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ESERCIZI FILOSOFICI

Universit degli Studi di Trieste


Dipartimento di Filosofia
Esercizi filosofici
2002

Avvertenza

Questo sesto volume di Esercizi Filosofici, annuario del Dipartimento di Filosofia


della Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit di Trieste, si riferisce allattivit di due
anni accademici, il 2000/01 e il 2001/02. Come di consueto il volume risulta diviso in tre
sezioni, secondo il seguente criterio: nella prima il lettore di Esercizi Filosofici trover i
TESTI ricavati da convegni e seminari tenuti presso il Dipartimento; nella seconda
vengono pubblicati, in ordine alfabetico per disciplina, i RIASSUNTI DEI CORSI tenuti
dai Docenti del Dipartimento negli anni 2000/01 e 2001/02; nella terza sezione, infine,
sono raccolti alcuni CONTRIBUTI di ricerca che possono documentare lattivit di studio
che fa capo al Dipartimento, con particolare riferimento al lavoro dei dottorandi di ricerca
e dei neo-dottori.
Ledizione 2002 di Esercizi Filosofici stata curata da Raoul Kirchmayr, Gilda
Manganaro, Pier Aldo Rovatti e Marina Sbis.

TESTI

SOGGETTO E PREDICATO NELLA PROPOSIZIONE SPECULATIVA HEGELIANA

Cinzia Ferrini

1. Premessa
Il tema della preposizione speculativa tornato di recente ad attrarre lattenzione degli
studiosi, e proprio ad Hegel e il linguaggio stato dedicato il XVII incontro, nellottobre
2002, della Hegel Society of America.1 Il mio studio si propone di contribuire alla
discussione in corso sul problema del linguaggio del sapere assoluto in Hegel, dal punto di
vista logico-fenomenologico: 2 non prender pertanto ad oggetto la teoria hegeliana della
natura del linguaggio cos come principalmente esposta a livello sistematicoenciclopedico nelle edizioni berlinesi ( 451-460) della sezione Psicologia della
Filosofia dello spirito soggettivo, teoria che esamina i segni, i toni, le parole, la grammatica
comparata, i sistemi di scrittura, la storia e linterrelazione tra le lingue ( 459, 1827 e
1830).3 La mia analisi si concentrer soprattutto sulla trattazione hegeliana delle
*

Una prima versione di questo saggio stata presentata nell'ambito delle Giornate di studio: Il soggetto in
filosofia: oggetto di riflessione/enunciatore di discorso (Seminario per il Dottorato in Filosofia, XVI ciclo)
organizzate dal Dipartimento di Filosofia della Facolt di Lettere dellUniversit di Trieste (26-27 febbraio 2001).
Ringrazio: la coordinatrice, Prof. M. Sbis, e il Prof. R. Festa, rispettivamente per loccasione di lavoro e di
confronto, il Prof. M. Pagano per le opportune, utili e stimolanti osservazioni.
1
Il programma del convegno comprendeva le seguenti relazioni: K. Thompson, Fragmentation, Contamination,
Systematicity: The Threats of Representation and the Immanence of Thought; Chong-Fuk Lau, Language and
Metaphysics: The Dialectics of Hegels Speculative Proposition; A. Nuzzo, The Language of Hegels
Speculative Philosophy; J. Reid, Objective Language and Scientific Truth in Hegel; J. McCumber, SoundTone-Word: Towards an Hegelian Philosophy of Language; D. Kolb, The Logic of Language Change; K.
Dulckeit, Language, Objects and the Missing Link: Reflections on Hegels Theory of Reference; J. Vernon,
The Realm of Abstraction: The Role of Grammar in Hegels Linguistic System; W. Dudley, Telling the Truth:
Systematic Philosophy and the Aufhebung of Poetic and Religious Language; C. Kellogg, The Three Hegels:
Kojve, Hyppolite and Derrida on Hegels Philosophy of Language; C. May, Hegel, Kristeva, and the Language
of Revolution; K. Pahl, The Dance of the Speculative Proposition. Tra i contributi italiani pi recenti sul tema,
si vedano: M. Adinolfi, Quel che giunge alla parola: Hegel e la proposizione speculativa, Il Pensiero, XL,
2001, 1, pp. 63-81; V. Vitiello, Hegel: proposizione speculativa e riflessione ponente, ivi, pp. 83-90.
2
Limportanza del tema del linguaggio per il progetto speculativo hegeliano stata di recente riaffermata da M.
Richir, Langage et langue philosophique dans le devenir chez Hegel (Science de la logique), in J.-C. Goddard
(ed.), Le transcendental et le spculatif dans lidalisme allemand, Paris, Vrin, 1999, pp. 173-189.
3
Commenti a questi paragrafi dellEnciclopedia si trovano in: F. Schmidt, Hegels Philosophie der Sprache,
Deutsche Zeitschrift fr Philosophie, IX, 2, 1961, 7, pp. 1479-1486; I. Fetscher, Hegels Lehre vom Menschen.
Ein Kommentar zu den 387 bis 482 der Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften (Tbingen Univ.
Diss. 1950), Tbingen, Frommann, 1970; Hegels Philosophy of Subjective Spirit, ed., trad., comm. di M. J. Petry,
vol. 3, Phenomenology and Psychology, Dordrecht, Reidel, 1978; J. McCumber, Hegels Philosophical
Languages, Hegel-Studien, XIV, 1979, pp. 183-196; L. Eley (hrsg.), Hegels Theorie des subjektiven Geistes in
der Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Stuttgart-Bad Cannstatt, FrommannHolzboog, 1990; F. Hespe (hrsg.), Psychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes (Beitrge zu einer
Hegel-Tagung in Marburg 1989), Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1991; H. Dre et al., Hegels
Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften (1830). Ein Kommentar zum Systemgrundri, Frankfurt a.
M., Suhrkamp, 2000. La considerazione hegeliana del linguaggio in sede psicologica e antropologica esaminata
da T. Bodammer, Hegels Deutung der Sprache, Hamburg, Meiner, 1969, rispettivamente alle pp. 23-67 e 97-112.

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

determinazioni del giudizio, soggetto, copula e predicato, nelle loro possibili relazioni
logico-formali (nel capitolo Il giudizio della Logica soggettiva o Dottrina del concetto),
in rapporto allio enunciatore di discorso e alle proposizioni del sapere ordinario nella
Fenomenologia dello spirito,4 e non si occuper del linguaggio della vita dello spirito
assoluto, cos come si esprime nelle relazioni sociali e storiche del mondo morale e
religioso.5 Il contesto generale in cui si viene a collocare la mia riflessione vuole essere
infatti il dibattito in corso nella filosofia contemporanea tra coloro che ritengono la
dialettica hegeliana incapace di liberare le differenze6 e coloro che reagiscono a questa
lettura tacciandola di semplicismo.7 Qui mi propongo di riconsiderare la dialettica di
identit-differenza attraverso lesame del modo scelto da Hegel per parlare del contesto
logico e fenomenologico in cui il linguaggio usato in senso ordinario e in senso filosofico.
Lintento quello di ricostruire il percorso secondo cui viene distrutta la certezza
dellopinione comune sulla natura della proposizione in generale. Tale opinione vede i
predicati come differenze permanentemente indipendenti e divise dal soggetto della
proposizione, al quale vengono attribuiti grazie alla mediazione estrinseca di un Io
giudicante, secondo un rapporto di inerenza o sussunzione: senza indagare se tali predicati
in s e per s siano qualcosa di vero, n se la forma del giudizio possa essere la forma della
verit.8
Dal punto di vista dei contenuti, il tema verr sviluppato a partire dalla specifica
interpretazione hegeliana (il vero non come sostanza, ma altrettanto come soggetto) del
principio idealistico secondo cui le nostre soggettive determinazioni di pensiero sono anche
determinazioni dellessenza delle cose, della loro realt e oggettivit (la famosa identit di
soggetto e oggetto, o di razionalit e realt effettiva, per cui il Wissen conoscenza dellan
sich del Gegenstand, e solo il pensiero lessenziale dellessente).9 Centrale per il nostro
4

Per questi aspetti, si veda la seguente bibliografia essenziale: J. Simon, Das Problem der Sprache bei Hegel,
Stuttgart, Kohlhammm, 1966; W. Marx, Absolute Reflexion und Sprache, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1967; J.
Simon, Die Kategorien im gewohnlichen und im spekulativen Satz, Wiener Jahrbuch fr Philosophie, n. 3,
1970, pp. 9-37 (anche in Contemporary German Philosophy, n. 2, 1983, pp. 112-37); D. Cook, Language in the
Philosophy of Hegel, The Hague, Nijhoff, 1973; R. Heede, Die Dialektik des spekulativen Satzes, Hegel-Jahrbuch
1974, pp. 280-293; J. Soll, Sentences Against Sentences: An Aspect of the Hegelian Dialectic, Dialectic and
Humanism, I, n. 4, 1974, pp. 64-73; J. P. Surber, Hegels speculative sentence, Hegel-Studien, X, 1975, pp.
211-230; H. G. Gadamer, Verit e Metodo, a c. di G. Vattimo, Milano, Fabbri, 1972 (ma cfr. anche Id., Verit e
metodo 2, a c. di R. Dottori, Milano, Bompiani 1995); G. Wohlfart, Der spekulative Satz. Bemerkungen zum
Begriff der Spekulation bei Hegel, Berlin/New York, De Gruyter, 1981; S. Houlgate, Hegel, Nietzsche and the
Criticism of Metaphysics, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 141-156; H. S. Harris, Hegels
Ladder, vol. I: The Pilgrimage of Reason, Indianapolis/Cambridge USA, Hackett, 1997, pp. 137-146.
5
A questo tema sono state dedicate due relazioni alla recente conferenza internazionale Contemporary Hegel. La
ricezione americana a confronto con la tradizione europea (Venezia, 16-18 maggio 2001): The Role of
Language in Hegels Critique of Knowledge di A. B. Collins, e Hegel e il linguaggio (Quale alterit?) di D.
Goldoni, di prossima pubblicazione nei relativi Atti.
6
M. Foucault, Theatrum Philosophicum, in Dits et crits 1954-1988, Paris, Gallimard, 1994, vol. 2 (1970-1988),
p. 90.
7
R. Devos, How Absolute is Hegels Absolute Knowing?, The Owl of Minerva, 30, n. 1, 1998, pp. 33-34.
8
Hegel, Werke in zwanzig Bnden [dora in poi W] vol. 8, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften I, a
c. di E. Moldenhauer e K. M. Michel, Frankfurt a. M, Suhrkamp, 1983, 28, p. 94. La resa del testo hegeliano
della grande Enciclopedia con le Aggiunte segue solo in parte la trad. it. a c. di V. Verra (vol. I, La Scienza della
logica, Torino, Utet, 1981), da me rivista.
9
Sul vero sia come sostanza che come soggetto si vedano le considerazioni di Vitiello, Hegel: proposizione
speculativa, cit., pp. 83-87, che pone a tema, richiamando il Platone della VII Lettera, anche la anomalia della
struttura sintattica di questa celebre proposizione hegeliana. Cfr. in particolare le pp. 85-86: Se non sostanza
id est: se non limmoto soggetto del giudizio del pensare rappresentativo, della logica formale , il vero neppure

Esercizi filosofici 2002 / Testi

discorso sar il confronto tra: 1) la forma di giudizio (soggetto-copula-predicati) che Hegel


ascrive alla riflessione ordinaria e al comune comportamento del sapere, inteso come
attribuzione di una variet di predicati ad un soggetto fisso e stabile nella sua identit: un
quieto soggetto che, immoto, sostenga gli accidenti; e 2) il suo sviluppo conflittuale nella
proposizione speculativa caratteristica del pensiero concepente, in cui al predicato viene
attribuito un significato sostanziale, in quanto viene espresso come lessenza che esaurisce
la natura di quel soggetto: esso quindi passa interamente nel predicato, togliendosi quale
fondamento.10 Dal punto di vista della struttura argomentativa, il primo passo sar quello
di evidenziare, attraverso una selezione di testi, la definizione hegeliana delloperare
riflessivo proprio del Verstand e quello negativo-dialettico e positivo-speculativo della
Vernunft, definendone la natura specifica e le modalit di rapporto ( 1). Il secondo punto
della nostra analisi sar quello di mostrare le conseguenze di tali definizioni sulla
concezione dalla natura delle opposizioni finite (quale ad esempio quella di soggettooggetto), e sulla relazione tra conoscere comune e filosofico nel pensiero hegeliano ( 2).
Partendo dal duplice risultato fenomenologico presupposto dalla logica hegeliana: 1) che
per noi la cosa (Sache) non possa essere altro che i nostri concetti di essa,11 e che 2) di
fatto (faktisch) falso che si dia (es gebe) un sapere immediato, un sapere privo di
mediazione, sia questa mediazione con altro o in lui stesso con s,12 avremo sufficienti
strumenti per esaminare il contraccolpo (Gegensto) che il pensiero subisce confrontando
forme riflessive di giudizio con la connessione di determinazioni differenti mediate
intrinsecamente dallunit del concetto ( 3). Contro le interpretazioni che vedono nella
dialettica hegeliana un metodo garante della riduzione dellalterit allidentit del S,
concluderemo infine che per Hegel compito della proposizione veramente filosofica
piuttosto di esporre quel contrasto interno che il movimento dialettico della proposizione
( 4).13 Da una parte, la proposizione speculativa risveglia continuamente lopinione della
comune divisione tra soggetto e predicato, dallaltra, mettendo tali determinazioni in
relazione, rende visibile il loro conflitto, il quale non esibisce (darstellt) altro che il
solo soggetto il vuoto Io del pensiero raziocinante, che sempre di l dogni contenuto determinato . Vero
il movimento dal soggetto al predicato dalla sostanza al soggetto ; vero il concetto che si fa da soggetto
predicato, riprendendo in s le proprie determinazioni. Vero non sostanza anche sostanza . Ed
soggetto, Selbst, S, solo essendo anche sostanza. Chiaro che qui il termine sostanza assume un significato
affatto diverso da quello che ha nel pensare rappresentativo e raziocinante (vorstellendes und rsonnierendes
Denken). Siamo al punto pi profondo dell'analisi hegeliana della proposizione speculativa.
10
Secondo W. Maker, Philosophy Without Foundations: Rethinking Hegel, Albany, Suny Press, 1994, e The
Very Idea of the Idea of Nature, or Why Hegel Is not an Idealist, in S. Houlgate (ed.), Hegels Philosophy of
Nature, Albany, Suny Press, 1998, pp. 1-27, questa sarebbe una strategia costante della filosofia hegeliana. Ad
esempio, per quanto riguarda la Fenomenologia, essa non va intesa come la perversione del progetto critico
kantiano, ma come il suo ultimo e radicale completamento, in quanto non porta alla assolutizzazione affermativa
della coscienza. Piuttosto, attraverso la considerazione del tentativo della coscienza di rendersi essa stessa assoluta,
lopera di Hegel conduce alla dimostrazione immanente che la coscienza non pu essere presa come il principio
fondazionale della filosofia (Maker, Philosophy Without Foundations, cit. p. 78).
11
W, vol. 5, Wissenschaft der Logik I, Prefazione alla II ed., p. 25 La resa del testo hegeliano segue solo in parte la
trad. it. a c. di A. Moni, riv. da C. Cesa, Bari, Laterza, 1984, da me rivista.
12
W 8, 75, pp. 164-165.
13
Queste le conclusioni di Vitiello rispetto al motivo dell'alterit, per cui l'altro si cela nel medesimo e si
confonde con esso: appare chiaro che non fuori ma nella forza stessa dello spirito che si espande la
pesantezza, limpedimento che la trattiene, il contraccolpo che la ripiega su di s, laltro che la nega. Che non
lop-posto, ci che sta di contro, dal quale non sarebbe poi tanto difficile guardarsi. Laltro linterno, lintimo
lAnsichsein che resta tale pur nel Frsichsein quel duro nocciolo sostanziale che mai non si scioglie (Hegel:
proposizione speculativa, cit., p. 90).

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

necessario contrasto delle determinazioni dellintelletto con se stesso, poich la lotta della
ragione consiste nel superare (berwinden) quello che lintelletto ha fissato.14

2. Verstand e Vernunft tra logica e logicit


Hegel distingue tra logica (die Logik) ed elemento logico o logicit (das Logische).
La logica definita scienza del pensiero puro o sistema della ragion pura, il cui
contenuto il pensare oggettivo, secondo la celebre formula dellidentit razionale di
metafisica e logica. La Scienza della logica ha come presupposto la Fenomenologia, vale a
dire la negazione della forma dellopposizione, propria della coscienza, tra un soggettivo
esser per s ed un separato ed indipendente essere oggettivo (che non ha bisogno del
pensiero per costituirsi nella sua permanenza e stabilit), che fronteggia il soggetto come
una realt gi compiuta in se stessa. Hegel scrive:
La scienza pura presuppone la liberazione dallopposizione della coscienza. Essa contiene il pensiero (den
Gedanken) in quanto insieme anche la cosa [rappresentata, considerata] in se stessa (die Sache an sich
selbst), oppure la cosa in se stessa, in quanto insieme anche il puro pensiero (der reine Gedanke).15

Per opposizione fenomenica ci riferiamo a ci che Hegel intende come apprensione


ordinaria del rapporto soggetto-oggetto quale si d nella nostra coscienza comune (non
filosofica) e nel nostro modo usuale di conoscere o sapere loggetto. Secondo il modo in cui
le cose dapprima appaiono e vengono comprese, si presuppone che la materia del conoscere
sussista gi in s e per s quale un mondo gi compiuto nella sua realt al di fuori del
pensiero, e che il pensiero sia una forma vuota e indeterminata, che soppraggiunge
dallesterno, si riempie di quella materia del conoscere, e solo in questo modo acquista un
contenuto, diventando un conoscere reale, rendendosi adeguato alloggetto.16 Come
vedremo pi avanti, questa rappresentazione comune si esprime nella relazione predicativa,
definita raziocinante (rsonierenden), della proposizione copulativa (Satz).
Con lespressione die Befreiung von dem Gegensatze des Bewutseins, Hegel intende
indicare il risultato positivo-razionale (vale a dire la generazione dell'universale e la
comprensione concettuale del particolare in esso)17 delle esperienze che la coscienza fa di
tutte le forme teoriche e pratiche del suo rapporto verso loggetto. Nel paragrafo che
conclude la fenomenologia sistematica dellEnciclopedia, seconda sezione della Filosofia
dello spirito soggettivo, il 439, tale risultato espresso come quella raggiunta identit,
razionale e consapevole, di certezza soggettiva e contenuto oggettivo che il possesso (non
la ricerca) di un sapere vero. La Fenomenologia si conclude infatti con la conquista del
punto di vista del sapere assoluto o con il concetto della scienza. Se per Hegel la verit
l'accordo del pensiero con gli oggetti,18 siamo nellelemento della verit come sapere,
siamo nella Vernunft, pensiero infinito, come vedremo tra poco, e non nel Verstand,
pensiero finito, in quanto abbiamo lautocoscienza, la certezza (Gewiheit), che i nostri
pensieri non sono solo un alcunch di soggettivo, ma sono altrettanto oggettivi,
14

Ivi, 32, Z., p. 99.


W 5, Introduzione, p. 43.
16
Ivi, pp. 36-37.
17
Ivi, p. 16.
18
Ivi, p. 37.
15

Esercizi filosofici 2002 / Testi

determinazioni dellessenza, della natura (vale a dire del concetto o dellin s) delle cose
esterne, cui la nostra rappresentazione si riferisce: le Dinge.19 Ci potr essere una scienza
della logica solo in quanto stato dimostrato dialetticamente come per noi la cosa (la cosa
rappresentata, Sache) non possa essere altro che i nostri concetti di essa.20 Vedremo che
questo sapere assoluto sar espresso dal superamento della forma proposizionale
corrispondente al modo comune di intendere la relazione soggetto-oggetto, in quanto
opposizione i cui i termini valgono solo nella loro divisione e separatezza.
A differenza della logica, dellelemento del pensiero puro, del pensiero come forma
assoluta che ha come materia e contenuto le forme del pensare oggettivo, das Logische
indica invece nel suo complesso lattivit assolutamente universale (soggettivo-oggettiva)
del pensiero, quando inizia e termina di concepire un oggetto.21 Unattivit formale che
viene definita come una unit processuale scandita secondo due momenti fondamentali,
intellettivo e razionale, dove la razionalit opera a sua volta in modo prima
negativo/dialettico nei confronti dei risultati delloperare intellettivo, e poi positivo. Il
movimento del conoscere viene dunque definito da Hegel come la logicit che, quanto alla
forma, inizia con la modalit intellettiva, che consiste nel cogliere gli oggetti dati nelle loro
distinzioni determinate, fissandoli poi in tale isolamento.22 Come nel caso richiamato prima
dellopposizione fenomenica tra un soggetto/pensiero/vuota forma e un
oggetto/essere/contenuto. Pi precisamente, il pensiero intellettivo consiste in generale nel
conferire al suo contenuto la forma delluniversale, e in primo luogo opera astraendo,
secondo il principium individuationis e quello di identit, distinguendo, determinando,
separando, irrigidendo, fissando, o anche contrapponendo luniversale al particolare, il
quale viene sussunto sotto il primo.23

3. La forma dellopposizione e il suo superamento dialettico


Per questo aspetto astraente, la forma intellettiva del pensiero si oppone alla sensazione
e allintuizione immediata, che per Hegel non sono, come tali, attivit conoscitive, bench il
pensiero operi e sia presente, permei e determini, sentimenti e rappresentazioni, e in
generale ogni attivit e manifestazione umana in quanto tale.24 Nella Prefazione alla
seconda edizione della Scienza della logica, Hegel ribadisce che il pensiero effettua,
produce, il carattere propriamente umano di ci che ci appartiene anche istintivamente,
nel momento stesso in cui parliamo dei nostri sentimenti: passioni, desideri, intuizioni,
istinti pi interni, vale a dire li esprimiamo linguisticamente:
Le forme del pensiero sono anzitutto esposte e consegnate nel linguaggio umano. Ai nostri giorni non si pu
mai ricordare abbastanza spesso che quello, per cui luomo si distingue dallanimale, il pensiero. In tutto
ci che diventa per lui un interno, in generale una rappresentazione, in tutto ci che luomo fa suo (was er zu
dem Seinigen macht), si insinuato il linguaggio; e quello di cui luomo fa linguaggio e chegli estrinseca nel

19

W , vol. 10, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften III, 439, p. 229.


W 5, Prefazione alla II ed., p. 25.
21
W 8, 79, p. 168.
22
Ivi, 80, p. 169.
23
Ivi, Z., p. 169.
24
Ivi, 2, p. 42.
20

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

linguaggio, contiene, in una forma pi inviluppata e meno pura, una categoria. Tanto naturale alluomo la
logicit (das Logische), o, meglio, tanto vero che questa la sua stessa peculiare natura.25

Hegel procede poi alla individuazione delle espressioni logiche nelle lingue
(preposizioni, articoli, sostantivi, verbi).26 Cos ad esempio, in ogni proposizione il cui
contenuto interamente sensibile come questa foglia verde, sono gi mescolate
categorie come essere e singolarit (Einzelheit);27 tuttavia, diverso avere tali
sentimenti e tali rappresentazioni in cui sono presenti forme di pensiero, ed avere dei
pensieri in proposito.28 Se da una parte Hegel ritiene che sia un pregiudizio della sua
epoca aver stabilito la separazione di sentimento e pensiero, tanto da renderli opposti,29
daltra parte solo al metalivello del riflettere, del Nachdenken, possiamo parlare di
trasformazione di sentimenti e rappresentazioni in pensieri. Se intuizione e sensazione
nelluomo sono comunque i sentimenti di un essere pensante e non di un animale,30
tuttavia, allopposto dellintelletto, di per s essi hanno interamente a che fare con il
concreto e rimangono fermi ad esso.31
Il punto di partenza del nostro esame dellattivit mentale con cui apprendiamo un
oggetto costituito dalla relazione fra la coscienza immediata, naturale, sensibile, e la
singolarit della cosa. La Fenomenologia inizia prendendo ad oggetto la certezza sensibile,
che si rapporta alla cosa come ad un questo, un Dieses, tale che , sussiste,
indipendentemente e indifferentemente dal fatto di venir saputo o meno. A tale piano
ontologico di rappresentazione corrisponde quello gnoseologico di ritenere che il proprio
sapere sussista solo in funzione dellesistenza delloggetto, ne dipenda assolutamente.
Questa opinione della certezza sensibile sulla relazione sapere-oggetto si rovescia proprio
nellespressione linguistica, dove quellessenziale che loggetto era ritenuto essere, come
un questo che adesso e qui, diventa, per la coscienza sensibile stessa, un qualcosa
che non n questo n quello, un non-questo, e che altrettanto indifferente ad essere sia
questo che quello vale a dire un universale astratto32. Scrive Hegel:

25

W 5, Prefazione alla II ed., p. 20. Si veda inoltre W 8, 24, Z. 1, p. 82. Per una trattazione pi ampia e
sistematica di questo tema, mi permetto di rimandare al mio Forma e natura nei presupposti della logica come
scienza in Hegel, Il Pensiero, XXVI, 2, 1985, pp. 137-164.
26
Cfr. W 10, 459, pp. 271-277, ed il contesto storico-culturale in cui si situa il riferimento di Hegel alla
grammatica comparativa ricostruito da Petry in Hegels Philosophy of Subjective Spirit III, cit., pp. 416-417, e pp.
420-421, con particolare riguardo agli scritti di Wilhelm von Humboldt Ueber das Entstehen der grammatischen
Formen, und ihren Einfluss auf die Ideenentwicklung (1822) e Ueber den Dualis (pubblicato nel 1828).
27
W 8, 3, p. 45.
28
Ivi, 2, p. 43: Allein es ist verschieden, solche vom Denken bestimmte und durchdrungene Gefhle und
Vorstellungen und Gedanken darber zu haben.
29
Di legame armonico di Gefhl e Gedanken come forze congiunte aveva gi parlato Wilhelm von Humboldt nel
suo Ueber den Geschlechtsunterschied und dessen Einfluss auf die organische Natur (1795), in Id., Werke, vol. I,
1785-1795, a c. di A. Leitzmann, Berlin, Behr, 1903; repr. Berlin, de Gruyter, 1968, p. 313.
30
NellAggiunta al 24 troviamo scritto che anche l'animale an sich universale, ma luniversale come tale non
per lui, nel senso che per lanimale ci sono soltanto cose singolari. Chiarito che qualcosa per me in quanto
nella mia coscienza, Hegel procede a differenziare ulteriormente lanimale dalluomo dal punto di vista del
linguaggio della soggettivit. Mentre luomo pu dire che lIo il pensiero come pensante (Wir knnen sagen []
Ich ist das Denken als Denkendes), lanimale non pu dire Io. Solo luomo pu, perch pensiero (cfr. W 8, pp.
82-83).
31
Cfr. W 8, 80, Z., p. 169.
32
Su questo punto si veda C. Bruaire, Idealisme et philosophie du langage, Hegel-Jahrbuch 1964, pp. 16-26.

10

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Anche il sensibile noi lo esprimiamo (aussprechen) come un universale. Ci che noi diciamo (was wir
sagen), : questo, vale a dire luniversale questo, oppure: esso ; vale a dire, lessere in generale. Certo
con ci non ci rappresentiamo (vorstellen) il questo universale o lessere in generale [bens quelloggetto
concreto di cui parliamo], ma enunciamo (aussprechen) luniversale, o anche noi semplicemente non
parliamo (sprechen) come intendiamo/opiniamo in questa certezza sensibile. Ma il linguaggio (die Sprache)
, come si vede, il pi vero. in esso noi stessi confutiamo immediatamente la nostra opinione. E poich
luniversale il vero della certezza sensibile e il linguaggio esprime solo questo vero, cos del tutto
impossibile che noi possiamo mai dire (sagen) un essere sensibile che noi opiniamo.33

Il linguaggio esprime solo luniversale, e mai quellesserci immediato, irripetibilmente


singolare e quindi incommensurabile agli altri esserci, per s stante, che la coscienza
naturale crede di dire. Nei termini della riflessione contemporanea, il linguaggio non ,
dunque, das Haus des Seins, non ha dignit ontologica, neppure un mezzo in cui io e
mondo si presentano nella loro originaria cogenerit,34 ma, come ha ben riconosciuto
Lwith, per Hegel il linguaggio la casa non dellessere, ma del pensiero umano, cos
come il linguaggio, insieme al lavoro, un modo di esistenza originario dello spirito che
appare come coscienza.35 Tuttavia, quando Lwith sottolinea che qui il linguaggio ha
solo (nur) questo significato, di essere privo in quanto tale di indipendenza e originariet,
la priorit che egli ascrive alla dimensione ontologica non gli fa cogliere la essenzialit
della dimensione epistemico-speculativa del linguaggio stesso. Secondo Hegel, infatti,
quando nella certezza sensibile stessa si mostra che non possiamo non dire il sensibile
questo, adesso che come luniversale questo, adesso, tale impossibilit a cogliere la
puntualit esprime in realt la verit di ogni singolo questo, adesso. Ci che risulta vero,
permanentemente vero (in senso idealistico), delloggetto sensibile, il suo esser saputo
non come una puntualit eterogenea ad un altro questo, adesso, qualitativamente
escludente ed estrinseca al soggetto, ma come una determinazione universale, in s mediata
dal presupposto di un soggetto. Tuttavia, questo rovesciamento dell'opinione non investe
solo il lato delloggetto, bens anche quello del soggetto, e proprio nella misura in cui
soggetto enunciatore di discorso. Se quando pronuncio termini quali il singolo, questa
singola cosa, qui, adesso, per Hegel non pronuncio altro che universalit, ugualmente,
quando pronuncio la parola io, intendo il me, come essere individuale distinto e
separato da tutti gli altri, ma ci che dico: io, precisamente ogni io che in quanto tale
si distingue da tutti gli altri. Per questo alcuni interpreti di queste pagine hegeliane hanno
parlato di un linguaggio che, per Hegel, non sarebbe capace di esprimere (aussprechen)
alcunch di individuale.36 Basti qui solo accennare alla singolarit della posizione
33

W, vol. 3, Phnomenologie des Geistes, p. 85, la resa in italiano del testo hegeliano segue solo in parte la la tr. it.
di E. De Negri, Fenomenologia dello spirito, Firenze, La Nuova Italia (1960), vol. I, 1995, p. 84, da me rivista.
34
Gadamer, Verit e metodo, cit., p. 541.
35
Cfr. K. Lwith, Hegel und die Sprache, Sinn und Form, nn. 1-2, 1965, pp. 110-131: in particolare le pp. 117118.
36
Cfr. J. M. Ripalda, Die Sprache spricht nicht aus. Bemerkungen zu Hegels Sprachphilosophie, Hegel-Studien,
XXXIV, 1999, pp. 39-59. Ripalda conduce la sua analisi confrontandosi in modo particolare con J. Derrida, Le
puits et la pyramide. Introduction la smiologie de Hegel (1972), secondo cui la produzione creatrice del segno
si ridurrebbe in Hegel ad una semplice esteriorizzazione o espressione come trasposizione all'esterno di un
contenuto interiore (cfr. ivi, pp. 49-59). Analoga posizione troviamo in I. Soll, An Introduction to Hegels
Metaphysics, Chicago, Chicago University Press, 1969, pp. 91-110; G. Plumer, Hegel on Singular Demonstrative
Reference, Philosophical Topics, 11, 1980, pp. 71-94; secondo questi autori, Hegel nega la possibilit di riferirsi
a oggetti particolari di esperienza, quali alberi e case, in quanto il linguaggio universale. Recentemente K.
Dulckeit (Can Hegel refer to Particulars?, in J. Stewart, The Phenomenology of Spirit Reader. Critical and
Interpretive Essays, Albany, Suny Press, 1998, pp. 105-121) ha contestato una simile interpretazione,

11

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

hegeliana, rispetto alle teorie del tempo, dallo Schleiermacher di Dialektik e Hermeneutik,37
allo Humboldt di ber Denken und Sprechen.38
Ricordato cos il significato assunto nel suo complesso dal linguaggio in sede di
esperienza fenomenologica, un senso speculativo che non pu essere ridotto alla
preformazione istintiva di rapporti logici di riflessione,39 va per detto che la parte
formale del linguaggio, esaminata in sede di Psicologia enciclopedica, , quella s, prodotta
dallistintiva attivit categoriale del nostro intelletto, che si costruisce nei toni articolati
come la parte grammaticale del discorso.40 Ora se per Hegel preposizioni, articoli,
sostantivi, verbi contengono tutti implicitamente espressioni logiche, lattivit astraente,
individuante, fissante, del pensiero nella sua modalit intellettiva per solo il primo,
immediato aspetto formale della logicit stessa, che ha valore realmente determinante solo
nella completezza dei suoi aspetti, nella sua interezza. Loperare intellettivo dunque,
filosoficamente, qualcosa da superare per la sua rigidit e unilateralit, ma da conservare e
non da annullare/cancellare. Hegel riconosce in pi punti41 che al pensiero semplicemente
intellettivo deve essere attribuito il suo diritto e il suo merito, in campo sia teorico (per le
scienze della natura: lindividuazione di elementi/forze/generi; per la matematica: la
trattazione della grandezza; per la geometria: il confronto tra figure; per la giurisprudenza:
il principio di identit) che pratico (lindividuazione di scopi determinati nellagire) e
religioso (la superiorit della mitologia greca, plastica e determinata, rispetto a quella
nordica, sfumata e indistinta nei caratteri). Tale merito consiste nel fatto di distinguere e
determinare saldamente, nel non rimanere nella dispersione del vago, del generico e
dellindistinto. Hegel inoltre precisa in che senso la filosofia non possa fare a meno
dellintelletto: la filosofia implica anzitutto che ciascuna nozione di pensiero venga intesa
nella sua piena precisione e che non ci accontenti del vago e dellindeterminato.42

riesaminando il qui e ladesso della certezza sensibile, e concludendo che mentre vero che il linguaggio per
Hegel universale e che vero che la certezza sensibile non riesce a cogliere i particolari usando i pronomi
dimostrativi, da questo per non segue che il riferimento ai particolari sia impossibile: it merely follows that
reference cannot be successful on the conditions proposed by sense-certainty (p. 108).
37
Secondo Schleiermacher, il pensiero completa la sua determinazione prima nel linguaggio, in quanto si
costituisce in parola, ed essendo pensiero che parla, , nella sua origine, sempre individuale. Secondo Maciej
Pot pa, nell'ottica di Schleiermacher, la validit universale del pensiero, cos come la obbligatoriet universale del
discorso, non esigono alcun linguaggio universale attraverso la Aufhebung dei limiti individuali del linguaggio
(cfr. M. Pot pa, Subjekt, Sprache und Verstehn bei Novalis, Schleiermacher und Friedrich Schlegel, in M. J.
Siemek (hrsg.), Natur, Kunst, Freiheit. Deutsche Klassik und Romantik aus gegenwrtiger Sicht, Amsterdam,
Rodopi, 1998, p. 81).
38
W. von Humboldt definisce il linguaggio come il contrassegno sensibile (die sinnliche Beziehung) dellunit a
cui riconduciamo il molteplice, per cui il linguaggio comincia subito e senza mediazioni con il primo atto della
riflessione (cfr. Simon, Die Kategorien, cit., pp. 13-14). Sulla discussione, nella Germania tra 700 e 800, relativa
all'origine del linguaggio articolato umano e al suo rapporto con la maturazione della facolt di pensare e riflettere,
e con quello inarticolato degli animali, mi permetto di rimandare al mio saggio: La lettura herderiana dellEssai di
Condillac nella Abhandlung ber den Ursprung der Sprache, Archivio di Filosofia, LIX, nn. 1-3, 1991, pp. 3763.
39
questa lopinione di H. G. Gadamer in Verit e metodo, cit., p. 535.
40
W 10, 459, p. 272: Das Formelle der Sprache aber ist das Werk des Verstandes, der seine Kategorien in sie
einbildet; dieser logische Instinkt bringt das Grammatische derselben hervor.
41
Si veda principalmente W 8, 80 Z., pp. 170-171 dove si insiste sulla imprescindibile validit del principium
individuationis: sulla Bestimmtheit.
42
Ivi, p. 171: Zum Philosophieren gehrt vor allen Dingen, da ein jeder Gedanke in seiner vollen Przision
aufgefat wird und da man es nicht bei Vagem und Unbestimmtem bewenden lt.

12

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Chiarita questa indispensabilit del pensiero puramente astratto o intellettivo, che in


modo istintivamente logico e naturale struttura la parte formale stessa del linguaggio,
costituendone la grammatica, va anche ribadito che esso non lelemento ultimo in cui si
esaurisce e completa il conoscere, il conoscere vero del pensiero infinito e razionale, in
quanto le sue determinazioni sono determinazioni di pensiero finite. Le forme fisse
dellintelletto, le nozioni che utilizziamo per conoscere gli oggetti quando riflettiamo su di
essi, sono infatti tutte finite. Ora per Hegel, dal punto di vista formale, finito significa
ci che ha una fine, [significa] quello che [in modo determinato, individuabile], ma
cessa di essere l dove connesso con il suo altro e, quindi, ne viene limitato.43 Il finito
consiste dunque nella relazione al suo altro, che ne la negazione e si presenta come il suo
limite. Solo se si definisce cos il procedere raziocinante dellintelletto viene infatti
garantito lo speculativo rovesciamento reciproco delle nozioni contraddittoriamente
opposte tramite la dialettica del finito, che secondo la propria natura (relativa a ci che lo
delimita) viene spinto oltre quello che immediatamente, nel suo altro.44
Di contro, il pensiero razionale, la Vernunft rispetto al Verstand, pensiero infinito o
speculativo. Infinito non significa, astrattamente, un perenne andare oltre e aggiungere
indefinito, ma stare nella verit sapendosi pensare oggettivo, vale a dire forma sostanziale
(essenza, fondamento e terreno comune) che anche soggetto, ci che si determina da s
facendosi oggettivo, produzione di differenze, universale concreto capace di istanziarsi,
mediazione del divenir-altro con se stessi. Il concetto di scienza raggiunto alla fine della
Fenomenologia con cui inizia il sistema di filosofia speculativa hegeliano assume infatti
che di fatto falso che ci sia un sapere immediato, un sapere privo di mediazione, sia
questa mediazione con altro o in lui stesso con s.45 La dialettica sistematica ha pertanto
un risultato positivo: non cancella le determinazioni individuate dallintelletto ma solo la
rigidit escludente del loro limite. Il risultato un contenuto determinato: lunit concreta
di quelle distinzioni che per lintelletto valevano solo in quanto separate e contrapposte. Il
terzo aspetto formale della logicit infatti costituito dallelemento speculativo o
positivamente razionale che coglie lunit delle determinazioni nella loro contrapposizione,
lelemento affermativo che contenuto nella loro risoluzione e nel loro passare in altro.
Se dunque una determinazione fissa del Verstand si esprime attribuendo di volta in
volta dei predicati a un soggetto (es. finitezza o infinitezza al mondo, semplicit o
complessit allanima etc.), vale a dire formula giudizi secondo la forma soggetto-copulapredicato, in cui soggetto e oggetto sono tenuti fermi nel loro isolamento reciproco, cosa
accade di tale proposizione quando lidealismo della filosofia speculativa ne mostra
lunilateralit?
In che modo per Hegel il linguaggio filosofico pu sormontare quello ordinario? Visto
il rifiuto del vago e dellindeterminato in campo filosofico, vale a dire dellineffabile, o del
solo intuibile, come si esprime allora la dialettica dellautocontraddizione e

43

Ivi, 28, Z., p. 95: Endlich heit, formell ausgedrckt, dasjenige, was ein Ende hat, was ist, aber da aufhrt, wo
es mit seinem Anderen zusammenhngt und somit durch dieses beschrnkt wird.
44
Ivi, 81, Z. 1, p. 173: Das Nhere aber ist, da das Endliche nicht blo von auen her beschrnkt wird, sondern
durch seine eigene Natur sich aufhebt und durch sich selbst in sein Gegenteil bergeht.
45
Ivi, 75, pp. 164-165: Es is hiermit als faktisch falsch aufgezeigt worden, da es ein unmittelbares Wissen
gebe, ein Wissen, welches ohne Vermittlung, es sei mit Anderem oder in ihm selbst mit sich, sei.

13

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

dellautosuperamento di una determinazione intellettiva finita nel suo opposto? Con quale
linguaggio il contenuto speculativo del sapere assoluto pu essere espresso?46

4. La teoria hegeliana del Gegensto


Per prima cosa dobbiamo chiarire che, a livello sistematico, Hegel distingue tra
giudizio, Urteil, e semplice proposizione, Satz, in base al contenuto veramente oggettivo,
effettuale, essenziale, del rapporto tra soggetto e predicato. Una frase meramente
descrittiva, pu essere esatta (mai comunque vera nel senso idealistico-speculativo del
termine) o meno (e quindi soddisfatta da altri contenuti), ma non risponde alla domanda che
il giudizio (nella Logica come scienza), invece pone, che riguarda cosa sia quel tale
soggetto secondo la sostanza, secondo il concetto.47 Esaminando das Urteil in sede di
Scienza della logica, Hegel porta gli esempi di: Aristotele morto nel quarto anno della
115ma Olimpiade a 73 anni di et, che una semplice proposizione, niente affatto un
giudizio, e della notizia: il mio amico N. morto. In quest'ultimo caso, la frase non
descriverebbe un mero stato di fatto, e quello stesso identico contenuto sarebbe poi soltanto
un giudizio qualora la domanda fosse se l'amico effettivamente o solo apparentemente
morto.48
Nellottica speculativa, ci che primo e fondamentale la mutua inerenza di
singolare e universale: il soggetto (che viene significato dapprima come das Einzelne, o il
singolo essente immediato) in verit la determinatezza che determinata solo nel suo
predicato (il quale viene nominato dapprima in opposizione ad esso, come das
Allgemeine),49 che ne esprime lessenza.50 Il giudizio lunit originaria del concetto che si
divide in questi due estremi del soggetto-singolare e del predicato-universale, e che appare
dapprima come un rapporto in cui si fronteggiano due elementi mutuamente indipendenti
ed autosussistenti, astratti e fissi: un soggetto come oggetto esistente da una parte, e
dallaltra una serie di qualit predicabili che stanno solo nella nostra mente, come
rappresentazioni di pensiero. La visione intellettiva del conoscere ordinario procede per
nomi, denotando cos il soggetto grammaticale come una unit vuota, priva di ogni
carattere concettuale.51 Secondo essa, il giudizio consisterebbe nel fatto che attraverso di
46

Cos la questione anche stata formulata: How can the copulative proposition, whose very form seems to be
simple identity, bear of itself the dialectical movement of reflection, and reveal, within this structure, thought in its
true form? (Surber, Hegels Speculative Sentence, cit., p. 20).
47
Per un commento di queste pagine si vedano Bodammer, Hegels Deutung der Sprache, cit., pp. 227-233 e
Wohlfart, Der spekulative Satz, cit., pp. 260-284.
48
W, vol. 6, Wissenschaft der Logik II, p. 305: So ist die Nachricht mein Freund N. ist gestorben ein Satz und
wre nur dann ein Urteil, wenn die Frage wre, ob er wirklich tot oder nur scheintot wre.
49
Cfr. ivi, p. 302.
50
Cfr. ivi, p. 308.
51
La teoria hegeliana che i nomi dei soggetti grammaticali siano privi di significato concettuale (ma all'interno
dell'analisi del giudizio Urteil e nella misura in cui viene distinto dal semplice Satz) stata criticata in modo
particolare da J. Soll, Sentence against Sentences, cit., che conclude la sua analisi sostenendo che Hegel ignora il
ruolo del riferimento e della denotazione nel linguaggio (cfr. ivi, p. 72): For reasons already adduced, Hegels
attempt to demonstrate the conceptual vacuousness of these subject is unconvincing, but even if he had succeded,
he would not thereby have shown these subjects and the sentences they constitute to be superfluous und
dispensable. Hegels mistaken belief, that to show the conceptual vacuousness of a word is to show its
superfluousness, reveals an important aspect and failing of his philosophy of language, his insensitivity to any
distinction between meaning and reference and to the role played by reference in language (p. 72). Per unanalisi

14

Esercizi filosofici 2002 / Testi

esso che un predicato viene unito tramite la copula a un soggetto, per cui, quando questa
connessione non ha luogo, i due estremi godrebbero di una esistenza autonoma e separata,
rispettivamente ideale (quella di una determinazione generale per il predicato qualora non
fosse riferito a un soggetto) e reale (quella di un oggetto per il soggetto, se esso non fosse
sostrato di predicazione).52
Per la Scienza della logica dunque, da una parte il giudizio ha totalit, vale a dire, la
proposizione presa come un tutto, ed Diremption dellunit originaria del concetto
attraverso s stesso, dallaltra questa totalit dapprima, sul piano reale, come rapporto di
lati indipendenti, e in tal modo nota al sapere comune, non filosofico.53 Dialetticamente,
la piena unit un ritorno in s come risultato dalla divisione, e dunque una unit
ricostituita, mediata, negativa, che si compie soltanto quando lidealit del concetto torna in
s da questa realt prendendosi ad oggetto, pensandosi, guadagnando il punto di vista dei
due estremi, il soggetto e il predicato, come superati.54 In sede di esposizione enciclopedica
del concetto della logica, il problema del significato del contenuto speculativo e della sua
necessit di essere enunciato da proposizioni non unilaterali cos impostato da Hegel:
lo speculativo nel suo vero significato non n provvisoriamente, n definitivamente, un semplice
soggettivo, ma, piuttosto, espressamente ci che contiene in s come superate (als aufgehoben in sich
enthlt) quelle opposizioni a cui rimane fermo lintelletto (e quindi anche lopposizione tra soggettivo e
oggettivo) e proprio cos si dimostra essere come concreto e come totalit. Un contenuto speculativo perci
non pu essere espresso in una proposizione unilaterale (in einem einseitigen Satz). Se per es. diciamo che
lassoluto lunit di soggettivo e oggettivo, questo certamente corretto, ma unilaterale, in quanto cos
viene soltanto espressa (ausgesprochen) lunit e posto laccento su di essa, mentre, in effetti, il soggettivo e
loggettivo sono non soltanto identici, ma anche distinti (unterschieden).55

Sul piano fenomenologico, pre-sistematico, Hegel distingue tra das rsonierende e


begreifende Denken.56 Secondo il modo di argomentare della prima forma, tra soggetto e
oggetto, viene istituita una relazione raziocinante: loggetto del conoscere un soggetto
rappresentato, fissato, una base o fondamento, cui il contenuto viene unito, riferendosi ad
esso come accidente e predicato. Gli interpreti hanno individuato i riferimenti storici di
di queste pagine su das Urteil, cfr. Bodammer, Hegels Deutung, cit., pp. 227-233; Wohlfart, Der spekulative Satz,
cit., pp. 261-284; Heede, Die Dialektik, cit., pp. 281-283. Soll ha anche argomentato, in An Introduction, cit., pp.
105-106 che Hegel confonde types e tokens. A questa accusa, la Dulckeit ha replicato rintracciando in Hegel una
teoria della distinzione tra type e tokens che anticipa le tesi di Quine e Strawson: Take Here is a tree as an
example of a type. Various tokens of this type may be either true or false depending on the context in which they
are uttered. Now Soll assumes that Hegel argues that these truths cannot be trusted because they constantly
change, and that hence he conflates types and tokens. I submit, however, that on the contrary, Hegel means
precisely to point out the distinction, by showing that tokens should not be mistaken for types by absolutizing
them. Types do not occur in context, only tokens, and only tokens are true or false. But sense-certainty does not
want to recognize the mediating role of the context which ensures that a statement (token) successfully refers. It
thinks it has its truth immediately, that is, it thinks it has hold of a type not a token. However, the demand to write
the truth downs turns it into a type, and now it is revealed that types are but empty universals which cannot be true
or false because apart from a context they fail to refer to anything at all. As a matter of fact, however, sensecertainty is situated within a context; as a matter of fact, therefore, it utters only tokens, not types. And since a
token is always mediated, sense-certainty's own utterance betrays its proposed criterion of immediacy by which it
seeks to validate its truth (Dulckeit, Can Hegel Refer, cit., p. 115).
52
Cfr. W 6, pp. 304-305.
53
Su questa connotazione dello spekulative Satz, cfr. Simon, Das Problem der Sprache, cit., pp. 191-194.
54
Cfr. W 6, p. 304.
55
W 8, 82, Z., p. 178.
56
W 3, pp. 56-57.

15

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

questo ragionare negli Stoici, i Wolffiani, Ockham. Al contrario, come abbiamo visto,
elemento e contenuto della filosofia, per Hegel non lastratto, ma lessere determinato che
nel proprio concetto, come manifestazione dell'universale concreto. La filosofia quindi
considera la determinazione in quanto essa essenziale, secondo lautomovimento
qualitativo e immanente del concetto. La sostanza diviene oggetto perch il movimento di
divenire a s un altro, e di togliere lestraneit prima facie di questo esser-altro,
ricongiungendosi con s nelloggetto, la cui essenza appunto concetto. La proposizione
speculativa, pertanto, deve poter esprimere questo movimento, che pu essere letto insieme
sia come il divenire sostanziale delloggetto, sia come il trapasso del soggetto (del S, del
concetto), nellessere determinato. Hegel non inventa la proposizione speculativa in
quanto tale, e gli interpreti hanno rintracciato precisi riferimenti a Spinoza e Leibniz. Scrive
Hegel che questo movimento travolge, distrugge la forma relazionale della
proposizione intellettiva con il suo soggetto inteso come base fissa e statica che riceve
attributi.57 La natura di tale relazione raziocinante tra soggetto e oggetto implica inoltre che
un contenuto possa essere del tutto negato, che dei predicati non vengano attribuiti al
soggetto, come se potessero esistere soggetti privi di qualit, il che provoca una specie di
paralisi interna della proposizione, in quanto il soggetto non trova niente in s in cui
passare, e deve ricorrere a un contenuto altro ed esterno per ricevere una determinazione.
Ora Hegel designa tale riflessione priva di contenuto come la riflessione nell'Io vuoto,
con chiari intenti polemici antifichtiani58 e antikantiani,59 e con una terminologia ripresa dal
linguaggio del 180160 che ha dei paralleli nella Scienza della logica.61 Nella dimensione
idealistica, poich il concetto il s proprio dell'oggetto che si esibisce come il suo
divenire:62 il s non un soggetto quieto, che immoto sostenga gli accidenti; piuttosto il
concetto che si muove e che riprende in s le sue determinazioni. In tal movimento vien
travolto anche quel quiescente soggetto; questo penetra nelle differenze e nel contenuto e,
invece di starsene immoto di fronte alla determinatezza, piuttosto la costituisce; costituisce,
cio, il contenuto differenziato e il suo movimento.63
Tuttavia importante sottolineare che per Hegel la forma della proposizione
raziocinante, che dal punto di vista della filosofia speculativa si rivela un metodo per cui
loggetto del conoscere riceve dallesterno per opera del soggetto conoscente delle
determinazioni intellettive finite, astratte e fisse, pienamente adeguata nellambito delle
cose finite, coerentemente con quanto abbiamo detto prima sulla indispensabilit
dellattivit distinguente e determinante dellintelletto. Hegel ci dice che quando si tratta di
cose finite, si deve necessariamente determinarle mediante predicati finiti, e qui lintelletto,
nel suo modo di operare, non semplicemente al suo posto, ma al giusto posto.64
57

Ivi, p. 59.
Ivi, p. 56.
59
W 6, p. 307: Das Subjekt ohne Prdikat ist, was in der Erscheinung das Ding ohne Eigenshaften, das Ding-ansich ist, ein leerer unbestimmter Grund.
60
W, vol. 2, Jenaer Schriften 1801-1807, cfr. Differenz, pp. 10-12, e Glauben und Wissen, pp. 296-297: die
Kantische und Fichtesche haben sich wohl zum Begriff, aber nicht zur Idee erhoben, und der reine Begriff ist
absolute Idealitt und Leehrheit, der seinen Inhalt und deine Dimensionen schlechtin nur in Beziehung auf das
Empirische und damit durch dasselbe hat.
61
Cfr. W 5, pp. 36-37.
62
W 3, p. 57.
63
Ibid.
64
W 8, 28, Z., p. 96: Bei den endlichen Dingen ist es nun allerdings der Fall, da dieselben durch endliche
Prdikate bestimmt werden mssen, und hier ist der Verstand mit seiner Ttigkeit am rechten Platz. Cfr. Vitiello,
58

16

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Lintelletto, esso stesso finito, conosce infatti soltanto la natura del finito, e tra gli esempi
forniti nella Fenomenologia da Hegel per illustrare questo stesso punto, troviamo il caso del
sapere formalistico, che procede sulla linea delluguaglianza e dellevidenza (il principio di
identit), ed ha per proprio principio relazioni che Hegel chiama aconcettuali. Con questo
termine vengono designate differenze o determinazioni inessenziali, astratte, che per
definizione non implicano aspetti qualitativi: come nel caso della grandezza per la
matematica, la cui variazione, puramente e semplicemente quantitativa, indifferente alla
natura della cosa.65 O, ancora, nellAggiunta al 28 dellEnciclopedia, Hegel si riferisce
alle scienze empiriche, per il rapporto di causa ed effetto, di forza ed estrinsecazione della
forza o alla giurisprudenza: se chiamiamo furto unazione, tale azione definita secondo
il suo contenuto essenziale, e per il giudice sufficiente conoscere questo.66 In tutti questi
casi, cose finite sono adeguatamente conosciute nella loro finitezza, e non c conflittualit
a livello di relazione soggetto-predicato tra pensiero rappresentativo/raziocinante, e
concepente. Il problema nasce quando oggetti della ragione (lassoluto, lo spirito, Dio,
lanima, il mondo etc., non il lato del quadrato o i rapporti causa-effetto in fisica) vengono
definiti mediante predicati finiti, o quando un conoscere finito avanza pretese di verit
incondizionata, universale, oggettiva e necessaria (come ad. sulla natura (inerte) della
materia nei principi della Meccanica). Allora abbiamo conflitto, un conflitto che il
movimento dialettico della proposizione stessa, tra la forma del giudizio intellettivo e
lunit del concetto che distrugge la rappresentazione del soggetto come fondamento, e del
predicato come accidente.
Hegel parla infatti di contraccolpo (Gegensto) che il pensare raziocinante per
rappresentazioni subisce quando, in giudizi dal contenuto speculativo come Dio
lessere, leffettuale luniversale (in cui il soggetto determinato solo nel suo
predicato e solo in quello esso soggetto, gli estremi non sono indipendenti, ma
mutuamente inerenti a livello essenziale), esso inizia a passare naturalmente dal soggetto
come fondamento (secondo la sua rappresentazione ordinaria) ai suoi accidenti, quasi che si
predicasse semplicemente esistenza, esserci o Dasein, di Dio (non lessere), o che si dicesse
che leffettuale universale (e non luniversale).67
La modalit raziocinante del pensare, il cui proprio diritto non tenuto in conto, non
vale, nel modo della proposizione speculativa,68 viene (insolitamente, ungewhnlich, a
sottolineare la differenza con il sapere ordinario o comune, gewhnlich) frenata nel suo
movimento quando trova che i predicati non sono un esserci, unesistenza, ma lessere
come lessenza che esaurisce la natura del soggetto, e che luniversale esprime lessenza

Hegel: proposizione speculativa, cit., p. 90: Hegel riconosce i diritti della proposizione, e quindi del parlare
comune, quantunque sappia e dica che nel comune uso della proposizione e nel comune modo di concepirla, lo
speculativo resta nascosto, inavvertito.
65
W 3, p. 44: Ihr [della matematica] Zweck oder Begriff ist die Gre. Dies ist gerade das unwesentliche,
begrifflose Verhltnis: non ha caso non concepibile, all'interno del sistema hegeliano, una filosofia della
semplice grandezza matematica, ma solo della misura, come quantit qualificata, essenzialmente legata alla
natura della cosa. Per questo aspetto mi permetto di rimandare al mio Mode and Measure in Hegels Science of
Logic: Some Introductory Remarks, The Owl of Minerva, XX, n. 1, 1988, pp. 21-49.
66
W 8, p. 96.
67
W 3, pp. 58-59.
68
Ivi, p. 61: In der Tat hat auch das nicht spekulative Denken sein Recht, das gltig, aber in der Weise des
spekulativen Satzes nicht beachtet ist.

17

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

delleffettuale: il soggetto non pi soggetto, ma sfuma nel predicato, e altrettanto il


predicato non accidente, ma sostanza.69
Scrive Hegel:
La proposizione filosofica (Der philosophische Satz), appunto perch proposizione (Satz), risveglia
lopinione della comune relazione tra soggetto e predicato, e del comune comportamento del sapere. Il
contenuto filosofico della proposizione distrugge (zerstrt) tale comportamento e lopinione relativa;
lopinione esperisce (erfhrt) che si intendeva altro da quello che essa intendeva; e, con questa correzione
della propria opinione, il sapere necessitato a ritornare sulla proposizione e ad intenderla, ora,
diversamente.70

Da notare che per il sapere, cio per il punto di vista filosofico, che necessario
ritornare sulla proposizione e ricomprenderla, perch stato mostrato che nell'esperienza
della sua opinione c, presente, in verit, un rapporto soggetto-predicato che lopposto,
appunto, di quello comunemente ritenuto. Questo non significa per che sia lopinione
stessa, il punto di vista della coscienza naturale, a dover necessariamente mutare, evolversi,
e che si debba ricercare che tale verit si manifesti in tutta la sua pienezza per la stessa
coscienza che lha inizialmente assunta.71 Altrove ho mostrato che, contrariamente a
quanto viene comunemente suggerito, specie da parte anglo-americana, non ritengo che la
certezza sensibile trovi di essere incapace di pronunciare la sua supposta abilit nel
designare i particolari che conosce, senza ammettere luso di concetti.72 N tanto meno
che, imparando da tale esperienza, riveda il suo sapere delloggetto e il proprio sapere di
s come io che conosce. In altre parole, non mi pare che la coscienza naturale (e mi
riferisco qui per semplicit al caso della Certezza sensibile, ma il mio discorso vale anche
per i capitoli Percezione e Intelletto) colga ci che di fatto accade nella sua
esperienza, e conosca con ci essa stessa una sorta di progresso, nella misura in cui
accetta ci che era escluso dalla sua precedente comprensione unilaterale della realt.73
69

Ivi, pp. 59-60. Sul tema del contraccolpo cfr. il 3 di Vitiello, Hegel: proposizione speculativa, cit., pp. 8687.
70
Ivi, p. 60. Sulla base di questo passo Suber afferma che il dominio della proposizione speculativa e quello delle
proposizioni del sapere ordinario sono coestesi. Scrive infatti Surber (Hegels speculative sentence, cit., pp. 227228): Considered simply as an objective linguistic entity (or, in a somewhat different mode of discourse, a
sentence-token), the sentence of simple identity with which we began is no different than the final result of
Hegels analysis: the sentence God is being can express both simple identity and the dialectic of the
speculative. However, the manner in which we consider and reflect upon such a sentence is precisely what is in
question for Hegel. The same sentence becomes speculative by virtue of the very manner in which we comprehend
and reflect upon it [] Thus, when Hegel speaks of the speculative sentence, he refers not to any particular
sentence, distinguished on the basis of some special content or extra-ordinary form, but to comprehend concrete
unity of objective articulation and subjective comprehension which lies at the basis of any occurence of language.
Con questo tipo di considerazioni, tuttavia, Surber non in grado di dar conto di proposizione che sono soltanto
speculative, per forma e contenuto, del tipo: Sein und Nichts ist Eins und dasselbe (cfr. Wohlfart, Der spekulative
Satz, cit., pp. 228-232, e Heede, Die Dialektik, cit., p. 282 e p. 285).
71
Cos ritiene invece Adinolfi, Quel che giunge alla parola, cit., p. 66.
72
Mi riferisco al Cap. II, 2 del mio Dai primi hegeliani a Hegel. Per una introduzione al sistema attraverso la
storia delle interpretazioni, Napoli, La Citt del Sole, in corso di pubblicazione.
73
Cfr. M. H. Miller Jr., The Attainment of the Absolute Standpoint in Hegels Phenomenology, in J. Stewart
(ed.), The Phenomenology of Spirit Reader: A Collection of Critical and Interpretive Essays, Albany, Suny Press,
pp. 427-443: In Hegels Phenomenology of Spirit, immediate sensory consciousness passes to absolute selfconsciousness. In each of the many and substantially diverse intermediate transitions, essentially the same rhythm
of passage occurs: a certain standpoint or shape (Gestalt) of consciousness grasps reality as such-and-such, only
to find that this grasp is one-sided and cannot be maintained except by the further accepting of what it excludes

18

Esercizi filosofici 2002 / Testi

La coscienza esperisce di fatto che, ad esempio, il questo non un che di


immediatamente individuale, ma un universale, tuttavia non lo vede, non lo coglie e non
lo tesaurizza, come tale. solo dal punto di vista del Wir, che lo evidenzia allo sguardo del
lettore con cui interagisce, che si vede che questo il risultato vero di ci che viene
esperito in ogni certezza sensibile. Scrive infatti Hegel:
La stessa coscienza naturale giunge dunque di continuo a questo risultato: che cosa, in tale certezza, il vero;
e di ci fa esperienza; ma come lo raggiunge, cos di nuovo sempre lo oblia, e ricomincia da capo il
movimento (corsivo mio).74

Nel tedesco, per, non c traccia di quel ma come lo raggiunge introdotto da De


Negri, il verbo erreichen non compare, si parla solo di gehen zu diesem Resultate, di
giungere, di arrivare di fatto al risultato delluniversale, e di fare esperienza di questo,
non di raggiungerlo, nel senso di afferrarlo prima, e di perderlo poi, dimenticandoselo.75
Anche la traduzione di Miller fortemente interpretante: This is why the natural
consciousness, too, is always reaching this result, learning from experience (und macht die
Erfahrung darber) what is true in it.76 A mio parere, la coscienza invece non vergit un
risultato che ha raggiunto, in quanto, successivamente, non lo rammemora, ma ne
dimentica, lo oblia, nel senso che non coglie ci che ha davanti: bench faccia parte della
sua esperienza, luniversale non diventa mai, per essa, neppure per un istante, una verit
presente. Come si visto, Hegel afferma, nella certezza sensibile, che la coscienza oblia
(vergit) ci che pure ha di fatto esperito, che in essa (an sich) come verit, riproponendo
continuamente il suo atteggiamento. In questo Vergessen c, a mio parere, tutta la distanza
di Hegel da ogni approccio ottimistico e da ogni supposto progresso della coscienza
naturale. La conoscenza filosofica non si sostituisce ad altre forme di sapere, la coscienza
filosofica non deriva dalla coscienza naturale, non ne levoluzione, non la nega una volta
per tutte, quasi fosse un che di acquisito per sempre: raggiungere il punto di vista del
sapere assoluto richieder sempre la fatica del concetto, un progredire, un emanciparsi
dalla coscienza naturale.77

(p. 427). Si veda anche, pi recentemente, R. Stern, Hegel and the Phenomenology of Spirit, London, Routledge,
2002, p. 47: Hegels central strategy against sense-certainty is to argue that what sense-certainty grasps in
experience is not unique to the individual object (corsivo mio). Pi sofisticata, la riflessione di Westphal sui tratti
caratteristici fondamentali del metodo fenomenologico di Hegel, giunta a ricercarne il possibile prototipo nella
tragedia attica, e in particolare nel percorso catartico di Creonte, mettendo per anche in conto che ogni singola
figura della coscienza non impari dallesperienza (cfr. K. R. Westphal, Lispirazione tragica della dialettica
fenomenologica di Hegel, A, in L. Napolitano (a c. di), Antic i e nuovi dialoghi di sapienti ed eroi. Etica, linguaggio e
dialettica fra tragedia greca e filosofia, Trieste, E.U.T., 2002).
74
Fen., cpv. 20, p. 90.
75
Il testo tedesco dice semplicemente: Das natrliche Bewutsein geht deswegen auch zu diesem Resultate, was
an ihr das Wahre ist, immer selbst fort und macht die Erfahrung darber, aber vergit es nur ebenso immer wieder
und fngt die Bewegung von vorne an (GW 9, p. 68,36-69,2).
76
Hegels Phenomenology of Spirit, trans. by A. V. Miller, with anal. of the text and forew. by J. N. Findlay,
Oxford, Oxford University Press, 1977, cpv. 109, p. 64.
77
Cfr. Vitiello, Hegel: proposizione speculativa, cit., p. 84.

19

Cinzia Ferrini / Soggetto e predicato nella proposizione speculativa hegeliana

5. Conclusioni
Gli interpreti, focalizzandosi sullesempio dellessere come predicato di Dio78 hanno
anche commentato che una simile compulsione del sapere ordinario a ritornare sulla
proposizione non assoluta. Tuttavia, dato che le alternative sarebbero o di rendere triviale
la proposizione, prendendola come una stipulative definition, o di respingerla come un
ovvio nonsense, hanno ripreso, anche molto recentemente lesame di quellintendere
diversamente proposto da Hegel.79
Ora, lesposizione filosofica perfettamente adeguata al proprio contenuto sarebbe
quella plastica, in cui le singole determinazioni fossero cos elaborate da escludere
rigorosamente la comune relazione soggetto-predicato, presentando, esibendo (qui
laccento posto sulla Darstellung e poi sulla dimostrazione, Beweis) il ritornare in s del
concetto, il movimento dialettico della proposizione stessa, guadagnando cos visibile
esistenza determinata esteriore allinteriorit dellintuizione dellessenza delloggetto, come
concetto. In altre parole, se la proposizione deve esprimre ci che il vero (e questo
costituisce il compito della dimostrazione filosofica per concetti), e se il vero la sostanza
come soggetto nel suo movimento dialettico: ritmo autoproducentesi che si spinge oltre e
ritorna in se stesso, allora non si d contenuto alcuno comportantesi come quel soggetto
che starebbe a fondamento e al quale converrebbe il suo significato come un predicato.80
Gadamer commenta questi passi sostenendo che la forma della proposizione si distrugge
dunque da se stessa, in quanto la proposizione speculativa non predica qualcosa di
qualcosaltro, ma porta a rappresentazione lunit del concetto.81 Ma a me sembra che la
conclusione hegeliana sia piuttosto che una esposizione filosofica che fosse plastica non
avrebbe come risultato la semplice distruzione della forma della proposizione in quanto
tale, ma svuoterebbe del tutto di senso la relazione raziocinante tra soggetto-oggetto
espressa dalla forma ordinaria della proposizione, sostituendola con lautoriflessione di
quella relazione stessa.82 Tuttavia, se riteniamo che per Hegel il compito della spekulative
Darstellung sia quello di sormontare quel tipo di relazione soggetto-predicato propria del
sapere e della coscienza non-filosofici, il conflitto tra raziocinio e speculazione non cesser
tuttavia di riproporsi continuamente, dato anche luso della proposizione la cui forma qua
talis la distinzione tra soggetto e predicato per la stessa esposizione filosoficodialettica.83 Allora i due modi, quello speculativo (soggetto automoventesi, predicato come
concetto ed essenza) e quello ordinario (soggetto statico e predicato come accidente), si
mescolano continuamente, disturbandosi a vicenda.
A riprova di questa lettura, possiamo sottolineare il ruolo svolto dallio-che-sa, dal
soggetto enunciatore di discorso speculativo, nei confronti di quel soggetto-sostrato
78

Si veda in particolare Suber, Hegels speculative sentence, cit., pp. 218-226.


Mi riferisco qui a H. S. Harris, Hegels Ladder, vol. I, Indianapolis, Hackett, 1997, pp. 143-146.
80
W 3, p. 62.
81
Gadamer, Verit e metodo, cit., p. 533.
82
Cfr. Simon, Die Kategorien, cit., p. 27: Der philosophische Inhalt ist im Grunde nur die Selbstreflexion der
Gewohnheit als die Erkenntnis, da die Kategorie der Substantialitt das im Subjekt Gemeinte als das zugrunde
liegende Eine setzt, so da es seinen Grund nicht von sich her, sondern in der kategorialen Unterscheidung vom
Prdikat (von allen mglichen Prdikaten) hat, in der es als das Eine bestimmt oder ausgesagt ist []
Philosophisce Inhalte bedeuten nicht Inhaltliches im Sinne gewohnter Vorstellungen, sondern bewirken die
Reflexion der Regeln der stabilitt solcher Vorstellungen.
83
W 3, p. 61: Es kann hierber erinnert werden, da die dialektische Bewegung gleichfalls Stze zu ihren Teilen
oder Elementen habe.

79

20

Esercizi filosofici 2002 / Testi

grammaticale di molti predicati-accidenti che determina il contenuto della proposizione, il


quale come tale rimane invariato, dato che il conflitto riguarda solo la forma del rapporto
soggetto-predicato. Lio-che-sa non pu eliminare mai, infatti, nel predicato, la presenza del
primo tipo di soggetto, che vale come un estremo fisso e indipendente. Pu solo inverarne,
razionalmente, lautonomia e lastrattezza, ma non sostituirsi ad esso per il lato della
Bestimmtheit, della determinazione (che, come abbiamo visto, compito del Verstand). Il
passo cui ci riferiamo il seguente:
Ma mentre quel primo soggetto entra nelle determinazioni stesse e ne l'anima, il secondo soggetto, vale a
dire quello che sa, trova ancora (noch) nel predicato quel primo soggetto, col quale vuole gi aver finito (es
schon fertig sein [] will) e oltre il quale vuole essere tornato in se stesso, e invece di poter essere l'elemento
operante nel muovere il predicato [] ha piuttosto (vielmehr) ancora (noch) a che fare con il s del
contenuto, n deve essere per s, ma insieme con il contenuto medesimo.84

Per concludere, a mio parere dunque, in tutti i casi di coesistenza conflittuale, o


contraccolpo, data la difficolt di intendere in un giudizio il predicato speculativo come
concetto e come essenza, lo speculativo svolger esattamente e solo la funzione di costituire
il non-ordinario freno interiore in un sapere ordinario che continuamente si ripropone. In
questo tipo di ottica filosofica, quel distinguere tra soggetto e predicato che caratterizza la
forma della proposizione in genere assume il significato di costituire il terreno discorde
comune di ragione e intelletto, dove la ragione lotta per sormontare ci che lintelletto ha
fissato, con esiti tuttavia non disgreganti ma al massimo dissonanti, dato che la lotta,
bench distruttiva, si svolge pur sempre nellunit immanente del pensiero come Forma
nelle sue forme, come estesamente dichiarato nel 2 dellEnciclopedia del 1830.
Scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia, rendendo esplicita questa
sottostruttura di tipo eracliteo (Diels nr. 10), con un probabile implicito accenno anche alle
innovazioni della musica strumentale introdotte da Beethoven sin nei primissimi anni
dellOttocento:85
un tale conflitto della forma di una proposizione in genere e dellunit del concetto che distrugge quella
forma, simile a ci che nel ritmo ha luogo tra il metro e laccento; il ritmo risulta dalla oscillante
(schwebenden) mediet e unificazione del metro e dellaccento. Similmente anche nella proposizione
filosofica lidentit di soggetto e predicato non deve annullare (nicht vernichten) la loro distinzione
(Unterschied) espressa (ausdrckt) nella forma della proposizione, anzi la loro unit ha da risultare come
armonia (sondern ihre Einheit [soll] als eine Harmonie hervorgehen).86
84

Ivi, pp. 58-59.


Un analitico ed esaustivo commento allanalogia tra confronto di contenuto e forma della proposizione, e
conflitto tra accento e metro nel ritmo, si trova in Wohlfart, Der Spekulative Satz, cit., pp. 201-208, che sviluppa lo
spunto pi in direzione della versificazione lirica che della musica, riferendosi alle Lezioni di estetica. Sul
riferimento di Hegel alla musica delle composizioni religiose (dedicate alla Passione di Cristo), quando parla del
farsi avanti di una contrapposizione pi profonda che distrugge (zerstrt) lunit immediata e la consonanza, si
veda H. Heimsoeth, Hegels Philosophie der Musik, Hegel-Studien, II, 1963, pp. 161-201; in particolare tutto il
paragrafo Harmonie in Gegenstzen; die Dissonanz, pp. 194-201. Delleloquente silenzio di Hegel su
Beethoven e dunque del loro rapporto implicito parla diffusamente C. Dahlhaus, Hegel und die Musik seiner
Zeit, in O. Pggeler e A. Gethmann-Siefert (hrsg.), Kunsterfahrung und Kulturpolitik im Berlin Hegels, HegelStudien, Beiheft 22, 1983, pp. 333-350, cfr. in particolare le pp. 338-339. Sul tema tornata A. GethmannSiefert, Phnomen versus System. Zum Verhltnis von philosophischer Systematik und Kunsturteil in Hegels
Berliner Vorlesungen ber sthetik oder Philosophie der Kunst, Hegel-Studien, Beiheft 34, 1992, pp. 175-176 e
pp. 179-180. In particolare, con questo accenno a Beethoven, mi riferisco al passaggio dalla forma binaria alla
ternaria del minuetto, cambiandone il rapporto metro-accento nel ritmo, introdotto nella Sinfonia n. 2 del 1802.
86
W 3, p. 59 (corsivo mio).

85

21

RATIONALITY AND RELATIVISM:


HISTORICAL AND CONTEMPORARY SIGNIFICANCE OF HEGELS REPLY TO
*
SEXTUS EMPIRICUS

Kenneth R. Westphal

1. Philosophy is often regarded, even by recent philosophers, as having little


connection to life. While I can understand this impression, I have never shared it. I became
a philosopher mainly because I became increasingly perturbed in the nineteen sixties by
fruitless if passionate moral and political disquisition across apparently irreconcilable
differences of opinion, even differences about relevant facts of the matter. This involves
very basic issues about rationality and relativism.
The dogmatic rejection of the views of those who disagree, or begging the question
against them (petitio principii), may be associated with a universalist self-confidence that
everyone ought to agree with my position. However, by rejecting the views of others,
almost out of hand, as it were, this attitude also reflects a profound relativism: Rejecting the
views of opponents in this way involves recognising that those opponents assess the world
differently, profoundly differently in whatever point is at issue, while providing no grounds
to suppose that the opponents views are any less founded or informed than ones own.
Dogmatism and question-begging grant the views of others merit equal to that assumed for
ones own views, and they lend nothing but frustration to the attempt to resolve the dispute.
Philosophy in the Twentieth Century was a many coloured splendour, with lasting
marks made by a host of original philosophers. Unfortunately, many of these innovators
claimed finally to have found the proper way to philosophise. In consequence, twentieth
century philosophy was highly sectarian. One main division in the field was between
Anglo-American (also Australian) analytic philosophy and European Continental
philosophy. Within analytic philosophy another major divide was drawn between
philosophy proper and history of philosophy, the latter being dismissed as mere scholarship
without philosophical merit. Generally, though not universally, Continental philosophers
retained stronger interest in the history of philosophy.
2. What we view as Modern philosophy began at the turn of the Seventeenth Century
by facing key issues concerning rationality and relativism. Tensions between Galilean
science and Catholic doctrine were only one impetus. The other key impetus was the widespread recognition that Christian religious schisms were irreconcilable. Consequently, any
moral or political principles suitable for governing human conduct in Europe had to be
*

This paper was delivered on 26. March, 2002 to the Department of Philosophy at the University of Trieste. I am
very grateful to the Trieste faculty of philosophy for their stimulating and helpful discussion. I am especially
grateful to Cinzia Ferrini for arranging my lecture in Trieste, for providing an Italian translation of my lecture, and
for serving as translator during the very active discussion that followed my lecture. Pier Paolo Marrone very
kindly arranged for an Italian version of this lecture to appear in Etica et Politica, 4.1 (2002);
http://www.units.it/~dipfilo/etica_e_politica/2002_1/westphal.html

22

Esercizi filosofici 2002 / Testi

justified independently of claims about the Divinity. Whilst remaining devout Christians,
most philosophers turned to reason, to rational suasion, for such justification. The first
major figure to undertake this monumental effort was Hugo Grotius, who is widely and
rightly recognised in Europe as the co-founder of Modern Philosophy. Descartes didnt do
it alone.1
Modern Philosophy bloomed into the Enlightenment, a cultural and philosophical
movement we still live with today, despite a growing host of critics. Multi-culturalist critics
of colonialism and imperialism have much to criticise. Some recent critics have extended
their criticism to the Enlightenment itself, claiming (roughly) that the alleged universality
of reason, triumphantly proclaimed by the Enlightenment, led directly to the imposition of
Eurocentric reason on other, less militarily developed cultures. Further, some of these
critics contend that there is no such thing as universal reason. One question raised by
such criticism is whether fault lies with the Enlightenment view of reason, or with its
misinterpretation or faulty implementation. The answer might well be, all three of these.
I will not now dwell on the historical or political dimensions of these questions. Instead
I shall suggest that there are some serious flaws in the Enlightenment notion of reason. I
shall further contend that identifying and remedying these flaws leads, not to the
abandonment of rational enlightenment, but rather to an improved account of human
rationality.
The Enlightenment conceived human reason in terms of several defining dichotomies. I
shall discuss three of them here. One concerns the relation between reason and tradition.
Another concerns the relation between knowledge and society. The third concerns the
relation between individuals and society.2
3. Reason vs. Tradition. The Enlightenment regarded reason as our ability to assess and
revise our culturally inherited norms and institutions, in a word, our traditions. To perform
this critical function, reason must be independent of tradition. Consequently, it was also
regarded as an inherent endowment of individual human beings. These assumptions
generated an exclusive, even oppositional dichotomy between reason and tradition.
This dichotomy is itself faulty. Reasoning individuals do of course make crucial
contributions to social institutions. However, in making those contributions, individuals
must draw heavily on their training within and their assimilation of the norms, practices and
traditions of their disciplines. Consequently, individual contributions, innovative as they
can be, are thoroughly based in social practices. Individual innovation relies on
unappreciated resources and on unappreciated possibilities of modification latent within
established, traditional practices, in response to unfulfilled aims and aspirations found in
those practices, or in unexpected circumstances or turns of event; typically, in a
combination of all of these.
4. Knowledge, Individuals & Society. Rationality is central to the legitimacy of
principles, norms and institutions, and their legitimacy is closely tied to their acceptability
and their acceptance by some relevant group. How, then, does reason command
interpersonal agreement? The Enlightenments individualist answer is that, because reason
1

See J. Schneewind, The Invention of Autonomy, Cambridge, Cambridge University Press, 1998.
I discuss these points in greater detail in my introduction to Frederick L. Will, Pragmatism and Realism, Lanham
(Md.), Rowman & Littlefield, 1997, pp. Xiii-Lxi.

23

Kenneth Westphal / Rationality and Relativism: Historical and Contemporary Significance of Hegels Reply to
Sextus Empiricus

is the same in each of us, if we each reason carefully, clearly and sincerely, we will arrive at
the same conclusions, because we will recognise the same first premises and follow the
same principles of reasoning. Most prominently, this ideal was expressed in Leibnizs
proposed universal calculus. This view bequeaths to each of us the problem of
determining, by ourselves, when and whether we are in fact reasoning properly or clearly,
and when we are instead influenced by tradition or prejudice. Descartes presented a set of
rules by which we should distinguish our own proper and improper reasoning.
There are at least two problems with this individualist answer. First, if we were to
abstract from a human mind everything it derives from the society and traditions which
have formed it, it would be capable neither of following nor even of understanding
principles or procedures. Second, in practice, this individualist view of reason tends to fail
us precisely where issues of rationality and legitimacy are most important. In circumstances
of unclarity and indecision, rather than helping discern or develop mutually acceptable
principles, it tends to reinforce faction.
The conflicts that arise within a tradition are not necessarily conflicts between reason
and unreason; they are typically conflicts among some of the rational resources principles
and practices of reasoning within that tradition, usually arising when confronting new,
unprecedented developments. Such conflicts are normal, and often arise through the success
of some set of practices within that tradition. The attempt to resolve those conflicts is the
attempt to refashion the rational resources of the tradition in order to accommodate those
developments. This is not merely endemic but is essential to reason. To appreciate the role
of such conflict in the development of rational procedures, of traditions, and to assist our
addressing and resolving such conflicts requires viewing reason as a social phenomenon,
and recognizing that tradition is a part of reason, whilst reason is a part of tradition.
They are not counterparts, nor are they opponents. Reason and tradition are mutually and
thoroughly interdependent.
5. Individualism & Realism vs Historicist Relativism. The individualism involved in
the Enlightenments view of reason is linked to a second dichotomy regarding human
knowledge, more specifically to the issue about realism regarding the objects of human
knowledge. In response to the dispute between Galileo and the Church about the solar
system, it was widely supposed that the only way to uphold realism about the objects of
human knowledge was to provide an essentially individualist account of human knowledge,
according to which individual human beings can, at least in principle, discover and know
things about the world without relying in any essential way on social resources. Conversely,
it was widely supposed that if human knowledge is inherently social, then realism must be
rejected, for in that case, we would be guided by social convention rather than by worldly
facts. This dichotomy has pervasively influenced philosophy from the Enlightenment to the
present day.
6. Notice that the counter-Enlightenment beginning with Herder accepted this
dichotomy, but advocated a social account of human knowledge and accordingly rejected
realism. According to historicist relativism, each culture, indeed each epoch of a culture, is
defined by certain key ideas, and there is no way to evaluate the merits of these ideas,
including how or whether they lead to knowledge of the natural world. If this is true,
realism is untenable. That was Herders conclusion. It has been reiterated repeatedly, even

24

Esercizi filosofici 2002 / Testi

quite recently. For example, many sociologists of knowledge continue in precisely this
vein, as does Richard Rorty. Upon careful analysis, however, this dichotomy proves to be
specious: Realism about the objects of human knowledge is consistent with wellconstructed social accounts of human knowledge. Only recently have a few analytic
epistemologists recognised the important fact.3 Though the example is controversial, I
submit that the history of sciencea profoundly social enterpriseshows this to be the
case. The case for this claim is much more evident once the Enlightenment dichotomy
between reason and tradition is rejected as faulty.
Enlightenment individualism about reason and about knowledge was tied to a third
dichotomy, familiar to many of you from debates about methodological individualism in
social and historical studies. The underlying supposition has been that there are only two
ways to conceive the relations between individuals and societies:
Either

Individuals are basic, whilst societies are composed of individuals.

Or

Societies are basic, whilst individuals are only creatures of society.

Before commenting on the merits of this dichotomy, let me note that this is a
theoretical, philosophical issue with direct political implications: This dichotomy
formulates the major clash in the previous century between the liberal individualist centre
and the monolithic collectivism of the fascist right and left. Thus it is deeply tragic that this
dichotomy is specious. Some reasons for this have already been suggested in my remarks
about the relation between reason and tradition. I shall not marshall further reasons against
this dichotomy, but instead shall state an alternative view of the relation between
individuals and society, which I call Moderate collectivism. Moderate Collectivism
comprises three theses:
Individuals are fundamentally social practitioners. Everything a person does, says, or thinks is formed
in the context of social practices that provide material and conceptual resources, objects of desire,
skills, procedures, techniques, and occasions and permissions for action, etc.
What individuals do depends on their own response to their social and natural environment.
There are no individuals, no social practitioners, without social practices, and vice versa, there are no
social practices without social practitioners, without individuals who learn, participate in, perpetuate
and who modify those social practices as needed to meet their changing needs, aims, and circumstances
(including procedures and information).

7. Deductivism. Below I shall draw some broader conclusions from my criticisms of


these three dichotomies, but first it is important to highlight another key feature of the
Enlightenment view of reason, only touched on above. The Enlightenment conceived of
rational justification essentially in terms of axiomatic deduction, a model drawn directly
from mathematics and logic. The basic idea is that a conclusion can only be justified if it
can be deduced from some privileged set of first premises. The model is well suited to
formal domains such as logic and mathematics. However, the history of philosophical
3

See the contributions by W. P. Alston, P. Kitcher and H. Longino in F. Schmitt (ed.), Socializing Epistemology,
Lanham (Md.), Rowman & Littlefield, 1994; also M. Solomon, Social Empiricism, Nous, 28, n. 3, 1994, pp.
325-43; S. Haack, Manifesto of a Passionate Moderate, Chicago, University of Chicago Press, 1998, ch. 6, and J.
McDowell, Mind and World, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1994.

