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Università degli Studi di Trieste

Facoltà di Scienze della Formazione


Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

Tesi di Laurea

Semiotica

Scritto sul corpo:

narrazioni, discorsi, identità comunicate attraverso la moda.

di Sara Caruso

Relatore Correlatore
Prof. Marina Sbisà Dott. Marta Sedran

Anno Accademico 2007/08

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INDICE

1. INTRODUZIONE

1.1 Per una definizione di moda

2. ROLAND BARTHES: PRIMI PASSI VERSO UNA


SEMIOTICA DELLA MODA

2.1 Dalla sociologia alla semiologia della moda.

2.2 Le categorie saussurriane applicate alla moda.

2.2.1 Langue e Parole.

2.2.2 Diacronia e Sincronia.

2.2.3 Significante e Significato.

2.3 Il cambio di rotta: dalla moda reale alla moda scritta.

2.4 Il “Sistema della moda”: un’analisi strutturale della moda


scritta.

2.5 L’opera di Barthes: un’analisi a posteriori.

3. LA SVOLTA SEMIOTICA DI ALGIRDAS J. GREIMAS

3.1 Alla ricerca di un metodo.

3.2 Il percorso generativo del senso.

3.3 Le strutture semio-narrative.

2
3.4 Le strutture discorsive.

3.5 Semiotica del testo visivo, oggettuale,


architettonico.

3.6 Un’applicazione alla moda: Jean Marie Floch.

4. ESTETICA DELLA MODA: TRA ARTE, CORPO E


IDENTITA’.

4.1 Il corpo di moda.

4.2 Un approccio semiotico al corpo.

4.3 La moda come esperienza estetica.

4.4 Moda ed identità.

5. ANALISI EMPIRICA

5.1 Premessa metodologica

5.2 Analisi “Foto da sfilata”

5.3 Analisi “Foto prese dalla strada”

6. CONCLUSIONE

6.1 Moda plurale, moda semiotica.

3
“Ogni apparire è imperfetto: nasconde l’essere;
a partire da lui si costruiscono un voler-essere ed un dover-essere,
che sono già una deviazione del senso.
Soltanto l’apparire, in quanto potersi dare - o può darsi -
è appena visibile.”

A. J. Greimas

“Il vestito da senso al corpo e quindi lo fa esistere: lo valorizza dandolo a


vedere. Il vestito non nasconde, ne mostra, allude e valorizza: non esibisce
ma semantizza”.

R. Barthes

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1. INTRODUZIONE

1.1 Per una definizione di moda.

L’argomento che si vuole trattare in questo elaborato è particolarmente


sfuggente, multiforme e complesso. Il fenomeno della moda, infatti, oltre ad
attirare l’attenzione di giornalisti, imprenditori, consumatori e pubblicitari, è
oggi quotidianamente esplorato da sociologi, antropologi, letterati e
psicologi, al punto da rendere inevitabile il costituirsi di una branca di
ricerca esclusivamente dedicata che, sotto l’etichetta di Fashion Theory1,
raccoglie tutti gli studi che, con un approccio trasversale e non omogeneo,
condividono una nuova concezione di moda come “sistema di senso entro
cui si producono le raffigurazioni culturali ed estetiche del corpo rivestito”.
Dare una definizione esauriente di moda è comunque estremamente
difficile, anche perché non esiste al riguardo un'interpretazione univoca e
oggettiva. Secondo il Grande dizionario Garzanti della lingua italiana la
moda è soprattutto un obbligo sociale, ovvero “l'usanza più o meno
mutevole che, diventando gusto prevalente, si impone nelle abitudini, nei
modi di vivere, nelle forme del vestire”2. Devoto, invece, sottolinea l’aspetto
significativo e totalizzante della moda, indicandola quale “principio
universale, uno degli elementi della civiltà e del costume sociale, che
interessa non solo il corpo, ma anche tutti i mezzi di espressione di cui
l'uomo dispone”3 . Volendo risalire alla sua radice etimologica, il termine
“moda” deriverebbe dal latino aureo “mos”, nei diversi e correlabili
significati di: a) usanza, costume, abitudine, tradizione; b) legge, regola,
norma; c) buoni costumi, moralità. Un'altra ipotesi farebbe derivare il
termine da “modus”, nei significati di: a) misura, limite, norma; b) modo,
1
P.Calefato, Dizionario degli studi culturali ( a cura di Di Michele Cometa, Roberta
Coglitore, Federica Mazzara), Meltemi Editore, 2004, p. 194.
2
Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, 1993.
3
G.Devoto, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, 1995.

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maniera, genere; c) criterio o modalità regolativa di scelte. In entrambi i casi
sembrerebbe che la parola “moda”, in origine, volesse significare una forma
di gusto, non determinato da un orientamento individuale, ma bensì
irreggimentato in un sistema di regolamentazione e differenzazione sociale,
che definisce ciò che in un dato periodo e luogo può essere considerato di
moda ed è pertanto non solo appropriato, ma in un certo senso, imposto.
Questo punto di vista è stato espresso dai contributi dei sociologi Georg
Simmel e Thorstein Veblen, i quali, inoltre, hanno messo in luce quanto i
processi di diffusione della moda fossero riconducibili alle differenze di
classe.
Il meccanismo individuato da Simmel analizzando il sistema della moda
nella modernità, ad esempio, chiarisce come nel diffondersi in epoca
moderna di una moda convergano esigenze di distinzione ed insieme di
uguaglianza tra le classi, esigenze che si alternano seguendo un ritmo che è
simile a quello di una goccia che cade dall’alto e che si allarga
orizzontalmente. Questo meccanismo di diffusione, detto “trickle-down”,
parte dall’invenzione di una foggia che distingue inequivocabilmente le
classi agiate dalle masse, portando all’imitazione sempre più diffusa della
stessa da parte dei ceti subalterni, fino a determinare una nuova esigenza di
distinzione del vertice della piramide sociale, che produce il continuo
ripetersi del medesimo ciclo.4
L’importanza dell’abbigliamento vistoso ed inconfondibile dell’alta
borghesia è stata resa chiara anche da Veblen, nel suo celebre saggio The
Theory of the Leisure Class (Veblen, 1899). Una simile concezione però,
per quanto ricca di spunti di riflessione, è fortemente collegata al tempo in
cui è stata concepita: è radicata ed ha senso, quindi, nell’epoca moderna.
Con l’innalzamento dei redditi anche per le classi inferiori e soprattutto con
il modificarsi del contesto socio-culturale, oggi caratterizzato dal mescolarsi

4
G.Simmel, “La Moda” in Arte e civiltà, Isedi, 1976, pp. 19-44 ( la traduzione si riferisce a
saggi scritti da Simmel nel 1895).

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delle etnie, dal pluralismo, dalla mescolanza di localismo e globalizzazione,
la moda non è più regolata da un meccanismo di imitazione dei ceti più
elevati. Appare, quindi, evidente quanto poco applicabile ai giorni nostri sia
la teoria trickle down, per la quale è centrale soltanto il concetto di classe.
Ugo Volli in questo senso ha parlato di un rovesciamento della piramide
sociale, da cui ne consegue una modificazione del fenomeno di diffusione
della moda da trickle-down a bubble-up: non più a gocciolamento dall’alto
verso il basso, ma diffusione a contagio, da impulsi che possono nascere
ovunque. L’aspetto che di più affascina è proprio la capacità della moda di
“riflettere gli umori fondamentali della vita sociale”. “Come spiegare – fa
notare Volli - la svolta della fine degli anni sessanta meglio che con i jeans,
le romantiche mantelle, le barbe degli studenti rivoluzionari, le gonne a fiori
e gli zoccoli delle femministe?”. Volendo rintracciare dei dispositivi di
regolazione dei contenuti e dei ritmi dell’imitazione competitiva che
costituiscono la moda, Volli cita la haute couture, che, con il suo susseguirsi
di stagioni, sfilate, servizi giornalistici e pubblicità, ed il lancio di “stelle” e
di “divi”, cinematografici e non, costruiti ad arte per rappresentare un’icona
del “personaggio di moda”, tenta di fornire dei “must”. Allo stesso modo,
nella sua analisi, l’autore si rende conto di come, proprio a causa di un
eccessivo bombardamento mediatico delle caratteristiche che descrivono
l’essere di moda, il risultato sia il prevalere dei comportamenti anarchici:
“molta gente comune ha imparato – spiega Volli - come sia possibile
imporre il proprio look come strumento di comunicazione, almeno di quella
comunicazione elementare e perfino rozza che Roman Jakobson definiva
funzione fatica.”(Volli, 1998).
In un contesto sociale come l’attuale, la moda, intesa come modo di apparire
e di rappresentare se stessi, diventa più che mai significante. Indumenti,
accessori, pettinature, modificazioni corporali, profumi, make-up: tutto
influisce sul corpo post-moderno e sul suo modo di stare al mondo,
rendendolo una pagina bianca fatta per essere scritta, un’interfaccia tra

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l’individuo e il mondo da modellare a proprio piacimento, una superficie
significante che diventa parte di un sistema di comunicazione relazionale
ricco di informazioni. Non solo: sempre di più il fenomeno della moda
invade l’intera vita dell’individuo, l’intero ambiente in cui esso si muove,
permeando di sé oggetti quali l’arredamento di casa, l’automobile e altri
strumenti tecnologici come il telefonino o il pc, i quali diventano, in qualche
modo, estensioni del Sè, ulteriori ridondanze dell’identità individuale. Ogni
acquisto, da semplice scelta di consumo, diventa elemento costitutivo di un
testo narrativo, con le sue isotopie e la sua significazione.
La moda, oggi, non è solo distinzione di classe, status-symbol, cambiamento
e susseguirsi di stili differenti, ma è un contenitore straripante di testi e di
narrazioni: “la struttura mitica con cui costruiamo i nuovi modi d’essere
dell’io e di un mondo multiplo e frammentato”(Fiorani, 2006). Punto di
intersezione tra corpo e cultura, l’abbigliamento, in particolare, “diventa la
personificazione di un ordine comunicativo, rappresentativo. Le sue forme
sensibili evocano e cristallizzano immagini che conferiscono senso: narrano
di sé e di noi”.
Si parla in questo caso di Self-Fashioning (ibidem) intendendo con tale
termine un’accezione dell’agghindarsi che pone al centro dell’attenzione
l’unicità dell’individuo, la sua identità liquida, i suoi contenuti, il ruolo che
sceglie di portare in scena (in senso goffmaniano) durante la
rappresentazione della vita quotidiana (Goffman – 1959).
L’abito è un estensione del corpo che lo unisce e contemporaneamente lo
separa dal mondo sociale: è la frontiera tra self e non-self, tra sé stesso e
l’altro. Vestirsi è in un certo senso, “travestirsi”, scegliere un costume di
scena, che, contestualizzato, diventa un messaggio, una presentazione di sé.
Alla luce di ciò, la moda è stato oggetto di analisi anche per gli studiosi di
semiotica, che hanno sentito la necessità di comprenderne le modalità
comunicative.

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Il primo ad appassionarsi al tema della moda in questi termini è stato il
semiologo francese Roland Barthes, il cui apporto diventa l’invitabile punto
di partenza di ogni successiva riflessione.
Il nostro obiettivo, nel presente lavoro, è, quindi, analizzare il fenomeno
della moda da un punto di vista semiotico, iniziando da un excursus sugli
studi sul costume e sull’abbigliamento sviluppati nell'ambito di questa
disciplina, per appurare se esista semiotica della moda, tale da essere
effettivamente applicabile a casi concreti.
Riteniamo, infatti, di poter considerare la moda come uno dei principali
sistemi di significazione e di comunicazione non-verbale, in grado di
veicolare numerosi significati legati all'identità personale, all'appartenenza
socio-culturale, ai desideri e alle rappresentazioni di sé di ogni individuo.
Crediamo, quindi, di poter dimostrare che tali significati vengano espressi in
modo consapevole attraverso le quotidiane ed individuali scelte di look (la
scelta di questo termine non è casule: questo ormai diffusissimo inglesismo,
infatti, comprende tutte le forme dell’ “apparire”) mediante un modo di
produzione del senso che, a partire da un bricolage5 di segni preesistenti ed
insignificanti, per loro natura prodotti della storia e dell’uso, diventa un
testo sincretico analizzabile attraverso l’esplicitazione delle strutture
profonde della significazione presenti in esso.
D'altra parte, come conferma Volli, la dimensione comunicativa della moda,
anche nelle sue apparenti negazioni (“l'abito non fa il monaco”, ma
evidentemente lo comunica), è evidente da sempre (Volli, 1998).

2. RONALD BARTHES: PRIMI PASSI VERSO UNA


SEMIOTICA DELLA MODA

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Per il concetto di “bricolage” si veda J.M Floch, Identités visuelles, Presses Universitaires
de France, Paris, 1995, trad.it. Identità visive,Franco Angeli, Milano, 2002 e Cl.Lévis-
Strauss, La pensée sauvage, Plon, 1958, trad.it. Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore,
Milano, 1966.

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2.1 Dalla sociologia alla semiologia della moda.

Il precursore dello studio della moda da un punto di vista semiotico, il cui


apporto rappresenta l’imprescindibile prima tappa del percorso di
approfondimento che intendiamo affrontare, è Ronald Barthes, il quale nel
1967 pubblicherà l’opera capostipite delle ricerche in questo settore: il
Systeme de la Mode. E’ solo grazie a lui, infatti, che il fenomeno della
moda comincia ad essere concepito come un meccanismo di significazione
esemplare, che racchiude al suo interno diversi aspetti degni di interesse.
In realtà è possibile rintracciare accenni a questa tematica anche nei lavori
di alcuni antropologi o linguisti che l’hanno preceduto. Petr Bogatyrev, nel
1937 pubblica un saggio dal titolo Le funzioni dell’abbigliamento popolare
nella Slovacchia morava, in cui confronta l’abbigliamento di moda con il
costume popolare, riscontrando delle forti opposizioni tra i due: dove il
primo, infatti, ha senso solo in funzione del cambiamento e della rottura
con il passato, il secondo vive di continuità e tradizione. E’ proprio
quest’ultimo modo di abbigliarsi, così stabile e prevedibile, a richiamare
l’interesse di Bogatyrev, il quale approfondirà lo studio di esso fino alla
definizione delle 5 funzioni del costume popolare (estetica, pratica, erotica,
magica, regionale) giungendo, infine, a sostenere, ed è proprio questo il
punto che ci interessa, che per “capire la funzione sociale degli abiti,
dobbiamo imparare a leggere questi segni, così come impariamo a leggere e
a capire lingue diverse”(Bogatyrev, 1982).
Un simile paragone tra moda e linguaggio è riscontrabile anche nel lavoro di
Nikolaj Trubeckoj, il quale nei suoi Fondamenti di Fonologia evidenzia
un’omologia metodologica tra la fonologia e lo studio antropologico dei
costumi. “La differenza tra persone grasse e magre, oppure alte e basse –
scrive Trubeckoj – è essenziale per il sarto che deve realizzare praticamente
un dato costume. Dal punto di vista dell’antropologia però queste differenze

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non hanno alcun valore: interessa solo la forma fissata per convenzione del
costume” (Trubeckoj, 1971).
L’elenco di brevi incursioni sul tema della moda da parte di sociologi,
antropologici e psicologi potrebbe continuare, ma l’unico ad aver
approfondito l’analisi di questo fenomeno da un punto di vista semiotico è
Roland Barthes, che dopo anni di riflessione, giungerà ad affermare senza
alcuna incertezza che la moda è, a tutti gli effetti, “interamente sistema di
segni”. (Barthes -1967a).
Come tale è ovvio che essa rappresenti per la semiotica un interessante
oggetto di studio: lo stesso fondatore della disciplina, il linguista ginevrino
Ferdinand de Saussure, nel suo Corso di linguistica generale , mentre
proclamava la nascita di una nuova materia scientifica, denominandola
semiologia, dichiarava che questa scienza avrebbe dovuto occuparsi non
solo del linguaggio verbale, ma anche dei riti e dei costumi in quanto segni
(Saussure, 1916).
Dello stesso avviso si era, d’altra parte, dichiarato, pochi anni dopo, anche
lo studioso del linguaggio Roman Jakobson, che nel suo saggio Language
in Relation to the Other Communication Systems afferma che “lo studio dei
segni [ ] deve prendere in considerazione anche strutture semiotiche
applicate, come per esempio l’architettura, gli abiti o la cucina”, sostenendo
successivamente che “uno studio storico e geografico delle mode e dell’arte
culinaria da un punto di vista semiotico potrebbe portare a molte conclusioni
tipo logicamente interessanti e sorprendenti”(Jacobson, 1970).
Quello che fa Barthes iniziando ad appassionarsi all’argomento, non è altro
che seguire una strada in qualche modo già tracciata dai suoi predecessori.
Il suo percorso inizia, quindi, da un’analisi accurata degli studi storici e
sociologici relativi al “vestito” condotti fino a quel momento. Barthes vi
evidenzia da subito una, a suo parere, grave lacuna: in nessuno di essi il
costume viene realmente inteso come sistema, ossia come una struttura, i cui
elementi, di per sé privi di valore, risultano significanti dal momento in cui

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sono inseriti e collegati gli uni a gli altri da un insieme di norme. Il
costume di un determinato gruppo sociale, inteso appunto come sistema,
comprende tutte le leggi che motivando, accettando, vietando od
obbligando, regolano la scelta degli indumenti che un individuo indossa,
colto nella sua natura sociale e storica.
L’esempio che fa Barthes è quello dei primi soldati romani che,
inizialmente, tenevano sulle spalle una copertura di lana semplicemente per
proteggersi dalla pioggia, ma non appena la materia, la forma e l'uso di
questo indumento sono stati regolamentati da un gruppo sociale definito,
esso si è integrato nel sistema ed è diventato costume (Barthes, 1957b).
Secondo lo studioso, dunque, ciò che fonda il costume è l'appropriazione di
una forma o di un uso da parte della società, mediante alcune regole di
fabbricazione. L’interesse degli storici e dei sociologi dovrebbe, sempre
secondo lui, rivolgersi al modo in cui l'indumento individuale si inserisce in
un sistema formale e normativo sociale, lasciando da parte giudizi relativi
alle forme estetiche e alle motivazioni psicologiche. Conoscere l’inventario
e il funzionamento delle regole di assortimento o di uso, secondo il
semiologo francese, sarebbe possedere l’impianto normativo che veicola la
significazione.
Raggiunta questa convinzione, Barthes effettua un parallelo tra il linguaggio
e il vestito: “da Saussure in poi - scrive - sappiamo che il linguaggio, così
come il vestito, è al contempo storia e sistema, atto individuale e istituzione
collettiva” (ibidem). Entrambi rappresentano istituzioni in divenire,
modificabili nel loro insieme di conseguenza alla trasformazione di un
semplice elemento. Questa analogia porta Barthes a rivedere un punto di
vista tradizionale, in base a cui il vestito avrebbe solo tre funzioni: quella di
proteggere dal freddo, quella di nascondere la propria nudità per pudore ed
infine quella di ornarsi. A prescindere da queste motivazioni, che hanno
comunque una loro validità, egli conclude che indossare un vestito è
fondamentalmente un atto di significazione e in quanto atto di

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significazione, il “vestirsi” costituisce un’attività profondamente sociale,
che ha senso solo se inserita in una dialettica fra individui all'interno di una
collettività.
Viste queste equivalenze, Barthes arriva infine a sostenere che si possa
trasferire la già consolidata griglia metodologica della linguistica
saussuriana in un campo di studi ancora carente sotto questo punto di vista :
quello della sociologia del costume.

2.2 Le categorie sassuriane applicate alla moda.

2.2.1 Langue e Parole.

Dire che il linguaggio del moda, al pari di quello verbale, è al contempo atto
individuale ed istituzione collettiva è rifarsi ai concetti di linguistica che De
Saussure, nel suo Corso, definiva parole e langue.
Per Barthes, infatti (la sua intuizione nasce proprio riflettendo sul paragone
tra vestiario e linguaggio di Trubeckoj che abbiamo citato nel capitolo
precedente), la langue sta alla parole come il costume sta all’abbigliamento,
dove per il primo si intende “una realtà istituzionale, essenzialmente sociale,
indipendente dall'individuo, una sorta di riserva sistematica, normativa,
all'interno della quale il singolo organizza la propria tenuta”(Barthes,
1957b), mentre con il secondo ci si riferisce ad “una realtà individuale, vero
e proprio atto del “vestirsi”, attraverso il quale l'individuo attualizza su di sé
l'istituzione generale del costume”(ibidem).
Gli elementi che caratterizzano il fenomeno dell’abbigliamento sono,
dunque, costituiti dal modo in cui gli individui indossano il costume che
viene loro proposto dal gruppo sociale di appartenenza. Ciò che non è
rintracciabile in tale sistema normativo rientra nella dimensioni individuale
del vestito. Barthes cita a proposito il grado di usura, di disordine o di
sporcizia, le carenze parziali di indumenti, le carenze d'uso (come i bottoni

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non abbottonati), i vestiti improvvisati, la scelta dei colori (ad eccezione dei
colori ritualizzati come per le uniformi, per le nozze o per le cerimonie
funebri), le derivazioni circostanziali di impiego di un indumento, i gesti
d'uso tipici dell'indossatore. Questi elementi, pur permettendo analisi in
termini morfologici o psicologici, non sono assolutamente rilevanti in uno
studio di tipo sociologico o semiotico, in quanto da essi non è possibile
dedurre alcuna informazione rilevante che provi l’esistenza di un codice
comunicativo condiviso (Barthes, 1959).
Oggetto specifico di tale tipo di ricerca, proprio perché fortemente
significativi, sono invece i fenomeni di costume i quali permettono, in
particolare, di significare la relazione che intercorre tra l'individuo e il suo
gruppo. Per definirli Barthes elenca le forme, le sostanze e i colori
ritualizzati, gli usi fissi, i gesti stereotipati, la distribuzione regolare degli
elementi accessori (bottoni, tasche, ecc.), le “tenute”, la compatibilità o
l’incompatibilità degli indumenti fra di loro, le norme che regolano il
sovrapporre degli indumenti esterni su quelli interni, i fenomeni di
abbigliamento ricostituiti artificialmente per scopi significativi (costumi di
teatro e di cinema).
La distinzione tra costume ed abbigliamento, come quella tra langue e
parole di matrice sassuriana, non è rigida, in quanto fra l’abito di moda e
quello indossato ci sono continui scambi: fenomeni di abbigliamento
possono diventare elementi del costume (è il caso, sempre più frequente, in
cui una moda nasce partendo da una invenzione di un singolo che contagia il
gruppo di appartenenza, fino a che il nuovo elemento si istituzionalizza
diventando fenomeno di costume) e allo stesso modo elementi del costume
possono diventare fenomeni di abbigliamento (è il caso della moda
femminile, che, attraverso i propri canali di diffusione, propone ogni anno
dei modelli e forme che poi vengono acquisiti nell'abbigliamento). Esistono
poi dei casi in cui è difficile assegnare un elemento ad un di queste
categorie: “la larghezza delle spalle, per esempio, è un fenomeno di

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abbigliamento quando corrisponde esattamente all'anatomia dell'individuo
che indossa un certo indumento; è un fenomeno di costume quando la sua
dimensione è prescritta da un gruppo a titolo di moda” (ibidem).
Quando si parla di moda, in ogni caso, ci si riferisce a un fenomeno di
costume, a volte ideato da alcuni specialisti del settore (gli stilisti che
disegnano la Haute Couture), a volte nato dalla propagazione su scala
collettiva di un semplice fenomeno di abbigliamento.

