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I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE

TUTTE LE OPERE
DI
SANTAMBROGIO
edizione bilingue
a cura della Biblioteca Ambrosiana
promossa dal cardinale
GIOVANNI COLOMBO
arcivescovo di Milano
in occasione del XVI centenario
dellelezione episcopale di SantAmbrogio
COMITATO DIRETTIVO
CARLO M. MARTINI
GACOMO BIFFI
BERNARDO CITTERIO
GIANFRANCO RAVASI
ENRICO
ANGELO PAREDI
ADRIANO BAUSOLA
FRANCESCO VERZELERI
ANTONIO QUACQUARELLI
GIULIO VISMARA
cardinale, arcivescovo di Milano
cardinale, arcivescovo di Bologna ,
vescovo ausiliare di Milano
prefetto della Biblioteca Ambrosiana
prefetto emerito
della Biblioteca Ambrosiana
prefetto emerito
della Biblioteca Ambrosiana
rettore dellUniversit Cattolica
del Sacro Cuore
abate di S. Ambrogio
dellUniversit di Roma
dellUniversit di Milano
SEGRETERIA
ANGELO PAREDI INOS BIFFI
ANGELO PAREDI
e MIRELLA FERRARI
COLLEGIO DI REVISIONE
per il testo latino
GABRIELE BANTERLE
e INOS BIFFI
UMBERTO COLOMBO
ENRICO GALBIATI
per la traduzione
per la lingua italiana
per le citazioni bibliche
PRESENTAZIONE
Il proposito di promuovere la presente edizione di tutti gli
scritti di S. Ambrogio nato nel nostro animo durante Vanno del
XVI centenario della elevazione del santo Dottore alla cattedra
episcopale di Milano. Mentre la ricorrenza ci induceva a ripen
sare alla sua figura dolce e forte, all'azione provvidenziale da lui
svolta nella nostra terra, allattualit del suo pensiero e del suo
esempio, si moltiplicavano le ragioni persuasive dell'opportunit
di questa lunga e difficile impresa.
In primo luogo stato il desiderio di compiere un'opera di
cultura che rendesse pi vicino e accessibile uno scrittore della
statura di Ambrogio. Ovviamente il compito di attendere a questo
impegno spettava a quella Chiesa che va altera di chiamarsi am
brosiana; essa lo ha sentito come un gesto di piet filiale dovuto
alla memoria di un padre ancora cosi presente e vivo tra noi.
Inoltre, e piti profondamente, maturata in noi la consape
volezza che oggi gli Italiani hanno bisogno dellinsegnamento di
questo maestro in cui i valori della romanit e della rivelazione si
sono fusi in modo originale e armonioso; egli maestro di uma
nit, per unepoca che si fa sempre pi violenta e crudele; mae
stro di libert, che ammonisce a non vendere il bene massimo della
coscienza a nessun principe, antico o nuovo che sia; maestro
di fede, che con laltissima ispirazione religiosa delle sue pagine,
pu reinfondere unanima vigorosa e nuova a una societ desolata
dallassenza dei valori, inaridita dalle prospettive secolaristiche.
Ci ha stimolato infine lansia pastorale di rispondere secondo
un disegno ampio e meditato alle necessit della Chiesa di Milano
in un difficile momento della sua storia. Milioni di persone, arri
vate tra noi da gni angolo della penisola nel breve arco di due
decenni, hanno fatto della nostra terra un crogiuolo di stirpi, di
tradizioni, di dialetti diversi. I problemi umani che ne derivano
sono ardui, numerosi e certo non risolvibili a breve scadenza-
8 PRESENTAZIONE
Di fronte a questo rivolgimento storico, qualcuno, mosso da
una visione pi generosa che illuminata, ritiene che la Chiesa di
Milano debba attenuare le sue note caratteristiche, perch i nuovi
arrivati possano adattarvisi pi agevolmente. Il contrario vero:
quanto pi imponente l'ingresso tra noi di genti lontane tanto
pi la nostra Chiesa deve saper offrirsi con la sua inconfondibile
identit, deve andar loro incontro col suo volto chiaro e ricono
scibile: solo cosi potr improntare e animare di s il popolo nuovo
che nascer da questa lunga e travagliata fusione. Diversamente,
accolti in una societ anonima e grigia, tutti conserverebbero le
proprie diversit e continuerebbero a sentirsi irreparabilmente
stranieri e senza speranza. Gli ospiti nuovi si accolgono non de
molendo la nostra casa, ma irrobustendola, ampliandola e ren
dendola accogliente si, ma nel rispetto della sua originaria ar
chitettura e della sua primitiva spiritualit.
I n questo disegno assume una chiara significazione la rina
scita sempre pi vigorosa e caratterizzata della liturgia am
brosiana.
I n questo disegno s'inquadra la salvaguardia e il rinnovamen
to delle nostre tipiche forme di pastorale.
I n questo disegno il pensiero e la parola di S. Ambrogio
che stanno allorigine della nostra specifica identit ecclesiale
sono proposti alla lunga meditazione del clero e del laicato della
Chiesa di Milano, perch il ritorno alle sorgenti ci aiuti a rispon
dere agli interrogativi del mondo di oggi con la forza interiore
di chi sa di avere nella sua storia una ricchezza che non teme
confronti.
Proprio perch siamo un albero molto cresciuto ed esposto
a bufere, sentiamo il bisogno di avere radici robuste e profonde.
Lalta impresa affidata alla Biblioteca Ambrosiana, sede
prestigiosa di studi severi, che chiamata non solo a custodire
ma anche a rendere eloquenti e attuali i tesori di cultura della
nostra storia religiosa e civile. Siamo certi che il glorioso istituto
federiciano non deluder le nostre attese e che in un breve giro
di anni una serie di volumi agili e sobriamente eleganti ci offrir
tutte le pagine di Ambrogio, nel loro testo originale accuratamen
te ricostruito e in una semplice e dignitosa versione in lingua
italiana.
PRESENTAZIONE 9
Sul lavoro felicemente avviato e sulla larga schiera di coloro
che vi profonderanno le loro fatiche invochiamo di cuore la be
nedizione di Dio.
G i o v a n n i Co l o m b o
cardinale arcivescovo di Milano
SANCTI AMBROSII EPISCOPI MEDIOLANENSIS
OPERA
1
EXAMERON
recensuit Carolus Schenkl
Mediolani Romae
Bibliotiieca Ambrosiana Citra Nuova Editrice
MCMLXXIX
SANT'AMBROGIO
Opere esegetiche I
I SEI GIORNI
DELLA CREAZIONE
introduzione, traduzione, note e indici
di
Gabriele Banterle
Milano Roma
Biblioteca Ambrosiana Citt Nuova Editrice
1979
II edizione, novembre 1996
La I ed. del volume stata pubblicata con il contributo della Fondazione
S. Ambrogio per la Cultura Cristiana, sostenuta dal Dr. Ing. Aldo Bonacossa
Biblioteca Ambrosiana, P.za Pio XI, -2 - 20123 Milano
Citt Nuova Editrice, Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
ISBN 88-311-9150-0
INTRODUZIONE
Fino dai primi secoli della Chiesa molti furono gli esegeti del
primo capitolo della Genesi Per ricordarne solo alcuni, citeremo
Origene * e S. Basilio di Cesarea fra i Greci, Lattanzio * e S. Ago
stino^ fra i Latini. Possono spiegare questo interesse, che si pro
lunga nel corso del tempo, sia le ragioni liturgiche che con
sigliavano di commentare testi largamente impiegati durante le
celebrazioni quaresimali sia, soprattutto, la necessit dillustrare,
specie in contrapposizione con i vari sistemi ereditati dalla filo
sofia classica, lorigine del mondo, punto di partenza per la storia
della salvezza^.
Si comprende perci come anche S. Ambrogio abbia ritenuto
opportuno affrontare tale argomento, probabilmente nel corso del
la Quaresima del 387, e precisamente nei sei giorni della Setti
mana Santa dal 19 al 24 aprile''.
Lo svolgimento della predicazione pu essere cosi ricostruito:
1 giorno: I sermone, 1, 1,1- 6,24 (mattina);
I I sermone, 1,7,25-10,38 (pomeriggio).
1 H. Ca z e l l e s e J .P. B o u h o t ^ I l Pentateuco, trad. ital., Paideia, Brescia
1968, pp. 49-54.
* Dodici Libri sulla Genesi {Hexaemeron); sedici Omelie sulla Genesi, di
cui la prima sulla creazione; forse altre omelie sempre sulla Genesi. Della
prima opera rimangono solo frammenti; della seconda, una versione latina,
non sempre meticolosamente fedele, di Rufino (400-404 c.).
* Nove Omelie sulVHexaemeron. Si potrebbero qui aggiungere le anaIo>
ghe opere di S. Gregorio di Nissa e di S. Giovanni Crisostomo.
*De opificio mundi. . . .
De Genesi contra Manichaeos; De Genesi ad litteram imperfectus liber
e, soprattutto, dodici libri De Genesi ad litteram sui primi tre capitoli della
Genesi.
Ca z e l l e s -Bo u h o t , op. cit., pp. 55-56.
^J J l . Pa l a n q u e , Saint Ambroise et l'empire romain, De Boccard, Paris
1933, pp. 520 e 759; F. H o m e s Du d d e n , The life and times of St. Ambrose, Cla-
rendon Press, Oxford 1935, II, pp. 679-680.
Le altre date proposte oscillano fra il 386 e il 390. In genere non si
accetta la data 386, perch nelle omelie ambrosiane non c' traccia della ten
sione provocata dalla lotta contro gli ariani. A favore di tale data non mi
sembra decisivo largomento ricavato da Auc., Conf., VII, 3, 5, 1: vedi P.
CouRCBLLB, Recherches sur les Confessions de Saint Augustin, De Boccard,
Paris 1950, pp. 99-102.
Che la predicazione sla durata sei giorni risulta chiaramente da quanto
si dice allinizio del nono discorso (sesto giorno): Qui (sermo) etsi per quinque
iam dies non mediocri labore nobis processerit... (VI, 1, 1).
2* giorno: I I I sermone, II, J, 1 -5,22 (pomeriggio),
giorno: IV sermone, III, 1, 1 ~5, 24;
V sermone, III, 6,25 - 17,72.
4 giorno: VI sermone, IV, 1,1-9,34 (pomeriggio).
5 giorno: VII sermone, V, 1,1 -11,35;
V i l i sermone, V, 12,36 - 24,92 (separato da un breve
intervallo dal precedente e pronunciato nel pome
riggio).
6 giorno: I X sermone, VI, 1,1 -10,76 (manifestamente nel po
meriggio) .
I vari momenti della creazione sono cosi distribuiti: nella pri
ma giornata, cielo, terra (I) e luce (II); nella seconda, firmamento
(III); nella terza, -acque (IV) e piante (V); nella quarta, sole, luna
e stelle (VI); nella quinta, pesci (VII) e uccelli (Vili); nella sesta,
animali e uomo (IX).
Evidentemente un'opera cosi impegnativa presuppone nell'au
tore non solo il possesso d'una cultura generale, teologica e pr-
14 INTRODUZIONE
PALANQUE, op. cii., p . 438; D u d d e n , op. cit., II, p . 679.
Per il terzo giorno non ci sono precise indicazioni; si deve per ritenere
verosimile die il quarto sermone sia stato pronunciato al mattino e il quinto
al pomeriggio. Per il quinto giorno, invece, risulta dalla nota del testo ta
chigrafico, rimasta all'inizio dell'ottavo sermone (V, 12, 36), che questo venne
pronunciato dopo un breve intervallo {E t cum paulolum conticuisset) dal
discorso precedente. Poich, come vedremo nel seguito di questa stessa nota,
l'ottavo sermone fu .tenuto nel tardo pomeriggio, assegnerei il settimo alle
prime ore del medesimo pomeriggio.
Il Paredi (La liturgia di S. Ambrogio, in Sant'Ambrogio nel XVI cente
nario della' nascita , Vita e Pensiero, Milano 1940, pp. 139-141), sul fonda
mento d Exam., V, 11, 35; 24, 88; 24, 89; 24, 90; 24, 92, in confronto con Epist.,
XX, 25-26, ritiene che i due discorsi assegnati alla quinta giornata (VI I e Vi l i )
non siano stati pronunciati il quinto giorno della Settimana Santa, e cio il
venerd, bens il giorno precedente, e che quindi la divisione o l'assegnazione
dei vari discorsi che formano i sei libri sia da rifare.
Senza entrare nel merito dei problemi, per altro controversi, connessi
con la liturgia dei tempi di S. Ambrogio, credo assolutamente certo che il se
sto sermone venne pronunciato nel tardo pomeriggio del quarto giorno, e
cio del Gioved Santo: Sed iam cauendum ne nobis in sermone dies quartus
occidat; cadunt enim umbrae maiores de montibus, lumen minuitur, umbra
cumulatur (IV, 9, 34). Non mi pare infatti possibile sostenere che lespres
sione dies quartus si riferisca alla creazione anzich alla predicazione (cf.
anche I I , 5, 22). Ritengo inoltre altrettanto certo che i nove sermoni seguano
l'ordine del primo capitolo della Genesi (cf. VI, 2, 3), sicch il settimo e l'ottavo
non possono essere stati tenuti prima del sesto, cio la mattina del Gioved San
to. Del resto, anche l'ottavo sermone si conclude con unindicazione che non
lascia dubbi: ' ...e/ gr'atulemur quod factus est nobis uesper, et fiat mane
dies sextus. Si veda inoltre, nello stesso discorso, l'accenno alla stanchezza
che potrebbe indurre al sonno gli ascoltatori (V, 12, 37).
Quanto all'ipotesi che una probabile successiva rielaborazione abbia provo
cato qualche spostamento o ampliamento delia materia, essa certamente ve
rosimile. In ogni caso, la storia di Giona (V, 11, 35) si prestava egregiamente
per concludere l'elogio del mare, come la negazione di Pietro veniva a propo
sito parlando della notte e del canto del gallo. L'episodio di Giona, del resto,
richiamato anche da S. Basilio appunto'nella perorazione della settima omelia
(164 A = 69 C), mentre l esempio del gallo citato verso la fine dell'ottava
(181 C = 77 C).
fana, adeguata ai temi affrontati, ma anche il ricorso, piti o meno
immediato, a fonti particolari. Per i primi quattro paragrafi ci
soccorre l'approfondita ricerca del Ppin^ che rinvia, oltre che
ai Philosophumena dIppolito, al Cicerone del De natura deonim
e probabilmente deZ/ 'Hortensius, a Filone, forse ad 'E pitome di
Filodemo, senza escludere a priori la conoscenza diretta del De
philosophia del giovane Aristotele, non ancora indipendente dal
linflusso platonico. Ma pi in generale, trascurando per il mo
mento le fonti dell'informazione scientifica di cui diremo in se-
guito, per l'intera opera bisogna risalire, oltre che a Cicerone e
a Filone, quanto meno ad Origene e a S. Basilio di Cesarea
A questo proposito inevitabile citare il famoso passo di S.
Girolamo, nel tentativo di chiarirne i limiti ed il significato: Nuper
Ambrosius sic Exaemeron illius (scilicet Origenis) compilauit, ut
magis Hippolyti sententias Basiliique sequeretur Sembra dif
ficile, specie se si considera il carattere polemico di chi scrive,
che il verbo compilare non assuma qui un significato niente af
fatto lusinghiero Ma anche ammesso questo, il senso dell'intera
frase continua a rimanere piuttosto oscuro. Secondo il Ppin,
d'aprs le contexte, Jrme semble vouloir dire qu'Ambroise
a gard une certaine indpendence dans l'usage de cet Exaeme
ron... En tout cas, Jrme conferme que les lments origniens
introduits par Ambroise dans son propre Exaemeron devaient se
trouver dans / 'Exaemeron dOrigne plutt que dans une autre
ouvrage du mme auteur .
Ad ogni modo difficile raggiungere una conclusione sicura,
perch sia / 'Hexaemeron di Origene che quello di Ippolito non
J . P p i n , Thologie cosmique et thologie chrtienne (Ambroise, Exam.,
I, 14), Presses Universitalres de Franca, Paris 1964, pp. 513-533.
Dissente dal Ppin E. Lu c c h e s i , L usage de Phiton dans l'oeuvre exgtique
de saint Ambroise, ecc., E.J . Brill, Leiden 1977, pp. 73-74 e, specialmente, n. 2,
il quale pensa ad Origene come a fonte imica o principale.
10Cio al e al perduto commento ai primi quattro capitoli
della Genesi, oltre che alla prima omelia in Genesim, che tratta della creazione.
II Lavati (I l valore letterario della esegesi ambrosiana, Archivio am
brosiano. XI, Milano 1960, pp. 88 e 92) ritiene che VExameron preceda la let
tura di Plotino. Vedi per anche P. Co u r c e l l e , Platon et Saint Ambroise, Revue
de philologie, 76, 1956, pp. 4647.
Ep. 84, 7; cf. anche Apoi. adu. Ruf., I, 2, PL, 33, 417 B.
Il T.L.L. considera compilare sinonimo di excribere = copiare ; cf.
H o r ., Sai., I, 1, 121; Ma r t ., XI, 94, 4. Veramente J . Labourt ( S a i n t J r m e ,
Lettres, IV, Les Belles Lettres, Paris 1954, p. 134) traduce: Nagure, Am
broise a compil de telle manire l'Hexamron dOrigne qu'il s'est attach
de prfrence aux opinions d'Hippolyte et de Basile . Tra compiler e piller
c' una certa differenza.
1^Op. cit., p. 417, n. 2. Il Paredi (S. Ambrogio e la sua et, Hoepli, Milano
I960*, p. 370) intende cosi: Girolamo che aveva sottocchio tutte e quattro
le opere (cio quelle di Origene, di Ippolito, di Basilio e dello stesso Ambr(>
gio) scrsse che Ambrogio diede una nuova redazione dell'Esamerone di Ori-
gene, seguendo pi da vicino Ippolito e Basilio che non Origene. Cio lopera
di S. Ambrogio pi curata quanto allortodossia .'Da S. Girolamo (De uir.
ili., c. 61, PL, 25, 707 A) sappiamo che Ippolito aveva scritto un .
Sui rapporti tra S. Ambrogio e S. Girolamo vedi A. P a r e d i , S. Gerolamo e
S. Ambrogio, in Mlanges Eugne Tisserant , voi. V (Studi e testi, 235), Bi
blioteca vaticana 1964, pp. 183-198 (in particolare pp. 191-192).
INTRODUZIONE 15
ci sono pervenuti invece possibile istituire un confronto con
/ 'Hexaemeron di S. Basilio; ma i risultati ne sono, a dir poco,
sconcertanti. Bisogna riconoscere, infatti, che nessun altro verbo
meglio di compilare potrebbe esprimere la realt del rapporto
tra TExameron di Ambrogio e il suo modello greco. A parte
limpostazione generale, larghissimi brani sono riprodotti testual
mente insieme con esempi, citazioni e persino formule di passag
gio da un argomento allaltro Addirittura, come osserva il P-
pin e come io stesso ho personalmente sperimentato, molte oscu
rit del testo latino si chiariscono agevolmente nel confronto con
quello di S. Basilio, data la maggiore precisione del linguaggio fi
losofico greco. La fonte, inoltre, non mai citata se non indiret
tamente, come per esempio a IV, 7,30, dove si parla di nonnulli
docti et Christiani uiri, ma soltanto per manifestare un dissenso
I l Paredi, dopo aver rilevato, non senza una certa sorpresa,
tale modo di procedere, lo spiega, sia pure in forma dubitativa,
con il carattere oratorio del libro Certamente un sermone
non un trattato, almeno nel senso moderno del termine, bens
un'opera nella quale linteresse che potremmo chiamare cultura-
le-scientifico cede il passo allinteresse pastorale. Nel secolo quarto,
poi, il concetto di propriet letteraria era ben diverso da quello
giuridico-morale dei nostri tempi. S. Ambrogio, insomma, attinge
idee e immagini che ritiene possano giovare ai suoi ascoltatori,
senza preoccuparsi d'essere originale, perch in lui dominante
Tanimus del pastore, non quello dello scrittore e del dotto.
un fatto per che Z'Exameron costituisce un caso limite. Anche
in confronto al De officiis, che pur deve tanto a Cicerone, risulta
di gran lunga meno personale nel contenuto, perch manca Vat-
teggiamento di contrapposizione polemica rispetto alla fonte.
Un'opera come / 'Exameron, per la materia trattata e gli svi
luppi che ad essa si davano, richiedeva nell'autore un adeguato
patrimonio di conoscenze scientifiche. Lo Schenkl^ elenca tra le
fonti lo stesso Basilio, i Prata di Svetonio, di Filo
ne e, per le api, le Georgiche di Virgilio. La leggenda della fenice
C. SCHENKL, S. Ambrosii Opera, CSEL, XXXII, p. XIII: Num uero recte
dixerit Hieronymus Ambrosium Origenis Hexaemeron, hoc est Commentarios
in Genesim, quorum paucae nunc reliquiae extant, compilasse profecto du
bitari potest.
SCHENKL, op. cii., p . XIII: I mmo Basilii, cuius sententias tantum eum
magis secutum esse Hieronymus refert, opus expilauit ita ut plerumque eius
dispositionem sequeretur, multa isdem fere uerbis redderet, longe plura
maiore usus uerborum ambitu exprimeret, denique in uniuersum interpretis
potius quam scriptoris munere fungeretur.
Op. cit., p. 372: Si la plupart des obscurits du texte d'Ambroise
disparaissent la lecture du. texte de Basile... .
IAerem quoque nonnulli etiam docti et christiani uiri allegauerunt
lunae exortu solere mutari; cf. Bas., 144 BC (61 AC).
Op. cit., p. 370. Su tale questione vedi anche ci che scrive M. Cesaro,
Natura e Cristianesimo negli Exameron di S. Basilio e di Sant'Ambrogio,
Dldaskaleion, VII, 1929, p. 59.
Op. cit.. pp. XVI-XVIII.
' (Eus., .., II, 18, 6).
16 INTRODUZIONE
(V, 23, 79) deriva dalla prima lettera di Clemente^, lepisodio del
canto dellusignolo (V, 12, 39) da un carme de/ ZAnthologia Latina
Sempre secondo lo Schenkl^*, Ambrogio non avrebbe usato la
Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, come sarebbe dimostrato
dal fatto chegli, non adopera mai, per lo stesso argomento, i me
desimi vocaboli impiegati dall'autore latino^. Non va taciuto che
le nozioni scientifiche di S. Ambrogio non sono, nella maggior
parte dei casi, frutto di osservazione diretta e che vengono accolte
da lui tradizioni leggendarie e opinioni infondate^*.
Come si potr riscontrare dai rimandi in nota alla traduzione,
e/ / 'Exameron sono numerosissime, pi dun centinaio, le riso
nanze di Virgilio , poche quelle di Lucrezio, di Sallustio e di Ovidio.
Non mancano inoltre echi di Varrone, di Orazio e, forse, di Ma
crobio^. Non si tratta di vere citazioni, ma, per lo piti, di un
inserimento nel tessuto del discorso di espressioni che per la loro
carica poetica o per la loro suggestione allusiva contribuiscono al
lefficacia dell'esposizione.
Di qui prende l'avvio una serie di considerazioni senza le
quali il giudizio sull'opera ambrosiana risulterebbe incompleto
e perci ingiusto. Nonostante i modelli, ci che colpisce in Am
brogio la sensibilit vibrante per gli spettacoli naturali in cui
la potenza divina si manifesta. Sua caratteristica il gioioso com-
INTRODUZIONE 17
C. 25.
762 R.
Op. cit., p. XVI: Ne id quidem concedam Ambrosium scriptores La
tinos, qui in rebus naturalibus explicandis maxime exceltuerunt, omnes le
gisse. Veluli num Plinii Naturali historiae uel aliquod studium impenderit
quam maxime dubito.
Pur senza pretendere di smentire radicalmente l'affermazione dellil
lustre studioso tedesco, mi permetto di citare qui sotto due passi nei quali,
anche se non materialmente, i vocaboli di Plinio e di Ambrogio presentano
una corrispondenza che potrebbe non essere casuale: a) N.H., XXV, 53, 92:
(Ceruae) ostendere, ut indicauimus, dictamnum uulneratae p a s t u statim
TELis DECIDENTIBUS. Exam., I li , 9, 40: Gi b u s illis ergo medicina est, ut r e s i u r b
SAGITTAS uideas ex uulnere. b) N.H., X, 3, 13; Alterum expellunt t a e d i o n u
t r i e n d i . Exam., V, 18, 60: quod aliqui fieri putauerunt g e m i n a n d o r u m a l i m e n
t o r u m f a s t i d i o .
Vedi, p. es., la capacit della remora di fermare le navi (V, 10, 31),
la trasformazione dell'acqua in sale nellOceano (V, 11, 33), la restituzione
della vista ai rondinini (V, 17, 57), la fecondit verginale degli avvoltoi (V,
20, 64-5) e delle api (V, 21, 67), la resurrezione della fenice (V, 23, 79). A V,
12, 39. S. Ambrogio dichiara di riassumere da incompetente nozioni elementari.
ScHENKL, op. cit., p. XVII, n. 1. M.D. Di e d e r i c h , Vergil in works of St.
Ambrose, The Catholic University of America, Washington 1931, pp. 28-30,
elenca quattordici imitazioni , ritenute sicure, dalle Bucoliche, settantadue
dalle Georgiche, settantuno aVEneide, pi altre quattro dubbie dalle Bu
coliche, ventuno dalle Georgiche, quarantanove da'Eneide. Sui procedimenti
con i quali S. Ambrogio utilizza i testi virgiliani, vedi pp. 6-28. Vedi anche
L. Al f o n s i , L ecfrasis ambrosiana del libro delle api vergiliano , Vetera
Christianorum, 1965, 2, pp. 129-138; A.V. N a z z a r o , La I Ecloga virgiliana nella
lettura d'Ambrogio, in Ambrosius episcopus , Atti del Congresso intemazio
nale di studi ambrosiani, ecc., a cura di G. Lazzati, Vita e Pensiero, Milano
1976, II, pp. 312-324.
P. Co u r c e l l e , Nouveaux aspects du platonisme chez Saint Ambroise,
Revue des tudes latines, 34, 1956, pp. 232-234.
piacimento con il quale sa cogliere anche i pi umili aspetti, della
creazione. Troppo viva la partecipazione del suo animo perch
si possa pensare esclusivamente a squarci retorici. L'insegnamento
della scuola si limitato ad affinare doti di natura^^ e a fornire
adeguati mezzi espressivi. Basterebbe la famosa descrizione del
mare ad attestarci le sue capacit di scrittore^. Spesso, anche
se lo spunto offerto da S. Basilio, questo ampliato e svolto
vivacemente con ricchezza di apporti personali.
Nuocciono tuttavia alla composizione dell'opera una certa
prolissit e t frequenti excursus che fanno perdere il filo dellar
gomento e turbano l'equilibrio della trattazione. Ambrogio talvolta
dimostra chiaramente di rendersene conto ma nello stesso tempo
non se ne preoccupa in modo eccessivo, come si ricava dal fatto
che le numerose divagazioni sono riniaste anche dop la revisione
del testo tachigrafico^^.
Non va dimenticato per che rExameron anzitutto un'opera
esegetica che vuole illustrare i sei giorni della creazione. Riveste
quindi un'importanza essenziale la linea interpretativa prescelta
dall'autore. S. Ambrogio preferisce linterpretazione letterale -
tenendosi, almeno inizialmente, al testo; non rinuncia per ad ap
plicare con grande larghezza l'allegoria o piuttosto il cosiddetto
senso psichico o spirituale o morale, appreso dall'insegnamen
to di Origene
I n tal modo, come scrive il Lazzati, il vescovo-poeta potr
imprimere alla sua esegesi toni di unintensit spirituale e di
18 INTRODUZIONE
2* L a z z a t i , op. cil., p. 62.
III , 5, 21-4; su cui vedi anche ci che scrive L. Sp i t z e r , L armonia del
mondo, trad. ital-. I l Mulino. Bologna 1967, pp. 28-32. Il Paredi (op. cit.,
pp. 373 ss.), offre un'ampia e felice esemplificazione: III, 1, 24: l'acqua; IV,
1, 1-3: il sole; V, 8, 22: il granchio; V, 11, 36: gli uccelli; V, 15, 50-2: le gru;
V, 19, 62-3: la tortora; V, 20, 64-5: gli avvoltoi; V, 24, 88: il canto del gallo;
VI, 9, 55: il corpo umano; VI, 9, 68: il bacio. Io aggiungerei anche, p.es., la
descrizione del giglio (I I I , 8, 36); e a proposito del corpo umano, rileverei che
nei paragrafi successivi non mancano argomentazioni contorte e persino con
siderazioni banali, sia pure legate alla mentalit del tempo.
Sullo stile di S. Ambrogio e, in particolare sullinterferenza tra prosa
e poesia, vedi J . F o n t a i n e , Prose et posie: l'interfrence des genres et des
styles dans la cration littraire dAmbroise de Milan, in Ambrosius epi
scopus >, I, pp. 124 ss.
31 Vedi, p.es., I, 8, 32; II, 5, 22; III, 1, 6; III, 4, 17; IV, 9, 34; V, 11, 35;
V, 12, 36; V, 29, 90; VI, 2, 5.
G. L/ tzZATi, Uautenticit del De Sacramentis e la valutazione letteraria
delle opere di S. Ambrogio, Aevum, XXIX, 1955, p. 47; Opere di S. Ambrogio,
a cura di G. Co ppa , UTET, Torino 1969, p. 33; cf. p. 98.
Sull'uso della tachigrafia aUepoca di S. Ambrogio, vedi C. Mo h r m a n n ,
Observations sur le De sacramentis et le i De Mysteriis de saint Am-
broise, in Ambrosius episcopus , I, pp. 108-112.
Vedi p.es., VI, 2, 6: Caelum legimus, caelum accipiamus; terram legi
mus. terram intellegamus frugiferam. Vedi inoltre I, 8, 32; II, 4, 17; VI, 2, 4;
VI, 3, 9.
^ Co ppa , op. cit., p. 38; H. Db Lu b a c , Esegesi medievale, trad. ital., Ed.
Paoline, Roma 1972, II, p. 1223. In particolare, sulla genesi delle varie forme
dinterpretazione e, soprattutto, del metodo allegorico, vedi H. Au s t r y n Wo l f -
SON, La filosofia dei Padr della Chiesa, trad. ital., Paideia, Brescia 1978. I,
pp. 33-72.
un'espressivit che congiungono gli accenti della mistica e della
poesia Per Z'Exameron, o almeno per molte sue parti, questo
giudizio pu essere senz'altro accettato, sia pure con la riserva,
formulata subito dopo dallo stesso Lazzati, che la pagina ese
getica ambrosiana si presenta spesso stentata, difficile, impi
gliata nel suo stesso gioco Se particolarmente felice appare
l'accostamento tra la rosa, fiore bellissimo ma cinto di spine, e i
successi degli uomini, spesso pagati a prezzo di sofferenze e di
miserie^'', oppure tra la vite e i fedeli sia come singoli individui
sia quali membri della comunit ecclesiale lo sviluppo dato,
per esempio, al paragone tra il cristiano e il pesce^^ e ancor pi
alla leggenda dellaccoppiamento tra la vipera e la murena*'^, con
le relative applicazioni, nonostante lefficacia pastorale, non ci con
vince del tutto.
Inoltre l'opera troppo legata alle impostazioni culturali e
ai concetti scientifici del proprio tempo, fatti emergere ancora
pi rigidi dalle esigenze d'un'inter prelazione letterale, perch il
lettore dei nostri giorni possa sentirsi pago come chi ha raggiunto
una meta.
Eppure, con tutti i suoi limiti, specie riguardo alla originalit
della dottrina, alla chiarezza e alla fondatezza in campo esegetico,
allequilibrio della composizione, alla validit di talune argomen
tazioni, / 'Exameron resta, almeno in molte sue parti, un libro af
fascinante perch nato, prima ancora che dallintelligenza e dalla
cultura, da una vivissima fede, da unanima ardente, da un cuore
innamorato dello splendore delluniverso quale riflesso della sa
pienza e della bont di Dio.
INTRODUZIONE 19
Non esistono problemi sullautenticit deZZ'Exameron. Baste
rebbe a garantirla la sola testinonianza di S. Girolamo sopra ri
portata. significativa, inoltre, la probabile imitazione di Clau
diano nel De raptu Proserpinae (III, 263-8 = Exam., VI, 4, 21)
composto tra il 395 e il 597 data che, in un certo senso, segna
linizio della fortuna dellopera attraverso i secoli
Converr' piuttosto spendere qualche parola sulla grafia del
titolo che, derivando dal greco ', dovrebbe essere rego
larmente Hexaemeron. In realt, presso i vari autori, questo nome
viene scritto in forme diverse che ho scrupolosamente conservate
Op. cit., p. 64.
3* Op. cit., l.c.
sIII, 11. 48.
38 III, 11,49 - 12,52.
3V, 5,4 - 6,17.
V, 7, 18-20.
SCHENKL, op. cit., p . XVIII.
S c h a n z -Ho s i u s , IV, 2, p . 24.
P.es., Isidoro di Siviglia (m. 636) nel De natura rerum usa largamente
VExameron, spesso anche citandone lautore.
nelle relative citazioni Lo Schenkl ci avverte che tutti i codici
ambrosiani usano la forma Exameron, sicch, anche tenuto con
to della variet delle grafie attestate, sebbene la conoscenza del
greco da parte di Ambrogio lasci adito a qualche perplessit sul
lesattezza di tale trascrizione latina, preferisco conservare la for
ma ormai generalmente accolta.
Il testo riprodotto quello curato da C. Schenkl per il Cor
pus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum di Vienna (1897, ri
stampa 1962), con qualche lievissimo ritocco nella punteggiatura
e qualche mutamento ortografico*^. Di tali mutamenti si fa men-
zione a pi di pagina.
Riguardo ai criteri seguiti nella traduzione, rinvio a quanto
ho detto ne/ rintroduzione al De officiis. Va rilevato per che da
un punto di vista letterario Z'Exameron presenta uno stile pi co
lorito, pi vario e vivace che mi sono sforzato di riprodurre, pur
nella fedelt al testo latino.
2 0 INTRODUZIONE
** Hexaemeron, Exaemeron. Il Faller (CSEL, LXXXII, pars X. Epist. XXIX,
p. 195), scrive lecto .
^ Op. cit., p. XII.
Ho preferito scrivere Arrins, Arrianus, grafia largamente diffusa e
attestata concordemente in codici del sec. V (F a l l e r , CSEL, LXXVIII, p. 50*).
Inoltre ho mutato lortografia in pochissimi casi nei quali essa risultava
contraddittoria senza che i codici ne dessero, a mio parere, sufficiente giusti
ficazione.
Su taluni'limiti dell'edizione dello Schenkl, vedi M. Fhwari, Recensiones
milanesi di opere di S. Ambrogio, in Ambrosius episcopus , I, p. 63.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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mento di Mons. Dr. Emiliano Pasteris, SEI, Torino 1937.
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et traduction de S. Giet, Les ditions du Cerf, Paris 1968*.
S. A m b r o g i o , Opere, a cura di G. Coppa, UTET, Torino 1969.
Genesi, Introduzione, Storia primitiva, a cura di P.E. T e s t a , ofm, Ma
rietti, Torino 1969, voi. I.
H . D e Lu b a c , Esegesi medievale, trad. ita!., Edizioni Paoline, Roma
1972, voi. II.
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Augustinianum, XIV, 1974, pp. 559-590.
G. Ma d e c , Saint Ambrois e et la philosophie, tudes augustiniennes, Pa
ris 1974.
H . Au s t r y n Wo l f s o n , La fi l osofi a dei Padri della Chiesa, trad. ita!.,
Paideia, Brescia 1978, voi. I.
Per una bibliografia completa, vedi specialmente le opere del Ppin
e del Coppa e il pi recente volume del Madec. Su questioni specifiche
vedi Ambrosius episcopus , Atti del Congresso intemazionale di studi
ambrosiani, precedentemente citato.
Riguarda solo indirettamente VExameron lopera di H. S a v o n , Saint
Ambroise devant Vexgse de Philon te Juif, 2 voli. tudes augustiniennes,
Paris 1977, che ho potuto consultare soltanto a lavoro ultimato.
22 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Esprimo un doveroso ringraziamento a Sua Ecc. Mons. Giacomo
Biffi e al prof, don Inos Biffi, che, con i loro suggerimenti, hanno
contribuito a rendere pi rispondente agli scopi proposti questo lavoro.
Don Inos Biffi , inoltre, lautore delle note pi strettamente teo
logiche del commento, contrassegnate dalla sigla I.B.
Un vivo ringraziamento anche alla prof.ssa Mirella Ferrari, che ha
rivisto con vigile cura le bozze del testo latino.
Exameron
1 sei giorni della creazione
DIES PRI MVS
SERMO I
Caput I
1. Tantumne opinionis adsumpsisse homines, ut aliqui eo
rum tria principia constituerent omnium, deum et exemplar et
materiam, sicut Plato discipulique eius, et ea incorrupta et in
creata ac sine initio esse adseuerarent deumque non tamquam
crcatorcm materiae, sed tamquam artificem ad exemplar, hoc est
ideam intendentem fecisse mundum de materia, quam uocant
, quae gignendi causas rebus omnibus dedisse adseratur, ip
sum quoque mundum incorruptum nec creatum aut factum aesti
marent, alii quoque, ut Aristoteles cum suis disputandum putauit,
duo principia ponerent, materiam et speciem, et tertium cum his,
quod operatorium dicitur, cui subpeteret competenter efficere
quod adoriendum putasset.
2. Quid igitur tam inconueniens quam ut aeternitatem operis
cum dei omnipotentis coniungerent aeternitate uel ipsum opus
deum esse dicerent, ut caelum et terram et mare diuinis proseque
rentur honoribus? Ex quo factum est ut partes mundi deos esse
credcrcnt, quamuis de ipso mundo non mediocris inter eos quae
stio sit.
3. Nam Pythagoras unum mundum adserit, alii innumerabi
les dicunt esse mundos, ut scribit Democritus, cui plurimum de
physicis auctoritatis uetustas detulit, ipsumque mundum semper
PRIMO GIORNO
I SERMONE
Capitolo 1
1. Gli uomini in verit hanno concepito* una cosi grande
opinione di s, che alcuni di loro, come Platone * e i suoi discepoli,
fissano tre principi di tutto ci che esiste: Dio, il modello esem
plare e la materia. Essi affermano che tali principi sono incorrotti,
increati e senza un inizio e che Dio, non come creatore della ma
teria, ma come artefice che riproduce un modello, ispirandosi
cio allidea, form il mondo della materia, che chiamano la
quale ha dato origine a tutte le cose; perfino lo stesso mondo ri
tennero incorrotto, non creato n fatto. Anche altri, come sostenne
Aristotele * con i suoi discepoli, posero due principi, la materia e
la forma, e con questo un terzo chiamato attivo, in grado di
attuare convenientemente quello cui ritenesse di porre mano.
2. Che c dunque di tanto sconveniente quanto l'aver essi
congiunto l eternit dellopera con quella di Dio onnipotente o
l aver chiamato Dio l opera stessa, cosi da tributare onori divini
al cielo, alla terra, al mare? Da tali premesse deriv la loro con
vinzione che parti del mondo fossero di, pur essendoci fra loro
una controversia non trascurabile sul mondo stesso,
3. Pitagora afferma che esiste un solo mondo, altri dicono
che ce ne sono innumerevoli, come scrive Democrito cui gli anti
chi attribuirono grandissima autorit nel campo delle ricerche
* Infinito esclamativo; cf. Hor., Sat., 9, 72-3; Huncine solem / tam ni
grum surrexe mihi!
2 Cf. HiPP., Philosophumena, 19, 1, in D i e l s , Doxographi Graeci, p. 567,
7, che deve ritenersi la fonte principale ed immediata di questo passo. Sulla
questione delle fonti usate da S. Ambrogio per il primo capitolo dellB^a-
meron, vedi P p i n , op. cit., 527-533; cf. Ma d e c , Saint Ambroise et la philo-
sophie, tudes augustiniennes, Paris 1974, p. 47.
^": termine usato in filosofia per la prima volta da Aristotele ad
indicare la materia in contrapposizione alla forma (Met., 6, 10, 4). E
adoperato anche da Ippolito nel passo sopra citato.
<Vedi sopra n. 3. Secondo il P p i n , op. cit., pp. 513-515, tutto il capitolo
risentirebbe della dottrina del giovane Aristotele, esposta nel De philosophia;
vedi anche Ma d e c , op. cit., p. 134.
Laggettivo operatorius rende il di Filone; vedi P p i n , op. cit.,
pp. 338-339.
fuisse et fore Aristoteles usurpat dicere; contra autem Plato non
semper fuisse et semper fore praesumit adstruere, plurimi uero
non fuisse semper nec semper fore scriptis suis testificantur.
2 6 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 1, 3-4 - C. 2, 5
4. Inter has dissensiones eorum quae potest ueri esse aesti
matio, cum alii mundum ipsum deum esse dicant, quod ei mens
diuina ut putant inesse uideatur, alii partes eius, alii utrumque?
in quo nec quae figura sit deorum nec qui numerus nec qui locus
aut uita possit aut cura conprehendi, siquidem mundi aestima
tione uolubilem rutundum ardentem quibusdam incitatum moti
bus sine sensu deum conueniat intellegi, qui alieno, non suo motu
feratur.
Caput II
5. Vnde diuino spiritu praeuidens sanctus Moyses hos homi
num errores fore et iam forte coepisse in exordio sermonis sui sic
ait: In principio fecit deus caelum et terram^, initium rerum,
auctorem mundi, creationem materiae conprehendens, ut deum
cognosceres ante initium mundi esse uel ipsum esse initium uni-
uersorum, sicut in euangelio dei filius dicentibus; tu quis es? re
spondit; Initium quod et loquor uobis et ipsum dedisse gignendi
rebus initium et ipsum esse creatorem mundi, non idea quadam
duce imitatorem materiae, ex qua non ad arbitrium suum, sed ad
speciem propositam sua opera conformaret. Pulchre quoque ait;
In principio fecit, ut inconprehensibilem celeritatem operis expri-
Gen 1, 1.
*>Io 8, 25.
naturali Aristotele suole dire che Io stesso mondo sempre esi
stito e sempre esister. Al contrario, Platone osa affermare che
esso non esistito sempre ed esister sempre, moltissimi invece
asseriscono nei loro scritti che non esistito sempre n sempre
esister.
4. In tale contrasto di opinioni quale pu essere la valuta
zione della verit, dal momento che alcuni dicono dio lo stesso
mondo, poich sembra a loro giudizio che vi sia insita unintelli
genza divina, altri parti di esso, altri lxma e l altra cosa? In que
sta situazione non si potrebbe comprendere n quale sia l'aspetto
degli di n quale il loro numero n quale la loro residenza o la
loro vita o di che si preoccupino, poich, secondo tale visione del
mondo, bisognerebbe concepire im dio rotante, sferico, infocato,
mosso da determinati impulsi, privo di sensibilit, trasportato da
una forza estranea, non da una forza sua propria.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 27
Capitolo 2
5. Perci, prevedendo per ispirazione divina che sarebbero
sorti questi errori tra gli uomini e che forse avevano gi comin
ciato a diffondersi, il santo Mos allinizio della sua opera cosi
dice: In principio Iddio cre il cielo e la terra, indicando nello
stesso tempo l inizio delle cose, l autore del mondo e la creazione
della materia, affinch tu apprendessi che Dio esiste prima del
l'inizio del mondo, che egli l'origine di tutte le cose (cosi il
Figlio del Vangelo, a coloro che gli chiedevano: Tu chi sei? ,
rispose: Sono l'origine che anche parlo a voi ^), che egli ha
inserito nelle cose il principio della generazione ed il creatore
del mondo, non gi l'elaboratore della materia ad imitazione di tuia
determinata idea, secondo la quale dare foriria alle proprie opere
non a proprio arbitrio, ma conforme a un modello proposto *. Ben
disse anche: In principio cre, per esprimere l'inconcepibile rapi-
Cf. Cic., Acad., II, 17, 55: Dein confugis ad physicos (i filosofi natura
listi), eos qui maxime in Academia irridentur, a quibus ne tu quidem iam
te abstinebis, et ais Democritum dicere innumerabiles esse mundos; vedi an
che De nat. deor., I, 45, 120. Cf. Hipp., Philos., 13, 2, in Diels, Do x . Gr., p. 565, 9.
Hi pp. , Philos., 20, 6, in D i e l s , Do x . Gr., p. 574, 34; cf. Philo, De aet.
mundi, 3.
* Forse si allude a P l a t . , Tim., 27d-29b, testo che S. Ambrogio doveva
conoscere nella traduzione di Cicerone ora perduta ( S c h e n k l , op. cit., p. XVI).
Cf. Cic., De nat. deor., II, 17, 46; Epicurus... dicat se non posse in~
tellegere qualis sit uolubilis et rotundus deus; I, 10, 24: Quae uero uita tri
buitur isti rotundo deo?
1 II testo greco ha: da tradursi; Proprio
quello che vi dico (Rossano). un accusativo avverbiale. S.
Ambrogio intende in riferimento al Verbo di Dio, seguendo Or i c e n e , Com
mento a Giovanni I-II (cfr. trad. e note di E. Corsini, Torino 1968).
^Confuta la ben nota teoria platonica esposta nel Timeo: vedi n. 8 del
capitolo precedente.
28 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 2, 5-7
meret, cum effectum prius operationis inpletae quam indicium
coeptae explicauisset.
6. Quis hoc dicat aduertere debemus. Moyses utique ille eru
ditus in omni sapientia Aegyptiorum, quem de flumine collectum
filia Pharao ut filium dilexit et subsidiis regalibus fultum omni
bus saecularis prudentiae disciplinis informari atque instrui desi-
derauit. Qui cum de aqua nomen acceperit', non putauit tamen
dicendum quod ex aqua constarent omnia, ut Thales dicit, et cum
esset in aula educatus regia, maluit tamen pro amore iustitiae
subire exilium uoluntariumquam in tyrannidis fastigio peccati
perfunctionem deliciis adquirere. Denique priusquam ad populi
liberandi munus uocaretur, naturali aequitatis studio prouocatus
accipientem iniuriam de popularibus suis ultus inuidiae sese dedit
uoluptatique eripuit atque omnis regiae domus declinans tumultus
in secretum Aethiopiae se contulit ibique a ceteris negotiis remo
tus totum diuinae cognitioni animum intendit, ut gloriam dei ui-
deret faciem ad faciem'. Cui testificatur scriptura quia nemo
surrexit amplius propheta in Istrahel sicut Moyses, qui sciuit do
minum faciem ad faciem non in uisione neque in somnio, sed
os ad os cum deo summo locutus, neque in specie neque per ae
nigmata, sed clara atque perspicua praesentiae diuinae dignatione
donatus .
7. Is itaque [Moyses] aperuit os suum et effudit quae in eo
dominus loquebatur secundum quod ei dixera;t, cum eum ad Pha
rao regem dirigeret: Vade et ego aperiam os tuum et instruam te
quid debeas loqui **. Etenim si quod de populo dimittendo diceret
a deo acceperat, quanto magis quod de caelo loqueretur. Denique
non in persuasione humanae sapientiae nec in philosophiae simu
latoriis disputationibus, sed in ostensione spiritus et uirtutis tam
quam testis diuini operis ausus est dicere: In principio fecit deus
caelum et terram. Non ille, ut atomorum concursione mundus
coiret, serum atque otiosum expectauit negotium neque discipu
lum quendam materiae, quam contemplando mundum posset ef-
' Ex 2, 5 et 10.
Ex 2, 15.
' Ex 2, 11ss.
f Deut 34, 10.
Ex 12, 6-8.
h Ex 4, 12.
dit dell'azione, indicando il risultato dellazione compiuta prima
di accennare al suo inizio.
6. Dobbiamo fare attenzione a chi dice questo. quel fa
moso Mos, colto in ogni campo del sapere degli Egiziani, che la
figlia del Faraone aveva raccolto dal fiume e amato come proprio
figlio e, procuratogli il sostegno della protezione regale, aveva
voluto che fosse adeguatamente istruito in tutte le discipline della
scienza profana. Egli, pur avendo derivato il suo nome dallac
qua *, non ritenne di dover dire che tutte le cose erano costituite
dacqua, come afferma Talete', e, pur essendo stato educato nel
palazzo reale, prefer per amore della giustizia sopportare un vo
lontario esilio piuttosto che al vertice del potere, in mezzo ai pia
ceri, esporsi a cadere in peccato Tant vero che, prima di essere
chiamato al compito di liberare il popolo, avendo vendicato per un
naturale sentimento di giustizia un suo compatriota che subiva
un torto, si espose al risentimento, rinimci alle comodit della
vita e, fuggendo l agitazione del palazzo reale, cerc rifugio in
una localit appartata dellEtiopia e l, lontano da tutte le altre
occupazioni, rivolse l animo alla conoscenza di Dio, cosi che ne
vide la gloria a faccia a faccia. A lui rende testimonianza la Scrit
tura dicendo che non sorse mai pi in Israele un profeta come
Mps che conobbe il Signore a faccia a faccia, non in visione o in
sogno, ma parlando con Dio a tu per tu, avendo ricevuto il pri
vilegio che gli fosse rivelata chiaramente, non in immagine o in
forma oscura, la presenza divina.
7. Egli dunque apri la bocca e annunci quello che per mez
zo suo il Signore diceva, in conformit a quanto gli aveva detto
mandandolo al re Faraone: Va, ed io aprir la tua bocca e ti in
segner ci che devi dire. Se aveva appreso da Dio ci che doveva
dire sulla liberazione del popolo, quanto pi avr appreso da lui
ci che avrebbe detto del cielo! Cosi, non gi fidando nellumana
sapienza n in fallaci dispute filosofiche, ma nella rivelazione del
lo spirito e della potenza', come testimone dellopera divina os
affermare: In principio Iddio cre il cielo e la terra. Egli non
attese che il mondo si formasse per l incontro di atomi con un
procedimento lento e irresponsabilen ritenne di dover presen
tare Dio come un discepolo della materia in grado di plasmare il
Bas., Hexaem., 5 A (2B): ... &-
,^ ,
.
^P h i l o , De uita Moys., I, 4, 17:
.
5 Cf., . es., Cic., De nat. deor., I, 10, 25; Acad., II, 37, 118.
Bas., Hexaem., 5 AB (2 BC): *0
, >
.
B a s ., Hexaem., 5 C (2 D): 6
...
_ Bas., Hexaem., 5 C (2 D): & -
, .
Cf. Ci., De fin., I, 6, 17, dove si espongono le dottrine atomiche di
Democrito.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 29
fingere, sed auctorem deum exprimendum putauit. Aduertit enim
uir plenus prudentiae quod uisibilium atque inuisiblKum substan
tiam et causas rerum mens sola diuina contineat, non ut philoso
phi disputant ualidiorem atomorum conplexionem perseuerantiae
iugis praestare causam: iudicauit quod telam araneae texerent qui
sic minuta et insubstantiua principia caelo ac terris darent, quae
ut fortuito coniungerentur ita fortuito ac temere dissoluerentur,
nisi in sui gubernatoris diuina uirtute constarent. Nec inmerito
gubernatorem nesciunt qui non nouerunt deum, per quem omnia
reguntur et gubernantur. Sequamur ergo eum qui et auctoriem
nouit et gubernatorem nec uanis abducamur opinionibus.
30 EXAMERON, DIES I, SER. I , C. 2 , 7 - C. 3, 8
Caput III
8. In principio inquit. Quam bonus ordo, ut illud primum
adsereret quod negare consuerunt et cognoscerent principium esse
mundi, ne sine principio mundum esse homines arbitrentur, Vnde
et Dauid, cum de caelo et terra et mari loqueretur, ait; Omnia in
sapientia f ecisti'. Dedit ergo principium mundo, dedit etiam crea
turae infirmitatem, ne ,, ne increatum et diuinae consortem
substantiae crederemus. Et pulchre addidit fecit, ne mora in fa
ciendo fuisse aestimaretur, ut uel sic intellegerent homines quam
incomparabilis operator esset, qui tantum opus breui exiguoque
momento suae operationis absolueret, ut uoluntatis effectus sen
sum temporis praeueniret. Nemo operantem uidit, sed agnouit ope
ratum. Vbi igitur mora, cum legas: Quia ipse dixit et facta sunt,
ipse mandauit et creata sunt '>? Nec artis igitur usum nec uirtutis
expedit qui momento suae uoluntatis maiestatem tantae opera
tionis in^euit, ut ea quae non erant esse faceret tam uelociter,
ut neque uoluntas operationi praecurreret nec operatio uoluntati.
Ps 103, 24.
Ps 32, 9.
mondo contemplandola, ma come cr eator eQ u el l uomo pieno
di saggezza comprese che solo una mente divina contiene la so
stanza e la causa delle cose visibili e invisibili e non gi, come
ritengono i filosofi, che una pi resistente connessione di atomi
costituisca la causa di una perpetua durata. Giudic tessitori duna
ragnatela coloro che davano principi cosi meschini e inconsistenti
al cielo e alla terra i quali, come a caso si riuniscono, cosi per
puro caso si dissolverebbero se non fossero tenuti insieme dalla
potenza divina del loro regolatore. E ben a ragione ignorano un
regolatore coloro che non conoscono Dio, per opera del quale
tutte le cose sono rette e governate. Seguiamo dunque colui che
conosce sia il creatore sia il regolatore, senza lasciarci sviare da
opinioni infondate.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 31
Capitolo 3
8. In principio, disse. Quale ordine esemplare! Egli afferma
per prima cosa ci che solitamente si nega e fa conoscere che il
mondo ha un principio perch gli uomini non pensino che il mon
do non abbia un principio *. Perci anche Davide, parlando del
cielo, della terra e del mare, dice: Tutto hai fatto con sapienza.
Ha assegnato dunque un principio al mondo, ha attribuito anche
la debolezza alla creatura perch non credessimo il mondo senza
ordine, increato e partecipe della natura divina. E opportunamen
te aggiunse cre, affinch non si pensasse che cera stato un in
dugio nella creazione e cosi gli uomini comprendessero quale ar
tefice senza pari sia colui che ha compiuto un'opera tanto gran
diosa in un breve, fuggevole istante della sua operazione, cosi che
leffetto della sua volont prevenne la percezione del tempo. Nes
suno lo vide agire, ma si videro i risultati della sua azione. Dove
vi pu essere indugio quando tu leggi: Egli parl e le cose furono
fatte; ordin e furono create? Non ricorse allesperienza dunarte
o dunabilit colui il quale, con un atto fulmineo del suo volere,
comp unopera tanto grandiosa da far esistere ci che non esi
steva cosi rapidamente, che la volont non prevenne l azione n
lazione la volont.
Vedi nota 2.
Bas., Hexaem., 8 B (3 A): torv
, t -
.
* Bas., Hexaem., 8 BC (3 C): " iva , -
^
. ;
^, .
9. Miraris opus, quaeris operatorem, quis principium tanto
operi dederit, quis tam cito fecerit; subiecit statim dicens quia
deus fecit caelum et terram. Audisti auctorem, dubitare non debes.
Hic est, in quo benedixit Melchisedech Abraham patrem multarum
gentium dicens: Benedictus Abraham deo summo, qui fecit caelum
et terram <=. Et credidit Abraham et ait; Extendo manum meam ad
deum summum, qui fecit caelum et terram'^. Vides quia hoc non
homo inuenit, sed deus adnuntiauit. Deus est enim Melchisedech,
qui est rex pacis et iustitiae nec initium dierum nec finem ha
bens Non mirum ergo si deus, qui est sine initio, initium omni
bus dedit, ut quae non erant esse inciperent. Non mirum si deus,
qui omnia uirtute sua continet et inconprehensibili maiestate uni-
uersa conplectitur, fecit haec quae uidentur, cum etiam illa fecerit
quae non uidentur. Inuisibilia autem his quae uidentur potiora
esse quis neget, cum ea quae uidentur temporalia sint, aeterna
autem quae non uidentur? Quis dubitet quod deus haec fecerit,
qui per prophetam locutus ait; Quis mensus est manu aquam et
caelum palmo et uniuersam terram clausa manu? Quis statuit mon
tes in libra et rupes in statera et nemora in iugo? Quis cognouit
sensum domini aut quis consiliarius ei fuit uel quis instruxit
eum?*. De quo etiam alibi legimus quia tenet circuifum terrae et
terram uelut nihilum fecit Et Hieremias ait; Dii qui non fecerunt
caelum et terram peribunt a terra et desub caelo isto. Dominus
qui fecit terram in uirtute sua et correxit orbem in sapientia sua
et in sua prudentia extendit caelum et multitudinem aquae in
caelo Et addidit; Infatuatus est homo ab scientia sua Qui enim
corruptibilia mundi sequitur et ex his putat quod diuinae possit
naturae conprehendere ueritatem quomodo non infatuatur uer-
sutae disputationis astutia?
32 EXAMERON, DIES I, SER. I, C. 3, 9-10
10. Cum ergo tot oracula audias, quibus testificatur deus
quod fecerit mundum, noli eum sine principio esse credere, quia
quasi sphaera mundus esse dicatur, ut principium eius nullum
uideatur extare. Et cum intonat, quasi in circuitu omnia com-
mouentur, ut imde incipiat, ubi desinat non facile conprehendas,
quia circuitus principium sensu colligere inpossibile habetur. Ne-
c Gen 14, 19.
d Gen 14, 22.
Hebr 7, 2-3.
f Is 40, 12-13.
* Is 40. 22-23.
>ler 10, 11-13.
ler 10, 14.
9. Ammiri l opera, chiedi chi ne sia l'autore, chi abbia dato
principio a tanta impresa, chi l'abbia compiuta con tanta rapi
dit; perci Mos aggiunse subito: Dio cre il cielo e la terra.
