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Nota

dell'editore

Leggere un libro sempre un rischio. Che il lettore lo sappia o no, verr portato dove non immaginava di poter andare. I libri tengono in vita un enorme patrimonio di esperienze, saperi, sogni e memorie, ma se non viene letto, un testo scritto lettera morta. In questa raccolta di saggi, Alfonso Berardinelli illumina anche laltra faccia del rischio non solo quello che corre il lettore, ma perfino lautore, perch i lettori lo giudicheranno. Alfonso Berardinelli saggista e critico letterario. Tra i suoi libri pi recenti, Poesia non poesia e Non incoraggiate il romanzo. Con nottetempo ha pubblicato Che intellettuale sei? (2011).

Alfonso Berardinelli Leggere un rischio

Indice

"I rischi della lettura" "Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico" "I poeti e il rischio di essere letti" "Caproni e il lettore impaziente" "Nota sui testi" "colophon" "Per consultare il nostro catalogo e-book"

I rischi della lettura

Latto della lettura a rischio. Leggere, voler leggere e saper leggere, sono sempre meno comportamenti garantiti. Leggere libri non naturale e necessario come camminare, mangiare, parlare o esercitare i cinque sensi. Non unattivit primaria, n fisiologicamente n socialmente. Viene dopo, implica una razionale e volontaria cura di s. Leggere letteratura, filosofia e scienza, se non lo si fa per professione, un lusso, una passione virtuosa o leggermente perversa, un vizio che la societ non censura. sia un piacere che un proposito di automiglioramento. Richiede un certo grado e capacit di introversione concentrata. un modo per uscire da s e dallambiente circostante, ma anche un modo per frequentare pi consapevolmente se stessi, il proprio ordine e disordine mentale. La lettura tutto questo e chiss quante altre cose. per soltanto uno dei modi in cui ci astraiamo, ci concentriamo, riflettiamo su quello che ci succede, acquisiamo conoscenze, ci procuriamo sollievo e distacco. Eppure latto della lettura ha goduto in se stesso di grande prestigio, di unaura speciale nel corso dei secoli e ormai da millenni, da quando la scrittura esiste. 5

A lungo e ripetutamente, per ragioni diverse, che potevano essere economiche, religiose, intellettuali e politiche, estetiche e morali, la lettura di certi testi ha avuto qualcosa del rituale. I testi di riuso, come i libri sacri, le raccolte di leggi e le opere letterarie, per essere riusati sono stati conservati e tramandati scrupolosamente. La societ occidentale moderna ha trasformato e reinventato, in una certa misura, le ragioni e le modalit del leggere. Ma recentemente, negli ultimi decenni, latto di leggere, il suo valore riconosciuto, la sua qualit, le sue stesse condizioni ambientali e tecniche sembrano minacciate. Ne parl Italo Calvino in tono semiserio ma sinceramente allarmato nellincipit dellultimo dei suoi romanzi: Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte dinverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nellindistinto. La porta meglio chiuderla; di l c sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: No, non voglio vedere la televisione! Alza la voce, se non ti sentono: Sto leggendo! Non voglio essere disturbato! Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo pi forte, grida []. 6

Si tratta dei rischi che corre la lettura. Ci sono poi i rischi che corre chi legge, soprattutto chi legge letteratura, filosofia e storia, in particolare quelle scritte in Europa e in America negli ultimi due secoli. Da quando esiste qualcosa che chiamiamo modernit cio la cultura dellindipendenza individuale, del pensiero critico, della libert di coscienza, delluguaglianza e della giustizia sociale, dellorganizzazione e della produttivit, nonch del loro rifiuto politico e utopico da allora leggere fa correre dei rischi. un atto socialmente, culturalmente ambiguo: permette e incrementa la socializzazione degli individui, ma daltra parte mette a rischio la volont individuale di entrare nella rete dei vincoli sociali rinunciando a una quota della propria autonomia e singolarit. Societ e individuo, autonomia personale e benessere pubblico sono due finalit non sempre conciliabili, a volte antagoniste, fra cui oscilla la nostra cultura. Non possiamo fare a meno di dare il nostro assenso al bisogno di uguaglianza e al bisogno di singolarit. Ma questo duplice assenso crea un conflitto di desideri e di doveri, quando viviamo la nostra quotidianit personale e quando riflettiamo politicamente e scegliamo dei governi. rischiosa tuttavia anche la lettura dei classici premoderni, quelli che precedono, per intenderci, Montaigne, Cervantes, Shakespeare, i 7

quali hanno reinventato generi letterari fondamentali come la prosa di pensiero, lepica, il teatro. I problemi e i valori che caratterizzano la modernit occidentale, cio libert, creativit, rivolta e angoscia, si manifestano con chiarezza soprattutto con linizio del Seicento e cresceranno fino a travolgere distruttivamente la tradizione precedente, greco-latina e medievale. Un lettore attento e libero commentatore di classici antichi come Montaigne si dichiara, con una sincerit forse enfatizzata, uomo senza memoria. Cervantes celebra e mostra impossibile leroismo antico, ormai nemico della realt, del senso comune e follemente libresco. Shakespeare attenua e riformula la distinzione fra comico e tragico, alto e basso, re e buffoni, principi e becchini, eroismo e stanchezza malinconica. Non per questo si smesso di leggere i classici antichi: solo che la letteratura moderna non li imita pi come era avvenuto fra gli umanisti e i sapienti neoantichi fra Quattro e Cinquecento. Nel postmoderno New Age (una variante della postmodernit) il neoantico tornato per suggerimento di Nietzsche, in quanto polemicamente inattuale. Quindi anche leggere gli antichi pu ridiventare rischioso, almeno quando non soltanto erudizione e archeologia. Se vero che per leggere, capire e interessarsi a un autore c bisogno di Einfhlung, di 8

immedesimazione, anche se si tratta di Parmenide o Virgilio, altrettanto vero che sentirsi contemporanei dei sapienti presocratici o di un classico latino pu indurre una certa dose di follia anacronistica: almeno in Occidente, la cui storia ci ha spinto a elaborare e idolatrare appunto unidea di storia come progresso e rivoluzione, superamento incessante di condizioni precedenti e interruzione periodica di continuit. Non siamo in India, dove molti aspetti della tradizione si sono perpetuati cos a lungo da aver inibito o reso poco interessante perfino la datazione precisa di certe opere classiche. Noi siamo animati, ossessionati, intossicati dallidea di storia e dalla volont di superare, demolire, scavalcare, dichiarare obsoleto il passato. Leggere ci che quel passato ci dice perci diventato pane esclusivo per storici e filologi: viene studiato per essere tenuto a distanza, non per essere letto con immedesimazione. Alcuni neometafisici novecenteschi e attuali, restaurando continuit interrotte dalla nostra storia sociale, rischiano di mettersi in maschera, di recitare in costumi antichi antiche verit, attualizzando categorie ascetiche e mistiche di cui, nel presente, si riesce ad avere appena unidea, in mancanza di pratiche e di esperienze adeguate. 9