2.2.2 Diacronia e Sincronia.

Il parallelo tra moda e linguaggio verbale si ripete in Barthes quando


afferma che la moda è al contempo storia e sistema (Barthes -1957b). Il
riferimento è, questa volta, alle due prospettive di studio della lingua
descritte da De Saussure nel suo Corso definisce diacronia e sincronia.
Secondo Barthes, come nella lingua è possibile distinguere un piano
sincronico (o sistematico) e un piano diacronico (o processuale), anche il
vestito può essere studiato sia in quanto inserito in un sistema, fatto di
relazioni e di opposizioni, sia dal punto di vista del suo divenire nel tempo.
A questo proposito, Barthes ritiene opportuno proporre due precauzioni
metodologiche: in primo luogo, “è necessario ammorbidire la nozione di
sistema, e pensare le strutture più in termini di tendenze che in termini di
rigorosi equilibri”(ibidem) proprio perché il legame forte che esiste tra un
tipo di abbigliamento e il contesto storico nel quale esso nasce è spesso
causa di sconvolgimenti, rotture e ritorni; inoltre, al fine di spiegare il
divenire delle forme vestimentarie, ritiene indispensabile prima censire tutti
i fattori interni al sistema per poi passare a quelli esterni.
Tra i vari studi dedicati ai cambiamenti della moda nel tempo, Barthes,
nell'articolo La mode et les sciences humaines (Barthes, 1966) cita quello di
Kroeber , che ha analizzato il vestito femminile da sera in un intervallo
temporale di circa tre secoli, basandosi su riproduzioni di incisioni. Dopo

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aver ridotto questo vestito a un certo numero di tratti (lunghezza e ampiezza
della gonna, ampiezza e profondità della scollatura, altezza della vita), egli
sostiene che, se si osserva la moda sulla scala della storia, essa appare come
un fenomeno profondamente regolare, in cui , più o meno ogni cinquantenni
si ritorna al punto di partenza: “se, in dato momento, le gonne sono lunghe
al massimo grado, cinquant'anni più tardi esse saranno corte al massimo
grado; così, le gonne ritorneranno lunghe cinquant'anni dopo essere state
corte e cento anni dopo essere state lunghe” (ibidem).
La moda è un sistema particolare, che sembra sfuggire al determinismo
della storia: avvenimenti di grande portata, come la Rivoluzione francese,
hanno tutt'al più accelerato o rallentato debolmente certi cambiamenti, senza
però compromettere la regolarità delle oscillazioni sul lungo periodo.
Barthes, a questo proposito, sostiene che il fenomeno generale del vestito
conosce tre forme di temporalità. Quello più lungo e longevo è dato dalle
forme archetipo del vestito che contraddistinguono una determinata civiltà:
è il caso del kimono in Giappone, del poncho in Messico, e così via. A un
livello intermedio si situano variazioni regolari come quelle di cui parla
Kroeber. Infine, c'è il tempo, estremamente breve, delle “micromode”,
caratteristico della nostra civiltà occidentale, dove la moda cambia in linea
di principio ogni anno.
In un articolo apparso nel 1962, Le dandysme et la mode, Barthes attribuisce
alla società moderna l’invenzione dei cicli della moda: innovazione
vestimentarie arbitrariamente indotte di durata perfettamente regolare,
“sufficientemente lenta da poter essere seguita, sufficientemente veloce da
accelerare i ritmi di acquisto” (Barthes, 1962).
Con il succedersi delle stagioni, il sistema della moda propone e tenta di
imporre certe forme, certi colori, certi modi d’uso, i quali nascono già
destinati a diventare, da attraenti ed indispensabili, sgradevoli o addirittura
sconvenienti, in soli quattro mesi. La motivazione è ovviamente di tipo
economico: occorre infatti accelerare il rinnovamento del guardaroba, che

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sarebbe troppo lento se dipendesse dalla sola usura. Più il ritmo d'acquisto
supera il ritmo di usura, più forte è l'assoggettamento alla moda.

2.2.3 Significante e Significato.

In ogni capo d’abbigliamento è possibile riconoscere degli elementi (il tipo


di manica o di tessuto, il colore, la lunghezza della gonna) a cui
corrispondono particolari concetti (la giovinezza, il lutto, la classe di
provenienza), ossia dei significanti che rinviano a determinati significati. Il
costume è, scrive Barthes, una sorta di testo senza fine in cui bisogna
cercare di determinare le unità significative. Per questo motivo è piuttosto
complicato individuare ciò che, all'interno del costume, significa.
La significazione del costume viene, in linea di principio, affidata ad un
elemento (lo scollo di una maglia, l’altezza di un tacco) inserito in un
insieme sintagmatico più complesso (la “tenuta”). Ciò significa che la
semiologia del vestito non è di ordine lessicale, ma sintattico: l'unità
significativa non va cercata negli indumenti finiti, isolati, ma “in vere e
proprie funzioni, opposizioni, distinzioni o congruenze, del tutto analoghe
alle unità della fonologia” (Barthes, 1959)
Per estrapolare le unità effettivamente significative di un continuum
vestimentario, è necessario quindi procedere ad una serie di prove di
commutazione. Se, per esempio, se cambiando il colore di un abito si
produce una modificazione anche nel suo significato, la categoria cromatica
rappresenta, in questo caso, un veicolo di significazione; se invece questa
variazione di colore non provoca un'analoga variazione di significato, la
categoria cromatica risulta ridondante e quindi bisognerà ricercare un altro
elemento, capace di produrre significazione.

2.3 Il cambio di rotta: dalla moda reale alla moda scritta

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Questa sorta di inventario degli elementi significanti dell'indumento si
dimostra, però, da subito estremamente complesso da ottenere, proprio in
virtù della natura sintattica del linguaggio vestimentario: “il significato
viene dato sempre mediante i significanti “in atto”; la significazione è un
tutto indissolubile che tende a svanire nel momento stesso in cui la si
divide.”(Barthes, 1959). E, seppure si riuscisse a elaborare un censimento di
forme significanti, non si riuscirebbe in ogni caso a ottenere un’analoga
raccolta dei significati, considerando il carattere non conforme dei due piani
(ritagliando il piano dell’espressione, non sempre si ritaglia anche il
medesimo intervallo sul piano del contenuto).
Simili ostacoli avrebbero potuto bloccare il suo percorso, ma Barthes trova
un espediente per sfuggire a questa impasse, restringendo l'analisi ad un
oggetto particolare: la moda scritta ovvero, come spiega lui stesso nei suoi
scritti: “un indumento artificiale nel quale i significati sono a priori separati
dai significanti”(ibidem).
Il vestito di moda, ovvero quello che viene proposto sotto forma grafica o
descrittiva nei giornali, ha un vantaggio rispetto a quello effettivamente
indossato dagli individui: “in questo caso”, infatti, spiega Barthes, “il
significato è dato esplicitamente, anteriormente persino al significante;
viene nominato (un abito d'autunno, un tailleur delle cinque pomeridiane
ecc.); è come se ci trovassimo a leggere un testo molto complesso, costituito
da norme sottili, ma del quale si avrebbe al contempo la fortuna di
possedere la chiave: la moda scritta o grafica conduce felicemente il
semiologo a uno stato lessicale dei segni vestimentari. Forse, si tratta di una
lingua elaborata, di una logotecnica i cui significati sono largamente irreali,
onirici. Ma non importa, poiché ciò che in essa si ricerca è innanzitutto un
campo sufficientemente grossolano, sufficientemente truccato grazie al
quale risulta possibile veder funzionare la significazione, per così dire, al
rallentatore, nella scomposizione dei suoi tempi”(ibidem). Essendo la moda
scritta “un sistema semiologico di secondo grado, diviene non soltanto

18
legittimo ma anche necessario separare il significato dal significante, e
dotare il significato del peso stesso di un oggetto” , oggetto che diventerà,
da questo momento in poi, il punto focale della sua analisi.
In particolare egli considera la moda stampata, semiologicamente parlando,
come una “vera e propria mitologia del vestito” e ritiene, quindi, che
analizzarne i contenuti “debba essere la prima tappa di una linguistica
vestimentaria”(ibidem).
Questo ragionamento viene poi sviluppato in Le bleu est à la mode cette
année, un articolo comparso nel 1960 che presenta in nuce il lavoro che
verrà svolto nel Sistema (Barthes, 1960b).
La rivista di moda, nel momento in cui mostra un capo d’abbigliamento,
istituisce una relazione elementare di significazione tra un concetto e
un’espressione di esso. Quando in un giornale femminile si legge che quel
tal accessorio fa “primavera”, che questo tailleur ha un aspetto giovane e
morbido, che quest'anno è di moda il blu, è evidente che da una parte ci sia
l'accessorio, questo tailleur e il blu, e dall’altra i significati di “primavera”,
la “giovinezza” o “moda di quest'anno”. Si tratta in ogni caso di semplici
relazioni tra un significante e un significato, che, solamente in questo caso
specifico, vengono forniti contestualmente. Non capita mai infatti, negli altri
sistemi di comunicazione che ci sia un'esplicitazione contemporanea dei
significanti e dei significati, in quanto è lo stesso significante a caricarsi del
significato. L’analista è pertanto agevolato dal fatto di possedere un testo
visivo congiunto alla sua chiave di lettura.
Si tratta comunque di un sistema duplice: da una parte abbiamo le forme
vestimentarie (linguaggio) e dall'altra la letteratura di moda
(metalinguaggio). Ciò porta Barthes a prevedere una doppia descrizione:
“Lo studio dei significati (per esempio, del mondo utopico che essi
suggeriscono) riguarda una mitologia generale della moda. Lo studio dei
significanti vestimentari, al contrario, riguarda una semiologia nel senso

19
stretto del termine” (ibidem). I suoi studi successivi saranno incentrati
proprio su quest’ultimo aspetto.

2.4 Il “Sistema della moda”: la prima analisi strutturale della moda


scritta.

Prima di affrontare i contenuti del testo che riassume gli anni di studio
dedicati da Barthes alla moda sarà necessario contestualizzarlo.
Iniziato intorno al 1957, e dunque in epoca pre-hjelmsleviana 6 , il Sistema
della Moda vive dieci anni di revisioni e ripensamenti prima di essere
pubblicato, nel 1967.
Nella Premessa, Barthes , dopo aver dichiarato scopo dell’opera e propositi
scientifici, ritiene doveroso evidenziare il suo distacco dalla semiologia di
orientamento saussuriano, considerandola in qualche modo già superata,
definendo il suo lavoro una sorta di vetrina su quelli che sarebbero dovuti
essere gli sviluppi della disciplina: un laboratorio di sperimentazione,
quindi, più che una rassegna di dati certi (Barthes, 1967a).
Anteposto ciò, egli inizia un'analisi strutturale dell'indumento femminile
descritto nelle riviste di moda partendo dalla descrizione dei diversi oggetti
che ci si trova davanti quando si sfoglia uno di questi periodici.
Esistono infatti, secondo lui, tre tipi di indumento, che pur rimandando alla
stessa realtà fanno capo ognuno a una struttura diversa:
a)indumento immagine: quello che viene presentato in fotografia e che
appartiene a una struttura plastica;
b)indumento scritto: quello che viene descritto per mezzo del linguaggio e
che rimanda a una struttura verbale;

6
Louis Hjelmslev pubblicò il suo Omkring Sprogteotiens Grundlaeggelse nel 1943. Per la
pubblicazione inglese si dovrà attendere il 1961.

20
c)indumento reale: quello che, pur rappresentando il modello che guida
l'informazione trasmessa dai primi due, fa capo a una terza struttura di tipo
tecnologico e consiste nell’indumento concreto.
A questo punto Barthes effettua un ragionamento per stabilire quali di questi
tre indumenti analizzare.
Esclude a priori l’indumento reale perché di più complessa estrazione dal
magma significante e contaminato da finalità pratiche (come la protezione
dal freddo). A differenza di quest’ultimo, l'indumento “rappresentato”
attraverso l'immagine o la parola offre senza dubbio un vantaggio dal punto
di vista metodologico, ovvero “presenta all'analista quello che le lingue
umane rifiutano al linguista: una sincronia pura; la sincronia di moda muta
di colpo ogni anno, ma nel corso di questo anno è assolutamente stabile; se
si sceglie l'indumento della rivista, è quindi possibile lavorare su un testo di
moda senza doverlo ritagliare artificialmente, come il linguista è costretto a
fare nel groviglio dei messaggi” (ibidem).
Tra la rappresentazione verbale e quella visiva Barthes preferisce dedicarsi
alla prima, in quanto spogliata da qualsiasi funzione parassitaria
(l’immagine ha infatti anche funzioni estetiche) , ma è costruita
esclusivamente in vista di una significazione. “Se il giornale descrive un
certo indumento con la parola, - spiega il semiologo - è unicamente per
diffondere un'informazione, il cui contenuto è la moda; si può dire che
l'essere dell'indumento scritto sia interamente nel suo senso”(ibidem).
Egli non dimentica di far notare come questa scrittura, questa profusione di
parole che descrive l’oggetto di moda, svolga una funzione tutt’altro che
“innocente”, ma bensì mossa da fini di carattere economico: indurre il
lettore ad acquistare oggetti di moda a prescindere dai tempi, lenti, della
loro usura. E, come afferma Barthes, “non è l'oggetto, è il nome che fa
desiderare, non è il sogno, è il senso che fa vendere” (ibidem).

21
La parola, pertanto, nell’analisi di Barthes, ha, da questo punto di vista, un
ruolo più importante rispetto all’immagine. In particolare, egli le attribuisce
tre funzioni:
1. immobilizza la percezione dell'abito, fissando degli schemi di lettura
dell’immagine;
2. permette di dare delle informazioni che la fotografia dà imperfettamente
o non dà affatto;
3. enfatizza degli elementi dell'indumento fotografato.
Sostanzialmente, tutte queste funzioni mirano allo stesso fine, ovvero
manifestare una certa essenza dell'indumento di moda tale da renderla
desiderabile. Stabilita, quindi, la centralità della parola, alfine di raggiungere
quest’obiettivo, Barthes procede a definire le unità strutturali dell'indumento
scritto, ossia i più piccoli frammenti di sostanza che veicolano la
significazione, e lo fa utilizzando nuovamente il metodo, mutuato dalla
linguistica, delle prove di commutazione.
Al termine di questa analisi approfondita, egli scopre che gli enunciati
verbali delle riviste possono essere ricondotti a due insiemi:
i)Insieme A, Enunciati Indumento/Mondo: in questo insieme rientrano tutti
quegli enunciati che instaurano una relazione tra un indumento reale
(significante) e una circostanza empirica del mondo (significato),
assegnando all'indumento una certa funzione o, più vagamente, una certa
convenienza. Esempi di questo tipo di enunciato possono essere
“l'accessorio fa la primavera”, “di pomeriggio si impongono le increspature”
o “questo cappello è giovane perché lascia libera la fronte”.
ii)Insieme B, Enunciati Indumento/moda: in questo insieme rientrano tutti
quegli enunciati in cui il giornale descrive semplicemente l'indumento
(significante), senza metterlo in rapporto con circostanze prese dal mondo
reale, ma con l’intento di indicare, implicitamente, cosa è di moda
(significato): “bolero corto”, “una giacca-camiciola tutta abbottonata sul
dietro”, “collo annodato come una minuscola sciarpa”.

22
In definitiva, tutti gli enunciati presenti in una rivista funzionano come dei
sistemi di significazione, composti da un significante materiale, che è
l'indumento, e da un significato immateriale, che può essere il mondo o la
moda: l'unione di questi termini dà vita al senso della moda.
In un secondo momento Barthes evidenzia i quattro sistemi significanti che,
seguendo la sua analisi, si possono reperire in ogni enunciato a significato
esplicito Indumento/Mondo:
1. il codice vestimentario;
2. il codice vestimentario scritto o sistema terminologico;
3. la connotazione di moda;
4. il sistema retorico.
I primi due appartengono al piano della denotazione; i secondi due, invece
appartengono al piano della connotazione.
Nel caso di enunciati impliciti appartenti all’insieme Indumento/moda i
sistemi significanti in atto sono solo tre:
1. il codice vestimentario ;
2. il codice vestimentario scritto o sistema terminologico;
3. il sistema retorico.
Il piano della connotazione comprende ora solo il terzo sistema.
La principale differenza tra i due insiemi è, evidentemente, relativa al fatto
che la moda rappresenta un valore connotato nell'insieme A e un valore
denotato nell'insieme B.
Scrive Barthes: “La moda è un valore arbitrario; nel caso degli insiemi B, il
sistema generale si dà a vedere di conseguenza come un sistema arbitrario, o
se si preferisce apertamente culturale; nel caso degli insiemi A, al contrario,
l'arbitrarietà di moda diventa surrettizia e il sistema generale si dà a vedere
come naturale, poiché l'abbigliamento non ha più l'aspetto di un segno ma di
una funzione. Descrivere: una giacca-camiciola tutta abbottonata sul dietro,
ecc., è fondare un segno; affermare che l'imprimé trionfa alle Corse, è

23
mascherare il segno sotto le apparenze di un'affinità fra il mondo e
l'abbigliamento, vale a dire di una natura” (ibidem).
Tenendo presente che la connotazione di moda (sistema 3 dell'insieme A) è
completamente parassitaria rispetto al codice vestimentario scritto e dunque
non può essere sottoposta a un'analisi indipendente, Barthes giunge ad
affermare che il sistema della moda è costituito in definitiva da tre livelli
teoricamente accessibili all'analisi: quello reale, quello terminologico e
quello retorico. In linea di principio, allora, si dovrebbero elaborare tre
inventari. Ma, poiché l'inventario del sistema terminologico si
confonderebbe con quello della lingua, Barthes decide di procedere solo a
due inventari: quello del codice vestimentario e quello del sistema retorico.
Dopo un'accurata analisi, Barthes, arriva alla conclusione che, in qualunque
enunciato significante, è possibile individuare tre elementi: un oggetto preso
di mira dalla significazione, un supporto della significazione e un terzo
elemento, la variante. Si prenda il seguente enunciato: cardigan sportivo o
elegante a seconda che il collo sia aperto o chiuso. Il cardigan rappresenta
l'oggetto che riceve la significazione, il collo è il supporto che sostiene la
significazione e la chiusura (alternativa aperto/chiuso) è la variante che la
costituisce. Dunque la significazione segue una sorta di itinerario: parte da
un'alternativa (aperto/chiuso), e attraverso un elemento che supporta
l’alternativa (il collo) arriva ad investire l'indumento (il cardigan). Questa
unità significante, derivante dall'unione di un oggetto, un supporto e una
variante, è definita da Barthes matrice.
Gli oggetti e i supporti sono di natura materiale, rappresentano frammenti di
spazio vestimentario, mentre la variante è immateriale, in quanto è costituita
da opposizioni di tratti pertinenti (presenza/assenza,
aperto/chiuso/semiaperto) e rappresenta una riserva di virtualità, di cui solo
un termine è attualizzato nell'indumento (si può dire che la variante
rappresenta il punto del sistema che affiora al livello del sintagma).
Barthes procede dunque all'elaborazione di due inventari:

24
1. un inventario che coincide con l'inventario delle specie e dei generi degli
indumenti (ad esempio, del genere scarpe fanno parte le specie babbucce,
ballerine, stivali, stivaletti, scarpe, scarpette, mocassini, pianelle,
polacchette, Richelieu, sandali, sportive);
2. un inventario delle varianti, distinte in due categorie: le varianti di
essenza che modificano il loro supporto (abito lungo/corto, blusa
leggera/pesante), e le varianti di relazione, che indicano una certa
collocazione del supporto in relazione con un campo o con altri supporti
(due collane/una collana, abito abbottonato a destra/a sinistra).
Dopo aver scomposto la struttura del significante, Barthes va ad analizzare
quella del significato. A questo proposito occorre riprendere la distinzione
fatta precedentemente fra gli enunciati dell'insieme A e quelli dell'insieme
B. Nell'insieme A, contrariamente a quanto accade nella lingua, il
significato dispone di un'espressione propria (estate, week-end,
passeggiata), che è formata dalla stessa sostanza del significante (si tratta in
entrambe i casi di parole). Nell'insieme B, invece, il significato (la moda),
non dispone di un'espressione propria, ma, come avviene nella lingua, è dato
contemporaneamente al significante. Dopo aver tentato di intraprendere
un'analisi dei significati, Barthes è costretto a prendere atto del fatto che il
sistema dei significati della moda è estremamente instabile e sfugge a ogni
tentativo di razionalizzazione. Questo perché il senso finale dell'enunciato
non è al livello del codice vestimentario (neanche nella sua versione
terminologica), ma al livello del sistema retorico.
Egli realizza quindi che “anche nel caso degli insiemi A […] il primo dei
due sistemi retorici che questi insiemi comportano ha come significato
globale la moda in sé: poco importa in fondo che la flanella significhi
indifferentemente la sera o il mattino, poiché il segno così costituito ha la
moda come vero significato”(ibidem).
In definitiva, quindi, il percorso di studio sul corpus delle riviste di moda lo
porta a credere che non sono le immagini a veicolare il senso sociale di ogni

25
abito, né tantomeno le caratteristiche dell’abito stesso, fisicamente
indossato, a farlo è bensì l'enunciato verbale che, posto in fondo alla pagina
della rivista, suggerisce alla lettrice che cosa deve guardare e qual è il
dettaglio che, variando di anno in anno, rende un indumento più o meno alla
moda.
Con questa dichiarazione Barthes compie quello che alcuni studiosi a lui
successivi giudicheranno come un vero e proprio “ribaltamento”
dell'originale idea saussuriana in base a cui la linguistica è parte di una
disciplina più ampia che prende il nome di semiologia.
In merito a questo giudizio, Marrone ritiene necessario fare due
precisazioni. In primo luogo sottolinea che, quando Barthes afferma che la
semiologia è parte della linguistica, non si riferisce alla linguistica
tradizionale, ma a una sorta di “translinguistica o linguistica del discorso”,
che non studia sistemi semiotici di “primo grado” come la lingua, la
gestualità o l'immagine, ma sistemi di “secondo grado” come la moda, la
pubblicità, il teatro. La moda, infatti, si serve della lingua, in quanto
linguaggio già esistente e sistema semiotico di primo grado, per costruire
discorsi a sé stanti, veicolando significati suoi propri. Questa trans-
linguistica è, quindi, “un'analisi dei discorsi che si compiono attraverso la
lingua, ma che usano regole ed elementi costitutivi diversi da essa.” 7
La linguistica che secondo Barthes assorbirebbe la semiologia, non è quella
della lingua che ci ha insegnato De Saussure, ma è quella dei discorsi. In
questo senso la riflessione di Barthes, non rappresenta un passo indietro,
verso concezioni superate, ma bensì un passo verso quelli che saranno
successivi sviluppi della semiotica.
La seconda precisazione fatta da Marrone è che l'affermazione di Barthes è
da contestualizzare nella nascente società di massa. È solo nella società del
suo tempo che la presenza della verbalità risulta essere sempre necessaria, in
quanto la cultura di massa, per tenere sotto controllo i propri messaggi,
7
G. Marrone in Introduzione in R. Barthes, Scritti,Einaudi, Torino, 1998, p.XXII.