Hai sentito chi ne l'autore, non devi quindi nutrire dubbi. Egli
colui nel nome del quale Melchisedec benedisse Abramo, padre
di molti popoli, dicendo: Sia benedetto bramo dal sommo Iddio
che ha creato il cielo e la terra. E Abramo credette e disse: Levo
la mia mano verso il sommo Iddio che ha creato il cielo e la terra.
Vedi che questa verit non fu trovata dall'uomo, ma rivelata da
Dio, il Dio di Melchisedec, che re di pace e di giustizia, senza
principio n fine di giorni. Non meraviglia, dunque, se Dio, che
non ha principio, ha dato principio a tutte le cose, di modo che
ci che non esisteva cominciasse ad esistere. Non desta meravi
glia se Dio, che tutto comprende nella sua potenza ed abbraccia
luniverso nella sua maest senza limite, ha creato le cose che si
vedono, dal momento che ha creato anche quelle che non si ve
dono. E chi negherebbe che le cose invisibili siano superiori alle
visibili, dal momento che ci che si vede temporaneo, mentre
eterno ci che non si vede? Chi potrebbe dubitare che a creare
tutto ci sia stato Dio che dice per bocca del profeta: Chi ha mi
surato con la mano lacqua e il cielo col palmo e tutta la terra
col pugno? Chi ha collocato i monti sulla bilancia e le rupi sulla
stadera e ha pesato i boschi? Chi conobbe la mente del Signore
o chi gli fu consigliere e maestro? Di lui leggiamo anche in un
altro passo che tiene il globo della terra e questa ha creato come
cosa da nulla. E Geremia dice: Gli di che non hanno fatto il cielo
e la terra scotnpariranno dalla terra e dallo spazio sotto la volta
del cielo. E il Signore che ha fatto la terra con la sua potenza e
ha sostenuto il globo terrestre con la sua sapienza e con la sua
prudenza ha steso il cielo e la massa delle acque nel cielo. E ag
giunse: L'uomo stato reso sciocco dalla sua scienza. Chi infatti
segue ci che nel mondo corruttibile e pensa di poter compren
dere su tale fondamento la verit della natura divina, come pu
non smarrire la ragione nelle sottigliezze di una discussione ca
villosa?
10. Poich dunque senti tante affermazioni ispirate che at
testano Dio creatore delluniverso, non voler credere che questo
sia senza un principio, perch lo si dice simile ad una sfera, sic
ch sembra che in esso non esista principio alcuno*. E quando
tuona, tutto si mette come a girare, sicch non potresti com
prendere facilmente dove cominci e dove sia il suo termine,
perch si ritiene impossibile percepire con i sensi l inizio dun
movimento circolare*. Infatti non si pu trovare il principio di
una sfera o dove cominci il globo lunare o dove termini quando
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 33
2 B a s ., Hexaem., 9 AB (3 E, 4 AB).
Circuitus propriamente significa andare in giro , il girare attorno ;
cf. Cic., De nat. deor., II, 19, 49: circuitus solis orbium.
que enim sphaerae potes initium repperire uel unde coeperit glo
bus lunae uel ubi desinat menstrua lunae defectione. Neque uero
si ipse non conprehendas, idcirco non coepit aut nequaquam de
sinet. Si F>se circuitum uel atramento uel graphio ducas uel centro
exprimas, unde coeperis aut ibi desieris interuallo interposito non
facile uel oculis colliges uel mente repetes: et tamen et coepisse
et desiuisse te ipse tibi testis es. Nam etsi sensum subterfugit,
ueritatem non subruit. Quae autem initium habent et finem habent
et quibus finis datur initium datum constat. Finem autem mundi
futurum ipse saluator docet in euangelio suo dicens: Praeterit
enim figura huius mundi ^ et caelum et terra praeteribunt' et
infra: Ecce ego uobiscum sum usque ad consummationem mundi ".
11. Quomodo ergo coaeternum deo mundum adserunt et crea
tori omnium sociant atque aequalem esse disputant creaturam
corpusque materiale mundi inuisibili illi atque inaccessibili na
turae diuinae coniungendum putant, cum praesertim secundum
suam sententiam non possint negare quoniam cuius partes corrup
tioni et. mutabilitati subiacent, huius necesse est uniuersitatem
isdem passionibus quibus propriae portiones eius sunt obnoxiae
subiacere?
34 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 3 , 10-11 - C. 4 , 12
Caput IV
12. Principium igitur esse docet qui dicit: In principio fecit
deus caelum et terram. Principium aut ad tempus refertur aut ad
numerum aut ad' fundamentum, quomodo in aedificanda domo
initium fundamentum est. Principium quoque et conuersionis et
deprauationis dici posse scripturarum cognoscimus auctoritate*.
Est et principium artis ars ipsa, ex qua. artificum diuersorum dein
ceps coepit operatio. Est etiam principium bonorum operum finis
optimus, ut misericordiae principium est deo placere quod facias;
etenim ad conferendum hominibus subsidium maxime prouocamur.
Est etiam uirtus diuina, quae hac exprimitur adpellatione. Ad tem
pus refertur, si uelis dicere in quo tempore deus fecit caelum et
1 1 Cor 7, 31.
m Mt 24, 35.
n Mt 28, 20.
a Prou 16, 5; Sap 14, 12.
la luna mensilmente scompare*. Ma anche se tu non riesci a
rendertene copto, non per questo la sfera non ha avuto un punto
dinizio o non finir mai. Se tu con l inchiostro o con lo stilo
tracciassi una circonferenza o la descrivessi con un compasso,
dopo un po di tempo non potresti o cogliere con gli occhi o ricorda
re con la mente dove hai cominciato e dove hai finito; e tuttavia
sei testimone a te stesso di aver cominciato e di aver finito tale
figura. Anche se ci sfugge ai sensi, non scalza la verit. Ci
che ha un inizio, ha pure una fine, ed chiaro che a ci cui si
pone fine stato dato inizio. E che il mondo finir, lo stesso Sal
vatore insegna nel suo Vangelo dicendo: Passa infatti la figura di
questo mondo e il cielo e la terra passeranno e pi sotto: Ecco
io sono con voi sino alla fine del mondo.
11. Come dunque affermano che Dio sia coeterno con il
mondo e associano al creatote delluniverso la creatura e la sti
mano pari a lui e ritengono di unire il corpo materiale del mondo
a quella invisibile e inaccessibile natura divina? Tanto pi che,
secondo le loro dottrine, non possono negare che la totalit di un
ente, le cui parti sono soggette alla corruzione e al mutamento,
soggiace necessariamente alle medesime alterazioni cui sono sog
gette le sue parti.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 35
Capitolo 4
12. Insegna dunque che c un principio colui che dice: In
principio Iddio cre il cielo e la terra^. I l principio si riferisce
o al tempo o al numero o al fondamento, come nella costruzione
di una casa il principio il fondamento. DaHautorit delle Scrit
ture apprendiamo che si pu anche parlare di principio a propo
sito del mutamento e della corruzione. Cosi principio dunarte
larte stessa dalla quale cominciata via via l attivit dei vari
artefici. Ed anche principio delle buone opere un fine irrepren
sibile, come principio della misericordia che sia gradito a Dio
ci che tu fai: tale gradimento ci che pi ci stimola a offrire
un aiuto ai nostri simili. Anche la potenza divina viene espressa
con questo nome^ Si riferisce al tempo, se vuoi indicare quando
* Cf. Cic., De nai. deor., II, 18, 47: Cumque duae formae praestantes
sint, ex solidis globus (sic enim interpretari placet), ex planis autem
circulus aut orbis, qui Graece dicitur, his duabus formis contingit
solis ut omnes earum partes sint inter se simillimae a medioque tantum absit
omne extremum quantum idem a summo, quo nihil fieri potest aptius.
^ Bas., Hexem., 9B (4 AB): t-Jjv ,
6 (cio
TV ).
' Bas., Hexaem., 12 C (5C).
* Cio con il nome di principio .
terram, id est in exordio mundi, quando fieri coepit, sicut ait sa
pientia; Cum pararet caelos, cum illo eram^. Ad numerum autem
si referamus, ita conuenit, ut accipias: inprimis fecit caelum et
terram, deinde colles, regiones, fines inhabitabiles uel sic; ante
reliquas uisibiles creaturas, dim, noctem, ligna fructifera, animan
tium genera diuersa, caelum et terram fecit. Si uero ad fundamen
tum referas, principium terrae fundamentum esse legisti dicente
sapientia: Quando fortia faciebat fundamenta terrae, eram penes
illum disponens^. Est etiam bonae principium disciplinae, sicut
est illud: Initium sapientiae timor domini^, quoniam qui timet
dominum declinat errorem et ad uirtutis semitam uias suas diri
git. Nisi enim quis timuerit deum, non potest renuntiare peccato.
3 6 EXAMERON, DIES I , SER. I, C. 4 , 12-13
13. Quod aeque etiam de illo possumus accipere; Mensis hic
initium mensuum erit uobis^, quamuis et de tempore istud acci
piatur. In hoc ergo principio mensuum caelum et terram fecit,
quod inde mundi capi oportebat exordium. Vbi erat oportuna
omnibus uerna temperies. Vnde et annus mundi imaginem nascen
tis expressit, ut post hibernas glacies atque hiemales caligines se
renior solito uemi temporis splendor eluceat. Dedit ergo formam
futuris annorum curriculis mundi primus exortus, ut ea lege an
norum uices surgerent atque initio cuiusque anni produceret terra
noua seminum germina, quo primum dominus deus dixerat: Ger
minet terra herbam faeni seminans semen secundum genus et se
cundum similitudinem et lignum fructiferum faciens fructum '.
Et statim produxit terra herbam faeni et lignum fructiferum, in
quo nobis et moderationis perpetuae diuina prouidentia et cele
ritas terrae germinantis ad aestimationem uernae suffragatur
aetatis. Nam etsi quocumque tempore et deo iubere promptum
fuit et terrenae oboedire naturae, ut inter hibernas glacies et
hiemales pruinas caelestis imperii fotu germinans terra fetum
produceret, non erat tamen dispositionis aeternae rigido stricta
gelu in uirides subito fructus laxare arua atque horrentibus prui
nis florulenta miscere. Ergo ut ostenderet scriptura ueris tempo
ra in constitutione mundi, ait; Mensis hic uobis initium mensuum,
b Prou 8, 27.
=Prou 8, 29-30.
Ps 110, 10; Prou 1, 7.
' Ex 12. 2.
Gen 1, 11.
Dio ha creato il cielo e la terra, cio airinizio del mondo, quando
questo cominci ad essere formato, come dice la Sapienza: Quan
do predisponeva i cieli, io ero con lui. Se lo riferiamo invece al
numero, conviene che tu intenda cosi: anzitutto cre il cielo e
la terra, poi i monti, le pianure, i territori abitabili oppure cosi;
prima delle altre creature visibili, cio il giorno, la notte, gli al
beri da frutto, le diverse specie d animali, cre il cielo e la terra.
Se poi lo riferisci al fondamento, hai letto nella Scrittura che il
principio il fondamento della terra, perch la Sapienza dice:
Quando rendeva saldi i fondamenti della terra, io ero accanto a
lui disponendo. C' anche il principio della retta educazione co-
m' quello di cui si dice: Inizio della sapienza il timore del Si
gnore, poich chi teme il Signore evita Terrore e cammina sulla
via della virt. Se non si teme Dio, non si pu rinunciare al peccato.
13. Possiamo interpretare nello stesso modo anche questo
passo: Questo mese sar per voi il principio dei mesi, quantun
que esso si intenda detto del tempo, perch si riferiva ^l a Pasqua
del Signore celebrata airinizio della primavera.. Dunque in tale
principio dei mesi Dio cre il cielo e la terra perch era oppor
tuno che il mondo prendesse inizio quando il clima primaverile
era favorevole a tutte le creature. Anche l'anno suole riprodurre
l'immagine del mondo nascente, sicch dopo i ghiacci invernali
e le nebbie della cattiva stagione, la luminosit del tempo prima
verile risplende pi limpida del solito^. I l primo sorgere diede
la regola al corso futuro degli anni, in modo che, secondo tale
legge, si susseguissero gli uni agli altri e all'inizio di ogni cinno la
terra facesse nuovamente germogliare i semi, comeper la prima
volta Dio aveva detto: Germogli la terr erba da foraggio produ
cendo semi secondo la specie e la somiglianza e alberi da frutto
che fruttifichino. E subito la terra produsse erba da foraggio e
alberi da frutto, circostanza con cui la perenne regola stabilita
dalla Provvidenza divina e la rapidit con la quale la terra ger
mogli suffragano l'ipotesi della stagione primaverile. Infatti, an
che se in qualsiasi stagione sarebbe stato facile a Dio comandare
e alla terra necessario obbedire cosi da produrre frutti germo
gliando riscaldata dal volere celeste, pur tra i ghiacci invernali e le
nevi dell'awersa stagione; tuttavia non rientrava nel disegno eter
no schiudere ad un tratto in frutti verdeggianti i campi stretti
nella morsa del gelo e mescolare alle brine, che fanno stecchire
3 Philo, De op. mundi, 7 (I , 5, 45; 7, 17 C); cf. Cic.; De nat. deor., I, 10,
24: atque terrae maximas regiones inhabitabiles atque incultas uidemus. Si
noti per che in Cicerone l aggettivo inhabitabilis significa <inabitabile come
in italiano. Non cosi in S. Ambrogio. Intendo regiones = pianure , in oppo
sizione a colles = <monti .
* Cf. Vero., Georg., II, 336-345.
5 quo = quo nitio,
I Settanta (Gen, 1, 11) hanno: ,
(* 66...
Come si vede, sembra che S. Ambrogio, alterando il testo, riferisca se
minans a terra.
Cf. Verg., Georg., , 317-8: Rura gelu tum claudit hiems nec semine
iacto / concretam patitur radicem adfigere terrae; LUCR., IV, 652^3. Cf. an-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 37
primus est uobis in mensibus anni, primum mensem uernum
tempus adpellans. Decebat enim principium anni principium esse
generationis et ipsam generationem mollioribus auris foueri. Nc
que enim possent tenera rerum exordia aut asperioris laborem
tolerare frigoris aut torrentis aestus iniuriam sustinere.
3 8 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 4 , 13-15
14. Simul illud aduertere licet, quia iure concurrit, ut eo tem
pore uideatur in hanc generationem atque in hos usus ingressus
tributus, quo tempore ex hac generatione in regenerationem legi
timus est transitus, siquidem uerno tempore filii Istrahel Aegyp
tum reJ iquerunt et per mare transierunt, baptizati in nube et in
mari, ut apostolus dixit, et eo tempore domini quodannis lesu
Christi pascha celebratur, hoc est animarum transitus a uitiis ad
uirtutem, a passionibus carnis ad gratiam sobrietatemque mentis,
a mjilitiae nequitiaeque fermento ad ueritatem et sinceritatem.
Regeneratis itaque dicitur: Mensis hic uobis initium mensuum, pri
mus est uobis in mensibus anni. Derelinquit enim et deserit qui
abluitur intellegibilem illum Pharao, principem istius mundi , di
cens: Abrenuntio tibi, diabole, et operibus tuis et imperiis tuis.
Nec iam seruiet ei uel terrenis huius corporis passionibus uel de-
prauatae mentis erroribus qui demersa omni malitia uice plumbi
bonis operibus dextra laeuaque munitus inoffenso saeculi huius
freta studet uestigio transire. In libro quoque, qui scribitur de
Niuneris, ait scritpura: Initium nationum Amalech et semen eius
peribit^. Et utique non omnium nationum primus est Amalech,
sed quia per interpretationem Amalech rex accipitur iniquorum,
iniqui autem gentes sunt, uide ne principem huius mundi accipere
debeamus, qui imperat nationibus uoluntatem suam facientibus,
cuius semen peribit. Semen autem eius impii et infideles sunt,
quibus ait dominus: Vos ex patre diabolo estis ".
15. Est etiam initium mysticum, ut illud est: Ergo sum pri
mus et nouissimus, initium et finis et illud in euangelio praeci
pue, quod interrogatus dominus quis esset respondit: Initium quod
Ex 12, 2.
h 1 Cor 10, 1-2.
Io 14, 30.
I Num 24, 20.
Ps 36, 28.
>Io 8, 44.
Apoc 1, 17; 21, 6.
14, 24. uox Schenkl manifesto mendo typ.
le loro distese fiorite. La Scrittura, per indicare che era prima
vera al momento della creazione del mondo, dice: Questo mese
per voi il principio dei mesi, per voi il primo tra i mesi del
l'anno, chiamando cio primo mese il tempo primaverile. Era
conveniente che il principio dell'anno segnasse l'inizio della ripro
duzione e che la riproduzione stessa fosse favorita da tm clima
pi mite. Infatti i geirmi ancor teneri non avrebbero potuto sop
portare o il tormento dun freddo troppo rigido o la violenza dim
calore infocato .
14. Nello stesso tempo lecito rilevare, perch viene a pro
posito, che si diede inizio a tale generazione e a tali pratiche nel
tempo in cui prescritto dalla legge il passaggio dalla generazione
alla rigenerazione. Fu infatti di primavera che i figli d'Israele lascia
rono l'Egitto e passarono attraverso il mare, battezzati nella nube e
nel mare, come disse l'Apostolo, e in quel tempo ogni anno si
celebra la Pasqua del Signore Ges Cristo, cio il passaggio delle
anime dai vizi alle virt, dalle passioni della carne alla grazia e
alla sobriet dello spirito, dal lievito della materia e della mal
vagit alla verit e alla sincerit. Perci a coloro che sono stati
rigenerati si dice: Questo mese per voi il principio dei mesi,
per voi il primo fra i mesi dellanno. Chi riceve il lavacro batte
simale abbandona definitivamente il principe di questo mondo,
di cui simbolo il Faraone dicendo: Rinuncio a te, o diavolo,
e alle tue opere e al tuo dominio . Ormai non servir pi a lui
e alle passioni terrene di questo nostro corpo o agli errori dun'in-
telligenza corrotta, perch, affondata ogni malizia a guisa di piom
bo, difeso sia a destra sia a sinistra dalle buone opere, egli si
sforza di attraversare senza danno le onde tempestose di questo
mondo. Anche nel libro intitolato Numeri dice la Scrittura: Amalec
il principio delle genti, ma il suo seme perir, E certamente
Amalec non il primo di tutte le genti, ma siccome simbolica-
mente Amalec considerato il re dei malvagi e le genti sono mal
vagie, bada che non si debba intendere il principe di questo mon
do, che domina le nazioni che fanno la sua volont e il cui seme
perir. E sono suo seme gli empi e gli infedeli ai quali il Signore
dice: Voi siete figli del diavolo.
15. C' anche un principio mistico, come questo: Io sono il
primo e lultimo, il principio e la fine; com' soprattutto quello
di cui si paria nel Vangelo: Sono il principio che anche parlo a
voi. Egli veramente secondo la divinit il principio di tutto per
ch nessuno esiste prima di lui, e ne la fine perch nessuno
I SEI GIRNI DELLA CREAZZONB 39
che Ve r g ., Georg., II, 330-331: parturit almus ager Zephyrique trementibus
auris f taxant arua sinus.
* Cf. Verg., Georg., I I , 343-345; Nec res hunc tenerae possent perferre
laborem / si non tanta quies iret frigusque caloremque / inter, et exciperet
caeli indulgentia terras. Cf. Bue., VI, 33-34.
9 Come osserva il Coppa (op. cit., p. 122, n. 45) con la parola rigenerati
si indicano i battezzati. II passo dell'Esoiio (12, 2) sopra citato e qui sotto
ripetuto era letto nella veglia del Sabato Santo, in cui si battezzavano i
catecumeni.
Per intellegibilis = simbolico , vedi B l a i s e -Ch i r a t , sub uoce.
et loquo.r uobis^. Qui uere et secundum diuinitatem est initium
omnium, quia nemo ante ipsum, et finis, quia nemo ultra ipsum
est. Secundum euangelium initium est uiarum domini in opera
eius, ut per ipsum disceret hominum genus uias domini sequi et
operari opera dei. In hoc ergo principio, id est in Christo fecit
deus caelum et terram, quia per ipsum omnia jacta sunt et sine
ipso factum est nihil quod factum est *: in ipso, quia in. ipso con
stant omnia et ipse est primogenitus totius creaturae^, siue quia
ante omnem creaturam, siue quia sanctus, quia primogeniti sancti
sunt, ut primogenitus Istrahel non quia ante omnes, sed quia
sanctior ceteris, sanctus autem dominus super omnem creaturam
et secundum corporis susceptionem, quia solus sine peccato, solus
sine uanitate, omnis autem creatura subiecta uanitati est.
16. Possumus etiam intellegere: In principio fecit deus cae
lum et terram, id est ante tempus, sicut initium uiae nondum uia
est et initium domus nondum domus. Denique alii dixerunt -
quasi in capite. Quo significatur in breui et in exiguo
momento summa operationis inpleta. Sunt ergo et qui principium
non pro tempore accipiant, sed ante tempus et vel caput,
ut dicamus latine, quasi summam operis, quia rerum uisibilium
summa caelum et terra est, quae non solum ad mundi huius spec
tare uidentur ornatum, sed etiam ad indicium rerum inuisibilium
et quoddam argumentum eorum quae non uidentur, ut est illud
propheticum: Caeli enarrant gloriam dei et opera manuum eius
adnuntiat firmamentum \ Quod secutus apostolus aliis uerbis in
eandem conclusit sententiam dicens: Quia inuisibilia eius per ea
quae facta sunt intelleguntur'". Auctorem enim angelorum et do
minationum et potestatum facile intellegimus eum qui momento
imperii sui hanc tantam pulchritudinem mundi ex nihilo fecit esse,
quae non erat, et non extantibus aut rebus aut causis donauit ha
bere substantiam*.
4 0 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 4 , 15-16
p Io 8, 25.
<t Prou 8, 22; cf. Lue 20, 21.
Io 1, 3.
* Coi I, 17.
Ex 4, 22.
Rora 8, 20.
Ps 18, 1.
w Rom 1, 20.
Coi 1. 16.
dopo di lui. Secondo il Vangelo, l'inizio delle vie del Signore sta
nella sua opera, affinch per suo mezzo il genere umano impa
rasse a seguire le vie del Signore e a compiere le opere di Dio.
In tale principio, cio in Cristo, Dio cre il cielo e la terra, perch
per mezzo di lui tutto fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla
di ci ch stato fatto: in lui, perch in lui sussistono tutte te cose
ed egli il primogenito di tutte le creature sia perch prima di
ogni creatura sia perch santo, dato che i primogeniti sono santi,
come era primogenito Israele, non perch fosse prima di tutti
popoli, ma perch pi santo di tutti gli altri. Invece il Signore
santo sopra ogni creatura anche secondo la sua incarnazione, per
ch il solo senza peccato, il solo senza vanit, mentre ogni crea
tura soggetta alla vanit.
16. Possiamo anche intendere: In principio Iddo cre il cie
lo e la terra, cio prima del tempo, come il principio di ima strada
non ancora la strada e l inizio d'una casa non ancora la casa
Altri disse , cio neUinsieme, espressione la quale
indica che linsieme della creazione fu compiuto in breve tempo,
in un istante. Vi sono dunque anche quelli che intendono princi
pio non riferito al tempo, ma prima del tempo, e cio
capo, per usare il termine latino, come insieme dellopera, perch
il cielo e la terra sono l insieme delle cose visibili; e sembra che
essi siano destinati non solo ad abbellire questo mondo, ma anche
a dimostrare l esistenza delle realt invisibili e, per cosi dire, ad
essere un argomento delle cose che non si vedono come suona
il detto del profeta: I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamen
to annuncia l'opera delle sue mani. Riprendendo questo concetto,
lApostoIo con altre parole ha espresso la medesima idea dicendo:
Le sue perfezioni invisibili si comprendono per mezzo delle opere
che sono state compiute. Comprendiamo facilmente che ha creato
gli angeli, le dominazioni, le potest colui che con il suo cenno
istantaneo ha creato dal nulla questa cosi meravigliosa bellezza
delluniverso che prima non esisteva e ha dato realt sostanziale
a cose e a cause che prima non sussistevano.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 41
Ba s ., Hexaem., 16 C (7 A): * 680 684
"riii (, 6 ...
Ba s ., Hexaem., 17 A (7 ): , ,
& .
B a s . , Hexaem., 16C (6 E): ... (4 )
, 1)
6 , i
...
Caput V
17. Est enim hic mundus diuinae specimen operationis, quia
dum opus uidetur, praefertur operator. Namque ut istarum ar
tium aliae sunt actuosae, quae sunt in corporis motu aut sono
uocis cessauit motus aut sonus, nihil superfuit nec remansit
spectantibus uel audientibus , aliae theoreticae, quae uigorem
mentis exerceant, aliae huiusmodi, ut cessante quoque operationis
officio operis mimus adpareat, ut aedificatio atque textura, quae
etiam tacente artifice peritiam eius ostendant, ut operatori operis
sui testimoniimi suffragetur: similiter etiam hic mundus diuinae
maiestatis insigne est, ut per ipsum dei sapientia manifestetur.
Quem uidens propheta simul et ad inuisibilia oculos mentis adtol-
lens ait: Quam magnificata sunt opera tua, domine! Omnia in sa-
pienta fecisti .
18. Nec otiose utique factum legimus quia gentiles plerique,
qui coaeternum deo mundum uolunt esse quasi adumbrationem
uirtutis diuinae, adserunt etiam sua sponte subsistere. Et quam-
uis causam eius deum esse fateantur, causam tamen factum
uolunt non ex uoluntate et dispositione sua, sed ita ut causa um
brae corpus est. Adhaeret enim umbra corpori et fulgur lumini
naturali magis societate quam uoluntate arbitra. Pulchre ergo ait
Moyses quia fecit deus caelum et terram. Non dixit quia subesse
fecit, non dixit quia causam mundo ut esset praebuit, sed fecit
quasi bonus quod foret utile, quasi sapiens quod optimum iudi-
cabat, quasi omnipotens quod amplissimum praeuidebat. Quo
modo autem quasi umbra esse poterat, ubi corpus non erat, cum
incorporei dei corporea adumbratio esse non potest? Quomodo
etiam incorporei luminis splendor possit esse corporeus?
4 2 EXAMERON, DIES I, SER. I, C. 5, 17-19
19. Sed si quaeris splendorem dei, filius est imago dei inui-
sibilis. Qualis ergo deus, talis et imago. Inuisibilis deus, etiam
imago inuisibilis; est enim splendor gloriae paternae atque eius
Ps 103, 24.
Capitolo 5
17. Questo moiido un esempio dell'azione divina, perch,
mentre si vede l'opera, se ne scopre l'autore. Come delle nostre
arti alcune, che consistono nel movimento del corpo e nel suono
della voce, sono pratiche, si esauriscono cio in un'attivit esteriore
quando cessa il moto o il suono non rimane assolutamente nulla
agli spettatori o agli ascoltatori ^, altre speculative, che impe-
gnaino il vigore della mente, altre di tale natura che, anche quando
l'artefice inoperoso, ne mostrano l'abilit, sicch depone a fa
vore dell'operatore la testimonianza della propria opera; simil
mente anche questo mondo im segno della maest divina, cosi
che per suo mezzo si manifesta l sapienza di Dio. Vedendo il
mondo e, nello stesso tempo, innalzando gli occhi della mente al
la contemplazione delle realt invisibili, il profeta dice: Come sono
meravigliose le tue opere, Signore! Tutto hai fatto con sapienza^
18. Ad ogni modo non senza ragione noi leggiamo che il
mondo stato creato, perch la maggior parte dei gentili che af
fermano coetemo a Dio il mondo come un riflesso della potenza
divina, asseriscono anche che essp sussiste spontaneamente. E
quantunque riconoscano che Do ne la causa, sostengono che
egli ne divenuto la causa non per un atto deliberato della sua
volont, ma cosi come un corpo causa della propria ombra
L'ombra infatti inseparabile dal corpo e il lampo dalla luce per
associazione naturale, non per un atto volontario. Ben a propo
sito dunque Mos dice Dio cre il cielo e la terra. Non disse che
Io fece sussistere, non disse che offri al mondo una causa per
esistere, ma che, essendo buono, fece ci che era utile, essendo
sapiente, ci che giudicava ottimo, essendo onnipotente, ci che
prevedeva di ampiezza sconfinata. In che modo vi sarebbe potuta
essere, per cosi dire, ombra dove non cera corpo, dato che di un
Dio incorporeo non vi pu essere ombra corporea? Come anche
potrebbe essere corporeo lo splendore di una luce incorporea?
19. Ma se cerchi lo splendore di Dio, il Figlio l'immagine
del Dio invisibile. Quale Dio, tale ne l'immagine. Dio invisi
bile, invisbile anche la sua immagine: infatti lo splendore
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 43
Ba s ., Hexaem., 17 AB (7BD): S al -
, , S
, -
, ... Sul valore de
gli aggettivi e , vedi P p i n , op. cit., p. 370.
* B a s ., Hexaem., 17 BC (7 DE): ... ,
. ^> ^
riv , ,
6-
& , , -
...
imago substantiae. In principio inquit fecit deus caelum et terram.
Et factus est ergo mundus et coepit esse qui non erat; uerbum
autem dei in principio erat et erat semper Sed etiam angeli, do
minationes et potestates etsi aliquando coeperunt, erant tamen
iam, quando hic mundus est factus. Omnia namque creata et
condita sunt, uisibilia et inuisibilia, siue sedes siue dominationes
siue principatus siue potestates, omnia inquit per ipsum et in
ipsum creata sunt . Quid est in ipsum creata"? Quia ipse est heres
patris, eo quod a patre in ipsum transierit hereditas, sicut pater
dicit: Posce a me, et dabo tibi gentes hereditatem tuam Quae
tamen hereditas a patre transiuit in filium et in patrem reuertit
a filio. Egregie itaque apostolus et hoc loco filium dixit auctorem
omnium et maiestate sua continentem omnia et ad Romanos de
patre ait: Quoniam ex ipso et per ipsum et in ipsum omnia^. Ex
ipso principium et origo substantiae uniuersorum, id est ex uo-
luntate eius et potestate omnia enim ex eius uoluntate coepe-
nmt, quia unus deus pater, ex quo omnia; etenim tamquam ex
suo fecit,, qui unde uoluit fecit , per ifjsum continuatio, finis in
ipsum. Ex ipso ergo materia, per ipsvun operatio, quae ligauit
atque constrinxit imiuersa, in ipsum, quia et quamdiu uult omnia
eius uirtute manent atque consistimt et finis eorum in dei uolun-
tatem recurrit et eius arbitrio resoluuntut.
44 EXAMERON, DIES I, SER. I , C. 5 , 19
b Io 1, 1.
c Coi 1, 16.
d Ps 2, 8.
* Rom 11, 36.
della gloria del Padre e l iminagine della sostanza di lui. I n prin
cipio, disse, Dio cre il cielo e la terra. Dunque fu creato il mondo
e cominci ad esistere, mentre prima non esisteva; invece il Verbo
di Dio in principio era ed era sempre Ma anche gli angeli, le do
minazioni, le potest, anche se incominciarono ad esistere ad im
dato momento, tuttavia esistevano gi quando questo mondo fu
creato. Infatti tutte le cose, visibili e invisibili, sono state create*
e fondate, sia i troni sia le dominazioni sia i principati sia le p
test, tutte le cose, dice Paolo, sono state create per mezzo di lui
e per lui. Che cosa significa create per lui ? Che egli l'erede
del Padre, perch l eredit passata a lui come dice il Padre:
Chiedimelo, ed io ti dar le genti quale tua eredit. Tale eredit
tuttavia passata dal Padre al Figlio e dal Figlio ritorna al Pa
dre. Egregiamente perci l Apostolo anche in questo passo ha
detto che il Figlio l autore di tutte le cose tutte le abbraccia
con la sua maest, e del Padre disse ai Romani: Poich da lui,
per mezzo di lui e per lui ogni cosa. Da lui il principio e l origine
dell'esistenza deU'universo, cio dalla sua volont e dal suo po
tere (infatti in seguito ad un atto della sua volont ebbero inizio
tutte le cose perch c' un solo Dio Padre dal. quale tutto deriva:
egli ha creato da ci chera suo, perch ha creato traendo gli
esseri donde ha voluto); per mezzo suo la loro sopravvivenza, per
lui la loro fine. Da lui dunque la materia, per mezzo suo l'azione
che ha collegato e riunito l'universo, per lui perch, finch egli
vuole, tutte le cose continuano ad esistere e la loro fine risale
alla volont di Dio e a suo arbitrio si dissolvono.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 45
3 In queste riflessioni Ambrogio riecheggia una polemica molto diffusa tra
i Padri contro la filosofia antica, compresa quella platonica. I filosofi antichi
tendevano a considerare il mondo come la manifestazione necessaria di Dio e
come tale derivante necessariamente da lui: Io definivano perci l'ombra o
l'immagine d Dio. 1 Padri, da Atanasio a Gregorio di Nissa, reagiscono sot
tolineando che il mondo deriva invece da un atto di Dio assolutamente libero,
per cui, mentre il mondo non pu esistere senza Dio, Dio non ha bisogno del
mondo per essere pienamente se stesso. Questo non significa che Dio non si
riveli eternamente: la Bibbia parla di un'immagine di Dio. Ma questa il Ver
bo, che esiste da sempre accanto al Padre e ne l'immagine invisibile. Im
magine eterna ed invisibile. Con questo Ambrogio prende posizione anche con
tro alami che consideravano Ges Cristo immagine di Dio solo in quanto uo
mo. Questo perch i primi a parlare di immagine invisibile erano stati gli Aria
ni, specialmente Asterio. i quali consideravano il Verbo come immagine invisibi
le, ma creata. Alcuni, specialmente Marcello di Ancira, il grande avversario di
Asterio, per respingere la tesi ariana che Cristo immagine invisibile in quanto
spirito creato, sostennero che Cristo era immagine di Dio solo in quanto uo
mo. Ma con il tempo si chiari che Ges in primo luogo immagine invisibile
increata, in quanto Verbo, immagine esattissima o immagine immutabile ,
e poi immagine in quanto uomo. Per una visione d'insieme cf. M. SiMO
, La controversia ariana nel I V secolo, Roma 1975, e R. Cantalamessa, I l
Cristo immagine di Dio nelle discussioni teologiche del quarto secolo, in Teo
logia Liturgia Storia, Miscellanea in onore di Carlo Manziana, La Scuola -
Morcelliana, Brescia 1977, pp. 293. [Enzo Beluni].
* Il testo greco ha * tradotto dalla Vulgata: condita sunt. Bas.,
Hexaem., 13 AB (5 D ):... ^ *
, ...
Caput VI
20. In principio itaque temporis caelum et terram deus fecit.
Tempus enim ab hoc mundo, non ante mundirai, dies autem tem
poris portio est, non principium. Et quamquam lectionis serie
possimus astruere quod primo diem fecerit dominus et noctem,
quae sunt uices temporum, et secundo die firmamentum fecerit,
quo discreuit aquam quae sub caelo est et aquam quae super
caelum, tamen satis sufficit ad praesentem adsertionem quod in
principio caelum fecerit, unde praerogatiua generationis et causa,
et terram fecerit, in qua esset generationis substantia. In his enim
quattuor illa elementa creata simt, ex quibus generantur omnia
ista quae mundi sunt. Elementa autem quattuor, caelum ignis aqua
et terra, quae in omnibus sibi mixta sunt, siquidem et in terra
ignem repperias, qui ex lapidibus et ferro frequenter excutitur, et
in caelo, cum sit ignitus et micans fulgentibus stellis polus, aqua
esse possit intellegi, quae uel supra caelum est uel de illo supe
riore loco in terram largo frequenter imbre demittitur. Quae plu
ribus colligere possemus, si quid ad aedificationem ecclesiae ista
proficere uideremus. Sed quia his occupari infructuosum negotium
est, ad illa magis intend2imus animum in quibus uitae sit pro
fectus aeternae.
4 6 EXAMERON, DIES I , SEK. I , C. 6 , 20-22
21. De qualitate igitur et substantia caeli satis est ea pro
mere quae in Esaiae scriptis repperimus, qui mediocribus et usi
tatis sermonibus qualitatem naturae caelestis expressit dicens
quod firmauerit caelum sicut fumum *, subtilem eius naturam nec
solidam cupiens declarare. Ad speciem quoque eius abundat
quod ipse de caeli firmamento locutus est quia fecit deus caelum
sicut cameram quod intra caeli ambitum uniuersa claudantur,
quae uel in mari geruntur et terris. Quod similiter significatur,
cum legitur, quia caelum deus extendit. Extenditur enim uel quasi
pellis ad tabernacula, habitationes sanctnmi, uel quasi liber', ut
plurimorum scribantur nomina, qui Christi gratiam fide et deuo-
tione meruerunt, quibus dicitur: Gaudete quia nomina uestra scrip
ta sunt in caelo.
22. De terrae quoque uel qualitate uel positione tractare nihil
prosit ad speciem futuri, cum satis sit ad scientiam quod scriptu-
Is 51, 6.
b Is 40, 22.
' Is 40, 22; 34, 4.
Lc 10, 20.
Capitolo 6
20. In principio del tempo Dio cre il cielo e la terra. I l tem
po ha inizio dallesistenza di questo mondo, non prima del mondo;
il giorno poi parte del tempo, non principio di esso. E quantun
que dal seguito della narrazione della Scrittura possiamo ricavare
che dapprima il Signore cre il giorno e la notte, in cui il tempo
si alterna, e nel secondo giorno il firmamento mediante il quale
separ l'acqua che sotto il cielo da quella che gli sta sopra, tut
tavia sufficiente per la nostra argomentazione chegli in prin*
cipio abbia creato il cielo, donde derivano la premessa e la causa
della generazione, e la terra la quale doveva fornire la natura
della generazione Infatti nel cielo e nella terra sono stati creati
quei quattro elementi dai quali derivano tutte le cose che esistono
in questo mondo. Gli elementi sono quattro, aria, fuoco, acqua e
terra, che in tutti i corpi sono mescolati fra loro, perch come
nella terra potresti trovare il fuoco che spesso sprizza dalle selci
e dal ferro*, cosi neH'aria, sebbene la volta celeste sia fiammeg
giante e risplendente del tremolio luminoso delle stelle, pu in
tuirsi la presenza dellacqua che o sta sopra il cielo o di lass
cade sovente sulla terra in pioggia copiosa. Potremmo trattare pi
ampiamente tali questioni, se le credessimo di qualche vantaggio
all'edificazione della Chiesa ^ Ma siccome occuparsene un im
pegno senza frutto, rivolgiamo piuttosto la nostra mente a quanto
giova per la vita eterna.
21. Sulla qualit e sulla sostanza del cielo sufficiente espor
re ci che troviamo negli scritti dIsaia, il quale, con uno stile
ordinario e con espressioni d'uso comune, spieg la natura del
cielo dicendo che Dio aveva costituito il cielo come fumo, volendo
indicare che la sua natura aeriforme, non solida. Anche nel
descriverne la configurazione egli si dilimga dicendo, a proposito
del firmamento celeste, che Dio cre il cielo come una volta,
poich nel suo spazio sono racchiuse tutte le cose che accadono
nel mare e sulla terra. Si esprime lo stesso concetto l dove si
legge che Dio stende il cielo. Viene steso infatti o come una pelle
per tende, ove abitano i santi, o come un foglio per scrivervi i
nomi dei molti che con la loro fede e devozione meritarono la
grazia di Cristo, ai quali si dice: Godete perch i vostri nomi
stanno scritti in cielo.
22. Non gioverebbe a nulla in vista della sorte futura trat
tare anche della natura o della posizione della terra, perch
1 Bas., Hexaem., 20 A (8 A):
, , 8
.
* !5., Hxaem., 20 AB (8 BC): ", ,
, < ^
, ,
< , , -^,
& .
^8., Hexaem., 20 C (8 D): ... 6,
.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 47
rarum diuinarum series conprehendit quia suspendit terram in
n i h i l o Quid nobis discutere utrum in aere pendeat an super
aquam, ut inde nascatur controuersia, quomcxlo aeris natura te
nuis et mollior molem possit sustentare terrenam aut quomodo,
si super aquas, non demergatur in aquam grauis terrarum ruina?
Aut quomodo ei maris unda non cedat et in latera eius sese loco
suo mota diffundat? Multi etiam in medio aeris terram esse dixe
runt et mole sua immobilem manere, quod aequabili motu hinc
atque inde ex omni parte protendat. De quo satis putamus dic
tum a domino ad lob seruum suum, quando locutus per nubem
ait: Vbi eras, cum fundarem terram? Indica mihi, si habes scien
tiam. Quis posuit mensuras eius, si nosti? Aut quis est qui superin
duxit mensuram super eam? Aut super quid circuli eius confixi
sunt? Et infra; Conclusi mare portis et dixi: usque huc uenies et
non transibis, sed in te comminuentur fluctus tui^. Nonne eui-
denter ostendit deus omnia maiestate sua consistere, non numero,
pondere atque mensura? Neque enim creatura legem tribuit, sed
accipit aut seruat acceptam. Non ergo quod in medio sit terra,
quasi aequa lance suspenditur, sed quia maiestas dei uoluntatis
suae eam lege constringit, ut supra instabile atque inane stabilis
perseueret, sicut Dauid quoque propheta testatur dicens: Fundauit
terram super firmitatem eius: non inclinabitur in saeculum sae
culi^. Non utique hic quasi tantummodo artifex deus, sed quasi
omnipotens praedicatur, qui non centro quodam terram, sed
praecepti sui suspenderit firmamento nec eam inclinari patiatur.
Non ergo mensuram centri, sed iudicii diuini accipere debemus,
quia non artis mensura est, sed potestatis, mensura iustitiae, men
sura cognitionis, quia omnia non tanquam inmensa praetereant
eius scientiam, sed cognitioni eius tanquam dimensa subiaceant.
Neque enim cimi legimus: Ego confirmaui columnas eius^, uere
columnis eam subnixam possumus aestimare, sed ea uirtute, quae
subfulciat substantiam terrae atque sustineat. Denique quam in
potestate dei sit terrae constitutio etiam hinc collige, quoniam
scriptum est: Qui aspicit terram et facit eam tremere^ et alibi:
Adhuc ego semel concutio terram non ergo libramentis suis inmo-
bilis manet, sed frequenter dei nutu et arbitrio commouetur, sicut
et lob dicit quia dominus commouet eam a fundamentis, colum
nae autem eius exagitantur et alibi: Nuda inferna in conspectu
eius, et non est morti inuolucrum. Extendens boream pro nihilo.
4 8 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 6, 22
e lob 26, 7.
i lob 38. 7.
I lob 38, 4^.
h lob 38, 10-1.
I Ps 103, 5.
1Ps 74, 4.
mPs 103, 32.
Agg2, 6( 7) .
lob 9, 6.
sufficiente per la nostra conoscenza la concisa affermazione della
Scrittura divina: Sospende la terra sul nulla *. Che ci serve discute
re se stia sospesa neU'aria o sopra l acqua, sicch ne nasca una
disputa sul modo in cui la natura sottile e piuttosto cedevole del
l aria possa sostenere la mole della terra oppure, se questa
sostenuta dalle acque, in qual modo non vi affondi la sua massa
con rovinoso crollo? O come Tonda del mare non si ritiri di fronte
ad essa e non si spanda ai suoi lati respinta dalla sua sede?
Molti anche affermarono che la terra si trova nel mezzo dellaria e
rimane immobile nella sua mole, poich si protende da ogni parte
per l effetto di uguali impulsi in direzione opposta'. Su tale ar
gomento pensiamo sia stato detto quanto basta dal Signore al suo
servo Giobbe, quando, parlando in mezzo ad una nube, gli disse:
Dov'eri quando ponevo le fondamenta della terra? Dimmelo, se
ne sei a conoscenza. Chi ne fiss le dimensioni, se lo sai? Oppure
chi stse sopra di essa la misura? Oppure su che cosa furono in
fissi i suoi cerchi? e sotto: Ho chiuso il mare mediante porte e gli
ho detto: Giungerai fin qui e non passerai oltre, ma in te si pla
cheranno i tuoi flutti *. Non ha mostrato chiaramente Iddio
che tutto sussiste per la sua maest, non per il numero, il peso,
la misura? Non la creatura che si d la legge, ma la riceve e,
ricevutala, la osserva. La terra non si libra sospesa come al piatto
duna bilancia che si mantiene in equilibrio, perch si trova al
centro delluniverso \ ma perch ve la costringe la maest di Dio
con la legge della sua volont, in modo che rimanga stabile sul
vuoto che non offre resistenza, come attesta anche il profeta Da
vide dicendo; Ha fondato la terra sulla sua stabilit: non si in
cliner in eterno. Evidentemente qui Iddio non viene esaltato sol
tanto come l artefice, ma come l Onnipotente che non ha sospeso
la terra ad un punto centrale delluniverso, bens alla stabilit
della sua legge, e non permette che vacilli. Quindi dobbiamo in
tendere non la misura del centro, ma quella del giudizio divino,
perch non la misura propria di un'arte, ma la misura della
potenza, della giustizia, della sapienza, perch tutte le cose non
sfuggono alla sua conoscenza in quanto incommensurabili, ma
sono soggette ad essa in quanto misurate da lui. Infatti quando
leggiamo: Io ho rafforzato le sue colonne, non possiamo pensare
che essa sia veramente sostenuta da colonne, ma da una potenza
tale da sostenere e reggere la massa della terra. Inoltre, quanto
lassetto della terra sia in potere di Dio, puoi ricavarlo anche da
qusto passo, poich sta scritto: Colui che contempla la terra e
la fa tremare, e altrove: Ancora una volta io scuoto la terra. Dun
que questa non rimane immobile nel suo equilibrio, ma frequente
mente scossa dal cenno e dalla volont di Dio, come anche Giob-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 49
* , * (26, 7).
5 ., Philos., 6, 3, in Diels, Dox. Gr., p. 559, 23.
Bas., Hexaem., 24 A (9D).
Cf. Cic., Tusc., I, 17, 40: persuadent enim mathematici terram in me
dio mundo sitam ad uniuersi caeli complexum quasi puncti instar obtinere,
quod illi uocant. = punto centrale ( F l a t ., Tim., 54e).
suspendens terram in nihilo, alligans aquam in nubibus suis^,
columnae caeli euolauerunt et expauerunt ab increpatione eius.
Virtute mitigauit mare, disciplina strauit cetum, claustra autem
caeli timent eum'^. Voluntate igitur dei inmobilis manet et stat
in saeculum terra' secundum Ecclesiastae sententiam et in uolun-
tate dei mouetur et nutat. Non ergo fundamentis suis innixa sub
sistit nec fulcris suis stabilis perseuerat, sed dominus statuit eam
et firmamento uoluntatis suae continet, quia in manu eius omnes
fines terrae*. Et haec fidei simplicitas argumentis omnibus an
tecellit. Laudent alii quod ideo nusquam decidat terra, quia se-
cimdum naturam in medio regionem possideat suam, eo quod ne-
cesse sit eam manere in regione nec in partem inclinari alteram,
quando contra naturam non mouetur, sed secundum naturam,
praedicent artificis diuini et operatoris aeterni excellentiam
quis enim artificum non ab illo accepit aut quis dedit mulieribus
texturae sapientiam aut uarietatis disciplinam? ego tamen, qui
profundum maiestatis eius et artis excellentiam non queo con-
prehendere, non disputatoriis me libramentis committo atque
mensuris, sed omnia reposita in eius existimo uoluntate, quod
uoluntas eius fundamentum sit uniuersorum et propter eum adhuc
mundus hic maneat. Quod apostolicae quoque liceat astruere auc
toritatis exemplo. Scriptum est enim quia uanitati creatura su-
biecta est non sponte, sed propter eum qui subiecit in spe . Libe
rabitur autem et ipsa creatura a seruitute corruptionis, cum gra
tia diuinae remunerationis adfulserit.
5 0 EXAMERON, DIES I , SER. I, C. 6 , 22-23
23. De natura autem et qualitate substantiae caeli quid enu
merem ea quae disputationibus suis philosophi texuerunt? Cum
alii conpositum caelum ex quattuor elementis adserant, alii quin-
p lob 26, 6-8.
lob 26, 11-13.
Eccle 1, 4.
Ps 94, 4.
lob 38, 36 (Sept. *).
Rom 8, 20-21.
* Sono contrassegnati con l'indicazione Sept. i passi che non hanno corri
spondenza n letterale n, quanto meno, concettuale con la Vulgata. Per i
Settanta stata usata la nona edizione del Rahlfs.
be dice che il Signore la scuote dalle fondamenta e le sue colon
ne tremano; e in un altro luogo: Al suo cospetto appare nudo
l'inferno e la morte non ha rivestimento. Estende borea sul vuo
to, sospende la terra sul nulla, rinchiude l'acqua nelle sue nubi.
Le colonne del cielo volano via terrorizzate dal suo rimprovero.
Col suo potere plac il mare, con la sua scienza abbatt il cetaceo,
lo temono le chiostre del cielo. Per la volont di Dio la terra ri
mane immobile e, come dice l'Ecclesiaste, sta eternamente e, con
forme al volere di Dio, si muove e ondeggia. Non resta ferma, sal
damente piantata sulle sue fondamenta, n si mantiene stabile
sui suoi appoggi, ma il Signore l ha stabilita al suo posto e ve la
mantiene col sostegno della sua volont, perch nella sua mano
sono tutti i termini della terra. E questa semplicit di fede vale
pi d'ogni argomento. Esaltino pure altri il fatto che la terra non
precipita da nessuna parte dicendo che,; secpndo la natura, occu
pa al centro delluniverso lo spazio che le spetta. E poich per
necessit essa rimane al suo posto e non si inclina dalla parte
opposta, siccome si muove non contro, ma secondo la legge di
natura, celebrino pure leccellenza dell'Artefice divino e deH'etemo
Creatore (quale artefice infatti non impar da lui o chi diede
alle donne labilit nel tessere o l'arte del ricamare? ^): io tutta
via che non riesco ad at>bracciare con la mia intelligenza l abisso
della sua maest e leccellenza della sua arte, non mi affido ai
pesi e alle misure propri della discussione, ma penso che tutto
dipenda dalla sua volont perch la sua volont il fondamento
dell'universo e solo per causa sua il mondo sussiste ancora. E
ci si potrebbe sostenere anche sullesempio dell'autorit aposto
lica. Sta scritto infatti che la creatura fu assoggettata alla vanit
non di sua volont, ma per causa di colui che Vha sottomessa nel
la speranza. Anche la stessa creatura sar liberata dalla schiavit
della corruzione, quando risplender la grazia della ricompensa
divina.
23. Ma sulla natura e sulle propriet del cielo perch dovrei
elencare tutte le teorie elaborate dai filosofi nelle loro discussio
ni? Alcuni sostengono che il cielo composto di quattro ele-
* I Settanta hanno ( = volarono via . Preferisco conservare
l'arditissima immagine traducendo col presente laoristo (gnomico).
Bas., Hexaem., 24 BC (10 AB): *
xtvrjrov . *
^ t<n)v t ,
, ,
^ .
24 D (10 C): <) ,
.
25 (10D): ... ,
.
Questo passo si trova nei Settanta (Giob., 38, 36), ma non nella Vulgata
che traduce in modo diverso il corrispondente testo dell'ebraico: Chi ha
elargito airt&(5 la sapienza o chi ha dato al gallo l'intelligenza? . Vulg.:
Quis posuit in uisceribus hominis hominis sapientiam? vel quis dedit gallo
intelligentiam?
Bas., Hexaem., 25A-28A (10E-11D): S. Ambrogio non fa ohe seguire
S. Basilio.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 51
tam quandam naturam noui corporis ad constitutionem eius in
ducant atque adfingant aetherium esse corpus, cui neque ignis
admixtus sit neque aer neque aqua neque terra, quod huius mim-
di elementa suum quendam habeant cursum atque usum et mo
tum naturae, ut grauiora demergant et in pronvmi ferantur, uacua
et leuia in superiora se subrigant est enim proprius cuique
motus , in sphaerae autem circuitu ista confundi et uim sui
cursus amittere, quoniam sphaera in orbem suum uoluitur et
superiora inferioribus, superioribus quoque inferiora mutantur.
Quorum autem secundum naturam motus mutati simt, horum ne
cessario ferunt mutari solere qualitates substantiarum suanmi.
Quid igitur defendimus aetherium corpus esse, ne uideatur cor
ruptioni obnoxium? Quod enim conpositum ex corruptibilibus
elementis est necesse est resoluatur. Nam hoc ipso quod diuersae
eadem sint elementa naturae simplicem et inuiolabilem motum
habere non possunt, cimi se diuersus elementorum motus inpu-
gnet. Vnus enim motus omnibus aptiis esse non potest et elementis
distantibus conuenire; nam qui leuibus adcommodus est fit incom
modus grauioribus elementis. Itaque quando ad superiora motus
caeli est necessarius, terrenis grauatur, quando ad inferiora decur
sus expetitur, igneus uigor ille uiolenter adtrahitur; etenim contra
naturae suae usum deorsum cogitur. Omne autem quod in con
trarium cogitur non naturae seruiens, sed necessitati, cito soluitur
et in ea scinditur ex quibus uidetur esse conpositum in suam
quamque regionem singulis recurrentibus. Haec igitur alii consi
derantes stabilia esse non posse aetherium corpus caeli stellartun-
que esse arbitrati sunt quintam quandam naturam corporis in
troducentes, quo diutxmiam caeli putarent mansuram esse sub
stantiam.
5 2 EXAMERON, DIES I , SER. I , C. 6, 23-24
24. Sed non ista opinio propheticae potuit obuiare senten
tiae, quam diuina quoque domini lesu Christi maiestas dei nostri
in euangelio conprobaviit. Dixit enim Dauid: Principio terram tu
fundasti, domine, et opera manuum tuarum sunt caeli. Ipsi pe
ribunt, tu autem permanes: et omnia sicut uestimentum uetere-
scent, et tanquam amictum mutabis ea et mutabuntur, tu uero
ipse es, et anni tui non deficient Quod adeo probauit in euangelio
dominus ut diceret: Caelum et terra praeteribunt, mea autem ner
ba non 'praeteribunt'". Nihil igitur agunt qui propter caeli adse-
rendam perpetuitatem qtiintum corpus aetherium introducendum
putarunt, cum aeque uideant dissiinilem ceteris adiunctam mem-
Ps 101, 26-28.
w Mt 24, 35.
menti, altri aggiungono alla sua composizione un qiiinto elemento
formato di ima nuova sostanza e lo immaginano un corpo etereo
al quale non siano mescolati n fuoco n aria n acqua n terra,
perch gli elementi di questo mondo hanno, per cosi dire, un corso
e un costume' e un movimento naturale loro proprio, cosi che i
pili pesanti affondano e tendono verso il basso, quelli vuoti e leg
geri salgono verso l alto ciascuno infatti ha un movimento suo
proprio ; invece nel movimento circolare d'una sfera questi ele
menti si confondono e perdono la direzione caratteristica del loro
moto, poich la sfera gira su se stessa e ci che sta in alto si scam
bia con ci che sta in basso e viceversa. Ma se i moti naturali di
questi elementi sono mutati, essi affermano che sogliono mutare
anche le loro propriet sostanziali. Perch dunque sostenere che
esiste una sostanza eterea affinch non sembri soggetta a corrom
persi? Ci che composto di elementi corruttibili, necessariamen
te si dissolve. Proprio per il fatto che gli stessi elementi hanno
una diversa natura, non possono avere un solo ed immutabile mo
vimento, perch un opposto movimento degli elementi si annulle
rebbe. Un unico movimento infatti non pu adattarsi a tutto ci
che esiste e convenire ad elementi differenti: quello che adatto
ad elementi leggeri diventa inadatto per elementi pi pesanti. Per
ci quando necessario un moto del cielo che salga verso le re
gioni pi alte, questo verrebbe ritardato dagli elementi terreni;
quando si richiede un moto che scenda verso le regioni pi basse,
la forza ignea sarebbe attirata con violenza in questa direzione:
sarebbe infatti costretta all'ingi contro la sua disposizione na
turale. E tutto ci che costretto in senso contrario non asse
condando la natura, ma la necessit, presto s dissolve e si scinde
in quegli elementi dei quali appare composto, perch ciascuno di
essi ritorna rapidamente alla propria sede. Or dunque altri, con
siderando che questi elementi non potevano avere stabilit, pen
sarono che quello del cielo e delle stelle fosse un corpo etereo e
introdussero una non precisata quinta materia corporea per ef
fetto della quale supponevano che sarebbe rimasta inalterata la
sostanza del cielo.
24. Ma codesta opinione non pot incontrarsi con l'afferma
zione profetica, convalidata anche dalla divina maest del Signore
Ges Cristo nostro Dio nel Vangelo. Disse infatti Davide: In prin
cipio, Signore, tu hai fondato la terra e i cieli sono opera delle
tue mani. Essi periranno, tu invece rimani; e tutte le cose invec-
chieranno come un vestito e come un mantello le muterai e saran
no mutate; tu invece sei e i tuoi anni non verranno meno. Non
concludono nulla, dunque, coloro che per sostenere l'eternit del
cielo hanno ritenuto di dover introdurre un quinto elemento ete
reo, pur rendendosi conto che anche l aggiunta ad un membro
duna parte di natura diversa dalle altre di solito reca maggior
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 53
Lesistenza deUetere come quinto elemento, che sarebbe stato di na
tura divina, era sostenuta da Aristotele nel I I I libro del giovanile De philo
sophia (cf. Cic., De nat. deor., I, 13, 33); vedi W. J a e g e r , Aristotele, trad. it.,
U Nuova Italia, Firenze 1947, pp. 182-183; 188-189.
bri unius portionem labem corpori magis adferre consuesse. Simul
illud aduerte, quia propheta Dauid, <dum>terram priori loco no-
minauit et postea caelum, credidit opus esse domini declarandum.