25

Kenneth Westphal / Rationality and Relativism: Historical and Contemporary Significance of Hegels Reply to
Sextus Empiricus

theory of knowledge (including philosophy of science) from Descartes to the present has
largely been the history of attempts to fit empirical knowledge into this model, coupled
with repeated discoveries of ill fit. The biggest problem has to do with the privileged set of
first premises. What justifies them? Self-evidence has been a very popular candidate.
However, the wide variety of first premises that have been claimed to be self-evident tends
to lend credence to Ambrose Bierces mordant observation that the adjective selfevidence means evident to ones self and to nobody else.4 One charge against the
Enlightenment raised by the counter-Enlightenment and again today by some radical multiculturalists is that different cultures have unique sets of such first premises that cannot be
reconciled with those of other cultures. This is one impetus to the recent resurgence of
historicist relativism.
Put more philosophically, the problem facing such first premises is the classic
sceptical dilemma posed by Sextus Empiricus, the Dilemma of the Criterion. The link
between these issues is two-fold. On the one hand, first premises are used, in effect, as
criteria for determining what is, and what is not justified. Conversely, questioning the
justification of first premises raises directly the issue about criteria for their justification,
and the justification of those criteria, whatever they may be. This is Sextus dilemma:
[I]n order to decide the dispute which has arisen about the criterion [of truth], we must
possess an accepted criterion by which we shall be able to judge the dispute; and in order to
possess an accepted criterion, the dispute about the criterion must first be decided. And
when the argument thus reduces itself to a form of circular reasoning the discovery of the
criterion becomes impracticable, since we do not allow [those who make knowledge claims]
to adopt a criterion by assumption, while if they offer to judge the criterion by a criterion we
force them to a regress ad infinitum. And furthermore, since demonstration requires a
demonstrated criterion, while the criterion requires an approved demonstration, they are
forced into circular reasoning.5

Though this dilemma had a pervasive, if often subterranean influence on Modern


philosophy, few Enlightenment philosophers confronted it directly, in part because they
were transfixed by an axiomatic-deductive account of justification, which they assumed
settled the issue about the nature and criteria of justification. Please note that the Dilemma
of the Criterion raises at a theoretical level precisely the issues highlighted by pluralists and
radical multi-culturalists about cross-cultural (mis-)understanding. This Dilemma also
raises the issues confronting me during the social turmoil I witnessed as a youth.
Philosophical attention to these dichotomies, and to the Dilemma of the Criterion,
waxed in the late Eighteenth Century with Kant, and grew dramatically in the early
Nineteenth Century, especially with Hegel, to whose philosophy these issues are central.
Unfortunately, Kant and Hegel pursued these issues in ways and in language that others
often found difficult, if not impossible to understand. In part this was because Kants and
Hegels interpreters, whether favourable or critical, endorsed the very Enlightenment
dichotomies and Ide s fixes that Kant and Hegel criticised. Certainly Hegels self-styled
expositors carry much responsibility for this, for they typically turned to the enigmatic but
apparently exciting things Hegel says at the end of a major treatise, without taking Hegel at
his word, that those statements can only be understood on the basis of their derivation and

A. Bierce, The Devils Dictionary, New York, Dover, 1958, p. 123.


Sextus Empiricus, Outlines of Pyrrhonism, Works, 4 vols., R. G. Bury, trans. Cambridge, Harvard University
Press, 1933; vol. 1, bk. 2, ch. 4 20; cfr. bk. 1, ch. 14 116-17.
5

26

Esercizi filosofici 2002 / Testi

justification throughout the whole of any one of his books. The situation was ripe for
generating confusion and rubbish, and unfortunately that is what happened.
Hence it is entirely understandable that near the beginning of the Twentieth Century
Moore and Russell founded analytic philosophy by revolting against what they took to be
the excesses of German Idealism. In 1922 Russell declared,
I should take back to the 18th century as a battle-cry, if I could entertain any hope that others would
rally to it.6

8. Russells exhortation was unexpectedly effective. Analytic philosophers returned in


droves to Eighteenth-Century, essentially Enlightenment and especially Humean principles,
in part because they thought they could avoid the pitfalls of their predecessors by using
their new-found methods of logical and linguistic analysis. Ever since, Nineteenth-Century
philosophy, especially German Idealism, has been officially proscribed by Anglo-American
analytic philosophy, and has been left as terra incognita. Innovative and useful as the
various logical and linguistic methods of analysis developed in analytic philosophy are
and they are crucially important much of analytic philosophy has also been strangely
anachronistic. Indeed, recent decades have witnessed the re-emergence of precisely those
issues raised by the Enlightenment dichotomies discussed above. Hence the current
relevance of Hegels philosophy.
The Dilemma of the Criterion has had a striking career in analytic philosophy. It was
included in a classic anthology in theory of knowledge published in 1965, and then dropped
thereafter until only a few years ago (1995), when it once again was included in such an
anthology.7 Roderick Chisholm, a very prominent epistemologist, stated that the Dilemma
is the most difficult of philosophical problems. He was one of the scant dozen analytic
epistemologists to say anything directly about this Dilemma. Remarkably, in their attempts
to clarify the Dilemma, analytic epistemologists have re-stated the Dilemma in terms more
amenable to their proposed solutions and in so doing, have distorted and diluted Sextus
Dilemma.8
In sum, suspicious of system-building and grand metaphysics, especially any that treats
everything as manifestations of cosmic spirit, confident of their essentially Enlightenment
assumptions and ignorant of the Dilemma of the Criterion, analytic philosophers were
unable to appreciate, even to recognise Hegel's theory of knowledge. Hegels expositors
failed to remedy the situation, in part because they often shared the same Enlightenment
assumptions, though they liked grand metaphysics of cosmic spirit. In the Twentieth
Century Hegel scholars often took refuge in grand metaphysics to avoid the onslaught of
analytic theory of knowledge. Disinterest in theory of knowledge led Hegels expositors to
ignore a crucial and profound dimension of his philosophy.
In the mid-Nineteen Sixties, Sir Peter Strawson declared,
6

The Collected Papers of Bertrand Russell, J. Passmore (gen. ed.), London, Routledge, 1994, vol. 9, p. 39.
Ernest Nagel & Richard Brandt (eds.), Meaning & Knowledge: Systematic Readings in Epistemology, New York:
Harcourt, Brace & World, 1965, p. 381; Paul Moser & A. vander Natt (eds.), Human Knowledge: Classical &
Contemporary Approaches, New York, Oxford University Press, 19952, pp. 87-88.
8
See K. R. Westphal, Hegels Epistemological Realism: A Study of the Aim and Method of Hegels
PHENOMENOLOGY OF SPIRIT, Dordrecht & Boston, Kluwer, 1989, and Id., Hegels Solution to the Dilemma of the
Criterion, revised version in J. Stewart (ed.), The Phenomenology of Spirit Reader: A Collection of Critical and
Interpretive Essays, Albany, State University of New York Press, pp. 76-91.
7

27

Kenneth Westphal / Rationality and Relativism: Historical and Contemporary Significance of Hegels Reply to
Sextus Empiricus

nearly two hundred years after they were made, [Kants key insights] have still not been fully absorbed
into the philosophical consciousness.9

9. My intensive research on Kants philosophy has re-confirmed Strawsons


assessment. Recently I had the opportunity to learn directly from him that he, too, still finds
this the case. And if philosophical consciousness by which Strawson meant, the
philosophical consciousness of analytic philosophers has yet to absorb Kant's philosophy,
it is hardly prepared to absorb Hegels, for Hegel developed his philosophy through a
profound internal critique of Kants.
An astonishing feature of Hegels philosophy, and especially of his account of reason,
is that he developed it in order to defend and re-legitimise some key Enlightenment ideals
of reason in the face of the relativist onslaught of Herders historicism. Unfortunately,
Hegels rejection of Enlightenment individualism was interpreted by expositors and critics
alike in terms of the faulty Enlightenment dichotomies discussed earlier. The first profound
critic of historicist relativism was thus mistaken, by staunch opponents of historicist
relativism, for precisely the kind of historicist relativist that Hegel criticised!
Hegel re-stated Sextus Dilemma of the Criterion right in the middle of the
Introduction to his first major work, The Phenomenology of Spirit (1807). There he
develops an extremely sophisticated solution to that Dilemma, and in the body of his text he
criticises precisely the Enlightenment dichotomies I highlighted earlier. What I call
moderate collectivism is Hegels innovation. He was the first philosopher to recognise
that reason and tradition are mutually interdependent intellectual resources. He was the first
philosopher to realise that realism is consistent with a sober social and historical account of
human knowledge. He was the first philosopher to develop a full theory of reason and
rational justification that provided a powerful alternative to the axiomatic-deductive model.
Much as I would like, I cannot go into details here, though I have done so elsewhere,
for anyone who may be interested.10 I should like to highlight, briefly, two points that allow
me to reconnect these specific issues with the broader theme of rationality and relativism
with which I began. First, Hegel recognised that responding effectively to Sextus Dilemma
of the Criterion requires developing conjoint accounts of constructive self-criticism and
mutual criticism. These accounts Hegel provides in the Phenomenology of Spirit. It is
striking that only a handful of analytic epistemologists have remarked on the importance of
self-criticism, though none of them provided an account of it, and none have linked this
issue to Sextus Dilemma.
Part of Hegels account of rationality in terms of constructive self- and mutual
criticism can be put by considering reason in terms of what I have come to call mature
judgment. Mature judgment involves the ability to discern and define the basic parameters
of a problem, to distinguish relevant from irrelevant and more relevant from less relevant
considerations bearing on a problem, to recognize and to formulate important questions and
sub-questions that must be answered in order to resolve a problem, to determine proper
9
The Bounds of Sense, London, Methuen & Co., 1966, p. 29. The key insights Strawson stressed concern our
ability to distinguish between the objective order of events and the subjective order of our experience of those
events, and that this distinction is implicit in the concepts under which the contents of experience are brought.
10
See K. R. Westphal, Hegels Solution, cit.; Id., Hegels Manifold Response to Scepticism in the Phenomenology
of Spirit, Procedings of the Aristotelian Society, n. 103, 2003, pp. 149-78, and Id., Hegels Epistemology: An
Introduction to his Phenomenology of Spirit, Cambridge (Mass.), Hackett Publishing Co., 2003.

28

Esercizi filosofici 2002 / Testi

lines of inquiry to answer those questions, to identify historical or social factors that lead
people to formulate questions or answers in particular ways, to think critically about the
formulation or reformulation of the issues, to consider carefully the evidence or arguments
for and against proposed solutions, to accommodate as well as possible the competing
considerations bearing on the issue, through these reflections and inquiries to resolve a
problem, and ultimately to organize and to present these considerations clearly and
comprehensively to all interested parties. These qualities of judgment are cardinal
intellectual virtues. They are central to the arts and humanities, they are crucial to
philosophy, and they are very important in any intelligent inquiry in any of lifes many
activities, whether professional, commercial, political or personal.
10. Some of the great significance of mature judgment can be recognised if we bring it
to bear on the Dilemma of the Criterion and the question raised earlier about the status of
the first premises within an axiomatic-deductive account of justification. Any deductivist
account of justification inevitably confronts Sextus Dilemma, and provides no resources
for resolving it, simply because it considers justification solely in terms of deduction from
some higher, broader first premise or principle. Hence it has nothing to offer regarding
the justification of first premises. Either it is off on an infinite regress, or it is dogmatic, or
begs the question, or is viciously circular: precisely the fate Sextus forecast. It is not too
much to say that the kinds of relativism propounded by Kuhn, Paul Feyerabend, Nelson
Goodman, Richard Rorty, anti-realist sociologists of knowledge and indeed by the logical
positivists logical positivist, Rudolph Carnap, all stem directly from the inadequacies of
the axiomatic-deductive account of justification that was central to analytic philosophy of
science.11
However, if rationality is conceived in terms of rational self- and mutual criticism, in
which deductive reasoning has a central, though not exclusive role to play, then the door is
open for developing a pragmatic account of rational justification. Hegel was the original
pragmatist, and the lessons I have reviewed here were learned well by Peirce, Dewey and
James, however hard they sometimes made it for their readers to see these important points.
As a point of departure, let me borrow a characterisation of pragmatism from Wilfrid
Sellars, who notes that pragmatism is a distinct alternative to the two standard accounts of
justification, foundationalism and coherentism. Within theory of justification,
foundationalism holds that certain bits of knowledge are basic and are justified
independently of any other bits of basic knowledge, whilst all other knowledge is justified
by deriving it from basic bits of knowledge. In contrast, coherentism holds that there is
no such distinction between basic and derived knowledge, and that any bit of knowledge is
only justified by the ways in which, and the extent to which, it coheres with the rest of our
knowledge. Foundationalism adheres to the axiomatic-deductive model of justification;
coherentism does not. However, coherentism, including its popular recent variant,
reflective equilibrium, cannot account for improvement in the veracity of systems of
belief. Standard coherentist views ultimately boil down to just muddling through.
Sellars comments:
Above all, the [foundationalist] picture is misleading because of its static character. One seems forced
to choose between the [foundationalist] picture of an elephant which rests on a tortoise (What supports
11

See references given in note 9.

29

Kenneth Westphal / Rationality and Relativism: Historical and Contemporary Significance of Hegels Reply to
Sextus Empiricus
the tortoise?) and the [coherentist] picture of a great Hegelian serpent of knowledge with its tail in its
mouth (Where does it begin?). Neither will do. For empirical knowledge, like its sophisticated
extension, science, is rational, not because it has a foundation but because it is a self-correcting
enterprise which can put any claim in jeopardy, though not all at once.12

Clearly Hegel was no foundationalist. Despite wide-spread opinion to the contrary,


Hegel was no coherentist in any familiar (and untenable) sense of the term.
11. Hegel and his pragmatist successors are all fallibilists; they recognise that human
knowledge is corrigible, though they recognise this is not a curse but instead a blessing. It is
a blessing because whatever we may take as first premises, either in empirical knowledge
or in guiding action, is justified only to the extent that those premises or principles are
demonstrably superior to their alternatives, whether historical or contemporary, that they
are adequate to their intended domains, and that they continue to perform their roles
adequately in the face of renewed occasions of their use, often in changed circumstances.
By scrutinising their functioning in new circumstances and in view of all known
alternatives, we can assess their soundness and we can determine in what regards our
principles, even our first principles, require refinement, extension, revision or even
replacement. Working principles against practices, working principles against the facts we
encounter, and vice versa, will appear hopelessly ineffective or even viciously circular to
many philosophers. So it must appear until the possibility and the great prospects of
constructive self- and mutual criticism are appreciated. It is unfortunate that these crucial
points have been so widely neglected by philosophers, even in the present day.
Hegel and the pragmatists developed a very sophisticated account of meaning in terms
of use, well before Wittgenstein gave currency to the phrase. Precisely because the
legitimacy and the very meaning of supposed first premises lie in their use they are not
static ides fixes. They are instead open to critical appraisal and revision when they are
monitored in their actual use. Only through monitoring their use that is, monitoring our
own use of them can we critically assess our own first premises. This is one key
element of constructive self-criticism. This, too, requires mature judgment.
A careful textual analysis reveals that Hegel analyzes our consciousness of an object
into six main aspects. Hegel distinguishes the object itself from our concept of the object
itself. Likewise, he distinguishes between ourselves as actual cognitive subjects in our
actual cognitive engagements from our self-concept as engaged cognitive subjects. More
importantly, Hegel analyzes our experience of an object, and likewise our experience of
ourselves as cognitive subjects, as resulting from our use of these concepts in attempting to
know their objects. This is to say, our experience of the object results from our use of our
concept of the object in attempting to know the object itself. Likewise, our self-experience
as knowers results from our use of our cognitive self-concept in attempting to know
ourselves in our cognitive engagements.
Consider this table of the aspects Hegel distinguishes:
A. Our concept of the object.

1. Our cognitive self-concept.

B. Our experience of the object.

2. Our cognitive self-experience.

12

W. Sellars, Empiricism and the Philosophy of Mind, in Id., Science, Perception and Reality, London,
Routledge & Kegan Paul, 1963, p. 170.

30

Esercizi filosofici 2002 / Testi

C. The object itself.

3. Our cognitive constitution & engagement


themselves.

12. In this way, our experience of the object (B) is structured both through our concept
of the object (A) and through the object itself (C). Likewise our experience of ourselves (2)
is structured both through our cognitive self-concept (1) and our actual cognitive
constitution and engagement (3). Hegel's analysis implies directly that, on the one hand, we
have no concept-free empirical knowledge, and likewise no concept-free self-knowledge.
On the other hand, neither are we trapped within our conceptual scheme! Put positively, our
experience of the object (B) can only correspond with the object itself (C) if our concept of
the object (A) also corresponds with the object itself (C). Likewise, our cognitive selfexperience (2) corresponds with our actual cognitive constitution and engagement (3) only
if our cognitive self-concept (1) also corresponds with them (3). Put negatively and
critically, insofar as our concept of the object (A) or likewise our cognitive self-concept (1)
fail to correspond with their objects (C, 3), we can detect and correct this lack of
correspondence, though only through sustained and pointed attempts to comprehend our
objects (C, 3) through use of our concepts (A, 1) in our experience of those objects (B, 2).
Such attempts can inform us whether and how our concepts (A, 1) can and must be revised
in order to improve their correspondence with their objects (C, 3).
Moreover, our concept of the object (A) and our cognitive self-concept (1) must
mutually correspond, in the sense that we conceive of the object (A) in ways that can be
known in accord with our cognitive self-concept (1), and our cognitive self-concept (1) is of
a cognitive subject who can know such objects as we conceive them (A). These concepts
must not merely be consistent, but must support each other. Likewise our experience of the
object (B) and our cognitive self-experience (2) must support each other. Finally, our
concept of the object (A) must be such that it renders our cognitive self-experience (2)
intelligible, and our cognitive self-concept (1) must render our experience of the object (B)
intelligible. In sum, the four aspects (A, B, 1, 2) must mutually correspond and mutually
support each other in the sense that they ground or justify each other. However, those
aspects can only do this insofar as our concepts (A) and (1) correspond to their objects (C)
and (3). At the broad level of the critical examination of key concepts of human empirical
knowledge, where different concepts (or models) of the objects of empirical knowledge
require different concepts (or models) of empirical knowledge, this complex of
correspondences is a sufficient criterion of the truth, and hence also the justification, of an
epistemology.
One important point must be noted directly. Hegels criterion of epistemic justification
directly entails a fallibilist account of philosophical justification. On the one hand, this
fallibilism results from the circumstance that, on Hegels view, a philosophical theory of
knowledge can only be justified through pointed, not only prior but also on-going and
future attempts to use its main concepts in connection with their objects to account for
human empirical knowledge. Hegels fallibilism also results from the circumstance, central
to his account of determinate negation, that an epistemology can only be justified through
thorough, strictly internal critique of alternative theories of knowledge. However, the
alternative theories of knowledge form no closed series. Since 1807 a wide range of new
theories of knowledge have been developed, along with new variants of older theories of
knowledge. All of these must be carefully considered in order to reassess, and so far as

31

Kenneth Westphal / Rationality and Relativism: Historical and Contemporary Significance of Hegels Reply to
Sextus Empiricus

possible preserve, improve, or if need be diminish the justification of an epistemology,


whether Hegels or any other. Plainly, Hegels epistemology and its attendant metaepistemology requires of us lots of intensive homework. No doubt this, too, is a reason
philosophers have sought simpler, more straightforward theories of knowledge.
Clearly, and especially on Hegels view, constructive self-criticism and mutual
criticism require careful and thorough exercise of mature judgment. Mature judgment is
crucial to rational justification. Mature judgment is crucial to public life, all the more so in
a global community. For mature judgment is crucial to public reasoning and discourse. The
problem Grotius and others of the early Enlightenment realised regarding Christian
religious schisms extends directly to the problem of cultural pluralism: Fundamentally
different cultures can be based on fundamental differences in religion or other forms of
social tradition. The long-developed and still expanding globalisation of commerce and
discourse requires us to find mutually acceptable, mutually respectful ways of living
together, minimising conflict to whatever degree we can, and seeking peaceful means of
resolving conflict as it arises. An important point recognised by early Enlightenment
figures, and by Kant and Hegel, is that reasoning publicly, exercising mature judgment in
the attempt to resolve disagreements in mutually acceptable ways, is consistent with a
private use of reason that bases ones conclusions or actions on whatever particular
religious outlook or cultural tradition to which one adheres.
13. Please notice that Kants great principle, that we ought to respect each human being
as a free rational agent, is built right into the pragmatic account of justification, which Kant
himself first sketched. Precisely due to our fallibility, we can only regard our own claims
and principles as justified to the extent that they withstand public scrutiny. To regard others
as capable of critical assessment of ones own claims and principles IS to respect them as
free rational agents. (While central, this does not of course exhaust what is required to
respect others as free rational agents.) Hegel recognised the central importance of Kants
insight, and developed it much more thoroughly and explicitly. We cannot reason
legitimately without reasoning self-critically, without reasoning publicly, without reasoning
multi-laterally, without actively seeking out and responding seriously to the critical
assessment of all others who are concerned with or affected by the point or principle at
issue.
I should like to close with one final thought. The qualities of judgment I have
highlighted as belonging to mature judgment are cardinal intellectual virtues. However,
these qualities of judgment cannot be learned by taking a course in them, as Wittgenstein
says. They are the indirect result of training and education in more specific subjects. They
are correlated with a subtle understanding of a topic, but they are not reducible to mastery
of the factual component of the topic understood.13
Rationality, in the form of mature judgment, may not do all we want or need. But it is
the best we have for grappling with human finitude and fallibility, including human
conflict. I close by suggesting, as sincerely and forcefully as I am able, that mature
judgment is the ultimate goal of higher education. Because of its lack of substantive and
methodological presuppositions, philosophy has a special, though not at all an exclusive
13

I discuss these points a bit more fully in K. R. Westphal, Integrating Philosophies of Mind and of Education:
Comments on Cunningham, in Philosophy of Education 1999, Urbana (Ill.), Philosophy of Education Society,
2000, pp. 147-52.

32

Esercizi filosofici 2002 / Testi

obligation to help to bring about mature judgment so far as possible. Simply put, this IS
enlightenment.

33

PROBLEMI PER LA CONCEZIONE TRADIZIONALE DELLA COMUNICAZIONE


*
LINGUISTICA

Christopher Gauker
1. La concezione tradizionale della comunicazione linguistica
Secondo la concezione tradizionale dellessenza della comunicazione linguistica, la
principale funzione della lingua quella di mettere il (o la) parlante in condizione di
rivelare agli ascoltatori (o ascoltatrici) i contenuti proposizionali dei propri pensieri. Le
fonti storicamente decisive per questa idea di comunicazione comprendono le opere di John
Locke e Gottlob Frege e, pi di recente, Paul Grice. Si tratta di un terreno comune che
collega molti autori recenti, tra cui Robert Stalnaker, David Lewis, David Kaplan, Dan
Sperber e Deirdre Wilson. Credo che questa teoria possa essere criticata da molti punti di
vista. In questo scritto, svilupper brevemente soltanto tre critiche.
Conformemente alla concezione tradizionale, il processo di comunicazione
fondamentalmente questo: si suppone che un (o una) parlante abbia un pensiero in mente, e
si suppone che tale pensiero abbia un certo contenuto proposizionale. Il (o la) parlante
vorrebbe che lascoltatore (o ascoltatrice) riconosca il fatto che lui (o lei) ha quel tale
pensiero in mente. Il (o la) parlante sceglie di dire certe specifiche parole con laspettativa
che sulla base delle parole da lui (o lei) pronunciate, lascoltatore (o ascoltatrice) sia in
grado di riconoscere che ha un pensiero con quel contenuto proposizionale. Il (o la) parlante
si aspetta che lascoltatore (o ascoltatrice) sia in grado di fare ci perch suppone che questi
condivida con lui (o lei) un determinato modo di comprendere il significato delle parole
pronunciate.1
Per esempio, supponiamo che Riccardo creda che ci sia un pericoloso mostro alle
spalle di Violetta, che le si sta avvicinando. In altre parole, Riccardo ha una credenza con il
seguente contenuto proposizionale: un mostro alle spalle di Violetta le si sta avvicinando.
Riccardo vuole che Violetta riconosca che egli ha questa credenza, sperando che
riconoscendo ci, ella giunga a credere o quanto meno a prendere in considerazione come
unipotesi la proposizione che un mostro alle spalle di Violetta le si sta avvicinando. (Il che
a sua volta potrebbe indurla a guardarsi intorno, vedere il mostro, e scappare.) Cos
Riccardo pronuncia le parole C un mostro dietro di te!. Egli pronuncia proprio queste
parole piuttosto che altre, perch crede che come risultato del suo proferimento, Violetta
riconoscer che egli crede che un mostro alle sue spalle le si sta avvicinando. Egli si aspetta
che Violetta riconosca in lui questo pensiero, perch suppone che ella condivida con lui il
modo di comprendere il significato di queste parole.

Conferenza tenuta presso il Dipartimento di Filosofia il 18 dicembre 2000. Traduzione dallinglese di Ambra
Baesso.
1
Per riferirsi agli attori della comunicazione, lautore usa coerentemente in tutto larticolo il doppio pronome
maschile e femminile. Pur condividendo in linea di principio questa scelta, non labbiamo applicata a tutta la
traduzione a causa delle difficolt di lettura che avrebbe comportato duplicare non solo i pronomi, ma anche gli
articoli e qualche sostantivo (N.d.T.).

34

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Ci si potrebbe domandare a questo punto come si ritiene che lascoltatore faccia a


riconoscere, in base alla scelta di parole fatta dal parlante, il contenuto proposizionale del
suo pensiero. Tipicamente, le parole del parlante esprimono una proposizione. Pu darsi
che non ci sia una singola proposizione che queste parole esprimono in qualunque
occasione vengano pronunciate. Ma alla luce dei significati delle parole scelte dal parlante
congiuntamente al contesto in cui questi parla, ci sar ununica proposizione che le sue
parole esprimono. Per esempio, le parole pronunciate da Riccardo C un mostro dietro di
te, in un contesto in cui Riccardo il parlante e Violetta la persona a cui ci si rivolge
esprimono una certa proposizione, mentre in un contesto in cui Violetta a parlare e
Riccardo la persona a cui ci si rivolge ne esprimerebbero un'altra. Tipicamente,
lascoltatore pu presumere che il contenuto proposizionale del pensiero che il parlante
vuole che egli riconosca in lui coincide con la proposizione che le parole pronunciate
esprimono alla luce del loro significato e del contesto nel quale sono pronunciate. Cos
Violetta pu presumere che il contenuto proposizionale del pensiero che Riccardo vuole
che lei riconosca in lui la proposizione che c un mostro dietro di lei.
Possiamo distinguere almeno due concetti di significato in questa teoria. Primo, ci
sono quei significati ai quali pensiamo come contenuti proposizionali dei pensieri che i
parlanti vogliono che gli ascoltatori riconoscano in loro sulla base della loro scelta delle
parole. Secondo, ci sono i significati delle parole. Questi ultimi si combinano con il
contesto di proferimento per determinare il contenuto proposizionale che lenunciato del
parlante esprime. Le proposizioni sono sia i contenuti dei pensieri, che i parlanti vogliono
che gli ascoltatori riconoscano in loro, sia i contenuti degli enunciati, che gli enunciati
esprimono alla luce dei loro significati e dei contesti in cui sono pronunciati.
Conformemente a questa teoria, ancora, il contenuto proposizionale del pensiero che
il parlante vuole che lascoltatore riconosca in lui tipicamente identico alla proposizione
che le parole del parlante esprimono alla luce del loro significato e del contesto. Ma bench
solitamente sia cos, non sempre cos. Per esempio, un parlante potrebbe esprimersi
ironicamente. Nellironia, il pensiero che il parlante vuole che lascoltatore riconosca in lui
ha un contenuto proposizionale diverso dalla proposizione che le sue parole esprimono.
Inoltre, una persona pu insinuare pi di quello che dice letteralmente. In tal caso, il
parlante potrebbe volere che l'ascoltatore riconosca in lui pensieri aggiuntivi in pi e oltre
quelli i cui contenuti proposizionali sono espressi dalle sue parole.
Uno dei pregi della concezione tradizionale della comunicazione che sto tentando di
illustrare che sembra fornirci una cornice allinterno della quale possiamo formulare le
norme del discorso. In particolare, nei termini di questa teoria possiamo definire un
chiaro criterio di riuscita per la comunicazione e quindi, su questa base, articolare gli
obbiettivi dell'attivit linguistica. Conformemente alla teoria, la comunicazione ha esito
positivo se lascoltatore giunge effettivamente a riconoscere il contenuto proposizionale del
pensiero che il parlante voleva fargli riconoscere e lo fa sulla base della sua comprensione
del significato delle parole del parlante. Avendo definito la buona riuscita della
comunicazione in questi termini, possiamo allora dire che la prima regola della
conversazione che il parlante scelga le proprie parole in maniera tale che lascoltatore,
sulla base di un modo condiviso di comprendere i significati delle parole e del contesto di
proferimento, possa correttamente identificare il contenuto proposizionale del pensiero del
parlante.

35

Cristopher Gauker / Problemi per la concezione tradizionale della comunicazione linguistica

Inoltre, possiamo impiegare il concetto di contenuto proposizionale nel definire delle


propriet normative quali la validit logica. La validit logica risulter quindi essere prima
di tutto una relazione tra proposizioni e solo in secondo luogo una relazione tra gli enunciati
che le esprimono. Se pensiamo alle proposizioni come a insiemi di mondi possibili, allora
possiamo dire che una proposizione ne implica logicamente unaltra se e solo se la prima
un sottoinsieme della seconda. La validit logica come relazione tra enunciati pu quindi
essere definita in questi termini: un enunciato ne implica logicamente un altro se e solo se
in ogni contesto, la proposizione che il primo enunciato esprime in quel contesto un
sottoinsieme della proposizione che il secondo enunciato esprime in quello stesso contesto.
La concezione tradizionale, cos come lho definita, strettamente collegata con una
certa idea della cognizione. La concezione tradizionale essa stessa un tentativo di
descrivere i processi mentali che conducono all'attivit linguistica e i processi mentali che
conducono alla comprensione da parte dell ascoltatore. Ma oltre a ci, la concezione
tradizionale della comunicazione collegata con una pi ampia teoria del pensare, secondo
cui il pensare pu essere concepito come un processo che porta da stati mentali dotati di
contenuto proposizionale ad altri stati mentali dotati di contenuto proposizionale. Il
collegamento tra la concezione tradizionale della comunicazione e questa pi ampia teoria
del pensare il seguente: solo se pensare processare pensieri dotati di contenuto
proposizionale, la comunicazione intesa come espressione di proposizioni potr avere nelle
faccende umane il valore che le si attribuisce.
Rivolger ora la mia attenzione ad alcune critiche alla concezione tradizionale della
comunicazione. La mia intenzione non quella di produrre una confutazione decisiva. Ma
solo quella di mettere insieme un piccolo fastello di problemi evidentemente fondamentali,
per condurre il lettore a sospettare che ci sia nella concezione tradizionale della
comunicazione qualcosa di fondamentalmente sbagliato.

2. Interpretazione
Il primo problema che vorrei discutere riguarda linterpretazione. Di nuovo, la
concezione tradizionale della comunicazione ritiene che, tipicamente, la proposizione che le
parole del parlante esprimono in un contesto sia identica al contenuto proposizionale del
pensiero che il parlante vuole rivelare allascoltatore. Il primo dubbio che desidero
sollevare concerne linterpretazione degli enunciati in un contesto: come si immagina che il
contesto, insieme al significato delle parole del parlante, riesca a determinare una
particolare proposizione?
Ci sono molti modi in cui la proposizione che un enunciato esprime dipende dal
contesto. Un importante aspetto del contesto il dominio del discorso. Dobbiamo prendere
in considerazione il dominio del discorso quando interpretiamo un qualsiasi enunciato
quantificato, cio un enunciato contenente parole come ogni o qualche. Per esempio,
supponiamo che qualcuno stia aiutando un amico a trasferire le proprie mercanzie in un
camion per trasportarle in un nuovo appartamento. Quando hanno finito, potrebbe rivolgersi
allamico e dire: Ogni cosa nel camion. In questo caso, la proposizione espressa non
che ogni cosa delluniverso nel camion, compresi il Sole e la Luna. La proposizione
espressa che ogni cosa che si suppone debba essere trasportata allaltro appartamento in
quel camion. Cos il dominio del discorso l'insieme di oggetti che si suppone debbano

36

Esercizi filosofici 2002 / Testi

essere trasportati all'altro appartamento. Oppure si immagini una docente universitaria che
all'inizio della lezione, in piedi di fronte alla propria classe, si guarda in giro e dichiara:
Non tutti sono presenti. A seconda del dominio del discorso, questo potrebbe significare
sia Non tutti coloro che sono regolarmente iscritti al corso sono presenti, che Non tutti
coloro che hanno frequentato di recente sono presenti.
Da che cosa deriva, il dominio del discorso? Perch dovremmo dire che proprio un
insieme di elementi, piuttosto che un altro, quello relativamente al quale dovremmo
interpretare un certo enunciato? Ecco due possibili risposte: primo, potremmo dire che il
dominio del discorso sempre linsieme di elementi che il parlante ha in mente.
Nellesempio del camion, potremmo dire che il dominio linsieme delle cose che devono
essere trasportate da un appartamento allaltro semplicemente perch era questo linsieme a
cui il parlante stava pensando, e pensare proprio a queste cose ci che lo ha spinto a dire
ci che ha detto. Laltra possibile risposta che il contenuto del dominio sia determinato da
un contesto esterno. Nellesempio dellinsegnante universitaria, potremmo dire che il
dominio linsieme degli studenti che hanno frequentato di recente, in opposizione
allinsieme degli studenti ufficialmente iscritti al corso, perch in effetti questo il gruppo
di persone che oggettivamente pertinente. Linsegnante si sta domandando se iniziare la
lezione, e la domanda pertinente se debba aspettare larrivo di altri studenti che hanno
frequentato di recente.
Il problema per la concezione tradizionale che nessuna di queste risposte
completamente soddisfacente dal suo punto di vista. Si consideri il fatto che, in questa
prospettiva, si suppone che lascoltatore colga quale proposizione il parlante ha in mente in
base al contesto e al significato delle sue parole. Ma se, alla nostra domanda sui fattori che
determinano il dominio del discorso, diamo la prima risposta, allora lascoltatore per
comprendere questo aspetto del contesto dovrebbe conoscere piuttosto approfonditamente
quello che il parlante ha in mente. Nella misura in cui il dominio del discorso un aspetto
del contesto il cui contenuto deve essere identificato dallascoltatore per conoscere quale
proposizione il parlante ha in mente, se il dominio del discorso deve essere identificato con
linsieme delle cose che il parlante ha in mente, lascoltatore deve proprio imparare un bel
po di cose riguardo a ci che il parlante ha in mente prima di trovarsi nella posizione di
poter interpretare le sue parole e in tal modo apprendere ci che ha in mente. In tale misura
perci le parole non possono essere utili per rivelare allascoltatore il contenuto della mente
di colui che parla, il che, conformemente alla concezione tradizionale, la principale
funzione della lingua.
Consideriamo, a questo punto, la nostra seconda risposta, conformemente alla quale il
contenuto del dominio determinato dal contesto esterno, indipendentemente da ci che il
parlante ha in mente. Questo non significa che il dominio del discorso non debba in nessun
caso coincidere con ci che il parlante ha in mente. La tesi solo che il parlante deve
scegliere le proprie parole in modo tale che lascoltatore lo possa interpretare correttamente
se assume che il dominio del discorso sia quello determinato dal contesto esterno. Il
problema in questa risposta che nellambito della concezione tradizionale non sembra
esserci alcun modo possibile in cui il contesto esterno determini il contenuto del dominio
del discorso. Non di alcun aiuto dire che il dominio consiste di quegli elementi che sono
salienti nel momento e nel luogo della conversazione. Le cose di cui due persone stanno
parlando non sono limitate a quelle che sono percettivamente salienti al momento della loro
conversazione. Potremmo forse dire che il dominio del discorso consiste in quegli oggetti

37

Cristopher Gauker / Problemi per la concezione tradizionale della comunicazione linguistica

che sono oggettivamente pertinenti alla conversazione, ma nel contesto della concezione
tradizionale difficile immaginare un senso in cui qualcosa pertinente, diverso da quello
per cui si tratta di qualcosa che il parlante ha in mente. E questo ci riporta alla prima
risposta.
Se non ci fossimo affidati alla concezione tradizionale, probabilmente saremmo stati
in grado di dare un diverso tipo di risposta alla domanda riguardante ci che determina il
dominio del discorso. Avremmo forse potuto supporre che tipicamente gli interlocutori
hanno qualche fine comune, e che il punto focale della loro conversazione consista nel
metterli nelle condizioni di conseguire quel loro scopo. In questa teoria si potrebbe
intendere la pertinenza come relativa al raggiungimento dei fini comuni. Linsieme degli
oggetti nel dominio del discorso potrebbe comprendere quegli oggetti che sono pertinenti
agli scopi della conversazione. Nel caso del tizio che sta aiutando lamico a trasportare i
suoi bagagli sul camion, il fine quello di trasferire nel nuovo appartamento ci che l'amico
possiede. Dal momento che questo il fine, il dominio comprender solo quegli oggetti che
si suppone debbano essere trasportati da un appartamento allaltro.
Questo un approccio che non possiamo adottare facilmente se accettiamo la
concezione tradizionale. Questa idea di pertinenza poggia su una concezione della lingua
come capace di facilitare la cooperazione al raggiungimento di un fine. Inoltre, la lingua
deve essere in grado di fare ci in maniera del tutto indipendente dallidentificazione del
dominio del discorso; perch solo riconoscendo quello che gli interlocutori dovrebbero dire
per raggiungere il loro fine siamo in grado di identificare il dominio. Ma se abbiamo la
possibilit di comprendere come la lingua faciliti il raggiungimento di un fine in questo
modo indipendentemente dallidentificazione del dominio di discorso e, quindi,
indipendentemente dallidentificazione delle proposizioni espresse, allora assai dubbio
che abbiamo pi alcun bisogno della concezione tradizionale della comunicazione.

3. Le norme del discorso


La mia seconda critica alla concezione tradizionale della comunicazione riguarda le
norme del discorso. In particolare, riguarda la definizione di validit logica verso la quale
siamo condotti dalla concezione tradizionale della comunicazione linguistica. Si consideri il
fatto che conformemente a tale concezione, la validit logica prima di tutto una relazione
tra proposizioni. Possiamo definire la validit logica come una relazione tra enunciati sulla
scia della pi originaria relazione di validit logica tra proposizioni. Ma il risultato che
questa concezione della validit logica come relazione tra proposizioni ci impedisce di
raggiungere una corretta descrizione della logica di una lingua naturale.
La concezione della validit logica come relazione tra proposizioni in effetti una
conseguenza necessaria della concezione tradizionale della comunicazione linguistica. Dal
punto di vista di questa, gli enunciati sono immaginati come semplici vestiti nei quali le
proposizioni si rivelano al mondo. Se ci interessa la qualit del nostro pensiero, riteniamo
che ci che conta sono le proposizioni. Quando un nostro ragionamento deve essere
sottoposto a critica, la domanda se le proposizioni che citiamo a supporto della nostra tesi
siano davvero argomenti in suo favore. Cos, nella misura in cui ci si aspetta che le nostre
inferenze siano logicamente valide, il problema della validit riguarda prima di tutto una
relazione tra proposizioni.

38

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Se pensiamo alla validit logica come ad una relazione tra proposizioni, allora quasi
inevitabilmente accetteremo il seguente principio:
Principio di Equivalenza: se due enunciati sono logicamente equivalenti, nel senso che ciascuno dei due pu
essere validamente inferito dallaltro, allora in un argomento valido ciascuno pu essere sostituito allaltro
conservando la validit dellargomento.

Ecco cosa significa il Principio di Equivalenza. Supponiamo di avere due enunciati, p e


q, che sono logicamente equivalenti nel senso che ciascuno implica logicamente laltro. E
supponiamo pure di avere un argomento logicamente valido che contenga in una qualche
posizione lenunciato p. p pu essere una delle premesse, o la conclusione, o solo un
componente di una delle premesse o della conclusione. Se in tali circostanze mettiamo
lenunciato q in luogo dellenunciato p ogniqualvolta lenunciato p occorra nellargomento,
allora largomento che ne risulta sar esso pure logicamente valido.
Se pensiamo alla validit logica prima di tutto come ad una relazione tra proposizioni,
come dobbiamo fare se accettiamo la concezione tradizionale della comunicazione, allora
inevitabilmente dovremo anche accettare il Principio di Equivalenza. Il motivo questo: se
lenunciato p implica logicamente lenunciato q, allora, conformemente alla presente
descrizione di ci in cui la validit logica consiste, ci significa che per ogni contesto c, la
proposizione che p esprime in c deve implicare logicamente la proposizione che q esprime
in c. Dunque se p implica q e q implica p, allora per ogni contesto c, la proposizione che p
esprime in c implica la proposizione che q esprime in c e la proposizione che q esprime in c
implica la proposizione che p esprime in c. Ma se la proposizione che p esprime in c
implica la proposizione che q esprime in c e la proposizione che q esprime in c implica la
proposizione che p esprime in c, allora la proposizione che p esprime in c e la proposizione
che q esprime in c sono identiche proprio la stessa proposizione. Il che specialmente
evidente se ci rappresentiamo le proposizioni come insiemi di mondi possibili e definiamo
la validit logica in termini insiemistici come inclusione. Infatti se un insieme x incluso in
un insieme y ed y incluso in x, allora x = y. Orbene, se due enunciati esprimono la stessa
proposizione in ogni contesto, allora ovviamente possiamo sostituire luno con laltro in un
argomento valido, e l'argomento risultante sar puresso valido. Cos il Principio di
Equivalenza regge.
Ma nei fatti il Principio di Equivalenza sbagliato. In particolare, la logica dei
condizionali non si conforma al Principio di Equivalenza. Siano p e q enunciati che non
contengono essi stessi dei condizionali, e consideriamo enunciati di questa forma:
Se p allora q.
O non-p o q.

Do per scontato che ognuno di questi implichi laltro. Questo stato negato da
qualcuno (per esempio Stalnaker), ma non mi risulta ci siano efficaci controesempi.
Consideriamo, per esempio:
Se la porta aperta, allora il cane fuori.
O la porta non aperta o il cane fuori.

39

Cristopher Gauker / Problemi per la concezione tradizionale della comunicazione linguistica

Sicuramente ciascuno di questi enunciati implica logicamente laltro. Praticamente tutti


concorderanno sul fatto che il primo implica il secondo. Si discusso se il secondo implichi
il primo. Sicuramente cos. Il secondo enunciato ci informa che almeno una delle due
possibilit che seguono reale: la porta non aperta; il cane fuori. Cos se la prima di
queste possibilit non reale, cio la porta aperta, allora la seconda possibilit deve essere
reale, ossia, il cane fuori. Questo ci che dice il primo enunciato.
Voglio qui di seguito mostrare che enunciati di queste forme non si conformano al
Principio di Equivalenza. A questo fine, introduciamo alcune abbreviazioni:
A: Tu accendi l interruttore A
B: Tu accendi l interruttore B.
M: Il motore partir

Il seguente argomento, che non contiene condizionali, sicuramente valido:


Argomento I
Non (A e B) o M
--------------------------------Quindi, (non A o M) o (non B o M)

Ma se sostituiamo enunciato per enunciato in questo ragionamento in conformit al


modello discusso nel paragrafo precedente, otteniamo quanto segue:
Argomento II
Se (A e B), allora M
--------------------------------Quindi, (se A allora M) o (se B allora M)

Ma questo argomento (gi discusso da Adams) sicuramente non valido. Dal fatto che
accendere ambedue gli interruttori A e B sufficiente per far partire il motore, non segue
che accendere linterruttore A sia sufficiente o che accendere linterruttore B sia sufficiente.
LArgomento I valido. Dal Principio di Equivalenza, date le nostre osservazioni nel
precedente paragrafo, pure lArgomento II dovrebbe essere valido. Ma lArgomento II non
valido. Cos il Principio di Equivalenza sbagliato.
Insomma: se la concezione tradizionale della comunicazione corretta, allora la
validit logica dovrebbe essere definita prima di tutto come una relazione tra proposizioni.
Ma se la validit logica viene definita come una relazione tra proposizioni, dovremmo
aspettarci che il Principio di Equivalenza sia valido. Ma il Principio di Equivalenza non
regge. Di conseguenza, dovremmo abbandonare la concezione tradizionale della
comunicazione.

4. La natura della cognizione


La mia terza ed ultima critica alla concezione tradizionale della comunicazione
riguarda il concetto di rappresentazione mentale. Con rappresentazione mentale qui
intendo un particolare concreto nella testa di una persona che sia portatore del contenuto
proposizionale di un pensiero che quella persona ha. Secondo la teoria della
rappresentazione mentale, se qualcuno crede, per esempio, che Trieste si trova in Italia,

40

Esercizi filosofici 2002 / Testi

allora c qualcosa nel cervello di quella persona che funziona in uno dei modi caratteristici
per la credenza e che portatore del contenuto proposizionale che Trieste si trova in Italia.
Questo qualcosa una rappresentazione mentale.
Il concetto di rappresentazione mentale indispensabile alla concezione tradizionale
della comunicazione. Il motivo che, per essa, sono pensieri dotati di contenuto
proposizionale a causare lattivit linguistica, e la prima causa di un atto discorsivo il
pensiero che il parlante si aspetta che lascoltatore riconosca sulla base della sua scelta di
parole. Al fine di poter giocare questo ruolo causale, i pensieri devono avere unidentit
fisica nel cervello. Tipicamente, coloro che sostengono la concezione tradizionale
concordano con Jerry Fodor nel supporre che la rappresentazione mentale in tal modo
sottostante a un atto di discorso ha una struttura analoga a quella dellenunciato che viene
pronunciato. Cos si giunge a supporre che ci sia un sistema di rappresentazione mentale
che pu essere caratterizzato come lingua del pensiero.
Uno dei principali problemi posti da questa teoria spiegare la relazione che
intercorre tra le rappresentazioni mentali ed i loro contenuti proposizionali. Che cosa fa in
modo che una data rappresentazione mentale sia portatrice del contenuto proposizionale che
Trieste si trova in Italia, piuttosto che del contenuto che Trieste si trova in Austria, o che
luglio un mese invernale? Ci sono vari tentativi di risposta nella letteratura
contemporanea di filosofia della mente. Le teorie attualmente pi in vista sono associate ai
nomi di Jerry Fodor, Ruth Millikan, Fred Dretske, Robert Cummins, Paul Churchland e
Peter Gardenfors. Qui non posso sviluppare critiche specifiche a tutte le teorie di questi
autori. Invece, criticher una delle idee portanti, che approvata in un modo o nellaltro da
molti (sebbene non tutti) questi autori, e che costituisce per molti filosofi la base della loro
aspettativa che una teoria delle rappresentazioni mentali in quanto portatrici di contenuto
debba essere possibile.
Mi sto riferendo alla teoria cartografica della rappresentazione mentale.
Conformemente ad essa, le rappresentazioni mentali nella testa di una persona costituiscono
una sorta di mappa del suo ambiente esterno. Specificare il contenuto proposizionale di una
rappresentazione mentale , in effetti, dire a quale aspetto della realt la rappresentazione
mentale corrisponda. La teoria cartografica affascinante perch propone di spiegare il
fatto che le rappresentazioni mentali sono dotate di contenuto attraverso una semplice,
facilmente afferrabile analogia: proprio come una persona potrebbe usare una mappa per
trovare la propria strada in un giro in citt o in montagna, cos pure pu usare le proprie
rappresentazioni mentali per trovare la propria strada nel mondo.
Tuttavia, non c mai un solo modo per interpretare una mappa vera e propria,
disegnata su carta, come mappa di un certo terreno. Possiamo decidere di interpretare certi
cerchietti come rappresentazioni di certi siti sul terreno, e possiamo decidere di interpretare
certe linee come rappresentazioni di percorsi dall'uno all'altro di questi siti. Ma ci potranno
sempre essere altre possibili interpretazioni, altri siti ed altri sentieri nella realt, tali che
potremmo interpretare la mappa come loro rappresentazione. Similmente, per qualsiasi
sistema di rappresentazione mentale ci sar sempre un numero indefinitamente grande di
isomorfismi tra la struttura delle rappresentazioni mentali e delle strutture nella realt. Nel
caso di una mappa, possiamo dire che quanto essa realmente mappa proprio ci che noi
abbiamo intenzione che mappi. Ma nel caso delle rappresentazioni mentali, non possiamo
dire che siano le nostre intenzioni a determinare i significati delle nostre rappresentazioni,

41

Cristopher Gauker / Problemi per la concezione tradizionale della comunicazione linguistica

perch le intenzioni appartengono esse stesse al tipo di rappresentazioni mentali il cui


significato si suppone venga spiegato dalla teoria.
Vorrei ora cercare di mostrare pi chiaramente che per qualsiasi sistema di
rappresentazioni mentali, ci sar un numero indefinitamente grande di modi per
interpretarle come tali da mappare la realt.2 Anche se assumiamo che tutte le
rappresentazioni mentali di una persona siano rappresentazioni della realt vere, ci saranno
molte relazioni possibili di mappatura. Supponiamo, per esempio, di avere a che fare con un
sistema assai semplice di rappresentazioni mentali simili a enunciati, consistente in appena
due nomi e due predicati:
Nomi: a, b
Predicati: buu, uno uak 3

Supponiamo anche che ci siano soltanto tre oggetti nel mondo: o1, o2, o3. Le propriet
di questi tre oggetti sono quelle mostrate nella tabella 1:
Blu
O1
O2
O3

Rosso

Cubo

Sfera

Tabella 1

Introduco qui di seguito due modi per mettere gli elementi del vocabolario in una
relazione di mappatura con il mondo:
Prima Mappatura
a
o1.
b
o2.
buu
la propriet di essere blu
uno uak
la propriet di essere un cubo
Seconda Mappatura
a
o2.
b
o1.
buu
la propriet di essere blu e non identico a o1 oppure
non blu ma identico a o2,
uno uak
la propriet di essere un cubo e non identico a o1 oppure
non un cubo ma identico a o2.

Lenunciato a buu vero in entrambe le mappature 1 e 2.


Lenunciato per tutti gli x, se x uno uak, allora x buu falso sia nella prima che
nella seconda mappatura. Sarebbe semplice provare (per induzione sulla complessit degli
2

Ci gi stato notato da Hilary Putnam in Reason, Truth and History, cap. 2. Ma nel suo testo presentato come
una difficile tesi metafisica anzich come una questione di logica elementare.
3
Lautore usa due predicati che hanno in Inglese pronuncia ma non ortografia simile a is blue e is a cube.
Litaliano non consente di costruire esempi dello stesso genere altrettanto facilmente. Comunque questi aspetti del
linguaggio scelto come esempio non sono essenziali allargomento discusso (N.d.T.).

42

Esercizi filosofici 2002 / Testi

enunciati) che esattamente gli stessi enunciati che sono veri nella prima mappatura sono
veri pure nella seconda. In linguaggio tecnico, il punto : qualsiasi insieme di
rappresentazioni che ha un modello avr molti modelli.
La conclusione generale che voglio trarre da questo semplice esempio che per
identificare i contenuti proposizionali delle rappresentazioni mentali non mai sufficiente
dire semplicemente Queste rappresentazioni sono quelle vere, e perci linterpetazione
corretta che la mappatura che interpreta ognuna di queste rappresentazioni come vere la
mappatura corretta. Un tale criterio non identificher mai il contenuto proposizionale
delle rappresentazioni mentali, per il fatto che per qualsiasi insieme di rappresentazioni vere
non c mai un solo modo di metterle in relazione di mappatura con la realt in un modo
tale che tutte risultino vere; ci sono sempre molti modi per farlo.
Una risposta spontanea a questa obiezione sarebbe dire: dobbiamo restringere il
campo della mappatura. Dobbiamo restringere le tipologie di oggetti e di propriet cui le
parole possono esser fatte corrispondere. Pertanto, potremmo dire, una propriet come
essere blu una propriet cui pu esser fatto corrispondere un predicato, ma una propriet
come essere blu e non identico a o1 o non blu ma identico a o2 non lo . Credo che qualsiasi
soluzione si tenti, sia inevitabilmente o troppo forte o troppo debole. O restringeremo le
tipologie di oggetti e propriet cos tanto che metteremo fuori gioco oggetti e propriet che
semplici predicati possono rappresentare, o lasceremo in campo un numero sufficiente di
oggetti e propriet da metterci nella condizione di poter definire una molteplicit di
modelli. Per esempio, potremmo restringere gli oggetti e le propriet legittime a quelle che
occorrono in unontologia scientifica. Ma non potremmo essere nel giusto, perch
certamente possiamo rappresentare dei generi non scientifici come: dimora, canzone,
dittatore e sorpresa.

5. Conclusione
Cos ecco la mia sfida ai filosofi italiani: aiutatemi a costruire una concezione di
comunicazione linguistica che non sia soggetta a queste obiezioni. Una teoria soddisfacente
deve passare i seguenti test: primo, deve fornire una descrizione accettabile dei modi in cui
le valutazioni di un enunciato sono relative ad un contesto. Secondo, deve rendere possibile
una definizione di validit logica che non sia affidata al Principio di Equivalenza. Terzo,
non deve sollevare la domanda: come pu una rappresentazione mentale essere portatrice di
un determinato contenuto proposizionale?

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43

Cristopher Gauker / Problemi per la concezione tradizionale della comunicazione linguistica

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44

I PRINCIPI DELLA GENERAZIONE UMANA:


TRADIZIONE MEDICA E FILOSOFIA ARISTOTELICA NELLE

DISCUSSIONI TEOLOGICHE DEL XIII SECOLO

Luciano Cova

Un aspetto non secondario della straordinaria vivacit intellettuale che caratterizz la


cultura universitaria nei suoi inizi linteresse per lo studio dellorganismo umano, e non
soltanto come elemento del composto anima-corpo, ma considerato in se stesso, nella sua
struttura e nel suo funzionamento. Tale interesse si accompagna a un lavoro di acquisizione
e di assimilazione di testi naturalistici greci ed arabi, che prosegue e completa quello gi
svolto nei secoli XI e XII. Lampio corpus galenico greco-latino, opera di Nicol da
Reggio, idealmente conclude in pieno Trecento un complesso percorso iniziato quasi tre
secoli prima con la traduzione, da parte di Costantino Africano, di vari testi arabi che a loro
volta avevano ripreso e rielaborato la tradizione del galenismo alessandrino.
Snodi fondamentali di tale percorso sono indubbiamente lacquisizione e lutilizzo
delle opere biologiche di Avicenna e di Aristotele. Nei primi due decenni del XIII secolo,
quando gi da tempo si possiede nella versione toledana di Gerardo da Cremona il
Canone, monumentale opera medica del pensatore persiano (anche se ancora non la si
utilizza come testo base negli studi di medicina), un altro traduttore dallarabo, Michele
Scoto, raggruppa sotto il titolo De animalibus le tre principali opere biologiche del filosofo
greco: Historia animalium, De partibus animalium e De generatione animalium. Oltre a
ci, lo stesso Michele latinizza successivamente il compendio del corpus zoologico
aristotelico composto da Avicenna. Nel corso degli anni Sessanta Guglielmo di Moerbeke
fornisce poi quello che sarebbe rimasto il testo standard fino al XV secolo, traducendo
direttamente dal greco lintero corpus zoologico di Aristotele, compresi il De motu e il De
progressu animalium.
Una tappa di fondamentale importanza, dal punto di vista storico-dottrinale, pu essere
considerata anche la traduzione del trattato medico di Averro, il Colliget, che comincia a
circolare appena nel corso degli anni Ottanta. La conoscenza di tale testo rafforza
enormemente il punto di vista di Aristotele a proposito di quelle tematiche concernenti il
corpo umano (la sua struttura e il suo funzionamento) in cui tradizione medica e sapere
peripatetico tendevano a divergere. degno di nota il fatto che ci avvenga, sul finire del
XIII e agli inizi del XIV secolo, in opere di teologi come il De formatione corporis humani
in utero di Egidio Romano, ma anche in opere di maestri delle arti come le Questioni di

Viene qui presentata la versione integrale della conferenza tenuta il 4 maggio 2001, nellambito della Giornata di
Studio su Filosofia e medicina nel pensiero antico e medievale, organizzata dal Dipartimento di Filosofia e dal
Dottorato di Ricerca in Filosofia dellUniversit degli Studi di Trieste. Il testo stato integrato con poche note,
allo scopo di fornire alcuni riferimenti bibliografici e le citazioni dei passi di autori medievali cui nella conferenza
ci si richiamava.

45

Luciano Cova / I principi della generazione umana

Giovanni Vath sul De generatione animalium1 e persino in opere di medici come


lExpositio super capitulum de generatione embrionis Canonis Avicennae di Mondino de
Liuzzi.2
Questo netto orientamento verso un aristotelismo rigoroso, favorito dallutilizzo del
Colliget, non costituisce tuttavia un atteggiamento universalmente adottato nel corso del
XIII secolo. Al contrario, Avicenna stesso si presenta come una sintesi fra la dottrina di
Ippocrate e Galeno e quella aristotelica, indicando agli autori latini la strada di una
mediazione che assegni alla teoria aristotelica il primato sul piano dei fondamenti filosofici
e tuttavia molto conceda, su di un piano maggiormente empirico e pratico, anche alla
tradizione medica. Cos, nel corso degli anni Sessanta, Alberto Magno rivela nella sua
monumentale parafrasi del De animalibus un grado notevole di consapevolezza delle
discrepanze tra Galeno e Aristotele (pur conoscendo il primo forse soltanto in maniera
indiretta) ma, contemporaneamente, la volont di non sacrificare del tutto il punto di vista
del medico a quello del filosofo.
Costituisce tuttavia a mio giudizio un problema ancora, almeno in parte, aperto quanto
di tale consapevolezza sia rinvenibile prima di Alberto Magno, e inoltre se e in quale
misura gi si attui questo tipo di concordismo. Mi riferisco in particolare alla facolt
teologica delluniversit parigina, nella quale notoriamente si fanno sentire forti resistenze
allassimilazione della filosofia naturale di Aristotele, ma contemporaneamente la
diffusione delle nuove opere sempre di pi inarrestabile.
Significativa, sotto questo aspetto, la posizione di Guglielmo dAuxerre: incaricato nel
1231, insieme con altri teologi, di esaminare e di purgare le opere naturali del Filosofo, ne
fa uso abbondante egli stesso nella sua Summa aurea, dove possiamo trovare varie
citazioni del De anima e della Physica. Se, ciononostante, manca ancora in questopera
qualsiasi riferimento al De animalibus,3 anche laddove la problematica teologica lavrebbe
consentito, nelle opere del suo contemporaneo Guglielmo dAuvergne, vescovo di Parigi,
cos come in altri teologi contemporanei, si possono trovare riferimenti precisi anche alle
opere biologiche di Aristotele.
Sul piano poi delle fonti mediche, in quegli stessi anni Trenta si possono trovare dei
richiami, anche se piuttosto generici, nella Summa de bono di Filippo il Cancelliere e
soprattutto nel Magisterium divinale dello stesso Guglielmo dAuvergne, dove, tra gli
autori antichi citati, ci sono (oltre ad Aristotele, Alessandro dAfrodisia ed altri) anche
Ippocrate e Galeno.4 Una conoscenza puntuale del Canone di Avicenna (oltre che di testi
tradizionali dellArticella come lIsagoge ad Tegni Galeni di Giovannizio) attestata poi
da unopera importante quale il Tractatus de divisione multiplici potentiarum animae del
francescano Giovanni de la Rochelle, dove alla tripartizione aristotelica delle facolt
(vegetativa, sensitiva e razionale) si affianca quella medica, ossia virtus vitalis, naturalis e

L. Cova, Le questioni di Giovanni Vath sul De generatione animalium, Archives dHistoire doctrinale et
littraire du Moyen Age, n. 59, 1992, pp. 175-287.
2
Mondinus de Leuciis, Expositio super capitulum De generatione embrionis Canonis Avicennae cum quibusdam
quaestionibus, a c. di R. Martorelli Vico, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1993.
3
Si possono vedere gli indici in Guillelmus Altissiodorensis, Summa aurea, ed. J. Ribaillier, Grottaferrata-Paris,
Collegium S. Bonaventurae-Cnrs, 1980-1987.
4
Cfr. Guillaume dAuvergne, De lme (VII, 1-9), Introduction, traduction et notes par Jean-Baptiste Brenet, Paris,
Vrin, 1998, p. 75.

46

Esercizi filosofici 2002 / Testi

animalis, e si arriva a distinguere, descrivendole, la teoria degli spiriti di Ibn S n da quella


di Hunayn ibn Ish q.5
Daltronde un certo interesse da parte dei teologi per tematiche di tipo medico e
biologico non costituisce certo una peculiarit del XIII secolo, e ci ampiamente
spiegabile se si tiene presente che una parte tuttaltro che irrilevante della dogmatica
cattolica riguarda oggetti strettamente connessi con la corporeit umana. Pu pertanto
risultare estremamente proficuo, riguardo ai maestri duecenteschi in sacra pagina,
esaminare diffusamente i loro testi per vedere come, contestualmente a tematiche diverse,
vengano affrontati problemi medici pi o meno elementari: fino a quale punto cio essi si
accontentino del bagaglio di conoscenze naturali veicolato, soprattutto tramite Pietro
Lombardo, dalla tradizione agostiniana, e quanto invece ricorrano direttamente ai testi
specialistici della medicina del tempo e in particolare al Canone di Avicenna; entro quale
misura inoltre si conoscano le teorie biologiche di Aristotele, se si abbia consapevolezza
delle discrepanze rispetto alla tradizione medica e, in caso affermativo, quale tipo di scelta
di volta in volta si operi.
Alcuni studi recenti di Mark Jordan6 sembrano ridimensionare fortemente il ruolo
della medicina nel pensiero scolastico duecentesco, allinterno del quale Alberto Magno e
Ruggiero Bacone costituirebbero sostanzialmente delle eccezioni. Citato ununica volta
dalla Summa halensis, mai da Bonaventura, poco e incidentalmente da Tommaso, Galeno
tenderebbe, in questo periodo e in questo ambiente, quasi a scomparire.
Per delimitare lambito della mia indagine, ho preso atto del fatto che una fortunata
coincidenza (fortunata, intendo, dal punto di vista della vivacit storico-dottrinale) fa s che
un tema intimamente connesso con due dogmi centrali come il peccato originale e
lincarnazione, quello cio della generazione umana, sia contemporaneamente anche uno
dei pomi della discordia, forse il pi grosso, tra medici e peripatetici. In questa sede mi
propongo perci di esaminare vari passi significativi di due teologi che operarono
nelluniversit parigina a partire dalla met del secolo, esprimendo, sia pure in modo assai
diverso, un primo livello di piena maturazione nel pensiero teologico duecentesco. Mi
riferisco a Bonaventura da Bagnoregio e a Tommaso DAquino, massimi rappresentanti,
rispettivamente, della scuola francescana e di quella domenicana. Causa brevitatis e grazie
al fatto che su di lui gi stata svolta, almeno parzialmente, una ricerca di questo tipo,
affronter i testi del maestro domenicano in una maniera pi mirata e selettiva.
Unoperazione di questo genere comporta, ovviamente, dei rischi. Isolando dal
contesto generale alcuni passi si pu smarrire il senso globale del discorso, per cui
necessario rendersi conto del quadro complessivo e degli intendimenti di fondo dellautore.
Nel caso di Bonaventura, in particolare, bisogna tenere presente che i vari spunti che gli
derivano dalle fonti profane sono fortemente subordinati alla finalit teologica di cui sono
strumenti. Anche nel secondo Libro del Commento alle Sentenze, lopera che qui prendo
soprattutto in esame (composta nei primissimi anni Cinquanta), pur essendo ancora lontano
dallallarmata e appassionata denuncia contro il neo-paganesimo che ventanni pi tardi

Iohannes de Rupella, Tractatus de divisione multiplici potentiarum animae, p. II, cap. 30, ed. P. MichaudQuantin, Paris, Vrin, 1964, pp. 105-106.
6
M. D. Jordan, Medicine and Natural Philosophy in Aquinas, in A. Zimmermann (hrsg.) Thomas von Aquin.
Werk und Wirkung im Licht neuerer Forschungen, Miscellanea Mediaevalia 19, Berlin-New York, Walter de
Gruyter, 1988, pp. 233-246; Id., The Disappearance of Galen in Thirteenth-Century Philosophy and Theology,
in A. Zimmermann-A. Speer (hrsg.), Mensch und Natur im Mittelalter, Miscellanea Mediaevalia 21/1, Berlin-New
York, Walter de Gruyter, 1991, pp. 703-717.

47

Luciano Cova / I principi della generazione umana

ritroveremo nelle Collationes in Hexaemeron, il maestro francescano rivela comunque un


quadro concettuale marcatamente teologico, ostile ad una lettura delluniverso e delluomo
in chiave naturalistica: sono per lui del tutto imprescindibili i riferimenti a quei liberi atti di
volont che, nellottica della fede, ne determinarono prima la mirabile costituzione iniziale
(latto divino della creazione) e poi la disastrosa deviazione (gli atti di ribellione con cui un
certo numero di angeli e i primi uomini si allontanarono da Dio). Le nozioni mediche e
biologiche si collocano cos ad un livello nettamente subordinato, sostanzialmente tecnico
e strumentale.
Riguardo, in particolare, alla generazione umana, la contrapposizione agostiniana di
natura instituta o integra e di natura lapsa o vitiata costituisce lasse portante del suo
discorso. Fra tutte le potenze dellanima umana, quella generativa la pi corrotta, sia
perch amministra quel seme che veicolando la carne corrotta radice di infezione nel
nascituro (colpa ereditaria, malattie, morte) e sia perch negli organi genitali trova il suo
massimo vigore il pi materiale dei sensi, vale a dire il tatto. Lanima che per superbia non
volle pi sottomettersi al suo Signore ora non pi in grado di dominare le sue facolt
inferiori e il corpo. Automatismi incontrollabili di valenza etica negativa (anche laddove ci
sia la sana intenzione di far nascere nel matrimonio figli da far rinascere con il
battesimo) prendono il posto di atti procreativi integralmente volontari quali, secondo
linsegnamento di SantAgostino, sarebbero stati possibili nel paradiso.
Ciononostante il peccato non ha distrutto la natura, e, anche per quanto riguarda la
facolt generativa, accanto alla perdita definitiva di talune caratteristiche (che mai ebbero
modo di realizzarsi per la precocit del peccato n mai si realizzeranno in quanto dopo la
resurrezione non ci sar pi attivit procreativa), c comunque la permanenza anche
nellattuale condizione di miseria di alcune strutture, a partire dalla capacit di trasmettere,
limitatamente al corpo, la natura umana nella condizione in cui si trova. Vedremo tra poco
come a proposito di queste strutture permanenti, come anche a proposito di quella sorta
di sessuologia-embriologia a priori che si riferisce allo stato di natura integra nella sua
peculiarit, Bonaventura utilizzi le nozioni mediche e biologiche di cui dispone. Intanto
per va detto che il quadro di fondo decisamente antinaturalistico si rivela anche nel fatto
che, aderendo alla teoria agostiniana delle ragioni seminali, il maestro francescano
riconosce, in generale, una causalit attiva soltanto parziale agli agenti naturali nella
produzione di nuove forme e a pi riprese, in particolare, trova loccasione per polemizzare
contro istanze di tipo naturalistico miranti ad attribuire allanima una causalit piena nella
produzione di nuovi esseri.
In effetti nella questione del secondo Libro se tutte le forme siano indotte dal creatore
o da un agente creato,7 pur respingendo lestremo occasionalismo di matrice ebraica ed
araba secondo cui Dio sarebbe non solo il principale agente, ma addirittura lintera causa
efficiente nella produzione di nuove forme naturali, il maestro francescano rifiuta la
posizione di Aristotele se intesa come riconoscimento di un vero e proprio principio
effettivo ed originale negli agenti creati: si tratta allora di leggere il Filosofo nellottica
delle ragioni seminali di Agostino, nel senso che con la materia viene concreato in
potenza qualche cosa che lagente creato poi in grado di fare essere in atto (come il
boccio che viene trasformato in rosa).

Bonaventura, II Sent., d. 7, p. 2, a. 2, q. 1, Opera omnia, Ad Claras Aquas 1882-1905, t. II, 1885, pp. 196-199.

48

Esercizi filosofici 2002 / Testi

In questottica di ridimensionamento del ruolo delle cause seconde si colloca anche il


rigido creazionismo bonaventuriano a proposito dellorigine dellanima umana. Il suo
rifiuto del traducianesimo un no totale, a tutto campo. Non si tratta soltanto di negare, in
assoluto, che lanima razionale derivi ex traduce, emani cio da quella dei genitori: ci
risulta ormai scontato nellambiente dottrinale in cui opera il maestro francescano e pu
apparire in sintonia con lauctoritas aristotelica di De generatione animalium II, 3,
Intellectus intrat ab extrinseco. E in effetti nelle questioni sulla produzione dellanima di
Eva, per dimostrare che lanima razionale non si trasmette, Bonaventura esplicitamente
cita questo passo, designandolo come decimo sexto De animalibus.8 Ma, nelle questioni
dedicate alla trasmissione del peccato originale (distinzione XXXI), si nega con forza
addirittura che le potenze inferiori dellanima umana (aristotelicamente, quella vegetativa e
quella sensitiva) siano, in alcuna fase e ad alcun titolo, il prodotto di un processo
generativo naturale. Qui il maestro francescano sembra isolarsi, anche rispetto alla
tradizione dottrinale del proprio ordine. Generalmente si ammetteva che unanima
vegetativo-sensitiva, edotta dalla potenza della materia in quanto gi presente nel seme
(oppure due, prima una vegetativa e poi una sensitiva), animi in maniera transitoria
lembrione nel periodo precedente la creazione e linfusione dellanima razionale. Si
riteneva che poi, al momento della creazione e dellinfusione da parte di Dio dellanima
razionale, le due entit psichiche in qualche modo si componessero oppure (cos ad
esempio pensa Tommaso) che la prima fosse distrutta e sostituita dalla seconda.
Bonaventura pertanto costretto, facendo appello allingenerabilit di quella che per
lui la potenza di una sostanza razionale, a difendersi dallaccusa di ritenere la virt
generativa delluomo meno potente di quella degli animali irrazionali, i quali sono in grado
mediante la loro vis generativa di portare allessere (ad esse producere) unanima
sensitiva, quella dei loro figli.9 Tra laltro il maestro francescano cita in questo contesto, a
mo di obiezione (la seconda), il passo del De generatione animalium cui invece in
precedenza si appellato a sostegno della propria tesi, per dimostrare lingenerabilit
dellanima razionale: se infatti il solo intelletto proviene dal di fuori, se dunque in
termini di ortodossia cristiana solus intellectus intrat per creationem, sembra che in noi
lanima sensitiva venga tratta dai principi della materia mediante la generazione.
degno di nota il fatto che, nella risposta allobiezione, Bonaventura non intende
confutare lautorit aristotelica, bens interpretarla nel senso che Aristotele per intelletto
avrebbe voluto intendere sostanza intellettiva, cio lanima umana che comprende anche
la sensitiva come potenza di una sostanza incorruttibile, e avrebbe cos negato la
provenienza ab extrinseco soltanto alla sensitiva degli animali irrazionali.
Il maestro francescano, nel respondeo, esclude che lembrione umano sia dotato di una
vera animazione prima di trovarsi nella dovuta complessione e organizzazione, ma vi
riconosce la presenza di una virtus animae patris, quae est in semine, la quale agisce
tramite calori e spiriti corporei. Sembra cos volersi mantenere sulla falsariga del citato
capitolo del De generatione animalium, sia pure interpretandolo in modo da escludere
qualsiasi animazione che preceda quella perficiens, e sia pure scindendo il thermnpneuma in una molteplicit di calores e di spiritus, secondo una prospettiva che sembra
fare riferimento anche alla tradizione medica.

8
9

Ivi, d. 18, a. 2, q. 3, fund. 2, p. 452.


Ivi, d. 31, a. 1, q. 1, ob. 5, p. 740.

49

Luciano Cova / I principi della generazione umana

Altrove, negando a un diavolo che assumesse un corpo la possibilit di generare,10


Bonaventura forse ispirandosi alla Summa de creaturis composta una decina danni
prima da Alberto Magno attribuisce allo stesso Aristotele laffermazione del concorso nel
processo generativo di un triplice calore: calor animae, calor caeli e calor elementi (e in
ogni caso, discutendo della costituzione del corpo di Adamo, si dimostra consapevole della
fondamentale contrapposizione aristotelica del calore vitale a quello igneo).11
Riguardo poi alla frantumazione del pneuma aristotelico racchiuso nel seme (pneuma
con cui per il Filosofo sidentifica il calore vitale) in una molteplicit di spiriti corporei,
nello stesso passo in cui fa risalire al Filosofo la teoria di un triplice calore che opera nella
generazione, Bonaventura correttamente attribuisce (anche se in una maniera del tutto
generica) al punto di vista dei medici la tripartizione dello spirito: ad hoc quod fiat
generatio, necesse est quod, secundum medicum, concurrat triplex spiritus, scilicet
naturalis, vitalis et animalis. Quale testo abbia in mente, non ci dato di sapere: potrebbe
essere sufficiente quello che suggeriscono gli editori di Quaracchi, e molto letto nelle
scuole, vale a dire il De differentia spiritus et animae di Costa ben Luca.
Bonaventura non fornisce cenno alcuno alle sue fonti, e addirittura neanche un
riferimento generico ai medici, l dove, allinizio del Libro, collega una dottrina degli
spiriti ad una suddivisione dellanima in potentia vivificandi, potentia vegetandi e potentia
sentiendi, cui fa corrispondere, rispettivamente, lo spirito vitale, quello naturale e quello
animale. Unispirazione (genericamente) galenica appare indubbia ed l funzionale
allobiettivo di sostenere lassenza di qualsiasi sproporzione e la presenza invece di
unarticolata mediazione nella congiunzione dellanima incorporea al corpo.12 Questa
tripartizione dellanima per non pi neppure menzionata tra quelle meno importanti l
dove, parlando delle facolt psichiche, Bonaventura attribuisce alla suddivisione
fondamentale in vegetabilis, sensibilis e rationalis (attinta alla psicologia filosofica, cio al
De anima di Aristotele e al Liber sextus naturalium di Avicenna) il valore di una
diversificazione in senso proprio, secundum naturam ipsarum potentiarum, e ad essa
contrappone tutta una serie di divisioni secondo semplici funzioni (officia), aspetti o
modi.13
Le questioni in cui Bonaventura pi diffusamente espone le proprie idee sulla virt
generativa umana sono quelle (distinzione XX) dedicate al modo in cui luomo avrebbe
procreato se non fosse caduto nel peccato. Trovano qui puntuale conferma da una parte
lassoluta dominanza dellintento teologico nei discorsi bonaventuriani sulla generazione
umana, e dallaltra la volont di servirsi a questo scopo della filosofia naturale e della
medicina. Ancora una volta, come vedremo, dei due strumenti il primo quello di fatto
prevalente, oltre che il pi documentato: i riferimenti al pensiero medico risultano infatti
decisamente generici. Sono comunque di grande interesse e, soprattutto, non viene
teorizzata uninferiorit di valore della medicina nellambito delle discipline naturali.
Lutilizzazione delle due discipline profane, in ogni caso, qui tematizzata in maniera
esplicita. Nella questione dedicata allequo bilanciamento di maschi e di femmine e alla
possibilit nello stato di innocenza di stabilire di volta in volta il sesso del nascituro,14
10

Ivi, d. 8, p. 1, a. 3, q. 1, fund. 5, p. 219.


Ivi, d. 17, a. 2, q. 2, ob. 2, p. 421.
12
Ivi, d. 1, p. 2, a. 1, q. 2, ad 2-3, ad 4, pp. 42-43.
13
Ivi, d. 24, p. 1, a. 2, q. 3, resp., p. 566.
14
Ivi, d. 20, a. 1, q. 6, pp. 485-487.
11

50

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Bonaventura distingue il piano dellindagine riguardante i fini da quello riguardante il


principio effettivo, vale a dire lordine delle cause efficienti; ed questo secondo tipo di
investigazione che avviene, egli dice, descendendo ad principia alterius scientiae, scilicet
naturalis et medicinae. Ambedue queste scienze, precisa il maestro francescano, devono
essere al servizio della teologia: utraque famulari habet theologiae. Rimane daltra parte
imprecisata la ratio che distingue tra di loro queste due ancelle, e mi sembra degno di
rilievo il fatto che conseguentemente non venga formalizzata alcuna rigida gerarchia tra le
due discipline profane. Aristotele, evidentemente, non ancora sufficientemente amato e
approfondito per teorizzare un salto epistemologico che schiacci in basso lempiria medica,
sovrastata dal primato di una scienza dei principi naturali.
Riguardo ai contenuti, il teologo Bonaventura dimostra la consapevolezza di inserirsi
in una problematica complessa e dibattuta e si propone di illustrare quella che egli chiama
la magna quaestio apud naturales et medicos de distantia generationis maris et feminae.
Presenta perci nel respondeo tre diverse ragioni che diversi sostengono, lasciando
quasi intendere di voler compiere un excursus nei dibattiti tra i maestri delle arti e i medici
del suo tempo. In realt la fonte che qui lo ispira, anche da un punto di vista dossografico,
sembra essere semplicemente il primo capitolo del IV Libro del De generatione
animalium.
La prima spiegazione attribuisce la causalit al recipiente, nel senso che nella parte
destra dellutero, in quanto pi calda, verrebbe concepito un maschio e nella parte sinistra,
pi fredda, verrebbe concepita una femmina: in tale maniera appaiono di fatto fuse tra di
loro le due prime opinioni esposte e confutate da Aristotele ed attribuite, rispettivamente,
ad Anassagora e a Empedocle. La seconda spiegazione ricorre invece alla prevalenza di
uno dei due semi, quello maschile o quello femminile, che si uniscono nellatto generativo,
e questa anche se di nuovo Bonaventura non lo dice la teoria che Aristotele
attribuisce a Democrito, respingendola. La terza ragione, presentata come la principale e
apertamente sostenuta da Bonaventura, vuole essere la soluzione proposta da Aristotele in
quella sede, vale a dire che il concepimento di un maschio o di una femmina dipende dalla
forza del seme maschile, principale movente nella generazione. In questo caso, comunque,
il maestro francescano ne rileva apertamente la fonte: sicut vult Philosophus.
Bonaventura, per la verit, in altri passi sembra di fatto pi vicino alla tradizione
medica, attribuendo un ruolo non meramente passivo allelemento femminile. Cos, nella
questione sulla generazione delle anime dei bruti, afferma che negli animali irrazionali la
virtus animae patris et matris non soltanto forma le membra della prole, ma ne trae
allessere lanima, attribuendo tuttavia questa posizione allo stesso secondo Libro del De
generatione animalium.15 E cos, in unaltra questione dedicata alla procreazione nello
stato di innocenza, quella sulla seminum decisio, pur daccordo con il Filosofo nel
considerare il seme un residuo del cibo (alimenti superfluum), attribuisce anche alla
particula che si stacca dalla donna (tra laltro senza identificarla con il mestruo) una virtus
e una ratio seminalis, esplicitamente negando di fatto contro Aristotele che per la
generazione della prole il padre abbia una funzione solo efficiente ed attiva e la madre una
funzione soltanto materiale. Si noti tuttavia che non si attribuisce al Filosofo la posizione
contestata, n viceversa ai medici quella difesa.16

15
16

Ivi, d. 15, a. 1, q. 1, resp., p. 375.


Ivi, d. 20, a. 1, q. 2, fund. 2, fund. 4, resp., pp. 485-487.

51

Luciano Cova / I principi della generazione umana

Tornando alla questione sullaequa multiplicatio virorum et mulierum,17 in quella sede


Bonaventura si schiera invece nettamente con Aristotele ed pienamente daccordo sul
fatto che il concepimento di un maschio o di una femmina dipende dalla virtus del seme
maschile. Se il seme maschile riesce a imporsi, viene generato un (embrione dal) sesso
vigoroso, cio maschile, ma se invece esso debole e si lascia dominare, viene generato un
(embrione dal) sesso debole, cio femminile. Ed degno di nota il fatto che Bonaventura
difende Aristotele dallaccusa di considerare praeter naturam la femmina nel definirla
uomo non riuscito, vir occasionatus: lagire pi debolmente non ripugna allordine della
natura, la quale infatti non solo nella stessa specie ma anche nello stesso individuo genera
membri meno forti di altri. La nascita della femmina certo un difetto, che tuttavia non
ripugna allordine della natura, ma anzi lo salva, in quanto del tutto secondo natura un
perfetto equilibrio quantitativo di maschi e di femmine.
Bonaventura enumera poi tre fattori che possono determinare la forza o la debolezza
del seme virile: la disposizione del membro che lo genera e lo trasfonde, elementi esterni di
tipo climatico e alimentare (e sin qui la fonte chiaramente Aristotele, De gen. an. I, 7 e
IV, 2), e infine la virt motrice dellanima per il tramite dellimmaginazione.
Ebbene, mentre nel nostro miserevole stato risultano determinanti le differenze
organiche e i fattori estrinseci, nello stato dinnocenza il fattore predominante sarebbero
state le virt superiori. Lanima di Adamo, a seconda della sua decisione volontaria,
avrebbe prodotto, tramite la vis imaginativa, maggiore o minore impressione
nellinferiore natura corporea, ossia nella virt formativa del seme, generando cos, a
scelta ma secondo i dettami della ragione che avrebbe richiesto uno sviluppo equilibrato
del genere umano, di volta in volta un maschio o una femmina. Ora invece gli sforzi
immaginativi degli uomini sono inutili, poich la facolt generativa non pi del tutto
soggetta non solo alla ragione, ma neppure alla virt animale dellimmaginazione.
Anche se in realt ci sono ancora degli esempi aggiunge Bonaventura di influenza
dellimmaginazione sulla vis formativa, esempi che si trovano in sacra Scriptura et etiam
in medicina, come quello degli agnelli di Giacobbe18 (Genesi XXX) e quello della donna
che genera figli nani avendo osservato un nano durante lamplesso.
Il secondo Libro del commento bonaventuriano alle Sentenze ci offre ancora due
questioni riguardanti la generazione umana caratterizzate da un serrato confronto con le
posizioni della medicina e della filosofia naturale: si tratta di quelle in cui, nellambito di
una dottrina del peccato ereditario, ci si chiede se e in quale misura da una parte la potenza
generativa e dallaltra quella nutritiva modifichino la veritas humanae naturae, vale a dire
lessenza del corpo umano nella sua concretezza individuale. Riguardo alla prima,19
Bonaventura sostiene una linea intermedia tra la posizione tradizionale, rappresentata da
Pietro Lombardo, secondo cui in tutta la catena delle generazioni nulla di estrinseco
rispetto a quanto gi si trovava in Adamo passa (transit) nellessenza dei discendenti, ed
una posizione sostenuta, come egli dice, da quelli che, seguendo verba naturalium et
medicorum, affermano che tutta la verit delle prole generata deriva da quella superfluit
del cibo in cui consiste il seme paterno. Confutando questultima posizione e proponendosi
questa volta di correggere direttamente il Filosofo, il maestro francescano fa ricorso anche
ad argomenti naturali fondati sullesperienza (somiglianza con gli avi, indebolimento
17
18
19

Cfr. supra, nota 14.


Gen. 30, 37-43.
Bonaventura, II Sent., d. 30, a. 3, q. 1, pp. 726-732.

52

Esercizi filosofici 2002 / Testi

provocato dal coito) e introduce la tematica dellumido radicale,20 che viene poi
sviluppata nella questione seguente, dedicata al ruolo della nutritiva.
Qui Bonaventura fa ampiamente ricorso alla tradizione medica, contrapponendo
lumido radicale, che garantisce continuit fisica alla persona e non pu essere restaurato, a
quello nutrimentale, che serve soltanto a conservare e a completare il corpo: medicus
distinguit in homine duplicem humiditatem. La fonte (anche se non citata e forse non
utilizzata direttamente) sembra essere il Canone di Avicenna, anche perch, come
exemplum, viene descritta la celebre metafora della lampada, sviluppata dal medico
persiano sulla base del De differentia febrium di Galeno21. Bonaventura convinto che
tam naturales philosophi quam medici concordino nel distinguere un fondamento del
nostro corpo tratto dai generanti da un complemento operato dalla virt nutritiva e
aumentativa: ed in questa prospettiva che il filosofo naturale, anzich alla teoria dei due
umidi, ricorre alla distinzione tra carne secundum speciem (permanente) e carne secundum
materiam (fluente). Citando esplicitamente Aristotele (De generatione et corruptione),
Bonaventura espone anche lesempio dellacqua trasformata in vino dalla vite ma non dal
vino stesso: la carne secondo la specie quella che ha la capacit di convertire il cibo in
carne, la quale sar per carne secondo la materia, incapace di produrre a sua volta una
trasformazione di questo tipo.22
Meritevoli di attenzione sarebbero anche varie questioni del terzo Libro delle Sentenze
dedicate al dogma dellincarnazione. Mi limito qui ad accennare a due punti. Anzitutto la
dottrina delle due santificazioni di Maria (la prima nel momento dellanimazione
dellembrione di Maria stessa, dopo il concepimento ma prima della nascita, e la seconda
nel momento del concepimento di Cristo): alla completa estinzione di ogni macchia nella
carne di Maria viene attribuita la funzione di consentire allo Spirito santo di formare in lei
un corpo, quello di Cristo, assolutamente puro, il che potrebbe far pensare che ella sarebbe
stata in grado di trasmettere in maniera attiva qualche propria caratteristica al concepito.23
Ma interessa la nostra prospettiva soprattutto la dottrina della cooperazione di Maria
con lo Spirito santo nel concepimento di Cristo. A questo proposito Bonaventura
polemizza con quanti ritengono che la Vergine abbia cooperato solum in materialis
principii ministratione, basandosi egli dice sullaffermazione del Filosofo secondo cui
mater in generatione prolis se habet sicut principium materiale, et semen viri sicut
effectivum et operativum. Il maestro francescano sostiene invece che la madre nella
generazione non ha soltanto una potenza passiva, ma anche attiva, e da ci deriva il fatto
che a volte la prole assomiglia di pi alla madre che al padre. Adopera cos, di fatto, un
tipo di argomento assai diffuso nella tradizione del galenismo, senza tuttavia neppure
accennare in maniera generica alle fonti che lo ispirano in tale affermazione.24
Le fonti mediche avrebbero potuto suggerirgli delle risposte assai diverse da quelle
ispirabili invece alla biologia aristotelica anche a proposito del problema se la Vergine,
excitata a Spiritu sancto, abbia emesso un seme facendolo pervenire nellutero (ad locum
matricis), problema - nota Bonaventura - che alcuni hanno affrontato. Peccato davvero che
il dottore serafico, posto il quesito, rinunci a rispondervi quia turpitudinem habet
20

Ivi, resp., pp. 730-731.


Cfr. M. McVaugh, The Humidum Radicale in Thirteenth-Century Medicine, Traditio, 30, 1974, pp. 259-283.
22
Ivi, d. 30, a. 3, q. 2, resp., 735-737.
23
Bonaventura, III Sent., d. 3, p. 1, a. 2, q. 2, resp., Opera omnia, Ad Claras Aquas 1882-1905, t. III, 1887, p. 75.
24
Ivi, d. 4, a. 3, q. 1, resp., pp. 111-112.
21

53

Luciano Cova / I principi della generazione umana

annexam e verbis sanctorum <non> videtur multum consonare,25 e non si addentri


perci nella possibile polemica sul seme femminile, menstruum e/o humor albus. Come
dire: usiamo delle scienze profane nellintelligenza dei misteri, ma senza dare spazio alla
vana curiositas (ita curiose singula pertractare).
Come si pu vedere, latteggiamento di Bonaventura nei confronti di filosofia naturale
e medicina a proposito dei principi della generazione umana si presenta piuttosto
articolato. Fondamentalmente lintento quello di utilizzare nella sacra dottrina queste due
discipline nel limite in cui esse non inducano in errore. Ci sono pi volte precisi riferimenti
al corpus zoologico di Aristotele, mentre i richiami alla tradizione medica sono
assolutamente generici, senza citazioni di opere e di autori. In taluni casi Bonaventura
ritiene che medici e filosofi vadano daccordo, qualche volta approvando le loro comuni
dottrine (lumido radicale non si pu reintegrare) qualche volta contestandole (tutto il seme
deriva dal cibo). In ununica circostanza (a quanto ho potuto vedere) li contrappone
esplicitamente (generazione del maschio e della femmina), e d ragione ad Aristotele. Pi
duna volta (sul ruolo solo attivo del seme maschile e solo passivo di quello femminile) si
oppone al Filosofo, ma senza rilevare che la posizione contraria, da lui accolta, quella
della tradizione medica. Altre volte, infine, considera separatamente e approva dottrine che
attribuisce ad Aristotele (la dottrina dei calori) o ai medici (la dottrina degli spiriti, laiuto
dellimaginativa alla vis formativa) o di cui non indica la provenienza (la tripartizione
medica dellanima).
Rispondendo perci alle domande posteci allinizio, si pu rilevare in Bonaventura
una consapevolezza solo parziale delle differenze tra le due tradizioni, unita comunque a
una grande duttilit nellutilizzazione di entrambe le famulae senza rigide gerarchie tra le
due e fin dove possibile (il maestro francescano convinto che, dopo il peccato, tutte le
conoscenze, se non illuminate dalla fede, tendono a cadere in errore, scambiando per
natura quella che invece soltanto una condizione storica di corruzione). Aristotele
certamente risulta conosciuto meglio, ma non sembra ancora ricevere dal teologo
Bonaventura un avallo tale da presentarsi come il rappresentante di un livello
epistemologico assolutamente dominante, nellambito delle scienze profane riguardanti gli
organismi viventi.
Rispetto a Bonaventura, Tommaso DAquino rivela una posizione pi netta e meno
articolata, e rappresenta senza dubbio una svolta di deciso aristotelismo allinterno della
sacra doctrina. Certo nelle sue opere teologiche, e soprattutto nellopuscolo De motu
cordis, possiamo trovare anche svariati riferimenti alla tradizione medica. Non mancano
infatti citazioni generiche (come ad esempio: ut medici dicunt, natura in opere
generationis delectationem posuit ne animalia, sua salute contenta, salutem speciei
negligerent),26 e in taluni casi sono citati anche singole opere e singoli autori (il Canone di
Avicenna e soprattutto Galeno, di cui nel secondo Libro delle Sentenze viene nominato il
De simplicium medicamentorum facultate per sostenere che tutti i corpi possono essere
consumati dal fuoco e di cui viceversa nella Contra gentiles si contesta lidea di anima

25

Ivi, ad 2, p. 112.
Thomas de Aquino, II Sent., d. 38, q. 1, a. 2, ad 6, ed. Thomae Aquinatis Opera omnia cum hypertextibus in CDROM, auctore R. Busa, Milano 19962, 002 2SN DS38QU1 AR2-RA-6.
26

54

Esercizi filosofici 2002 / Testi

come complexio).27 Tuttavia i temi biologici affrontati tendono a essere sfrondati dalle
particolarit che rientrano normalmente nelle discussioni mediche: ricondotti invece ai
principi della filosofia naturale, sono trattati tenendo Aristotele quale punto di riferimento
costante.
Jordan28 (ma con lui anche altri studiosi) ha potuto rilevare una dimestichezza assai
scarsa di Tommaso con la letteratura medica: il suo accesso alle fonti non appare diretto
neppure l dove ci sono rimandi precisi, bens mediato da qualcuno dei florilegi allora
circolanti e dalle opere del suo maestro Alberto Magno. Non solo, ma gli stessi testi
albertiani che costituiscono per lAquinate un quadro di riferimento importante vengono
abbondantemente sfrondati.
Discutendo, ad esempio, nel II libro delle Sentenze, a proposito della creazione di Eva
(distinzione XVIII), della derivazione ex traduce dellanima umana e di quelle degli
animali irrazionali, Tommaso si ispira abbondantemente alla Summa de creaturis
(composta dal maestro di Lauingen gi nella prima met degli anni Quaranta), ma elimina
varie autorit mediche; si sofferma sulle questioni filosofiche riguardanti il rapporto
intelletto-corpo umano, ma passa sotto silenzio lopposizione tra Galeno e Aristotele sul
ruolo del seme nelle generazione dellembrione, segnalata invece dal suo maestro.
Se, ci nonostante, nelle Sentenze sembra ereditare da Alberto una certa ambiguit,
riconoscendo di fatto una certa funzione anche materiale al seme maschile quando parla di
una sua mescolanza (admixtio) con il contributo femminile,29 successivamente (ad
esempio nella prima parte della Somma teologica)30 Tommaso sostiene invece una
soluzione strettamente conforme ad Aristotele, citando il De generatione animalium, senza
tuttavia neppure curarsi di contrapporlo ad auctoritates mediche. Evidentemente, grazie al
suo maestro Tommaso ben consapevole di questa opposizione, ma non ritiene neppure
necessario renderne conto.
Anche riguardo alla tematica dellumido radicale e a quella, non direttamente
connessa con il tema della riproduzione, dellorganizzazione cerebrale, si pu notare una
scarsa familiarit da parte di Tommaso con le fonti mediche (che egli forse conosce
soltanto in maniera indiretta, tramite Alberto ma anche tramite lo stesso Aristotele e i suoi
commentatori). La scarsa considerazione di Tommaso per la medicina risulta
particolarmente evidente, come stato notato,31 proprio nellopera direttamente dedicata al
moto del cuore, in cui sorprendentemente non trovano spazio problemi tradizionalmente
discussi, come quello dellorgano egemone e del numero delle cavit cardiache.
Lomissione crescente di dettagli medici negli scritti di Tommaso si accompagna
allintento di aderire fermamente ai principi della biologia aristotelica. Certo questa
impostazione e questo processo non sono casuali, ma rivelano i suoi intendimenti di fondo,
27

Ivi, d. XV, q. 2, a. 2, ad 1, 002 2SN DS15QU2 AR2-RA-1; Id., Contra Gent., Lib. 2, cap. 63, n. 1, 005 SCG#
LB2 CP-6++3 N.-1 e cap. 68, n. 2, 005 SCG# LB2 CP-6++8 N.-2.
28
Cfr. supra, nota 6.
29
Id., II Sent., d. 30, q. 2, a. 2, resp., 002 2SN DS30QU2 AR2-CO--.
30
Ad esempio S. Th. I, q. 118, a. 1, ad 4, 007 ST1 Q11++8 AR-1RA-4. Si pu vedere anche la successiva q. 119.
31
Cfr. E. Paschetto, La natura del moto in base al De motu cordis di S. Tommaso, in Thomas von Aquin. Werk und
Wirkung, cit., pp. 247-260. Sui rapporti fra teologia, medicina e filosofia naturale nel XIII secolo, e
particolarmente in Tommaso dAquino, si possono vedere anche, tra laltro: W. H. Principe, The Truth of Human
Nature according to Thomas Aquinas: Theology and Science in Interaction, in Philosophy and the God of
Abraham: Essays in Memory of James Weisheipl, OP, ed. R.J. Long, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval
Studies, 1991, pp. 161-177; G. Alliney, Lidentit del corpo mortale e del corpo risorto nei dibattiti duecenteschi,
Esercizi filosofici, n. 3, 1996, pp. 187-197.