Il primo rischio per il lettore, il pi originario e fra i pi gravi, quello di diventare, di voler diventare, scrittore; oppure, anche peggio, critico. Mi limito a ricordare una notevole ovviet: i libri sono contagiosi, ma per subire il contagio bisogna leggerli con passione e, diciamo pure, con una ricettiva ingenuit. Senza essere Don Chisciotte o Emma Bovary, traviati dalleroismo cavalleresco o dallamore romantico, ogni lettore appassionato (non solo di romanzi) fa entrare le sue letture predilette nella costruzione della propria identit. La lettura permette di stabilire delle vie di comunicazione fra lio profondo, con il suo caos, e lio sociale, che deve fronteggiare le regole del mondo. Tra le letture pi rischiose ci sono quelle il cui contagio suggerisce, impone di cambiare vita, di fuggire dal mondo o di trasformare radicalmente la societ. Chi stato, o chi , cristiano o marxista sa bene di che parlo: il Nuovo Testamento e le opere di Marx ed Engels non perdonano chi resta quello che era dopo averle lette. Non sono solo libri, sono tribunali che giudicano ognuno e tutti stabilendo leggi e mete metafisiche, storiche, morali, utopiche. Laccostamento blasfemo, un po ovvio e comunque ossimorico, fra gli evangelisti e Marx fa capire che si danno casi di analogia per contrasto fra letture di venti secoli fa e letture pi recenti. Lattribuzione di valore che una comunit e una societ compiono nella 10

scelta di certi testi, nel modo di leggerli e di rispondere alla lettura, fa di alcune opere qualcosa di intoccabile, sottratto alla critica e alla discussione. Il fatto stesso di poter diventare marxisti in seguito alla lettura di Marx indica che lautore e la sua opera diventano una fonte di certezze indiscutibili, se non di veri e propri dogmi imposti e difesi con il ricatto, le minacce, la coercizione. Nel caso di questo tipo di letture, il rischio che lassenso o il dissenso, laccettazione o il rifiuto espongano il lettore a condanne e rappresaglie sia intellettuali che sociali e politiche. Tutto questo avvenuto. Senza arrivare ai casi limite, anche le nostre moderne culture secolarizzate, desacralizzate e dissacranti attribuiscono a una serie di libri un valore che, almeno per un periodo di tempo, li consacra. Discuterli, criticarli, rifiutarli, diminuirne e circoscriverne il valore sentito allora come una sfida alla communis opinio, alla razionalit, allintelligenza, alla modernit, al progresso, alla correttezza morale o politica. Pi o meno esplicitamente, ogni epoca ha un suo canone. A volte, pi canoni o sottocanoni alternativi. Nel Novecento ci sono stati un canone Croce e un canone Contini, un canone Lukcs, un canone Eliot, un canone Breton. Sono almeno parzialmente canonici e canonizzanti tutti i critici 11

pi autorevoli, ognuno con il suo criterio di scelta: Leo Spitzer (deviazione dalla norma linguistica), Erich Auerbach (divisione o mescolanza degli stili nella rappresentazione della realt), Viktor klovskij (modi dello straniamento), Michail Bachtin (polifonia e dialogismo), Walter Benjamin (allegoria e utopia) ecc. Diventare scrittori o critici dopo aver letto uno o pi autori vuol dire nel primo caso imitare, sfidare, riprendere, cercare di superare un modello o decidere di abbattere un idolo; nel secondo caso trasformarsi da lettore in superlettore, lettore al quadrato, lettore che scrive su ci che ha letto, che intensifica latto di leggere elaborando metodi per leggere meglio e per ricavare il massimo profitto scientifico, morale, ideologico dalla lettura. Il critico, in quanto lettore speciale, iperlettore, lettore creativo, lettore-studioso o lettore-giudice, lettore-pedagogo o lettore-filosofo, pu tendere a mettersi al servizio del testo (il filologo in senso stretto e in senso lato), mettere il testo al servizio della propria autobiografia pi o meno esplicita (il libero commentatore e interprete che attualizza, presentifica il testo per illuminare la propria situazione), o mettere i testi al servizio di una qualche teoria e scienza della letteratura. In altri termini, si tratta di modalit di lettura che nellultimo mezzo secolo si sono alternate 12

entrando in conflitto e in polemica. Il progetto strutturalistico e semiologico, integrando metodi di analisi testuale e teoria generale della letteratura, ha prodotto soprattutto un rischio: quello di evitare alla lettura i suoi rischi, mettendo il lettore al riparo, al di l o al di qua delle sue reazioni soggettive. I libri, gli autori, le opere erano considerati solo in quanto oggetti testuali da analizzare. Le varianti empiriche, circostanziali, soggettive dellatto di leggere venivano rimosse. Leggere era considerato un atto culturalmente degno e corretto solo se le procedure di analisi erano stabilite a priori come deontologicamente degne e scientificamente corrette. Il professionista della lettura si presentava come il superamento, la trascendenza del lettore empirico. Latto di leggere veniva bonificato, disinfettato dai germi delloccasionalit e dalle interferenze della soggettivit non professionistica del lettore. La scienza (una scientificit per lo pi malintesa, derivata dal modello delle scienze esatte) metteva al bando psicologia, etica, politica e riflessione filosofica. Il modello strutturalisticosemiologico diffuse in tono trionfalistico e progressivo il messaggio secondo cui la grande tradizione della critica moderna impura, 13

moralistica, impressionistica, ideologica e prescientifica era ormai superata. Sembr una definitiva interruzione di continuit con il passato recente. Si usava la Poetica di Aristotele e la trattatistica retorica come antidoto contro i classici della critica dal Settecento a met Novecento. Metodi di analisi e teoria della letteratura sembravano rendere inutilizzabile una vicenda culturale che andava da Schiller, Coleridge e Baudelaire fino a Eliot, Leavis, Wilson, Adorno, da De Sanctis a Gramsci e Debenedetti, nella quale la letteratura era stata letta in rapporto alla societ e ai valori che orientavano la critica sociale. Nonostante il momentaneo trionfalismo, questa parentesi non dur molto. Il modello analitico-teorico e neoretorico venne messo in crisi da quello ermeneutico e dalla comparsa di una teoria della ricezione. Anche lermeneutica, come la retorica, non una specialit moderna, ha le sue radici in Platone, Aristotele e poi soprattutto nellinterpretazione medievale dei diversi livelli di senso delle sacre scritture. Nel Novecento lidea di ermeneutica, da Dilthey e Heidegger a Gadamer e Ricur, si chiarisce come rapporto dialogico con quellinterlocutore muto che il testo, a partire da un lettore e 14

interprete la cui esistenza o Dasein stabilisce le condizioni a priori dellinterrogazione e comprensione del testo. Il testo non pi, perci, un dato, un rapporto fra i poli di un processo che ha sullaltro versante il lettore. Per un teorico della ricezione come Wolfgang Iser ( Latto della lettura) ci che pi importa il modo in cui si realizza la comprensione da parte del lettore, dato che il testo sprigiona significato solo nella pratica della lettura, che naturalmente non sempre uguale a se stessa. Le novit introdotte dallermeneutica e dalla teoria della ricezione sembrano delle ovviet: ma spesso cos vanno le cose quando si teorizza. Che cos lermeneutica se non la versione filosofica di quanto la critica letteraria ha sempre fatto da quando esiste? E che cos la critica letteraria se non critica orientata nel presente e dalle esigenze del presente, cio critica coinvolta, globalmente responsabile e, secondo la nostra terminologia un po bellica, militante? in questo senso che la critica va distinta dallo studio letterario di tipo accademico e va connessa con la critica della cultura, e in ultima istanza con la critica della societ. Su questultimo punto pu soccorrere T.S. Eliot con il suo pratico buon senso, quando si chiede quali sono le frontiere della critica: 15

quando, cio, la critica letteraria smette di essere letteraria (usando la letteratura per capire altre cose) e quando, allaltro estremo, smette di essere critica (cio giudicante). Mentre nellermeneutica con la nozione e il termine di Dasein si indica il presupposto della situazione e della prassi interpretativa, nella critica letteraria si procede invece compromettendo ogni presupposto circostanziale con i contenuti specifici che intervengono nellesperienza di lettura. I rischi della lettura vengono da un processo interpretativo in atto, non vengono tematizzati filosoficamente, ma dispiegati nella dialettica discorsiva, saggistica di un racconto critico. La critica non si limita al testo con le sue strutture, n al lettore con le sue reazioni, n alle intenzioni dellautore. Sarebbe molto difficile, fra i classici della critica moderna, trovarne uno che si fermi al testo, o alle proprie reazioni di lettore, o alle sole intenzioni dellautore. La critica letteraria unestetica in atto, non in teoria, la sola estetica empirica e pluralistica e forse la sola che conti. I tentativi di definire la letteratura in generale, cercando formule valide per lintero corso della storia e per tutti i generi, non hanno dato risultati durevoli: anche quando, anzi soprattutto quando, certe teorie e definizioni 16