26
affida alla lingua verbale il compito di ancorare ogni possibile senso al solo
rassicurante significato verbale.8
Afferma Marrone: “Barthes non è l’erede di una tradizione umanistica che
ripone ogni forma di razionalità nel solo linguaggio verbale. Al contrario, è
colui il quale individua i limiti di tale tradizione, richiedendo con forza un
suo superamento.” 9

2.5 L’opera di Barthes: un’analisi a posteriori.

Il Sistema della Moda , come si è detto, è un testo che ha alzato molta


polvere tra gli studiosi di semiotica successivi a Barthes, i quali hanno
messo in evidenza tutti i difetti ed i limiti di quest’opera. La sottomissione
del visivo al verbale, la visione ingenua del segno come semplice
equivalenza, la mancata considerazione delle strutture profonde della
significazione, sono le mancanze più frequentemente attribuite a
quest’opera, insieme all'omissione di fenomeni fondamentali come la
diffusione di massa delle tendenze e la divizzazione degli stilisti e delle
modelle.
Al di là delle critiche e delle polemiche, però, una rilettura attenta del testo
può portare a scoprire una serie di intuizioni che in alcuni casi
rappresentano interessanti spunti di riflessione nell’ambito di una più ampia
semiotica dell’esperienza, e in altri, in qualche modo, sono proprio il seme
di quella moderna disciplina che i semiotici contemporanei amano definire
socio-semiotica.
E’ di questo avviso Marrone, il quale ha ritenuto necessario riappropriarsi
dei contenuti del Sistema della Moda per rileggerla con un occhio obiettivo
e depurato dai luoghi comuni che questo lavoro si porta dietro in ambito

8
Ibidem, p.XXIII.
9
Ibidem, p.XXV.

27
accademico, ovvero il presunto disinteresse verso l'immagine e la plasticità,
così come verso gli oggetti e i comportamenti della vita quotidiana.
Barthes, secondo lui, considera la moda come una curiosa entità, la cui
essenza si pone nell'interstizio “tra le parole e le cose”: pur non essendo
propriamente linguistica, non può prescindere dal discorso per affermarsi;
pur non essendo propriamente reale, ha comunque bisogno di un qualche
aggancio ontologico. Essa è frutto, dunque, di un processo di traslazione che
dal mondo porta alla lingua e da questa torna al mondo. La scelta di
approfondire l’analisi delle didascalie va quindi intesa come la messa a
fuoco di un punto privilegiato di osservazione e non come una scelta di
campo esclusiva. Lo scopo del semiologo francese non è studiare frammenti
della lingua, ma piuttosto esplicitare le strutture di quello specifico discorso
che, sovrapponendosi alla lingua, costituisce un universo a sé stante.
“Barthes – afferma Marrone- non studia soltanto il linguaggio della moda,
lasciando da parte l'eventuale moda reale: comprende semmai che la moda
non è altro che un sistema di significazione, è l'attribuzione di un senso e di
un valore specifici a un oggetto di per sé inerte”(Marrone -1995).
Il conseguente “ribaltamento di de Saussure” - per cui la semiologia è parte
della linguistica - è quindi solamente funzionale a permettere lo studio dei
vari tipi di discorso che si distribuiscono nella società, diversi a seconda del
modo in cui la lingua prende in carico, al suo interno, porzioni del mondo
naturale.
Questo, secondo Marrone, proverebbe l’inconsistenza delle accuse di
sudditanza nei confronti della linguistica, che alcuni fanno a Barthes.
L’autonomia della semiologia sarebbe anzi sottolineata da più di un aspetto
della sua analisi : il sistema della moda che egli descrive, può essere inteso
anche e soprattutto come un’operazione di riconfigurazione semantica che
parte da una significazione già data (quella del codice vestimentario reale),
passa attraverso una nominazione terminologica (quella del codice
vestimentario scritto), giunge fino alla ideologizzazione (quella della

28
retorica) e torna infine all'abito (che ora è connotato e trasformato in un
abito alla moda). I poli estremi di questa trasformazione sono rappresentati
dai termini alla moda e fuori moda.
In virtù di questa operazione di risemantizzazione e di valorizzazione
dell'oggetto di partenza, il sistema della moda lascia quindi spazio al
processo, un processo di natura estetica, che deriva dal superamento di
un'esperienza puramente fenomenologica dell'oggetto di moda e
dall’operazione di valorizzazione dell’oggetto stesso. L'esteticità non
coincide né con l'abito, né con la sua significazione, ma si coglie proprio in
quella operazione di presa in carico del reale da parte della lingua che
Barthes mette a fuoco: il senso “tocca a distanza” gli oggetti che elegge a
significanti di moda, li coglie “per il tempo di una parola” e in questo tocco
è possibile intravedere il processo estetico della moda che dona un nuovo
senso all'oggetto per riprenderselo in qualsiasi momento.

29
3. LA SVOLTA SEMIOTICA DI ALGIRDAS J. GREIMAS

3.1 Alla ricerca di un metodo.

La scelta di Barthes di abbandonare lo studio della moda reale, per dedicarsi


alle più addomesticabili didascalie delle riviste di moda, non va letta come
un segno di resa nei confronti di una materia inaffrontabile, ma piuttosto
come un approccio al tema attraverso gli strumenti di analisi a disposizione,
in attesa di possedere un metodo di analisi semiotica applicabile a fenomeni
concreti e con lo scopo, in un certo senso, di fornire un laboratorio per la
ricerca di esso.
Tale metodo, negli stessi anni in cui il Sistema della Moda vedeva la sua
pubblicazione, venne messo a punto dal linguista e semiologo di origine
lituana Algirdas Julien Greimas, il quale oppose, all’evidenza del segno,
un’organizzazione per livelli di profondità e intraprese uno studio delle
strutture cui il senso è posto, fornendo un modello di generazione della
significazione così largamente applicabile da rappresentare una vera e
propria svolta teorica per la semiotica.
Se, infatti, alle sue origini questa disciplina incentrava le sue analisi sul
concetto di segno, negli anni Sessanta, alla luce della teoria hjelmsleviana
(Hjelmslev, 1943), si verifica uno spostamento di attenzione dai segni ai
testi.
A tale cambiamento di prospettiva seguirà l’articolazione dei testi in
strutture superficiali e strutture profonde. In questo modo, anche forme
espressive diverse dalle lingue naturali venivano ad assumere le stesse
possibilità di manifestare un’organizzazione narrativa: “si tratta di indagare
come, al di là della manifestazione scelta per esprimerlo, sia pensabile una
forma di organizzazione del senso in grado di passare trasversalmente alla

30
diversità delle lingue naturali e all’eterogeneità delle forme d’espressione”
(Marsciani – Zinna, 1991).
Di conseguenza, la semiotica prende ad interrogarsi circa i processi di
significazione; è lo stesso Greimas che, nel Dictionnaire, alla voce
“Semiotica”, scrive che non è il segno il reale oggetto del suo studio, quanto
piuttosto la possibilità di edificare una teoria generale dei sistemi di
significazione.
Nell’introduzione a Del senso nel 1970, Greimas si augura di poter
realizzare «il progetto di una semiotica formale […] in grado di descrivere
le articolazioni e le manipolazioni di qualsiasi contenuto. In questo modo
forse non si riusciva a dire che cosa fosse il senso, ma, in compenso, si
poteva analizzare il modo in cui si manifestava e si trasformava» (Magli –
Pozzato, 1984).
Tale semiotica deve pertanto essere in grado non tanto di analizzare il segno
osservabile, collocandosi a livello della manifestazione, quanto di ricostruire
i procedimenti attraverso cui il senso viene generato: esso non viene infatti
colto nell’osservazione della sua manifestazione superficiale, ma attraverso
un’ipotesi circa la sua generazione, ricostruendo il percorso che porta le
strutture semantiche profonde, attraverso la messa in discorso, alla
espressione testuale compiuta.
Come scrive ancora Greimas nel suo Dictionnaire : “L’oggetto principale
della teoria semiotica è per noi […] la determinazione delle condizioni della
produzione e della comprensione del testo”.
Al contrario della semiotica interpretativa di tradizione peirceiana (Peirce,
1904-1908), incentrata sulla manifestazione del segno osservabile, la teoria
generativa di Greimas sceglie dunque un’approccio al testo di tipo
generativo, privilegiando la comprensione dei meccanismi di produzione del
senso e il loro articolarsi in un percorso ben preciso e determinato.

31
3.2 Il percorso generativo del senso

Studiando a fondo varie forme di espressione, Greimas rintraccia alcune


costanti che ricorrono nella produzione di senso di qualsiasi oggetto
indagabile semioticamente. Attraverso l’organizzazione formale di tali
invarianti, egli ricostruisce una sorta di percorso che il senso deve
attraversare per raggiungere la manifestazione testuale.
Il modello strutturale da lui formulato si presenta, infatti, come una serie di
livelli metalinguistici, che si rapportano in base ad un’organizzazione
formale fondata sul principio di presupposizione logica.
Il percorso generativo parte dal livello profondo dei tratti logico-semantici,
attraversa piani via via più superficiali, sino a convertirsi, attraverso le
procedure di enunciazione, in una struttura narrativa di superficie. In questo
modo, “ogni testo è solo l’evidenza e la memoria della sua storia
generativa” (Magli – Pozzato, 1984).
Alla base di questa teoria, quindi, c’è la convinzione di fondo che qualsiasi
testo significante presenti una struttura superficiale di tipo narrativo
attraverso la quale si manifesta la sua significazione profonda. La forma
narrativa sarebbe dunque il denominatore comune di tutte le manifestazioni
testuali e rendere conto di tale forma rappresenterebbe la via per la
spiegazione del senso.
Greimas distingue il livello delle strutture semio-narrative da quello più
superficiale delle strutture discorsive; il primo è ulteriormente scindibile in
un piano profondo fondamentale e in un piano superficiale, mentre in
entrambi è possibile distinguere le componenti sintattiche da quelle
semantiche.

32
Nello schema che segue, viene riproposta la forma grafica dell’articolazione
del senso nel percorso generativo; risulta in questo modo chiara la sequenza
delle tappe che portano i livelli semantici profondi alla manifestazione
testuale.
Percorso generativo
Componente sintattica Componente semantica
del senso

livello Operazioni sul quadrato Quadrato semiotico


profondo affermazione/negazione

Sintassi antropomorfa: Valori investiti in Ov


Strutture
attanti, modalità, (nell’Oggetto di Valore)
semio-narrative livello
programma narrativo
superficiale
(schema narrativo
canonico)

istanza dell’enunciazione (io-qui-ora)


dèbrayages – embrayages

attorializzazione temi
temporalizzazione figure
Strutture discorsive
spazializzazione punti di vista
osservazione
focalizzazione
aspettualizzazione

Nel passaggio dalle strutture profonde a quelle della manifestazione, trova


una collocazione fondamentale il concetto di enunciazione, che Greimas
definisce come “una istanza linguistica, logicamente presupposta
dall’esistenza stessa dell’enunciato […] che gioca il ruolo di istanza di
mediazione e assicura la messa in enunciato-discorso delle virtualità
dellalingua. […] L’enunciazione andrà concepita […] come una istanza che
promuove il passaggio tra la competenza e la performance (linguistica), tra
le strutture semiotiche virtuali che avrà il compito di attualizzare e le
strutture realizzate sotto forma di discorso” (Greimas – Courtés, 1979).

33
Luogo di passaggio dalle strutture profonde virtuali alle strutture superficiali
realizzate, l’enunciazione si configura in qualità di istanza di mediazione.
Tuttavia, l’enunciazione non può essere conosciuta in sé, poiché la sua
esistenza è testimoniata solamente dalle tracce che ne reca l’enunciato, di
cui essa è un presupposto irrinunciabile. “Di essa si dirà che è il luogo di un
“io, qui e ora” sempre presupposto da qualunque produzione discorsiva e
che, in quanto puro presupposto, risulta semioticamente vuoto, ma, in
quanto di esso solo alcune tracce l’enunciato può conservare e in quanto
solo parzialmente dall’enunciato può essere significato, costituisce un
troppo pieno semantico inesauribile e in fondo inattingibile” (Marsciani –
Zinna, 1991).
Ma prima di proseguire sul tema dell’enunciazione, vogliamo approfondire
la suddivisione instaurata dal percorso generativo, in modo da ricostruire per
intero la stratificazione del testo individuata da Greimas e comprenderla
nelle sue applicazioni analitiche.
Il campo semiotico viene articolato secondo livelli di pertinenza. Questo
permette di assegnare a qualsiasi effetto di senso, che possa rivelarsi nel
corso dell’analisi, un suo spazio all’interno dello schema teorico generale,
una posizione che ne rispecchi il valore rispetto agli altri elementi e la
funzionalità.
I livelli di pertinenza sono organizzati autonomamente, ma rispondono tutti
ad una comune logica di presupposizione unilaterale; questo consente ad un
livello più superficiale di acquisire una valenza esplicativa, costituendosi
come conversione di valori profondi. In questo modo, il percorso
generativo viene a configurarsi non solo come “la forma stessa della
semiotica”, ma soprattutto come “modello della produzione del senso, del
modo in cui la teoria ipotizza, e descrive, l’articolarsi del senso in
significazione e il passaggio dall’immanenza delle strutture alla
manifestazione come effetto di senso prodotto” (Marsciani – Zinna, 1991).

34
Sono gli stessi Greimas e Courtés, nel Dictionnaire, a dare la seguente
definizione: “designamo con l’espressione percorso generativo l’economia
generale di una teoria semiotica (o soltanto linguistica), cioè la disposizione
delle sue componenti le une rispetto alle altre, e questo nella prospettiva
della generazione, cioè postulando che, dato che qualunque oggetto
semiotico può essere definito secondo il modo della sua produzione, le
componenti che intervengono in questo processo si articolino le une con le
altre secondo un “percorso” che va dal più semplice al più complesso, dal
più astratto al più concreto” (Greimas – Courtés, 1979) . Occorre inoltre
porre l’accento sulla caratteristica di generatività di tale percorso: la
prospettiva stessa della generazione si manifesta come diretta conseguenza
della possibilità di definire un oggetto semiotico nei termini del modo della
sua produzione.
L’approccio generativo greimasiano, in definitiva, “tratta i fenomeni di
senso tentando di mettere a fuoco gli elementi che consentono di
comprenderne, e di descriverne, il funzionamento semiotico; tenta in altri
termini di ricostruire le condizioni di possibilità semiotica di un testo, di un
segno, di un’occorrenza significativa» (Marsciani – Zinna, 1991).
Vediamo più in dettaglio i due livelli su cui si articola il percorso.

3.3 Le strutture semio-narrative

Si tratta della componente più astratta del percorso, articolata a sua volta in
un livello profondo e un livello superficiale.
Il livello profondo è costituito da due diversi elementi: da un lato, la
componente sintattica, ovvero le operazioni che si possono effettuare
all’interno del quadrato semiotico; dall’altra, la componente semantica, che
riguarda l’investimento di valori sui termini articolati dal quadrato stesso.

35
Al livello superficiale ritroviamo, invece, la problematica relativa
all’organizzazione della narratività secondo il modello delle prove (aspetto
sintattico) e alle strutture modali (aspetto semantico).
“Nel loro insieme, nei due piani in cui si articolano verticalmente, quello
fondamentale e quello narrativo, le strutture semio-narrative costituiscono la
competenza semiotica generale, quell’insieme di condizioni sempre
presupposte […] da qualunque produzione discorsiva”(Marsciani – Zinna,
1991).
Per quanto riguarda la sintassi fondamentale, il quadrato semiotico viene
definito da Greimas come “la rappresentazione visiva dell’articolazione
logica di una categoria semantica qualunque” (Greimas – Courtés, 1979).
Tale rappresentazione rende possibile la visualizzazione di tutte le
articolazioni possibili della categoria in esame, secondo relazioni di vario
tipo; esistono opposizioni qualitative, che danno luogo a termini contrari e
che si dispongono lungo gli assi, e opposizioni privative, disposte lungo gli
schemi, che danno luogo a termini contraddittori. Le relazioni di
implicazione o complementarità sono collocate invece lungo le deissi.

Il quadrato semiotico ha il merito di organizzare il senso sulla base delle


relazioni che ciascun termine intrattiene con gli altri; tali relazioni sono
dunque interdefinite, e costituiscono una forma di paradigma. In questo
senso, l’analisi di Greimas si pone come sviluppo di un concetto

36
fondamentale della teoria saussuriana, secondo il quale il valore linguistico
e semiotico di un termine si produce a partire dalla posizione di
quest’ultimo all’interno di un paradigma differenziale.
Occorre infine sottolineare che “l’ipotesi generale che regge la costruzione
del quadrato semiotico è un’ipotesi relativa alla forma semiotica, ai suoi
modi fondamentali di articolazione, e che gli investimenti semantici che sul
quadrato si possono operare provengono dalla sostanza del contenuto
attivata da ogni particolare occorrenza testuale. E’ la categoria semantica a
decidere del contenuto dei termini distribuiti sul quadrato, e tuttavia,
inversamente, un tratto del contenuto non potrebbe essere riconosciuto come
categoria semantica se non potesse articolarsi sulla struttura fondamentale
della significazione, sul quadrato semiotico” (Marsciani – Zinna, 1991).
Passando alla componente semantica del livello semio-narrativo di
superficie, si incontra la problematica del valore, e del suo investimento nei
termini articolati dal quadrato. Risulta infatti di fondamentale importanza
trovare una componente ricorsiva, in grado di dare continuità di senso agli
elementi eterogenei della manifestazione testuale; tale elemento di
continuità è dato dalla relazione tra soggetto e oggetto, retta dalla categoria
del valore. Il valore è responsabile dell’esistenza semiotica del soggetto e
dell’oggetto: “l’oggetto semiotico è sempre un oggetto valorizzato e il
soggetto semiotico è sempre colui per il quale quell’oggetto, proprio in virtù
del valore che vi si investe, acquista un senso” (Marsciani – Zinna, 1991).
Grazie alla nozione di valore, possiamo concepire la narratività come un
processo che porta il soggetto alla realizzazione, intesa come congiunzione
con l’oggetto-valore; parallelamente, all’interno di un confronto polemico,
la disgiunzione del soggetto rispetto all’oggetto-valore prenderà il nome di
virtualizzazione.
Prende forma, in questo modo, una sintassi narrativa in cui gli enunciati
assumono una direzionalità, una tensione verso un punto d’arrivo, e la cui
concatenazione dà luogo allo svolgersi di una storia.

37
Una volta che gli enunciati si dispongono secondo un percorso, e assumono
una prima fondamentale valorizzazione, si passa all’aspetto sintattico delle
strutture semio-narrative, articolato in sintassi e semantica narrativa. Per
quanto riguarda la sintassi narrativa di superficie, abbiamo visto come la
narratività si articoli sullo schema canonico delle prove. Sviluppando gli
studi sulla narratività effettuati da Propp e dai formalisti russi, Greimas ha
individuato alcuni raggruppamenti di azioni che ricorrevano più
frequentemente in tutte le forme narrative: il sintagma del dono, quello del
contratto e quello della prova. Tutte queste configurazioni riguardano la
circolazione degli oggetti di valore: il contratto stabilisce le regole dello
scambio, mentre il dono prevede simultaneamente un’attribuzione e una
rinuncia. Tuttavia, fra di esse, la prova si manifesta come figura discorsiva
che prevede una contemporanea appropriazione e spoliazione dell’oggetto
di valore, collocandosi in questo modo in una relazione intersoggettiva di
natura polemica. E’ la successione delle diverse prove che consente di
ricostruire uno schema canonico, ricorsivo in tutte le forme della narratività:
il soggetto sostiene dapprima una prova qualificante, che gli permette di
acquisire la competenza necessaria al superamento della prova successiva;
la prova decisiva introduce nel racconto la dimensione polemica, e vede il
confronto tra soggetto e anti-soggetto per il possesso dell’oggetto di valore;
la prova glorificante, infine, prevede una sanzione – positiva o negativa –
dell’operato del soggetto.
L’investimento semantico di queste strutture è possibile sulla base di quella
che viene definita teoria delle modalità. Si colloca a questo livello uno degli
aspetti maggiormente innovativi della teoria greimasiana rispetto agli studi
precedenti; se, infatti, fino a questo punto la teoria si è occupata degli aspetti
prettamente pragmatici della narratività, ponendo l’accento sull’agire,
l’attenzione si sposta ora sul soggetto agente.
Considerando l’atto nella sua dimensione minima, di “ciò che fa essere”,
Greimas introduce il concetto di modalizzazione, riferendosi all’azione di

38
un predicato che ne modifica un secondo precedendolo posizionalmente
nella catena sintagmatica della frase.
Se prendiamo i predicati di stato (essere), da un lato, e quelli di
trasformazione (fare), dall’altro, le combinazioni possibili ci permettono di
distinguere la performanza di un soggetto nel momento in cui modifica uno
stato (far-essere), dalla competenza necessaria per farlo, intesa in quanto
modo di essere (essere del fare). Per quanto riguarda le altre combinazioni
possibili, riconosciamo la manipolazione nel far-fare, e la sanzione
nell’essere dell’essere.
Possiamo dunque considerare l’azione dei personaggi nei termini di
programmi narrativi, ossia di concatenazioni di azioni modalizzate, in vista
del raggiungimento dell’oggetto-valore. Greimas (1983) sostiene che “le
modalizzazioni dell’essere devono essere considerate come modificazioni
dello statuto dell’oggetto di valore: le modalità che riguardano l’oggetto di
valore (o piuttosto il valore che vi si trova investito) saranno definite come
costitutive dell’esistenza del soggetto di stato”. Ciò che dà l’impulso alla
modalità del voler-essere risiede ad un livello più profondo, e può essere
individuato nella timia: “una categoria semantica può essere assiologizzata
in base alla proiezione, sul quadrato che l’articola, della categoria timica i
cui termini contrari sono denominati euforia vs. disforia” (Greimas, 1983).
E’ quella che viene anche definita categoria propriocettiva, in grado di
rendere conto del modo in un cui un essere vivente sente se stesso e il
mondo circostante. Si può concludere, con Greimas, che «la modalizzazione
si presenta allora come il risultato di una serie di sottoarticolazioni
significanti della massa timica amorfa: all’inizio costituita in categoria
timica a livello profondo, essa si differenzia in categorie modali a livello
antropomorfo» (ibidem).

3.4 Le strutture discorsive

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Nel passaggio dalle strutture astratte a quelle attualizzate nel testo-discorso,
svolge un ruolo fondamentale il processo di messa in discorso. Entrano
qui in gioco delle componenti di contenuto, la cui produzione e
interpretazione fa riferimento ad un soggetto dell’enunciazione. “Al
momento in cui il soggetto dell’enunciazione, sulla base di una competenza
semiotica universale, produce un discorso, ciò che egli fa, consiste in una
sorta di messa in scena nella quale è possibile riconoscere due grandi
gruppi di problemi: da una parte egli colloca il discorso rispetto a se stesso,
costruisce soggetti e oggetti, spazi e tempi a una distanza determinata e
variabile rispetto al luogo, al momento e alla soggettività di produzione,
dall’altra egli riempie i valori e i posti previsti dalla grammatica narrativa di
contenuti semantici condivisi, di figure e di temi che rendono conto in
maniera più diretta del significato dell’enunciato, del suo valore di
senso”(Marsciani –Zinna, 1991)
Le strutture discorsive si articolano, come abbiamo visto per le strutture
semio-narrative, in una componente sintattica ed una componente
semantica. La sintassi discorsiva si fa carico della messa in discorso
delle strutture narrative, attraverso una attorializzazione (conversione
nel discorso delle strutture attanziali), una spazializzazione e una
temporalizzazione, le quali mettono in relazione l’enunciato con
l’istanza di enunciazione. Ad un livello ulteriore, la semantica discorsiva
instaura l’opposizione tra discorso astratto e discorso figurativo; i valori
strutturati dalla grammatica narrativa vengono investiti attraverso la
tematizzazione e la figurativizzazione, le quali, coerentemente
rispetto all’intero percorso generativo, sono l’una l’elemento astratto
dell’altra.
La messa in discorso delle strutture profonde avviene ad opera dell’istanza
dell’enunciazione, la quale agisce attraverso due meccanismi complementari
e reversibili: il débrayage e l’embrayage. Il débrayage viene definito

40
da Greimas e Courtés come «l’operazione con cui l’istanza
dell’enunciazione disgiunge e proietta fuori di sé, al momento dell’atto di
linguaggio e in vista della manifestazione, certi termini legati alla sua
struttura di base per costituire così gli elementi fondatori dell’enunciato-
discorso» (Greimas – Courtés, 1979); esso si configura dunque come
l’operazione attraverso la quale l’istanza di enunciazione, sincretismo di un
“io”, di un “qui” e di un “ora”, proietta al di fuori di sé uno o più di questi
aspetti, dando luogo all’enunciato. A seconda, appunto, dell’aspetto che
viene proiettato, si avrà un débrayage attoriale, cioè un “non-io”
distinto dal soggetto dell’enunciazione; un débrayage spaziale, un
“non-qui” che si distingue dal luogo dell’enunciazione; oppure un
débrayage temporale, un “non-ora” che distingue tempo
dell’enunciato e tempo dell’enunciazione. Speculare rispetto all’operazione
di débrayage, “l’embrayage designa l’effetto di ritorno
all’enunciazione, prodotto dalla sospensione dell’opposizione tra certi
termini delle categorie della persona e/o dello spazio e/o del tempo, e dalla
denegazione dell’istanza dell’enunciato. Ogni embrayage presuppone
dunque un’operazione di débrayage che lo precede logicamente» (ibidem).
Tale ritorno all’istanza di enunciazione permette in qualche modo di
enunciarla, ovvero di mostrarne il procedimento, anche se in modo illusorio:
l’ ”io-qui-ora” che risulta a seguito di un’operazione di embrayage mostra il
dispositivo enunciativo, grazie allo scarto che si produce tra la realtà e la
situazione enunciativa. E’ questo lo spazio della cosiddetta enunciazione
enunciata, “che è il simulacro che imita, all’interno del discorso, il fare
enunciazionale: l’”io”, il “qui” e l’”ora”, che si incontrano nel discorso
enunciato, non rappresentano affatto il soggetto, lo spazio e il tempo
dell’enunciazione. Bisogna considerare l’enunciazione enunciata come
costitutiva di una sottoclasse di enunciati che formano il metalinguaggio
descrittivo (non scientifico) dell’enunciazione” (ibidem).