Quando enim dixit et facta sunt^, nihil interest quid prius expri
mas, cum simul utrumque sit factum, simul ne eo saltem praero-
gatiua caelo diuinae uideatur adiudicata substantiae, ut primo
genitae creaturae priuilegio potior extimetur. Itaque illos suis relin
quamus contentionibus, qui mutuis disputationibus se refellunt:
nobis autem satis est ad salutem non disputationum controuersia,
sed praeceptorum ueritas nec argumentationis astutia, sed fides
mentis, ut seruiamus creatori potius quam creaturae, qui est deus
benedictus in saecula.
54 EXAMERON, DIES I, SER. I , C. 6, 24; SER. I I , c. 7, 25
SERMO II
Caput VII
25. Terra autem erat inuisibilis et inconposita^. Bonus arti
fex prius fundamentum ponit, postea fundamento posito aedifi
cationis membra distinguit et adiungit ornatum. Posito igitur fun
damento terrae et confirmata caeli substantia duo enim ista
sunt quasi uelut cardines rerum subtexuit: terra autem erat
inuisibilis et incomposita. Quid est eratl Ne forte in infinitum et
sine principio extendant opinionem suam et dicant ecce quia ma
teria, id est sicut philosophi dicunt, etiam secundum scriptu
ram diuinam non habuit initium. Verum hoc dicentibus respon
debis quia scriptum est: Erat autem Cain operarius terrae >>et de
eo qui lub^l dictus est habet scriptura: Hic erat pater, qui demon-
strauit psalterium et citharam =et homo erat in Ausitide regione,
cui nomen lob Desinant ergo de uerbo quaestionem mouere,
cum praesertim praemiserit Moyses quia fecit deus terram. Erat
ergo ex quo facta est. Nam si sine principio eam dicunt esse, iam
non solum dominum, sed etiam sine principio dicentes de
finiat ubinam erat. Si in loco, ergo etiam locus sine principio
fuisse astruitur, in quo erat materia rerum, quae principium non
habebat. Quod si absurdum uidetur de loco credere, uidete ne
* Ps 148, 5.
Gen 1, 2.
b Gen 4, 2.
c Gen 4, 20-21.
1 lob 1, 1.
danno a un corpo Nello stesso tempo bada che il profeta Da
vide, nominando prima la terra e poi il cielo, credette di dover
spiegare cosi l opera del Signore. Dal momento che Dio parl e
furono fatti, non importa quale tu indichi per primo, essendo
luna e l altro stati creati simultaneamente, purch con ci non
sembri attribuito al cielo quanto meno la prerogativa di una so
stanza divina, cosi da essere giudicato superiore per il privilegio
di creatura primogenita. Lasciamo pertanto alle loro contese quel
li che vicendevolmente si confutano con argomentazioni opposte.
A noi invece basta per la salvezza non il contrasto delle discus
sioni, non la cavillosit dellargomentazione, ma la fede della no
stra mente, affinch serviamo, piuttosto- che alle cose create, al
creatore, che Dio benedetto nei secoli.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 55
I I SERMONE
Capitolo 7
25. La terra per era invisibile e senza ordine. Labile arte
fice prima pone le fondamenta, poi, una volta poste le fondamen
ta, porta a compimento le varie parti delledificio e aggiunge l or
namentazione. Poste le fondamenta della terra e resa stabile la
sostanza del cielo questi due elementi, infatti, sono come i car
dini del mondo , aggiunse: La terra per era invisibile e sen
za ordine *. Che significa era? Ha scritto cosi perch per caso
non ci sia chi si lasci andare ad ipotesi senza limiti e senza fon
damento e dica: Ecco che la materia, cio 1 come dicono i
filosofi, anche secondo la divina Scrittura non ha avuto inizio
Ma a chi dice cosi risponderei che sta scritto: Caino era invece
lavoratore della terra, e di colui che fu chiamato Giubal la Scrit
tura dice: Questi era il padre che invent il salterio e la cetra e
cera nel paese di Us un uomo chiamato Giobbe. La smettano dun
que i filosofi di far questione di parole, specialmente perch Mos
ha premesso che Dio cre il cielo e la terra. Esisteva dunque dal
momento in cui fu creata. Se infatti affermano che essa non ha
principio, dicendo addirittura senza principio non solo il Signore,
ma anche la materia, precisino allora dove mai essa era. Se in
un luogo, allora si afferma che era senza principio anche quel luo
go dove si trovava la materia delluniverso, che non aveva prin
cipio. Ma se sembra assurdo credere ima cosa simile di un luogo,
badate che per caso non dobbiamo credere alata la terra che, sen-
La frase risulta un po oscura per leccessiva concisione. Intenderei
cosi: Laggiunta di un quinto elemento etereo turba l'armonia delluniverso,
come turberebbe l'armonia di un corpo l'aggiunta di una parte di natura
diversa dalle altre.
1B\ s., Hexaem., 29 AC (12 CE): Sh , , 6 -

* Lobiezione dipende dalluso dellimperfetto che solitamente indica azione


continuata nel passato.
forte uolatilem terram debeamus aestimare, quae non habens fun
damentum alarum remigiis suspendebatur. Vnde ergo ei alas su
memus, nisi forte huc deriuemus prophetici sermonis interpreta
tionem a pinnis terrae prodigia audiuimus^ et illud uae terrae
nauium pinnae ? Sed ut sic accipiamus, in quo aere uolabat terra?
Sine aere enim uolare non poterat, sed aer esse adhuc non pote
rat, quia non erat sine rerum materia elementorum facta distinc
tio, cum adhuc ipsa elementa facta non essent. Vbi erat ergo ma
teria ista alarum subfulta remigiis? In aere non erat, quia aer cor
pus est mundi, corpus autem esse aerem docet lectio, quia emissa
sagitta in locum, quem iaculator intendit, incisus aer statim in se
ipsum resolutus est . Vbi ergo erat , nisi forte dicatur quadam
dementi intentione quia in deo erat? Ergo deus inuisibilis naturae
atque inuiolabilis, qui lucem habitat inaccessibilem h, inconprehen-
sibilis et purissimus spiritus, locus erat materiae mundialis, et
erat in deo mundi portio, cum de hoc mundo non sit mens ser-
uolorum eius, sicut habemus scriptum: De hoc mundo non sunt,
sicut et ego non sum de mundo *.
5 6 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C, 7 , 25-26
26. Quemadmodum ergo inuisibilia uisibilibus et ei qui or
dinem ac decorem donauit omnibus incomposita copulabantur?
Nisi forte, quia dixit: Terra autem erat inuisibilis, inuisibilem eam
per substantiam credant et non ideo, quia aquis operta uisibilis
corporeis oculis esse non poterat, quemadmodum pleraque in pro
fundo aquarum sita uisum oculorum aciemque praetereunt. Non
enim deo aliquid inuisibile, sed creatura mundi creaturae utique
extimatione censetur. Inuisibilis etiam terra, quia nondum lux
quae inluminaret mundum, nondum sol; postea enim luminaria
facta sunt caeli. Quod si solis radius plerumque etiam aquis oper
ta inluminat et profundo mersa splendore luminis sui prodit, quis
dubitet deo ea quae in profundo sunt inuisibilia esse non posse?
Nisi forte sic accipiamus inuisibilem terram, quod nondum uerbo
dei et protectione uisitabatur quae hominem non habebat, propter
quem dominus respiceret in terram, sicut scriptum est: Dominus
respexit super filios hominum, si est intellegens aut requirens
' Is 24, 16 (Sept.).
t Is 18, 1.
Sap 5, 12.
1 Tim 6, 16.
I Io 17, 14.
za un punto d'appoggio, si librava sul remeggio delle ali E donde
ricaveremo che essa ha le ali, a meno che non interpretiamo cosi
la parola del profeta: Dalle penne della terra abbiamo udito pr-
digi* e quel famoso detto: Guai alla terra, ala di navi ^7 Ma, am
messo che intendiamo cosi, in quale aria volava la terra? Senzaria,
infatti, non avrebbe potuto volare, ma non vi poteva essere ancora
aria, perch senza la materia delle cose non erano stati divisi gli
elementi perch gli stessi elementi non erano ancora stati creati.
Dov'era dunque questa materia sostenuta dal remeggio delle ali?
Non era neH'aria, perch l'aria una realt corporea del mondo;
e che l'aria sia materia, lo insegna la Scrittura, perch, quando si
scaglia una freccia nella direzione voluta dall'arciere, l'aria solcata
tosto si rinchiude su se stessa. Dove dunque era , a meno che
non si dica con una folle forzatura ch'essa era in Dio? Dunque Dio,
di natura invisibile e inviolabile, che abita in una luce inaccessi
bile ed purissimo spirito, sarebbe stato il ricettacolo della ma
teria del mondo e in Dio ci sarebbe stata una parte del mondo,
mentre l'animo dei suoi servi non di questo mondo, come trovia
mo scritto; Non sono di questo mondo, come anchio non sono
del mondo*.
26. Come potevano congiungersi le cose invisibili alle visi
bili e la materia informe a colui che ha dato ordine e bellezza a
tutto ci che esiste? A meno che, forse, siccome ha detto: La terra
era invisibile, non credano che essa era invisibile per natura e
non perch, ricoperta dacque com'era, non poteva essere visibile
agli occhi del corpo, allo stesso modo che moltissime cose che si
trovano nella profondit delle acque sfuggono alla vista degli oc
chi pi acuti. Infatti niente invisibile a Dio, ma evidentemente
qui si valuta una creatura del mondo secondo il modo di vedere
d'una creatura. Era invisibile anche la terra, perch non esisteva
ancora la luce per illuminare il mondo, non esisteva ancora il sole:
infatti gli astri del cielo furono creati successivamente. Se il rag
gio del sole spesso illumina anche ci che coperto dalle acque
e con lo splendore della sua luce rivela ci che immerso nel
fondo, chi potrebbe dubitare che impossibile che restino invi
sibili a Dio le cose nascoste dall'acqua? A meno che per caso non
intendiamo che la terra era invisibile perch non era ancora vi
sitata dalla Parola e dalla protezione divina, non accogliendo an
cora l'uomo, per causa del quale il Signore potesse essere indotto
a rivolgere su di essa il suo sguardo, come sta scritto: Il Signore
guard sui figli degli uomini, se vi fosse chi comprendesse o cer
casse Iddio. E in un altro passo: Dal cielo scagli il suo giudizio:
* Cf. Verg., Aen., I, 301; VI, 19. Nonostante l'uso della metafora virgiliana,
impiegata qui come puro elemento di suggestione letteraria, da ci che segue
risulta ben chiaro clie S. Ambrogio intende escludere lipotesi di una terra
fornita di ali.
* Is., 24, 16: -
. La Vulgata ha invece: A finibus terrae laudes audiuimus, gloriam
lusti.
* Is., 18, 1: (Vae terrae cymbalo alarum).
e Bas., Hexaem., 29 BC (12 E); 33 C (14 E); 36 A (15 A).
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 57
deum *. Et alibi ait: De caelo iaculatus est iudicium: terra tremuit
et quieuif^. Et merito inuisibilis, quia inconposita, quae figuram
et speciem congruentem adhuc non acceperat a proprio conditore.
27. Et fortasse dicant: Cur enim deus sicut dixit et facta
sunt" non simul ornatus congruos surgentibus donauit ele
mentis, quasi non potuit caelum insignitum stellis subito ut crea
tum est refulgere et floribus ac fructibus terra uestiri? Potuit
utique, sed ideo primo facta, postea conposita declarantur, ne
uere increata et sine principio crederentur, si species rerum uelut
ingeneratae ab initio, non postea additae uiderentur. Inconposita
terra legitur et isdem a philosophis, aeternitatis quibus deus pri-
uilegiis honoratur: quid dicerent si ab initio eius pulchritudo uer-
nasset? Demersa aquis describitur uelut cuidam principiorum
suorum addicta naufragio et adhuc a nonnullis facta non creditur:
quid si decorem primogenitum uindicaret? Accedit illud quod imi
tatores nos sui deus esse uoluit, ut primo faciamus aliqua, postea
uenustemus, ne dimi simul utrumque adorimur, neutrum possimus
inplere. Fides autem nostra quodam gradu crescit. Ideo primum
fecit deus, postea uenustauit, ut eundem credamus ornasse qui
fecit et fecisse qui omauerit, ne alterum putemus ornasse, alterum
creauisse, sed eundem utrumque esse operatum, ut primum face
ret, postea conponeret, ut alterum altero crederetur. Habes in
euangelio huius rei euidens testimonium. Nam suscitaturus Laza-
rum dominus iussit, ut ludaei remouerent lapidem de sepulchro,
ut mortuum uidentes postea resuscitatum crederent. Deinde uo-
cauit Lazarum, et resurrexit et ligatis manibus et pedibus exiuit
foras . Nonne poterat remouere lapidem qui poterat mortuum re
suscitare? Et qui potuit defuncto uitam reddere non potuit nexus
soluere uinculorum? Cui uinctis pedibus gressum dedit, huic non
potuit ruptis uinculis incessum reddere? Sed utique aduertimus
quod uoluit primum demonstrare mortuum, ut oculis suis crede
rent, deinde resuscitare, tertio iubere, ut ipsi uincula funeris so-
luerent, ut inter ista fides infunderetur infidelibus et per gradus
quosdam credulitas nasceretur.
58 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C 7 , 26-27
1Ps 13, 2.
">Ps 75, 9.
Ps 32. 9.
Io 11, 39-44.
la terra trem e pi non si mosse. A buon diritto era invisibile per
ch informe, in quanto fino a quel momento non aveva ricevuto
dal proprio Creatore laspetto e la bellezza che le si addicevano.
27. Forse potrebbero dire: Perch Iddio, come parl e il cielo
e la terra furono creati, non diede agli elementi nascenti anche il
conveniente ornamento quasi che il cielo, non appena creato, non
potesse risplendere adorno di stelle e la terra rivestirsi di fiori
e di frutti? Certamente che avrebbe potuto; ma si insegna che
prima furono creati e successivamente ordinati perch non si cre
dessero increati e senza principio, qualora gli abbellimenti delle
cose fossero parsi o generati hn dallinizio e non aggiunti suc
cessivamente. Si legge che la terra era informe; eppure i filosofi
la onorano con gli stessi privilegi deternit che attribuiscono a
Dio: che cosa direbbero se la sua bellezza fosse germogliata fin
dal principio? La terra viene descritta sommersa dalle acque, co
me in preda a un naufragio dei propri elementi, e ancora da taluni
non si crede creata: che direbbero se rivendicasse una bellezza fin
dalle sue origini? C da considerare inoltre che Dio ci volle suoi
imitatori cosi da fare prima le cose e poi abbellirle, per evi
tare che, volendo compiere nello stesso tempo entrambe le ope
razioni, non riusciamo a condurre a buon termine n l'una n
laltra. La nostra fede poi cresce gradualmente. Perci Iddio pri
ma ha creato le cose, poi le ha abbellite, perch crediamo che ad
abbellirle sia stato lo stesso Essere che le ha create e a crearle lo
stesso Essere che le ha abbellite, affinch non pensiamo che uno
le abbia abbellite e un altro create, ma che lo stesso ha compiuto
entrambe le operazioni, quella di creare e quella di dare ordine,
cosi che mediante l una si prestasse fede allaltra. Nel Vangelo tu
trovi unevidente testimonianza a tale proposito. Accingendosi a
risuscitare Lazzaro, il Signore ordin che i Giudei rimuovessero
la pietra dal sepolcro, perch, vedendolo morto, poi potessero cre
derlo risuscitato. Chiamato quindi Lazzaro, lo risuscit, e questi
usci con le mani e i piedi avvolti nelle bende. Non poteva forse
rimuovere una pietra chi poteva risuscitare un morto? E colui che
pot restituire la vita ad un morto non avrebbe potuto sciogliere
i nodi delle bende? Egli, che lo fece camminare con i piedi ancora
legati, non avrebbe potuto restituirgli l uso delle gambe rompendo
i legami che lo tenevano avvinto? Ma indubbiamente ci rendiamo
conto che volle prima far vedere chera morto, perch credessero
ai loro occhi, quindi risuscitarlo e in terzo luogo ordinare che lo
sciogliessero dalle bende funebri per suscitare, nel corso di tali
operazioni, la fede negli increduli e far sorgere in loro gradual
mente la disposizione a credere.
I S^I GIORNI DELLA CREAZIONE 59
B as ., H e x a e m . , 29 B (12 D).
Caput VIII
28. Fecit ergo primum deus caelum et terram, ea tamen non
quasi perpetua, sed quasi corruptibilis creaturae consummationi
uoluit subiacere. Vnde in Esaiae libro ait: Tollite in caelum oculos
uestros et aspicite in terram deorsum, quia caelum ut fumus so
lidatum est, terra autem ut uestimentum ueterescet*. Haec terra
est, quae ante erat inconposita. Nondum erant enim maria suo
fine distincta, et ideo uago fluctu et profundo gurgite terra inun
dabatur. Considera quia etiam nunc palustri uligine terra inhor
rere consueuit nec patiens est uomeris, ubi infusus terris umor
exundat. Erat ergo inconposita, utpote sollertis agricolae inarata
culturis, quia adhuc deerat cultor. Erat inconposita, quia nuda
gignentium nec toris herbosa riparum nec opaca nemoribus nec
laeta segetibus nec umbrosa superciliis montium nec odorata flo
ribus nec grata uinetis. Merito inconposita, quae ornatibus in
digebat, cui deerant uitium serta gemmantium. Ostendere enim
uoluit deus quia nec mundus ipse haberet gratiam, nisi eum uario
cultu operator ornasset. Caelum ipsum intextum nubibus horro
rem oculis, maestitiam animis excitare consueuit, terra imbribus
madefacta fastidio est, maria procellis turbata quos non incutiunt
metus? Pulcherrima est rerum species: sed quid esset sine lu
mine, quid sine temperie, quid sine aquarum congregatione, qui
bus ante demersa poli huius habebantur exordia? Tolle solem
terris, tolle caelo stellarum globos: omnia tenebris inliorrescunt.
Sic erat, antequam lumen huic mundo dominus infunderet. Et
ideo scriptura ait quia tenebrae erant super abyssum'^. Tenebrae
erant, quia splendor deerat lucis, tenebrae erant, quia aer ipse
tenebrosus est. Aqua ipsa.sub nube tenebrosa est, quia tenebrosa
aqua in nubibus aeris. Erant ergo tenebrae super abyssos aqua-
60 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 8, 28
>Is 51, 6.
b Gen 1, 2.
Capitolo 8
28. Iddio cre anzitutto il cielo e la terra, non destinati tut
tavia a durare in perpetuo, ma volle che fossero soggetti a perire
come creature corruttibili. Perci dice nel libro dIsaia: Levate
al cielo i vostri occhi e guardate in basso la terra, perch il cielo
si rassodato come jumo, la terra invece invecchier come un
vestito. Questa la terra, dapprima informe. Infatti i mari non
erano ancora distinti dai loro confini e perci la terra era som
mersa da flutti vaganti e da profondi gorghi. Considera che anche
adesso la terra nelle paludi solitamente per l umidit irta di
canne e non sopporta laratro dove lacqua, che imbeve il terre
no, sale alta superficie*. Era dunque informe perch non arata
dal lavoro d'un solerte contadino, mancando ancora chi la col
tivasse: informe perch, spoglia di vegetazione*, non era ricoper
ta derba lungo i bordi dei corsi dacqua* n folta di boschi n
feconda di messi ^n ombrosa di costoni montani n odorosa di
fiori n gradita per i suoi vigneti. Ben a ragione era informe, per
ch mancava dei suoi ornamenti, perch priva dei festoni delle
viti ricoperte di gemme. Iddio volle infatti mostrare che nemmeno
il mondo avrebbe per, se stesso attrattiva, se il Creatore non lo
avesse adornato con la variet delle colture. Lo stesso cielo, quan
do c un intreccio di nubi, suole provocare un senso di repul
sione alla vista e di tristezza nellanimo; la terra inzuppata dalla
pioggia motivo di tedio. I l mare sconvolto dalle tempeste quali
timori non provoca? Bellissimo l aspetto delle cose; ma che
cosa sarebbe senza la luce, senza un clima temperato? Che cosa
sarebbe, se non fossero raccolte le acque che sommergevano que
sto mondo al suo esordio? Togli il sole alla terra, togli al cielo i
corpi luminosi delle stelle: tutto rabbrividisce nelle tenebre. Cosi
era prima che il Signore introducesse nel mondo la luce, E perci
la Scrittura dice che cerano le tenebre sullabisso. Cerano le te
nebre perch mancava lo splendore della luce, perch l aria di
per s oscura. Lacqua stessa sotto una volta di nubi oscura,
perch oscura lacqua nelle nubi del cielo. Regnavano dunque le
tenebre sugli abissi delle acque. Non credo che si debba pensare
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 61
> Bas., Hexaem., 36 A (15 AB): ;
,
. 36 -
^. Cf. Verg., Georg., I I , 223; patientem uomeris unci e 217-218:
Quae tenuem exhalat nebulam fumosque uolucris / et bibit umorem.
* Cf. Sall., lug., 79, 6: Nam ubi per loca aequalia et nuda gignentium
uentus coortus harenam humo excitauit.
* Cf. Verg., Aen., VI , 674-675: riparum toros et prata recentia riuis /
incolimus.
* Cf. Verg., Georg., I, 1: Quid faciat laetas segetes.
Cf. Cic., Rep., VI, 16 (4, 16): Stellarum autem globi terrae magnitudinem
lacile uincebant.
rum. Non enim malas intellegendas arbitror potestates, quod do
minus earum malitiam creauerit, cum utique non substantialis,
sed accidens sit malitia, quae a naturae bonitate deflexerit.
29. Itaque in constitutione mundi opinio malitiae interim se
questretur, ne diuinae operationi et pulcherrimae creaturae ea
quae decolora sunt admiscere uideamur, maxime cum sequatur; Et
spiritus dei superferebatur super aquas Quem etsi aliqui pro
aere accipiant, aliqui pro spiritu, quem spiramus et carpimus au
rae huius uitalis spiritum, nos tamen cum sanctorum et fidelium
sententia congruentes spiritum sanctum accipimus, ut in constitu
tione mundi operatio trinitatis eluceat. Praemisso enim quia in
principio fecit deus caelum et terram, id est in Christo fecit deus
uel filius dei deus fecit uel per filium deus fecit, quia omnia per
ipsum facta sunt et sine ipso factum est nihil supererat pleni
tudo operationis in spiritu, sicut scriptum est: Verbo domini caeli
firmati sunt et spiritu oris eius omnis uirtus eorum Itaque que
madmodum in psalmo docemur operationem uerbi, quod est uer-
bum dei, et uirtutem, quam dedit spiritus sanctus, ita hic pro
pheticum resultauit oraculum quia deus dixit et deus fecit. Spi
ritus quoque dei superferebatur super aquas. Ornando enim polo
caeli germinaturis terris pulchre spiritus superferebatur, quia per
ipsum habebant nouorum partuum semina germinare secundum
quod dixit propheta: Emitte spiritum tuum, et creabuntur et re
nouabis faciem terrae*. Denique Syrus, qui uicinus Hebraeo est
et sermone consonat in plerisque et congruit, sic habet: Et spiritus
dei fouebat aquas, id est uiuificabat, ut in nouas cogeret creatu
ras et fotu suo animaret ad uitam. Nam etiam spiritum sanctum
62 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 8^28-29
c Gen 1, 2
I o 1, 3.
=Ps 32, 6.
f Ps 103, 30.
alle potenze malvagie, come se il Signore avesse creato la loro
malvagit, dal momento che la malvagit non sostanza, ma acci
dente, in quanto ha deviato dalla bont della natura.
29. Perci nella costituzione del mondo si metta da parte
per il momento lipotesi dun intervento della malvagit, perch
non sembri che mescoliamo allazione divina e alla meravigliosa
bellezza del creato un elemento degenere, soprattutto perch se
gue: e lo spirito di Dio aleggiava sopra le acque. E sebbene alcuni
intendano l aria, altri il soffio di questaura vitale che emettiamo
e aspiriamo , noi, in armonia con l opinione dei santi e dei fedeli,
intendiamo lo Sprito Santo, in modo che nella formazione del
mondo risplenda l azione della Trinit . Premesso infatti che in
principio Dio cre il cielo e la terra, cio che Dio cre nel Cristo
oppure Dio, Figlio di Dio, cre oppure Dio cre per mezzo del
Figlio, perch tutto stato fatto per mezzo suo e senza di lui
nulla stato fatto, restava il perfezionamento della creazione nel
lo Spirito, come sta scritto: Dalla Parola del Signore sono stati
formati i cieli e dallo Spirito della sua bocca tutta la loro potenza.
Perci, come dal salmo conosciamo lazione della Parola, che il
Verbo di Dio, e la potenza conferita dallo Spirito Santo, cosi qui
risuona l'annuncio ispirato che Do disse e Dio cre. Anche lo
Spirito di Dio. aleggiava sopra le acque. Infatti, ornando la volta
celeste, ben a proposito lo Spirito aleggiava sulle terre che si sa
rebbero ricoperte di piante, perch per merito suo i semi dei nuo
vi prodotti dovevano germogliare, come disse il profeta: Manda
il tuo Spirito, e saranno creati e tu rinnoverai la faccia della terra.
I l testo siriaco, che vicino allebraico e in moltissimi punti coin
cide e concorda con esso nella lingua, ha questa lezione: E lo
Spirito di Dio riscaldava le acque, cio le fecondava perch des
sero origine a nuove creature e col suo calore vi infondeva la
vita. Leggiamo infatti che anche lo Spirito Santo creatore, poi-
Bas., Hexaem., 36 BC (15 C): T
... , ,
/ , 3 -
. 37 (16 ) , ,

.
L'affermazione di S. Ambrogio rivolta evidentemente contro i Manichei.
e t Ver o., Aen., I , 387-388: auras / uitalis carpis.
Bas., Hexaem., 44 A (18 B): ,
, ,
, , , , . ,
&, ,
.
, * Bas., Hexaem., 44 (18 C); ,
6 ,
. "
vvolq: -
.
Potrebbe darsi che in S. Ambrogio Syrus e Hebraeus fossero in realt
personificazioni: il Siro, l Ebreo. Secondo il Giet (Basile db Csare, Homelies
sur VHexamron, Texte grec, introduction et traduction de S. Giet, Les di-
tions du Cerf, Paris 1968^, p. 69, n. 3), uomo siro citato da S. Basilio po
trebbe essere S. Efrem.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 63
legimus creatorem dicente lob: Spiritus diuinus, qui fecit me*.
Siue ergo sanctus spiritus superferebatur super aquas, tenebrae
contrariarum uirtutum super eas esse non poterant, ubi locum
sibi tanta gratia uindicabat, siue ut quidam uolunt aerem acci
piant, respondeant qua ratione spiritum dei dixerit, cum satis
fuerit spiritum nuncupare.
30. Hi ergo uolunt a domino deo nostro quattuor primum
elementa generata, caelum terram mare aerem, eo quod causae
rerum ignis et aer, terra et aqua sint, ex quibus mundi species
constat et forma. Vbi igitur tenebrae nequitiarum spiritalium
locum habere potuerunt, cum augustae huius decorem figurae
mundus indueret? Numquid malitiam simul deus creauit? Sed
ea ex nobis orta, non a creatore deo condita morum leuitate ge
neratur non ullam creaturae habens praerogatiuam nec auctorita
tem substantiae naturalis, sed mutabilitatis uitium et errorem
prolapsionis. Eradicari hanc deus uult de animis singulorum: quo
modo eam ipse generaret? Clamat propheta: Desinite a malitiis
uestris*' et praecipue sanctus Dauid: Desine a malo et fac bo
num h quomodo ei initium a domino damus? Sed haec opinio
feralis eorum qui perturbandam ecclesiam putauerunt. Hinc Mar-
ciones, hinc Valentini, hinc pestis illa Manicheorum funesta sanc
torum mentibus temptauerunt inferre contagia. Quid nobis ipsi
in lumine uitae tenebras mortis inquirimus? Scriptura diuina sa-
64 EXAMERON, DIES I , SEK. I I , C. 8, 29-30
lob 33, 4.
h Is 1, 6.
I Ps 33, 15.
ch Giobbe dice: Lo Spirito divino che mi ha creato. Se era Io
Spirito Santo che aleggiava sopra le acque, le tenebre di potenze
nemiche non potevano stare sopra di esse dove egli con una gra
zia cosi grande rivendicava la sua sede; se invece, come alcuni
vogliono, si intende l'aria, dicano perch l'autore sacro ha parlato
di Sprito di Dio, mentre sarebbe stato sufficiente chiamarlo
spirito .
30. Costoro dunque vogliono che dal Signore nostro Dio
siano stati creati anzitutto i quattro elementi, cielo, terra, mare,
aria, perch fuoco e aria, terra e acqua sono la materia originaria
delluniverso e costituiscono la forma visibile del mondo. Dove
dunque avrebbero potuto trovare posto le tenebre degli spiriti
malvagi, dato che il mondo era rivestito della bellezza di questo
aspetto maestoso? Forse che Dio ha creato contemporaneamente
il male? Questo, nato da noi, non costituito dal Creatore, trae
origine dalla leggerezza del nostro agire, senza avere alcuna pre
rogativa di ente creato e senza alcun prestigio di realt naturale,
ma solo il difetto delia mutabilit e Terrore della caduta'. Dio,
che vuole sradicato il male dallanimo di ciascun uomo, come
potrebbe dargli orgine? Grida il profeta: Desistete dalle vostre
malvagit; e soprattutto il santo Davide: Cessa di fare il male e
opera il bene: come potremmo farlo derivare dal Signore? Ma
questa la funesta dottrina di coloro che vollero sconvolgere la
Chiesa. Partendo da tali principi, i Marcioni, i Valentini, la pe
stilenziale eresia dei Manichei tentarono di contagiare con germi
esiziali la mente dei fedeli Perch andiamo a cercarci da noi le
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 65
I
Bas., Hexaem., 37 CD (16 CD): E l , ,
, ;
. ; " ^
, v ,
^ . Vedi anche 40 AB (16-17).
** Bas., Hexaem., 36D-37A (15 DE): ;
; ,
;
Marcione nacque nel Ponto, a Sinope, nellanno 85 c. Fece fortuna come
armatore; usci dalla Chiesa nel 144 e mori a Roma nella seconda met del
I I secolo. Anche se egli sub l influenza dello gnostico Cerdone, sembra che
il Marcionismo sia dottrina distinta dalla gnosi. Marcione ammette l'esistenza
di due Dei, quello del Vecchio e quello del Nuovo Testamento: il primo,
Dio creatore e giusto; il secondo, Dio buono. I l Dio del Vecchio Testamento
per formare il mondo avrebbe utilizzato una materia ch'egli non aveva creato
e che sarebbe il principio del male. Tra i due Testamenti non c' alcun
legame. Vedi E. G ilso n , La filosofia nel Medioevo, trad. ital., La Nuova Italia,
Firenze 1973, pp. 40A2.
Valentino nacque in Egitto, studi ad Alessandria e visse a Roma fino
al 160. Viene considerato uno degli gnostici di maggior rilievo. La perdita
dei testi originali non permette di ricostruire con certezza i particolari delle
sue dottrine. Vedi GiLSON, op. cit., pp. 4245.
Mani, fondatore della setta dei Manichei, nacque il 14 aprile 216 in Ba
bilonia, in una localit vicina a Seleucia-Ctesifonte. Dopo una vita agitata,
mori forse tra il 31 gennaio e il 26 febbraio 277 in Persia, dove era stato im
prigionato per l ostilit dei magi. I l fondamento del suo sistema il dua
lismo. DaUetemit esistono due sistemi opposti, il Bene il Male, la Luce
lutem suggerit, uitae odorem fraglat, ut suauitatem legens capias,
non praecipitii discrimen incurras. Simpliciter lege, o homo, non
tibi ipse foueaim prauus interpres effodias. Simplex sermo est quia
jecit deus caelum et terram: fecit quod non erat, non quod erat,
et terra erat tnuisibilis: ex quo facta est, erat, et erat inuisibilis,
quia exundabat aqua et operiebat eam, et erant super eam tene
brae superfusae, quia nondum erat lumen diei, nondum solis ra
dius, qui solet et sub aquis latentia declarare. Quid ergo dicunt
quod deus creauerit malum, cum ex contrariis et aduersis nequar
quam sibi aduersa generentur? Nec enim uita mortem generat
nec lux tenebras. Non enim sicut mutabilitates adfectuum ita
etiam generationum progressiones sunt. Illae ex contrariis in con
traria propositi deflexione uertuntur, istae non ex contrariis in
aduersa deflectuntur, sed ex eiusdem generis uel auctoribus uel
causis creatae in similitudinem sui referuntur auctoris.
66 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 8, 30-31
31. Quid igitur dicemus? Si enim neque sine principio est
quasi increata neque a deo facta, unde habet natura malitiam?
Nam mala esse in hoc mundo nullus sapiens denegauit, cum sit
tam frequens in hoc saeculo lapsus ad mortem. Sed ex his quae
iam diximus possumus colligere quia non est uiua substantia, sed
mentis atque animi deprauatio a tramite uirtutis deuia, quae in
curiosorum animis frequenter obrepit. Non igitur ab extraneis
est nobis quam a nobis ipsis maius periculum. Intus est aduer-
sarius, intus auctor erroris, intus inquam clausus in nobismet
ipsis. Propositum tuum speculare, habitum tuae mentis explora,
excubias optende aduersus mentis tuae cogitationes et animi cu
piditates. Tu ipse tibi causa es inprobitatis, tu ipse dux flagitio-
rum tuorum atque incentor criminum. Quid alienam naturam ac-
cersis ad excusationem tuorum lapsuum? Vtinam te ipse non in-
30, 19. praecipit! Schenkl praecipitii omnes codd. praeter unum.
tenebre della morte nella luce della vita? La Scrittura divina offre
]a salvezza, esala il profumo della vita perch tu leggendo ne per
cepisca la dolcezza ed eviti il pericolo del precipizio. Leggi con
semplicit, o uomo, non scavarti tu stesso la fossa con le tue false
interpretazioni. Sono parole semplici Dio cre il cielo e la terra:
cre ci che non esisteva, non ci che esisteva gi, e la terra era
invisibile; da quando fu creata, esisteva ed era invisibile perch
lacqua traboccava e la ricopriva, e sopra di essa erano stese le
tenebre perch non esisteva la luce del giorno n un raggio di
sole che suole rivelare anche ci che sta nascosto sotto la super
ficie dell'acqua Come possono dire che Dio ha creato il male,
se da principi contrari ed opposti non si producono in nessun
modo effetti opposti a se stessi? La vita non genera la morte n
la luce le tenebre: i procedimenti con i quali si generano le cose
non sono mutevoli come i sentimenti umani. Questi passano da
un atteggiamento a quello opposto per im mutamento di propo
siti, quelli non assumono un andamento opposto in contrasto col
precedente, ma, prodotti da autori o da cause della stessa natura,
rispecchiano limmagine di chi li ha fatti esistere.
31. Che cosa diremo dunque? Se il male non senza princi
pio, come se fosse increato, e non stato creato da Dio, donde lo
trae la natura? Infatti nessun sapiente ha mai negato la presenza
di mali in questo mondo, essendo cosi frequente quaggi cader
preda della morte. Ma da quanto abbiamo detto possiamo com
prendere che il male non realt vivente, bens ima perversione
della mente e dellanimo, fuorviante dal cammino della virt, che
spesso s insinua neHanimo d chi non sta bene in guardia
Quindi dagli estranei non ci proviene maggior pericolo che da
noi stessi. Dentro di noi sta il nemico, dentro di noi chi ci induce
alla colpa, dentro, ripeto, chiuso in noi stessi. Esamina il tuo pro
posito, indaga la disposizione dell'animo tuo, apposta delle senti
nelle contro i pensieri della tua mente e le passioni dellanimo. Tu
stesso sei per te la causa della disonest, tu stesso listigatore
delle tue colpe, il responsabile dei tuoi misfatti. Perch invochi
e le Tenebre, giustapposti senza confondersi fra loro. Vedi l articolo di
H. Ch . P u e c h , i n Histoire des retigions, Enc. de la Pliade , Gallimard, Pa
ris 1972, I I . pp. 523-645.
La grafia Manicheus usata nei codici promiscuamente con la pi rego
lare Manichaeus ( F a l l e r , CSEL, LXXVIII, p. 52*).
^ Bas., Hexaem., 37 A (15 E).
Ba s ., Hexaem., 37 A 05 E); -
( ; 6
. Si
;
Bas., Hexaem., 37 C (16 C):
^eiv , .
- ^
,
, ,
.
Qui mala, che sembra indicare piuttosto i mali materiali, si di
stingue da maliiia, che indica invece il male morale.
' Ba s ., Hexaem., 37 D (16 D).
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 67
pelleres, utinam non praecipitares, utinam non inuolueres aut
studiis inmoderatioribus aut indignatione aut cupiditatibus, quae
nos innexos uelut quibusdam retibus tenent. Et certe in nobis
est moderare studia, cohibere iracundiam, cohercere cupiditates, in
nobis etiam indulgere luxuriae, adolere libidines, inflammare ira
cundiam uel inflammanti aurem accommodare, eleuari magis su
perbia, effundi in saeuitiam quam reprimi in humilitatem, diligere
mansuetudinem. Quid naturam accusas, o homo? Habet illa uelut
inpedimenta quaedam senectutem et infirmitatem. Sed senectus
ipsa in nobis moribus dulcior, in consiliis utilior, ad constantiam
subeundae mortis paratior, ad reprimendas libidines fortior. In
firmitas quoque corporis sobrietas mentis est. Vnde ait aposto
lus: Cum infirmor, tunc potens sum'. Itaque non in uirtutibus,
sed in infirmitatibus gloriabatur'. Responsum quoque diuinum
refulsit oraculo salutari quia uirtus in infirmitate consummatur".
Illa cauenda quae ex nostra uoluntate prodeunt delicta iuuentutis
et inrationabiles passiones corporis, quorum igitur nos sumus do
mini, horum principia extrinsecus non requiramus nec diriuemus
in alios, sed agnoscamus ea quae propria nostra sunt. Quod enim
possumus non facere si nolimus, huius electionem mali nobis po
tius debemus quam aliis ascribere. Ideo etiam in iudiciis istius
mundi uoluntarios reos, non ex necessitate conpulsos culpa astrin
git, poena condemnat. Neque enim si per furorem aliquis innO'
centem peremerit, obnoxius morti est. Quin etiam ipsius diuinae
legis oraculo, si quis per inprudentiam intulerit necem, accipit in-
punitatis spem, refugii facultatem, ut possit euadere". Hoc igitur
de eo quod proprie malum uidetur dictum sit; mala enitn non sunt
nisi quae crimine mentem inplicant et conscientiam ligant. Cete
rum pauperiem, ignobilitatem, aegritudinem, mortem nemo sa
piens mala dwerit nec in malorum sorte numerauerit, quia nec
contraria istis in bonis habentur maximis, quorum alia nobis ex
natura, alia ex commoditate accidere uidentur.
68 EXAMERON, DIES I , SER. , C. 8, 31-32
32. Non otiose nobis excursus iste processit, ut probaremus
tenebras et abyssum simpliciter accipienda. Erant enim tenebrae
de obumbratione caeli, quia omne corpus umbram facit, qua obum
brat uel finitima uel inferiora et ea maxime quae operire atque
includere uidetur. Includit autem caeli polus, quia caelum sicuti
12 Cor 12, 10.
n>2 Cor 12, 9.
2 Cor 12, 9.
o Deut 19, 4-5.
una natura estranea per scusare le tue cadute? Magari non
fossi tu stesso a spingerti al male, a farti precipitare neU'abisso,
magari non ti lasciassi prendere dai desideri smoderati o dallira
0 dalle passioni che ci tengono impigliati come in una rete. E
certamente dipende da noi moderare i desideri, frenare l ira, con
trollare le passioni, come dipende dai noi cedere alla lussuria,
accendere la libidine, infiammare l'ira o prestare orecchio a chi lat
tizza, montare in superbia, abbandonarci alla crudelt piuttosto
che vincere il nostro orgoglio ed amare la mansuetudine 0 uo
mo, perch accusi la natura? Questa ha come ostacolo la vec
chiaia e la debolezza. Ma la stessa vecchiaia diventa in noi pi
mite di carattere, pi utile nel consigliare, pi ferma nell'affron-
tare la morte, pi forte nel soffocare le passioni. Dice LApostolo:
Quando sono debole, allora sono forte. Perci egli non si vantava
per le sue virt, ma per le sue debolezze. Anche la risposta** del
Signore ebbe la luce duna rivelazione salutare: La virt si per
feziona nella debolezza. Dobbiamo guardarci dalle colpe giova
nili che derivano dalla nostra volont e dalle cieche passioni della
carne; quindi non cerchiamo fuori di noi e non attribuiamo ad
altri le cause di ci che dipende dalle nostre decisioni, ma ricono
sciamo le nostre personedi responsabilit. Dobbiamo imputare a
noi piuttosto che agli altri la scelta di quel male che, se volessimo,
potremmo non conmiettere. Anche nei tribunali di questo mon
do sono riconosciuti colpevoli e condannati ad una pena solo co
loro che hanno voluto commettere un delitto, non chi vi stato
costretto da una forza estranea. Se in un accesso di pazzia uno
uccide un innocente, non per questo soggetto alla condanna
capitale. Anzi, anche secondo il comandamento della stessa legge
divina, chi uccide involontariamente, ha la speranza di non es
sere punito, la facolt di trovarsi un rifugio per evitare la pena.
Basti questo, dunque, a proposito del male propriamente detto;
infatti non sono mali se non quelli che coinvolgono la mente in
una colpa e vincolano la coscienza. Del resto nessun sapiente di
rebbe mali n metterebbe nel loro numero la povert, loscurit
della nascita, la malattia, la morte, perch nemmeno i loro con
trari alcuni dei quali sembra ci accadano per dono di natura,
altri per favorevole combinizione sono considerati tra i beni
pi grandi.
32. Questa digressione non stata inutile per dimostrare
che tenebre e abisso devono essere intesi in senso letterale.
Le tenebre infatti dipendono dalloscuramento del cielo, perch
ogni corpo produce unombra con cui oscura ci che gli sta presso
0 al di sotto e specialmente ci che sembra ricoprire e compren
dere in s. E la volta celeste abbraccia l universo, perch il cielo
si estende a guisa di volta, come abbiamo dimostrato sopra. Di
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 69
Bas., Hexaem., 40 AB (16 DB, 17 A).
S. Ambrogio si diffonde qui in considerazioni morali allontanandosi dal
tema. Non troviamo nnlla di tutto questo in S. Basilio.
* Si tratta effettivamente della risposta che il Signore diede a S. Paolo,
quando questi lo preg di liberarlo dallo stimulus camis... angelus satanae.
camera extenditur, quemadmodum supra demonstrauimus. Non
ergo principalis erat tenebrosa substantia, sed quasi umbra se
cuta est mundi corpus caligo tenebrarum. Itaque momento diui-
nae praeceptionis mimdus adsurgens intra se inclusit umbram, ut
si quis in campi medio, quem sol meridianus inluminat, locum
aliquem repente obsaepiat et densis ramorum frondibus tegat,
nonne quo splendidior foris species loci eius effulgeat, hoc hor
renti desuper scaena gurgustium eius intus obscurius fit? Aut unde
antrum clausum undique huiusmodi locum uocarunt, nisi quod
atro inhorrescat situ atque offusione tenebrarum? Istae ergo te
nebrae super aquarum abyssos erant. Nam abyssum multitudinem
et profundum aquarum ^ci lectio euangelii docet, ubi rogabant
saluatorem daemonia, ne iuberet illis ut in abyssmn irent. Sed
qui docebat uoluntates daemoniorum non esse faciendas praecepit
illis ut irent in porcos, porci autem se in stagnum aquarum prae-
cipitauenmt p, ut quod recusabant daemonia non euaderent, sed
digno praecipitio demergerentur. Erat ergo haec mundi inconpo-
sita species et forma.
70 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 8, 32 - C. 9, 33
Caput IX
33. Et spiritus inquit dei superferebatur super aquas. Et
dixit deus: Fiat l ux. Merito ergo praemissus est spiritus dei, ubi
diuina incipere habebat operatio. Fiat inquit lux. Vnde uox dei
in scriptura diuina debuit incohare, nisi a lumine, vmde mundi
ornatus nisi a luce exordium sumere? Frustra enim esset, si non
uideretur. Erat quidem deus ipse in lumine, quia lucem habitat
inaccessibilem^, et erat lumen uerum, quod inluminat omnem
hominem uenientem in hunc m u n d u m sed eam lucem fieri uo-
luit, quae oculis corporalibus conprehenderetur. Qui aedificium
p Lc 8, 31-33.
Gen 1, 2-3.
b 1 Tim 6, 16.
c Io 1. 9.
conseguenza le tenebre non erano una sostanza originaria, ma
la loro caligine si accompagn come unombra al corpo del mon
do Perci, nellattimo stesso dellordine divino, il mondo na
scente incluse in s la propria ombra: cosi, se uno, nel mezzo
di un campo illuminato dal sole del meriggio, ne recingesse un
tratto e lo ricoprisse con fitto fogliame, non forse vero che
quanto pi luminoso risplende aUesterno l aspetto di quel luogo,
tanto pi oscuro, per il cupo scenario che in alto lo ricopre
apparirebbe allinterno il suo tugurio? O perch hanno chiamato
antro un luogo chiuso ugualmente da ogni parte se non perch
appare sinistro per l atro squallore e le tenebre che lo invadono?
Queste erano le tenebre che stavano sopra l abisso delle acque.
Infatti il testo del Vangelo insegna che si chiama abisso una
massa enorme. e profonda dacqua, nel passo dove i demoni pre
gavano il Salvatore che non ordinasse loro di andare nellabisso.
Ma colui che insegnava non doversi fare la volont dei demoni,
comand loro di entrare in im branco di porci che si precipita
rono in uno specchio dacqua, affinch i demoni non sfuggissero
alle pena cui avrebbero voluto sottrarsi, ma fossero sommersi in
un abisso degno di loro. Questi erano dunque l aspetto e la confi
gurazione del mondo ancora informi.
I SBI GIORNI DELLA CREAZIONE 71
Capitolo 9
33. E lo Spirito di Dio, dice la Scrittura, aleggiava sopra le
acque. E Dio disse: Sia iatta la luce . Ben a ragione fu messo
innanzi lo Spirito di Dio, dove stava per cominciare l opera divina.
Sia fatta la luce. Donde avrebbe dovuto prendere le mosse la voce
di Dio nella Scrittura divina se non dalla luce, donde se non dalla
luce avere inizio l abbellimento delluniverso? Esisterebbe inutil
mente se non si vedesse. Veramente Dio stesso era nella luce,
perch abita una luce inaccessibile, ed era luce vera, che illumina
ogni uomo che viene in questo mondo, ma volle che ci fosse una
luce percepibile da occhi corporei. Chi desidera costruire un edi
ficio degno dessere abitato da un capofamiglia, prima di gettare
Bas., Hexaem., 40 C (17 B):
,
.
Cf. Verg., Aen., I, 164-5: Tum siluis scaena coruscis / desuper, hor-
rentique atrum nemus imminet umbra. LAlbini traduce: Ma sopra scena
di vibranti selve / e cupo rezzo di boscaglia bruna .
Antrum calco latino dal greco fivrpov; vedi P. Chantbainb, Dict. tym.
de la langue grecque, Klincksieck, Paris 1968, I , sub uoce.
>Bas., Hexaem., 44 C (18 E): -
0 , , , ,
.
aliquod dignum habitaculo patris familias struere desiderat, an
tequam fundamentum ponat, unde lucem ei infundat explorat. Et
ea prima est gratia, quae si desit, tota domus deformi horret in
cultu. Lux est, quae reliquos domus conmendat ornatus. Fiat in
quit lux. Plena uox luminis non dispositionis apparatum significat,
sed operationis resplendet effectu. Naturae opifex lucem locutus
est et creauit. Sermo dei uoluntas est, opus dei natura est: lucem
creauit, tenebras inluminauit. Et dixit deus: Fiat lux. Et facta est
lux^. Non ideo dixit ut sequeretur operatio, sed dicto absoluit ne
gotium. Vnde pulchre Dauiticum illud dixit et facta sunt^, quia
dictum inpleuit effectus. Auctor ergo lucis deus, locus autem et
causa tenebrarum mundus est. Sed bonus auctor ita lucem dixit,
ut mundum ipsum infuso aperiret lumine atque eius speciem ue-
nustaret. Resplenduit subito igitur aer et expauerunt tenebrae
noui luminis claritate, repressit eas et quasi in abyssos demersit
repente per uniuersa mundi fulgor lucis infusus. Pulchre itaque
et proprie dixit: Facta est lux. Sicut enim cito lux caelum terras
maria inluminat et momento temporis sine ulla conprehensione
retectis surgentis diei splendore regionibus nostro se circumfundit
aspectui, ita ortus eius cito debuit explicari. Quid miramur si deus
locutus est lucem et Ccdiganti mundo lumen emicuit, quando si
quis inter aquas mersus oleum ore miserit, clariora faciat ea quae
profundi tegebantur occultis? Dixit deus non ut per uocis organa
quidam sonus sermonis exiret nec ut linguae motus caeleste for
maret adloquium atque aerem istum quidam uerborum strepitus
uerberaret, sed ut uoluntatis suae cognitionem proderet opera
tionis effectu.
72 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 9, 33-34
34. E t discreuit inter lucem et tenebras et uidit deus lucem
quia bona est*. Dixit, et sonum uocis nullus audiuit: discreuit, et
operationis molimina nemo deprehendit: uidit, et oculorum eius
intentionem nullus aspexit. Et uidit inquit deus lucem quia bona.
d Gen 1, 3.
Ps 148, 5.
' Gen 1, 4.
le fondamenta esamina da qual parte farvi entrare la luce. E que
sto il primo pregio, mancando il quale tutta la casa tl respinge
squallida e trascurata. la luce che d risalto alle altre qualit
della casa. Sia fatta la luce, disse. La parola luce, nel suo pieno
valore, non significa i preparativi per disporne l'esistenza, ma
lo splendore dellazione attuata. L'autore della natura disse luce
e la cre. La parola di Dio la sua volont, l opera di Dio la
natura: cre la luce, illumin le tenebre. E Dio disse: Sia
fatta la luce. E la luce fu fatta. Non parl perch seguisse
l'azione, ma con la parola comp l'opera*. Perci ben a proposito
stato detto il versetto davidico disse e cielo e terra furono fatti,
perch l effetto ademp la parola. Dunque Dio l'autore della
luce, il mondo invece il luogo e la causa delle tenebre. Ma nella
sua bont il Creatore disse luce, cosi da svelare i i mondo stesso
infondendovi la luminosit e da abbellirne l'aspetto. Rifulse tosto
l'aria e arretrarono sbigottite le tenebre allo splendore di quella
limiinosit nuova e il fulgore della luce diffuso per tutto l uni
verso le scacci e come le sommerse negli abissi. Ben a propo
sito, dunque, e con propriet la Scrittura disse: Fu fatta la luce.
Come la luce illumina rapidamente il cielo, la terra, i mari e in un
istante, senza incontrare ostacolo, si sparge intorno ai nostri oc
chi rivelando con lo splendore del giorno gli spazi del cielo, con
la stessa rapidit dovette irraggiarsi al suo primo sorgere. Perch
ci meravigliamo se Dio disse luce e nel mondo tenebroso brill la
sua luminosit, dal momento che, se imo immerso nellacqua emet
te deHolio dalla bocca, rende pi visibili gli oggetti nascosti sul
fondo? Dio parl non cosi da emettere un suono articolato per
mezzo degli organi vocali n da comporre il discorso divino col
movimento d^Ia lingua e, per cosi dire, percuotere quest'aria col
rumore delle pa,role, ma in modo da far conoscere la sua volont
con gli effetti della sua azione .
34. E separ la luce dalle tenebre, e Dio vide che la luce era
un bene. Parl, e nessuno ud il suono della sua voce* separ, e
nessuno percep la grandiosit dellazione; vide, e nessuno osserv
la tensione del suo sguardo. E Dio vide, dice la Scrittura, che la
luce era un bene. Non vide cose che ignorasse n approv cose
che precedentemente non sapesse o non avesse visto, ma le opere
* Bas., Hexaem., 45 B (19 C): h ,
. .
.
* Bas., Hexaem., 44 C (18-19):
' ,
. , 8 6
6 , -
. . . .
^Bas., Hexaem., 45 B (19 BC): " v &
... Noi non ne sappiamo nulla; ve
di Giet, op. cit., p. 172, . 1.
* Bas., Hexaem., 45 BC (19 C): * 81 ^ ^
,
, > ^
& ,^ -
.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 73
Nec quod ignorabat uidit nec id quod nesciebat ante aut non
uiderat conprobauit, sed bonorum operum proprium est, ut ex
terno commendatore non egeant, sed gratiam suam, cum uidentur,
ipsa testentur. Plus est quod probatur aspectu quam quod ser
mone laudatur. Suo enim utitur testimonio, non alieno suffragio.
Quodsi aput nos oculis iudicium emittitur, quibus simul et gratia
uenustatis et rerum natura conprehenditur, quanto magis deus
omnia qiiae probat uidet et quae uidet probat secundum quod
scriptum est quia oculi domini super iustos . Lucis natura huius-
modi est, ut non in numero, non in mensura, non in pondere ut
alia, sed omnis eius in aspectu sit gratia. Propriis itaque sermoni
bus naturam lucis expressit, quae uidendo conplacet, quoniam
ipsa uidendi officium subministrat. Nec inmerito tantum sibi prae
dicatorem potuit inuenire. A quo iure prima laudatur, quoniam
ipsa fecit, ut etiam cetera mundi membra digna sint laudibus. Vi
dit ergo deus lucem et uultu suo inluminauit et uidit quia bona
est. Non ex parte dei, sed generale iudicium est. Itaque non in
splendore tantummodo, sed in omni utilitate gratia lucis probatur.
Vnde et discretio fit inter lucem et tenebras, ut separata lucis
natura atque tenebrarum nihil uideatur intra se habere confusum.
74 EXAMERON, d ies I , SER. I I , c. 9, 34-35 - c. 10, 36
35. E t uocauit deus diem lucem et tenebras uocauit noctem h,
ut et nomine ipso diem noctemque distingueret. Aduertimus ita
que quod lucis ortus ante quam solis diem uideatur aperire; prin
cipia enim diei noctis exitum eludunt finisque temporis et status
limes nocti et diei uidetur esse praescriptus. Diem sol clarificat,
lux facit. Frequenter caelum nubibus texitur, ut sol tegatur nec
ullus radius eius appareat; luxctamen diem monstrat, tenebras
abscondit.
Caput X
36. E t factum est uespere et factum est mane, dies unus*.
Quaerunt ediqui, cur prius uesperum, postea mane scriptura ,me-
morauerit, ne forte noctem prius quam diem significare uideatur.
* Ps 33, 16.
h Gen 1, 5.
Gen 1, 5.
valide hanno la particolarit di non aver bisogno di chi le lodi
daHestemo, bens di attestare esse stesse i propri ineriti. Conta
di pi ci che si approva con lo sguardo di ci che si loda con la
parola. Infatti gode della propria testimonianza, non dellappro
vazione altrui. Che se noi ci formiamo im giudizio servendoci
degli occhi, mediante i quali percepiamo l attrattiva della bel
lezza e la natura delle cose, quanto pi Dio vede tutto ci che
approva e approva ci che vede, come sta scritto, e cio che gli
occhi del Signore vegliano sui giusti. La natura della luce tale
che tutta la sua bellezza non consiste nella quantit, nella gran
dezza, nel peso come per le altre cose, ma nellessere vista. Per
tanto Dio con le sue parole defim' la natura della luce, che al solo
vederla reca piacere, poich essa sola consente la funzione visiva.
Non a torto pot trovare un cosi grande esaltatore. Da lui a buon
diritto lodata per prima, perch fu essa a far si che anche tutte
le altre parti del mondo siano degne di lode. Vide dunque Dio
la luce, la fece risplendere col. suo volto e vide che un bene.
Non solo un giudizio da parte di Dio, ma im giudizio xmiver-
sale. Perci la bellezza della luce viene lodata non soltanto per il
suo splendore, ma per tutti i vantaggi che reca. Perci avviene
anche la separazione fra la luce e le tenebre, perch, una volta
separata la sostanza della luce da quella delle tenebre, non sus
sista tra loro confusione di sortai.
35. E Dio chiam la luce giorno e chiam le tenebre notte,
in modo da distinguere anche con il nome stesso il giorno dalla
notte. Ora noi osserviamo che il sorgere della luce prima di quel
lo del sole sembra schiudere il giorno; infatti l inizio del giorno
segna la fine della notte e sembra che al giorno e alla notte sia
stato fissato un termine di tempo e un confine di luogo. la luce
che fa il giorno, mentre il sole gli d splendore. Spesso il cielo
coperto di nubi cosi che il sole nascosto e non ne appare alcun
raggio; tuttavia la luce indica il giorno e nasconde le tenebre.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 75
Capitolo 10
36. E venne sera e venne mattino, un giorno. Alcuni si chie
dono perch la Scrittura abbia ricordato prima la sera, poi il mat
tino, preoccupati che per caso non sembri dare la precedenza alla
* B a s ., Hexaem., 45 C (19 D): Kal 6
.
B a s ., Hexaem., 48 AB (20AB):
, & ,
ik^epov .
Bas., Hexaem., 48 (20 AB): 6
<3 . ,
6 . $
( .