hanno avuto successo, spingendo la critica alluso di tautologie rassicuranti: la poesia intuizione lirica, la poesia c quando domina la funzione poetica del linguaggio, lessenza della letteratura la letterariet ecc. Questo formulario non incrementa ma impoverisce e paralizza lesercizio della critica. E in certe categorie professionali di specialisti, fa della lettura un atto preordinato, preconcepito, metodologicamente corretto, praticabile e replicabile senza rischi. Come sappiamo tutti e come hanno notato anche gli storici della lettura, il primo, uno dei primi lettori senza metodo stato non a caso Montaigne, linventore del saggio moderno, informale o personale. Prima di lui, nel Rinascimento, i lettori colti leggevano compilando quaderni di luoghi comuni nei quali raccoglievano citazioni, osservazioni, passi letti. Si trattava di strumenti che sostituivano la mnemotecnica. Come hanno scritto Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, Montaigne si rifiuta di copiare e compilare, non annota i libri che legge per trarne estratti e citazioni [] nella redazione degli Essais non utilizza repertori di luoghi comuni, ma compone liberamente, senza attingere a ricordi di lettura o senza interrompere la concatenazione dei 17

pensieri con riferimenti libreschi. Certo, Montaigne non era un critico letterario. Ma i suoi saggi mostrano un uomo che riflette su di s e sul genere umano leggendo e avendo letto. Come lettore e non studioso di testi, rappresenta un momento ineliminabile dellattivit critica. Per essere un iperlettore, il critico deve anche restare semplice lettore, lettore senza difese, senza pinze, forbici e bisturi, lettore ricettivo che accetta i rischi della lettura, sospende lincredulit e crede, almeno finch legge, a quello che legge. Il lettore di libri pu tenere un diario di letture e pu succedere che scriva come Henry Miller unautobiografia, I libri nella mia vita, che tratta di libri in quanto esperienza vitale: e le sue conclusioni sono che bisognerebbe leggere sempre di meno e non sempre di pi e che, pur non avendo letto come uno studioso, sentii di aver letto almeno cento volte di pi di quanto avrei dovuto leggere per il mio bene. Lessenziale per un tipo come Henry Miller era, s, scrivere, ma soprattutto vivere. Credeva fermamente che gli illetterati non sono certo i meno intelligenti tra noi. Ma intelligenti o, come dice Miller, rivoluzionari e cio ispirati e ispiratori devono essere i libri. Perch un 18

rischio della lettura, il rischio in realt pi frequente, leggere quel tipo di libri che sarebbe stato meglio non leggere, o che sarebbe stato meglio che non fossero stati pubblicati e scritti. Il libro in s non un valore. Lo solo se vale. E nel caso presente di sovrapproduzione libraria, i peggiori nemici dei libri che vale la pena di leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo di difenderci. Uno dei critici pi interessati ai vari rischi della lettura stato George Steiner. Leggere bene, ha scritto, significa correre grossi rischi. Significa rendere vulnerabile la nostra identit, il nostro autocontrollo [] chi ha letto la Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi allo specchio senza indietreggiare forse capace, tecnicamente, di leggere i caratteri stampati, ma analfabeta nellunico senso che conti realmente. Per Steiner il leggere bene non un fatto tecnico nel senso dei metodi di analisi e interpretazione. una qualit dellesperienza. Nel saggio Una lettura ben fatta (in Nessuna passione spenta) Steiner mostra una certa 19

nostalgia per i rituali della lettura e per il libro come oggetto di culto e strumento di autoformazione umanistica: Leggere bene significa rispondere al testo, implica una responsabilit che sia anche risposta, reazione. Trascurare i refusi senza correggerli gi un peccato di omissione e di disattenzione, una bestemmia contro lo spirito e contro la lettera. da questa appassionata etica della lettura che nascono la filologia e la critica. Negli immediati dintorni, ma anche da un diverso punto di vista, nascono le polemiche di Susan Sontag e di Enzensberger. In Contro linterpretazione , Sontag difende la lettura come percezione intensificata contro la mania di interpretare scavando sotto la superficie di opere letterarie e artistiche. Enzensberger difende a oltranza, contro la lettura corretta e ideale, le letture reali anche se difettose, parziali, utilitaristiche, edonistiche, sperimentali, in quanto atti individuali irriducibilmente anarchici e idiosincratici. Nella lettura i rischi sono ovunque. A volte li corre il testo, a volte li corre il lettore. Altre volte anche lautore: cosa che succede quando per esempio le sue poesie, come lamenta Enzensberger, vengono usate a scuola per 20

tormentare gli studenti con lobbligo dellinterpretazione giusta, fino a nausearli per sempre sia di quella cosa incomprensibile e noiosa chiamata poesia, sia di quegli individui da evitare che sono i poeti. Per quanto mi riguarda, corsi il mio rischio leggendo ai miei studenti di Venezia un passo del diario di Kierkegaard che si apriva con questa frase: Luomo comune io lo amo, i docenti mi fanno ribrezzo. Facevo ribrezzo a me stesso? Mi ero messo nei guai. Dunque: Kierkegaard o luniversit? Aut aut. Senza pensarci molto, due anni dopo, scelsi Kierkegaard e mi dimisi dallinsegnamento.

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Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico

Caro amico, se hai intenzione di fare il critico letterario, non ho da consigliarti altro che di seguire il tuo istinto. Si diventa critici, infatti, anche senza volerlo, solo perch lesercizio intensivo della comprensione e del giudizio ci sembra naturale. In effetti credo che lo sia. Per me lo certamente: ma io sono un critico-critico, perch evidentemente, fin da ragazzo, erano pi le cose che non mi piacevano di quelle che mi attiravano. Non credo che si diventi critici in quanto lettori di romanzi e poesie. Lo si diventa soprattutto perch lambiente, la famiglia, la scuola, il quartiere, i coetanei, gli adulti, i concittadini, i connazionali ci mettono a disagio. Allora bisogna spiegare il perch di questo disagio innanzi tutto a se stessi. Ladolescenza viene definita non a caso et critica. Il critico non un severo uomo maturo, anche se pu ovviamente diventarlo. Il critico allorigine un adolescente scontento, che si chiede perch gli altri sono come sono, perch si hanno tanti dubbi su se stessi e qual il modo giusto o migliore di 22

vivere. Si comincia cos a leggere romanzi e poesie e a confrontare vita vissuta e vita immaginata. Si comincia mettendosi nei panni dei personaggi raccontati. Si provano emozioni che ci vengono trasmesse da certi misteriosi e potenti congegni verbali. Per me allinizio ci furono i racconti di Cechov e Linfinito di Leopardi: cio ambienti sociali chiusi e un desiderio senza precisi limiti, fisico e metafisico, di entrare in un altrove che eccede i confini consueti della mente. Non voglio annoiarti parlando di me. Ma certo un critico senza moventi autobiografici non si sa che cosa sia: non capisce lui stesso perch legge, quali autori leggere, come funziona il suo personale campo magnetico, cio, diciamolo pure, la sua mente ermeneutica. In certe polemiche nelle quali mi sono trovato ripetutamente coinvolto, ho scoperto che il problema pi sentito proprio questo: alcuni hanno la fobia della fredda e arida obiettivit scientifica, altri sono terrorizzati dal sospetto di essere degli individui concreti con un io e una storia personale. Inutile dire che la soluzione si trova a met strada e che la verit nel mezzo, nella misura. inutile dirlo non perch non sia vero, ma perch verit astratte come questa aiutano poco. Un critico deve per prima cosa capire come funziona un testo scritto, come funziona la testa di un autore, quale insieme 23