41
Le operazioni di débrayage o di embrayage costituiscono un criterio di
segmentazione del testo utile in sede di analisi, costituendosi come
discontinuità all’interno del discorso manifesto; le strutture discorsive
raggiungono in questo modo una loro organicità: “legate all’istanza
dell’enunciazione che investe nei processi discorsivi le virtualità della
competenza semio-narrativa, esse costituiscono il luogo dell’attualizzazione,
per un soggetto che se ne fa carico, delle regole e delle relazioni astratte e
profonde e allestiscono uno spazio teorico di indagine che va considerato
preliminare ai problemi della vera e propria manifestazione testuale»”
(Marsciani – Zinna, 1991).
Dal punto di vista, invece, della componente semantica, vediamo come il
ruolo di cerniera tra la grammatica narrativa e le strutture discorsive sia
svolto dal tema. Si definisce tema «la disseminazione, lungo i programmi
e i percorsi narrativi, dei valori già attualizzati (cioè in giunzione con i
soggetti) della semantica narrativa» (Greimas – Courtés, 1979); di
conseguenza, «la tematizzazione è una procedura […] che, facendosi
carico dei valori (della semantica fondamentale) già attualizzati (in
giunzione coi soggetti) da parte della semantica narrativa, li dissemina in
qualche modo, in maniera più o meno diffusa o concentrata, sotto forma di
temi, nei programmi e percorsi narrativi, aprendo così la strada alla loro
eventuale figurativizzazione» (ibidem).
I temi sono infatti soggetti ad investimenti semantici successivi,
caratterizzati da una maggiore concretezza e figuratività: si aggiungono
dettagli e caratterizzazioni particolari, che allestiscono un mondo concreto
sulla base dei temi di partenza. Il livello figurativo costituisce dunque uno
spazio in cui i temi sono oggetto di un investimento semantico che produce
un reale incremento di significazione. Uno stesso tema può venire
figurativizzato in modi differenti, anche se ciascuno di essi comporta un
sistema di scelte, l’allestimento di un campo figurativo che considera alcune

42
opportunità e ne esclude altre, in base ad un principio di coerenza; percorsi
figurativi diversi possono quindi rimandare ad uno stesso tema di fondo,
tuttavia la scelta di una certa configurazione svolge un ruolo importante
nella resa del significato testuale.
L’omogeneità del senso di un testo è permessa dalla presenza di quelle che
Greimas definisce isotopie, ovvero la presenza di classemi che,
ripetendosi a tutti i livelli del percorso generativo del senso (sintattico,
semantico, semio-narrativo, discorsivo), garantiscono la coesione e la
coerenza dell’intero testo (Greimas –Courtés, 1979). Egli distingue
un’isotopia grammaticale (ricorso di categorie) e un’isotopia
semantica (possibilità di lettura uniforme del discorso).
Il concetto di isotopia si può intendere più ampiamente, riferendolo alla
ricorsività di categorie semiche, siano esse tematiche o figurative, che
ripetendosi all’interno del testo, creano una ridondanza semantica, fondando
la strutturazione isotopica del testo, una vera e propria linea guida che
permette ne permette una lettura coerente: «fondandosi sull’opposizione
riconosciuta – nell’ambito della semantica discorsiva – tra la componente
figurativa e la componente tematica, si distingueranno rispettivamente delle
isotopie figurative che sottintendono le configurazioni discorsive, e
delle isotopie tematiche, situate a un livello più profondo,
conformemente al percorso generativo» (ibidem).

3.4 Semiotica del testo visivo, oggettuale,


architettonico.

Evitando, per brevità, di ripercorrere le tappe dell’avvicinamento della


semiotica all’analisi del visibile, ci limitiamo ad affrontare alcuni dei
concetti che si situano alla base del metodo utilizzato per la lettura dei testi
visivi, inquadrandoli all’interno dell’approccio di semiotica generale di
Greimas.

43
Partendo dall’assunto secondo cui il senso si manifesta in forma analoga in
qualsiasi sostanza espressiva, Greimas e il suo gruppo di ricerca hanno
definito, in modo analogo al linguaggio verbale, due modalità di analisi del
testo visivo: da un lato, il piano figurativo, nel quale vengono
inventariati gli oggetti del mondo riconoscibili all’interno di un’immagine;
dall’altro, il piano plastico, nel quale si opera un’astrazione di quelle che
sono le caratteristiche fisiche dell’immagine, ovvero colori, forme e loro
relazioni. A livello figurativo, una griglia di lettura del mondo naturale
permette di scomporre la superficie dipinta in unità discrete a cui sono
attribuiti dei significati. A livello plastico, una segmentazione del
significante consente di reperire le relazioni tra forme e colori, grazie
all’utilizzo di alcune categorie.
L’analisi del significante plastico comincia con il riconoscimento di un
dispositivo topologico, alla base della produzione e della lettura
dell’oggetto planare. Viene in questo modo a costruirsi una griglia
topologica, che, a partire dalla cornice del dipinto, e con l’aiuto di
categorie topologiche rettilinee e curvilinee, struttura l’intera
superficie “tracciandovi gli assi e/o delimitandovi le aree, assolvendo così
ad una doppia funzione, quella di segmentazione dell’insieme in parti
discrete ed anche quella di orientamento di eventuali percorsi sui quali si
trovino disposti i diversi elementi di lettura.[…] Proiettate sulla superficie,
che la ricchezza e la polisemia renderebbero altrimenti indecifrabile, le
categorie topologiche consentono, dopo l’eliminazione del “rumore”, la sua
riduzione a un numero ragionevole di elementi pertinenti, necessari alla
lettura” (Greimas, 1984).
Una volta, quindi, scomposto il testo in base alle categorie topologiche
rintracciate in questa analisi iniziale, il significante visivo deve essere
ulteriolmetne articolato: verranno «isolate le unità “minimali” del
significante le cui combinazioni più o meno complesse ritroveranno,

44
seguendo un tragitto ascendente, i sotto-insiemi riconosciuti grazie alla
scomposizione topologica» (Greimas, 1984). Si potranno quindi
rintracciare categorie eidetiche, legate alle forme, categorie
cromatiche, relative alle tinte, alla saturazione e alla brillantezza,
categorie fotiche, determinate dal comportamento dell’oggetto in relazione
alla luce, e categorie materiche, connesse alla testura, alla consistenza, alla
temperatura e al peso.10
Si costruisce dunque un procedimento di analisi, che consiste nella
scomposizione in unità minimali, al di sotto del livello della manifestazione,
dei colori e delle forme e delle caratteristiche presenti nel testo e nella loro
aggregazione in categorie, costituenti un metalinguaggio: “siamo di fronte a
categorie che dipendono dalla forma – e non dalla sostanza – del contenuto
e che, pur sembrando derivare dalla lettura figurativa degli oggetti plastici,
possiedono nondimeno una grande generalità e si presentano come delle
categorie astratte del significato” (Greimas, 1984)
Le categorie plastiche non costituiscono che il livello fondamentale della
forma del significante, e per questo sono suscettibili di venire combinate in
unità più complesse, le figure plastiche, confermando la generale
struttura gerarchica di qualsiasi organizzazione testuale.
Tuttavia, “il riconoscimento delle categorie e delle figure plastiche ci
informa sul modo d’esistenza della forma plastica soggiacente alla sua
manifestazione in superficie e sulle superfici, ma non ci dice ancora niente
riguardo all’organizzazione sintagmatica di questa forma, la sola che possa
permetterci di trattare questi oggetti come processi semiotici, cioè in quanto
testi significanti” (Greimas – Courtés, 1979).

10
Si noti che mentre le categorie topologiche, eidetiche e cromatiche sono utilizzate sia per
l’analisi del testo visivo che di quello oggettuale, le categorie fotiche e materiche, seppur di
possibile applicazione anche in testi visivi quali i dipinti, sono indispensabili ad esaurire
l’analisi di un oggetto, quale un abito, come nel nostro caso.
Per un approfondimento sulle categorie sopradette si rimanda a P.Magli (2004), a
F.Bastide (Il trattamento della materia in Fabbri-Marrone (a cura di),2001) e a G.Ceriani
(L’estesia tattile, in G.Marrone (a cura di) 1995).

45
I due livelli di analisi (plastico e figurativo), infatti, pur potendo essere
trattati separatamente, non sono indipendenti l’uno dall’altro: il significato
generale del testo visivo deve infatti rendere conto della loro relazione
(Magli, 2004).
La semiotica plastica di Greimas si configura come un metodo di
analisi basato sullo studio dei sistemi semisimbolici, definiti come
sistemi di significazione in cui non si ha corrispondenza fra singole unità del
piano dell’espressione e singole unità del piano del contenuto, come avviene
per i sistemi simbolici, ma fra coppie oppositive di unità dell’espressione e
coppie oppositive del piano del contenuto. In termini greimasiani si parla di
corrispondenza tra categorie del piano dell’espressione e categorie del piano
del contenuto. Per fare un esempio pratico in un testo visivo l’opposizione
cromatica /nero/vs/bianco/ può rinviare all’opposizione veridittiva vero vs
falso (Magli, 2004)

3.6 Un esempio di semiotica applicata alla moda: Jean Marie Floch e


il “total look” Chanel.

Un brillante esempio di come la teoria gremaisiana possa essere applicata


all’abbigliamento, con l’aggiunta di interessanti intuizioni che attingono ad
una più vasta socio-semiotica, ce lo fornisce Jean Marie Floch, il quale
dichiara, distanziandosi in questo modo da Barthes, di non essere interessato
ai discorsi sulla moda (ossia ai metadiscorsi, come il vocabolario
giornalistico della moda o il sistema lessicale dei professionisti della moda),
ma di voler analizzare propriamente i discorsi che la stessa moda produce.
Egli elegge a caso esemplare il “total look” di Chanel per la sua peculiare
capacità di mantenere riconoscibile nel tempo uno stile che va oltre
l’avvicendarsi delle mode grazie ad un’identità visiva ben precisa e
composta da un bricolage di elementi significanti.

46
Egli passa quindi in rassegna i capi d'abbigliamento e gli accessori inventati
dalla stilista e che ne costituiscono, in qualche modo, i segni di
identificazione: la marinara, il jersey, il cardigan e i completi in maglia, i
pantaloni, il vestito nero, il blazer con i bottoni dorati, il berretto da
marinaio, il tweed, i gioielli fantasia, il tailleur in tweed profilato, la cintura
dorata, la scarpetta con la punta nera, la borsa impunturata con la catena
dorata, il fiocco.
Inquadrando storicamente l'apparizione di queste invenzioni, si può
constatare come Chanel abbia rigettato sistematicamente i tratti più
caratteristici della moda femminile dell'epoca. La stilista rifiuta infatti tutto
ciò che non risponde a una precisa funzionalità dell'abbigliamento, che deve
essere pratico e confortevole, per consentire alle donne di camminare,
lavorare e muoversi liberamente.
Il primo contenuto narrativo del suo look, dal punto di vista figurativo, è
dunque la conquista di una libertà individuale, frutto della modernità. Lo
stesso Barthes (1967b), analizzando lo stile di Chanel, aveva evidenziato
che esso “corrisponde a quel momento abbastanza breve della nostra storia
[…] in cui una minoranza di donne ha avuto accesso finalmente al lavoro,
all'indipendenza sociale.”
La seconda componente del contenuto della semiotica figurativa del look di
Chanel è rappresentata da una particolare visione della femminilità, esaltata
per paradosso. La silhouette è infatti costruita a partire da segni appartenenti
a universi estranei alla moda femminile dell'epoca, ossia il lavoro (jersey,
marinara, gilet rigato) e l'abbigliamento maschile (berretto, pantaloni,
cravatta, capelli corti). E’ grazie all’irriverenza di Coco Chanel, che decide
far sfilare elementi appartenenti a questi ambiti insoliti alla passerella, che
questi segni finiscono con il rinviare a significati opposti a quelli fino a quel
momento socialmente condivisi. Con questo gioco di inversione di
significanti e significati, Chanel vuole affermare una definizione originale
dell'identità femminile, che è esclusivamente sua: è innovativa e poco

47
digeribile per il mondo della moda, ma senza dubbio è accolta con favore
dalle clienti paganti che ne sanciscono il successo. Come spiega Lotman:
“inserire un determinato elemento nello spazio della moda significa renderlo
rilevante, dotarlo di significato. La moda è sempre semiotica.”(Lotman,
1993)
Il total look di Chanel non è però soltanto costituito da questi segni
d'identificazione, ma è anche, concretamente, una silhouette, “una forma
sensibile che si dispiega nello spazio e che lo sguardo percorre” (Floch,
1995). Questa silhouette offre a chi la osserva la possibilità di distinguere
chiaramente le diverse parti che la compongono, apprezzandone ciascuna
separatamente.
Passando all’analisi del piano plastico, Floch mette in risalto alcune
caratteristiche peculiari dello stile Chanel. Innanzitutto questo look produce
un effetto di chiusura della forma generale: questo effetto è assicurato dalla
punta nera delle scarpe, che permette di distaccare la silhouette dal terreno,
e, sul versante opposto, dalla pettinatura nettamente disegnata. Una seconda
caratteristica è il predominio delle linee (bordature dei tailleur, disegni dei
colletti, cinture, pieghe precise, tessuti stampati e addirittura piombatura
delle giacche).All’interno di questa silhouette estremamente lineare,
spiccano per contrasto delle “masse”, costituite per lo più dai gioielli
(braccialetti, collane, spille, orecchini), che però non ne compromettono mai
la compostezza generale. Infine, il look di Chanel è contraddistinto da una
sua propria luce, generata dai particolari giochi di colore e dalle materie
utilizzate.
A partire dalla distinzione della visione classica e barocca effettuata dallo
storico e teorico dell'arte Heinrich Wölfflin, Floch sottolinea che le
caratteristiche formali, topologiche e cromatiche individuate nel look di
Chanel corrispondono senza dubbio a una “visione classica”. Nello stesso
tempo, è possibile individuarvi anche alcuni elementi tipicamente
“barocchi” (masse, intrecci, chiarori effimeri), la cui presenza non

48
compromette però l'ordine classico della silhouette nel suo complesso. È
come se questi elementi avessero il compito di esaltare, per contrasto, la
classicità del look di Chanel, caratteristica che era stata evidenziata dallo
stesso Barthes in contrapposizione al “futurismo” di Courrèges: “Chanel
[…] evita alla moda di sconfinare nella barbarie e la colma di tutti i valori
dell'ordine classico: ragione, naturalezza, permanenza, gusto di piacere e
non di stupire.”(Barthes, 1967b)
L'estetica classica genera, in Chanel, un' “etica del mantenimento”, che
rappresenta un vero e proprio progetto di vita. Questa etica, che si manifesta
mediante le figure gestuali del portamento della testa, delle spalle dritte e
della schiena eretta, potrebbe essere erroneamente intesa come una sorta di
negazione della libertà. Al contrario, lo stile di Chanel è contraddistinto da
una complementarità molto particolare tra la libertà ed il mantenimento: la
libertà si realizza nella dimensione figurativa del look, mentre il
mantenimento è manifestato da quella plastica.
L’intuizione di Floch di studiare la silhouette Chanel, così come essa si
dispiega nello spazio rintracciando le unità del piano dell’espressione che
corrispondono ad unità del piano che contenuto, le quali a loro volta si
rifanno a significazioni culturali legate al mondo dell’arte occidentale, ci
introduce al tema della percezione del corpo nello spazio e a quello
dell’esperienza estetica e passionale sperimentabile attraverso la moda.

49
4. ESTETICA DELLA MODA: TRA CORPO, ARTE E
IDENTITA’

4.1 Il corpo di moda.

Centrale nell’ambito della moda è il ruolo del corpo. L’abito lo mimetizza o


lo esibisce, ne enfatizza le forme o le nasconde, gioca con i generi fino a
confonderli. Il corpo, da sempre, subisce i dettami della moda e viene
periodicamente sottoposto ad ogni genere di modificazione.

Ora scarno, ora rotondeggiante, ora androgino, ora femmineo, il corpo, sia
che venga ostentato che nascosto, non è solo il supporto naturale
dell’elemento vestimentario, dell’abbigliamento e degli accessori, ma
diviene luogo di contrattazione identitaria del soggetto come dell’abito. Tale

50
identità, tuttavia, non si costituisce una volta per tutte ed in maniera definita,
bensì è soggetta a continue ridefinizioni e negoziazioni.

Barthes sostiene che è il vestito a rendere significante il corpo: esso lo fa


esistere, lo valorizza dandolo a vedere o ricoprendolo, in una parola, lo
semantizza. Il vestito, insomma, non nasconde, non mostra, non opprime,
ma comunica dei significati insieme al corpo. Ad esempio, sottolinea
Barthes (1967b), gli abiti corti non denudano le gambe, ma veicolano l'idea
di un'audacia, rappresentano una personalità emancipata, insomma,
raccontano una storia.
“Per Barthes, il corpo non è un'entità naturale che preesiste al vestito, il
quale poi ne mette in evidenza alcuni aspetti a scapito di altri. Possedendo
una sua storia e una sua geografia, il corpo si mette in relazione con la moda
in maniere talvolta molto complesse, costruendo al tempo stesso la sua
immagine e la sua dissoluzione. Se il corpo è “rivestito”, lo è nel senso
letterale del termine, ossia vestito di nuovo: la moda cioè, coprendo il corpo,
lo pone come entità naturale dal quale prendere le distanze e al contempo
rivelarlo. Se la moda racconta delle storie, esse sono sempre, nei riguardi del
corpo, delle specie di miti di fondazione, narrazioni che, culturalmente,
pongono una Natura al di là di esse.” (Marrone, 2001)
Se però, nei tempi passati, l’abito proposto dalla moda si sovrapponeva al
corpo, creando “maschere” che potevano essere scambiate a piacere, oggi –
in quella che viene definita epoca postmoderna – la manipolazione della
moda arriva più in profondità. Non è più il solo abito a permettere
all’individuo di adottare un certo modo di essere, ma è una più ampia rete di
sollecitazioni, le quali creano un nuovo concetto di identità, fluida e
variabile: “l’identità postmoderna si attiva attraverso processi di
rappresentazione che sono resi possibili dal peso crescente che la
dimensione estetica ricopre nella vita quotidiana, quale conseguenza della

51
crescente saturazione percettiva dovuta all’affollamento dei segni che
abitano il nostro ambiente” (Grandi, 2001).
Barthes nel Sistema (1967a) si pone poi un'altra domanda: “quale corpo
l'indumento di moda deve significare?” La moda risolve il passaggio dal
corpo astratto al corpo reale delle lettrici in tre modi: prima di tutto la moda
propone un corpo ideale incarnato, che è quello della cover girl.
Si tratta di una forma pura, astratta, di un corpo, cioè, che non appartiene a
nessuno e che rimanda all'indumento in sé. In questo caso l'indumento non
ha il compito di rendere significante un corpo con particolari caratteristiche
(rotondo, slanciato, minuto, ecc.), ma si serve di questo “corpo assoluto” per
significare se stesso nella sua generalità.
Inoltre ogni anno viene suggerito quale corpo – all’opposto di altri – è il più
adatto ad apparire nelle riviste di moda. Di conseguenza vengono proposti
degli indumenti in grado di trasformare il corpo reale, arrivando a farlo
coincidere con il corpo ideale di moda. Promettendo di allungare, gonfiare,
assottigliare, ingrossare, affinare, la moda sostiene di poter ridimensionare
qualsiasi corpo reale entra la struttura da essa postulata.
Barthes per primo, quindi, realizza quanto il corpo sia contemporaneamente
entità da rivestire con le forme e i colori della moda, o oggetto concreto da
modellare seguendone i dettami. Esso, quindi, passa dall’essere in secondo
piano, annullato e ridotto a semplice “sostegno” dell’abito, fino a diventare
il luogo stesso delle modificazioni che, di epoca in epoca, fanno tendenza.
Si alternano, quindi, sulle passerelle, come nella vita delle fashion-victims,
corpi emaciati o corpi floridi, seni esibiti o costretti e nascosti, corpi
asessuati o ostentatamente sensuali, così come voluto dai capricci della
moda.
Analizzando l’evoluzione temporale del fenomeno della moda, però, ci si
accorge di come sia solo con gli anni Sessanta, quando la moda si sposta
dagli atéliers dei grandi sarti alla vita di tutti i giorni, alla strada, ed esplode
come fenomeno di massa, che il corpo diventa soggetto di moda.