Nec aduertunt primo quod praemiserit diem dicendo: Et uocauit
deus diem lucem et tenebras uocauit noctem, deinde quod uespe-
re finis diei sit et mane finis noctis. rgo ut praerogatiuam et
primatus natiuitatis diei daret, prius finem diei significauit, post
quam secutura nox esset, deinde postea finem noctis adixuixit. Eo
usque autem noctem diei scriptura anteferre non potuit, ut et diei
et noctis tempora diei appellatione concluserit et tamquam prin
cipalis auctoritate nominis uindicauerit. Et hanc scripturae esse
consuetudinem, ut potiori appellationem deputet, frequentibus
exemplis probamus, siquidem et lacob dixit: Dies uitae meae pu
silli et mali et itenmi: omnes dies uitae meae ' et Dauid posuit:
Dies annorum meorum non dixit et noctes, imde aduertimus ea
quae nunc in specie historiae traduntur uim statuisse legis in
posterum. Principium ergo diei uox dei est: Fiat lux, et facta est
lux. Finis diei uespera est. lam sequens dies ex noctis fine suc
cedit. Sententia autem dei euidens, quia diem primo uocauit lu
cem et secundo uocauit tenebras noctem.
76 , DIES I , SER. I I , C. 10, 36-37
37. Praeclare etiam unum, non primum diem dixit; nam se
cuturo secundo et tertio die et deinceps reliquis primum potuit
dicere et hoc ordinis uidebatur sed legem statuit, ut XXI I II
horae diurnae atque nocturnae diei tantum nomine definiantur,
ut si diceret: XXI I II horarum mensura imius diei tempus est.
Sicut enim uirorum generatio conputatur et intellegitur etiam fe
minarum, quia nectimtur secimda potioribus, ita etiam dies nu-
meremtur et noctes aestimantur adiunctae. Sicut igitur circuitus
unus ita imus dies. Nam plerique etiam ebdomadam unam unum
diem dicimt, quod, in se quasi in unum redeat diem et quasi sep
ties in se recurrat. Est autem haec circuitus figura a se incipere
et in se reuerti. Vnde et saeculum vmum interdum scriptura dicit
b Gen 47, 9.
c Ps 22, 6.
d Ps 89, 10.
notte sul giorno. Non si rendono conto anzitutto che ha nominato
per primo il giorno dicendo: E Dio chiam la luce giorno e le te
nebre notte, poich la sera la fine del giorno e il mattino la fine
della notte. Dunque, per dare la precedenza e il primato dell'esi-
stiere al giorno, prima indic la fine del giorno, alla quale sarebbe
seguita la notte, quindi aggiunse la fine della notte*. Daltra par
te era cosi inammissibile che la Scrittura potesse anteporre la not
te al giorno, che anzi comprese sotto il nome di giorno la du
rata del giorno e della notte e la rivendic ad esso con l'autorit
del nome pi importante^. E che sia consuetudine della Scrittura
di assegnare il nome a ci che ha maggior rilievo, dimostriamo
con numerosi esempi. Infatti Giacobbe disse: I giorni della mia
vita sono stati pochi e tristi; e ancora si legge: Tutti i giorni delta
mia vita; e Davide scrisse: I giorni dei miei anni, non disse anche
le notti . Da ci comprendiamo che la presente narrazione sto
rica ebbe efficacia di legge per l'avvenire^. Principio dunque del
giorno la parola di Dio: Sia fatta la luce e la luce fu fatta. La
fine del giorno la sera. E gi subentra il giorno seguente a co
minciare dalla fine della notte. evidente il pensiero di Dio, di
chiamare cio in primo luogo giorno la luce e poi notte le tenebre.
37. Con assoluta esattezza parl anche di un giorno anzich
di e primp giorno: rispetto al secondo e al terzo giorno che sa
rebbero seguiti e via via agli altri, avrebbe potuto dire primo
e ci sembrava corrispondere alla successione , ma stabili la leg
ge che siano indicati col solo nome di giorno le ventiquattro
ore diurne e notturne, come se avesse detto: La misura di venti-
quattro ore la durata di un giorno *. Infatti, come con genera
zione degli uomini si computa ed intende anche quella delle don
ne perch il secondario si aggrega al pi importante, cosi si con
tano i giorni e le notti si considerano tutt'uno con essi. Come non
c' che una circonferenza, cosi non c che un solo giorno . Mol
tissimi chiamano un giorno anche ima settimana perch ritor
na da capo come un sol giorno e, per cosi dire, ricomincia sette
volte. E questa la figura della circonferenza: da se stessa comin
ciare e ritornare su se stessa*. Per la stessa ragione talora la
* B a s . , Hexaem., 48 C (20C): T!va
?, , , -
(^.
* La Scrittura auctoritate nominis principalis rivendica per il giorno
tempora diei et noctis, chiamando <giorno l'intero perodo di ventiquattro
ore.
* B a s . , Hexaem., 49 A (20 CD): Kal , ,
.
<Ba s ., Hexaem., 49 A (20 D).
Bas., Hexaem., 49 AB (20 E): ( , 6
& -rv 6, ebco-
... Cf. Philo, De opif. mundi,
3 (I , 3, 36; 4,12 C). Anche Origene {Hom. in Gen., 1,1, apud Ruf.) usa dies una.
* Bas., Hexaem., 49 C (21 AB}: ...
, }^ ,
6 , , -
55 . 3
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 77
nam etsi aliis locis saecula appellat, uidetur magis diuersitates
statuum publicorum uel negotiorum significare quam saeculorum
successionps aliquas definire quia dies domini magnus et prae
clarus* et alibi: Vt quid uobis quaerere diem domini?^. Et hic
tenebrae et non lux; manifestum est enim quod male consciis et
indignis dies ille tenebrosus sit, quo fulgebit innocentia et mens
noxia cruciabitur*. Ceterum quod sine interpellatione noctium et
successione tenebrarum dies perpetuus ille remunerationis aeter
nae futurus sit scriptura nos docet.
78 EXAMERON, DIES I , SER. I I , C. 10, 37-38
38. Pulchre autem uicem utramque unum dicturus diem ma
tutino eum fine conclusit, ut et a luce incohare diem doceret et
in lucem desinere. Non enim est integrum diei tempus et noctis,
nisi fuerit expletum. Vnde et nos semper quasi in die honeste
ambulemus et abiciamus opera tenebrarum ^ Noctem enim ad
quietem corporis datam esse cognoscimus, non ad muneris ali
cuius et operis functionem, quae somno et obliuione transcurri
tur. Non sit in nobis comisatio et ebrietas, cubile et inpudicitia
non dicamus: Tenebrae et parietes operiunt nos, et quis scit si
uidebit altissimus? . Sed sit in nobis amor lucis et cura honestatis,
ut tamquam in die ambulantes opera nostra coram deo lucere
cupiamus , cui est honor laus gloria potestas cum domino nostro
lesu Christo et sancto spiritu a saeculis et nunc et semper et in
omnia saecula saeculorum amen.
loel 2, 11.
f Amos 5, 18.
e Mt 13, 43.
h Is 60, 19-20.
i Rom 13, 12.
I Rom 13, 13.
m Eccli 23, 18 (26).
n Mt 5, 10.
38, 1. Pulcre Schenkl pulchre omnes codd. praeter unum; cf. et passim.
Scrittura parla di un secolo sebbene in altri passi parli di se
coli , sembra piuttosto indicare la diversit delle situazioni o
delle attivit sociali che definire una successione di secoli
dicendo che il giorno del Signore grande e illustre e altrove: A
quale scopo per voi cercare il giorno del Signore? Qui per si
parla di tenebre e non d luce , perch manifesto che, per coloro
che hanno una cattiva coscienza e sono indegni, giorno di te
nebre quel giorno in cui risplender l innocenza e l anima colpe
vole sar soggetta a tormenti. Del resto la Scrittura ci insegna che
il giorno senza fine del premio eterno non avr l'intervallo delle
notti e la successione delle tenebre.
38. Egregiamente poi, volendo chiamare un giorno l awicen-
darsi della luce e delle tenebre, lo fece terminare la mattina per
insegnarci che il giorno comincia dzdla luce e in essa ha fine. La
durata del giorno e della notte non intera se non finita. Anche
noi camminiamo sempre compostamente, come di giorno, e re
spingiamo le opere delle tenebre. Sappiamo che la notte stata
data per il riposo del corpo, non per svolgere qualche compito o
attivit, e perci si trascorre nel sonno e nelloblio. Non siano in
noi gozzoviglia ed ebbrezza, libidine e impudicizia; non diciamo:
Le tenebre e le pareti ci nascondono, e chiss se VAltissimo riu
scir a vederci? Siano invece in noi amore per la luce e cura per
l'onest, affinch, come camminando alla luce del sole, desideria
mo che le nostre opere risplendano al cospetto di Dio al quale
onore, lode, gloria, potere, con il Signore nostro Ges Cristo e lo
Spirito Santo dall'etemit e ora e sempre e per tutti i secoli dei
secoli. Amen.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 79
, S ,
.
Bas., Hexaem., 52 (21 C): ...
, ,'
& ;
S. Ambrogio traduce Gioele, 2, 11 dai Settanta:
, .
La Vulgata ha: magnus enim dies Domini et terribilis ualde. Altrettanto
si dica per Amos, 5, 18: ... ;
... dove la Vulgata ha: Dies Domini ista, tenebrae et
non lux.
Bas., Hexaem., 52 B (21 E): (*0 5 )...
:^ ...
DIES SECVNDVS
SERMO I I I
Caput I
1. Diem primum uel potius unum maneat enim ei prophe
tici praerogatiua sermonis ut potuimus absoluimus. In quo
conditum caelum, terram creatam, aquarum exundantiam, circum
fusum aerem, discretionem factam lucis atque tenebrarum dei
omnipotentis et domini lesu Cliristi, sancti quoque spiritus ope
ratione cognouimus. Quis ergo non miretur dissimilibus membris
disparem mundum in corpus unum adsurgere et insolubili con-
coixliae caritatisque lege in societatem et coniunctionem sui tam
distantia conuenire, ut quae discreta natura sunt in unitatis et
pacis uinculum uelut indiuidua conpassione nectantur? Aut quis
haec uidens possibilitatem rationis infirmo ingenio rimetur? Quae
onmia uis diuina inconprehensibilis humanis mentibus et ineffa
bilis sermonibus nostris uoluntatis suae auctoritate contexuit.
2. Fecit igitur deus caelum et terram et ea quasi auctor esse
praecepit, non tamquam figurae inuentor, sed tamquam operator
naturae. Nam quomodo sibi conueniunt operatoria inpassibilis dei
uirtus et passibilis materiae natura tamquam altera ab altera quo
indiguerint mutuantes? Nam si increata materia, uidetur ergo deo
creandae potestas materiae defuisse et ab ea operationi subia-
centia mutuatus: si uero inconposita, mirum admodum coaeter
nam deo materiem decorem sibi non potuisse conferre, quae sub
stantiam non a creatore acceperit, sed sine tempore ipsa posse
derit. Plus ergo inuenit operator omnium quam contulit: inuenit
materiem, in qua posset operari, contulit autem figuram, quae
decorem inuentis rebus adferret. Vnde excipiendus a ceteris tam
quam dies unus, non conferendus cum ceteris tamquam dies pri
mus est, quo fundamenta rerum omnium posita et causae esse
SECONDO GIORNO
I I I SERMONE
Capitolo 1
1. Abbiamo terminato, nei limiti delle nostre possibilit, la
trattazione del primo o piuttosto di un giorno*, per conservare
lespressione preferita dal testo ispirato. Abbiamo appreso che in
questo giorno fu costituito il. cielo, fu creata la terra, trabocca
rono le acque, fu diffusa intorno laria, fu divisa la luce deille te
nebre per l azione di Dio onnipotente, del Signpre Ges Cristo ed
anche dello Spirito Santo. Chi dunque non resterebbe stupito al
vedere il mondo, eterogeneo per la diversit delle sue parti, costi
tuirsi in xm unico organismo ed elementi cosi differenti racco
gliersi insieme in reciproca unione fra loro secondo una legge
inviolabile di concordia e di amore, cosi che sostanze, naturalmen
te distinte, come per unindissolubile solidariet si legano in im
vincolo di unione e di pace? O chi a tale vista oserebbe ricercare
con il suo debole ingegno la possibilit di una spiegazione? Tutto
ci ha composto insieme con lautorit del suo volere la potenza
divina che non pu essere compresa dalle menti umane n espres
sa dalle nostre parole.
2. Iddio dtmque cre il cielo e la terra e quale Creatore ordin
loro di esistere, non come se ne avesse trovato l immagine, nia
come autore della loro sostanza. Come possono l impassibile po
tenza creatrice di Dio e la passibile natura della materia accordarsi
tra loro quasi prestandosi reciprocamente ci di cui hanno biso
gno? Se la natura fosse increata, sembrerebbe di conseguenza
che a Dio sia mancato il potere di crearla e che da essa abbia
preso gli elementi indispensabili per la sua opera; se per fosse
informe, sarebbe veramente strano che la materia, essendo coeter
na a Dio, non abbia potuto conferirsi la bellezza, visto che non
aveva ricevuto l esistenza dal Creatore, ma la possedeva di per s<
stessa dalletemit. I l Creatore delluniverso awebbe trovato pi
di quello che avrebbe dato, avrebbe trovato la materia sulla quale
agire e le avrebbe conferito l aspetto che desse bellezza a ci che
aveva trovato. Perci il giorno della creazione deve essere distinto
da tutti gli altri come un giorno, non messo a confronto con gli
Bas., Hexaem., 52 C (22 A): T ,
.
coeperunt, quibus mundi huius atque uniuersae uisibilis creaturae
fulta substantia est. Quare ad secundi diei miranda opera sermo
nobis prodeat, quorum eminentia non secundum tractatus nostri
possibilitatem, sed secundum scripturam ad laudem referenda est
creatoris.
82 EXAMERON, DIES , SEH. I I I , C. 1, 2-3
3. Vos igitur quaeso ut naturaliter aestimare quae dicimus
probabiliter ac simplici mente et sedulo ingenio pensare digne
mini, non secundum philosophiae traditiones et inanem seduc
tionem suasoriae ueri similia colligentes, sed secimdum regulam
ueritatis*, quae oraculis diuini sermonis exprimitur et contempla
tione tantae maiestatis fidelium pectoribus infunditur, quia scrip
tum est: Confirma me in uerbis tuis: narrauerunt mihi iniusti
exercitationes, sed non sicut lex tua, domine. Omnia praecepta
tua ueritas i. Non ergo secundum elementorum naturas, sed secun
dum Christum, qui omnia quae uoluit fecit abundans plenitudine
diuinitatis suae', consideremus quae facta sunt et naturae possi
bilitatem interrogemus. Neque enim cum in euangelio leprosum
curaret, caecis uisum refunderet populus qui aderat et spectabat
illa medicinae ordinem recognouit, sed potestatem domini miratus
dedit, ut scriptum est, deo laudem^. Neque secundum numeros
Aegyptiorum et concursus siderum et mensuras elementorum ex
tendit manum sumi Moyses, ut diuideretur mare rubrum, sed di-
uinae imperip potestatis obtempercms. Vnde et ipse ait: Dextera
manus tua, domine, glorificata est in uirtute, dextera manus tua,
domine, confregit inimicos Illo igitur, sancta plebs, eleua men
tem tuam et totum animum tuum eo confer. Non sic deus uidet
quemadmodum homo. Deus in corde, homo in facie. Nec sic igi
tur homo uidet quemadmodum deus. Audis quia deus uidit et
laudauit. Noli igitur tuis oculis aestimare quae facta sunt opinio-
nibusque colligere, sed quae deus uidit et probauit ea tu retrac
tanda non putes.
Coi 2, 8.
b Ps 118, 28 et 85-86.
c Coi 2, 9.
d Mt 8, 2: 9, 30; 20, 34 (Mc 8, 25; 10, 25; Lc 18, 43; I o 9, 7).
Lc 18, 43.
t Ex 15. 6.
altri come primo giorno In esso infatti furono poste le fonda-
menta deiruniverso e cominciarono ad esistere le cause sulle quali
si fonda l'esistenza di questo mondo e di tutte le creature visibili.
Passi dunque il nostro discorso alle meravigliose opere del secondo
giorno, la cui sublimit deve essere riferita a lode del Creatore
non secondo le possibilit di questo nostro sermone ma secon
do la Scrittura.
3. Abbiate perci la bont di giudicare senza prevenzioni
ci che diciamo portandone le prove e di ponderarlo con animo
aperto e intelligenza attenta, non ricavando gi conclusioni vero
simili secondo gli insegnamenti della filosofia e la vana seduzione
deH'eloqunza deliberativa \ ma secondo le regole della verit
espressa dalla rivelazione della parola divinae infusa nel cuore
dei fedeli mediante la contemplazione di una maest cosi grande,
perch sta scritto: Rafforzami nella tua parola: gli ingiusti mi
hanno esposto vane teorie, ma non come la tua legge, Signore.
Tutti i tuoi precetti sono verit. Consideriamo il creato e interro-
ghiamio le capacit della natura non secondo la qualit degli ele
menti, ma secondo Cristo che ha fatto tutto ci che ha voluto,
sovrabbondando delia pienezza della sua divinit. Quando nel Van
gelo guariva il lebbroso e rendeva la vista ai ciechi, il popolo che
assisteva a quei miracoli non riconosceva in essi un procedimento
della medicina, ma, ammirando la potenza del Signore, come sta
scritto, diede gloria a Dio. E Mos non stese la sua mano per di
videre le acque del Mar Rosso fondandosi sui calcoli degli Egi
ziani, sulle congiunzioni astrali, sulle misure degli elementi, bens
obbedendo al comando della potenza divina. Perci anch'egli dis
se: La tua destra. Signore, stata glorificata nella sua potenza,
la tua destra ha infranto i nemici. Or dunque, o popolo santo, in
nalza la tua mente a tali meraviglie e ad esse rivolgi tutto l'animo
tuo. Iddio non vede con gli occhi dell'uomo. Dio vede il cuore,
l'uomo l'aspetto esteriore. Neppure cosi luomo vede come Dio.
Tu senti che Dio vide e approv l'opera sua. Non pretendere
dunque di giudicare il creato e di trarre conclusioni secondo il
tuo punto di vista, ma convinciti che non -devono essere corrette le
cose che Dio ha veduto e approvato.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 83
* Ba s . , Hexaem., 52 C (22 A): T , S
* 5 , vet,
- , 3^ -
.
* Tractatus termine tecnico per indicare una riflessione meditata sul
testo sacro. Vedi A.V. N a z z a r o , Esordio e chiusa delle omelie esameromli di
Ambrogio. Augustinianum, XIV, 1974, p. 564.
* Si allude alle cosiddette suasoriae di cui abbiamo un esempio neUopera
di Seneca il Vecchio; vedi S c h a n z -Ho s i u s , I I , p. 339.
Bas., Hexaem., 53 A (22 B): 8
, , ^
, &
.
Caput I I
4. Et dixit deus: Fiat firmamentum inter medium aquae et
sit discernens inter aquam. Et factum est sic. Audi uerba dei:
Fiat dicit. lubentis est, non aestimantis, imperat naturae, non pos
sibilitati obtemperat, non mensuras colligit, non pondus examinat.
Voluntas eius mensura rerum est, sermo eius finis est operis.
Fiat inquit 'firmamentum inter mediam aquam'. Firmum est
omne quod statuit deus. Et satis pulchre praemisit 'fiat firma
mentum', antequam subiceret inter mediam aquiun', ut tu
prius crederes firmamentum ex praecepto dei factum quam de
aquarum proflua qualitate dubitares. Si naturam elementorum
consideres, quomodo inter aquas solidatum est firmamentum?
Illae profluunt, illud constringitur: illae currunt, hoc manet. E t sit
inquit discernens inter aquam. Sed aqua confundere, non discer
nere solet. Quomodo iubet quod scit secundum elementorum ra
tionem esse contrarium? Sed cum sermo eius ortus naturae sit,
iure usurpat dare legem naturae qui originem dedit.
84 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 2, 4-5
5. Sed prius consideremus quid sit firmamentum, utrum
ipsimi sit quod ,in superioribus caelum appellauit an aliud et si
duo caeli an plures. Nam sunt qui unum caelum esse dicant liec
alterius caeli faciendi, dum esset una ut ipsi aiunt, potuisse
subpetere substantiam, quoniam cum omnis superiori caelo esset
expensa, nihil reliqui fuit quod ad aedificationem secimdi caeli
tertiiue proficeret. Alii uero innumeros caelos et mundos esse
adserunt, quos inrident sui non enim nobiscum illis maior quam
cum suis pugna est qui geometricis numeris et necessitatibus
contendunt probare quod aliud caelum esse non possit, nec pati
naturam, ut aut secundum aut tertium sit, nec operatoris uirtu-
tem idoneam, ut multos caelos faceret. Et quis non hanc eorum
artificem facundiam inrideat, qui cum ex una atque eadem causa
plura eiusdem generis ab hominibus fieri posse non abnuant, de
creatore omnium dubitent, utrum plures caelos facere potuerit,
de quo scriptum est: Dominus autem caelos fecit ^et alibi: Omnia
quaecumque uoluit f e c i t Quid enim difficile ei cui uelle fecisse
Gen 1, 6 et 7.
>Ps 95, 5.
c Ps 113, 11 (3b).
Capitolo 2
4. E Dio disse; Sia fatto un firmamento in mezzo alle ac
que e le divida . cosi fu fatto. Ascolta le parole di Dio. Sia
fatto, dice. il tono di chi ordina, non di chi valuta: comanda alla
natura, non si sottomette a limiti imposti, non prende misure, non
verifica peso. La sua volont la misura delle cose, la sua parola
segna il fine dellopera. Sia fatto, disse, un firmamento in mezzo
all'acqua. E fermo tutto ci che Dio ha stabilito. E davvero op
portunamente premise Sia fatto un firmamento prima di aggiun
gere in mezzo allacqua, affinch tu credessi che per comando di
Dio stato fatto il firmamento, prima di dubitare della liquidit
dell'acqua. Se tu consideri la natura degli elementi, in che modo
il firmamento si potuto solidificare in mezzo alle acque? Queste
scorrono, quello si rassoda; queste si spostano rapidamente, quel
lo sta immobile. E divida l'acqua, disse. Ma l acqua suole mesco
lare, non dividere. Come mai ordina ci che sa contrario alla
natura degli elementi? Ma siccome la sua parola ha dato princi
pio alla natura, con pieno diritto si arroga di dare la legge colui
che le ha dato l origine.
5. Ma prima consideriamo che cosa sia il firmamento, se sia
precisamente ci che in precedenza ha chiamato cielo oppure una
cosa diversa e se vi siano due cieli o pi ancora. Infatti vi sono
di quelli che dicono che esiste un solo cielo e che non sarebbe
potuta bastare la materia per formare un secondo cielo, essendovi
ununica come essi dicono, perch, essendo stata consumata
interamente per il precedente cielo*, non sarebbe rimasto nulla
che potesse servire alla costruzione di un secondo o di un terzo
cielo*. Altri invece affermano che esistono innumerevoli cieli e
mondi e sono derisi dai loro ^ infatti non contrastano tanto con
noi quanto con i loro i quali si sforzano di dimostrare, sul
fondamento di calcoli e di principi geometrici, che non pu esi
stere un altro ciclo nla materia permette che ve ne sia vm secon
do o un terzo n la potenza dellartefice era in grado di creare
molti cieli. E chi non si befferebbe di questa loro abile facondia,
dato che essi, mentre non negano che gli uomini possano fare
pi cose dello stesso genere da una sola e medesima causa, si
chiedono dubbiosi se abbia potuto creare pi cieli il Creatore del
luniverso, del quale stato scritto: Ma il Signore ha fatto i cieli
e altrove: Fece tutto ci che volle? Che cosa infatti difficile per
colui per il quale volere e avere gi fatto sono la stessa cosa?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 85
* Bas.,/ / exaem., 56 D (23 E ): ...
, .
>Cf. ., rim., 32c-33a; Am s t . , De caelo, I , 8-9 (276 a, 18 e 277 b, 27).
* Ba s ., Hexaem., 57 AB (24 AB): ot ^
clvat ...5 pensavano Democrito e, sull'esempio di Epi
curo, Lucrezio (I I , 1052-1066). Cf. Cic., Acad., I I , 17,55; Dein confugis ad phy
sicos, eos qui maxime in Academia irridentur, a quibus ne tu quidem iam
abstinebis, et ais Democritum dicere innumerabiles esse mundos...
est? Fluitat igitur illis inpossibilitatis ratio, cum de deo disputant,
cui uere dicitur quia inpossibile nihil tibi esi"*.
6. Itaque nos non solum secundum, sed tertium caelum esse
negare non possumus, cum apostolus raptum se ad tertium cae
lum scriptorum suorum testificatione confirmet'. Dauid etiam
caelos caelorum in illo laudantium deum constituit' choro. Quem
imitantes philosophi quinque stellarum et solis et lunae globorum
consonum motum introduxerunt, quorum orbibus uel potius glo
bis conexa memorant omnia. Quos sibi innexos et uelut insertos
uersari retro et contrario ceteris motu ferri arbitrantur eoque
inpulsu et motu ipsorum orbium dulcem quendam et plenum
suauitatis atque artis et gratissimi modulaminis sonum reddi, quo
niam scissus aer tam artifici motu et acuta cum grauibus tempe
rante ita uarios aequabiliter concentus efficiat, ut omnem super
grediatur musici carminis suauitatem.
86 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 2, 5-7
7. Huius rei fidem si requiras atque expetas sensu nobis et
auditu probari, haesitant. Nam si uera foret, quomodo tanto
motu orbium concrepante, cum ille caelestis orbis, cui adfixos
ferunt stellarum cursus, qui sine intermissione uoluuntur, conci
tatiorem habeat conuersionem atque acutum sonum excitet, hic
autem lunaris grauissimum, non audiretur a nobis, cum leuiora
audire soleamus? Fidem ergo eius disputationis si testimonio no-
>Mc 14, 36.
<=2 Cor 12, 2.
t Ps 14, 4.
Vacilla la loro dimostrazione deirimpossibilit, quando discutono
d Dio al quale con verit si dice: Nulla per te impossibile.
6. Perci noi non possiamo negare non solo l'esistenza d'un
secondo, ma anche quella d'un terzo cielo, visto che lApostolo
afferma, attestandolo nei suoi scritti, d'essere stato rapito al terzo
cielo. Davide pose anche i cieli dei cieli nella schiera degli esseri
che lodano Dio. A sua imitazione i filosofi introdussero il movi
mento armonico delle sfere dei cinque pianeti, del sole e della
luna, affermando che l'universo tenuto insieme dalle loro or
bite o piuttosto dalle loro sfere *. Essi pensano che tali sfere, con
nesse e come inserite le ime dentro alle altre, girino in senso in
verso e con movimento contrario a tutte le altree che da tale
impulso e movimento delle sfere stesse sia prodotto un suono dol
ce e pieno di soavit, artisticamente elaborato in ima gradevolissi
ma melodia, perch l aria, solcata da un movimento cosi armonica-
mente ordinato e capace di equilibrare i toni acuti con quelli gra
vi, produce un'armonia tanto varia nella sua uniformit da stipe-
rare la dolcezza d'ogni componimento musicale*.
7. Ma se vuoi verificare la realt di tale fatto e ne chiedi la
sperimentazione per mezzo dei sensi e dell'udito, rimangono im
barazzati. Se tali teorie fossero vere, come mai noi non saremmo
in grado di percepir il frastuono di un cosi grandioso movimento
delle sfere, mentre, di solito, udiamo suoni pi deboli, se vero
che quella sfera celeste cui dicono sono fissate le stelle, che ruo
tano ininterrottamente, ha un movimento pi veloce e produce
un suono acuto e invece questa della luna provoca il suono pi
basso? Dunque, se esgiamo che sia dimostrata la verit d tale
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 87
* Bas., Hexaem., 57 B (24 BC): S
, f i , ^.
S ^ .
06 ,
.
Cf. Cic., Rep., VI , 17 (4, 17): Nouem tibi orbibus nel potius globis conexa
sunt omnia, vedi ediz. a cura di A. R o n c o n i , Le Monnier, Firenze 1961, pp. 93-94.
Qui manifestamente S. Ambrogio confonde il linguaggio fisico-scientifico
con quello teologico-spirtuale.
Cf. Cic., Rep., VI , 17 {4, 17): quorum unus caelestis est, extumus, qui
reliquos omnes complectitur, summus ipse deus arcens et continens ceteros;
in quo sunt infixi illi qui uoluuntur stellarum cursus sempiterni. Cui sublec
ti sunt septem qui uersantur contrario motu atque caelum. La sfera pi
vasta, che abbraccia tutte le altre, immagine del dio stoico, il cielo delle
stelle fisse ( R o n c o n i , op. cit., p. 94). Le stelle fisse ruotano da est a ovest
{De nat. deor., I I , 19, 49), mentre le sette sfere sottoposte ruotano in senso
contrario ( R o n c o n i , op. cit., p. 97). Sulle sette sfere vedi, p.es., Dante, Par.,
XXII, 133-135.
Cf. Cic., Rep., VI , 18 (5, 18): Quae cum intuerer stupens, ut me re
cep, Quid? hic, inquam, quis est qui complet aures meas tantus et tam
dulcis sonus? . Hic est, inquit, ille qui interuallis coniunctus imparibus,
sed tamen pro rata partium ratione distinctis, impulsu et motu ipsorum or
bium efficitur, et acuta cum grauibus temperans uarios aequabiliter concen
tus efficit; nec enim silentio tanti motus incitari possunt, et natura f^rt ut
extrema ex altera parte grauiter, ex altera autem acute sonent .
Cf. Cic., Rep., VI , 18 (5, 18): Quam ob causam summus ille caeli stelii-
fer cursus cuius conueriio est concitatior, acuto et excitato mouetur sono.
stro et auditus munere exigamus probari, referunt obsurduisse
aures nostras et hebetiorem nobis sensum audiendi factum prop
ter illam a principio nostrae generationis concepti sonitus consue
tudinem et exemplum adferunt eo quod Nilus, fluuionun maximus,
eo uidelicet loci, ubi se ex altissimis montibus in catadupa illa
praecipitat, magnitudine fragoris sui aures accolarum obstruat, ut
audiendi munere carere dicantur. Sed facile his ipsa respondet
ueritas. Nam qui tonitrua audimus nubium conlisione generata
tantorum orbiimi conuersiones, qui maiore utique sicut motu ferri
aestimantur, ita uehementiores sonitus excitarent, non audiremus?
Addunt praeterea ideo sonum hunc non perucnire ad terras, ne
capti homines per suauitatem eius atque dulcedinem, quam celer
rimus ille caelorum efficit motus, ab orientcdibus partibus usque
in occasum propria negotia atque opera derelinquerent et omnia
hic otiosa remanerent quodam humanae ad caelestes sonos mentis
excessu. Sed ea quae sur^t aliena ab studio nostro et a diuinae
lectionis serie his qui foris sunt relinquamus: nos inhaereamus
scripturarum caelestiimi magisterio.
88 EXAMERON, DIES I I , SER. , C. 2, 7 - C. - 3, 8
Caput I I I
8. Propositum -igitur nobis est quia dixit deus; Fiat firma
mentum in medio aquae et sit discernens inter aquam et aquam.
Et hinc tractatur, utrum hoc firmamentum appellet, quod ante
iam fecit, de quo scriptum est: I n principio fecit deus caelum et
terram. Nec fallit quod aliqui ante nos ita acceperint, eo quod
supra creatum auctore deo et conditum caelum scriptura expres
serit, hic expositionem operis creationisque diffuderit, ut ibi quasi
summa operis breuiter conprehensa sit, hic operationis qualitas
per ipsas concurrentium rerum digesta sit species. Sed mouet nos
spiegazione attraverso la nostra constatazione per mezzo della
facolt uditiva, ribattono che i nostri orecchi sono diventati sordi
e in noi il senso dell'udito si fatto ottuso per l'abitudine a questo
suono, percepito dal principio dellesistenza umana; e adducono
quale esempio il fatto che il Nilo, il pi grande tra i fiumi, in quel
luogo naturalmente dove precipita da monti altissimi formando
le famose cateratte, con l intensit del suo fragore offende gli
orecchi di coloro che abitano nelle vicincinze, cosi che si dice che
siano privi delludito'. Ma a tali argomentazioni risponde facil
mente la stessa verit. Infatti, noi che udiamo i tuoni provocati
dall'urto delle nubi, non udiremmo la rotazione di cosi immense
sfere le quali evidentemente, quant pi veloce il movimento dal
quale si crede siano trasportate, tanto pi forte suono dovrebbero
produrre? Aggiungono inoltre che questo suono non giunge sulla
terra per evitare che, se cosi fosse, gli uomini, affascinati dalla
siia dolcezza e soavit che ha origine nel velocissimo moto dei
cieli, dalle regioni d'oriente fino alloccidente trascurassero i pro
pri affari e i propri lavori e tutto qui rimanesse inattivo, perch
la mente umana si rivolgerebbe estasiata a quei suoni divini. Ma
lasciamo a coloro che non appartengono alla Chiesa le questioni
che non ci interessano e non riguardano la narrazione del testo
divino: noi restiamo fedeli all'insegnamento delle Scritture celesti
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 89
Capitolo 3
8. Ci stato fatto conoscere che Dio disse: Sia fatto un fir
mamento in mezzo all'acqua e la divida. Di qui si discute se chia
mi firmamento ci che era gi stato creato in precedenza, di cui
stato scritto: I n principio Iddio cre il cielo e la terra. N ci
sfugge che alcuni prima di noi hanno inteso in questo senso
spiegando che in precedenza la Scrittura ha narrato che per opera
di Dio fu creato e formato il cielo, mentre qui si diffusa ad espor
re lopera creatrice, sicch in quel passo, per cosi dire, ha rias
sunto brevemente la creazione nel suo complesso, in questo in
vece ne stato specificato il modo indicando le particolari specie
degli esseri che ne furono contemporaneamente l oggetto. Ma: ci
grauissinto autem hic lunaris atque infimus. Dal confronto con Cicerone ap
pare chiaro che Ville caelestis orbis di S. Ambrogio quello delle stelle fisse
che ruotano con il cielo cui sono attaccate (cui adfixos ierunt stellarum
cursus).
Cf. Cic., Rep., VI, 19 (5, 19): Hoc sonitu oppletae aures hominum ob
surduerunt; nec est ullus hebetior sensus in nobis, sicut ubi Nilus ad illa,
quae Catadupa nominantur, precipitat ex attissimis montibus, illa gens quae
illum locum adcolit propter magnitudinem sonitus sensu audiendi caret.
Bas., Hexaem., 57 D (24 D):
.
Cf. Ph i l o , De opif. mundi, 10 (8, 3; 10, 22 C).
quia et nomen aliud significatur et species solidior et causa discer
nitur et persona cooperatoris adiungitur. Sic enim scriptum est:
Et discreuit deus inter medium aquae, quae erat sub firmamento,
et inter medium aquae, quae erat super firmamentum'.
9. Et primo uolunt id destruere quod frequenti scripturarum
lectione inolitum nostris et inpressum est mentibus, quia aquae
super caelos esse non possunt, dicentes rotundum esse orbem
illum caeli, cuius in medio terra sit, et in illo circuitu aquam
stare non posse, quod necesse est defluat et labatur, cum de
superioribus ad inferiora decursus est. Quomodo enim aqua su
per orbem stare ut aiunt potest, cum orbis ipse uoluatur? Haec
est illa uersutia dialecticae. Da mihi unde tibi respondeam. Quod
si non detur, nullum uerbum refertur. Petunt sibi concedi axem
caeli torqueri motu concito, orbem autem terrae esse inmobilem,
ut astrucmt aquas super caelos esse non posse, quod omnes eas
uoluendo se axis effunderet, quasi uero, ut concedamus illis quod
postulant et secundum eorum opiniones illis respondeam, negare
possint in illa altitudine et profundo uel longitudinem esse et
latitudinem, quam nemo potest conprehendere nisi is qui inpletur
in omnem plenitudinem dei^, ut apostolus ait. Quis enim facile
poterit esse diuini operis aestimator? Est ergo latitudo in ipsa
caeli altitudine. Sunt etiam, ut de his dicamus quae scire possu
mus, pleraque aedificia foris rotunda, intus quadrata et foris qua
drata, intus rotunda, quibus superiora plana sunt, in quibus aqua
haerere soleat. Quae tamen ideo dicimus, ut aduertant opiniones
suas opinionibus ueri similioribus reuinci posse et desinant tan
tum opus dei humanae operationis et nostrae possibilitatis con
templatione metiri.
90 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 3, 8-10
10. Nos autem scripturarum seriem atque ordinem sequimur
et opus contemplatione aestimamus auctoris, quid dictum sit et
quis dixerit et cui dixerit. Fiat inquit firmamentum in medio
aquae et sit discernens inter aquas. Audio firmamentum fieri
Gen 1, 7.
>Eph 3, 18-19.
rende perplessi il fatto che viene usato un altro nome, si distin
guono una specie pi compatta e una causa diversa e si men
ziona la persona di un collaboratore. Infatti sta scritto: E Dio
fece una separazione tra l'acqua che era sotto il firmamento e
l'acqua che era sopra il firmamento.
9. Anzitutto vogliono distruggere la convinzione che, per la
frequente lettura delle Scritture, si profondamente radicata nel
la nostra mente e sostengono che non vi possa essere acqua so
pra i cieli, perch, essendo rotonda la sfera del cielo nel cui cen
tro si trova la terra, in quella superficie curva l'acqua non pu
fermarsi, costretta inevitabilmente a scendere e a scorrere gi
quando si scende daH'alto verso il basso Come potrebbe l'acqua
stare ferma su una sfera, quando questa gira? la ben nota sot
tigliezza della dialettica. Permettimi di risponderti: in caso con
trario ogni discorso finito. Chiedono che si conceda loro che il
cielo giri velocemente, mentre il globo terrestre rimane immo
bile, per sostenere che non vi possono essere acque sopra i cieli
perch il cielo ruotando le verserebbe tutte, come se posto che
concediamo loro ci che domandano ed io risponda in modo con
forme al loro punto di vista potessero negare che in quell'al-
tezza e profondit c' una lunghezza e una larghezza che nessuno
pu misurare se non colui che ricolmo di ogni pienezza di Dio,
come dice lApostolo. Chi infatti potrebbe facilmente giudicare
l'opera divina? C' dunque una larghezza anche nella stessa al
tezza del cielo. Vi sono anche, per parlare di cose che possiamo
sapere, moltissimi edifici esternamente sferici e internamente qua
drati, fuori quadrati e internamente sferici, di cui sono piane le
parti superiori sulle quali quindi l'acqua suole fermarsi*. Dicia
mo tuttavia questo perch si rendano conto che le loro opinioni
possono essere vittoriosamente confutate da altre opinioni pi
verosimili e cessino di misurare una cosi grandiosa opera di Dio
secondo il criterio delle attivit umane e delle nostre possibilit.
10. Noi invece seguiamo l'ordinata e precisa narrazione della
Scrittura e giudichiamo l'opera considerandone l'autore: che cosa
sia stato detto, chi l'abbia detto e a chi l'abbia detto. Sia fatto,
disse, un firmamento in mezzo alte acque e le divida. Sento che il
firmamento viene creato con lo stesso comando per effetto del
I SEI GIORNI DEIXA CREAZIONE 91
* B a s .. Hexaem., 60 A (24 E): np
, ' , t -
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Bas., Hexaem., 60 (25 AB).
*B as ., Hexaem., 60 (25 ): "
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-
.
Evidentemente non sono argomentazioni come queste a conferire va
lidit a questo passo.
praecepto, quo diuideretur aqua et ab inferiore superior discer
neretur. Quid hoc manifestius? Qui iussit discerni aquam interiec-
to et medio firmamento prouidit quemadmodum diuisa atque di
screta manere possit. Sermo dei uirtus naturae est et diuturnitas
substantiae, quoad uelit eam manere qui statuit, sicut scriptum
est: Statuit ea in saeculum et in saeculum saeculi; praeceptum
posuit, et non praeteribit <=. Et ut scias quia de istis aquis hoc dixit,
quas tu negas posse in superioribus caeli esse, audi superiora:
Laudate eum caeli caelorum et aquae, quae super caelos sunt,
laudent nomen domini"^. Nonne quasi aduersanti tibi dixit: Quo
niam ipse dixit et facta sunt, ipse mandauit et creata sunt: sta
tuit ea in saeculum et in saeculum saeculi; praeceptum posuit,
et non praeteribit*? An non mdetur tibi auctor idoneus, qui le
gem suo operi daret? Deus est qui dicit, uenerabilis naturae, inae
stimabilis magnitudine, inmensus in remunerationibus, incon-
pr^ensibilis in operibus eius, cuius altitudinem sapientiae quis
inuestigare facilis? Sed dicit filio id est brachio suo, dicit uirtuti
suae, dicit sapientiae suae, dicit iustitiae. Et facit filius quasi po
tens, facit quasi uirtus dei, facit quasi sapientia dei, facit quasi
iustitia diuina. Cum haec audis, quid miraris si supra firmamen
tum caeli potuit tantae maiestatis operatione unda suspendi?
92 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 3, 10-11
. De aliis haec colligite, de his quae uidentur oculis homi
num, quomodo ad ludaeorum transitum, si rationem quaeris, se
unda diuiserit. Non solet hoc esse naturae, ut aqua se discernat
ab aqua et in profundo interfusiones aquarum terrae medio se
parentur. Gelauerunt inquit fluctus et firmamenti specie cursum
suum insolito fine frenarunt '. Nonne potuit etiam aliter Hebraeum
populus liberare? Sed tibi uoluit ostendere, ut eo spectaculo etiam
illa quae non uidisti aestimares esse credenda. Iordanes quoque
reflexo amne in suum fontem uertit*. Haerere aquam, cum labi-
tur, inusitatum, redire in superiora sine ullo repagulo inpossibile
habetur: sed quid inpossibile ei qui dedit posse infirmis, ut in
firmus dicat: Omnia possum in eo qui me confortat ? Dicant certe
quemadmodum aer cogatur in nubem, utrum pluuia nubibus ge
neretur an sinu nubium colligatur. Videmus plerumque exire nu
bes de montibus. Quaero utrum de terris ascendat aqua an ea
quae super caelos est largo imbre descendat. Si ascendit, utique
' Ps 148, 6.
Ps 148, 4-5.
Ps 148, M .
Eccle 7, 24(25).
Ex 15, 8.
h Ps 113, 3.
1PhU 4, 13.
quale l acqua veniva divisa e quella inferiore separata da quella
superiore. Che c' di pi manifesto? Colui che comand che l ac
qua fosse divisa dal firmamento interposto in mezzo ad essa, prov
vide anche ai mezzi mediante i quali potesse rimanere del tutto
distinta. La parola di Dio potenza della natura e durata della
sua sostanza, finch la voglia sussistente colui che l ha costitui
ta, come sta scritto: Li hai stabiliti per sempre in eterno; hai
dato loro un ordine, e non sar violato. E affinch tu sappia che
cosi ha detto di queste acque che tu non ammetti possano stare
nelle regioni superiori del cielo, ascolta ci che precede: Lodatelo,
cieli dei cieli, e le acque che sono sopra i cieli lodino il nome del
Signore. Non ha detto forse, quasi lo dicesse per te, prevenendo
le tue obiezioni: Perch egli parl e cielo e terra furono fatti, co
mand, e furono creati; li ha stabiliti per sempre in eterno; ha
dato loro un ordine e non sar violato! O il Creatore non ti sem
bra in grado di dare una legge alla sua opera? Dio che parla, es
sere di natura adorabile, di grandezza inestimabile, senza limiti
nelle, sue ricompense: chi sarebbe in grado di scrutare la profon
dit della sua sapienza? Ma parla al Figlio, cio al suo braccio,
parla alla sua potenza, parla alla sua sapienza, parla alla sua giu
stizia. E il Figlio agisce comt chi potente, agisce come chi l
potenza di Dio, agisce come chi la sapienza di Dio, agisce come
chi la giustizia divina. Quando ascolti queste parole, perch ti
meravigli se l acqua pot essere sospesa sopra il firmimiento ce
leste in seguito allazione di una cosi eccelsa maest?
11. Ricavate queste conclusioni da altri fatti, da quelli che
gli uomini vedono con i loro occhi chiedendosi, per esempio, per
quale ragione, posto che si voglia sapere, le onde si siano divise
al passaggio dei Giudei. Non solitemiente conforme a natura che
lacqua si separi dall'acqua e che sul fondo le acque correnti tra
due rive siano divise nel mezzo dalla terra. I flutti, dice la Scrit
tura, si fecero solidi'' e, come sostenuti da una muraglia, frena
rono il loro corso entro un inconsueto confine. Non avrebbe po
tuto liberare il popolo ebreo anche in un'altra maniera? Ma volle
che tu vedessi, affinch a tale spettacolo ti convincessi che devi
credere anche a ci che non hai veduto. Anche il Giordano, vol
gendo indietro le sue acque, risali alla propria sorgente . Che l ac
qua, quando scorre, si arresti, inusitato; che risalga a monte
senza una barriera, si ritiene impossbile. Ma che cosa impos
sibile a colui che diede forza ai deboli, cosi che un debole dice:
Tutto posso in colui che mi d forza? Dicano almeno come l'acqua
si condensi in nube, se la pioggia sia prodotta dalle nuvole op
pure si raccolga nella loro cavit. Vediamo spesso levarsi le nubi
dai monti. Mi chiedo se l'acqua salga dalla terra oppure quella
che sta sopra i cieli discenda in pioggia abbondante. Se sale,
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 93
Cf. Lact., Div. Inst., VI I , 3: Maris opulenta et copiosa interfusio.
Esod, 15, 8: ^, ...
' Iordanis conuersus est retrorsum (113, 3).
* Cf. Verc., Aen., V, 20: Consurgunt uenti atque in nubem cogitur aer.
contra naturam est, ut ascendat in superiora quae grauior est et
portetur aere, cum aer subtilior sit. Aut si conciti orbis totius mo
tu rapitur aqua, sicut imo orbe rapitur ita summo orbe diffimdi-
tur. Si fundi, ut uolunt, non desinit, utique non desinit rapi, quia
si axis caeli semper mouetur, et aqua semper hauritur. Si descen
dit, manet ergo iugiter supra caelos, quae habet unde descendat.
Deinde quid obstat, si confiteantur quia aqua super caelos su
spensa sit? Nam quo uerbo dicunt terram in medio esse suspen
sam et immobilem manere, cum utique grauior sit quam aqua?
Ea ratione possimt dicere non praecipitari aquam orbis illius cae
lestis conuersione, quae super caelos est. Sicut enim terra <in>
inani suspenditur uel pondere librato undique immobilis perseue-
rat, ita et aqua aut grauioribus aut aequis cum terra ponderibus
examinatur. Ideoque non facile superfunditur mare terris, nisi
cum iubetur exire.
94 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C 3, 11-12
12. Deinde cum ipsi dicant uolui orbem caeli stellis arden
tibus refulgentem, nonne diuina prouidentia necessario prospexit,
ut intra orbem caeli et supra orbem redundaret aqua, quae illa
feruentis axis incendia temperaret? Propterea quia eximdat ignis
et fernet, etiam aqua exundauit in terris, ne eas surgentis solis
et stellarum micantium ardor exureret et tenera rerum exordia
insolitus uapor laederet. Quanti fontes fluuii lacus inrigant terras,
quia eas internus quidam ignis uaporat! Vnde enim aut arbores
germinarent aut frumenta uel sata prorumperent uel orta coque
rentur, nisi ea interior quoque ignis animaret? Qui etiam de saxis
frequenter excutitur et de ipso saepe, dura caeditur, ligno exilit.
Ergo sicut necessaria ignis creatura, ut ordinate et disposita per
maneant caelique clementia temperet aquarum rigorem, ita etiam
aquarum redundantia non superflua, ne alterum altero consume
retur, quia nisi conueniens utriusque mensura sit, sicut ignis
aquam exsiccat ita et aqua restringuit ignem. Ideoque pondere et
mensura examinauit imiuersa; numerata enim sunt ei et stilicidia
pluuiarum', sicut in libro lob legimus. Sciens uel rerum facilem
I lob 37, 27.
certamente contro natura che salga in alto ci ch pi pesante e
sia sostenuto daUaria, sebbene questa sia meno densa. Oppure,
se l'acqua trascinata dal moto delluniverso rotante, come viene
trascinata dallorbita che scende nel suo punto pi basso, cosi
viene sparsa quando questa raggiunge il suo punto pi alto. Se
non cessa di spargersi, come sostengono, certamente non cessa di
essere trascinata via perch, se il cielo in perenne movimento,
anche l'acqua non cessa d'essere aspirata. Se discende, resta dun
que perennemente sopra i cieli lacqua che pu discenderne. Quin
di, che cosa impedisce loro di riconoscere che l acqua stia sospesa
sopra i cieli? In base a quale ragionamento affermano che la terra
sta sospesa nel centro dell'universo e vi rimane immobile, dal
momento che senza dubbio pi pesante dell'acqua? In base a
tale ragionamento potrebbero dire che l acqua che sta sopra i
cieli non cade in seguito alla rotazione della sfera celeste di cui
abbiamo parlato. Come infatti la terra sospesa nel vuoto e ri
mane immobile per il suo peso equilibrato da ogni parte*, cosi
anche l'acqua trova il suo equilibrio con l terra mediante pesi
maggipri o uguali. Perci difficilmente il mare invade la terra, a
meno che non ne riceva il comando.
12. Poich essi dicono che la sfera celeste, scintillante di
stelle luminose, ruota su se stessa, forse la Provvidenza divina
non fece necessariamente in modo che neU'interno della sfera del
cielo e sopra di essa sovrabbondasse l acqua per temperare la vam
pa del cielo infocato? Siccome il fuoco si diffonde e divampa,
anche l'acqua si diffuse sulla terra, affinch questa non fosse riarsa
dall'ardore del sole nascente e delle stelle sfavillanti e un calore
fuor di misura non danneggiasse i germi ancor teneri delle cose
Quante fonti, fiumi, laghi bagnano la terra, perch un misterioso
fuoco intrno la riscalda! In qual modo germoglierebbero gli al
beri o le biade e i seminati spunterebbero o, una volta nati, ma
turerebbero, se non desse loro vigore anche un fuoco nelle viscere
della terra? Questo spesso viene fatto sprizzare anche dalle pie
tre e perfino si sprigiona dal legno mentre viene tagliato. Or
dunque, come il fuoco un elemento necessario affinch le cose
rimangano ben ordinate e il tepore del cielo mitighi il gelo delle
acque, cosi anche la sovrabbondanza delle acque non fu inutile
per evitare che l'un elemento distruggesse l'altro, perch, se en
trambi non fossero in giusta misura, come il fuoco asciuga l'ac
qua, cosi l'acqua spegnerebbe il fuoco. Iddio valut tutte le cose in
peso e misura: sono contate per lui anche le gocce di pioggia, co
me leggiamo nel libro di Giobbe Sapendo che facilmente le cose
Cf. Ov., Met I, 12-3; Nec circumfuso pendebat in aere tellus / pon
deribus librata suis.
Bas.. Hexaem., 64 CD (27 BC).
** Cf. Vero., Bue., VI, 33-4: ut his exordia primis / omnia et ipse tener
mundi concreuerit orbis.
** Cf. VCRG., Aen., I, 174: ac primum silici scintillam excudit Achates.
Bas., Hexaem., 65 a (27 CD):
T , 6
& .6 . '
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 95
defectum fore uel solutionem uniuersitatis, si alterum exsupera
retur altero, ita utriusque temperauit dispendia, ut neque plus
ignis exquoqueret neque exuberaret aqua quam inminutio fieret
utriusque moderata, quae et superfluum detraheret et necessarium
reseruaret. Itaque cum tanta de terris erumpant maximorum
fluenta amnium, Nilus effuso Aegyptum stagnans flumine, Danu
bius de occidentalibus partibus barbarum atque Romanorum in
tersecans populos, donec Ponto ipse condatur, Renus de iugo AI
pium usque in oceani profunda cursus suos dirigens, Romani me
morandus aduersus feras gentes murus imperii, Padus maritimo
rum commeatuum Italicis subsidiis fidus inuector: Rodanus ra
pido concitus cursu Tyrreni aequoris freta scindit, in quo non me
diocre fertur nauigantum periculum, dura inter se maris fluctus
et amnis fluenta decernunt, itemque de septentrionali parte Phasis
Caucaseis montibus fusus cum pluribus aliis in Euxinum se prae
cipitat mare prolixum est singulorum persequi fluuiorum no
mina, qui uel in nostrum mare deriuantur uel exinaniuntur ocea
no , cum tanta igitur ubertas aquarum sit, tamen plerumque
terra meridianae plagae torretur ardoribus atque aestu soluta fa
tiscit in puluerem miserandi agricolae labore consumpto, ut fre
quenter ad potum siccatis puteis arido gurgite subsidium uitale
deficiat. Et erit quidem quando dicat abysso: Deserta eris, et
omnes ftuuios siccabo'", sicut per Esaiam futurum adnuntiauit.
Sed etiam antequam ille dies adueniat diuino praestitutus arbitrio,
non minimum inter se ipsa elementorum natura decernit. Crebro
itaque aut inimdationibus mundus hic quatitur aut nimio aestu et
ariditate uexatur.
96 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 3, 12-13
13. Noli igitur incredibilem opinari aquarum multitudinem,
sed respice ad uim caloris et incredulus non eris. Multum est quod
ignis absorbet quod uel ex illo nobis debet esse manifestum, cum
medici uasa quaedam angusta ore, planiora desuper, intus con-
caua, leui lucernae concepto lumine adfigunt corpori, quemad
modum calor ille omnem in se rapiat umorem? Quis igitur dubitet
Is 44, 27.
sarebbero venute meno o l universo si sarebbe dissolto, se l'uno
dei due elementi avesse avuto il sopravvento sull'altro, regol il
consumo di entrambi in modo che il fuoco non producesse eva
porazione n l'acqua sovrabbondasse oltre il limite di una mode
rata diminuzione recproca che riducesse il superfluo e conser
vasse il necessario. Perci, sebbene dalla terra sgorghino in cosi
grande abbondanza le acque di grandissimi fiumi, il Nilo che alla
ga l'Egitto con le sue inondazioni; il Danubio che, partendo dalle
regioni d'occidente, divide i Romani dai barbari prima di gettarsi
in rnare; il Reno che, nascendo dalla catena delle Alpi, dirige il suo
corso verso le profondit dell'oceano, memorabile bastione del
l'impero romano contro le popolazioni barbariche; il Po, sicuro
mezzo di trasporto dei rifornimenti marittimi per gli alleati italici;
il Rodano che con la sua veloce corrente fende impetuoso le ac
que del Mare Tirreno, costituendo, a quanto si dice, im pericolo
non trascurabile per i naviganti quando i flutti marini e la cor
rente del fiume si scontrano fra loro; e cosi pure dal settentrione
il Fasi che, scendendo dal Caucaso, con molti altri si riversa nel
Ponto Eusino sarebbe lungo citare il nome dei singoli fitmii
che o si gettano nel nostro mare o si perdono nell'oceano ^ pur
essendovi tanta abbondanza d'acqua, tuttavia per lo pi la terra
della zona meridionale riarsa dal calore e sbriciolandosi per la
siccit si dissolve in polvere, rendendo vano il lavoro dello sven
turato contadino, al punto che spesso, asciugatisi i pozzi e inari
ditisi i fiumi, manca l acqua da bere indispensabile alla vita. E
verr tempo in cui Iddio dica all'abisso: Diverrai un deserto e
asciugher tutti i fiumi, come preannunci per bocca d'Isaia.
Ma, anche prima che giunga quel giorno stabilito dalla volont
divina, la stessa natura degli elementi suscita nel suo seno una
lotta senza quartiere. Spesso infatti questo nostro mondo scon
volto dalle inondazioni o tormentato dal calore eccessivo o dalla
siccit.
.13. Non ritenere dunque incredibile un'enorme quantit di
acqua, ma considera la forza del calore e non sarai incredulo. I I
fuoco assorbe molto , come ci appare chiaro dal modo in cui il
calore assorbe ogni umore quando i medici applicano al corpo
dei vasi dalla bocca stretta, superiormente alquanto piatti, con
cavi internamente, dopo avervi acceso un lucignolo. Chi dunque
potrebbe dubitare che, se non fosse trattenuto da ima legge del
( ^ > -
& ) f 8) <)
& .
Fiume della Colchide, l'attuale Rion.
S. Basilio nel passo parallelo (65 CD, 68 A = 27 E. 28 AB) cita l ' se
guenti fiumi; Battro, Coaspe, Arasse, Tanai, Fasi (xod 6
( ), Tartesso, Istro, Rodano; inoltre (68 AB)
lEgone. il Nise, il cosiddetto Cremete, il Nilo.
Bas., Hexaem., 68 B (28 C): " * -
, & (( h & & *
*0 , >9 .
Bas., Hexaem., 69 A (29 A); Si ^ ,
6 ^ fj ,
> .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 97
quod ignitus aether et magno feruens uapore inflammaret atque
exureret omnia, nisi lege quadam sui cohiberetur auctoris, ut nec
flumina nec lacus nec ipsa maria uim eius possent restinguere?
Et ideo desuper aqua inpetu quodam descendens in tantos ple
rumque imbres rumpitur, ut flumina <ac>lacus repente replean
tur, ipsa maria exundent. Unde frequenter et solem uidemus ma
didum atque rorantem. In quo euidens dat indicium, quod elemen
tum sibi aquarum ad temperiem sui sumpserit.