sociale e quale insieme di idee e di valori, quali aspirazioni e quali conflitti hanno prodotto lindividuo che scrive. Ci vuole attenzione al linguaggio e ci vuole immaginazione e curiosit per gli esseri umani. Non capir mai un testo in se stesso, se non riesco a vedere mentalmente che individuo c dietro. Le due cose sono inseparabili. Un critico un po un filologo (ama il linguaggio), un po un visionario (immagina una realt oltre la lingua), un po un diagnostico (interpreta sintomi e segni di una fisiologia o patologia psico-sociale). Ma credo che la critica come attivit naturale abbia inizio con la conversazione e la rimuginazione sui libri letti. Ci sono tanti lettori appassionati e intelligenti che per non parlano quasi mai di quello che leggono. Passano da un libro allaltro, vanno sempre oltre e non rileggono mentalmente le cose che hanno letto. Non mettono in relazione un libro con laltro. Non ruminano, non meditano. Non sono mentalmente abitati dalle immagini e dalle idee che i libri hanno fatto entrare nei loro cervelli. Ho conosciuto un caso limite di questa tipologia del lettore-divoratore: era una donna che in ogni ritaglio di tempo, in treno, sulla spiaggia, allufficio postale, aveva sempre aperto davanti agli occhi uno di quei tascabili di cinquecento pagine che tutti comprano, e che cosa faceva? Strappava e buttava via ogni pagina dopo averla 24

letta. La lettura era conclusa quando la carta era materialmente finita. Questo tipo di lettore naturalmente non ha in casa una biblioteca personale, non riempie le stanze di libri, non possiede neppure i libri che ha letto. Un critico invece chi compra libri con lidea che li legger, che vuole assolutamente leggerli, che deve leggerli: e intanto li contempla, li desidera, costruisce con la loro presenza fisica il proprio futuro di lettore, prova rimorso perch la propria vita gli impedisce di leggere o di rileggere tutto quello che vorrebbe. Il critico pensa ai libri e alle sue letture anche quando non legge. Nella sua testa si snoda un monologo ininterrotto, nel quale gli autori tornano, si presentano a suggerire qualcosa, cambiano posto, acquistano o perdono valore secondo i giorni, le vicende, le stagioni, le ore. Lattivit critica si alimenta di tutto questo: di un continuo rileggere mentalmente e fisicamente. Soprattutto si alimenta della conversazione. Gli studenti di letteratura che diventeranno dei critici sono coloro che continuano a parlare con gli amici dei libri letti anche quando hanno superato lesame. Senza una certa dose di bibliofilia non si diventa critici. Direi anzi che il critico letterario un individuo che riflette in presenza di uno scaffale di libri: che ha bisogno di sfogliare e di consultare libri per connettere e dare ossigeno ai propri pi comuni pensieri. Mi scuso per queste considerazioni da 25

sillabario. Mi sono state suggerite dal fatto che un critico a met strada fra il lettore comune e lo studioso accademico: legge per ragioni personali, ma trasforma ossessivamente e metodicamente queste ragioni in uno strumento di conoscenza utile a tutti. Questo metodo del rimuginare ossessivo, del conversare, del tornare continuamente nel corso del tempo sugli stessi autori, lo si vede bene, per esempio, in Giacomo Debenedetti e Cesare Garboli. Erano entrambi dei diagnostici e dei visionari. La loro immaginazione interpretativa e la loro attitudine a trovare nessi nascosti erano fuori misura. Avevano perfino bisogno di contenere e di moderare questa passione: non finivano mai di scoprire cose nuove negli stessi autori, non facevano che rileggerli. Debenedetti usava Proust, Saba, Pirandello, Svevo, De Sanctis, Freud e Jung: studiava le trasformazioni dellumanit novecentesca nelle metamorfosi patologiche dei personaggi romanzeschi e dei linguaggi poetici. Garboli indagava e frequentava Antonio Delfini, Mario Soldati, Sandro Penna, Natalia Ginzburg, Roberto Longhi, Elsa Morante, Pascoli e Molire: diagnosticava la malattia che si chiama Letteratura e la malattia che si chiama Italia, dalle origini del fascismo alle maschere pubbliche di fine Novecento. Debenedetti e Garboli sono due proverbiali critici-scrittori e critici-lettori che gli studiosi e i teorici della 26

letteratura fanno fatica ad accettare. proprio la natura composita, ibrida, camaleontica, mercuriale del critico ci che inquieta di pi, suscitando nei suoi confronti forti ambivalenze, tra rispetto e denigrazione. E sono soprattutto gli scrittori a essere vittime della massima oscillazione. Prima dichiarano che i critici sono necessari: se poi non vengono soddisfatti e assecondati, proclamano che i critici sono superflui e, per favore, si tolgano di mezzo. Se questo avviene, qualche ragione c. Il critico pu essere un devoto ammiratore degli scrittori e pu essere un giudice severo. Offre spiegazioni utili, cataloga, promuove, mette ordine, consacra. Ma pu anche ignorare, condannare, denigrare, sottovalutare, negare comprensione. Il fatto che la critica una funzione culturale, un ruolo pubblico, unistituzione, una modalit comunicativa ed espressiva, un genere letterario. Non meno vero, tuttavia, che (come ha spiegato Giuseppe Leonelli) la critica sono i critici: e i critici non sono tutti uguali. Sono anzi spesso cos diversi che alcuni di loro negano di essere critici letterari, altri negano viceversa che molti dei loro colleghi lo siano davvero. Volendo essere drastici si potrebbe applicare una celebre e crudele battuta di Karl Kraus e dire che i critici, come gli altri scrittori, si dividono in due categorie: quelli che lo sono e quelli che non lo sono. E qui siamo al 27

diapason della vocazione giudicante, senza la quale gli stessi procedimenti cognitivi e ricognitivi della critica perdono significato e vigore. Una distinzione empirica, formalmente pi modesta, potrebbe essere quella che prevede tre diverse figure: il recensore, lo studioso, il critico, dove questultimo pu comprendere, ma comunque eccede, lambito dei primi due. Nel senso che certamente ogni essere umano e pensante dotato di capacit critiche (la critica naturale, di tutti), ma non tutti gli innumerevoli recensori di libri sono veri critici. Cos come ogni critico, se qualcosa di pi di un lettore, deve essere anche uno studioso, ma non tutti gli studiosi sono critici. Ecco: tornando allinizio del discorso, il vero critico un lettore, uno studioso, un filosofo, uno scrittore. un critico della vita attraverso la letteratura e un critico della letteratura attraverso la vita. Con giusta prudenza pratica, nel suo libro La vocazione di Jago, Giuseppe Leonelli ha scritto: Penso che abbiano diritto a esistere non una sola ma molte idee della critica, tutte parziali, tutte buone, come i metodi, diceva Croce, che sono buoni, tutti, quando sono buoni. Idee che tendono a incarnarsi in organismi viventi, un po come accade ai virus, che non possono 28

svilupparsi e neppure sussistere autonomamente, al di fuori della cellula che li ospita. C una critica che simpersona in Sainte-Beuve e De Sanctis, unaltra in Croce, Serra, Thibaudet, unaltra in Debenedetti, Cecchi, Solmi e via dicendo. I libri, come lo spirito hegeliano, escono dalla loro essenza ideale e sinverano in unesistenza storica mediata e garantita da quei particolari interpreti che sono i critici. I quali non si distinguono funzionalmente da quello che chiamiamo lettore comune se non per la qualit, ricchezza, risonanza e capacit di formalizzazione e comunicazione della propria esperienza. In questo senso, la critica sempre un genere letterario; o meglio, partecipa di tutti i generi, proprio come la letteratura. La critica, come del resto le scienze e la filosofia, unattivit pratica, molto naturale (si discute in pubblico dei libri letti) ma anche piuttosto incompresa (altrimenti non si spiegherebbero le molte polemiche sulla sua funzione, legittimit, metodologia). Come si fa a capire e a giudicare la qualit dei libri? Massimo Onofri ha pubblicato qualche anno fa Recensire. Istruzioni per luso, nel quale questa attivit viene esaminata da tutti i punti di vista. Io qui mi limito ad alcune semplici precisazioni: 29