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Se, infatti, negli anni Cinquanta i grandi nomi della moda vestivano solo le
principesse e le star del cinema hollywoodiano, con gli anni Sessanta gli
stilisti si rivolgono a tutte le donne, in particolare a quelle giovani, vere
protagoniste di quegli anni.
Di conseguenza, cambia anche il modo di percepire il corpo della modella;
la modella che sfilava negli atéliers dei primi anni Cinquanta doveva essere
perfetta e irraggiungibile, ma scomparire dentro l’abito, mostrarlo al meglio
senza interferire con la sua estetica.
Successivamente la soggettività della modella acquista importanza, la
ragazza in copertina diventa da corpo vuoto a donna con un proprio
contenuto che incarna i desideri e le ambizioni delle donne dell’epoca.
Nascono così le prime modelle destinate ad entrare nella storia del costume,
da Twiggy a Verouska, che impongono un proprio stile aldilà degli abiti che
indossano.
Negli anni Ottanta, con l’avvento delle top model, vere e proprie star delle
passerelle, non più semplici corpi, ma donne a tutto tondo, con una vita e
una personalità al di fuori delle sfilate, si assiste ad una nuova
trasformazione: “i corpi […] non sono più quelle pure forme che si
negavano come fisicità, ma si presentano come corpi che portano inscritti su
di sé i segni del quotidiano” (Grandi, 2001).
Anche in questo nuovo scenario la moda non smette di esercitare una certa
funzione normativa, anche se questo avviene secondo parametri
inevitabilmente diversi rispetto al passato. Oggi, infatti, la normatività della
moda si esercita a livello del corpo, della fisicità, prima ancora che sul piano
vestimentario: “oggi il corpo della moda non è più il ‘corpo assoluto’ ma è,
prima di tutto, il corpo ‘reale’ e individuale delle top model, un corpo
funzionale alle esigenze dell’industria dell’abbigliamento che ha adottato
come propria la logica dell’universo spettacolar-massmediatizzato: un corpo
con una storia, una espressione definita, un corpo che è oggetto di discorso

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al pari e più degli abiti e degli accessori che indossa, un corpo, quindi, che
parla e che fa parlare” (ibidem).
Secondo Grandi, “l’avere dato un corpo, uno stile, una personalità alle top
model è stata la concessione del sistema moda imperniato sugli stilisti al
sistema dei mass media per uscire dal ghetto del discorso specialistico e
farsi discorso moderno – meglio, postmoderno e massmediatico”.
Il corpo della moda, dunque, diventa normativo rispetto a quello del
soggetto fruitore, il quale ne fa un modello per la costruzione della propria
identità. “E’ infatti attraverso il corpo fisico che entriamo in contatto con il
mondo che ci circonda; si tratta di un corpo che presenta,
contemporaneamente, tratti di universalità – per la nostra comune
appartenenza al genere umano – e tratti di unicità, che ci permettono di
costruire la nostra soggettività nella differenza. Non a caso una delle
funzioni dell’abbigliamento è proprio quella di differenziazione individuale
nei confronti dei nostri simili acquisendo, in questa esperienza di
separazione, la coscienza del nostro sé. L’identità, appunto, si costruisce
sulla base della differenza e il corpo, in quanto costruzione sociale, è la
superficie strategica per la costruzione di questa identità” (ibidem).
Secondo l’autore, “il sé si verrebbe dunque a definire a livello delle pratiche
sociali e culturali – intese come percorso interpretativo – in cui si performa.
Tali pratiche costituiscono anche l’esperienza storicizzata del sé, tanto e
vero che la categoria di posizione, nella sua transitorietà e relatività, ha
sostituito categorie quali, in primo luogo, quelle di genere e razza”; e “se il
passaggio dall’età premoderna a quella moderna e, oggi, a quella
postmoderna è anche il passaggio […] da identità stabili, fisse, definitive,
collocate in contesti di sostanziale immutabilità a identità multiple,
soggettive, posizionali, fluide, ambivalenti, frammentate, collocate in
contesti in continuo mutamento, la moda non può non tenerne
conto”(ibidem).

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In un’epoca in cui le definizioni identitarie sono fluide, e si costruiscono sul
corpo stesso, questo diviene protagonista della dialettica della moda, di
volta in volta esaltato o svilito, ma comunque sempre plasmato in quanto
strumento della manifestazione del sé.
Il ruolo del corpo proprio, la sua forma, le tracce dell’esperienza che porta
iscritte in sé, sono inoltre determinanti per il processo di definizione
identitaria di ogni individuo. Marina Sbisà (1985), nell’articolo tratto dal
testo “Le donne e i segni”, pone al centro dell’attenzione come un corpo
biologicamente femminile che entra in relazione con i personaggi che il
soggetto è portato o vuole impersonare, a volte è solidale con la soggettività
espressa dal suo abitante ed altre volte si pone in relazione conflittuale ad
essa. Lo stesso corpo che permette l’accesso a determinate situazioni di vita,
può di fatto precluderne altre, limitando in tal modo la piena realizzazione
del soggetto e influenzando le sue modalità comunicative. Dalle tracce di
queste esperienze dipende infatti la costituzione del soggetto femminile e la
presentazione del sé che dal corpo stesso promana .

4.2 Un approccio semiotico al corpo

L’avvicinamento della semiotica alla tematica della corporeità, e quindi alla


significazione legata all’esistenza e all’espressione del corpo umano, può
essere fatta risalire alla svolta introdotta dalla semiotica greimasiana
nell’ambito della discussione sull’oggetto della semiotica.
Tale disciplina nasce infatti nell’ambito strettamente linguistico, e si occupa
per sua natura principalmente delle lingue naturali; al di là dunque delle
considerazioni più teoriche e filosofiche, la semiotica trova naturale
confrontarsi con testi letterari, dei quali indaga la significazione. Tuttavia,
tale ambito d’indagine cominciava a rivelarsi limitato, o quanto meno

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rischiava di escludere una vasta parte delle manifestazioni umane, delle
quali non era in grado di rendere conto.
Entra a questo punto in gioco la riflessione di Greimas. Pubblicato su
Languages nel 1968, il saggio “Per una semiotica del mondo naturale”
(Greimas, 1970) costituisce l’esplicitazione chiara di questa nuova visione.
Greimas aveva infatti sin dall’inizio sottolineato come il suo approccio
semiotico fosse rivolto a qualsiasi forma di significazione, qualsiasi ne fosse
il mezzo espressivo; tuttavia, è con questo saggio che la sua argomentazione
trova una forma piena ed organica, tracciando un primo schema di lavoro
per l’analisi.
“L’unica presenza concepibile della significazione nel mondo – scrive
Greimas - è la sua manifestazione all’interno della “sostanza” che avviluppa
l’uomo: per cui il mondo cosiddetto sensibile diventa, nella sua totalità,
l’oggetto della ricerca della significazione» (ibidem). In altri termini,
Greimas propone una semiotica del mondo naturale, dagli orizzonti più
ampi rispetto ad uno studio rivolto unicamente alle lingue naturali. “Pur
ammettendo il carattere privilegiato della semiotica delle lingue naturali –
dato che queste hanno la proprietà di ricevere le traduzioni delle altre
semiotiche – dobbiamo tuttavia postulare l’esistenza e la possibilità di una
semiotica del mondo naturale e concepire la relazione fra i segni e i sistemi
linguistici (“naturali”), da un lato, e i segni e i sistemi di significazione del
mondo naturale, dall’altro, non tanto come una referenza del simbolico al
naturale, del variabile all’invariabile, quanto invece come un reticolo di
correlazioni fra due livelli di realtà significante” (ibidem).
Questo tipo di lettura permette di porre in relazione la semiotica linguistica
e quella “naturale”, e di “riconoscere l’esistenza, al di là delle figure visibili,
d’una visione categoriale del mondo naturale, di una griglia costituita da un
numero ridotto di categorie elementari della spazialità, la cui combinatoria
produce le figure visuali, e che dà conto del funzionamento del codice
d’espressione visuale” (ibidem).

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All’interno di questo sistema, “l’uomo […] è semplicemente una figura tra
le altre, un volume che, collocato sull’orizzonte spaziale, si sposta in esso
tracciando sul proprio percorso un certo numero di figurazioni” (ibidem).
Tuttavia, anche il corpo umano presenta una sua articolazione, una
suddivisione della problematica che lo riguarda in forma e sostanza: da un
lato, il corpo si manifesta a se stesso e agli altri con una forma, cioè un
aspetto, una gestualità, una postura ecc.; dall’altro, esso non può prescindere
dalla propria sostanza, ovvero dalla sua interiorità, dalla sua percezione e
dal suo sentire.
Vengono dunque a suddividersi due aspetti dell’analisi semiotica del mondo
naturale, limitatamente al corpo umano: da una parte, lo studio degli aspetti
plastici del corpo (sia esso nudo o vestito), dalle sue forme, alla presenza
nello spazio, dalla postura, alla gestualità; dall’altra, l’aspetto estesico e
passionale dell’esperienza umana.
Rimandando ad altre fonti l’approfondimento sullo statuto significante della
gestualità e della postura, comunque connesso al tema della moda ma meno
interessante per la nostra tesi, ci sembra invece necessario porre l’accento
sul rapporto tra il corpo e lo spazio.
Nell’interpretare la forma di un corpo situato nello spazio, infatti, un
qualsiasi osservatore non può prescindere da alcune categorie, derivate dalla
sua stessa esperienza, e che ne orientano la lettura.
Scrive Giorgio Cardona (1985) che “l’insieme di tutto ciò che cade nel
campo visivo, lo spazio e quanto vi è contenuto, può […] essere organizzato
ed articolato usando, ricorsivamente, uno stesso modello, e questo modello è
il corpo”. “Il detto greco “di tutte le cose è misura l’uomo” (pántōn tôn
prammátōn métron ho ánthropos) viene citato per solito per ricordarci il
senso della relatività posseduto dai Greci. […] Ma forse raramente o mai si
pensa che il detto vada preso innanzitutto alla lettera. L’uomo è
effettivamente la misura di tutte le cose» (Cardona, 1985). L’osservazione
di Cardona deriva dallo studio di alcune invarianti riscontrate nel

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comportamento sociale di diversi gruppi umani: la costante in tutte le
culture esaminate è la proiezione delle categorie spaziali derivate dal corpo
umano sullo spazio circostante: il territorio, la casa, il linguaggio vengono
investiti da questa proiezione di categorie, e questo avviene in maniera
diversa in ciascuna cultura: “la postura eretta dell’Homo sapiens […] è
anche ciò che determina, in modo universale, le coordinate
dell’orientamento per l’animale uomo” (ibidem).
Sebbene l’approccio di questo studio sia di carattere socio-antropologico,
risulta coerente rispetto allo studio sul corpo portato avanti finora: il
rapporto fra il corpo e lo spazio si articola in base a categorie che sono
portatrici di significato, indipendentemente dal punto di vista dal quale si
intende esaminarle. Inoltre, estendendo ulteriormente la portata del discorso,
si vede come anche l’attante osservatore proietti, in quanto uomo, le proprie
categorie nello spazio, e come questo lo metta in grado di comprendere la
suddivisione generata dalla presenza del soggetto osservato.
L’abito può, entro certi limiti, modificare la percezione del corpo proprio o
di un corpo altro nello spazio (si pensi ai tacchi a spillo, che elevano la
figura da terra, o alle larghissime gonne a corolla, che ampliano la figura).
Elemento centrale nello studio della corporeità in quanto forma è quindi la
componente topologica.
Il migliore esempio di studio basato su opposizioni di carattere topologico
applicato all’analisi del corpo è fornito dal saggio di Greimas e Teresa
Keane (1993). Partendo da un quadro di Cranach che ritrae una Ninfa
distesa presso una fonte, i due studiosi si sono proposti di “ricostruire la
dimensione estetica del gusto del periodo”.
Per fare questo, “il corpo della ninfa viene trattato come discorso, come
oggetto alla cui costruzione hanno contribuito un certo numero di categorie,
il cui insieme complessivo costituisce appunto l’universo del gusto estetico”
(ibidem). Attraverso una “analisi delle categorie plastiche che regolano il

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corpo femminile”, lo studio si propone di “riportare in superficie la logica di
senso sottesa al corpo della donna”(ibidem).
Greimas e Keane sono partiti dalla considerazione dell’articolazione
topologica, ovvero dalla suddivisione del quadro secondo le linee guida di
articolazione dello spazio, e, conseguentemente, dal ruolo del corpo
all’interno di tale reticolo, con particolare attenzione a quelle parti del corpo
che “marcano” la suddivisione dello spazio. Ne sono emerse alcune
categorie plastico-estetiche, ed alcuni concetti fondamentali.
In primo luogo, si impone l’opposizione nudo vs vestito, che rimanda alla
più generale dicotomia natura vs. cultura, e che ricopre un ruolo centrale
anche nel discorso della moda. Occorre precisare, tuttavia, che la moda ha
ricondotto tale dialettica tutta all’interno del corpo vestito: ovviamente non
esiste nella moda il corpo nudo, ma solo frammenti di nudità che fanno
comunque parte di una logica vestimentaria e che possono rappresentare
materia significante (si veda l’esempio della gamba scoperta fatto da
Barthes). Si può, quindi, contrapporre una culturalizzazione marcata ad una
neutra, dove la prima prevede l’esclusione radicale di qualsiasi forma di
“naturalità”, e la seconda assume su di sé i tratti della natura per farsene
carico in vista della produzione di senso.
Lungo il percorso dell’analisi si snodano poi diverse opposizioni categoriali,
che rendono conto dell’impostazione topologica e della centralità accordata
al rapporto tra il corpo e lo spazio.
Eccone alcune: orizzontale/verticale/obliquo, armonia vs rottura,
leggerezza vs. pesantezza, contatto vs. non contatto, simmetria vs.
asimmetria ecc.
Particolarmente interessanti, infine, le considerazioni sull’equilibrio (stabile
vs. instabile, statico vs. dinamico), ovvero lo studio delle tensioni interne
all’immagine, e l’utilizzo delle categorie della storia dell’arte (classico,
barocco, gotico, sfocato, ecc.) per ricondurre ad unità i diversi elementi che
rimandano ad un comune sentire estetico.

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Per concludere, Greimas e Keane argomentano il loro riscontro di categorie
tipicamente estetiche: “ogni linea, ogni figura, ogni configurazione che
abbiamo riconosciuto, è un formante, ovvero una forma dell’espressione
visiva, alla quale sono stati attribuiti dei significati, detto altrimenti, delle
forme del contenuto. Se le prime rappresentano “gli stati di cose”, le
seconde costituiscono, al momento del processo di percezione, il contributo
del soggetto e sono, quindi, degli “stati d’animo”, essendo passati attraverso
il filtro dell’assiologia culturale. Tali assiologie […] sono state designate da
Hjelmslev sotto il nome di connotazioni sociali e si presentano sotto forma
di tassonomie variabili da una cultura all’altra. Esse, certamente, possono
essere deformate o arricchite dalle connotazioni individuali, dovute agli
incontri di certi tipi di formanti con particolari sensibilità. L’insieme tuttavia
costituisce la dimensione estetica del gusto” (Greimas – Keane, 1993).
L’obiettivo di questa impostazione di analisi è il seguente: “di fronte
all’oggetto estetico costituito dal corpo della donna, si impone
un’operazione di selezione e di sistemazione di queste categorie estetiche: si
tratta, infatti, di “render ragione della ragion d’essere” di questa donna o
almeno del discorso che lei ci rivolge, di rendere conto della logica interna,
della coerenza che la sostiene”(ibidem).
Un’ultima considerazione che riguarda il corpo inteso come forma è la
problematica legata alle modificazioni del corpo; esse possono essere
temporanee o permanenti, così come possono riguardare solamente la
superficie del corpo, oppure influire più in profondità.
Esistono modificazioni del corpo che vengono considerate “inevitabili” da
una determinata cultura, e che pertanto perdono il loro connotato di
artificialità: il taglio dei capelli, delle unghie, la depilazione sono tutte
pratiche profondamente sociali, che tuttavia hanno acquisito nel tempo una
tale normatività da essere considerate molto più “naturali” del loro
contrario; è solo nel confronto con culture profondamente diverse che

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cogliamo la socialità di tali pratiche, e siamo indotti a domandarcene le
origini e le cause.
Fra le modificazioni temporanee, troviamo poi anche pratiche meno
“naturalizzate”, che tuttavia godono di un consenso diffuso e non
problematico: è il caso del make up, del trucco – più o meno accentuato –
che milioni di donne utilizzano ogni giorno. Anche in questo caso, della
stessa pratica esiste una forma marcata e una forma neutra: non solo, infatti,
il trucco quotidiano può essere più o meno marcato, ma può mirare ad una
maggiore o minore naturalezza, può essere volto a minimizzare i difetti
fisici, oppure ancora può essere utilizzato in chiave ironica e significativa,
come nel caso di alcune sottoculture.
Nella moda, il make up è elemento imprescindibile di qualsiasi
manifestazione, sia per ragioni tecniche che per motivi estetici e formali, il
cui scopo è veicolare un senso determinato. Non solo, infatti, il make up è
soggetto alle mode e alle variazioni stagionali degli stili vestimentari, ma il
suo utilizzo palesa anche logiche diverse di considerazione del corpo: dal
trucco “naturale” al trucco “maschera”, il corpo può essere sottoposto ad un
trattamento di adattamento ai canoni estetici vigenti come ad una
metamorfosi in vista di una rappresentazione.
Proseguendo lungo la scala che colloca le modificazioni corporee rispetto
alla irreversibilità delle pratiche, troviamo i tatuaggi non permanenti, e le
diverse pratiche di piercing: gli uni, eliminati dal semplice trascorrere del
tempo, gli altri eliminabili grazie all’attività fisiologica del corpo umano,
con la semplice rimozione dell’orecchino o dell’oggetto metallico.
Tra le modificazioni più permanenti troviamo, invece, il tatuaggio. Tali
pratiche hanno origini lontane, esotiche e tribali e si sono diffuso
rapidamente anche tra coloro che escludono qualsiasi pratica significante,
considerando solamente l’aspetto puramente estetico. Perse le qualità
magiche ed evocative avevano nelle società tribali, oggi i piercing e i
tatuaggi hanno ormai perduto anche quel tratto di trasgressione che ne aveva

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fatto il simbolo per eccellenza della protesta sociale, per divenire una
semplice decorazione.
Infine, oggi si tende sempre più, da parte degli studiosi di costume, a
considerare come modificazioni del corpo anche i comportamenti legati
all’esasperata tensione verso modelli estetici irraggiungibili.
Gli interventi chirurgici per ingrandire o rimpicciolire parti del corpo
adattandole agli standard estetici in voga, operazioni più o meno invasive
per apparire più giovani, sono ormai all’ordine del giorno: in occidente vi
ricorrono infatti, nei limiti delle possibilità economiche, individui di ogni
genere e di ogni classe sociale.
La rimozione sociale del corpo “vecchio” è un altro tratto peculiare dei
“nostri tempi”, individuato da Barthes (1982) e poi evidenziato anche da
Volli (1998). Barthes definisce questo fenomeno “razzismo giovane”: ogni
volta che il corpo viene rappresentato o messo in scena, esso è sempre e
comunque giovane. Volli parla di una tendenza della nostra società verso
l'“adolescenza prolungata”. Sul piano estetico, infatti, l'adolescenza è per
tutti l'età di riferimento: ciò è evidente nella prevalenza di musiche, balli,
ritrovi e abiti provenienti dal mondo giovanile. Il mito del corpo giovane
porta a cancellare, ove possibile, le tracce dell’avanzare del tempo e
dell’esperienza.
Collegato a quello del corpo giovane, si è affermato anche il mito del corpo
magro. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un aggravarsi e diffondersi
dei problemi legati ai disordini alimentari e al dimagrimento eccessivo,
dovuti all’elezione della magrezza come sinonimo unico e assoluto di
bellezza e successo. L’imitazione degli standard estetici proposti dai media,
pertanto, è passata dall’appropriazione delle regole dell’abbigliamento, che
ha sempre caratterizzato il rapporto fra la moda istituzionale e i suoi
destinatari, all’adesione ad un modello corporeo impossibile da raggiungere,
e per questo frustrante.

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Se, infatti, il corpo è divenuto luogo di contrattazione dell’identità e oggetto
di modificazioni sempre più libere lungo un percorso di ricerca che porti al
riconoscimento di nuove forme di significazione, la sua negazione, il suo
annullamento nella ricerca di una magrezza sempre insufficiente manifesta
l’accettazione passiva delle regole imposte dall’estetica dei media .

4.3 La moda come esperienza estetica

La semiotica dell’estesia nasce come sviluppo di due diverse riflessioni di


carattere semiotico: da una parte, l’indagine del funzionamento della
conoscenza primaria del mondo ovvero la prensione immediata e non
intellettuale che mette in relazione il soggetto e il suo ambiente; dall’altra, lo
studio sulla semiotica delle passioni, dell’affettività, e la conseguente
attribuzione alla corporeità di un ruolo fondamentale nella costruzione della
significazione. Dalle scoperte realizzate in questi due ambiti d’interesse,
prende forma una semiotica particolare, denominata dell’estesia: un progetto
che si propone di innestare sul percorso generativo della significazione, così
come postulato negli scritti di Greimas, la dimensione sensoriale, “le
relazioni tra il senso e i sensi” (Fabbri – Marrone, 2001).

L’ipotesi è che sta alla base di questo approccio è che la dimensione estetica
possa essere “spiegata e articolata al suo interno soltanto pensandola nella
sua accezione più rigorosamente etimologica, agganciandola dunque al
dominio dell’aisthesis, della sensibilità, dei modi e dei tempi con cui un
soggetto si rapporta a un oggetto, a se stesso o ad altri soggetti mediante il
proprio apparato sensoriale, il proprio corpo, i propri affetti più immediati”
(ibidem). Si tratta, dunque, di scoprire e comprendere quello che accade
nell’incontro percettivo tra un soggetto che non è ancora coscienza e un
oggetto che non è ancora mondo. Il corpo, in questo modo, «si fa mediatore
della relazione tra soggetto e oggetto poiché è nello stesso tempo parte del

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mondo e punto di vista a partire da cui può esserci esperienza del mondo”
(ibidem).
Tale concezione del corpo e dell’incontro tra soggetto e oggetto, rimanda
all’analisi fenomenologica di Maurice Merleau-Ponty. Il corpo proprio, che
egli pone come entità di sintesi tra il soggetto e l’oggetto, rappresenta
l’ambiguità, in virtù del suo fungere da terzo genere d’essere, istanza
mediatrice tra puro soggetto e puro oggetto, tra cultura e natura, tra la
coscienza e la cosa. Al corpo proprio, egli attribuisce un ruolo di interfaccia
priva di contenuto, ma indispensabile al contatto tra soggetto e mondo.
Esso diviene “soggetto naturale”, realtà psicofisica la cui particolarità
consiste nell’essere vissuta come “mia”: è il punto di ribaltamento di interno
e di esterno, il “punto zero” che è sempre qui dove sono io, e in riferimento
al quale ogni cosa è là.
Si legge nei suoi scritti: “un romanzo, una poesia, un quadro, un brano
musicale sono individui, cioè esseri in cui non si può distinguere
l’espressione dall’espresso, il cui senso è accessibile solo per contatto
diretto e che irradiano il loro significato senza abbandonare il proprio posto
temporale e spaziale. In questo senso il nostro corpo è paragonabile
all’opera d’arte. Esso è un nodo di significati viventi e non la legge di un
dato numero di termini covarianti” (Merleau-Ponty, 1979).
In questo modo, vengono a delinearsi le linee guida della Fenomenologia
della percezione: apertura del soggetto al mondo per mezzo del corpo che
esso vive, appartenenza della coscienza al proprio corpo, concordanza tra la
percezione che il corpo ha di se stesso e l’esperienza percettiva dell’oggetto
esterno, relazione tra l’esserci di un mondo percepito in comune e la
compresenza dei soggetti.
Da questi temi, si sviluppa un’analisi del rapporto fra soggetto e oggetto che
considera tutta l’importanza dell’essenza stessa del soggetto, il suo
percepirsi come soggetto, in vista del rapporto con il mondo altro da sé.

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In ambito semiotico, tali studi vengono ripresi in vista di una spiegazione
del versante percettivo e sensoriale dell’essere umano, con particolare
riferimento al rapporto tra il soggetto e l’oggetto: “al momento della
percezione, lì dove le macrosemiotiche della lingua e del mondo
s’incrociano all’interno della discorsività, i semi esterocettivi (dati dal
mondo esterno) si integrano con quelli interocettivi (dati dalla mente) per il
tramite del corpo, che vi include a sua volta i propri semi, detti
propriocettivi. Non si dà categorizzazione del mondo, dunque cognizione e
autocognizione, se non a partire da un timismo profondo, dove il corpo vive
relazioni di attrazione e repulsione nei confronti di se stesso e di ciò che
immediatamente lo circonda” (Fabbri – Marrone, 2001).
All’interno di questo processo di prensione sul mondo, il corpo svolge un
ruolo centrale: esso è “oggetto del mondo, e punto di vista sul mondo, luogo
a partire da cui si costituisce qualcosa come un’esteriorità ma si produce al
contempo qualcosa come un’interiorità […] Si tratta di ritrovare all’interno
della componente semantica dei vari sistemi e processi di significazione
quella linea di continuità che unisce le istanze percettive continue alle
elaborazioni categoriali discrete, attraverso tutta una serie di fenomeni
intermedi quali l’euforia e la disforia, le tensioni e le distensioni, le intensità
e gli aspetti, i ritmi e le temporalità profonde, ma soprattutto il mondo
complesso e variegato dell’affettività” (ibidem).
Il punto di partenza per qualsiasi analisi semiotica che comprenda la
dimensione del sensibile è rappresentato dalla categoria timica, ovvero “una
categoria ‘primitiva’, detta anche proprio-cettiva proprio perché con il suo
aiuto si cerca di descrivere, assai sommariamente, il modo in cui ogni essere
vivente, iscritto in un ambiente, e considerato come ‘un sistema di attrazioni
e di repulsioni’, ‘sente’ se stesso e reagisce a ciò che lo circonda” (Greimas,
1983). Tale categoria, in altre parole, rende conto dell’orientamento del
soggetto rispetto all’oggetto, ovvero della valorizzazione positiva o negativa
che esso attribuisce all’oggetto stesso e ai suoi rapporti con esso.

