sua donna.


(il

Domenico

di

Giovanni
i

Burchiello):
5

Per correggere

figliuoli

Sul prender moglie

Pucino D'Antonio? Lamento di Pisa

7
:

Leon Battista Alberti


L' amicizia

10

Feo Belcari

Rappresentazione di San Panunzio


lucerlo diilorc
:

........
:

12

Dalla

Rappresentazione di Sant' Ignazio la Vedovella

Traiano e
18

Angelo Ambeogini (il Poliziano): Da La Giostra Julio preferisce


:

diletti della caccia

a quelli di amore

23

La Caccia
Il

26
28
:

Giardino di Venere

Ha

La

favola di Orfeo

Canzona

32

Preghiera di Orfeo a Plutone Con delle baccanti


Dai Rispetti continuati

33
34

36

Dui Rispetti spicciolati


oina
la

Per Madonna Ippolita Leon37 39

Prato

Dalle Ballato


Sceglie
i

62

Pag.
.

Serafino de' Cimixklli dall'Aquila:


migliori fra' suoi pensieri per la sua donna.

41
ivi

Ad un

libretto della sua

donna

Contro la Corte di

Roma
:

42

Antonio Cammelli (il Pistoia) Dopo la battaglia del Taro


Di se stesso Bisogna essere contenti

(1495)

43
ivi

di chi ci

governa

44

Antonio Vinciguerra Lodo della et saturnia


:

45

Paxdolfo Collenuccio
Canzone
alla

Morte
(il

46

Benedetto Gareth
Pene
d'

Cariteo)

amore

50 51

Lasciando Napoli nel 1501

Panfilo Sasso
Strambotti

ivi

lieto dell' avvicinarsi della


:

morte

54

Iacobo Sannazzaro

Da

L' Arcadia
:

Canzone

55

Antonio Tebaldeo

Dalle Ecloghe

.58

Firenze -R. Bemporad e Figlio, Editori - Firenze]

EMMA BOGHEN-CONIGLIANI
STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA
AD USO DELLE
RR. SCUOLE NORMALI.

Volume primo. - SECOLI XIII


strazioni

XIV.

Con
L.

illu-

2.

50
50

Volume
Con

secondo.
illustrazioni

SECOLI XV, XVI


XVIII
e

e
L.

XVIL
2.
iilu-

Volume

terzo.

- SECOLI

XIX.

Con
L.

strazioni

2.

75

Nuova

pubblicazione.

ANTOLOGIA DELL LETTERATURA


Letture scelte e annotate ad uso delle RR. Scuole Normali
I.

Et delle origini - Poesia


Boghen-Conigliani

Emma
II.

e Prosa (Sec* XIII) L. 0.


di

d
5<

Dante Alighieri: Opere minori


Francesco
Petrarca
di

Emma

Bo-

ghen-Conigliani
III.

L. 0. 50

Emma

Boghen-Coni."

gliani

L.
di

0.

60

IV.

La Prosa

ascetica nel secolo

XIV
di

Laura

Romagnoli
V.
Vi.

L. 0. 40

Poeti minori del secolo

XIV

chi

Paolina TacL. 0. 40

Cronache e volgarizzamenti del


Borsi
i

sec.

XIV
L. L.
0. 0.

di

Ada
Vii.

L. 0. 50

Giovanni Boccaccio e
secolo

novellisti minori del


.

XIV

di

Emma
i

Boghen-Conigliani.
di R.

70
25

Vili.

Il

Lorenzo

de'

Medici

Errer

IX.

colo

XV

Poliziano e
di

Poeti minori volgari del seL. 0. 40

Rosolino Guastalla

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University of Toronto

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