1. Lattivit critica non va confusa n con lestetica filosofica, n con la teoria della letteratura o le poetiche militanti. La critica non ha niente di normativo e usa le definizioni generali solo per arrivare alla descrizione del caso singolo, autore o libro. 2. Non credo che un critico per sentirsi militante debba esibire le sue scelte di tendenza o credere in una poetica specifica a esclusione di altre: questa una possibilit, ma non la sola, e secondo me non la migliore. Il critico non dovrebbe approvare libri brutti che illustrano, applicano, sostengono la sua poetica preferita: meglio che invece sappia riconoscere il valore di opere riuscite che si ispirano a una poetica che disapprova. 3. Se la critica sono i critici, questo comporta che ognuno avr i suoi criteri, metodi di analisi, punti di vista, preferenze di gusto e modi di argomentare. In altri termini: la critica unattivit rischiosa, unesperienza senza esiti garantiti. Il rischio di errore e di fallimento non neutralizzato n dalladozione di un corretto metodo di analisi, n dalla scelta di una poetica pi avanzata di altre. Il rischio reale garantisce invece alla critica unautenticit conoscitiva e valutativa. I criteri di giudizio possono variare nel tempo e secondo le circostanze. Il critico troppo coerente pu essere miope o fazioso. Il critico 30

troppo duttile pu essere sconcertante: lascia libero il lettore, ma non gli d le sicurezze che il lettore, spesso, vuole. 4. Tutti i critici fanno errori di valutazione. A volte per un errore pu essere pi interessante di un giudizio equo, equilibrato e inerte. Succede con Lukcs ed Edmund Wilson, che non capiscono o rifiutano Kafka. Con Eliot, che rifiuta Hamlet e i poeti romantici. Con De Sanctis, che critica il Barocco. Con Debenedetti, che forse sopravvaluta Tozzi. Con Fortini, che str onc a Il Gattopardo e non sopporta Renato Serra. Eccetera. 5. Ogni critico prende le misure degli autori e dei libri. Quali sono le unit di misura? Ne elenco alcune: Si adotta un canone di classici che definiscono il genere letterario: romanzo, lirica, saggistica, teatro. Si valuta il presente a partire da quanto di meglio stato scritto dalle due o tre generazioni immediatamente precedenti. Si valutano le rappresentazioni letterarie del mondo a partire dallesperienza diretta che il critico e il lettore hanno del mondo: vita urbana, ambienti di lavoro, criminalit, amore, amicizia, rapporti fra generazioni ecc. Una letteratura che 31

voglia essere credibilmente realistica deve essere, appunto, credibile. Non va esclusa la percezione della qualit linguistica e stilistica. Per questo, ovviamente, ci vuole orecchio, bisogna che il critico abbia letto bene autori molto vari. La falsit linguistica uno dei difetti pi frequenti nella narrativa e nella poesia recenti. In questo caso, pi che la rappresentazione della realt, deve essere la lingua (del poeta, dei personaggi) a essere credibile. 6. Il libro va misurato con qualche cosa di esterno (realt, passato letterario, altri libri contemporanei) ma anche con se stesso, con le sue promesse e premesse, con le sue intenzioni e ambizioni. 7. Fondamentale comunque, soprattutto, descrivere-definire da vicino cosa quel particolare libro, individuarlo. Non vanno applicate categorie prefabbricate, come ha fatto di solito la critica ideologica, o moralistica, o davanguardia. 8. Per esempio: pu accadere che il critico debba riconoscere che i migliori poeti o romanzieri o saggisti contemporanei non sono affatto quelli che scrivono come lui preferisce, o come si augurava. Il critico deve saper accettare 32

di essere sorpreso e contraddetto dai fatti. Deve saper amare qualcosa che non si aspettava di poter apprezzare. 9. Bisogna essere capaci di ammirazione. Il critico ha bisogno di autori preferiti, che ammira, che lo ispirano, che eccitano la sua intelligenza. Ha per anche bisogno di autori che esaltano la sua ostilit e aggressivit. A volte pu essere un po inutile e anche noioso parlare di autori e libri che ci piacciono: ci basta leggerli e non sappiamo che dire, che cosa aggiungere a quello che abbiamo letto. Personalmente sono molto stimolato dal tentativo di far capire perch brutto un libro che tutti trovano bello, o che bello un libro trascurato. Per un critico importante essere iconoclasta. Demolire i falsi idoli libera la mente e la prepara ad apprezzare il meglio.

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I poeti e il rischio di essere letti

Di tutte le parole che possiamo scrivere con la maiuscola sarebbe bene diffidare: contengono quasi sempre un pericolo di retorica e pretendono un rispetto che la loro astrattezza illusionistica non merita. Essere, Stato, Mercato, Rivoluzione, Patria, Partito ecc.: in ognuno di questi termini nascosta qualche trappola. Ma qui vorrei occuparmi della pi mite e innocua di queste parole, la parola Poesia. Se usata con la maiuscola diventa un dogma e un alibi, un valore inattaccabile, uno dei pi protettivi partiti politici o sindacati dello spirito. Niente di violento, naturalmente. Ma la parola Poesia pu generare uno stato di autoipnosi favorevole a uninconsulta produttivit verbale. Si socchiudono gli occhi, si allentano i freni inibitori, si evita ogni pensiero pericolosamente preciso, si pensa alla Poesia e le parole vengono da chiss dove, magnetizzate come corpuscoli dal loro reciproco attrito. Sembrerebbe di no, eppure c bisogno di dirlo: non solo finita da tempo la poesia moderna, finita anche quella postmoderna che fu consapevole di venire dopo. Tutto ormai altro da quando sono usciti di scena i poeti intellettuali o semplicemente intelligenti, quelli 34

per i quali fra ispirazione e visione critica dellio e del mondo non cera differenza. Nel suo saggio ormai classico Problemi della lirica (1951), Gottfried Benn su questo punto parlava chiaro, riassumendo una vicenda iniziata pi di un secolo prima e che allora si stava concludendo: Nel produrre una poesia non si osserva solo la poesia, ma anche se stessi []. Particolarmente significativo in questo senso Valry, in cui la contemporaneit dellattivit poetica e di quella introspettivo-critica giunge al confine dove entrambe si compenetrano [] tocchiamo qui una caratteristica essenziale del moderno Io lirico. Nella letteratura moderna troviamo esempi di autori in cui lirica e saggio sono sullo stesso piano. Quasi sembrano condizionarsi a vicenda. Oltre Valry nominer Eliot, Mallarm, Baudelaire, Ezra Pound, anche Poe e poi i surrealisti. Idee simili tornano nelle generazioni successive. Wystan Hugh Auden per esempio esalt fantasiosamente il ruolo dellautocritica e la capacit di visualizzare i propri lettori: Per ridurre al minimo gli errori, il Censore a cui interiormente il poeta sottopone via via quello che scrive, dovrebbe essere non un singolo ma un comitato. Tale comitato dovrebbe includere, ad 35