55

Luciano Cova / I principi della generazione umana

che sono teologici e insieme metafisici e si traducono in una precisa scala di valori
epistemologici. La filosofia naturale necessaria alla metafisica (cos come la metafisica
indispensabile alla teologia), ma ci che in essa veramente conta la conoscenza dei
principi. I dettagli non sono importanti, e quanto ci dice Aristotele sufficiente senza
dovere ricorrere, nellascesa speculativa, al sapere dei medici. Anzi, pi che sufficiente:
le stesse opere biologiche di Aristotele non sono infatti oggetto di una trattazione estesa in
Tommaso, quasi che anche il Filosofo in questo campo abbia indagato e detto pi del
necessario. Da questo punto di vista, la distanza che separa Tommaso dal suo maestro
appare davvero notevole.
C un passo del commento al De trinitate di Boezio in cui Tommaso vuole
ridimensionare anche formalmente il valore scientifico della medicina, richiamandosi al
Canone di Avicenna per sottolineare il carattere radicalmente pratico di tale disciplina.
Essa ha certamente anche una parte teorica (quella che insegna il numero delle virtutes e i
generi delle febbri), ma solo nel senso che non rivolta alloperazione in maniera
prossima. Per cui, in realt, anche questa parte della medicina non pu essere compresa
nella philosophia speculativa. La medicina non rientra nellambito teorico, neppure nel suo
livello pi basso e preliminare allo studio degli oggetti pi alti, ma una scienza operativa
subalternata alla fisica da cui soltanto pu ricevere il propter quid delle proprie
operazioni.32
Mi limiter, qui, a verificare questa lettura di Tommaso con lesame di due temi
teologici implicanti una teoria della maternit non presi in considerazione da Jordan. Posso
anticipare che, nei passi analizzati, anche in quelli tratti dal Commento alle Sentenze, il
livello di attenzione alla tradizione medica si conferma molto basso.
Nel terzo Libro delle Sentenze anche lAquinate, come gli altri commentatori del
Lombardo, tratta della potentia generativa beatae Virginis (distinzione III). Egli polemizza
anzitutto, sviluppando la dottrina delle due santificazioni di Maria, con quanti attribuiscono
alla seconda la funzione di preservare la prole, cio Cristo, dalla contrazione del peccato
originale. Richiamandosi a quanto gi detto nel secondo Libro, Tommaso afferma che la
corruzione ereditaria, come colpa, deriva ai figli soltanto dal padre, mentre dalla madre,
che si limita a ministrare materiam, passano esclusivamente le penalit corporee (fame e
sete, malattie, morte). La purgatio matris avrebbe potuto esentare Cristo da tali difetti
(che egli peraltro volontariamente assunse), ma non certo dalla colpa originale, la cui
assenza in lui dovuta alla mancanza di una virilis copula nel concepimento. Per cui
aggiunge Tommaso se per impossibile la Vergine avesse concepito dopo la seconda
santificazione un altro figlio mediante lamplesso con un uomo, quel figlio avrebbe
contratto il peccato originale.33
In questa sede il maestro domenicano non presenta alcun riferimento alle fonti
profane che lo ispirano, ma lo fa nellarticolo successivo, 34 in cui si chiede se la Vergine
abbia cooperato attivamente nel concepimento. Nel sed contra e nel respondeo, in cui
conclude che nella formazione e nella organizzazione del corpo di Cristo nihil fuit ex
parte beatae Virginis quod esset activum, le citazioni del De generatione animalium sono
esplicite e dettagliate. Ci che tuttavia colpisce la totale assenza di riferimenti anche
32

Thomas de Aquino, In Lib. Boethii De Trinitate, p. 3, q. 5, a. 1, ad 4 e ad 5, 064 CBT# PS3 QU5 A31 RA-4 RA-

5.
33
34

Id., III Sent., d. 3, q. 1, a. 2, 1, resp., 003 3SN DS-3QU1 AR2ACO--.


Ivi, d. 3, q. 2, a. 1, 003 3SN DS-3QU2 AR1-TT--.

56

Esercizi filosofici 2002 / Testi

generici alla tradizione medica nellesposizione delle obiezioni (nei sei argomenti iniziali e
nel corso dello stesso respondeo): alle autorit bibliche e patristiche (Giovanni Damasceno
e Agostino) si affianca un unico passo di un autore profano ed tratto, quasi
paradossalmente, dal commento di Averro al De anima (II, com. 27).
Laffermazione del Commentatore secondo cui le potenze che costituiscono la parte
vegetativa dellanima sono tutte attive utilizzata come premessa maggiore di un
ragionamento con il quale si conclude che anche la madre, in quanto dotata di potenza
generativa, non pu non avere un ruolo anche attivo. Si tratta di un argomento che,
curiosamente, presenta delle analogie con quello che, centocinquanta anni pi tardi, Jacopo
da Forl utilizzer per sostenere la posizione di Galeno fondandosi sullimpossibilit che
una differenza non specifica, come quella tra i due sessi, sia sufficiente a provocare
unopposizione attivo-passivo a livello di virtus.35 Tommaso risponde ammettendo che
anche nella femmina la potenza generativa attiva, in una maniera tuttavia imperfetta, per
cui lazione si riduce alla preparazione della materia e allaccoglimento del concepito con
una buona disposizione dellutero. A questo proposito possiamo trovare lunico richiamo
esplicito alla tradizione medica, con una citazione di un passo di Avicenna (cap. De
diluviis) cui gi si era richiamato Alberto Magno nella Summa de creaturis.36 Un
riferimento estremamente generico invece rinvenibile in una successiva questione della
stessa distinzione, quella sulla formazione di Cristo ex purissimis sanguinibus Virginis, in
cui brevemente si riferisce, attraverso la confutazione che ne fa Aristotele che multipliciter
la distrugge, lopinione di quelli che ritengono che il corpo umano formatur ex
commixtione seminum, scilicet patris et matris simul, cum sanguine menstruo, ita quod
totum hoc sit materia corporis. Tommaso spiega che per Aristotele invece semen
mulieris nihil facit ad generationem; unde etiam et quaedam mulieres concipiunt sine hoc
quod seminent. Sed sanguis qui menstruum dicitur, est in mulieribus loco seminis in viris.
E pu concludere, quasi trionfante, che secondo questa opinione del Filosofo si pu
salvare in maniera convenientissima il parto della Vergine.37
La questione della Summa theologiae sulla cooperazione della Vergine nel
concepimento38 non offre novit di rilievo. Pi breve e concisa rispetto a quella delle
Sentenze, presenta anchessa, come unica auctoritas profana a favore di un ruolo attivo di
Maria nel concepimento di Cristo, il passo di Averro sul carattere attivo di tutte le virt
dellanima vegetativa. Loppositore verrebbe ad essere proprio quel filosofo arabo che con
la sua opera era destinato, viceversa, a consolidare il predominio della teoria aristotelica
della generazione allinterno del pensiero scolastico!
Un altro importante riferimento alla maternit reperibile allinterno della dottrina del
peccato originale e riguarda la possibilit per la prima donna, se avesse peccato da sola
anzich insieme con Adamo, di trasmettere ereditariamente il peccato ai posteri. La
risposta totalmente negativa e viene fondata sulla filosofia naturale di Aristotele. Nel II
Libro delle Sentenze lauctoritas citata : corpus non est nisi ex femina, anima autem est
ex mare di De generatione animalium II, 4 (anche se nelledizione il riferimento al luogo
del De animalibus non esatto), ovviamente con limportante precisazione teologica che
35

Jacobus Forliviensis, Expositio cum quaestionibus super aureum capitulum de generatione embrionis, q. 4,

quantum ad 2um 3a concl., Venetiis 1518, 15vb.


36
Thomas de Aquino, III Sent., d. 3, q. 2, a. 1, 003 3SN DS-3QU2 AR1-CO--.
37
Id., d. 3, q. 5, a. 1, resp., 003 3SN DS-3QU5 AR1-CO--.
38
Id., S. Th. III, q. 32, a. 4, 010 ST4# QU-3++2 AR-4AG-1.

57

Luciano Cova / I principi della generazione umana

lanima razionale non ex traduce. Lanima deriva dal maschio nel senso che nel seme
presente la virt formativa mediante la quale negli altri animali viene indotta lanima
sensitiva, mentre nelluomo viene organizzato il corpo e preparato alla ricezione
dellanima razionale.39 Non viene neppure prospettata una teoria genetica alternativa che
attribuisca anche alla femmina la capacit di trasmettere determinazioni formali, quasi che
la discussione fosse solo teologica (su Eva e sul peccato ereditario) e non potesse
coinvolgere posizioni diverse in ambito naturale.
Nelle Sentenze Tommaso ritiene che la donna, incapace di trasmettere la colpa
originale, sarebbe comunque stata in grado di produrre nei figli le penalit a livello
corporeo, mentre nelle Questioni disputate De malo, in una maniera coerente con la propria
ortodossia peripatetica, sostiene che Adamo innocente, tramite Eva peccatrice, avrebbe
trasmesso ai posteri la giustizia originale e avrebbe quindi impedito che essi fossero
passibili e mortali. Qui pure non vengono prospettate teorie genetiche alternative, e
particolare di grande rilievo anche largomento in oppositum a favore della trasmissione
del peccato da parte di Eva non mette minimamente in dubbio che la donna fornisca
soltanto la materia.
La risposta, dunque, netta e senza appello: Originale peccatum contrahitur per
virtutem moventem ad naturam humanam, quae est in semine maris, secundum
Philosophum. Per questo, nota Tommaso, lApostolo dice che mediante un solo uomo il
peccato entrato nel mondo.40 La potenza generativa della donna in realt non pu
trasmettere nulla, ma solo preparare e offrire una materia. Con le debite differenze,
paragonabile a quel dito o altra parte del corpo che, come si dice nella soluzione di un altro
argomento della stessa questione, non sarebbero in grado di trasmettere il peccato se
miracolosamente ne fosse tratto un corpo umano. E del resto, anche nel linguaggio
dellagostinismo medievale, solo il maschio portatore della ragione seminale che si
trasmette a tutta lumanit, mentre dalla femmina deriva solo la corpulenta substantia.41
Come San Paolo, anche SantAgostino pu trovare cos solenne conferma in
Aristotele. Aristotele, si sa, il Filosofo.

39

Thomas de Aquino, II Sent., d. 31, q. 1, a. 2, ad 4, 002 2SN DS31QU1 AR2-RA-4.


Id., Quaestiones disputatae de malo, q. 4, a. 7, ad 4, 014 QDM QU-4AR-7RA-4. Cfr. Rom. 5, 12 sgg.
41
Thomas de Aquino, Quaestiones disputatae de malo, q. 4, a. 7, sed contra e ad 1, 014 QDM QU-4AR-7SC--,
014 QDM QU-4AR-7RA-1.
40

58

LA MEDICINA TRA RELIGIONE, MAGIA, SCIENZA ED ETICA.


*
QUESTIONI FILOSOFICHE A PARTIRE DA PLATONE

Linda M. Napolitano Valditara

Il titolo del mio intervento si riferisce a un tema assai ampio: non pretendo per di
trattare in modo esaustivo il complesso rapporto tra filosofia e medicina in Platone,
operazione impossibile nel breve tempo concessomi, n presumo di dire qualcosa di nuovo
in merito, cosa altrettanto impossibile dinnanzi a Mario Vegetti, maggior esperto italiano
del tema.
Vorrei tentare invece un altro tipo di operazione, che parsa questa s possibile a me
e al collega Luciano Cova, quando immaginavamo questa giornata di studi su filosofia e
medicina nel pensiero antico e medievale, e che potrebbe, ovviamente se mi riesce, essere
persino utile a introdurre ai nostri lavori soprattutto gli studenti e dottorandi presenti.
Il tentativo di evidenziare alcuni nodi problematici, che non sono forse propri in modo
esclusivo del pensiero greco classico e che potrebbero valere, nella relazione plurisecolare
tra filosofia e medicina, come altrettanti passaggi obbligati.
Platone poi, rispetto a un tale tentativo, un buon punto dosservazione, poich il
presunto iniziatore della pi idealistica astrattezza in filosofia in verit astratto cos poco
da porre i problemi che solleva con la radicalit che gli propria avendo per alle spalle
delle precise circostanze storiche, che egli tiene ben presenti, e che sono, anche per suo
tramite, pienamente ricostruibili.
I numerosi riferimenti dei dialoghi platonici alla medicina e ai medici sono certo
debitori a Socrate, il quale, tutti lo ricordate, concepiva il proprio compito indurre le
anime alla conoscenza di s come simile a quello che la levatrice svolge sui corpi pronti a
partorire e lattenzione rivolta poi allanima come una cura di s, una melte, simile a
quella che il regime, la diite, attuato dai Greci tramite ginnastica e alimentazione corretta,
deputato a praticare sul corpo.
I riferimenti medici delle opere di Platone poggiano per anche su un dato storico: larte
medica presente da tempo e diffusa nel mondo classico, come concordemente ammettono
i pi celebri miti di fondazione della civilt greca. Platone stesso riecheggia, nel Protagora
(322 C 6-7) e nel Simposio (214 B 7) il detto, ricorrente gi in Omero (Il. XI 514), secondo
cui un solo medico basta per molti profani (
); Eschilo ascrive al suo Prometeo il merito di aver rinvenuto per luomo, inerme
dinnanzi alle malattie, gli amalgami, i composti che alleviano, fanno barriera a qualunque
malanno (Prom. vv. 481-2); e Sofocle, in un notissimo coro dellAntigone, ricorda

qui presentata la versione integrale della conferenza dapertura della Giornata di studio su: Brevis vita, longa
ars. Filosofia e medicina nel pensiero antico e medievale, tenutasi a Trieste, il 4/5/2001 (interventi di L. M.
Napolitano Valditara, M. Vegetti, C. Crisciani, L. Cova, G. Zanier), per il dottorato di ricerca in Filosofia e a cura
delle cattedre di Storia della filosofia antica e Storia della filosofia medievale. Questa versione scritta stata qui
integrata con poche note, quelle necessarie a esplicitare le citazioni dirette e a segnalare le traduzioni utilizzate dei
testi citati.

59

Linda M. Napolitano Valditara / La medicina tra religione, magia, scienza ed etica

anchegli che luomo del suo tempo contro ogni futuro trova risorse; solo contro la morte
non ha scampo, ma pure a malattie invincibili ha trovato rimedio (vv. 360-4).1
Non c da stupirsi, perci, che lautore del trattato ippocratico Antica medicina si
riferisca alla medicina stessa come (cito nella traduzione di Vegetti) unarte (tchne) di
fatto esistente, della quale tutti fruiscono nelle circostanze pi gravi e molto ne onorano i
buoni praticanti e professionisti.2 Questo trattato risale a una data oscillante fra il 430 e il
415 a.C., quindi alla seconda met di quel secolo V in cui pare si dia una particolare
concentrazione di fatti culturalmente rilevanti, una concentrazione temporale dunque, ma
anche spaziale, poich lambito di riferimento il bacino del Mediterraneo, e sono
soprattutto la Grecia e lAttica.
Le fonti pongono dunque in questo periodo e luogo uno straordinario sviluppo della
cosiddetta tchne iatrik: essa pare non uneccezione o un lusso, ma una pratica diffusa e
quotidiana in una citt come Atene, che si d la vita libera, ricca e persino edonistica
celebrata dal Pericle di Tucidide, una citt che necessitava di buoni medici per gli incidenti
connessi alla comune pratica sportiva e per la pari diffusione delle attivit militari, quelle
che videro impegnati gli Ateniesi in altrettante operazioni belliche addirittura, nel corso
dello stesso V secolo, ogni anno su tre.3
Nel 430 poi, pochi anni prima della nascita di Platone, Atene sub unepidemia di peste,
quella stessa, probabilmente, che Sofocle mette in scena nella Tebe nella quale ambienta
lEdipo Re. A Sofocle dobbiamo forse anche unincisiva rappresentazione di unaltra
malattia studiata e discussa allepoca, cio lepilessia, il morbo sacro cui dedicato un altro
trattato del Corpus Hippocraticum: la dolorosa crisi del male dalla quale il guerriero
Filottte , nella tragedia omonima, colpito in scena (tratto questo, di per s, gi strano
rispetto alle convenzioni tragiche, che vogliono che il male e il delitto avvengano fuori
dal palcoscenico), tale crisi, bench il male sia detto rimontare al morso del serpente
guardiano di un tempio che Filottte aveva violato, esibisce in realt tutti i tratti sintomatici
(laura precritica, la perdita di coscienza, il sonno finale) propri di una crisi epilettica.4
I dati su queste malattie le cui cause non sono spiegabili e di cui non sono curabili gli
effetti dolorosi e persino, nel caso della peste, mortali convergono allora verso il primo
tipo di relazione per noi interessante: il legame fra medicina greca, superstizione, magia e
devozione religiosa.
Nella seconda met del V secolo divengono infatti comune mta di pellegrinaggio i
santuari legati a una tradizione medica (a Coo, patria dIppocrate, ad Oropa, nella Beozia, a
Ramnunte nellAttica); qui i sofferenti delle pi diverse malattie sono guariti dal dio mentre
dormono nel portico dellincubazione, senza bisogno di sottoporsi alle cure dolorose
praticate dai medici laici, quelle elencate nel Protagora platonico (354 A) come classica
1

Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, I Persiani, I sette contro Tebe, Le supplici, introd. di U. Albini, trad., nota
storica e note di E. Savino, Milano, Rizzoli, 1988; Sofocle, Antigone, trad. it. di G. Paduano, in Sofocle. Tragedie e
frammenti, Torino, Utet, 1982, vol. I.
2
Per Antica Medicina e per altre opere del cosiddetto Corpus Hippocraticum, cfr. Ippocrate, Opere, trad. it. di
Vegetti, Torino, Utet, 1996 (III ed.).
3
Con il Pericle di Tucidide alludo, ovviamente, al cosiddetto Epitafio per i caduti del I anno della Guerra del
Peloponneso, che Tucidide, nel II libro delle sue Storie, immagina pronunciato appunto da Pericle, quale apologia
dellAtene democratica. Per queste ed altre notizie storiche sulla medicina in Grecia, cfr. in particolare il saggio di
J. Jouanna, Il medico tra tempio, citt e scuola, in I Greci. Storia, cultura, arte, societ, a c. di S. Settis, vol. II. 2,
Torino, Einaudi, 1997, pp. 795-813.
4
Cfr. Soph. Phil. vv. 732-826.

60

Esercizi filosofici 2002 / Testi

triade di phrmakon, kusis e tom, cio farmaci depurativi, cauterizzazioni e incisioni


chirurgiche. Famoso su tutti il santuario di Epidauro nel Peloponneso, dedicato a quello
che diviene proprio allora il dio greco della medicina, Asclepio (il latino Esculapio),
divinit che viene accolta nel pntheon ateniese nel 420 a.C. (proprio il drammaturgo
Sofocle avrebbe ospitato nella sua casa la statua del dio, prima che questa fosse collocata
nel tempio destinatole in citt).
non solo il timore di terapie dolorose a indurre a rivolgersi agli di e ai loro ministri,
ma anche limpotenza dei medici a curare malattie come appunto la peste: essi infatti,
come, ancora, ricorda Tucidide, in quel doloroso frangente, non erano di aiuto, a causa
della loro ignoranza, poich curavano la malattia per la prima volta, ma anzi loro stessi
morivano pi di tutti, in quanto pi di tutti si avvicinavano ai malati Tutte le suppliche
che facevano nei templi o luso che facevano di oracoli o cose simili, tutto ci era
inutile.5
Anche Sofocle angosciosamente lamenta limpotenza a trovar rimedi contro la peste per
bocca dei supplici nel Prologo appunto dellEdipo Re:6 tale dichiarata impotenza lascia
spazio non solo alla devozione religiosa, ma anche ai ciarlatani. Latteggiamento di costoro
per denunciato dallautore del trattato ippocratico Il Morbo sacro: (cito nella
ricostruzione dellopera di Giuseppe Cambiano): attribuire a una malattia [come appunto
lepilessia], per le caratteristiche che la differenziano dalle altre, una qualit divina equivale
a sottrarre tale malattia alla competenza della medicina e, di riflesso, a giustificare un tipo
di cura magica. Il criterio di differenziazione fra malattie divine e umane costituito
dallaspetto meraviglioso (thaumsion) delle prime, cio dallincapacit di coglierne le
cause reali di tale situazione, secondo lautore [del trattato], hanno approfittato maghi e
ciarlatani per qualificare come sacra questa malattia straordinaria e giustificare, in tal modo,
da una parte, la propria attivit e, dallaltra, lincapacit di trovare rimedi effettivi se il
malato guarisce, il merito dei maghi, ai quali va fama di abilit; se muore, la
responsabilit attribuita agli di.7
Platone, per parte sua, denuncia in generale, nellEutifrone e nel II libro della
Repubblica, latteggiamento che ascrive agli di la causa di ogni male umano e che attende
dalla cura devota rivolta agli di stessi, con sacrifici e pratiche magiche, una contropartita
in termini di vantaggi spirituali e materiali: cos fanno proprio i ciarlatani e indovini che
si presentano alle porte dei ricchi, per convincerli della propria capacit a valer loro tali
vantaggi e che essi a mezzo di determinate evocazioni e magici legami avrebbero
persuaso gli di a servirli.8
Il razionalismo emergente da tale critica lo stesso teorizzato e diffuso dai medici laici
del V secolo e sigla la seconda direzione per noi interessante: lesigenza per la medicina

Thuc. II 47, 4; Tucidide, Le storie, trad. it. di G. Donini, Torino, Utet, 1995, vol. I.
Vv. 22-30: La nostra cittondeggia e non riesce pi a sollevare il capo dalla tempesta di sangue. Perisce coi
frutti della terra ancora immaturi, con gli armenti, coi parti infecondi delle donne. Lorribile peste, una divinit di
fuoco, colpisce e investe Tebe. Si vuota la casa di Cadmo, si arricchisce il nero Ade di gemiti e pianti (corsivo
mio; trad. it. di G. Paduano, citata supra, alla nota 2).
7
Cfr. G. Cambiano, Platone e le tecniche, Torino, Einaudi, 1971, p. 38. Sofocle, nel brano riportato alla nota
precedente, definisce come visto anche la peste una divinit di fuoco (
) (v. 27).
8
Resp. II, 364 B. Il dialogo platonico citato nella trad. it. di F. Sartori, in Platone, La Repubblica, introd. di
Vegetti, note di B. Centrone, Roma-Bari, Laterza, 1997.
6

61

Linda M. Napolitano Valditara / La medicina tra religione, magia, scienza ed etica

razionalistica, che intendeva fondarsi su basi scientifichedi difendersi dallinvadenza


polemica di una medicina non scientifica.9
Emerge in effetti dai trattati ippocratici, come segno dellesistenza non solo di una
pratica, ma anche di una teoria e di un insegnamento del sapere medico, il procedere della
medicina verso una strutturazione epistemologica come tchne, cio come arte, meno
precisa, meno universale e meno teorica di una scienza (epistme) e nondimeno pi
metodica e garantita nellefficacia di una semplice pratica (empeira).
Antica medicina afferma: la medicina da gran tempo ormai dispone di tutti gli
elementi, e il principio e la via (hods) sono stati scoperti, grazie ai quali in lungo corso di
tempo sono state fatte molte ed egregie scoperte (Cap. 2); queste, del resto, sono state
conquistate in modo giusto e corretto e non secondo laccidentalit del caso
! " #
# $ %
# $ &#
'( ) Cap. 12).
Anche Platone ritiene che gli Asclepiadi, i successori del dio Asclepio e colleghi di
Ippocrate, sappiano (cito dal Fedro) non solo per pura pratica e in maniera empirica ma
per arte (
*+
# $
,
( -) al corpo procurare salute e forza,
offrendo medicine e nutrimento (270 B 5-7); per far questo essi devono anzitutto
conoscere la natura di ci il corpo e la sua salute di cui appunto vogliono a un tempo
(ancora il Fedro) possedere larte ed essere capaci di fare essere tali anche gli altri .
*
/
0
& $ # # $ # $
1
$
2 ) (270 D 2-3).
La loro arte definita allora appunto dal possesso ed uso di un metodo; e, daltra parte: Il
metodo che proceda senza le cose che ho detto [la conoscenza delloggetto] somiglierebbe
al procedere di un cieco. Invece, chi con arte persegua una qualsivoglia cosa, non bisogna
paragonarlo n a un cieco, n a un sordo.10
La tchne iatrik, per Platone, non , come le matematiche, una scienza teorica, dotata
di assoluta precisione e universale necessit; anchessa, come lauletica, la strategia, la
nautica, infatti opera (cito dal Filebo [55 E-56 B]) non secondo misura, ma secondo
congetture dedotte dalla pratica ( &
3
/ ( / 4)andando per
tentativi ( 4 / (
/
' / ), cos da mescolare insieme molto di
incerto e poco di sicuro;11 ma, nonostante ci, essa, come vuole il Gorgia (464 E-465
A), diversa dalla e superiore alla pura pratica, la trib, in cui invece consisterebbe il suo
esemplare contraffatto, la gastronomia.
Ancora secondo Antica medicina, alla dietetica la medicina sarebbe stata legata in
origine, quando si preoccupava di distinguere gli alimenti adatti alluomo da quelli degli
animali e quelli somministrabili ai malati da quelli adatti alluomo sano: ma il Platone del
Gorgia allarga appunto a forbice la distinzione fra medicina e gastronomia (cucina siciliana
e pasticceria attica), proprio perch tale pratica empirica, che fornisce anchessa cibi e
bevande al corpo, , diversamente dallarte medica, una semplice forma di lusinga
(kolakia): leggiamo ancora nel Gorgia: [La lusinga] non unarte, ma una forma di
abilit, poich non sa spiegare razionalmente la natura del suo oggetto n dei suoi
strumenti, e non sa indicare la causa di nulla ( (
15 &
6
0
7
! 8
&# 9(
&1
:
; <
= 27
9

Cambiano, Platone e le tecniche, cit., p. 37, corsivo mio.


Phaedr. 270 D 9-E 2. Cito da Platone, Fedro, trad. it. di G. Reale, Milano, Mondadori, 1998.
Cfr. Platone, Filebo, trad. it. di M. Migliori, Milano 1995.

10
11

62

Esercizi filosofici 2002 / Testi

'/
/ ! >/
?
@# /
9(
? 2 ): io non posso
chiamare arte quella che unattivit irrazionale ( A 1
(
& #
B C D
E
).12
Occuparsi di un oggetto specifico di cui si conosce la natura, rendere perci ragione di
quanto si consiglia per esso, sapendo indicare le possibili cause di quanto gli sta accadendo
e di quanto si opera in suo favore, poter trasmettere le stesse nozioni tramite
linsegnamento: questi paiono a Platone i tratti della medicina in quanto tchne e ancora
Vegetti li elenca nel suo recente commento alla Repubblica.13
Platone ammette dunque che la medicina debba, come ogni tecnica, avere un oggetto
specifico, poich (cito dal Carmide) (170 C) si conosce ci che sano con la
medicinaci che armonico con la musica,ci che riguarda la costruzione di case con
larchitettura e cos per ogni cosa.14
Tale rapporto a un oggetto specifico rende ogni tecnica autonoma nel proprio ambito
disciplinare: essa, per, non deve fondare, come i medici italici influenzati da Empedocle,
(cito ancora da Antica medicina) il proprio discorso su un postulato (F
/ ), il caldo, il
freddo o lumido o il secco o quale altro abbiano scelto, troppo semplificando la causa
originaria delle malattie e della morte degli uomini, a tutti i casi attribuendo la medesima
causa (Cap. 1); essa dunque non deve studiare, come fanno costoro, la natura delluomo in
universale, ma (cito ancora) che cos luomo in rapporto a ci che mangia e a ci che
beve e a tutto il suo regime di vita, e quali conseguenze a ciascuno da ciascuna cosa
derivino (Cap. 20).
La conoscenza medica del corpo non poggia dunque su postulati generali e filosofici,
ma si fonda empiricamente sulla sensazione (isthesis) concreta e sullosservazione e
tabulazione attenta dei sintomi. Occorre per poi che il medico colleghi quanto osserva nel
presente a ci che gi ha esperito e osservato di analogo oppure anche di diverso e perfino
di opposto nel passato, giungendo cos a costruire il quadro sintomatico che ancor oggi
chiamiamo anamnesi, alla lettera richiamo, ricordo, rammemorazione. il quadro
anamnestico cos ricostruito a consentire poi una diagnosi, cio un riconoscimento della
malattia, una previsione futura del suo decorso o prognosi, e la prescrizione di rimedi
(terapia) analoghi a quelli che lesperienza ha gi segnalato come utili in casi simili a
quello presente.
Studiando luso delle metafore visive nel mondo greco per significare altrettante forme
della razionalit, tentavo qualche anno fa di mostrare come la razionalit impiegata da ogni
techntes e dunque anche dal medico somigli a quella metaforizzata da unespressione gi
di Omero, hma prsso ki opsso lyssein, vedere contemporaneamente avanti e
indietro, vedere accostando lavvenire al passato: scopo quello di pervenire a un
sapere stabile, che sia cio capace di resistere, fermo al suo posto (epistnai, da cui
epistme, scienza) al continuo e apparentemente disordinato mutare delle cose; per ottenere
questo bisogna appunto vedere davanti, proiettando su presente e futuro il peso di ci che
gi si visto indietro, in precedenti casi simili e che perci si stabilmente acquisito,
12

Gorgia, 464 E 2-465 A 6. Cfr. Platone, Gorgia, trad. it. di G. Zanetto, Milano 1994, corsivo mio.
Cfr. Platone, La Repubblica, trad. e comm. a c. di Vegetti, Vol. I, Napoli, Bibliopolis, 1998, pp. 193-207, in
particolare p. 195.
14
Cfr. Platone, Teage, Carmide, Lachete, Liside, introd., trad. e note di Centrone, Milano, Garzanti, 1997.

13

63

Linda M. Napolitano Valditara / La medicina tra religione, magia, scienza ed etica

congetturando quanto accadr sulla base di quanto si sa essere accaduto; bisogna prevedere
il nuovo invisibile, individuando somiglianze fra esso e il vecchio, noto e visibile.15
Anche Anassagora (fr. 21 b) esplicitava un procedere analogo della sopha, del sapere
tipico della tchne, attraverso lesperienza (del presente) e la mnme, o ricordo, del passato.
Antica medicina ritiene anchessa che la tchne iatrik proceda, nella dimensione euristica,
verso nuove scoperte, essendo a conoscenza di quanto gi stato scoperto, da questo
prendendo le mosse e che lo stesso faccia, sul versante invece applicativo-terapeutico, il
singolo medico, il quale ascoltando, nullaltro fa se non ricordare
G/#
) ci
che accaduto a se stesso (Cap. 2).
Avallando quanto espresso poeticamente da Omero e in forma filosofica, pur
frammentaria, da Anassagora e poi dal trattato ippocratico, Platone riconosce a sua volta
che vi siano due forme del sapere capace di opporsi efficacemente al mutare delle cose,
capace di vederne il comportamento indietro e davanti e dunque di controllarlo, la
scienza (epistme) e la retta o vera opinione (orth dxa). Questultima, bench non sia
capace, come la prima, di sguardo universale, poich non sa indicare con certezza il
legame causale fra i veduti passati e futuri e si limita a congetturarlo, per in grado,
quanto la prima, distituire utili connessioni rammemorative fra quanto visto nel passato e
quanto le si profila dinnanzi nel futuro; perci (cito dal Menone) lopinione
verarelativamente alla rettitudine dellazione non dirige meno bene dellintelligenza e
non meno utile della scienza.16
A tale forma di sapere potrebbe dunque appartenere secondo Platone la tchne iatrik,
che non giunge, come le matematiche o la dialettica filosofica, ad occuparsi di oggetti
eternamente stabili e intelligibili: la medicina sempre rivolta al corpo, realt
ontologicamente intermedia fra lassoluto essere e il non essere, oggetto al quale, stando
alla Repubblica, perci adeguata una forma di sapere come appunto la dxa, lopinione, a
sua volta intermedia tra lepistme e lassoluta ignoranza.17
Specificit delloggetto, insegnabilit, razionalit ed efficacia delle procedure non sono
per i soli tratti ascritti da Platone alla tchne medica: occorre infatti segnalarne anche
limpianto teleologico; (cito dal commento di Vegetti alla Repubblica): gli oggetti delle
tecniche sono normativi rispetto alle tecniche stesse: la forma della nave a dettare le
procedure per la sua costruzione, e sono le esigenze del corpo malato a dettare la terapia
della medicinaessa non autoreferenziale, non rivolta cio verso se stessa ma
ordinata teleologicamente al compimento del suo oggetto.18
Tale punto importante cintroduce alla terza e ultima direzione problematica nel
rapporto tra filosofia e medicina, cio quello che questa intrattiene con la politica e letica.
Limpianto teleologico della tchne iatrik riconosciuto gi da Antica Medicina,
secondo cui gli organi specifici e diversi del corpo vanno da essa conosciuti per un preciso
scopo pratico, cio affinch conoscendo le cause di ogni fenomeno, correttamente si possa
provvedere 8
H
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?1A %
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) (Cap. 23).

15

Per tale nodo e per i testi della letteratura greca che ce ne danno notizia, mi permetto di rinviare al mio Lo
sguardo nel buio. Metafore visive e forme grecoantiche della razionalit, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 89-90.
16
Men., 97 B-C. Cfr. Platone, Protagora, Menone, Fedone, trad. it. di G. Cambiano, Milano, Mondadori, 1973.
17
Cfr. Resp. V, 477 A-B.
18
Cfr. il commento alla Repubblica gi citato supra, alla nota 13, vol. I, p. 198.

64

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Per Platone, poi, la medicina si distingue come visto dalla corrispondente pratica della
lusinga, cio dalla gastronomia, anche perch, mentre questa mira al semplice piacere del
corpo, la medicina mira (stochzetai) piuttosto al suo bene, vale a dire alla salute del corpo
stesso (Gorg. 464 E-465 A): essa ha dunque, come ogni altra tecnica e diversamente dalle
pure pratiche, un fine specifico e strutturale, appunto quello di perseguire il bene o lo stato
migliore del suo oggetto.
Contro la tesi del sofista Trasimaco, che la giustizia sia lutile del pi forte e che chi
possiede la tecnica del governo eserciti il potere e promulghi le leggi solo in vista del
proprio utile, Platone scrive nel I libro della Repubblica: (341 D)la tecnica non
destinata appunto a questo a cercare e a procurare a ognuno il suo utile? per questo la
tecnica medica stata ora scoperta, perch il corpo difettoso e non gli basta quindi restare
in questo stato. Dunque la tecnica fu costituita al fine di procurargli le cose che gli sono
utili. (342 B) in nessuna tecnica sono insiti difetto n errore alcuno, e non si addice a
una tecnica cercare lutile di nientaltro se non di ci che rientra nella sua competenza
&15
/G#
( /
2 ; # 3 .
(
/ ),
mentre essa, se propriamente una tecnica, intatta e esente da difetti, finch resti
rigorosamente e interamente quello che (corsivo mio).
Platone, su tale base, definita in generale per tutte le tecniche, teorizza che la tchne
politik sia anchessa un potere di servizio e che il vero governante eserciti il potere solo
nellinteresse dei governati; costui per lo far, proprio come fa il medico nel suo campo
specifico, sulla base di un sapere tecnico che non potr appartenere a tutti i cittadini ed
essere rivendicato da tutti: nel prosieguo del dialogo, egli, con la teoria dei filosofi-re,
sostiene che il governante, come il medico, ha un sapere, lui solo, che, come voleva Omero,
basta per molti uomini. Quando, sulla scia di Socrate, guarda alla medicina come
paradigma del sapere politico, egli finisce per negare valore al discorso democratico che
vuole gli uomini, tutti indistintamente, dotati dei requisiti che li abilitano allesercizio della
politica. Come il medico, il custode della citt platonica sa, lui solo, che cos bene per i
governati, pu decidere, lui solo, per essi, pu mentire loro come fa il medico col paziente
per il suo stesso bene: tale governo del sapere non diviene meno aristocratico e
paternalistico per il fatto che il filosofo-re platonico presta la sua opera alla citt senzaltro
compenso che quello di essere da essa mantenuto, senza possedere privatamente alcun
bene; il medico a sua volta, Platone riflette, efficace anche se presta la sua opera
gratuitamente e ne ricava un vantaggio solo perch aggiunge alla sua larte del
mercenario.19
Se questi sono gli esiti del porre la medicina a paradigma della politica, altri aspetti
problematici emergono per i rapporti fra medicina ed etica, ai quali, avviandomi verso la
conclusione, vorrei quantomeno accennare.
Platone mette a tema alcune questioni morali che oggi paiono importanti: anzitutto
quella di carattere deontologico per la quale il medico, per quanto conosce il vero riguardo
al corpo e sa curarlo, anche colui che meglio conosce e pu dire il falso in tema di salute e
che quindi pu, meglio di chiunque altro, persino far ammalare e uccidere; ci perch, per
Platone come per Aristotele dopo di lui, chi conosce il vero anche il miglior conoscitore
del falso essendo la scienza dei contrari la stessa: cito dal Fedone (97 D): una sola e
19

Resp. I, 346 A-347 A.

65

Linda M. Napolitano Valditara / La medicina tra religione, magia, scienza ed etica

identica la conoscenza del meglio e del peggio; e ancora dalla Lettera VII (344 B):
insieme si imparano necessariamente e il falso e il vero che concerne tutta quanta la
realt.20
Chi sa proteggersi da una malattia sa allora anche procurarla di nascosto (Resp. I, 333
E), e addirittura miglior medico pare sia chi volontariamente cura male il corpo, poich si
mostra esperto di medicina, mentre peggiore il medico che sbaglia involontariamente,
perch si mostra incompetente (Hipp. Mi. 375 B).21
Se il medico sa curare, ma pu anche uccidere, se la normativit teleologica
rappresentata, per la sua tecnica, dalloggetto a cui essa rivolta non sufficiente a
trattenere il medico dallindirizzare indiscriminatamente lefficacia del suo sapere,
occorrer sovraordinare alla sua arte una qualche forma di sapere che ne orienti luso. Per
Aristotele sar la politica a stabilire i fini duso delle altre tecniche, indicazione che pare
per alcuni versi di straordinaria attualit;22 gi nella Repubblica platonica sono i governanti
sulla base dei fini semplici propri della medicina arcaica e non di quelli degenerati che
nella citt lussuosa impropriamente si d la tchne iatrik sono costoro appunto a stabilire
chi fra i malati possa e debba essere curato.23
Le indicazioni eugenetiche e lammissione persino di qualche forma di eutanasia hanno
consentito le letture pi diverse e sconcertanti della Repubblica, dove comunque Platone
ammette, secondo Mario Vegetti, un corretto uso delle procedure terapeutiche, destinate
soltanto a un sollecito ripristino delle prestazioni lavorative e pubbliche dei cittadini, ricchi
o poveri che siano.24 Se ci pare effettivamente subordinare la salute individuale ai
superiori interessi dello Stato e orientare alla pura efficacia pragmatica lattivit dei medici,
resta per che Platone, in una societ che, come quella greca, tradizionalmente non si
faceva scrupolo di emarginare il folle o di esporre ancora in fasce il neonato handicappato,
ammette che si dia una qualche qualit della vita e perci unutilit sociale quella che
consente di praticare la virt e di esercitare la filosofia che non si riduce alla semplice
efficienza fisica, pure tanto importante per i Greci: tale particolare forma di utilit
individuale e sociale consente infatti che, nella kallpolis, sia curato chi pure sia
naturalmente malaticcio, purch costui non si sia procurato, con la sua stessa incurabile
intemperanza, malattie cronicizzatesi e tali da impedirgli qualunque apprendimento,
riflessione e intima meditazione (Resp. III, 407 C). La qualit della vita e la stessa utilit
sociale pare dunque, anche e gi per laristocratico e idealista Platone, si possano

20

La trad. it. del Fedone quella di Cambiano, gi citata per il Menone, supra, alla nota 16; la trad. della Lettera
Settima quella di R. Radice in Platone, Tutti gli scritti, a c. di Reale, Milano, Rusconi, 1991.
21
Ho trattato questa delicata tematica, entro lesame dellIppia minore, ne Lo sguardo nel buio cit., pp. 134-136.
22
Cfr., sul valore architettonico della politica rispetto alle altre tecniche praticate nella citt, Eth. Nic. I 1 e 2,
1094 a 6-1094 b 11, nonch il cap. conclusivo dellopera. Ritengo che il tema sia attuale, perch anche oggi la
gestione delle possibilit tecnologiche in campo medico non pare decidibile con gli strumenti della sola
tecnologia medica ed entro lambito esclusivo di questa, ma sembra esigere una riflessione a livello pi alto, in
sede politica, giuridica ed etica.
23
Platone non ammette che, nella kallpolis, si possa passare la vita, senza interessarsi di altro, a curarsi per
malattie croniche contratte a causa della sedentariet e di un regime di vita scorretto: infatti, a suo dire, Asclepio
[cio la nobile medicina arcaica] non insegnaquesto metodo terapeutico, perch sapeva che tutti coloro che
sono retti da buone leggi hanno ciascuno un compito determinato nellambito statale; e debbono necessariamente
eseguirlo e nessuno pu concedersi il lusso di restare malato e di curarsi per tutta la vita (Resp. III, 406 C 1-5).
24
Commento alla Repubblica, gi citato supra alle note 14 e 19, vol. II, Napoli, Bibliopolis, 1998, p. 440.

66

Esercizi filosofici 2002 / Testi

determinare in modi e gradi diversi da quelli che, secondo il costume diffuso anche nella
Grecia del V secolo, fanno esclusivo conto dellintegrit ed efficienza fisica.25
Che il problema, comunque, di una limitazione deontologica alloperare dei medici
fosse sentito testimoniato da quanto recita lo stesso celeberrimo Giuramento di Ippocrate:
In qualsiasi casa andr, io vi entrer per il sollievo dei malati, e mi asterr da ogni offesa e
danno volontario, e fra laltro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli
uomini, liberi e schiavi.
Altri problemi potrebbero esser esaminati per il rapporto tra medicina ed etica, in
particolare per quanto concerne una sorta di paradigmaticit che la prima assume nei
confronti della seconda, orientando come si gi ricordato in apertura per la filosofia
socratica lindagine morale grecoclassica in senso naturalistico e teleologico.
Platone, infatti, struttura lanima in parti fra loro interagenti e capaci persino di
conflitto, per cui la conoscenza e la cura socratica dellanima diviene in realt conoscenza e
cura dellarmonia naturale possibile per lanima stessa nella sua globalit: la psicologia e
letica platoniche tendono allora a valere allanima quello stesso equilibrio naturale che la
medicina vale alla struttura polivoca rappresentata dal corpo. Salute dellanima allora in
Platone armonizzazione delle competenze naturali delle singole parti (la razionale,
lanimosa, lappetitiva), come per il medico di scuola italica la salute del corpo data
dallequilibrio delle qualit o degli elementi e per quello ippocratico dal contemperamento
dei flussi umorali organici.26
Lesemplarit della medicina riguarda infine anche il versante epistemologico o formale
della stessa etica, non solo perch il paradigma medico fa s che letica si strutturi come un
sapere teoretico e pratico, cio come un sapere e un saper fare, in cui hanno valore anche
leducazione e labitudine. Oltre a ci, con una sorta di felice violazione ante litteram di
quella poi nota come legge di Hume secondo la quale sarebbe impossibile ricavare una
prescrizione da una descrizione , letica grecoclassica riterr di poter trarre indicazioni
sulla condotta moralmente corretta e fonte di vera felicit per luomo dalla conoscenza della
sua specifica physis o natura e della funzione o attivit globale (rgon) che tale physis
consente alluomo, solo tra tutti i viventi, di svolgere.
In tal senso paiono orientarsi tanto Platone quanto Aristotele: Platone, nella Repubblica,
stabilisce infatti che sia rgon dellanima sorvegliare, governare, deliberare e vivere e
che lanima stessa non possa attuare tale compito senza la sua virt specifica, la giustizia,
come locchio non vede in assenza della capacit visiva o il cavallo azzoppato non sa
correre (Resp. I, 353 D); Aristotele, nellEtica Nicomachea, chiarisce quale sia il contenuto
proprio della felicit umana e, se per tutte le cose che hanno una determinata funzione e
attivit, il bene consiste appunto nellesercizio di tale funzione, anche per luomo esso
25

Il punto assai delicato anche rispetto allermeneutica tradizionale del pensiero platonico: qui posso soltanto
accennare a questa nuova e diversa possibilit interpretativa, consapevole che essa andrebbe argomentata e
documentata con ben altra cura ed ampiezza.
26
Cfr. Resp. IV, 442 D-E: produrre sanit significa disporre gli elementi del corpo in un sistema di dominanti e
di dominati conforme alla naturaDaltra parteprodurre la giustizia non significa disporre gli elementi
dellanima in un sistema di dominanti e dominati conforme alla natura? E allora la virt, sembra, sar una
specie di sanit, bellezza e felice condizione dellanima
5
IIIF
C
H # $ #
# $
J (K ; il vizio malattia, bruttezza e debolezza; corsivo mio). Basilare appare in entrambi i casi il
riferimento alla natura come unica autorit capace di stabilire, nel corpo come nellanima, che cosa possa e debba
dominare e che cosa essere dominato.

67

Linda M. Napolitano Valditara / La medicina tra religione, magia, scienza ed etica

consister in unattivit dellanima secondo virt naturale (Eth. Nic., I 7, 1098 a 14-5) e
pi precisamente nella perfetta duplice attivit razionale, teoretica e pratica, della sua
anima.
Tale impianto naturalistico e teleologico delletica pare derivi proprio dalla medicina, da
quella tchne che sin dalle origini ammetteva, come abbiamo letto in Antica medicina, di
dover conoscere le cause di ogni fenomeno, affinch si possa correttamente provvedere
(corsivo mio) e che osservava e descriveva (con lanamnesi e la diagnosi), per poter
prescrivere (con la profilassi e la terapia) la condotta pi adatta a tenere e riportare il corpo
nello stato naturale migliore, quellarte che come recita il logo del nostro incontro
odierno, logo tratto dal primo celeberrimo degli Aforismi dIppocrate sapeva far argine,
con la propria makrtes, allirrimediabile brevit della vita.

68

IL PROBLEMA DELLA COMPLEXIO E LA NOZIONE DEL VIVENTE


IN MARSILIO DI INGHEN

Giancarlo Zanier

Le principali fonti della teoria della complexio nel Medioevo erano alcuni testi galenici,
come il fondamentale De complexionibus, noto nella traduzione di Burgundio di Pisa (sec.
XII), ma anche brani del De tuenda valetudine. Oltre a questi dobbiamo ricordare le
enciclopedie mediche di Haly (Pantegni) e Avicenna, e il Colliget di Averro, tutte opere
imperniate sui concetti basilari del galenismo. Galeno aveva distinto una complexio perfetta
da una imperfetta, o relativa. La prima data da una distribuzione di terra, aria e fuoco tale
che ne risulti una sorta di bilanciamento perfetto tra le intensit delle qualit primarie
(caldo, freddo, secco, umido), una reciproca neutralizzazione che poteva saggiarsi con il
senso del tatto (per esempio, acqua bollente e ghiaccio mescolati in quantit uguali danno
unacqua che non provoca alcuna sensazione alla mano: il caso di quella che si chiamer
temperantia ad pondus). Le complexiones imperfette derivano naturalmente da miscele di
elementi in cui uno o pi di essi prevalente (in termini fisici, caratterizzate da una certa
tensione motiva, e perci peso). Alcune di queste, peraltro, possono dirsi perfette
(aequales) in senso relativo, in quanto le pi adatte alle operazioni di una determinata
specie di sostanze (aequales ad iustitiam). Bench i testi galenici non siano sempre coerenti
(n perspicui), possiamo parlare di una concezione statistica della complexio: la complexio
assolutamente perfetta non esiste in natura, ove pu darsi solo una progressiva
approssimazione a una struttura ideale, astratta (e naturalmente il numero dei casi vicini alla
perfezione bassissimo, altissimo quello delle distemperie macroscopiche: si pensi al caso
della massa della terra, o dellaria). La complexio pi vicina a quella perfetta deve
caratterizzare, ovviamente, gli esseri pi elevati: i viventi sono meglio temperati del mondo
inanimato, e fra essi lintrinseca struttura degli animali pi bilanciata di quella delle
piante. Fra gli animali, poi, la specie umana temperatissima, e tra le varie razze gli
abitanti del Mediterraneo sudorientale sono i pi temperati: se non perfetti, molto vicino
alla perfezione. Gli Arabi aggiunsero poco a questa intelaiatura teoretica. Avicenna si
azzard a determinare il punto pi temperato del corpo (la punta del dito indice) e, pi
significativamente, elesse a temperatissima la razza abitante nei pressi dell'Equatore, al
posto dei mediterranei orientali di Galeno. Non mancarono dibattiti e controversie, limitate
per allesatto significato di alcuni passi galenici. Peraltro, anche quanti li interpretavano in
senso favorevole alla possibilit di un perfetto equilibrio di qualit nel mondo animale, non
vi attribuivano grande importanza: in fondo questo ipotetico uomo temperatissimo non
differirebbe granch dal miglior uomo di complessione relativamente perfetta.
I punti teoreticamente rilevanti di queste problematiche si trovano focalizzati in modo
esemplare nei Quaesita circa complexionem del Conciliator di Pietro di Abano (diff. 1725).1 La complexio aequalis ad pondus non esiste in natura, ed anzi ragioni fisiche ci
1
Conciliator controversiarum quae inter pholosophos ac medicos versantur, Petro Abano Patavino, philosopho ac
medico clarissimo auctore (Venetiis 1565), ristampa fotomeccanica, Padova, Antenore, 1985.

69

Giancarlo Zanier / Il problema della complexio e la nozione del vivente in Marsilio di Inghen

costringono a ritenerla contraddittoria anche come mera astrazione, sicch possiamo


ipotizzare, tra le infinite temperie inaequales ad pondus, una che rappresenti il minimo
prevalere di una delle nature elementari. Per quanto riguarda la complexio ad iustitiam,
Pietro ne distingue tre forme. La prima, equivalente in certo modo alla complexio aequalis
ad pondus, una mera determinazione statistica: fra linfinito numero di possibili
combinazioni di particelle, una sola quella pi adatta alle operazioni proprie ad ogni
specie; naturalmente, i corpi naturali sono in continuo movimento (alteratio) e tale
disposizione strutturale idealmente perfetta assolutamente precaria, non potendo durare
pi di un istante (diff. XVIII, fol. 28v, col. b). La seconda forma comprende una ristretta
fascia di combinazioni materiali che include solo quelle prossime allunica, ideale, perfetta
e fuggevole complexio aequalis ad iustitiam. Questo piccolo insieme di combinazioni ha
probabilmente come causa congiunzioni astrali rare; coloro che ricevono questo dono
celeste, per quanto superiori, devono nondimeno rassegnarsi ad una sua efficacia assai
breve: due o tre anni al massimo (ibid.: ma alcuni si sentivano obbligati ad estendere tale
durata a trentatr). La maggior parte dei viventi, e quelli umani in particolare, devono
accontentarsi del terzo tipo di complexio iustitialis, che soddisfa le condizioni per uno stato
di salute ordinario, vuoi nel senso di una durevole funzionalit degli organismi, vuoi in
quello di unefficienza che consenta di sussistere. I fondamenti filosofici di questa
tricotomia derivano da una visione antropocentrica del cosmo: luomo il fine ultimo della
natura e complementum universi, onde la sua costituzione materiale devessere tale da
consentirgli conoscenza e padronanza di ogni cosa. La molteplicit stessa delle operazioni
umane richiede una plasticit fisiologica, una miscela di elementi naturali che non sia mai
troppo distante dalle varie specie del mondo esteriore: in altre parole, una complessione
perfetta dal punto di vista ontofunzionale. E risolvendosi la totalit degli oggetti materiali in
una mescolanza di quattro elementi, la nostra complessione funzionalmente perfetta deve
approssimarsi allideale bilanciamento di essi, cio la complexio aequalis ad pondus, intesa
come la misura di ogni realt sublunare (sorta di metro campione aristotelico); di qui il
diagramma col quale Pietro esemplifica la relazione fra i varii tipi di complexiones ed
aequalitates (cfr. appendice). Da questa visualizzazione facile evincere cosa sia in realt
per lui la temperatio ad pondus: la composizione di un organismo ideale e non, come in
teoria dovrebbe essere, uno degli infiniti rapporti possibili fra particelle. Vi dunque
unampia gamma di rapporti materiali adatti (costituenti una praeparatio) allazione
organizzatrice di un agente superiore; il rapporto ideale invece, che unico (ed quindi una
praeparatio perfetta) sembra postulare un agente ipersuperiore, se cos possiamo chiamarlo,
qualcosa di intimamente connesso alla dimensione divina (il corpo di Cristo).2
Queste trattazioni, in realt, sfioravano soltanto le gravi aporie che necessariamente
emergevano nellambito di quella che, forse non troppo anacronisticamente, possiamo
chiamare biologia teoretica. Aporie che vengono invece affrontate in modo paradigmatico
nel commento al De generatione et corruptione di Marsilio di Inghen.3 A prima vista

Ivi, f. 32r a-b; naturalmente il discorso vale non per la specie umana in generale, ma per la sua met pi nobile,
quella maschile (nosce etiam, quod huiusmodi iustitialis complexio certa reperitur simpliciter in viro, non
autem in muliere, ivi, col. a. A) Sul problema del corpo di Cristo si veda la conclusione del presente saggio.
3
Questiones quoque clarissimi doctoris Marsilii Inguen in prefatos libros de generatione. Item questiones
subtilissimae magistri Alberti De Saxonia in eosdem libros de generatione ultra nusquam impresse (Venetiis
1505), Frankfurt, Reprographischer Nachdruck Originalausgabe Minerva G.M.B.H., 1970.

70

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Marsilio sembra accogliere il nucleo teorico delle idee sulla temperies elaborato dalla
tradizione medica:
i medici vogliono che ci sia un mixtum che si approssima al temperamentum iustitiae, tale da non discostarsi
sensibilmente da tale temperamento; unasserzione sufficientemente vera, ch il medico non pu curarsi
delle quantit minime, come accade invece nelle tecniche pi sofisticate.4

La sua strategia argomentativa, peraltro, diversa da quelle che abbiamo finora


incontrato. La risposta alla quaestio se si dia un misto la cui composizione elementare o
qualitativa sia temperata5 preceduta da alcune significative suppositiones. In primo luogo
egli precisa che qualit da intendersi in duplice modo, distinguendosi in un misto le
qualit motrici e quelle alteratrici, onde tre possibili significati di temperatio al pondus: o vi
eguaglianza sia di qualit motrici che alteratrici, o essa si registra in uno solo dei due casi.
Ma uneguaglianza delle qualit primarie comporta un predominio della pesantezza sulla
leggerezza, e viceversa. Infatti, nei corpi organizzati (i viventi), il calore, che ne principio
costitutivo, prevale, cos come la pesantezza. Dovesse la leggerezza aumentare fino a
bilanciare la pesantezza, si avrebbe un ulteriore aumento di calore, che qualit
funzionalmente legata alla leggerezza. Lo stesso vale per i corpi inorganici (alleggerire un
pezzo di ferro incandescente richiede unulteriore somministrazione di calore). Un
procedimento argomentativo analogo vale anche nel caso delle qualit alteratrici.6
Da tali premesse Marsilio trae ovvie conclusioni: impossibile che esista un misto
temperato ad pondus sia per le qualit motrici che alteratrici; una temperatio ad pondus
esiste solo per quelle alteratrici, perch ogni distemperie qualitativa pu in questo caso
esser corretta e portata al punto di equilibrio.7
I problemi della temperatio ad iustitiam sono pi direttamente connessi con la biologia,
giacch lidea di una complessione non isoestensiva ma variamente distemperata a seconda
delle esigenze delle singole specie poneva parecchi interrogativi, derivanti soprattutto
dallindeterminatezza del concetto di specie biologica, e che possiamo collocare in due
ambiti problematici: A) E se due o pi specie mostrassero la stessa complexio? E se
lesperienza ci costringesse ad ammettere che alcuni individui della stessa specie
presentano diverse complexiones? B) E se lo stesso individuo ne presenta di diverse nel
corso della sua esistenza? Dopo tutto la differenza nel calore tra adulti e giovani un dato
accertato. Tutti questi fatti dimostrerebbero che il concetto di temperatio ad iustitiam
privo di utilit, e che se proprio di una temperatio ha senso parlare, si tratta di quella ad
pondus. Inoltre la nozione stessa di specie biologica pu esser revocata in dubbio; se con
essa ci si riferisce a raggruppamenti convenzionali, ispirati a criteri utilitari, allora un mero
descrittivismo prende il posto di ci che dovrebbe essere lespressione di una legge fisica
4

volunt dicere quod est dare mixtum propinquum temperamento iustitiae, sic quod non sensibiliter ab isto
temperamento recedit; et hoc sufficit pro veritate sui dicti quia medicus de modicis non curat: est enim artifex
sensitivus (ivi, f. 123r a).
5
Ultrum contingat dare mixtum temperatum ex elementis vel ex qualitatibus elementorum (ivi, q. XV, f.119v b).
6
Quando cio si tratta di intervenire su queste qualit e non, come nei casi affrontati, su quelle motrici. Un
ulteriore argomento questo: adaequatio (bilanciamento) pu esser concepita in due modi, o in gradu, o in virtute;
ma luguaglianza nel primo caso non implica luguaglianza nel secondo, e viceversa.
7
f. 120r b. A questo punto egli aggiunge (ff.120r b 120v a) che una temperatio di qualit motrici non
implicherebbe che un misto potesse trovarsi in stato di immobilit in un punto qualsiasi del cosmo, ma solo sulla
linea che divide lacqua dallaria (galleggiare non la stessa cosa che camminare sulle acque).

71

Giancarlo Zanier / Il problema della complexio e la nozione del vivente in Marsilio di Inghen

(fisiologica, diremmo noi). Tali leggi (noi diremmo strutture chimiche ben determinate e
fisse) sono date per gemme e minerali (e forse anche per le piante), sicch agli esseri pi
nobili mancherebbe ci di cui quelli inferiori sono dotati!
Per Marsilio queste difficolt nascono soprattutto dal trasferire ad un nesso alterativo, e
perci funzionalmente complesso, la semplicit delle qualit motrici, e cos egli si adopera
per stabilire fondamenti pi precisi per quelli che erano strumenti concettuali correnti. La
complexio di un vivente pu essere radicale o accidentale, ed evidentemente quella
radicale a essere responsabile delle operazioni proprie a ciascuna specie. Essa peraltro
duplice: in un senso eductiva formae (il calore innato ne lesempio pi ovvio), in un
altro in qualche modo connessa con il funzionamento degli organi ( la condizione per
certe formae figurales, per la simmetria, o propriet fisiche quali la trasparenza del
cristallino nel caso della vista). La complexio radicale, o naturale, e quella accidentale non
sono, peraltro, indipendenti, posto che un cambiamento della seconda pu comportare una
lieve modificazione della prima.8 Ma indipendentemente dalla relazione tra le due forme di
complexio, la disposizione che ne risulta ha tre possibili conseguenze per lorganismo: 1) o
perfettamente adatta alla vita di un misto (naturaliter), 2) o non lo perfettamente
(violenter), 3) o non lo affatto (non pu darsi vita ).
Le conclusioni di Marsilio si basano, come per i precedenti notanda, su assunti
comunemente accettati, ma con importanti precisazioni ed approfondimenti. Ammette che
ad ogni specie assegnato un certo insieme, una gamma di rapporti qualitativi che ne
mantiene gli individui nel loro stato naturale; a questi capita di superare, tuttavia, tali
confini complessionali in condizioni non naturali, quanto frequenti (lesempio banale sono
le malattie). La filosofia naturale che possiamo qui intravedere chiara, e per certi versi
scontata: ci che costituisce una specie naturale la forma sostanziale, che per pu esser
responsabile solo per lorganizzazione di un insieme definito di proporzioni qualitative;9
dato il grandissimo numero di specie, tale insieme devessere per forza limitato (la sua
latitudo non ampia). Potremmo anche dire che per definire una specie sarebbero necessari
(e forse sufficienti) criteri infinitesimali, ma Marsilio non sembra orientato verso una
soluzione del genere, che implicherebbe una continuit fra le specie, di cui era sospettoso;
tentava, piuttosto, di individuare un fondamento naturale di esse. Non che pervenga
chiaramente ed un criterio analogo alla Buffonsche Regel, ma certo formula qualcosa di
simile, nel linguaggio medievale ovviamente, quando viene a trattare il tema tradizionale10
dellantipathia e sympathia rerum. Era opinione comune tra filosofi e medici che in tali
fenomeni i protagonisti incomprensibili siano le propriet occulte, virtutes che procedono
ex tota substantia;11 incomprensibili perch non riducibili a un qualche rapporto fra le
qualit primarie. vero invece il contrario, ribatte Marsilio: tali effectus vanno ricondotti
alle proporzioni materiali, qualitative, ad essi sottese: ove queste siano irrationales, si
8

Possiamo parlare qui di una versione medievale del problema del rapporto fra caratteri acquisiti e caratteri
ereditari.
9
Si d, insomma, forma di forma (una disposizione gerarchica di strutture formali, di cui quelle subordinate - non
accidentali, naturalmente fungono da materia, per cos dire, per lazione organizzatrice di quelle superiori): era
un assunto filosofico tipico della cultura medica.
10
A esser pi precisi, tradizionale nel senso stretto sar solo nei secoli XVI e XVII; era, comunque, trattato gi
frequentemente, anche se con terminologia diversa (si pensi al De occultis operationibus naturae di S. Tommaso).
11
Non mancavano tentativi di rintracciare in Galeno i fondamenti per una teoria di virtutes e morbi ex tota
substantia: si citava soprattutto De simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus, V,16 (ma anche
passi dai libri III e XI).

72

Esercizi filosofici 2002 / Testi

origina unincompatibilit fra gli individui che ne sono i portatori. questo il caso
dellantipatia tra le specie, la condizione materiale cio, o costituzione, a causa della quale
le pecore per natura temono i lupi e gli uomini provano repulsione per i serpenti. Ed il
criterio della proporzionalit vale pure per la relazione fra misti organici ed inorganici: cos
lazione positiva dello smeraldo nelle cardiopatie pu trovare una spiegazione razionale, e
quella negativa dellaglio sul magnete pure. evidente che rapporti di simpatia nascono da
proporzioni favorevoli (rationales), e che proporzioni uguali conducono, per esempio, ad
una situazione ideale per un rapporto sessuale fecondo.12 Si pensi anche alla considerevole
variet, almeno apparente, dei var tipi di cane, che poco sembra favorire la procreazione;
per luguaglianza delle proporzioni qualitative (la struttura fisiologica in senso proprio)
conduce alla generazione di bastardi a loro volta fertili. Leggere deviazioni da
questuguaglianza danno luogo a prole non fertile, come i muli; insomma, questapparato
concettuale spiega razze, mostri, come anche parti esecrabili.13 E non solo: era utile anche
per offrire unipotesi esplicativa (probabilis) per un problema molto impegnativo dal punto
di vista metafisico: come pu la forma sostanziale essere la stessa per organi animali dalla
temperies assai diversa, quando no, opposta? Seguendo lipotesi marsiliana si pu parlare di
complessioni diverse (del cervello, dei polmoni, del fegato), ma proporzionate.
Uninterpretazione e un uso personale di idee mediche tradizionali permettevano cos a
Marsilio di trovare unalternativa a quella che altrimenti gli sembrava lunica condizione
ammissibile perch la forma sostanziale esercitasse la sua funzione: il caso di un misto
assolutamente omogeneo. Questo per sarebbe il caso delle specie inferiori e, soprattutto, di
quelle inorganiche; ma queste sono proprio quelle che pi si allontanano dalla temperie
perfetta, e quindi da quella umana!
Per quanto riguarda le altre difficolt (B), le variazioni complessionali di un
individuo in var periodi della sua vita, comunemente ammesse come un fatto di esperienza
quotidiana, potevano trovare nella latitudo complexionalis elaborata da Marsilio una
spiegazione soddisfacente. Una difficolt in proposito poteva per venire da una proposta
teorica che stava seducendo medici e filosofi. Si parlava infatti di una qualit che
persisterebbe inalterata in una particella organica, indipendentemente dalle variazioni
continue della materia che la circonda, quasi centro vivifico di essa.14 Questa qualit il
calore naturale. Marsilio si impegna parecchio su questo tema, e il considerevole spazio che
vi dedica pu esser la spia delle sue reali preoccupazioni. Le distinzioni e precisazioni
concettuali che egli propone possono esser convenientemente esposte da questo schema:

12

Anche in questo caso Marsilio lascia intravedere la sua avversione per ogni spiegazione astrologizzante e le
pratiche connessevi (in questo caso leugenetica astrologica, ben presente in Pietro dAbano).
13
Ivi, ff.120v b- 121r a. un probabile sviluppo di un tema del De diaeta ippocratico (I, VIII).
14
Secondo Averro questa tesi sarebbe stata escogitata da Alessandro dAfrodisia (mortalista per quanto riguarda
lanima e immortalista per il corpo, o almeno per la sua parte pi importante!) e ripresa, in qualche modo, da
Alberto Magno e Pietro dAbano (diff. LVI); sulla posizione di Marsilio in proposito cfr. il mio La concezione
riduzionistica del vivente nel secolo XIV, in Parva Medievalia, Trieste, Universit degli Studi, 1993, pp. 164167.

73

Aab
qualitas informans humorem

Aaa
Humor corpus praesuppositum
pro generatione caloris fluentis
formalis (Ab)

A fluens

Aba
Ab
Habens se in
ratione formae

74

calor
naturalis

corpus calidum sequens humores et


genitum ex eis per alterationes cordis
(spiritus vitalis)

Abb
qualitas in formans corpus,
inhaerens spiritibus

B
radicalis

Ba
subjectum calidum et
sic est membrum calidum

Bb
caliditas informans membrum subjectum (Ba),
et sic est qualitas inhaerens membro inducta a
causis eius (Ba)

Giancarlo Zanier / Il problema della complexio e la nozione del vivente in Marsilio di Inghen

Aa
habens se in
ratione materiae

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Presupposti ed implicazioni di questa teoria del calore naturale sono chiari. Se la vita
fosse semplicemente funzione del calore, ovvio che questultimo dovrebbe essere sempre
dintensit uguale, altrimenti lenunciato c pi (o meno) vita avrebbe un senso, il che
non si d (gli esseri vivono o no); daltro canto, il venir meno delle funzioni proprie del
vivente un fatto, come anche la mutata complessione in et avanzata. Lapparato
concettuale che Marsilio tentava di precisare e riformulare era, in realt, quella che
possiamo chiamare la versione medievale del vitalismo materialistico. Secondo tale teoria
una flammula spermatica leterna fonte di vita, capace, in virt di un processo
simpatetico, di distribuire qualit vitali alle sostanze nutritizie, che vengono cos dotate di
una vitalit di seconda mano, per cos dire avventizia (cfr. supra, nota 14). Di morte si pu
certo parlare nel caso di questa cellula ardente; ma si pu anche, e meglio, parlare di
maggior o minor vitalit, in riferimento alle condizioni della materia adveniens: la sua
resistenza, che deriva certamente dalla complexio, pu portare allestinzione della lucerna
della vita.15
Da tali premesse Marsilio pu concludere che il calore degli iuvenes pi efficace, e
conseguentemente superiore in intensit (intensive), di quello dei pueri (ci dovuto alla
connessione col secco che si riscontra negli adulti); il calore dei pueri invece superiore
quantitativamente, perch il subjectum humidum et informans pi diffuso ed ingente.16
da escludere uneguaglianza di calore nelle due et, e, soprattutto, un ruolo privilegiato di
esso. La fisiologia speculativa di Marsilio considerava il calore collegato funzionalmente e
dialetticamente, quasi, con le altre qualit e con gli organi. Un qualche calore vitale, in
qualche modo autosussistente e collocato in qualche cellula delle parti spermatiche, non
pu darsi.
Siamo dunque alla conclusiva, e alquanto secca, risposta al problema della temperatio
ad iustitiam. Opinione comune tra medici e filosofi era che essa potesse darsi, e Marsilio si
affretta a precisare che non sua intenzione contraddire simili autorit, ma il suo un mero
lip-service. Bench tale opinione possa essere probabile, continua infatti, gli argomenti sui
quali si fonda sono deboli: altri argomenti sono probabili anchessi, e devono esser tenuti
presenti collationis gratia per amor della verit, cio la verit di Marsilio. Le
suppositiones che seguono rappresentano il corpo animato come un agglomerato di membra
molto diverse qualitativamente, cio diversamente nutrite dallazione del cuore,17 lo
strumento responsabile di riscaldamento e pneumatizzazione delle partes. Da ci
limpossibilit di una temperies che duri pi di un istante (proprio come quella ad pondus),
giacch il cuore non pu che alterare le parti meno calde (che evidentemente si raffreddano
con velocit), sicch il temperamento cambia ininterrottamente: un animale temperato per
natura non esiste.18
15

Fra le autorit mediche era stato soprattutto Avicenna a farsi sostenitore dellidea che il calore organico uguale
in tutti gli stadi della vita, essendo per di pi convinto che si trattasse di una teoria non solo probabile, ma
dimostrabile. In questo era stato seguito da Gentile da Foligno, le cui conclusioni riecheggiano nelle quaestiones
che stiamo affrontando. Per Marsilio lintera discussione era tradizionalmente viziata da insufficienti distinzioni
concettuali, da lui rimpiazzate con larticolato insieme di suddivisioni, che ruotano principalmente intorno alla
dicotomia corpus-qualitas, abitualmente, ed equivocamente, usate ambedue a significare calidum.
16
f. 122r a-b.
17
La vascolarizzazione deve intendersi come arterizzazione, le vene non partendo dal cuore, ma dal fegato,
organo della sanguificazione, e quindi della nutrizione.
18
f. 122v b (I conclusio).

75

Giancarlo Zanier / Il problema della complexio e la nozione del vivente in Marsilio di Inghen

Le idee medico-filosofiche di tradizione galenica ed araba sulla natura complessionale


dei viventi differiscono allapparenza poco da quelle di Marsilio, ma la concezione
statistica alla quale egli riduce tale problematica ha motivazioni pi complicate.
Unargomentazione mi sembra rivelatrice (e acuta, aggiungerei). Punto fermo della
medicina tradizionale era che il problema del temperamento perfetto, o ideale, nasce
dallesistenza di quello (o quelli) imperfetto: possiamo parlare di entit distemperate solo in
riferimento a quelle temperate. Il temperato, risponde Marsilio, non misura del
distemperato pi di quanto questultimo lo sia del temperato; ogni combinazione materiale
rappresenta una singola, irriducibile realt, la cui possibile esistenza e statuto ontologico
sono perfettamente equivalenti ad ognuna delle infinite possibili combinazioni di particelle.
Gli organismi non sono totalit omogenee, ma un coacervo di strumenti molto diversi nella
struttura chimica, o forma. Una complexio idealmente bilanciata in vista delle funzioni
superiori riservate allumanit chimerica: fosse per la sua complessione, le capacit
cognitive delluomo sarebbero inferiori a quelle di un bruco. Ci che noi siamo portati a
considerare un principio unificatore in realt allo stesso tempo un principio di
discontinuit: vero che il cuore distribuisce calore a tutto il corpo, ma la sua azione causa
pure la deperditio partium, parti che devono essere rimpiazzate dalla penetrazione di nuova
materia, pi fredda di quella evaporata e pertanto bisognosa di riscaldamento.
I fondamenti filosofici che traspaiono nelle questioni XIV-XV sono in sintonia con
quanto emerge da quelle sul nutrimento, ma le motivazioni sono forse meno asettiche.
Perch Marsilio negava che l'organizzazione materiale dei viventi si avvicina
progressivamente ad uno stato di bilanciamento perfetto, ideale e trova in alcuni uomini,
magari sotto costellazioni favorevoli irripetibili, condizioni molto vicine a quellastrazione,
ancorch fuggevoli? Perch accoglieva con unalzata di spalle la nozione del temperamento
umano come non solo adatto alle funzioni vitali, ma come lunica, paradigmatica
condizione per lesercizio delle pi elevate facolt del creato? Si potrebbero invocare
speculazioni metafisiche sullanima e lintelletto, ma occorre prima tener presenti alcuni
fatti. I medici medievali noti a Marsilio erano destinati ad una cattiva fama per secoli, e ci
proprio per le idee sulla complessione ad essi comunemente attribuite. In particolare, la
complessione del corpo di Cristo era perfetta, e questa era la ragione per cui egli poteva
compiere azioni decisamente inusuali, per esempio camminare sullacqua: la sua complexio
era tale che in Lui temperatio ad pondus e temperatio ad iustitiam coincidevano
(coincidenza ben diversa da quella posta da Marsilio).19 Da questo caso particolare allidea
che tutti (o quasi) i miracoli di Cristo erano stati compiuti in virt del suo temperamento, il
passo poteva essere breve, e tentatore. Certo, da un punto di vista strettamente teologico,
dire che il corpo di Cristo era dotato di una complessione impossibile in natura non era
automaticamente eretico (quella che in natura una condizione istantanea pu venir
perpetuata da Dio ad nutum); tuttavia era ambiguo e periculosum, o almeno cos venne
percepito dai teologi fino al XVII secolo, e anche da Marsilio, possiamo plausibilmente
ritenere.

19

Tali idee erano attribuite soprattutto a Gentile di Foligno, forse per un travisamento del testo di Pietro dAbano,
che le mette in bocca a un mendax Gentilis (Conciliator, cit:, diff. XX, f. 32r a); lignoranza dei rapporti, anche
cronologici, fra Gentile e Pietro scontata, meno quella del latino, ma la nomea di Gentile pu spiegare anche
questo.

76

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Appendice

77

LA CAUSA IN PLATONE: NATURA, SCIENZA E FINALISMO

Giovanni Casertano

Con il nostro termine causa traduciamo in genere il termine greco ?


e quelli della
stessa famiglia (come per esempio H
!
H
), che pure, in diversi contesti,
acquistano anche altri significati, come accusa, e quindi colpa, a volte fama. Tutti
questi significati sono presenti anche nei dialoghi platonici.1 Ma il discorso sulla causa in
Platone conosce, naturalmente, pi che il ventaglio dei significati del termine, la
sottolineatura delle diverse valenze di quei significati, valenze che non solo coinvolgono il
livello della spiegazione razionale di un fatto, o di una situazione, o di un comportamento
umano in una data situazione, ma anche un livello di spiegazione teleologica delle
situazioni o dei comportamenti umani. Coinvolge quindi, come sempre in Platone, non solo
il piano gnoseologico e scientifico, ma anche quello etico e politico. Ma parlare di
finalismo in Platone fatto estremamente delicato, perch si spesso portati a sovrapporre
al testo platonico significati che gli sono estranei, e che appartengono piuttosto alla lunga
storia del concetto di finalit, a partire da Aristotele al neoplatonismo al cristianesimo.
Come cercher di mostrare, finalismo in Platone non sinonimo di concezione
antropocentrica, n tanto meno di disinteresse per la scienza della natura.
Partiamo da alcune definizioni platoniche, per verificare a quali campi semantici sia
collegata la nozione di causa. NellIppia maggiore, a pagina 296e-297c, ben definito il
rapporto che noi chiameremmo di causa-effetto: premetto che in questo caso non ci
interessa il contenuto della discussione, la tesi sostenuta, quanto la sua struttura, dalla quale
appunto ricaviamo la nostra definizione. Socrate constata che svanita la tesi che il
possibile e lutile (296d6-7:
1
# $ ( G/
) siano semplicemente (296d7:
L
) il bello, e dichiara di voler ora esaminare se il bello sia ci che utile e pu fare
qualcosa diretto al bene (296d9:
1
$
K/ ).
Come si vede, qui non solo non si pone semplicemente unidentit, quella bello/bene,
ma viene gi accennato un rapporto pi complesso, in questo caso la capacit (un essere
*

Il testo qui presentato riproduce il mio intervento ad una giornata di studi sul concetto di causa nel pensiero
antico e medievale, promossa, per il dottorato di ricerca in Filosofia, da Linda Napolitano e Luciano Cova (che qui
ringrazio ancora per la bella occasione di discussione che ci ha offerto), che si tenuta a Trieste il 26 ottobre 2001
(interventi di G. Casertano, E. Berti, P. Porro, A. Magris). Il testo ha dei precisi limiti: esaminare il concetto di
causa in Platone nella caratteristica curvatura che esso assume allintersezione del livello gnoseologico con
quello etico-politico, escludendo per il discorso su causa e concausa che viene fatto nel Timeo. Questultimo,
infatti, stato oggetto di un altro mio intervento ad una serie di seminari su Plato physicus, promossi da Carlo
Natali allUniversit di Venezia, di prossima pubblicazione. Viene per qui trattata la significativa connessione di
causa e concausa nel Fedone, che a mio avviso fondamentale per una corretta comprensione del cosiddetto
finalismo platonico.
1
Per accusa cfr., per esempio, Phaedr. 249d8; Resp. VIII 565b5, 566c3; Theaet. 150a4; Leg. XI 936d1-6. Per
colpa cfr., per esempio, Apol. 38c2; Hipp. min. 372e4; Gorg. 457a3, 518b-519b; Phaed. 90d5, 116c8; Resp. V
471a12, b4; VI 500b2, 509c3; VII 536c4; Leg. V 727b5; X 900a7. Per fama cfr., per esempio, Resp. IV 435e6;
Leg. I 624a2.

78

Esercizi filosofici 2002 / Testi

dynaton) che appartiene a qualcosa di operare, poiein, rispetto a qualcosaltro: in questo


caso del bello rispetto al bene. Ma questo ( M ) vantaggioso (N
): questo: o il
bello, o il bene, o questo fatto, cio appunto la capacit di agire rispetto a qualcosaltro.
Mi pare che questo vada inteso nellultimo senso, in base a ci che si dice subito dopo.
Ma, allora, si assume non semplicemente la capacit di agire, ma naturalmente quella di
agire rispetto al bene.
E allora i bei corpi, i begli usi, la sapienza sono belli in quanto (8 ) vantaggiosi, e il
vantaggioso il bello. Ma il vantaggioso ci che produce (296e7:
M ) il bene, e
ci che produce non altro che la causa (296e8-9:
M 1 7 / $ &#
;
H
). Il bello dunque causa ( H
) del bene. Ma la causa, e ci di cui la causa
causa, sono diversi (297a3:
). Ora, da ci che produce non prodotto altro che
leffetto (297a6:
). E dunque (297a7-8)
!
15
M .2 Se dunque il bello causa del bene, il bene sarebbe leffetto (297b2: O
) del bello.
In questo passo sono poste gi tutte le coordinate per una connotazione semantica del
concetto di causa. Esso legato ad una sfera, a quella del poiein, per cui la causa appare
come la messa in moto di un processo che porta allapparizione di un qualcosa che prima di
quellazione non esisteva. Si tratta quindi di un concetto relativo, perch la causa (to aition)
ci che produce (to poioun) qualcosa, e questo un qualcosa che nasce (to
gignomenon), perch prima non cera. Naturalmente, come tutti i termini relativi, ci che
produce e ci che nasce, pur essendo strettamente ed indissolubilmente legati, sono diversi
(allo), e come tali, metodologicamente, devono essere distinti. Questo legame tra il poiein e
il gignesthai a delineare il concetto di causa appare chiaro anche da altre definizioni, in
altri dialoghi,3 in particolare nel Gorgia4 e nel Cratilo,5 ma specialmente nel Sofista6 e nel
Filebo,7 dove quel legame viene espressamente ribadito. Nel Timeo, infine, con accenti
2

Cfr. 297c1-2: n la causa leffetto, n leffetto la causa.


Cfr. p. e. Men. 70b3; Symp. 178c3, 194e7, 195a2, 197c3, 198e6, 205b9 (produzione, poiesis, ogni aitia per cui
una qualsiasi cosa passa ek tou me ontos eis to on, dal non essere allessere); Resp. II 379b9-16, c7, 380b6, c8, V
474a5, VI 491e6; Pol. 269c1; Crat. 396a7, 399d12; Leg. VI 776c1, VII 790e5, IX 862a8, X 887d1, 896b1-d8
(lanima come causa di ogni moto e trasformazione, principio del movimento, causa del bene e del male di tutte le
cose), 904c2-7, 908a7-b2.
4
503b7: sai tu, Callicle, citarmi qualche retore che, quando abbia cominciato a parlare in pubblico, sia stato la
causa dellessere diventati (aitian... gegonenai) gli Ateniesi migliori da peggiori che erano prima?. Qui appare
aitia invece di aition, come ci che produce un effetto: in effetti non mi pare che nei dialoghi platonici ci sia
possibilit di distinguere e separare valori semantici diversi tra i vari termini della famiglia. Cfr. ancora 452c7, d6.
5
413a3,4: ci per cui (dio) qualcosa si genera (gignetai) to aition.
6
265b9-10: tecnica di produzione ogni possibilit (dynamis) che diventi causa di generazione (aitia gignetai)
per quanto prima non era (tois me proteron ousin).
7
26e-27b: tutto ci che si genera si genera per una certa causa (26e3: dia tina aitian). E la natura di ci che
produce (26e6: tou poiountos physis) non differisce in nulla dalla causa (aitia), tranne che nel nome: ci che
produce (26e7: to poioun) e ci che causa (to aition) possono essere detti correttamente la stessa cosa. Ed anche
ci che prodotto (27a1: to poioumenon) e ci che generato (to gignomenon), come prima, non differiscono in
nulla tranne che nel nome. Non sono la stessa cosa allora la causa (27a8: aitia) e ci che fa da schiavo alla causa in
vista della generazione (27a8-9: to douleuon eis genesin aitia). La causa (27b2: aitia) dunque lartefice di tutte
queste cose. Questo ragionamento finalizzato, a questo punto del dialogo, a giustificare il numero e il tipo dei
quattro generi: lillimitato, il limite, lesistenza mista e generata a partire da questi due, e la causa della mescolanza
e della generazione (27b9: meixeos kai geneseos aitia). Due problemi posti da questo passo, ma che qui non
possiamo discutere, sono lidentit sostanziale che non si traduce in unidentit nominale, e laccenno ad un
qualcosa che serve alla causa (la concausa?).
3

79

Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

chiaramente democritei, viene sottolineato laspetto della necessit che caratterizza, come
legge universale, il rapporto causa/effetto nellapparizione di un qualunque fenomeno della
realt: tutto ci che si genera ( E
) necessariamente effetto di una
causa, ch senza causa impossibile che qualcosa si generi.8
Se causa dunque ci che produce, causa contemporaneamente quel principio di
spiegazione per tutto ci che viene prodotto, che noi uomini ci diamo per renderci conto di
un fenomeno, o di un fatto, o di un comportamento: causa come produzione/spiegazione,
dunque, di un fatto, a sottolineare il legame parmenideo, che ancora vige in Platone, tra
realt e discorso esplicativo che luomo si costruisce sulla realt; anche se, come vedremo,
il legame in Platone complicato da una serie di considerazioni sulla peculiare posizione
delluomo nella natura che ne costituiscono la pi caratteristica specificit. Moltissimi sono
i passi nei vari dialoghi in cui aitia connota il principio di un discorso esplicativo che d la
ragione di un fatto o, appunto, dellopinione su di un fatto che luomo si acquista. Ne vorrei
ricordare qui solo tre.
Nel Fedro, parlando dellarte retorica, Platone dice che chi vuole trasmetterla
seriamente deve badare principalmente a tre cose: 1) a descrivere lanima con completa
esattezza e far vedere se una o multiforme; 2) ad esaminare che possibilit essa ha di
agire, e su che cosa, e di subire, e da che cosa; 3) infine, dopo aver classificato i vari gene
dei discorsi e dellanima, a passare in rassegna tutte le aitiai, cio mettere in relazione
ciascun genere di discorsi con ciascun genere di anima, e quindi insegnare quale deve
essere unanima per essere persuasa e da quali discorsi e per quale aitia. Perch il potere
del discorso quello di guidare le anime (271c10: logou dynamis [...] psychagogia). E chi
vuole essere esperto di retorica deve conoscere gli eide dellanima. Per cui certi uomini
saranno facilmente persuasi da certi discorsi per una certa aitia, mentre altri non saranno
persuasi.9 Come si vede, qui essenziale la conoscenza di ci che produce e di ci che
viene prodotto, per poter stabilire correttamente questo legame causa/effetto, cio per poter
individuare correttamente la spiegazione della nascita di un certo comportamento; in questo
caso, di una certa persuasione: che come a dire la necessit di ben conoscere la natura del
discorso e la natura dellanima, assodato, gorgianamente, che la natura del discorso il
potere di cambiare la natura delle anime.
Cos, nel Cratilo, parlando ironicamente degli antichi nomoteti, in questo simili alla
maggior parte dei sapienti di oggi, si dice che essi, per il continuo girare alla ricerca di
come siano gli enti (ope echei ta onta), sono presi da vertigine, e sembra loro che le cose
(pragmata) girino e si muovano in ogni direzione. Allora adducono come aition di questa
opinione (doxa) non la propria incapacit, il pathos interno a loro, ma i fatti stessi, auta ta
pragmata.10 Significativi sono, in questo passo, la sottolineatura non soltanto dellaspetto
che qui ci interessa, cio che causa sia ci che produce un certo atteggiamento, sia il
principio di spiegazione di una certa opinione, ma anche il ribadimento di convinzioni
profonde di Platone, e cio che lincapacit di guardare alle cose, e quindi di partire da un
metodo che ne renda ragione, rende schiavi delle cose, e per di pi genera, in quelluomo
8

28a4-5: E
F 7 ?
#
/ !
$
1'
( $
?
/ /( 2 . Cfr. anche 28c2: tutto ci che nato necessariamente nato come effetto di una certa causa
(F 7 ?
#
0
/ ). Per la causalit necessaria in Leucippo cfr. 67B2 DK; per
Democrito B118, B119 DK; cfr. anche DK68A66, A68.
9
271a-d.
10
411c.

80

Esercizi filosofici 2002 / Testi

ignorante che non sospetta la propria ignoranza, il tipico atteggiamento di rigettare la


propria incapacit, la propria affezione, dallinterno allesterno, sulle cose stesse. C
infine, alluso ma esplicito, il richiamo ad un punto fondamentale della metodologia
platonica, e cio che la mobilit del reale non si spiega se non partendo da principi stabili:
non si spiega la realt partendo dalle opinioni cangianti su di una realt in movimento, ma
da un metodo rigoroso (un sistema di idee) che dia conto di quei cangiamenti.
E infine, in un passo del libro VIII delle Leggi, troviamo un esempio bellissimo di aitia
come ci che produce un fatto e come principio di spiegazione di un fatto. Il passo
chiarissimo, e vale la pena di leggerlo per intero. Sono dunque due le cause della
degenerazione degli stati: una lamore della ricchezza, che rende ogni tempo privo della
libert necessaria per occuparsi di ogni altra cosa che non siano i possessi privati, ai quali
rimanendo attaccata e sospesa ogni anima di ogni cittadino, non avr mai la possibilit di
aver altra cura che non sia il guadagno quotidiano. E qualsiasi conoscenza o anche qualsiasi
pratica porti a ci, ognuno in privato prontissimo ad apprendere e a praticare e irride a
tutto il resto... Ogni cittadino mosso dallingordigia delloro e dellargento disposto a
piegarsi ad ogni mestiere, ad ogni mezzo degno o indegno che sia, pur che lo arricchisca, a
compiere unazione pia o empia e anche del tutto infame, senza alcuno scrupolo, purch
possa riceverne come un animale la possibilit, del tutto e assolutamente, di mangiare ogni
sorta di cibo e di bere ogni bevanda e di saziare il desiderio del sesso... La seconda causa
sono quelle non-costituzioni (ou politeiai) di cui ho parlato, la democrazia, loligarchia e la
tirannide: nessuna di queste infatti costituzione, ma tutte si direbbero esattamente
fazioni (stasioteiai). Nessuna di queste infatti regge per propria volont sudditi che
volontariamente la accettano, ma per propria volont, sempre, con una qualche violenza,
sudditi che non laccettano; chi a capo teme i sudditi e non permetter mai
spontaneamente che diventino buoni, ricchi, forti, coraggiosi... Sono dunque queste le due
cause di tutti i mali.11 E qui lascio alla sensibilit di ciascuno la voglia e la possibilit di
istituire paralleli con altre situazioni e con altri tempi, nonch di riflettere sullo stretto e
indissolubile legame che unisce qualit della vita privata e qualit della vita pubblica.
Ma che cosa significa propriamente, in effetti, individuare in aitia il principio di
produzione e il principio di spiegazione di un fatto? Credo che per rispondere a questa
domanda, e nello stesso tempo per avviarci alla considerazione della tipica curvatura che
acquista il concetto di causa in Platone quando si passa ad esaminare i fatti umani, si possa
partire dal famoso passo in Menone 98a. Dove si dice che le opinioni vere sono un bel
possesso, certamente, ma tendono a fuggire dallanima, sicch non valgono molto finch
qualcuno non riesce a legarle con un ragionamento causale ( ?
/ 4). Altri due
indizi li troviamo nel Gorgia: nel passo in cui si colloca la culinaria non nel genere della
tecnica, ma in quello della adulazione, si dice che essa una cosa brutta, perch ha di mira
il piacevole senza curarsi del meglio: una pratica, che non sa dare affatto ragione (465a3:
ouk echei logon), per somministrare ci che somministra, di quale ne sia la natura (465a4:
physin), sicch non sa dire la causa di ogni cosa (465a5: aitian hekastou). Ma Socrate non
chiama tecnica una cosa irrazionale (465a6: alogon pragma). La medicina,12 invece,
esamina la natura e la causa (aitia) di ci che cura, e sa dare ragione (logon echei) di
ciascuna di esse, laddove la culinaria volge le sue cure al piacere e tende ad esso senza
11
12

Leg. VIII 831b4-832c8.