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Proiettata sul quadrato logico, la categoria timica dà luogo alle seguenti
articolazioni:
diaforia
EUFORIA DISFORIA

NON-DISFORIA NON-EUFORIA
adiaforia

Vengono in tale schema indicati con i meta-termini diaforia e adiaforia


situazioni di orientamento timico ben marcato (diaforia) o, inversamente, di
neutralizzazione dell’orientamento timico (adiaforia); tuttavia, occorre
sottolineare che “laddove l’adiaforia si specifichi come assenza di
orientamento disforico, si preparerà la strada per un orientamento euforico
(e con ciò diaforico), e viceversa”( Fabbri – Sbisà, 1985).
Le articolazioni positive o negative della categoria timica, così definite,
“possono essere proiettate su quelle d’una qualsiasi categoria semantica,
assiologizzandole (relativamente alla percezione che di quest’ultime ha un
soggetto); e si fanno così carico, in generale, dell’orientamento euforico o
disforico del soggetto nei confronti dei suoi oggetti, dei programmi narrativi
(unità elementari di azione/narrazione) propri e altrui, degli stati della
propria e altrui competenza modale” (ibidem).
Rispetto al tema della moda, le considerazioni riportate finora in merito alla
semiotica dell’estesia si declinano in particolari elementi di interesse.
La dimensione passionale del vestire è connessa alla percezione del proprio
corpo e al proprio orientamento nei confronti dell’altro. Scrive Greimas: “Il
desiderio di piacere implica innanzi tutto l’immagine che una donna ha del
proprio corpo, qualità e difetti, e la porta a costruirsi un certo apparire

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‘personale’. Ma piacere è anche un’operazione di seduzione, ossia una
forma particolare di manipolazione che reclama un adattamento
costantemente arrischiato dell’immagine del vostro corpo vestito a quello
che gli altri – poco importa se si tratta di un individuo o del ‘mondo’ – si
fanno – o si spera si facciano di voi. Una tale ‘personalizzazione’ è quindi
eminentemente intersoggettiva - presuppone la convocazione di due
simulacri e la loro comparazione con l’ausilio di due codici distinti – ed è
ben più cognitiva che patemica” (Greimas, 1987).
E’ lo stesso Greimas a riferire all’ambito vestimentario le considerazioni
svolte sull’imperfezione e sul suo ruolo nell’esperienza estetica: l’abito è
luogo della dialettica tra manifestazione e nascondimento, e in cui entrambi
gli elementi della dicotomia giocano un ruolo nell’esperienza
estetica/estesica. “Protettore del corpo segreto della donna, il vestito al
contempo ostacolo e desiderio di trasgressione, è il creatore di uno spazio
dove l’interdetto – come negli altri domini – può perfettamente assolvere il
suo ruolo di instauratore del senso, dove l’immaginario può esercitarsi
liberamente sino a dar luogo alla concezione occidentale dell’amore. In
effetti, la distanza in tal modo stabilita è, sul piano spaziale, l’equivalente
dell’attesa per la temporalità, e questa visualità imperfetta – o più-che-
perfetta, ma mai perfetta – non è che la forma distanziata del toccare; tanto è
vero che il toccare, la più profonda delle sensazioni a partire dalle quali si
sviluppano le passioni del corpo e dell’ anima, prende di mira, in fin dei
conti, la congiunzione del soggetto e dell’oggetto, sola via che porta
all’estesis” (Greimas, 1987).
In questo passo, vengono messi in luce alcuni degli elementi che rivestono
un ruolo fondamentale nell’analisi dell’abbigliamento e della moda.
In primo luogo, la duplicità del corpo nudo/vestito: al di là dell’aspetto
formale, la visibilità o meno del corpo al di sotto o al di là degli abiti
rimanda ad una tematica di carattere estesico, e comporta quella saisie
esthètique che suscita nel soggetto la modulazione timica.

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Il gioco delle trasparenze, del nascondere/mostrare, del nudo ostentato così
come dell’abito castigato è da sempre presente nella moda, centrale
nell’alternarsi stagionale delle mode così come nell’affermazione di un
costume rispetto ad un altro. Tale dialettica rimanda, dunque, ad un
desiderio di suscitare sensazioni nell’osservatore, sensazioni sulle quali la
moda fonda il suo sistema di diffusione.
La seduzione è la più potente fra queste sensazioni, indotta dalla moda
attraverso l’abito e utilizzata per creare l’adesione da parte dei destinatari
della comunicazione vestimentaria. La seduzione, tuttavia, passa anche
attraverso i sensi, e i più coinvolti in una tematica estesica della moda sono
il tatto e la vista. Il tatto, come abbiamo visto anche nel passo di Greimas,
occupa un posto particolare tra i cinque sensi: modulato dalla possibilità o
impossibilità di toccare, il tatto viene aspettualizzato e sfumato in tutta una
serie di variabili.
L’altro senso coinvolto maggiormente nell’ambito della seduzione è
ovviamente la vista, proprio perché ci stiamo fondamentalmente occupando
di testi visivi. La vista può, però, attivare aspetti del piacere che non
dipendono strettamente dalla sessualità, quanto piuttosto al concetto di
gusto estetico. Greimas, a tal proposito, riflette sull’esperienza di una donna
che guarda una vetrina: “di fronte all’esuberanza delle forme e delle
materie, essa si trova assalita da messaggi che deve interpretare, da
suggestioni da sanzionare”(Greimas, 1987). Secondo Greimas, il piacere che
accompagna l’attività cognitiva di ammirare un capo di moda in una vetrina
è conseguente al riconoscimento di una forma, una linea, che è propria della
grazia e dell’eleganza, mediante l’utilizzo di una griglia di lettura
‘degustativa’ o socio-estetica simile a quella che definisce ed etichetta le
forme elementari dei grandi stili - il classicismo, il barocco – nella
convinzione che il loro uso costituisca il gusto.
“L’estetizzazione della vita quotidiana e l’assunzione di oggetti significanti,
al di là del loro valore funzionale, hanno contribuito inoltre a rafforzare i

68
percorsi identitari ed i riferimenti attraverso i quali gli individui creano e
sognano il proprio mondo” (Ricci, 2001). La moda condiziona questi
comportamenti, sia a livello individuale e che a livello collettivo,
diventando un meta-codice estetico che si contrappone ai tradizionali codici
segno.
Il caso più semplicistico e perciò meno interessante è quello delle aziende di
moda firmata che, nel disegnare i propri modelli e grazie a meccanismi
pubblicitari di vario tipo (redazionale, carta stampata, sfilate, eventi,
sponsor), investono i propri prodotti dei valori connessi al marchio,
spingendo il soggetto (ovvero il consumatore target) verso la congiunzione
con l’Oggetto di valore. Il soggetto in tal modo virtualizzato, nel
congiungersi con l’Oggetto di valore, e diventando in questo modo Soggetto
Realizzato, rappresenta sé stesso comunicando i valori del marchio che
indossa.
In realtà, a prescindere dal lavoro di marketing delle aziende del settore, il
valore di un oggetto-segno dipende da un lato dalle relazioni che esso
intrattiene con gli altri oggetti-segni del sistema ed è quindi definito in
maniera differenziale (componente tassica), dall’altro esso si costituisce
come oggetto di valore per il fatto che esiste un soggetto che lo desidera e
che investe in questo oggetto la propria intenzionalità. Si tratta di ciò che
definiremo valore fenomenologico, in quanto proiezione del timismo
profondo di un soggetto volente sull’oggetto voluto. (Magli, 2004)
I motivi di questa valorizzazione per il soggetto sono da riconoscere
all’interno del suo programma narrativo e dipendono dalla relazione tra il
soggetto stesso e l’oggetto voluto.
A tal proposito può ritornare utile la proiezione sul quadrato logico delle
possibili valorizzazioni funzionali, illustrata da Floch in una delle sue analisi
(Floch, 1995):

PRATICA/STRUMENTALE MITICA/UTOPICA

69
CRITICA LUDICA/ESTETICA

La scelta di indossare un jeans strappato da parte di un signore attempato


può essere dovuta alla necessità di essere comodo e non dover porre
attenzione a non sporcarsi durante il suo lavoro (valorizzazione pratica), alla
impossibilità di acquistare capi nuovi per motivi di ordine economico, pur
giudicando il jeans adatto all’utilizzo che si appresta a fare (valorizzazione
critica), al desiderio di apparire più giovanile e al passo con i tempi
(valorizzazione utopica) o al semplice fatto che il modello di jeans appaga il
suo personale senso estetico (valorizzazione estetica).
Nel caso specifico della moda le valorizzazioni che più frequentemente
virtualizzano il soggetto sono la mitica/utopica e la ludica/estetica.
Il rapporto tra abito e soggetto e' in sintesi un rapporto fatto di coerenza e di
identificazione di valori, che si esprime in un pensiero di questo tipo: “Io
(soggetto vestente) indosso questo tipo di abbigliamento perché indossarlo
mi fa vivere un’esperienza piacevole, è il linea con ciò che sono o che vorrei
essere, mi fa sentire vicino allo stile del marchio che lo ha creato”.

4.3 Moda ed identità.

Simone de Beauvoir, citata da Goffman nella sua opera più famosa (1959),
afferma: “Anche se ogni donna si veste secondo la sua condizione, c’è
sempre un gioco in questo. L’artifizio, come l’arte, appartiene al regno
dell’immaginario. Non soltanto guaina, reggipetto, tinture, trucco,
trasformano corpo e viso; ma la donna meno sofisticata dal momento in cui
è “abbigliata” non si offre più alla percezione: è come il quadro, la statua,

70
come l’attore sulla scena, un mezzo attraverso il quale è proposto un oggetto
assente che è il suo personaggio, ma che essa non è. E’ questa confusione
con un oggetto irreale, necessario, perfetto come un eroe di romanzo, come
una pittura o un busto, che la appaga.”
In questo senso crediamo che, in epoca post-moderna ancor più che in epoca
moderna, l’abbigliamento di ogni individuo (si noti come al giorno d’oggi l’
“abbigliarsi” in maniera particolare non è più soltanto prerogativa
femminile) sia una forma di comunicazione basata sul rappresentare un
“personaggio”.
Sartre, in una nota tratta da “Questioni di metodo” osserva che la persona
produce l’indumento nel senso che si esprime per suo tramite: l’indumento
produce magicamente la persona e trasformando l’indumento essa modifica
temporaneamente il proprio essere, o meglio la propria “messa in scena”,
partecipando al gioco ludico delle identità. Si tratta dunque di una
“identificazione leggera” che si può dismettere dopo l’uso (Bauman, 1999) e
che non ha rischi, perché l’abito non è l’essere e il gioco degli abiti non è
quello dell’essere. La moda non fa altro che recuperare il tema ancestrale
della maschera, legandosi profondamente con il nostro “essere al mondo”
seppur con il gusto della teatralità.(Fiorani, 2006 )
Chiunque per esistere deve raccontare una storia, la sua storia. Quindi un
copro vestito, ornato, messo in scena, è un corpo culturalizzato, che in
questo modo accedere al mondo e alla comunicazione.
Il corpo è il primo mezzo di comunicazione che l’uomo possiede. Esso da
sempre è stato utilizzato per rappresentarsi o rappresentare qualcosa. “ Il
corpo è un bodyscape, una sorta di palcoscenico teatrale sul quale,
attraverso pitture, tatuaggi, scarificazioni o più semplicemente con abiti e
ornamenti, raccontare la propria storia, la condizione sociale ed economica,
le emozioni e intenzioni, o anche semplicemente esprimersi e farsi soggetto
ed oggetto del desiderio.” (Fiorani, 2006)

71
Dunque ciò che un individuo indossa ha sempre un carattere performativo
ed è contemporaneamente un essere per sé ed essere per gli altri. Gli abiti
diventano ora protesi della pelle, ora geografie dei corpi, ora modi di
definire il Sé, distinguendolo da tutto ciò che è altro.
“Ogni ornamento “aumenta o amplia l’impressione della propria personalità,
agendo come un’irradiazione di essa”. Intensifica la sfera o “bolla” del Sé,
in cui lo sguardo altrui si immerge.”(Fiorani, 2006)
Ma la moda è anche contaminazioni di stili e di culture. L’individuo post-
moderno può sperimentare esperienze e trasformarsi, attingendo allo “style
world” globale e facendo un tuffo in piscina del “reale” senza bagnarsi.
“Vuoi essere un Hippy? - scrive Ted Polhemus – Non c’è problema. In
questo supermarket degli stili tutte le tribù stilistiche di ieri sono poste sugli
scaffali come scatole di zuppa istantanea. Aggiungi solo acqua – e subito
tutto l’aroma e il sapore di autenticità può essere tuo.”(Polhemus, 1995)
Così, come le nuove condizioni di vita spezzano i tradizionali vincoli di
appartenenza socioculturale e moltiplicano gli scenari in cui un individuo si
trova a muoversi, allo stesso modo la moda si fa interprete, a suo modo, dei
cambiamenti epocali, combinando in essa tradizione e modernità, localismo
e globalizzazione, consumismo e ineguaglianze sociali.
Il vestito diventa strumento di comunicazione in due modi.
Prima di tutto è una risposta alla crisi culturale e di identità: l’individuo
avverte l’esigenza di rappresentare una propria identità e di trovare una
propria collocazione all’interno della società e rivisitando nostalgicamente i
valori del passato (si veda l’attuale tendenza a indossare capi Vintage,
ovvero abiti delle epoche passate, griffati o non, ma pur sempre usati),
oppure elaborandone di propri, afferma la propria esistenza, scontrandosi
contro l’anonimato della metropoli.
In questo modo egli costruisce di fatto una nuova estetica, un’estetica che
nasce da un continuo processo di contaminazione e selezione, attraverso la
quale comunica il suo personale modo di essere. La scelta vestimentaria

72
diventa, quindi, uno dei veicoli dell’iniziativa individuale del soggetto per
presentarsi in un determinato modo, iniziativa del tutto personale e solo in
parte condizionata da quelli che sono i modelli sociali e di genere (Sbisà,
1985).
Il Vintage11, tanto in voga in questo periodo, è un esempio di processo
creativo molto interessante, in quanto implica una destrutturazione e un
rimontaggio. Si carica dei significati connessi all’epoca che rianima e,
proprio perché raro e non presente nella grande distribuzione commerciale,
dona un senso di autenticità e di preziosità alla persona che lo indossa.
Contaminazioni, decostruzioni, ri-assemblaggi, sono grandi temi su cui
lavora anche l’alta moda. Anche gli stilisti, attraverso la ricerca nella storia
della moda e all’interno delle varie culture portano in passerella i valori che
vogliono rappresentare, dal recupero delle radici all’affermazione di nuove
forme di vita. E in tutto ciò il corpo ha un ruolo centrale che lo pone al
centro dell’investimento simbolico e della riconfigurazione dei nuovi modi
d’essere e d’abitare il mondo. “L’osservazione etnografica delle culture in
diaspora mostra che sono in grado sia di spossessarsi della cultura d’origine
sia di mantenere insieme una molteplicità di livelli e di appartenenze, pur
portandosi dentro il proprio luogo d’origine. E ciò crea nuovi stili e anche
un rapporto diverso con il corpo e con gli oggetti”(Fiorani, 2006).
Moda, architettura, arti visive, musica, saperi, culture si interfacciano e si
connettono, si mescolano e si influenzano creando molteplici modelli di stile
e identità fluide e plurali.
In questa miscellanea di contaminazioni, ottenuta da secoli di vita umana
sulla terra, solo un fattore rimane costante: “la straordinaria capacità
semiotica del corpo umano, dell’abbigliamento, degli ornamenti” (Ted
Polhemus, 1995)

11
Per “Vintage” si intende abbigliamento d’annata, usato, firmato oppure caratteristico di
una determinata epoca.

73
5. ANALISI EMPIRICA

5.1 Premessa metodologica

Il percorso fin qui svolto, sebbene senza alcuna ambizione di esaurire la


complessità e la vastità dell’argomento, ci porta ad avere gli strumenti
essenziali per effettuare un’analisi applicata di casi concreti tale da
permettere ulteriori riflessioni sui processi di significazione e
comunicazione legati al significante vestimentario.

74
Al fine di proporre un corpus d’analisi sufficientemente omogeneo, ma allo
stesso tempo esemplificativo di tutte le possibili manifestazioni della moda,
abbiamo diviso la raccolta degli abbigliamenti da esaminare in due parti:
una prima parte, composta da abiti indossati dalle modelle durante le sfilate
di pret à porter autunno-inverno 2008-2009, una seconda parte, composta da
abiti indossati, più o meno nello stesso periodo, da persone comuni durante
la propria vita quotidiana.
E’ evidente pertanto che l’intenzionalità comunicativa che caratterizza gli
abiti della prima parte sarà da leggere come molto differente negli scopi,
rispetto alle motivazioni leggibili nelle composizioni vestimentarie della
seconda parte. Il confronto tra le due parti è comunque, a nostro avviso,
particolarmente interessante.
Si vedrà come, essendo la sfilata “un evento comunicativo funzionale e
fittizio (nel senso etimologico di “costruito artificialmente”)” (Volli, 1995),
strumentale al solo obiettivo di far parlare di sé, gli abiti tratti da essa siano
caratterizzati dalla ricerca esasperata della stravaganza, della bizzarria, del
riferimento artistico/culturale o della denuncia sociale e tengano meno conto
della portabilità e delle situazioni sociali in cui l’abito può apparire, e si
prestino maggiormente ad un’analisi plastica e figurativa affine a quella che
si effettua per l’opera d’arte.
La seconda parte dell’analisi, dedicata all’abbigliamento della gente
comune, deve invece tener conto di come il singolo “parlante della moda”,
sia portato a scegliere un determinato abbigliamento al fine di darsì
un’identità precisa, ben sapendo che il giudizio e il comportamento degli
altri nei suoi confronti potrebbe dipendere dalla sua intenzionalità e
dall’efficacia comunicativa del suo messaggio. Egli è fornito, per le sue
significazioni vestimentarie, di un “dizionario-guardaroba” limitato sia da
ciò che il mercato della moda effettivamente mette a sua disposizione, sia
(in alcuni casi) dalle situazioni sociali in cui si troverà ad indossare quel tale
abbigliamento.

75
Non potendo essere a conoscenza del contesto in cui la fotografia è stata
presa, ipotizzeremo, per tutte le immagini un’occasione che riguardi il
tempo libero, in cui il soggetto possa, senza impedimenti, rappresentare se
stesso o chi, in definitiva vorrebbe essere.
Inoltre, daremo per scontato il contesto socio-culturale dell’Occidente
contemporaneo.
Le immagini della prima parte di analisi sono tratte dal sito Style.it, nella
specifica sezione Sfilate, mentre quella della seconda parte sono tratte da
Sartorialist.com, famoso blog gestito da un fotografo appassionato di moda
e di street-wear. Tutte le foto analizzate sono raccolte in appendice.

5.2 Analisi: “FOTO DA SFILATA”

Foto 1

Pur sembrando tutt’altro che utilizzabile durante la stagione fredda,


quest’abito è tratto dalla collezione autunno-inverno 2008-2009 di
Blumarine, e, proprio per le sue caratteristiche fisiche, si presenta
particolarmente adatto ad un’analisi plastica.
Una prima griglia di lettura dell’abito ci è fornita dalla categoria topologica
alto vs basso, ancor più evidente se si fa caso allo sviluppo orizzonte delle
linee nella parte superiore, contrapposta a quello verticale delle linee create
dalla gonna. Il movimento si realizza soltanto nella parte bassa del vestito
creando un effetto di senso sul piano del contenuto così esplicitabile:

/alto/ : /basso/ :: “staticità” : “dinamismo”

articolabile successivamente come :

/alto/ : /basso/ :: “disciplinato” : “eversivo”

76
La suddivisione topologica è rispettata anche per ciò che riguarda la
categoria eidetica curvilineo vs rettilineo, dove le piccole increspature di
tessuto si occupano di rappresentare una certa dolcezza, in contrapposizione
alla maggiore linearità della gonna.
Il corpo della modella è inoltre enfatizzato da due masse di maggior
spessore proprio sopra le zone più connesse alla femminilità, realizzando
un’interessante isotopia sul piano dell’espressione, che trova ulteriori
ridondanze sul piano del contenuto.
La categoria eidetica spesso vs. sottile, che evidenza l’essere donna del
soggetto che indossa quest’abito, si può articolare in questo modo sul piano
del contenuto

/spesso/ : /sottile/ :: “femminile” : “neutro”

Queste due masse suggeriscono, inoltre, un ovvio punto di attenzione per


l’occhio di un ipotetico osservatore, sono un esplicito invito a guardare le
forme del proprio corpo che non può essere altro che seduttivo.
L’avere lasciato scoperto le spalle e le gambe, contribuisce a rinforzare il
messaggio di seduzione, come il colore scelto per l’abito.
La categoria cromatica rosa vs oro è articolabile a livello semantico come
segue:

/rosa/ : /oro/ :: “nudo” : “ornato”

L’utilizzo infatti di una scarpa color oro, colore per eccellenza del sacro e
del regale, spesso utilizzato nei motivi ornamentali delle chiese o delle corti,
si contrappone al color pelle dell’abito, enfatizzando l’effetto di nudità e di
conseguenza la sensualità dell’insieme. A riprova di ciò effettuiamo una
prova di commutazione: pensiamo a quest’abito nel colore blu. E’ evidente

77
che quest’effetto di senso viene perso, dimostrando che la categoria
cromatica rosa è un elemento fortemente significante.
La medesima opposizione semantica è sostenuta anche nell’articolazione
della categoria fotica opaco vs lucido (l’abito è opaco come la pelle del
corpo, la scarpa lucida, come gli ornamenti).
Un’ulteriore categoria fotica, articolata in coprente vs trasparente, è
realizzata all’interno del dispositivo topologico prima definito, dove
ovviamente vale la corrispondenza

/coprente/ : /trasparente/ :: /pudore/ : /impudenza/

Analizzando la sintassi narrativa attanziale di questo testo, si nota come la


trasparenza e la flessuosità delle strisce di quest’abito (Destinante) hanno il
compito di provocare, o meglio, semioticamente parlando, attivano nel
Soggetto osservatore il programma narrativo del voler fare (nella fattispecie
voler vedere/voler toccare) modalizzandolo come Soggetto Virtuale e
rendendo il corpo della donna che indossa l’abito, l’Oggetto di Valore di
tale programma narrativo di ricongiungimento.
Il tessuto dell’abito è inoltre talmente inconsistente da evocare per
sinestesia, concetti semisimbolici quali leggerezza, delicatezza, fragilità,
arrendevolezza.
A livello figurativo le osservazioni da fare sono molto poche.
E’ possibile intravedere un richiamo ai fiori nel motivo delle masse, con
ovvi accostamenti semantici a ciò che un fiore rappresenta: gradevolezza,
delicatezza, romanticismo, primavera (connotando quindi significati di
giovinezza e di innocenza).
Le strisce di tessuto possono ricordare i vestiti delle donne hawaiane,
attribuendo un che di esotico all’intero abito.
Un aspetto figurativo è riscontrabile anche nella scelta dei colori: il rosa,
colore femminile per eccellenza, connota ancora meglio l’età infantile di

78
una donna (si pensi ai fiocchi rosa di quando nasce una bambina), mentre
l’oro, colore del lusso, dello sfarzo, dell’ornamento, applicato ad una
signora la connota come potente, ricca, matura.
A livello di grammatica fondamentale il testo narrativo funziona come un
ossimoro12 : sembra infatti raccontare di una donna, un po’ adulta e un po’
bambina, che gioca su una femminilità innocente e maliziosa al medesimo
tempo, così come proiettato nel seguente quadrato logico:

ingenuità malizia

innocenza maturità

Foto 2

Anche questo secondo abito, tratto dalla collezione presentata per l’autunno-
inverno 2008-2009 da Balenciaga, sviluppa un discorso sulla seduzione
lasciando scoperte le gambe, le braccia e parzialmente le spalle della
modella, ma ne parla in maniera molto diversa.
Lo sguardo dell’osservatore è portato a seguire il percorso disegnato dallo
spacco che dal basso taglia la macchia nera fino quasi all’altezza
dell’inguine della modella. Tale taglio, appuntito e simile ad una freccia
arrotondata, attiva nel Soggetto osservatore il programma narrativo del
voler fare, come accadeva anche nella immagine precedente. Ma
continuando l’analisi ci si può accorgere di come il messaggio seduttivo sia
molto differente dal precedente.