14. Tantum autem inest illis inpugnandae ueritatis studium,
ut solem ipsum negent calidae naturae esse, eo quod albus sit et
non rubicundus aut rutilus in speciem ignis. Et ideo aiunt quod
nec ignitus natura sit et si quid habet caloris, ferunt ex nimio
motu conuersionis accidere. Quod ideo dicendum putant, ut nihil
uideatur umoris consumere, quia calorem, quo umor uel minuitur
uel plerumque exhauritur, non habet naturalem. Sed nihil agunt,
cum ista componunt, quia nihil interest utrum ex natura calorem
quis habeat an ex passione aliquaue ex causa, quia ignis omnis
consumptor umoris est uel huiusmodi materiae, quam flamma
consueuit exurere. Nam siue ex lignis hautquaquam semiustulatis,
sed inter se conlisis ignis excussus excipiatur foliis, etiam flamma
adolet, ac si de igne accendas facem, siue de flammae lumine lu
men accendas, eadem species et natura est luminis, ac si illud
non naturalis ignis adoleuerit, sed accidens causa generauerit. Vel
hinc saltem contemplentur solis calorem, quod diuersa ei deus
constituit cursus sui loca et tempora, ne, si semper in isdem mo
raretur locis, cottidiano ea uapore exureret. Mare ipsum ideo fe
runt ipsi salsam atque amaram aquam habere, quod ea quae flu-
uiis in freta influat calore absumatur, tantumque uapore diurno
consumi quantum cottidie ex diuersis fluuiorum cursibus inueha-
tur^Quod ex solis quadam diiudicatione fieri perhibetur, qui quod
purum ac leue est sibi rapit, quod graue atque terrenum relinquit,
ex quo remanet salsum illud atque aridum, quod sine usu et sua-
mtate potandi sit.
98 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 3, 13-14
Creatore, 1etere infocato ed ardente per l'enorme calore potrebbe
alla sua vampa bruciare ogni cosa, cosi che n i fiumi n i laghi
n gli stessi mari potrebbero spegnerne la violenza? Perci l'acqua,
scendendo impetuosamente dall'alto, scroscia sovente in piogge
cosi abbondanti che i fiumi e i laghi improvvisamente si gonfiano
e gli stessi mari traboccano. Per lo stesso motivo spesso vediamo
anche il sole inzuppato e stillante acqua. Con tale fenomeno
fornisce una prova evidente d'aver assorbito l'elemento acqua per
mitigare il proprio calore.
14. Ma essi mettono un cosi grande impegno nell'impugnare
la verit da negare perfino che il sole sia caldo, perch di color
chiaro e non rosso o acceso come fuoco Per questo motivo af
fermano che non di natura ignea e che, se ha del calre, ci
dipende dall'eccessiva velocit della sua rotazione. E pensano di
dover dire cosi, perch risulti chiaro che non assorbe umidit, in
quanto per natura privo di quel calore che o riduce l'umidit o
spesso l'elimina. Ma non concludono nulla mettendo insieme tali
argomentazioni, perch non c' differenza se uno ha calore per
natura oppure per un intervento subito dall'esterno o per qualche
altro motivo, in quanto ogni fuoco elimina l'imiidit o le sostanze
dello stesso genere solitamente distrutte dalla fiamma. Se il fuoco
fatto sprizzare da legni non gi mezzo abbruciacchiati, ma sfregati
fra loro viene appiccato a delle foglie anche la fiamma brucia
come se tu accendessi una fiaccola al fuoco; se accendi un lume
ad un lume acceso, l'aspetto e la natura di quella luce sono gli
stessi come se non l'avesse accesa un fuoco naturale, ma l'avesse
prodotta una causa accidentale 0 almeno considerino il calore
del sole, riflettendo che Dio gli ha fissato posizioni e periodi di
versi nella sua orbita per evitare che, restando sempre sopra gli
stessi luoghi, li inaridisse con il suo calore quotidiano E pro
prio essi dicono che anche il mare ha l'acqua salsa ed amara per
ch quella che per mezzo dei fiumi confluisce nelle sue onde viene
fatta evaporare dal calore e che tanta ne viene eliminata dalla
evaporazione diurna, quanta ogni giorno ne viene immessa dai
vari corsi dei fiumi. Si afferma che ci accada per una certa sele
zione operata dal sole, il quale trae a s ci che puro e leggero,
mentre lascia ci che pesante e terreno, e perci resta la parte
salsa e riarsa che, per la sua amarezza, non pu essere bevuta.
SvET., Prata, pp. 206 e 442443 Reifferscheid.
B a s ., Hexaetn., 69 B (29 C): ' , (, , *
, oS ?.
Cf. Vero., Aen., I , 174-5: ac primum stiici scintillam excudit Achates /
suscepitgue ignem foliis.
Ba s ., Hexaem., 69 C (29 D);

. ,
^, -
.
** B a s ., Hexaem., 69C, 72 (29 E, 30 A):
,
, :
...
I SEI GIORNI DELLA CREAZIOKB 99
Caput IV
15. Sed reuertamur ad propositum. Fiat firmamentum inter
medium aquae. Non moueat, sicut iam dixi, quia supra caelum
ait, hic dicit firmamentum, quoniam et Dauid ait: Caeli enarrant
gloriam dei, et opera manuum eius adnuntiat firmamentum', hoc
est: mundi opus, cum uidetur, suum laudat auctorem; inuisibilis
enim maiestas eius per ea quae uidentur agnoscitur. Et uidetur
mihi nomen caelonun commune esse, quia plurimos caelos scrip
tura testificatur, nomen autem esse speciale firmamentum, siqui
dem et hic ita habet: Et uocauit firmamentum caelum i", ut uidea-
tur supra generaliter dixisse in principio caelum factum, ut om
nem caelestis creaturae fabricam conprehenderet, hic autem spe
cialem firmamenti huius exterioris soliditatem, quod dicitur caeli
firmamentum, sicut legimus in hymno prophetico: Benedictus es
in firmamento c a e l i Nam caelum, quod graece dicitur,
latine, quia inpressa stellarum lumina uelut signa habeat, tam
quam caelatum appellatur, sicut argentum, quod signis eminenti
bus refulget, caelatum dicimus, autem
dicitur, quod uidetur. igitur terrae, quae obscu
rior est, nuncupatur, quia lucidus est, tamquam uisibilis.
Vnde puto et illud dictum uolatilia caeli semper uident faciem
patris mei, qui in caelis est^ et uolatilia circa firmamentum cae
li ', eo quod potestates, quae sunt in illo uisibili loco, spectent haec
omnia et subiecta suis habeant conspectibus.
100 , DIES , SEK. , C. 4, 15-16
16. Denique clausum caelum dictum est temporibus Heliae,
quando in Achab et lezabel perfidia regnabat', cum populus re
gali sacrilegio deseruiret, eo quod nemo ad caelum oculos erige
bat, nemo eius auctorem uenerabatur, sed ligna et lapides adora
bant. Vnde hoc colligimus? Quia et in maledictionibus populi
Istrahel dixit deus: E rit tibi caelum super caput tuum aereum et
terra tua ferrea*, quando pretium perfidiae luens populus Iu-
Ps 18, 2.
b Gen 1, 8.
c Dan 3, 56.
<1Ps 8, 9; Mt 18, 10.
Gen 1, 20.
f 3 Reg 16, 29-33.
Deut 28, 23.
Capitolo 4
15. Ma ritorniamo al nostro argomento. Sia fatto un firma
mento nel mezzo dellacqua. Non ci stupisca, come ho gi avver
tito, che prima parli di cielo e qui di firmamento , perch
anche Davide dice: I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento
annuncia l'opera delle sue mani, cio: l'opera del mondo, quando
si presenta alla nostra vista, d lode al suo Creatore: la sua invi
sibile maest si riconosce da ci che si vede. E mi sembra che il
nome cieli sia comune, perch la Scrittura attesta l'esistenza
di moltissimi cieli, e che invece sia nome specifico firmamento, ^
se appimto anche in questo passo ha: E chiam il firmamento
cielo ; in tal modo sembra che prima, in senso generale, abbia
detto che in principio era stato creato il cielo, per comprendere
tutta l'opera della creazione del cielo, e che qui invece abbia in
dicato la particolare solidit di questo sostegno esterno che si
chiama firmamento* del cielo, come leggiamo nell'inno del profe
ta: Sei benedetto nel firmamento del cielo. Infatti cielo, che in
greco si dice in latino equivale press'a poco a cesellato ,
perch porta infisse le luci delle stelle come im lavoro di cesello,
allo stesso modo che diciamo cesellato l'argento risplendente di
figurazioni lavorate a sbalzo; invece deriva da
-, perch si vede *. (in antitesi) con la ter
ra che opaca, chiamato , perch luminoso, cio vis
bile. Per tale ragione ritengo che sia stato detto: Gli sseri alati
del cielo vedono sempre il volto di mio Padre che sta nei cieli e
Gli esseri alati^ che volano intorno al firmamento del cielo, per
ch le potest che sono in quel luogo visibile contemplano tutte
queste cose e le hanno sotto i loro sguardi.
16. Inoltre si disse che il cielo era chiuso al tempo di Elia,
quando nelle persone di Acab e di Gezabele regnava l empiet, e
il popolo era complice del sacrilegio regale, dato che nessuno
levava gli occhi al cielo, nessuno ne adorava il Creatore, ma rico
noscevano per di idoli di legno e di pietra. Donde argomentiamo
ci? Perch anche nelle maledizioni contro il popolo d'Israele
Dio disse: I l cielo sopra il tuo capo sar di bronzo per te e la terra,
di ferro, quando il popolo dei Giudei, pagando la pena della sua
1Bas., Hexaem., 72 B (30 A).
^I l firmamento considerato come una volta gettata nel mezzo delle
acque che vengono divse in due; sulla sua solidit >, vedi Genesi, a cura
di P, E. Testa, Marietti, Torino 1969, I , p. 258.
3 Varr.. L. L., V, 3, 18; vedi Coppa, op. di., p. 168, n. 44. Etimologia in
fondata.
* Etimologa infondata (Chantraine, Dici, itym., sub uoce); cf. Bas.,
Hexaem., 72 B (30 B).
Con uolatilia caeli qui si indicano gli angeli, come appare dal confronto
con Matt., 18, 10; invece in Matt., 6, 26, la stessa espressione si riferisce agli
uccelli (cf. Sai. 8, 9).
Anche qui S. Ambrogio parla degli angeli, mentre Gen, 1, 20, si riferi
sce agli uccelli: {uolatile super terram sub jir
mamento caeli).
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 101
daeorum intemperie caeli et terrae infecunditate multatur; de caelo
enim causa fertilitatis. Denique et Moyses id benedictionibus tri
bui loseph a finibus caeli et rore abyssi fontium deorsum et se
cundum horam a solis cursu et a conuenientibus mensibus et a
uertice montium et collium aeternorum*' dedit, eo quod modera
tione caelesti terrarum fecunditas nutriatur. Ferreum ergo cae-
Ixim, quod nulliun exundat umorem, quando nullus nubibus imbec
rumpitiu:. Est etiam ferreum caelum subobscurus aer pressus
atque nebulosus colore ferrugineo, quando rigore frigoris stringi
tur terra. Tunc ueluti super caput nostrum umor suspensus ui-
detur et per momenta inminere. Plerumque etiam glacialibus uen-
torum flatibus rigentes aquae solidantur in niuem et rupto aere
nix fimditur. Neque enim firmamentum hoc potest sine aliquo
nunpi fragore. Ideo et firmamentum dicitur, quod non sit inuali:
dum nec remissum. Vnde et de tonitribus, quae concepto intra
sinum nubium spiritu, cum se uehementer erupturus inliserit, ma
gno concrepant sonitu, ait scriptura: Firmans tonitru '. A firmitate
ergo firmamentum est nimcupatvun uel quod diuina uirtute fir
matum sit, sicut et scriptura nos docet dicens: Laudate eum in
firmamento uirtutis eiusK
102 EXAMERON, DIES , SER. I I I , C. 4, 16-17
17. Nec praeterit rettulisse aliquos caelos caelorum ad inr
tellegibiles uirtutes, firmamentum ad operatorias. Et ideo laudare
caelos uel enarrare gloriam dei, annuntiare firmamentum, sed
non quasi spiritalia, sed quasi opera mimdi enarrant, quemad
modum supra diximus. Alii quoque purificatorias uirtutes inter
pretati simt aquas, quae super caelos sunt. Accipimus haec quasi
ad tractatus decorem, nobis tamen non alienum uidetur atque
absurdum, si aquas ueras propter illam causam quam diximus
intellegamus. -Nam et ros et gelus et frigus et aestus secimdum
h Deut 33, 13-15.
i Am 4, 13 (Sept.).
1Ps 150, 1.
infedelt, fu castigato con le avversit del cielo e l infecondit
della terra; dal cielo infatti dipende la fertilit. Infine iinche Mos
con la sua benedizione fece si che ci fosse concesso alla trib di
Giuseppe di confini del cielo e dalla rugiada che scende dalle fonti
dell'abisso e, secondo le ore, dal corso del sole e dai mesi adatti
e dalla cima dei monti e dei colli eterni, perch la fecondit della
terra alimentata dall'influsso del cielo di ferro dunque il cielo
che non lascia cadere una goccia dacqua, quando non c pioggia
che scrosci dalle nubi. cielo di ferro anche l aria fosca, torbida *
e coperta di nubi color ferrigno, quando la terra stretta nella mor
sa del freddo. Allora sembra quasi che sul nostro capo stia sospesa
lacqua e che la pioggia ci minacci di momento in momento. Spesso
anche le acque, raffreddate dal gelido soffio dei venti, si solidifi
cano trasformandosi in neve che scende attraverso l aria. Ad
ogni modo questo firmamento non pu squarciarsi senza produrre
del fragore. E si chiama appunto firmamento, perch non inca
pace di resistenza n molle. Per tale ragione, anche a proposito
dei tuoni che, quando laria raccolta nella cavit delle nubi, al
momento di uscirne, si scontra violentemente in esse, rimbom
bano con grande fragore, la Scrittura dice: Rafforzando il tuono
Dalla sua solidit (firmitas) dunque il firmamento ha preso nome
oppure perch stato rafforzato dalla potenza divina, come ci
insegna anche la Scrittura dicendo: Lodatelo nel firmamento del
la sua potenza.
17. Non ignoro che alcuni hanno messo in rapporto lespres
sione i cieli dei cieli con le potenze intellettive e il firmamento
con quelle attive. Per questo, essi sostengono, i cieli lodano e
narrano la gloria di Dio e il firmamento la proclama, ma, come
abbiamo detto sopra, non la narrano come esseri spirituali, bens
come creature del mondo. Anche altri interpretano le acque che
stanno sopra i cieli come potenze purificatrici Accenniamo a
queste interpretazioni per conferire, in un certo senso, dignit
alla trattazione, ma a noi non sembra fuor di luogo ed assurdo
intendere acque vere e proprie per la ragione gi detta. Infatti e
la rugiada e il gelo e il freddo e il caldo, secondo il cantico del
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 103
Bas., Hexaem., 72 BC (30 BC): Kal
, ,
,
.
Cf. Plin., ., V I I I , 20, 4: color caerulo albidior ... et pressior.
* Bas., , Hexaem., 73 AB (30 C); "Otav ^
, [ (
, .
Amos, 4, 13; . La Vulgata ha formans montes, confor
me allebraico, Dal confronto col greco appare che tonitru un accusativo
neutro, forma attestata bench rarissima; vedi F o r c e l l i n i , sub uoce.
Bas., Hexaem., 73 CD, 76 A (31 BC): S. Basilio critica l interpretazione
allegorica che risale ad Origene (Hom. in Gen., 1, 2, 3545), concludendo cosi:

(favole da vecchierelle) , , -
/ ) .
Vedi PPIN, . cit., . 380 e spes. 415.
hymnum propheticum benedicunt dominum, benedicit et terra,
<benedicunt et stellao: et stellas non ad intellegibiles naturas
referimus, sed ad ueritatem. Laudant etiam dracones dominum,
quia natura eorum et species, cum uidetur, non minimum uel
decoris offundit uel inesse rationis ostendit.
104 BXAMERON, DIES I I , SER. I l i , c. 4, 17 - c. 5, 18-19
Caput V
18. E t uidit deus quia bonum est . Facit filius quod uult pa
ter, laudat pater quod facit filius. Nihil in illo naturae degeneris
inuenitur, cuius opus a paterna non degenerat uoluntate. Vidit
utique; non oculis corporalibus intendit, sed definiuit plenitudini
gratiae conuenire, ut mihi eius iudicium cognosceretur; nos enim
solemus etiam de iis quae diuina sunt disputare. Et quid mirum,
si de opere retractare possint qui de ipsius operatoris genera
tione faciunt quaestiones? Ipsum in iudicium uocant, ipsum inae
qualem atque degenerem adserere conantur. Ideo legis et dixit
deus et fecit deus: eodem pater et filius maiestatis honorantur
nomine. E t uidit deus quia bonum. Dixit tamquam omnia quae
pater uellet scienti et uidit tamquam omnia quae filius faceret
scientia tenens et efficiens operatione consorti.
19. Vidit quia bonum. Non utique cognouit quod nesciebat,
sed probauit quod placebat. Non quasi incognitum placuit opus,
quia nec quasi incognitus pater, qui conplacuit in filio, sicut scrip
tum est: Hic est filius meus dilectissimus, in quo conplacui *>. Scit
autem semper filius uoluntatem patris et pater filii, et audit pa
trem filius semper et pater filium per unitatem naturae, uolun-
tatis atque substantiae. Denique testatur hoc in euangelio suo
filius dicens ad patrem; Sciebam quod semper me audis Imago
est enim inuisibilis dei filius. Onmia patris quasi imago exprimit.
Omnia eius quasi splendor gloriae inluminat nobis atque manife
stat. Videt et filius patris opus sicut et pater filii, sicut ipse do
minus declarauit; Non potest filius facere a se quidquam nisi quod
uiderit facientem patrem^. Videt ergo facientem patrem et uidet
Dan 3, 63-8.
Ps 148, 7.
Gen 1, 10.
b Mt 3, 17.
c I o 11, 42.
<1I o 5, 19.
profeta, benedicono il Signore, lo benedice anche la terra, lo be
nedicono anche le stelle; e riferiamo le stelle non a sostanze in
tellettive, ma alla realt. Anche i serpenti lodano il Signore**,
perch la loro natura e il loro aspetto rivelano ai nostri occhi
qualche bellezza e mostrano di avere una loro giustificazione.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 105
Capitolo 5
18. E Dio vide chera un bene *. I l Figlio compie ci che vuole
il Padre, il Padre loda ci che compie il Figlio. Nulla si trova in
lui che appartenga ad ima natura inferiore a quella del Padre,
perch la sua opera del tutto conforme alla volont del Padre.
Vide certamente: non fiss con occhi corporei, ma stabili che
fosse conveniente alla pienezza della grazia che io conoscessi il
suo giudizio; infatti noi siamo soliti discutere anche sulle cose
divine. Che c' di strano che possano discutere dell'opera coloro
che sollevano obiezioni anche sulla generazione dello stesso au
tore? Lo chiamano in giudizio, tentano di sostenere ch'egli non
uguale al Padre ed di natura inferiore. Perci tu leggi anche:
Dio disse e Dio fece: il Padre e il Figlio sono onorati con lo stesso
nome proprio della maest divina. E Dio vide chera un bene. Dis
se come a chi sapeva tutta intera la volont del Padre e vide come
chi conosceva interamente l opera del Figlio e l'attuava insieme
con la medesima azione.
19. Vide che era un bene. Certamente non apprese una cosa
che prima non conosceva, ma approv ci che gli piaceva. Non gli
piacque l'opera come se non la conoscesse, perch non scono
sciuto nemmeno il Padre che si compiacque nel Figlio, come sta
scritto: Questo il mio Figlio dilettissimo nel quale mi sono com
piaciuto. Ma il Padre conosce sempre la volont del Figlio e il
Figlio quella del Padre e il Figlio ascolta sempre il Padre e il Pa
dre il Figlio per l unit di natura, di volont, di sostanza. E ci
attesta il Figlio nel suo Vangelo dicendo: Sapevo che tu mi ascolti
sempre. I l Figlio l'immagine di Dio invisibile: esprime tutto
ci che del Padre perch ne l immagine, ci illumina e manife
sta tutto ci che a lui appartiene perch lo splendore della sua
gloria. Anche il Figlio vede l opera del Padre, come il Padre quella
del Figlio, come rivel il Signore stesso: I l Figlio per conto pro
prio non pu fare cosa alcuna, se non ci che vede fare dal Padre.
Vede dunque agire il Padre, lo vede per il mistero della invisibile
Ba s ., Hexaem., 76 C (31 E): ... ' , ,
];, ...
Bas., Hexaem., 76 C (32 A).
per secretum inuisibilis naturae et audit similiter. Denique ait:
Sicut audio et iudico, et iudicium meum uerum est, quia non sum
solus, sed ego et qui me misit pater
20. Hoc mysticum est, illud morale. Vidit mihi, probauit
mihi. Quod deus probauit tu reprehensibile ne dixeris. Quoniam
quod deus mundauit, tu commune ne dixeris scriptum tibi esse
meministi. Ergo bonum dei nemo blasphemet. Et si firmamentum
bonum, quanto magis bonus eius creator, etiamsi Arriani nolint,
Eunomiani reclament, radicis degeneris fructus deterior.
106 EXAMERON, DIES I I , SER. I I I , C. 5, 19-22
21. Vidit inquit deus quia bonum est. Solent artifices sin
gula prius facere et postea habili commissione conectere, ut qui
uultus hominum uel corpora excudunt de marmore uel aere fin
gunt uel ceris exprimunt, non tamen sciunt quemadmodum sibi
possint membra singula conuenire et quid gratiae adferat futura
conexio. Et ideo aut laudare non audent aut pro parte laudant,
deus uero tamquam aestimator uniuersitatis praeuidens quae fu
tura sunt quasi i>erfecta iam 'laudat quae adhuc in primi operis
exordio sunt, finem operis cognitione praeueniens. Nec mirum
apud quem rerum perfectio non in consummatione operis, sed in
suae praedestinatione est uoluntatis. Laudat singula quasi con-
uenientia futuris, laudat plenitudinem singulorum uenustate con-
positam. Illa est enim uera pulchritudo et in singulis membris
esse quod'deceat et in toto, ut in singulis gratia, in omnibus for
mae conuenientis plenitudo laudetur.
22. Sed iam secundus nobis claudatur dies, ne dum opus
astruimus firmamenti, infirmiores eos qui audiunt dicendi pro-
I o 8, 16.
f Act 10, 15.
20, 5. Ariani Schenkl Arriani plerique codd., quorum nonnulli antiquissimi.
Vide Praef.
natura divina e cosi lo ascolta. Dice infine: Come ascolto, cosi
giudico, e il mio giudizio vero, perch non sono solo, ma siamo
io e il Padre che mi ha mandato.
20. Questo il senso mistico*; vediamo ora quello inorale.
Vide per me, approv per me. Non dire difettoso ci che Dio ha
approvato, poich ricordi che sta scritto per te: Non dire impuro
ci che Dio ha purificato. Perci nessuno biasimi il bene operato
da Dio. E se buono il firmamento, quanto pi buono ne il
Creatore, anche se gli Ariani non sono di questo parere e gli Eu-
nomiani protestano, frutto ancor peggiore di ima radice che ha
tralignato.
21. Dio vide, dice la Scrittura, che era un bene. Gli artisti
prima sogliono fare le singole parti e poi connetterle con abile
commessura, come fanno coloro che scolpiscono nel marmo i vol
ti e i corpi umani o li modellano nel bronzo * o li riproducono
con la cera; tuttavia non sanno come le singole membra possano
armonizzare tra loro e quale bellezza conferisca ad esse la loro
successiva riunione dn un tutto. E perci non osano lodare la loro
opera o ne lodano le singole parti. Dio invecf, come colui che,
prevedendo il futuro, pu valutare complessivamente l'opera sua,
loda come se fossero gi condotte a perfezione le cose che sono
ancora aU'inizio dell'attuazione loro, prevenendo con la sua co
noscenza il compimento dell'opera*. N ci strano, trattandosi
di colui riguardo al quale la perfezione delle cose non consiste
nell'essere state condotte a termine, ma dall'aver ricevuto un fine
dalla sua volont. Loda le singole parti come se gi armonizzasse
ro con quelle che sarebbero state successivamente create, loda
la perfezione del tutto risultante dalla bellezza di ciascuna di esse.
C vera bellezza, quando nelle singole parti come nel tutto sia
presente ci che loro si addice, cosi che in ciascun particolare si
lodi la bellezza e nell'insieme la perfezione d'una forma armoniosa.
22. Ma ormai concludiamo il secondo giorno* per non esau
rire con la nostra prolissit, proprio mentre trattiamo della crea-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 107
2 Annota il Coppa (op. cit., p. 172, n. 65): Intendi allegorico , secondo
l'antico concetto greco della santa teologia che schiude la via alla contem
plazione divina.
3 Setta eretica che prende nome da Eunomio, nato in Cappadocia e
morto a Dacora al pi tardi verso il 395. Elabor una forma di arianesimo
radicale che port alle estreme conseguenze la dottrina di Ario. Cf. M. SiMO-
NFrn, La crisi ariana nel I V secolo, Augustinianum, Roma 1975, pp. 464-466;
46S469; 502-503 e E. Ca v a l c a n t i , Studi eunomtani, Augustinianiun, Roma 1976.
* Cf. Vero., Aen., VI, 847-845: Excudent alii spirantia mollius aera / cre
do equidem, uiuos ducent de marmore uultus...
Ba s ., Hexaem., 77 A (32C):
xocXiv ' , -
6. oiSv }
. S. Ambrogio, per, approfondendo il con
cetto, mette piuttosto in risalto la preveggenza di Dio che gli consente di
conoscere quale sar l opera compiuta e di poterla quindi lodare sebbene
ancora incompleta.
^Bas., Hexaem., 77 A (32 0). I punti di contatto con S. Ambrogio sono
per assai vaghi.
lixitate faciamus, dum in noctem sermo producitur, quae adhuc
carens lunae stellarumque lumine nondum enim luminaria
creata sunt caeli obscuritatem possit adferre remeantibus:
simul ut cibo potuque curentur corpora, ne animis epulantibus
fragilitas camis de noctuxno quoque ieiimio conqueratiu*.
108 BXAMERON, DIES 11, SER. I U , C. 5, 22
zione del firmamento, la resistenza degli ascoltatori, prolungando
il nostro discorso fino a notte inoltrata che, priva ancora della
luce della luna e delle stelle infatti gli astri non sono stati an
cora creati* , potrebbe impedirvi di vedere mentre tornate a
casa; e nello stesso tempo per consentirvi di ristorare il vostro
corpo con cibi e bevande, evitando cosi che, mentre le anime ban
chettano, la fragilit della carne si lamenti di dover digiunare 2ui-
che la notte.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 109
Nel testo c un gioco di parole tra firmamentum e infirmiores. Nella
traduzione ho preferito far prevalere la chiarezza del senso.
Sulla chiusa di questo e degli altri sermoni vedi N a z z a r o , Esordio e chiusa,
ecc., cit.
Osservazione che allude, non senza un certo spirito, alla materia che
sar successivamente trattata. Del resto, le facetiae, entro certi limiti, erano
comuni aUeloquenza classica; vedi Cic., Or., 26, 37-90.
DIES TERTIVS
SERMO IV
Caput I
1. Dies tertius nobis hodie in sermone nascitur, qui ortus est
in lectione, praeclarus dies, qui terram a naufragio liberauit di-
cente deo: Congregetur aqua quae est sub caelo in congregationem
unam'. De quo praefationem adoriri placet. Congregetur aqua
dictum est, et congregata est: et frequenter dicitur 'populus con
gregetur', ct non congregatur. Non mediocris pudor est imperio
dei insensibilia elementa parere et homines non oboedire, quibus
sensus ab ipso tributus auctore est. Et fortasse hic pudor fecerit,
ut hodie plures conueniretis, ne quo die congregata est aqua in
congregationem unam, et hodie populus nequaquam congregatus
in ecclesiam domini uideretur.
2. Nec hoc solum oboedientis aquae exemplum habemus;
nam et alibi scriptum est Viderunt te aquae, deus, uiderunt te
aquae et timuerunt Neque enim ueri simile non uidetur de aquis
dictum, quando alibi quoque item propheta ait: Mare uidit et
fugit, Iordanes conuersus est retrorsum Hoc enim uere factum
quis ignorat, quod ad Hebraeorum transitus mare fugerit? Quan
do se unda diuisit, transiuit populus uestigio puluerulento perisse
mare credens, fugisse fluctus. Denique credidit hoc Aegyptius et
ingressus est: sed illi rediit unda, quae fugerat. Nouit ergo aqua
et congregari et timere et fugere, quando deus praecepit. Hanc
imitemur aquam et unam congregationem domini, unam eccle
siam nouerimus.
3. Congregata est hic quondam aqua ex omni ualle, ex omni
palude, ex omni lacu. Vallis est haeresis, uallis est gentilitas, quia
deus montium est, non uallium^. Denique in ecclesia exultatio
est, in haeresi et gentilitate fletus et maeror. Vnde ait: Disposuit
in conualle fletus . Ex omni igitur ualle congregatus est populus
Gen 1, 9.
Ps 76, 17.
c Ps 113, 3.
<3 Reg 21 (20), 28.
Ps 83, 7.
TERZO GIORNO
I V SERMONE
Capitolo 1
1. Oggi nel nostro discorso comincia il terzo giorno gi nato
nella lezione scritturale, giorno insigne che ha liberato la terra
dal naufragio, quando Dio disse; L'acqua che sotto il cielo si
raccolga in un sol luogo. Da questo passo mi piace prendere l av
vio. Si raccolga l acqua, stato detto, e si raccolse; spesso anche
si dice: Si raccolga il popolo , ma non si raccoglie. Non poca
vergogna che gli elementi insensibili obbediscano al comando di
Dio e che invece non obbediscano gli uomini i quali hanno rice
vuto la ragione dallo stesso loro Creatore. E forse questo senso
di vergogna ha fatto si che oggi vi radunaste pi numerosi, per
ch non avvenisse che anche oggi, nel giorno in cui l acqua si
racclta in un sol luogo, il popolo non si vedesse affatto raccolto
nella chiesa del Signore.
2. E non abbiamo solo questesempio dellacqua che obbedi
sce; infatti anche altrove sta scritto: Ti videro le acque, Dio, ti
videro e ne ebbero timore. Non sembra inverosimile che ci sia
stato detto dell'acqua, perch anche in un altro passo il profeta
dice ugualmente: I l mare vide e fugg, il Giordano ritorn indie
tro. Chi non sa che veramente accaduto che il meire si sia riti
rato per lasciar passare gli Ebrei? Quando le onde si divisero, il
popolo pass stampando le sue orme sulla polvere, credendo che
il mare fosse scomparso, che le onde si fossero date alla fuga. Lo
credettero anche gli Egiziani ed entrarono a loro volta; ma l onda,
chera fuggita, per loro ritorn al suo posto. Lacqua dunque sa
raccogliersi e temere e fuggire quando lo ordina Dio. Imitiamo
questacqua, e conosceremo l'unica comunit del Signore, l unica
Chiesa.
3. Qui si raccolta un tempo l acqua da ogni valle, da ogni
palude, da ogni lago. Valle l eresia, valle il paganesimo, perch
Dio Dio dei monti, non delle valli . Di conseguenza nella Chiesa
v gioia, nella eresia e nel paganesimo ci sono pianto e tristezza.
Per tale motivo la Scrittura dice: Dispose pianti nella convalle*.
1 Re, 20, 28: Deus montium est Dominus et non est Deus uallium...
* Sai 83, 7: in ualle lacrimarum, in loco quem posuit. I l testo dei Settanta
dice invece: .
catholicus. lam non multae congregationes sunt, sed una est con
gregatio, una ecclesia. Dictura est et hic: congregetur aqua ex
omni ualle, et facta est congregatio spiritalis, factus est unus
populus. Ex haereticis et gentibus repleta ecclesia est. Vallis est
scaena, uallis est circus, ubi currit mendax equus ad salutem*,
ubi uilis et abiecta contentio, ubi litigium foeda deformitas. Ex
his igitur qui circo inhaerere consueuerant fides creuit ecclesiae,
cottidianus coetus augetur.
4. Palus est luxuria, palus est intemperantia, palus est in
continentia, in qua uolutabra libidinum sunt, bestiarum murmura,
latibula passionum, ubi mersantur quicumque inciderint et non
emergunt, ubi labuntur pedum uestigia, fluitant singulorum in
cessus, ubi fulicae se dum lauant polluunt, ubi flebiles desuper
gemitus columbarum, ubi pigra testudo caenoso haeret in gurgite;
denique aper in palude, ceruus ad fontes *. Ex omni igitur palude,
ubi quasi ranae ueterem canebant querellam, congregata est fides,
congregata est puritas animi mentisque simplicitas,
112 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 1, 3-5
5. Congregata est aqua ex omni lacu et ex omni fouea, ut
nemo foueam fratri suo, in quam ipse incidat, paret*', sed omnes
se inuicem diligant, omnes se inuicem foueant et quasi unum
corpus diuersa se membra sustentent, quos non mortiferi cantus
acroamatum scaenicorum, quae mentem emolliant ad amores, sed
concentus ecclesiae, sed consona circa dei laudes populi uox et
pia uita delectet, quibus non purpurea peripetasmata, non aulaea
pretiosa spectare uoluptati sit, sed hanc pulcherrimam mundi fa
bricam, hanc distantium inter se elementorum copulam, caelum
sicut cameram extentum', ut inhabitantes in hoc mundo tegat,
terram ad operandum datam, diffusum aerem, clausa maria, po
pulum hunc diuinae operationis organum, in quo diuini modula
men resultet oraculi et dei spiritus intus operetur, templum istud,
sacrarium trinitatis, semctitatis domicilium, ecclesiam sanctam, in
qua refulget aulaea caelestia, de quibus dictum est: Dilata locum
tabernaculorum tuorum et aulaeorum tuorum, fige, ne parcas,
longiores fac funiculos tuos et palos tuos confirma, adhuc in dextra
et sinistra extende: et semen tuum gentes hereditate possidebunt,
et duitates desertas inhabitabis K Habet ergo aulaea, quibus ad-
tollit bonam uitam, peccata tegit, culpam obumbrat.
t Ps 32, 17.
* Ps 79, 14; 41, 2.
Prou 26, 27; Eccle 10, 8; Eccli 27, 26 (29).
I Is 40, 22.
I s 54, 2-3.
Da Ogni valle, dunque, s raccolto il popolo cattolico. Ormai non
vi sono pi molte comunit, ma una la comunit, una la Chiesa.
stato detto anche qui: Si raccolga l acqua da ogni valle , e
si fatta una comunit spirituale, si fatto un solo popolo. Valle
il teatro, valle il circo dove il cavallo corre senza giovare alla
salvezza, dove si svolgono degradanti e spregevoli gare, dove av
vengono contese che sono uno sconcio obbrobrioso. Fra costoro
che non sapevano staccarsi dal circo crebbe la fede della Chiesa
e di giorno in giorno la schiera dei fedeli si accresce
4. palude la lussuria, palude l intemperanza, palude l'incon
tinenza, una palude dove regna il brago della sensualit, risuona
il brontolio degli animali feroci, si trovano le tane delle passioni,
dove chi cade affonda e non ritorna, pi a galla, dove i piedi sci
volano e ognimo procede vacillando, dove le folaghe si insudicia
no nel tentativo di lavarsi, dove dall'alto flebili gemono le colom
be, dove la lenta tartaruga fatica a staccarsi dal fondo melmoso-
Insomma il cinghiale nella palude, il cervo presso la fonte. Da
ogni palude, dove come rane ripetevano il loro verso consueto
si riunita la fede, si riunita la purezza dell'animo e la sem
plicit della mente.
5. L'acqua si raccolta da ogni lago e da ogni fossa affinch
nessuno scavi al proprio fratello una fossa nella quale cadere egli
stesso, ma tutti si amino vicendevolmente, tutti a vicenda si as
sistano e si sostengano come le varie membra di im imico corpo.
Cosi non traggano diletto dalle musiche fimeste degli spettacoli
teatrali che infrolliscono l animo inducendolo alla sensualit, ma
dai canti liturgici, ma dalla voce del popolo che in coro loda Iddio
e dalla sua santa vita; non rechi loro piacere contemplare i tap
peti di porpora, non i preziosi drappi, ma questa bellissima co
struzione deiruniverso, questa riimione di elementi diversi fra loro,
il cielo steso come ima volta per proteggere gli abitanti di questo
mondo, la terra offerta al nostro lavoro, l aria diffusa, i mari cir
condati dalle terre, questo popolo strumento per larmonia del
lopera divina, nel quale riecheggia la musica della rivelazione ed
opera intimamente lo Spirito di Dio, questo tempio santuario del
la Trinit, dimora della santit, chiesa santa nella quale risplen
dono drappi celesti, dei quali stato detto: Allarga lo spazio delle
tue tende e dei tuoi teli, piantale senza risparmio, fa pi lunghe
le tue cordicelle e rafforza i tuoi pali, spiega la tua tenda a destra
e a sinistra: e la tua discendenza avr le genti in eredit e abite
rai le citt deserte. La Chiesa ha dunque i suoi drappi con cui
onora la vita onesta, copre i peccati, mette in ombra la colpa.
^S. Ambrogio vuol dire che dalla valle del paganesimo, cio dalla corru
zione del suoi costumi, gli uomini convertendosi confluiscono nella Chiesa
come le acque in congregationem unam.
* Cf. Verg., Georg., I , 378: et ueterem in limo ranae cecinere querelam.
Sal, 79, 41; Exterminauit eam aper de silua; 41, 2: Quemadmodum desiderat
ceruus ad fontes aquarum.
* Preferisco intendere acroama = spettacolo musicale ; cf. Pctr., Cen.
Trim., 53, 12: reliqua, animalia, acroamata tricas meras esse. I I Marmorale
(La Nuova Italia, Firenze, 1962, p. 92) intende concerti .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 113
6. Haec est ecclesia, quae super maria fundata est et super
flumina praeparata. Supra uos enim confirmata est et praepa
rata, qui sicut fliunina puro in eam mundi fonte decurritis, de
quibus dietimi est: Eleuauerunt flumina, domine, eleuauerunt flu
mina uoces suas a uoce aquarum multarum^. Et addidit: Mira
biles elationes maris, mirabilis in excelsis dominus Bona flumi
na; hausistis enim ex illo perenni et pleno fonte, quo fluitis, qui
ait uobis: Qui credit in me, sicut dixit scriptura, flumina de uentre
eius fluent aquae uiuae . Hoc autem dicebat de spiritu, quem inci
piebant accipere qui credituri erant in eimi. Sed iam quasi boni
Iordanis fluenta reuertimini mecum in originem.
114 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 1, 6 - C. 2, 7
Caput I I
7. Congregetur inquit aqua quae sub caelo est in congrega
tionem unam, et appareat arida. Et factum est sic^. Fortasse pa
rum crediderit aliquis superioribus sermonibus nostris, quibus
tractauimus inuisibilem ideo fuisse terram, quod aquis operta te
geretur, ut corporeis oculis non posset uideri. Ad se enim pro
pheta rettulit, hoc est ad nostram condicionem, non ad diuinae
maiestatem naturae, quae, utique omnia uidet. Sed ut aduertatis
quia non quasi nostri ingenii probandi gratia, sed uestrae causa
instructionis suscepimus hunc tractandi laborem, adstipulantem
nobis lectionis seriem testificamur, quae aperte probat post con
gregationem aquae, quae erat super terram, et post deriuationem
eius in maria apparuisse aridam. Desinant ergo nobis dialecticis
disputationibus mOuere negotia dicentes: Quomodo terra inuisibi-
lis, cum omni corpori naturaliter species et color insit, omnis au
tem color sit subiectus aspectui? Clamat dei uox: Congregetur
aqua et appareat arida'>. Et iterum scriptura dicit: Congregata
est aqua in congregationem unam, et apparuit a r i d a Quid opus
fuit iterare, nisi occurrendum quaestionibus iudicasset propheta?
Nonne uidetur dicere: non dixi inuisibilem secundum naturam,
sed secimdum superfusionem aquarum? Denique addidit sublato
uelamine apparuisse aridam, quae ante non mdebatur.
n Ps 23, 2.
Ps 92, 34.
o Ps 92, 4.
p I o 7, 38.
Gen 1, 9.
1Gen 1, 10 (9).
Gen 1, 9 (Sept.).
6. Questa la Chiesa fondata sopra i mari e preparata sopra
i fiumi. Infatti stata fissata e preparata sopra di voi che, da una
pura fonte, scendete mondi verso di lei, come i fiumi dei quali
stato detto: I fiumi innalzarono, o Signore, innalzarono la loro
voce con la voce di molte acque; e ancora: Mirabile il sollevarsi
del mare, mirabile il Signore nell'alto dei cieli. Siete fiimii dal-
latqua pura; avete attinto a quella sorgente perenne e abbon
dante dalla quale scorrete, che vi dice: Chi crede in me, come ha
detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva scorreranno dal suo seno.
Questo diceva dello Spirito che cominciavano a ricevere coloro
che avrebbero creduto in lui. Ma ormai, come le correnti del no
stro buon Giordano, ritornate con me al punto da cui siamo
partiti.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE I I S
Capitolo 2
7. Si raccolga, disse, in un sol luogo l acqua che sotto il
cielo e appaia l'asciutto. E cosi fu fatto. Pu darsi che qualcimo
non abbia prestato troppa fede ai nostri precedenti sermoni nei
quali abbiamo dimostrato che la terra era invisibile perch na
scosta dalle acque che la coprivano, cosi che non poteva essere
vista dagli occhi del corpo. Lo scrittore ispirato si rifer al caso
suo, cio alla nostra condizione, non alla maest della natura di
vina che naturalmente vede ogni cosa. Ma perch vi rendiate con
to che non per fare mostra del nostro ingegno, ma per istruire voi
abbiamo intrapreso l'impegno di trattare questargomento, ricor
riamo alla testimonianza della narrazione biblica che ci d ragione,
la quale manifestamente dimostra come lasciutto sia apparso,
dopo che l acqua, che copriva la terra, si fu raccolta e istradata
verso il mare. Cessino dunque di suscitare difficolt con le loro
disquisizioni dialettiche dicendo: Come pu essere invisibile la
terra dal momento che ogni corpo ha una sua figura e un suo
colore e ogni colore cade sotto la vista? Proclama la voce di
Dio: Si raccolga l acqua e appaia l asciutto. E ancora la Scrittura
dice: Si raccolse l'acqua in un sol luogo e apparve l'asciutto*.
Che motivo ci sarebbe stato di ripeterlo, se lo scrittore ispirato
non avesse ritenuto necessario affrontare le obiezioni? Non sem
bra dire: Non ho detto "invisibile" per natura, ma per la so
vrapposizione delle acque? Di conseguenza aggiunse che, elimi
nato quel velo apparve la terra asciutta che prima non si vedeva.
Vedi I I , 3, n. 8.
Ba s ., Hexaem., 80 D, 81 A (34 A): 6
6, 1[( ,
, ^ ;
* Questo passo si trova nei Settanta, ma non nella Vulgata e nel testo
ebraico.
Ba s ., Hexaem., 81 A (34 A): , tva <
.
8. Iterum quaestiones alias serunt dicentes: Si in congrega
tionibus diuersis aqua erat, quomodo si illae congregationes in
superioribus erant, non defluebat aqua ad eum locum, ad quem
post domini imperium deriuata est? natura enim aquarum spon
te in inferiora prolabitur sin uero in inferioribus erant illae
congregationes, quomodo contra naturam suam aqua ad superiora
conscendit? Itaque aut naturalis cursus imperio non eguit aut
contra naturam imperio proficere non potuit. Cui quaestioni fa
cile respondebo, si mihi ipsi ante respondeant ante praeceptum
domini hanc aquarum fuisse naturam, ut laberetur, ut flueret.
Non enim ex usu hoc habet ceterorum elementorum, sed speciale
et proprium, non ex quodam ordine, sed magis ex uoluntate et
operatione dei summi. Quid iusserit deus audiunt, uox autem dei
efficiens naturae est. Eam uocem effectus operationis impleuit.
Coepit labi aqua et in imam confluere congregationem, quae ante
erat diffusa per terras et plurimis receptaculis inhaerebat. Cur
sum eius ante non iegi, motum eius ante non didici, nec oculus
meus uidit nec auris audiuit. Stabat aqua diuersis locis: ad uocem
dei mota est. Nonne uidetur quia naturam ei huiusmodi uox dei
fecit? Secuta est creatura praeceptum et usum fecit ex lege; pri
mae enim constitutionis lex formam in posterum dereliquit. De
nique semel diem fecit et noctem: ex illo manet utriusque diurna
successio et diurna reparatio. lussa est etiam aqua currere in con
gregationem: ex illo currit, fontes labuntur in fluuios, in freta
currunt flumina, lacus deriuantur in maria, ipsa se aqua praecedit,
urguet et sequitur. Vnus est ductus, unum corpus. Et cum sit
altitudo diuersa, indiscreta tamen dorsi eius aequalitas. Vnde et
aequor adpellatum arbitror, quod superficies eius aequalis sit.
116 EXAMERON, DIES I U , SER. IV, C. 2, 8-9
9. Respondi secundum illorum propositum; illi nunc respon
deant mihi, si numquam uiderunt fontes ex inferioribus scaturrire,
de pauimento aquam surgere. Quis eam cogit? Vnde prorumpit?
Quemadmodum non deficit? Quomodo fit, ut ima soli ora undam
8. Suscitano ancora altre difficolt dicendo: Se esisteva
acqua raccolta in luoghi diversi, come mai, se tali luoghi di rac
colta si trovavano in alto, l'acqua non defluiva verso quel luogo
nel quale deflu dopo il comando del Signore? L'acqua infatti per
sua natura scorre spontaneamente verso il basso. Se invece si
trovavano in basso quei luoghi di raccolta, come mai l'acqua con
tro la sua natura sali verso l alto? Pertanto o il corso naturale
non ebbe bisogno di un comando o contro una legge naturale non
pot riuscirvi nonostante l'ordine ricevuto . A tale obiezione ri
sponder facilmente, a condizione che, a loro volta, essi mi ri
spondano dimostrando che prima dell'ordine del Signore la na
tura dell'acqua era quella di scivolar via e di scorrere. Essa pos
siede tale propriet non per una caratteristica comune a tutti gli
altri elementi, ma come una sua particolarit esclusiva, non per
una disposizione indiscriminata, ma piuttosto per volont e in
tervento del sommo Iddio. Ascoltiamo ci che Dio ha comandato,
ed la parola di Dio che fa la natura. I l risultato dell'operazione
ademp quella parola. L'acqua, prima sparsa sulla terra e immo
bile in moltissimi bacini, cominci a scorrere e a confluire in im
unico luogo di raccolta. Prima non ho letto che scorresse, non ho
appreso che avesse un movimento, n il mio occhio vide n il mio
orecchio ud una cosa smile ^ L'acqua stava immobile in luoghi
diversi: alla parola di Dio si mosse. Non ti sembra che fu la pa
rola di Dio ad assegnarle una tale natura? La creatura obbed al
comando e dall'ordine ricevuto ricav la sua caratteristica: la leg
ge della sua prima costituzione ebbe successivamente una formu
lazione diversa. Del resto Iddio cre una volta per sempre il gior
no e la notte: da quel momento l'uno e l'altra quotidianamente
si succedono e quotidianamente si rinnovano. Anche l'acqua ebbe
il comando di scorrere raccogliendosi in un sol luogo: da quel
giorno l'acqua scorre, le sorgenti scendono nei fiumi, i fiumi cor
rono verso le onde marine, i laghi mettono capo al mare, l'ac
qua precede, incalza e segue se stessa. Unico il modo di con
dursi* unica la materia. E pur essendo diversa la profondit,
tuttavia il livello della sua superficie resta sempre uguale. Perci
penso che l'abbiano chiamata anche spianata perch la sua
superficie assolutamente pianai
9. Ho risposto secondo i loro desideri; mi rispondano ora
se hanno mai visto sorgenti scaturire dal basso, zampillare acqua
dal terreno. Chi la fa sprizzare? Donde essa sgorga? Come mai
non si esaurisce? Come mai avviene che profonde bocche del
* Bas., Hexaem., 81 AB (34 BC): S. Ambrogio non fa che parafrasare
quanto trova in S. Basilio, il quale (81C s=34D) cosi conclude: ...
. (
3, <6, .
* Cf. Verg., Aen., I, 607-608: in freta dum ituuii current, dum montibus
umbrae / lustrabunt conuexa.
* Qvint., I V, 2, 53: Est autem quidem et ductus rei credibilis, qualis in
comoedib etiam et in mimis.
Cf., p. es., Col,, V I I I , 17, 3: maris aequor = superficie dei mare. Leti
mologia esatta; vedi Ernout-Meillet, Dict. tym., aequus. Ho cercato di
conservare in qualche modo l'assonanza aequor aequalis.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 117
uomant? Haec secundum occultae secreta naturae. Ceterum quis
ignorat quod rapido plerumque impetu in ima descendens in su
periora se subrigat atque in supercilium montis adtollat, plerum
que etiam canedibus manu artificis deriuata, quantum descenderit,
tantum rursus ascendat? Itaque si uel impetu suo fertur uel ar
tificis ingenio contra naturam suam ducitur et eleuatur, miramini
si diuini operatione praecepti aliquid ad usum naturae eius acces
sit, quod in usu eius ante non fuerit? Dicant nunc mihi quomodo
tamquam in utrem congregauerit aquas maris ^ ut scriptum est,
quomodo eduxerit de petra aquas? Qui potuit de petra educere
aquam quae non erat non potuit ducere aquam quae erat? Per
cussit petram, et fluxerunt aquae clamat Dauid et torrentes inun-
dauerunt^ et alibi super montes stabunt aquae* habes in euan
gelio, quod cum grauis esset procella et magnus in mari motus,
ita ut trepidarent apostoli naufragii periculum, excitauerint dor
mientem in puppe dominum lesum, et surgens imperauerit uento
et mari, sedata tempestas sit, refusa tranquillitas'. Qui potuit
imperio mare totum sedare non potuit aquas imperio -mouere?
Atquin in diluuio sic accepimus, quod eruperint fontes abyssi et
quod induxerit postea spiritum et siccauerit aquam '. Si nolunt
oboedisse naturam usumque elementi imperio dei esse conuersum,
uel hoc concedant potuisse immisso uento aquas currere, quod
cottidie uidemus in mari, ut inde aquae currant, unde flauerit
uentus. Si tempore Moysi excitato austro ualido siccatum est
mare*, eodem modo siccari non potuit congregatio aquarum et in
mare profluere aqua, quae postea diuisa est a profundo? Sed
discant naturam posse conuerti, quando petra aquas fluxit et fer
rum aquis supernatauit quod utique Helisaeus orando facere
meruit, non imperando. Si igitur Helisaeus ferrum leuauit contra
naturam, Christus aquas mouere non potuit? Sed mouit qui potuit
dicere: Lazare ueni foras et mortuum suscitauit deus enim quod
iubet fecit. Itaque pari exemplo dictum accipe: Congregetur aqua,
et congregata est. Dicendo autem congregetur non solum mouit
eam de loco, sed etiam statuit in loco, ut non praeterflueret, sed
maneret.
118 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 2, 9
d Ps 32, 7.
Ps 77, 16.
f Ps Tl, 20.
* Ps 103, 6.
h Mt 8, 24-26.
I Gen 7, 11; 8, 1.
1Ex 14, 21.
4 Reg 6, 6.
n I o 11, 43-44.
suolo emettano acqua? Tutto ci accade secondo leggi segrete
che regolano i misteri della natura. Del resto chi non sa che spes
so, scendendo al basso con veloce impeto, risale poi verso l'alto
e raggiunge la cresta dei monti e spesso, deviata artificialmente
mediante canali, sale nuovamente tanto quant'era discesa? Per
ci, se viene spinta dal suo impulso oppure contro la sua natura
condotta e sollevata mediante ingegnosi artifici, vi meravigliate
che per effetto dellordine divino al suo comportamento naturale
si sia aggiunta qualche particolare manifestazione che prima non
si riscontrava in esso? Mi dicano ora in che modo Dio abbia rac
colto come in un otre le acque del mare, come sta scritto *, in
che modo abbia fatto scaturire l acqua dalla roccia. Colui che
pot far scaturire dalla roccia l acqua che non esisteva, non pot
spostare l acqua che esisteva? Percosse la roccia e sgorgarono te
acque, dice Davide, e i torrenti strariparono, e in im altro passo:
Sui monti si fermeranno le acque. Nel Vangelo tu trovi che, infu
riando una paurosa procella ed essendo il mare sconvolto da onde
cosi alte che gli apostoli temevano di naufragare, svegliarono il
Signore Ges che dormiva a poppa, ed egli, levandosi, diede un
ordine al vento e al mare e la tempesta si plac e ritorn la bo
naccia. Colui che con il suo comando pot calmare tutto un mare,
con il suo comando non avrebbe potuto muovere le acque? Ep
pure sappiamo che nel diluvio sgorgarono le fonti dellabisso e
che poi Dio mand il vento e asciug l acqua. Se non ammettono
che la natura abbia obbedito e che il modo di comportarsi di im
elemento non si sia mutato allordine di Dio, concedano almeno
che le acque poterono correre sotto l azione del vento, come vedia
mo ogni giorno nel mare, dove le acque corrono seguendo la di
rezione donde soffia il vento. Se al tempo di Mos, levatosi un
violento austro, il mare si asciug, allo stesso modo non si sareb
be potuto asciugare la massa delle acque e scorrere nel mare
lacqua che in seguito si divise dal fondo? Ma impariamo che la
natura pii subire cambiamenti, dal momento che la roccia lasci
sgorgare acqua e il ferro duna scure venne a galla, prodigio che
certamente Eliseo merit di operare con le sue preghiere, non
gi con il suo comando. Se dunque Eliseo contro natura fece
tornare a galla un ferro. Cristo non avrebbe potuto muovere le
acque? Certamente le mosse, lui che pot dire: Lazzaro, vieni
^furi e lo risuscit da morte. Dio, infatti, ha belle compiuto ci
che comanda. Cosi, per analogia con questesempio, devi interpre
tare le parole: Si raccolga l acqua, ed essa si raccolse. Dicendo
Si raccolga, non solo la fece muovere dal suo posto, ma anche la
fiss in un posto determinato perch vi rimanesse stabilmente
senza spandersi oltre i suoi limiti.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 119
Sai, 32, 7: Congregans sicut in utre aquas maris.
Come si legge in 2 Re, 6, 6, Eliseo fece tornare miracolosamente a galla
il ferro deUascia che uno dei suoi compagni aveva lasciato cadere nellacqua.
10. Hoc itaque maioris miraculi est, quomodo omnes congre
gationes in unam congregationem defluxerint et una congregatio
non adimpleta sit. Nam et scriptura hoc inter mirabilia consti-
tiiit dicendo: Omnes torrentes eunt in mare, et mare non adim
pl eturi Vtrumque igitur ex praecepto dei, ut et fluat aqua et
non superfluat. Circumscripta igitur inposito fine maria clau
duntur, ne superfusa terris inundent omnia et destituto aruorum
cultu munus terrenae fecunditatis inpediant. Cognoscant igitur
diuini esse praecepti operationisque caelestis. Ait enim dominus
per nubem ad lob inter alia etiam de maris claustro: Posui ei
fines adponens claustra et portas; dixi autem ei: usque huc ue-
nies nec transgredieris, sed in te ipso conterentur fluctus tui^.
Nonne ipsi uidemus mare frequenter undosum, ita ut in altum
fluctus eius tamquam mons aquae praeruptus insurgat, ubi im
petum suum ad litus inliserit, in spumas resolui repagulis quibus
dam harenae humilis repercussum, secundum quod scriptum est:
Aut non timebitis me, dicit dominus, quia posui harenam fines
mari"? Infirmissimo itaque omnium uilis sablonis puluere uis
120 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 2, 10
0 Eccle 1, 7.
p lob 38, 10-11.
1 ler 5, 22.
10. Perci costituisce maggior prodigio il fatto che tutti i
depositi siano confluiti in un unico deposito e questo non si sia
riempito. Anche la Scrittura considera tale avvenimento un mira
colo, dicendo: Tutti i torrenti finiscono nel mare, e il mare non si
riempie. Si compiono dunque secondo il comando di Dio entrambi
i prodigi, che l acqua scorra e non trabocchi Vengono chiusi i
mari, circoscritti entro un confine loro imposto, perch, river
sandosi sulle terre, non inondino ogni cosa e, venuta meno di con
seguenza la coltivazione dei campi, non impediscano l azione della
fecondit del suolo. Imparino che tutto ci dipende dal comando
'e dall'opera del Cielo. I I Signore attraverso una nube parla
a Giobbe, tra l'altro, anche dello sbarramento del mare: Gli ho
segnato dei confini ponendogli catenacci e porte, gli ho detto poi:
Verrai fin qui, senza oltrepassare il limite, ma i tuoi flutti si
logoreranno nel tuo ambito . Non vediamo anche noi che il mare,
spesso cosi agitato che i suoi flutti si levano in alto come mon
tagne d'acqua scoscese, una volta infranto il suo impeto contro
la spiaggia, si scioglie in spuma respinto da una barriera d'umile
arena? Non sta scritto forse: Non avrete timore di me, dice il
Signore, che ho posto la sabbia quale limite al mare? Cosi la^tem-
pestosa violenza del mare viene frenata dalla polvere pi debole
che esista, dalla sabbia marina di nessun valore, e, come imbri-
Bas., Hexaem., 84 AB (35 AB ): {scit, ), Iva
* ,
. 0
, ^ rti ,
. ^ ^
^ , -
k .