esempio, un figlio unico ipersensibile, una esperta massaia, un logico, un monaco, un buffone irriverente e magari anche un brutale e sboccato sergente che considera tutta la poesia nientaltro che spazzatura. Un postmoderno come Enzensberger, allinizio degli anni sessanta, riprese e concluse il discorso affermando che la poesia moderna deve essere non soltanto conosciuta, ma criticata: non pi possibile separare il produrre dalla critica. Del resto, anche la tradizione classica prevedeva il poeta doctus e il poeta-critico: da Orazio a Dante fino a Coleridge e Leopardi. solo in questi ultimi decenni e soprattutto dagli anni settanta in poi, dopo Pasolini e Zanzotto, che le cose sono cambiate. Si ha limpressione che i poeti siano diventati cos innumerevoli soprattutto perch credono che la poesia sia un genere letterario senza regole che non richiede a nessuno di avere qualcosa da dire. Tanta malintesa libert ha per liberato la poesia da un pubblico di lettori e dal giudizio critico, riducendo un genere prima ritenuto arduo fino allascetismo a una terra di nessuno di libero accesso. Il fatto che lelementare senso comune, di 36

cui anche la cultura pi raffinata e complessa ha bisogno per sopravvivere, stato diffamato da un secolo di manie oltranziste. Le parole in libert di Marinetti hanno fatto capire che il gesto originario di ogni avanguardia era una provocazione antiprofessorale a scopo pubblicitario. Tristan Tzara, poco dopo, ha replicato il gesto con pi umorismo. Poi la Francia, centro di tutte le trasgressioni per eccesso di clart classicista, passata dalla scrittura automatica di Breton alla scrittura testuale di Tel Quel. Si trattava di inventare ogni volta di nuovo i dieci modi per scrivere il silenzio, per fare letteratura rifiutandola. Ma questa storia cos eurocentrica cosa del passato. Anche per la poesia poi arrivato dagli Stati Uniti lo stile da creative writing, che permette di produrre diligentemente una poesia al giorno buttando locchio sulle pareti della propria stanza, sul bricco del t, sui movimenti dei vicini di casa: niente rime, meglio evitare la punteggiatura, il verso venga indicato dal semplice andare a capo, usare molto gli spazi bianchi che sono sempre suggestivi. Certo si pu fare questo anche con ottimi risultati (lo ha fatto William Carlos Williams) ma ci vuole orecchio, occhio, gusto e un fiuto sicuro nellevitare 37

banalit e noia. Il Novecento poetico italiano finito molto prima che il secolo finisse. Si concluso negli anni settanta con le ultime poesie prosastiche di Montale e di Pasolini, con la riscoperta di Penna e linaspettata creativit conclusiva di Caproni e Bertolucci, con Amelia Rosselli (che scavalca ogni precedente codice stilistico, straniera a tutto, figlia illegittima nella tradizione italiana) e con Giovanni Raboni (figlio molto legittimo e devoto dei prevalenti stili novecenteschi). Raboni fu un geniale mediatore: in lui i rigori politici di Fortini vengono ammorbiditi dai tepori domestici di Bertolucci, il lirismo inibito di Sereni viene sciolto con quello eloquente di Luzi. Con il suo ecumenismo Raboni era destinato al ruolo di animatore e organizzatore di nuove comunit di poeti senza problemi. Era lui stesso un poeta ispirato dalla poesia in s e per s, ne amava il clima esistenziale e la promozione editoriale. A partire dagli anni ottanta, con limprovviso declino dello strutturalismo, allossessione teorica e tecnica nei discorsi sulla poesia subentrata la fissazione ontologica e mistica. Dopo la funzione poetica del linguaggio di Jakobson arrivato il linguaggio come dimora dellessere di Heidegger, accompagnato dallidea che si possa fare di un tragico caso limite come quello di Paul Celan, poeta straordinariamente oscuro, un nuovo modello canonico replicabile nella 38

routine poetica. Ma n lidea di essere n quella di tecnica aiutano a valutare la situazione della poesia e il talento di chi la scrive. Se si dimentica lingovernabile singolarit di autori e testi, se non si in grado di percepirli e descriverli, si annega in categorie che sembrano universali e profonde, ma sono solo generiche. Purtroppo molte antologie in circolazione promuovono come scrittori una maggioranza di scriventi, cosa che impedisce alla poesia di avere un pubblico di lettori esigenti e competenti. La gastronomia e il gioco del calcio hanno questo tipo di pubblico, cos come gli scacchi, lo sci e la vela. La poesia no. La sua creativit e il suo valore non sono sperimentati da chi legge, sono presunti e presupposti. Neppure i critici e gli studiosi oggi sanno dire se un testo poetico eccellente, buono, mediocre, banale o nullo. La prima cosa che si richiede a un critico, disse una volta Marina Cvetaeva, che non scriva cattive poesie. Si pu aggiungere che la prima cosa che si richiede a un poeta che sia abbastanza critico da capire se quello che ha scritto e scrivono gli altri poesia o non niente, si pu leggere o non prevede neppure di essere davvero letto. Allinizio degli anni novanta Giorgio Manacorda reag a una situazione diventata assurda fondando un Annuario di poesia che sarebbe arrivato allultimo numero dopo circa 39

due decenni. Lidea di partenza di Manacorda era che la poesia una cosa troppo importante per essere lasciata nelle mani dei poeti e degli editori: mancava la funzione critica, senza la quale lintero sistema letterario si altera e si deforma. Per circa ventanni l Annuario ha funzionato come laboratorio di documentazione, ricognizione e valutazione. Sono stati recensiti decine e decine di libri di poesia da una ventina di recensori. Oggi, dopo la fine dell Annuario, Paolo Febbraro e Matteo Marchesini, che ne sono stati protagonisti, appaiono come i due poeticritici pi capaci di fare bilanci storici fondati sullesame dei testi e senza quelle reticenze cerimoniali che hanno impedito alla verit di disturbare il sonno dei poeti. Nel suo pamphlet Poesia senza gergo Marchesini prende di mira con furore dialettico e polemico i feticci culturali che ipnotizzano il mondo della poesia italiana. Contro la liricizzazione dei sistemi filosofici, contro la cattiva filosofia dei narratori e dei poeti Marchesini ripropone il rapporto poesiasaggistica e sceglie i suoi autori per il futuro: Fiori, Temporelli, Zuccato, Febbraro, Maccari. Paolo Febbraro chiude lultimo numero dell Annuario con una serie di giudizi 40

scandalosamente limpidi. Per esempio su Valerio Magrelli: come se avesse bisogno di scrivere e rappresentarsi graficamente, ma non ne avesse alcun motivo [] stupefacente che una simile confessione di vuoto millimetrato abbia potuto destare entusiasmo. E poi: Il 49% del proprio ingegno Conte lo ha usato per far s che i propri componimenti sembrassero poesie. Ancora: Frasca picchia a martello sulle sue parole perch non ci crede abbastanza [] la poesia di Frasca sembra uno spesso, grigio panno appoggiato ordinatamente su un letto di chiodi. Forse ci siamo. La critica di poesia sta trovando un nuovo linguaggio, che permette di dire in pubblico ci che di solito si mormora in privato.