501a2-6.

81

Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

alcuna tecnica, senza esaminare n la natura n la causa (aitia) del piacere, in maniera
assolutamente irrazionale (alogos te pantapasin). In questi passi appare chiaro come
lindividuazione del rapporto produttore/prodotto, o se si vuole di un nesso (ma un nesso
necessario) prima/dopo, sia in fondo lindividuazione di un legame necessario e razionale
insieme che unisce e ordina cose diverse, aspetti diversi della realt, e le opinioni che su
quelle cose, quei fatti, ci costruiamo nelle nostre anime. Considerare correttamente uno di
quei rapporti pu anche essere un evento casuale, pu nascere per caso in un qualche
momento nella nostra anima; ma il considerarlo nella sua costanza e necessit significa
possederne la ragione. evidente qui il legame con il processo conoscitivo: la causa la
ragione, il logos, di un fatto, o, in altri termini, ed adottando il linguaggio del Gorgia, la
tecnica conoscitiva si distingue dalla pratica conoscitiva, che pure esiste e potrebbe dare, in
qualche momento, dei risultati positivi, perch lunica via per possedere la natura di un
qualcosa, e quindi per poterne dire la causa, e quindi per poter sottrarre il mondo dei
pragmata alla casualit, che come a dire alla loro irrazionalit. In termini tipicamente
platonici, sia pure allinterno di una cornice parmenidea, dare ragione di ciascuna delle
cose che sono.
Ma, e qui si apre lorizzonte pi caratteristicamente platonico, che fornisce a quella
cornice una coloritura tutta particolare, trovare le ragioni delle cose non pu significare
soltanto scoprire e dire la natura e la causa di ciascuna cosa che , e proprio perch il darsi,
lessere delle cose, non costituisce il fine pi importante della ricerca platonica. Indizi di
questa prospettiva tutta platonica li troviamo in vari dialoghi; il suo pieno dispiegarsi,
almeno in tre dialoghi, il Fedone, la Repubblica, il Timeo. Non posso qui occuparmi di tutti
e tre questi dialoghi, ma accenner soltanto alla Repubblica, e tratter del Fedone;
tralascer quindi il Timeo, dove il discorso sulla causa si intreccia con quello sulla
concausa, per giungere a delle importantissime precisazioni e distinzioni: tra discorso
matematico e discorso fisico, e quindi tra verit e credenza, tra vero e verosimile,
intrecciantesi anche nella spiegazione degli stessi fenomeni naturali; e dove infine troviamo
lapparentemente strana connessione della necessit non pi alla ragione ma al caso.
E dunque, partendo dal Sofista: dopo aver detto che c una scienza (episteme) che
studia i discorsi, e in particolare quali gene, passando attraverso tutti gli altri, siano causa
(aitia) della loro connessione oppure della loro divisione13 (e naturalmente questa scienza
la scienza del discorso, cio la dialettica, che in questo dialogo la tecnica conoscitiva e
filosofica per eccellenza), ci si pone una domanda strana ed apparentemente scollegata
dallandamento del discorso che si sta facendo (tant vero che ad essa non si d una
risposta). La domanda : tutti i viventi e i non viventi che vengono a generarsi sulla terra,
non essendo prima, la natura a generarli ad opera di una causa spontanea e senza pensiero
(
III ?
&
# $
1
) oppure con una ragione (meta logou) ed
una scienza divina (epistemes theias) proveniente da un dio?14
Questa domanda, fondamentale, non altro che la domanda sul senso delle cose. Ed
domanda tipicamente umana. Se vero che per conoscere il mondo in cui si trova luomo
deve darsi le ragioni delle cose, e pu ragionevolmente supporre, anzi deve
ragionevolmente presupporre che le sue spiegazioni razionali siano la traduzione in
discorso della realt delle cose, della loro natura, altrettanto vero che la conoscenza
13
14

Soph. 253c3.
Soph. 265c.

82

Esercizi filosofici 2002 / Testi

dellessere non pu e non deve bastare alluomo. La conoscenza, infatti, finalizzata, deve
essere finalizzata allazione: come una prassi senza prospettiva teoretica assolutamente
impossibile, ovvero d luogo a storture di ogni tipo, cos una teoresi senza prassi
assolutamente inumana, indegna delluomo: nellorizzonte umano lessere strettamente
collegato al dover essere.
la prospettiva della Repubblica, e in particolare di una delle pi belle e significative
immagini/metafore di Platone, quella del sole/bene. Nei libri VI e VII essa viene
ampiamente sviluppata, ma qui vi accenneremo soltanto. lidea del bene (tou agathou
idea) ad essere causa (aitia), cio a permettere e a produrre ogni scienza e verit (episteme
e aletheia):15 che come a dire che la conoscenza vera non pu prescindere da una
considerazione etico/politica della realt. La metafora si sviluppa coerentemente16 su due
livelli: da un lato, nel mondo conoscibile (
4
/ 4)! il punto estremo e difficile a
vedersi appunto tou agathou idea: ma quando la si veduta, essa deve essere compresa
(syllogistea) come la causa (aitia) di tutto ci che retto e bello.
(Qui c il riferimento ad unattivit della mente che costruisce quei ragionamenti che,
collegando insieme le ragioni delle cose, riescono appunto a fornirci un possesso non
fuggevole, ma duraturo. E il punto pi difficile da comprendere proprio lindividuazione
della caratteristica di giustizia e bellezza causata appunto dallidea del bene: dunque il
bene, o meglio lidea del bene, rende giuste e belle tutte le altre idee).
Dallaltro lato, nel mondo visibile (
4 =
4), essa genera (tekousa) la luce e il
sovrano17 della luce.
(Nel mondo visibile, come spesso in Platone, significa nel mondo sensibile, in quel
mondo appunto nel quale ci troviamo ed agiamo. E dunque, nellanalogia e nella metafora
che qui si stanno sviluppando, lidea del bene genera la luce ed il sole, che il signore della
luce. Poich poco sopra18 si era detto che il sole a produrre (parechon) le stagioni e gli
anni ed a governare19 tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa ( H
) di tutto ci
che si pu vedere, quello che qui si sottolinea il fatto che il sole a rendere possibile, e
quindi a dominare ed a regolare la vita di tutto ci che vive. La stessa scelta dei termini di
questo passo sottolinea questa funzione).
Ma oltre questi due, c un terzo livello, quello del mondo intelligibile (
4
4),
al quale essa stessa offre (paraschomene), da sovrana (kyria), verit e intelletto (aletheian
kai noun). E chi vuole agire saggiamente (emphronos praxein) in privato e in pubblico deve
vederla/saperla (idein).
(Come si vede chiaramente, a mio avviso, lidea del bene deve essere conosciuta e
saputa non perch rappresenti il culmine della conoscenza, o dellattivit teoretica
delluomo, ma perch essa offre quella suprema verit e quellintellezione delle cose che
permettono a chi la possieda di costruire una prassi saggia. Verit e intellezione non sono
dunque un possesso fine a se stesso, ma sono subordinate allagire secondo il bene; e
questo possibile solo se si possiede lidea del bene, che non solo lidea che coordina, e
d senso a, tutte le altre idee, in altri termini che introduce una prospettiva finalizzante nel

15

Resp. VI 508e3.
Resp. VII 517b8-c5.
#'
= che ha potere, che capace di; e dunque principale, di grande importanza; e dunque signore, padrone.
18
VII 516c2.
19
' = che amministra, che ha sotto tutela.
16

17

83

Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

mondo delle idee, ma anche che deve regolare lintera vita delluomo e determinarlo ad
agire bene).
Agire bene dunque il fine precipuo delluomo, e questo fine e questa preoccupazione
costituiscono lorizzonte costante di tutte le ricerche e le indagini platoniche, ed anche delle
sue riflessioni sulla, e dei suoi accenni alla, nozione di causa. Abbiamo molti indizi, nei
dialoghi,20 di questo, per cos dire, primato della ragion pratica che vige anche nelle
spiegazioni causali, ed il segno di una finalit. Nel linguaggio tipicamente platonico,
questo aspetto della causalit assume i nomi di divino, sapienza, ragione (logos), ma
soprattutto intelletto (nous): esso sta ad indicare, come dicevamo, la prospettiva del
senso della realt per luomo, che, lungi dal negare la prospettiva scientifica, la integra e
la completa, perch il compito delluomo non solo di capire, ma principalmente di agire, e
quindi di intervenire sulla realt, di cambiarla. Un esempio di questa visione globalizzante
nella definizione che troviamo nel Filebo, a pagina 30a-31a: nel tutto (30c4: en to panti;
si tratta quindi della realt nel suo complesso, naturale e umana insieme) c molto di
illimitato, una quantit sufficiente di limite (si tratta, come noto, dei due principi che
spiegano ogni fenomeno, in quanto entrano necessariamente nella composizione di ogni
misto), e al di sopra di essi una causa non insignificante (30c5: aitia ou phaule) che,
ordinando e regolando anni, stagioni e mesi, pu essere chiamata pi che giustamente
sapienza e intelletto (30c6: sophia kai nous). Lintelletto infatti appartiene al genere di
quella che stata chiamata causa del tutto (30e1: tou panton aitiou; cfr 31a8). Lattivit
dellintelletto, dunque, che , come aveva gi detto Alcmeone il Crotoniate, il carattere
distintivo delluomo rispetto a tutti gli altri esseri viventi,21 parte non secondaria nella
determinazione del tono delle riflessioni umane anche nella considerazione del concetto
di causa.
Come accennavo, nelle riflessioni del Fedone che si intrecciano significativamente i
due aspetti della causalit platonica, quella naturalistica e quella etica, e questultima
assume, com ovvio, il carattere dell in vista di, cio di una finalit, di una regola di
comportamento pi che di una descrizione dellesistente. Siamo alle sei pagine 95e-101c,
dove il problema della causa viene ampiamente e chiaramente trattato, e in questa
trattazione si possono distinguere due aspetti. Veniamo al primo.
Conoscere le cause di ogni cosa significa conoscere perch ogni cosa nasce e perch
muore e perch (96a9-10: 1
P# /
# $ 1
# $
1
9/ ). Sottolineo per ora, e poi ne dar conto, la necessit di tradurre lesti di 96a10
con e non con esiste: il nascere e il morire, i due termini gignetai e apollytai, infatti,
gi danno la misura dellesistere, e lessere dunque deve significare qualcosa daltro. Si
tratta dunque non di meno che di tutti i fenomeni celesti e terrestri (96b9-c1:
$
&
# $
K
), dei quali gi erano state date alcune spiegazioni, cui
20

Per es. in Lys. 209b8: la causa (aition) del comportamento dei genitori di Liside, che gli fanno fare le cose che sa
e gli impediscono di fare quelle che non sa, appunto il fatto che essi vogliono il suo bene ed agiscono in vista
della felicit del figlio; in Symp. 207a7-c7: la causa (aition) di eros, che la stessa negli uomini e negli animali,
il fatto che la natura mortale cerca, per quanto le possibile, di raggiungere limmortalit; in Leg. III 693a7, a
proposito del comportamento delle citt greche durante le guerre persiane, la causa (aitia) non solo il criterio di
spiegazione di un fatto accaduto, ma anche un criterio di azione: dalla spiegazione del passato infatti si passa alla
regola per il futuro: affinch, cercando le cause dei vari fatti, troviamo quello che bisognava fare di diverso, a tale
proposito, da quello che si fatto.
21
Luomo differisce dagli altri animali perch esso solo comprende (
/ ): gli altri animali percepiscono
( ?/
), ma non comprendono: Theophr. de sens. 25 = DK24B1a.

84

Esercizi filosofici 2002 / Testi

Platone accenna, come fa per lo pi, senza fare il nome degli autori delle ipotesi.22 Ebbene,
proprio riflettendo su queste dottrine, Socrate si va convincendo sempre pi di essere
inadatto a questa ricerca. Fa infatti una strana scoperta: mentre prima conosceva con
chiarezza (cfr. 96c3-4: saphos epistamen) alcune cose, o almeno cos pareva (edokoun) a
lui e agli altri, da questa ricerca fu cos accecato da disimparare le stesse cose che prima
credeva di sapere (96c6).
Che cos che Socrate credeva di sapere? Credeva chiaro a tutti che una cosa, ciascuna
cosa, nasce, muore ed a causa (dia) del mangiare e del bere: in questo modo a ciascuna
parte del corpo si aggiungono elementi propri di essa, e allora avvengono due cose, che
solo superficialmente possono essere identificate e confuse, come appunto fanno,
nellinterpretazione platonica, i presocratici: 1) la massa (96d4: ogkon) del corpo che prima
era piccola si ingrandisce, e cos 2) luomo da piccolo diventa grande. Cebete, che a
questo punto linterlocutore di Socrate, d il suo assenso, e Socrate incalza col secondo
esempio, proprio per chiarire ancora meglio ci che vuol dire. Egli credeva sufficiente
lopinione (96d8: dokein) che, quando un uomo alto sta accanto ad uno piccolo, egli sembra
essere maggiore dellaltro precisamente per la testa, e cos un cavallo di un altro; ma,
ancora pi chiaramente (96e2: enargestera) di questi casi, gli pareva che il dieci fosse
maggiore dellotto a causa (dia) delladdizione del due, o che due cubiti fosse maggiore di
un cubito perch (dia) lo eccede di met (cio della met di se stesso). La domanda di
Cebete: E ora qual la tua opinione su queste cose? d loccasione a Socrate di
impostare finalmente i termini della sua insoddisfazione. Ora, per Zeus, Socrate cos
lontano dal credere di conoscere la causa (96e7: ten aitian eidenai) di queste cose da non
poter ammettere che, quando si addiziona uno ad uno, diventi due (96e9: dyo gegonen)
luno a cui si addiziona < o luno addizionato > o entrambi... a causa (dia) delladdizione
delluno allaltro. Mi stupisco infatti che ciascuno dei due, quando era separato dallaltro,
ciascuno era uno e non erano due (97a3: P
@#
Q # $ &# R/
1' ). Ma, dopo che si sono avvicinati luno allaltro, lincontro dovuto allesser posti luno
accanto allaltro diventato per loro la causa propria dellesser diventati due (97a4-5: S
?
& 2
M 1'
/ ). E non posso ancora persuadermi che,
quando luno si dimezza, questo dimezzamento sia proprio la causa dellesser diventato due
(97a8: aitia... tou dyo gegonenai), infatti cos la causa dellesser diventato due (97b1: aitia
tou dyo gignesthai) diventa lopposta [della precedente]. Prima era lavvicinamento e
laddizionamento delluno allaltro, ora lallontanamento e la separazione delluno
dallaltro. Quanto poi al sapere perch diventa uno (97b4: dihoti hen gignetai), non me ne
convinco, e nemmeno perch (dihoti) nasce e perisce ed , seguendo un metodo di questo
tipo.
Gli esempi, dunque, in questo passo, sono: un uomo che cresce, un uomo maggiore di
un altro, il dieci maggiore dellotto, il generarsi del due. Le cause comunemente addotte per
spiegare questi fatti sono rispettivamente il mangiare e il bere, la testa delluomo pi alto,
laddizione del due, il dimezzarsi delluno. Socrate nota anzitutto che si ritiene causa della
stessa cosa (la nascita del due) allo stesso modo laddizionarsi e il dimezzarsi. Questo
significa anche che difficile persuadersi che una stessa cosa leffetto, il diventare due
possa esser prodotta da due processi opposti: addizionare e dimezzare, che sono
,
22

Si tratta di teorie di Archelao, Empedocle, Anassimene, Eraclito, Alcmeone, a proposito della generazione dei
viventi dal caldo e dal freddo, della sede del pensiero nel sangue, nellaria, nel fuoco o nel cervello.

85

Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

non potrebbero produrre & . In effetti in tutto il passo ci che la causa dei fisiologi,
secondo Socrate, non riesce a spiegare non tanto il processo diciamo cos materiale, o
esistenziale: si nasce, si cresce, si muore, in fondo, per i fisiologi come per Platone,
ovviamente, perch ci sono delle trasformazioni che portano al nascere, al crescere, al
morire; ma dire che ci avviene a causa del caldo e del freddo, del cibo e cos via, equivale
a dare una spiegazione soltanto parziale. Quello che a questo punto interessa Platone non
tanto la descrizione e la giustificazione di un processo, quanto la messa in luce della
condizione epistemologica per poterlo individuare, e quindi per poterne parlare, e quindi
per poterlo conoscere. In altri termini, a Platone qui non interessa lo spiegare qualcosa
attraverso qualcosa daltro, quanto lindividuare il perch possiamo spiegare qualcosa, la
condizione stessa della nostra spiegazione. Questo perch investe necessariamente un altro
livello, che il livello del discorso che facciamo sulle cose per poter comprendere le cose.
In tutto il passo lambito del perch connotato dalluso del verbo
, nel senso
proprio di diventare qualcosa, o di essere qualcosa. Il qualcosa che si diventa e che si
, si trova appunto sul piano della nominabilit e quindi della conoscibilit di ogni cosa:
indica il fatto che ogni cosa pu venir riconosciuta, e non solo nel suo nascere e morire, ma
anche e fondamentalmente nel suo essere una certa cosa e non unaltra (ecco perch lesti
di 96a10 e di 97b6 va tradotto e non esiste). In altri termini ancora, e come vedremo
anche in seguito, lessere grande, per esempio, di un uomo non si spiega col fatto che egli
ha mangiato e bevuto, ma col fatto che quella sua qualit, quella sua predicazione,
possibile solo se riconosciamo in lui la caratteristica della grandezza; e questo
riconoscimento, e la traduzione di questo riconoscimento nel nostro discorso, pu avvenire
solo se noi possediamo e usiamo lidea di grandezza. Lessere di ogni cosa dunque
coglibile e definibile solo sul piano del discorso: cogliere questo essere , nel linguaggio
platonico di queste pagine del Fedone, cogliere la causa di una cosa, il perch quella cosa
quella che e non unaltra. Il passaggio dalle cose che accadono nel cielo e nella terra
alluomo che mangiando e bevendo diventa grande (96d5: ginesthai [...] megan),
alluomo che maggiore (96d9-e1: meizon einai), allesser maggiore (96e3-4: meizon
einai) del dieci, e infine alluno che diventa due (96e9: dyo gegonen; ma cfr. anche 97a1,
a4-5, a7, b1) nei modi opposti che abbiamo visto, ha reso pi chiaro ed ha delimitato
proprio il campo sul quale intende svolgersi il discorso platonico, nella sua tensione ad
essere un discorso non solo descrittivo, ma anche esplicativo delle cose.
In questo senso, e non nel senso di unantipatia congenita di Platone per il
materialismo dei fisiologi, leggiamo anche laffermazione in 96b5-8: non tanto lorigine
materialistica del pensiero (in effetti, anche per Platone dai sensi nascono la memoria e
lopinione, e da queste la scienza vera e propria), quanto il fatto che questa spiegazione non
rende conto proprio dellintrecciarsi dialettico e difficile dellidentico (lidea, il nome) e del
diverso (ci a cui ci riferiamo quando parliamo di qualcosa indicandolo con un nome), a far
problema per Platone. In una parola, rimanendo allesempio delluomo grande, un uomo
diventa grande certamente perch mangia e beve, perch lumido e il secco, il caldo e il
freddo che si mescolano nel suo corpo producono il suo accrescersi: ma questo appunto il
livello delle cause semplici della spiegazione di un determinato fenomeno, di ogni
fenomeno; come dir poco pi oltre (99b2-4), di ci senza cui la causa non potrebbe essere
causa. Altro il livello della vera causa dellesser grande di un uomo, di ci in base a cui
noi possiamo riconoscere e dire veritieramente che un uomo grande; e questo livello

86

Esercizi filosofici 2002 / Testi

solo il livello dellidea del grande, il livello in generale delle idee, il livello del linguaggio
in cui soltanto possiamo esprimere questa nostra conoscenza.
Il secondo, famosissimo, aspetto di questa discussione platonica sulla causa inizia a
pagina 97c. Un giorno Socrate sent un tale leggere un libro di Anassagora che affermava
che lintelletto (nous) era lordinatore e la causa di tutte le cose (97c2: diakosmon te kai
panton aitios). Socrate si rallegra di questa aitia e gli sembra giusto che lintelletto sia
causa di tutte le cose (97c3-4: panton aition), pensando che questintelletto ordinatore che
dispone ciascuna cosa nel modo per essa migliore (97c5-6: hekaston tithenai taute hope an
beltista eche), e che, se qualcuno vuole trovare la causa per cui ciascuna cosa nasce o
perisce o (97c6-7: ten aitian heurein peri hekastou hope gignetai he apollytai he esti),
deve scoprire quale sia per essa il modo migliore di essere o di subire o di fare (97c8-d1).
In altre parole Socrate era convinto che, partendo da questo discorso, luomo avrebbe
potuto indagare nientaltro che il meglio, lottimo (97d3: to ariston kai to beltiston), e con
ci stesso conoscere necessariamente anche il peggio: perch di essi la scienza una sola,
la stessa (97d5).
Come Socrate chiarisce subito dopo, il campo entro il quale ci si aspetta che la nozione
di causa possa essere applicata soddisfacentemente costituito qui, per ora, dallambito dei
fenomeni naturali: se la terra piatta o rotonda, e la causa necessaria (97e1-2: ten aitian kai
ten anagken) per questo, parlando del meglio e non di altro, e se la terra al centro,
spiegando che per essa ameinon essere al centro, senza desiderare nessunaltra specie di
causa (98a2: aitias allo eidos), e cos per il sole e la luna. In altre parole: dicendo che tutte
le cose sono ordinate dallintelletto, e non allegando una causa diversa da questa (98a7-8:
allen aitian), e cio che per esse il meglio essere cos come sono (98a8-b1): in una parola,
il meglio per ciascuna cosa (98b2) e il bene comune a tutte (98b2-3). Come si vede, qui il
nascere, il morire e lessere, cio il piano della realt, e quello del discorso sulla realt, sono
ancora fiduciosamente uniti: quello che ne risulta , come sempre, da un lato, la
problematicit del loro rapporto, e, dallaltro lato, linclusione nel discorso di un terzo
livello, quello deontologico. La prospettiva del meglio, dunque, viene a questo punto
introdotta da Platone anche nella considerazione del mondo naturale: ma credo che questo
non significhi tanto lintroduzione di una considerazione semplicisticamente finalistica
del cosmo, nel senso che sar poi di altri autori, per cui il mondo tutto e la natura sono
costituiti in vista dellapparizione delluomo, e finalizzati alla sua esistenza, quanto
appunto lapertura di un orizzonte per cos dire etico che luomo deve necessariamente
inserire nella sua visione della realt ai fini del suo agire per il meglio. In altri termini,
ancora una prova di come per Platone conoscere ed agire sono indissolubilmente legati. E
questo mi pare sia provato da ci che segue: dove, da un lato, e come invertendo il processo
dimostrativo, Socrate delinea questo orizzonte etico nel quale soltanto ha senso una ricerca
sulle cause, e poi, dallaltro lato, conclude il discorso gnoseologico vero e proprio gi
ampiamente ed esplicitamente accennato sulle idee come causa.
E dunque, da questa meravigliosa speranza Socrate ben presto, leggendo Anassagora,
si allontaner. Anassagora in effetti non fa per nulla uso dellintelletto come causa
nellordinamento delle cose (98b9-c1: aitias [...] eis to diakosmein ta pragmata),
adducendo come causa invece laria, letere, lacqua e molte altre cose strane. La
prospettiva dellintelletto, infatti, per Platone, rimanda immediatamente al piano etico.
Sarebbe come se qualcuno dicesse che Socrate fa tutte le sue azioni con lintelletto, ma poi,
per spiegare perch egli seduto ora l, imbastisse tutta una spiegazione basata sul rapporto

87

Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

tra ossa e nervi (98c2-d6). E, peggio ancora, spiegasse il 1


/
che ora avviene tra
Socrate e i suoi compagni con cause come le voci, ludito, laria e altre cose di questo
genere (98d6-e1). In tal modo questo qualcuno trascurerebbe proprio di dire
veritieramente le cause (98e1: alethos aitias legein). Questa causa detta con verit
appunto, e non pu essere altro, che il *
, e questo beltion stato per gli Ateniesi il
condannarlo. Per questa stessa ragione (98e3: dia tauta) Socrate ha ritenuto che beltion e
dikaioteron anche per s era restarsene l seduto e subire la pena. Come si vede, il meglio e
il pi giusto attengono ad un campo del dover essere che il campo in fondo del nomos,
di una sfera di valori puramente etici, o etico-politici, potremmo dire, convenzionalmente
fissati ma assunti come criterio deontologico dellatteggiamento pragmatico delluomo.
Fatto che chiamare cause cose del genere troppo assurdo (99a4-5: lian atopon). Se
qualcuno dicesse che, se io non avessi queste cose, le ossa, i nervi e il resto che ho, non
potrei fare ci che mi pare, direbbe la verit (99a7); ma dire che a causa di esse (99a8:
dia tauta) io faccio quel che faccio e che facendolo con lintelletto non lo faccio perch
scelgo il meglio, una grande trascuratezza del discorso (99b1-2: T
M
).
Significa non saper distinguere (dielesthai) che altro realmente la causa, altro ci senza
cui la causa non potrebbesser causa (99b2-4:
/
H
4 U !
15 # 2
.
H
&#
7 H
H
). Proprio questo mi
sembra che i pi, brancolando come nelle tenebre, definiscono causa, facendo uso di un
nome che appartiene ad altro (99b5-6:
3 %
/( V
! "
H
&
/
' ).
Anche da questo passo, estremamente significativo, mi pare che risulti con chiarezza la
piena coscienza platonica della complessit dellintreccio tra livello ontologico e livello
deontologico, livello della denominazione/definizione e livello della verit. Ancora una
volta, bisogna dunque distinguere: la verit appartiene al discorso, ed duplice, perch
appartiene a tutti e due i tipi di discorso che si possono fare a proposito dellatteggiamento
di Socrate. Confondere i due tipi di spiegazione, questa, appunto, la trascuratezza del
discorso. Si pu dire la verit dicendo che Socrate, in tanto pu stare seduto a conversare
con gli amici, in quanto possiede ossa, nervi e voce. Ma questa verit non la stessa se ci
interroghiamo sul perch Socrate sta seduto a conversare con gli amici invece di fuggire,
cio quando lasciamo il piano della descrizione di un fatto per attingere quello del suo
significato per noi: qui la verit unaltra, e non pu essere confusa con la prima. Chi
sostenesse che la stessa causa a spiegare non solo la possibilit fisica di Socrate di stare l
e di conversare, ma anche la sua scelta di stare l e di conversare, commetterebbe un
grande errore. Non solo non saprebbe distinguere tra causa e concausa, come si dice in altri
dialoghi ed anche qui viene ribadito, ma sarebbe incapace di vedere la specificit
dellintelletto, cio proprio di quella facolt che segna la peculiarit dellessere delluomo
nel mondo e gli fornisce il senso del suo esserci.
Delineato dunque questorizzonte etico della ricerca sulla causa, si pu ora concludere
il discorso gnoseologico. Ed allora, ed esattamente allinterno di quella prospettiva, chiara
ora la ragione per la quale Socrate ha intrapreso una seconda navigazione alla ricerca della
causa (99c9-d1: deuteron ploun epi ten tes aitias zetesin). Siamo al famosissimo passo in
cui Platone abbozza con grande efficacia non solo la prospettiva generale della sua
indagine, ma anche il senso di questindagine. Poich Socrate si era dunque scoraggiato
nellindagare gli enti (99d5: ta onta), gli sembr di dover fare come quelli che vogliono
contemplare il sole durante le eclissi, che, se non vogliono diventare ciechi, debbono

88

Esercizi filosofici 2002 / Testi

contemplarne limmagine (99e1: eikona) nellacqua o in qualcosa di simile. Cos anchegli


temette di diventare cieco nellanima se avesse osservato le cose (99e3: ta pragmata) con
gli occhi o con qualcuno degli altri sensi. Mi sembr di dovermi rifugiare nei discorsi e in
essi indagare la verit degli enti.23 Forse il paragone non , in certo modo, appropriato: non
ammetto per nulla infatti che colui che indaga gli enti nei discorsi li indaghi in immagini
pi che in realt.24 Comunque mi avviai per questa strada, e ponendo come ipotesi volta a
volta quel discorso che giudico essere il pi forte, pongo come veri gli enti che mi
sembrano accordarsi con esso, sia riguardo alla causa sia riguardo a tutte le altre cose,
quelli che non si accordano, non li pongo come veri.25
La verit degli enti dunque nei discorsi, nel vario tono dei discorsi, nelle prospettive
diverse che essi aprono, nelle finalit che di volta in volta essi cercano di promuovere. E
poich il discorso non pu che costruire immagini dinanzi agli occhi della mente, le
immagini dei fatti, dei pragmata, dei quali noi cerchiamo una spiegazione causale,
diventano vere quando si accordano con quel discorso che ne costituisce come la cornice, e
che altro non che il discorso metodologico che costruisce lipotesi esplicativa pi
soddisfacente. E questo vale, appunto, per tutti e due i livelli cui sopra si esplicitamente
alluso. Qui siamo appunto al completamento di questo procedimento dimostrativo di
Platone: dopo aver delineato lorizzonte etico della ricerca sulla causa, e dopo aver ribadito
il principio metodologico che guida la ricerca sia riguardo alla causa sia riguardo a tutte le
altre cose, ora si passa allorizzonte pi propriamente gnoseologico, affermando proprio le
idee come la causa dellessere, e non dellesistere, di tutte le cose.
Ci che dico non nuovo, continua infatti Socrate: vado cercando quella specie di causa
(100b4: aitias to eidos) di cui mi sono accupato, ponendo come ipotesi che ci sia (100b5:
hypothemenos einai) un bello in s e per s, un buono, un grande, e cos via. A me sembra
che, se esiste qualcosaltro di bello oltre il bello in s, bello unicamente perch partecipa
(100c5: dioti metechei) di quel bello in s. Allora non capisco pi le altre aitiai dei sapienti,
come per esempio che una cosa bella perch ha un colore smagliante; in effetti
nientaltro rende bella quella cosa se non la presenza (100d5: parousia) o la
comunicazione (100d6: koinonia) o un altro tipo di rapporto con il bello in s: per il bello
che tutte le cose belle sono belle.
Se accostiamo questi passi con quelli delle pagine 72-77, in cui si tratta della teoria
dellanamnesi, e specialmente con la pagina 74, in cui si stabilisce la differenza tra leguale
in s e le cose uguali, appare chiaro come il fatto che lidea sia la causa delle cose, per
esempio luguale delle cose uguali, o il bello delle cose belle, costituisce la proposta
metodologica forte di Platone. Lipotesi delle idee per lui lunica che possa rendere
conto dellessere delle cose, dei fatti, sia perch lunica che ci permette di parlare delle
cose, cio di renderle a noi trasparenti, cio di conoscerle, stabilendo un criterio che ci
impedisca di perderci soffocando nella loro mobilit e nel loro cambiamento, girando
insieme alle cose, come aveva detto nel Cratilo, presi da vertigine, nella pretesa di tener
23

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Giovanni Casertano / La causa in Platone: natura, scienza e finalismo

dietro con le proprie opinioni mutevoli al mutare continuo delle cose; sia perch lunica
che ci permette di agire nel mondo, stabilendo un criterio di giustizia e di bene che ci
guidi nelle nostre azioni mirando al meglio.

90

CENNI SULLE PRINCIPALI TRASFORMAZIONI


*
DEL CONCETTO DI CAUSA NEL MEDIOEVO

Pasquale Porro

Gli aspetti pi significativi delle discussioni medievali sul concetto di causa potrebbero
in qualche modo essere riportati a quattro nuclei fondamentali: a) il rapporto tra causa
prima e cause seconde; b) lintegrazione tra la causalit neoplatonica e il creazionismo
cristiano e islamico; c) la rielaborazione della dottrina aristotelica delle quattro cause; d) la
determinazione del valore modale delle relazioni tra cause ed effetti. In realt, questi
elementi si sovrappongono spesso tra loro, e in qualche modo si implicano a vicenda; vorrei
qui allora limitarmi a evidenziare, sia pure in modo assai brusco e scarno, solo alcuni degli
snodi principali attraverso cui queste tematiche si sviluppano in un arco cronologico
purtroppo molto ampio e difficile da sintetizzare, che va dalla tarda antichit al pensiero
scolastico.
Si potrebbe forse individuare il primo modello elaborato nel mondo latino per rendere
conto del rapporto tra cause prime e cause seconde nella nota dottrina agostiniana (ma con
chiare ascendenze plotiniane) delle rationes seminales o causales: Dio inserisce nel creato
fin dallinizio, come in una specie di trama, le ragioni causali di tutti gli enti che
compariranno successivamente, assicurandone la successione ordinata (connexio
praecedentium sequentiumque causarum).1 Tali rationes, immateriali e impercettibili,
rappresentano i princip di esistenza e intelligibilit di tutti gli enti creati, ovvero le leggi di
sviluppo dellintero mondo fisico, e dipendono a loro volta dalle ragioni immutabili ed
eterne (rationes incommutabiles o principales formae) contenute nel Verbo creatore.2 Non
tutte le ragioni causali, tuttavia, sono state effettivamente collocate nel mondo al momento
della creazione simultanea: alcune sono state riservate da Dio nella sua prescienza e nella
sua volont, per produrre i loro effetti soltanto ad un dato momento. Queste cause
riservate servono, a differenza delle altre (con cui di fatto non entrano comunque mai in
contrasto), a spiegare gli eventi che sembrano interrompere il corso ordinario della natura,

*
Questo testo riprende, conservandone la struttura seminariale (e con poche indicazioni bibliografiche aggiuntive),
lintervento tenuto a Trieste il 26 ottobre 2001 in occasione della Giornata di studi sulla causalit promossa
nellambito del Dottorato di Ricerca in Filosofia. Desidero ringraziare gli organizzatori della Giornata, Linda
Napolitano e Luciano Cova, per la loro squisita ospitalit e per la cura con cui hanno portato a termine liniziativa.
Il percorso che propongo segue nei suoi tratti essenziali lo schema della voce Ursache/Wirkung (Patristik;
Mittelalter) da me curata per lo Historisches Wrterbuch der Philosophie, Bd. 11 (U-V), Basel, Schwabe & Co.
Verlag, 2001, coll. 384-389.
1
Augustinus, De Genesi ad litteram, IV, 32, 49; cfr. anche V, 5, 12 ([Deus] operatus est omnia simul, praestans
eis etiam ordinem, non intervallis temporum, sed connexione causarum). Limmagine della trama (in
quadam textura elementorum) invece suggerita nel De Trinitate (III, 9, 16).
2
Cfr. ad es. Augustinus, De Genesi ad litteram, I, 10, 20; I, 18, 36; II, 8, 17; II, 24, 41; IV, 32, 49; V, 12, 28; V,
13, 29; V, 15, 33. Alla stessa dottrina Agostino fa naturalmente riferimento anche in molti altri passi delle sue
opere: cfr., per non citare che due soli esempi, Confessiones, XI, 8, 10; De civitate Dei, IX, 22.

91

Pasquale Porro / Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa nel Medioevo

come ad esempio i miracoli:3 in realt, il corso naturale delle cose (Agostino utilizza
esplicitamente lespressione naturae usitatissimus cursus)4 non mai veramente sospeso o
interrotto, poich tutti gli eventi, anche quelli rari o inconsueti, sono stati comunque
predisposti da Dio nelle ragioni seminali. Ci che rende un evento insolito o straordinario
non pertanto la sua estraneit al corso naturale, ma la sua estraneit allordine della
conoscenza umana: in altri termini, i miracoli non si collocano affatto al di fuori dellordine
stabilito, ma al di fuori della conoscenza, assai parziale, che gli uomini hanno raggiunto di
quellordine. In questo senso, la distinzione tra naturale e sovrannaturale non ha in
Agostino molta rilevanza: poich la natura intera il campo di esplicazione della volont e
della potenza divina, non ha senso interrogarsi su ci che pu eccedere il suo ordine, poich
nulla di fatto tale. Si pu cos ben dire che, almeno sotto il profilo cosmologico,
luniverso di Agostino presenta un carattere fortemente deterministico, risultando
interamente regolato da nessi di causa ed effetto: non accade nulla che non abbia la sua
ragione ultima in ci che stato predeterminato da Dio, e affidato alladministratio
temporale delle ragioni causali.
Se la teoria agostiniana delle rationes aeternae e delle rationes seminales si configura
come un primo tentativo di armonizzare lesegesi medioplatonica del Timeo e suggestioni
pi direttamente plotiniane con il creazionismo cristiano, la teologia bizantina pu disporre,
a proposito della causalit, dellimponente strumentazione concettuale elaborata da Proclo.
Sar sufficiente citare qui il caso dello Pseudo-Dionigi, che sembra appropriarsi di almeno
due tratti tipici della descrizione procliana della dinamica causale: a) tra causa e causato si
d sempre identit nella differenza (il causato in modo subordinato ci che la causa in
modo eminente);5 b) la causa produce per sovrabbondanza, permanendo in s inalterata e
senza perdere nulla della sua potenza, mentre leffetto riceve linfluenza causale nel modo
che gli proprio.6 Tuttavia, allimpianto procliano vengono apportate anche alcune
sostanziali modifiche: viene ad esempio attenuato landamento ciclico della causazione
(secondo cui la potenza causale, discendendo negli effetti, si pluralizza e si indebolisce fino
a trasformarsi in mera attitudine passiva, per poi convertirsi e risalire) e, soprattutto, si
insiste in modo pi deciso sulla monocausalit divina.7 Qualche difficolt a questultimo
riguardo sembra essere data da ci che lo stesso Pseudo-Dionigi chiama
autopartecipazioni o princip dellessere, che talvolta vengono considerati inferiori alla
causa prima impartecipabile, e talvolta vengono invece identificati con le sue stesse potenze
provvidenziali. Tale ambiguit sembra scaturire dal fatto che lo Pseudo-Dionigi,
sovrapponendo in qualche modo le due ipotesi sul rapporto Uno-essere della tradizione del
Parmenide platonico e le corrispondenti linee interpretative, cerca da una parte di
salvaguardare la trascendenza della causa prima rispetto alla prima triade procliana esserevita-intelligenza, ma non intende dallaltra marcare troppo questa distinzione, proprio per il
timore di lasciare eccessiva autonomia, nel processo causale, a possibili intermediari. Dio
3

Cfr. Augustinus, De Genesi ad litteram, VI, 14, 25 (Restat ergo, ut ad utrumque modum habiles [illae rationes]
creatae sint, sive ad istum, quo usitatissime temporalia transcurrunt, sive ad illum, quo rara et mirabilia fiunt, sicut
Deo facere placuerit, quod tempori congruat); VI, 18, 29; IX, 17, 32 e 18, 33.
4
Augustinus, De Genesi ad litteram, IX, 17, 32.
5
Cfr. Ps.-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus, II, 8, ed. B. R. Suchla, Corpus Dionysiacum I, Berlin-New
York, de Gruyter, 1990, pp. 132-133; IX, 6-7, ed. Suchla, pp. 211-212.
6
Ps.-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus, IV, 21, ed. Suchla, p. 169; IX, 5, ed. Suchla, p. 210.
7
Ps.-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus, V, 2, ed. Suchla, p. 181; V, 5 ed. Suchla, pp. 183-184; XI, 6, ed.
Suchla, pp. 221-23.

92

Esercizi filosofici 2002 / Testi

sembra quindi essere superiore alla triade procliana senza per risultarne del tutto distinto:
pi precisamente, Dio pu essere identificato con la triade (e quindi anche con lessere)
solo se considerato non in se stesso, ma sotto laspetto causale, cio in quanto causa.
Queste due prospettive sul rapporto tra causa prima e agenti naturali quella di
Agostino e quella dello Pseudo-Dionigi erano destinate a sovrapporsi per la prima volta
nel mondo latino con Giovanni Scoto Eriugena. Sintetizzando in modo forse
eccessivamente brusco, si potrebbe dire che le causae primordiales di Agostino vengono
fatte coincidere da Eriugena con le nozioni divine corrispondenti, e cio con gli atti di
conoscenza e volizione (predestinazioni: il termine ricavato appunto dal lessico
dionisiano) contenuti nel Verbo divino. La cesura ontologica che Agostino manteneva tra le
rationes aeternae come idee o archetipi divini increati (e coincidenti con il Verbo stesso) e
le rationes seminales come princip causali creati si trova ad essere cos quasi del tutto
rimossa, e con essa ogni radicale distinzione o forma di eterogeneit tra cause ed effetti: le
stesse creature che appaiono temporalmente agli uomini in quanto effetti, sussistono
eternamente nella mente di Dio in quanto cause. Tali nozioni originarie, a cui sono dedicati
il II libro del Periphyseon e buona parte del III, sono in s divine e eterne, ma non del tutto
co-eterne con Dio: siamo qui invece al livello della seconda specie di natura, quella che
creata e crea (quae creatur et creat), mentre Dio stesso crea senza essere creato. Le
nozioni archetipiche sono in effetti create in quanto appunto pensate da Dio, e creatrici
in quanto tutto ci che altro da Dio prodotto a partire da esse (II, 2; II, 15). Significativa
a questo riguardo la saldatura del versetto paolino di Rm. 11, 36 con la dottrina
aristotelica delle quattro cause, in modo da esprimere compiutamente lefficacia causale del
Verbo (veritas quae est causa omnium, quae ab ea et per eam, et in ea, et ad eam creata
sunt). Si potrebbe cos dire che, nelluniverso eriugeniano, ogni cosa eterna nelle cause e
creata negli effetti, e la creazione non che il passaggio dalla semplicit della causa alla
molteplicit e variabilit degli effetti (II, 16-20). Come per Agostino, anche per Eriugena le
cause eterne in quanto tali rimangono tuttavia inconoscibili per luomo: solo la facolt pi
elevata, lintelletto, pu approssimarsi ad esse intuitivamente, e suggerirne lesistenza alla
ragione. Permane anche nella descrizione eriugeniana della causalit la distinzione
tipicamente neoplatonica tra una causalit prima e assoluta e una secondaria che dipende
dalla prima e ne trasmette lefficacia produttiva distinzione che Eriugena riprende nello
specifico da Massimo il Confessore e che formula attraverso loriginale coppia
terminologica causale/causativum. La causalit secondaria funge appunto da mediazione
ontologica tra Dio e gli effetti creati, e serve non solo a spiegare lorigine della molteplicit
e della dispersione creaturale rispetto allunit divina, ma anche a giustificare la possibilit
della conversione ontologica e del moto di risalita degli effetti, fino al ritorno finale di tutte
le cose nella quiete e nella semplicit divina.
Quasi parallelamente, in ambito islamico, anche il Liber de causis (compilazione
dellElementatio theologica di Proclo riconducibile probabilmente al circolo di al-Kind )
ripropone i tratti di fondo della causalit neoplatonica adattandoli alle esigenze del
monoteismo e del creazionismo. Qui il tema della maggiore universalit, semplicit e
efficacia delle cause superiori rispetto a quelle inferiori diventa il principio ispiratore
dellintero impianto metafisico dellAutore, e come tale viene esposto gi nella prima
proposizione: Omnis causa primaria plus est influens super causatum suum quam causa
universalis secunda (Ogni causa primaria esercita sul suo effetto una influenza maggiore

93

Pasquale Porro / Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa nel Medioevo

della causa seconda universale).8 Non solo loperare delle cause seconde si colloca sempre
entro linfluenza della causa prima, ma gli stessi effetti ultimi dipendono in modo pi
essenziale dalla causa prima e remota che dalle cause prossime e particolari. Loperare
della causa seconda non pu insomma prescindere da quello della causa prima, cos come,
in senso opposto, se un effetto pu separarsi da una causa seconda, non pu invece
separarsi dalla causa prima. Risulta cos che la causa prima e remota contiene pi effetti ed
pi intensamente causa di quanto non lo sia quella prossima (Iam igitur manifestum est
et planum quod causa prima longinqua est plus comprehendens et vehementius causa rei
quam causa propinqua).9 appena il caso di sottolineare come questo approccio per cos
dire verticale alla causalit, che simporr come dominante anche in buona parte della
Scolastica latina, sia solo in parte sovrapponibile allimpianto orizzontale rappresentato
dalla dottrina aristotelica delle quattro cause (nei processi fisici, si devono per Aristotele
indicare le cause prossime pi che quelle remote). Per lAutore del De causis, cos come
per Proclo, ogni operazione di una causa seconda procede sempre anche dalla causa prima,
che tuttavia la esercita in modo pi alto e eminente: per questo si pu dire che leffetto della
causa seconda non sussiste se non per la potenza della causa prima (Et non figitur
causatum causae secundae nisi per virtutem causae primae).10 Altri princip chiaramente
procliani sono espressi dalla prop. 19 (la causa prima governa tutte le realt prodotte senza
avere con esse alcuna commistione)11 e dalla prop. 23, che fa riferimento ai diversi modi in
cui effetti diversi recepiscono la stessa influenza causale.12 Come gi nella teologia
bizantina, e a differenza questa volta di quanto accade in Eriugena, la teoria procliana della
causazione ciclica cede tuttavia qui il posto a una gerarchia pi diretta e lineare, in cui
l /
G ha ormai unimportanza relativa.
Sempre in ambito islamico, si deve invece a Ibn S n (lAvicenna dei latini) la prima
risistemazione complessiva della dottrina aristotelica delle quattro cause. I punti principale
di questa rilettura (condotta principalmente nel VI libro della Metafisica del Kit b a-if )
potrebbero essere cos sintetizzati: a) una suddivisione pi netta tra cause intrinseche
(materia e forma) e estrinseche (agente e fine): solo la causa materiale costituisce in
proposito uneccezione, perch pu configurarsi, quando viene intesa come soggetto
rispetto agli accidenti, anche come estrinseca; b) lo sdoppiamento della causa agente in
principio del movimento (accezione fisica) e principio di esistenza (accezione propriamente
metafisica). In questultimo caso vale pi che mai lassoluta estrinsecit tra causa e effetto:
causa agente in senso proprio per Ibn S n quella che produce unesistenza distinta dalla
propria essenza; c) il rifiuto del postulato teologico dellassoluta anteriorit della causa
rispetto alleffetto, che si applica invece solo allaccezione fisica di causa o alle cause
accidentali (disposizioni o condizioni). Contrariamente allopinione comune, la

[Anon.], Liber de causis, 1, ed. A. Pattin, Uitgave van Tijdschrift voor filosofie, Leuven 1966, p. 46, 1. Per
unanalisi dettagliata della dottrina causale del Liber anche in rapporto alle sue fonti cfr. C. DAncona Costa,
Recherches sur le Livre des Causes, Paris, Vrin, 1995.
9
[Anon.], Liber de causis, 1, ed. A. Pattin, p. 48, 12.
10
[Anon.], Liber de causis, 1, ed. A. Pattin, p. 49, 16.
11
[Anon.], Liber de causis, 19 (20), ed. A. Pattin, p. 89, 155: Causa prima regit res creatas omnes praeter quod
commisceatur cum eis.
12
[Anon.], Liber de causis, 23 (24), ed. A. Pattin, p. 97, 176-177: Causa prima existit in rebus omnibus
secundum dispositionem unam, sed res omnes non existunt in causa prima secundum dispositionem unam. Quod
est quia, quamvis causa prima existat in rebus omnibus, tamen unaquaeque rerum recipit eam secundum modum
suae potentiae).

94

Esercizi filosofici 2002 / Testi

considerazione filosofica del concetto di causa esclude per Avicenna ogni passaggio dal
non-essere allessere: causa ci da cui dipende continuativamente lesistenza di una
determinata cosa, e non il passaggio della cosa stessa dalla non-esistenza allesistenza. Da
ci segue evidentemente che se una causa essenziale eterna, eterno sar anche leffetto; d)
la tesi secondo cui ogni effetto possibile in s (cio in senso assoluto), ma necessario
rispetto alla sua causa.13 Al di l di questa necessit condizionata, la produzione reale degli
effetti dipende poi dagli impedimenti che le cause possono incontrare: in assenza di
impedimenti, ogni causa essenziale produce sempre necessariamente il proprio effetto.14
Contro questa tesi avicenniana, e in generale contro i filosofi che giudicano necessaria e
cogente la connessione che si osserva tra cause ed effetti (compromettendo la possibilit
degli eventi miracolosi e minando lonnipotenza divina), prende decisamente posizione alazz l nel suo Tah fut al-Fal sifah (ca. 1094). Per al- azz l , lidea di un nesso
indissociabile tra ci che si ritiene causa e ci che si ritiene effetto frutto solo
dellabitudine ( dah), dal momento che, se due cose sono realmente distinte,
laffermazione delluna non pu implicare laffermazione dellaltra: invece lintervento
divino a stabilire di volta in volta un ordine tra gli eventi.15 Per questo, quando Dio sembra
infrangere labituale svolgersi delle cose, non fa in realt altro che sospendere labitudine
degli uomini. Nel Tah fut at-Tah fut (1179-1180), nota poi ai latini come Destructio
destructionum, Averro denuncia a sua volta la posizione di al- azz l e dei teologi come
palesemente sofistica e insostenibile. In assenza di cause essenziali, le cose non potrebbero
distinguersi tra loro (in quanto prive di natura specifica) n potrebbero essere conosciute (in
quanto la vera conoscenza si ottiene sempre per mezzo delle cause): ogni scienza autentica
sarebbe pertanto impossibile, e tutto si ridurrebbe ad opinione.16 Ma, dalla parte opposta,
Averro prende le distanze anche da Avicenna in merito al problema della contingenza
degli effetti, che non pu a suo giudizio essere riportata agli impedimenti esterni, ma
allessenza stessa della causa, e cio alla sua possibilit intrinseca di essere o no impedita
nel proprio operare.17 Riprendendo questa stessa tesi, gli Scolastici del XIII secolo
parleranno in proposito di impedibilitas, definendo necessaria quella causa che per natura

13

Avicenna Latinus, Liber de philosophia prima sive scientia divina. V-X. dition critique de la traduction latine
mdivale par S. Van Riet. Introduction doctrinale par G. Verbeke, Leuven, Peeters Leiden, E.J. Brill, 1980, VI,
1-5, pp. 291-348; in part. VI, 3, pp. 318-319. Sulla dottrina avicenniana della causalit (soprattutto per quel che
riguarda lintroduzione della causalit efficiente in senso metafisico) cfr. . Gilson, Avicenne et les origines de la
notion de cause efficiente, in Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 121130; J. Jolivet, Les rpartitions des causes chez Aristote et Avicenne: le sens dun dplacement, in J. Jolivet Z.
Kaluza A. de Libera (sous la direction de), Lectionum varietates. Hommage Paul Vignaux, Paris, Vrin, 1991,
pp. 49-65.
14
Avicenna [Latinus], Sufficientia, I, 14, in Opera, Venetiis 1508, rist. anast. Frankfurt am Main, Minerva, 1961,
22H.
15
Al- azz l , Tah fut al-Fal sifah, XVII; transl. lat. in Averroes, Destructio destructionum, in Aristotelis Opera
cum Averrois Commentariis [= Iunct.], IX, Venetiis 1562, rist. anast. Frankfurt am Main, Minerva, 1962, ff. 126H135G. Per la traduzione italiana dei passi ripresa nel Tah fut at-Tah fut di Averro cfr. la nota immediatamente
successiva. Sulloccasionalismo islamico e la sua ricezione nel mondo latino cfr. D. Perler U. Rudolph,
Occasionalismus. Theorien der Kausalitt im arabisch-islamischen und im europischen Denken, Gttingen,
Vandenhoeck und Ruprecht, 2000.
16
Il problema affrontato da Averro nella prima questione della seconda parte del Tah fut at-Tah fut, dedicata
soprattutto alla filosofia naturale (Destructio destructionum, II, 1). Dello scritto esiste una recente traduzione
italiana: cfr. Averro, Lincoerenza dellincoerenza dei filosofi, a c. di M. Campanini, Torino, Utet, 1997, in part.
pp. 473-474 e 478-499.
17
Averroes, Aristotelis de Physico Auditu, II, t. c. 48, in Aristotelis Opera cum Averrois Commentariis [= Iunct.],
IV, Venetiis 1562, rist. anast. Frankfurt am Main, Minerva, 1962, ff. 66L-67D.

95

Pasquale Porro / Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa nel Medioevo

esclude la possibilit di qualunque impedimento estrinseco (quod non est natum impediri) e
non opera per mezzo di cause intermedie impedibili.18
Fino a tutto il XII secolo, comunque, le discussioni sul concetto di causa nel mondo
latino rimangono allinterno delleredit agostiniana e eriugeniana, e la preoccupazione
principale sembra essere quella di spiegare, attraverso la distinzione tra le cause gi presenti
nel mondo e quelle riservate in Dio, tanto il corso consueto della natura quanto gli eventi
miracolosi: cos in Guglielmo di Conches (che indica col nome di opus naturae linsieme
delle cause seconde),19 in Clarembaldo di Arras,20 in Pietro Lombardo (che torna a
distinguere pi accuratamente, seguendo Agostino, le causae primordiales presenti nella
natura da quelle presenti nel Verbo coma causae causarum),21 e ancora in Alano di Lilla
(che distingue a questo proposito tra i possibilia secundum superiorem causam e i
possibilia secundum inferiorem causam).22
Un primo significativo ampliamento del concetto di causalit rispetto alla tradizione
aristotelica e a quella neoplatonica sembra essere apportato, in ambito latino-cristiano, dagli
sviluppi della dottrina sacramentale. Nella prima met del XIII secolo, prevale in generale
uninterpretazione dispositiva della causalit dei sacramenti: poich solo Dio pu essere
causa efficiente, in senso stretto, della grazia, i sacramenti sono cause efficienti solo del
carattere o ornamento creato nell'anima, e cause materiali e dispositive della grazia
santificante. In altri termini, i sacramenti producono la grazia solo indirettamente, in quanto
causano o producono una disposizione che richiede la presenza della grazia. Questo
modello si ritrova, per non citare che alcuni esempi, in Guglielmo di Auxerre, Alessandro
di Hales, Rolando di Cremona, Guglielmo di Melitona. Altri maestri (Stefano Langton, Ugo
di Saint Cher, Pietro di Tarantasia, lo stesso Tommaso dAquino nella Summa theologiae)
preferiscono uninterpretazione di tipo strumentale: i sacramenti sono solo i mezzi (le
cause strumentali) attraverso cui Dio produce la grazia. Ma una terzo approccio, che si
riscontra soprattutto a Oxford, verso la met del secolo, in teologi domenicani come
Fishacre e Kilwardby, introduce una nuova interpretazione della causalit in senso
convenzionalistico: lefficacia causale dei sacramenti non deriva da qualche potenza
secondaria insita in essi o dal loro ruolo puramente strumentale, ma da un patto tra Dio e
la sua Chiesa (Dio dispone che i sacramenti impartiti dalla Chiesa abbiano, per sua volont,
efficacia causale). Questo tipo di causalit sine qua non (a voluntate Dei, ex divina
pactione), come ben sottolineato da Courtenay, trova ad esempio un parallelo nelle
discussioni dellepoca sul valore convenzionale delle monete per decreto dei sovrani o delle
autorit preposte allemissione.23
18

Cfr. J. J. Duin, La doctrine de la providence dans les crits de Siger de Brabant. Texte et tude, Louvain,
ditions de lInstitut Suprieur de Philosophie, 1954, pp. 45-50 (il passo si trova in realt nellaggiunta di
Goffredo di Fontaines al De necessitate et contingentia causarum di Sigieri di Brabante).
19
Guilelmus de Conchis, Glosae super Platonem, c. 37 e c. 95, ed. . Jeauneau, Paris, Vrin, 1965, pp. 104-105 e
177.
20
Cfr.N. M. Hring, Life and Works of Clarembald of Arras, a Twelfth-Century Master of the School of Chartres,
Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1965, p. 239.
21
Cfr. Petrus Lombardus, Sententiae in IV libris distinctae, II, dist. 18, 5-6, Grottaferrata, Editiones Collegii S.
Bonaventurae, 1971-1981, pp. 418-420.
22
Cfr. Alanus de Insulis, Regulae caelestis iuris, 57-58, ed. N.M. Hring, Archives dhistoire doctrinale et
littraire du moyen ge, n. 48, 1981, pp. 164-167 (ma cfr. anche 116-126, pp. 217-223).
23
Cfr. W. J. Courtenay, The King and the Leaden Coin: The Economic Background of sine qua non Causality,
Traditio, n. 28, 1972, pp. 185-209; ripreso in I D., Covenant and Causality in Medieval Thought. Studies in
Philosophy, Theology, and Economic Practice, London, Variorum Reprints, 1984.

96

Esercizi filosofici 2002 / Testi

La distinzione avicenniana tra le due diverse accezioni della causa agente sembra invece
riaffacciarsi, nel XIII secolo, a partire soprattutto da Alberto Magno, che parla in effetti
esplicitamente non pi di quattro, ma di cinque cause: la quinta (e pi importante)
naturalmente proprio quella efficiente in senso stretto, il cui studio compete alla
metafisica.24 Analogamente, Pietro dAuvergne distingue tra ci che fa acquisire lessere
per mezzo del movimento (unde principium motus) e ci che fa acquisire lessere in senso
assoluto (unde principium esse),25 terminologia che si ritrova anche in Sigieri di Brabante e,
in forma appena dissimile, in Tommaso dAquino. Talvolta lo stesso Tommaso ripropone la
stessa distinzione per mezzo dei sintagmi causa fiendi e causa essendi o altre espressioni
simili,26 specificando che gli agenti naturali hanno ricevuto da Dio solo il potere di operare
sullessere gi creato e di mutarlo,27 ovvero il potere di produrre non lessere, ma le
perfezioni che lo determinano.28 per altro interessante notare come Tommaso usi questa
distinzione contro lo stesso Avicenna, per mostrare ad esempio che le intelligenze non sono
causae essendi,29 o per confutare il presupposto delleternit della materia. Per quanto
riguarda poi il nesso tra cause ed effetti, si tratta per Tommaso di evitare due pericoli
contrapposti: a) che qualcosa sfugga del tutto allordinamento divino; b) che tutto accada
necessariamente. A tal fine Tommaso distingue tre ordini di cause ( la nota dottrina del
triplex gradus causarum): in primo luogo, la causa incorruttibile e immutabile; in secondo
luogo, le cause incorruttibili ma mutabili (i corpi celesti); in terzo luogo, le cause
corruttibili e mutabili (le sostanze sublunari). In rapporto a queste ultime, molti eventi
risultano puramente accidentali, per almeno tre fattori: il concorso o linterferenza di pi
cause, la debolezza degli agenti, la mancanza di disposizione da parte della materia. Gi in
rapporto ai corpi celesti gli stessi fenomeni perdono molto della loro accidentalit: tuttavia,
poich i corpi celesti operano solo attraverso il movimento, non possono sopprimere del
tutto laccidentalit connessa alla materia. In rapporto alla causa prima, che causa
24

Cfr. Albertus Magnus, Metaphysica. Libri quinque priores, ed. B. Geyer, Aschendorff, Mnster 1960 (Alberti
Magni Opera Omnia [Ed. Coloniensis], 16/1), V, tract. 1, 3, pp. 212-216. Cfr. anche in proposito W.B. Dunphy,
St. Albert and the Five Causes, Archives dhistoire doctrinale et littraire du moyen ge, n. 33, 1966, pp. 7-21.
Si noter tuttavia che Avicenna aveva parlato di 5 cause in rapporto allo sdoppiamento della causa materiale (che
pu designare tanto, a livello intrinseco, la materia rispetto alla forma, quanto, a livello estrinseco, la sostanza
rispetto agli accidenti) e non a quello della causa efficiente (a proposito della quale si era limitato a distinguere due
accezioni quella fisica e quella metafisica, come visto entrambe estrinseche). Pi in generale sulla
rielaborazione scolastica della dottrina aristotelica della causalit cfr. . Gilson, Notes pour lhistoire de la cause
efficiente, Archives dhistoire doctrinale et littraire du moyen ge, n. 29, 1962, pp. 7-31; R. Schnberger, Zur
Funktion der aristotelischen Ursachenlehre in der Scholastik, in I. Craemer-Ruegenberg A. Speer (hrsg. v.),
Scientia und ars im Hoch- und Sptmittelalter, Berlin-New York, de Gruyter (Miscellanea Mediaevalia, 22), I,
pp. 421-439.
25
Cfr. W.B. Dunphy, Two Texts of Peter of Auvergne on a Twofold Efficient Cause, Mediaeval Studies, n. 26,
1964, pp. 287-301, in part. p. 291; W.B. Dunphy, Peter of Auvergne and the Twofold Efficient Cause, Mediaeval
Studies, n. 28, 1966, pp. 1-21. Per quanto riguarda luso da parte di Tommaso della stessa formula cfr. ad es. In I
Sent., dist. 42, q. 1, art. 3, ad 3.
26
Cfr. Thomas de Aquino, De veritate, q. 5, art. 8, ad 8, ma anche In I Sent., dist. 9, q. 2, art. 2; De potentia, q. 5,
art. 1; Summa theologiae, I, q. 104, art. 1 (causa secundum esse / causa secundum fieri). Sulla dottrina della
causalit in Tommaso cfr., allinterno di una vasta letteratura, P. Garin, Le problme de la causalit et Saint
Thomas dAquin, Paris, Beauchesne, 1958.
27
Cfr. Thomas de Aquino, In II Sent., dist. 15, q. 3, art. 1.
28
Cfr. Thomas de Aquino, Summa contra gentiles, III, c. 66.
29
Cfr. Thomas de Aquino, In II Sent., dist. 15, q. 1, art. 2, sol.; cfr. in proposito M. Colish, Avicennas Theory of
the Efficient Causation and its Influence on St. Thomas Aquinas, in Le fonti del pensiero di S. Tommaso. Atti del
Congresso Internazionale su Tommaso dAquino nel suo VIII centenario, I, Napoli, dAuria, 1975, pp. 296-306.

97

Pasquale Porro / Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa nel Medioevo

dellessere in senso assoluto, nulla invece veramente accidentale. Ci tuttavia non annulla
di per s la contingenza, perch la stessa causa prima pu disporre le cause inferiori in
modo che operino o in maniera necessaria o in maniera contingente.30
Il tema della necessit e contingenza delle relazioni causali diventa dominante alla fine
del XIII secolo e agli inizi del XIV, anche per effetto della celebre condanna parigina del 7
marzo 1277. Molti degli articoli censurati dal vescovo Tempier fanno riferimento al tema
della causalit, e soprattutto allinterpretazione strettamente deterministica dei nessi di
causa ed effetto. Sar sufficiente citare per tutti lart. 102 (nella numerazione di Mandonnet
e Hissette; 21 nella numerazione del Chartularium Universitatis Parisiensis): Quod nihil
fit a casu, sed omnia de necessitate eveniunt, et quod omnia futura, quae erunt, de
necessitate erunt, et quae non erunt, impossibile est esse, et quod nihil fit contingenter,
considerando omnes causas Error, quia concursus causarum est de definitione casualis,
ut dicit Boethius libro De consolatione.31 Il dibattito intorno a necessit o contingenza
stato ricostruito con il consueto acume e grande ricchezza da Anneliese Maier,32 e se ne
possono qui riassumere soltanto le conclusioni. Un primo dato che merita forse di essere
evidenziato la distinzione introdotta dagli scolastici tra il valore modale relativo
alloperare della causa e quello relativo al prodursi degli effetti. Erveo di Ndellec (Quodl.
II, q. 4) distingue ad esempio, in questo senso, tra la contingentia causae in causando e la
contingentia effectus in habendo esse a causa, e analogamente si tende a separare
lavicenniana necessitas respectu causarum dalla necessitas absoluta. Se si considera il
modo di operare delle cause, lidea di fondo comunemente accettata tra la fine del XIII
secolo e gli inizi del XIV che gli agenti naturali agiscano sempre come cause determinate,
e dunque necessariamente, mentre gli agenti liberi e razionali agiscono in modo
indeterminato, e perci non-necessario (o contingente): in questo senso, le azioni umane
sono ad esempio contingenti ad utrumlibet, perch possono o no produrre il loro effetto,
mentre nessuna causa naturale tale, essendo determinata salvo impedimenti a produrre
il proprio effetto. Per quel che riguarda invece gli effetti stessi, il criterio adottato
prevalentemente statistico, con la divisione tra ci che si produce ut semper, ci che si
produce ut frequenter (ut in pluribus, ut in maiore parte) e ci che si produce ut raro (ut in
paucioribus, ut in minore parte): gli effetti che accadono semper sono necessari rispetto
alla loro causa, gli altri no. Ci non significa tuttavia che gli eventi rari siano sempre anche
fortuiti (uneclissi ne una riprova manifesta). Ma come armonizzare i due differenti statuti
30

Cfr. Thomas de Aquino, In Metaph., VI, lect. 3.


Cfr. R. Hissette, Enqute sur les 219 articles condamns Paris le 7 mars 1277, Louvain, Publications
Universitaires Paris, Vander-Oyez, 1977, p. 172. Tra i numerosi altri articoli che riguardano la causalit vale la
pena di richiamare il 16 (Quod Prima Causa est causa omnium remotissima. Error, si intelligatur ita, quod non
propinquissima), il 69 (Quod Deus non potest in effectum causae secundariae sine ipsa causa secundaria), il 93
(Quod aliqua possunt casualiter evenire respectu Causae primae; et quod falsum est omnia esse praeordinata a
Causa prima, quia tunc evenirent de necessitate si tratta della tesi diametralmente opposta a quella dellart.
102); il 96 (Quod entia declinant ab ordine Primae Causae, in se considerata, licet non in ordine ad alias causas
agentes in universo. Error, quia essentialior et inseparabilior est ordo entium ad Primam Causam, quam ad
causas inferiores), il 98 (Quod in causis efficientibus causa secunda habet actionem quam non accepit a Causa
Prima), il 100 (Quod in causis efficientibus cessante prima non cessat secunda ab operatione sua, dum tamen
secunda operetur secundum naturam suam), e il 101 (Quod nullum agens est ad utrumlibet, immo
determinatur).
32
Cfr. A. Maier, Notwendigkeit, Kontingenz und Zufall, in Ead., Die Vorlufer Galileis im 14. Jahrhundert, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 1949, 19662, pp. 219-250; trad. it. Necessit, contingenza e caso, in Ead., Scienza
e filosofia nel Medioevo. Saggi sui secoli XIII e XIV. Prefazione di M. Dal Pra, introduzione e traduzione di M.
Parodi e A. Zoerle, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 341-382.
31

98

Esercizi filosofici 2002 / Testi

modali, quello delle cause nel loro operare e quello degli effetti nel loro prodursi? Come
in altri termini possibile che le cause naturali siano costrette a produrre sempre il loro
effetto, e che questo talvolta non si produca? La spiegazione pi usuale rimane, nellambito
scolastico, quella del concorso di cause (concursus causarum) che interferiscono tra loro.
Gli eventi causali o fortuiti non sono realmente indeterminati: sono piuttosto il risultato
della sovrapposizione di pi cause distinte, ciascuna delle quali opera sempre in modo
determinato. Gli Scolastici attribuiscono cos, in linea di massima, un valore forte al
principio di causalit: ogni evento naturale ha una causa prossima o remota da cui
determinato.
Rispetto a questo complesso dottrinale di fondo si possono poi segnalare alcune
particolarit. Un ulteriore allargamento della dottrina aristotelica della causalit si trova ad
esempio in Teodorico di Freiberg, che distingue le cause naturali, che operano sempre
attraverso il movimento, da quelle che egli chiama causae essentiales, poich sono in grado
di produrre direttamente lessenza delle cose. I tratti fondamentali della causa essentialis
sono ispirati direttamente alla tradizione procliana: essa possiede in s il causato in modo
pi eminente di quanto questultimo sia in se stesso ed nel causato come altro, cio
secondo un essere diverso. Questo tipo di causalit preclusa ad ogni corpo (inclusi quelli
celesti), perch nessuna essenza corporea pu essere contenuta in unaltra in modo pi
eminente. Cause essenziali sono pertanto, sia pur in modi diversi, solo Dio, le intelligenze,
le anime celesti, e lintelletto agente.33
La concezione di Dio come causa esemplare che produce lessenza delle cose (ben
radicata in tutto il XIII secolo si pensi ad esempio a Bonaventura sulla scorta
delleredit agostiniana) trova la sua elaborazione forse pi sofisticata in Enrico di Gand,
che distingue in modo netto il rapporto necessario e eterno di causalit esemplare con cui
lintelletto divino conferisce ad ogni creatura il suo essere essenziale (esse essentiae) dal
rapporto temporale e contingente con cui la volont divina conferisce ad alcune delle
essenze cos costituite anche lessere attuale (esse existentiae).34 I primi anni del XIV
secolo segnano tuttavia, a questo proposito, una svolta radicale. Duns Scoto, ad esempio,
rifiuta piuttosto severamente lesemplarismo di Enrico, negando tra laltro la possibilit di
distinguere la causalit esemplare da quella formale.35 A ci si lega il riconoscimento del
carattere assolutamente contingente della causalit divina: Primum causans, quidquid

33

Cfr. Theodoricus Teutonicus de Freiberg, De animatione caeli, 7-8, ed. L. Sturlese, Hamburg, Meiner, 1983
(Opera Omnia, 3), pp. 17-20; De cognitione entium separatorum, 23, ed. H. Steffan, Hamburg, Meiner, 1980
(Opera Omnia, 2), pp. 186-187. Ma il sintagma causa essentialis gi presente in Alberto Magno e si ritrova
ugualmente in Eckhart: cfr. Albertus Magnus, Super Dionysium De divinis nominibus, IV, 177, sol., ed. P.
Simon, Mnster, Aschendorff, 1972 (Alberti Magni Opera Omnia [Ed. Coloniensis], 37/1), p. 262; Eckhardus
de Hoheim, Expositio sancti Evangelii secundum Iohannem, 195, ed. K. Christ B. Decker J. Koch H.
Fischer L. Sturlese A. Zimmermann, Stuttgart, Kohlhammer, 1994 [ed. or. 1936] (Die lateinischen Werke,
3), p. 163. Cfr. in proposito B. Mojsisch, Causa essentialis bei Dietrich von Freiberg und Meister Eckhart, in
K. Flasch (hrsg. v.), Von Meister Dietrich zu Meister Eckhart, Hamburg, Meiner, 1984, pp. 106-114.
34
Cfr., per non citare che pochi esempi, Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 9, Parisiis 1518, rist. anast. Louvain,
Bibliothque S.J.: 1961, f. 61rO; Quodl. VIII, q. 2, ed. Parisiis 1518, f. 304rN; Summa (Quaestiones ordinariae),
art. 21, q. 3, Parisiis, 1520, rist. anast., New York, The Franciscan Institute, St. Bonaventure Louvain, E.
Nauwelaerts Paderborn, F. Schningh, 1953, f. 126vG.
35
Cfr. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, dist. 36, q. un., 23, ed. Vaticana, VI, Civitas Vaticana, Typis
Polyglottis Vaticanis, 1963, p. 280.

99

Pasquale Porro / Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa nel Medioevo

causat, contingenter causat.36 Questa tesi, che rompe decisamente con il necessitarismo
della tradizione peripatetica, mina alle basi limmagine tradizionale del dio dei filosofi,
quella cio di un dio che agisce necessariamente, ha bisogno di cause intermedie, e
presuppone lesistenza della materia. Daltra parte, se la causa prima non agisse in modo
contingente, si darebbero almeno tre inconvenienti: a) nulla di contingente potrebbe darsi
nelluniverso; b) le cause seconde non potrebbero svolgere alcun ruolo (la causa prima,
essendo di infinita potenza, avrebbe infatti creato gi tutto perfettamente nel primo istante);
c) la presenza del male nel mondo rimarrebbe inspiegabile. Tuttavia, per Scoto, alcune delle
cose create sono contingenti tanto ex parte causae primae quanto ex parte causae
secundae, come gli atti del libero arbitrio, altre, come i fenomeni naturali, sono contingenti
in rapporto alla causa prima, ma non in rapporto alle cause seconde.37
In Ockham, pi ancora che in Scoto, diventa centrale il principio, indimostrabile per la
ragione naturale, secondo cui tutto ci che Dio produce per la mediazione delle cause
seconde, pu produrlo e conservarlo immediatamente senza di esse.38 In realt, per
Ockham, Dio causa immediata di tutto sia quando agisce con le cause seconde, sia quando
agisce senza di esse; queste ultime non sono tuttavia superflue perch Dio non opera
sempre secondo la sua piena potenza:39 al contrario, Egli ha deciso di limitare la propria
potenza per garantire, nel corso ordinato della natura, lautonomia delle cause seconde.40
Ockham sostituisce cos al modello tomista della subordinazione gerarchica di pi cause
totali lidea del concorso di pi cause parziali e immediate. Tuttavia, de potentia absoluta la
causa prima potrebbe agire anche da sola, potrebbe cio essere causa totale di tutto ci di
cui causa parziale.41
comunque un fatto, come detto, che nel XIV secolo la rivendicazione del carattere
contingente della causalit divina e dellagire umano si accompagni al riconoscimento quasi
incontrastato delluniversale validit del principio di causalit per quel che riguarda i
fenomeni naturali, sia pur con sfumature diverse. Una delle eccezioni pi note e
significative rispetto a questa tendenza generale a cui possiamo qui solo accennare
rappresentata da Nicola di Autrecourt, che sembra mettere radicalmente in dubbio la
possibilit stessa di una conoscenza di tipo causale. La certezza dellevidenza pu infatti
36

Cfr. Ioannes Duns Scotus, Tractatus de primo principio, IV, concl. 5, 59, ed. W. Kluxen [= Ioannes Duns
Scotus, Abhandlung ber das erste Prinzip], Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1974, p. 74;
Ordinatio, I, dist. 2, 74-80, ed.Vaticana II, Civitas Vaticana, Typis Polyglottis Vaticanis, 1950, pp. 174-180.
37
Cfr. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, dist. 39, 12-22, ed. Vaticana, VI, pp. 412-427; Lectura, I, dist. 39,
31-57, ed. Vaticana, XVII, Civitas Vaticana, Typis Polyglottis Vaticanis, 1966, pp. 488-499.
38
Cfr. Guilelmus de Ockham, In I Sent. (Ordinatio), dist. 42, q. un., ed. G. Etzkorn F. E. Kelley, New York, The
Franciscan Institute, St. Bonaventure, 1979 (Opera teologica, 4), p. 617; Quodlibet VI, q. 6, ed. J. C. Wey, New
York, The Franciscan Institute, St. Bonaventure, 1980 (Opera teologica, 9), p. 604; In II Sent. (Reportatio), qq.
3-4, ed. G. Gl R. Wood, New York, The Franciscan Institute, St. Bonaventure, 1981 (Opera teologica, 5), p.
69. Per Scoto cfr. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, dist. 42, 14, ed. Vaticana, VI, p. 346.
39
Guilelmus de Ockham, In II Sent. (Reportatio), qq. 3-4, ed. Gl Wood, pp. 72-73.
40
Lo stesso concetto sembra ad esempio ritrovarsi in Francesco di Meyronnes: Causa prima [] posset totum
producere; sed tamen moderatur actionem suam ne auferat a causa secunda suam activitatem (In I Sent., dist. 4344, q. 7, ed. Venetiis 1520, p. 127D).
41
Guilelmus de Ockham, In I Sent. (Ordinatio), dist. 42, q. un., ed. Etzkorn Kelley, pp. 610-622, in part. p. 617;
In II Sent. (Reportatio), qq. 3-4, ed. Gl Wood, pp. 50-79, in part. p. 60, p. 63 e p. 72. Cfr. in proposito A. de
Muralt, La mtaphysique thomiste de la causalit divine. Pour comprendre la doctrine occamienne de la toutepuissance divine, in O. Pluta (hrsg. v.), Die Philosophie im 14. und 15. Jahrhundert. In memoriam Konstanty
Michalski (1879-1947), Amsterdam, B.R. Grner, 1988, pp. 303-320 (poi anche in Lenjeu de la philosophie
mdivale, Leiden Boston Kln, E.J. Brill, 1993, cap. VII).

100

Esercizi filosofici 2002 / Testi

fondarsi, per Nicola, solo sullimmediatezza dellesperienza interna e sul principio di non
contraddizione; ora, nel caso di una connessione causale, i due termini non sono
immediatamente presenti nella coscienza, n possibile affidarsi al principio di non
contraddizione: poich infatti un termine non uguale allaltro, n parte dellaltro, anche
assumendo lantecedente e lopposto del conseguente come simultaneamente veri non
potrebbe verificarsi alcuna contraddizione.42
La parabola del dibattito scolastico sulla causalit potrebbe essere fatta terminare, alle
soglie del XVII secolo, con le Disputationes Metaphysicae di Francisco Surez (non a caso,
lultimo degli Scolastici, secondo la definizione ricorrente). La trattazione delle cause
occupa qui uno spazio imponente, dalla XII alla XXVII disputatio, e si segnala per almeno
due tratti peculiari: a) lappartenenza alla metafisica della trattazione delle cause viene
giustificata sulla base del fatto che non si d alcun ente che non partecipi in qualche modo
della ratio causae, incluso Dio stesso, perch, anche se di fatto Dio non causato, rispetto
alla nostra conoscenza alcuni dei suoi attributi possono essere concepiti come se fossero
causa degli altri;43 b) le cause estrinseche hanno ormai acquisito una importanza ben
maggiore di quelle intrinseche, e la causa propriamente efficiente innestata sul ramo della
tradizione aristotelica solo a partire da Avicenna, come visto diventata la causa per
eccellenza (tota definitio causae proprissime convenit efficienti).44 In effetti, la doppia
definizione generale di causa che Surez propone per supplire alla mancanza di una
definizione unitaria da parte di Aristotele fa inequivocabilmente leva sulla sola causalit
efficiente: causa id a quo aliquid per se pendet ovvero principium per se influens esse in
aliud.45 Larticolazione aristotelica delle quattro cause come griglia esplicativa del reale (e
in cui una causa intrinseca la forma come essenza tanto importante quanto quelle
estrinseche, se non pi importante) ha perso ormai, a questo punto, gran parte del suo
significato: causa non pi n la materia, n la forma, n il fine (per quanto Surez stesso
continui ad occuparsi di questi aspetti), ma soprattutto, e in senso proprio, lefficiente.

42

Cfr. L.M. de Rijk, Nicholas of Autrecourt. His Correspondence with Master Giles and Bernard of Arezzo. A
Critical Edition from Two Parisian Manuscripts with an Introduction, English Translation, Explanatory Notes and
Indexes, Leiden Boston Kln, E. J. Brill, 1994, pp. 64 ss.
43
F. Surez, Disputationes metaphysicae, XII, 1, Paris, Vivs, 1866, rist. anast. Hildesheim, Olms, 1998, pp. 372373. Sul concetto di causa in Surez sar sufficiente rinviare a V. Carraud, Causa sive ratio. La raison de la cause,
de Suarez Leibniz, Paris, PUF, 2002, in part. pp. 103-166.
44
Surez, Disputationes metaphysicae, XII, 3, p. 389
45
Surez, Disputationes metaphysicae, XII, 2, p. 384.

101

102

RIASSUNTI DEI CORSI

2000/2001 E 2001/2002

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

DIDATTICA GENERALE

Gianpaolo Cappellari
2000-2001. Dal programma alla scuola
Il corso ha analizzato le fasi di un processo di insegnamento, dalla scelta dei contenuti
alla loro organizzazione temporale e allimpatto con le conoscenze degli studenti. Partendo
dallidea che imparare significa trasformare le proprie conoscenze piuttosto che ricevere
delle nozioni dallesterno, sono state prese in esame situazioni di apprendimento per vedere
in che modo le conoscenze implicite degli studenti interagiscono con le conoscenze
esplicite delle discipline insegnate.
2001-2002. Dalla nozione al processo mentale
La scuola accusata di favorire il consumismo culturale trasmettendo nozioni
preconfezionate che lo studente memorizza in modo passivo, oppure di incoraggiare forme
di partecipazione attiva rivelatisi alla fine superficiali poich trascurano il rigore della
dimostrazione. Nel corso si cercato di vedere come sia possibile, partendo dalle risposte
degli studenti, arrivare alla struttura di una disciplina tramite il processo di ipotesi e di
verifica.

EPISTEMOLOGIA DELLE SCIENZE UMANE

Serena Cattaruzza
2000-2001. Psicologia della conoscenza tra mondo fisico e mondo morale: Francesco De
Sarlo e la Scuola fiorentina (1903-1937)
Nel contesto del dibattito europeo sulla qualificazione metodologico-epistemologica
delle scienze della natura e delle scienze dello spirito si collega il contributo originale e
articolato dello psichiatra e filosofo Francesco De Sarlo e della sua Scuola fiorentina
(Laboratorio di psicologia sperimentale e seminario filosofico). Sulla scorta di nozionichiave, quali i dati dellesperienza, i fenomeni psichici, le funzioni della coscienza e
i valori dello spirito, si configura un tentativo al limite di contemperare il
riconoscimento dellautonomia scientifica della psicologia con la sua vocazione
tradizionalmente filosofica. Nella scia delle discussioni avviate da tempo dalla cultura
filosofico-scientifica tedesca (da Wundt a Brentano a Stumpf ecc.), De Sarlo aperto alle
ragioni del metodo sperimentale, ma nello stesso tempo ritiene irrinunciabile lapporto della
riflessione filosofica. Questultima, per, a sua volta, deve tenere in debito conto il
progresso delle scienze speciali, in particolare appunto della psicologia scientifica,
diffidando delle sia pur geniali costruzioni teoretico-sistematiche del passato (da quella

105

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

kantiana al contributo hegeliano). Partito da un contatto diretto con la metodologia


wundtiana utilizzata nel celebre Laboratorio di Lipsia, De Sarlo si avvicina alle posizioni
brentaniane nel suo libro del 1903, I dati dellesperienza psichica. Cos, nel Laboratorio di
psicologia sperimentale da lui creato nello stesso anno si affrontano questioni cruciali anche
dal punto di vista filosofico. In particolare, nel corso, si sono esaminati i contributi teoricosperimentali sullapprensione della temporalit e sul tempo di presenza forniti dai suoi
allievi Enzo Bonaventura e Renata Calabresi. Cos come stata presentata loriginale
interpretazione dellapproccio psicanalitico tentata da Enzo Bonaventura, dove, in
particolare, si persegue un confronto, nella scia di V. Benussi, tra analisi sperimentale e
analisi freudiana.
2001-2002. Estetica e cognizione. La centralit
nellepistemologia di S. Witasek (Scuola di Graz)

teoretica

dellopera

darte

Rappresentazione artistica, teoria della visione e teoria della conoscenza sono connesse
nellapproccio teoretico-sperimentale di S. Witasek, allievo e collaboratore del filosofo
austriaco A. Meinong. A sua volta musicista, percettologo sperimentale e filosofo, Witasek
delinea unindagine degli oggetti estetici imperniata sul rapporto vitale tra riflessione
gnoseologica e contributo gnoseologico-scientifico. Nozioni come forma, oggetto,
rappresentazione, espressione, fantasia, valore ecc. sono utilizzate tentando di
risolvere problemi filosofico-comunicativi del campo della percezione e di quello dellarte.
Di particolare rilievo risulta il confronto tra la rappresentazione percettiva e quella pittorica.
Su questo centrale argomento si sono esaminati anche contributi successivi, forniti dai
campi disciplinari rispettivamente della storia dellarte (E. H. Gombrich), della psicologia
scientifica (J. Hochberg) e della filosofia contemporanea di stampo analiticowittgensteiniano (M. Black). Inoltre, nellambito del corso, si realizzata una giornata di
studi sul tema percezione-arte-conoscenza, per approfondire laspetto conoscitivo
dellesperienza percettiva e di quella pittorica, in contrasto con un approccio logicoteoretico pi tradizionale. stato altres presentato il lavoro pionieristico sulle qualit
visivo-cromatiche di D. Katz. In esso si dimostra che la percezione del colore implica nello
stesso tempo lo studio della forma, della struttura materia, dello spazio e del movimento
degli oggetti colorati.
La parte finale del corso stata dedicata a un inquadramento storico dellevoluzione del
pensiero meinonghiano e dei rappresentanti pi significativi della Scuola di Graz. In
particolare si mesos a fuoco il rapporto tra psicologia della produzione e degli oggetti di
ordine superiore e la teoria generale delloggetto.

106

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

ERMENEUTICA FILOSOFICA

Renato Cristin
2000-2001. Che cos lintersoggettivit?
Il corso ha riguardato la domanda sullo statuto filosofico dellintersoggettivit, e ha
inteso offrire alcune risposte a tale interrogativo, seguendo alcuni esiti della filosofia del
Novecento e in particolare la corrente fenomenologica.
2001-2002. Il paradosso dellinterpretazione. Heidegger e lermeneutica
Il corso ha analizzato in primo luogo il concetto heideggeriano di ermeneutica,
mettendo in evidenza la configurazione essenzialmente paradossale che lo caratterizza.
Successivamente, anche alla luce di un confronto con la concezione gadameriana
dellermeneutica, sono stati interpretati alcuni scritti in cui Heidegger affronta il problema
ermeneutico in generale.

ESTETICA

Pier Aldo Rovatti

2000-2001. Il cinema secondo Gilles Deleuze


Il corso stato dedicato alla lettura e al commento dei testi di Gilles Deleuze
sullinterpretazione del cinema (Cinema 1, Limmagine-movimento e Cinema 2,
Limmagine-tempo). Inoltre stato approfondito in modo particolare il rapporto BergsonDeleuze sulla questione dellimmagine, con riferimento allopera di Bergson Materia e
memoria. Il corso stato affiancato da un seminario sullestetica di Aby Warburg, a cura
del dott. D. Zoletto.
2001-2002. Pittura e verit
Il corso stato diviso in tre moduli complementari. Il primo modulo a cura di Pier
Aldo Rovatti stato dedicato alla lettura e al commento di due testi-chiave dellestetica
contemporanea, quali Lorigine dellopera darte di Heidegger e La verit in pittura di
Jacques Derrida. In un primo momento si proceduto con la lettura e il commento dei passi
pi significativi del saggio di Heidegger, in particolare quelli dedicati al quadro Vecchie
scarpe con lacci di Van Gogh, che Heidegger introduce quale esempio della messa in
opera della verit nellopera darte. In un secondo momento, seguendo la lettura-scrittura

107

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

a zig-zag compiuta da Derrida nel saggio Restituzioni, sono stati rintracciati da una parte
gli elementi metafisici ancora presenti nellintepretazione heideggeriana del quadro di Van
Gogh, dallaltra parte le costanti aperture derridiane verso unesperienza paradossale nel
rapporto che abbiamo con lopera.
Il secondo modulo a cura di Raoul Kirchmayr ha seguito il filo conduttore del
ritratto nellEstetica di Hegel e in alcuni luoghi del pensiero di Descartes (come il Discorso
sul metodo e la Diottrica), per giungere a tematizzazioni del ritratto nella filosofia
contemporanea (il riferimento principale stato Il ritratto e il suo sguardo di Jean-Luc
Nancy), facendo vedere in che modo certi operatori (la cornice, il punto cieco, il
movimento di fort-da), che formano una certa concettualit filosofica nellinterpretazione
dellopera darte, siano attivi nei testi di Hegel e di Descartes, pur non essendo tematizzati
in quanto tali.
Il terzo modulo a cura di Damiano Cantone ha messo a fuoco la questione
dellimmagine pittorica nel cinema di Hitchcock. Mediante il ricorso a nozioni di tipo
lacaniano, stata svolta unanalisi di un certo numero di film (Delitto per delitto, La donna
che visse due volte e altri), cui hanno fatto seguito la proiezione e il commento. Lultima
seduta stata dedicata alla visione del film Dailleurs Derrida, di Safaa Fathy, dedicato alla
vita e al pensiero filosofico di Jacques Derrida.