12
Nel linguaggio verbale l’ossimoro è una figura retorica che consiste nell'accostamento di
due termini in antitesi tra loro, tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso
sorprendenti effetti stilistici.

79
Innanzitutto ad una prima analisi plastica, l’abito appare come una macchia
nera che avvolge il corpo senza però riuscire a coprirlo interamente:
partendo dall’altezza delle spalle fino a poco sopra il ginocchio, questa
forma nero crea un effetto di profondità che sottintende un “dentro”.
Topologicamente, quindi, l’unica segmentazione che sembra possibile è tra
l’abito e il corpo: contentente vs. contenuto.
Un’analisi più approfondita delle forme, però, ci permetterà di osservare
come nella parte alta dell’abito, quella che contiene il busto della modella,
sia caratterizzata da una spiccata linearità, mentre in quella inferiore, dai
fianchi fino al ginocchio, si privilegino curve e rotondità.
Lo scollo dell’abito è, infatti, una linea retta va da spalla a spalla, i lati del
busto sono altrettanto rettilinei e scendono verso la vita a formare quasi un
triangolo. Le curve naturali del seno vengono pressoché annullate. Nella
parte inferiore, invece, l’abito presenta delle curve all’altezza del fianco,
ingrandendolo ed enfatizzandolo. La gonna avvolge le gambe creando una
forma curvilinea che accentua l’aspetto contenitivo del vestito, pur
lasciando intravedere una porzione di coscia. E’ dunque questa parte bassa
dell’abito quella incaricata a comunicare, grazie alle sue forme
rotondeggianti, un messaggio di femminilità, di seduzione e di dolcezza,
opposta alla parte alta, che a sua volta, con linee rigide ed appuntite,
comunica una certa severità.
Sovrapponendo la categoria topologica a quella eidetica si avrà quindi

/alto/ : /basso/ :: /linearità/ : /rotondità/ :: “severità” : “docilità”

La categoria cromatica si articola tra il fascino profondo del nero e la


freddezza dell’argento, rintracciabile sulle scarpe (foto 2b) e richiamato dal
collier.
Il nero è, in realtà, un non-colore: è la mancanza di luce, l’ombra, la notte, il
mistero. Nel nero lo sguardo si perde, come la luce, viene assorbita. E’ un

80
colore che crea profondità. L’aggettivo “profonda” è usato per descrivere
una persona ricca di contenuto e riflessiva .
L’argento invece riflette la luce, è un colore metallico, abbagliante. Esso
produce degli effetti di senso simili a quelli prodotti nel linguaggio verbale,
quello poetico soprattutto, dalla sinestesia13. L’argento è spesso definito
appunto come “tono freddo”, in quanto guardare ciò che è di questo colore
ci procura delle sensazioni tattili di freddezza. L’aggettivo “fredda” a sua
volta può essere utilizzato, creando una sinestesia del verbale, per descrivere
una persona particolarmente distaccata e superficiale.
Questa categoria si declinerà pertanto come segue:

/nero/ : /argento/ ::
“carattere profondo e riflessivo” : “carattere freddo e superficiale”

Si noti che l’isotopia creata dal colore nero è ripresa anche nel make-up
degli occhi della modella, creando un effetto di continuità e coerenza con il
messaggio dell’abito.
A livello figurativo solo possibile solo poche osservazioni.
La prima riguarda l’abito, che ricorda la forma di un’anfora, contribuendo
ad enfatizzare l’aspetto contenitivo dello stesso (ricordiamo che nelle favole
in certe fredde e vecchie anfore ci sono i tesori).
La seconda concerne la scarpa: il colore metallico e la forma appuntita,
senza contare il tacco a spillo, la rendono simile ad un’arma acuminata.
L’essere armati presuppone una certa cattiveria, sia che si tratti di pura
aggressività gratuita che di semplice capacità a difendersi.
Anche il colore nero, figurativamente parlando, connota cose o persone
cattive, aggressive o di cui avere paura (la pantera nera, l’Uomo Nero, il
Corsaro Nero, un periodo nero, la morte è nera) .
13
In linguistica, la sinestesia (dal greco "percepire insieme") è quella figura retorica che si
realizza associando sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, creando
immagini molto espressive e originali.

81
In questo modo l’abito comunicata un’identità femminile che ammalia, ma
fa paura, una donna sexy, ma algida, docile ed aggressiva al tempo stesso.
Messaggio che a livello di grammatica fondamentale può essere reso sul
quadrato logico come segue:

freddezza aggressività

docilità sensualità

Foto 3

Questo modello, tratto dalla collezione autunno-inverno 2008-2009 della


Maison Martin Margela, è stato scelto per la sua peculiare attitudine a
significare più che a vestire. E’ evidente che chi ha disegnato quest’abito
non si è minimamente preoccupato di creare qualcosa di facilmente
portabile e che esalti la naturale bellezza di un corpo femminile. L’intento è
piuttosto, stupire, possibilmente lanciando un determinato messaggio
artistico. Ma procediamo con ordine.
La parte che salta subito all’occhio è una sorta di parallelepipedo che
contiene il busto della modella, da cui fuoriescono le braccia nude, le gambe
parzialmente scoperte e, a stento, la testa.
Topologicamente il modello può essere tagliato, all’altezza dell’inguine,
suddividendolo in alto vs. basso, dove la parte alta è caratterizzato da una
occlusione completa del corpo in questa sorta di contenitore rigido da cui
fuoriescono solo le braccia nude, mentre la parte bassa, permettendo il
movimento e lasciando trasparire la forma delle gambe, presenta una
maggiore aderenza alla morbidezza e al dinamismo di corpo umano reale.
Un prima opposizione semisimbolica può essere articolata in questo modo:

82
/alto/ : /basso/ :: “statiticità” : “dinamismo”

ed anche all’opposizione:

/alto/ : /basso/ :: “reclusione” : “libertà”

Inoltre può essere messa in evidenza l’opposizione contenente vs. contenuto


messa in atto da quella sorta di tronco di piramide rovesciata, che
presuppone l’esistenza di una persona (intesa come essere vivente) semi-
rinchiusa all’interno dello stesso.
Tali suddivisioni rimandano ad un’opposizione semantica

/contentente/ : /contenuto/ :: “inorganico” : “organico”

In questa composizione risulta particolarmente interessante l’analisi delle


categorie materiche e fotiche.
Il materiale utilizzato per il tronco di piramide rovesciata (supponiamo si
tratti di pelle nera, anche se l’effetto è più simile alla plastica utilizzata per i
sacchi dell’immodizia) è lucido e liscio e si contrappone all’opacità e alla
ruvidità del nylon e della lana utilizzata per vestire le gambe creando un
effetto calore solo nella parte inferiore, che si può descrivere nella seguente
opposizione semantica:

/lucido/ : /opaco/ :: “freddo” : “caldo”

Allo stesso modo la rigidità che caratterizza la parte superiore del modello si
oppone alla morbidezza e alla flessibilità degli scaldamuscoli, attivando
l’opposizione semantica

83
/rigidità/ : /morbidezza/ :: “inanimato” : “animato”

Di nuovo, quindi, la freddezza rimanda a qualcosa di inorganico, di non


vitale che trova conferma nella categoria cromatica che oppone il nero
profondo della parte superiore al non-nero della parte inferiore.
Un simile messaggio è rintracciabile anche negli aspetti figurativi del
colore: il nero, per convenzione, è il colore del lutto (per questo viene
spesso usato per provocare paura o soggezione, come visto nella precedente
analisi).
Inoltre, sempre a livello figurativo, il parallelepipedo che contiene il busto
della modella ricorda un cesto dell’immondizia, rimandando ancora una
volta al concetto del rifiuto, ovvero qualsiasi cosa abbia esaurito la sua
funzione e quindi la sua vita.

Riassumendo le osservazioni fin qui fatte possiamo, quindi, esplicitare la


grammatica fondamentale che sottende il macabro testo che questo abito
produce, comprendendone i motivi che attivano nell’osservatore una
sensazione di angoscia.
E’ una donna, quella pensata da Martin Margela, che, cerca in ogni modo di
sopravvivere, di salvarsi da un mondo che la vuole ridurre in spazzatura, che
ha dei contenuti che non riesce ad esprimere liberamente, che lotta ogni
giorno tra la vita e la morte.
Per sintassi narrativa attanziale è il corpo della donna ad essere il
Destinante/Oggetto che, lanciando una sorta di richiesta d’aiuto, modalizza
il Soggetto virtualizzandolo ed attivando il programma narrativo del voler
fare. Come si vede, la sintassi narrativa di questo testo visivo, non si
allontana di molto da quella della più classica delle fiabe, in cui il principe-
eroe salva la principessa imprigionata nella torre e destinata a morire. La
fiaba è la stessa, anche se raccontata utilizzando un supporto diverso.

84
La grammatica fondamentale di questo testo può essere così articolata sul
quadrato logico:

morte vita

reclusione libertà

Foto 4

Un altro modello particolarmente bizzarro, che in un certo senso comunica


un messaggio analogo al precedente è quello rappresentato in questa quarta
immagine. L’abito è tratto dalla collezione autunno-inverno 2008-2009 di
Christan Lacroix.
Un dispositivo topologico utile ad avviare la nostra analisi per
quest’abbigliamento è centrale vs periferico o, tenendo conto di tutte le tre
dimensioni contenente vs contenuto.
Le categoria eidetica chiamata a significare è curvilineo vs rettilineo: il
rigido cappotto bianco crea infatti una sorta di macchia ovale al centro, che
spicca sul nero del resto dell’immagine.
Una prima categoria cromatica potrebbe essere quindi definita in bianco vs
nero, ma risulta difficile attribuire ad essa una corrispondente categoria
semantica.
E’ distinguibile anche una categoria materica, che oppone la superficie
regolare del cappotto (addirittura senza bottoni) a quello irregolare dei
guanti piumati, e una categoria fotica, che oppone la lucidità degli stivali
all’opacità del resto dell’abito.
Tali opposizioni però non portano a soddisfacenti conclusioni: il livello
plastico, in questo caso, è completamente dipendente da quello figurativo.

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Se intuitivamente, infatti, il cappotto bianco e irrigidito sembra avere la
forma di un uovo, la probabile conforma di una isotopia dell’espressione
che utilizza il classema volatili ci è fornita dall’osservazione dei “guanti”,
lunghi e coperti di piume nere.
Che sia voluto o meno, non ci è dato saperlo, fatto sta che
quest’abbigliamento sembra rappresentare un uccello nero che esce dal
guscio del suo uovo, una nascita.
Il fatto che si tratti di un uccello nero, anziché supponiamo giallo, lo
connota come un essere aggressivo, di cui avere paura.
L’uovo invece, figurativamente parlando, è un oggetto interessante proprio
in quanto articola un opposizione semantica oggettuale in duro vs fragile: è
infatti rigido al tatto, non è penetrabile, né flessibile, ma basta poco perché
si sgretoli.
La donna rappresentata potrebbe quindi voler dare un messaggio di
rinnovamento, di maturazione non completata, di durezza esteriore, ma di
morbidezza interiore.
A livello di sintassi narrativa, chi osserva è in qualche modo escluso dal
programma narrativo di base che racconta di una nascita: il corpo della
modella è il Soggetto che intraprende il percorso che lo porterà a
ricongiungersi con l’Oggetto di Valore : la nascita, la vita.

Foto 5

La scelta L’abito rappresentato nella quinta foto è tratto dalla collezione


autunno inverno 2008-2009 di Yves Saint Lauren.
Ad un primo sguardo si può notare come il modello in questione sia studiato
dando una maggiore importanza agli aspetti plastici di esso che a quelli
figurativi: prima di essere un abito, questo sembra proprio essere un
disegno.

86
A livello topologico un macchia nera e allungata divide il testo in centrale
vs periferico. Le maniche e il contorno grigio sono, se non si considera le
modificazioni dell’abito in relazione al movimento della modella,
perfettamente simmetriche.
Questa simmetria è una realizzata in tutto il look ed è rotta soltanto da un
importante bracciale sul polso destro, il quale crea una massa che salta
all’occhio proprio in contrasto all’equilibrio che caratterizza l’intero
modello.
L’opposizione cromatica più evidente è quella tra nero e bianco,
opposizione in cui si frappone, a significare una gradualità nella
trasformazione, il grigio chiaro.
Anche la categoria fotica opaco vs lucido è interessante, una riflessione
approfondita potrebbe associare ad essa un’opposizione semantica simile a
quella che si oppone alla categoria cromatica bianco vs nero.
L’opacità, come il nero, assorbe la luce, crea profondità, prospettiva. La
lucidità, invece, come fa il bianco, riflette la luce. L’effetto ottico dato
dall’apposizione di questi due colori così opposti tra loro è quello di
ridisegnare la figura del corpo che indossa l’abito, che a quel punto sembra
avere le forme della macchia nera assottigliandosi.
La parte bianca sembra invece, al contrario, espandersi verso l’esterno,
arrotondandosi in una forma piena e lunare.
E’ quindi così definita un’altra opposizione del plastico: la categoria
eidetica concavità vs. convessità, la forma della macchia nera è
evidentemente concava, mentre quella della parte grigia/bianca. Le due parti
si uniscono in maniera complementare.
Le categorie plastiche fin qui reperite, a livello semi-simbolico, possono
articolare le seguenti opposizioni:

/bianco/ : /nero/ :: “buono” : “cattivo”

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/concavo/ : /convesso/ :: “spirituale” : “materiale”

Si noti che l’opposizione cromatica è ripetuta, come possibile, amche sul


make-up e sull’aspetto del viso (capelli e labbra neri, pelle diafana).
Salendo al livello figurativo potremmo distinguere un’ombra nera e
allungata, che si staglia in un cerchio di luce. La luminosità della parte
periferica dell’abito, contrapposta all’oscurità di quella centrale, produce
infatti una sorta di eclissi.
L’abito, seppur poggiando sulle categorie topologiche centrale vs periferico
anziché su destra vs sinistra, funziona un po’ come il T’ai Chi T’u,
rappresentazione visiva dello Yin e dello Yang (foto 5b). Questo simbolo,
che si sviluppa peraltro in diagonale, anziché in verticale, comunica
l’equilibro delle forze, il bene e il male, il giorno e la notte, l’ombra e la
luce, il corpo e lo spirito.
Foto 6

Questo modello, tratto dalla collezione autunno-inverno 2008-2009 di


Halston, è un esempio di come l’uso di poche categorie plastiche possa
produrre importanti effetti di senso.
Topologicamente l’abito è segmentabile in due singole parti: una parte alta
consistente in un parallelepipedo a forma di freccia senza punta, che
corrisponde all’abito-mantella, una parte bassa consistente ad un asse
verticale corrispondente alla parte bassa della gamba. Ad eccezione della
zona del collo e del viso non si possono fare, nemmeno volendolo, ulteriori
segmentazioni: la figura è caratterizzata dalla totale mancanza di
discontinuità. Dalla mantella, infatti, non fuoriescono neppure le braccia.
I tratti più evidenti dell’abito sono la verticalità e la linearità. Queste
caratteristiche plastiche non trovano opposizioni all’interno del testo, ma
contribuiscono a creare un effetto di elevazione della figura da terra.

88
Aspetto accentuato se pensiamo questa composizione come una freccia
senza punta che indica il cielo.
A livello cromatico la categoria cromatica bianco vs. non-bianco, vuole
mettere in evidenza la purezza e la perfezione del bianco assoluto in questo
modo:

/bianco/ : /non-bianco/ :: “perfetto” : “imperfetto”

/bianco/ : /non-bianco/ :: “puro” : “impuro”

La categoria fotica trasparente vs. opaco in questo contesto, non si carica


dei significati di provocazione sessuale, come visto nei casi precedenti, ma
all’opposto, funge da significante per la categoria semantica spiritualità vs
materilità, proprio per la caratteristica visiva della trasparenza di permettere
allo sguardo di andare oltre l’oggetto esistente, facendolo sembrare
immateriale (si noti come la trasparenza sia a carico solo della mantella,
mentre il corpo sia completamente occluso alla vista da un tessuto opaco).
L’articolazione di questo semi-simbolismo sarà quindi:

/trasparente/ : /opaco/ :: “spirituale” : “materiale”

Un’ulteriore presa in carico di tale opposizione semantica è riscontrabile


anche per la categoria eidetica spesso vs sottile e per la categoria materica
rigido vs flessibile. La leggerezza, la flessibilità e lo spessore sottile della
mantella si oppongono allo spessore e alla conseguente rigidità dello stivale
alto, che toccando terra, è più vicino alla materia.
Si possono quindi estrapolare queste due opposizione di categorie:

/spesso/ : /sottile/ :: “materiale” : “immateriale”

89
/rigido/ : /flessibile/ :: “materiale” : “immateriale”

Il messaggio che trapela dal piano plastico del testo è confermato dal piano
figurativo : la mantella ricorda i fantasmi coperti dalle lenzuola, così come
sono rappresentati nell’immaginario comune.
Essendo peraltro il bianco il colore culturalmente legato alla castità e alla
purezza (si pensi ai significati connessi al colore bianco degli abiti da
sposa), la donna che decide di indossare quest’abito non può che volere
comunicare un’identità angelica, mistica e contemplativa, più incline alla
ricerca della perfezione spirituale che alla consumazione della vita
materiale.

Foto 7

Il settimo modello è tratto dalla collezione autunno-inverno 2008-2009 di


Hermes. E’ caratterizzato da un utilizzo molto studiato del colore, nella
fattispecie del verde e del marrone, i quali ricoprono completamente il corpo
della modella e parzialmente i capelli.
Topologicamente è possibile distinguere una parte centrale, verde e
coprente, una periferica verde e trasparente ed una ancora più esterna in
pelle/pelliccia marrone.
Si possono, pertanto, estrapolare la categoria cromatica verde vs marrone e
la categoria fotica coprente vs trasparente. In questo contesto la trasparenza,
opposta alla non trasparenza, serve a significare, a livello semisimbolico,
una immaterialità che fa pensare a qualcosa di irreale, al sogno, al mito, alla
fiaba e che, in ogni caso, si oppone alla realtà, alla concretezza, alla vita
reale.

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Opposizioni simili a livello semantico possono essere prese in carico
dall’opposizione cromatica verde vs marrone, dove il marrone rappresenta
una certa solidità, opposta all’astrattezza del verde, dalla categoria eidetica
spesso vs sottile e dalla categoria materica rigido vs flessibile. Il collo di
pelliccia e lo stivale sono caratterizzati da uno spessore e di conseguenza
una rigidità molto maggiore rispetto all’abito. Lo spessore è consistenza,
anche a livello di contenuto, e si oppone quindi alla leggerezza. La rigidità,
invece, si oppone all’apertura mentale, all’idealismo e al sogno.
Avremo quindi :

/trasparente/ : /non-trasparente/ :: “mito” : “realtà”

/verde/ : /marrone/ :: “astratto” : “concreto”

/spesso/ : /sottile/ :: “consistenza” : “leggerezza”

/flessibile/ : /rigido/ :: “idealismo” : “concretezza”

Il livello figurativo è ricco spunti.


Il collo di pelliccia nomina il mondo animale, la fauna selvaggia.
Il verde è per eccellenza il colore della natura, contrapposto al grigiore degli
scenari metropolitani. L’associazione mentale ai paesaggi del mondo
naturale che provoca il vedere questo colore è evidente, non a caso, i
pubblicitari ne fanno ampio uso nel progettare packaging e loghi di prodotti
ecologici o naturali.
Anche il marrone è facilmente associabile al mondo naturale, specie se
accostato al verde. E’ infatti il colore della terra, dei tronchi degli alberi, o
comunque, del legno.

91
La figura della modella può pertanto ricordare un albero: l’abito verde si
muove nel vento come fanno le fronde e le fogli, mentre gli stivali marroni
si connettono al terreno come fossero un tronco con le sue radici.
Ma, più di tutto, quest’abbigliamento con la cuffietta verde di lana, il vestito
a pantaloncino stretto in vita da una corda e gli stivali, cita i costumi di
alcuni personaggi delle fiabe, come Robin Hood o, meglio ancora, i folletti
del bosco. E il mondo delle fiabe a sua volta, richiama alla mente il periodo
infantile, dell’innocenza, dell’assenza di artificialità.
Come si può notare a questo punto dell’analisi , sono parecchi i concetti
semantici riscontrati a livello plastico, che vengono confermati e rinforzati
dal livello figurativo.
L’identità comunicata da questo abbigliamento poggia quindi su i concetti
di naturalità ed idealismo. Il make-up scelto per la modella (foto 7b),
praticamente inesistente, avvalora quest’ipotesi.

5.3 Analisi: “FOTO PRESE DALLA STRADA”

Foto 8, foto 9

La prima foto di questa seconda parte dell’analisi ritrae una donna che
indossa un abitino intero che parte da sopra il seno e copre il corpo fino alle
ginocchia e un golfino, a coprirle le spalle.
All’interno del vestitino, di colore bianco, è possibile distinguere delle
forme a cerchio o a semi-cerchio, grigio opaco , nero opaco o color tortora.
Lo stesso abito ha una forma ovoidale che si arrotonda a livello del ventre
per chiudersi verso le gambe o appena sopra il petto, ma anche il golfino
utilizzato per coprire le spalle si presenta con una forma tondeggiante.
Questa ridondanza di linee tonde si oppone alla pressoché totale assenza di
linee rette e spigoli.