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Caproni e il lettore impaziente

Ho davanti a me la foto riprodotta sul cofanetto del Meridiano Mondadori con Lopera in versi di Giorgio Caproni. bella la foto, ma straordinario quel volto. Caproni negli ultimi anni, quando ha concepito e scritto, in una tensione estrema, i suoi ultimi libri, quelli che lo hanno fatto pi amare dai nuovi lettori. un viso scarno, pelle e ossa, contratto in una concentrazione drammatica e stranamente allegra, un viso scolpito dalle rughe come i suoi versi sono scolpiti e scanditi dalle rime, dai vuoti, dai salti di riga e dagli spazi bianchi. Caproni ovvero lessenzialit: la scossa elettrica di afferrare solo lo strettamente necessario e di colpire il bersaglio (racconta di essere stato impegnato da ragazzo in continue sassaiole, ed era amico di famiglia un eccellente cacciatore di nome Cecco). A proposito di un viso definibile con la formula pelle e ossa, si pu ricordare che una certa anatomia simbolica, del resto molto facilmente afferrabile, identifica nella pelle il contatto sensoriale immediato con lambiente esterno, mentre le ossa alludono alla metafisica che fisicamente in noi, a ci che dura di pi dopo la morte. 42

Ancora: in questa foto gli occhi guardano di lato, dietro e oltre il fotografo. Scrutano qualcosa che c o non c, scrutano in attesa, con lansia di chi vuole afferrare nellattimo levento fulmineo che forse accadr o forse no (di suo padre, appassionato di esperimenti elettrici, Caproni dice che fabbricava fulmini in casa). E le labbra sono serrate, come per impedirsi di parlare, come se lemettere parole dovesse essere solo una necessit estrema e a lungo compressa. Questa interpretazione fisiognomica di Caproni, cos ovvia, pu essere giustificata dal senso di eccezionale singolarit e coerenza della sua scrittura poetica. Caproni sempre veloce, attento, laconico e presente a se stesso. Diventa quindi pi facile la tentazione di immaginare che il suo viso e la sua opera si somiglino, facciano sistema, direttamente, senza labirintiche e complesse mediazioni culturali: dal corpo alla scrittura. Nei suoi versi il peso della cultura sembra annullato. Dei cosiddetti quattro elementi laria il pi caratteristico e necessario per Caproni: la terra troppo concreta e solida, il fuoco troppo passionale e prepotente, lacqua troppo avvolgente. Solo laria pu esistere senza esistere, esserci senza quasi essere vista, puro medium della visione, ubiqua e priva di confini (i miei versi sono nati in simbiosi con il vento). Lo strumento musicale di Caproni stato il 43

violino, il pi nervoso e teso degli strumenti, lo strumento del genovese Paganini: a Genova che Caproni studia violino e si diploma a tredici anni. Infine, Caproni maestro di scuola elementare. Non lo fu a caso, aveva il senso di che cos elementare ma essenziale e di qual il suo valore. La sua poesia nata a ridosso dellinfanzia, quando leggeva le storie illustrate e raccontate in versi a rima baciata sul Corriere dei Piccoli. E accanto al Corriere dei Piccoli, in seconda elementare, a sette-otto anni, il bambino scopre la poesia italiana in unantologia trovata fra i libri di suo padre, Poeti delle origini (cio i Siciliani e gli Stilnovisti). Ma su Caproni maestro elementare c un aneddoto, raccontatomi da Antonio Debenedetti, che trovo meraviglioso, un virtuosistico capolavoro di essenzialit pratico-letteraria. Sembra che il piccolo Antonio, scolaro svogliato, avesse bisogno di essere disciplinato e seguito da qualcuno, e cos suo padre, il grande critico, lo sped da Caproni. Il bambino a casa non sentiva che parlare di libri che sono belli e di libri che invece sono brutti. Cos chiese a Caproni: Come si fa a capire se un libro bello o brutto? Bisognava fare presto a rispondere, non annoiare, non complicare, farsi capire bene e soprattutto colpire limmaginazione, spingere a fare da s. Ed ecco il metodo, forse inventato sul 44

momento da Caproni: Tu prendi un libro, apri alla prima pagina e leggi le prime parole. Poi vai allultima pagina e prendi le ultime. Se stanno bene insieme il libro bello, se non stanno bene, il libro brutto. La cosa diabolica (o angelica) che il metodo Caproni funziona quasi sempre. Ho fatto la prova, fatela anche voi. Si capiscono subito le caratteristiche del libro e anche dellautore. Prendo Moby Dick . Prime parole: Chiamatemi Ismaele. Ultime: un altro orfano. Stupendo. proprio cos. Prendo I fratelli Karamazov . Prime parole: Iniziando la biografia del mio eroe. Ultime: al suo grido. esattamente questo. Grandioso. Vediamo che cosa succede con I promessi sposi. Prime parole: Quel ramo. Ultime: fatto apposta. No! Quel ramo fatto apposta? Non possibile. Dove siamo? questo il difetto di Manzoni: comincia con una certa pedanteria immaginando uno spazio libero e naturale e finisce in una specie di dispettuccio, di forzatura, di ristrettezza morale un po viziosa. Caproni un genio del risparmio verbale e mentale. Tutti i metodi della critica letteraria sono sbaragliati Scherzi a parte (ma gli scherzi in questo caso sono anche seri) Caproni fa miracoli riducendo al 45

minimo e ricominciando sempre da zero, dallinizio. In questo c anche un estremismo. Dallinizio si corre alla fine e oltre. Tecnicamente Caproni un maestro della clausola e della condensazione. Le sue minime strofe sono spesso aforismi rafforzati dalla percussione della rima. Lenergia del ritmo rende pi corte le parole. In una lingua polisillabica come la nostra, Caproni sceglie istintivamente le parole pi brevi e la sintassi pi veloce. Nella sua prima raccolta poetica, Come unallegoria (1936), la seconda poesia si intitola Alba (e non sar un caso). Siamo alle soglie del giorno, quando il mondo viene alla luce e non ha ancora un sapore: Una cosa scipita, col suo sapore di prati bagnati, questa mattina nella mia bocca ancora assopita. Negli occhi nascono come nellacqua degli acquitrini le case, il ponte, gli ulivi: senza calore. assente il sale 46

del mondo: il sole. La base strettamente sensoriale. Ma c poca materia per i sensi, qui il pi fisico dei sensi, il gusto. un mondo appena nascente e senza sapore, a cui manca il sale. Un mondo ancora senza sole e senza calore. Il mondo di Caproni sempre nitido, ma anche crepuscolare. sul punto di nascere o sul punto di sparire. Nei suoi ultimi libri, i sensi lavorano poco. Ci si allontana dalla vita. Il commiato, bench non privo di cerimonie, cerca comunque di essere laconico. Ma non ci riesce, ricomincia e poi smette. Il pathos persistente, ossessivo in Caproni, il pathos dellinterruzione e della ripresa, della fine e del principio. In mezzo non c molto. Sia lo spazio della vita che quello della poesia sembrano stretti e scarsi, come in Liguria. In unintervista del 1975 disse: Ero un ragazzaccio, sempre in mezzo alle sassaiole, quando non me ne restavo incantato o imbambolato. Non ero molto allegro: tutto mi metteva veleno in partenza: mi noleggiavo per unora la barca o la bicicletta, e gi vedevo quellora finita. Ne soffrivo in anticipo la fine. Questa ansia intensifica le percezioni, ma nello stesso tempo le rende volatili, come se la cosa percepita sparisse sempre un po prima del tempo, o di quando si vorrebbe. Una delle poesie pi famose di Caproni, una 47

tra le pi amabili e recitabili, Congedo del viaggiatore cerimonioso (il libro omonimo contiene testi composti fra il 1960 e il 1964), mette in scena una facile allegoria ferroviaria della vita come viaggio: [] Ancora vorrei conversare a lungo con voi. Ma sia. Il luogo del trasferimento lo ignoro. Sento per che vi dovr ricordare spesso, nella nuova sede, mentre il mio occhio gi vede dal finestrino, oltre il fumo umido del nebbione che ci avvolge, rosso il disco della mia stazione. [] Congedo alla sapienza e congedo allamore. Congedo anche alla religione. Ormai sono a destinazione. Lautore aveva appena quarantotto anni e la sua ansia di nullificare era divorante. Neppure la religione, di solito compagna di chi fiuta la fine, riesce a resistere. Si sa, il rischio di chi si appassiona allessenzialit di vedere il nulla in 48