FILOSOFIA CONTEMPORANEA

Pier Aldo Rovatti

2001-2002. La questione del gioco da Nietzsche a Wittgenstein


Il corso ha considerato come e perch la questione del gioco, variamente intesa,
fondamentale nei pensieri di Nietzsche, Heidegger, Freud e Wittgenstein. Parallelamente al
corso hanno avuto luogo due seminari, Gioco e scrittura in Heidegger (dott.ssa A.
Calligaris) e Il corpo in Merleau-Ponty (dott. S. Crosara).

108

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

Marina Sbis
2000-2001. Mente e linguaggio
Le questioni che hanno portato alla scelta di questo argomento sono due, una teorica e
laltra storico-critica (anche se non priva di spunti progettuali). Anzitutto, nella filosofia del
Novecento si sono di frequente presentati interrogativi riguardanti il rapporto tra linguaggio
e pensiero: esiste pensiero al di fuori del linguaggio? Oppure tutto il pensiero
linguistico? Nella misura in cui linguaggio e pensiero possono essere distinti, il
linguaggio che influenza e persino struttura il pensiero o viceversa? Analoghi interrogativi
sono sorti nellambito delle scienze umane (psicologia, linguistica, scienze cognitive), con
esiti vari e a volte contrastanti. In secondo luogo, vi il problema se lapproccio
privilegiato al linguaggio e alla mente debba essere piuttosto quello della filosofia del
linguaggio tendenzialmente antipsicologistica, facilmente disposta a riconoscere al
significato una dimensione normativa, cauta e persino scettica riguardo ai problemi del
rapporto mente/corpo, o quello della filosofia della mente con le sue ambizioni di
spiegazione naturalistica dellintenzionalit, per cui il problema del significato perde
autonomia e si ricolloca come una fra le tante cose da spiegare, in collaborazione delle
scienze cognitive, nel funzionamento della mente/cervello. In effetti, la svolta linguistica
che ha caratterizzato ampi settori della filosofia del Novecento a un certo punto rientrata e
le questioni riguardanti il linguaggio sono state viste da molti autori, almeno nellambito
delle filosofia analitica, come parte o conseguenza di questioni riguardanti la mente o di
risposte a questultime.
Il corso ha esplorato solo parzialmente queste due dimensioni problematiche fra loro
intrecciate. Era suo scopo principale esporre e discutere alcune posizioni estreme sul tema
del rapporto fra pensiero e linguaggio: sono stati presi in considerazione dettagliatamente
da una parte il classico (e tanto contestato) Linguaggio, pensiero e realt del linguista
americano Benjamin Lee Whorf, dallaltra l'influentissimo volume Psicosemantica del
filosofo della mente Jerry Fodor.
La posizione di Whorf ha le sue radici nello strutturalismo saussuriano, dove il segno ha
insieme carattere psichico e arbitrariet. la lingua, per Saussure, a dare una forma al
flusso delle idee originando cos i concetti; ogni concetto, in quanto signifi, nasce insieme
al suo significante (e vive e muore insieme ad esso). In Whorf, il carattere psichico del
segno linguistico facilita la sua integrazione nel patrimonio epistemico dei soggetti, e
larbitrariet rende questultimo soggetto a relativit linguistica. La scarsa sistematicit di
Whorf gli consente di non dover affermare apertamente il paradosso per cui se la relativit
linguistica da lui sostenuta fosse totale, sarebbe impossibile anche spiegare
approssimativamente ai parlanti nativi di una lingua ci che significa un enunciato di
unaltra. Il suo ampio sforzo di spiegare agli occidentali come vedano il mondo i parlanti
dello hopi e in generale la sua costante tensione verso i confronti fra diversi modi di parlare
e pensare rendono il suo discorso ampiamente vulnerabile da questo punto di vista. Tuttavia
proprio questo sforzo e questa tensione rendono la sua opera suggestiva: come se lo

109

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

sfruttamento ottimale, per lumanit, delle proprie potenzialit di pensiero e di invenzione


richiedesse la pratica di una specie di multilinguismo culturale.
Il caso di Fodor completamente diverso. Il lavoro di questautore si colloca nella scia
del rifiuto chomskiano del comportamentismo. Le spiegazioni del comportamento e dello
stesso linguaggio possono e devono essere cercate nella mente (che tuttavia, si ricordi,
una mente materialisticamente intesa, la cui prospettiva in prima persona accantonata
con malcelato disagio). Gli stati mentali che spiegano il comportamento sono le credenze e
i desideri, funzionalmente differenziati per il ruolo che giocano. Ma quanto al loro
contenuto, contro allolismo di Quine e Davidson per cui ogni enunciato (ovvero il
contenuto di ciascuno stato mentale) definito solo dalla sua relazione con lintera lingua o
teoria a cui appartiene, Fodor afferma latomismo, che a sua avviso soltanto rende possibile
far riferimento agli stati mentali per spiegare il comportamento. Questo atomismo fonda il
significato degli enunciati di qualunque lingua, oltre che degli stati mentali, su quello dei
simboli della lingua del pensiero, innata e universale. Il fatto che i simboli della lingua del
pensiero sarebbero risposte causate in noi dagli stimoli esterni solleva un difficile
problema: cosa fa s che un simbolo della lingua del pensiero si riferisca proprio a una certa
cosa o tipo di cosa nel mondo e non a unaltra? Cosa fa s che, nonostante la lingua del
pensiero e il suo rapporto col mondo, a volte abbiamo credenze sbagliate? Soprattutto
riguardo al problema dell'errore, le capacit esplicative della filosofia della mente rispetto
alla filosofia del linguaggio sembrano venir meno, o almeno risultano molto meno
convincenti di quanto promettevano di essere.
Morale: c ancora spazio per ripartire dal linguaggio.
Il Seminario Interdisciplinare di Logica e Filosofia del Linguaggio tenuto
congiuntamente al prof. Roberto Festa ha discusso la nozione di credenza, nei due aspetti
collegati dellascrizione di credenze (gli enunciati come Lois crede che Superman vola),
ricchi di aspetti problematici studiati sia da approcci semantici che da approcci pragmatici,
e della belief revision, lo studio dei procedimenti con cui un agente razionale modifica le
proprie credenze.
2001-2002. Significato, cognizione e comunicazione
Il corso, oltre che fare unintroduzione alla filosofia del analitica del linguaggio, ha
affrontato due temi attuali ambedue connessi alla nozione di significato: la teoria del
significato di Paul Grice, fondata su unanalisi dei processi comunicativi e del modo in cui
vengono compresi, e le problematiche collegate al rapporto fra comprensione e traduzione.
Grice stato uno dei pi influenti e controversi filosofi del linguaggio della seconda
met del Novecento, importante oltre che per le sue proposte filosofiche, anche per
l'influenza avuta sulla pragmatica linguistica. Si deve a lui la moratoria fra semantica
formale e pragmatica che ha consentito ad ambedue gli indirizzi di ricerca notevolissimi
progressi negli scorsi trentanni. Naturalmente, la moratoria si basa su di un
compromesso sacrificare la priorit delle valutazioni di appropriatezza/inappropriatezza
degli atti linguistici, inizialmente affermate da filosofi del linguaggio ordinario come
Austin, salvaguardando la logica classica, a due valori senza lacune di valore di verit. Ogni
aspetto del significato eccedente o deviante rispetto alla determinazione di condizioni di
verit per Grice fondato su inferenze che il ricevente stimolato a fare dalle parole che il

110

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

parlante ha pronunciato, spesso sulla base dellassunto pragmatico che il parlante stesso
cooperativo, cio accetta di avere scopi in comune con il ricevente e con le sue parole
contribuisce al loro raggiungimento. I tipi di inferenze che Grice propone come fonte di
larga parte di quello che intuitivamente il significato di un enunciato o discorso sono stati
utilizzati e studiati in pragmatica linguistica non senza critiche e proposte di modifica.
Comune ai continuatori di Grice lassunto che lidea da sviluppare sia che il parlante
effettivamente esegue determinati passaggi inferenziali, mentre in realt, ci che interessa a
Grice qualcosa di pi specificamente filosofico: che i significati attribuiti al parlante siano
giustificabili da possibili percorsi inferenziali.
Mentre nel quadro della filosofia griciana non si mette in questione la possibilit di
parlante e ricevente di capirsi (anzi, lo sfondo di scopi comuni ipotizzato da per scontato
che ci sia fra diversi soggetti possibilit di coordinazione, sia non verbale sia anche
linguistica), altri autori hanno con vari fini sottolineato la precariet della comunicazione
linguistica e in certi casi l'impossibilit di stabilire con certezza il significato di un
enunciato. Il corso ha discusso soprattutto i famosi argomenti di Quine e di Davidson sulla
traduzione radicale o rispettivamente interpretazione radicale: qui il lavoro inferenziale
dell'interprete parte da zero e si appoggia esclusivamente sull'assunto che il parlante
condivida il suo stesso apparato sensoriale da un lato, e la sua stessa logica dallaltro. Ma
con queste premesse la traduzione o interpretazione rimane sempre indeterminata, nonch
dipendente dalle traduzioni di tutti gli altri enunciati della lingua, in modo olistico. Ne
segue una sorta di scetticismo comunicativo; nel caso di Quine, laffermazione della
relativit del significato agli schemi concettuali che il parlante possiede, nel caso di
Davidson.
Ne segue un forte senso di precariet di ogni interpretazione, che (pur salvando la
centralit della verit nella definizione tarskiana) fa svanire la nozione stessa di lingua. Di
fronte a questo scetticismo comunicativo, vale la pena ricordarne la prima fonte:
unimmagine della comunicazione come recupero o ricostruzione da parte del ricevente di
quello che il parlante ha in mente e che lo ha spinto a formulare le sue parole.
Linverificabilit della riuscita della comunicazione qualora sia cos intesa fa parte delle
circostanze (brillantemente analizzate da Taylor) che fanno sorgere lo scetticismo
comunicativo, stimolo continuo alla produzione di nuove teorie del linguaggio e della
comunicazione in funzione ora puramente difensiva, ora con ambizioni di pi vasta
riformulazione.
Il Seminario interdisciplinare di Logica e Filosofia del Linguaggio tenuto
congiuntamente al prof. Roberto Festa ha affrontato il difficile problema dei condizionali
(Se.., allora) in numerosi aspetti di carattere semantico, pragmatico ed epistemologico.

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Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

FILOSOFIA DELLA CULTURA

Graziella Berto
2001-2002. La comunit in questione
Il corso ha affrontato il problema della comunit attraverso lanalisi del dibattito che si
svolge nel pensiero francese a partire dagli anni Ottanta, inizialmente stimolato dal
fallimento del comunismo e proseguito in rapporto alla mondializzazione e al
multiculturalismo: possibile parlare di comunit in contrapposizione alla nozione di
individuo come soggetto autonomo, senza cadere nellidea di un soggetto collettivo,
altrettanto chiuso verso laltro, e senza ripiegarsi nella difesa di una determinata identit
culturale, che riconduce a un mito fondativo della comunit ricollegabile a fenomeni di tipo
totalitario? La lettura dei testi di Nancy, Blanchot e Derrida dedicati a questi temi stata
arricchita dal riferimento alle posizioni di Bataille e del Collegio di Sociologia, di
Nietzsche, Heidegger e Lvinas e dal confronto con linguaggi di carattere antropologico
(Geertz, Clifford) e sociologico (Bauman, Sennett). emerso, in questi autori, il tentativo
paradossale di pensare una comunit senza comunit: luogo di un rapporto che non di
unificazione e di fusione ma lincontro con la distanza dellaltro, come colui che mette in
questione la chiusura del soggetto. Laltro non n il simile a cui unirsi n il nemico a cui
contrapporsi ma lignoto che mette in crisi la presunta chiusura dellidentit, impedendole
di fissarsi e inaridirsi, e facendo emergere lalterit che la abita. Le nozioni di singolarit
e partizione in Nancy e di amicizia in Blanchot e Derrida cercano di dire questa
condizione di apertura e di impurit del medesimo, che incontra laltro non in un processo
di conciliazione e assimilazione e nemmeno nella trasparenza del dialogo, ma nella
responsabilit verso una distanza e una differenza incolmabili, che sono la sola dimensione
del rapporto. Derrida, in particolare, radicalizza lidea di una politica della separazione
come condizione della democrazia, al di l di un principio di fratellanza che rischia ancora
di far risorgere la figura del padre e delluno. Questi autori si incontrano in un lavoro di
sperimentazione che riguarda il linguaggio e la struttura logica del pensiero, poich
largomentazione binaria, fondata sul confine netto tra medesimo e altro, proprio e
improprio, inclusione ed esclusione, non funziona pi in questo contesto; in questa ricerca, i
testi filosofici e quelli antropologici e sociologici che sono stati presi in considerazione
mostrano intrecci di particolare interesse e densit teorica. Il corso ha messo in luce le
aperture ma anche le difficolt e i problemi irrisolti che questo tipo di proposta mette in
gioco.

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Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

FILOSOFIA DELLA SCIENZA


Roberto Festa

2000-2001. Probabilit, decisioni e giochi


Gli strumenti concettuali delle teorie della probabilit, delle decisioni e dei giochi si
stanno rivelando di grande utilit per lanalisi del metodo scientifico. Nella prima parte del
corso sono state illustrate le nozioni fondamentali delle teorie della probabilit e delle
decisioni, e si sono state alcune applicazioni di queste teorie nellambito della cosiddetta
epistemologia bayesiana. Nella seconda parte, dopo avere approfondito lanalisi delle teorie
delle decisioni e dei giochi, si mostrato che esse possono svolgere un ruolo significativo
nella metodologia delle scienze sociali.
2001-2002. Teoria dei giochi ed evoluzione delle norme sociali
Il corso si articolato in una parte istituzionale e in una parte monografica. Nella prima
sono stati presentati alcuni strumenti concettuali e storico-teoretici necessari ad affrontare la
filosofia della scienza. Dopo aver introdotto le nozioni-base della teoria della probabilit,
delle decisioni e dei giochi, sono stati affrontati i problemi metodologici posti dallanalisi di
ordine sociale. Specificamente, si affrontato il problema di comprendere come le nostre
norme sociali possono emergere ed evolvere e come problemi di questordine siano stati
inquadrati nella cosiddetta teoria evoluzionistica dei giochi. Infine stata illustrata la teoria
sociale di Friedrich August von Hayek, con particolare riferimento al rapporto tra regole e
ordine sociale. Sono stati segnalati i punti di contatto fra il suo approccio e i modelli
dellevoluzione culturale basati sulla teoria dei giochi.

FILOSOFIA E LINGUA FRANCESE


(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)

Fabio Polidori

2000-2001. Introduzione al pensiero francese contemporaneo


Il corso ha affrontato alcune tra le pi significative esperienze della riflessione francese
nel Novecento, dalle interpretazioni della dialettica hegeliana alla critica della storia e fino
allaffermarsi delle filosofie della differenza.

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Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

2001-2002. Esistenza e metafisica in Levinas


Il corso ha affrontato, attraverso la lettura di alcuni testi in lingua originale, il pensiero
di Emmanuel Levinas intorno agli anni cinquanta-sessanta: dalla fenomenologia e dalle
critiche a Husserl e Heidegger alla messa in questione del primato del medesimo su cui si
fonda e attraverso cui si definisce la filosofia occidentale.

FILOSOFIA E LINGUA INGLESE


(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)

Roberta Gefter Wondrich

2000-2001: David Hume e la lingua dellempirismo


Il corso ha avuto come obiettivo lacquisizione delle competenze linguistiche
fondamentali per la comprensione autonoma, passiva e attiva, di testi filosofici, primari e
secondari. Il corso si articolato per mezzo di esercitazioni di lettura, traduzione, analisi e
commento di testi (opere e letteratura critica), con particolare attenzione alla terminologia
filosofica.

FILOSOFIA E LINGUA INGLESE


(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)
Davide Zoletto
2001-2002: Whitehead e Russell
Il corso ha affrontato, a partire dalla lettura dei testi in lingua originale, alcuni momenti
significativi della riflessione filosofica di Alfred North Whitehead, soffermandosi in
particolare sulle sue nozioni di modello (pattern), dato di fatto (matter of fact), astrazione
ed esperienza. Si in particolare fatto riferimento alla critica da parte di Whitehead delle
nozioni di puro fatto e di forma ideale e al complesso rapporto della filosofia
whiteheadiana con la scienza e la logica del suo tempo. Sono stati riletti da questo punto di
vista alcuni momenti significativi del rapporto tra Whitehead e Russell prima, durante e
dopo la stesura dei Principia Mathematica, concentrandosi in particolare sulle ragioni che
hanno portato i due filosofi a trarre, da questo lavoro comune, conseguenze filosofiche
opposte e a seguire da un certo momento in poi itinerari di pensiero profondamente diversi.
A tal fine ci si soffermati su due testi dellultimo Whitehead: il volume del 1938 Modes
of Thought, (Cambridge University Press, Cambridge 1956) e il saggio del 1941

114

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

Mathematics and The Good (in P. A. Schilpp (a cura di), The Philosophy of A. N.
Whitehead, Tudor Pub. Company, New York 1951, pp. 666-681).
A un diverso livello il corso si posto lobiettivo di favorire da un lato la
consapevolezza dellimportanza di avvicinare un testo filosofico nella sua lingua originale e
dallaltro lacquisizione delle conoscenze e le competenze di tipo linguistico (grammatico,
sintattico, lessicale) con le quali leggere e studiare un testo filosofico scritto in inglese. A
tal fine il corso stato condotto privilegiando la lettura, lanalisi e la traduzione interattiva
(sia individuali che collettive) dei testi in lingua originale, finalizzate soprattutto alla
comprensione dei vari livelli di contenuto del testo e allapprofondimento della
terminologia filosofica inglese attraverso un confronto con il vocabolario filosofico italiano.
Si poi insistito particolarmente sulle problematiche teoriche e pratiche inerenti la
traduzione di un testo filosofico.

FILOSOFIA E LINGUA SPAGNOLA


(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)

Claudia Razza
2000-2001. Jos Gaos: la filosofia come tema
1. Linsegnamento si prefigge un obiettivo particolare che condiziona e orienta lo
svolgimento complessivo delle lezioni. Esso si discosta infatti da un comune corso di lingua
sia per quanto riguarda i contenuti sia per la strategia didattica adottata. Tale obiettivo
quello di condurre gli studenti ben oltre la superficie della lingua, fino a raggiungere una
comprensione approfondita del tipo di ontologia che, per la sua storia e le sue tendenze
idiomatiche, essa in grado di esprimere.
Questo scopo esige un approccio didattico di carattere teoretico: quello cio di una
filosofia del linguaggio capace di individuare, gi a partire dalle regolarit formali, le
potenzialit indicative delluso, e di mettere quindi in rilievo i cosiddetti compromessi
ontologici, che costituiscono spesso sia lo sfondo inconsapevole di ogni lingua sia le
caratteristiche idiosincratiche della sua identit, la quale accentua alcune disposizionalit
espressive piuttosto che altre. Se ogni lingua una equazione diversa tra raffigurazioni e
nascondimenti, lo studio comparato delle strutture linguistiche pu svelare anche le
autentiche sfumature del pensiero che di esse si serve. Tali sfumature, in due lingue tanto
simili come litaliano e lo spagnolo, possono celare questioni di senso decisive, che per un
lettore filosofico, molto pi che per qualsiasi altro, sar cruciale saper cogliere.
Dopo una serie intensiva di lezioni di fonetica, morfologia e sintassi, lungo le quali
vengono comunque gi inserite riflessioni filosofiche sulle particolarit della grammatica
spagnola, stata quindi introdotta nel corso la componente semantica specificamente
riguardante la terminologia filosofica spagnola. Attraverso lesercizio della capacit di
interpretare appropriatamente il senso di una lettura analitica, critica e commentata di
testi filosofici concepiti e scritti in questa lingua, lo studente ha potuto non solo

115

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

familiarizzarsi con il suono e la struttura della frase, ma anche acquisire una conoscenza del
lessico specifico.
2. Per quanto riguarda i contenuti monografici, il corso 2000-2001 ha tracciato un ponte
tra la produzione filosofica iberica e quella ispano-americana, estendendo di conseguenza
lapprofondimento sui testi filosofici da Jos Ortega y Gasset a Jos Gaos, suo allievo, con
particolare attenzione allemigrazione di questultimo dalla Spagna in Messico, che ha
consentito lintroduzione della fenomenologia in Centroamerica. Sulla scia di questo
percorso e in relazione alla ricezione iberoamericana della fenomenologia di Husserl,
stata sottolineata altres la capacit della lingua spagnola di ospitare un pensiero nato in
unaltra lingua (in questo caso quella tedesca), nonch il modo in cui lespressione
linguistica (in questo caso quella spagnola) pu, sulla base del peculiare carattere della sua
identit semantico-ontologica, rimodellare e in parte trasformare il pensiero che accoglie. In
particolare, la fenomenologia di lingua spagnola, oltre ad accentuare la dimensione
individuale della soggettivit, sembra sottolineare ulteriormente la divergenza metodologica
fra pensiero filosofico e scienza positiva, fra analisi logica e fenomenologia
dellespressione filosofica, fra analisi filosofica e filosofia della filosofia come
dimensione antropologica di una riflessione che, essendo contemporaneamente sintetica ed
estetica, sola pu osare proporsi come legittima tematizzazione della filosofia medesima.
La bibliografia di riferimento ha incluso quindi, oltre alle grammatiche e ai dizionari
dappoggio, una selezione di testi tratta dagli scritti di Jos Gaos in lingua originale (di cui
non esistono ancora traduzioni italiane).
2001-2002. Mara Zambrano: filosofia e poesia
Per le premesse generali dellinsegnamento si veda il riassunto del corso 2000-2001. Per
quanto riguarda i contenuti monografici, il corso 2001-2002 si incentrato sulla figura di
Mara Zambrano, con particolare attenzione alla sua evidenziazione della radicale
differenza e tuttavia dell'auspicabile e inscindibile connubio tra la poesia e la filosofia.
Come allieva di Jos Ortega y Gasset, che nella ricezione della fenomenologia di Husserl
ha inaugurato la via di una fenomenologia tutta spagnola, ma ancor pi come erede del
pensiero antipositivistico di Miguel de Unamuno, la Zambrano ha infatti esteso limpegno
raziovitalistico della tradizione spagnola in direzione (sempre anche fenomenologica,
seppure pi accentuatamente heideggeriana) di una ragione poetica, sottolineando come
l'ispirazione letteraria, lilluminazione lirica, nata da pulsioni opposte ma squisitamente
complementari allo sforzo metodico dellelaborazione razionale, possa e debba essere posta
all'alba di una filosofia autenticamente degna di questo nome.
Oggetto dellanalisi diretta, nonch dell'esercitazione alla lettura in lingua originale,
stata la sua opera Filosofa y poesa.
La bibliografia di riferimento ha incluso, oltre alle grammatiche, ai manuali e ai
dizionari dappoggio, gli scritti dellautrice gi tradotti in italiano, fra i quali anche
Filosofia e poesia, il che ha consentito larricchimento ulteriore di un accurato studio
comparato tra la versione spagnola e quella tradotta, mettendo infine in evidenza come
alcuni elementi spesso per nulla secondari del pensiero di un autore possano essere colti e
compresi soltanto mediante laccesso diretto al testo originale.

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Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

LINGUA TEDESCA
(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)

Riccarda Novello
2000-2001. Die Welt ist meine Vorstellung: die Sinnsuche und Welterklrung Arthur
Schopenhauers
Lobiettivo del corso ha riguardato lacquisizione delle capacit linguistiche
fondamentali per consentire la comprensione autonoma, passiva e attiva, di testi filosofici
in lingua originale. Attenzione stata data allanalisi delle strutture lessicali e sintattiche
dei brani scelti, sviluppata attraverso la lettura e lesposizione commentata, mentre ampio
spazio stato riservato allesercizio di traduzione dal tedesco. Il metodo traduttivo proposto
ha preso lavvio dal rigore filologico e dal confronto tra testo di partenza e testo darrivo,
per sviluppare una comprensione attiva in un processo continuo di trasformazione
creativa e di interazione tra le due lingue.
La prima parte del corso stata dedicata allo studio della lingua tedesca, seguendo a
grandi linee il volume Horizonte. Deutsch fr Fortgeschrittene. La concezione del testo ha
rispecchiato il doppio obiettivo dellapprendimento linguistico: luso della lingua come
strumento di comunicazione, ma soprattutto come mezzo che consente di accedere alla
conoscenza di unaltra cultura. In particolare, sono stati trattati Lerneinheiten zur
Entwicklung der Lesefertigkeit und zur Bewutmachung der Grammatik mittels
Sprachreflexionen, unit finalizzate allo sviluppo di strategie di lettura e allacquisizione e
consolidamento delle strutture linguistiche attraverso una riflessione sul testo.
A questa prima serie di lezioni di lingua (fonetica, grammatica e sintassi) sono seguite
una lettura graduale e il commento di alcuni articoli tratti dal Metzler Philosophie Lexikon
per arricchire gradualmente il livello di conoscenza del lessico filosofico. La seconda parte
del corso stata incentrata sullopera di Arthur Schopenhauer, seguendo un percorso di
lettura che indichi lattualit del suo pensiero.

LINGUA TEDESCA
(CON ESERCITAZIONI SU TESTI ORIGINALI)

Jan Bednarich
2001-2002. Schleiermacher: studio della lingua e arte del comprendere
Storicamente la concezione del rapporto tra linguaggio e pensiero elaborata da
Schleiermacher rappresenta uno dei momenti fondativi dellermeneutica moderna. A partire
da una panoramica dei rudimenti della lingua tedesca, il corso si proposto, attraverso lo
studio dei testi originali, di analizzare il duplice orientamento della comprensione, verso la

117

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

lingua e i pensieri, sottolineando i momenti peculiari di una dinamica interpretativa che


vuole tendere alluniversalit rispettando lindividualit inalienabile dellinterprete.
FILOSOFIA MORALE

Antonio Russo
2000-2001. Il problema della morte in Lessing e Miguel de Unamuno

2001-2002. Il pensiero sociale di Franz von Brentano: riscoperta della scolastica come
filosofia rigorosa

FILOSOFIA TEORETICA

Antonio Russo (in supplenza per anno sabbatico di Giorgio Derossi)


2000/2001. Antropologia e sociologia in Italia: da Roberto Ardig a Enrico Ferri

FILOSOFIA TEORETICA
Giorgio Derossi
2001/2002. La mente creativa: i poteri dellintuizione
La funzione dellintuire generalmente considerata una componente essenziale
dellelaborazione creativa in campo filosofico, non meno che in quelli scientifico e
artistico, per la sua capacit di visualizzare con immediata evidenza idee innovative idonee
a costituire loggetto delle analisi esplicate dallaltra funzione della mente, quella logicodeduttiva.
Le problematiche teoretiche esaminate nel corso hanno riguardato, da un lato, la
struttura e le procedure proprie dellatto intuitivo, e, dallaltro, il rapporto tra questultimo e
la conseguente riflessione analitica. Sotto il primo profilo si cercato di mettere in chiaro le
svariate articolazioni e correlazioni ontologiche, dimostrative, immaginative, percettive che
innervano lintuizione, rendendola cos efficace e produttiva. Sotto il secondo profilo, si
sono rilevate tanto le sue connessioni quanto le differenze rispetto allattivit riflessiva e
analitica. Sulla base di tale disamina, apparsa conclusivamente plausibile la tesi della
reciproca complementarit delle prestazioni sintetico-intuitive e di quelle analiticoriflessive, nonostante la difficolt a individuarne i fattori di interconnessione, e le rilevanti
rispettive diversit strutturali.
Lesame teoretico stato introdotto e accompagnato da specifici riferimenti ad alcune
tra le pi pertinenti e significative teorie filosofiche antiche, moderne e contemporanee: dal

118

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

platonismo e agostinismo al cartesianismo e al criticismo, sino allontologismo


malebranchiano e giobertiano, allintuizionismo bergsoniano e alla fenomenologia
husserliana e post-husserliana. La variet stessa degli approcci e delle interpretazioni
relative alle modalit intuitive della mente messa in luce da tale excursus storico
servita a corroborare le indicazioni e i risultati dellindagine teoretica circa linsostituibile
ruolo da esse svolto, soprattutto nella fase creativa del processo conoscitivo.

FONDAMENTI DELLA MATEMATICA

Giacomo Michelacci

2000-2001. Da Pitagora a Euclide


Il corso ha analizzato storicamente e filosoficamente lorigine della matematica
razionale che trova in Euclide uno dei suoi maggiori rappresentanti.
Il corso iniziato con unampia introduzione storica sulla matematica a partire da quella
pre-ellenica per poi risalire con gli opportuni particolari allo sviluppo della geometria e
dell'aritmetica in Grecia a partitire da Talete fino ad Euclide. In questo percorso, tratto dal
Commento di Proclo, sono stati considerati gli snodi fondamentali del pensiero geometrico
in particolare le caratteristiche della scuola pitagorica, la scoperta dellincommensurabilit
fra grandezze e gli strumenti teorici che vi sono collegati. Nel contempo sono state
considerate le principali acquisizioni della matematica greca a partire dal V secolo fino ad
Euclide.
Dopo di che si analizzato il metodo ipotetico-deduttivo introdotto da Euclide e in
particolare la sua assiomatica cercando di metterne in evidenza lorigine dal punto di vista
storico e filosofico.
Infine sono stati messi in luce gli aspetti distintivi della matematica euclidea rispetto a
quella pitagorica.

2001-2002. Risvolti dialettici nei fondamenti della geometria euclidea


Il corso stato articolato in tre moduli dai seguenti titoli :
1. Le radici storiche della matematica euclidea
2. Aspetti dialettici dellassiomatica di Euclide
3. Il ruolo dellintuizione nella metodologia Pitagorica
stata analizzata la struttura dei fondamenti degli Elementi di Euclide mettendone in
evidenza gli aspetti dialettici. Questa analisi stata sviluppata seguendo linterpretazione di
A. Szab che fa risalire lorigine della matematica razionale greca all'esercizio della
dialettica (in particolare quella eleatica).

119

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

Questa analisi stata convenientemente integrata in un contesto storico, presentando la


matematica pre-euclidea attraverso la lettura del Commento di Proclo, convenientemente
integrato da ulteriori testimonianze e da considerazioni critiche. stata poi presentata
lassiomatica di Euclide analizzandone le parti e mettendone in luce la funzione di
fondamento della matematica razionale e facendo vedere come proprio i fondamenti
mostrino in che modo il pensiero geometrico si sia atteggiato nei confronti della critica
filosofica (in particolare di quella eleatica). Si poi messo in luce come la scienza
geometrica deduttiva, la cui maturit rappresentata da Euclide, sia in netta antitesi con i
metodi essenzialmente visuali ed empirici dellimpostazione pitagorica.

LABORATORIO DI ANALISI DEL DISCORSO

Elena Collavin, Simona Regina, Pietro Biasi


2001-2002. Analisi del testo scritto, della conversazione e dellipertesto
Il laboratorio unattivit formativa non tradizionale, volta ad approfondire le capacit
di lettura, comprensione critica e controllo della comunicazione implicita in relazione a
varie modalit comunicative. consistito in esercitazioni pratiche di analisi del testo
scritto, in analisi della conversazione e analisi dellipertesto, condotte sulla base di
metodologie filosofico-linguistiche e semiotiche. Sono state introdotte metodologie
danalisi e illustrati i generi testuali relativi ai vari campi dindagine. Limpostazione
sperimentale del laboratorio ha mirato allacquisizione di specifiche competenze operative.

LESSICO FILOSOFICO GRECO ANTICO

Daniela De Cecco
2001-2002. Unit e molteplicit dei significati delessere: le tesi del Parmenide platonico
e lanalisi aristoteliche della Metafisica, letta anche attraverso le considerazioni di
Heidegger.
Il corso ha illustrato e analizzato le modalit attraverso le quali lespressione in esame
(lessere) ha fatto il suo ingresso entro lorizzonte lessicale filosofico greco antico e la
ricezione che del concetto e del dibattito sviluppatosi attorno a esso ha avuto Heidegger,
quale ci risulta dal corso del semestre estivo 1925-26. Si delineato quindi un percorso a
ritroso: da Heidegger, inteprete del pensiero di Parmenide, Platone e Aristotele, ad
Aristotele stesso, nel suo confrontarsi con Parmenide e Platone, al cimento dello stesso
Platone con lEleatismo nel dialogo Parmenide.

120

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

LESSICO FILOSOFICO LATINO MEDIEVALE

Luciano Cova
2001-2002. I fondamenti del discorso scolastico: filosofia e teologia. Da Tommaso
dAquino a Guglielmo di Ockham
Nellambito dellofferta didattica di Storia della filosofia medievale il corso di
Lessico filosofico latino medievale ha costituito un livello avanzato, rivolto a studenti
iteranti o comunque gi forniti di una certa preparazione. Attraverso la lettura di testi in
lingua originale, si cercato di far maturare la consapevolezza di come il linguaggio
filosofico e teologico del Medioevo, nella sua continuit rispetto ai modelli agostiniano e
boeziano ma anche nella sua evoluzione legata all'ingresso e alla traduzione di nuove fonti,
veicoli i contenuti di un pensiero che, se programmaticamente aborrisce ogni novitas, di
fatto caratterizzato da trasformazioni profonde. Il corso si rivolto tanto a studenti
triennalisti quanto quadriennalisti, e i tre moduli si sono presentati come parti di un
percorso unitario, teso a enucleare la svolta che, rispetto alla tradizione dellintellectus fidei,
venne impressa dai dibattiti due e trecenteschi sulla teologia come scienza (secondo i
parametri degli Analitici posteriori di Aristotele) e sui rapporti tra filosofia e teologia.
Si ritenuto opportuno iniziare con lanalisi di alcuni testi di Agostino e di Anselmo
dAosta, espressione anche se differenziata della tradizione millenaria del credo ut
intelligam. Si sono cos potute evidenziare, nel primo modulo (Ratio e fides: la conoscenza
di Dio nella Summa contra Gentiles di Tommaso dAquino), le novit introdotte dal
domenicano con la sua dottrina dei rapporti tra fede e ragione e con la sua teorizzazione
della theologia come scientia subalternata a quella di Dio e dei beati: dall'analisi di vari
passi (tratti anche dalla Summa theologiae) emerso come lesigenza di un discorso
sillogistico dimostrativo si coniughi in lui con la rinuncia a rendere evidente il contenuto
stesso delle verit divinamente rivelate eccedenti le capacit della ragione umana.
Il secondo modulo si avvalso di un corso integrativo tenuto dal dott. Guido Alliney:
Lo status epistemologico della sacra dottrina nel prologo dellOrdinatio di Giovanni Duns
Scoto. Sono stati analizzati ampi passi del Prologo scotiano con lintento di mostrare il
forte collegamento fra teologia come scienza e prassi salvifica nel pensiero di Scoto, e la
precisa separazione fra lambito teologico e quello metafisico, differenti gi per il proprio
oggetto, segnale del moderno rapporto di autonomia metodologica.
Nel terzo modulo (Il lessico filosofico occamiano nel prologo del Commento alle
Sentenze) stato esaminato un certo numero di testi nei quali Guglielmo di Ockham
propone la propria concezione, fortemente innovativa, della teologia. Da una parte emerge
una radicale contestazione dellidea tommasiana secondo cui di fatto la sacra dottrina gode
di unevidenza scientifica: sulla base degli articoli del credo, anche un infedele potrebbe per
lui sviluppare tutta una serie di conclusioni, e peculiare del credente non una pretesa
scienza superiore, bens la nuda fede gratuitamente infusa da Dio. Dallaltra, contro Scoto,
vengono imposte delle precise limitazioni a una teologia evidente ottenuta sulla base di un
dono possibile de potentia Dei: lempirismo occamiano rifiuta lidea di un soggetto
semplice, come quello divino, che precontenga una pluralit di determinazioni svolgibili
mediante il sillogismo scientifico, e viceversa, ai fini di una moltiplicazione e di una

121

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

concatenazione dei concetti, esige un confronto con le creature nella loro reale molteplicit,
con la formazione di termini comuni e connotativi.

LOGICA

Roberto Festa
2002-2001. Logiche modali, intensionali e fuzzy
Il corso ha compreso una parte istituzionale e una monografica.
Nella parte istituzionale ci si proposti di ottenere una conoscenza di base della logica
proposizionale e di quella predicativa del primo ordine. Dopo avere caratterizzato sintassi e
semantica della logica proposizionale, e dimostrato che essa coerente e completa, sono
state illustrate alcune fondamentali regole di inferenza della logica predicativa del primo
ordine.
Nella parte monografica, dedicata alle logiche modali, intensionali e fuzzy, sono stati
introdotti alcuni sistemi proposizionali di logica modale, deontica ed epistemica. Dopo
avere affrontato alcuni significativi problemi logico-filosofici relativi alla nozione di verit,
sono stati illustrati i principi di base della cosiddetta fuzzy logic (logica sfumata).
2001-2002. Dinamica delle credenze
Il corso ha compreso una parte istituzionale e una parte monografica.
Nella parte istituzionale ci si proposti di ottenere una conoscenza di base della logica
proposizionale e di quella predicativa del primo ordine. Dopo avere caratterizzato sintassi e
semantica della logica proposizionale, e dimostrato che essa coerente e completa, sono
state illustrate alcune fondamentali regole di inferenza della logica predicativa del primo
ordine.
La parte monografica stata dedicata alla dinamica delle credenze. Dopo aver
introdotto le indispensabili nozioni di logica modale ed epistemica, ci si chiesti in che
modo un soggetto razionale dovrebbe rivedere le sue credenze quando riceve nuove
informazioni che sono incompatibili con il suo stato epistemico attuale. Si visto come
questo interrogativo e, pi in generale, i problemi relativi alla logica del cambiamento
teorico sono stati affrontati, con risultati di grande rilievo, allinterno di un settore
piuttosto recente della ricerca logica noto come belief revision o belief dynamics.

122

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

STORIA DEL PENSIERO SCIENTIFICO

Giancarlo Zanier
2000-2001. DallUmanesimo allIlluminismo
2001-2002. Tradizione e innovazione nellet della Rivoluzione scientifica

STORIA DELLA FILOSOFIA

Claudio Manzoni
2000-2001. La riforma della logica hegeliana nel neoidealismo italiano di Croce e Gentile
Nel proporre un tema classico come quello dei rapporti tra il neoidealismo italiano ed
Hegel, tenuto conto anche delle nuove prospettive in cui, almeno dalla met degli anni
ottanta e negli anni novanta si venuto configurando linteresse per Croce e Gentile (in
particolare si tenuto conto dellimportante convegno palermitano del 1987, vero e proprio
bilancio, in una pi meditata prospettiva storica, del neoidealismo italiano), si affrontato il
problema dellincidenza di Hegel nei due autori con un approccio storico-genetico,
utilizzando lepistolario crociano-gentiliano del periodo 1896-1914, anni centrali nella
formazione delle due filosofie e nel rapporto tra i due autori fino allo scambio epistolare
sulla Voce nel 1913, che riconfermava la differenza tra lattualismo gentiliano e
lidealismo crociano, evidenti, del resto, fin dal Ci che vivo e ci che morto in Hegel
crociano del 1906 e dalla Riforma della dialettica hegeliana gentiliana del 1913. (La
struttura di questopera, com noto, costituisce una raccolta di saggi e interventi che
Gentile venuto facendo dal 1903 in poi). Sono state quindi esaminate le parti pi
significative di queste due opere, evidenziando le rispettive interpretazioni dellhegelismo e
la diversit che le caratterizza, altres sottolineando i motivi comuni dei due idealisti
italiani, che non a caso collaborarono insieme fin dalla prolusione napoletana di Gentile del
1903, La rinascita dellidealismo, e, nello stesso anno, fin dalla prefazione di Croce al
primo numero della Critica. Si cercato di mettere in evidenza come la critica al
positivismo e al naturalismo, alla trascendenza, alla stessa scienza, se considerata come
forma autosufficiente di conoscenza, fossero motivi comuni nel neoidealismo italiano, pur
nella differenza che caratterizzava linterpretazione della scienza di Croce e Gentile, per i
quali il ritorno ad Hegel, anche se diversamente interpretato, componente non secondaria
dellatteggiamento antiscientistico e antinaturalistico che li caratterizza.
Strettamente collegato al corso stato il seminario integrativo della dott.ssa C. Ferrini:
Introduzione alla Scienza della logica di Hegel, articolato in due parti. Nella prima stata
proposta la definizione sistematica e la genesi storica, contestualizzata nello sviluppo del
pensiero hegeliano, di una serie di gruppi di concetti o coppie di concetti, scelti in base alla
tematizzazione che hanno subito da parte dellinterpretazione crociana e gentiliana, quali:
finito/infinito, contraddizione/dialettica, logica/metafisica; soggetto/oggetto e spirito;

123

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

empiria/ragione, verit/certezza, scienza. Nella seconda parte stato esaminato in dettaglio


il rapporto tra pensiero ed essere dalla Fenomenologia alla Logica, con lettura e commento
(testo originale a fronte) della triade Essere-Nulla-Divenire nella Dottrina dellEssere.
2001-2002. Metafisica, scienza e scetticismo nel razionalismo ed empirismo moderno
Nel corso si cercato di delineare una storia dello scetticismo nellera moderna, dal
Rinascimento fino a Hume, centrando lattenzione su Cartesio e Hume, sul loro diverso
modo di porsi nei confronti delle problematica scettica. Tenendo presente soprattutto (ma
non solo) i classici studi di Popkin sullargomento, dalla Storia dello scetticismo da Erasmo
a Spinoza al The High Road to Pyrrhonism, dopo aver illustrato la riscoperta dello
scetticismo greco e la sua fortuna cinquecentesca (anche allinterno della problematica
religiosa nelle controversie tra Riforma e Controriforma), si insistito sulla crise
pyrrhonienne della fine del Cinquecento e degli inizi del Seicento che, nel rapporto tra
scetticismo e rivoluzione scientifica e metafisica secentesca, ha dato luogo a quello che
stato definito il dramma epistemologico che ha caratterizzato il periodo da Cartesio a
Hume. Oltre a Cartesio e Hume, Bacone, Mersenne, Gassendi, Hobbes, il circolo di
Newcastle e la Royal Society, Boyle, Charleston, Glanvill, Newton, Bayle ecc. sono alcuni
degli esponenti moderni su cui ci si soffermati in relazione al problema dei rapporti tra
la nuova scienza meccanicistica e lo scetticismo. Particolare attenzione stata dedicata
allanalisi delle Meditazioni di Cartesio e al I libro del Trattato di Hume (in particolare la
III e IV parte), da un lato mettendo in evidenza la funzione dello scetticismo cartesiano
nella fondazione non solo della metafisica ma della scienza stessa, dallaltro privilegiando
le interpretazioni humiane, pi aderenti alla lettera del testo, che riconoscono il suo
scetticismo moderato nei confronti della scienza. Ma al di l dellinterpretazione dei testi,
si cercato anche di illustrare brevemente il dibattito che si svolto, per oltre sessantanni,
sullo scetticismo cartesiano, nonch limpatto e le discussioni che cartesianismo e
gassendismo hanno suscitato nella baconiana Royal Society; oppure le suggestioni che
Bayle e Malebranche hanno esercitato su Hume. Seguendo leffettiva circolazione delle
idee, si potuto fornire un quadro della fortuna e funzione che ha avuto la rinascita dello
scetticismo in relazione alle nuove scienze e alle nuove metafisiche.
Il corso stato completato da un seminario integrativo della dott.ssa Ferrini, dal titolo
Scetticismo e metafisica dalle origini della filosofia critica allidealismo hegeliano, che,
allargando i termini cronologici del corso a Kant e Hegel, ha seguito la vicenda dello
scetticismo tra la fine del Settecento e gli inizi dellOttocento, evidenziando come sia Kant
che Hegel intendessero dimostrare la necessit di andare oltre la sospensione del giudizio,
integrando lo scetticismo nelle loro vere filosofie. Si istituito un confronto tra le
posizioni kantiane della Dottrina trascendentale del metodo (cap. I, sez. II) della Critica
della ragion pura e testi hegeliani del 1801-1802, e 1807. Indagato il rapporto che Kant
instaura tra la propria filosofia critica e lo scetticismo, si sono esaminati gli aspetti condivisi
e quelli giudicati insufficienti dal punto di vista hegeliano. La critica a Kant, mediata dal
dibattito Schulze-Reinhold, serve a Hegel per determinare i criteri di completezza e
giustificazione della propria prospettiva.
In un altro seminario integrativo del corso, tenuto dalla dott.ssa De Pretis, intitolato
Conoscenza e probabilit: la III parte del I libro del Trattato di Hume alla luce di recenti

124

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

interpretazioni, si analizzato il testo humiano tenendo presente alcuni studi e commenti


della recente storiografia anglosassone.

STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA

Linda M. Napolitano Valditara

2000-2001. Fra tragedia e tirannide: figure dellinfelicit da Sofocle a Platone


Scopo del corso era di verificare entro la fase grecoclassica di passaggio da una
cultura poetico-letteraria a una riflessione filosofica pienamente sviluppata lemergere
delle coordinate che consentono di qualificare come eudemonistica o teleologica letica
greca: sarebbe infatti noto che letica antica si differenzia da quella moderna soprattutto
per il suo carattere eudaimonistico anzich deontologico. In altri termini, alla domanda:
perch il bene da preferire? Perch dovrei agire moralmente?, letica degli antichi
risponde perch cos, e solo cos, sarai felice (eudaimon), mentre quella dei moderni
risponde, con Kant, perch tuo dovere (M. Vegetti, Letica degli antichi, Roma-Bari,
Laterza 19902, p. 10). Su tale base teorico-ermeneutica, si tentato di far emergere una
fenomenologia grecoantica dellinfelicit, dei suoi percorsi, delle sue ragioni e delle
ossessioni che la caratterizzano, una fenomenologia che consentisse di comprendere, per
converso, il nucleo e i tratti della felicit che la pratica della virt sarebbe invece chiamata a
garantire.
In prima istanza, si proposta perci unanalisi etimologico-lessicale dei termini
letterari da Omero in poi connessi alla felicit e al suo opposto: lbios (il dotato di beni
di fortuna), mkar o makrios (colui che riproduce, nel proprio stato, la beatitudine divina),
eutychs (colui che appare aver ricevuto sorte positiva), ed eudimon (colui che, a partire
da Esiodo, sembra, con la sua stessa virt, sapersi garantire il favore dei dmoni guardiani
della giustizia di Zeus). La responsabilit che luomo ha nella costruzione della propria
felicit pare progressivamente specificarsi ed aumentare rispetto ad uniniziale semplice
ammissione dellimportanza della fortuna o del favore divino mano a mano che viene
prendendo corpo e acquisendo solidit la nozione stessa di soggetto umano (o di anima
come fulcro di unattivit conoscitiva e pratica).
Uno snodo delicato di tale evoluzione costituito dalla poetica sofoclea, la quale,
rispetto ad Eschilo, pare porre in modo drammaticamente rilevato e complesso la questione
della corresponsabilit delluomo rispetto al destino, agli di e al caso nella costruzione
della propria felicit. Per tragedie celeberrime quali lAntigone e lEdipo re stato fatto
valere un primo registro ermeneutico, che consente di radicare la caduta nellinfelicit dei
protagonisti, il Creonte dellAntigone e lEdipo della tragedia omonima
nellautoreferenzialit e durezza del loro stesso potere, riproponendo, fra laltro, da un lato,
il legame varie volte segnalato fra la nascita storica della tragedia ad Atene e la tirannide
dei Pisistratidi, e, dallaltro, la versione tirannica della smisuratezza delleroe omerico.
Ma la questione pare suggerire livelli e chiavi di lettura anche pi articolati, interessanti
proprio in sede di storia delletica: come ha mostrato, almeno per lAntigone, Martha

125

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

Nussbaum (La fragilit del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, tr.
it. Bologna, Il mulino, 1996 (ed. or. 1986), linflessibile rigidit con la quale Creonte
persegue lo scopo, pure buono, della tutela di una citt in pericolo a consentirgli di
compiere errori (hamartmata) e, nella contrapposizione sempre pi netta ad Antigone, a
farlo precipitare nellinfelicit della morte finale dei suoi stessi cari. Quella che gi Sofocle
intuirebbe sia da impiegarsi in sede pratica sarebbe allora, secondo la Nussbaum, una
ragione pi flessibile e adeguata alle circostanze, come pi tardi mostrer Aristotele, con la
sua teoria della phrnesis e del sillogismo pratico (ricerca dei mezzi volta a volta pi
adeguati al perseguimento di un fine buono); di una ragione analoga si mostrerebbe, seppur
imperfettamente, portatore Edipo, impaniatosi nella spirale stessa della sua ricerca di
unidentit positiva e dellimpiego quasi compulsivo nellanticipazione della lucida
ragione che appunto lo caratterizza.
Lanello che a questo punto mancherebbe alla catena di una storia della razionalit
pratica da Sofocle ad Aristotele per rispetto almeno alla ricostruzione di Martha
Nussbaum Platone, per la cui etica lAutrice ripropone la lettura assai tradizionale di
taglio intellettualistico ed ascetico. Questo pensatore pu invece essere proficuamente
recuperato al nostro tema, non solo per una possibile similarit fra la tirannicit di Edipo
(nellira, nella violenza, nella sessualit debordante ed anomala) e la figura icastica
delluomo tirannico del IX libro della Repubblica. Ci che al tiranno platonico manca, ci
che, proprio poich manca, ne fonda linfelicit, la solitudine, lautodistruzione,
lattenzione conoscitiva e la cura al proprio s, quella che, mancando, fa s che Edipo non
sappia per nulla chi in realt egli (figlio di Laio e Giocasta), quella che gi il precetto
delfico e la saggezza socratica raccomandavano nella forma del gnthi sautn (cfr. A. Biral,
Platone e la conoscenza di s, Roma-Bari, Laterza, 1997). Il triplo del triplo lontano dalla
realizzazione ed armonia interiore proprie del filosofo-re, luomo tirannico della
Repubblica platonica infelice non solo perch, mancando di vocazione e di esercizio
filosofico, non conosce le idee ed il Bene, ma soprattutto perch ignora se stesso e le
inclinazioni, possibilit e competenze naturali della sua stessa anima, perch, di
conseguenza, vive a caso e immotivatamente secondo la prima e pi scontata immagine di
felicit che gli capiti a tiro. Ma la felicit pu conseguire, per Platone, solo allesercizio
armonico di competenze e possibilit naturali che occorre prima di tutto riconoscere.
Il grande dialogo platonico sulla giustizia, ponendo il problema di questa, non meno di
quello della maggiore felicit di colui che la possegga, raccoglie su di s leredit di
unetica che gi aveva iniziato a coniugare felicit e virt: solo vivendo e praticando in
modo armonico ci che la nostra natura di esseri umani ci consente di essere e di fare, solo
essendo gli esecutori armonici, i signori e non, nostro malgrado, i tiranni delle varie
tonalit naturali dellanima nostra, solo cos impareremo ad essere davvero noi stessi e a
diventare felici.
2001-2002. La parola e il desiderio: i fondamenti del pensiero platonico
linesattezza del linguaggio non solo una scorrettezza in se stessa, ma fa male
anche alle anime (PLAT. Phaed. 115 E). La parola (lgos) che Platone ritiene possibile e
utile impiegare per la ricerca filosofica si adegua in modo perfetto alla struttura fondativa
dellessere che la pronuncia: luomo cerca e pu trovare per via dialettica la verit perch
ha una struttura geneticamente desiderante; se egli non fosse tale se, cio, non fosse per

126

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

natura e fondamentalmente portatore di desiderio (epithyma o eros) , il suo stesso lgos,


la sua stessa parola avrebbe tratti formali e possibilit euristiche e comunicative diverse. La
provocazione del Fedone sulla scorrettezza del linguaggio, dannosa per lanima, induceva a
tentare di approfondire tale binomio: il corso, articolato in due moduli, si impegnato
allora nellesame, tramite la lettura diretta di testi originali, del concetto stesso di lgos
nella cultura greca arcaica e classica e, in una seconda fase, del concetto di desiderio in
Platone.
Analizzato, nei suoi possibili molteplici significati, il termine stesso lgos (raccolta
ordinata, rapporto, parola, discorso, ragione, ragionamento), si passati a verificare quali
siano gli usi pi rilevanti della parola, da Omero in poi, sulla scia anche dei ben noti studi
di E. A. Havelock (in particolare La musa impara a scrivere. Riflessioni sulloralit e
lalfabetismo dallantichit al giorno doggi, tr. it. Roma-Bari, Laterza, 1995). Il mezzo
comunicativo incide certamente sulle modalit e sui tratti formali stessi della parola: la
scoperta dellalfabeto greco con la possibilit di tradurre in semplici grafemi tutti i suoni
che sappiamo articolare mut poco alla volta, ma profondamente limpianto della cultura
arcaica, col superamento della dimensione originaria della comunicazione orale, dove il
poeta voce della comunit (HES. Theog. 1-31; HOM. Od. IX 5-11), non meno che suo
fustigatore (Eraclito fram. 22) trasmetteva i valori condivisi cantandoli e consentendone
la messa a memoria attraverso il ritmo. La scrittura, vista a posteriori e quasi
illuministicamente (AESCH. Prom. 441-61) come il mezzo principe che consent
lincivilimento, si afferma poco a poco e sintreccia inizialmente con altre forme persistenti
di oralit, che Havelock, nella sua analisi, non pare considerare a sufficienza. La citt nasce
infatti s allinsegna delle leggi scritte e poste dunque sotto gli occhi di tutti (ARISTOT.
Ath. Pol. VII 1), ma anche del giuramento orale che vincola gli arconti alla fedelt e
soprattutto del confronto franco e diretto, nellassemblea popolare, di proposte legislative
differenti (EUR. Supp. 429-42; Or. 907-11) (cfr. M. Foucault, Discorso e verit nella
Grecia antica, tr. it. Roma, Donzelli, 1996, Cap. II). La parola si raffina poi per lintervento
dei sofisti, i quali ne mettono a punto la variante persuasiva e terapeutica: secondo Gorgia
essa il gran dominatore che, con piccolissimo corpo, divinissime cose sa compiere (DK
82 B 11), poich sa interferire con le passioni, attenuandole, provocandole, oppure, al
contrario, creandole da zero; Antifonte apr perfino un ambulatorio sulla piazza di Corinto,
dove, psicanalista ante litteram, riusciva con le parole a curare gli afflitti e, sentite le cause
del male, consolava i sofferenti (DK 87 A 6).
Tali antecedenti non meno che la scelta socratica di non scrivere nulla di filosofia
pesano non poco sul rapporto che Platone instaura, nei suoi dialoghi, con la parola scritta e
orale: la scrittura, che pure aveva consentito la nascita di saperi speciali quali la geografia,
la geometria e la medicina, non , secondo il Fedro (274 C-276 A) il preteso farmaco della
memoria e della sapienza, ma, semmai, il farmaco della smemoratezza; essa infatti, puro
sapere del che, vela lapprensione dei fondamenti dellessere, che andrebbero invece
faticosamente richiamati alla memoria, nellimpatto con le copie sensibili delle idee e nel
confronto dialettico con le immagini parziali o solo convenzionali che gli altri e i pretesi
sapienti soprattutto dicono di essersene fatti. Occorre piuttosto considerare un altro
discorso, quello che che viene scritto, mediante la scienza, nellanima di chi impara
(Phaedr. 276 A): si tratta del discorso dialettico, esso solo sapere del perch.
Questo, erede delle forme tipiche e persistenti di oralit nel mondo preclassico, pare
porsi, almeno teoreticamente, a monte di una piatta e banale opposizione scritto-orale (i

127

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

dialoghi di Platone, scritti, riproducono per discussioni orali); di esso, sempre tramite
la lettura di passi dei testi platonici, si sono ricostruiti i tratti formali e antropologici pi
importanti: il prerequisito del sapere di non sapere; le vie possibili alla conoscenza (la
rivelazione, lammaestramento, la ricerca personale, rischiosa e sperimentale del vero); il
valore della presenza dellinterlocutore e dellaccordo con lui; la fisionomia di una risposta
corretta alla domanda socratica del che cos; la trattazione metodica di coppie di ipotesi
opposte; luso della confutazione e il valore veritativo della contraddizione.
questo il tipo di parola lunico capace di approdare al vero che proprio di un
uomo strutturalmente desiderante (fra laltro, dello stesso vero): nel secondo modulo,
stata esaminata la concezione platonica del desiderio, a partire, ancora, dai termini che, gi
prima di Platone, lo indicano (hmeros, eros, pthos, epithyma). Per Platone lamicizia
(phila) e lamore (eros) non sono che casi particolari del desiderio, bench si possano
utilizzarne in modo indifferente le relative parole qualificanti. Il desiderio appare pervasivo
e fondamentale (Phaedr. 237 D-238 C), bench si articoli poi in specie diverse (desideri
naturali e necessari, acquisiti e superflui, illegittimi) (Resp. VIII, 558 D-559 C; 571 B-572
A). Esso, legato sempre al riconoscimento di un valore (Eutyphr. 10 A-E; Resp. IV, 437 D438 A), ha dunque dei presupposti di tipo cognitivo (Symp. 200 E 2-5; 204 A 1-7; Phil. 34
E-35 C), poich noi desideriamo ci che in qualche modo sappiamo (immaginiamo,
crediamo, ricordiamo, speriamo) essere buono. Il soggetto che desidera dunque, in realt,
la psiche stessa, non il corpo in quanto tale (Phil. 35 C-D), e il desiderio si estende a tutte le
parti nelle quali Platone articola lanima, desiderio di conoscere (philsophon) per la parte
razionale, desiderio di onore e successo (philnikon) per la parte animosa, desiderio
acquisitivo (philokerds) per la parte appetitiva (Resp. IX, 580 D-581 B). La causa di tale
polivoco modo del nostro desiderare sarebbe la strutturale carenza che, in quanto gettati
nel divenire e nellinstabile, ci caratterizza (Lys. 219 A-B; 221 D-E).
Contrariamente a quanto hanno ammesso alcuni critici, per Platone il desiderio non
sempre e soltanto insaziabile, anzitutto perch non solo fisico e dunque coinvolto nella
spirale materiale di mancanza-riempimento: i desideri fisici e quelli dellaffermazione di s
possono e debbono essere soddisfatti secondo misura, ma soltanto se, secondo equilibrio ed
armonia, sia anzitutto noto e soddisfatto il desiderio filosofico di conoscenza di noi stessi
e del vero. Philsophos infatti chi, come il demone eros del Simposio, sempre povero e
sempre ricco, sappia parlare e cercare tramite il lgos dialettico.

128

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA

Pier Aldo Rovatti


2000-2001. Etica e psicanalisi
Il corso ha trattato in due momenti la questione delletica nella psicanalisi. Nel primo
momento si fornita unampia cornice del problema, attraverso riferimenti a Freud e in
parte anche a Jung. Nel secondo momento ci si soffermati su Jacques Lacan, soprattutto
sul Seminario VII, dedicato per lappunto a Letica della psicoanalisi.
Il corso ha previsto anche alcuni cicli seminariali: Il desiderio (dott.ssa G. Berto),
Heidegger e il linguaggio (dott.ssa A. Calligaris), Umorismo e psichiatria (dott. D.
Zoletto), Pensare la follia (dott. M. Colucci).

STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE

Luciano Cova
2000-2001. Anima e corpo: i dibattiti antropologici del XIII secolo
Affrontare i temi dibattuti nel medioevo circa lanima e i suoi rapporti con il corpo
comporta varie difficolt, data la complessit e i tecnicismi che caratterizzarono quelle
discussioni. Daltra parte si tratta di un tema capace come pochi altri di rendere percepibile
la svolta che lirruzione della filosofia aristotelica determin nelle scuole. Si tentato
perci di enucleare alcuni problemi e di esaminarne lo svolgimento in diversi autori
particolarmente significativi. Una parte rilevante del corso stata dedicata alla lettura
puntuale, con traduzione e commento, di testi in lingua originale, allo scopo di renderli
fruibili anche da parte degli studenti che non conoscessero il latino.
Dopo un'ampia introduzione sui grandi temi del pensiero medievale (il dott. Guido
Alliney ha tenuto un seminario su La svolta dottrinale del XIII secolo), il corso si
rivolto alla tradizione fortemente dualistica dominante nel quadro dottrinale dell'Occidente
sino al recupero della psicologia aristotelica ed espressa sia nella tradizione agostiniana che
nella ricezione dell'opera avicenniana. Si sono cos affrontati testi di Agostino e dello
pseudo-agostiniano De spiritu et anima, individuando gli elementi di un dualismo
metafisico che non scompare pur nella prevalenza di un dualismo storico. Del De
anima di Avicenna (latino) si sono potuti leggere pochi passi, sottolineando lambivalenza
del modo in cui fu veicolata la psicologia di Aristotele.
Un certo spazio stato riservato al Liber de anima di Giovanni Blund (inizi XIII sec.),
influenzato dalla lettura avicenniana di Aristotele. Emergono in quella sede le difficolt
comportate dalla definizione peripatetica di anima (corporis organici perfectio vitam
habentis in potentia), in quanto il principio formale inseparabile dalla materia. Blund
ricorre alla distinzione tra lanima come sostanza per s esistente e lanima considerata

129

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

sotto laccidente, quale causa dello stato fisico e psichico del corpo al quale congiunta.
Cos la definizione aristotelica si presenta esatta ma nel contempo parziale, essendo l'anima
soggetto di pi scienze: fisica ma anche metafisica.
Dopo un rapido excursus sugli sviluppi dottrinali della prima met del Duecento
(Filippo il Cancelliere, Guglielmo di Auvergne), si esaminata lulteriore, pi matura
assimilazione della psicologia aristotelica nellambito dottrinale della teologia cristiana, con
lanalisi di alcuni brani del commento di Alberto Magno al De anima, ma, soprattutto, di
vari testi in cui si esprimono le dottrine antropologiche di Bonaventura da Bagnoregio e di
Tommaso dAquino.
Dalle Sentenze del francescano emerge lo sforzo di integrare gli elementi tratti dalle
scienze profane in un quadro che enfatizza la dimensione spirituale dell'uomo: pur difeso
nel suo valore ontologico contro il radicale dualismo neomanicheo dei catari, il corpo
(dotato di una propria forma) si contrappone pur sempre allanima, pensata come una
sostanza completa ilemorficamente costituita. Chi invece, aderendo fortemente alle istanze
dell'aristotelismo, riduce il dualismo al minimo compatibile con unortodossia cristiana
Tommaso, con la sua dottrina dellanima-forma diretta e unica, anche se sussistente, del
corpo (Contra Gentiles, Quaestio de anima, Summa theologiae). Di questa dottrina si sono
esaminati alcuni aspetti particolari di grande interesse: la teoria dello sviluppo e
dellanimazione dell'embrione umano (prima seme, poi pianta, poi animale, e infine uomo
solo quando gli organi si presentano distinti) e in un seminario tenuto dal dott. Alliney su
Anima e corpo nel processo conoscitivo quella dellastrazione, confrontata con sviluppi
successivi della dottrina scolastica su conoscenza sensitiva e conoscenza intellettiva.
2001-2002. Colpa individuale e colpa di natura nel pensiero morale del XII secolo
Lofferta didattica di Storia della filosofia medievale per la.a. 2001-02 si articolata
nello svolgimento di due corsi. Mentre Lessico filosofico latino medievale, centrato sulla
lettura di testi in lingua originale, si rivolto a studenti iteranti o comunque gi forniti di
una certa preparazione, Storia della filosofia medievale si caratterizzata questanno per
unimpostazione di base. Ci ha comportato la rinuncia alla lettura di testi latini (anche se,
ovviamente, non alluso e alla spiegazione dei termini pi importanti), e per fare ci senza
limitarsi ai testi gi pubblicati in traduzione italiana, si reso necessario per il docente
provvedere alla versione scritta di vari passi e fornirla agli studenti. Questi hanno potuto
cos usufruire di una traduzione parziale della Disputatio contra Petrum Abaelardum di
Guglielmo di Saint-Thierry e di una breve antologia tratta dal secondo Liber Sententiarum
di Pietro Lombardo (distinzioni 30, 31, 33 e 40), mentre si ricorso a versioni gi edite per
la lettura di passi tratti dal De civitate Dei, dal Contra Iulianum e dal Contra Iulianum opus
imperfectum di SantAgostino, nonch dallEthica e dal Dialogus di Abelardo.
Lofferta didattica differenziata in due livelli si collocata in sintonia con la riforma
dellinsegnamento universitario (proprio questanno partita la Laurea triennale in
Filosofia), che per molti settori disciplinari prevede un livello di base e uno
caratterizzante. In conformit alle nuove norme introdotte, inoltre, ambedue i corsi sono
stati articolati in tre moduli; stato tuttavia un preciso intendimento quello di non
frammentare i due insegnamenti, sicch ogni modulo, pur autosufficiente per lo studente
triennalista che non intendesse sostenere lesame completo, risultato parte di un insieme

130

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

unitario, secondo un tipo di strutturazione interna che sempre stata presente nei corsi
universitari. In tal modo le lezioni sono state rivolte anche agli studenti quadriennalisti.
Cos, anche questanno, c stata una prima parte introduttiva di carattere generale, in
cui sono stati evidenziati i grandi temi del pensiero medievale, che furono ripresi e
rielaborati nel corso del XII secolo. La seconda parte ha riguardato letica di Pietro
Abelardo, e si avvalsa di un seminario del dott. Guido Alliney su Letica abelardiana del
consenso nello Scito te ipsum: sono state messe in luce le tensioni di una dottrina
complessa, innovatrice ma profondamente radicata nella tradizione filosofica e teologica.
Nella terza parte, dedicata alleredit agostiniana nelle dottrine morali di Pietro Lombardo,
si potuto esaminare quellatteggiamento conservatore che, a proposito della moralit
dell'azione come a proposito dellereditariet di una colpa di natura, lo port a
polemizzare con le posizioni abelardiane: il magister Sententiarum consegn cos agli
autori del XIII secolo un modello di dottrina morale fortemente ispirata al vescovo
dIppona. Si rilevato tuttavia come lo stesso Lombardo attenui alcune idee di Agostino,
come quelle relative alla possibilit che in qualche modo ridondino sui figli non solo il
peccato del primo uomo, ma anche quelli dei padri e degli ascendenti pi vicini.

STORIA DELLA FILOSOFIA MORALE

Pierpaolo Marrone
2000-2001. Hume: passioni, conoscenza, moralit. Problemi etici nella filosofia politica
contemporanea
Il corso stato diviso in due parti: nella prima si sono indagati i nessi fra teoria delle
passioni, teoria della conoscenza e indagine morale nella filosofia di Hume, alla luce sia
delle interpretazioni maggiormente accreditate sia dellindagine sulle emozioni nella
filosofia contemporanea. Nella seconda parte stata offerta una panoramica critica delle
posizioni pi discusse nellattuale dibattito filosofico-politico.
2001-2002. Idee della giustizia. La filosofia morale di D. Hume
Il corso, articolato in due moduli, ha fornito nel primo modulo (Idee della giustizia)
una panoramica critica delle principali concettualizzazioni dellidea di giustizia nel
pensiero occidentale. Nel secondo modulo stata indagata la teoria morale di Hume nella
prospettiva delle interpretazioni maggiormente accreditate.

131

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

STORIA DELLESTETICA

Pietro Kobau; Rita Messori


2001-2002. 1) La definizione dellestetica. 2) Lestetica del flanur

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE

Arduino Agnelli
2000-2001. I veri e i falsi contrari: il potere tra affermazione e negazione
Il corso ha preso in esame i testi classici del pensiero politico, da Machiavelli ai filosofi
politici dellOttocento, non senza attenzione ai teorici contemporanei. Il testo di riferimento
per il corso stata lopera di G. Ritter, Il volto demoniaco del potere. Il corso monografico
stato preceduto da un modulo propedeutico, volto a indicare le linee generali della storia
del pensiero politico, dallantichit ai giorni nostri.
2001-2002. Lidea di Stato nel pensiero politico moderno e contemporaneo
Nel corso sono stati presi in esame i classici della filosofia politica, da Hobbes a Hegel,
ed stata dedicata particolare attenzione alla crisi dello Stato nel secolo ventesimo.

STORIA DELLE ISTITUZIONI E DELLE DOTTRINE POLITICHE

Gilda Manganaro Favaretto


2000-2001. Costruire la democrazia: il dibattito alla Assemblea costituente
Il corso si articolato in una prima parte comprendente la lettura e commento in classe
di passi scelti di autori classici della Storia del pensiero politico e di una parte monografica
che ha dato titolo al corso stesso. In particolare, dopo aver consigliato la lettura dellagile
volumetto di Paolo Pombeni La Costituente (Mulino 1993) per un inquadramento generale
degli avvenimenti legati allo svolgimento del dibattito nellAssemblea Costituente, si
focalizzata lattenzione al confronto che si ebbe tra le posizioni di Costantino Mortati e
Piero Calamandrei in ordine a una serie di questioni (il riferimento bibliografico, oltre ai
testi scelti di C. Mortati e P. Calamandrei, al mio articolo LEtat des partis et le dbat
entre C. Mortati et P. Calamandrei lAssemble Constituante italienne in La Constitution
dans la Pense politique, Marseille, Presses Universitaires dAix, 2000). Innanzitutto il
carattere stesso che la Costituzione avrebbe dovuto avere se meramente programmatorio

132

Esercizi filosofici 2002 / Riassunti dei corsi 2000-2001 e 2001-2002

(come stato e come era negli auspici, tra gli altri, di Mortati) o ordinatorio come invece, in
posizione minoritaria, sostiene Calamandrei che insiste sulla necessit che le norme non
siano semplicemente una serie di principi etico-sociali, da mettere eventualmente nel
prologo, ma siano vere norme cio azionabili di fronte allautorit giudiziaria. Accanto a
questa discussione se ne affrontata unaltra relativa al ruolo dei partiti e di conseguenza al
ruolo del Parlamento. Ancora una volta la posizione di Calamandrei risulta marginale
rispetto agli orientamenti prevalenti giacch ai partiti egli riserva semplicemente un ruolo di
filtro delle posizioni politiche presenti nel paese e prende posizione a favore di una
repubblica a carattere presidenzialistico. Mortati invece intende i partiti e, in particolare,
quelli che costituiscono la maggioranza espressione della volont dello stato. Una
maggioranza aperta alle associazioni professionali e dei lavoratori capace di accoglierne le
istanze anche contraddittorie e sottometterle a un processo di integrazione che porta cos
allelaborazione della volont dello stato. Da ci segue la sua preferenza per il sistema
parlamentare e per il proporzionalismo che meglio si confanno, a suo parere, allobbiettivo
sopra indicato. Le ragioni dell irrealismo della posizione di Calamandrei allepoca e, per
converso, del suo realismo se rapportate alloggi hanno dato origine a un seminario
vivace e molto partecipato tra gli studenti.
2001-2002. Democrazia, Liberalismo, Socialismo: tre modelli a confronto
La suddivisione in tre moduli del corso si resa necessaria per lapplicazione della
riforma universitaria e per il fatto concreto che ad alcuni studenti (specie quelli che nel
nostro ateneo appartengono al Corso di Interculturalit) stata esplicitamente richiesta la
frequenza di un solo modulo (sic!). Tutto ci ha richiesto un ripensamento dellintero
programma che andava sintetizzato in tre parti appunto, ciascuna delle quali doveva avere
un senso compiuto in s indipendentemente dallo svolgimento temporale e storico che,
tuttavia, doveva esser mantenuto per quella parte di studenti che continuava ad avere il
vecchio curriculum universitario. Per un insegnamento tradizionalmente storico quale
quello della mia disciplina riuscire a conciliare queste diverse e contraddittorie esigenze si
rivelato essere una sorta di sfida, un po come riuscire a far quadrare il cerchio. In effetti la
cosa pi semplice sarebbe stata quella di fare solo corsi monografici, il che avrebbe voluto
dire abolire completamente il senso stesso del procedere di molte conquiste politiche e, in
ultima analisi, avrebbe voluto dire non fornire agli studenti quel minimo di strumenti
culturali con i quali potersi orientare nellambito del pensiero politico.
Questo spiega perch si sia scelto per ciascuno dei moduli (la democrazia, il
liberalismo, il socialismo) un tema tanto generale da implicare forzatamente, magari per
contrasto, il tema degli altri due e tale comunque da consentire una pur minima
ricostruzione storica. Cos il modulo sulla democrazia ha proposto agli studenti brani scelti
a partire da autori antichi quali Aristotele per giungere a Kelsen, mentre quello sul
liberalismo parte dalla lettura della Magna Charta per arrivare a Von Hayek e quello sul
socialismo parte dallutopia di Moro per arrivare sino a Lenin.
Si trattato di una sperimentazione che ha richiesto da parte mia una accurata scelta dei
documenti da sottoporre allattenzione degli studenti e che si rivelata particolarmente
apprezzata quando riusciva ad evidenziare meglio le posizioni in contrasto (ad esempio il
confronto tra le posizioni di Kautsky, Lenin e Bernstein). Ed in questa direzione che mi
sembra opportuno, se la legge di riforma resta tale, affinare la didattica scegliendo nel

133

Riassunti dei corsi 2000/2001 e 2001/2002

modo pi significativo possibile i testi da commentare in aula. Certo non c pi spazio per
un corso monografico simile a quello svolto lanno precedente anche perch non pi
possibile sovraccaricare di testi lesame che contingentato anche quanto a numero di
pagine. Laugurio che con le lauree specialistiche ci sia la possibilit di una
riconsiderazione globale e integrata delle tematiche del pensiero politico e di un esame in
profondit di alcune questioni in modo da poter insegnare anche come si fa una ricerca e
una tesi.

134

CONTRIBUTI

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

TEMPO ED ENUNCIAZIONE NELLIPERTESTO

Piero Biasi

La semiotica del testo si sta lentamente avvicinando alla forma testuale dellipertesto,1
elaborando strumenti danalisi ad hoc e modificando opportunamente le proprie categorie
canoniche. Vorrei qui delineare lincompatibilit tra una teoria dellenunciazione elaborata
per il testo lineare col formato ipertestuale, soprattutto per quanto attiene alla dimensione
temporale. Contemporaneamente vorrei proporre una scala, una gradazione, del controllo
che lautore decide di avere sullipertesto, gradazione che sia utilizzabile anche per
classificare i generi o le tipologie di ipertesti.
Prender molti spunti dallinteressante Riven: come analizzare una narrativit non
lineare,2 di Daniele Barbieri (Barbieri 2001), che tocca alcuni punti fondamentali per
lanalisi sia della narrativa non lineare (dallipertesto narrativo di videogiochi interattivi) sia
dei testi non lineari o ipertestuali in generale, come il sito Internet.
Nellanalisi dei testi lineari viene frequentemente utilizzato uno schema che riassume i
rapporti e le gerarchie tra i soggetti dellenunciazione e le loro figurativizzazioni:

Enunciatore

Enunciatario
Narrazione
Narratore

Narratario

Figura 1: i livelli di dbrayage rispetto allenunciazione primaria, in un testo tradizionale (adattato da


VOLLI 1994, 26 e segg.)

Il meccanismo che associa alle figure dellenunciazione primaria delle rappresentazioni


figurativizzate nel testo il dbrayage o proiezione.3 Nello schema viene ripreso solo il
dbrayage primario, ma il meccanismo pu essere ulteriormente riprodotto en abme, come
in un gioco di scatole cinesi; come vedremo, i dbrayage successivi a quello primario sono
possibili anche secondo Barbieri, che vi si riferisce chiamandoli racconti nel racconto.
Ma in generale, stando a Barbieri, nei testi non lineari non sarebbe possibile individuare
una narrazione, in cui vengano figurativizzati il narratore e il narratario, o in cui
1

Una delle pi sintetiche e chiare definizioni di ipertesto quella di Landow (1997, 22): un testo composto da
blocchi di parole (o immagini) collegate elettronicamente secondo percorsi multipli, catene o trials in una
testualit aperta e sempre incompiuta.
2
Intervento tenuto al XXVIII Convegno dellAssociazione Italiana di Studi Semiotici, Castiglioncello, 6-8 ottobre
2000; ora in Bertetti, Manetti 2001.
3
Secondo Greimas esso loperazione con cui listanza dellenunciazione disgiunge e proietta fuori di s, al
momento dellatto di linguaggio e in vista della manifestazione, certi termini legati alla sua struttura di base per
costituire cos gli elementi fondatori dellenunciato-discorso (Greimas, Courtes 1979, voce dbrayage).

136

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

rintracciare le tracce dellenunciazione; nei testi non-verbali, come quelli filmici, o i


fumetti, e nei testi non-lineari come Riven,4 bisognerebbe invece immaginare una sequenza
prenarrativizzata (una successione di immagini [] costruita in modo da poter essere
facilmente interpretata come narrativa, Barbieri 2001, 315); le figure del narratore e del
narratario verrebbero dbrayate e dipenderebbero solo dallenunciatario, secondo lo
schema:

E nunciatar io

E nu nciato re

Sequenza
prenarativizzata

N arr ato re

N ar rat ario

N arrazio ne

Figura 2: In Riven, il dbrayage del narratore dipende dallenunciatario, mentre lenunciatore dispone
una sequenza prenarrativizzata e scompare.

Barbieri predica limpossibilit della presenza del narratore debrayato dallenunciatore


per tutti i testi non-verbali: Il discorso verbale non pu non esprimere un punto di vista.
[] Limmagine, al contrario, pu benissimo non esprimere un punto di vista [] Un
racconto per immagini, dunque, potenzialmente privo di narratore. (Barbieri 2001, 314315) Non siamo daccordo su questo punto: si veda come Casetti (1986) costruisce una
completa teoria dellenunciazione cinematografica; e anche come Metz (1994), che pure,
rispetto a Casetti, non riconosce le istanze implicite del testo (enunciatore/-tario, narratore/tario) ammetta lenunciazione nel testo filmico.5 O ancora, per anticipare un argomento sul
quale torneremo, Fontanille (1989): Quando la significazione messa in immagini,
allora, vi sono sufficienti prove per considerare il rapporto fra soggetti dellenunciazione
come fondato su una sostituzione distanze (tr. it. 45, corsivo mio).
Ma per quanto riguarda i testi non lineari, Barbieri coglie due aspetti importanti:
lassenza di una temporalit sulla quale fondare un dbrayage temporale primario, e il
risiedere dellattrattiva di questo tipo di testo non gi nella trama, ma nel mandato affidato
al lettore/fruitore/giocatore.
Vedremo di seguito come si possa concettualizzare lassenza di una temporalit di
riferimento per lenunciazione primaria, riutilizzando il concetto di sequenza
prenarrativizzata leggermente modificato, e come si configurino lo statuto di soggetto
dellenunciazione e quindi il ruolo attanziale del lettore/fruitore/giocatore del testo non4
Riven. The Sequel to Myst un videogioco del genere delle avventure (per una definizione di avventura, cfr.
Biasi, Lettore, autore, giocatore, in corso di stampa), prodotto dalla software-house Broderbuond Software nel
1997.
5
Nello stesso volume in cui compare il testo di Barbieri, si veda anche lultima parte di Eugeni 2001, con
bibliografia.

137

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

lineare, sia esso gioco, narrazione o comunque ipertesto. Potremo in tal modo configurare
correttamente i ruoli attanziali coinvolti nellenunciazione, e quindi chiarire il ruolo e la
figura dellautore.

1. Il dbrayage temporale
Secondo la teoria dellenunciazione greimasiana6 il soggetto dellenunciazione proietta
nellenunciato i simulacri di un io/qui/ora, non essendo altrimenti percepibile che per queste
tracce. Questi io/qui/ora differiscono da quelli del soggetto dellenunciazione, che non sono
mai direttamente accessibili. Tuttavia essi si definiscono reciprocamente, e non potrebbero
altrimenti che nella loro reciprocit fondare la significazione (Fontanille 1989, 46).
Ma la teoria dellipertesto ci dice che lautore perde parte del potere che avrebbe sul
testo, se si trattasse di un testo lineare tradizionale. Anche se i teorici dellipertesto non
sempre parlano esplicitamente di enunciatore ed enunciazione, credo che questo sia uno dei
punti nodali nei quali cogliere questo allontanamento dellautore, che altrimenti rischia di
restare unaffermazione teorica vuota, per altro contraddetta da alcune evidenze testuali.
Il dbrayage temporale proietta nellenunciato, in prima istanza, la categoria del nonora, interpretabile come un allora, e istituisce in questo modo lautonomia del senso
enunciato, nei suoi aspetti temporali, rispetto al tempo dellenunciazione (Marsciani,
Zinna 1991, 126). Il tempo dellenunciato pu essere anteriore, concomitante o posteriore al
tempo dellenunciazione.
Ma, osserva Barbieri, in Riven questo dbrayage si pu ritrovare solo negli eventuali
racconti nel racconto (Barbieri 2001, 316); la sequenza narrativa principale non
scandita da indici temporali, e non contiene nemmeno lindice pi semplice e difficilmente
occultabile, la successione degli eventi. Infatti la sequenza dei fatti dipende dalle mosse del
lettore/fruitore/giocatore, che pu decidere di compiere alcune azioni prima di altre, o, in
termini ipertestuali, pu attivare alcuni percorsi tra quelli possibili, in ordine casuale.
Quindi possiamo dire che non esiste a priori una sequenza narrativa principale, e che
tutti i dbrayage sono secondari rispetto alla sequenza narrativa principale costruita dal
lettore, che per muoversi nello spazio delle lesse seleziona uno dei percorsi possibili.
Si potrebbe obiettare che libert della quale il lettore gode non totale, che lo spazio di
Riven non perfettamente rizomatico;7 e infatti ad un certo punto tutti i percorsi portano in
un punto preciso, temporalmente e spazialmente, dove il giocatore si trova ad affrontare
lenigma finale. Ma la mancanza di costrizioni, di successioni di eventi, e quindi di
temporalizzazioni, comunque tale da non permettere il dbrayage temporale; al massimo,
potremo dividere lo spazio di Riven in prima e dopo la prova finale, ma questo non ci aiuta
ad individuare unistanza dellenunciazione. Ci aiuta invece, come vedremo poi, a
classificare lautore (v. infra).

Greimas, Courtes 1979; ma anche in Genette, in part. 1972; per una pi estesa trattazione dellenunciazione e per
una bibliografia pi ampia, si veda Manetti 1999, e Fabbri, Marrone 2001, vol. II.
7
Per il concetto di rizoma, si veda Deleuze, Guattari 1980, vol. I delled. italiana. Diciamo succintamente che si
tratta di un modello in cui ogni punto interconnesso con tutti gli altri; in senso ipertestuale, in un ipertesto
perfettamente rizomatico ogni lessia dovrebbe essere collegata a tutte le altre.

138

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

2. Temporalit ipertestuale: stand-by


Lazione si svolge ora. [] il protagonista il fruitore stesso, ed testualmente
destinato a produrre anche le istanze del narratore e del narratario, e non vi scarto
temporale tra latto del narrare e gli eventi narrati (il narratore- protagonista narra a se
stesso quello che sta facendo ora) (Barbieri 2001, 316).
Questo passo, forse viziato dalla presenza dellambiguo termine protagonista, il
cuore dellargomentazione: chi entra nello spazio di Riven, ci dice Barbieri ma in
generale, aggiungiamo, chiunque si muova in uno spazio ipertestuale non si trova di
fronte a una sequenza temporale, ma la crea attivando certi links e non certi altri, facendo
comparire nel suo percorso di lettura una certa lessa8 in un certo momento, e non in altri.
Non che il narratore narri a se stesso quello che sta facendo ora, che il narratore fa
succedere qualcosa, e nel fare questo costruisce la narrazione la sequenza principale degli
eventi narrati. Non che non ci sia scarto temporale tra latto del narrare e gli eventi
narrati, che gli eventi narrati non sono in rapporto temporale prima di essere narrati, ed
latto del narrare (lazione del lettore nello spazio ipertestuale) che determina questa
successione.
Gli eventi narrandi, le lesse da esplorare, non sono poste in successione; per descrivere
la temporalit in cui giacciono utile usare il concetto di stand-by, proposto da Lughi: Il
tempo del testo multimediale un tempo intermittente, fatto di eventi e di attese, che
mescola tempo del lettore e tempo del testo. [] un testo come attivit, un testo di fronte al
quale lutente deve disporsi in attesa dellevento [o, se il testo glie lo permette, deve agire
per scatenarlo] la formula che meglio rappresenta questa nuova condizione di fruizione del
testo, e il suo particolare statuto temporale, la nozione di stand-by, di attesa e azione
finalizzata al rapporto comunicativo (Lughi 2001, 97).
Possiamo a questo punto comprendere meglio lo schema di Figura 2: lEnunciatore
predispone le lesse e dei percorsi di lettura che le connettono (momentaneamente diciamo
che questo la sequenza prenarrativizzata di Barbieri). A fronte di ci il lettore attiva dei
link, la cui successione costituisce una lettura, ovvero una delle possibili realizzazioni
testuali della sequenza prenarrativizzata; un discorso che ha una sua temporalit,
dipendente da unenunciazione. Torneremo poi sul soggetto di questa enunciazione.
Questo ragionamento ci porta direttamente al secondo punto, che si evince dal testo di
Barbieri, relativo al coinvolgimento del lettore/fruitore.

3. Un lettore sempre di secondo livello


Con quali criteri il lettore si muove nello spazio delle possibilit che ha a disposizione?
Nel caso di Riven, La parte cruciale della tensione deriva dunque dal fatto di essere
impegnato nella soluzione (generalmente non facile) di problemi, prove qualificanti []
acquisizioni di competenza [ Riven] deve basare la continuit del proprio appeal
unicamente sulle tensioni operative (Barbieri 2001, 320). Il testo pone dei problemi al
giocatore, che si muove nello spazio alla ricerca delle soluzioni: necessario risolvere
8

Il termine lessa, mutuato da Barthes 1970, indica ununit autonoma, unita ad altre lesse attraverso i links, che
pu contenere informazioni codificate in vari modi (parole, immagini, animazioni), ed dotata di autonomia
semantica, ovvero fruibile indipendentemente dalle altre lesse collegate.

139

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

una serie di enigmi che [] consistono fondamentalmente nel comprendere una serie di
modalit di funzionamento di macchine e apparati, nonch elementi dellorganizzazione
culturale delle due civilt che convivono [nel mondo possibile di Riven] (ivi, 313).
Lattrattiva di Riven, e ci che lo qualifica come gioco, il fatto di dare un investimento
modale al giocatore/lettore, di conferirgli un mandato che orienti la sua attivit di lettura.
Per questo la figura del Narratore dipende dallEnunciatario, o comunque dalla parte del
lettore, anzich dallautore. Questo investimento quello che tiene avvinto il lettore al
testo, rappresenta il fascino del gioco e della lettura: non la curiosit di farsi dire dal testo
chi lassassino, ma la concreta possibilit di scoprirlo; o meglio, il fatto che senza
svolgere una serie di attivit, ovvero, in termini greimasiani, senza acquisire certe
competenze e risolvere certe performanze, il lettore non pu arrivare a sapere chi
lassassino. Non si pu, come in un classico libro giallo, saltare fino alle ultime pagine per
scoprire il responsabile del delitto.
Non si pu nemmeno, come fa il lettore di secondo livello di Eco, tornare indietro,
rileggere il testo, per scoprire quali indizi lautore aveva disseminato nel testo per farci
scoprire la soluzione: ci sono due modi per percorrere un testo narrativo. Esso si rivolge
anzitutto a un lettore di primo livello, che desidera sapere (e giustamente) come la storia
vada a finire []. Ma il testo si rivolge anche a un lettore modello di secondo livello, il
quale si chiede quale tipo di lettore quel racconto gli chiedesse di diventare, e vuole
scoprire come proceda lautore modello che lo sta istruendo passo passo (Eco 1994, 33).
Se il lettore scopre lassassino, se risolve tutti gli enigmi, se esce vittorioso dallo spazio
problemico del gioco, egli gi automaticamente diventato lettore di secondo livello.
Questo causa, e spiega, linutilit e limpossibilit della rilettura: Per quanto
appassionante sia la fruizione di Riven finch ci si trova invischiati nel percorso risolutivo,
tutta la sua magia sembra scomparire con la conclusione. I miei tentativi di ritrovare una
seconda volta linteresse e la passione con cui avevo esplorato per la prima volta i sentieri
delle Cinque isole [il mondo di Riven] sono stati tutti vani; anzi, decisamente
controproducenti (Barbieri 2001, 322).
Ripercorrere lo spazio di Riven dopo averne svelato i segreti non come rileggere un
libro: piuttosto come riscriverlo. La rilettura ci fa provare ancora e ancora il piacere del
testo; la riscrittura, la predisposizione dei meccanismi che generano il piacere, no.
Questo argomento ci permette inoltre di fissare un criterio di distinzione tra i giochi
narrativi e i testi narrativi ipertestuali: il gioco ha una soluzione, raggiunta la quale lo scopo
del testo esaurito. Il racconto al contrario dovrebbe essere fruibile ad ogni lettura; anzi,
potendo essere diverso ad ogni lettura, dovrebbe generare ogni volta un piacere diverso.
Rivedremo oltre anche questo concetto, in termini di statuti modali.