92
Per quanto, come scrive Greimas “fuori dal testo non v’è salvezza”, sarà
utile operare un confronto quest’abbigliamento e quello rappresentato in
foto 9.
Come si vede, la scelta vestimentaria di questa nona immagine, all’opposto
della precedente, presenta una preponderanza quasi totale di linee rette e
spigolose ed una totale assenza di forme arrotondate.
Seppur ci rendiamo conto che il confronto che stiamo operando è tra pezzi
d’abbigliamento molto differenti tra loro (vestitino con gonna corta vs
cappotto e pantaloni), siamo convinti che farlo ci aiuti a dimostrare come le
categorie plastiche estrapolabili per comparazione, concorrano a creare
quegli effetti di senso, che durante la vita quotidiana, orientano le nostre
impressioni e di conseguenza i nostri approcci verso gli altri.
La prima categoria è quella eidetica forme arrotondate vs forme spigolose.
La sinestesia che sembra messa in atto è pertanto quella che fa
corrispondere un carattere, un’identità spigolosa ad una più dolce. A livello
semisimbolico questa sinestesia può essere articolata come segue:

/forma arrotondata/ : /forma spigolosa/ ::


”carattere dolce” : “carattere duro”

Sinestesie simili sono leggibili anche nelle categorie materiche liscio vs


ruvido e tessuto flessibile vs. tessuto rigido si può rendere in questo modo :

/tessuto liscio/ : /tessuto ruvido/ :: “carattere gentile” : “carattere rude”

/tessuto flessibile/ : /tessuto rigido/ :: “carattere docile” : “carattere duro”

Anche la preponderanza di colori chiari nel primo abbigliamento opposta


alla scelta total-black del secondo è significativa. La categoria cromatica

93
colore chiaro vs colore scuro crea ulteriori sinestesie e opposizioni
semisimboliche:

/colore chiaro/ : /colore scuro/ :: “carattere chiaro” : “carattere difficile”

/colore chiaro/ : /colore scuro/ :: “ottimismo” : “pessimismo”

/colore chiaro/ : /colore scuro/ :: “allegria” : “serietà”

Abbiamo visto, quindi, come già a livello plastico siano rintracciabili le


fondamenta di un messaggio identitario ben definito.
L’analisi della scelta vestimentaria in relazione al corpo è altrettanto
proficua. Intanto la scelta di scoprirlo parzialmente e di coprirlo totalmente
è una differenza significativa che si proietta a livello identitario in apertura
e chiusura, che può essere informativa anche sulla percezione del proprio
corpo e sul rapporto che ognuna delle due donne intrattiene con esso.
La rotondità a livello del ventre del primo modello modifica la silhouette
della ragazza che lo indossa, quasi a farla sembrare incinta. L’atteggiamento
naturale con cui questa “pancia artificiale” viene esibita fa pensare ad una
persona che accetta e ama la sua femminilità, il suo essere donna, la sua
maternità potenziale.
All’opposto la scelta di vestirsi con abiti che non permettano di riconoscere
nella figura alcuna forma femminile lascia trasparire un conflitto con il
proprio corpo, un rifiuto del proprio genere, a favore di una predilezione per
tratti più androgini, più maschili.
La conferma di ciò si rintraccia, a livello figurativo, nella citazione delle
uniformi militari nel cappotto indossato dalla seconda ragazza (gradi e
mostrine all’altezza delle spalle), uniformi che, sebbene l’esercito sia oggi
composto da elementi di entrambi i sessi, culturalmente vengono ancora

94
associate ad un’identità maschile e ad un atteggiamento inquadrato e
marziale.

Foto 10

A questo punto, dando un’occhiata alla foto numero 10, siamo in grado di
analizzarla come un interessante connubio tra i due stili precedentemente
visti.
L’abbigliamento della donna in questa decima immagine è topologicamente
segmentabile in alto vs basso. Se infatti sopra indossa una giacca nera che
ricorda le fattezze del cappotto visto in foto 9, sotto sceglie di vestire una
gonna verde dalla forma arrotondata e chiusa verso le gambe.
Sono un richiamo al livello opposto il cappello, arrotondato, e la scarpa,
appuntita sulla punta, i quali creano un’uniformità espressiva, un’isotopia
interessante e utile a mantenere coerente il messaggio.
A livello plastico la categoria cromatica/fotica verde brillante e lucido vs
nero opaco si incarica di significare l’opposizione semantica carattere
solare vs carattere cupo, come segue:

/verde brillante e lucido/ : /nero opaco/ ::


“carattere solare” : “carattere cupo”

Mantenendo valide le articolazione semi-simboliche:

/forma arrotondata/ : /forma spigolosa/ ::


”carattere dolce” : “carattere scontroso”

/tessuto liscio/ : /tessuto ruvido/ :: “carattere gentile” : “carattere rude”

95
possiamo capire come quest’abbigliamento riesca a comunicare un’identità
caratterizzata da una compresenza di dolcezza e severità.

Foto 11

La signora fotografata nell’undicesima immagine veste un abbigliamento


molto semplice, ma che al contempo comunica molto bene un’identità.
A prescindere dai pezzi utilizzati per ottenerlo, questo look segmenta la
figura in tre parti: una centrale e due periferiche, la parte alta e la parte
bassa.
La zona centrale parte da sotto il seno della donna e arriva fino a sopra il
ginocchio e spicca rispetto alle altre per essere caratterizzata da una fantasia
maculata. La parte alta, dal petto alle spalle, e quella bassa, dalle ginocchia
fino a terra (ovvero i pantaloni neri), sono invece completamente
monocromatiche.
La categoria topologica centrale vs periferico, coincide quindi con la
categoria cromatica fantasia vs monocromo oppure maculato(beige/nero) vs
nero. E’ evidente che già solo l’opposizione visiva tra un testo caratterizzato
da movimento come il maculato e un testo completamente di un colore
esprime a livello semantico un certo dinamismo, contrapposto alla staticità,
al controllo, alla misura, in questo modo:

/fantasia maculata/ : /monocromo/ ::


“carattere dinamico” : “carattere controllato”

Il nero, inoltre, come abbiamo già potuto osservare in buona parte dei
modelli precedenti è un colore che, a seconda del contesto, può essere
utilizzato per intimidire, ma comunque rinvia a concetti quali la serietà, la
severità, la forza.

96
La stessa severità viene comunicata dal taglio sia il cappotto che il
pantalone, caratterizzati da una certa linearità, da spalle spigolose e baveri
appuntiti. Come abbiamo visto :

/forma arrotondata/ : /forma spigolosa/ ::


”carattere dolce” : “carattere duro”

Il maculato, dal canto sua, chiama in causa l’analisi del livello figurativo:
tale fantasia non può infatti non richiamare alla mente i disegni delle
pellicce del leopardo o di altri animali selvaggi (non a caso, nel gergo
tecnico, tale tipo di stampa si chiama “animalier”), apportando nel testo le
unità di significato ad essi connesse: aggressività, ferocia, istintività.
E’ interessante notare come la stampa scolori verso l’alto diventando
gradualmente completamente nera, come a significare quanto l’aggressività,
il dinamismo, l’istintività che connota la fantasia maculata possa a seconda
delle situazioni lasciare spazio al controllo e alla stabilità severa nel nero.
L’intransigenza è espressa anche nella scelta di tessuti rigidi, riconfermando
l’opposizione semantica vista in precedenza:

/tessuto flessibile/ : /tessuto rigido/ :: “carattere docile” : “carattere duro”

L’identità comunicata da questo look è quindi quella di una donna dalla


personalità forte, passionale, impetuosa ma anche seria, severa e controllata.

Foto 12

Le unità di significato attivate mediante l’utilizzo della stampa “animalier”


vengono riproposte in questo dodicesimo look.

97
Per la precisione, la donna nella foto in questione esibisce una borsa dalle
dimensioni importanti, caratterizzata, appunto, dall’essere prodotta di un
tessuto a stampa maculata.
Da un punto di visto scientifico, per analizzare approfonditamente un “total-
look” come quello fotografato in questa dodicesima immagine, sarebbe
necessario uno studio relativo alla semiotica dell’oggetto-borsa (in realtà
questo varrebbe per qualsiasi altro pezzo dell’abbigliamento e per tutte le
foto finora affrontate). Ci basti, in questa sede, riflettere sul fatto che la
borsa, pur essendo un accessorio immancabile nell’abbigliamento femminile
(da qualche anno sta trovando spazio anche in quello maschile), rimane
separata dal resto dell’abbigliamento: a parte il caso della borsa a tracolla,
che abbraccia il corpo, solo la mano, la spalla o il braccio entrano in
relazione con essa. Può essere abbandonata e ripresa a piacimento, a
seconda del momento e delle situazioni. Inoltre, non ha le capacità che
hanno abito, capospalla o calzature di apportare modificazioni tangibili alla
percezione del corpo nello spazio.
In questo senso il suo ruolo è simile a quello dell’accento, dell’intonazione,
ovvero di tratto soprasegmentale, che apporta una certa significazione al
testo, ma senza poterne cambiare radicalmente il significato.
Passando all’abito, possiamo notare come esso sia topologicamente
scomponibile in interno vs. esterno: un sopra, costituito da una veste color
rosso bordeaux che si chiude con un tagli appuntito sul ventre, e un sotto,
fatto di una sottoveste color rosa che si intravede uscire morbidamente da
sopra il petto e poco sopra le ginocchia.
La categoria cromatica rosso bordeaux vs rosa può essere anche data da una
semplice differenza di saturazione e luminosità dove

rosso insaturo e chiaro = rosa

rosso saturo e scuro = bordeaux

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da cui è possibile ricavare le seguenti opposizioni semisimboliche:

/colore saturo/ : /colore insaturo/ :: “vivacità” : “tranquillità”

/colore scuro/ : /colore luminoso/ :: “forza” : “debolezza”

/rosso/ : /rosa/ :: “aggressività” :: “dolcezza”

La categorie eidetica forma arrotondata vs forma spigolosa è presente nel


testo sotto forma di curve prodotte nello scollo della sottoveste e taglio
appuntito della veste nella chiusura. Si ripete quindi l’opposizione
semisimbolica:

/forma arrotondata/ : /forma spigolosa/ ::


”carattere dolce” : “carattere duro”

E’ rintracciabile anche la sinestesia prodotta dalla categoria materica tessuto


flessibile vs tessuto rigido, per la quale la sottoveste che cade morbida e
leggera sul petto si oppone alla maggiore rigidità del tessuto con cui è
prodotta la veste abbottonata sopra di essa.
L’opposizione semantica, come già visto, non può che essere:

/tessuto flessibile/ : /tessuto rigido/ :: “carattere docile” : “carattere duro”

Ricordando i significati figurativi del rosa (“femminilità”) e del maculato


(“animalità”), possiamo procedere al sunto di quanto questo look
fondamentalmente esprime: un’identità all’apparenza forte e aggressiva
(caratteristica rinforzata dalla borsa e dalle scarpe rosso fuoco), ma
internamente dolce, fragile e femminile. Il pullover rosa tenuto nella mano,

99
ancora una volta grazie ad una sinestesia che poggia sulle sensazioni tattili
provocate di calore dalla lana, funge da richiamo, all’occorrenza, su
quest’ultimo, più intimo, lato della personalità.

Foto 13

Anche in questo tredicesimo “look”, la riflessione sul ruolo dell’oggetto-


borsa che abbiamo affrontato nell’analisi precedente, ci può essere utile.
Anche in questo caso, infatti, la borsa viene esibita e scelta con una certa
leggerezza, pur essendo consci della particolarità della stessa.
Come si può da subito notare, non senza rimanerne stupiti, la forma della
borsa è, in tutto per tutto, quella di automobile (a parte le dimensioni, per
ovvie ragioni di portabilità): rappresenta quindi da un lato dinamismo e
motilità, e dall’altro infantilità e gioco.
A livello verbale questo messaggio è paragonabile all’affermare qualcosa
scegliendo un tono ironico, come fosse un gioco, uno scherzo.
E’ comunque interessante notare come i temi del gioco e del dinamismo,
messi in scena dalla scelta di una borsetta così anticonvenzionale si ripetano
in tutto il testo.
L’abbigliamento in sé è suddivisibile in due parti: alto vs basso. Nella parte
superiore il corpo è coperto da un cappottino nero dalle spalle arrotondate e
da una sciarpa grigia con un pon-pon (altro richiamo al tema del gioco), la
parte inferiore invece è caratterizzata da una totale aderenza al corpo da
una calza pesante nera e uno scaldamuscoli grigio (altro richiamo al tema
del dinamismo).
Il look è fortemente caratterizzato da forme rotonde e angoli smussati. Per
cui si ripete l’opposizione semi-simbolica:

/forma arrotondata/ : /forma spigolosa/ ::


”carattere dolce” : “carattere duro”

100
Il tessuto del cappotto è semioticamente interessante. Sembra trattasi, infatti,
di un tessuto bouclè: un tessuto composto da tanti piccoli anellini (ritorno
della forma tonda anche a livello micro), molto caldo e morbido al tatto.
Si attiva quindi una nuova sinestesia, rappresentabile come segue:

/tessuto morbido/ : /tessuto ruvido/ :: “carattere dolce” : “carattere duro”

Anche lo scaldamuscoli esprime per sinestesia un effetto di calore.


La scelta di preferire i toni nero è da leggere come una scelta stilistica. La
differenza che si carica di significate è l’opposta luminosità , dove il grigio
è, in fin dei conti, un nero molto più chiaro.
Rimane pertanto valide l’ opposizione:

/colore scuro/ : /colore luminoso/ :: “forza” : “debolezza”

In tal modo viene comunicata una personalità dolce, ma forte e dinamica


che sa essere ironica e prendersi alla leggera.

Foto 14 e 15

Queste due ultime immagini documentano due abbigliamenti maschili


diversi, ma analizzabili dalla medesima prospettiva.
In entrambi i casi il piano plastico offre la possibilità di estrapolare
pochissimi elementi significanti.
L’analisi più produttiva per questi due stili è, infatti, quella che si occupa del
piano figurativo, o meglio ancora che li interpreta socio-semioticamente.

101
Per socio-semiotica si intende lo studio “dei discorsi e delle pratiche che
intervengono nella costituzione e/o la trasformazione delle condizioni di
interazione tra i soggetti (individuali o collettivi)” (Greimas-Courtés, 1986)
Osservando la prima delle due foto possiamo prima di tutto evidenziare una
categoria topologica che divide il corpo in alto vs basso, osservando come
sia la parte superiore del corpo che la parte inferiore si rifacciano a dei “tipi
di abbigliamento” socialmente ben definiti, ma parzialmente in antitesi tra
loro.
Se poniamo, infatti,

/giacca-camicia-cravatta-pantalone/

come espressione di un contenuto

“maschio” “adulto” “lavoratore”

/t-shirt-jeans-scarpa da ginnastica/

come espressione del contenuto

“giovane” “tempo libero”

il fatto di aver scelto di abbinare /giacca-camicia-cravatta/ a /jeans-scarpa da


ginnastica/ di fatto crea un contenuto nuovo, dalla mescolanza dei due
contenuti precedentemente descritti. Formalizza nel tempo libero o è
informale in un contesto lavorativo.

102
Probabilmente l’intento è quello di smorzare il sema “adulto” sostituendolo
con il più euforizzante “giovane”. Quello che si ottiene è comunque un
effetto di senso ibrido.
Il ragazzo ripreso nell’ultima foto, allo stesso modo, rifacendosi alle stesse
equivalenze simboliche socialmente definite, ne fa suoi alcuni tratti per
mescolarli a tratti meno collocabili in una griglia di lettura predefinita, più
innovativi e anti-convenzionali.
All’interno di questo testo esistono infatti degli elementi di tradizione che
distinguono il classico abbigliamento maschile, così come definito
attraverso i discorsi sociali, e degli elementi di rottura, deliberatamente
inseriti al fine di attirare l’attenzione su di essi e stupire.
I tratti dell’abbigliamento classico sono rintracciabili nel pantalone, mentre
gli elementi di rottura sono a carico della camicia.
Parliamo delle spille da balia applicate ad essa, senza alcuna funzione
pratica, e delle maniche arrotolate in maniera inconsueta. Arrotolare le
maniche infatti è il più delle volte un gesto funzionale alla praticità nel
muoversi o determinato dalla temperatura esterna troppo alta. Normalmente
il farlo, denota una certa trascuratezza. In questo caso invece si evidenzia
una precisione svizzera nel formare un perfetto rotolino di stoffa senza
pieghe, che arrivi appena sopra il gomito, al fine di svelare il tatuaggio che
appare sul braccio.
Possiamo , anche in questo caso, rilevare una categoria topologica che
divide il corpo in alto vs basso, osservando come tutte queste “stranezze”
appaiano solo dalla vita in su, mentre la parte bassa del corpo sia
caratterizzato da una totale conformità ai canoni che distinguono
l’abbigliamento maschile più comune per un uomo occidentale, inserito nel
suo contesto sociale.
Quella creata dal ragazzo della quattordicesima foto è una ricostruzione
volontariamente promiscua e inaspettata di questi abiti-accessori, che

103
rispecchia quello che Ted Polhemus, descrive con i termini
Sampling&Mixing.
Sampling&Mixing sono termini derivati dalle forme di musica pop
contemporanea, dove Sampling descrive il processo per cui piccoli
frammenti di musica pop sono presi a prestito dai loro contesti originari,
mentre Mixing si riferisce all’operazione di rimettere insieme un certo
numero di tali campioni per generare una nuova ed unica sequenza
musicale. (Polhemus, 2003). L’intento è quello di creare un proprio stile
differenziante, un’esclusività personale, che in qualche modo prende le
distanze dal sistema della moda, per situarsi al di sopra di esso.
L’immagine che ne esce è quella di un’identità tipicamente post-moderna:
contraddittoria e frammentata, eterogenea e complessa. Il meta-significato
che sta dietro a questo insolito stile è più chiaro di quanto non si possa
pensare: “Non imito nessuno, nessuno mi può imitare, quindi sono
autentico”.

6. CONCLUSIONE

6.1 Moda plurale, moda semiotica.

“C'è chi dice che la moda non c'è più. C'è chi dice che le tendenze
contraddittorie e invadenti, moltiplicate all'eccesso fino a fagocitarsi, sono
solo provocazioni inascoltate. C'è chi dice che i consumatori sono cambiati,
e che seguono ormai tragitti individuali e sempre più contaminati,

104
indifferenti al precetto di stile, al conforto dell'assimilazione al gruppo, a
una modalità di esistenza aspirazionale e mimetica.” (Ceriani e Grandi,
1995) Non si può negare che in queste ipotesi ci sia una parte di verità.
Quantomeno non possiamo non renderci conto dei cambiamenti che si sono
verificati nei meccanismi che la moda mette in atto. E’ cambiata la dinamica
dell'alternanza, divenuta sempre più rapida, si sono modificate le modalità
di diffusione delle informazioni, i modelli di riferimento si sono moltiplicati
in maniera esponenziale.
Il consumatore della “post-modernità” è sempre attratto dalle proposte della
moda, ma non vi si assoggetta completamente. Si fa sedurre dal capo di
marca, ove i valori presi in carico dal brand siano a lui affini, ma non
disdegna il pezzo d’epoca o non firmato, che ben lo rappresenti, a volte
addirittura inventando un proprio stile identificativo per emergere
dall’anonimato.
Se prima di oggi può aver prevalso un certo carattere impositivo del sistema
della moda, ora, la maggiore consapevolezza e autonomia di giudizio del
consumatore, sempre più portato a costruirsi una propria moda e ad abbinare
marche e prodotti diversi per esprimere la sua personalità, ha modificato le
modalità di consumo e di utilizzo dell’oggetto di moda in maniera tale da
rendere difficili previsioni o letture delle varie tendenze.
In una situazione così sfuggente e multiforme il sistema della moda non è
più in grado di imporre un conformismo “da uniforme” all'intera società, in
tutte le classi e in ogni occasione d'uso.
Le grandi firme, quindi, per affermasi ed imporre sul mercato le loro
proposte, non possono che far leva sulla comunicazione, la quale deve
innanzitutto sorprendere il potenziale cliente e sedurlo, capendo
rapidamente quali sono i valori più adatti ad essere rappresentati per
ottenere un riconoscimento del consumatore in essi. E la comunicazione, nel
caso della moda, parte dall’evento mass-mediatico della sfilata, o prima
ancora, parte dal singolo abito presentato.

105
Ecco spiegato il motivo per cui le collezioni di moda diventano, stagione
dopo stagione, sempre più sorprendenti, in una stremante ricerca
dell’attenzione del pubblico. Come abbiamo visto nell’analisi degli abiti
tratti delle sfilate, le citazioni si sprecano, i contenuti vengono enfatizzati, le
dimensioni estremizzate. Gli stilisti sono ben consapevoli che questi modelli
verranno difficilmente venduti e probabilmente mai indossati al di fuori di
quell’evento, ma il loro scopo non è affatto questo. L’intento è, piuttosto,
quello di comunicare un idea, un valore, un’identità in cui il consumatore si
possa riconoscere. Quando questo scopo sarà raggiunto, egli potrà trovare
nei negozi abiti griffati ben più portabili, con cui vestirsi indossando in
qualche modo i valori che ha visto sfilare in passerella.
Ma il fenomeno di moda più interessante avviene, come abbiamo potuto
osservare analizzando gli abiti della gente comune, nelle strade, nelle città.
L’individuo-consumatore è, al giorno d’oggi, il vero creativo: il suo intento
è quello di parlare di sé, di come si sente o di come vorrebbe essere.
Si può descrivere la situazione attuale mediante il passaggio concettuale
dalla moda allo stile, dove uno stile personale diventa condizione necessaria
a manifestare la propria identità individuale che in quanto tale può essere
trasversale alle mode: può, cioè, liberamente attraversare proposte di moda
diverse, di differenti epoche o culture, prendendo da ciascuna ciò che serve
a definire un risultato del tutto personale.
Questa accezione di stile riflette dunque la necessità emotiva e culturale di
non subire passivamente la moda, pur senza rinunciare all’appagamento che
essa permette. Necessità che, in questo modo, si trasforma in un’ incredibile
opportunità comunicativa: l’opportunità di dire qualcosa, di rappresentare
qualcuno, di scegliersi il “personaggio” da portare in scena nella grande
rappresentazione del quotidiano.
Riteniamo pertanto che, più che di “morte” della moda, come da più parti si
sente proclamare, sia oggi possibile parlare di un pluralismo della moda,
inteso in diverse accezioni. E’ un pluralismo di idee, di identità, di modi di

106
essere e di pensare, che non esclude a nessuno la possibilità di esprimersi
consapevolmente e che ha la sua manifestazione concreta nel vestire.
Nel contesto socioculturale appena descritto, l’approfondimento dei processi
di significazione e di comunicazione legati al significante vestimentario
diventa pertanto estremamente interessante. Questa democratizzazione della
moda è in fin dei conti resa possibile dalla capacità del corpo rivestito di
essere significante.
Un corpo vestito, come un opera d’arte o un personaggio teatrale, si dà alla
vista e quindi all’esperienza estetica, e si dà alla mente, attivando un
processo cognitivo di interpretazione del significato.
Il significato costruisce il Sé, o meglio il Sé si costruisce sui significati,
organizzandoli in strutture e gerarchie che possono assumere una forma
narrativa. I significati e le narrazioni emergono dalle interazioni del Sé di
ogni individuo con l’Altro. Il corpo vestito è il fulcro di queste interazioni,
in quanto interfaccia tra noi stessi e gli altri e insieme unica
rappresentazione visiva del Sé. Come afferma Greimas (1987), ogni
apparire nasconde l’essere, a partire da cui si costruiscono un voler essere
ed un dover essere. Soltanto l’apparire, però, in quanto potersi dare, è
visibile, e può essere analizzato proprio in quanto visibile.
In questo senso la moda (intesa come modo di apparire) è sempre semiotica:
la sua essenza vive del continuo passaggio dall’insignificante al significante.
(Lotman, 1993). Essa sottende sempre un osservatore ed è quindi sempre la
produzione consapevole di un messaggio.
Per quanto sia difficile, come già aveva appurato Barthes, rapportare la
moda al linguaggio verbale, ricavando un inventario di significanti e
significati del vestire, è impossibile non accorgersi di come essa rappresenti
un efficace strumento di comunicazione. Volli (1995) nelle sue analisi cita
questo brano di Berkeley: “Il linguaggio non ha soltanto lo scopo di rendere
possibile la comunicazione delle idee comunicate dalle parole, come si
suppone comunemente. Vi sono altri scopi, come quello di suscitare qualche

107
sentimento, di incitare qualche atto o di distogliere da esso, di porre l’animo
in una disposizione particolare”. Ed è proprio questo il tipo di
comunicazione che , come si è visto, la moda permette.
La nostra riflessione sull’abbigliamento e sulla moda vuole evidenziare
l’utilità dello “sguardo semiotico” al fine di comprendere il percorso
generativo che porta agli effetti di senso su cui si basa questo tipo di
comunicazione non-verbale. Comunicazione per mezzo della quale si
manifestano concretamente i sogni, i desideri e le fantasie degli individui
che vivono l’attuale complessità sociale e la frammentazione culturale post-
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