S. Ambrogio si dimostra particolarmente attento ai mirabilia compiuti da
Dio in rapporto all'acqua, ai gesti della storia di salvezza, che nel segno del
l'acqua hanno prefigurato i presenti lavacri , come egli dice nella celebre
pagina dsW'Exp. Eu. sec. Lue., X, 48. Prerogative naturali e preannunzi
conferiscono all'acqua il privilegio di essere "sacramentum Christi" (/ &)
Il linguaggio e la sequenza delle immagini nel testo di S. Ambrogio e nei
formulari per la benedizione del fonte battesimale dei sacramentari ambro
siani presentano im mirabile riscontro (P. Borella), che fa sorgere l'in
terrogativo se il Santo abbia parafrasato la formula gi in uso, oppure un
redattore posteriore abbia attinto dallo scrtto del Santo (Io., / / rito am
brosiano, Morcelliana, Brescia 1964, p. 409). In M. 5, La liturgia
della Chiesa milanese nel secolo I V, Milano 1899, pp. 17-18, s trovano messi a
confronto i due testi, quello di S. Ambrogio e quello liturgico. A. Paredi rico
nosce che le corrispondenze letterali dello scritto santambrosiano con le
parole dei. testi liturgici a sono tali e tante, che bisogna necessariamente am
mettere una dipendenza del commento dal testo liturgico o viceversa , e
include: Forse S. Ambrogio in quel brano omiletico cosi solenne se non
riproduceva, almeno pensava al testo liturgico e ne citava alla lettera parec
chie righe {La liturgia di sant'Ambrogio, cit., pp. 101-102). Sulla questione
si veda la bibliografia nelle due opere citate di P. BoreUa e di A. Paredi, e
la nota di G. Coppa al testo di S. Ambrogio (in Opera omnia, Esposizione del
Vangelo secondo Lucali, Biblioteca Ambrosiana-Citt Nuova, Milano-Roma
1978, p. 429. [I.B.]
Cf. Vero., Aen., I ,105: ... insequitur cumulo praeruptus aquae mons.
u Bas., Hexaem., 84 B (35 BC): 1rodb<
6 ,
, .
I SBI GIORNI DELLA CREAZIONE 121
maris intempesta cohibetur et uelut habenis quibusdam caelestis
imperii praescripto sibi fine reuocatur uiolentique aequoris mo
tus in sese frangitur atque in reductos sinus suos scinditur.
11. Ceterum nisi uis statuti caelestis inhiberet, quid obsta
ret quin per plana Aegypti, quae maxime humilioribus iacens ual-
libus campestris adseritur, mare rubrum Aegyptio pelago misce
retur? Denique docent hoc qui uoluerunt haec duo sibi maria
conectere atque in se transfundere, Sesostris Aegyptius, qui anti
quior fuit, et Darius Medus, qui maioris contuitu potentiae in ef
fectum uoluit adducere quod ab indigena fuerat ante temptatum.
Quae res indicio est quod superius est mare Indicum, in quo'
mare rubrum, quam aequor Aegyptium, quod inferius alluit. Et
fortasse ne latius se mare effunderet de superioribus ad inferiora
praecipitans, ideo molimina sua rex uterque reuocauit.
122 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, c. 2, 10-11 - c. 3, 12-13
Caput I I I
12. Quaero nunc cum dixerit; Colligatur aqua in congrega
tionem unam^, quomodo diffusas per lacus paludes stagna aquas
et superfusas uallibus et campis omnibusque planioribus locis
currentes fontibus atque fluminibus una potuerit recipere collec
tio, aut quomodo una collectio, cum hodieque diuersa sint maria?
Nam et oceanvim mare dicimus et Tyrrenum et Hadriaticum et
Indicum et Aegyptium et Pontum et Propontidem et Ellespontum
et Euxinum Aegaeum Ionicum Atlanticum; plerique etiam Creti
cum et septentrionale Caspium adpellant mare. Vnde consideremus
scripturae uerba, quae librato sunt trutinata examine.
13. Colligatur inquit aqua in collectionem unam. Vna aqua
rum iugisque et continua congregatio est, sed diuersi sinus maris.
Gen 1, 9.
glata dal comando divino, respinta dal limite ad essa imposto
e il moto del mare in burrasca si infrange in se stesso, dividen
dosi in onde che si rincorrono^ e rincorrendosi si perdono.
11. Del resto, se non lo trattenesse la forza d'una disposi
zione celeste, che cosa impedirebbe che il Mar Rosso si congiun
gesse col Mare Egiziano attraverso le pianure dell'Egitto che si
dice assai pianeggiante, posto com' in valli alquanto depresse?
Ne danno dimostrazione del resto coloro che vollero unire questi
due mari riversando l'uno neH'altro: l egiziano Sesostri, che era
pi antico, e il persiano Dario il quale, in considerazione della
sua maggiore potenza, volle condurre ad effetto l'impresa prece
dentemente tentata dal sovrano del luogo. Questo fatto prova che
il Mare Indiano di cui parte il Mar Rosso ha un livello supe
riore a quello del Mare d'Egitto, che ne bagna le coste ad un li
vello pi basso. E forse, perch il mare non si spandesse, in una
zona pi vasta precipitando dallalto verso il basso, entrambi i re
rinunciarono alla loro impresa
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 123
Capitolo 3
12. Mi chiedo ora, poich Dio ha detto: Si raccolga l acqua
in un sol luogo, come un unico bacino abbia potuto accogliere
insieme le acque che, sparse in laghi, paludi e stagni, avevano
sommerso valli e campi e scorrevano per tutte le pianure, prove
nendo da sorgenti e da fiumi, o come si possa parlare di un unico
bacino, dal momento che anche oggi i mari sono distinti. Infatti
diciamo mare l'Oceano e il Tirreno e l Adriatico e l'indiano e
lEgiziano e il Ponto e la Propontide e l Eusino, l'Egeo, lo Ionio,
TAtlantico; molti chiamano mare anche quello di Creta e, a nord,
il Caspio. Consideriamo perci le parole della Scrittura, che sono
state pesate sulla bilancia d'uno scrupoloso esame.
13. Si raccolga, disse, l acqua in un unico luogo. Una sola,
continua, ininterrotta la raccolta delle acque, ma i golfi marini
Cf. Verg., Aen., I , 161: ... inque sinus scindit sese unda reductos.
Bas ., Hexaem., 84 C (35 CD):
-
)) , - -
; " , 6
, -
, . ,
6
.
S. Basilio deriva le sue informazioni da Aristotele (Meteor., I , 14, 27,
352 b, 26). Infondata la notizia che il Mar Egizio (Mediterraneo) sia ad un
livello infriore rispetto al Mar Rosso. Gi Strabone (I . 38; XVI I , 804) l aveva
respinta. Sul tentativo di Dario (522485 a. Cr.) vedi Heroo., I I , 158, il quale
mostra di ignorare quello di Sesostri (1878-1841 a. Cr.), riferito invece, oltre
che dallo stesso Aristotele e da Strabone, anche da Plinio il V. {N.H., 29,
VI, 165). Sull'argomento vedi Strabon, Gographte, I , Les Belles Lettres,
Paris 1969, p. 198, n.
Ut quidam de scriptoribus forensibus ait. Namque Pontus maris
nostri sinus amplissimus meritoque in diuersis locis diuersa sunt
nomina, quia uocabula aquis ex regionum uocabulis adhaeserunt,
una autem congregatio aquarum, eo quod iugis unda atque con
tinua ab Indico mari usque ad Gaditani oram litoris et inde in
mare rubrum extremum circumfuso orbem terrarum includit
oceano; interius quoque Tyrreno Hadrias, Hadriae cetera maria
miscentur nominibus distincta, non fluctibus. Vnde pulchre habes
quia deus congregationes aquarum uocauit maria^. Ita et una
est generalis collectio, quae dicitur mare, et multae collectiones,
quae maria pro regionibus nuncupantur. Sicut enim multae terrae
ut Africa Hispania Thracia Macedonia Syria Aegyptus Gallia atque
Italia pro regionum appellantur uocabulis et una est terra, ita
multa dicuntur pro locorum appellationibus maria et unum est
mare, sicut ait propheta dicens: Tui sunt caeli et tua est terra;
orbem terrarum et plenitudinem eius tu fundasti. Aquilonem et
mare tu creasti^. Et ad lob ipse dominus ait: Conclusi autem
mare portis'^.
124 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 3, 13-15
14. Nunc quia de una collectione diximus, illud occurrit,
utrum, cum per omnem fere terram et super terram fuerint aquae
diffusae per uallestria agrorum, concaua montium planitiemque
camporum, modo aequoris fusa congregatio una potuerit omnes
illas aquas recipere atque exinanire terras, quae ante fuso per
uniuersum flumine stagnabantur. Nam si ita operta erant omnia
non enim diceret 'uisa est terra, nisi retectam uellet locis
omnibus demonstrare , si diluuium Noe tempore abscondit et
montes , quando aquarum iam et super caelos et infra firmamen
tum fuerat facta discretio: quanto magis dubitari non potest etiam
montium uertices illa superfusione latuisse? Quo igitur illa omnis
aquarum redundantia deriuata est? Quae receptacula eam tam
continua atque conexa absorbere potuerunt?
15. De quo multus nobis potest sermo subpetere. Primum
quia potuit creator omnium et ipsarum terrarum spatia diffun
dere,^quod aliqui ante nos confirmantes propria posuerunt sen
tentia. Ego quid facere potuerit non praetermitto: quid fecerit,
quod aperte; scripturarum auctoritate non didici, quasi secretum
praetereo, ne forte etiam hinc alias sibi quaestiones requirant.
Adsero tamen secundum scripturas quia potuit locorum humilia
b Gen 1, 10.
<=Ps 88, 12-13.
<>lob 38, 8.
Gen 7, 20.
sono distinti come dice uno scrittore pagano ^ Infatti il Ponto
una vastissima insenatura del Mediterraneo e ben a ragione in luo
ghi diversi si usano nomi diversi, perch le acque presero il nome
da quello delle regioni circostanti; una sola per la massa delle
acque, perch una distesa d'acqua, continua e ininterrotta dal
Mare Indiano fino all'estremo lido di Cadice e di li al Mar Rosso,
include la terra nellOceano che la circonda fino alle sue zone
estreme; anche pi internamente l'Adriatico si mescola al Tir
reno, all'Adriatico gli altri mari, distinti nei nomi, non nelle ac
que, Perci appare detto bene che Dio chiam mari i bacini dove
si erano raccolte le acque. Cosi c' un solo bacino generale chia
mato mare e ce ne sono molti altri detti mari a seconda delle
regioni che bagnano. Come infatti molte terre, quali l Africa, la
Spagna, la Tracia, la Macedonia, la Siria, l'E gitto, la Gallia e
l'Italia, ricevono il nome a seconda della regione cui apparten*
gono, ma la terra una sola, cosi molti mari sono indicati col
nome della localit, e il mare uno solo, come afferma il profeta
dicendo: Tuoi sono i cieli e tua la terra; tu hai fondato il globo
terracqueo e ci che lo riempie. Tu hai creato l'aquilone e il mare.
E a Giobbe lo stesso Signore dice: Ho chiuso il mare con porte,
14. Ora che abbiamo parlato di un unico bacino si presenta
questo problema, se cio, siccome per quasi tutta la terra le ac
que, ricoprendola, erano sparse attraverso gli avvallamenti del
terreno, le cavit dei monti, le distese delle pianure, un unico
bacino dell'ampiezza d'un mare abbia potuto contenere, vuotan
done la terra, tutte quelle acque che prima, diffuse com'erano da
ogni parte, vi ristagnavano Se tutto era coperto in tal modo
la Scrittura non direbbe infatti che la terra apparve, se non vo
lesse indicare che prima era completamente sommersa ; se il
diluvio al tempo di No nascose perfino i monti quando ormai era
avvenuta la divisione delle acque sia sopra i cieli che sotto il firma
mento, quanto pi non si potrebbe dubitare che anche le cime dei
monti fossero nascoste da quella enorme massa d'acquai Dove
dunque fu istradata tutta quella sovrabbondanza? Quali bacini fu
rono cosi ininterrotti e intercomimicanti da poterla assorbire?
15. Ma su tale argomento possiamo disporre di molte spie
gazioni. In primo luogo, il Creatore di tutte le cose avrebbe po
tuto ampliare anche le dimensioni della stessa terra, spiegazione
che alcuni prima di noi avanzarono sostenendola con una loro
personale argomentazione. Quanto a me, non intendo trascurare
ci che Dio avrebbe potuto fare; tuttavia, se non lo so chiara
mente dall'autorit delle Scritture, passo sotto silenzio, conside
randolo un mistero, ci che ha fatto, per evitare che anche a
^L'aggettivo -forensis pu essere messo in rapporto con forum, e allora
significa forense , del foro , oppure con foris in opposizione a domesti
cus, patrius e simili, e allora significa fondamentalmente esterno >, stra
niero , ecc. I I T.L.L. attribuisce al nostro passo quest'ultimo significato;
vedi anche Ma d e c , op. cit., p. 114. I l Coppa invece (p. 185, n. 43) traduce
una delle autorit dei for o e pensa a Cicerone, traduttore del Timeo
platonico {Si tratta di Tim., 24-25?).
Bas., Hexaem., 85 A (35 E).
I SEI GIORNI DELLA CRfiAZIONB 125
et campomm aperta diffundere, sicut ipse ait: Ego ante te ambu
labo et montes planos faciam Potuit etiam ipsa aquarum uis
profundiora ea facere quae insederat tanto fluctuum motu tanto-
que aestu concitatioris elementi, qui cotidie ima pelagi torquere
et harenas uertere soleat de profundo. Quis deinde sciat in quan
tum se illud magnum et inausum nauigantibus atque intemptatum
nautis fimdat mare, quod Brittannias frequenti includit aequore
atque in ulteriora et ipsis fabulis inaccessa secreta se porrigit?
Quis deinde non colligat quantum Lucrino et Auerno in Italia, Ti-
beriadi quoque in Palaestina et ei lacui, qui inter Palaestinam et
Aegyptuih Arabiae deserta praetendit, portibusque diuersis Au
gusti atque Traiani ceterisque per uniuersum orbem infusum ad
diderit mare?
126 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, c. 3, 15-16 - 4, 17
16. Sed sunt etiam non confusi lacus et stagna, quae non
miscentur fluctibus, ut Larius et Benacus, Albanus quoque aliique
plures: quomodo una congregatio aquarum? Sed quemadmodum
dicitur quia fecit deus duo luminaria, id est solem et lunam, cum
sint utique et stellarum lumina, ita et una congregatio dicitur, cum
sint plurimae; neque enim adnumerantur quae non conferuntur.
Caput IV
17. Sed, ut uidetur, quoniam de mari loquebar, aliquantum
exundauimus: ad propositum reuertamur et consideremus quid
sit quod ait dominus: Congregetur aqua in unam congregationem
f Is 45, 2.
questo propsito i nostri avversari vadano in cerca di altre diffi
colt. Ad ogni modo affermo, fondiindomi sulla Scrittura, che Dio
pot estendere le depressioni e gli spazi piemeggianti, come dice
egli stesso: I o camminer davanti a te e appianer i monti. Pot
anche la stessa forza delle acque scavare i luoghi che aveva som
merso con un cosi violento moto di flutti e temto ribollire dun
elemento particolarmente impetuoso che ogni giorno suole scon
volgere il fondo del mare e fame turbinare le sabbie. Chi potreb
be sapere quanto si estenda quel mare sconfinato che i navigjmti
non osano sfidare e i marinai temono di affrontare, quel mare che
circonda da ogni parte le isole britanniche e si prolunga ancor
oltre verso regioni inaccessibili, ignorate persino dai racconti leg
gendari?. Chi ancora non potrebbe intuire quanto si sia ampliato
il mare riversandosi nel Lucrino e nellAverno * in Italia, nel lago
di Tiberiade in Palestina e in quello che tra la Palestina e l'E gitto
si, estende davanti al deserto d'Arabia, nei vari porti dAugusto e
di Traiano e negli altri sparsi per tutta la terra?',
16. Ma vi sono anche laghi e stagni ben distinti che non si
mescolano con le onde marine, come il Lario. il Benco, il lago
d'Albano ed anche molti altri. I n qual modo avvenne un'unica rac
colta delle acque? '. Ma come si dice che Dio cre due fonti lumi
nose, cio il sole e la luna, pur esistendo evidentemente la luce
delle stelle, cosi si parla di un'unica raccolta, pur essendovene mol
tissime. Infatti non vengono comprese nel numero quelle che non
si raccolgono insieme.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 127
Capitolo 4
17. Ma, a quel che sembra, siccome parlavo del mare, sono
un po straripato. Riprendendo ora il nostro argomento, conside
riamo per quale motivo il Signore abbia detto: Si raccolga l'ac
qua in un sol luogo e appaia l'asciutto, emzich dire terra *.
Bas., Hexaem., 85 B (36 A): ... -
, ^p -
.
<Cf. Vero., Georg., I I , 161-164: An memorem portus Lucrinoque addita
claustra / atgue indignatum magnis stridoribus aequor, / / alia qua ponto
longe sonat unda refuso / Tyrrhenusque fretis immittitur aestus Auernis?
Agrippa aveva creato ii Portus lulius in fondo al golfo di Baia, unendo al
mare il litoraneo Lago Lucrino e a questo il pi interno Lago dAvemo.
Bas., Hexaem., 88 A (36 CD); Al (, at
6 ^
, .
Bas., Hexaem., 85 C (36 C): ,
, >
(elemento acqua) .
' ., Hexaem., 89 AB (37 CD): , -
^ & , ,
* ; , " 6
) ; " ,
et appareat arida et non dixit 'terra. Quod praeclare positum quis
non aduertat? Terra enim potest et luto esse permixta, aquis ma
dida, cuius species superfusis aquis non appareat. Arida autem
non solum ad genus, sed etiam ad speciem terrarum refertur, ut
sit utilis sicca habilis et apta culturis. Simul prospectum est, ne
uideatur sole magis quam dei praecepto esse siccata, quia arida
facta est, antequam sol crearetur. Vnde et Dauid discernens mare
et terram ait de domino deo: Quoniam ipsius est mare, et ipse
fecit illud, et aridam manus eius fund a uer untArida enim ex
pressio naturae est, terra appellatio quaedam simplex negotii,
quae in se habeat proprietatem. Sicut enim animal generis signi
ficatio est, cui inest proprium aliquid et excellens, rationabile au
tem proprium est hominis, ita et terra potest communiter dici
uel scatens aquis uel deserta et inuia et sine aqua. Ergo et illi
quae scatet aquis inest ut habeat ariditatem; remota enim aqua
incipit esse arida, sicut habes scriptum: Posuit flumina in deserto
et exitus aquarum in sitim hoc est: de terra aquosa aridam fecit.
128 EXAMERON, DIES H I , SER. IV, C 4, 17-18
18. Habet ergo terra propriam qualitatem suam, sicut et sin
gula elementa habent; nam et aer umidam qualitatem et aqua
frigidam et ignis calidam. Et hoc est principale proprium elemen
tis singulis, quod ratione colligimus. Conprehendere autem sensi
biliter et corporaliter si uelimus, uelut conexa et composita rep-
perimus, ut sit terra arida et frigida, aqua frigida et umida, aer
calidus et umidus, ignis calidus et siccus. Et sic sibi per has
iugales qualitates singula miscentur elementa. Nam terra cum sit
aridae et frigidae qualitatis, conectitur aquae per cognationem
qualitatis frigidae et per aquam aeri, quia umidus est aer. Ergo
aqua tamquam brachiis quibusdam duobus frigoris et umoris al
tero terram altero aerem uidetur amplecti, frigido terram, aerem
umido. Aer quoque medius inter duo conpugnantia per naturam,
hoc est inter aquam et ignem utrumque illud elementum conciliat
sibi, quia et aquis umore et igni calore coniungitur. Ignis quoque
cvmi sit calidus et siccus natura, calore aeri adnectitur, siccitate
autem in communionem terrae ac societatem refunditur, atque ita
sibi per hunc circuitum et chorum quendam concordiae societa-
Ps 94, 5.
> Ps 106, 33.
Chi non comprenderebbe che tale espressione stata usata per-
fattamente a proposito? La terra pu essere anche mista a fango,
imbevuta dacqua, cosi che non ne appaia l aspetto perch coperta
dalle acque. L'asciutto invece si riferisce non solo al genere, ma
anche alla specie della terra, indicando che utile, secca, fertile
e adatta alla coltivazione. Nello stesso tempo si voluto evitare
di far credere che la terra sia stata asciugata dal sole piuttosto
che dal comando di Dio, perch essa divenne asciutta prima della
creazione del sole. Perci anche Davide, distinguendo mare e ter
ra, dice del Signore Iddio: Perch suo il mare ed egli lo ha fatto
e le sue mani hanno dato corpo alVasciutto. Asciutto esprime
la natura, terra semplice nome di cosa, che serve ad indicare
una propriet. Come animale ndica il genere che ha in s una
propriet particolare ed eminente, e invece ragionevole ter
mine specifico delluomo, cosi anche pu chiamarsi terra in
generale sia quella zampillante dacqua sia quella desertica, inac
cessibile e senz'acqua. Dunque anche quella che zampilla dacqua
ha insita l aridit: infatti-, tolta l acqua, comincia ad essere asciut
ta, come trovi scritto: Trasform i fiumi in un deserto e le sca
turigini delle acque in aridit, cio: di una terra imbevuta d'ac
qua egli ha fatto l asciutto.
18. Ha dunque la terra una qualit sua propria, come cia
scun elemento: l'aria ha la qualit d'essere umida, l acqua d'es
sere fredda e il fuoco d'essere caldo. Questa la qualit princi
pale dei singoli elementi, della quale ci rendiamo conto mediante
la ragione. Ma se vogliamo avere esperienza per mezzo dei sensi
corporei, li troviamo di qualit tra loro connesse e composite: la
terra asciutta e fredda, l'acqua fredda e umida, il fuoco caldo e
secco. E cosi i singoli elementi si confondono fra loro per mezzo
di tali qualit che li appaiano. I nfatti la terra, essendo di qualit
asciutta e fredda, collegata allacqua per l affinit della comune
qualit fredda e, per mezzo dellacqua, aUaria perch questa
umida. L'acqua dunque, per mezzo del freddo e dellumidit come
se fossero due braccia, con l'uno sembra avvincere a s la terra,
con l'altro l aria: con quello freddo la terra, con quello lunido
laria. Anche l aria, se si trova in mezzo a due elementi contra
stanti per natura, cio tra l'acqua e il fuoco, se li fa amici en
trambi perch viene messa in relazione con l'acqua dallumidit
e con il fuoco dal calore. Anche il fuoco, essendo secco e caldo
per natura, mediante il calore si unisce allaria, mentre per mezzo
della secchezza si mescola con intima imione alla terra. Cosi questi
elementi si accordano fra loro attraverso questa specie di danza
circolare della loro concordia reciproca*. Perci quelli che in la-
0 (oggetto), 8 '
(cosa).
* Bas., Hexaem., 89 BC (37 E , 38 A):
* 6 ^ * . > 3
,
(, ^
^ ... conclude (92 A 38 C): {^ (>
tu > xod (^.
I SEI GIORNI DELU CREAZIONE 129
tisque conueniimt. Vnde et graece dicuntur quae latine
elementa dicimus, quod sibi conueniant et concinant.
19. Huc autem progressi sumus, quia scriptura ait quod deus
uocauerit terram aridam =, hoc est quia quod principale eius est
nuncupauit proprietate naturae. Naturalis enim proprietas siccitas
est terris; haec ei praerogatiua semata est. Principalis ergo sic
citas. Subest etiam ut sit frigida, sed non praeferuntur secunda
primis. Vt autem umida sit, aquarum id adfinitate sortitur. Ergo
illud suum, istud alienum: suum, quod arida, alienum, quod umi
da. Auctor itaque naturae quod primo donauit hoc tenuit, quia
istud ex natura, illud ex causa. Ex principalibus igitur, non ex ac
cidentibus terrae debuit proprietas definiri, ut secundum praero-
gatiuam qualitatis eius informaretur nostra cognitio.
130 EXAMEHON, DIES I I I , SER. IV, c. 4, 18-19 - c. 5, 20-21
Caput V
20. Et uidit deus quia bonum Non praeterimus quia aliqui
nec in Hebraeo putant esse nec in ceteris interpretationibus quia
congregata est aqua in collectiones suas et apparuit arida^. Et
uocauit deus aridam terram et collectiones aquarum uocauit ma
ria'^. Cum enim dixerit deus quia factum est sic, satis esse putant
uocem operatoris ad celebratae operationis indicium. Sed quia in
aliis quoque creaturis habet et definitionem praeceptionis et repe
titura operationis uel indicium uel effectum, ideo nos non puta
mus absurdum id quod perhibetur additum, etiamsi ceteris inter
pretibus uel ueritas doceatur subpetere uel auctoritas; multa enim
non otiose a septuaginta uiris Hebraicae lectioni addita et adiunc-
ta comperimus.
21. Vidit ergo deus quia bonum mare. Etsi pulchra sit spe
cies huius elementi, uel cum surgentibus albescit cumulis ac uer-
c Gen 1, 10.
a Gen 1, 10.
>>Gen 1, 9 (Sept.).
=Gen 1, 10.
tino chiamiamo elementa in greco si chiamano , perch
si accordano armoniosamente fra loro
19. Siamo arrivati a parlare di questo perch la Scrittura
dice che Dio chiam la terra asciutto , cio perch us il nome
della sua caratteristica principale riferendosi ad ima propriet
della sua natura. Infatti la secchezza una propriet naturale per
la terra; e tale prerogativa le fu conservata. Sua caratteristica prin
cipale dunque la secchezza. I n secondo luogo essa anche fred
da, ma le qualit secondarie non prevalgono sulle principali. Che
essa sia umida, invece, dipende dallaffinit con l'acqua. Quella
qualit sua propria, questa d'altri: qualit sua propria quella
d'essere asciutta, qualit d'altri quella d'essere umida. Perci il
Creatore della natura rese stabile la qualit primieramente attri
buita perch questa dipende dalla natura, quella da unoccasione.
Quindi la propriet della terra doveva venir definita dalle sue ca
ratteristiche, principali, non da quelle accidentali, affinch la no
stra conoscenza si formasse in modo corrispondente alla sua qua
lit primaria.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 131
Capitolo 5
20. E Dio vide che era un bene. Non tacciamo che alcuni
pensano mancanti, sia nel testo ebraico sa nelle altre versioni,
le parole: L acqua si raccolse nei suoi bacini e apparve l'asciut
to *. E Dio chiam l'asciutto terra e la raccolta delle acque chia
m mari Infatti, poich Dio aveva detto: Cosi avvenne, pen
sano che sia sufficiente la parola del Creatore quale prova del com
pimento dell'opera. Ma siccome anche nel caso delle altre creature
la Scrittura riporta con precisione l'ordine e ripete l accenno al
lazione e al suo compimento, per questo noi non riteniamo fuori
di luogo l aggiunta tramandata, bench ci consti che tutti gli altri
interpreti sono veraci ed autorevoli; ben sappiamo infatti che mol
le aggiunte al testo ebraico non senza vantaggio sono state intro
dotte dai Settanta.
21. Dio vide dunque che il mare era un bene. Quantunque
questo elemento offra uno spettacolo magnifico o quando bian-
* Bas., Hexaem., 92A (38 C ): " (
. 11 verbo denominativo . dal significato di
avanzare in linea passa a quello di accordarsi con >; vedi C h a n t r a i n e ,
D/ ci. tym., sub noce.
Come si gi detto (I H . 2, 7, n. 2), il versetto fino alle parole e ap
parve l'asciutto > non si trova nella Vulgata e nel testo ebraico.
Bas., Hexaem., 88 D, 89 A {37 C): S ,
^

tv \ > .
Basiiio, che non conosceva l'ebraico, parla evidentemente per congettura
o suila testimonianza altrui. Gli interpreti cui allude sono verosimilmente
Aquila, Simmaco e Teodozione (Giet, op. cit., p. 264, nn. 1 e 2).
^Questa seconda parte si trova sia nella Vulgata che nel testo ebraico.
ticibus undarum et cautes niuea rorant aspargine uel cum aequo
re crispanti clementioribus auris et blando serenae tranquillitatis
purpurescentem praefert colorem, qui eminus spectantibus fre
quenter offunditur, quando non uiolentis fluctibus uicina tundit
litora, sed uelut pacificis ambit et salutat amplexibus quam
dulcis sonus, quam iocundus fragor, quam grata et consona re
sultatio , ego tamen non oculis extimatum creaturae decorem
arbitror, sed secimdum rationem operationis iudicio operatoris
conuenire et congruere definitum.
132 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, C. 5, 21-23
22. Bonum igitur mare, primum quia terras necessario suf
fulcit umore, quibus per uenas quasdam occulte sucum quendam
haut inutilem sumministrat, bonum mare, tamquam hospitium
fluuiorum, fons imbrium, diriuatio adluuionum, inuectio conmea-
tum, quo sibi distantes populi copulantur, quo proeliorum re*
mouentur pericula, quo barbaricus furor clauditur, subsidium in
necessitatibus, refugium in periculis, gratia in uoluptatibus, salu
britas ualetudinis, separatorum coniunctio, itineris conpendium,
transfugium laborantum, subsidium uectigalium, sterilitatis ali
mentum. Ex hoc pluuia in terras transfimditur, siquidem de mari
aqua radiis solis hauritur et quod subtile eius est rapitur: deinde
quanto altius eleuatur tanto magis etiam nubium obumbratione
frigescit et fit imber, qui non solum terrenam temperat siccita
tem, sed etiam ieiuna arua fecundat.
23. Quid enumerem insulas, quas uclut monilia plerumque
praetexit, in quibus ii qui se abdicant intemperantiae saecularis
inlecebris fido continentiae proposito eligunt mundo latere et
uitae huius declinare dubios anfractus? Mare est ergo secretum
temperantiae, exercitium continentiae, grauitatis secessus, portus
securitatis, tranquillitas saeculi, huius mundi sobrietas, tum fide
libus uiris atque deuotis incentiuum deuotionis, ut cum undarum
leniter adluentium sono certent cantus psallentium, plaudant in
sulae tranquillo fluctuum sanctorum choro, hymnis sanctorum
personent. Vnde mihi ut omnem pelagi pulchritudinem conprehen-
dam, quam uidit operator? Et quid plura? Quid aliud ille concen
tus undarum nisi quidam concentus est plebis? Vnde bene mari
cheggia per il sollevarsi della massa dacqua e delle onde che si
frangono, e gli scogli grondano di bianchi spruzzi, o quando, se
la sua superficie s'increspa dolcemente al soffio di venti pi miti,
presenta il cupo colore cangiante d'una serena bonaccia, che spes
so abbacina la vista di coloro che lo contemplano da lontano,
allorch non percuote i lidi airintomo con flutti violenti, ma quasi
li abbraccia e li saluta con amplessi apportatori di pace quale
dolce suono, quale giocondo scroscio, quale gradita e armoniosa
risonanza , tuttavia io penso che la bellezza di questa creatura
non sia stata valutata dal piacere che offre alla vista^ma piuttosto
definita del tutto corrispondente all'intenzione del Creatore in rap
porto alla ragione dell'opera creatrice.
22. I l mare dunque un bene anzitutto perch alimenta con
lumidit necessaria la terra, alla quale somministra occultamente
attraverso alcuni meati un succo non privo certo d'utilit; im
bene il mare perch il luogo di raccolta dei fiumi, la fonte delle
piogge, lo sfogo delle alluvioni, la via dei commerci. Mediante il
mare popoli lontani stabiliscono reciproche relazioni, si allontana
il pericolo, d guerre, si arresta il furore dei barbari; il mare
aiuto nelle necessit, rifugio nei periodi, attrattiva nel sollievo,
salute nella malattia, mezzo d'unione per i lontani, via diretta per
i viaggi, evasione per chi affaticato, riserva delle entrate, alimen
to nella carestia. Dal mare la pioggia si riversa sulla terra, poich
dal mare l'acqua viene assorbita dai raggi solari e ne vien fatta eva
porare la parte pi tenue; poi, quanto pi in alto sale, tanto pi
si raffredda, anche per l'ombra delle nubi, e si trasforma in piog
gia che non solo mitiga l'aridit del suolo, ma anche feconda i
campi sterili.
23. Perch enumerare le isole che spesso ci presenta come
gioielli*, dove coloro che con fermo proposito di mortificazione
rinunciano alle seduzioni dell'intemperanza mondana, scelgono di
rimanere nascosti al mondo e di evitare i tortuosi raggiri di questa
vita?*, I I mare dunque rifugio della temperanza, pratica della
mortificazione, recesso dell'austerit, porto di sicurezza, tranquil
lit nel secolo, frugalit nel mondo e ancora incentivo alla pre
ghiera per gli uomini fedeli e consacrati a Dio, cosi che il canto dei
loro salmi gareggia col mormorio delle onde che dolcemente si
infrangono sul lido e le isole plaudono con il quieto coro dei santi
flutti echeggiando degli inni dei fedeli. I n quale modo potrei de
scrivere compiutamente tutta la bellezza del mare come la con
templ il Creatore? Perch aggiungere parole? Che altro il canto
3 Bas., Hexaem., 92BC, 93AB (38DE, 39AB): l elogio del mare, para
frasato da S. Ambrogio. Per ieiunus, cf. Cic., Verr., V, 47, 84, e Vero,, Georg.,
U, 212.
* Bas., Hexaem., 93 B (39 C): S xal , &n -
m 6 oc^to{, Si *
.
* Cf. RvT. Nam., 439-542. Naturalmente i versi di Rutilio Namanziano,
mentre da un lato confermano il fatto, sia pure a distanza di trentann
(vedi ediz. a cura di E. Cast or ina, Sansoni, Firenze 1967, p. 161), dall'altro ne
diDDO una interpretazione opposta.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 133
plerumque comparatur ecclesia, quae primo ingredientis populi
agmine totis uestibulis undas uomit, deinde in oratione totius
plebis tamquam undis refluentibus stridit, cum responsoriis psal
morum cantus uirorum mulierum uirginum paruulorum consonus
undarum fragor resultat. Nam illud quid dicam, quod unda pec
catum abluit et sancti spiritus aura salutaris aspirat?
134 EXAMERON, DIES I I I , SER. IV, c. 5, 23-24; SER. V, c. 6, 25
24. Det nobis illa dominus: successuum flamine propero li
gno currere, tuto portu consistere, nequitiae spiritalis grauiora
quam ferre possumus temptamenta nescire, fidei ignorare nau
fragia, habere pacem profundam et, si quando aliquid sit, quod
graues nobis saeculi huius excitet fluctus, euigilantem pro nobis
habere gubernatorem dominum lesum, qui uerbo imperet, tem
pestatem mitiget, tranquillitatem maris r ef u n dat C u i est honoir
et gloria laus perpetuitas a saeculis et nimc et semper et in
omnia saecula saeculorum amen.
SERMO V
Caput VI
25. Discedente aqua conueniebat ut species terrae daretur et
gratia, ut inuisibilis et inconposita desineret esse. Nam plerique
etiam hoc dicimt esse inuisibile quod speciem non habet et ideo
accipiunt terram inuisibilem fuisse, non quia uideri non posset a
summo deo uel angelis eius nam adhuc homines creati non
erjmt uel etiam pecudes , sed quia sine sua specie erat. Species
autem terrae est germinatio et uiriditas agri. Vnde ut uisibilem
eam et compositam faceret deus, ait: Germinet terra herbam faeni
i Mt 8, 26; Lc 8, 24.
delle onde se non una specie di canto del popolo? Perci opportu
namente spesso si paragona al mare la Chiesa quando il popolo
entra in folla: dapprima ne riversa le ondate da tutti gli ingres
si*, poi, mentre i fedeli pregano in coro, scroscia come per il
rifluire dei flutti, allorch il canto degli uomini, delle donne, dei
fanciulli, a guisa di risonante fragore donda, fa eco nei responsori
dei salmi. Che dire dellacqua che lava il peccato, mentre spira
apportatore di salvezza il soffio dello Spirito Santo?
24. I l Signore ci conceda tutto questo: di navigare con pro
spero vento su una nave veloce, di fermarci in un porto sicuro,
di non conoscere da parte degli spiriti maligni tentazioni pi
gravi di quanto siamo in grado di sostenere, di ignorare i naufragi
della fede, di possedere una calma profonda e, nel caso che capiti
qualche avvenimento che susciti contro di noi i flutti di questo
mondo, di avere, vigilante al timone per recarci aiuto, il Signore
Ges il quale con la sua parola comandi, plachi la tempesta, stenda
nuovamente sul mare la bonaccia. A lui onore e gloria, lode, peren
nit dai secoli e ora e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 135
V SERMONE
Capitolo 6
25. Al ritirarsi dell'acqua era conveniente dare alla terra un
suo aspetto e una sua bellezza, perch non fosse pi invisibile e
informe. I nfatti molti dicono invisibile anche ci che non ha un
aspetto esteriore e intendono perci che la terra era invisibile
non perch non potesse essere vista dall'Altissimo e dai suoi an
geli fino a questo momento non erano stati creati gli uomini
, ma perch mancava d'un aspetto suo proprio. E l'aspetto della
terra dato dal germogliare e dal verdeggiare del suolo. Quindi,
per renderla visibile e ben ordinata, Dio disse: La terra germogli
* Cf. Vero., Georg., I I , 462: mane sautantum totis uomt aedibus undam.
Bas ., Hexaem., 93 C (39 E ): ...
, ^ *
, , .
11 tema della Chiesa cosi radicato e connaturale a S. Ambrogio che egli
ne avverte e ne rileva l'immagine con estrema facilit. Qui il rifluire dei
flutti e il fragore delle onde gli richiama il progressivo formarsi della comu
nit cristiana, il suo costituirsi in assemblea liturgica, che poi prega coral
mente nel canto responsorale. L'evidente fonte basiliana non pu rendere pu-
nunente letteraria la descrizione di S. Ambrogio, il pi musicede fra tutti 1
Padri della Chiesa , che raccomanda insistentemente di cantare >(E .T.
. Caglio, Lo t Jubilus e le origini della salmodia responsorale, J ucunda
Uudatio. San Giorgio Maggiore-Venezia, 1976-1977, p. 141, n. 321). Linvito al
ante ricorrer pi avanti e trover esemplo e incentivo in quello degli uccelli
che lo rinnovano surgente et occidente die (V, 12, 36). Cf. anche Explan.
fs. 1, 940; ps. 43, 24; ps. 118, 19, 30-32. Sul canto liturgico in sant'Ambrogio si
veda lo studio citato del Moneta Caglio (cf. p. 213, alla voce Ambro
). [I .B.]
seminans semen secundum genus et lignum fructiferum faciens
fructum secundum genus, cuius semen suum in ipso*.
26. Audiamus uerba ueritatis, quorum series salus est audien
tum. Prima enim illa uox dei singidis creaturis inpertita gignendis
lex naturae est, quae terris in omne aeuum remansit, futurae suc
cessionis datura praescriptum, quemadmodum uel generandi uel
fructificandi in reliquum usus adolesceret. Prima itaque germina
tio est, quando nascentia uidentur erumpere, deinde cum eruperit
et profecerit germen, fit herba; herba quoque ubi paululum pro
cesserit, fit faenum. Quam utilis, quam uehemens uox: Germinet
terra herbam faeni, hoc est ipsa per se germinet terra, nullum
alterius quaerat auxilium, non cuiusquam indigeat ministerio.
136 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 6, 25-27
27. Solent enim plerique dicere: Nisi dementior solis calor
tepefecerit terras et quodam modo radiis suis fouerit, non poterit
germinare terra. Et propterea gentes diuinum honorem deputant
soli, quod uirtute caloris sui terrarum penetrent sinus sparsaque
foueat semina uel rigentes gelu uenas arborum relaxet. Audi ergo
deum uelut hanc uocem emittentem: Conticiscat ineptus sermo
hominum, qui futurus est, facessat uana opinio. Antequam solis
fiat lunjin2u:e, herba nascatur, antiquior sit eius praerogatiua
quam solis. Ne error hominum conucdescat, germinet prius terra
quam fotus solis accipiat. Sciant omnes solem auctorem non esse
niiscentium. Dei clementia terras relaxat, dei indulgentia prorum
pere facit fructus. Quomodo sol uiuendi usum ministrat oriundis,
quando illa prius diuinae operationis muificatione sunt edita quam
sol in hos uiuendi usus ueniret? Iunior est herbis, iunior faeno.
Gen 1, 11.
erba da foraggio, producendo semenza secondo la propria specie
ed alberi fruttiferi che diano, ciascuno secondo la propria specie,
un frutto che abbia in se stesso il suo seme.
26. Ascoltiamo le parole della verit, la cui esposizione sal
vezza per chi le ascolta. I nfatti quella prima parola di Dio pro
nunciata per generare le singole creature legge di natura, stabil
mente valida per la terra*, cui avrebbe dato la norma del suo
futuro sviluppo, come cio in avvenire dovesse svilupparsi la pra
tica del generare e del produrre frutti. Quindi, prima si ha la ger
minazione, quando al loro nascere si vedono spuntare le pianti
celle; poi il germoglio, quando spuntato e cresciuto, diventa
erba; a sua volta l erba, quando im po cresciuta, diventa fieno.
Quanto fu utile, quanto fu energico quellordine! La terra germo
gli erba da foraggio, cio la terra germogli per suo conto, non
chieda l aiuto di nessun altro, non abbia bisogno dellassistenza
di nessimo.
27. Molti sono soliti dire: Se il calore del sole con gene
rosa benevolenza non riscalder da terra e, in un certo senso, non
la ristorer con i suoi raggi, essa non potr germogliare . E i
pagani tributano al sole un culto divino perch con la forza del
suo calore penetra nelle viscere della terra riscaldando le sementi
sparse o schiudendo le vene degli alberi irrigidite dal gelo. Ascolta
dunque Dio che pronuncia, per cosi dire, questa parola: Tacciano
gli stolti discorsi che gli uomini faranno in futuro, siano bandite
le vane opinioni*. Nasca l erba prima che sia creata la luce del
sole, la sua prerogativa sia pi antica di quella del sole. Perch
Terrore umano non acquisti credito, la terra germogli prima che
il sole la ristori . Sappiamo tutti che il sole non la causa di ci
che nasce. La bont di Dio schiude la terra, la sua compiacenza ne
fa uscire rigogliosi frutti. In che modo il sole somministra alle
piante i mezzi per vivere, dal momento che queste sono sorte per
lazione vivificante di Dio prima che il sole intervenisse a fornire
questi mezzi di vita? pi giovane dellerba, pi giovane del
fieno *.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 137
Bas., Hexaem., 96 A (40 A): H ,
, b(hitrco }) }).
* Bas., Hexaem., 96 AB (40 C);
tCv ,
Svouxiv , -
* ,
/ , ^ .
* Gli accenni polemici di S. Ambrogio sono rivolti contro' la religione
lolare di Mitra. Anitra, divinit indo-iranica, il dio della luce che dona la
fertilit al mondo e aiuta i suoi seguaci nella lotta contro il principio del
aule. I l suo culto, giunto a Roma nel 67 a. Cr. con 1 prigionieri cilici cattu
riti da Pompeo, ebbe una particolare diffusione nel I I I secolo e divenne
ufficiale sotto Aureliano come culto del sole (sol inuictus). Con la vittoria
di Teodosio su Eugenio, questo culto venne soppresso nel 394 a Roma, ma
loprawisse pi a lungo nella province, specie dOriente (cf. R. TuRCAN, Histoire
i ti religions, * Enc. de la Pliade , Gallimard, Paris 1972, I I , pp. 68-77).
Caput VI I
28. Et forte miretur aliqui, cur prius pecori pabulum quam
cibus homini sit creatus. In quo primum profundum dei debemus
aduertere, quod etiam minima quaeque non neglegat, sicut in
euangelio sapientia dei dicit: Respicite uolatilia caeli, quoniam
non serunt ncque metunt neque congregant in horrea, et pater
uester caelestis pascit illa: nonne uos pluris estis illis ? Cum enim
illa pascantur dei gratia, nemo sibi debet de sua industria et uir-
tute blandiri. Deinde quia simplicem uictum et naturalem cibum
reliquis cibis debuit anteferre. Hic enim sobrietatis est cibus, re
liqui deliciarum atque luxuriae, hic commimis omnibus animali
bus cibus, ille paucorum. Exemplum itaque frugalitatis, magiste
rium parsimoniae est herbae simplicis uictu holerisque uilis aut
pomi contentos esse omnes oportere, quem natura optulit, quem
liberalitas dei prima donauit. I lle salubris, ille utilis cibus, qui
morbos repellat, qui resecet cruditates, nullo hominum partus la
bore, sed diuino effusus munere, sine satione fruges, fructus sine
semine, tam dulcis et gratus, ut etiam repletis uoluptati atque usui
sit. Denique ad primas datus mensas ad secundas remansit.
138 EXAMERON, DIES , SER. V, C 7, 28-29
29. Quid autem creaturae huius adtexam miraculum et sa
pientiae operatricis exprimam argumentum? I n hac enim germi
num specie et illo uirentis herbae munere imago est uitae huma
nae et naturae condicionisque nostrae insigne quoddam spectatur
et speculum elucet. I lla herba et flos faeni figura est Ccimis huma
nae, sicut bonus diuinitatis interpres organo suae uocis expressit
dicens: Clama. Quid clamabo? Omnis caro faenum et omnis gloria
hominis ut flos faeni. Aruit faenum et flos decidit, uerbum autem
domini manet in eternum^. Dei sententia uox humana est. Deus
dicit: Clama, sed in ipso Esaia loquitur. I lle respondit: Quid cla
mabo? Et tamquam quid loqueretur audisset adiunxit: Omnis caro
faenum. Et uere; uiret enim gloria hominis in came quasi fae
num et quae putatur esse sublimis exigua quasi herba est. Prae
matura ut flos, caduca quasi faenum germinat uiriditatem in
specie, non in fructu soliditatem, hilarioris uitae quasi flos pa^
Mt 6, 26.
b Is 40,
Capitolo 7
28. Forse qualcuno potrebbe meravigliarsi perch sia stata
creata prima la pastura per gli ammali che il cibo per l uomo^.
In. ci noi dobbiamo rilevare la profondit del disegno divino che
non trascura anche le cose pi piccole, come nel Vangelo dice la
sapienza d Do: Guardate gli uccelli del cielo. Non seminano n
mietono n ammassano nei granai, e il Padre vostro celeste li nu
tre: e voi non siete da pi di quelli? Siccome quelli sono nutriti
dalla bont di Dio, nessuno deve compiacersi della propria atti
vit e della propria abilit. Dovette inoltre dare la precedenza al
vitto semplice e al cibo naturale rispett agli altri cibi. Questo
infatti il cibo che conviene alla frugalit, gli altri alla volutt e
alla mollezza; questo il cibo comune a tutti gli esseri vventi,
quello di pochi. Perci un esempio di frugalit, un insegna
mento di parsimonia che tutti debbano accontentarsi d'un vitto
di semplici erbaggi o di comune verdura o di frutti che la natura ci
offre, che la generosit di Dio per prima ci ha dato^. questo un
cibo salubre, un cibo utile perch tiene lontane le malattie ed eli
mina le digestioni difficili, un cibo ottenuto dagli uomini senza
fatica, ma offerto in abbondanza per dono divino, messi non se
minate, frutti non piantati, cosi dolce e gradito da recar piacere
e utilit anche a chi. gi sazio. Di conseguenza, servito in tavola
airinizio del pasto*, ritorna con le portate successive.
29. Ma perch dovrei aggiungere le meraviglie di questa crea
tura e ricavarne una prova della sapienza che l'ha creata? In
questo aspetto dei vegetali e in quellaspetto dell'erba verdeggian
te c' un'immagine della vita umana e si contempla come un sim
bolo della nostra natura e della nostra condizione che in essi si
rispecchiano luminosamente *. Quell'erba e il fiore del campo sono
un'immagine della carne umana, come un efficace interprete della
sapienza divina espresse con parole sue dicendo: Grida. Che cosa
devo gridare? Ogni carne come Verba e ogni gloria umana
come il fiore dell'erba. Lerba inaridisce e il fiore appassisce, ma
la parola del Signore dura in eterno. Queste parole di un uomo
sono pensiero di Dio. Do dice: Grida; ma lui che parla per
mezzo dello stesso Isaia. Questi rispose: Che cosa grider? e,
come se avesse inteso che cosa diceva Dio continua: Ogni uomo
come erba. E ben a ragione. Ogni gloria delluomo cresce vigo
rosa nella sua carne come l'erba. Precoce come il fiore, caduca
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 139
* Bas., Hexaetn., 96 B (40 D).
* Bas., Hexaetn., 96 BC
, 6> <. '0
, . ,
? ; &
6 1 , .
* Gli erbaggi figuravano nella gustatio (antipasto); cf. HOR., Sat., I I , 8, 7-9.
B as., Hexaem., 97C (41D):
, ,
oofoO 6...
tendens iocunditatem, breuiore spatio ocxasura sicut herba faeni,
quod priusquam euellatur arescit Quae enim firmitudo in carne,
quae salubritas potest esse diuturna?
140 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, C. 7, 29-30
30. Hodie uideas adulescentem ualidum, pubescentis aetatis
uiriditate florentem, grata specie suauique colore: crastina die
tibi faciem et ora mutatus occurrit et qui pridie tibi lautissimus
decorae formae uisus est gratia alio die miserandus apparet aegri
tudinis alicuius infirmitate resolutus. Plerosque aut labor frangit
aut inopia macerat aut cruditas uexat aut uina corrumpunt aut
senectus debilitat aut euiratos deliciae reddunt, luxuria decolorat.
Nonne uerum est quia aruit faenum et flos cecidit? Alius auis
atauisque nobilis et maiorum honestatus infulis, prosapiae ueteris
clarus insignibus, amicis abundans, stipatus clientibus et utrum
que latus tectus, producens maximam ac reducens familiam, re
pente aliqua accidentis periculi mole turbatus destituitur ab om
nibus, a sodalibus derelinquitur, inpugnatur a proximis. Ecce ue
rum est quia sicut faenum uita hominis, priusquam euellatur,
arescit. Est etiam qui dudum ubertate affluens copiarum, libera-
litatis fama per ora uolitans singulorum, clarus honoribus, prae-
minens potestatibus, tribunalibus celsus, solio sublimis, beatus
populis aestimatus, dum praeconum clamore deducitur, subita
rerum conuersione in eum carcerem rapitur, quo alios ipse detru
serat, et inter reos suos inminentis poenae deflet aerumnam.
Quantos pridie caterua plaudentiuin et inuidiosa frequentis populi
domum pompa deduxit: et nox una gloriosae illum splendorem
deductionis aboleuit ac repentinus lateris dolor effusis gaudiis
luctuosam grauis successionem maeroris admiscuit. Huiusmodi
igitur est gloria hominis sicut flos faeni, quae etiam cum defer
tur nihil operibus adiungit, in qua nullus fructus adquiritur et,
c Ps 128, 6.
come il fieno, produce una vegetazione rigogliosa a vedersi, ma
non frutti consistenti; come un fiore ostenta l'allegrezza d'una vita
senza pensieri, ma destinata ad una rapida fine come il fieno
che, ancor prima desser strappato, inaridisce. Quale robustezza,
quale salute nella carne pu essere duratura?
30. Oggi tu potresti vedere un giovane robusto, nel pieno
vigore della sua fresca et, gradevole nellaspetto, piacevolmente
roseo nel volto. Allindomani ti si presenta trasformato nel viso
e nellaspetto: quello che il giorno prima ti era parso uno splen
dore per il fascino della sua bellezza, il giorno dopo ti offre uno
spettacolo miserando, prostrato com dallo sfinimento duna ma
lattia. Molti sono quelli che o fiacca la fatica o consuma la povert
0 tormenta il mal di stomaco o degrada il vino o debilita la vec
chiezza o rinfrolliscono le dissolutezze o la lussuria sfigura. Non
vero che il fieno si disseccato e il fiore appassito? Un altro,
nobile per lunga serie di antenati illustre per le cariche dei suoi
maggiori, famoso per i trofei dunantica stirpe, pieno damici,
circondato da ogni parte da una folla di clienti, con una moltitu
dine di chiavi che escono con lui e lo accompagnano a casa, ad
un tratto, se travolto dal peso duna disgrazia imprevista, ecco
che viene evitato da tutti, abbandonato dagli amici, attaccato da
coloro che prima gli erano pi vicini. un fatto che, come fieno,
la vita umana inaridisce prima di essere sradicata. C anche chi,
mentre pur dianzi era colmo di ricchezze, stava sulla bocca di
tutti per la fama della sua generosit, era illustre per le cariche
ricoperte, superiore agli altri per i suoi poteri, sedeva in alto sulla
tribuna dei magistrati troneggiando sul suo seggio, era stimato
felice quando ancora il banditore gli faceva strada con le sue
grida, per un improvviso mutamento politico viene trascinato in
quel carcere dove egli aveva cacciato gli altri e, tra quelli accusati
da lui, piange per il tormento deHimminente condanna. Quanti il
giorno precedente furono accompagnati a casa da una schiera
plaudente e da un corteo invidiabile di folla: ed una sola notte
distrusse lo splendore di quella scorta vanitosa e unimprovvisa
fitta al fianco uni alla gioia sconfinata il funesto avvicendarsi
d'una grave afflizione '. Tale dunque la gloria delluomo: come
il fiore dellerba, perch, anche quando viene concessa, non ag
giunge nulla alle nostre opere, non acquista alcun frutto e, quan
do si perde, svanisce lasciando ad un tratto completamente vuota
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 141
Cf. Ve r o ., Aen., VI I , 56: Turnus auis atausque potens.
Cf. Sall., / Mg., 85, 10: ... hominem ueteris prosapiae ac multarum ima-
finum.
Cf. Enn., (Var., 18 Vahlen) in Cic., Tusc., I , 34: ... uolito uiuos per ora
uirum.
Cf. Cic., De fin., I , 11, 37: sic in omni re doloris amotio successionem
efficit uoluptatis. Cf. anche Lucil., 1314 Marx (Enn, 622, Vahlen) apud Mak.
Vicr., p. 276, 13 K: Tum lateralis dolor certissimus nuntius mortis.
cum amittitur, euanescit omnem scaenam hominis et quam de
super obumbrabat repente destituens et quam intus animabat.
31. Atque utinam imitaremur hanc herbam, de qua ait domi
nus: Germinet terra herbam faeni seminans semen secundum
genus et secundum similitudinem'^. Seminemus igitur semen se
cundum genus. Quod sit genus audi dicentem oportere nos quae
rere illud diuinum, si quo modo illud tractare possimus aut in-
uenire, quamuis non longe sit ab unoquoque nostrum. I n ipso
enim uiuimus et sumus et mouemur, sicut quidam inquit uestrum
dixerunt: cuius et genus s u m u s Secundum hoc genus semine
mus semen non in carne, sed in spiritu. Non enim carnalia, sed
spiritalia semina seminare debemus qui ad uitam perueriire uo-
lumus aeternam. Quae sit autem similitudo non ignoras, qui ad
imaginem et similitudinem dei factus es. Herba generi respondet
suo: tu non respondes generi tuo. Tritici granum sparsum terrae
generis sui gratiam reddit; et tu degeneras. Fruges non adulterant
sui sinceritatem seminis: tu adulteras puritatem animae, uigo-
rem mentis, corporis castitatem.
32. Non agnoscis opus esse te Christi? Manibus suis ut le
gimus te ille formauit: et tu, Manichee, alterum tibi asciscis auc
torem. Pater deus dicit ad filium: Faciamus hominem ad imaginem
et similitudinem nostram : et tu, Photiniane, dicis quia in consti
tutione mundi adhuc non erat Christus et tu, Eunomiane, dicis
quia dissimilis est patri filius. Nam si imago, non dissimilis utique,
sed totum exprimens patrem, quem pater substantiae suae unitate
signauit. Pater dicit faciamus: et tu cooperatorem negas. Quod
dixit pater filius fecit: et tu aequalem negas, in quo conplacuit
pater *>.
142 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, C. 7, 30-32
d Gen 1, 11.
<=Act 17, 27-28.
f 1 Cor 9, 11.
* Gen 1, 26.
h Mt 3, 17.
la scena deirazione umana, sia quella che dall'alto essa proteggeva
con la sua ombra sia quella cui dava vita dall'interno
31. E magari imitassimo quellerba di cui dice il Signore:
Germogli la terra erba da foraggio, producendo semenza secondo
la propria specie e somiglianza. Seminiamo dunque il seme se
condo ciascuna specie. Quale sia questa specie, ascolta chi dice
necessario per noi cercare quella divina, se in qualche modo pos
siamo trovarla come a tastoni, sebbene non sia lontana da cia
scuno di noi. I n lui infatti viviamo e siamo e ci muoviamo, come
alcuni di voi dissero: di cui siamo anche stirpe Secondo questa
specie seminiamo il seme non nella carne, ma nello spirito. Dob
biamo seminare non semi carnali, ma spirituali, noi che vogliamo
giungere alla vita eterna. Di quale somiglianza si tratti, ben lo sai,
tu che sei stato creato ad immagine e somiglianza di Do, L'erba
corrisponde alla sua specie, tu non corrispondi alla tua. I l chicco
di grano sparso per terra riproduce le buone qualit della propria
specie, tu invece degeneri. Le messi non corrompono la pura qua
lit del loro seme; tu invece corrompi la purezza della tua anima,
il vigore della tua mente, la castit del tuo corpo.
32. Non riconosci che sei opera di Cristo? Egli, come leggia
mo, ti ha plasmato con le sue mani: e tu. Manicheo, ti attribuisci
un altro creatore. Iddio Padre dice al Figlio: Facciamo l uomo a
nostra immagine e somiglianza; e tu, o Fotiniano , affermi che
alla creazione del mondo non esisteva ancora Cristo e tu, o Euno-
miano, affermi che il Figlio non uguale al Padre. Se infatti egli
ne l'immagine, non certo diverso da lui, ma riproduce intera
mente il Padre che gli ha impresso il sigillo dell'unit della sua
sostanza. I l Padre dice: Facciamo; e tu neghi ch'egli abbia coope
rato con lui. I l Figlio ha fatto ci che ha detto il Padre; e tu neghi
che gli sia uguale il Figlio nel quale egli si compiaciuto.
I SEI GIORNI DELIJ V CREAZIONE 143
I l passo non troppo chiaro. Mi sembra che S. Ambrogio voglia dire
che la gloria da un lato costituisce una protezione per chi la possiede (cf.
Verg., Aen., XI, 223: et magnum reginae nomen obumbrat), daU'altro sti
molo per i protagonisti della commedia umana. Quando essa svanisce, si
crea II vuoto.