4. Criteri di analisi temporale


Quale modello di temporalit si adatta ad analizzare i testi, ipertesti o giochi che siano,
del tipo di Riven?
Confrontiamo ancora due schemi:

140

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Lespressione si svolge
nel tempo

Tempo dellespressione

Lespressione richiede un
tempo di percorso

Mechanical
Interface Time

Reading
Interactive

Lespressione richiede un tempo


di ricomposizione

Real
Tempo dellenunciato

Cognitive Time

Narrative

Tempo del contenuto


Mythic
Tempo dellenunciazione

Figura 3. Due schemi di analisi del tempo: Eco 1985, 116; e Luesbrink 2001.

Lo schema di Eco si riferisce alle opere darte,9 e nel testo prende esempi dalla
pittura, dalla scultura, dallarchitettura, oltre che da vari testi narrativi. Quello di Luesbrink
un modello espressamente pensato per linterazione tra lettore e testo elettronico.
Le due coppie di macrocategorie (espressione/contenuto e Interface/Cognitive Time)
sono equivalenti; le sottocategorie del tempo del contenuto/Cognitive Time corrispondono,
eccezion fatta per il Mythic di Luesbrink, che mi sembra non sia molto utile; teniamo
quindi per buona la distinzione proposta da Eco tra tempo dellenunciato/dellenunciazione.
Vediamo in dettaglio il piano dellespressione: lespressione nel tempo di Eco si
riferisce alla durata del supporto fisico dellopera, ed in particolare alla sua scomparsa
(lingue ormai morte, citt perdute, quadri cancellati dal tempo); il tempo di percorso
corrisponde al Mechanical ed al Reading Time: il tempo necessario per guardare lopera,
in ogni sua parte; tempo che dipende sia dalla perseveranza e dalla voglia di
approfondimento del lettore, che dallestensione e dalla complessit dellopera. Per il testo
elettronico si aggiunge una complicazione, cui si riferisce il Mechanical Time: la macchina
necessita di tempi tecnici per eseguire operazioni di caricamento, download,
inizializzazione ecc. 10 Tempo della ricomposizione e Interactive Time, corrispondenti,
riguardano il tempo che il lettore/fruitore dedica alla manipolazione del piano
dellespressione dellopera (Eco), ovvero ad eseguire le azioni permesse dal testo
9
Eco su basa qui sulla definizione di Dino Formaggio: Arte tutto ci che gli uomini hanno chiamato arte; Eco
1985, 115.
10
Luesbrink non considera questo tempo come possibile generatore di un effetto estetico, ma solo come un
problema tecnico da risolvere. Cita a questo proposito il noto argomento per cui il navigatore medio avverte con
fastidio una pausa nella navigazione di dieci secondi, e di fronte a pause di trenta propende per abbandonare il
testo. Dati pi recenti hanno abbassato la prima soglia a otto secondi.

141

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

(Luesbrink). Anche qui mentre Eco individua una funzione estetica (Non si riesce a godere
dellopera se non si lavora a manipolare lespressione, 1985, 120) per Luesbrink questa
interazione semplicemente una caratteristica costitutiva che fa del testo un ipertesto, e non
rappresenta una scelta marcata.
Propongo ora uno schema che riprende le categorie appena descritte, integrandole
opportunamente per adattarle al modello ipertestuale:

T e m p i tec n ic i d e l su p p o rto
T e m p o d e lla lettura
d e lle sin g o le le ss e

T e m p o d ellesp re ss io n e

T e m p o d e llinteraz io ne

T e m p i p o ssib ili
a ttu a lizz ati
T e m p o d el c o ntenu to
T e m p o d i sta n d -b y
d e lle less e attu aliz za b ili
Fig. 4: schema danalisi del tempo negli ipertesti.

I tempi tecnici del supporto (Luesbrink: Mechanical Time) sono i tempi necessari alla
macchina per generare il testo rispondendo alle richieste dellutente, o nel caso di testi letti
in remoto, i tempi di trasmissione dei dati.
Il tempo di lettura delle singole lesse, allinterno delle quali resta la linearit del testo
classico (i racconti nel racconto di Barbieri), equivale al Reading Time (Luesbrink) o al
tempo di percorso (Eco).
Il tempo dellinterazione comprende il tempo per lattivit decisionale del lettore (quale
link attivare?), il tempo di ricerca e comprensione delle possibilit offerte dal testo (quali
sono i link possibili a partire da questa lessa? dove porta ciascuno?)11, il tempo materiale di
esecuzione delle attivit interattive.
Per quanto riguarda i tempi del contenuto, il tempo di stand-by comprende, oltre alle
lesse in attesa di essere attualizzate, anche alcuni vincoli temporali che impediscono
laccesso ad una lessa prima di aver esplorato un certo percorso: si tratta dunque di
11

Apparentemente questi tempi potrebbero essere sussunti sotto la categoria del tempo di lettura; si preferito
collocarli qui, perch la lettura di una lessa, che, lo ricordiamo, dotata di autonomia semantica, pu esimere
dalla comprensione della posizione della lessa rispetto alle altre, ed in generale rispetto al macrotesto; attivit
invece necessaria allinterazione col macrotesto stesso.

142

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

vincolare alcune lesse ad essere visitate dopo alcune altre. Nel caso di Riven, si tratta di
certe soluzioni ottenibili solo dopo aver conquistato certi oggetti e certe nozioni;
tecnicamente, si pu pensare alla funzione guard del programma Storyspace, che impedisce
alcuni percorsi fino al verificarsi di certe condizioni; teoricamente, il macrotesto pu
accogliere al suo interno programmi narrativi tipici, che prevedono lacquisizione di un
mandato, e di certe competenze, e la soluzione di prove preliminari o qualificanti, prima
della prova decisiva o glorificante.
I tempi possibili attualizzati sono le letture, i percorsi effettivamente attivati dal
lettore/fruitore che si muove nello spazio ipertestuale.

5. I ruoli enunciativi
Riassumiamo quanto finora detto: in un ipertesto, un certo numero di lesse, collegate da
link che permettono molteplici percorsi di lettura, giacciono in attesa di essere attualizzate;
il loro stato di esistenza semiotica virtuale, e la loro temporalit di stand-by. Questo
spazio ipertestuale predisposto dallautore, e corrisponde (non tanto nelle sue
caratteristiche, quanto per la sua collocazione nelleconomia del sistema) al discorso
prenarrativizzato di Barbieri.
Il lettore o giocatore per muoversi in questo spazio attiva alcuni collegamenti piuttosto
che altri; questa attivit determina una successione di lesse, ovvero una lettura, che altro
non se non lattualizzazione di alcune delle virtualit presenti nello spazio ipertestuale.
Se leggiamo lo schema di Fig. 4 in unottica generativa, possiamo notare come il passaggio
dal tempo di stand-by (virtuale) ad uno dei possibili tempi attualizzati richiede lintervento
del lettore; questo stesso passaggio determina anche lo stabilirsi di un tempo
dellenunciazione e in generale di unenunciazione primaria, quella della cui mancanza si
parlava allinizio.
Vediamo ora come si articolano i ruoli enunciativi attorno a questo ipertesto.
Fontanille (1989) qualifica lEnunciatore e lEnunciatario come arci-attanti: essi non
sono semplici attanti perch ricoprono ad un tempo pi ruoli attanziali e non sono attori
perch non sono figurativizzati nel testo. I ruoli attanziali coperti dallEnunciatore sono
quello di Destinante manipolatore, che determina il fare dellEnunciatario; e quello di
Soggetto. I ruoli dellEnunciatario sono quelli di Destinante giudice, che riconosce la
significazione proposta dallEnunciatore, di Destinatario dellazione del Destinante
manipolatore, e di Soggetto. LOggetto attorno al quale tutti questi ruoli si articolano la
significazione enunciata.
Enunciatore ed Enunciatario dipendono dal Soggetto dellenunciazione,12 ovvero dalla
fonte del testo, e quindi dal (dalla parte dell) autore. Si pensi in particolare allEnunciatario
come Destinante manipolatore: non altri che lAutore Modello di Eco, che costruisce il
Lettore Modello (Destinante giudice) attraverso le strategie testuali.
Come accennato allinizio, nellambiente ipertestuale lautore perde parte del suo
potere, a favore del lettore; schematizziamo questo spostamento a livello di enunciazione:
12

Fontanille parla di sincretismo tra Soggetto dellenunciazione, Enunciatore ed Enunciatario. Lidea gi


presente in Greimas, Courtes (1979, voce Enunciante/Enunciatario):Il termine di Soggetto dellenunciazione,
impiegato spesso come sinonimo di enunciante, ricopre in effetti le due posizioni attanziali di enunciante e di
enunciatario

143

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

Enunciatore
Destinante manipolatore

Autore

Discorso prenarrativizzato
o spazio logico
o racconti nel racconto
o enunciazioni secondarie

Enunciazione

Lettore

Enunciatario
Destinante giudice

Enunciato

Fig. 5: Ruoli enunciativi nellipertesto

La novit rispetto allo schema di Fontanille13 nella freccia che mette in rapporto
lettore ed enunciatore, oltre che nella presenza del discorso prenarrativizzato di cui abbiamo
gi parlato, che poi corrisponde allo spazio logico di Bettetini (Bettetini et al. 1999), ovvero
allo spazio virtuale dellipertesto.
Ritorniamo ancora a Barbieri: il protagonista il fruitore stesso, ed testualmente
destinato a produrre anche le istanze del narratore e del narratorio (Barbieri 2001, 316);
sostituiamo narratore e narratario con enunciatore ed enunciatario, perch non stiamo
parlando di figurativizzazioni nel testo ma dellinterazione comunicativa che si instaura
attorno al testo, ovvero di istanze enunciative, e vediamo che la descrizione calzante: il
testo (virtuale o logico) a disposizione del lettore, che attivando certi percorsi enuncia
certe lesse, stabilendo lenunciazione primaria.
Possiamo vedere un caso concreto nel quale il tu dellenunciatario concretamente
chiamato in causa: la sesta lessa di Afternoon (Joyce 1990), quella con la quale finiscono le
istruzioni per luso e le dichiarazioni di poetica dellautore e si entra in medias res, propone
una breve descrizione e qualche frammento di dialogo, e si chiude con la domanda do you
want to hear about it? (corsivo mio). Questo you ben diverso da quelli che compaiono
nella letteratura dei testi tradizionali, da Give me your hands, if we be friends/And Robin
shall restore amends, a La quale, se non v dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi lha
scritta, e anche un pochino a chi lha raccomodata (corsivi miei).

13

Ripreso da Fontanille 1989:

E n u n ci at ore

SOG GETTO
D E L L E N U N C I A Z IO N E

E n u n c ia ta r io

S o g g ett o
D e s tin a n te
m a n ip o la to re

E N U N C IA T O

144

S o g g etto
D es tin a n te
D es tin a ta rio

g iu d ic e

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Lo you di Joyce chiamato a prendere una decisione che influenzer la


manifestazione del testo, enunciando una certa lessa, scelta tramite linterfaccia di
Storyspace, che permette di scegliere tra Si e No. Qualsiasi sia la sua scelta, chiaro il
ruolo di Destinante manipolatore che il fruitore ha sul testo, mantenendo inalterato quello di
Destinatario e di Destinante giudice.

6. Tra autore e lettore


Il ruolo di Destinante per non diventa di esclusiva competenza del lettore o fruitore:
esso rimane in parte dipendente dallautore. Infatti lautore predispone i collegamenti tra le
lesse che il lettore potr di volta in volta attivare, i blocchi ed i passaggi obbligati, i
percorsi da compiere per poter accedere a lesse altrimenti irraggiungibili.
Questo residuo controllo si manifesta in misura diversa a seconda dei propositi autoriali,
e ci permette di porre un criterio classificatorio dei testi ipertestuali a seconda di quanto sia
prescrttivo nei confronti del lettore.
Torniamo a Riven: lautore in questo caso dispone vari percorsi possibili, ma uno solo
che porta alla soluzione finale; il lettore libero di scegliere di vagare per lo spazio di
Riven, ma se vuole vincere e risolvere il gioco deve percorrere la strada che lautore ha
previsto, e poi occultato tra altri percorsi plausibili ma infruttiferi.
Diversamente accade in Afternoon, dove percorsi diversi possono essere dotati di un
senso autonomo e diverso; in questo caso lautore in misura minima Destinante
manipolatore, ruolo ricoperto invece quasi interamente dal lettore. Il lettore non legge la
storia che lautore gli racconta, ma si racconta la storia che pi gli piace, costruendola con i
pezzi (le lesse) che lautore gli mette a disposizione, come in una sorta di meccano
narrativo.
Altro ancora il caso del sito Internet, e della Rete in generale: essa, se considerata
come un tutto testuale, non ha effettivamente autore, n nel senso tradizionale di
responsabile del testo n nel senso ipertestuale di organizzatore dello spazio logico. La Rete
dovrebbe rappresentare la realizzazione dellutopia dei primi ipertestualisti, da Bush a
Nelson: puri frammenti di testo liberamente e massimamente interconnessi, a disposizione
di un lettore che in questo caso sarebbe del tutto anche destinante manipolatore.
Tuttavia la Rete composta da siti, i quali sono direttamente dipendenti da un autore
(ipertestuale), che per, secondo quanto giustamente rileva Alessandro Perissinotto (2001),
seguono logiche economico-commerciali direttamente contrastanti con lorganizzazione
ipertestuale: Limpressione che [] la struttura del Web diventi sempre meno reticolare
e sempre pi ordinata in maniera gerarchica e categoriale; in altre parole, sembra che la
tassonomia abbia prevalso sullassociazione, pi o meno libera, fra testi (ivi, 325).

145

Piero Biasi / Tempo ed enunciazione nellipertesto

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147

IL SILENZIO DI GOTAMA
*
E LORIGINE DELLA DOTTRINA BUDDHISTA DEL VUOTO

Krishna Del Toso

In questo contributo cercher di chiarire il rapporto tra il silenzio (tuh), scelto dal
Buddha come unica risposta possibile ad alcune precise questioni, e lorigine della dottrina
del vuoto nel Buddhismo primitivo. Il lavoro si articoler dunque in due sezioni: nella
prima esporr le questioni che Gotama Buddha lascia irrisolte; nella seconda, partendo da
un passo del Canone buddhista redatto in lingua pli (da ora Canone Pli)1 che prende in
esame, nello specifico, solo due dei problemi su cui Buddha resta silente , prover ad
argomentare lorigine della dottrina del vuoto dalla considerazione che, eliminate le visioni
errate e compreso luomo come unilaterale punto di vista sul mondo, il silenzio sarebbe
lunica possibilit per far sorgere la conoscenza del mondo stesso come esso .
1. Gl i avykat ni 2
In diverse sezioni del Canone Pli riscontriamo un atteggiamento silente da parte del
Buddha in risposta ad alcuni problemi, i quali, per tale motivo, prendono il nome di
avykatni (non-spiegati, non-analizzati).3
Tra tutti i luoghi in cui compaiono gli avykatni, il testo che ne fornisce lelenco
completo il Brahmajla-Sutta (Dialogo della Suprema Rete, da ora BS), il primo dialogo
del Dgha-Nikya. Dal v. 28 fino alla conclusione del dialogo, il BS espone infatti in modo

qui proposta una riflessione su alcune tematiche gi affrontate nel I capitolo della mia tesi di laurea
Jnakalik, La Gemma della Conoscenza, Evoluzione del concetto di nya da Buddha a Ngrjuna (tesi in
Filosofia della Religione, redatta sotto la guida di Aldo Magris e discussa allUniversit di Trieste nella.a. 200001); inoltre, condotto un approfondimento di dette tematiche, in particolare di alcuni concetti l tracciati soltanto
marginalmente. Tutti i termini traslitterati, qui riportati, devono intendersi, quando non specificato, vocaboli in
lingua pli, lidioma in cui si esprimeva il Buddha ed in cui sono stati redatti i testi del Buddhismo primitivo. Le
citazioni sono da me state tradotte, basandomi sulle versioni dei testi del Canone buddhista editi e pubblicati dalla
Pli Text Society, Oxford 1884-1925.
1
Bisogna ricordare che il Canone Pli fu composto, dopo la morte di Buddha (V sec. a. C.), in un periodo di tempo
che invest vari secoli. unopera di scuola pi che lo scritto di un singolo pensatore.
2
Il termine avykatni la voce nominativa plurale del vocabolo avykata. Avykata formato a vi + + kar, a cui
viene anteposto il prefisso privativo a. La kar il tema radicale del verbo ktu, che significa fare, agire, di
cui kata il participio passato. Facendo precedere kar dal prefisso vy (vi + ), si ottiene il significato di
analizzare, separare, spiegare, esporre, deformare, a cui va sommato il valore privativo della prima a. Il
vocabolo, allora, traducibile con: non analizzato, non spiegato.
3
Sui luoghi in cui compaiono i non analizzati, cfr. A. Rigopoulos, The Avykatni and the Catukoi Form in the Pli
Sutta Piaka, East and West, vol. 42, 1992, pp. 228-259.

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

dettagliato 11 punti di vista (dihiyo) corrispondenti ad altrettante scuole di pensiero attive


allepoca di Buddha.4 Ecco come queste dihiyo sono presentate:
1) Gli eternalisti (sassatavd), i quali affermano che il S (att) e il mondo (loko) sono
eterni (BS, 31-34).
2) I semi-eternalisti (ekacca sassatavd), i quali affermano che il S e il mondo sono in
parte eterni e in parte no (BS, 39-50).
3) Gli estensionisti (antnantik), i quali affermano che il mondo sia finito oppure
infinito (BS, 54-57).
4) I perpetui equivocanti (amarvikkhepik), i quali ricorrono allequivoco, allelusione,
su ogni questione proposta (BS, 61-64).
5) Coloro che sostengono lorigine fortuita (adhiccasamuppannik), i quali affermano
che il S e il mondo sorsero senza causa (BS, 68-70).
6) Coloro che in ciascuno dei modi fin qui elencati ricostruiscono il passato (cfr. BS,
72);
7) I sostenitori della dottrina dellesistenza cosciente dopo la morte (uddhamghtanik
saivd) affermano che il S dopo la morte conscio (BS, 75).
8) I sostenitori della dottrina dellesistenza non cosciente dopo la morte
(uddhamghtanik asaivd) affermano che il S dopo la morte inconscio (BS, 79).
9) Coloro che affermano che il S dopo la morte non n conscio n non conscio
(uddhamghtanik neva sainsaivd) (BS, 83).
10) I nichilisti (ucchedavd), i quali affermano lannientamento dellessere vivente.
Essi ritengono che, quale che sia la concezione del S, questo venga distrutto col
sopraggiungere della morte (Bs, 87-93).
11) Coloro che sostengono la dottrina della felicit in questa vita
(dihadhammanibbanavd) affermano che la completa salvazione di un essere vivente possa
avvenire in questo mondo (BS, 97-101).
Dallo schema appena ricostruito ricaviamo che gli 11 punti di vista in questione
possono essere cos raggruppati: dal (1) al (6) sono esposte le concezioni rivolte allanalisi
del passato; dal (7) all(11) sono presentate, invece, le teorie concernenti il futuro. Le 11
posizioni dovrebbero coprire la totalit di punti di vista su cui allepoca si disputava.
Oltre al BS, nel Canone Pli possiamo rintracciare altri dialoghi e discorsi che, pur
riferendosi alle questioni irrisolte, ne prendono in considerazione solo alcune.5 Certamente,
i testi meglio conosciuti in proposito sono quelli che formano il ciclo di Vacchagotta, come
lo definisce Rigopoulos.6 In questi dialoghi le questioni pi note proposte dallasceta
itinerante Vacchagotta al suo interlocutore sono le seguenti 12: (1) il mondo eterno, (2) o
non eterno? (3) il mondo finito, (4) o infinito? (5) lanima identica al corpo, (6) o
differente da esso? (7) il Buddha esiste dopo la morte, (8) o non esiste, (9) o sia esiste che
non esiste, (10) oppure n esiste n non esiste? Possiamo aggiungere a questa lista altri due
quesiti: (11) esiste il S, (12) o non esiste il S?7 Rispetto a ciascuna di queste domande
linterlocutore dellasceta risponde che il Buddha resta silente.
4
Dihiyo nominativo plurale di dihi che deriva da dis, da cui dahu vedere. Dihi pu esser perci tradotto
con visione, punto di vista.
5
Vedi supra, nota 3.
6
The Avykatni, cit., p. 251.
7
Le questioni dalla (1) alla (10) si trovano in Sayutta-Nikya, Sayatana-Vagga, X, 7, la (11) e la (12) in SayuttaNikya, Sayatana-Vagga, X, 10.

149

Krishna del Toso / Il silenzio di Gotama e lorigine della dottrina buddhista del vuoto

Di tali questioni, in molti casi, possiamo notare una forma quadripartita in cui un certo
attributo , di volta in volta, (a) affermato, (b) negato, (c) sia affermato che negato e (d) n
affermato n negato.8 Il punto (a) corrisponde allasserzione dellessere in un certo modo di
qualcosa (s possiede p, s p), come nel caso il S dotato di forma, oppure il S
limitato, in cui un attributo (la forma, la limitatezza) inerisce ad un soggetto (il S); si
parte dallesperienza (paccakkho) per formulare una constatazione in termini positivi: vedo,
per esempio, un oggetto e dico com (il tavolo di legno ed ha quattro gambe). Il punto
(b) presenta la negazione dellessere di qualcosa nello stato dinerenza a qualcosaltro (s
non possiede p, s non p), come in costrutti del tipo il S non dotato di forma, il S
non limitato, ove lattributo non inerisce al soggetto; anche qui si procede
dallesperienza, si valuta loggetto, ma si ricavano, per comparazione (upamno) con altri
enti, le caratteristiche che esso non possiede: il tavolo non dacqua e non ha le ali. Il
punto (c) al medesimo tempo attribuisce e nega un certo attributo (s possiede p e s non
possiede p, s p e s non p): questo il caso di asserzioni quali il S dotato di forma e
non dotato di forma e il S limitato e non limitato, in cui lattributo sia inerisce sia
non inerisce al soggetto; dalla constatazione dellesistenza di diverse caratteristiche
possedute da un oggetto, si formulano asserzioni che cerchino di includere assieme pi
possibilit descrittive; se il tavolo ha la parte piana di legno, ma le gambe di ferro, potr
dire che: il tavolo sia di legno sia non di legno, cio alcune parti sono di legno mentre
altre no.9 Il nodo centrale dei primi tre punti analizzati sembra essere il seguente: a partire
dallesperienza (vedo ci, sento ci, ecc.), si costruisce una visione del mondo che segue
determinate regole, considerate, per estensione, universalmente valide. In tal modo
possibile che avvenga la traduzione di tali leggi inerenti allesperito al piano, diciamo cos,
di un metempirico S immutabile: tuttavia lidea di S (att) non , ritengono i Buddhisti,
mai spiegata con sufficiente chiarezza, cio utilizzando efficacemente delle argomentazioni
dimostrative. Sembra, allora, che il processo dastrazione che conduce allindagine metaempirica sottenda anche una pre-imposizione delle regole, ritenute corrette, alloggetto di
questo medesimo indagare; tutto ci fa in modo che vi sia una sorta di costruzione a-priori
della verit relativa a tale oggetto.
Lultimo punto (d) la negazione di ciascuna delle due alternative formanti il caso (c)
(n s possiede p e n s non possiede p, n s p e n s non p) e, quindi, anche di (a) e (b):
esempi di questo tipo sono n il S dotato di forma e n il S non dotato di forma,
oppure n il S limitato e n il S non limitato; questa la posizione di coloro che si
rifiutano di prendere parte alla discussione, arrestandosi alla negazione, alla confutazione
delle idee altrui. Non si confonda, per, il presente caso con la posizione degli equivocanti,
i quali non accettano neppure questo atteggiamento, adducendo la ragione che anche il
n n deve essere eluso. Qui, invece, sottinteso un accostamento ad una verit
inesprimibile perch posta oltre le capacit conoscitive umane.10 Inutile allora indagare in
tali ambiti attraverso un procedere dialettico, poich la dialettica, prevedendo lutilizzo di
8

Cfr., per es., BS, 64.


Tenendo presente quanto appena detto, quella che mi sembra la questione pi problematica che Vacchagotta
espone, cio la (9) (se il Buddha esista e non esista dopo la dissoluzione del corpo fisico), pu essere chiarita nel
seguente modo: certe parti restano immutate dopo la morte e certe si distruggono. Cos leggendo, non v
contraddittoriet, come, invece, potrebbe sembrare a tutta prima.
10
Si consideri, a titolo desempio, il concetto di anirvacanya (non-dicibile, non-definibile) applicato, dalle scuole
Vednta, al rapporto tra lAssoluto (Brahman) e il mondo; cfr. S. Radhakrishnan, La filosofia indiana II, Roma,
ram Vidy , 1991, p. 569.
9

150

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

una certa logica nel duplice senso di lgos come parola e lgos come ragione , che
strumento della razionalit umana, non sarebbe, ovviamente, in grado di garantire alcuna
donazione di significato a ci che evade totalmente la possibilit di essere conosciuto. 11
Secondo la logica indiana queste quattro alternative dovrebbero coprire ogni possibilit
dapproccio a qualsivoglia questione; infatti ognuno dei punti di vista raccolti nel BS (in cui
sono incluse anche le 12 domande di Vacchagotta), in un modo o nellaltro, rientra in uno
di questi casi: tuttavia, nei confronti di essi, come gi detto, il Buddha trova un altro
approccio: non si esprime.
2. Il di sc orso a Kaccyana
Col suo silenzio Gotama non volle certo negare queste concezioni, ma rifiutarle come
non valide e, daltro canto, il termine stesso avykata, non analizzato, ci conduce a tale
considerazione.12
Se, per, quelle sono visioni errate (micch dihiyo), ci si pu chiedere quale sia il
corretto punto di vista (samm dihi), domanda, questa, effettivamente posta da Kaccyana al
Buddha nel Kaccyanagotta-Sutta (Dialogo con Kaccyana, da ora KS).13 A ci Gotama
risponde che sono da evitarsi due visioni estreme ed unilaterali, vale a dire leternalismo
(sassatavdo), per il quale tutto (sabba atthi), e il nichilismo (ucchedavdo), secondo
cui nulla (sabba natthi): egli invece, prendendo appunto le distanze dalluna e
dallaltra, insegnerebbe il cammino che sta nel mezzo (majjhima patipad). Eternalisti e
nichilisti peccherebbero infatti dincompletezza, poich valuterebbero parzialmente i
fenomeni: i primi considerandone solo linsorgenza, i secondi solo la cessazione. In questo
modo, per, n luna visione n laltra agendo in modo preconcetto, cio pre-imponendo
una determinata credenza coniugherebbero le proprie speculazioni a un mondo che
Gotama osserva invece essere mutevole ed impermanente, cio transeunte, un mondo in cui
ogni fenomeno attraversa i tre stadi di originazione (uppdo), stasi (hiti) e cessazione
(nirodha), in dipendenza da un ente-produttore il quale, quindi, indurrebbe linsorgenza di
un ente-prodotto. Questa teoria prende il nome di co-produzione condizionata
(paiccasamuppdo).14 Bisogna subito sottolineare che la co-produzione condizionata non va
intesa come univoca legge di causalit, ma come mutua regola di dipendenza.
Di questo paiccasamuppdo sono ammesse due accezioni: una soggettiva ed una
oggettiva. Lapplicazione di esso alla soggettivit comporta il riconoscimento di 12 fattori,
chiamati nidna, collegati nel seguente modo: dalla considerazione che tutto, prima o poi,
cesser dessere, rintracciato un limite oltre cui non dato spingersi, cio (1) la vecchiaiae-morte (jar-maraa), che trova la sua ragion desistenza solamente se preceduta da una
(2) nascita (jti). Qui nascita equivale al concetto generale di nativit, intesa come
11

Cfr. K. V. Ramanan, Ngrjunas Philosophy, Delhi, Motila Banarsidass rist. 1998, pp. 157, 158. Uso qui il
termine logica in senso ampio; nella prima fase del Buddhismo, infatti, non v traccia di una logica che si
strutturi oltre la semantica del linguaggio quotidiano.
12
Sulla differenza fra negare e rifiutare vedi infra.
13
Sayutta-Nikya, Nidna-Vagga, I, 15.
14
Il termine paiccasamuppdo composto da paicca, che indica un legame di dipendenza, e samuppdo, formato
da uppdo, derivante da ut + pad e dal prefisso sam; pad la radice del verbo pajjitu, che significa andare,
muoversi, entrare, ma anteponendovi ut ricaviamo il significato di originarsi, venir fuori, mentre il
prefisso sam indica con, insieme a.

151

Krishna del Toso / Il silenzio di Gotama e lorigine della dottrina buddhista del vuoto

insorgenza e fisica e psicologica di vari stati successivi: per il Buddhismo, oltre che
attraverso la metempsicosi dottrina assimilata dallinduismo , anche entro la stessa vita
si pu ri-nascere, volta a volta, felici, afflitti ecc. La nascita dipende (3) dallesistenza
precedente (bhavo) poich le azioni passate determinerebbero le modalit di vita attuale;
lesistenza si origina (4) dallattaccamento (updna), considerato la spinta alla staticit,
inverata dalla ricerca di appigli stabili a cui aggrapparsi; questi sono scelti in base (5) al
desiderio (tah), che continuamente dirige luomo verso qualsiasi condizione non abbia
gi; tah sarebbe a sua volta la risultante (6) della sensazione (vedan), stimolando,
questultima, la latente direzionalit dellindividuo verso una meta, poi focalizzata, a causa
della bramosia, come obiettivo desiderato; la sensazione dipende (7) dal contatto (phasso)
tra loggetto ed il suo fruitore; il contatto, quale momento transitivo dallesteriorit
allinteriorit, avviene per mezzo (8) della sestupla sede (sayatana), formata dai cinque
organi di senso, adibiti alla semplice percezione, e dalla mente (mano), che avrebbe il
compito di raccogliere e gestire le informazioni sensoriali; la sestupla sede necessita del
complesso (9) di nome-e-forma (nma-rpa), il nome (nma) connotando lunicit di ogni
soggettivit in senso metempirico, e la forma (rpa) indicando la corporeit; tale
individualit sarebbe originata a sua volta (10) dalla coscienza (vina), poich un soggetto
psico-fisico privo di interiorit cosciente non considerabile referente di alcuna attivit
senziente, non essendo un individuo capace di volont; vina trarrebbe il suo essere (11)
dalle predisposizioni (sakhro), reputate base della formazione di un personale e parziale
punto di vista non in linea con la realt dei fatti; tutto questo, secondo i buddhisti,
dipenderebbe (12) dalla nescienza (avijj).15
Essendo la co-produzione condizionata una legge di dipendenza piuttosto che una
causalit forte, lente-produttore non riveste il ruolo di fattore, causatore, dellenteprodotto (in questo caso si avrebbe un rapporto univoco, da causa ad effetto), ma tutti gli
enti coinvolti nel processo sono, allo stesso tempo, sia produttori che prodotti, cio
concorrono sincronicamente alla caratterizzazione di s, come, per esempio, nel caso del
mosso e del movimento:16 proprio affrontando un caso particolare, entriamo nella seconda
accezione, quella oggettiva, della dottrina della co-produzione condizionata. Un oggetto
pu dirsi mosso solo se ora dotato di movimento (cio dallesistenza del movimento
dipende lesistenza delloggetto mosso), ma vero anche che senza loggetto mosso non vi
sarebbe in realt movimento (e dunque dallesistenza delloggetto dipende lesistenza del
movimento). Non si d il caso di un oggetto mosso privo di movimento, n di un
movimento in s, non inerente ad un oggetto che si muova; come vero, altres, che quando
il movimento termina, loggetto cessa di essere mosso, e che, nel momento in cui loggetto
non pi mosso, il movimento a sua volta si estingue.
Per Gotama, eternalisti e nichilisti non riuscirebbero a cogliere una tale dinamicit, che
cifra della mutevolezza di cui egli parla. Gli uni, fermandosi ad una concezione fissista
che non giustifica la cessazione, propongono infatti esclusivamente lesistenza (atthit) di
permanenti S (attno), di cui risulta difficile motivare la caratterizzazione: se tutto S
(att), allora anche la caratteristica sar un S, e se ogni att sempre identico a s
altrimenti diverrebbe altro da s e ci sarebbe un controsenso non sar possibile
15

Cfr. Sayutta-Nikya, Nidna-Vagga, I, 1, ove il Buddha espone i 12 fattori del nesso condizionale nel senso
opposto, per, a quello da me qui adottato, cio dalla nescienza alla vecchiaia-e-morte.
16
K. H. Potter definisce la co-produzione condizionata una weak dependence relation (cfr. Presuppositions of
Indias Philosophy, Delhi, Motilal Banarsidass, 1991, pp. 129-130).

152

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

giustificare espressioni del tipo la palla rossa, ci perch la palla (primo S) sempre e
solo palla e nullaltro, cos il rosso (secondo S) puramente ed eternamente rosso, senza
che possa riferirsi ad alcunch, non dandosi il caso che due S differenti si fondano in un
unico S, n che un S inerisca ad un altro, poich essi non sarebbero pi tali e si
contravverrebbe alla legge dellidentit. Per la nostra esperienza ci mostra un mondo in
cui non solo la palla rossa, ma anche la palla che prima era rossa ora diventata rosa.
I nichilisti, invece, propongono la visione di un universo in cui lattributo principe
linesistenza (ntthit), ove non possibile rintracciare alcuna individualit minimamente
persistente: ma noi vediamo che la palla che ora rosa la stessa palla che prima era
rossa.
Con la dottrina della co-produzione condizionata il Buddhismo pretende, contro il
nichilismo, tanta stabilit da poter affermare un ente custode di un principio di
individuazione soggiacente a tutti i cambiamenti che lo investono (la palla la stessa
nonostante il mutamento di colore), e, contro leternalismo, la possibilit che un ente cambi
nel tempo trasformandosi (lo scolorimento della palla). Il mondo, allora, considerato non
costituito da uno o pi S, e neppure un nihil, ma un esistente impermanente. Quando
Gotama dice, rivolto a Kaccyana, di insegnare la dottrina mediana senza accostarsi agli
estremi, questo, alla luce di tali considerazioni, a mio avviso, risulta chiaro (KS, 7): la via
mediana appunto la presa di distanza da ogni visione ritenuta dogmatica e unilaterale
poich fuorviante rispetto ad un approccio agli enti seriamente conoscitivo, che ne metta in
evidenza, cio, la caratteristica di dipendenza reciproca in virt della legge della coproduzione condizionata. E proprio in questa direzione va cercata lorigine della dottrina
del vuoto (suavdo).
Inizialmente il termine vuoto (suo) che in tutti i testi buddhisti usato sempre come
aggettivo, mai come sostantivo! era riferito a luoghi tranquilli, privi di distrazioni, in cui
svolgere indisturbati lattivit meditativa.17 Come questi luoghi erano detti vuoti in quanto
solitari e quieti, cos, con landar del tempo, anche la mente dellasceta che avesse acquisito
serenit e calma tramite la concentrazione inizi ad essere reputata una mente vuota, cio
sgombra da pensieri e false credenze. Il meditante, quindi, diviene vuoto di S (attasuatto),18 acquistando lo stato di quiete necessario per sedare lafflizione (kilesa) e il
dolore (dukkha) che tormentano luomo.
Si ricordi che il pensiero buddhista ha origine dalla presa di coscienza della radicalit
del dolore nella vita quotidiana. Fondamentale, allora, proprio lo sforzo teso
allabolizione della condizione dolorosa in cui luomo, nato nesciente, versa. Solo avendo
presente questo punto, comprendiamo perch le fondamenta dellintera meditazione
buddhista siano le cosiddette Quattro Nobili Verit (cattri ariya saccni) attorno al dolore,
vale a dire: (1) la verit sul dolore (dukkha ariya saccam), secondo cui tutto dolore; (2) la
verit sullorigine del dolore (dukkha-samudaya ariya saccam), secondo cui il desiderio ne
la fonte; (3) la verit sulla cessazione del dolore (dukkha-nirodham ariya saccam), secondo cui
labolizione del desiderio a condurre alleliminazione del dolore; e (4) la verit sulla via
che porta allannientamento del dolore (dukkha-nirodha gmin paipad), secondo cui
leliminazione del dolore sarebbe possibile attraverso la pratica dellOttuplice Nobile
17

Cfr., per esempio, Sayutta-Nikya, Mah-Vagga, X, 1, e Sagatha-Vagga, VII, 18 e IV, 6, in cui si parla di suagehni, vuote abitazioni, vuoti eremi; in Dgha-Nikya, Mahsatipahna-Sutta, 291, si fa anche menzione di
sua-agra, casa vuota, luogo vuoto.
18
Sayutta-Nikya, Sagatha-Vagga, IV, 6.

153

Krishna del Toso / Il silenzio di Gotama e lorigine della dottrina buddhista del vuoto

Sentiero (ariyo ahagiko maggo): (a) retta visione (samm dihi), (b) retta intenzione (samm
sakappo), (c) retta parola (samm vc), (d) retta azione (samm kammnto), (e) retti mezzi
di vita (samm jvo), (f) retto esercizio (samm vymo), (g) retta consapevolezza (samm
sati), (h) retta concentrazione (samm samdhi).19
Lafflizione dipenderebbe dunque dal desiderio non educato, cio dalla brama che si
sviluppa nella condizione di ignoranza. Ecco allora il motivo per cui il Buddhismo con
tanta attenzione simpegna nelleliminazione delle visioni errate, le quali, facile ricavare,
incatenano coloro che vi prestano fede ad una condizione nesciente e, quindi, dolorosa: non
a caso, perci, il primo degli Otto Nobili Sentieri appunto la retta visione. Pi che uno
scopo gnoseologico in s, da quanto richiamato consegue che lacquisizione di una corretta
visione abbia fini etici, poich la soppressione dellignoranza equivale allemancipazione
dal dolore, primo passo verso la salvezza (nibbna). In aggiunta, tema non meno importante,
ciascuno degli otto atteggiamenti costituenti il Nobile Sentiero lascia intendere la
particolare attenzione che il Buddhismo ripone nellimpegno hic et nunc; se infatti il fine
quello di emanciparsi dal dolore, solo in questo momento ed in questo luogo che si deve
iniziare il cammino.
Ancora una parentesi per precisare che, se la soppressione del dolore consiste
nellabolizione dellignoranza, e se la nescienza allorigine della co-produzione
condizionata, allora, proprio per la caratteristica legge di dipendenza del duodecuplo nesso,
eliminare il dolore significherebbe, ad un tempo, togliere la base su cui poggiano i 12
fattori, che, di conseguenza, verrebbero a cessare. In questo modo il transeunte individuo (si
badi, non il S!), lungi dallessere eliminato o distrutto come potrebbe sembrare a tutta
prima , si rinnova e, diciamo cos, ri-nasce in uno stato totalmente privo di desideri,
preconcetti devianti e quantaltro: egli sar, appunto, vuoto di S.
Tornando al nostro discorso, si pu notare come il termine vuoto inizi ad avere un
significato peculiare: in un luogo vuoto il saggio svuota la mente da tutta la successione
disordinata di pensieri generati da desideri, avversioni ecc., rendendola sgombra, libera.
Una mente libera poi il presupposto per una corretta conoscenza (vijj), poich libero
significa qui silente, non operante. La mente, solo nel momento in cui silente, cio quando
non agisce, solo allora riuscirebbe a cogliere il mondo e i fatti comessi sono e non come li
vedeva a causa delle inclinazioni (sakhr) del momento, che starebbero, lo ribadiamo,
allorigine di quelle valutazioni parziali raccolte nel BS. Comprendere la totalit delle cose
nel loro proprio come- equivale a conquistare una retta visione (samm dihi): mettendo a
tacere la mente, sospendendo la sua attivit, che logico-linguistico-raziocinante e consiste
nel processo di ideazione, non resta che la percezione pura e semplice su cui nulla agisce; ci
si limita allora al mero coglimento del percepito, senza imbrigliarlo in rigide schematiche
razionali.
Per il Buddhismo il puro coglimento del mondo, s visto, consiste nel prendere
coscienza dellimpermanenza di esso, riassunta dalla dottrina della co-produzione
condizionata e, secondo tale teoria, il mondo un esistente privo di S (anatt). Alla
domanda del discepolo nanda che gli chiedeva cosa significasse lespressione il mondo
vuoto (suo loko), Gotama specificava che ci significa vuoto di S e di ci che

19

Cfr. Dhammacakkapavattana-Sutta (Discorso della Messa in Moto della Ruota della Legge, vv. 5-8), che il
secondo capitolo del Sayutta-Nikya, Mah-Vagga, XII e comprende i paragrafi dall11 al 20.

154

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

riferibile al S (suam attena v attaniyena v).20 Ecco qui il cuore della questione: il
mondo vuoto poich in esso non esistono S permanenti.
Da ci si ricava la seguente riflessione: se, con mente vuota, cio priva di attivit
concettualizzante e quindi anche libera da pre-concetti, mi limito a percepire le cose senza
operare razionalmente su tali percezioni, allora, per ci che percepisco, che dovrebbe
corrispondere al come- effettivo del percepito, non avr alcun termine linguistico
adeguato, essendo ogni vocabolo convenzionale e, in qualche modo, universale, mentre un
ente sempre non-convenzionale e particolare. Per questo motivo il linguaggio reputato s
un ottimo mezzo di comunicazione, permettendo a pi individui di capirsi ed interagire, ma
sarebbe un mezzo inadeguato di descrizione, poich il termine tavolo, ad esempio, anche
se corredato da pi specificazioni (alto, ligneo, bianco, ecc.) troppo generico per
consentire la formazione dellimmagine esatta del tavolo di cui si parla: se voglio avere tale
immagine non posso fare altro che, da me, percepire e cogliere! quel tal tavolo. Ecco
perch Gotama, ormai alla fine della sua vita, spron i propri discepoli, che gli chiedevano
dimpartire loro una regola da seguire, ad essere ciascuno la giusta guida di s.21
Quindi il Buddhismo si mostra e disinteressato alle teorie su ci di cui non pu essere
fatta esperienza, perch quanto non si esperisce, neppure si conosce in senso proprio, e
altrettanto disinteressato in virt del legame tra conoscenza e salvezza spirituale di cui s
detto a ci che non aiuti qui ed ora lottenimento della liberazione dal dolore. Tale
disinteresse non si manifesta per con la negazione, poich negare significherebbe
ammettere una certa partecipazione al dibattito: e come si pu negare qualcosa che non si
in grado di conoscere? Com possibile partecipare costruttivamente ad una discussione
attorno ad un inesperibile ed inconoscibile? La via seguita , allora, lastensione silenziosa
da dibattiti inconcludenti, mantenendosi a distanza da questi. Le tesi esposte nel BS sono,
perci, rifiutate ma non negate: il Buddha si rifiuta di giudicarle, senza confutarle, poich il
rifiuto un astenersi, mentre la negazione comunque un proporre dialogico.22 Ma, ai fini
del conseguimento della conoscenza che conduce alla salvazione, che utilit avrebbe
disquisire sulle proprie vite passate, sullinfinita estensione del mondo, sulleternit
delluniverso o sulla natura pi o meno corporea del S o quantaltro (cfr. BS, 36)? La
salvezza (nibbna) per il Buddhismo per lo meno secondo linsegnamento primitivo
conseguita tramite un impegno nellhic et nunc, mentre, si badi, tutte le concezioni raccolte
nel BS (cfr. 72 e 74) o si cimentano in speculazioni inerenti al passato (le posizioni da 1 a
6), che, essendo passato, quindi non pi, non ha certo utilit agli scopi salvifici, poich il
gi trascorso non aiuta a modificare il presente e, quindi, non pu garantire luscita dallo
stato di nescienza; ovvero in discussioni relative al futuro (da 7 a 11), ma, anche in questo
caso, come pu un da venire esser conosciuto? E, a sua volta, come pu esso influenzare il
qui ed ora?
Tutte le questioni lasciate irrisolte sono reputate perci prive di utilit per
leliminazione dei 12 nessi di dipendenza che conducono alla cessazione del dolore, al
rinnovamento dellindividuo attraverso labolizione della nescienza e al conseguimento
20

Sayutta-Nikya, Sayatana-Vagga, I, 6.
Cfr. Dgha-Nikya, Mahparinibbna-Sutta, VI, 7 [191].
22
Se Gotama negasse, si noti, aderirebbe alla proposta n n del tetralemma. Il suo silenzio non ha nulla in
comune con lanirvacanya (non-dicibile), linesprimibilit data dallimpossibilit di verbalizzare il coglimento di
ci che trascende le capacit dellumano intelletto. Egli, infatti, si preoccupa della purificazione dellesperienza
concretamente conoscitiva, pi che della ricerca di ci che oltrepassa ogni tentativo di intellezione.
21

155

Krishna del Toso / Il silenzio di Gotama e lorigine della dottrina buddhista del vuoto

della salvezza; tali questioni non vengono considerate e tale rifiuto si manifesta tramite il
silenzio, unico atteggiamento che offra la possibilit di guardare direttamente
limpermanenza del mondo, cos impegnandosi effettivamente a comprenderlo, piuttosto
che ascoltare da altri (i sostenitori delle visioni reputate errate) comesso , perdurando in
un doloroso stato di cecit.

156

VISIONE E INTERPRETAZIONE IN WITTGENSTEIN

Cristiano Mautarelli

Lo scopo del mio intervento di proporre alcune sintetiche osservazioni sullanalisi


wittgensteiniana della visione, con particolare riguardo al problema del vedere-come.
Il rapporto tra sensazione e conoscenza uno dei problemi fondamentali in filosofia
della percezione. Generalmente si assume che vi sia uninterfaccia tra il mondo e la nostra
conoscenza di esso. Secondo le teorie empiriste della percezione linterfaccia costituita
dalle impressioni (o dati sensoriali o qualia) da cui inferenzialmente otteniamo la
conoscenza delloggetto percepito. Ma anche in diverse formulazioni contemporanee del
problema si stabilisce che gli inputs sensoriali siano elaborati dai processi cognitivi
superiori, responsabili della formazione di rappresentazioni mentali degli oggetti. Lanalisi
della visione che Wittgenstein ha offerto sembra rappresentare un modo alternativo di
concepire la percezione, particolarmente interessante se considerata alla luce delle teorie
psicologiche di cui Wittgenstein sinteress (la psicologia della Gestalt principalmente) e
dei loro successivi sviluppi.
Delle opere di Wittgenstein, concentrer la mia attenzione sulle Bemerkungen ber die
Philosophie der Psychologie (BPP) e sulla seconda parte delle Philosophische
Untersuchungen (PU). Numerosi paragrafi delle due opere si possono leggere
congiuntamente. Wittgenstein stato letto sia come un sostenitore della concezione
tradizionale secondo cui la percezione dipende da un processo inferenziale, sia come un
sostenitore della tesi opposta, secondo cui i fatti visivi sono caratterizzati dalla loro
indipendenza dallapparato cognitivo. Cercher di illustrare le principali differenze a questo
riguardo riscontrabili tra le posizioni dei commentatori della sua filosofia della psicologia.
Ritengo che lanalisi wittgensteiniana di un fenomeno quale il cambio daspetto renda assai
pi probabile la seconda lettura e mostri chiaramente la propensione del filosofo per una
spiegazione di stampo fenomenologico della percezione visiva. Inoltre, mi sembra che tale
propensione risulti evidente nellanalisi dei caratteri espressivi degli oggetti percepiti.

1. Vedere un aspetto
Il cambiamento di aspetto un fenomeno ben noto alla psicologia. possibile esperirlo
guardando una figura ambigua o una figura bistabile. Lelemento, per cos dire, drammatico
dellesperienza dato dal fatto che la figura osservata resta identica, ma losservatore si
trova in presenza di due distinti oggetti visivi, esperisce cio il passaggio da una soluzione
percettiva ad unaltra. Il fenomeno un po strano del vedere cos o altrimenti, come
Wittgenstein lo giudica (BPP, I, 27) oggetto di unattenta analisi da parte del filosofo
austriaco, che ritorna numerose volte sul tema in esame nei suoi ultimi scritti. Secondo
Malcolm Budd (1989) lattenzione wittgensteiniana per la visione aspettuale giustificata
tanto dallatteggiamento complessivo di Wittgenstein nei confronti della psicologia, quanto
dalla sua opposizione alle teorie empiriste della percezione.

Cristiano Mautarelli / Visione e interpretazione in Wittgenstein

La filosofia della psicologia di Wittgenstein si configura, non diversamente dalla sua


filosofia della matematica, come una ricerca concettuale. Pi precisamente, lo scopo di
Wittgenstein quello di indagare la grammatica dei termini psicologici al fine di ottenere
una rappresentazione perspicua dei concetti psicologici che impieghiamo nella vita
quotidiana (Budd 1989, 1-20 e Casati 1997, 193-196). Riflettendo sulla grammatica di verbi
quali vedere ed interpretare, Wittgenstein intende chiarire la differenza tra i nostri
concetti di visione e di interpretazione di quanto vediamo.
Budd ritiene che il problema del vedere-come sinserisca nel contesto dellopposizione
wittgensteiniana alle teorie empiriste della percezione (Budd 1989, 77-99). Pi
esplicitamente di quanto non faccia Budd, David Saligman, in un intervento sulla visione di
un aspetto, sottolinea che lanalisi wittgensteiniana del vedere-come rappresenta una chiara
critica alla teoria del dato sensoriale (Saligman 1977).
Wittgenstein polemizza con la teoria secondo cui una percezione visiva costituita da
una pura ed indubitabile impressione sensibile unita ad unaltra esperienza consistente nel
risultato di un processo interpretativo, o, in altri termini, da dati sensoriali e giudizi ad essi
relativi (Seligman 1977, 206). Secondo Seligman, Wittgenstein intende sostenere che, se la
teoria del dato sensoriale fosse una valida spiegazione della visione, essa dovrebbe rendere
conto del fatto che, di fronte a certe immagini e figure, losservatore, pur sapendo che il
dato visivo non cambia, ha coscienza di un cambiamento della sua esperienza visiva (ibid.).
Nella sua discussione del problema, Seligman prende in considerazione la parte iniziale
di PU, II, xi, in cui Wittgenstein presenta e discute il fatto che esistono varie interpretazioni
possibili di una figura (un cubo, nel suo esempio) e differenti modi di vederla, e sinterroga
sul rapporto tra il vedere in modi diversi e il vedere in conformit ad uninterpretazione. Lo
stesso esempio presentato e discusso in modo analogo in BPP, I, 9. Di fronte alla figura di
Wittgenstein, un teorico del dato sensoriale sosterrebbe che la percezione di un cubo
schematico come una scatola, piuttosto che come uno scalino o unintelaiatura di filo
metallico, dipende da un atto di giudizio basato sullesperienza passata. La stessa
percezione della tridimensionalit della figura, anzi, sarebbe fatta dipendere da precedenti
esperienze di oggetti cubici. Sostanzialmente, il teorico del dato sensoriale (non
diversamente da uno psicologo cognitivista) negherebbe che il cubo pu essere visto in
modi diversi e affermerebbe che il cubo non pu che essere interpretato in modi diversi, in
virt di un atto di giudizio di cui losservatore non consapevole (si consideri, a questo
riguardo, la puntuale analisi di Lewis 1976).
Lobiezione avanzata da Wittgenstein : se la descrizione della percezione visiva per
mezzo di uninterpretazione fosse una descrizione indiretta, cio, se vedere il cubo come
una scatola o come un angolo solido significasse avere una determinata impressione visiva
che sempre si accompagna al fatto che interpreto il cubo come una cassa, innanzitutto
dovrei saperlo e, inoltre, dovrei essere capace di riferirmi a questa percezione direttamente
e non solo indirettamente (PU, II, xi; tr. it. 256).
In BPP, I, 9, Wittgenstein asserisce che noi vediamo lillustrazione in modi diversi e
linterpretazione si accorda allaspetto visto: usiamo le parole dellinterpretazione come
descrizione del modo di vedere che la favorisce. In RPP, I, 20, leggiamo che non possiamo
comunicare la nostra esperienza visiva se non mediante uninterpretazione. Ma la
descrizione che produciamo non una descrizione indiretta, bens la sua espressione
primaria, una manifestazione del vissuto, come viene detto in RPP, I, 13. Non si tratta
di una interpretazione responsabile di un vissuto, bens di una espressione del vissuto

158

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

(BPP, I, 1127 e 1128). Come osservano Hintikka e Hintikka, il framework pubblico del
linguaggio entra nelle pi naturali espressioni delle nostre esperienze (Hintikka e
Hintikka 1985, p. 47). Il vedere un aspetto non reso possibile dalla padronanza del
linguaggio, n conforme ad un atto interpretativo. Laspetto visto e pu essere descritto
in modi diversi, tanti quanti vengono favoriti dalla struttura del fatto visivo (BPP, II, 509).
Il manifestarsi dellaspetto il manifestarsi di un nuovo oggetto visivo (PU, II, xi; tr. it.
267), che pu essere definito un oggetto fenomenologico (Hintikka e Hintikka 1985, 44),
come Wittgenstein sembra suggerire quando identifica loggetto della percezione aspettuale
col suo modo di darsi (BPP, II, 451 e PU, II, xi; tr. it. 272).

2. La lettura di Bozzi
Paolo Bozzi ha dedicato il suo libro Vedere come ai primi ventinove paragrafi di BPP
(Bozzi 1998). Lo scopo del testo di valutare linfluenza esercitata da W. Khler e dalla
Gestalttheorie sulla concezione wittgensteiniana della visione, mostrando fino a che punto
e per quali motivi Wittgenstein ha rifiutato sia la spiegazione fisiologica della percezione
visiva, sia quella di stampo inferenzialista. Buona parte degli interpreti di Wittgenstein
concordano nellasserire che egli ha rifiutato la spiegazione fisiologica. In effetti, sarebbe
abbastanza difficile ignorare il pensiero di Wittgenstein secondo cui, quando viene offerta
una spiegazione fisiologica della visione, il concetto psicologico si libra al di sopra di
questa spiegazione, e questa non lo tocca (PU, II, xi; tr. it. 278). Secondo Wittgenstein la
visione, in quanto esperienza soggettiva, non pu essere spiegata ricorrendo a nozioni
fisiologiche, n indagando i processi di formazione dellimmagine retinica (BPP, I, 80).
Diverse e discordi sono invece le opinioni su quale ruolo Wittgenstein abbia
effettivamente assegnato allinterpretazione nel processo percettivo. Si tratta di divergenze
almeno in parte riconducibili allambiguit spesso presente nelle osservazioni di
Wittgenstein.
Bozzi non si limita ad analizzare le osservazioni wittgensteiniane alla luce della
distinzione dallo stesso Wittgenstein proposta tra il vedere (uno stato) e linterpretare
(unazione) (PU, II, xi; tr. it. 279), ma sostiene anche che Wittgenstein dimostra
lindipendenza del percepire dallinterpretare, e sostanzialmente lininfluenza
dellinterpretazione sugli osservabili in atto (Bozzi 1998, p. 76). Credo che il merito
principale della lettura bozziana stia nellaver indicato che la rapsodica trattazione
wittgensteiniana dellespressivit e della percezione fisionomica punta in direzione di
unindipendenza degli aspetti visivi dai risultati dellattivit interpretativa.
2.1. Khler
Linfluenza della Gestalttheorie sul pensiero di Wittgenstein ben nota. Khler
citato diverse volte in BPP. Wittgenstein parla di organizzazione della figura in riferimento
a casi di percezione aspettuale. Senza dubbio, lanalisi wittgensteiniana dellespressivit
sviluppa argomenti e osservazioni presenti nellopera di Khler.
Khler si oppone alla teoria inaugurata da Helmholtz, secondo cui le sensazioni,
considerate in termini di stimoli locali, garantiscono al soggetto percipiente la conoscenza
delloggetto in virt di un inconscio processo interpretativo, che sfrutta lesperienza

159

Cristiano Mautarelli / Visione e interpretazione in Wittgenstein

passata. La teoria helmholtziana, cui molto devono le odierne scienze cognitive (Bozzi
1989 e Kanizsa 1991), sostiene che i processi percettivi si svolgono secondo la medesima
logica dei processi inferenziali. Detto in modo molto succinto, Khler uno dei primi
psicologi a contrapporre lautoregolamentazione dinamica di un campo di forze alla
interpretazione di dati (Kanizsa 1991, 47). La nozione di organizzazione, di Gestalt,
come viene presentata da Khler, risulta inserita nel contesto della polemica con la
concezione interpretazionista e associazionista di stampo helmholtziano. In particolare,
Khler argomenta a favore dellinfluenza di condizioni-stimolo ambientali sullesperienza
percettiva (Khler 1947, trad. it. 76-77). Nella concezione khleriana, lorganismo
reagisce al modello ordinato degli stimoli ai quali sottoposto (ivi, 83). La percezione
delloggetto resa possibile dalla sua formazione quale entit discreta nella complessiva
organizzazione percettiva (ivi,122), indipendentemente dalle conoscenze precedentemente
acquisite dal soggetto (ivi, 112).
Sul piano fisiologico, la percezione delle Gestalten spiegata dalla teoria
dellisomorfismo, che Khler definisce nel modo seguente: lordine di cui si ha esperienza
nello spazio e nel tempo sempre strutturalmente identico a un ordine funzionale nella
successione dei processi cerebrali correlati (Khler 1947, tr. it. 52-53).
Per quanto riguarda il tema dellespressivit, Khler si pronuncia a favore della
comprensione immediata, non inferenziale dellemotivit altrui e, nello sviluppo della sua
dimostrazione, tratta della relazione tra stati emotivi ed espressivit delle strutture
percettive, dellidentit di espressivit in strutture percettive diverse e in diverse modalit
sensoriali (ivi,160-190).
2.2. Le critiche di Wittgenstein a Khler
Ci che curiosamente Bozzi non mette in rilevo sono le critiche mosse da Wittgenstein
a Khler e alla Gestalttheorie. Diversi interpreti della filosofia della psicologia
wittgensteiniana, tra i quali M. Budd (1989), G. McFee (1999), W.H. Stromberg (1980) e
M. ter Hark (1995), hanno invece puntualmente rilevato la distanza che separa lanalisi
concettuale perseguita da Wittgenstein da alcuni aspetti della soluzione al problema
conoscitivo offerto dalla Gestalttheorie, in special modo nella sua formulazione khleriana.
Come ha osservato ter Hark (1995), la teoria dellisomorfismo meno interessante agli
occhi di Wittgenstein dellanalisi dellorganizzazione percettiva (ter Hark 1995, 119).
Wittgenstein concorda con lanti-inferenzialismo e lanti-associazionismo di Khler
(Stromberg 1980 e McFee 1999), sviluppa, come vedremo, unanaloga analisi
dellespressivit, ma ne critica la fede materialistica, secondo cui una spiegazione esaustiva
dei fenomeni psicologici non possibile finch non si siano stabilite delle dipendenze
psicofisiche. Questa idea pu essere ricondotta alla tesi per cui le sole autentiche leggi della
natura umana sono le leggi fisiologiche, tesi che, secondo Wittgenstein, corrisponde ad una
sorta di ansia dello stesso Khler (ter Hark 1995, 119). La filosofia della psicologia di
Wittgenstein mostra il suo agnosticismo secondo ter Hark riguardo la fisiologia e la
psicofisica, dovuto al suo metodo filosofico, cio, al suo proposito di ottenere delle corrette
descrizioni del modo in cui utilizziamo i nostri ordinari concetti psicologici (ad esempio,
BPP, I, 509, 1101; PU, II, xi, tr. it. 255).
Dato che Wittgenstein persegue unanalisi concettuale, non dovrebbe sembrare
sorprendente il fatto che egli critichi la psicologia della Gestalt. Questultima pu aiutare la

160

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

filosofia a meglio comprendere la percezione e la visione e ad operare delle distinzioni


concettuali, ma rimane una teoria psicologica e non una forma di analisi concettuale.
Peraltro, in uno spirito wittgensteiniano, potremmo dire che per il fatto stesso di essere una
teoria, la Gestalttheorie pu essere criticata.
Piuttosto, un ripensamento delle osservazioni wittgensteiniane sulla proposta
Gestaltista potrebbe favorire una migliore comprensione di problemi filosofici e psicologici
ancora irrisolti. Un solo esempio: Wittgenstein rimprovera a Khler di aver scarsamente
studiato i casi in cui il cambiamento daspetto soggetto alla volont (si considerino BPP,
I, 971; BPP, II, 507 e 544) e non sembra aver ricevuto risposte adeguate.
Wittgenstein critica principalmente il vocabolario tecnico di Khler, allo scopo di
determinare in quali casi di percezione visiva (soprattutto aspettuale) esso appropriato e in
quali pu risultare fuorviante (Stromberg 1980, 135). Wittgenstein rileva che Khler tende
a porre lorganizzazione figurale sullo stesso piano della forma e del colore, presentando il
cambio daspetto come assimilabile al cambiamento di colore apparente (Budd 1989, 8386. Si veda Khler 1947, tr. it. 107-134). Questo errore ha due conseguenze indesiderate:
lorganizzazione risulta imposta allesperienza visiva, mentre ne parte costitutiva.
Lorganizzazione non esprimibile, e, se produco una copia esatta della figura di cui ho
notato un mutamento daspetto, la copia non pu riprodurre la percezione del cambiamento
(RPP, I, 536; PI, II, xi, tr. it. 259).
Evidentemente, una copia del cubo di Necker sar semplicemente un secondo cubo
identico al primo, e non avr ancora mostrato il nuovo modo di vederlo.
In secondo luogo, nellassimilazione dellorganizzazione alla forma e al colore,
Wittgenstein ravvisa il rischio di considerare lesperienza visiva un oggetto interno (Budd
1989, 85-86). Infatti, la figura ambigua, poniamo, di cui colgo i diversi aspetti, non cambia,
cambia invece la sua organizzazione. Se lorganizzazione posta sullo stesso piano del
colore e della forma, essa deve essere la propriet non della figura, ma di qualcosaltro che
viene percepito. Questo qualcosaltro non pu essere che la stessa impressione visiva,
loggetto interno e non la figura (PI, II, xi, tr. it. 259). Per Wittgenstein, il criterio
dellesperienza visiva la rappresentazione di ci che visto, dove per rappresentazione
sintende tanto una rappresentazione pittorica, quanto una descrizione verbale (Lewis
1976, 99). Questo pensiero esplicitamente espresso da Wittgenstein (si veda PU, II, xi, tr.
it. 261). Esso riflette sia il suo rifiuto della privatezza dellesperienza, sia la sua
convinzione che le descrizioni del modo in cui le cose appaiono a me sono logicamente
secondarie alle descrizioni delle cose stesse (Lewis 1976, 99).
Prendiamo ora in considerazione unultima, e non meno importante divergenza tra
Khler e Wittgenstein.
Limpostazione teorica di Khler consente di ridurre la distanza tra il mondo dei fatti
ed il mondo del significato (ter Hark 1995, 119). Secondo lo psicologo, le Gestalten visive
non dipendono dalle nostre conoscenze, certamente tendono a corrispondere ad oggetti
fisici, ma le eccezioni a tale corrispondenza sono numerose (Khler 1947, 122-123). Scrive
Khler: la psicologia della Gestalt dichiara che loriginario isolarsi di interi circoscritti
rende possibile al mondo sensoriale di apparire [...] compenetrato da significati; [...] il
significato segue le linee tracciate dallorganizzazione e per lo pi entra in interi gi isolati
(ivi, 109). Nella stessa pagina del suo lavoro, Khler presenta il significato stesso come
stratificazione di esperienze passate delloggetto (ibid.). Scrive Wittgenstein:
contrariamente allopinione di Khler proprio un significato quello che vedo (RPP, I,

161

Cristiano Mautarelli / Visione e interpretazione in Wittgenstein

869). Khler, preoccupato di distinguere lisolamento spontaneo degli oggetti fenomenici


dallassociazione e dallesperienza passata, considera il significato come qualcosa di
aggiunto, qualcosa che si aggancia allesperienza visiva (Khler 1947, 212-213). In
Wittgenstein troviamo un diverso concetto di significato, pi prossimo al carattere
fisionomico dellesperienza visiva.
Wittgenstein istituisce una connessione tra il concetto del vedere laspetto e quello
dellavere lesperienza vissuta del significato. E si chiede se possa esistere un cieco
allaspetto e che cosa gli mancherebbe. Analogamente, si chiede che cosa mancherebbe a
colui che non avesse lesperienza vissuta del significato di una parola (PU, II, xi, pp. 80, 83
e BPP, II, 464, 478, 482, 490). Detto per inciso, va rimproverato a Budd uno scarso
interesse per queste connessioni, quasi fossero solo delle stranezze (Zemach 1995, 494.
Budd 1989, 77-99). Infatti, nella tarda filosofia di Wittgenstein, vedere un aspetto risulta un
fenomeno strettamente imparentato con lesperienza del significato. Credo che questa
connessione giochi un ruolo di primo piano nella trattazione che Wittgenstein offre
dellespressivit.

3. Vedere e vedere-come
Credo che i principali fraintendimenti dellanalisi wittgensteinaina della percezione
visiva derivino da unimplicita accettazione della teoria del dato sensoriale da parte di
numerosi suoi interpreti (si vedano Aldrich 1958 e Hintikka e Hintikka 1985). Una delle
tesi fondamentali che emergono, nel complesso, da Vedere come di Bozzi quella per cui il
principale interesse di Wittgenstein per la visione in quanto tale piuttosto che per i casi di
vedere-come, e che, anzi, lanalisi del cambiamento daspetto vuole e pu gettare luce
sullintera dimensione del vedere (Bozzi 1998).
Wittgenstein distingue accuratamente i casi in cui possiamo usare lespressione
vedere come da quelli in cui non possiamo (Bozzi 1998, 14-24). Questo un punto
fondamentale. Si pu dire che, per Wittgenstein, la discussione del vedere-come pu
condurre ad una migliore comprensione del vedere (McFee 1999, 268).
Wittgenstein ritiene che sia insensato dire Ora vedo questa cosa come una forchetta
quando ci che sto effettivamente vedendo una forchetta. E neanche la cosa che sta sulla
tavola e che si riconosce come una posata, si prende per una posata (PU, II, xi, 257).
Posso usare lespressione vedere come solo se posso identificare ci che vedo o se lo
identifico come qualcosa daltro. In BPP, I, 412 Wittgenstein dice che un bambino non
capisce lenunciato Vedo questo come un tavolo pronunciato in presenza di un tavolo;
forse potrebbe capire Lo vedo come un tavolo se detto in contesti in cui non manifesto
che loggetto sotto osservazione un tavolo. Ancora, quando vedo un uomo in una
fotografia non dico Questo potrebbe essere visto come un uomo (BPP, II, 515) e se vedo
limmagine di un leone non posso dire di vederlo come un leone (PU, II, xi, 271).
Secondo Wittgenstein, il vedere-come non parte della percezione visiva (PU, II, 260).
Bozzi ritiene che solo dopo aver visto la F di Wittgenstein (BPP, I, 1) ci possibile
chiederci che cosa quel segno rappresenti. La nostra stessa intenzione di migliorare il segno
per farlo apparire una comunissima F indica che linterpretazione successiva al fatto
visivo. Dire La vedo come... esprime la mia congettura (Bozzi 1998, 15). Wittgenstein ci
dice che una figura ambigua come la celebre figura coniglio-anatra pu essere una figura

162

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

ben nota, la cui ambiguit mi nota. Quando riconosco un certo oggetto o una certa
immagine comunico la mia percezione (Questo un coniglio). Comunico la mia
percezione anche quando riconosco la figura ambigua come la figura coniglio-anatra, ma
non comunico la mia percezione quando dico Ora un coniglio o La vedo come
unanatra, perch in questi ultimi casi ho effettuato un confronto, ho usato la mia facolt di
giudizio e non la sola visione (PU, II, xi, 258). A differenza della terminologia della
visione, la terminologia del vedere-come essenzialmente contrastiva (Dunlop 1984,
362). Dunque, il vedere-come non parte della percezione, cio non vediamo grazie
allinterpretazione.
Se la presente esposizione delle idee di Wittgenstein sul vedere-come ha qualche
probabilit di essere corretta, allora Eddy M. Zemach ha torto nellasserire che per
Wittgenstein tutto il vedere vedere-come (Zemach 1995. Anche Hintikka e Hintikka
1985).
Quando vediamo una forchetta non siamo consapevoli di interpretare qualcosa. [...]
Dobbiamo vedere in virt dellinterpretazione; non possiamo vedere le cose in modo
neutrale, senza lintervento dellinterpretazione (Zemach 1995, 487).
Zemach tende ad enfatizzare le osservazioni di Wittgenstein sulla connessione tra
visione e pensiero (Zemach 1995, 489). Ritiene che secondo Wittgenstein linterpretazione
sempre coinvolta nel processo percettivo. Legge BPP, I, 2 come una prova della
propensione wittgensteiniana per linterpretazionismo, ma il passo mostra in concreto solo
la necessit di trovare dei validi criteri per distinguere visione e interpretazione. Inoltre,
Zemach legge lasserzione wittgensteiniana dunque linterpretiamo; e la vediamo come
linterpretiamo, che si riferisce al caso di visione aspettuale della figura di un cubo, come
leffettiva espressione del pensiero wittgensteiniano (PU, II, xi, 256).
Gi nel 1976 P. B. Lewis ha convincentemente dimostrato che linizio del paragrafo
successivo di PU, II indica che cos non . Wittgenstein scrive Qui si vorrebbe forse
rispondere..., che suggerisce che la frase precedente unobiezione di un interlocutore
immaginario (Lewis 1976, 96). Linterlocutore un teorico dei dati sensoriali, che pensa
che noi non vediamo la figura del cubo in modi diversi e che quando esprimiamo il
cambiamento daspetto abbiamo soltanto una impressione visiva sulla base della quale
produciamo diverse interpretazioni (Lewis 1976, 98).
Zemach sembra invece condividere la posizione dellinterlocutore.
Trovo illuminante la seguente affermazione di Lewis: vedere un oggetto in conformit
ad uninterpretazione non implica vederlo in conformit ad un atto interpretativo (ivi,
107). Una volta ancora: sebbene io non interpreti una figura (diciamo un cubo o un
triangolo, per restare nellambito degli esempi wittgensteiniani) in modi diversi, si pu dire
che vedo la figura secondo differenti interpretazioni. Ma differenti interpretazioni
significa descrizioni di modi differenti di vedere la figura.
3. 1. Percezione visiva ed affordances
Bozzi utilizza unosservazione tratta dalle Philosophische Bemerkungen ( 53) di
Wittgenstein per mostrare la connessione tra grammatica e visione nella filosofia della
psicologia wittgensteiniana. Wittgenstein osserva che unillusione non un errore, anche se
siamo abituati a chiamarla in questo modo, e che il nostro linguaggio sarebbe diverso se
nella nostra vita lapparenza delle cose fosse pi importante dei risultati delle misurazioni.

163

Cristiano Mautarelli / Visione e interpretazione in Wittgenstein

In effetti lillusione non affatto una illusione, ma una abitudine linguistica affibbiata a un
fatto ben reale grazie a certe circostanze (Bozzi 1998, 70). In BPP Wittgenstein non si
pronuncia sulle illusioni, ma lavora sullambiguit e la multistabilit di determinate figure.
Nella stessa direzione lavora la fenomenologia sperimentale in psicologia (Bozzi 1989), per
la quale i casi dillusione e dambiguit mostrano la differenza ed il conflitto tra gli aspetti
puramente visivi e le conoscenze e il framework concettuale del soggetto. Secondo Bozzi, il
pensiero di Wittgenstein, da questo punto di vista, assai vicino alla fenomenologia
sperimentale. Sul piano visivo, c una stretta connessione tra multistabilit, ambiguit e la
percezione delle qualit espressive. Inoltre, il fatto che ci che visto esibisce una
fisionomia pu essere assimilato a ci che J. J. Gibson ha chiamato affordances (Gibson
1979; Bozzi 1998, 21).
Bozzi tende ad identificare la nozione di affordance con quella di qualit espressiva, o
terziaria. Non intendo esplorare la relazione tra queste nozioni. Quello che in questa sede ci
interessa evidenziare che la consapevolezza wittgensteiniana dellespressivit sinserisce
a pieno titolo nellanalisi anti-inferenzialista del vedere.
Nella discussione wittgensteiniana della percezione aspettuale sono contemplati anche
casi in cui possibile cogliere un diverso aspetto di figure ed oggetti la cui fisionomia non
esibisce ambiguit e multistabilit. Un triangolo, ad esempio, pu essere visto come
appoggiato sulla base o appeso per un vertice, oppure pu essere visto puntare in una certa
direzione (BPP, II, 23). La figura cio esibisce aspetti visivi diversi. Sembra di poter dire
che Wittgenstein pone sullo stesso piano fenomeni apparentemente diversi come la
bistabilit delle figure e la loro ambiguit, la fisionomia di una lettera dellalfabeto, di un
segno, la fisionomia di una frase musicale, il fatto che possiamo vedere la direzione in cui
guarda la facciata di una casa, e il fatto che delle persone noi vediamo gli sguardi e non
solo gli occhi (Ad esempio, BPP, I, 3, 17, 19, 421; BPP, II, 219, 356, 457, 467-469).
Secondo Bozzi, Wittgenstein ha voluto dirci che ogni oggetto percepito porta affordances al
soggetto (Bozzi 1998, 20-24, 101-103, 106-110). Ci che linterpretazione bozziana
suggerisce che Wittgenstein avrebbe implicitamente colto la relazione tra lespressivit e
il concetto di affordance.
Le affordances sono propriet disposizionali degli oggetti. Sono offerte, fornite
dallambiente al soggetto. Il concetto di affordance unisce il carattere espressivo degli
oggetti alle valenze che essi rappresentano per il soggetto: gli oggetti risultano attraenti,
minacciosi, lugubri, e cos via (Gibson 1979, 205-229).
Da un lato Wittgenstein pu essere letto come un continuatore di Khler nellanalisi
dellespressivit, e dallaltro, io credo, come un anticipatore dellottica ecologica
gibsoniana.
Come Khler, Wittgenstein difende la tesi di una percezione immediata delle emozioni
altrui, percezione che coglie in modo non inferenziale la fisionomia e lespressivit dei
volti. Khler e Wittgenstein condividono un interesse epistemologico per lespressivit che
si profila come nettamente opposto sia alla teoria del dato sensoriale in filosofia, sia alla
psicologia di tradizione helmholtziana (si veda Khler 1947, 169). Il fatto stesso che
descriviamo appropriatamente una faccia come radiosa o annoiata suggerisce che le
espressioni emotive dei volti sono qualcosa che vediamo e non il risultato di
uninterpretazione. Noi non descriviamo i movimenti di una faccia, ma la definiamo in
termini psicologici, spontaneamente (Lewis 1976, 104. Cfr. PU, II, xi, 257-258).

164

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Gibson ritiene che il mondo della realt percepita, che si contrappone al mondo della
realt fisica, un mondo popolato di cose dotate di significato. La percezione coglie i
significati (Gibson 1979, 78). Sono significati percepiti direttamente (ivi, 205). Quel che il
bambino comincia a rilevare laffordance di un oggetto: il significato osservato prima
che la sostanza e la superficie, il colore e la forma vengano visti come tali (ivi, p. 215).
Nella prospettiva ecologica, laffordance rappresenta la contiguit tra organismo e
ambiente. Sostiene Gibson che un sentiero, ad esempio, offre laffordance della
camminabilit, della percorribilit (ivi, 206); un oggetto allungato quella di essere
brandito (ivi, 214). Una pietra, in diversi contesti, pu essere di fatto cose diverse: un
ostacolo, un fermacarte, un proiettile (ivi, 216).
Mi pare evidente la consonanza dellapproccio gibsoniano con la nozione di significato
proposta da Wittgenstein in polemica con Khler. Il cieco al significato cieco alla
manifestazione dellaspetto, nel senso che incapace di cogliere i diversi significati che le
cose assumono in diversi contesti o secondo diversi punti di vista.
3.2. Vedere-come e vedere un aspetto
Posso notare la fisionomia di una forchetta (la sua forma caratteristica) e paragonarla
con successo ad un rastrello. Ogni cosa, come ogni parola, ha una fisionomia definita, ma
pu esibire differenti aspetti in differenti contesti (PU, II, xi, 240). Con le cose posso
giocare, posso giocare con gli oggetti, posso cio fare teatro con le cose(BPP, II, 537).
Ad esempio, posso produrre la descrizione di un luogo utilizzando dei libri e dei quaderni.
Una cassa pu essere una sedia, dato che esibisce la caratteristica della sedibilit, in
termini gibsoniani. E il fare teatro con le cose reso possibile dall accendersi
dellaspetto (BPP, II, 507 e BPP, II, 535-537).
In BPP (ma anche in PU, II) troviamo molte osservazioni sul gioco infantile: i bambini
sono ben capaci di usare le qualit espressive degli oggetti per giocare. Un ombrello pu
sparare durante il gioco. Questa possibilit dovuta alla nostra abilit di vedere le cose in
modi diversi e di focalizzare lattenzione sui loro diversi aspetti. E questi aspetti possono
essere colti grazie allorganizzazione figurale delle cose (posso vedere un cerchio come un
buco o come un disco, ma non come un cubo, leggiamo in BPP, II, 545) e alla nostra
volont (BPP, II, 544).
Dunque, vediamo la fisionomia degli oggetti, esattamente come le loro qualit
espressive. La qualit espressiva ci balza agli occhi esattamente come la manifestazione di
un aspetto.
Il vedere-come, dicevamo, non parte della percezione. Va per notato che da questo
ultimo asserto non segue che la percezione non parte del vedere-come.
Vedere X come Y almeno vedere X, ed effettuare unappropriata connessione tra X e
qualcosa del tipo Y. Ci che costituisce unappropriata connessione varier secondo le
circostanze. [...] Affinch possa vedere X come Y, A deve possedere il concetto di Y
(Dunlop 1984, 360-361).
Questo un problema gi espresso da Wittgenstein in BPP, I, 76: possibile che
qualcuno che non conosce i conigli veda un coniglio nella figura coniglio-anatra? In PU, II,
xi, Wittgenstein sembra rispondere che il contesto pu forzare la visione: se la figura
posta tra figure di conigli pu facilmente essere vista come un coniglio (PU, II, xi, 258). Se
questa risposta non incompleta, possiamo dire che la tesi di Wittgenstein la seguente: un

165

Cristiano Mautarelli / Visione e interpretazione in Wittgenstein

aspetto pu apparire anche quando non ho le parole per definirlo. Forse posso reagire alle
qualit espressive esibite da un oggetto anche se non sono capace di descrivere loggetto
come portatore di affordances e compararlo con qualcosaltro.
La maggior parte degli interpreti di Wittgenstein concordano sullinterscambiabilt
delle espressioni vedere come e vedere un aspetto. Ma forse si dovrebbe distinguere il
vedere un aspetto dal vedere-come. Forse dovremmo cio distinguere i casi in cui
percepiamo un aspetto e i casi in cui la consapevolezza dellaspetto ci permette di effettuare
una comparazione. Distinguere fra vedere un aspetto e vedere-come permetterebbe di
capire perch secondo Wittgenstein le qualit espressive appartengono al livello della pura
visione, mentre il vedere-come presuppone processi di pensiero. Ma questo un problema
delicato che meriterebbe di essere indagato con maggior attenzione e che richiede non
pochi sforzi.

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167

ERACLITO DI EFESO: ALCUNE INDICAZIONI PER UNA PROPOSTA DI STUDIO

Massimiliano Merisi

Premessa. Lermeneutica tradizionale relativa ai Presocratici, cos come si costituita


nellantichit, a partire almeno da Platone e Aristotele, e si poi conservata per un tempo
lunghissimo fino ai nostri giorni, rappresenta in molti casi un ottimo esempio di
precomprensione ideologica di autori, letti senza tenere conto n del necessario rigore
scientifico dovuto a testi lontani e frammentari, n tantomeno di unopportuna cautela
interpretativa che consenta di isolare il detto genuino del pensatore arcaico dalla successiva
rilettura che il filosofo sistematico ha, per ragioni di vario tipo, su quello condotta.
Il caso di Eraclito, da molti punti di vista, credo si presenti come emblematico di un
certo modo di procedere degli studi di antichistica, sul versante tanto filosoficoermeneutico quanto pi propriamente filologico-esegetico: lOscuro di Efeso, infatti,
esemplifica molto efficacemente lavvenuta riduzione di un pensiero peculiare e complesso
allinterpretazione, o alle interpretazioni, che di esso sono state date in epoche successive,
entro un processo di precomprensione e semplificazione drasticamente riduttiviste.
La costitutiva ambiguit e frammentariet del detto e linsuperabile aleatoriet di ogni
opzione interpretativa, sempre interna come vedremo ad un non evitabile circolo
ermeneutico, hanno reso agevole questo tipo di deriva dellinterpretazione; la pigrizia degli
storici lha poi cristallizzata in semplificazione e luogo comune.
Di fatto, Eraclito ha subto una riduzione alla proiezione platonica e, molto pi,
aristotelico-teofrastea del suo arduo pensiero ai due topoi complementari e fortunati del
filosofo del mobilismo universale, anticipatore del nichilismo sofista, e del fisiologo
portatore dellarch del fuoco, costretto ingenerosamente entro lorizzonte angusto del
naturalismo preplatonico, mentre certi altri aspetti scandalosi del pensiero del Nostro
vengono rapidamente evacuati e neutralizzati, fra citazioni imprecise e derisorie, e
grossolane mistificazioni.1

di Eraclito. Dai frammenti alle


Riprendo qui parzialmente il tema di unampia tesi di laurea su Il
interpretazioni contemporanee, che ho discusso allUniversit di Trieste, nellanno accademico 1999-2000, sotto
la relazione della prof.ssa Linda Napolitano, con le successive puntualizzazioni apportate in occasione di un mio
seminario di Storia della filosofia antica, proposto, nel medesimo Ateneo, nellanno accademico 2001-2002.
Ulteriore occasione di approfondimento stata infine una conferenza da me tenuta nellambito dei Seminari
triestini di cultura classica, il 2 luglio 2002.
1
Il riferimento critico alle letture cosiddette tradizionali non vuole in alcun modo implicare un giudizio di
merito nei confronti delle peculiarit ermeneutiche degli antichi, le quali, come si sa, non possono certo essere
antistoricamente e anacronisticamente valutate con metri ad esse del tutto estranei. La critica va semmai rivolta a
coloro, fra i moderni e anche attuali storici della filosofia, che insistono nel fare affidamento su Platone e
Aristotele per avere unimmagine dei Presocratici storicamente e scientificamente affidabile, pretendendo in tal
modo di ottenere dai filosofi antichi ci che essi non avevano alcuna intenzione di fornire: una storiografia
filosofica, e peraltro con criteri ermeneuticamente e scientificamente adeguati, dal nostro attuale punto di vista.
Dal momento che scopo di queste pagine vorrebbe essere quello di provare a ristabilire, a livello ermeneutico, una
sorta di etica dellinterpretazione, nel senso di una lettura dellantico il pi rispettosa possibile di tutte le delicate
dinamiche in gioco, inutile dire che una critica a Platone o Aristotele come se essi facessero della (cattiva) storia
della filosofia va considerata inaccettabile. Sullinterpretazione aristotelica e teofrastea dei Presocratici ha pagine

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Credo che ancor oggi, almeno a giudicare dalle pi comuni impostazioni


manualistiche, lEfesio sia confinato nello spazio davvero inadeguato che i padri della
filosofia occidentale hanno creato, consapevolmente o inconsapevolmente, per lui: lo
spazio delle letture tradizionali, tutte in un modo o nellaltro eredit diretta del pre-giudizio
classico, platonico e aristotelico, che valso anche come etichetta quasi definitiva. E questo
con buona pace sia del pensiero di Eraclito, ben altrimenti complesso e a tratti vertiginoso e
inquietante, sia della peculiare vicenda ermeneutica di cui il filosofo stato protagonista;
con il che fatta allusione, accanto e oltre ad un errore di prospettiva filosofica e teoretica,
anche ad una, forse pi grave, mancanza di rigore da un punto di vista storico ed
ermeneutico. Non si infatti tenuto conto n del tipo di ricezione che la tradizione ha
imposto per Eraclito, impedendone una lettura pi efficace e onesta, a partire dal vero detto
eracliteo, che si muovesse magari in tuttaltra direzione, n delle complesse e sottili vicende
interpretative che hanno intrecciato attorno al filosofo, a partire dal secolo XIX, un fitto e
affascinante gioco di rimandi incrociati.
Queste ed altre situazioni problematiche creano pertanto, allo studioso che intende
procedere in una direzione pi corretta scientificamente e pi creativa filosoficamente, un
fascio di questioni corrispondenti ciascuna ad altrettante linee di ricerca e di indagine: la
somma di tutte queste prospettive cui ora mi propongo di accennare solo
programmaticamente e semmai come impegnativo piano di lavoro per successivi, accurati
approfondimenti specifici dovrebbe dare idealmente una lettura di Eraclito ben diversa da
quelle tradizionali, uninterpretazione dellEfesio che forse, nellessere pi audace e
teoreticamente connotata, sar parimenti pi rigorosa e scientificamente accorta.
1. Procedendo con ordine, occorrer innanzitutto valutare e tenere in adeguata
considerazione la gi preannunciata posizione ermeneutica peculiare nella quale Eraclito si
trova coinvolto: si tratta, nella fattispecie, di una sorta di duplice mediazione, che separa
linterprete di filosofia antica dalloggetto del suo studio, nel senso del verificarsi nella
storia della ricezione del pensiero eracliteo di due occasioni fondamentali per la costruzione
stessa della figura dellEfesio entro limmaginario filosofico occidentale.
Lo status quaestionis relativo allOscuro, per prima cosa, appare caratterizzato da una
vera e propria spaccatura ermeneutica, una linea netta di confine e separazione, posta
allinizio del XIX secolo, allepoca dellIdealismo tedesco, che suddivide in maniera molto
decisa gli studi su Eraclito e le interpretazioni che se ne danno fra un prima e un dopo.2 Per
questo, allora, lo studioso dovr necessariamente fronteggiare lautore arcaico, gestendo
con eguale rigore due strategie: da una parte, lapproccio filologico, inteso come metodo
prezioso ed insostituibile per restituire allinterprete la necessaria distanza rispetto al testo
indagato e per fornirgli anche i mezzi e gli strumenti per indagarlo nel modo meno
impressionistico e soggettivistico possibile; dallaltra lo sforzo ermeneutico e teoretico per
provare a completare lindagine nella direzione di una valorizzazione e, perch no, di una
di una certa finezza G. Colli, La natura ama nascondersiI Z[\]\ ^_[`ab\acd] Z]eb], Milano, Adelphi,
1988, pp. 35-135.
2
Il primo interprete moderno del pensiero eracliteo fu F. Schleiermacher, autore di un saggio filologicamente
molto accurato e per molti versi pionieristico, Herakleitos der dunkle von Ephesos, dargestellt aus den Trmmern
seines Werkes und den Zeugnissen der Altern, Museum d. Altertumwissenschaft, n. 1, 1807, pp. 315-533.
Questopera, per quanto pregevole e sagace dal punto di vista ermeneutico, come si pu forse intuire gi dal titolo,
ebbe molto meno fortuna rispetto alle quasi coeve, e molto pi impressionistiche, meditazioni su Eraclito di
Hegel.