tutto. Non in alternativa, ma continuamente mescolati. Il nulla si insinua in mezzo alle cose, induce una rarefazione, un alleggerimento, una transitoriet che sempre incombe, un gioco fra lapparire e lo sparire. Basta aprire i libri di Caproni per vedere fisicamente, graficamente, questa presenza delle assenze, linvasione del nulla e dei vuoti, che ne sono gli ambasciatori. Dopo alcuni tentativi, peraltro molto riusciti, di costruire poesie e poemetti pi sintatticamente articolati, in particolare Il passaggio di Enea, libro del 1956, comincia la marcia di Caproni verso il poco e il meno. Nel Muro della terra, che raccoglie poesie scritte fra il 1964 e il 1975, lepigrafe da Annibal Caro ha un suono inequivocabile: Siamo in un deserto, e volete lettere da noi? E poco dopo, i sei versi che definiscono con il loro titolo la Condizione di chi scrive: Un uomo solo, chiuso nella sua stanza. Con tutte le sue ragioni. Tutti i suoi torti. Solo in una stanza vuota, a parlare. Ai morti. 49

Ed ecco che appare quellanimale, stavolta un leggerissimo, minimo, veloce, abile insetto, che in Caproni prende il posto che in Saba ebbe la capra e in Montale languilla: lidrmetra (nome sia maschile che femminile) che cammina sulla superficie dellacqua: Di noi, testimoni del mondo, tutte andranno perdute le nostre testimonianze. Le vere come le false. La realt come larte. Il mondo delle sembianze e della storia, egualmente porteremo con noi in fondo allacqua, incerta e lucida, il cui velo nero nessun idrometra pi pattiner nessuna libellula sorvoler nel deserto, intero. In un tale virtuosismo lirico, in versi e strofe sempre sul limite dello sparire, Caproni si esercita nella sua speciale arte di affermare negando, di tracciare segni che sembrano voler essere il pi possibile incisi, e che in quello che dicono si rivelano essere scritti sulla sabbia o sullacqua. Mario Luzi rese omaggio al suo coetaneo Caproni, definito da lui splendido faber, dicendo che fra i poeti della sua generazione 50

il pi innamorato degli strumenti tecnici [] dei quali egli espone in piena evidenza, con incantevole ilarit, il movimento stesso dei congegni. Ilarit tecnica, euforia ritmica per esprimere una specie di nichilismo ludico. Di qui la ripetitivit attraverso continue variazioni sul tema della perdita, della distanza, delladdio. Una ripetitivit inebriante e un po esasperante della parola finale, della clausola perfetta che per non chiude mai, anchessa provvisoria. Gli oggetti e le situazioni che nei primi libri potevano ambientare realisticamente le poesie di Caproni come not Calvino: le molte latterie e molte osterie che si presentavano come emblema di un elementare attaccamento alla vita in verit portano fuori strada, ingannano. Perci non fidatevi, avvertiva Calvino, il loro vero significato era questo: ci che , poca cosa, mentre il resto (il tutto, o quasi) ci che non , che non stato, che non sar mai. La narrativit e teatralit che Caproni porta dentro la poesia (annunciando una tendenza stilistica frequente nei poeti pi giovani), invece di espandersi inglobando fatti e realt fisica, si contrae in una vicenda sempre pi mentale. La cornice allegorica resta quella del viaggio e del viaggiatore, in scenari assiderati in cui la vita impossibile. Lintellettualismo o mentalismo degli 51

ultimi libri di Caproni, dal Franco cacciatore (1982) al postumo Res amissa (la cosa perduta, un bene non precisato) non presuppone una filosofia, una metafisica e neppure unestetica. Scompaiono le nostalgie e gli amori, reali e poi impossibili. Gli stessi oggetti di pensiero diventano mostri incorporei o pretesti per tenere vigile unattenzione quasi senza pi contenuti. Ogni tanto, sprazzi di violenta indignazione politica e civile o di polemica moralmente secessionista: Dite pure di noi se questo vi far piacere che siamo dei rinunciatari. Che non riusciamo a tenere il passo con la Storia. Le frasi fatte sappiamo sono la vostra gloria. Noi, noi non ve le contestiamo. Essere in disarmonia con lepoca (andare contro i tempi a favore del tempo) una nostra mania. Crediamo nellanacronismo. Nel fulmine. Non nellavvenirismo. 52

Caproni fuori dellideologia della modernit progressiva un poeta che non elabora n eredita un pensiero, lo fa esplodere in ogni singola annotazione del suo diario poetico. Si pu pensare che in questa autoriduzione alla scarsit, con testi di una tale esibita concisione, amaramente parodistica e umoristica, Caproni alluda a una riduzione di fatto dello spazio sociale e culturale concesso alla poesia. Come se per la poesia ci fosse sempre meno spazio e tempo e la velocit, il risparmio di parole fossero un obbligo e una necessit, la sola risposta del poeta alla situazione. Minimo deve risultare lo spreco di parole, minima la dispersione di energia. Ma cos lestrema condensazione e la fusione di giochi fonici e giochi concettuali annullano ogni possibilit di lettura distratta, in tempi di generale distrazione. Pagando il prezzo di una perdita di estensione e di peso, Caproni riuscito a vincere la sfida con il lettore distratto e impaziente, dato che lui, lautore, ancora pi impaziente. In questo non smette di sorprendere e di divertirsi. Per lui del resto si tratta di concludere, su tutto. Su Freud, per esempio, in due battute: 1. Verit inconcussa. La rima vulvare: la porta cui, chi n uscito una volta poi in perpetuo bussa. 53

2. Si pu dire anche questo: ogni congiungimento erotico , per interposto corpo, un incesto. In un tempo che davanti alla soglia finale sembra essersi fermato, scorciato e contratto, questo poeta ha continuato a esistere pensando per malinconia, ma in allegretto con brio.

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Nota sui testi

Il testo I rischi della lettura stato presentato al convegno Dal progetto di lettura di Carlo Bo alla lettura nellera digitale, Fondazione Carlo e Marise Bo, Urbino, 24-25 novembre 2011. stato pubblicato parzialmente sul Sole 24 Ore il 27 novembre 2011. Il saggio Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico stato pubblicato con altro titolo su Vita e Pensiero, 2, 2009. I poeti e il rischio di essere letti uscito sul Sole 24 Ore del 27 maggio 2012. Caproni e il lettore impaziente il testo di una conferenza tenuta allIstituto Italiano di Cultura di Parigi il 31 maggio 2012. stato pubblicato sul Foglio il 26 maggio 2012.

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ISBN 9788874524129 2012 nottetempo srl via Zanardelli, 34 - 00186 Roma www.edizioninottetempo.it nottetempo@edizioninottetempo.it Progetto grafico: Studio Cerri Associati Conversione e-book: Elena Campa, Studio Arturo, Roma www.edizioninottetempo.it nottetempo@edizioninottetempo.it

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Per consultare il nostro catalogo e-book http://www.edizioninottetempo.it/catalogo/ebook/ Se ti piaciuto leggi anche: Che intellettuale sei di Alfonso Berardinelli Perch scrivere di Milena Agus Che fine faranno i libri di Francesca M.Cataluccio

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Indice
Cover Nota dell'editore Frontespizio Indice I rischi della lettura Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico I poeti e il rischio di essere letti Caproni e il lettore impaziente Nota sui testi colophon catalogo e book

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