, B as ., Hexaem., 100 A (41 E, 42 A): concetti analoghi a quelli esposti
da S. Ambrogio.
: citazione da Arato {PhaevL, 5), contenuta in
Atti, 17, 28.
Fotino, discepolo di Marcello di Ancira in Galazia e suo compatriota,
divenne vescovo di Sirmio tra la fine del 343 e il principio del 344. Pi volte
condannato come eretico, fu deposto nel 351. Dopo un breve ritorno di for
tuna dovuto alla protezione di Giuliano l'Apostata, dal 364 visse in esilio e
mori nel 376. Per Fotino Cristo non che un uomo uguale agli altri, salvo
che per la sua nascita miracolosa e per le sue virt. Nega che il Verbo abbia
una sussistenza personale prima di discendere nel Cristo {Dct. Thol. Cath.,
XII, 2, 1532-1536.
Caput V I I I
33. Germinet inquit terra herbam faeni secundum genus. In
omnibus quae dicuntur nascentia terrae primum germen est. Vbi
se paululum sustulerit, fit herba, postea faenum, inde fit fructus.
Sunt nascentia quae de radice germinant, ut arbores quae non sunt
satae ex aliarum arborum radice nascuntur. In harundine uidemus
quomodo in extremo eius uelut quidam fit nodus e latere et inde
alia harundo germinat. Est ergo in radice uis quaedam seminarii.
Insitiua quoque in superioribus germinant. Aliis ergo a radice, aliis
diuerso munere series successionis adquiritur. Inest enim nascen
tibus singulis aut semen aut uirtus aliqua seminaria et ea secun
dum genus, ut quod nascitur ex ea simile eorum quae sata sunt
uel quorum de radice sit germinet, de tritico triticum, de milio
miliimi; de pyro pyrus albo flore prorumpit, castanea quoque sur-
git de radice castaneae.
144 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 8, 33-34
34. Germinet inquit terra herbam faeni secundum genus. Et
continuo parturiens terra nouos se fudit in partus et induit se
amictu uiriditatis, gratiam fecunditatis adsumpsit diuersisque
compta germinibus proprios suscepit ornatus. Miramur quod tam
cito generauerit: quanto maiora miracula sunt, si spectes singula,
quemadmodum uel iacta in terram semina resoluantur ac, nisi
mortua fuerint, nullum fructum adferant, si uero fuerint quadam
sui morte resoluta, in uberiores fructus resurgant. Suscipit igitur
granum tritici putris glaeba et sparsum cohibet occatio ac uelut
materno terra gremio fouet et conprimit. Inde cum se granum
illud resoluerit, herbam germinat grata ipsa iam species herbe-
scentis uiriditatis, quae statim genus satiui similitudine sui prodit,
ut in ipso s.uae stirpis exordio cuius generis herba sit recognoscas
atque in herbis fructus appareat: paulatimque adolescit ut fae
num culmoque pubescens erigitur et adsurgit. Ast ubi se genicu-
Capitolo 8
33. Germogli la terra, disse, erba da foraggio secondo la pr-
pria specie. In tutti i cosiddetti vegetali airinizio c' il seme.
Quando questo un po' cresciuto, diventa erba, poi fieno, quindi
frutto ^ Vi sono vegetali che si sviluppano da una radice, come,
per esempio, nascono dalla radice di altri alberi quelli che non
sono stati piantati. Nella canna vediamo che all'estremit si forma
lateralmente ima specie di nodo e di li spunta un'altra canna.
Esiste dimque nella radice la potenza generativa come d'un vivaio.
Anche le piante innestate germogliano nella parte superiore. Al
cuni vegetali ottengono la continuit riproduttiva dalla radice, al
tri con diverso procedimento. Ciascun vegetale ha in s o il seme
0 una qualche capacit riproduttiva e questa secondo la propria
specie, sicch ci che ne nasce si sviluppa in tutto simile o alle
piante seminate o a quelle dalla cui radice deriva: dal grano il
grano, dal miglio il miglio; dal pero nasce rigoglioso il pero con i
suoi candidi fiori; anche il castagno sorge dalla radice del ca
stagno.
34. Germogli la terra, disse, erba da foraggio secondo la pro
pria specie. E subito la terra germogliando* si effuse nella vege
tazione novella e si rivesti di verzura, ricevette il dono della fecon
dit e, adorna di nuovi germogli, ebbe l acconciatura che le si
addiceva. Ci meravigliamo che la terra sia riuscita a produrre cosi
in fretta; a considerarli singolarmente, quanto maggiori prodigi
si trovano: come, per esempio, i semi gettati nel terreno si de
compongano e, se non muoiono, non diano frutto; se invece si de
compongono, per cosi dire morendo, rivivano in frutti pi abbon
danti. La zolla rammollita accoglie il chicco di frumento e l'er
pice ve lo trattiene una volta sparso e la terra lo riscalda e strin
ge come nel suo seno materno. Quindi, quando quel chicco si sar
decomposto, il gradevole aspetto d'un filo verdeggiante si tra
sforma in erba^ che subito rivela la sua specie attraverso la somi
glianza con la pianta da cui deriva, cosicch fin dairinizio della
sua crescita tu riconosci di quale specie sia quell'erba e gi vi
si intravede il frutto: un po' alla volta cresce come il fieno e svi-
1 SEI GIORNI DELJ LA CREAZIONE 145
1 Bas., Hexaem., 100 B (42 B): H
xai . ,
^ ^, 6 ,
^.
* Cf. Verg., Georg., 11, 330: parturit almus ager.
3 Cf. Verg;, Georg., I , 144: et Zephyro putris se glaeba resoluit.
* Cf. Cic., De sen., 15, 51: Quamquam me quidem non fructus modo, sed
etiam ipsius terrae uis ac natura delectat; quae cum gremio mollito ac su
baeto sparsum semen excepit, primum id occaecatum cohibet ex quo occa
catio quae hoc efficit nominata est , dein tepefactum uapore, compressu
suo diffundit et elicit herbescentem ex eo uiriditatem.
Vedi anche Bas., Hexaem., 100 BC (42 BC).'Orocv
, ,
^ , -
lata iam spica sustulerit, uaginae quaedam futurae frugi parantur,
in quibus granum formatur interius, ne tenera eius primordia aut
frigus laedat aut solis aestus exurat aut uentorum inclementia uel
imbrium uis saeua decutiat. Succedunt quidam ordines spicae mi
rabili arte formati uel ad speciem grati uel ad tutamen nexu quo
dam inter se naturalis conligationis adstricti, quam prouidentia
diuina formauit. Et ne frugis nimierosioris pondere uelut quae
dam cedat fultura culmorum, uaginis quibusdam ipse culmus in
cluditur, ut geminatis uiribus frugem possit multiplicem sustine
re, ne inpar oneri curuetur in terram. Tum supra ipsam spicam
uallum struitur aristarum, ut quasi quadam in arce praetendat,
ne auium minoruin morsibus spica laedatur aut suis exuatur fruc
tibus aut uestigiis proteratur.
146 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 8, 34-36
35. Quid dicam quemadmodum clementia dei humanae pro
spexerit utilitati? Faeneratum terra restituit quod acceperit et usu
rarum cumulo multiplicatum. Homines saepe decipiunt et ipsa
faeneratorem suum sorte defraudant, terra fidelis manet et si
quando non soluerit, si forte aduersata fuerit frigoris inclementia
aut nimia siccitas aut inmensa uis imbrium, alio anno superioris
anni damna conpensat. Ita et, quando prouentus spem destituit
agricolae, nihil terra delinquit et, quando arridet, ubertas fecun
dae' matris se in partus efhindit, ut numquam ullum dispendium
suo inferat creditori.
36. Quae uero species pleni agri, qui odor, quae suauitas,
quae uoluptas agricolarum! Quid digne explicare possimus, si no
stro utamur adloquio? Sed habemus scripturae testimonia, quibus
agri suauitatem benedictioni et gratiae sanctorum aduertimus com
paratam dicente sancto Isaac; Odor filii mei odor agri pleni . Quid,
igitur describam purpurescentes uiolas, candida lilia, rutilantes
rosas, depicta rura nunc aureis, nunc uariis, nunc luteis floribus,,
in quibus nescias utrum species amplius florum an uis odora de
lectant? Pascuntur oculi grato spectaculo, longe lateque odor spar
gitur, cuius, suauitate complemur. Vnde digne dominus ait: Et
Gen 27, 27.
luppandos si erge e si leva diritta sullo stelo. Ma quando la spiga
nodosa ormai cresciuta, si costituiscono come degli involucri per
la futura messe, dentro i quali si forma il chicco, perch il freddo
non danneggi i suoi teneri inizi o il calore del sole lo bruci o
l'inclemenza dei venti o la forza impetuosa delle piogge lo fac
cia cadere . Si formano quindi le infiorescenze della spiga, dispo
ste con mirabile arte, attraenti a vedersi, strette fra loro, per aver
ne protezione, da una specie d'intreccio di legamenti naturali pre
disposti dalla Provvidenza divina. E perch per i l peso dei chicchi
troppo numerosi non venga meno il sostegno degli steli, lo stesso
stelo come rivestito da tuniche, in modo che possa con raddop
piata resistenza sostenere il proprio frutto molteplice e non si
curvi a terra vinto dal peso. Quindi sopra la stessa spiga si dispo
ne fitto fitto uno steccato di ariste, in modo che, come in una for
tezza, costituisca una difesa, affinch la spiga non riceva danno
dalle beccate degli uccelletti o sia depredata dei frutti o venga
calpestata
35. Perch raccontare come la bont di Dio ha provveduto
aU'utilit degli uomini? La terra restituisce ad usura ci che ri
ceve e lo moltiplica con il cumulo degli interessi. Gli uomini spesso
imbrogliano defraudando dello stesso capitale chi lo ha loro pre*
stato; la terra invece resta fedele e, se talora non ha pagato, se
per caso ha avuto contrari l'asprezza del freddo o la troppa sic
cit o l'eccesso delle piogge, l'anno successivo compensa le per
dite di quello precedente. Cosi, quando il raccolto delude la spe
ranza del contadino, la terra non ne ha colpa, e quando la sta
gione favorevole la fertilit di questa madre feconda riversa i
suoi prodotti con una tale abbondanza da non causare mai alcima
perdita al suo creditore.
36. Ma quale spettacolo quello di un campo in pieno ri
goglio, quale profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i
contadini! Come potremmo spiegarlo degnamente con le nostre
parole? Ma abbiamo la testimonianza della Scrittura dalla quale
vediamo paragonata la bellezza della campagna alla benedizione
e alla grazia dei santi, quando Isacco dice: L odore di mio figlio
l'odore dun campo rigoglioso. Perch descrivere le viole dal
cupo colore purpureo, i candidi gigli, le rose vermiglie, le cam
pagne tinte ora di fiori color d'oro ora variopinti ora color giallo
zafferano, nelle quali non sapresti se rechi maggior diletto il co
lore dei fiori o il loro profumo penetrante? Gli occhi si pascono
di questa gradevole visione e intorno ampiamente si sparge il pro
fumo che ci riempe del suo piacevole effluvio. Perci giustamente
Cf. Ver g., Georg., I , 92-93: ne ienues pluuiae rapidiue potentia solis /
acrior aut Boreae penetrabile frigus adurat; Bue., VI , 33-34: ut his exordia
primis / omnia et ipse tener mundi concreuerit orbis.
* Bas., Hexaem., 100 D, 101A (42 DE): Dopo aver descritto la costitu-
iione della spiga, prosegue: Ev S -
*
dxtai .
Cf. Luor., I I , 32-33: cum tempestas adridet et anni / tempora consper-
iuht uiridahtis floribus herbas.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 147
species agri mecum est i. Cum ipso est enim quam ipse formauit;
quis enitn alius artifex posset tantam rerum singularum exprimere
uenustatem? Considerate lilia agri<^, quantus sit candor in foliis,
quemadmodum stipata ipsa folia ab imo ad summum uideantur
adsurgere, ut scyphi exprimant formam, ut auri quaedam species
intus effulgeat, quae tamen uallo in circuitu floris obsaepta nulli
pateat iniuriae. Si quis hunc florem decerpat et sua soluat in folia,
quae tanti est artificis manus, quae possit lilii speciem reformare?
Quis tantus imitator naturae, ut florem hunc redintegrare prae
sumat, cui dominus tantum testimonium tulit, ut diceret: Nec
Solomon in omni gloria sic uestiebatur sicut unum ex istis <^7 Rex
opulentissimus et sapientissimus inferior iudicatur quam huius
floris est pulchritudo.
148 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 8, 36-37 - c. 9, 38
37. Quid enumerem sucos herbarum salubres, quid uirgulto-
rum ac foliorum remedia? Ceruus aeger ramusculos oleae mandit
et sanus fit. Lucustas quoque folia oleae adrosa liberant ab aegri
tudine. Rubi folia superiacta serpenti interimunt eum. Culices non
tangent te, si absenti herbam cum oleo coquas et eo te perunxeris.
Caput I X
38. Sed forte dicant aliqui: Quid quod cum utilibus etiam
letalia et perniciosa generantur? Cum tritico conium, quod inter
alimenta uitae noxium repperias et, nisi praeuisum fuerit, consue
uit saluti nocere. Inter alia quoque nutrimenta uitae elleborus de
prehenditur. Aconita quoque fallunt frequenter et decipiunt col
ligentem. Sed hoc ita est ac si reprehendas terram, quia non omnes
homines boni. Sed quod plus est accipe quia non omnes boni an
geli in caelo. Sol ipse prae himio calore spicas trrt, adurit au
tem gignentium prima exordia. Luna quoque uiantibus iter mon
strat, latronum prodit insidias. Num igitur dignum est, ut in his
b Ps 49, 11.
c Mt 6, 28.
<* Mt 6, 29.
il Signore dice: E la bellezza del campo con me. con lui, per
ch ne l'autore: quale altro artefice infatti avrebbe potuto espri
mere una cosi grande bellezza nelle singole creature? Considerate
i gigli del campo, quale sia il candore dei loro petali, come questi,
luno stretto allaltro, si rizzino dal basso verso l'alto in modo da
riprodurre la. forma d'un calice, come nell'interno di questo'ri
splenda quasi un bagliore doro che, difeso tuttintorno dalla pro
tezione dei petali, non esposto ad alcuna offesa. Se si cogliesse
questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di artista
sarebbe cosi abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno sa
prebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di
ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento
cosi eccezionale da dire: Nemmeno Salomone in tutta la sua glo
ria vestiva come uno di questi. Un sovrano ricchissimo e sapien
tissimo giudicato da meno della bellezza di questo fiore.
37. Perch enumerare i succhi curativi delle erbe, i medica
menti ricavati dai virgulti e dalle foglie? I l cervo ammalato ma
stica ramoscelli d'ulivo e ritorna sano. Anche le locuste si libe
rano delle indisposizioni rodendo le foglie dell'ulivo. Le foglie
del rovo gettate su un serpente lo uccidono . Le zanzare non ti
toccheranno, se cuocerai con olio l'erba dell'assenzio e ti ungerai
ben bene con questa mistura.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 149
Capitolo 9
38. Ma alcuni forse potrebbero obiettare: Perch allora con
le piante utili nascono anche quelle mortali e velenose? Insieme
al grano, la cicuta che, nociva com', potresti trovare fra le
piante commestibili e che, se non te ne guardi in tempo, soli
tamente nuoce alla salute. Tra le altre piante che ci nutrono si
trova anche l'ellboro. Anche l'acnito di frequente passa inos
servato ed inganna chi lo raccoglie *. Ma questo come un rim
proverare la terra perch non tutti gli uomini sono buoni. Ascolta
per un fatto ancor pi sorprendente: non tutti gli angeli in cielo
furono buoni. Anche il sole per l'eccessivo calore brucia le spi
ghe e dissecca i primi germogli delle piante. Anche la luna mostra
la strada ai viandanti, ma provoca le insidie dei malfattori*.
' Cf. PuN., N.H., XXIV, 73, 117: Nec rubos ad maleficia tantum genuit
natura . . . Aduersantur serpentium sceleratissimis.
Cf. Pl i n ., N.H., XXVII , 28, 52: Culices ex oleo perunctis abigit et fumo,
si uratur.
* Bas., Hexaem., 101 B (43 A): Kal
* ^
6(<; 6 .
Cf. I w., XI I I , 23-24: Quae tam festa dies, ut cesset prodere furem, per-
iidiam, fraudes atque omni ex crimine lucrum...'} Cf. anche, sebbene il con
cetto sia in parte diverso, Se c v n d i, Sent. in Frg. Phil. Graec., I , 518, 30: Quid est
luna? ... malefactorum reuelatrix, itinerantium solamen, nauigantium direc
tio...: vedi anche I, 516, 514: malefactorum inimica, e 513, 524:
quae utilia sunt posthabentes conditoris gratiam confiteri propter
aliqua alimentorum noxia creatoris prospicientiae derogemus,
quasi uero omnia gulae causa debuerint procreari aut exigua sint
quae uentri nostro diuina indulgentia ministrauerit? Definitae no
bis escae sunt et notae omnibus, quae et uoluptatem generent et
corporis salubritatem.
39. Singula autem eorum quae generantur e terris specialem
quandam rationem habent, quae pro uirili portione conplent uni-
uersae plenitudinem creaturae. Alia ergo esui, alia alii nascuntur
usui. Nihil uacat, nihil inane germinat terra. Quod tibi putas inu
tile aliis utile est, immo ipsi tibi frequenter alio est usu utile.
Quod escam non adiuuat medicinam suggerit, et saepe eadem quae
tibi noxia sunt auibus aut feris innoxium ministrant pabulum. De
nique sturni uescuntur conium, nec fraudi est eis, quoniam per
qualitatem sui corporis uenenum suci letalis euadunt. Frigida enim
uis eius est suci, quam subtilibus poris in cordis sui sedem du
centibus praecoci digestione praeueniunt, priusquam uitalia ipsa
pertemptet. Elleborum autem periti locuntur escam esse et alimo
niam coturnicum, eo quod naturali quodam temperamento sui cor
poris uim pabuli nocentis euitent. Etenim si ratione medicinae
plerumque ad salubritatem humani quoque corporis temperatur,
cui uidetur esise contrarium, quanto magis proprietate naturae ad
cibos proficit quod medica manu conuertitur ad salutem. Per man-
dragoram quoque somnus frequenter accersitur, ubi uigiliarum
aegri affectantur incommodo. Num quid de opio loquar, quod
etiam nobis cotidiano prope usu innotuit, quoniam dolores eo
grauissimi internorum saepe uiscerum sopiuntur? Nec illud prae-
150 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, C. 9, 38-39
forse giusto dunque che, trascurando di riconoscere 'la bont del
Creatore davanti a questi doni che ci sono utili, iimitiamo la sua
provvidenza per causa di qualche alimento nocivo, come se tutto
si fosse dovuto creare per appagare la nostra gola o siano pochi
gli alimenti che la bont divina ha procurato al nostro ventre?
Sono tati stabiliti per noi e sono noti a tutti i cibi che danno pia
cere e giovano alla salute.
39. Ma ogni pianta che nasce dalla terra ha una sua partico
lare ragione, dato che ciascuna, per quanto sta in essa, contribui
sce alla perfezione di tutto il creato. Alcune servono per il cibo,
altre per altri usi. Quella che tu credi inutile per te, utile ad
altri; anzi spesso utile anche a te per im uso diverso. Quella
che non serve per il cibo, ci fornisce il medicamento, e spesso
le medesime piante, nocive per te, offrono una pastura innocua
agli uccelli e agli animali. Basti dire che gli stomi mangiano
la cicuta senza averne danno, perch per la natura del loro corpo
scampano al veleno d quel succo mortale. I nfatti quel succo
possiede una potenza d gelo, che, per mezzo di sottili condotti
che portano dove si trova il cuore, essi neutralizzano con una
digestione precoce, prima che agisca anche sugli organi vitali.
Quanto aHellboro, gli esperti dicono che cibo d cui si nutrono
le quaglie, perch per effetto della naturale complessione del loro
corpo evitano l'effetto nocivo di quell'alimento^. Se a scopo cu
rativo si fanno pozioni di questa pianta per ridare salute allo
stesso corpo umano cui dannosa, quanto pi per le sue pro
priet naturali giova a fornire nutrimento ci che la mano del
medico sa rendere salutare! Anche per mezzo della mandragora
spesso si provoca il sonno quando gli ammalati sono tormentati
dairinsonnia Dovrei forse parlare dell'oppio che anche noi ab
biamo imparato a conoscere per l'uso che ne facciamo quasi
ogni giorno perch sopisce spesso atroci dolori intestinali? N
ci ignoto che per effetto della cicuta spesso i furori della lus
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 151
9. Dello stesso autore, vissuto probabilmente ai tempi di Adriano, Am
brogio sembra ricordarsi anche a IV, I, 2, dove parla del sole.
^Bas., Hexaem., 101 C {43 B C ): " S oiSv , -
. " *
' .
,
. -
, ^ *
.
* Bas., Hexaem., 101D (43 C): 8 ^,
6> . Cf. Plin., . ., X, 72, 197: Venenis ca
preae et coturnices, ut diximus, pinguescunt; vedi anche X, 23, 69: Coturni
cibus ueneni semen gratissimus cibus.
Bas., Hexaem., 101D (43D ):
. Cf. PUN., . ., XXV, 94, 150: Vis somnifica pro utribus biben
tium; media potio cyathi unius.
* Bas., Hexaem., 101 D (43 D): &(< &
. Cf. Plin., NJ i., XX, 76, 199: non ui soporifera modo, uerum,
si copiosior hauriatur, etiam mortifera per somnos.
terit, quod condo plerumque furores libidinum marcuerunt et
elleboro uetustae passiones aegri corporis sunt solutae.
40. Non solum igitur nulla in his reprehensio creatoris, sed
etiam incrementum est gratiarum, siquidem quod ad periculum
putabas esse generatum ad remedia tibi salutis operetur. Nam et
id quod periculi est per prouidentiam declinatur et id quod salu
tis per industriam non amittitur. An uero oues et caprae ea quae
sibi noxia sunt declinare didicerunt et <non>solo odore per quod
dam naturae'mysterium, cum sint rationis expertes, rationem ta
men euadendi periculi uel tuendae salutis agnoscunt noxiaque pa
riter ac profutura distinguunt, ita ut plerumque, cum armata ue-
nenis tela senserint, notas petere herbas atque his remedium uul-
neri dicantur adhibere? Cibus illis ergo medicina est, ut resilire
sagittas uideas ex uulnere, fugere uenena, non serpere. Denique
ceruis cibus uenenum est: coluber ceruum fugit, leonem interficit:
draco helefantum ligat, cuius ruina mors uictoris est. Et ideo sum
ma ui utrimque certatiu*, ille ut pedem alliget, in quo casus uincti
sibi nocere non possit, iste ne posteriore extremus pede aut calle
capiatur angusto, ubi uel ipse se non queat retorquere et draconem
graui protegere uestigio uel sequentis elefanti auxilium non habere.
152 EXAMERON, DIES I I I , SEK. V, c. 9, 3941
41. Ergo si inrationabilia animalia norunt quibus sibi aut me
dicentur herbis aut subsidiis opem adferant, homo nescit, cui ra
tionabilis sensus innascitur, aut tam alienus a uero est, ut quae
cuique apta sint usui minime deprehendat, aut ita naturae ingra
tus bonis, ut quoniam taurini haustus sanguinis letalis est homini,
propterea'laboriosum putet animal aut nasci non debuisse aut
sine sanguine debuisse generari, cuius uirtus ad cultum agrorum
suria hanno perdu to ogni l or o violenza per effetto deU'ellboro
scompaiono malanni radicati in un cor po in fer mo*.
40. Quindi in tutto ci non solo non c' alcun motivo d bia
simo per il Creatore, ma al contrario motivo di maggior riconoscen
za, perch le piante, che tu pensavi potessero costituire un perico
lo per te, agiscono quale rimedio per la tua salute. I nfatti con le
precauzioni si evita il pericolo che esse presentano e con l'opero
sit non si perde ci che hanno di salutare. Forse le pecore e le
capre hanno imparato a scuola ad evitare quant' loro nocivo e
non invece con il solo odorato per un misterioso istinto naturale,
essendo prive di ragione, conoscono i mezzi per fuggire il pericolo
e proteggere la loro incolumit e distinguono ugualmente ci
che nuoce e ci che giover loro? . Cosi spesso, quando sono
state ferite da frecce avvelenate, si dice che cerchino erbe da loro
conosciute e che con queste curino la ferita. I l cibo dunque serve
per esse da medicina, sicch potresti vedere saltar fuori le frecce
dalla ferita e sparire il veleno, non gi diffondersi. Del resto
i cervi si cibano di piante velenose: il serpente fugge il cervo
mentre uccide il leone; il pitone avvinghia l'elefante il cui crollo
causa la morte del vincitore Perci con grande accanimento si
combatte da entrambi le parti, quello per avviticchiargli il piede,
perch in quella posizione la caduta del nemico avvinto non
potrebbe fargli del male, questo per non farsi prendere ad un
piede posteriore in fondo alla fila o in uno stretto sentiero, dove
egli non potrebbe girarsi e schiacciare il pitone sotto l enorme
peso della sua zampa n avere l aiuto dell'elefante che viene dopo.
4L Ora, se gli animali irragionevoli sanno con quali erbe
medicarsi e con quali mezzi procurarsi aiuto, non lo sa invece
l'uomo che ha innato l uso della ragione o tanto lontano dal
vero da non comprendere quali cose servano a ciascun uso e cosi
ingrato verso i doni della natura <l ritenere che, siccome un sorso
di sangue di toro mortale per l uomo, un animale cosi laborioso
0 non sarebbe dovuto nascere o sarebbe dovuto nascere senza
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 153
Bas ., Hexaem., 101D (43 D): Si
. Cf. PuN., ., XXV, 95, 154: Quod certum est,
lac puerperarum mammis imposita extinguit ueneremque testibus circa pu
bertatem inlita.
Bas ., Hexaem., 101D (43 D): -
. Cf. PuN., H.H., XXV, 22, 54: Nigrum helleborum medetur paraly
ticis, insanientibus, hydropicis, dum citra febrim, podagris ueteribus, arti
culariis morbis.
* Bas ., Hexaem., 104 A (43 D): " ^ {
, .
Bas ., Hexaem., 101 C (43 ):
^ , ] ( & Suxxpi-
.
Cf. PuN., . ., XXV, 53, 92: Ostendere (ceruae), ut indicauimus, dic
tamnum uulneratae pastu statim telis decidentibus. Veramente S. Ambrogio
parla qui delle pecore e delle capre, non delle cerve.
** Cf. PUN., N.H., V i l i , 50, 118: E t his cum serpente pugna.
Cf. PLIN., N.H., V i l i , 11, 32: sed maximos (elephantos fert) India bel-
lantesgue cum his perpetua discordia dracones tantaeque magnitudinis et
ipsos ut circumplexu facili ambiant nexuque t^odi praestringant.
utilis, ad usum plaustrorum habilis, ad ailimoniam suauis diuerso
mimere fulcit agricolas, quibus deus, si bona sua norint, uniuersa
doiiauit dicens: Germinet terra herbam faeni seminans semen se
cundum genus Non solum enim spontaneam alimoniam con-
prehendit, quae est in herbis et radicibus atque arborum reliquis-
que fructibus, sed etiam eam quae industria comparatur et cultu
rusticani laboris adquiritur.
154 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 9, 41-42 - c. 10, 43
42. Quam decorum autem quod non statim fundere terras
semen iussit et fructus, sed primo germinare, deinde herbescere
campos statuit, postea secundum proprietatem sui generis semen
adolescere, ut numquam aruorum uacaret gratia, quae grato pri
mum decore uernarent, postea fructum suggererent utilitatem.
Caput X
43. Sed forte qtiis dicat: Quomodo secundum genus terra pro
fert semina, cum plerumque semina iacta degenerent et, cum bo
num triticum fuerit seminatum, et decolor eius species et inferior
forma reddatur? Sed hoc si quando accidit, non ad translationem
generis, sed aegritudinem quandam et inaequalitatem seminis ui-
detur esse referendum. Non enim desinit esse triticum, si aut fri
gore adiu-atur aut imbre madidetur, sed specie magis quam ge
nere, colore quoque et corruptione mutatum. Denique frequenter
madidata frumenta in sui generis speciem reuertuntur, si aut sole
aut ignibus torreantur aut diligentibus commissa cultoribus aeris
temperie terrarumque feracium ubertate foueantur. Itaque repa
Gen 1, 11.
sangue Eppure questo animale utile per la sua forza alla
coltivazione dei campi, adatto a trascinare carri, saporito a man
giarsi con diversi servizi aiuta gli agricoltori ai quali Dio,
sempre che conoscano la loro fortuna ha concesso. ogni cosa
dicendo: Germogli la terra erba da foraggio producendo seme se
condo la propria specie. Infatti egli vi ha compreso non solo il
cibo spontaneo che consiste nelle erbe, nelle radici e nei frutti de
gli alberi e in tutti gli altri prodotti, ma anche quello che si
ottiene con l'operosit e si acquista con l'esercizio del lavoro
agricolo.
42. Quant' bello poi chegli non abbia ordinato alla terra
di produrre immediatamente il seme e i frutti, ma abbia stabilito
che i camp prima germogliassero, poi si ricoprissero derba, quindi,
secondo le caratteristiche della propria specie, il seme si svilup
passe, in modo che i campi non fossero mai senza doni, anzitutto
rinnovando a primavera l'incanto della loro bellezza, offrendo poi
l'utilit dei loro frutti
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 155
Capitolo 10
43. Ma qualcuno potrebbe dire: I n che modo la terra pro
duce i semi ciascuno secondo la propria specie dal momento che
spesso quelli sparsi nel suolo degenerano e, sebbene sia stato se
minato del buon grano, il prodotto che ne risulta d'un colore
insolito e di qualit inferiore? . Ma quando capita questo, la colpa
deve essere attribuita non ad una degenerazione della specie,
ma ad una malattia o ad una mancata omogeneit del seme. Non
cessa infatti di essere grano se viene bruciato dal freddo ^o si
impregna di pioggia, ma risulta trasformato nellaspetto pi che
nella specie e cosi nel colore e nell'alterazione subita. Anzi spesso
il frumento inzuppato d'acqua riprende l'aspetto della sua specie
se viene essiccato al sole o al fuoco opptire, affidato a diligenti
coltivatori, trova im aiuto nel clima favorevole e nella fecondit
di im fertile terreno*. Cosi si riacquista nella prole ci che era
Bas., Hexaem., 101 B (43 A): ,
, tZti ,
6 .
Cf. Verg., Georg., I I , 458459: fortunatos nimium, sua si bona norint,
/ agricolas!
Bas., Hexaem., 104 A (43 E): ^ v ,
^ ^ ^ ^ ; S
;
$, *^ ,
...
* Cf. Vero., Georg., I , 93: aut Boreae penetrabile frigus adurat.
* Bas., Hexaem., 104 AB (43 E, 44 A): , ,
, , 6
; ' ,
^...
ratur in subole quod degenerauerat in parente. Vnde non pericli
tamur, ne praeceptum illud dei, cuius usus naturae inoleuit, in
reliquum successionis uitio destitutum sit, cum hodieque in semi
nibus generis sui sinceritas reseruetur.
44. Nam lolium et reliqua adulterina semina, quae frugibus
saepe miscentur, zizania nuncupari euangelii lectione cognoui-
mus, sed ea proprium quoddam genus habent, non ex tritici se
mine in aliud genus seminis decolora mutatione translata degene
rem traxere naturam. Denique hoc docet dominus dicens: Simile
est regnum caelorum homini, qui seminauit bonum semen in agro
suo: cum autem dormirent homines, uenit inimicus eius et super-
seminauit zizania inter triticum^. Aduertimus utique quod ziza
nia et triticum ut nominibus ita et genere uideantur esse discreta.
Denique et serui dixerunt ad patrem familias: Domine, nonne bo
num semen seminasti in agro tuo? Vnde ergo habet zizania? Et
ait illis: Inimicus homo hoc f e c i t Aliud enim semen est diaboli,
aliud semen est Christi, quod seritur ad iustitiam. Denique aliud
filius hominis, aliud diabolus seminauit. Adeo diuersa natura utri-
usque seminis, ut contrarius seminator sit. Quod seminat Christus
regnum est dei, quod seminat diabolus peccatum est. Quomodo
igitur potest unius generis esse regnum atque peccatum? Sic est
inquit regnum dei, quemadmodum si homo iactet semen super
terram
156 EXAMHRON, DIES I I I , SER. V, C. 10, 4345
45. Est et homo, qui seminat uerbum, de quo scriptum est:
Qui seminat uerbum seminat . Hic homo uerbum seminauit super
terram, quando dixit: Germinet terra herbam: et subito terrarum
germina pullularunt et diuersae rerum species refulserunt. Hinc
pratorum uirens gratia abundantiam pabuli ministrauit, inde cam
porum spica flauescens imaginem pelagi fluctuantis commotione
segetis uberioris expressit. Sponte omnis fructus terra suggessit.
Etsi arata sine cultore esse non poterat ^ nondum enim erat for
matus agricola , inarata tamen opimis messibus redundabat et
haut dubito an maiore prouentu, siquidem nec cultoris desidia ter
rarum destituere poterat ubertatem. Nunc enim fecunditas uni-
a Mt 13, 26.
>Mt 13, 24-25.
c Mt 13, 27-28.
<* Mc 4, 26.
Mc 4, 14.
43, 14. relicum Schenkl reliquum omnes codd. praeter unum.
degenerato nel padre. Perci non corriamo pericolo che l ordine
di Dio, la cui attuazione insita nello sviluppo della natura, sia
reso vano in futuro per colpa del passaggio di produzione in pro
duzione, poich anche oggi si conserva nei semi la genuinit della
loro specie.
44. Dalla lettura del Vangelo abbiamo appreso che sono chia
mati zizzania il loglio e gli altri semi spuri che di frequente si
mescolano alle messi; ma questi hanno una specie loro propria
e non hanno gi derivato dal seme del frumento una natura de
genere, trasformandosi in una specie diversa per una degenera
zione del seme Del resto questo insegna il Signore dicendo: I l
regno dei Cieli simile ad un uomo che aveva seminato del buon
seme nel proprio campo; ma mentre gli uomini dormivano, ven
ne il suo nemico e semin la zizzania in mezzo al frumento. No
tiamo senza -dubbio che zizzania e frumento appaiono distinti sia
nel nome, sia nella specie. Inoltre anche i servi dissero al padre
di famglia: Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo
campo? Da che parte dunque ha della zizzania? Ed egli rispose
loro: I l nemico ha fatto questo. Uno il seme del diavolo e un
altro quello di Cristo, che viene seminato per la giustizia. Anzi
luno stato seminato dal Figlio dell'uomo, l'altro dal diavolo.
Cosi diversa la natura dei due semi, che chi li semina sono i
due opposti. Ci che semina Cristo il regno di Dio, ci che se
mina il diavolo il peccato. I n che modo possono appartenere
alla stessa specie il regno e il peccato? Cosi , disse, il regno di
Dio come se un uomo gettasse del seme nella terra.
45. C' anche l Uomo che semina la parola, del quale stato
scritto: Chi semina, semina la parola. Quest'Uomo semin la pa
rola sulla terra, quando disse: La terra germogli l'erba: e subito
spuntarono i germogli della terra e brillarno nella loro bellezza
i diversi aspetti delle cose. Da una parte l attrattiva dei prati ver
deggianti offri abbondante pastura, dall'altra i camp biondeggian-
ti di spighe riprodussero col movimento della messe in pieno ri
goglio l'immagine del mare agitato dalle onde^. Spontaneamente
tutta la terra profuse i suoi frutti. Anche se non poteva essere
arata per mancanza di coltivatori infatti non era stato ancora
creato l uomo che l'avrebbe lavorata , tuttava, pur senza ara
tura, sovrabbondava di messi copiose, e credo con maggiore ren
dimento, dal momento che non c'era la pigrizia del contadina che
potesse rendere vana la fertilit del terreno. Ora, nel caso del
l'agricoltore, ciascuno ottiene la fecondit per merito del proprio
. , -
, -
wvei.
* Ba s ., Hexaem., 104 (44 A): * S < 6 XoiTt
;1 ,
, ,
.
* Bas., Hexaem., IOSA (44C): :
, 8 ,
'/ <1 ...
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 157
cuique pro merito laboris adquiritur, ubi cultus spectatur agro
rum, et neglegentia uel offensa aut diluuiis pluuiarum aut terra
rum ariditatibus aut grandinis iactu aut quacumque ex causa soli
uberis sterilitate multatur. Tunc autem prouentu spontaneo terra
fructus locis omnibus inuehebat, quoniam is praeceperat qui uni-
uersorum est plenitudo. Verbum enim dei fructificabat in terris,
nec ullo adhuc erat terra damnata maledicto. Antiquiora enim
mundi nascentis exordia quam nostra peccata sunt et recentior cul
pa, propter quam condemnati sumus in sudore uultus nostri, pa
nem manducare', sine sudore alimenta nescire.
46. Denique hodieque fecunditas terrae ueterem affluentiam
spontaneae usu fertilitatis operatur. Quam multa sunt enim quae
adhuc sponte generantur. Sed etiam in his ipsis quae manu quae
runtur magna ex parte manent nobis diuina beneficia, ut frumen
ta ipsa quiescentibus inferantur. Quod propositae docet lectionis
exemplum dicente domino quia sic est regnum dei, quemadmodum
si qui iactet semen super terram et abdormiat inquit et surgat
nocte et die, et semen germinet et increscat, dum nescit ille. Vitro
terra fructificat primo herbam, deinde spicam, deinde plenum
triticum in spica. Et cum produxerit fructum, statim mittit falcem,
quoniam adest messis . Dormiente te igitur, homo, et nesciente
fructus suos ultro terra producit. Dormis et surgis et frumenti
per noctem incrementa miraris.
158 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 10, 4546 - c. 11, 47
Caput XI
47. Diximus de herba faeni, nunc dicamus de ligno fructuoso
faciente fructum secundum genus, cuius semen eius in ipso Dixit
et facta sunt et subito ut supra floribus herbarumque uiriditatibus
ita hic nemoribus terra uestita est. Concurrerunt arbores, consur
rexerunt siluae, uertices repente montium fronduerunt. Hinc pi
nus, hinc cypressus in alta se extulerunt cacumina, caedri et pi
ceae conuenerunt. Abies quoque non contenta terrenis radicibus
t Gen 3. 19.
I Mc 4, 26-29.
Gen 1, 11.
lavoro e la trascuratezza e l'avversione sono punite con le inon
dazioni provocate dalle piogge o con 1 periodi di siccit o con le
grandinate devastatrici o con la sterilit del suolo fecondo dovuta
ad una ragione qualsiasi. Ma allora la terra con spontanea pro
duzione portava dappertutto i suoi frutti, poich glielo aveva pre
scritto colui che la pienezza di tutte le cose. La parola di Dio
fruttificava sulla terra n questa era stata ancora colpita da al
cuna maledizione. Infatti gli inizi del mondo nascente sono an
teriori ai nostri peccati e pi recente la colpa per la quale siamo
stati condannati a mangiare il pane col sudore della nostra faccia
e, senza sudore, a non sapere che cosa sia cibo .
46. Ad ogni modo, anche oggi la fecondit della terra pro
duce l'antica abbondanza mantenendo una spontanea fertilit.
Quanti sono i prodotti che ancora nascono spontaneamente! Ma
anche riguardo a questi stessi che si ottengono col lavoro manua
le, perdurano in buona parte i benefici divini, sicch le stesse
granaglie ci vengono prodotte mentre riposiamo. Ci insegna l'esem
pio del passo che abbiamo letto, quando il Signore dice che il
regno di Dio come se imo gettasse del seme sulla terra e si ad
dormentasse e si levasse notte e giorno, e il seme germogliasse
e crescesse a sua insaputa. Spontaneamente la terra produce
prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco ricolmo nella spiga. E
quando ha portato a maturazione il frutto, tosto mette la falce
perch giunto il tempo della mietitura. Mentre tu dorm, o uo
mo, a tua insaputa la terra produce spontaneamente i suoi frut
ti. Dormi, ti levi e vedi con meraviglia che nel corso della notte
il frumento cresciuto.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 159
Capitolo 11
47. Abbiamo parlato dell'erba da foraggio; parliamo ora de
gli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, producono un
frutto contenente il proprio seme. Parl e furono fatti, e subito,
come precedentemente di fiori e di erbe verdeggianti, cosi a que
sto punto la terra si rivesti di foreste . Gli alberi s'incrociarono,
si levarono insime le selve, ad un tratto le cime dei monti si
coprirono di fronde. Da una parte il pino, dall'altra il cipresso le
varono in alto le loro cime, i cedri e i pini selvatici s'incontrarono.
Crebbe anche l abete che non contento di affondare le radici nel
terreno e di innalzare la cima verso il cielo, avrebbe affrontato
con sicuro remeggio i rischi del mare e avrebbe lottato non solo
con i venti ma anche con i flutti. E cosi pure l'alloro, che non si
* Bas., Hexaem., 105 A (44 D): ;
. Si ^
.
* Bas., Ilexaem., 105 (44 ): ^ -
...
160 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 11, 47-48 - c. 12, 49
atque aerio uertice etiam casus marinos tuto subitura remigio
nec solum uentis, sed etiam fluctibus certatura processit. Nec non
et laurus adsurgens odorem suum dedit numquam suo exuenda
uelamine. Vmbrosae quoque ilices uerticem protulerunt inhorren
tem comam hibernis quoque temporibus seruaturae. Hoc'enim in
singulis priuilegium natura tenuit in reliquum, quod sub ictu mun
di surgentis accepit. Et inde manet sua ilicibus praerogatiua, ma
net cypressibus, ut nulli uenti eas crinis sui ueste dispolient.
48. Surrexerat ante floribus inmixta terrenis sine spinis rsa
et pulcerrimus flos sine ulla fraude uernabat, postea spina saepsit
gratiam floris tamquam humanae speculum praeferens uitae, quae
suauitatem perfunctionis suae finitimis curarum stimulis saepe
conpungat. Vallata est enim elegantia uitae nostrae et quibusdam
sollicitudinibus opsaepta, ut tristitia adiuncta sit gratiae. Vnde
cum unusquisque aut suauitate rationis aut prosperioris cursus
successibus gratulatur, meminisse culpae eum conuenit, per quam
nobis in paradisi amoenitate florentibus spinae mentis animique
sentes iure condemnationis ascripti sunt. Inrutiles igitur licet, o
homo, aut splendore nobilitatis aut fastigio potestatis aut fulgore
uirtutis, semper tibi spina proxima est, semper est sentis, semper
inferiora tua respice. Super spinam germinas, nec prolixa gratia
manet. Breui unusquisque decurso aetatis flore marcescit.
Caput XI I
49. Sane ut caduca tibi noueris communia esse cum floribus
ita etiam laeta cum uitibus, quibus generatur uinum, quo cor
hominis laetificatur*. Atque utinam, o homo, huius generis imite
ris exemplum, ut ipse tibi laetitiam iocundidatemque fructifices.
In te ipso suauitas tuae gratiae est, ex te pullulat, in te manet,
intus tibi inest, in te ipso quaerenda iocunditas tuae est conscien
Ps 103, 15.
doveva mai spogliare delle sue fronde, elevandosi diffuse la sua
fragranza. Anche gli ombrosi lecci, che avrebbero conservato per
sino durante l inverno la loro irta chioma, mandarono in alto le
loro cime. La natura mantenne anche per l avvenire in ciascuna
pianta la prerogativa ricevuta dalia potenza creatrice del mondo
nascente *. Perci i lecci mantennero la loro caratteristica, la man
tengono i cipressi, cosi che nessun vento l i spoglia dellammanto
della loro chioma.
48. Prima era sorta insieme ai fiori della terra la rosa an
cora priva di spine, e quel fiore bellissimo sbocciava senza insidie
nascoste; poi le spine cinsero di una siepe la bellezza del fiore,
facendone come unimmagine della vita umana che spesso colpi
sce la piacevolezza delle sue manifestazioni con le trafitture de
gli affanni. Infatti la squisitezza della nostra vita circondata e
chiusa come da uno steccato di preoccupazioni, sicch alla sua at
trattiva sta unito il tormento^. Perci, quando ciascuno si com
piace delle sue doti dintelligenza o dei successi duna carriera
veramente fortunata, conveniente che si ricordi della colpa in
conseguenza della quale, mentre vivevamo felici nellameno sog
giorno del paradiso, a titolo di condanna ci furono imposte le
spine della mente e i rovi dellanimo. Quindi puoi ben brillare, o
uomo, per lo splendore della nobilt o per l elevatezza delle cari
che o per il fulgore della virt: al tuo fi^nco c sempre la spina,
c sempre il rovo, considera sempre quel che hai sotto di te.
Germogli sulle spine e il favore non dura a lungo. Trascorso il
fiore dellet, in breve ognuno imputridisce.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 161
Capitolo 12
49. Saprai certamente che, come hai in comune con i fiori
una sorte caduca, cosi hai in comune la letizia con le viti da cui
si ricava il vino che rallegra il cuore delluomo*. E magari tu
imitassi, o uomo, un simile esempio, in modo da procurarti le
tizia e giocondit. In te si trova la dolcezza della tua amabilit,
da te sgorga, in te rimane, insita in te; in te stesso devi cercare
la gioia della tua coscienza. Perci la Scrittura dice: Bevi l acqua
dai tuoi vasi e dalla fonte dei tuoi pozzi. Anzitutto nulla pi
Cf. Sen., De ben., I I , 29, 4; guam nihil sit mortale non sub ictu nostro
positum, Lue., Phars., V, 729: guod nolles stare sub ictu / fortunae.
Cf. Cic., De fin., I , 15, 49: Nam neque laborum periunctio neque per
pessio dolorum per se ipsa allicit.
* Bas., Hexaem., 105 BC (45 A): Srci fSov 6 Sveu ,
& , )
, (,
( ^^ .
' Bas., Hexaem., 108 A (45 C):
.
tiae. Ideo ait: Bibe aquam de tuis uasis et de puteorum tuorum
fontibus^. Primum omnium nihil gratius florentis odore uitis, si
quidem de flore earum sucus expressus poculi genus conficit, quod
et uoluptati et saluti sit. Deinde quis non miretur ex acini uinacio
uitem usque in arboris summum cacumen prorumpere, quam uelut
quodam amplexu fouet et quibusdam brachiis ligat et circumdat
lacertis, pampinis uestit, sertis coronat uuarum? Quae ad imita
tionem uitae nostrae primum uiuam defigit radicem, deinde, quia
natura flexibilis et caduca est, quasi brachiis quibusdam ita claui-
culis quidquid conprehenderit stringit hisque se erigit et adtollit.
162 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 12, 49-51
50. Huius est similis plebs ecclesiae, quae uelut quadam fi
dei radice plantatur et reprimitur humilitatis propagine, de qua
pulchre ait propheta: Vineam ex Aegypto transtulisti et plantasti
radices eius, et repleta est terra. Operuit montis umbra eius et
arbusta eius caedros dei. Extendit palmites eius usque ad mare
et usque ad flumen propagines eius'=. Et per Esaiam ipse domi
nus locutus est dicens: Vinea facta est dilecto in cornu in loco
uberi. Et maceriam circumdedi et circumfodi uineam Sorech et
aedificaui turrem in medio eius^. Circumdedit enim uelut uallo
quodam caelestium praeceptorum et angelorum custodia. Inmittet
enim angelus domini in circuitu timentium eum . Posuit in eccle
sia uelut turrem apostolorum et prophetarum atque doctorum,
qui solent pro ecclesiae pace praetendere. Circumfodit eam, quan
do exonerauit terrenarum mole curarum; nihil enim magis men
tem onerat quam istius mundi sollicitudo et cupiditas uel pecu
niae uel potentiae. Quod tibi demonstratur in euangelio, cum legis
quia illa mulier, quae habebat spiritum infirmitatis, inclinata erat,
ut sursum respicere non posset. Curuata enim erat eius anima,
quae inclinabatur ad terrena compendia et caelestem gratiam non
uidebat. Respexit eam lesus et uocauit, et statim mulier onera
terrena deposuit*. His cupiditatibus etiam illos oneratos fuisse
demonstrat quibus ait: Venite ad me omnes qui laboratis et one
rati estis, et ergo uos reficiam Ergo illa anima mulieris quasi
circumfossa respirauit et erecta est.
51. Sed et eadem uitis ubi circumfossa fuerit, religatur et
erigitur, ne reflectatur in terram. Reciduntur alia sarmenta, alia
b Prou 5, 15.
c Ps 79, 9-12.
0 Is 5, 1-2.
e Ps 33, 8.
t Lc 13, 11-13.
( Mt 11, 28.
50, 18. rursum Schenkl manifesto mendo typ.
gradito del profumo della vite in fiore, se vero che il succo
spremuto dal fiore della vite produce una bevanda che nello stes
so tempo riesce gradevole e giova alla salute. Inoltre chi non
proverebbe meraviglia al vedere che dal vinacciolo di un acino la
vite prorompe fino alla sommit dellalbero che protegge come
con un amplesso e avvince tra le sue braccia e circonda in una
stretta vigorosa, riveste di pampini e cinge di una corona di grap
poli?*. Essa, ad imitazione della nostra vita, prima affonda la sua
radice viva nel terreno; poi, siccome per natura flessibile e non
sta ritta, stringe tutto ci che riesce ad afferrare con i suoi viticci
quasi fossero braccia e, reggendosi per mezzo di questi, sale in
alto
50. Del tutto simile il popolo fedele che viene piantato, per
cosi dire, mediante la radice della fede e frenato dalla propaggi
ne dell'umilt. Di essa dice bene il profeta: Hai trasportato la
vite daW^Bgitto e ne hai piantato le radici e la terra ne stata
riempita. La sua ombra ha ricoperto i monti e i suoi viticci i
cedri del Signore. Stese i suoi rami fino al mare e fino al fiume
le sue propaggini. E il Signore stesso parl per bocca d'Isaia di
cendo: I l mio diletto acquist * una vigna su un colle, in un luogo
fertile, e la circondai dun muro e vangai tutt'attorno la vigna di
Sorec e nel mezzo vi innalzai una torre. La circond infatti come
con la palizzata dei comandamenti celesti e con la scolta degli
angeli. I nfatti Vangelo del Signore si accamper attorno a quanti
lo temono . Pose nella Chiesa come la torre degli apostoli, dei
profeti, dei dottori, che sogliono vigilare per la pace della Chiesa*.
La vang tutt'intomo, quando la liber dal peso delle cure terre
ne; nulla infatti grava la mente pi delle preoccupazioni di que
sto mondo e dell'avidit di denaro o di potere. Ci ti viene mo
strato nel Vangelo quando leggi che quella donna, che uno spirito
teneva inferma, era cosi curva da non poter guardare in alto. Era
curva la sua anima che, rivolta ai guadagni, non vedeva la grazia
celeste. Ges- la guard, la chiam, e subito la donna depose 1
pesi terreni. Egli mostra che da simili brame erano gravati coloro
ai quali dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati ed oppres
si, e io vi ristorer. L'anima di quella donna, come se le avessero
scavato intorno la terra, pot respirare e si raddrizz.
51. Ma anche la vite, quando intorno le stato zappato il
terreno, viene legata e tenuta diritta affinch non si pieghi verso
terra. Alcuni tralci si tagliano, altri si fanno ramificare: si taglia
no quelli che ostentano uninutile esuberanza, si fanno ramificeire
* Cf. Cic., De sen., 15, 52: guae ... ex acini uinaceo ... tanios truncos ra
mosque procreet .
3 Cf. Cic., ibid.: id uitis quidem, guae natura caduca est et, nisi julta
est, fertur ad terram, eadem, ut se erigat, clauiculis suis quasi manibus, quic-
quid est nacta, complectitur.
* Is, 5, 1 : ^ - .
^Sal, 33, 8: ^ &
^ .
^Bas., Hexaem., 108 C (45 E ): dopo aver citato il salmo 33, 8, prosegue:
' v
)<6, , .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 163
propagantur: reciduntur quae inani effusione luxuriant, propagan
tur ea quae bonus agricola iudicauerit fructuosa. Quid ego admi
niculorum ordines iugationisque discribam gratiam, quae uere
atque manifeste aequalitatem docent in ecclesia esse seruandam,
ut nemo se diues et honoratus adtollat, nemo pauper deiciat igno-
bilisque desperet? Omnibus sit in ecclesia par atque una libertas,
omnibus inpertiatur iustitia communis et gratia. Ideo turris in
medio est, quae exemplum de illis rusticanis, de illis circumferat
piscatoribus, qui uirtutum arcem tenere meruerunt. Quorum exem
plis noster erigatur adfectus neque humi uilis et despicabilis ia-
ceat, sed uniuscuiusque mens ad superiora se subrigat, ut audeat
dicere: Nostra autem conuersatio in caelis est''. Vnde ne quibus
proceUis saeculi possit reflecti et tempestate deduci, clauiculis
illis et circulis quasi amplexibus caritatis proximos quosque con-
plectitur et in eorum coniunctione requiescit. Caritas est igitur,
quae nos superioribus nectit caeloque inserit. Qui enim manet in
caritate, deus in eo manet K Vnde et dominus ait: Manete in me
et ego in uobis. Sicut palmes non potest fructum adferre ab se,
nisi manserit in uite, sic et uos, si in me non manseritis. Ego sum
uitis, uos palmites estis '.
52. Euidenter igitur exemplum uitis ad nostrae uitae insti
tutionem. arcessendum esse signauit, quae primum ueris tepefacta
temperie gemmare perhibetur, deinde ex ipsis sarmentorum arti
culis fructum emittere, de quibus oriens uua formatur paulatim-
que augescens inmaturi partus retinet acerbitatem nec potest nisi
matura iam et cocta dulcescere. Vestitur interea uiridantibus pam
pinis uinea, quibus et aduersum frigus omnemque iniuriam non
exiguo munitur subsidio et a solis ardore defenditur. Quid autem
eo uel spectaculo gratius uel fructu est dulcius, uidere serta pen
dentia uelut quaedam speciosi ruris monilia, carpere uuas uel
aureo colore uel purporeo renitentes? Hyacinthos ceterasque gem
mas fulgere existimes, coruscare Indicos, albarum emicare gra
tiam, nec aduertis ex his admoneri te, homo, ne inmaturos fructus
tuos dies supremus inueniat aut plenae tempus aetatis opera
parua deducat. Acerbus enim fructus amarior esse consueuit nec
164 EXAMERON, DIES , SER. V, C. 12, 51-52
h Pha 3, 20.
1 I o 4, 16.
I I o 15, 4-5.
quelli che l esperto agricoltore giudica produttivi. Perch dovrei
descrivere l ordinata disposizione dei pali di sostegno e la bellezza
dei pergolati, che insegnano con verit e chiarezza come nella
Chiesa debba essere conservata l'uguaglianza, sicch nessuno, se
ricco e ragguardevole, si senta superiore e nessuno, se povero e
di oscuri natali, si abbatta o si disperi? Nella Chiesa ci sia per
tutti un'unica e uguale libert, con tutti si usi pari giustizia e
identica cortesia. Perci nel mezzo si innalza una torre, per mo
strare tutt'intorno l esempio di quei contadini, di quei pescatori
che meritano di occupare la rocca della virt. Sul loro esempio
i nostri sentimenti si elevino, non giacciano a terra spregevoli
ed abietti; ma ciascuno innalzi l'animo a ci che sta sopra di noi
e abbia il coraggio di dire: Ma la nostra cittadinanza nei cieli.
Quindi, per non essere piegato dalle burrasche del secolo e tra
volto dalla tempesta, ognuno, come fa la vite con i suoi viticci e
le sue volute, si stringe a tutti quelli che gli sono vicini quasi in
un abbraccio di carit e unito ad essi si sente tranquillo. la
carit che ci unisce a ci che sta sopra di noi e ci introduce in
cielo. Se uno rimane nella carit, Dio rimane in lui. Perci anche
U Signore dice: Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non
pu produrre frutto da solo, se non resta unito alla vite, cosi an
che voi, se non rimanete in me. I o sono la vite, voi i tralci.
52. Manifestamente il Signore ha indicato che l'esempio del
la vite deve essere richiamato quale regola, per la nostra vita.
Sappiamo che quella, riscaldata dal tepore primaverile, dapprima
comincia a gemmare, poi manda fuori il frutto dagli stessi nodi
dei tralci, dai quali nascendo l'uva prende forma e, a poco a
poco sviluppandosi, conserva l asprezza del prodotto immaturo e
non pu diventare dolce se non raggiunge la maturazione sotto
lazione del sole. Quale spettacolo pi gradevole, quale frutto
pi dolce che vedere i festoni pendenti come monili di cui si
adorna la campagna in tutto il suo splendore, cogliere i grappoli
rilucenti d'un colore dorato o simili alla porpora? Crederesti di
veder scintillare le ametiste e le altre gemme, balenare le pietre
indiane, risplendere l attraente eleganza delle perle, e non ti ac-,
corgi che tutto ci ti ammonisce a stare in guardia perch il gior
no supremo non trovi immaturi i tuoi frutti, il tempo dellet
Cf. Ci., De sen., 15, 53: ...adminiculorum ordines, capitum iugatio.
^Bas.. Hexaem., 109A (4): 6 *^ ,
, , .
Bas., Hexaem., 108 CD (45 E, 46 A):
( , .'
&. 8 otovel tioi mpi-
^ , el
*^ T 2 , (11 che montano su
{li alberi) ^ <| ] .