169

Massimiliano Merisi / Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta di studio

interpretazione del testo entro prospettive che siano sostenibili e giustificate, ma che non
rinuncino allaudacia della krisis, del giudizio interpretante, solo in grado di rendere
giustizia alla complessit e alla densit di un testo oggettivamente oscuro e complesso come
quello eracliteo.
Il dato significativo e provocatorio costituito dal fatto che tale svolta risulta
determinata da una serie di intuizioni non solo estranee al rigore consueto della filologia,
ma spesso, si pensi ai casi emblematici di Hegel e Nietzsche e pi tardi di Heidegger,
propriamente contro un certo metodo storico-critico, che allepoca celebrava i suoi fasti, e
che viene rifiutato e condannato per tutta una serie di motivi, per altro comprensibili e
facilmente indagabili.3 Eraclito si muove da allora sempre in una sorta di circolo
ermeneutico, in virt del quale ogni intervento ed ogni cura della filologia risultano in
qualche maniera gi posteriori ad una preliminare promozione di significato, sia pur
ottenuta con mezzi arbitrari, determinata dal gesto teoretico di un filosofo. Viceversa, a
partire almeno dalledizione novecentesca di Diels e Kranz, non sar possibile per la
filosofia alcuna proposta interpretativa che non si muova da una lettura rigorosa e
scientifica dei frammenti.4
Inoltre, sia pur entro uninterrogazione esegetica radicale del testo e del contesto,
rintracciare la possibilit di una domanda che sia anche teoretica e filosofica in senso
pregnante, al di l dei limiti ristretti che la linea aristotelica e platonica impongono al
filosofo e al di l delle interpretazioni comunque arbitrarie degli Stoici o della filosofia
tedesca ottocentesca, trovo che sia non solo tuttaltro che impraticabile, ma anzi auspicabile
e doveroso, e proprio in nome di quella filologia che appunto indaga e scopre le carenze, gli
errori e le inadeguatezze delle letture, riduttiviste o entusiastiche, degli autori citati. La
radicalit filologica non si oppone per principio allinterpretazione teoretica, ma anzi, nello
sgombrare il campo da pregiudizi e luoghi comuni, ne prepara la possibilit.
Eraclito un autore arcaico che appare fin dalle origini incompreso, almeno a voler
leggere senza pregiudizi le invettive verso i contemporanei contenute nei suoi frammenti, e
questa incomprensione rivolta allenigmatico significato del suo pensiero e dovuta
presumibilmente ad uno schema positivistico e in qualche modo evoluzionistico
abbastanza discutibile adottato per costruire una storia della filosofia sulla scorta di
3

Hegel non dedica opere specifiche ad Eraclito, ma lo cita con entusiasmo nelle Lezioni di storia della filosofia,
Firenze, La Nuova Italia, 1964 (ed. or. Berlin 1842-45), vol. I, pp. 306 e sgg. In relazione alle modalit
propriamente filosofiche con cui Hegel intenderebbe, diversamente dai Greci, fare storiografia, si pu vedere S.
Nicolosi, LEraclito di Hegel e la storiografia filosofica dialettica, in Atti del Symposium Heracliteum 1981,
Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984, vol. II, pp. 105-130. Di Nietzsche, frequentatore pi assiduo ma non
meno personalizzante e ideologico, di Eraclito, si vedano, oltre alla celebre Filosofia nellet tragica dei Greci,
Roma, Newton Compton, 1991 (ed. or. Mnchen 1956), pp. 235-246, anche le lezioni universitarie di Basilea
contenute ne I filosofi preplatonici, Roma-Bari, Laterza, 1994 (ed. or. Philologica, Band III, Leipzig 1913), pp.
48-68. Quanto ad Heidegger, infine, fra i ben pi cospicui lavori da questi dedicati allEfesio, ricordo almeno
lampio corso universitario degli anni Quaranta, trad. it. Eraclito, Milano, Mursia, 1996 (ed. or. Frankfurt 1979),
poi ripreso pi succintamente in due capitoli (III, 1: Logos, e III, 3 Aletheia, rispettivamente sui frr. 50 e 16
DK) di Saggi e discorsi, tr. it. Milano, Mursia, 1976 (ed. or. Pfullingen 1957).
4
Die Fragmente der Vorsokratiker, originariamente editi dal solo H. Diels nel 1903, sono il risultato di
aggiustamenti successivi e derivano dagli studi dellA. sulla dossografia greca (Doxographi Graeci, Berlin 1879).
Lopera fu poi rinnovata da W. Kranz a partire dalla V edizione nel 1934 (da qui in poi indicata abitualmente con
la sigla DK). Ledizione cui di norma si fa riferimento in sede scientifica la sesta del 1951-2, pi volte ristampata
ma senza sostanziali cambiamenti: essa rappresenta il riferimento obbligato per ogni studio serio su Eraclito, ma
ampiamente superata, a livello esegetico, dalle molte edizioni pubblicate in anni successivi nelle maggiori lingue
occidentali.

170

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Aristotele perdurer senza sostanziali modifiche per un tempo lunghissimo, da Platone e


Aristotele, responsabili loro malgrado, come si diceva, di una lettura ideologica dellEfesio
cristallizzatasi ben presto in inossidabile e fortunatissimo luogo comune, fino appunto alla
lettura hegeliana, con le sole, ma discutibili, eccezioni dello Stoicismo e dello Scetticismo
e, in negativo, di alcuni Padri cristiani.5
Lintuizione hegeliana, peraltro basata su una controversa testimonianza aristotelica e
su una conoscenza dei frammenti molto modesta ed imprecisa, si riveler decisiva per
connotare di una valenza teoretica significativa il pensiero di Eraclito, da allora promosso a
filosofo tout court e strappato finalmente al letto di Procuste della lettura platonica e di
quella aristotelica.6
La riabilitazione hegeliana, paradossalmente, non meno arbitraria della svalutazione
dei predecessori, dal momento che prosegue anchessa nella direzione della
precomprensione ideologica e dellinclusione arbitraria del pensiero eracliteo nellalveo del
proprio sistema filosofico: per Hegel Eraclito sar quindi il filosofo della dialettica e del
divenire come identit di essere e non essere, e come tale annoverato dal filosofo idealista
fra i suoi pi limpidi ispiratori. Con questo gesto arbitrario Hegel riequilibra in qualche
modo il giudizio sullOscuro di Efeso, per il quale finalmente si aprir la strada della
valorizzazione non solo filosofica, ma soprattutto filologica, dal momento che le edizioni e
le raccolte di frammenti si succederanno dagli anni Sessanta dellOttocento, in seguito cio
al ripensamento e alla riqualificazione che il filosofo operer sullEfesio.7
Sarebbe a questo punto opportuno chiedersi se senza Hegel questo stesso interesse per
Eraclito si sarebbe comunque sviluppato, indipendentemente cio dalla inequivocabile
consacrazione del massimo filosofo moderno verso il lontano predecessore. Credo legittimo
ritenere che anche questa sia storia e che un sano e concreto realismo imponga di
considerare nel giusto modo queste svolte, che pur in sede scientifica andranno criticate e
superate: del resto la filologia e il metodo storico critico, proprio per unesigenza di rigore,
non possono non tenere in adeguata considerazione dei precisi eventi storici, a meno che
non si voglia avere delle scienze dellantichit unidea astratta o irrealistica. Anche perch,
al di l di istanze o opportunit di tipo meramente scientifico e metodologico, non bisogna
fingere di ignorare che il contributo hegeliano fu almeno da un punto di vista simbolico
decisivo per una ricentralizzazione dellinteresse teoretico verso lOscuro.
Pertanto, sia pur senza voler trarre affrettatamente delle conclusioni, facciamo solo
notare come storicamente sia avvenuto che la grande filologia si sia esercitata su Eraclito
comunque dopo che Hegel ha riservato allEfesio unattenzione radicalmente differente, da
un punto di vista filosofico e qualitativo, rispetto ai predecessori.8
5

Non possibile fare qui compiuto riferimento alle interpretazioni citate. Si rimanda pertanto allesauriente
disamina che ne danno R. Mondolfo, L. Tarn nell Introduzione a Eraclito. Testimonianze e imitazioni, Firenze,
La Nuova Italia, 1972.
6
Per quanto Hegel la citi in modo impreciso, si tratta della celeberrima A 7 DK, corrispondente a Metaph. f 3,
1004b 23.
7
Dopo i Fragmenta Philosophorum Graecorum del Mullach (Parigi 1860-61), le pi antiche edizioni
specificamente eraclitee sono quelle di P. Schuster, Heraklit von Hephesos, Lipsiae 1873, e di I. Bywater,
Heracliti Ephesii reliquiae, Oxonii 1877, che recepisce i contributi di J. Bernays del 1850.
8
Analogo discorso andrebbe fatto per quanto riguarda Nietzsche, che proprio lEfesio ha prescelto come il pi
influente fra i suoi maestri, sulla base di uninterpretazione affascinante e geniale, ma tuttaltro che scientifica, tesa
a offrire un fondamento originario autorevole allintuizione del pensiero tragico. Lesegesi eraclitea ha certo il
dovere di sbarazzarsi di Nietzsche, ma deve anzitutto riconoscere il debito storicamente contratto con lui.

171

Massimiliano Merisi / Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta di studio

2. Detto questo, c un altro e ben pi consistente motivo per cui sembra imporsi per
Eraclito lesigenza del circolo ermeneutico, ed la situazione stessa dei suoi frammenti.
Questi infatti, oltre che oscuri e irrimediabilmente parziali, sono di per s il risultato di una
preliminare opzione ermeneutica da parte del testimone, oltre la quale non dato risalire,
dal momento che proprio lesistenza stessa della figura di Eraclito e limmagine
storiografica che ce ne siamo fatta derivano esattamente da l, sono vincolate a quei pochi
brani gi frutto di una scelta e di una selezione, nel caso della Logoslehere (che poi il
punto di vista che ci sembra pi interessante) di tipo marcatamente filosofico e teologico.9
La filologia cio, che pure avr buon gioco nel distinguere criticamente le parole
dellEfesio da quelle intrecciate del testimone e nel restituire tra le varianti il testo pi
adeguato ad un pensatore arcaico, si trover tuttavia sempre in una posizione di dipendenza
insuperabile rispetto allarbitrio filosofico di chi ha citato determinati brani invece di altri,
consegnando alla storia e alla riflessione scientifica una immagine dellEfesio, che non
detto fosse anche lunica possibile. Oltre la decisione originaria di citare un frammento
invece di un altro nessuna filologia pu risalire, ed essa deve esercitare il suo rigore critico
su una base che va accolta con un atto di fede.
Ci troviamo dunque di fronte allesigenza di una collaborazione tra filologia e filosofia
determinata da una duplice mediazione: la prima quella della promozione culturale e
filosofica di Eraclito nellOttocento, sottratto cos alloblio e allincomprensione e
consegnato alla cura filologica proprio dal gesto teoretico hegeliano e poi nietzscheano,
peraltro giocato contro il metodo storico-critico. La seconda, che poi anche quella pi
originaria, consiste nel fatto che le edizioni dei frammenti, dal Diels-Kranz in poi, per
quanto accurate, rigorose e scientifiche, non possono comunque risalire oltre la preliminare
opzione ermeneutica del testimone soprattutto se filosofo, come Sesto, Clemente o
Ippolito , che, per esempio, cita quel frammento e non un altro.
Sullo sfondo di questa costante e necessaria dialettica tra scienze filologiche e storiche
e approccio filosofico e teoretico, si operer su Eraclito una lettura rigorosa e consapevole
dei propri limiti, nella quale non si tratter di far intervenire la filosofia l dove la filologia
non basti pi o viceversa, ma di giocare un metodo dentro laltro: la filologia dentro lo
spazio e le coordinate gi da sempre aperti e definiti dallinterrogare teoretico che presiede
alla costruzione della memoria materiale dellautore, e alla sua definitiva riscoperta e
valorizzazione; e allo stesso modo la filosofia soltanto potr trarre credibilit da un
confronto radicale con i risultati della scienza storica, e soprattutto dovr tenere conto del
fatto che gli stessi frammenti su cui essa esercita il suo interrogare sono gi un prodotto
dellacriba filologica, che emenda, sceglie tra varianti, elimina, modellando e
preparando il testo per il filosofo, in una circolarit perfetta.
3. La corretta considerazione di questa duplice mediazione consentir almeno di
ristabilire pi giuste proporzioni e di orientare tutto il discorso interpretativo in una
direzione pi credibile e meno arbitraria. Una delle discriminanti fondamentali, che, sia pur
allinterno di una netta opzione ermeneutica preliminare, consente una prima significativa
9
Sulla dottrina eraclitea del lgos, cos come essa apparirebbe programmaticamente enunciata nei frammenti 1,
2 e 50 DK, le testimonianze sono di Sesto Empirico, Adv. math. VII, 132-133 (1 e 2 DK), e del solo Ippolito,
Refut. IX 9,1. In particolare, per i frr. 1 e 50 le citazioni sono esclusive, mentre per il primo brano del corpus,
quella di Sesto semplicemente la pi completa, accanto a quelle parziali di Clemente Alessandrino, Aristotele e
dello stesso Ippolito.

172

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

scrematura fra le numerose letture offerte su Eraclito, in modo particolare nel corso del XX
secolo, potr essere costituita dallaccettazione o meno, per il pensiero eracliteo, di
unipotesi interpretativa unitaria, oltre le varie forme di storiografia tradizionale e in
sintonia con la probabile percezione che del Cosmo e della phsis avevano i presocratici.10
Ma la raggiunta consapevolezza di una possibile interpretazione di questo tipo che si
muova cio dalla percezione in Eraclito di un significato filosofico non banale e anzi
teoreticamente connotato e pregnante potr scaturire solamente da uninterrogazione
radicale dellautore a partire dalla materialit del testo e operando congiuntamente su due
piani paralleli e complementari: quello appunto della lettera, considerata come prodotto
della scelta filosofica preliminare e intrascendibile e del susseguente esercizio filologico, e
quello del contesto storico-culturale di Eraclito.
Il primo passo consister allora nella lettura dei frammenti eraclitei, nelle forme che la
filologia ha ricostruito e reso attendibili. La scelta dei brani da valorizzare in prospettiva
filosofica, scelta che ritengo non certo neutrale ma tutto sommato giustificabile e sensata e
soprattutto non arbitraria, punta in qualche modo alla ricostruzione, storicamente
documentata, di quello che presumibilmente il proemio o lesordio del trattato eracliteo,
fosse esso costituito di gnmai isolate, o, come molto pi probabile, rappresentasse una
composizione unitaria.
Questa scelta operativa garantir anche di procedere per una strada molto pi
sorvegliata e meno tautologica rispetto a quella di unarbitraria e fantasiosa ricostruzione
del corpus perduto, per esempio provando a sfruttare le poche occasioni che il testo stesso
ci offre nella direzione di una almeno parziale restituzione della struttura testuale originaria.
Secondo la tradizione, ad esempio, il frammento 1 DK rappresenterebbe quello di apertura
dello scritto eracliteo, che, pertanto, parrebbe esordire con un ampio e formalmente
complesso brano nel quale si parla di un non meglio precisato lgos, nominato due volte nel
giro di poche righe:11
Questo lgos che sempre gli uomini risultano incapaci di comprenderlo sia prima di ascoltarlo sia dopo
averlo ascoltato. Pur accadendo infatti ogni cosa secondo questo lgos, essi sono simili agli inesperti,
bench esperienza facciano di parole ed opere, tali quali io descrivo distinguendo ciascuna cosa secondo la
sua natura e insegnando come . Ma agli altri uomini sfugge quanto compiono da svegli cos come
dimenticano quello che fanno dormendo [tr. it. mia].

Se quindi accostiamo a questo primo frammento quello che, sempre secondo Sesto,
verrebbe subito dopo, leggiamo:12
Perci bisogna seguire ci che comune; ma, bench il lgos sia comune, i pi vivono come se avessero
una loro sapienza privata [tr. it. mia].

10

Molti editori usano suddividere i frammenti eraclitei in categorie sistematiche che raggruppano passi di
argomento affine, avallando arbitrariamente lidea che lo scritto dellEfesio fosse composto di sezioni separate,
corrispondenti ad altrettante porzioni del pensiero del Nostro.
11
La testimonianza ci data, per vie del tutto indipendenti, sia da Aristotele, Rhet. 1407 b 11, sia da Sext. Emp.,
Adv. math. VII 126. Il testo greco di riferimento, per questo e per gli altri frammenti, quello pubblicato in C.
Diano, G. Serra, Eraclito. I frammenti e le testimonianze, Milano, Mondadori, 1980 (rispettivamente nn. 1, 6 e 7)
12
Scrive infatti Sesto (loc. cit.), nellintrodurre il frammento, dopo 1 DK: %
1
V , cio proseguendo
un po, con il che resta comunque dubbio se 2 DK fosse immediatamente successivo al brano desordio.

173

Massimiliano Merisi / Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta di studio

Il fr. 50 DK, successivo a 2 DK o, secondo alcuni editori, brano iniziale dellintero


corpus (ma per ragioni estrinseche, di contenuto) pare rivelare e nascondere allo stesso
tempo:13
Ascoltando non me, ma il lgos, saggio convenire che tutto uno [tr. it. mia].

Questi brani che, con lavallo della tradizione pi consolidata e meno problematica e
sulla base di buone motivazioni storiche, testuali e filologiche, abbiamo supposto essere
iniziali e programmatici dello scritto eracliteo contengono, come si pu notare, un
riferimento insistito, certo non casuale, ad un concetto evocativo, evidenziato con modalit
marcate e peculiari, corrispondente ad uno dei termini pi ambigui e controversi dellintero
corpus eracliteo:
.
Presente in una decina di brani, questo vocabolo che altrove compare con alcuni dei
non pochi significati oggettivamente definibili, contenuti nel serbatoio semantico della sua
radice leg-14 , collocato nei tre frammenti citati in una posizione obiettivamente speciale,
dal momento che il suo significato, oltre che costitutivamente ambiguo e indecidibile,
diviene oggetto, mediante alcuni ben riconoscibili accorgimenti grammaticali e sintattici, di
una indubbia promozione semantica15. Questi passi, inoltre, sembrano accomunati da una
tonalit che potremmo definire con qualche approssimazione astratta, generale, nel
senso duplice di un carattere palesemente introduttivo come anche di una certa vaghezza o
voluta imprecisione: il preannunciato discorso ch cos pressappoco doveva suonare il
termine agli orecchi delluditorio16 non solo semanticamente promosso da un
trattamento invero eccezionale, ma anche volutamente lasciato in una radicale incertezza
e in uno stato quasi di assenza.
Queste circostanze non possono essere ritenute casuali o trascurabili: la presenza, cio,
allinizio dellopera, di un sapiente che si ritiene chiamato ad ammaestrare il suo pubblico,
di brani aventi queste caratteristiche non pu non avere una qualche influenza sul contenuto
13

Lo colloca allinizio del corpus ad esempio Bywater, Heracliti, cit., seguito in questa scelta da altri editori. Fra i
pi recenti, M. Conche, Hraclite. Fragments, Paris, PUF, 1986.
14
Gli altri frammenti del corpus eracliteo contenenti lgos sono: 31, 39, 45, 87, 108 DK; in 72 DK il vocabolo
quasi certamente unintegrazione di Marco Aurelio, mentre 115 generalmente considerato spurio. Il significato
di lgos nei brani qui sopra elencati corrisponde a misura (31 DK), fama (39), parola (87), discorso (108).
Riguardo a 45 DK, dove si fa allusione ad un lgos psychs, non ritengo sia necessario pensare a
uninterpretazione filosoficamente problematica del termine: il valore, sia pur inteso metaforicamente, di misura
credo sia perfettamente adeguato; ci che resta problematico non il significato di lgos, ma il senso complessivo
dellintera espressione. Sui valori semantici di leg-, e quindi sui significati di
e
, la bibliografia molto
vasta. Mi limito a rinviare, per due approcci metodologicamente differenti ma tutto sommato concordi nei risultati,
a G. Kittel, G. Friedrich (a c. di), Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia 1970 (ed. or. Stuttgart
1942), ad voces, e a M. Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Milano, Mursia, 1990 (ed. or. Tbingen 1966),
pp. 132-137.
15
I frammenti contengono il vocabolo lgos connotato da alcuni accorgimenti di tipo grammaticale e sintattico,
come la presenza dellarticolo determinativo, e la struttura stessa della proposizione che tende a rilevare proprio
questo termine sugli altri, dal momento che
compare quasi sempre in caso indiretto e viene evidenziato
sul resto della frase tramite un genitivo, assoluto o oggettivo, che occupa sempre la posizione iniziale del brano.
e
risulta pertanto caratterizzato da unobiettiva densit semantica, peraltro difficilmente tra-ducibile in
maniera univoca in tutte le occorrenze, senza determinare dei veri e propri cortocircuiti semantici, ove un
significato pare disdire immediatamente laltro.
16
Del valore necessariamente anche soggettivo, o comunque fonico, del lgos testimonianza oggettiva luso
reiterato da parte del filosofo del verbo # ' , ascoltare.

174

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

generale del testo. In altre parole, piuttosto insensato pensare che Eraclito esordisse
evocando un misterioso lgos, parola peraltro di uso gi comune (come attesta lo stesso
Efesio in altri brani del corpus) e dalle potenzialit semantiche gi attenuate e in via di
progressiva specializzazione, senza che questo discorso avesse un preciso significato
nellequilibrio, anche filosofico, dellintera composizione.
Mi sembra indiscutibile che Eraclito compia qui unoperazione voluta: la
contrapposizione non fra due diversi significati dello stesso termine, ma fra due modalit
tra loro non commensurabili di investire di senso unespressione, tradizionalmente
polisemica e semanticamente molto ricca. Da una parte la riduzione del concetto ad una
definizione obiettivante, in senso indifferentemente oggettivo e soggettivo, lappiattimento
su uno dei significati della radice scelto fra gli altri e secondo tradizioni semantiche e
lessicali condivise, dallaltra il mantenimento del termine nella sua integrit e potenzialit
semantica originaria, il rifiuto ostentato di ridurlo ad un referente obiettivo, la
promozione del vocabolo al di l del meccanismo della definizione, dentro lorizzonte di
una originaria polisemia che procede egualmente nella direzione soggettiva del discorso e
in quella oggettiva della raccolta, in senso tecnicamente razionale e distributivo, secondo
i valori racchiusi appunto nella radice.17
Inoltre, se da un lato notiamo nel lgos un indubbio incremento semantico, dallaltro
assistiamo ad un parallelo svuotamento del termine, ad un indebolimento talmente radicale
che il vocabolo pare perdere ogni possibile referenzialit, riducendosi quasi alla povert del
suo stesso suono che non rimanda ad altro che a se stesso. Lgos quindi si offre a noi nello
spazio duplice della promozione semantica eccezionale e di unaltrettanto radicale
riduzione, nel senso dellallontanamento da ogni possibilit significante fino quasi alla
totale inespressivit: il vocabolo cio pare talmente vuoto di significato concreto in questi
frammenti che quasi si riduce ad un puro suono originario evocativo autoreferenziale. Il
lgos, cio, pare sostanziarsi di unevidente anomalia: eterno, comune, lelemento
pi condiviso e tuttavia non niente, o perlomeno non significa niente, dal momento che
ogni definizione sembra da un lato dire troppo poco dallaltro troppo, e la parola pare
racchiudere contemporaneamente in s la totalit e il nulla, il vuoto e la pienezza.
4. Dopo il testo, la parola scritta o proferita, il passo successivo verso una rilettura
filologicamente corretta e filosoficamente creativa di Eraclito consister nel considerare il
contesto, lambiente in cui il Per physeos concepito e donato allascolto, o, in altri
termini, le caratteristiche ipotizzabili del funzionamento del pensiero eracliteo, attraverso il
confronto con altre opere coeve, e attraverso le peculiarit del linguaggio eracliteo stesso.
Penso qui in particolare al contributo di due studiosi di impostazione storico-critica,
peraltro pionieristico e precoce: Die Sprache Heraklits, di Bruno Snell, e lEraclito di
Guido Calogero, rispettivamente del 1926 e del 1936.18
Il primo, del filologo tedesco, un tentativo di accostarsi ad Eraclito attraverso
lanalisi dei caratteri del linguaggio, che sarebbe plasmato anche dal contributo della lingua
17

Pare esserci un sostanziale accordo fra gli studiosi nel rilevare in lgos/lgein un valore razionale e distributivo,
precedente o almeno compresente a quello, inizialmente latente, dichiarativo: il significato di raccolta, nel senso
di ordinata distribuzione o elencazione di oggetti, si avvicina allarcaico (anche eracliteo?) significato del
vocabolo.
18
B. Snell, Die Sprache Heraklits, Hermes, n. 41, 1926, pp. 353-381, tr. it. Il linguaggio di Eraclito, Ferrara,
Librit, 1986; G. Calogero, Eraclito, Giornale critico di filosofia italiana, n. 17, 1936, pp. 195-224 (ora in Id.,
Storia della logica antica, Bari, Laterza, 1967, vol. I, pp. 63-107).

175

Massimiliano Merisi / Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta di studio

dei lirici, e si differenzierebbe per espressivit e investimento emotivo e passionale dalla


pi lineare e oggettiva lingua omerica. Eraclito, cio, apparirebbe non come un freddo
scienziato che analizza una realt obiettivata di fronte a s, ma come chi cerca di tradurre
immediatamente in espressione linguistica ci che anche intimamente vive, senza gli
strumenti di formalizzazione logica per creare tra s e lesteriorit una distanza epistemica,
da colmare di nuovo con una mediazione logico-linguistica. Il linguaggio di Eraclito
dunque lingua passionale ed emotivamente carica, che starebbe al di qua della separazione
fra interiorit ed esteriorit, come anche fra oggettivo e soggettivo, ed caratterizzata
dallunione di aspetti contrapposti che convivono senza che ci sia avvertito come
problema, caratteristiche che sembrano peraltro denotare una forse inconsapevole
dimensione tragica, di chi anela allunit attraverso il molteplice e prova ad esprimere
linesprimibile: parte che cerca di restituire il tutto di cui essa frammento.
Il lgos per Snell non sarebbe comunque linguaggio tout court, ma abiterebbe, per cos
dire, lo spazio di un peculiare linguaggio, lingua di parole e cose fuse insieme, e non
somma di significanti o impositore di nomi. Snell coglie bene questa fusione di piani che
funzionerebbe in Eraclito e la rincorre nelle sue modalit linguistiche ed espressive, come
anche nel concetto stesso di lgos che sarebbe al contempo parola dotata di senso e
senso presente nella realt, ed esprimerebbe, secondo tipiche modalit arcaiche,
egualmente il contenuto e ci che contiene.
Il linguaggio eracliteo esprimerebbe questa condizione senza mediazioni, in maniera
ingenua e diretta, attraverso il ricorso ad un lessico e ad una serie di figure, in parte mutuati
appunto dalla lirica, assenti del tutto nel pi obiettivo linguaggio omerico. Il che poi non
significa una volont cosciente di riprodurre consapevolmente in termini oggettivi quanto
visto ed esperito soggettivamente, ch anzi una distinzione di questo genere non deve avere
molto senso per Eraclito, il quale peraltro riserva ad Archiloco le stesse critiche con cui
investe Omero o Esiodo. Per Snell, quindi, Eraclito descriverebbe, attraverso un linguaggio
naturalmente simbolico, emotivamente carico ed espressivamente connotato, il suo essereparte-del-tutto senza mediazioni logiche e senza creare una separazione fra la percezione
soggettiva della realt, la mediazione linguistica e la rappresentazione (prima logica e poi
verbale) in qualche maniera oggettivamente valida: e proprio in questa peculiare
conformazione e in questa disponibilit del linguaggio e della mentalit arcaici trover
spazio per Snell una pi adeguata riflessione sul problematico concetto di lgos, che pare
anche essere il cuore del messaggio eracliteo, o almeno quellappello iniziale che risuona
potentemente allesordio del libro.19
Non credo che sia una violenza provare ad integrare lintuizione snelliana sul lessico
eracliteo, peraltro priva di un diretto interesse filosofico, con le pi generali considerazioni
di Calogero sulla logica arcaica, che rispetto ad Eraclito funzionerebbero in maniera
particolarmente significativa, essendo lEfesio senzaltro il pi arcaico dei pensatori
occidentali. LA. definisce coalescenza di piani la condizione nella quale luomo arcaico
si troverebbe a vivere e a pensare: ovvero la costitutiva incapacit di scindere il piano
ontologico da quello logico e da quello linguistico, per cui, ad esempio, la parola
possiederebbe immediatamente una consistenza ontologica, cos come lelaborata struttura

19

Su tutte queste osservazioni, soprattutto riguardo allinfluenza del linguaggio dei lirici sullo stile eracliteo, si
veda, dello stesso Snell, anche La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Torino, Einaudi, 1963 (ed. or.
Hamburg 1946), in particolare il cap. IV.

176

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

del linguaggio eracliteo riprodurrebbe nelle sue serrate antifrasi anche il gioco degli opposti
di cui si sostanzia la vita molteplice della phsis, come anche la sua raggiunta unit.
Tutto il linguaggio eracliteo, e il concetto stesso di lgos, sarebbero funzionanti e per
noi comprensibili solo allinterno di questa originaria ed arcaicissima medesimezza di
percezioni, la cui frammentazione da parte del lettore moderno implicherebbe
inevitabilmente una mancata comprensione del pensiero eracliteo qua talis. Ne consegue, in
Calogero, uninterpretazione dei frammenti molto differente da quelle tradizionalmente
proposte, nella quale cio, pi che rilevare dei presunti valori simbolici o allusivi nelle
immagini verbali eraclitee, si cerca di dimostrare come quelle immagini, ben lontane dal
ridursi a meri giochi di parole, siano da intendersi come dotate di una loro consistenza
ontologica.
quindi lintera interpretazione del filosofo di Efeso a risultarne rinnovata e
radicalmente modificata, nel senso che risulter ora difficile, se non proprio storicamente
inaccettabile, accogliere una distinzione fra, per esempio, una fisica ed una
gnoseologia, e si dovr di volta in volta provare ad andare oltre il significato
apparentemente veicolato dal frammento per ricondurlo a quella unit percettiva da cui esso
generato. Si pensi a cosa questa lettura pu significare per le interpretazioni tradizionali
sul fuoco come arch o sulla dinamica degli opposti troppo unilateralmente intesa: il
linguaggio ed il pensiero eraclitei (che sarebbero quindi la stessa cosa) non produrrebbero
immagini significanti un contenuto altro, ma sarebbero innanzitutto essi stessi la realt
rappresentata e percepita, e immediatamente resa espressione linguistica.20
Linterpretazione di Calogero rappresenta senza dubbio uno dei tentativi pi geniali ed
economici per risolvere alla radice il problema del linguaggio eracliteo e del pensiero da
esso veicolato, anche se poi resta ambiguo se questa lettura possa effettivamente garantire
una promozione teoretica del filosofo, o non debba invece finire per ridurlo ad uno scrittore
oscuro e affascinante proprio perch ancora immaturo e privo degli strumenti concettuali e
logici necessari ad una proposta filosofica seria. Larcaismo di Eraclito potrebbe cio
corrispondere ad un giudizio di infantilismo filosofico, come, diversamente, anche ad uno
di radicale alterit delle sue categorie di pensiero rispetto a quelle successive. 21
Il vero problema, tuttavia, non sar quello di stabilire quale giudizio di merito lillustre
allievo di Gentile avesse in mente riguardo ad Eraclito, ma, molto pi radicalmente, quello
di valutare e misurare la reale consistenza e credibilit della sua ipotesi, che resta comunque
caratterizzata da una certa pesantezza teoretica e da una buona dose di aleatoriet. Verrebbe
cio da chiedersi se vero che le peculiarit del pensiero e del linguaggio eraclitei
deriverebbero dalle caratteristiche del pensare arcaico e in particolare dalla pi
radicalmente altra di tutte, che la coalescenza di piani come si spiegano allora
levidente incapacit di capire da parte dei concittadini di Eraclito, e le invettive sconsolate
da questi lanciate contro contemporanei e predecessori, addirittura lo stesso Omero, i quali,
teoricamente altrettanto (e forse pi) arcaici di lui, pure non comprendono questa unit
cui lEfesio fa oscuramente appello?
20

Per una pi esaustiva discussione di queste importanti intuizioni calogeriane sulla logica arcaica, si confronti il
capitolo primo della Storia della logica cit., vol. I.
21
Lalternativa non banale e ha un peso anche in sede di giudizio storiografico. Linterpretazione di Calogero si
presenta infatti come metodologicamente opposta rispetto a quella, teoretica, di Heidegger. K. Held, heideggeriano
moderato, ritiene ad esempio inaccettabile lipotesi della coalescenza di piani. Cfr. Der Logos-Gedanke des
Heraklit in Durchblicke, Martin Heidegger zum 80 Geburstag, Frankfurt, V. Klostermann, 1970, pp. 162-206, in
particolare 178 e sgg.

177

Massimiliano Merisi / Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta di studio

La lettura calogeriana cozza cio contro questo non banale scoglio di unapparente
diversit di Eraclito non solo da noi ma anche dai suoi stessi contemporanei, caratterizzati
come incapaci di comprendere, allo stesso modo in cui lo saranno senzaltro Platone e
Aristotele, e poi buona parte della storiografia filosofica fino ai nostri giorni. forse in
questa diversit, allora, che pu risiedere il valore teoreticamente nuovo e significativo del
pensiero eracliteo, la sua perenne attualit, la sua disponibilit ad una interpretazione
filosofica tout court?
5. Venendo poi ai cosiddetti opposti (ta enanta, termine che non compare mai in
Eraclito), ritengo che essi, entro una lettura pi adeguata, non debbano essere intesi tanto
come la chiave o la cifra della dottrina eraclitea, ma piuttosto come il dato esistenziale
intrascendibile, la condizione umana pi concretamente condivisa, che Eraclito percepisce
in tutta la sua tragica consistenza. Il suo gesto teoretico, ma anche squisitamente arcaico,
quello di pervenire allunit non facendo astrazione da questo dramma esistenziale, ma
rendendolo esso stesso la trama della xyntes, nella phsis come anche, egualmente, nel
linguaggio. La dialettica e il gioco di rimandi presenti nei frammenti eraclitei devono essere
intesi nel giusto modo, cio nella loro spontanea immediatezza, nellassenza di mediazioni
logiche: il carattere arcaico di Eraclito consiste proprio in questa sua ostinazione a voler
presentare il tutto pur facendone parte. Egli non sarebbe cio esterno o superiore alla
xyntes che descrive, n vi arriverebbe, a partire dalla molteplicit, attraverso progressive
astrazioni e formalizzazioni logiche: come Parmenide, Eraclito anela alluno e allessere
che soltanto , ma senza dedurlo da principi logico-formali incrollabili, anzi al contrario
vivendo intensamente la vertigine degli opposti e dei mutamenti della vita e del Cosmo, ma
soltanto come metamorfosi fenomenali su uno sfondo eterno ed immutabile.
Questo a mio parere anche lo spazio nel quale bisogna tentare di comprendere il
lgos: isolare una presunta dottrina degli opposti e farne lintuizione per eccellenza di
Eraclito mi sembra non soltanto banalizzarne il messaggio, infinitamente pi complesso e
pregnante, ma ancor prima commettere unoperazione antistorica, frantumando quellunit
percettiva ed espressiva, che dovremmo attenderci dal pi arcaico dei pensatori occidentali,
in una somma di intuizioni settoriali e indipendenti fuoco, opposti, lgos, anima, critica ai
presunti sapienti antichi e moderni ecc. Il frammentario e aforistico testo di Eraclito
doveva originariamente corrispondere ad un per physeos, non molto diverso da quello dei
suoi predecessori e contemporanei, poeti, filosofi o, meglio, sapienti: una descrizione della
realt, della totalit della natura, composizione profondamente unitaria, come potentemente
e inevitabilmente unitario deve esserne il messaggio.
Dando dunque credito a questa per varie ragioni probabile unitariet del pensiero di
Eraclito,22 nel senso del convergere del discorso filosofico verso un unico centro,
necessariamente lgos e opposti andranno intesi in stretta continuit, o riducendo il lgos
che apre solennemente e imperiosamente il per phseos allanticipazione prolettica della
coincidentia oppositorum, oppure leggendo la questione in modo diverso e pi
problematico rispetto allimpostazione tradizionale dellermeneutica eraclitea, allinterno
22

Si appena accennato a motivi di ordine estrinseco ovvero, oggettivo la mentalit arcaica, il confronto con
filosofi e scrittori coevi, lo stile di pensiero e di scrittura ed intrinseco, soggettivo la lettura pi persuasiva
dei brani sul lgos, le peculiarit eraclitee, la probabile pregnanza teoretica del contenuto, limplicita reductio ad
absurdum di altre proposte interpretative. Inutile dire che tutto ci meriterebbe ben pi ampie e stringenti
argomentazioni, che in questa sede non possibile sviluppare.

178

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

cio di uninterpretazione di valenza teoretica che ruoti attorno allunico principio di unit
che il testo presenta.23

23

La cosiddetta dottrina degli opposti, intesa come contenuto filosofico autonomo, potrebbe anchessa essere un
retaggio della lettura antica di Eraclito, come esempio di scetticismo per Platone o di incoerenza logica per
Aristotele, mentre sarebbe poi divenuta elemento altamente positivo e punto di forza nella successiva
interpretazione ellenistica. Anche Hegel e Nietzsche, eredi di Eraclito, a modo loro la conservano:
prefigurazione della dialettica, come identit di essere e non essere nel divenire per il primo, esempio di tragico e
giocoso dir-di-s alla vita per il secondo. Il fr. 50 DK segna il punto di massima tangenza fra la Logoslehre e la
Gegensatzlehre, fra lenunciato del lgos e lidentit di tutto ci che esiste (hn pnta, tutto uno), tangenza
che, ovviamente, non pu che essere problematica. In questa direzione, a mio parere, dovr muoversi lindagine
per una pi profonda comprensione di Eraclito.

179

LEVOLUZIONE DEL METODO NELLA MATEMATICA GRECA

Giacomo Michelacci

1. Sulla matematica greca, nellarco temporale che va dal sesto alla fine del quarto
secolo a.C., la ricerca storica ci presenta una vasta produzione di risultati che individuano
una radicale diversit tra il metodo della matematica pi antica, in particolare quello della
scuola pitagorica e il metodo deduttivo della matematica razionale. Gli antichi pitagorici
hanno costruito la loro conoscenza matematica sulla percezione e sullinduzione, come
appare dalle testimonianze sia pur tarde ma autorevoli sulla loro produzione aritmetica e
come lasciano intendere le ricostruzioni molto convincenti sullo sviluppo della teoria
musicale, che sembra essere il paradigma metodologico di tutta la loro produzione. Il
mutamento tra lorientamento pitagorico e quello razionale si manifesta gi a partire dalla
seconda met del quinto secolo a.C., a cominciare da Ippocrate di Chio di cui conosciamo
attraverso Simplicio1 le famose quadrature delle lunule del cerchio da lui studiate con luso
preminente di metodi fondati sulla dimostrazione razionale. Un altro significativo esempio
quello di Eudosso di Cnido che nella prima met del quarto secolo a.C. ha generalizzato a
grandezze qualsiasi la teoria dei rapporti e delle proporzioni, che i pitagorici limitavano al
caso dei numeri naturali, teoria che doveva rendere possibile la trattazione della
similitudine tra figure nella geometria razionale.2 Lorientamento razionale che si andava
consolidando si afferma poi definitivamente nella trattazione sistematica della geometria e
dellaritmetica che si presenta alla fine del quarto secolo con gli Elementi di Euclide.
Di fronte ad una trasformazione cos radicale dell'orientamento metodologico nella
matematica greca che ha portato ad uno spostamento definitivo dellautorit dai sensi alla
ragione, il problema che si pone di cercare di spiegarne lorigine. La tradizione antica
racconta della scoperta dellincommensurabilit e della conseguente crisi in seno alla scuola
pitagorica; nondimeno anche se, come tutto lascia intendere, questa stata la causa di quel
profondo mutamento di orientamento rimane da spiegare come, a partire da questa scoperta,
siano giunte in seno al pitagorismo quelle componenti di pensiero capaci di rifondare
lintero assetto della matematica. Su questo interrogativo non viene in aiuto alcuna
tradizione, ma un esame storico approfondito pu aiutarci a prospettare delle risposte
ragionevoli.
2. La scuola pitagorica antica ha impiegato in matematica e in modo particolare in
aritmetica, un metodo che ricalca quello che ha maturato in altri campi e soprattutto nello
studio delle armonie musicali.
La tradizione antica e la successiva elaborazione della dottrina (come quella
neopitagorica), testimoniano del fatto che la spinta originaria essa labbia ricevuta dalla
musica. Una vasta ricostruzione dell'antica teoria musicale pitagorica stata elaborata da
1

Di Simplicio, i commentari ad Aristotele, parzialmente conservati, abbondano di notizie preziose sulla storia
della matematica. Per quanto riguarda Ippocrate di Chio, nel commento In physicorum libros riprodotto un
importante frammento di Eudemo di Rodi incluso in un lungo sviluppo sulle quadrature.
2
Secondo uno scolio anonimo, la teoria di Eudosso largomento del V libro degli Elementi di Euclide (cfr.
Euclide, Opere, ed. Heiberg, Hauniae, Gyldendal, 1893-1905, t. V, pp. 280-282).

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Arpd Szab3 sulla base di una analisi filologica del lessico musicale, che ha permesso di
risalire ai concetti attraverso il recupero dei significati originari di numerosi termini
fondamentali, che scuole posteriori, in particolare quella di Aristosseno, avevano alterato.
Lo scopo di questa ricostruzione manifestamente storico, ma anche teoretico: la teoria
musicale in tal modo ricostruita, in grado di spiegare la nascita di importanti idee
matematiche dei pitagorici, come la teoria pre-eudossiana dei rapporti e delle proporzioni
che viene interpretata come un naturale correlato della musica, mentre si rende possibile la
decifrazione dei concetti di rapporto composto, rapporto doppio, di differenza e di
ordinamento di rapporti che prescindendo da quella ricostruzione sarebbero degli enigmi
concettuali e linguistici. Di questa vasta teoria considereremo alcuni concetti fondamentali
che hanno attinenza con quellunit metodologica che cerchiamo di delineare.
Lorigine della teoria risiede negli esperimenti acustici con i quali Pitagora avrebbe
scoperto le consonanze principali, esperimenti che, come racconta Gaudentius,4
impiegavano il canone o monocordo, uno strumento costituito da un regolo la cui lunghezza
veniva suddivisa in dodici parti uguali e lungo il quale veniva tesa una corda che era
destinata a vibrare. Porfirio, come rileva A. Szab,5 ci racconta che tra la corda e il regolo
era inserito un ponticello (hypagogheus) che, opportunamente posizionato, separava lintera
corda in due parti consentendo di far vibrare una sola parte della corda e di lasciar ferma
laltra. Pitagora avrebbe trovato su questo strumento le tre pi importanti consonanze note
ai greci, le cosiddette consonanze o accordi di quarta, quinta e ottava, che sono ciascuna
una coppia di suoni particolarmente graditi allorecchio, che si ottengono facendo vibrare in
un primo momento lintero monocordo e in un secondo momento una parte di questo
corrispondente a lunghezze in certo rapporto numerico con la lunghezza dellintera corda:
tre parti dellintero per ottenere la consonanza di quarta, due parti per la quinta e la met
per lottava.
Si riconoscevano in tal modo tre rapporti numerici, rispettivamente 4 : 3 = 12 : 9 per la
quarta, 3 : 2 = 12 : 8 per la quinta e 2 : 1 = 12 : 6 per lottava. Si vede allora che la
suddivisione del canone in dodicesimi, di cui parla Gaudentius, la pi comoda
corrispondendo al minimo multiplo comune delle misure 2, 3, 4.
Le lunghezze delle corde di una certa consonanza determinavano sul canone un ben
preciso intervallo, costituito dalla parte del monocordo che nel secondo momento
dell'esperimento rimaneva ferma; questo intervallo, che si chiamava diastema, era
individuato dai suoi estremi o termini che si chiamavano horoi rappresentati da due numeri
naturali che si potevano leggere sul canone. Cos nel caso di una consonanza di quarta,
quando veniva fatta vibrare l'intera corda, il ponticello sul canone era posizionato alla sua
estremit (cio sul numero 12) e si trovava sul numero 9 quando la corda vibrava una
seconda volta. Le due posizioni del ponticello individuavano i termini, gli horoi 9 e 12 del
diastema corrispondente, ma al tempo stesso individuavano anche le lunghezze delle corde
della consonanza, e perci anche i termini del loro rapporto cio del corrispondente logos
12 : 9.
Questa corrispondenza tra diastema e logos suggerita dalla sperimentazione sul Canone,
ha generato lequivalenza tra i due vocaboli, che sono divenuti sinonimi, finendo per
3

A. Szab, The beginnings of Greek mathematics, Dordrecht, Reidel, 1978.


Gaudentius, IV sec. d.C., fu autore di scritti di armonia: cfr. Musici scriptores Graeci, ed. C. Janus, Lipsiae, B.G.
Teubner, 1895, p. 341, p. 13 ss. per la testimonianza sugli esperimenti acustici di Pitagora.
5
Cfr. A. Szab, cit., p. 116.
4

181

Giacomo Michelacci / Levoluzione del metodo nella matematica greca

indicare concetti equivalenti nella terminologia dell'armonia pitagorica. Questo trova


conferma nella testimonianza di Porfirio, che nel suo Commento alla teoria dell'armonia di
Tolomeo6 scrive: Molti kanonikoi e Pitagorici dicono intervalli (diastemata) invece di
rapporti numerici (logoi). Unaltra conferma viene anche dalla Sectio canonis7 dove il
vocabolo diastema usato coerentemente per significare logos.
Ma il fatto che un vocabolo che significava ordinariamente distanza o intervallo sia
divenuto sinonimo di rapporto numerico un fenomeno che deve aver richiesto un lungo
tempo per attuarsi, come si pu ragionevolmente supporre.
Nel tempo considerevole in cui si sono occupati delle sperimentazioni nel campo
dellarmonia, i pitagorici hanno dovuto osservare che le consonanze musicali sono
indipendenti dalla lunghezza assoluta del canone, e cio che da strumenti di diverse
lunghezze si ottengono le medesime consonanze quando i rapporti di quelle consonanze
sono gli stessi, cos su due canoni di lunghezze diverse facendo vibrare lintera corda e poi
la sua met si ottiene su ciascuno l'accordo di ottava e analogamente avviene per la quarta e
la quinta se i rapporti sono 4 : 3 = 12 : 9 e 3 : 2 = 12 : 8. Dunque i pitagorici hanno finito
per convincersi che le consonanze non dipendono dalla lunghezza dei monocordi usati ma
dipendono ciascuna unicamente da una ben precisa coppia di numeri e dal loro rapporto.
Questo convincimento doveva trovare una conferma negli esperimenti di Ippaso da
Metaponto, che mostrano che passando a strumenti di tipo totalmente diverso, sono sempre
i rapporti lessenza delle consonanze. Come ricorda von Fritz,8 uno scoliasta anonimo del
Fedone platonico citando un lavoro sulla musica scritto da Aristosseno dice che Ippaso
esegu un esperimento con dei dischi metallici. Egli usava quattro dischi metallici dello
stesso diametro, fatti in modo che il secondo disco avesse uno spessore nel rapporto 4 : 3, il
terzo nel rapporto 3 : 2, e il quarto nel rapporto 2 : 1 rispetto allo spessore del primo disco.
Egli allora mostr che percuotendo una prima volta il primo disco e poi una seconda volta il
secondo o il terzo o il quarto, si otteneva un accordo di quarta o di quinta o di ottava cio
esattamente gli accordi delle corde aventi lunghezze nello stesso rapporto degli spessori dei
dischi. Anche Teone di Smirne attribuisce a Ippaso un esperimento simile,9 con quattro vasi
cilindrici uguali, il primo dei quali rimaneva vuoto mentre gli altri erano riempiti d'acqua
per la quarta parte, la terza parte e la met. In questo caso erano gli spazi vuoti ad avere i
rapporti 4 : 3, 3 : 2, 2 : 1 rispetto al primo vaso. E anche in questo caso si trovavano le
medesime consonanze come nel caso delle corde o in quello dei dischi.
Questo progredire dellosservazione doveva rendere sempre pi manifesto che le
armonie musicali non dipendono n dalla dimensione n dalla particolare materia dello
strumento che le genera, ma che la loro produzione dipende esclusivamente da numeri che
hanno fra loro certi rapporti.

Cfr. ivi., p. 113.


La Sectio canonis, opera di armonia di autore sconosciuto, costruita in modo ipotetico deduttivo alla maniera
degli Elementi di Euclide al quale viene attribuita. considerata una delle fonti pi autorevoli della teoria
musicale pitagorica. Ne stata pubblicata una traduzione commentata a cura di A. Barbera: The Euclidean
Division of the Canon, Greek and Latin Sources, Lincoln and London, University of Nebraska Press, 1991.
8
Cfr. K. von Fritz, The Discovery of Incommensurability by Hippasus of Metapontum, in Studies in Presocratic
Philosophy, ed. D. Furley, R.E. Allen, London-New York, Routledge and Kegan Paul, 1970, vol. I, pp. 382-412,
p. 387.
9
Cfr. Theon Smyrnaeus, Expositio rerum mathematicarum, Lipsiae, B. G. Teubner, 1878, p. 59; p. 97 nella trad.
di J. Dupuis, Paris, Hachette, 1892.
7

182

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

A queste osservazioni sulla musica si aggiunsero quelle sui triangoli simili, risalenti
probabilmente al primo sviluppo della scuola pitagorica. Pitagora era certamente
consapevole del fatto che formando un triangolo con tre segmenti rettilinei di lunghezze che
stanno fra loro nei rapporti 3 : 4 : 5 si ottiene un triangolo rettangolo la cui forma non
dipende dalle lunghezze dei suoi lati, ossia variando quelle lunghezze e conservando i
rapporti si trovano triangoli che conservano gli angoli e quindi come si dice in geometria
sono simili fra loro.10 Questo port facilmente a osservare che formando un triangolo con
tre segmenti qualunque, che abbiano lunghezze che hanno tra loro ben precisi rapporti
numerici, variando le lunghezze dei lati e conservando i rapporti si ottengono triangoli
simili. Quindi nel caso dei triangoli, la forma legata a dei numeri e ai loro rapporti
analogamente al caso delle consonanze musicali.
Il metodo dindagine, sia nella teoria musicale sia in geometria, mostra come a partire
dall'osservazione si cercasse di svelare i numeri e i rapporti che consentono di afferrare
l'essenza delle armonie e delle figure geometriche. Ma va sottolineato che questo afferrare
sottende lattribuzione di una validit generale a quei rapporti numerici che si sono rilevati
soltanto in un certo numero finito di casi, e questa estensione presuppone un uso,
consapevole o no, di un procedimento di induzione.
3. Le caratteristiche metodologiche fin qui osservate si presentano molto nettamente
anche nellaritmetica prodotta dall'antica scuola pitagorica, dove si rilevano come parte
integrante del metodo matematico vero e proprio.
Parlando dellIntroduzione aritmetica del neopitagorico Nicomaco di Gerasa,11 PaulHenri Michel dice che la povert dei documenti relativi allaritmetica antica conferisce
valore a questopera, in cui i problemi trattati sono specificamente pitagorici. E aggiunge
che, per la storia dellaritmetica pitagorica che precede Euclide, Nicomaco di Gerasa e gli
autori della stessa linea costituiscono una fonte che, se devessere utilizzata con prudenza,
nondimeno la migliore a nostra disposizione.
Questo testo che fu il modello greco dellInstitutio aritmetica di Boezio, di grande
importanza nella formazione del Quadrivio delle arti liberali, unopera che, come si sa,
situata tra la filosofia delle scuole neopitagorica e neoplatonica e le scienze matematiche
pitagoriche, che erano da quelle scuole coltivate e diffuse allo scopo di servire come
propedeutica ed iniziazione alla filosofia. Esso consiste di due libri composti
rispettivamente di ventitre e ventinove capitoli divisi in paragrafi e mutuamente articolati.
Lordine interno che guidato da una progressione genetica dal semplice al complesso,
rivela un intento sistematico e ununit che affiora se si raffrontano tra loro le varie parti sia
aritmetiche che filosofiche.
Fra i contenuti matematici pi importanti che vengono trattati si trovano le definizioni e
classificazioni dei numeri, le definizioni dei rapporti numerici e la loro classificazione, i

10
Cfr. T. Heath, A history of Greek mathematics, New York, Dover, 1981, vol. I, pp. 79-80; K. von Fritz, Le
origini della scienza in Grecia, tr. it. di M. Guani, Bologna, Il mulino, 1988, p. 57.
11
Nicomaco (fine del I sec. d.C.), di origine araba originario di Gerasa citt della Decapoli palestinese. Fu
posteriore al musicografo Trasillo che lui cita nel suo Manuale di armonia, ed anteriore ad Apuleio che traduce in
latino lIntroduzione aritmetica. Viveva dunque intorno all'anno 100 (cfr. P.-H. Michel, De Pythagore Euclide.
Contribution lhistoire des mathmatiques preuclidiennes, Paris, Les Belles Lettres, 1950, p. 118).

183

Giacomo Michelacci / Levoluzione del metodo nella matematica greca

numeri poligonali e solidi con le loro propriet e infine la trattazione delle medie e le loro
applicazioni all'armonia musicale.12
Malgrado la variet dei temi trattati, il testo mostra unassoluta uniformit nei suoi
procedimenti, e dunque per cogliere i caratteri del metodo basta esaminare un significativo
esempio. Consideriamo a questo scopo la seguente propriet (Libro II, XX, 5), che nei suoi
termini essenziali si presenta come segue: considerata la successione dei numeri dispari
1, 3, 5, 7, 9, 11, ...

il testo fa osservare che il primo il cubo dell'unit (1 = 13), la somma dei due termini
successivi il cubo di due (3 + 5 = 8 = 23), la somma dei tre termini successivi il cubo di
tre (7 + 9 + 11 = 27 = 33), la somma dei quattro termini successivi il cubo di quattro (13 +
15 + 17 + 19 = 64 = 43) e la verifica prosegue fino alla somma di sei termini consecutivi,
dopo di che si conclude con le parole e ci sempre.
In questo procedimento sorprende particolarmente il fatto che, malgrado la propriet
enunciata sia ben lontana dall'essere evidentemente vera per tutti gli infiniti casi che si
prospettano, nondimeno dopo una verifica nei sei primi casi iniziali, il testo conclude che la
propriet sempre vera.13
Questo esempio, che un paradigma del modo in cui l'antica aritmetica provava le sue
proposizioni, mostra in modo evidente un tacito ricorso allinduzione per enumerazione,
che gi pu scorgersi nello sviluppo delle leggi dell'armonia o nelle similitudini dei
triangoli.
Ma, come tutti gli autori moderni sono ben consapevoli, a partire da Francesco Bacone,
un simile procedimento fallace, potendo avvenire che tra gli infiniti casi non verificati si
nasconda un'istanza contraria a quanto si verificato nei casi materialmente osservati. John
Stuart Mill, parlando della conoscenza sottesa all'esperienza, ritiene che affinch una
conclusione induttiva sia valida, si debba disporre di una premessa superiore, come ad
esempio un principio di uniformit e universalit delle leggi di natura o quello di validit
generale del principio di causa. Ma, secondo Mill, questi principi sarebbero per a loro
volta derivabili unicamente per via induttiva a partire dallosservazione e per questa ragione
egli conclude che l'induzione per enumerazione resta lunica forma possibile di induzione.
La certezza a cui laritmetica dei pitagorici mostra di pervenire potrebbe celare un
principio di uniformit delle leggi aritmetiche, un principio metafisico che essi avrebbero
creduto capace di garantire che una propriet aritmetica rilevata senza eccezioni per un
numero finito di elementi di una classe infinita, potesse valere sempre e ovunque in quella
classe.
4. Quanto la dottrina aveva acquisito nel campo delle scienze matematiche, doveva
alimentare il convincimento che in tutte le cose giacciono nascosti degli incroci di numeri
legati tra loro da certi rapporti, la cui conoscenza, che viene raggiunta percettivamente,
rende afferrabile lessenza della realt. Questo quadro teoretico, che era divenuto
inseparabile da una cosmologia e da unontologia e che spingeva alla ricerca di un logos
12

Del testo di Nicomaco stata pubblicata una traduzione commentata a cura di Janine Bertier: Nicomaque de
Grase, Introduction arithmtique, Paris, Vrin, 1978.
13
Per la dimostrazione di questo teorema in termini moderni si veda T. Heath, A history of Greek mathematics,
cit., vol. I, p. 108.

184

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

nella realt tutta, doveva incontrare unistanza contraria e di grande portata, proprio nel
campo della matematica, con la scoperta che esistono coppie di segmenti e di conseguenza
che esistono figure geometriche prive di logos. Si tratta della scoperta
dellincommensurabilit tra grandezze geometriche che, come riporta la tradizione antica,
deve aver prodotto in seno alla scuola pitagorica una crisi profonda.
La ricerca storica non riuscita a dare un resoconto soddisfacente di come la
matematica pre-euclidea sia pervenuta alla scoperta del concetto intuitivo di
incommensurabilit. Recentemente Kurt von Fritz14 ha rivalutato la tradizione antica che
attribuisce la scoperta a Ippaso da Metaponto, sostenendo che il concetto nato nel V sec.
a.C., nel tentativo di determinare il logos del pentagono regolare, figura che doveva essere
familiare ai primi pitagorici che conoscevano il dodecaedro, le cui facce, come si sa, sono
costituite da pentagoni regolari uguali.15
Secondo unaltra autorevole congettura si ritiene che la scoperta del concetto di
incommensurabilit sia legata al tentativo di risolvere un problema della teoria musicale.
Nelle consonanze le lunghezze delle corde sono in certi ben precisi rapporti, per esempio
nel caso dellottava nel rapporto 12 : 6. I pitagorici si sarebbero posti il problema di
determinare la lunghezza di una corda, diciamola L, di misura intermedia tra 12 e 6 unit e
tale che potesse generare due consonanze uguali, una facendo vibrare la corda maggiore e
lintermedia L e laltra facendo vibrare questultima e la minore. E questo significa che il
rapporto tra la lunghezza della maggiore e lintermedia 12 : L doveva essere uguale a quello
tra la lunghezza dellintermedia e della minore L : 6. Si trattava cos di trovare il medio
proporzionale tra i numeri 12 e 6 e cercando di risolvere questo problema i pitagorici si
sarebbero accorti che per questi due numeri non esiste alcun numero naturale medio
proporzionale.
Di questo fatto si trova una testimonianza nella proposizione 3 della Sectio canonis che
dice che non pu esistere alcun numero (naturale) che sia medio proporzionale tra due
numeri che si trovano in un rapporto cos detto epimoro16 e la dimostrazione che ne viene
riportata del tutto simile ad una dimostrazione che si trova in un frammento di Archita
riportato da Boezio.17 Dunque stando a questa autorevole tradizione, i pitagorici sapevano
che non esiste un numero medio proporzionale tra 1 e 2, ma anche tra 3 e 2 e tra 4 e 3
corrispondenti alle consonanze di ottava quinta e quarta.

14

Nel suo articolo The Discovery of Incommensurability by Hippasus of Metapontum, cit., von Fritz propone una
ricostruzione del procedimento che Ippaso avrebbe utilizzato, consistente in una applicazione iterata del metodo
delle sottrazioni successive (antiphairesis). Si veda anche S. Heller, Die Entdeckung der stetigen Teilung durch
die Pythagoreer, Abhandlungen der Deutschen Akademie der Wiss. zu Berlin, Klasse fr Math., Physik und
Technik, 1958.
15
Eudemo di Rodi in un frammento riportato da Proclo afferma che i Pitagorici conoscevano i cinque solidi
regolari. Cfr. Proclo, Commento al primo libro degli elementi di Euclide, tr. di M. Timpanaro Cardini, Pisa,
Giardini, 1978.
16
Nella classificazione pitagorica dei rapporti, si diceva epimoro (da epi e morion = parte in pi, tradotto in latino
come superpartiens o superparticularis), il rapporto di due numeri di cui il maggiore differisce dal minore per una
parte aliquota del minore, i due termini del rapporto sono dunque del tipo n + 1 e n (dove n indica un qualunque
numero naturale). Nelle consonanze principali i rapporti tra le lunghezze delle corde sono epimori.
17
Boetius, De institutione musica, ed. Friedlein, Frankfurt, Minerva G.M.B.H., 1966, III, 1.1, pp. 285-286; si veda
anche P. Tannery, Trait grec darithmtique antrieur a Euclide, in Mmoires scientifiques, Paris, J. Gabay,
1995, vol. III, pp. 244-250.

185

Giacomo Michelacci / Levoluzione del metodo nella matematica greca

Questo pu aver portato, dice Szab,18 alla ricerca del medio proporzionale con mezzi
geometrici ed infine alla sua determinazione con una costruzione geometrica alla portata
del sapere pitagorico, fondata sulle propriet dei triangoli simili: in tal caso essa avrebbe
anticipato quella euclidea (Euclide, El., VI, 13).19 Se questa congettura vera, allora i
pitagorici avrebbero trovato una coppia di corde di importanza nella musica, di cui
sapevano per via aritmetica che non erano esprimibili con due numeri naturali e dunque
erano prive di logos.
Sia von Fritz con la rivalutazione della tradizione antica su Ippaso, sia Szab con il
riferimento alla teoria musicale, prospettano sulla nascita del concetto di
incommensurabilit, delle convincenti e ingegnose congetture. Tuttavia, malgrado la
scarsit delle testimonianze certo che Teodoro di Cirene, come si racconta nel Teeteto
platonico, dimostr lincommensurabilit rispetto al segmento unit, dei lati dei quadrati le
cui aree sono espresse dai numeri n = 3, 4, 5,...,17, che non siano quadrati di alcun numero.
Il caso n = 2 non si trova nel passo platonico perch, molto verosimilmente era gi stato
considerato prima di Teodoro, in relazione alla dimostrazione dell'incommensurabilit della
diagonale e del lato del quadrato.20 Questa scoperta, di cui Aristotele parla ripetutamente,
di grande interesse per quanto riguarda l'evoluzione della metodologia matematica e merita
perci una particolare attenzione. Secondo Aristotele21 i matematici dimostrano che la
diagonale di un quadrato incommensurabile col suo lato dimostrando che, se si assume
essere commensurabile, i numeri dispari sarebbero uguali ai pari. Come si vede, questa
indicazione molto scarna ma riporta i tratti fondamentali della dimostrazione e, come
Oskar Becker ha osservato, ogni variante possibile della dimostrazione effettiva deve
seguire questa descrizione ed egli stesso ne ha dato una versione molto semplice fondata
sull'uso del cos detto teorema di Pitagora e sul concetto di pari e di dispari, conoscenze
queste che erano alla portata dell'antico pitagorismo. Su questo punto si deve ricordare che
Becker22 stesso ha sostenuto che la teoria del pari e del dispari, che fu sviluppata non pi
tardi della met del V secolo a.C., era indirizzata verso questa dimostrazione che secondo la
sua ricostruzione si presenta come segue.
Supponiamo per assurdo che la diagonale e il lato di un quadrato siano commensurabili
e dunque che le loro lunghezze possano rispettivamente misurarsi con due numeri naturali
che chiamiamo D e A primi fra loro (se ci non fosse basta dividere le misure di quelle
lunghezze per i loro fattori comuni). La diagonale e due lati adiacenti del quadrato formano
un triangolo rettangolo isoscele. Quindi per il cos detto teorema di Pitagora si ottiene
2A2 = D2

18

Cit., pp. 176-177.


La costruzione, al pari di quella euclidea, avrebbe usato la propriet dellaltezza relativa allipotenusadi un
triangolo rettangolo di essere il segmento medio proporzionale fra le proiezioni dei cateti sullipotenusa.
20
La dimostrazione che si trovava tradizionalmente alla fine del libro X delle edizioni degli Elementi di Euclide,
nelledizione Heiberg si trova in unappendice, mentre gli editori moderni a partire dal 1829 con E. F. August la
hanno omessa dal testo euclideo non trovando alcun legame tra la dimostrazione e il resto del libro X. Nondimeno
questa esclusione non attenua limportanza di questo teorema di grande antichit, formulato molto tempo prima di
Euclide.
21
Aristotele, Analitici primi, I.23.41a23-7.
22
O. Becker, Die Lehre vom Geraden und Ungeraden in neunten Buch der Euklidischen Elemente, in Quellen und
Studien zur Geschichte der Mathematik, Berlin, J. Spring, 1936, Abteilung B, 3, pp. 533-553.

19

186

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

e dunque D2 divisibile per 2, dunque pari e cos pure D. Dunque A che primo con D
deve essere dispari. Ma essendo D pari esiste un numero M tale che
D = 2M

cosicch la precedente uguaglianza diventa


2A2 = 4M2

in cui dividendo i due membri per 2 si trova che dovr essere


A2 = 2M2

da cui risulta che A2 pari e quindi anche A pari, ma esso anche necessariamente
dispari come abbiamo appena ricavato. Si perviene cos ad un assurdo e si conclude che la
diagonale e il lato di un quadrato non sono commensurabili.
Largomento precedente una dimostrazione indiretta o per assurdo che mostra degli
aspetti rilevanti, su cui opportuno fare qualche osservazione.
Innanzi tutto si osserva che la dimostrazione si presenta in modo logicamente
ineccepibile e lascia pensare che si tratti del punto darrivo di un concetto lungamente
elaborato, nato intuitivamente molto tempo prima. Da cui nasce il problema di spiegare il
contesto in cui il concetto ha avuto origine, di trovarne la datazione, di rintracciare i
possibili percorsi che lo hanno reso possibile e in questa direzione vanno ovviamente le
ricostruzioni che sono state precedentemente accennate.
Quello che poi appare molto significativo che qui viene usato un principio logico, e
cio il principio di non contraddizione, a fini ontologici, ossia per provare lesistenza o non
esistenza di qualcosa e questo, sul piano metodologico, segna una vera e propria
rivoluzione all'interno della scuola pitagorica la cui ontologia, come si visto,
inseparabile dal momento percettivo.
5. Si presenta dunque riguardo al metodo una nuova tecnica di dimostrazione
matematica che mostra la nascita di un orientamento di tipo esclusivamente razionale e un
radicale distacco dallosservazione e dallinduzione. Per quanto riguarda lorigine di questo
nuovo orientamento, Szab non ritiene che i matematici abbiano mutato radicalmente il
loro atteggiamento spinti unicamente dal semplice studio dei numeri e delle figure
geometriche, ma che l'impulso sia venuto da speculazioni esterne alla matematica.23 Non vi
, secondo lui, alcun altro modo di spiegare perch una tradizione matematica che era
prevalentemente osservativa, improvvisamente e senza ragione apparente abbia posto
lautorit unicamente nella ragione. Il suo punto di vista che questo mutamento sia da
attribuire alla decisiva influenza della scuola eleatica.
In favore di questa tesi si pu aggiungere che leleatismo, portatore di un razionalismo
radicale, si sarebbe diffuso all'interno del pitagorismo attraverso lesercizio della dialettica
e a questo proposito non inutile ricordare che Aristotele considerava Zenone il padre della
dialettica24 e inoltre opportuno rilevare che la dialettica eleatica non altro che
23
24

A. Szab, cit., p. 217.


Aristotelis fragm., ed. V. Rose, Lipsiae, 1886, fr. 65.

187

Giacomo Michelacci / Levoluzione del metodo nella matematica greca

uningegnosa applicazione del metodo della dimostrazione indiretta. Le ultime osservazioni


mettono in luce una manifesta e molto significativa uniformit tra lapproccio dimostrativo
che emerge in Parmenide e Zenone e quello che alla base della dimostrazione
dellincommensurabilit della diagonale e del lato del quadrato.

188

LA MUSICA E LE ARTI LIBERALI NEL IX SECOLO: ORIGINI SPECULATIVE DEL


*
SAPERE TEORICO-MUSICALE OCCIDENTALE

Anna Morelli

Pi di mille anni ci separano dal secolo della Rinascenza carolingia, eppure proprio a
quellepoca che dobbiamo ritornare per veder germogliare i principi di una teoria musicale
che ancora si pone a fondamento della musica occidentale, una teoria che nasce
dallesigenza di organizzare e strutturare il canto sacro cristiano e che affonda le sue radici
nella scienza greca, trasmessa al medioevo attraverso alcune opere della tarda latinit. Nei
trattati di teoria musicale composti nel IX secolo si intrecciano infatti per la prima volta la
pratica di una musica da sempre trasmessa oralmente e gli elementi di una teoria armonica,
quella greca, inserita nel quadro speculativo neoplatonico trasmesso dal De institutione
musica di Boezio, dal commentario di Calcidio al Timeo, dal commentario di Macrobio al
Somnium Scipionis di Cicerone, dal De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano
Capella. Nei quattro secoli che dividono la stesura di questi lavori dalla loro riscoperta
(dalla fine del V secolo agli inizi del IX secolo), la continuit della trasmissione della teoria
musicale antica, pur senza mai essere consapevolmente raccolta dai cantores, fu invero
assicurata, anche se in maniera assai succinta ed elementare, dai capitoli dedicati alla
musica nelle Institutiones di Cassiodoro e nelle Etymologiae di Isidoro, assai letti nel
contesto dellinsegnamento delle arti liberali. Ed proprio in tale contesto che prende vita
la riflessione teorico-musicale dei musici, i quali seppero raccogliere la scienza
matematico-filosofica antica ed accostarla al repertorio del canto liturgico, a sua volta
analizzato e classificato secondo i criteri musicali proposti dalla teoria bizantina degli otto
modi, descritta con laiuto della terminologia del grande sistema perfetto boeziano.

1. Il posto della musica nella storia delle arti liberali


La tradizione degli studi liberali ha radici antiche. Fu infatti nel IV secolo avanti Cristo
che due grandi educatori, Isocrate e Platone, disputandosi la direzione spirituale della
giovent ateniese, plasmarono di fatto il percorso disciplinare che rimase per secoli alla
base della formazione culturale classica. Da una parte, Isocrate guard agli studi letterari
come preparatori alle discipline superiori delleloquenza e della dialettica, intesa come
larte della discussione; dallaltra, Platone riconobbe il valore propedeutico delle scienze
matematiche ai fini della formazione di uno spirito filosofico.1 Ma, fra le matematiche, fu
*

Il presente articolo si pone lobiettivo di spiegare concisamente il quadro concettuale di riferimento del mio
lavoro di ricerca analitica condotto nellambito del dottorato di ricerca che sto svolgendo entro il Dipartimento di
Filosofia dellUniversit di Trieste.
1
Quanti si occupano di geometria, di calcoli e di simili problemi [] si servono di figure visibili [] non
pensando tuttavia propriamente alle figure ma a quelle forme astratte che ad esse somigliano [] e si servono di
quelle stesse figure [] per cercare di intendere quelle realt in s che non si possono intendere se non col
raziocinio []. A me pare che tu chiami raziocinio il procedimento della geometria e delle scienze del genere, e

Anna Morelli / La musica e le arti liberali nel IX secolo

alla musica che egli attribu altissima considerazione, poich essa la scienza dei rapporti,
chiave daccesso alle leggi che reggono luniverso e strumento di comprensione della sua
armonia; unarmonia che si esplicita in consonanze perfette, come quelle che, nel mito di
Er, intonano le Sirene preposte ad ognuno degli otto fusaioli del fuso di Ananke,
rappresentazione della Necessit, che governa i moti circolari dei cieli delle stelle fisse e dei
sette pianeti, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole, Luna:
Il fuso si svolgeva sulle ginocchia di Ananke. In alto, sopra ciascun cerchio, incedeva, seguendone il moto,
una Sirena, ed emetteva una sola nota in un unico tono; e da tutte e otto derivava un armonioso concento.2

Per Platone, inoltre, la ragione stessa delludibilit del suono aiutare lanima a
comprendere larmonia che la governa:
Larmonia, poi, avendo movimenti affini ai cicli dellanima che sono in noi, a chi si giovi con intelligenza
delle Muse non sembrer data per un piacere irrazionale [] ma come alleata per ridurre allordine e
allaccordo con se stesso il ciclo dellanima che in noi si fosse fatto discordante.3

Studi letterari e formazione matematica, che comprendeva anche lo studio della scienza
musicale, apparvero pertanto dallinizio del IV secolo come costituenti quella cultura di
base, che, seguendo listruzione elementare,4 doveva introdurre il giovane allinsegnamento
pi avanzato del retore e del filosofo. In epoca ellenistica, come testimoniano, fra gli altri,
Varrone, Cicerone e Filone di Alessandria, questo percorso educativo, gi definito nella
sostanza, si struttur nel programma schematico5 che, raccolto da Macrobio e Marziano
Capella, ultimi autori pagani della tarda latinit, si trasmise poi fino al medioevo cristiano,
quando la volont di una profonda e completa comprensione del Testo Sacro rese gli
studiosi consapevoli della necessit di un aggancio con lunico patrimonio culturale che era
loro proprio, quello classico greco e latino. Daltra parte, erano gli stessi libri Sapienziali
della Bibbia a dare piena legittimazione al sapere:
Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose,
per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi,
[...]
Tutto ci che nascosto e ci che palese io lo so,

non intelligenza, come se il raziocinio fosse qualcosa di intermedio tra lopinione e lintelligenza: Cfr.
Repubblica, VI, 510c-511d, ed. N. Marziano G. Verdi, Milano, Mursia, 1990, pp. 221-222.
2
Ivi, X, 616c-617d, pp. 353-354.
3
Cfr. Timeo, IV, 47d-e, ed. G. Reale, Milano, Bompiani, 2000, p. 135. Ivi Platone parla anche della struttura
armonica dellAnima del mondo (IV, 34b-37c, pp. 99-105).
4
Alla formazione ginnica seguivano la formazione letteraria, che consisteva nel saper leggere e scrivere, nel
conoscere Omero a memoria e nel contare, e leducazione artistica, che comprendeva la danza, la musica canto e
lira o aulos e il disegno (cfr. H. I. Marrou, Les arts libraux dans lantiquit classique, in Arts liberaux et
philosophie au Moyen Age, Actes du IVe Congrs International de Philosophie Mdivale, Montral, 27/8 - 2/9
1967, Montral-Paris, Institut dEtudes Mdivales, Vrin, 1969, p. 12). La musica era, fra le arti, dimportanza
preponderante nelleducazione, poich, come spiega ancora una volta Platone, il ritmo e larmonia penetrano
profondamente nellanimo e lo toccano fortemente e la bellezza che ne consegue lo rende virtuoso (Rep., III,
401e, ed. cit., p. 93).
5
Cfr. H. I. Marrou, cit., pp. 19-22. Se la divisione del Quadrivio (termine coniato da Boezio) in aritmetica, musica,
geometria e astronomia risaliva ai pitagorici, larticolazione del Trivio (termine di origine carolingia) nelle tre
discipline della grammatica, della retorica e della dialettica rimontava solo al I secolo a.C., ovvero alla data di
compilazione del primo manuale di grammatica, quello di Dionisio di Tracia.

190

Esercizi filosofici 2002 / Contributi


poich mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte le cose.6

Cos, nel De Ordine Agostino, uomo formatosi attraverso lo studio dei classici e la
lettura dei libri dei platonici, per il quale dunque il cammino di fede gi ricerca
filosofica, pot scrivere che scopo della filosofia la ricerca della Verit e del Bene e la
contemplazione di Dio; ma la filosofia una conquista che luomo raggiunge gradualmente,
disciplinando la sua razionalit attraverso leruditio, nella pratica delle sette arti liberali,
che fungono da propedeutica, da exercitatio animi.7 Da qui, il progetto dei Disciplinarum
Libri,8 fra i quali il De musica, in cui troviamo scritto
Musica est scientia bene modulandi.
Sed [] modulari a modo esse dictum, cum in omnibus bene factis modus servandus sit.9

Scienza del modulare bene, cio del valutare razionalmente la giusta misura (poich
modulare deriva da modus, ovvero misura),10 la musica analizza il ritmo della parola come
un vero e proprio trattato di metrica per i primi cinque Libri, ma poi, nel VI, diviene studio
del numerus, inteso sia come ente matematico sia come numero ideale, modello della
Creazione e quindi Idea di Dio, e, muovendo dalle tracce sensibili giunge infine dove
spoglia da tutto ci che corporeo 11 per contemplare cos larmonia di un mondo
neoplatonicamente unificato dal primo principio.12 Propedeutica alla filosofia o filosofia
essa stessa? In Agostino il confine tra lo studio preparatorio e il pensiero teoretico labile,
confuso, e risente di una tendenza gi evidente nei primi Padri a integrare le artes liberales
alla cultura filosofica, in quanto sapere puramente teorico,13 distinto da una sapienza
superiore, la ragione illuminata dalla fede e guidata da Dio stesso, unica via allintellezione
delle Sacre Scritture.
Cos in Boezio,14 il quale riprendendo circa un secolo pi tardi lidea agostiniana della
cultura liberale come supporto teoretico indispensabile nelle discussioni teologiche e come
strumento per linterpretazione della Sacra Pagina, nel proemio al De institutione
arithmetica tracci il quadruplice cammino delle matematiche che, indagando le res quae
vere sunt, ossia le essentiae, toccano il cumulum perfectionis, cio la vera e propria
sapientia filosofica.15 La musica, in quanto disciplina matematica, appartiene pertanto alla
teoretica, pur avendo notevoli implicazioni etiche (e confluendo cos parzialmente nella
prima sezione della philosophia practica). Essa investiga larmonia cosmica, seguendo
linsegnamento di Platone; sonda lequilibrata relazione tra le parti dellanima e tra lanima
e il corpo; analizza le proporzioni che governano le consonanze tra i suoni e, attraverso
6

Sap., 7, 17-21.
Cfr. M.T. Beonio-Brocchieri Fumagalli, Le Enciclopedie dellOccidente Medievale, Torino, Loescher 1981,
Introduzione, pp. 11 e sgg.
8
Cf. J. Weisheipl, Classification of the Sciences in Medieval Thought, Mediaeval Studies, 27, 1965, pp. 54-90,
A.
9
Cfr. De musica, I 2, 2, ed. M. Bettetini, Milano, Rusconi, 1997, p. 7.
10
Ivi, Introduzione, p. vii.
11
Ivi., V 13, 28, p. 275.
12
Ivi, Introduzione, pp. v-xviii.
13
Cfr. H.I. Marrou, cit., pp. 24-25.
14
Su Boezio, cfr. J. Weisheipl, cit., A 1 e M. T. Beonio-Brocchieri Fumagalli, cit., pp. 19-21.
15
Sul problema del quadrivium come propedeutico alla filosofia oppure parte integrante di essa, cfr. U. Pizzani, Il
quadrivium boeziano e i suoi problemi, in Atti, Congresso Internazionale di Studi Boeziani, Pavia, 5-8 Ottobre
1980, Roma, Herder 1981, pp. 211-226.
7

191

Anna Morelli / La musica e le arti liberali nel IX secolo

lanalisi matematica giunge infine a comprendere che il numero principio di tutte le cose e
che ordina luniverso intero.
Studio astratto dei suoni che si relazionano tra loro seguendo le propriet aritmetiche
dei rapporti e delle proporzioni, la musica collocata nello stesso quadro epistemologico di
Boezio anche da Cassiodoro,16 per il quale tuttavia essa soprattutto unarte dai singolari
poteri etico-catartici, della quale Davide si serv per cacciare gli spiriti maligni da Saul e
riportare in lui la calma e la pace;17 lespressione dellintima armonia dellanima, sempre
presente quando luomo segue la strada del bene, assente quando cede allerrore e al male;18
infine lo strumento del quale Dio si serv nellopera della Creazione, estrinsecazione della
struttura armoniosa del cosmo. 19 Se dunque la musica si pone al principio stesso
dellordinamento del mondo, losservanza delle sue regole contribuisce alla perfezione
della vita cristiana. La felice fusione di temi neoplatonici e di immagini bibliche fece la
fortuna del capitolo de musica delle Institutiones, spesso citato e parafrasato, a volte anche
copiato in forma autonoma dallintera opera, come accadde fino al IX secolo anche per
lanalogo capitolo presente nelle Etymologiae20 di Isidoro, assai breve e decisamente meno
teorico, ma considerato dai suoi lettori validissimo supporto didattico per la sua breve e
chiara presentazione della musica vocale e strumentale.
I lavori di Isidoro e Cassiodoro contengono pressoch tutta la conoscenza sulle arti
liberali conservata nellAlto Medioevo, tramandata spesso in modo non sistematico, a volte
solo come dettaglio erudito, come avvenne in molti rappresentanti della cultura britannica,
fortemente influenzata da movimenti mistici e spirituali che rigettarono la tentazione delle
dottrine profane, piene di errori e di menzogne, strumento diabolico per distogliere il
cristiano dal cammino verso la salvezza, come lo stesso Beda le defin.21
Un tale quadro permase fino alla fine dellVIII secolo e ai principi del IX, quando
Carlo Magno, raggiunta lunit politica dellImpero, elabor una politica culturale di
uniformit spirituale che avrebbe riunito nella fede e raccolto sotto un unico ideale di
sapere popoli fino ad allora separati da lingue, leggi, tradizioni religiose e culturali straniere
tra loro. Lo sforzo di organizzazione e strutturazione degli studi perseguito da Alcuino di
York, il pi vivace sostenitore di questo ideale, e dal suo discepolo Rabano Mauro, raccolse
i suoi frutti nella generazione successiva di carolingi, sudditi di Carlo il Calvo: ad essa
appartengono Lupo di Ferrires, Incmaro di Reims, Godescalco di Orbais, Martino di Laon,
Remigio di Auxerre e Giovanni Scoto Eriugena, tenuto gi dai suoi contemporanei in
grande stima per il suo sapere. Tutti loro parteciparono alla diffusione delle arti liberali, ma
non pi compilando manuali elementari alla maniera di Alcuino, bens indagando le fonti
16
Su Cassiodoro, cfr. M.T. Beonio-Brocchieri Fumagalli, cit., pp. 21-22, e F. DElia, Senso e dimensione della
reductio ad philosophiam delle discipline matematiche nelle Institutiones di Cassiodoro, in Knowledge and
the Sciences in Medieval Philosophy, Proceedings of the Eighth International Congress of Medieval Philosophy
(S.I.E.P.M.), Helsinki, 24-29 August 1987, Helsinki, Publications of Luther Agricola Society Series B 19 1990,
vol. II, pp. 43-52.
17
Sam., 16, 14-17. Lepisodio citato in Institutiones divinarum et saecularium litterarum, II, 5, 9, ed. R.A.B.
Mynors, Oxford, Oxford University Press 1937, pp. 148-149.
18
Ivi, II, 5, 2, ed. cit., p. 143.
19
Ibid.
20
Su Isidoro, cfr. J. Fontaine, Isidore de Sville et la mutation de lencyclopdisme antique, in La pense
encyclopdique au Moyen Age, Neuchtel, Editions de la Baconnire, 1966.
21
Sulla presenza di movimenti ascetici in Spagna e, soprattutto, in Irlanda e Inghilterra, cfr. M.C. Diaz y Diaz, Les
arts libraux daprs les crivains espagnols et insulaires aux VIIe et VIIIe sicles, in Arts liberaux et philosophie
au Moyen Age, cit., pp. 37-46.

192

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

antiche e chiarificandone il pensiero attraverso annotazioni, glosse e commentari, nella


volont di non fermarsi alla lettera, ma di cercare la perfetta comprensione di testi che
celano un sapere degno di essere conosciuto per se stesso, ora noto non solo attraverso le
opere dei Padri e di Cassiodoro e Isidoro, ma anche attraverso quelle di Calcidio, Macrobio,
Boezio e Marziano Capella, e considerato non pi solo come strumento pedagogico al
servizio di una comprensione pi profonda della Sacra Scrittura, bens come cammino
autonomo e complementare di riavvicinamento a Dio. Riprendendo il pensiero di Agostino,
Giovanni Scoto, nelle glosse a Marziano, chiarisce che nel momento in cui lanima,
decaduta nelle tenebre dellignoranza a causa del peccato originale, riconosce in se stessa,
come dono della Sapientia divina, la disposizione innata allo studio delle scienze, allora
essa pu porsi in cammino verso la ricerca assidua della verit: in questo contesto le arti
liberali appaiono come qualit presenti naturalmente nellanima, la quale, dopo averne
preso graduale coscienza, le user come strada di ritorno alla sua fonte originaria, che
Dio.22
Senza dubbio Giovanni Scoto espresse nella forma pi consapevole le ragioni
teoretiche che sottesero al vivace risveglio culturale che per fu proprio dellintera epoca,
unepoca che fu testimone di un rinnovato ritorno alle fonti tardo latine, pagane e cristiane,
detentrici di quel sapere liberale ora pensato come autonomo e complementare
allermeneutica scritturale. Ma fra tutte le arti liberali, fu la musica a godere del pi grande
prestigio: linguaggio dellanima, forma di un intimo raccoglimento nella propria
spiritualit, la musica si fa canto sacro nella lode a Dio; daltra parte essa anche
espressione sensibile del Numero, pensiero di Dio, principio ordinatore delluniverso,
immagine udibile dellarmonia intelligibile impressa dal Creatore al cosmo, come ora si
poteva nuovamente leggere nel commentario di Calcidio al Timeo, nel commentario al
Somnium Scipionis di Macrobio, nel De Nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano
Capella e, non ultimo, nel De institutione musica di Boezio.

2. Fonti tardo latine per lo studio della musica nel IX secolo


Il quadro speculativo nel quale si collocano tutti i testi a disposizione dei carolingi per
lo studio della musica squisitamente neoplatonico: la scientia musica, in quanto
conoscenza delle proporzioni numeriche, il mezzo che luomo ha a disposizione per
ascendere alla contemplazione dellarmonia delluniverso, unarmonia che agli occhi del
cristiano anche e soprattutto teofania, espressione dellordine razionale e proporzionato
dun mondo creato da Dio sul modello del Numero. Sono pensieri antichi, che il monaco
sapiente gi trovava da secoli nelle parole di Agostino; ma per la prima volta, grazie allo
spessore teoretico e alla ricchezza tecnica offerti dalle fonti riscoperte, essi penetrano
lintelligenza musicale medievale, portando alla luce i tre concetti sui quali si innest
lelaborazione teorica dellarmonia occidentale:
- la nozione di altezza esatta di una singola nota, che deriva dalla dottrina della musica
celeste, secondo la quale ogni pianeta, nel suo moto sidereo, produce un suono unico e
costante;

22

Cfr. G. Mathon, Les formes et la signification de la pdagogie des arts libraux au milieu du IXe sicle.
Lenseignement palatin de Jean Scot Erigne, in Arts liberaux et philosophie au Moyen Age, cit., pp. 47-64.

193

Anna Morelli / La musica e le arti liberali nel IX secolo

- il concetto di intervallo esattamente misurabile, e lideale stesso di consonanza, che


originano dalla teoria pitagorica delle consonanze perfette, la quarta, la quinta e lottava, le
quali procedono da proporzioni numeriche matematicamente quantificabili;
- lidea di scala, cio di sistema ordinato di suoni legati tra loro da stabilite relazioni
armoniche, che consegue dalla dottrina dellarmonia delle sfere, le quali, nel compiere il
loro moto celeste, producono un armonioso concento.23
Il cammino verso la formulazione di una teoria musicale che componesse
razionalmente la tradizione orale del canto liturgico cominci gi dai primi anni del IX
secolo nel Nord della Francia, dove avevano preso a circolare copie manoscritte di trattati
fino ad allora sconosciuti o ignorati. Alcuni di essi furono largamente esplorati, e divennero
ben presto veri e propri libri di testo nelle scuole del tempo, come testimonia il ricco
apparato di glosse di cui furono presto corredati; altri, ugualmente letti ma meno diffusi
nelle scuole, costituivano un approfondimento per luomo dotto, per il filosofo. Tra questi,
il commentario di Calcidio al Timeo di Platone.24
La prima parte del Timeo, quella cosmologica, e il suo amplissimo commentario scritto
da Calcidio nel IV secolo, erano gi conosciuti nella Gallia del VI secolo, ed quindi
probabile che senza difficolt abbiano raggiunto il circolo di Alcuino e, poco pi tardi, la
scuola di Auxerre, dove sappiamo che furono ampiamente studiati. La mirabile sintesi
platonica sullorganizzazione del mondo sensibile e laffascinante dottrina dellAnima del
mondo dovettero esercitare una profonda influenza sugli specialisti del Quadrivio del IX
secolo, ma senza dubbio essi non avrebbero potuto penetrare la complessit delle teorie
platoniche senza laiuto di Calcidio, il quale ricorre anche alluso di diagrammi per
chiarificarne i pi difficili passaggi; particolarmente importanti i tre relativi allharmonica,
quello del Numero dellanima del mondo, quello delle tre medietates, laritmetica, la
geometrica e larmonica, e quello che permette di ricostruire la scala dei suoni secondo
Platone. Echi e citazioni dal Timeo compaiono gi in lavori della met del secolo: li si
ritrova nelle glosse a Marziano Capella di Martino di Laon, di Giovanni Scoto e di Remigio
di Auxerre. Tuttavia, giudicato dai pi oscuro,25 troppo complicato per un discepolo di arti
liberali, esso non venne imposto ufficialmente nel curriculum scolastico, e a tal fatto si deve
forse lesiguit delle copie sopravvissute dal IX secolo: se ne conservano infatti solo tre con
commentario26 e una senza.27

23
Cfr. M. E. Duchez, Le savoir theorico-musical dans les commentaires de Martianus Capella. La tradition
erigenienne, in Giovanni Scoto nel suo tempo. Lorganizzazione del sapere in et carolingia, Atti del XXIV
Convegno Storico Internazionale, Todi, 11-14-Ottobre 1987, Spoleto, Centro Italiano di Studi sullAlto Medioevo
1989, pp. 553-592; e N. Phillips, Lenseignement de la thorie des modes du IXe au XII e sicle, in Lenseignement
de la musique au Moyen Age et la Renaissance, Colloque, Royaumont, 5-6 Juillet 1985, Royaumont, Editions
Royaumont 1987, pp. 96-107.
24
Cfr. M. Huglo, La rception de Calcidius et des Commentarii de Macrobe lpoque carolingienne,
Scriptorium, n. 44, 1990, pp. 3-20.
25
Ivi, p. 17. La Gibson afferma che il Timeo era considerato una lettura esotica. Cfr. M. Gibson, The continuity
of learning circa 850 circa 1050, Viator, n. 6, 1975, pp. 1-13.
26
La questione in realt dibattuta, poich mentre la Phillips sostiene che il ms Paris, Bibl. Nat. Lat. 2164 fu
copiato nell800 circa nello scriptorium di Carlo Magno o in uno strettamente legato alla corte, Huglo lo
attribuisce a Fleury e lo data alla fine del X sec. Cfr. N. Phillips, Classical and Late Latin Sources for NinthCentury Treatises on Music, in Music Theory and Its Sources: Antiquity and the Middle Ages, ed. A. Barbera,
Notre Dame, University of Notre Dame Press, 1990, pp. 100-135 e M. Huglo, cit., p. 11.
27
Cfr. N. Phillips, Classical and Late Latin Sources, cit., p. 127, nota 64.

