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Guardiamoci da Lontano

Il Fallimento fa rima con fermento?

di Laura Ganzetti

Siamo a Roma e ci godiamo la città.


Siamo laureati e cerchiamo di andare avanti sulle fondamenta di quel punto di partenza.
Vogliamo bene alla nostra Università e dopo anni siamo ancora qui a parteciparvi.
Stiamo bene, con un corpo in grado di accompagnarci dove la mente vuole andare.
Siamo giovani quindi con molto futuro. Colti e per questo si spera aperti. A volte simpatici. Alcuni belli. Altri perfino
di talento. C’è chi è in carriera e chi ancora cerca la sua strada. Sicuramente siamo liberi, vogliamo restarci e ci piace
incontrarci. Accogliamo il progetto ALL di concentrarci su un pensiero da condividere tra noi e con l’esterno. “Un
pensiero da condividere” significa un pensiero che noi stessi possiamo scegliere, tra tutte le possibilità, tra tutte le
scintille del cervello e del cuore. Le proposte tante, il dibattito animato e finalmente scegliamo un argomento: il
Fallimento.

Sono i giorni del crollo delle borse di tutto il mondo, è quell’ottobre 2008 che tanto farà parlare di sé e forse questo ci
ha influenzato, anzi mi auguro che questo ci abbia influenzato, perché se così non fosse, se scegliere di parlare di
fallimento è un’idea del nostro profondo, la situazione sarebbe molto più grave e il 1929 bis sarebbe solo un sintomo
di ben altra malattia, una malattia dell’anima.
Vengo riscossa dalla negatività dalla scelta e dalla forse frettolosa interpretazione che ne avevo dato quando il gruppo
si ribella, si rianima e si chiede “ma il fallimento può essere l’altra faccia della medaglia dell’opportunità?”
“Fallimento fa rima con fermento?”
Di nuovo le nostre menti lì pronte a elaborare, a cercare di non disperare e lottare contro loro stesse, a ritrovare
energia, farsi abbattere è semplice, reagire meno, ma infondo parlare di fallimento è non arrendersi a esso, perché
parlare di cancro significa aiutare la ricerca, perché ammettere la malattia è il primo passo verso la guarigione.
Dunque in piedi, saldi e romantici come dovremmo essere sempre, cerchiamo di capire chi siamo per immaginare
come reagiremo al fallimento. Guardiamoci da lontano

Proviamo ad analizzare cosa hanno passato e da dove vengono gli adulti di oggi, quelli che il crollo delle borse sta
schiacciando al suolo e che saranno i ricostruttori feriti del benessere, quelli che coi segni dell’ultima parte del ‘900 e
il colpo del crollo di quest’autunno, troveranno gli stimoli e le idee del rinascimento degli anni ‘20 del 2000.
Vediamo da dove vengono i famosi 30enni o giù di lì di oggi, quelli il cui futuro è stato scambiato per un presente
senza preoccupazioni, quelli sui quali ricadono le conseguenze dell’opera degli adulti di ieri, quelli che oggi assistono
alla perdita di ciò che ancora nemmeno hanno e che condurranno in salvo il loro futuro, di cui, nonostante la forza del
presente, sentono ancora la nostalgia. Vediamo dove sono nati questi che dovrebbero avere il mondo in mano, ma che
in realtà lo contendono con lunghe dita anziane che non mollano, questi che non potranno godere, ma saranno i nuovi
ricostruttori, anzi facciamo un gesto sensato prima di ogni altro: ringraziamoli in anticipo.
Orbene queste persone colte, sane e speriamo libere, si trovano ad affrontare un fallimento altrui, a doverlo non
solo necessariamente subire, ma risolvere, diciamo l’accettazione di un asse ereditario con molte passività e
senza beneficio di inventario. Ora la palla passa a loro, continuare a imputare responsabilità con atteggiamento
violento e rancoroso non porta avanti, quindi assodato il passaggio della patata bollente, tutti sappiamo cosa hanno
attraversato questi bambini degli anni ’80. Sappiamo che hanno vissuto la maggior parte della loro vita nella seconda

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Associazione Laureati Luiss Guido Carli - Viale Pola, 12 - 00198 Roma - Tel. 0685225.282 - Fax 06233228.753 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30
Repubblica, che sono il cuore della rivoluzione tecnologica, che viaggiano per il mondo da sempre, che non hanno una
lira e per questo non fanno bambini, che il mondo è vecchio perché i vecchi lo gestiscono, la clonazione fa parte della
vita per questi giovani che da tutto il mondo hanno celebrato un uomo-Papa sia vivo che morto, che nella penuria di
punti di riferimento non hanno più creduto nei ruoli, ma nelle persone, giovani che l’11settembre 2001 hanno capito
che mai in nessun luogo del mondo si è al sicuro, neanche in quello che sembra un grembo insfidabile. Stiamo
parlando di uomini e donne strapazzate da standard economici, fisici e sociali da raggiungere, stiamo parlando di
persone che sembra qualcuno abbia voluto far smarrire di proposito e non c’è Peter Pan per questi bambini sperduti,
ma il crack finale che così fragorosamente li riscuote. Ecco in profondità perché l’Associazione Laureati Luiss si
trova a parlare di fallimento, perché ALL osserva il mondo e “fallimento” è la parola che lampeggia al neon con la
conseguenza di sentirsi persi e per un attimo si perdono di vista anche le possibilità, stanchi di avere la
precarietà a pranzo e lo status sempiterno di figli a cena, ci si perdeva prima di ricordare che “un diploma in
fallimento è una laurea per reagire” e qui cito.

Nonostante la voglia di interpretare positivamente questa scelta, mi resta un po’ di tristezza, di quella tristezza che
mi aveva immediatamente colpita, di quella mestizia e serietà che non mi ha fatto dire “mal comune mezzo gaudio”,
ma mi ha fatto vacillare.
Ho pensato “poveri noi”, ma senza vittimismo, poveri noi che non crediamo più, che non abbiamo sogni, ecco
dov’era per me il problema, nell’assenza di sogni e della voglia di parlare di quelli. Nella mancanza di gioia, di
entusiasmo, nessuno che voglia urlare al cielo? Nessuno che voglia parlare di ciò che sta costruendo? Nessuno che ha
visto un bel film e pensa solo a quello? Come non affliggersi!
Allora mi dico in una società in cui si cerca sempre un colpevole e mai una soluzione, in cui si deresponsabilizza ogni
comportamento e in cui ci si guarda allo specchio per sapere come siamo, molliamo gli ormeggi attaccati a questi falsi
moli e magari navighiamo un po’ alla deriva finché la bussola non torni ad indicare il nord, ma riprendiamoci la
propositività, le canzoni, le risate e le aspirazioni, perché se non siamo abbastanza per partecipare alle sorti del
mondo, allora non lo siamo neanche per preoccuparci…o è come avere 18 anni che bastano per andare in prigione, ma
non per votare al senato? O si confida in noi senza coltivarci? Da dove ci deriva questo senso di responsabilità, questo
sentirci parte di qualcosa che va male anche se ne siamo esterni e lo subiamo, come mai siamo così seriamente
assorbiti dal negativismo? Spero sia per paura, magari inconscia, di non poter realizzare i nostri desideri, lo spero, non
lo so.

E ogni tanto se quest’Italia ci sembra davvero un’Italietta, o se sempre quest’Italia ci sembra davvero un’Italietta
ripensiamo a Gaber che non si sentiva italiano, ma per fortuna o purtroppo lo era e in buona fede creiamo un motivo
di contemporaneo orgoglio di esserlo.

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