194

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Contrariamente a quanto accadde al Commentario al Timeo di Calcidio, i due Libri del


Commentario di Macrobio al Somnium Scipionis (ossia al VI Libro del De republica di
Cicerone), la cui presenza testimoniata a Ravenna nel 485 dal suocero di Boezio
Simmaco, scomparvero per ben quattro secoli, per essere ritrovati solo intorno all860 da
Lupo di Ferrires. Le teorie cosmologiche che vi si leggono, ispirate al mito di Er cui lo
stesso Cicerone si richiama, e improntate largamente al Timeo, ottennero per immediato
successo, al punto che gi nell880 circa il testo fu glossato da un certo Theoprotus. E se, da
una parte, lelogio di Platone e le numerose citazioni dalla sua opera possono aver spinto gli
studiosi del tempo ad una lettura comparata di Macrobio e Calcidio, dallaltra, la
semplicit desposizione del primo ne comport la maggior fortuna, soprattutto di alcuni
estratti, come quello, nel II Libro, sui rapporti numerici che fondano le consonanze, che fu
spesso copiato in forma isolata dal resto dellopera e si trova anche riunito al IX Libro del
De Nuptiis di Marziano Capella, sulla musica.
Vero e proprio manuale per le discipline liberali, il De nuptiis Mercurii et Philologiae
fu lopera pi importante, la pi letta e commentata nelle scuole del IX secolo. 28 Subito
dopo la sua stesura, nel V e VI secolo, fu utilizzata come libro di testo in Italia, Gallia,
Spagna e in Africa Settentrionale, insieme alle enciclopedie di Cassiodoro, che vi fa
riferimento per ben due volte, e Isidoro, che ne subisce linflusso costante pur se modesto.
Ma in et carolingia che essa vide la sua pi grande diffusione, copiata assai di frequente
e commentata gi nei primi anni dell800 da Martino di Laon, seguito nellimpresa, verso la
met del secolo, da Giovanni Scoto Eriugena, e, qualche anno dopo, da Remigio di
Auxerre. Elaborata in prosa e in poesia, si divide in nove Libri, dei quali i primi due
narrano il mito delle nozze celesti, mentre i sette successivi espongono una di seguito
allaltra le discipline del Trivio e del Quadrivio. Marziano vuol riferire al proprio figlio il
racconto che gli fece Satira: Mercurio, dovendo prender moglie, seguendo il consiglio di
Apollo decide di sposare la figlia di Fronesi (la Saggezza), Filologia; la fanciulla, superato
lesame del consiglio degli Dei ed ottenuta in dono limmortalit per il vasto sapere
dimostrato, ascende al cielo e accetta dallo sposo come regalo di nozze sette ancelle, le arti
liberali. Il De nuptiis unopera pagana, di ispirazione neoplatonica, e densa di suggestioni
pitagoriche e stoiche. Eppure, la prospettiva escatologica, il riconoscimento
dellopportunit di premi o castighi che spettano alluomo per la sua condotta sulla terra,
linteresse cosmologico inserito in un contesto religioso sono tratti che lavvicinano alla
spiritualit dei cristiani, i quali videro in Mercurio la rappresentazione allegorica di Dio e in
Filologia limmagine dellanima umana, che nellesercizio della propria razionalit, aspira
alla conoscenza, dono divino che le consente di elevarsi dalle cose terrene fino ad
assimilarsi nellimmortalit al suo Creatore. La discussione sulle arti liberali, pur
nellasperit linguistica, ben rispondeva ai bisogni dellinsegnamento, poich i contenuti vi
erano esposti in modo pi elementare che nelle opere specialistiche diffuse allepoca, come
accade nel Libro IX, dedicato ad Harmonia, la prediletta fra le ancelle di Filologia,
personificazione della musica celeste e terrena, mediatrice che regola larmonia dellanima
umana sul modello di quella degli astri. Inserita nel gi noto quadro speculativocosmologico, la trattazione sulla musica (il cui compito, in una definizione che richiama
Agostino, est bene modulandi sollertia quae rhythmicis et melicis atructionibus

28

Cfr. Marziano Capella, Le nozze di Filologia e Mercurio, ed. I. Ramelli, Bompiani, Milano, 2001, Introduzione,
pp. vii e sgg.

195

Anna Morelli / La musica e le arti liberali nel IX secolo

continetur29) non presentava le difficolt tecniche di Boezio, anche se Macrobio,


limitandosi a presentare dati e dottrine acquisiti da svariate fonti senza dare giustificazioni
teoriche, spesso manca di chiarezza e a volte cade in contraddizione.30 Daltra parte, questa
breve sintesi di scienza armonica contribu a portare alla luce le problematiche della teoria
musicale e aiut a precisare i significati della terminologia tecnico-musicale,31 venendo
presto utilizzata come studio introduttivo al De institutione musica.
Caduto nelloblio gi pochi anni dopo la sua compilazione (Cassiodoro, che pure lo
cita, non sembra averlo letto),32 il trattato boeziano ricomparve solo alla scuola palatina di
Carlo Magno, ma le sue prime glosse non sono anteriori alla seconda met del secolo,33
dato che testimonia lestrema difficolt di lettura di un testo assai tecnico, il quale tuttavia
divenne ben presto la fonte imprescindibile, il punto di riferimento assoluto per tutti i
teorici della musica dal IX secolo in avanti, che vi trovarono
- la descrizione delle qualit uditive della consonanza;
- il concetto di nota, altezza esatta di un suono;
- la questione della divisione dellintervallo di tono in due semitoni ineguali;
- un metodo matematico per la misurazione degli intervalli;
- un modello di scala;
- un sistema di nomi per designare le altezze dei suoni.
Boezio, riepilogati i principi daritmetica necessari alla comprensione delle successive
dimostrazioni e riferita la teoria pitagorica degli intervalli,34 aveva indagato un sistema
acustico rigorosamente razionale: partendo da un suono grave iniziale, egli aveva
ricostruito matematicamente il sistema perfetto greco (una scala di due ottave)
sovrapponendo due coppie di tetracordi diatonici congiunti (strutturati sugli intervalli di
semitono-tono-tono), separate tra loro da un tono; quindi, ad ogni variazione di altezza,
chiamata col termine greco proprio di ciascuna delle corde della cetra, aveva attribuito una
lettera, a partire dalla A, simbolo della nota pi bassa che si possa suonare con tale
strumento, non pensando tuttavia di riprendere la stessa sequenza di lettere allottava
superiore; infine, egli aveva parlato di sette diverse maniere di accordare la cetra, che i
Greci chiamavano tropoi o tonoi mentre i Latini modi, sette toni di trasposizione del
sistema perfetto, che evidenziavano sette procedimenti divergenti di dividere la sequenza di
toni e semitoni entro unottava (fissata entro due corde prestabilite).35 La comprensione di
29

Ivi, L. IX, 930, p. 666.


Ivi, pp. lxxxi-lxxxv. Nella prima parte del IX Libro, la definizione del tono, del semitono, del quarto di tono e
dei generi di tetracordo, lesposizione della scala di trasposizione (tropus) e dei nomi greci e latini dei diciotto toni
che la formano (che si riferiscono, come in Boezio, alle corde della cetra, e non alle altezze dei suoni), la
descrizione delle consonanze e la classificazione dei modi musicali si basano su una o pi fonti sconosciute. La
seconda parte segue prevalentemente Aristide Quintiliano (neoplatonico del III secolo) e presenta ripetizioni,
discrepanze e qualche contraddizione con la prima.
31
Cfr. M. E. Duchez, cit.
32
Cfr. U. Pizzani, Aureliano di Rome e la riscoperta del De institutione musica di Boezio, Esercizi. Arte musica
spettacolo, n. 2, 1979, pp. 7-28.
33
Cfr. M. Bernhard, Glosses on Boetius De institutione musica, in Music Theory and Its Sources, cit., pp. 136149.
34
Cfr. De institutione musica, L. II e III, ed. G. Friedlein, Leipzig 1867, repr. Frankfurt, Minerva 1966, pp. 225300. Il II Libro presenta riassunta la materia del De Institutione arithmetica, sulla base dellopera del
neopitagorico Nicomaco. Il III, dedicato allo studio matematico degli intervalli ha come fonte la pseudo-euclidea
Sectio canonis.
35
Ivi, L. IV e V, pp. 300-371. La fonte principale Tolomeo. In generale su Boezio cfr. H. Chadwick, Boezio,
Bologna, Il mulino, 1986, pp. 117-139.
30

196

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

una rappresentazione dello spazio sonoro cos analitica non poteva che essere problematica
per musici abituati a percepire il suono nella forma sincretica del canto, che solo di recente
avevano assimilato i concetti di nota individuale, di intervallo e di scala dalla lettura di
Calcidio, Macrobio e Marziano Capella, i quali tuttavia, pur offrendo un sistema di concetti
musicali, avevano solo sfiorato la scienza armonica propriamente detta, esaltandone
piuttosto lelemento speculativo e cosmologico. Daltra parte, fu proprio attraverso la via
della cosmologia aritmo-musicale neoplatonica che gli studiosi del Quadrivio avvicinarono
il De institutione musica:36 i primi timidi richiami ed esso rivelano interessi
prevalentemente teoretici, non musicologici; lentamente, per, le dimostrazioni
matematiche e le esposizioni tecnico-armoniche furono assorbite e a poco a poco adattate
dai teorici della musica alle necessit di strutturazione del canto liturgico. Cos, il trattato di
Boezio, lunica tra le fonti della tarda antichit disponibili nellAlto medioevo ad esaurire i
temi principali della scienza armonica, con 135 copie, di cui la met glossate, divenne la
principale opera di riferimento per la riflessione sulla musica fino al XV secolo.
Fu nellambito del movimento di riforma liturgica, inerente al pi vasto progetto di
unificazione culturale dellImpero carolingio, che si volle legittimare il ruolo del canto,
linguaggio universale della comunit dei credenti, nella consapevolezza del suo valore a
sostegno della Parola Sacra. Ora, la musica non poteva accrescere la sua legittimit che
attraverso una disciplinata sottomissione del cantus alla scientia. Fu questo il progetto
intellettuale alla radice del discorso medievale sulla musica, un discorso nuovo, che volle
piegare una realt sonora vivente entro precise norme razionali:37 gi nellVIII secolo, una
prima categoria di opere teorico-pratiche chiamate tonari, fondandosi sulla teoria bizantina
dellochtoechos, aveva classificato il repertorio liturgico sulla base di otto modi, che si
distinguevano tra loro per le rispettive caratteristiche melodiche e intervallari. Verso la fine
del IX secolo Hucbald di Saint Amand, nel tentativo di giustificare teoreticamente i modi
ecclesiastici, rilesse il sistema perfetto boeziano nei termini di una struttura di quattro
tetracordi discendenti che richiamavano la formula dintonazione del primo modo; qualche
anno dopo il trattatista anonimo dellAlia musica identific gli otto modi ecclesiastici con
gli otto toni di trasposizione individuati da Boezio. Si realizz in tal maniera la singolare
fusione tra la dottrina boeziana e il sistema modale del cantus planus. A questa teoria
furono giustapposti i concetti matematici della scienza armonica tardo-antica, tratti da
Boezio e dalle altre fonti di tradizione neoplatonica. Ma bisogner aspettare pi di un
secolo per vedere, nella scuola di Reichenau, coordinare tra loro la nozione di consonanza
di quarta, quinta e ottava con lidea di qualit modale, il sistema degli otto modi con la
struttura della doppia ottava boeziana nella costruzione tetracordale di Hucbald; elementi
fino ad allora considerati indipendenti o dei quali non era stata ancora chiarita
teoreticamente la relazione.38
Tutto questo lavoro intellettuale si dispieg nel silenzio delle fonti: lunico testo tardolatino ad essere usato da tutti i teorici carolingi fu il De institutione musica, pur se spesso
36
In realt in Boezio non mancano riferimenti alle teorie di Aristosseno, grande allievo di Aristotele:
imprescindibilit del dato percettivo; definizione qualitativa di suono e di intervallo; moto continuo e discontinuo
della voce. Ma lAlto Medioevo, che non conobbe Aristotele, non li comprese o li sottovalut.
37
Cfr. C. Meyer, Les traits de musique, Brepols, Turnhout, 2001, pp. 49 e sgg.
38
Una chiara sintesi di questi argomenti si pu leggere alla voce mode in The New Grove Dictionary of Music
and Musicians, S. Sadie (ed.), London, 1980, pp. 376-391.

197

Anna Morelli / La musica e le arti liberali nel IX secolo

non compreso o anche frainteso; il De nuptiis fu citato solo sporadicamente; Calcidio fu


utilizzato solo dai trattati Enchiriadis, i soli peraltro a contenere estratti dal De musica di
Agostino39 e dal De die natali40 di Censorino; infine, dellinsegnamento di Macrobio non si
trovano tracce fino al X secolo. Sorprendentemente, la seconda fonte pi citata dopo Boezio
Cassiodoro.41 Come mai questo silenzio? Noi, oggi, possiamo solo fare delle ipotesi.
Scritti da maestri delle scuole monastiche o cattedrali, oppure da cantori incaricati
dellinsegnamento ai pi giovani, i trattati di teoria musicale dellAlto Medioevo furono
animati da un vivo intento pedagogico, che, rifuggendo le complessit speculative delle
fonti antiche, scelse un linguaggio semplice ed elementare, adattandolo alle pi immediate
necessit di comprensione del discorso armonico avvicinato alla pratica del canto. Ci non
ci autorizza per a dimenticare che senza i concetti di nota, intervallo, consonanza, struttura
scalare, appresi dalla trattatistica neoplatonica tardo-latina la teoria musicale occidentale,
quale ancor oggi noi conosciamo, non sarebbe nata.

39

Nel IX secolo circolano sia copie che estratti dal De musica, che fu la prima fonte tardo latina sulla musica ad
essere estensivamente glossata (ms. Tours, Bibl. Mun., 286). In realt esso suscit ben poco interesse, a causa del
suo contenuto, che per i primi cinque Libri concerne ritmo e metro, concetti che sfuggono in una teoria musicale
che ancora non quantifica la durata del suono. Pi attenzione ricevette il VI Libro, per le sue considerazioni
neoplatoniche sui rapporti fra lanima e Dio. Cfr. N. Phillips, Classical and Late Latin Sources, cit., pp. 120-126.
40
Poema cosmologico neoplatonico del III sec. Ivi, pp. 119-120.
41
Ivi, pp. 132-135.

198

IMPLICITO E NON DETTO NELLA DIVULGAZIONE SCIENTIFICA:


ESEMPI DAL DISCORSO SULLA CLONAZIONE

Simona Regina

1. Il processo di comprensione testuale non si esaurisce nella sola comprensione di ci


che esplicitamente detto nel testo, cio non pu limitarsi ad un processo di decodifica.
Infatti, per comprendere pienamente qualsiasi tipo di testo opportuno saper leggere non
solo la superficie testuale, poich esiste un divario tra i significati letterari delle espressioni
linguistiche usate e i significati effettivamente comunicati dal testo, ma anche attivare
processi inferenziali in grado di cogliere e esplicitare leffettiva ricchezza dei contenuti
informativi.
ampiamente condiviso, del resto, dalla comunit di studiosi del linguaggio che un
enunciato comunica molto di pi di quanto asserisca: il problema sta nello stabilire in quale
misura ci che non detto esplicitamente contenuto implicitamente negli elementi
lessicali e nella struttura sintattica dellenunciato (Bertuccelli Papi 2000). Da qui
limportanza che riveste la pragmatica linguistica per il suo approccio alla comunicazione
implicita. Nello studio degli impliciti che ogni testo porta con s, si pu fare distinzione a
fini pratici, ma sulla scorta di teorie formulate nell'ambito della pragmatica linguistica, tra
presupposizioni e implicature: strumenti privilegiati di esplicitazione che fanno dire ad un
testo pi di quanto esso asserisca esplicitamente e a cui utile fare riferimento ai fini di una
profonda comprensione testuale e dell'acquisizione di nuove conoscenze.
Linformazione implicita parte integrante di ci che un testo comunica: gli impliciti,
infatti, non possono essere assimilati a un difetto di cattiva scrittura, n tanto meno
associati ad un fenomeno presente in situazioni comunicative male impostate. Parafrasando
Grice (1993), ci che comunicato proprio la somma di ci che detto (riconducibile al
significato verocondizionale) pi ci che implicato in virt della situazione comunicativa
e di convenzioni linguistiche. Partendo proprio dallassunto che gli impliciti sono un tratto
intrinseco del linguaggio verbale e nel contempo uno strumento di comunicazione, con
questo lavoro mi prefiggo di sottolineare come presupposizioni e implicature possono
fornire un contributo pragmatico al problema delle difficolt di comprensione.1 Mettere in
contrasto, inoltre, limplicito con il non detto mi consentir di sottolineare come a volte le
difficolt di comprensione dipendono da carenze vere e proprie nella scrittura del testo.
Pur non intendendo approfondire in questa sede i problemi teorici riguardanti la
dimensione testuale implicita, il caso di ribadire che la comprensione di ci che
presupposto e implicato una condizione necessaria perch la comprensione del testo si
realizzi. Presupposizioni e implicature sono strategie testuali implicite che in maniera
diversa contribuiscono a delineare il contesto comunicativo. Le presupposizioni sono
1

Nel corso degli incontri dedicati allanalisi del testo scritto da me tenuti presso il Dipartimento di Filosofia
nellambito del Laboratorio di analisi del discorso (a.a. 2001-2002) si focalizzata lattenzione proprio sul
contributo che la pragmatica linguistica pu dare allo sviluppo di capacit di lettura e comprensione critica.

Simona Regina / Implicito e non detto nella divulgazione scientifica

informazioni implicite o formulate nel testo, la cui verit data per scontata. Nella
definizione di Stalnaker (1973), le presupposizioni sono gli assunti condivisi dagli
interlocutori che costituiscono lo sfondo del loro scambio comunicativo: il contenuto
dellinformazione presupposta, cio, si considera parte del contesto. Se, infatti, non
condividiamo le presupposizioni del parlante o autore del testo rischiamo di fraintendere e
compromettere lesito dellinterazione comunicativa. La presupposizione pu essere
considerata come sfondo di unasserzione anche in altro senso, cio in quanto proposizione
la cui verit necessaria perch lasserzione che la presuppone abbia un valore di verit
(Strawson 1950). Le presupposizioni sono identificabili a partire da singoli aspetti lessicali
o costruzioni sintattiche, definiti attivatori presupposizionali: elementi linguistici che
veicolano la presupposizione come parte del proprio contenuto e hanno la facolt di porre
qualcosa nel discorso come un dato da assumere come incontrovertibile e scontato. Al loro
riconoscimento legata la pratica dellesplicitazione del carico informativo da loro
trasmesso. La funzione, cio, degli attivatori presupposizionali proprio quella di indicare
che parlante e ascoltatore devono prendere per vero il contenuto dellinformazione
presupposta. Conoscere il potere presupposizionale di queste espressioni linguistiche
importante perch consente di specificare gli elementi informativi e di attualizzarli, cio
esplicitarli. Sono attivatori presupposizionali i verbi di giudizio, di cambiamento di stato,
fattivi, le espressioni iterative etc. (Levinson 1985).
Altro sono invece quelle presupposizioni che dipendono da un processo di
comunicazione nel corso del quale certi termini, pur non avendo un potere
presupposizionale codificato, vengono inseriti in enunciati che comportano un riferimento.
Si tratta delle cosiddette presupposizioni desistenza, instaurate da nomi propri e da
descrizioni definite. In pratica se un enunciato tratta di una qualche entit, lesistenza di
questa entit deve essere assunta incontrovertibilmente. In questo caso si inserisce nel
processo comunicativo un elemento nuovo, la cui esistenza viene assunta sullo sfondo in
virt delluso del nome proprio e della descrizione definita; latto stesso di menzionare
qualcosa crea la propensione esistenziale (cfr. Bertuccelli Papi 1993; Eco 1990). Analogo
implicito da ritenersi presente nelluso di frasi nominalizzate introdotte dallarticolo
determinativo, solo che anzich lesistenza di un oggetto si presuppone il verificarsi del
fenomeno descritto dalla frase sottoposta a nominalizzazione. Le presupposizioni possono
essere attivate anche da secondarie temporali (implicite e esplicite) o da relative non
restrittive, incisi, parentesi: la frase secondaria o incidentale, in questi casi, rispettivamente
formula e afferma esplicitamente ci che lintero enunciato presuppone.
Se le presupposizioni sono gli assunti la cui verit i parlanti devono dare per scontata,
le implicature invece associano a ci che asserito un contenuto informativo addizionale, ci
autorizzano cio a inferire altri contenuti di senso con valore informativo (cfr. Sbis 1999
c). La nozione di implicatura fornisce una spiegazione di come sia possibile intendere pi di
quanto si dice effettivamente, cio pi di quanto espresso letteralmente tramite il
significato verocondizionale delle espressioni linguistiche enunciate.
Grice, che stato il primo ad elaborare la nozione di implicatura, distingue
limplicatura convenzionale da quella conversazionale a seconda del modo in cui sono
attivate dal testo. Dal momento che non tutto ci che vogliamo intendere codificato
esplicitamente in quello che diciamo, una parte strutturalmente scaricata su un
meccanismo inferenziale. Quando linferenza ha come assioma il principio di cooperazione
(cio lassunto della cooperativit del parlante) e le massime ad esso allegate, si tratta di

200

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

unimplicatura conversazionale. Quando, invece, linferenza non deriva da principi


pragmatici sovraordinati quali le massime, ma semplicemente attaccata per convenzione a
particolari espressioni o elementi lessicali Grice parla di implicatura convenzionale.
Tracciate le caratteristiche fondamentali di presupposizioni e implicature, a questo
punto opportuno ricordare che per avvalersi della pragmatica linguistica per potenziare la
comprensione testuale necessario essere consapevoli che un testo comunica
implicitamente certe cose e non altre. Vanno cio distinti gli impliciti veri e propri da altre
inferenze che si possono trarre da un testo, ma che non possono essere considerate parte
integrante di esso. Capire del resto quali movimenti cooperativi il lettore deve mettere in
atto al momento della fruizione di un testo, significa riflettere sul testo, sui suoi meccanismi
di coesione, costruzione e organizzazione, sulla sua capacit informativa esplicita e
implicita. Intento per che non deve indurre a confondere gli impliciti con le lacune vere e
proprie di un testo, cio con quello che il testo non comunica affatto: il non detto.
2. Un genere discorsivo che oggi svolge una funzione importante, e che inoltre
interessante da studiare sotto il profilo della comunicazione implicita, costituito dalla
divulgazione scientifica e in generale da tutti i discorsi che si propongono di comunicare
concetti e risultati scientifici al di fuori dellambito delle scienze. La divulgazione implica
luso consapevole del trasferimento delle informazioni per consentire alla gente di formarsi
opinioni ben fondate. Eppure la capacit di capire e valutare il sapere scientifico e le sue
applicazioni pratiche non affatto scontata. Non da sottovalutare, infatti, la difficolt di
comprensione dovuta, in parte, alla scarsa conoscenza dei metodi e procedimenti scientifici
e in parte al fatto che le scienze sono saperi specialistici, che ai profani appaiono criptici ed
oscuri. Pur tuttavia, importante rendere disponibile il pensare, le scoperte e i nuovi
traguardi alle persone non direttamente impegnate nellimpresa scientifica: importante
quindi il ruolo di chi divulga linsieme dei risultati della ricerca da unarea specialistica a
quella del pubblico. Per renderlo partecipe e aggiornato sulle sfide della ricerca scientifica,
tanto pi che molteplici sono le riflessioni di carattere etico connesse alla scienza applicata
(basti pensare al recente dibattito sulle biotecnologie). Se il linguaggio scientifico un
linguaggio specialistico, tecnico, spesso proprio da iniziati, necessario rivedere con
attenzione i nessi che si possono stabilire tra di esso e il linguaggio ordinario. Si deve tener
conto, in tutto questo, del fatto che la tradizionale posizione di antagonismo tra linguaggio
della scienza e linguaggio del senso comune non pu essere intesa come uno iato
incolmabile. Gli estensori di testi giornalistici di argomento scientifico devono riuscire a
varcare il ponte fra il linguaggio ordinario del senso comune e il linguaggio tecnico e
specifico delle scienze.
A questo fine auspicabile una sistematica attenzione alla chiarezza, alla
comprensibilit, alla comunicabilit del discorso scientifico. Difendere la chiarezza non
vuol dire carezzare la pigrizia dellascoltatore o del lettore, n sottovalutare il ruolo assolto
da queste figure nel processo comunicativo. La chiarezza valorizza sempre il lettore (o
lascoltatore), premia le sue competenze linguistiche, lo invita ad una lettura consapevole.
Ma la chiarezza espositiva, seppur auspicabile, non sempre ci che contraddistingue i testi
effettivamente prodotti. Una maggiore attenzione, allora, agli impliciti pu rivelarsi
interessante. Studiare il discorso della divulgazione scientifica dal punto di vista degli
impliciti pu servire a far comprendere non solo quello che il testo dice, ma anche come lo
dice: in quale lavoro inferenziale viene coinvolto il destinatario per acquisirne un sapere.

201

Simona Regina / Implicito e non detto nella divulgazione scientifica

Pu inoltre suggerire a chi scrive questo tipo di testi un miglior monitoraggio della propria
produzione.
Passer ora a prendere in considerazione alcuni articoli di argomento scientifico tratti
da quotidiani, applicando ad essi le strategie di esplicitazione precedentemente definite per
mostrare come i contenuti comunicati implicitamente e/o dati per scontati siano
strettamente collegati ad aspetti della forma linguistica e/o del contenuto esplicito del testo.
Mi propongo anzitutto di evidenziare, attraverso gli esempi riportati, alcuni dei modi
principali in cui le varie strategie di esplicitazione trovano applicazione nella lettura di tali
articoli. Ribadisco che per la comprensione necessario capire pi di quello che nel testo
esplicitamente detto. indubbio che v sempre una pi o meno grande possibilit di
espansione offerta dalle indicazioni linguistiche testuali, indipendentemente da quella che
pu essere definita lenciclopedia del lettore, cio le sue conoscenze pregresse
sullargomento. Ci significa che la parafrasi ampliata di un testo unoperazione
accessibile anche a chi non abbia gi a disposizione conoscenze sulle tematiche proposte,
purch abbia sufficienti abilit pragmatiche (Rodari e Sbis 1989). In secondo luogo,
mostrer come gli articoli analizzati lascino a volte nel testo lacune non colmabili.
Gli articoli che esaminer si riferiscono alla clonazione umana, argomento che ha
suscitato un grande clamore mediatico non solo per i nuovi traguardi raggiunti dalla
scienza, ma forse ancor pi per le questioni etiche che il caso solleva:
CELLULE STAMINALI NON SPECIALIZZATE: 28 dicembre 2000, La Repubblica.
USA, PRIMA CLONAZIONE DI UN EMBRIONE UMANO: 25 novembre 2001, La Repubblica.
NON C NIENTE DI RIPROVEVOLE: 27 novembre 2001, Il Piccolo.

Il primo di questi articoli una breve scheda con funzioni esplicative sulle cellule
staminali. Il secondo riporta la notizia dell'annuncio dato da un'istituzione di ricerca
americana dellavvenuta clonazione di un embrione umano. Il terzo, a firma del prof.
Arturo Falaschi, Direttore del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia
di Trieste, un commento a tale annuncio.2
3. La presupposizione, nel suo uso autentico, veicola uninformazione gi nota agli
interlocutori. cio una strategia testuale che ha la facolt di introdurre nel discorso
uninformazione collocandola sullo sfondo di ci che si sta affermando esplicitamente, cos
da assumerla come vera e scontata, condivisa quindi da chi ascolta o legge. La letteratura in
proposito ha spesso sottolineato che per un buon funzionamento della comunicazione, le
presupposizioni devono essere condivise dal parlante e dal suo interlocutore prima della
produzione e ricezione del testo che le veicola. Tuttavia va segnalato anche un uso
informativo della
presupposizione:
alcuni
enunciati
contengono attivatori
presupposizionali, ma linformazione data per presupposta in realt nuova. In questo
caso si parla di accomodamento delle presupposizioni (Lewis 1979), in virt del quale
linformazione comunicata attraverso una presupposizione, seppur non condivisa da chi
fruisce il testo, va ad aggiungersi agli assunti che fanno da sfondo dellinterazione verbale
in atto. Questo uso delle presupposizioni per veicolare informazioni nuove
2

Questi articoli sono stati esaminati nel corso degli incontri dedicati allanalisi del testo scritto.

202

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

particolarmente frequente nella stampa, almeno italiana. Molto spesso, ad esempio, gli
antefatti di eventi di cronaca vengono comunicati in forma presupposizionale: comunicare
attraverso la presupposizione consente a chi gi informato di procedere velocemente
nella fruizione del testo, a chi invece non ha conoscenze sullargomento di recuperare
linformazione che gli manca.
Le presupposizioni informative o potenzialmente tali, insieme ad alcune implicature,
giocano un ruolo importante anche nella divulgazione scientifica.
Consideriamo:
Le cellule staminali sono cellule immature, cellule neonate non specializzate e potenzialmente in grado di
svilupparsi in alcuni tipi di tessuti [...] si distinguono in totipotenti, capaci di trasformarsi in qualsiasi tipo di
tessuto, pluripotenti, che si trasformano solo in alcuni tipi di tessuti, o unipotenti, che possono dar luogo
soltanto ad un tipo cellulare. (La Repubblica, 28/12/2000).

Qui, indipendentemente se il lettore sappia o meno a che cosa ammonta la distinzione


tra cellule staminali totipotenti, pluripotenti e unipotenti, pu recuperare tali informazioni
dalle relative non restrittive (il cui contenuto, bench esplicito, presupposto). Anche la
forma appositiva cellule immature, cellule neonate [] pu essere sviluppata in un
enunciato indipendente e comunica implicitamente una definizione dellimmaturit delle
cellule. Esempi di questo tipo servono anche a sottolineare il ruolo delle strategie
pragmatiche nellacquisizione del lessico: esplicitando linformazione implicita si possono
apprendere definizioni.
Lo stesso articolo, e proprio nel passo sopra citato, risulta intessuto di spazi bianchi
che non possono essere attualizzati dal lettore: contiene cio lacune informative non
recuperabili attraverso una parafrasi ampliata. Nel dire, ad esempio, che le cellule staminali
sono potenzialmente in grado di svilupparsi in alcuni tipi di tessuti e che le pluripotenti
si trasformano solo in alcuni tipi di tessuti, omette di dire in quali tipi di tessuti possono
trasformarsi. Se siamo interessati a capire che cosa determina il tipo di tessuti in cui una
cellula pu svilupparsi, dobbiamo integrare il testo con nozioni provenienti da altre fonti:
integrazione che non va confusa con gli impliciti veri e propri.
Larticolo, che inserito nel corpo della pagina come approfondimento scientifico al
fine di chiarire largomento, anche in altre sue parti risulta intessuto di non detto.
Consideriamo la descrizione delle cellule staminali autologhe:
Sono isolate dopo che il nucleo di una cellula somatica adulta viene trasferito in una cellula uovo privata del
suo nucleo. Si ottengono cos cellule dotate dello stesso patrimonio genetico del donatore e possono essere
trapiantate senza rischio di rigetto. Questa tecnica stata impropriamente chiamata clonazione terapeutica.
(La Repubblica, 28/12/2000)

Il lettore pu non recuperare facilmente cosa si deve intendere per cellule autologhe
e come si ottengono. La secondaria temporale introdotta da dopo che veicola come
presupposta linformazione inerente il trasferimento del nucleo da una cellula somatica a
una cellula uovo. Il connettivo cos rimanda a tale procedimento? Allora sono le cellule
staminali autologhe ad avere lo stesso patrimonio genetico del donatore? E poi, ancora, il
testo non chiarisce perch questa tecnica detta impropriamente clonazione terapeutica,
non specificando n prima, n in seguito cosa deve intendersi per clonazione terapeutica
propriamente detta.
In un altro passo il testo induce a porsi delle domande che non trovano per risposta:

203

Simona Regina / Implicito e non detto nella divulgazione scientifica

Fino a pochi anni fa si riteneva che fossero specializzate nel generare cellule mature tipiche del tessuto in cui
risiedono, ma studi recenti [...] hanno dimostrato che queste cellule sono molto pi versatili di quanto si
credesse. (La Repubblica, 28/12/2000)

recuperabile linformazione implicita che ogni tessuto contraddistinto da un tipo di


cellule, ma interessante osservare come la fattivit del verbo dimostrare, che
presuppone la verit della frase complemento, dia per scontato che queste cellule (le cellule
staminali da adulto) sono pi versatili di quanto si credesse in precedenza. Tuttavia non
affatto detto cosa comporti questa maggiore versatilit: si aprono nuove possibilit di
applicazione, in quali casi e come? Il testo non di ausilio per dare risposte a questi
interrogativi. Consideriamo ancora lespressione usata per descrivere le cellule staminali
embrionali eterologhe:
Derivano dalla regione interna dellembrione prima che questo si impianti nella parete dellutero. (La
Repubblica, 28/12/2000)

Ricaviamo, esplicitando la secondaria temporale introdotta da prima che, la


presupposizione che lembrione si impianter nella parete dellutero: informazione che pu
risultare fuorviante, o per lo meno non propriamente corretta, dato che non tutti gli
embrioni che si formano riescono a impiantarsi nellutero, e a maggior ragione quelli che
vengono formati in provetta.
Consideriamo ora larticolo di cronaca inerente lannuncio dellAdvanced Cell
Technology a proposito della clonazione umana. Annuncio che ha generato molto clamore
e un acceso dibattito a proposito della possibilit di clonare un essere umano. Ecco il modo
in cui larticolo presentato:
occhiello:
titolo:
catenaccio:

Lannuncio choc stato dato dalla Advanced Cell Technology, compagnia per la
ricerca del Massachusetts
Usa, prima clonazione di un embrione umano.
Non vogliamo clonare un essere umano, ma servirci di questa scoperta per curare
molti tipi di malattia. (La Repubblica, 25/11/2001)

Il catenaccio sembra voler mitigare leffetto choc della notizia (presupposto dal
sintagma nominale definito Lannuncio choc nellocchiello). La congiunzione
avversativa ma attiva unimplicatura convenzionale: il suo uso, infatti, appropriato se
c contrasto tra la porzione di testo che introduce e quella precedente, o qualche sua
conseguenza implicita. In questo caso il contrasto instaurato riguarda in primo luogo lidea
di clonare un essere umano in confronto allimpiego terapeutico di questa scoperta. Ma in
un certo senso vengono messe a contrasto anche lidea di non voler clonare un essere
umano e quella di servirsi della scoperta a scopo terapeutico. Con ci lintero enunciato
conferma implicitamente che nonostante la scelta dei ricercatori di limitarsi allo scopo
terapeutico, la scoperta di fatto apre la strada allo scopo pi ambizioso di effettuare la
clonazione di un essere umano.
Implicitamente larticolo trasmette delle informazioni alcune delle quali facilmente
recuperabili, cio i processi inferenziali per individuarle sono percorribili, altre invece
difficili da esplicitare e tali, se recuperate, da non dare uninformazione chiara o
pienamente fruibile. Consideriamo:

204

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Per la prima volta nella storia della biotecnologia, lembrione sarebbe stato ricreato in laboratorio, attraverso
una particolare delle tecniche di clonazione [...]. (La Repubblica, 25/11/2001)
Il procedimento utilizzato stato descritto [...] come clonazione classica. (La Repubblica, 25/11/2001)
Questa davvero una pietra miliare nella clonazione terapeutica. (La Repubblica, 25/11/2001)

In (6) il sintagma nominale con larticolo determinativo le tecniche di clonazione, ci


informa dellesistenza di pi tecniche di clonazione, in (7) luso della denominazione
clonazione classica ci suggerisce unimplicatura conversazionale di pertinenza che ci
comunica lesistenza di clonazioni non classiche (senza per poter capire di cosa si tratta, a
cosa ci si riferisce e se per pertinenza del discorso per clonazione classica pu intendersi
quanto detto pi avanti e qui riportato in (10) oppure no). In (8) le parole del direttore della
rivista online su cui sono apparsi i risultati della ricerca condotta allACT sembrano voler
persuadere, attraverso la presupposizione veicolata dalla descrizione definita la clonazione
terapeutica, che esistono pratiche di clonazione esclusivamente terapeutiche e che qui si
tratta esclusivamente di questo. Ed evidentemente per clonazione terapeutica deve
intendersi quanto descritto precedentemente. In ogni caso in pi parti del testo ribadito il
fine ultimo, o presunto tale, di tali ricerche:
Alla ACT hanno tenuto a precisare che il loro obiettivo non era, n , la creazione vera e propria di un essere
umano completo, bens pi semplicemente, il dotarsi di embrioni da usare per ricavarne cellule staminali. (La
Repubblica, 25/11/2001)

Dove per per la pertinenza del discorso si assume come data linformazione che
lembrione non sia un essere completo, introducendo nel contesto della situazione
comunicativa una risposta implicita piuttosto sbrigativa a interrogativi e considerazioni
etiche che il testo non menziona esplicitamente. Si noti che anche dove larticolo ci informa
di dettagli scientifici, a volte le informazioni sono completamente fruibili solo attraverso
un'attivit pragmatica sul testo.
[...] ci si serviti di un ovulo umano nonch di una cellula dellepidermide ricavata da un uomo adulto: il dna
originario dellovulo stato eliminato, e al suo posto stato impiantato quello estratto dal nucleo della cellula
adulta. (La Repubblica, 25/11/2001)

Le presupposizioni di espressioni quali il dna originario dellovulo e quello estratto


dal nucleo della cellula adulta rendono disponibili informazioni circa il patrimonio
genetico cellulare: il nucleo della cellula dotato di dna, lovulo pure (il che conferma
indirettamente che anche lovulo una cellula con un nucleo).
Anche nellarticolo di Arturo Falaschi possibile inferire informazioni sul patrimonio
genetico, sulla struttura cellulare dellorganismo umano:
Questi innesti di cellule, tessuti o organi, se provenienti da un individuo con un patrimonio genetico diverso
dal nostro, sono esposti al rigetto immunitario [...] se invece le cellule o gli organi da trapiantare portassero lo
stesso patrimonio genetico dellindividuo che riceve il trapianto, questo problema non sussisterebbe. (Il
Piccolo, 27/11/2001)

Qui siamo implicitamente informati che gli individui sono dotati di un patrimonio
genetico e possiamo dedurre che le cellule hanno il patrimonio genetico proprio

205

Simona Regina / Implicito e non detto nella divulgazione scientifica

dellindividuo. Si tratta di una presupposizione che, se risulta informativa, anche


recuperabile. In aggiunta possiamo osservare che il sintagma nominale questi innesti di
cellule... riprende anaforicamente qualcosa che stato comunicato in forma presupposta,
mediante descrizioni definite, in un passo precedente:
[] quando si studiano delle vie per ottenere cellule tessuti o organi da utilizzare per la terapia di gravi
affezioni mediante trapianto. (Il Piccolo, 27/11/2001)

Da ci si ricava che lutilizzo menzionato in tale passo viene concepito soprattutto


come un innesto: una metafora vegetale che, in congiunzione o in contrasto con laltra
metafora vegetale del trapianto, meriterebbe maggior riflessione.
Consideriamo anche il passo che segue:
I ricercatori quindi tentano diverse strade per ottenere cellule programmabili a diventare tessuti o addirittura
organi diversi [...], le cosiddette cellule staminali. (Il Piccolo, 27/11/2001)

Qui la definizione di cellule staminali data implicitamente per coreferenza tra


lespressione cellule programmabili a diventare tessuti [] diversi e le cosiddette
cellule staminali, dove per coesione del discorso lapposizione ci comunica linformazione
che sono chiamate staminali le cellule programmabili a originare tessuti diversi. Inoltre si
deve osservare come il testo, in virt dellimplicatura convenzionale attivata dallutilizzo
del connettivo quindi, ci comunica implicitamente una relazione di consequenzialit tra il
rischio di rigetto immunitario se le cellule da trapiantare sono estranee allorganismo, del
quale si parlato sopra, e il tentativo dei ricercatori di ottenere le cellule staminali
Nel suo articolo Falaschi solleva la problematica etica connessa allutilizzo di embrioni
umani a fini terapeutici:
Devo dire che non riesco a vedere nellesperimento USA niente di pi riprovevole di quanto viene praticato
frequentemente nei casi di fecondazione in vitro rivolti a risolvere problemi di fertilit della coppia.
Similmente non riesco a vedere come leventuale uso (col consenso dei genitori) di cellule derivate da
embrioni spontaneamente abortiti, a fini terapeutici possa sollevare pi problemi etici di quelli della donazione
di un organo unico di una persona adulta vittima di un incidente. (Il Piccolo, 27/11/2001)

Il passo segnalato ci informa circa lopinione del direttore del Centro Internazionale di
Ingegneria Genetica e Biotecnologia a riguardo del tanto clamore suscitato
dallesperimento. Falaschi, tuttavia, non esprime esplicitamente il suo distacco da quanti
hanno sollevato problemi etici; il suo uso del verbo implicativo riuscire che ci
comunica in forma presupposizionale un tentativo (fallito) di vedere nellesperimento in
questione qualcosa di riprovevole (il che pu essere inteso come un riferimento a proprie
riflessioni sul fatto che altri ci vedono qualcosa di riprovevole). Ci ci consente di
ricostruire uno scenario in cui da alcuni lesperimento di cui si parla nellarticolo ritenuto
riprovevole.
Nel passo (14), inoltre, ci sono altri punti in cui si rimanda a contenuti non espressi
esplicitamente, in cui si presentano informazioni in modo laterale. la presupposizione
espressa dalla parentetica col consenso dei genitori ad informarci dellopportunit del
consenso dei genitori per lutilizzo di cellule derivate da embrioni abortiti. Ma come
possiamo spiegarci luso delle virgolette? Lembrione non un vero figlio, cos i genitori
dellembrione non sono veri genitori?

206

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

In ambedue questi casi gli impliciti risultano funzionali a veicolare sottintesi che hanno
a che fare con schemi di valore etici e sociali: la stessa osservazione secondo me
pertinente anche per (9), dove, come abbiamo gi visto, viene proposta una presa di
posizione nei confronti dell'embrione. A tal proposito pu essere riconosciuto allimplicito
una funzione, un ruolo persuasivo dato che linformazione, che ha a che fare con valori,
norme sociali e etiche (cfr. Sbis 1999 b) non asserita esplicitamente, n tanto meno
argomentata.

Conclusioni
La prospettiva di analisi che ho qui esemplificato, considerando alcuni articoli da
quotidiani sul tema della clonazione, si fonda proprio sulla consapevolezza del ruolo
giocato dagli impliciti nei processi di produzione e ricezione di un testo e sullimportanza,
che ne deriva, di mettere allo scoperto e, quindi, di aprire allesplorazione le eventuali
complicazioni ad essi legate, che tendono per la loro stessa natura a rimanere sotterranee.
Assodato, infatti, che il significato di un enunciato o discorso non costituito solo da
quanto vi effettivamente ed esplicitamente espresso, ignorare questa componente del
processo di comprensione rischia di comprometterne lesito.
Gli impliciti, se il lettore non possiede la capacit di individuarli e al bisogno
parafrasarli, possono limitare lefficacia della comunicazione e indurre una comprensione
appiattita, disattenta cio alle informazioni veicolate tramite essi e non adeguatamente
focalizzata sullorganizzazione concettuale ad essi sottesa. La loro comprensione, dunque,
serve a sfruttare il testo in modo pi completo, approfondito ed esaustivo, ad esplicitare con
maggior facilit per rimaneggiare, per utilizzare i dati, per mettere in questione le
informazioni. innegabile che una pratica comunicativa ricca di riformulazioni e
spiegazioni aiuti la trasmissione di qualsiasi sapere.
Nel caso specifico dei testi esaminati, chiaro che nei passi che ho discusso non sono
in gioco tanto competenze linguistiche di comprensione ed uso del linguaggio scientifico,
quanto competenze anche minimali di padroneggiamento di strutture, di possesso di
vocaboli, di capacit di parafrasi, che sono un elemento costitutivo della capacit linguistica
di base di chiunque abbia una padronanza della propria lingua, sufficiente per usarla nella
quotidianit: nella lettura di un giornale, appunto, nel descrivere unesperienza, nella
comprensione o produzione di una relazione. Studiare il discorso della divulgazione
scientifica nella sua dimensione testuale implicita, tenendo conto di quello che detto
esplicitamente pi ci che suggerito, sottinteso, implicato e non detto rilevante per
capire in che modo un lettore deve-pu interagire con il testo al fine di padroneggiarlo.
Se il testo divulgativo ha come scopo principale quello di trasmettere informazioni, di
formare una conoscenza, seppur non specialistica, necessario che le informazioni che
effettivamente veicola riescano a essere recuperate. Se il lettore non riesce a fruire della
comunicazione implicita in testi come quelli esaminati rimane confuso riguardo a certi
aspetti dello sfondo di nozioni scientifiche, che invece sarebbero recuperabili se si facesse
pi consapevolmente uso delle strategie pragmatiche di esplicitazione.
Inoltre, come abbiamo potuto notare marginalmente in relazione ad alcuni degli esempi
discussi, a presupposizioni e implicature va riconosciuto anche un ruolo importante nella
trasmissione di contenuti che possiamo definire ideologici. Le presupposizioni, ad esempio,

207

Simona Regina / Implicito e non detto nella divulgazione scientifica

vanno a collocarsi sullo sfondo del discorso, e questo fra l'altro conferisce loro un forte
potenziale di manipolazione, la capacit di introdurre nel contesto elementi che saranno
contestabili soltanto attraverso il ricorso a competenze pragmatiche di esplicitazione.
Mentre senza previa individuazione e esplicitazione degli impliciti il lettore pu essere
indotto ad accettare un determinato scenario di possibili prese di posizione, se non certe
prese di posizione specifiche, senza sufficiente occasione per rifletterci sopra, quando gli
impliciti sono esplicitati, al pari delle asserzioni, possono essere accettati, confutati, criticati
(cfr. Sbis 1999 c). Non che si possa esplicitare tutto, ma disporre degli strumenti adatti a
dare parafrasi esplicite di un messaggio pu essere una buona arma di difesa e soprattutto
un modo per essere pi consapevoli dei processi comunicativi in atto.
Ci non toglie che in vari punti, ed emerso da alcuni esempi segnalati (in particolare:
2, 3, 4, 7), il testo stesso, in questo caso la scrittura giornalistica, insufficiente e
irrazionale. Il compito della divulgazione andrebbe svolto sicuramente con maggiore
attenzione alle strategie testuali che rendono gli impliciti recuperabili, che sole consentono
il raggiungimento di un equilibrio tra le esigenze di economia del testo e le esigenze
informative del lettore.

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208

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

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209

IL MALE E LA LIBERT NELLA PHILOSOPHIE DI KARL JASPERS.


OSSERVAZIONI SU ALCUNE INFLUENZE KANTIANE

Michele Schiff

Una analisi dellinflusso che lopera kantiana esercit sul pensiero di Karl Jaspers si
dimostra imprescindibile per la comprensione di alcuni tratti caratteristici della teoresi di
questultimo, e ci diviene particolarmente chiaro se si tiene presente non solo la
definizione jaspersiana di verit come mostrarsi dellessere ad un soggetto allinterno della
Subjekt-Objekt-Spaltung,1 bens anche un insieme di tematiche, come ad es. quelle del male
e della libert, che gravitano intorno alla questione della verit.2 Indubbiamente entro la
letteratura critica su Jaspers il rilievo di influenze kantiane non certo una novit,3 tuttavia
quello che ci preme sottolineare nelle note che seguono sono i modi di ri-pensamento di
alcune tesi fondamentali del filosofo di Knigsberg da parte di Jaspers in riferimento al
rapporto libert-volont-male cos come viene svolto in Filosofia (1932)4 e, pi
precisamente, nel secondo volume intitolato Chiarificazione dellesistenza.
Lesistenza emerge come dimensione ontologica nel momento in cui ci si rende conto
che n loggettivit, intendendo con questo termine tanto le cose che incontro nel mondo
dalla mia situazione quanto il perno metodologico del sapere scientifico
epistemologicamente radicato nella coscienza in generale,5 n la mia semplice ed
immediata dimensione empirico-naturale racchiudono e risolvono la totalit dellessere, ma
c qualcosa che eccede loggettivit e la pura naturalit.6 Se un sapere rigoroso pu
1

Cfr. Jaspers 1947, pp. 225 e sgg., Jaspers, F, pp. 115-117.


Un esempio dellintrinseco rapporto intercorrente tra la questione della verit e quella della libert e del male pu
essere offerto dal fatto che anche il male un modo della non verit. Cfr. Jaspers 1947, p. 532.
3
Cfr. ad es. Marzano 1974.
4
Occorre tuttavia rilevare che il problema del male pu essere considerato quasi una costante della filosofia
jaspersiana, il cui svolgimento, comunque, parallelo allapprofondimento del nesso esistenza, libert,
Trascendenza. Del male, infatti, si tratta ampiamente anche in Jaspers 1962, pp. 412 e sgg., dove, tra laltro,
lapprofondimento di tale questione tocca il problema della teodicea.
5
Entro la nozione di oggettivit riteniamo opportuno distinguere tra le cose che io, in quanto entit psico-fisica,
(Dasein), incontro nel mondo e la funzione che detto concetto assume entro la definizione dello statuto
epistemologico delle scienze. Tuttavia ci non comporta una assoluta ed astratta separazione delle due accezioni
del concetto di oggettivit sia perch la scissione di soggetto e oggetto (Subjekt-Objekt-Spaltung) ci che in
generale mi consente di incontrare lessere, sia perch nel concreto esercizio della ricerca scientifica si incontrano
tanto i contenuti, ci che faccio oggetto di sapere a partire dalla mia situazione, quanto lesigenza metodologica
che caratterizza la scienza come tale e che le consente di giungere a quel sapere vincolante (zwingendes Wissen)
chessa persegue (cfr. F, pp. 203 e sgg.). Nella scissione di soggetto e oggetto, come medio attraverso il quale
colgo lessere e ogni sua dimensione, sia che questultima si esaurisca nelloggettivit sia che in essa
semplicemente si annunci, la nozione di oggetto presa in senso lato come referente intenzionale della coscienza,
e il suo significato concreto dato da ci che in e per esso viene intenzionato (cfr. Jaspers, 1947, pp. 255-258); in
senso stretto, invece loggettivit il criterio di verit delle scienze che tentano di afferrare loggetto nella sua
purezza, condizione questa indispensabile per giungere alla verit universalmente valida (F, p. 204).
6
Tuttavia tra la constatazione dei limiti di diritto propri della scienza e il coglimento positivo dellesistenza
intercorre un salto, dal momento che il rilievo dei limiti lascia lo spazio vuoto per ci che sta al di l (cfr. F, p.
159 e p. 664).
2

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

instaurarsi solo entro le scienze che si volgono direttamente agli oggetti, chiaro che
lesistenza (Existenz), in quanto costitutivamente inoggettivabile,7 non potr n essere
spiegata n dimostrata in senso rigoroso, ma semplicemente chiarita. Annota Jaspers che si
pu parlare della chiarificazione dellesistenza come di quel linguaggio che si esprime in
quei segni e simboli costituiti dallorigine e dalle possibilit di me stesso, per far avvertire
lincondizionato di fronte al relativo, la libert di fronte alla mera universalit, linfinitudine
dellesistenza possibile di fronte alla finitezza dellesserci.8 In tale contesto il concetto ha
la semplice funzione di mezzo, di veicolo comunicativo, ma il contenuto fornito
dallesistenza nella sua inoggettivabilit e singolarit, con la conseguenza che qui il
significante, la forma del concetto, ha una mera funzione di segno.9
Con lExistenzerhellung non ci si muove entro lambito delle cose date, statiche, che
non possono essere altrimenti e che si dispiegano davanti allo sguardo dellosservatore
rimanendogli esterne (og-gettive), ma abbiamo a che fare con ci che non pu porsi
dinnanzi a s senza presupporsi, ovvero con lorigine la cui manifestazione o
estrinsecazione necessariamente rimanda allorigine medesima. Lesistenza, dunque, non
pu mai divenire altra da s, oggettiva ed indifferente rispetto al singolo esistente.
La coscienza assoluta, che in Jaspers laccertamento singolare dellesistenza, la
posso solo realizzare con una conquista. La coscienza assoluta, che si possiede unicamente
in questo movimento, si realizza solo se si conosce il pericolo che si corre, che poi quello
di realizzare se stessi o di perdersi, di divenire se stessi o di andare in rovina.10 Quanto
detto consente di rilevare che con lExistenzerhellung non ci si riferisce ad una dimensione
puramente contemplativa, bens laccertamento e chiarificazione dellesistenza vanno di
pari passo con la realizzazione dellesistenza medesima.11 Conseguentemente
laccertamento di s e la chiarificazione dellesistenza si hanno solo nel movimento, nella
dinamica interna di realizzazione dellesistenza medesima, e questultima pu possedersi in
modo autentico unicamente nella consapevolezza del pericolo della possibilit di perdersi
presente nella libert, dimensione intrinseca e costitutiva dellesistenza. Una pura
contemplazione caratteristica delle scienze dove loggetto estraneo ed indifferente
allosservatore, mentre unazione libera e i suoi effetti non sono svincolati dalla loro

Cfr. F, p. 126.
F, p. 145.
9
Le stesse affermazioni effettuate nel corso di tale chiarificazione forniscono semplicemente uno schema per poter
comunicare, dialogare sullesistenza, ma non ne costituiscono lelemento fondante e caratterizzante. Al riguardo
cfr. F, p. 485.
10
F, p. 739.
11
Proprio il primato della dimensione pratica rispetto a quella puramente contemplativa nella chiarificazione
dellesistenza pu permettere di instaurare un confronto tra Jaspers e il primo Heidegger in riferimento al
ripensamento delleredit di Kant, il quale, a sua volta concedeva il primato alla ragion pura su quella pratica (cfr.
KpV, p. 146 e ss. [A 216 e sgg.]). Non potendo qui trattare esaurientemente di tale questione, ci limitiamo a un
rilievo di fondo sul rapporto con Kant dei due autori che pu illuminare anche sulle modalit del pensamento del
nesso teoretico-pratico e del suo senso profondo in Heidegger e Jaspers in riferimento a Kant: se per Heidegger
leredit kantiana doveva essere ripensata in relazione al problema del tempo quale costitutivo del rapporto
dellEsser-ci con lessere, nel senso che questo rapporto passa originariamente attraverso il tempo, cos che la
temporalit il rapporto stesso, per Jaspers primariamente si ha il rapporto con lessere, e in base al modo dessere
con cui ci si rapporta assume diverso significato anche il tempo. Il tempo delle scienze, per esempio, concepito
in maniera neutra (si pensi al tempo dellEstetica trascendentale kantiana; cfr. Pareyson, 1983, p. 34), mentre nel
rapporto con la Trascendenza esso assume una valenza storica.
8

211

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

origine, ovvero dall essere come libert, verso cui trascendo se [] giungo a me
stesso.12
In Filosofia la libert e la volont sono trattate in capitoli distinti13 ma, dal momento
che lanalisi delluna richiama laltra, riteniamo opportuno prendere le mosse da due
affermazioni che ne mettono in luce i rapporti reciproci: La libert ha nella volont il
proprio esserci. La volont solo unattivit propulsiva e progressiva, perch, nella sua
libert, vuole ad un tempo se stessa;14 La volont ha il suo fondamento nella libert che la
porta in quello stato di sospensione in cui la volont liberamente decide.15 Che [l]a libert
ha nella volont il proprio esserci significa che la realizzazione della libert affidata alla
volont. Questultima, pertanto, sgorga, possibile e ha senso solo in riferimento alla
libert cos che, come viene esplicitamente affermato, [l]a volont ha il suo fondamento
nella libert. Le singole determinazioni in cui si esprime la volont come volont di non
ne racchiudono il senso profondo, in quanto lorigine della volont risiede nella libert, la
quale non mai oggetto.16 In altri termini per comprendere la volont non bisogna
muoversi in direzione delle sue es-pressioni, bens occorre retrocedere verso la sua origine,
ricondurre, senza tuttavia identificarle, la volont alla libert.
Ci che caratterizza la libert non pu essere trovato nelle dimensioni formali del
sapere, bench con esso mi elevi al di sopra della semplice dimensione empirico-naturale,17
n entro la pura formalit di una legge morale o di un puro arbitrio, visto che in questo caso
vengono meno i contenuti tra cui concretamente si esercita la mia libert a partire dalla mia
situazione. Tuttavia nelladerire a leggi che non sono quelle della necessit naturale mi
riconosco libero, cos che nella libert rientra anche una dimensione legata al dovere, ad
una necessit il cui valore da me colto in quanto si identifica con il mio me stesso.
Essendo la forma del valere universale, mentre i suoi contenuti sono determinati
storicamente, lobbedienza ad un Sollen morale universale non costituisce lattuazione e la
dimensione pi propria e peculiare della libert poich, qualora la legge si formalizzi a tal
punto da pretendere di valere universalmente come oggettivamente vincolante, in essa la
singola esistenza viene ridotta a pura individualit empirica.18 Entro quella che viene
definita libert trascendentale, che quella di cui abbiamo appena parlato, si raggiunge
solamente lautocoscienza della propria libert, ma con ci non si ancora giunti al cuore
pulsante di questultima. La libert si caratterizza per essere scelta, ovvero decisione, e
proprio ci rimanda al fatto che la mia libert sempre legata ad una situazione: quando
agisco, agisco in un contesto con possibilit particolari. Agendo non posso esser tutto n

12

F, p. 474.
La volont trattata nel cap. V (F, pp. 622-648) , la libert nel cap. VI (F, pp. 649-675).
14
F, p. 622.
15
F, p. 622.
16
Jaspers, infatti, nella prima delle affermazioni proposte annota: [N]ella sua libert, [la volont] vuole ad un
tempo se stessa, e poco pi oltre: La volont che vuole se stessa la coscienza dellessere che, emergendo dal
fondamento della libert, si esprime come volont di qualcosa (F, p. 622).
17
Cfr. F, p. 183.
18
Luniversalit della legge morale, che qui viene criticata visto che ci troviamo entro il tentativo di cogliere
laspetto caratteristico della libert a partire da ci che essa in senso stretto, autenticamente, non , viene rivalutata
nel momento in cui la formalit della legge non determina contenutisticamente quanto il singolo deve fare a partire
dalla sua situazione, bens un appello alla libert esistente e allesistenza come libert.
13

212

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

fare tutto,19 ma proprio a questo punto mi si apre lo spazio per diventare autenticamente
consapevole della libert originaria e di me stesso.
Con quanto detto si fatto emergere il punto di convergenza delle altre dimensioni
della libert, poich esse acquistano il loro senso autentico in riferimento alla libert
concretamente esercitata nella scelta, ma con ci non stato ancora chiarito fino in fondo
il significato della libert esistenziale. La libert come scelta mi riporta autenticamente a
me stesso: scegliendo mi accerto di essere libero, di non essere semplice ente tra gli enti n
puro caso di una legge formalmente universale, cos che come esistenza sono pi profondo
di ogni datit empirico-naturalistica o individuazione di una legge universalmente valida.
Quella che in ambito naturalistico la mia semplice natura e situazione, esistenzialmente
diviene origine insostituibile. Per Jaspers, infatti, lesserci c empiricamente, lesistenza
solo come libert,20 e le possibilit della libert dipendono proprio dal fatto che io non
sono oggetto. Il problema relativo allesistenza della libert ha la sua origine in me stesso,
nel senso che sono io a volere che essa sia.21 La libert incondizionata, e ogni singola
decisione sua manifestazione perch effettuata a partire da essa. Nella decisione sono io a
decidere e, scegliendo, decido di essere me stesso, di realizzarmi come libert; scegliendo
mi accerto della libert, e con essa accolgo la possibilit di cogliere me stesso.
Ricapitolando: nella scelta mi accerto della libert, e il fatto che io debba scegliere, non
potendo esser tutto, indice della mia finitezza. Accertandomi della libert colgo, ad un
tempo, me stesso, visto che nessuno sceglie per me, cos che ci che voglio realizzare,
scegliendo, il mio autentico essere me stesso. Tale voler essere me stesso un dover
essere me stesso, in quanto la libert non pu essere senza me che scelgo, e io esisto (come
Existenz) solo per e nella libert. Afferma Jaspers: [I]o sono, io devo, io voglio, io scelgo
sono da prendere nel loro insieme come espressioni della libert.22 La libert porta con s
un dovere, una necessit non estrinseca, dal momento che quel dovere sono io stesso.
Scrive Jaspers: Questa necessit, che presente in ogni nuova scelta come un vincolo che
si realizza sulla base della propria storicit, manifesta la necessit pi profonda che
presente nella coscienza desser qui e non poter essere altrimenti, cio, nella coscienza del
dovere, legata alla decisione pi originaria della libert dellesistenza.23 La libert gi
contenuta nella decisione per la libert stessa: scegliendo me stesso come esistenza sono gi
libero: non si inizia ad essere liberi, perch la libert si afferma solo mediante se stessa, la
scelta della libert gi affermazione della libert. Essa non prima una possibilit tra le
altre che scelgo e attuo dopo averla valutata tenendola ferma innanzi a me, sia per il fatto
che possibilit pu darsi solo a partire dalla libert medesima, sia perch colgo la libert,
mi accerto di essa solo esercitandola. Divengo me stesso unicamente attuando la libert, e
attuo la libert solo diventando me stesso. Scegliere la libert il primo passo, quello
decisivo e qualificante, dellesercizio della libert, cos che in tale scelta sono gi libero e,
di riflesso, mi so libero.
In precedenza si osservato che la libert finita, non assoluta, e ci manifestato dal
fatto che io non sono tutto, ma devo decidere. Se fossi tutto non avrei pi nulla da scegliere,
19

Nella scelta non si pu nemmeno aspettare per valutare, verificare, calcolare, ma essa sempre urgente. In ci si
acquista coscienza della schiavit che ci rende dipendenti dalle circostanze di tempo e di luogo che vengono a
diminuire le possibili verifiche ideali e ogni altra forma di assicurazione (F, p. 654).
20
F, p. 470.
21
F, p. 649.
22
F, p. 660.
23
F, p. 671.

213

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

ma semplicemente sarei. In tale contesto emerge anche linevitabilit della colpa, la quale
intrinsecamente legata alla libert, sia perch quando voglio liberamente qualche cosa devo
assumermi la responsabilit della mia azione e delle sue conseguenze, sia perch, dal
momento che nella mia libert non posso non volere, cio devo realizzarla, la colpa emerge
dallo stesso stato di libert.24 Non un caso che la questione della colpa venga ripresa entro
lanalisi delle situazioni limite,25 ovvero quelle situazioni che sono inevitabili e insuperabili
e in cui, esistenzialmente, si manifesta qualcosaltro di irriducibile alla naturalit e al
mondo. Infatti le situazioni-limite sono avvertibili come tali unicamente dallesistenza.26
In base a quanto detto possiamo affermare che la libert non qualche cosa di concluso in
s, ma sempre imperfetta e aperta alla Trascendenza: Proprio nellorigine della mia
libert, in cui cerco di oltrepassare la necessit della legge naturale e della legge del dovere,
sono consapevole di non essermi creato da me;27 [D]ove interamente sono me stesso, non
sono pi solo me stesso.28
Precedentemente emerso che la questione del male intrinsecamente connessa con
quella della libert. Infatti le nozioni di bene e male non sono poste antecedentemente alla
volont che sceglie, ma la distinzione tra le due viene determinata e ha senso solo
nellattimo stesso della scelta compiuta, cos che nella libert non si sceglie tra bene e male
come tra due oggetti, bens la volont stessa che, attuando la libert, diviene buona o
cattiva. Scegliendo mi accerto di me come esistenza e libert; la scelta realizzata dalla
volont, cos che in qualsiasi scelta attuata mi accerto della libert. Conseguentemente la
volont buona o malvagia a seconda del fatto che realizzi o meno la libert quale sua
origine: ogni decisione non estranea ed esterna alla libert, ma tale solo a partire dalla
libert stessa. Per tale motivo Jaspers pu affermare: Il bene e il male non si possono
definire in ordine al contenuto, ma ogni possibile contenuto rientra nel loro ambito. Non ci
sono determinate opere che siano, come tali, buone o cattive, ma c la volont che quando
vuole qualcosa, vuole o annienta lessere autentico.29 Compiere il male significa realizzare
volontariamente la ribellione della mia realt naturale contro lesistenza e la libert. Nel
male la volont che agisce contro se stessa in maniera consapevole poich, nel suo agire
come volont, conscia della libert.
Si affermato che il male non un oggetto, un in s, ma si radica ed determinato
dalla volont, la quale pu essere buona o malvagia. In virt di tale caratteristica il male
non definitivo, in quanto sempre ammessa la possibilit della redenzione della volont
che fino ad ora ha agito malvagiamente; ma nemmeno il bene, come realizzazione di me
stesso, cio della mia esistenza, un possesso acquisito una volta per tutte, poich, una
volta che ritenga di essere assolutamente buono, ho smarrito lesistenza, lho obliata nelle
sue dimensione effettive: [L] dove lo [il male] si incontra non lo si pu ritenere definitivo,
come definitiva non in me la volont che mi dischiude la via che devo percorrere con
speranza. [] La vittoria [sul male] sempre momentanea, lungo il cammino essa rafforza
la sua possibilit, ma se credesse desser alla fine, gi avrebbe ceduto alla tentazione del
male.30
24

Cfr. F, p. 672.
Sulle Grenz-Situationen cfr. F, pp. 676-732.
Cfr. F, p. 678.
27
F, p. 674.
28
F, p. 674.
29
F, p. 645.
30
F, p. 647.

25

26

214

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

Nelle osservazioni precedenti possibile riscontrare alcune analogie con il pensiero


morale e con la discussione del problema del male di Kant e, pi precisamente, nei seguenti
punti fondamentali: a) la libert non un dato di fatto, un oggetto desperienza; b) come in
Kant, anche in Jaspers la dimensione caratteristica della libert data dal dovere (proprio
qui, per, possibile cogliere il singolare ripensamento del Sollen kantiano attuato da
Jaspers); c) le osservazioni sul male riprendono i tratti caratteristici di quelle di Kant
contenute in La religione entro i limiti della semplice ragione.
Per quanto riguarda il primo punto sufficiente confrontare alcune osservazioni
contenute in Filosofia con quelle contenute nella Critica della ragion pura.31 Jaspers: [L]e
possibilit della libert dipendono proprio dal fatto che io non sono oggetto. [] Quando
mi chiedo se la libert esiste, la domanda si traduce immediatamente in una mia azione con
la quale o colgo me stesso, o mi lascio andare, non cerco intorno a me per vedere se da
qualche parte nel mondo mi si presenta la libert.32 Kant: [L]a libert una idea
trascendentale pura, la quale, in primo luogo, non contiene nulla di derivato dallesperienza,
e il cui oggetto, in secondo luogo, non pu essere dato determinatamente in alcuna
esperienza.33 Per meglio comprendere la portata di tale affermazione occorre tener
presente che con essa Kant opera la distinzione tra causalit secondo natura, caratterizzata
dal nesso causa-effetto che pu verificarsi solo nel tempo e in base al tempo, e causalit
secondo libert, intendendo con ci la facolt di dare inizio spontaneamente ad uno
stato.34 Ora, in base alla nozione di esperienza formulata nella Critica della ragion pura,
per la quale lesperienza possibile solo mediante la rappresentazione di una connessione
necessaria delle percezioni,35 visto che il tempo la condizione trascendentale che ci
consente di giungere a contatto con i dati, ed essendo il concetto di causalit applicabile, in
modo tale che la sua applicazione ci fornisca un sapere valido, unicamente agli oggetti
desperienza, chiaro che nel tempo ogni condizione a sua volta condizionata, ed legata
alla sua causa in base ad una regola, ad una legge universalmente valida. Non possibile
concepire nel campo dellesperienza la capacit di dare inizio ad uno stato spontaneamente.
In nessuno dei due autori, pertanto, la libert oggetto desperienza. Su questo punto nella
distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, applicata al fine di giustificare la
compresenza nel mondo di due ordini di causalit, Jaspers vede un controsenso qualora essa
conduca allaffermazione di due mondi, dal momento che il mondo uno, mentre assume
una valenza positiva se con tale distinzione viene sancito il fatto che [l]a libert non
ammessa in nessun luogo del mondo ordinato in ogni sua parte secondo leggi.36
Sempre sul tema della non oggettivit della libert riscontrabile unulteriore analogia
tra le posizioni dei due autori. Nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della
ragion pura Kant afferma: Ho dovuto dunque eliminare il sapere, per far posto alla
fede.37 Jaspers, dal canto suo, annota: Io devo comunque volere, perch non so. Solo al
mio volere pu manifestarsi lessere inaccessibile al sapere. Il non-sapere lorigine che
fonda la necessit del volere. [] Lorigine della libert esclude questultima dallesserci
31

Preferiamo qui rifarci a questopera kantiana, perch in tale sede emerge pi chiaramente il salto qualitativo che
si ha tra la sfera della libert e quella della natura, ambito dindagine delle scienze.
32
F, p. 649.
33
KrV, p. 573 (B 561).
34
KrV, p. 573 (B 561).
35
KrV, p. 251 (B 218).
36
F, p. 666.
37
KrV, p. 33 (B XXX).

215

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

che io indago [scientificamente]; in essa [nella libert] ha il suo fondamento lessere


nellesserci che io stesso posso essere.38 Se la delimitazione della sfera del sapere
universalmente valido, che non significa affatto misconoscimento della sua validit,
comune ad entrambi gli autori, diverso lesito cui porta il recupero della nozione di
libert: in Kant detto recupero consente, ed consentito, dal riconoscimento della legge
morale quale ratio cognoscendi della libert, e ci si inserisce entro una definizione di
noumeno come ci che puramente intelligibile; in Jaspers, invece, lo spazio lasciato vuoto
dal sapere consente lemergere della dimensione ontologica della libert, la quale
intrinsecamente e costitutivamente rimanda alla nozione di Trascendenza. Mentre in Jaspers
questultimo concetto ricavabile analiticamente dalla libert, Kant afferma: [P]er
conoscere quale sia il dovere delluomo la morale non ha bisogno dellidea di un Essere
superiore, n ha bisogno, per indurre luomo a compiere questo dovere, di ricorrere a un
movente diverso dalla stessa legge morale.39 Laffermazione di Dio ha senso solo perch
c la legge morale e, infatti, costituisce uno dei postulati della ragion pratica. Se in Kant
Dio non necessario n allistituzione n al riconoscimento della libert stessa, in Jaspers
solo nella libert e attraverso la libert mi rendo conto della Trascendenza. [] Nella mia
libert mi trovo di fronte ad essa e mai da essa separato.40 Indubbiamente anche qui il
riconoscimento della Trascendenza passa attraverso la libert, ma perch nella mia
autentica dimensione esistenziale, ovvero nella libert stessa, mi scopro originariamente
donato sotto il profilo ontologico.41
Il secondo punto di contatto tra Jaspers e Kant stato individuato nel fatto che la
nozione di dovere fortemente connessa con quella di libert. Anche qui, per, quella che
una analogia di superficie e di motivi indice di una rielaborazione che in Jaspers
conduce ad una esistenzializzazione della priori morale kantiano. Nella Critica della
ragion pratica Kant annota: [L]a libert senza dubbio la ratio essendi della legge morale,
ma la legge morale la ratio cognoscendi della libert. Poich, se la legge morale non fosse
prima pensata chiaramente nella nostra ragione, noi non ci terremmo mai autorizzati ad
ammettere una cosa come la libert []. Ma se non vi fosse libert, la legge morale non si
potrebbe assolutamente trovare in noi.42 Il movente delle nostre libere azioni la legge
morale stessa, la quale universale e valida per ogni ente dotato di ragione. Ora, anche per
Jaspers la libert non disgiunta dal dovere, ma esso non risiede pi nella formalit ed
universalit della legge, e queste non costituiscono il movente della volont. La formalit
dellimperativo categorico non costituisce il senso profondo della libert, ovvero ci in cui
la libert diviene intelligibile, anzi, a pi riprese Jaspers denuncia il rischio cui incorre la
morale kantiana, che quello di perdere di vista luomo concretamente esistente il quale,
nella sua singolarit, attua la libert, che deve scegliere. A tal riguardo sono interessanti le
osservazioni che si riferiscono alla libert trascendentale, di cui si detto precedentemente.
Si ricorder che essa si ha quando la mia decisione [] dipende [] da una legge che
riconosco obbligante []. La legge non linevitabile necessit naturale che mi assoggetta,
ma la necessit delle norme che regolano le azioni e le motivazioni delle azioni, a cui io
38

F, p. 666.
Kant 1794, p. 45 (B, A III).
F, p. 674.
41
In base ai rilievi effettuati chiara linfluenza esercitata da Kant su Jaspers, ma ci porta con s un insieme di
questioni relative alleffettivo utilizzo di elementi kantiani entro una filosofia dellesistenza e in un contesto
ontologico, cio che porta con s il problema dellessere.
42
KpV, p. 4, nota 1 (A 5).
39

40

216

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

posso attenermi o non attenermi.43 Poco pi oltre, per, Jaspers precisa: [N]on posso
rimanere in essa [nella libert trascendentale] come se essa fosse unautentica attuazione
della libert. La legge si riduce ad una regola che pu essere formulata in maniera definitiva
ed enunciata come un imperativo, mentre lio si riduce ad un caso particolare della sua
[dellimperativo] realizzazione.44 Alla formalit manca il contenuto, che costituito dal
singolo che storicamente decide ed agisce, tratto costitutivo e caratteristico della libert
esistenziale. Nella concretezza della libert il dovere rappresentato dalla libert stessa, dal
rimanere fedeli alla libert. Scegliendo, mi rendo conto della libert, rendendomi conto
della libert emerge quella necessit come dovere per cui io devo essere libero, ovvero la
mia autentica dimensione esistenziale, una volta colta, deve essere perseguita, e non posso
perderla senza, ad un tempo, perdere me stesso.45 Il dovere o, in termini kantiani, la legge
morale, non vale anche se nessuno la applica, anche se nessuno agisce moralmente, ma in
Jaspers essa vale nella misura in cui agisco. solo sulla base della scelta, raggiungendo la
consapevolezza della libert, che posso porre una distinzione tra bene e male, dove il primo
il rimanere fedeli a se stessi nel processo di realizzazione di s, il secondo costituito
dalla perdita della propria libert a partire dalla libert stessa. Il momento della legge,
lelemento assiologico assorbito da quello della prassi, dal concreto esercizio della libert.
Nel caso della validit del dovere a prescindere dalla sua attuazione, che quello del
pensiero kantiano, una azione buona o cattiva in riferimento alla legge, che ci che ne
determina il senso, lintelligibilit come prodotto della libert, mentre nel caso di un valore
che vale solo in riferimento alla prassi, alla sua realizzazione, rappresentato da Jaspers, la
prassi medesima, come esercizio di libert, ad istituire la possibilit del valere
dellelemento assiologico e il suo senso. Si assiste, cos, ad una torsione esistenziale della
priori kantiano, in quanto lesistenza stessa a costituire contemporaneamente il dovere e
lattuazione del dovere. Entro la prospettiva jaspersiana non si pu nemmeno parlare della
libert, ma solo della mia libert, radicata nella mia singolare ed irripetibile esistenza: se in
Kant la legge morale rappresenta lorizzonte trascendentale di senso dellazione
liberamente compiuta, in Jaspers lesistenza, come esercizio della libert, lorizzonte
trascendentale di senso della legge medesima.46
Quanto detto pu trovare giustificazione in ci: tanto per Kant che per Jaspers luomo
tale per la libert, per mentre in Kant ci lo rende consapevole di una destinazione
soprasensibile costituita dalla noumenicit come pura intelligibilit, e la questione della
finitezza umana emerge solo quando si tratta dellattuazione della libert da parte
delluomo e degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della pura moralit, in
Jaspers la finitezza permea lintero essere della libert, cos che proprio nel trattare di
questultima intrinsecamente necessario il rimando alla Trascendenza. Infatti la decisione
indice della mia finitezza, ma scegliendo mi accerto della libert, la cui dimensione
autentica rappresentata dal dovere che pur si esprime in un io voglio, cos che il dovere
illuminato nel suo valere e vale solo in riferimento ad una scelta, mentre in Kant la scelta ha
43

F, p. 652.
F, p. 653.
45
Jaspers scrive: Se nellio scelgo la coscienza della decisione coglie la libert autentica, questa non
nellarbitrio della scelta, ma in quella necessit che, pur esprimendosi nell io voglio, significa io devo (F, p.
660).
46
Tuttavia nella prospettiva jaspersiana non si cade nel pragmatismo, dal momento che lessere nel suo complesso
non si lascia ridurre a prassi, e che pur sempre lorigine e il senso autentico dellazione non un risultato
empiricamente verificabile.
44

217

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

senso solo in riferimento alla legge. Latto della scelta, attraverso il quale mi accerto della
libert e dal quale ha origine la volont come realizzazione di questultima, mi porta a
decidere tra qualche cosa, visto che non sono tutto. Se fossi tutto non dovrei decidere.
Lelemento assiologico, del dovere, non vale in s, ma solo in riferimento allesistenza:
divieni ci che sei, rimani fedele alla tua libert, realizza la tua esistenza che libert, ma la
libert lattuazione e ci che deve essere attuato, ed costitutivamente incompiuta perch
mai assolutamente realizzata: per fare qualche cosa devo sempre escludere qualcosa daltro.
In Kant la libert ha senso solo in riferimento alla legge morale, mentre in Jaspers la legge
morale, le stesse nozioni di bene e di male nonch la loro distinzione hanno senso
unicamente nellesercizio della libert.
La terza analogia intercorrente tra Jaspers e Kant stata individuata nella trattazione
del problema del male, e ci sembra che qui confluiscano anche le precedenti, cos che le
consonanze e le divergenze emergono pi concretamente. Afferma Kant: [C]on natura
umana si intende soltanto il fondamento soggettivo delluso della libert umana in generale
(sotto leggi morali oggettive), fondamento che [] anteriore a tutti gli atti che cadono
sotto i sensi. [] Il fondamento del Male, dunque, non pu trovarsi in nessun oggetto che
determini larbitrio mediante inclinazione, non pu trovarsi in nessun impulso naturale,
bens soltanto in una regola stabilita dallarbitrio a se stesso per luso della propria
libert.47 Jaspers, trattando de La volont come male, afferma: Il bene e il male non si
possono definire in ordine al contenuto, ma ogni possibile contenuto rientra nel loro
ambito. Non ci sono determinate opere che siano, come tali, buone o cattive, ma c la
volont che, quando vuole qualcosa, vuole o annienta lessere autentico.48 Poich, come
visto, la volont si fonda nella libert, e poich la libert non oggetto, la consonanza tra
Jaspers e Kant pare essere completa. Identica pure la definizione di male. Kant afferma:
Questo Male radicale perch corrompe il fondamento di tutte le massime,49 e consiste
nel fatto che luomo [] cattivo solo perch, quando accoglie i moventi nelle sue
massime, ne inverte lordine morale. Nelle sue massime, certo, luomo accoglie la legge
morale accanto alla legge dellamore di s; tuttavia, non appena si accorge che le due leggi
non possono stare sullo stesso piano, e che luna deve essere subordinata allaltra quale sua
condizione suprema, allora egli erige il movente dellamore di s [] a condizione
dellosservanza della legge morale; al contrario, come unico movente nella massima
generale dellarbitrio dovrebbe essere assunta invece la legge morale.50 Jaspers afferma:
Appartiene alla volont come male la ribellione dellesserci empirico racchiuso nel suo
egoismo contro il possibile se-stesso dellesistenza nella soggettivit e nelloggettivit [cio
tanto nellelemento da cui ha origine lattuazione della libert, che nellattuazione
medesima]. In s questa ribellione non male, ma semplice istinto; diventa male quando
lattivit intelligente della volont la realizza consapevolmente come sua essenza. []
Male la volont che si ribella contro la possibile esistenza, che afferma lassolutizzazione
del mero esserci per realizzarsi come volont che distrugge tutto lessere possibile, nel
tentativo irrealizzabile desser solo esserci.51 Se gli elementi emersi consentono di
affermare che tra i due autori considerati v una profonda affinit di interpretazioni e
47

Kant 1794, p. 75 (B, A 7).


F, p. 645.
49
Kant 1794, p. 111 (B 35, A 32).
50
Kant 1794, pp. 109-111 (B 34, A 31-32).
51
F, p. 645.
48

218

Esercizi filosofici 2002 / Contributi

soluzioni del problema del male, diverso per il senso che esse acquistano entro i
rispettivi contesti teoretici. Anche qui chiara la rilettura in chiave esistenzialistica degli
elementi kantiani. Rileviamo, inoltre, che tanto in Kant quanto in Jaspers il male assume
una valenza morale in quanto la sua possibilit radicata nellesercizio della libert stessa,
compiuto consapevolmente. Tuttavia, mentre in Kant il male investe la libert in quanto
umana, cio esercitata da quellente che anche sensibile, vale a dire il male come
problema investe la realizzazione umana della libert, e con ci la dimensione assiologica,
che costituisce lelemento caratterizzante e determinante della libert stessa e il suo senso,
viene salvata in virt della sua origine noumenica, in Jaspers il male investe tanto la
dimensione assiologica che quella pratica, quella della realizzazione della libert, dato che
il senso e la pratica della libert sono radicati nellesistenza finita in quanto tale. Scrive
Jaspers: Nella trascendenza [] non c pi libert, perch in un essere trascendente la
libert sarebbe falsamente assolutizzata e quindi negata come realizzazione esistenziale
nellessere temporale. [] Ora la libert pur sempre lessere dellesistenza, non della
trascendenza, ci che consente allesistenza di cogliere la trascendenza; questo pu
avvenire solo se lesistenza se stessa e si mantiene nella propria indipendenza.52 Il
dovere della libert costituito dalla propria realizzazione autentica, non v alcun
principio, alcun dovere che non sia lesistenza medesima. Visto che la libert tanto ci
che realizzato che ci che deve essere realizzato, in quanto il dovere della libert non pu
che emergere dalla libert stessa, la quale o o non , o sono libero o non lo sono, non c
alcun valore indipendentemente dallesistenza stessa: il dovere la libert che
realizzazione di se stessa.
Ogni imperativo puramente formale e che pretenda di valere universalmente porta con
s il rischio di dimenticare lesistente che sceglie e agisce concretamente.
Conseguentemente in Jaspers il male investe tanto la dimensione assiologica della libert
che quella pratica della sua realizzazione, dal momento che la perdita dellesistenza
nellesserci toglie lo spazio e la possibilit per qualsiasi istituzione della morale. Ci
consente di rilevare che nel contesto jaspersiano della chiarificazione dellesistenza la
questione del male assume una portata maggiore che in Kant, e porta ad una accentuazione
della precariet insita nella libert medesima, dove tale precariet non ne investe la sola
dimensione assiologica, bens primariamente quella ontologica. Se Kant pu affermare che
lorigine del male non pu esser posta in una corruzione della ragione moralmente
legislatrice, in quanto impossibile cancellare entro s lautorit della legge stessa e
rinnegare lobbligatoriet che ne deriva,53 in Jaspers, essendo posto il scegliere a
fondamento della coscienza della libert e del dovere (della necessit che essa comporta
nella scelta), il male conduce alla negazione della legge stessa, perch ne impedisce il
valere e la posizione stessa. Tanto in Kant che in Jaspers non sono mai definitivamente
sicuro di agire in maniera assolutamente morale, ma se nel primo il valore della legge non
mai messo in discussione, nel secondo proprio la libert e lelemento assiologico che essa
comporta a poter essere negato dalla libert medesima: il valere del bene e/o del male
affidato alluomo.
Concludendo queste nostre osservazioni, possiamo rilevare come la radice di ogni
differenza tra Kant e Jaspers nello svolgimento della questione del rapporto libert-volontmale non risieda nellammissione di un soggetto della libert e delle volont, n nel
52
53

F, pp. 650-651.
Kant 1794, p. 107 (B 31, A 28).

219

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

riconoscimento delleterogeneit qualitativa della sfera della libert rispetto a quella della
natura e delloggettivit, bens nelle modalit con cui viene concepito il soggetto. Se in
Kant si pone primariamente laccento sulla determinazione a priori, trascendentale e
formale della soggettivit, tanto a livello di ragion pura che di ragion pratica, in Jaspers
centrale la determinazione del soggetto in quanto esistenza, la quale come dimensione
ontologica non ricavabile da alcun oggetto desperienza ed intrinsecamente volta alla
Trascendenza. Conseguentemente il porsi dellExistenz come orizzonte di intelligibilit
della Trascendenza, visto che questultima pu annunciarsi solo allesistenza e le cui cifre
sono interpretabili solo attraverso una appropriazione esistenziale, porta a concepire un
trascendentale, da intendersi come orizzonte dintelligibilit, che, pur facendo leva
sullesistenza e avendo in essa il suo centro, ad un tempo volto a ci che non esistenza,
in quanto questultima relazione a s solo in quanto relazione ad altro.54 Il trascendentale
esistenziale jaspersiano non pu, quindi, stare da s e avere una funzione determinante in
senso forte, bens nel suo continuo e costitutivo volgersi verso lessere in senso lato, e verso
la Trascendenza in senso stretto, intrinsecamente avvolto dal mistero, e le sue stesse
determinazioni formali, tanto teoretiche che pratiche, o divengono appello allesistenza,
oppure sono destinate a rimanerle indifferenti ed estrinseche. Conseguentemente tutto ci
che colto positivamente dallesistenza deve essere progettato in direzione di ci che non
esistenza per assumere il proprio significato autentico, e proprio questo determina
linevitabile scacco in cui cade la forma significante di cui lesistenza si serve per cogliere
il reale. Il discorso jaspersiano si caratterizza fondamentalmente per essere il tramonto della
verit delluomo nellattesa dellavvento di quella dellessere, ma proprio questo stare a
met via, che pur tiene sempre fermo un soggetto con una sua struttura che non quella
dellessere medesimo, nemmeno come individuazione, pregiudica il concreto svolgimento
delle intenzioni autenticamente ontologiche che pur agiscono nel pensiero jaspersiano.

Bibliografia
KANT, Immanuel
KpV. Critica della ragion pratica, tr. it. di F. Capra, con glossario e indice dei nomi a cura di V. Mathieu,
Roma-Bari, Laterza, 19832.
KrV.
Critica della ragion pura, introduzione, tr. e note a cura di G. Colli, Milano, Adelphi, 1995.
1794. La religione entro i limiti della semplice ragione, tr. it. e note di V. Cicero, introduzione e apparati
di M. Roncoroni, Milano, Bompiani, 2001.
JASPERS, Karl
F.
Filosofia, a cura di U. Galimberti, Torino, UTET, 1978.
1947. Von der Wahrheit, Piper, Mnchen-Zrich, 19833.
1962. La fede filosofica di fronte alla Rivelazione, tr. it. e saggio critico di F. Costa, Milano, Longanesi,
1970.
MARZANO, Silvia
1974. Aspetti kantiani del pensiero di Jaspers, Milano, Mursia,.
PAREYSON, Luigi
1983. Karl Jaspers, Genova, Marietti, 19972.

54

Cfr. F, p. 126.

220

Indice
Avvertenza

Testi
5

22

34

45

59

69

78
91

102

Soggetto e predicato nella proposizione speculativa


hegeliana
Cinzia Ferrini
Rationality
and Relativism:
Historical
and
Contemporary Significance of Hegels Reply to Sextus
Empiricus
Kenneth R. Westphal
Problemi per la concezione tradizionale della
comunicazione linguistica
Cristopher Gauker
I principi della generazione umana: tradizione medica
e filosofia aristotelica nelle discussioni teologiche del
XIII secolo
Luciano Cova
La medicina tra religione, scienza ed etica. Problemi
filosofici a partire da Platone
Linda M. Napolitano Valditara
Il problema della complexio e la nozione del vivente in
Marsilio di Inghen
Giancarlo Zanier
La causa in Platone: natura, scienza e finalismo
Giovanni Casertano
Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di
causa nel Medioevo
Pasquale Porro

Riassunti dei corsi


2000-2001 e 2001-2002

133

Contributi
134
146

155

Lenunciazione nellipertesto
Piero Biasi
Il silenzio del Buddha: le origini della dottrina della
vacuit
Krishna del Toso
Visione e interpretazione in Wittgenstein
Cristiano Mautarelli

Michele Schiff / Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers

166

178
186

196

207

Eraclito di Efeso: alcune indicazioni per una proposta


di studio
Massimiliano Merisi
Levoluzione del metodo nella matematica greca
Giacomo Michelacci
La musica e le arti liberali nel IX secolo: origini
speculative del sapere teorico-musicale occidentale
Anna Morelli
Implicito e non detto nella divulgazione scientifica:
esempi dal discorso sulla clonazione
Simona Regina
Il male e la libert nella Philosophie di Karl Jaspers.
Osservazioni su alcune influenze kantiane
Michele Schiff

222

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