Cf. Cic., De sen., 15, 53: Itaque ineunte uere in iis, guae relieta sunt,
exsistit tamquam ad articulos sarmentorum ea quae gemma dicitur, a qua
oriens uua se ostendit, quae et suco terrae et calore solis augescens primo
est peracerba gustatu, deinde maturata dulcescit uestitaque pampinis nec
modico tepore caret et nimios solis defendit ardores. Qua quid potest esse
cum fructu laetius, tum aspectu pulchrius?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 165
potest dulce esse nisi quod ad maturitatem perfectionis adole-
uerit. Huic uiro perfecto nec frigus horrendae mortis nec sol ini
quitatis nocere consueuit, quia obumbrat ei gratia spiritalis et
omnia mundanae cupiditatis et corporeae libidinis restinguit incen
dia, defendit ardores. Laudent te quicumque conspiciunt et ag
mina ecclesiae uelut quaedam palmitum serta mirentur, spectent
singuli fidelium pulchra animarum monilia, delectentur maturi
tate prudentiae, splendore fidei, confessionis decore, iustitiae pul
chritudine. ubertate misericordiae, ut dicatur tibi: Vxor tua sicut
uitis abundans in lateribus domus tuae*, eo quod redundantiam
uitis fructiferae copiosae munere liberalitatis imiteris.
166 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 12, 52 - c. 13, 53
Caput X I I I
53. Sed quid ego in sola uite immoror, cum omnia genera
arborum utilia sint? Alia ad fructum nata, alia ad usum data.
Nam et quibus non est fructus uberior tamen usus pretiosior est.
Caedrus suspendendis tectorum apta culminibus, eo quod huius*
modi materies et procera sit spatiis nec onerosa parietibus. Lacu
naribus quoque comendisque fastigiis habilis est cypressus. Vnde
et ecclesia dicit in Canticis: Trabes domorum nostrarum caedri,
lacunaria nostra cypressi *, in his esse declarans decora sui orna
menta fastigii, qui quasi trabes uerticem ecclesiae sua uirtute su
stineant et fastigium eius exornent. Laurus et palma insigne uicto
riae: lauro uictorum capita coronantur, palma manus uictricis or
natus est. Vnde et ecclesia ait: Dixi, ascendam in palmam, tenebo
altitudines eius *. Quae eminentiam uidens uerbi et sperans quod
ad eius altitudinem possit ascendere et scientiae summitatem di
cit: Ascendam in palmam, ut omnia relinquat inferiora et ad su
periora contendat, ad brabium Christi, ut suauis eius fructus car
pat et gustet; suauis enim uirtutis est fructus. Populus quoque
coronis arbor umbrosa uictricibus et salix lenta uitibus 'habilis
uinciendis quid aliud mystice declarant nisi bona esse Christi
uincula, quae nocere non soleant, uincula gratiae, uincula carita
tis, ut unusquisque suis uinculis glorietur, sicut gloriabatur et
Paulus dicens: Paulus uinctus lesu C h r i s t i His ligatus uinculis
dicebat: Quis nos separabit a caritate lesu Christi? uinculis ab-
n Ps 127, 3.
Cant 1, 17(16).
Cant 7, 8.
c Phm 1.
d Rom 8, 35.
nella sua pienezza non produca opere di scarso valore. I I frutto
acerbo suole essere senz'altro amaro e non pu essere dolce se
non ci che cresciuto sino alla perfetta maturit, A quest'uomo
perfetto solitamente non nuoce n il freddo della morte con il
suo brivido n il sole delliniquit, perch lo protegge con la sua
ombra la grazia divina e spegne ogni incendio di cupidgie mon
dane e di lussuria carnale e 'ne tiene lontani gli ardori. Ti lodino
tutti coloro che ti vedono e ammirino le schiere dei cristiani co
me ghirlande di tralci, contempli ciascimo i magnifici ornamenti
delle anime fedeli, tragga diletto dalla maturit della loro pru*
denza, dallo splendore della loro fede, dalla dignit della loro
testimonianza, dalla bellezza della loro santa vita, dairabbondan-
za della loro misericordia, cosi che ti possano dire: La tua sposa
come vite ricca di grappoli nellinterno della tua casa, perch
con l'esercizio di una generosa liberalit riproduci l opulenza d'ima
vite carica di grappoli.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 167
Capitolo 13
53. Ma perch indugio a parlare della sola vite, mentre tutte
le specie degli alberi sono utili? Alcime sono nate per produrre
frutti, altre ci sono state date perch ce ne serviamo. I nfatti an
che quelle che non danno un prodotto troppo abbondante, han
no un impiego veramente prezioso. I l cedro adatto a sostenere
il comignolo dei tetti perch le travi che se ne ricavano sono estese
in lunghezza e non pesano sui muri. I l cipresso va bene per fab*
bricare i cassettoni dei soffitti e per ornare i frontoni. Perci
anche la Chiesa dice nei Cantici: Le travi delle nostre case sono di
cedro, i cassettoni di cipresso, dichiarando che il prestigioso or
namento del proprio frontone consiste in coloro che, come travi,
sostengono con la loro virt il vertice della Chiesa e ne adomano
il frontone. L'alloro e la palma sono insegne di vittoria: dalloro
s'incorona la fronte dei vincitori, la palma ornamento della
mano vittoriosa. Perci anche la Chiesa dice: Ho detto, salir sul
la palma, star sulla sua cima. Essa, vedendo la sublimit del
Verbo e sperando di poter ascendere alla sua altezza e al culmine
della sua scienza, dice: Salir sulla palma, per abbandonare tutto
ci che sta in basso e tendere verso l alto, verso la corona di Cri
sto per coglierne e gustarne il frutto soave: soave il frutto della
virt. Anche il' pioppo, albero i cui rami inbrosi diventano co
rone di vittoria, e il flessibile salice^, adatto a legare le viti, che
altro simbolicamente significano se non che i legami di Cristo
sono dolci perch non recano danno, legami di grazia, legami di
amore, sicch ognuno si vanti dei suoi legami come se ne vantava
anche Paolo dicendo: Paolo, prigioniero di Ges Cristo? Avvinto
> Penso che non sia necessario precisare che comignolo significa qui
tinca di colmo del tetto (Devoto-Oli, sub uoce).
* Cf. Verg., Bue., I l i , 83: lenta salix.
stinentiae, iiinculis caritatis. His ligatus uinculis etiam Dauid ait:
I n salicibus in medio eius suspendimus organa nostra^. Buxus
quoque elementorum apicibus utilis exprimendis leui materia
usum manus puerilis informat, unde ait scriptura: Scribe in buxo
simul ut admoneat te ipsa materia, quae semper uiret nec um-
quam foliis exuitur suis, ne umquam spei tuae dissimulatione
nuderis, sed semper tibi per fidem germinet spes salutis.
168 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 13, 53-55
54. Quid ego enumerem quanta uarietas arborum, quam di-
uersus in singulis et pulcher ornatus, quam patulae fagi, quam
procerae abietes, quam comantes pinus, quam umbrosae ilices,
quam populi bicolores, quam nemorosa et rediuiua castanea, quae
simul ut excisa fuerit, tamquam siluam ex se pullulare consueuit,
quemadmodum in arboribus ipsis aetas aut senilis aut nouella
deprehenditur; iimioribus enim exiliores rami, antiquioribus uali-
diora et nodosa sunt brachia, illis folia leuigata atque diffusa, istis
contractiora et aspera. Sunt etiam arbores, quae senili atque emor
tua radice successionem sui, si forte caedantur, reparare non no-
uerint, aliae, quibus aut iuuentas uiret aut natura fecundior est,
quibus excisio lucro potius quam ullo detrimento sit, ut per plures
sui rediuiua successione renouentur heredes.
55. Est etiam, quod mireris, ipsis sexus in pomis, est discre
tio sexus in arboribus. Nam uideas palmam, quae dactulos ge
nerat, plerumque inclinantem ramos suos et subicientem et con
cupiscentiae atque amplexus speciem praetendentem ei arbori,
quam marem palmimi adpellant pueri rusticorum. I lla ergo palma
feminea est et sexum suum subiectionis specie confitetur. Vnde
cultores lucorum praeiaciunt ramis eius dactulorum uel palmitum
semina masculorum, quibus illi femineae arbori uelut quidam
sensus perfimctionis infunditur et expetiti concubitus gratia prae-
e Ps 136, 2.
f Is 30, 8.
55, 1. seuus Schenkl sexus codd. omnes praeter unum; praeterea uidi
seq. tineam.
da questi legami egli diceva: Chi ci separer dallamore di Cristo?
cio dai legami della temperanza, dai legami della carit. Avvinto
da questi legami, anche Davide dice: Sui salici in mezzo ad essa
appendemmo le nostre cetre. Anche il bosso, sulla cui superficie
levigata facile tracciare le lettere dellalfabeto ^ abitua a tale
esercizio la mano dei ragazzi'. Perci la Scrittura dice: Scrivi
sul bosso, anche perch lo stesso legno, che resta sempreverde e
non si spoglia mai delle sue foglie, ti esorti a non denudarti dissi
mulando la tua speranza, ma a fare in modo che la speranza della
salvezza germogli sempre in te per mezzo della fede.
54. Perch dovrei esporre minutamente quanto sia grande la
variet degli alberi, quanto sia diversa e attraente la bellezza di
ciascuno di essi, quanto frondosi siano i faggi*, quanto alti gli
abeti, quanto chiomati i pini, ombrosi i lecci , verdeargentei i piop
pi? *. Quanto sia fronzuto e rinascente castagno che, non appena
tagliato,, suole far pullulare dal proprio ceppo ima selva di ger
mogli? Perch dovrei dire come negli stessi alberi si rileva l et
sia avanzata sia novella? Negli alberi giovani i rami sono pi sot
tili, in quelli pi antichi le braccia sono pi robuste e nodose, nei
primi le foglie sono lisce e ampie, nei, secondi pi ristrette e ru
vide. Vi sono anche piante che, se per caso vengono tagliate dalla
radice vecchia e senza vitalit, non sono in grado di produrre nuo
vi polloni; ve ne sono altre invece, pi vigorose di giovinezza o
pi feconde di natura, per le quali il taglio un vantaggio piut
tosto che un danno, sicch rivivono in numerosi rampolli rinno
vandosi di generazione in generazione.
55. Anche i frutti, cosa che ti far stupire, hanno il sesso e gli
alberi sono di sesso diverso. Infatti potresti vedere la palma che
produce i datteri, spesso piegare i suoi rami e, offrendo l imma
gine dun cupido amplesso, sottoporli a quell'albero che i con
tadini chiamano palma maschio. La prima palma dunque fem
mina e rivela il suo sesso sottoponendosi all'altra. Perci i bo-
scaioli di loro iniziativa gettano sui suoi rami semi di datteri
0 di virgulti di sesso maschile che stimolano nella pianta femmi
na, per cosi dire, la sensibilit per la sua funzione e le prospetta
no il piacere dellaccoppiamento bramato. Ricevuto tale dono, nuo
vamente si drizza e innalza i rami e risolleva la chioma nella po-
Cio a Babilonia. Questo salmo (136), per evidenti ragioni cronologiche,
non pu essere di Davide.
* Di bosso erano fatte le tavolette per scrivere, che venivano spalmate
di cera in modo che vi si potessero tracciare le lettere con lo stilo. Qui
leuis significa evidentemente liscio , levigato ; cfr. Pun., N.ff., XVI,
28, 70: Tria eius genera ... tertium genus nostratis uocant, e siluestri, ut
aldo, mitigatum satu, diffusius et densitate parietum, uirens semper ac
tonsile; 76, 204: Spississima ex omni materie, ideo et grauissima iudicatur
hebenus et buxus. Cfr. inoltre Pr op., I I I , 23, 9: uulgari buxo sordida cera fuit.
Apices = ipsi ductus litterarum (Fo r c e l u n i ); vedi Ge l l ., XI I I , 31: uix
ipsos litterarum apices potui comprehendere.
Cf. Verc., B u c ., I, 1: patulae sub tegminae fagi.
Cf. Ve r g ., Georg., I I I , 334; ilicibus crebris sacra nemus accubat umbra.
' Cf. Ve r g ., Aen., V I I I , 2J 6-7TJ : Herculea bicolor cum populus umbra /
ttlauitque comas foliisque innexa pependit.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 169
sentatur. Quo munere donata rursus erigitur et eleuat ramos suos
et in ueterem statum comam suam rursus adtollit. De ficu quoque
eadem est opinio ideoque plerique secundum domesticam et fruc
tiferam ficum agrestem ficulneam fenmtur inserere, eo quod cito
fructus fecundae illius et domesticae ficus uel aura temptati aliqua
uel aestu defluere ferantur in terram. Vnde gnari huius remedii
grossis arboris agrestis alligatis ad illam feracem arborem me
dentur eius infirmitati, ut possit fructus proprios reseruare iam-
iamque, si deforent remedia, lapsuros. Quo admonemur uelut
quodam aenigmate naturae non refugere eos qui a nostra fide et
consortio separati sint, eo quod et gentilis, qui fuerit adquisitus,
quo grauior fuerit adsertor erroris, eo uehementior possit fidei
defensor existere et si quis de haereticis conuertatur, uel confir
met eam partem, in quam se commutata opinione contulerit,
maxime si habeat ediquod directum naturae, ut uiuida eius possit
esse sententia, si adminiculetur ei adtentio sobrietatis, obseruan-
tia castitatis. Profunde ergo circa eum studium tumn, ut similitu
dine fructiferae illius ficus de praesentia et coniuctione agrestis
illius arboris tuam possis conroborare uirtutem. I ta enim tua nec
dissoluetur intentio et diligentiae fructus et gratiae reseruabitur.
170 , DIES I I I , SER. V, C. 13, 55-56
56. Quam multa sunt autem quae doceant naturalem duri
tiam posse diligentiae studio temperari, quibus affert cultus ru
ralis exemplum. Nam plerumque cito florent mala granata et
fructum adferre non possunt, nisi congruis peritorum remediis
excolantur, plerumque sucus uanescit interior et foris species eius
pulchra praetenditur. Quae non inmerito conparatur ecclesiae, ut
sizione primitiva. Si crede la stessa cosa anche del fico e perci
si dice che molti piantino un fico selvatico accanto al fico dome
stico e fruttifero, perch si afferma che i frutti di questa pianta
cadano facilmente per terra sotto l azione -del vento o del calore.
Per tale motivo, coloro che conoscono il rimedio appropriato,
unendo all'aibero fruttifero i fichi immaturi dell'albero selvatico,
pongono riparo alla sua debolezza, cosi che il fico domestico pos
sa conservare i propri frutti, li li per cadere se non intervenisse il
rimedio . Questo fatto, che possiamo considerare come un mi
stero di natura, ci ammonisce a non fuggire quelli che sono sepa
rati dalla nostra fede e dalla comunione con noi, perch anche il
pagano, una volta convertito, pu diventare un difensore della
fede tanto pi deciso, quanto pi violento era stato nel sostenere
l'errore; e se un eretico s converte, potrebbe addirittura confer
mare quella parte con la quale, dopo aver mutato opinione, s
schierato, specie se per natura ha una certa immediatezza co
municativa che gli consenta di esporre con vivacit il suo pen
siero, sempre che sia sostenuto dall'impegno d'una vita sobria e
dalla pratica scrupolosa della castit. Ddcagli dunque senza ri
sparmio la tua attenzione, affinch, a somiglianza del fico frutti
fero gi ricordato, per effetto della presenza e della collabora
zione di quellalbero selvatico tu possa corroborare la tua virt.
Cosi il tuo sforzo non rester senza risultato e potrai conservare
i frutti della tua diligenza e della tua bont
56. Quanti sono, d'altra parte, gli sempi tratti dalla colti
vazione dei campi che dimostrano come la durezza naturale possa
essere mitigata da un impegno diligente. I melograni per lo pi
fioriscono rapidamente, ma non possono produrre il loro frutto
se non sono coltivati dagli esperti con le cure adatte, e spesso il
succo delle melagrane internamente si dissecca, mentre allestemo
il loro aspetto fa bella mostra di s. Questa pianta, non a torto.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 171
* Bas., Hexaem., 112 AB (47 AB): Kal ( > -
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Bas., Hexaem., 112 BC (47 CD):T . -
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Non credo che si alluda alla conversione di S. Agostino (vedi Co ppa ,
op. cit., p. 216, n. 78), perch, come si pu constatare, S. Ambrogio non fa
che tradurre S. Basilio.
habes in Canticis ad ecclesiam dictum: Vt cortex mali Punici ge
nae tuae et infra: Si floruerit uitis, floruerint mala granata Ec
clesia enim bonum fidei fulgorem confessionisque pratendit tot
martyrum sanguine speciosa et quod est amplius Christi cruore
dotata, simul plurimos intra se fructus usu istius pomi sub una
munitione conseruans et uirtutum multa negotia conplectens; sa
piens enim spiritu celat negotiaK Amygdalis quoque hoc genere
medicari feruntur agricolae, ut ex amaris dulces fructus fiant, ut
terebrent eius radicem arboris et in medium inserant surculum
eius arboris, quam Graeci nos piceam dicimus, quo facto
suci amaritudo deponitur. Ergo si agricultura conuertit stirpium
qualitates, nonne studia doctrinae et disciplinae adtentio mitigare
possunt quaslibet aegritudines passionum? Nemo ergo positus
uel in adulescentiae uel intemperantiae lubrico de sui conuersione
desperet. Ligna plerumque in meliores uertuntur usus: non pos
sunt hominum corda mutari?
172 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 13, 56-57
57. Docuimus non solum inter diuersi generis arbores esse
fructum diuersitates, sed plerumque in eadem specie arborum
conpugnare sibi fructus. Alia enim species masculorum, alia fe
mineorum fructuum, sicut de dactulis supra iam diximus. Quis
autem possit conprehendere uarietatem, speciem gratiamque po
morum, singulorum quoque utilitatem fructuum sucorumque pro
prietatem, quae cuique rei apta uideantur, quemadmodum aegris
uisceribus hominum amariora poma medicentur et inflationem
asperitatemque interiorem temperent, quemadmodum rursus umo
rum aspera pomorum dulcibus temperentur? Denique ea medicina
antiquior, quae herbis curare consueuit et sucis, nec ulla firmior
sanitas quam quae salubribus reformatur alimentis. Vnde secun
dum naturam docemur quia sola nobis esca medicina est. Herbis
certe ulcera aperta clauduntur, herbis curantur interna ideoque
medicorum est opus herbarum potestates noscere; hinc enim me
dendi usus inoleuit.
* Cant 4, 3.
*Cant 7, 13(12).
>Prou 11, 13.
paragonata alla Chiesa, come trovi nei Cantici riferito alla Chie
sa: Le tue guance sono come la corteccia della melagrana e pi
sotto: Se fiorir la vite, fioriranno i melograni. Infatti la Chiesa,
abbellita dal sangue di tanti martiri e, ci che pili conta, arric
chita dal sangue di Cristo, mostra il luminoso splendore della
sua fede e della sua testimonianza, osservando nello stesso tempo
dentro di s sotto un unico riparo, a somiglianza del melograno,
numerosissimi frutti e abbracciando molte attivit virtuose: Chi
saggio nello spirito nasconde le proprie opere buone Si dice
che i contadini curano anche i mandorli perch i loro frutti da
amari diventino dolci: perforate le radici, vi inseriscono un ma
gliolo di quella pianta che i Greci chiamano , noi pino sel
vatico, eliminando con tale sistema l'amarezza del succo. Se dun
que l'agricoltura muta la qualit delle piante ancor giovani, gli
studi e la disciplina non possono forse ammansire l'asprezza di
qualsivoglia passione? Nessuno, pur trovandosi sul terreno sdruc
ciolevole della giovinezza o dell'intemperanza, disperi della pro
pria conversione. Mentre gli alberi per lo pi si mutano per of
frire un migliore impiego di s, non potr cambiare il cuore degli
uomini?
57. Abbiamo mostrato che non solo fra alberi di specie di
versa vi sono frutti diversi, ma che spesso nella medesima specie
di alberi i frutti sono differenti fra loro. Altra la forma dei
frutti di sesso maschile, altra la forma dei frutti di sesso fem
minile, come abbiamo detto sopra a proposito dei datteri. Ma
chi riuscirebbe ad illustrare in breve la variet, l'aspetto e la bel
lezza dei frutti, l utilit di ciascuno di essi e la caratteristica del
loro succhi, a quali usi specifici risultino adatti, in qual modo
quelli amari curino i disturbi dell'intestino o attenuino la gon
fiezza e l'indolenzimento interno e, ancora, come l'acidit dei no
stri umori sia mitigata dalla lro dolcezza? Del resto pi antica
la medicina che suole curare con erbe e succhi vegetali e non
esiste salute pi stabile di quella che viene ristabilita per mezzo
di alimenti sani. Perci secondo la natura impariamo che per noi
il solo cibo medicina. E un fatto che con le erbe si rimarginano
le piaghe aperte, con le erbe si curano le malattie interne, e perci
i medici devono conoscerne le virt; di qui si sviluppato l'eser
cizio della medicina.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 173
Prov., 11, 13: qui autem fidelis est animi celat amici commissum. I
Settanta hanno invece: S .
** B a s ., Hexaem., 109 CD, 112 A (46 E, 47 A): ^
6 ^ 1 .
^ ,
^ (... e prosegue con l esempio delle melagrane e delle mandorle,
concludendo (112 A): ,
i t i 6} , ?)
.
Caput XIV
58. Sed ut ad simplicia poma reuocemus stilum, alia sunt
quae quocuntur sole, alia quae et testis et corticibus clausa con-
plentur. Mala et pyra, uuarum quoque genera omnia nuda obiecta
sunt soli, nucis autem et nucleae, nuclei quoque fructus et testa
opertus et cortice alitur tamen et ipse calore solis et quantum
pineae densitate nuculeus absconditur, tantum solis calore nu
tritur.
59. Quanta deinde domini prouidentia est, ut ubi mollior
fructus, ibi folii crassitudo ualidius tegimentum tuendo deferat
pomo, quod uidemus in fructu ficulneae. Delicatiora itaque uali-
dioribus munienda sunt, ut et ipse dominus per Hieremiam docet
dicens: Sicut ficus istas bonas recognoscam translatos luda, quos
emisi de loco isto in terram Chaldaeorum in bona, et confirmabo
oculos meos super illos in bona'. Tamquam delicatos enim uelut
quodam misericordiae suae ualidiori saepsit tegmine, ne teneri
fructus maturius interirent. Denique de ipsis etiam in posteriori
bus dicit: Delicati mei ambulauerunt uias asperas quibus infra
ait: Constantes estote, filii, et proclamate ad dominum '. Hoc enim
solum aduersum omnes procellas atque iniurias inuiolabile tegi
men, inpenetrabile munimentum est. Vbi ergo teneri fructus ibi
crassiora tegmina et munimenta foliorum; contra autem ubi fruc
tus ualidiores tibi teneriora folia, ut malus arbor docet. Pomum
enim ualidius non multo indiget protectionis auxilio; nam ipsa
protectionis crassioris umbra pomo nocere plus posset.
174 EXAMERON, DIES , SER. V, C. 14, 58-60
60. Denique doceat nos pampinus naturae gratiam et diui-
nae sapientiae interna mysteria. Videmus enim ita scissum atque
diuisum, ut trium foliorum speciem uideatur ostendere; ita pars
media distincta est, ut nisi inferioribus haereret, separata spec
tantibus uideretur. Ea autem ratio uidetur seruata naturae, ut et
solem facilius admittat et umbram obtexat. Denique procerius
media pars eius extenditur et in ipsa summitate tenuatur, ut plus
pulcritudinis quam tegumenti praeferat. Etenim brabii speciem
a ler 24, 5.
b Bar 4. 26.
c Bar 4, 27.
Capitolo 14
58. Ma per ritornare ai frutti comuni, altri sono quelli ma
turati dal sole, altri quelli che raggiungono il loro completo svi
luppo rinchiusi in gusci e cortecce. Le mele e le pere e tutti i
tipi di uva sono esposti al sole senza riparo; invece le noci, le
nocciole e le mandorle in genere sono coperte dal guscio e dalla
corteccia e tuttavia anchesse sono alimentate dal calore del sole
e il gheriglio, quanto si nasconde sotto lo spessore del mallo,
tanto nutrito dal calore del sole
59. Quanto grande poi la provvidenza del Signore! Dove
c un frutto pi molle, lo spessore delle foglie offre una prote
zione pi valida per la sua difesa, come vediamo nel caso del
fico*. Perci le creature pi delicate devono essere protette da
altre pi robuste, come lo stesso Signore insegna per bocca di
Geremia dicendo: Come questi buoni fichi, cosi riconoscer i de
portati di Giuda che ho inviato da questo luogo nella terra dei
Caldei per il loro bene e fisser i miei occhi sopra di loro per il
loro bene. Infatti, siccome erano esposti alle offese, li circond,
per cosi dire, duna protezione pi valida costituita dalla sua mise
ricordia, affinch quei teneri frutti non perissero prematuramente.
Inoltre, degli stessi dice anche in seguito: Le mie tenere creature
percorsero vie scabrose- e pi sotto dice loro: Siate coraggiosi,
o figli, e gridate al Signore. Questa la sola protezione inviola
bile, l inespugnabile difesa contro tutte le tempeste e gli oltraggi.
Dove ci sono frutti delicati, pi spessa la protezione e la difesa
delle foglie; al contrario, dove ci sono frutti pi resistenti, ivi le
foglie sono pi tenere, come insegna il melo. La mela, essendo
alquanto resistente, non ha molto bisogno di un aiuto che la
protegga: la stessa ombra di una protezione troppo spessa po
trebbe piuttosto nuocere al frutto.
60. Infine il pampino potrebbe insegnarci la bellezza della
natura e gli intimi arcani della sapienza divina. Vediamo infatti
che esso cosi frastagliato e diviso da assumere l aspetto di tre
foglie distinte. I l suo lobo mediano si differenzia talmente che, se
non fosse unito a quelli inferiori, a prima vista sembrerebbe una
foglia a s stante. E sembra che la natura si sia comportata cosi
per lasciar passare pi facilmente il sole e, nello stesso tempo,
per offrire il riparo deHombra. Inoltre il lobo mediano del pam
pino si estende pi in alto e sulla cima si assottiglia in modo da
essere motivo di bellezza pi che di protezione. Infatti sembra
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 175
* Bas., Hexaem., 112 CD (47 D): , uv
;
2 Bas., Hexaem., 112 D (47 DB ):... 6 ,
T , ;
Bas., Hexaem., 112 D (47D E ):iv 8 ,
, ; " , 6 ^, -
, 8
x .
uidetur effingere significans quod uua inter pendentes ceteros
fructus habeat principatum, cui tacito quodam iudicio naturae,
sed eldenti indicio innascitur species et praerogatiua uictoriae.
Secum igitur habet brabium suum, quo et munimen sibi praebetur
aduersum iniurias uel aeris pariter imbriumque uiolentiam et in-
pedimentum non adfertur ad recipiendum solis calorem, quo tepe
facta alitiu, coloratur, augetur. Ficulneae quoque folium aeque
prope ut pampinus quadrifida rescinditur diuisione, quod eo cla
rius uidetur quo maius est folium, sane non ita ut pampinus uel
ora omni uel summitate crispanti. Sicut enim in ficulneae folio
crassitudo ualidior ita in pampino species elegantior. Crassitudo
igitur folii proficit ad tempestatis iniuriam repellendam, interscis-
sio ad fructus gratiam uaporandam. Denique hoc genus pomi
grandinem non cito, maturitatem cito sentit, quia et latere uidetur
aduersus iniurias et patere ad gratiam.
176 EXAMERON, DIES , SER. V, c. 14, 60-61 - c. 15, 62
61. Quid ego foliorum describam diuersitates, quemadmodum
alia rutunda, alia longiora, alia flexibilia, alia rigidiora sint, alia
nullis facile uentis labentia, alia quae leui motu decutiantur au
rarum?
Caput XV
62. Inexplicabile est singularum rerum exquirere proprieta
tes et uel diuersitates earum manifesta testificatione distinguere
uel latentes occultasque causas indeficientibus aperire documen
tis. Vna nempe atque eadem est aqua et diuersas plerumque sese
mutat in species: aut inter harenas flaua aut inter cautes spumea
aut inter nemora uiridantior aut inter florulenta discolor aut
inter lilia fulgentior aut inter rosas rutilantior aut in gramine
liquidior aut in palude turbidior aut in fonte perspicacior aut in
mari obscurior assumpto locorum quibus influit colore decurrit.
Rigorem quoque pari ratione commutat, ut inter uaporantia fe-
rueat, inter umbrosa frigescat, sole repercussa exaestuet, niuibus
inrigata glaciali umore canescat. Quemadmodum autem sapor eius
ipse conuertitur, ut nunc asperior, nunc amarior, nunc uehemen-
tior, nunc austerior, nunc dulcior pro specierum quibus infusa
fuerit qualitate uarietur! Asperatur inmaturioribus sucis, tunso
riprodurre l aspetto dun premio circense, indicando che, fra tutti
gli altri frutti penduli, ha il primo posto l uva, nella quale, per
un tacito decreto della natura ma con chiara evidenza, sono in
nati l aspetto e la prerogativa della vittoria*. Ha con s dunque il
suo premio il quale, ad un tempo, le assicura una protezione con
tro le offese o la violenza sia del vento sia delle piogge e non le
impedisce di ricevere il calore del sole che, riscaldandola, l'ali
menta, la colorisce, la fa crescere =. Anche la foglia del fico, quasi
come il pampino, si divide in quattro lobi cosa che si vede
tanto pi chiaramente, quanto pi grande la foglia , bench
non abbia, come il pampino, l intero orlo e il vertice frasta
gliati. Come nella foglia del fico lo spessore pi resistente, cosi
nel pampino la forma pi elegante. Lo spessore della foglia
serve dunque a respingere i danni del cattivo tempo, la sua divi
sione in lobi a rendere saporito il frutto esposto al calore. Questa
specie di frutto non subisce facilmente danni dalla grandine, fa
cilmente invece giunge a maturazione, perch riparata dalle of
fese ed esposta allazione di ci che le giova.
61. Perch descrivere le diverse forme delle fpglie, come al
cune siano rotonde, altre pi allungate, alcune flessibili, altre pi
rigide, alcune resistenti al vento, altre facili a cadere al solo
spirar duna brezza?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 177
Capitolo 15
62. Sarebbe fatica interminabile indagare la propriet delle
singole cose o distinguerne le differenze con prove evidenti o spie
garne le cause avvolte nel mistero con una documentazione senza
lacune. Lacqua, indubbiamente, sempre la stessa, e tuttavia so
vente assume aspetti diversi: gialla in mezzo alla sabbia, tra gli
scogli spumeggiante, con riflessi verdi in mezzo ai boschi, tra i
fiori variopinta, dun candore luminoso fra i gigli, dun rosso splen
dente tra le rose, in un prato pi limpida, in una palude pi tor
bida, in una fonte pi trasparente, nel mare pi cupa, essa scorre
assumendo il colore dei luoghi che attraversa. Allo stesso modo
cambia la sua temperatura naturale, cosi che bolle a contatto con
oggetti infocati, si raffredda allombra, evapora se esposta al sole,
coperta di neve biancheggia diventando ghiaccio. E cosi cambia
il suo sapore divenendo ora pi acida, ora pi amara, ora pi
frizzante, ora pi aspra, ora pi dolce a seconda della qualit delle
* Non ben chiaro che cosa intenda qui S. Ambrogio. Non si capisce
bene, infatti, come il lobo mediano della foglia della vite riproduca la for
ma dun premio circense.
Bas., Hexaem., 112 D, 113 A (47 E): -
1, ' , 6 6
^ St ;
cortice nucis foliisque contritis, amara fit absentio, uino uehe
mentior, austerior aliis, grauescit ueneno, meile dulcescit. Si uero
ei lentiscum, terebinti quoque fructus uel et nucis interior miscea
tur, in olei mollem naturam facile transfunditur. Cum sit autem
altrix omnium uirgultorum, diuersos singulis usus ministrat. Si
radices alluat uel nubibus fusa descendat, discretas dat omnibus
uires, radicem inpinguat, caudicem prouehit, ramos diffundit, folia
uirescere facit, fructum alit semina, pomum augere consueuit.
Ergo cum eadem sit omnium nutrix, alia arborum genera tristio
res ferunt sucos, alia dulciores, alia tardos, alia praematuros.
Ipsae quoque inter se discrepant suauitates. Alia suauitas in uinea,
alia in olea, alia in cerasis, alia in fico, discreta in malo, dispar 'm
dactulo.
178 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 15, 62-63
63. Tactus ipse aquae alibi lenis, alibi asperior, plerumque
pinguior est, pondere quoque distat frequenter u t. specie; nam
plerisque locis grauior, plerisque leuior extimatur. Non mirum
igitur si, cum ipsa in se discrepet, discrepent etiam inter se la
crimae arborum, quae eiusdem aquae adluuione generantur. Et
cum una sit omnium causa, diuersus singularum usus, diuersa
natura est. Aliam uim habet cerasi arboris lacrima, aliam lentisci.
Disparem quoque balsami guttam odorata orientis ligna sudare
produntur, diuersum quoque lacrimarum genus uirgulta ferula
rum in Aegypto ac Libya quadam ui naturae secretioris inlacrimant.
Quid autem tibi referam clementem licet esse sermonem
quod electrum lacrima uirgulti sit et in tantae materiae solidita
tem lacrima durescat? Nec leuibus id adstruitur testimoniis, quan
do folia aut surculorum minutissimae portiones .aut exigua quae
dam animantium genera in electro saepe reperiantur, quae uidetur
cum adhuc gutta esset mollior, recepisse et solidata tenuisse.
derrate sulle quali versata. resa acida dai succhi dei frutti
immaturi, dalla corteccia pestata e dalle foglie tritate di noce,
amara dairassenzio, pi frizzante dal vino, pi aspra daU'aglio,
disgustosa dal veleno, dolce dal miele. Se poi le si mescola il succo
di lentisco, il frutto del terebinto o anche il gheriglio della noce,
facilmente si trasforma nella vscida natura dell'olio. E, pur ali
mentando tutti i vegetali, rende a ciascuno di essi un differente
servizio. Se bagna le radici o scende riversandosi dalle nubi, d
a tutte le piante un'energia distnta: ingrossa la radice, sviluppa
il tronco, estende i rami, rende verdi le foglie, nutre i semi e soli
tamente aumenta il volume dei frutti. Pur essendo essa nutrice
comune d tutte le specie di piante, alcune producono succhi pi
amari, altre pi dolci, altre tardivi, altre precoci Anche gli stessi
sapor gradevoli sono diversi fra loro. Un sapore ha l'uva, un altro
l'oliva, un altro le ciliege, un altro il fico, diverso la mela, dif
ferente il dattero.
63. Anche al tatto in un luogo l'acqua soffice, in un altro
pi ruvida, spesso piuttosto densa, di frequente diversa per peso
come per aspetto; infatti in molti luoghi ritenuta pi pesante,
in molti pi leggera. Non c' da meravigliarsi dunque se, dal
momento che l'acqua non sempre uguale a se stessa, anche le
resine degli alberi, prodotte dall'abbo.ndante scorrere della mede
sima acqua, siano diverse tra loro. E pur essendone unica la cau
sa, diverso il modo di comportarsi, diversa la natura di cia
scuna di esse. Altra efficacia ha la resina di ciliegio, altra quella
del lentisco. Dicono che anche le piante odorose dellOriente es-
sudino una differente goccia di balsamo, mentre i virgulti delle
canne in Egitto e in Libia per effetto d'una virt naturale che
ancora ci sfugge, emettono una diversa specie di resina. E per
ch ricordarti il nostro discorso pu ben mostrarsi compren
sivo verso gli ascoltatori che l ambra la resina d'una pianti
cella, che si solidifica sino ad acquistare la durezza propria d'una
materia cosi pregiata? N ci si afferma siil fondamento di testi
monianze poco autorevoli, dal momento che nell'ambra si ritro
vano spesso pagliuzze o minutissime particelle di legno o taluni
piccoli insetti che evidentemente la goccia, quand'era ancora li
quida, ha assorbito e, divenuta solida, ha conservato in s*.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 179
1Tutto il paragrafo ispirato da B a s . , Hexaem., 113 A-D (47E-48D).
* Bas., Hexaem., 113 B (48 AB); " 6 ,
4
hsSn .
* Bas., Hexaem., 113 B (48 AB): 8 irv
? . S
kifm , , ,
. Cf. PUN., . ., XXXVII, 3, 46: Liquidum id primo destillare argu
mento sunt quaedam intus tralucentia ut formicae culicesque et lacertae,
<tuae adhaesisse musteo non est dubium et inclusa durescente eodem re
mansisse.
64. Sed quid ego uili sermone decerno cum alta atque pre
tiosa ratione naturae, cum iste sermo humano alatur ingenio, na
turam autem omnium prouidentia diuina formauerit? Vnde uelut
habenis quibusdam uerborum cohibenda diffusio est, ne quod
Solomoni specialiter sapientiae munere diuinitus uidetur esse con
latum, usurpatorie uideamur exponere differentias arborum et
uirtutes radiciun et quaecumque .sunt abscondita et inprouisa*,
sicut scriptum est. Quae nec ab ipso tamen manifestata produn
tur, ut mihi uideatur potuisse eum disputare de uirgultorum ge
neribus', non potuisse tamen plenius omnis creaturae explicare
rationes.
180 EXAMERON, DIES , SER. V, C. 15, 64 - C. 16, 65
Caput XVI
65. Quodsi inriguis aquarum plerumque et segetes laetiores
sunt et uirides fabae et hortorum multiplex suscitatur et resusci
tatur gratia, si uiridantibus toris fluuiorum eximdantium decora
tur, quemadmodum ad uerbum domini, quod omni aquarum cursu
est redundantius, subito creatura uirgultorum omnis effloruit! Ffr
stinarunt campi non commissam sibi frugem edere, ignorata horti
holerum genera, florum miracula germinare, ripae fluminum se
uestire myrtetis, properauertmt arbores cito surgere, cito se in
florem induere, uictum hominibus, pecoribus pabulum ministrare.
Fructus communis, est omnibus, usus quoque est datus omnibus.
Simul utrumque arbores germinarunt, aliud quo uesceremur, aliud
quo refrigerante umbra defenderemur a sole. Cibus in fructu,
usus amoenitatis in foliis; tamen quia praescia erat prouidentia
creatoris quod fructuni sibi maxime hominum auiditas uindicaret,
reliquis prouidit animantibus, ut specialem iis donaret alimoniam.
Itaque esca his non mediocris in foliis est corticibusque siluestri
bus; ea quoque quae ad usum medendi proficerent, id est sud
lacrimae surculi pariter ministrata sunt. Itaque illa quae post
experimento usu exemplo utilia cognouimus, ea a principio crea
tor, cui usui apta donaret, praescientiae suae maiestate de sina
terrarum iussit exire.
Sap 7, 20-21.
b 3 Reg 5, 13 (4, 33).
64. Ma perch nel mio umile discorso pretendo di affrontare
le profonde e preziose leggi della natura, dal momento che il mio
parlare alimentato dall'impegno umano, mentre la natura del
luniverso stata plasmata dalla Provvidenza divina? Perci l esu
beranza delle parole devessere, per cosi dire, imbrigliata, affinch
non sembri che esponiamo, senza averne la competenza facolt
che manifestamente fu concessa da Dio al solo Salomone con il
dono della sapienza , le differenze degli alberi e le propriet
delle radici e ogni altra questione nascosta e imprevista, come sta
scritto. Si dice tuttavia che neppure da lui tutti -questi argomenti
furono chiariti, sicch mi sembra ch'egli pot bens trattare delle
specie degli alberi, non pot tuttavia spiegare adeguatamente la
ragione dessere dogni creatura.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 181
Capitolo 16
65. Se per l azione delle acque irrigue le messi, sono pi ri
gogliose^, se le fave diventano verdi e la molteplice bellezza dei
giardini sorge e si rinnova, se le sponde dei fiumi che straripano
si adomano di bordi verdeggianti*, come alla parola del Signore,
che trabocca pi copiosa dgni corso dacqua, ad un tratto fio
rirono tutte le piante create! I campi si affrettarono a produrre
le messi non seminate e a far germogliare ignote specie derbaggi
e fiori meravigliosi, le rive dei fiumi a rivestirsi di mirteti, gli
alberi si fecero premura di crescere rapidamente, di ricoprirsi ra
pidamente di fi or i, di somministrare il vitto agli uomini, la pa
stura al bestiame. Tutte le piante hanno il loro frutto, a tutte fu
assegnato un loro uso particolare. Nello stesso tempo gli alberi
con la loro vegetazione ci offrirono sia un mezzo per sfamarci
che un mezzo per difenderci dal sole alla loro ombra ristoratrice
il cibo con i loro frutti, il ristoro con le loro foglie . Tutta
via, poich la provvidenza del Creatore non ignorava che l avi
dit degli uomini avrebbe preteso i frutti specialmente per s,
provvide agli altri animali dando loro un cibo particolare. Perci
essi hanno un cibo abbondante nelle foglie e nelle cortecce sel
vatiche; parimenti vennero fornite anche le sostanze utili alla
medicina, cio i succhi, le resine e i polloni. Pertanto fin da prin
cipio il Creatore con la maest della sua prescienza, per fornirci
mezzi adatti a tale scopo, fece uscire dal seno della terra quelle
sostanze di cui apprendemmo l utilit successivamente con l espe
rienza, l uso, lesempio.
>Cf. Verg., Georg., I , 1: Quid laciat laetas segetes.
* Cf. Verg., Aen., VI. 674: riparumque toros et prata recentia riuis.
66. Et quia iussit dominus ut germinaret terra herbam faeni
et lignum fructiferum faciens fructum secundum genus, cuius
semen eius in eo, ne forte quis dicat in multis arboribus neque
fructum neque semen uideri et putet diuinum in aliquo uaccillare
praeceptum, ut a ueritate sit dubium, illud aduertat, quia nequa
quam fieri potest, ut non aut seminibus utantur uniuersa gignen
tia aut habeant aliqua quae uideantur cum uirtute seminum con-
uenire, idque si quis diligenter intendat, manifesta testificatione
poterit conprehendere. Nihil uidentur seminis habere salices, ha
bent tamen in foliis granum quoddam, quod habeat uirtutem se
minis, ut eo commisso terris tamquam posito surgat arbos de
surculo et tamquam de semine se exsuscitet. Grano itaque illo
radbc prima coalescit; de radice pullulat non solum salicis, sed
etiam reliquarum ad similitudinem huiusmodi generis arborum
silua. Habet autem et radicis generatio uirtutem seminis, unde
plerique ea satione incrementum sui nemoris propagauerunt.
182 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, C. 16, 66^9
67. Magna dei uirtus in singulis. Nec miretur aliquis, si in
uirgultis magnam dei dixi esse uirtutem, siquidem magnam uir
tutem suam in lucustis esse dixit et bruco, eo quod diuinae
maiestatis offensa magna moderamine sterilitatis ludaicae atque
inopiae solueretur. Magna enim uirtus patientia, magna uirtus
prouidentia. Indigni enim erant, qui uterentur fecunditate terre
na, qui terrarum laeserant creatorem. Et uere magnus, qui mise
rabili fame nefas tantae impietatis ulciscitur. Itaque si magna
uirtute dei sterilem brucum terra generauit, quanto magis uir
tute magna quae fecunda sunt procreat.
68. Quis pineam uidens non stupeat tantam diuino praecepto
artem inolitam inpressamque naturae, quemadmodum ab ipso cen
tro distantibus licet mensuris pari adsurgat glutino, quo proprios
fouet fructus? Itaque per circuitum eadem species et ordo serua-
tur et quidam in singulis plagis nuculeorum partus exuberat at
que in orbem redit fructus et gratia. Itaque in pinea ista imagi
nem sui natura uidetur exprimere, quae a primo illo diuino eae-
lestique mandato priuilegia accepta custodit et partus suos qua
dam annorum uice et ordine refert, donec consummatio temporis
impleatur.
69. Sed ut in hoc fructu gratam speciem sui signat, ita etiam
in myricis, id est humilibus uirgultis figuram inprobae calliditatis
66. E siccome il Signore ordin che la terra producesse erba
da foraggio e alberi fruttiferi che facessero, ciascuno secondo la
propria specie, un frutto contenente il proprio seme, affinch per
caso qualcuno non dica che in molti alberi non s vedono n il
frutto n il seme e pensi che in qualche cosa il comando divino
non regga, sicch dalla verit sorga il dubbio, consideri che non
pu assolutamente avvenire che tutti i vegetali o non abbiano bi
sogno del seme o non abbiano qualche mezzo di riproduzione che
sembri accordarsi con la propriet dei semi^. E se a tale scopo
si compir una diligente ricerca, sar possbile rendersene conto
con prove evidenti. Sembra che i salici non abbiano seme, ma
sulle foglie hanno un granello che ha la propriet del seme, sic
ch, quando questo viene affidato alla terra, l albero spunta come
se fosse stato piantato un pollone e si sviluppa come da un seme.
Da quel grano si forma dapprima la radice; dalla radice pullula
una fitta vegetazione non solo di salici ma anche di altre piante
che ad essi somigliano ^ Ed anche la moltiplicazione della radice
ha la virt del seme, e perci molti con tale sistema di riprodu
zione hanno esteso il loro bosco.
67. Grande la potenza di Dio in ciascuna cosa. E nessuno
si meravigli se ho detto che grande si rivela la potenza di Dio
nelle piante ancor giovani, dal momento che egli disse che la sua
potenza si rivelava grande nelle locuste e nel bruco, perch la
grave offesa alla maest divina veniva punita col castigo della sic
clt e della carestia del popolo giudaico. potenza grande la pa
zienza, potenza grande la Provvidenza divina. Essi infatti non me
ritavano di godere la fecondit della terra poich ne avevano of
feso il Creatore. E veramente grande colui che con una mise
revole carestia punisce il sacrilegio d'una cosi grande empiet.
Quindi, se per la grande potenza di Dio la terra gener Io sterile
bruco, quanto pi si richiede l'intervento di questa grande po
tenza perch essa produca esseri fecondi!
68. Chi, al vedere la pigna, s stupirebbe che dal comando
divino sia stata radicata e impressa nella natura una cosi grande
abilit, considerando cio come da un unico centro essa salga con
uguali scaglie, sa pure di misura diversa, con le quali protegge i
propri frutti? Tutt'attomo si conserva il medesimo aspetto rego
lare, e, sebbene nelle singole zone sporgano rigonfi i pinoli, tut
tavia il frutto mantiene la sua elegente forma rotonda. Pertanto
nella pigna sembra che la natura esprima la propria immagine, poi
ch da quel primo comando celeste e divino essa custodisce le
prerogative ricevute e rpresenta i suoi frutti con una ordinata
successione annuale, finch non sia compiuto il ciclo totale delle
stagioni.
69. Ma come in questo frutto la natura esprime il suo at
traente aspetto, cosi nei tamerischi, cio in umili alberelli, ha
<Ba s ., Hexaem., 105 C {45 B ): ... 1
( .
' * Non corrisponde a verit; vedi Co ppa , op. cit., p. 224, n. 93.
* Cf. Vero., Bue., IV, 2: non omnis arbusta iuuant humilesque myricae.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 183
expressit. Sicut enim duplici corde uiri ubique praesto sunt et
gratiam simpiicitatemque apud bonos praetendunt et uitiosissi-
mis glutinantur, ita etiam et in aquosis et in desertis contrario
quodam usu haec uirgulta nascuntur. Vnde et Hieremias dubia
morum atque insincera myricis comparauit
184 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, c. 16, 69 - c. 17, 70-71
Caput XVII
70. Germinet inquit terra, et statim omnis surgenti germine
terra completa est. Et homini dicitur: Dilige dominum deum
tuum , et non est caritas dei omnium infusa uisceribus. Surdiora
corda hominum sunt quam dura saxorum. Terra indebitos fructus
nobis ministrat, dum obsecundat auctori: nos debitum munus ne
gamus, dum non ueneramur auctorem.
71. Vide in paruis quae prouidentia sit dei et, quia conpre-
hendere non potes, mirare quomodo alia semper florentia reser-
uarit, alia mutationes habere uoluerit expoliationis et amictus.
Inter cana niuium, pruinas frigorum uiriditatem suam arua con-
seruant et cum ipsa tecta sint gelu, partus sui tamen haut exi
guam speciem uiriditatis obtexunt. In ipsis quoque generibus ar
borum, quae diuturnis frondibus uestiuntur, non mediocris di
stantia est. Seruat indumentum suum semper olea uel pinus, sed
tamen folia sua saepe commutant nec ea quasi diuturna, sed
quasi succedanea praetendunt suae arboris pulchritudini perpetui
integritate uestitus uicem muneris obumbrantes. Palma autem ui-
rens semper manet conseruatione et diuturnitate, non inmutatione
foliorum. Nam quae primo germinauerit folia, ea sine ulla sub
stitutionis successione conseruat. Imitare ergo eam, o homo, ut
dicatur et tibi: Statura tua similis facta est palmae'^. Serua uiri
ditatem pueritiae tuae et illius innocentiae naturalis, quam a pri
mordio recepisti, ut plantatus secus decursus aquarum fructum
tuum in tempore tuo habeas praeparatum et folium tuum non de
fluat'. Hanc uiriditatem gratiae semper florentis in Christo se-
>ler 17, 6.
Deut 6, 5; Mt 22, 37.
b Cant 7, 7.
* Ps 1. 3.
espresso l'immagine di imastuzia maligna. Come gli uomini dop
pi di cuore sono sempre disponibili e con i buoni ostentano be
nignit e schiettezza, mentre si attaccano agli individui peggiori,
cosi nelle zone umide e in quelle desertiche questi arbusti nasco
no comportandosi in modo opposto. Perci anche Geremia pa
ragon ai tamerischi la condotta equivoca e la mancanza di sin
cerit
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 185
Capitolo 17
70. Germogli la terra, disse, e subito la terra si riempi di
virgulti nascenti. E alluomo si dice; Ama il Signore Dio tuo; ma
lamore di Dio non penetra in tutti i cuori. I l cuore delluomo
pi insensibile del macigno. La terra ci somministra i frutti che
non ci sono dovuti, obbedendo al Creatore; noi, quando non ado
riamo il nostro Creatore, rifiutiamo un tributo cui saremmo tenuti.
71. Vedi nelle piccole cose quale sia la Provvidenza divina
e, poich non puoi comprenderla, ammira come abbia conservato
sempreverdi alcune piante e invece abbia voluto che altre, mu
tando aspetto, si spogliassero e si rivestissero alternativamente del
loro fogliame. Tra il candore delle nevi e le brine gelate * i camipi
mantengono l energia vegetativa e, anche quando sono ricoperti
dal gelo, i loro prodotti celano non trascurabili manifestazioni
del vigore con cui si sviluppano. Nelle stesse specie degli alberi
rivestiti di fronde perenni, c non piccola differenza. Lolivo e il
pino conservano sempre il loro manto; tuttavia cambiano spesso
le foglie e adornano cosi la bellezza dellalbero con foglie che
non sono perenni, ma via via si sostituiscono nascondendo il suc
cedersi della vegetazione con l integrit d'una veste che non viene
mai meno. La palma invece rimane sempreverde, mantenendo
perennemente le foglie senza mutarle*: conserva quelle spuntate
per prime, senza cambiarle successivamente. Imitala, o uomo, per
ch si dica anche a te: La tua statura diventata come quella di
una palma. Conserva la verde freschezza della tua adolescenza e
di quella innocenza naturale che hai ricevuto fin dalla tua na
scita, in modo che piantato lungo il corso dellacqua, abbia pron-
Bas., Hexaem., 116 BC (49 B): , -
-
. 4 (
.
Cf. Ger., 17, 6: Maledictus homo qui confidit in homine. Erit enim quasi
myricae in deserto, et non uidebit cum uenerit bonum; sed habitabit in
siccitate in deserto, in terra salsuginis et inhabitabili.
* Cf. Ve r g ., Georg., I I , 376: Frigora nec tantum cana concreta pruina.
Bas., Hexaem., 116 B (49 AB): (,
* ^, S (.
Yp \ >, ^ , &
.0 &. 6 ...

cuta ecclesia dicit: I n umbra eius concupiui et sedi Hanc prae-


rogatiuam doni uirentis acceperunt apostoli, quorum nec folium
umquam potuit elabi, ut eorum etiam umbra curaret aegrotos*;
obumbrabant enim infirmitates corporis fides mentis et florentia
merita uirtutum. Mane ergo plantatus in domo domini, utin atriis
eius sicut palma floreas et ascendat in te gratia ecclesiae et sit
odor narium tuarum sicut mala et fauces tuae sicut uinum opti
mum ^ut inebrieris * in Christo.
186 EXAMERON, DIES I I I , SER. V, C. 17, 71-72
72. Bene admonuit iste uersiculus repetere paene intermis
sum quia diximus praecepto domini uitem etiam pullulasse, quam
postea post diluuium a Noe plantatam esse cognouimus. Sic enim
habes, quia Nae agricola erat terrae et plantauit uitem et bibit
de uino eius et obdormiuitK Non ergo Noe auctor est uitis, sed
plantationis. Neque enim nisi eam repperisset ante generatam,
plantare potuisset. Cultor ergo, non auctor est uitium. Deus autem,
qui sciret quod uinum sobrie potatum sanitatem daret, augeret
prudentiam, inmodice sumptum ad uitia causas daret ^creaturam
dedit, abundantiam humano arbitrio reseruauit, ut parsimonia iia-
turae esset magisterium sobrietatis, abundantiae noxiam lapsum-
que temulentiae sibi ascriberet humana condicio. Denique et ipse
inebriatus est Noe et obdormiuit consopitus a uino'; Itaque per
uinum i>atuit deformitati, qui per diluuiimi excreuit ad gloriam.
Sed dominus et in eo creaturae suae gratiam reseruauit, ut eius
fructum nobis conuerteret ad salutem ac per eum nobis peccato
rum remissio proueniret. Vnde pie Isaac dbdt: Odor lacob odor
agri pleni^, id est naturalis odor. Quid enim pleno rure suauius,
quid uitis odore iucundius, quid fabae flore gratius? Vnde qua
muis ingeniose quis ante nos dixerit: 'Non uitem aut ficum pa
triarcha olebat aut frugem, sed uirtutum spirabat gratiam, ego
tamen et odorem ipsum terrae simplicein atque sincerum pro
gratia benedictionis accipio, quem fraus nulla conposuit, sed ue-
ritas indulgentiae caelestis infundit. Denique inter benedictiones
sacratissimas computatur, ut tribuat nobis, dominus a rore
caeli uim uini, olei atque frumenti cui est honor laus gloria
perpetuitas a saeculis et nunc et semper et in omnia saecula sae
culorum amen.
^Cant 2, 3.
e Act 5, 15.
i Cant 7. 8-9.
8 Cant 5, 1.
h Gen 9, 20.
1 EccU 31, 28-29 (37-38).
>Gen 9, 21.
Gen 27. 27.
n Gen 27, 28.
to il tuo frutto al momento opportuno e le tue foglie non cadano
mai. La Chiesa, seguendo questa freschezza della grazia sempre
fiorente in Cristo, dice: Alla sua ombra desiosa mi sono seduta.
I l privilegio di questo dono fecondo ricevettero gli apostoli, le
cui foglie non poterono mai cadere, al punto che anche la loro
ombra guariva gli ammalati; la fede dellanimo e i meriti fioriti
delle virt ricoprivano della loro ombra le malattie del corpo.
Rimani dunque piantato nella casa del Signore affinch tu fiori
sca nei suoi atrii come una palma e ascenda in te la grazia della
Chiesa e l'odore delle tue narici sia come quello delle mele e la
tua bocca come vino prelibato per inebriarti in Cristo.
72. Opportunamente questo versetto mi invita a riprendere
un discorso quasi interrotto, perch abbiamo detto che al coman
do del Signore spunt dal suolo anche la vite che sappiamo pian
tata da No successivamente, dopo il diluvio. Sai infatti che No
coltivava la terra e piant la vite e bevve il vino da essa prodotto
e si addorrnent. No non lautore della vite, ma della sua colti
vazione. Se non l'avesse trovata gi creata precedentemente, non
avrebbe potuto piantarla. Fu dunque il coltivatore, non l'autore
delle viti. Ma Dio, ben sapendo che il vino bevuto con sobriet
contribuisce alla salute e accresce il discernimento, mentre, tra
cannato senza misura, d origine ai vizi, diede tale creatura e la
sci alla libert umana la facolt di usarne abbondantemente, af
finch la parsimonia della natura fosse insegnamento di sobriet
e l'umana condizione imputasse a s il danno deHabuso e la colpa
deUubriachezza. Del resto anche lo stesso No si ubriac e, in
tontito dal vino, cadde in un sonno profondo. Cosi colui che per
il diluvio aveva raggiunto la gloria, per il vino fu esposto alligno-
minia. Ma il Signore anche nel vino conserv le buone qualit
della sua creatura, cosi da rivolgerne il frutto alla nostra salvezza
e farne derivare per noi la remissione dei peccati. Perci con af
fetto di padre Isacco disse: L'odore di Giacobbe odore di campo
rigoglioso, cio odore naturale. Che c di pi soave di una cam
pagna rigogliosa, di pi letificante dell'odore della vite, di pi
gradevole delle fave in fiore? Quindi, anche se qualcuno prima di
noi ha detto acutamente: I l patriarca non odorava di vite o di fico
0 di messe, ma olezzava dell'attrattiva delle virt *, io tuttavia, per
l'affetto che ispirava quella benedizione, intendo anche l'odore
stesso della terra, semplice e sincero, non manipolato da nessun
artificio, ma infuso dalla celeste benevolenza. Anzi, tra le benedi
zioni considerate pi sacre, una invoca che il Signore dalla rugiada
del cielo conceda abbondanza di vino, d'olio e di frumento. A lui
onore, lode, gloria, eternit dai secoli e ora e sempre e per tutti i
secoli dei secoli. Amen.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 187
Si allude alle guarigioni operate da Pietro {Atti, 5, 15) quando la sua
ombra copriva qualche ammalato.
* Cf. Philo, Quaest. in Gen., IV, 214; Am b r ., De lacob, I I , 1, 4.
DIES QVARTVS
SERMO VI
Caput 1
1. Qui uindemiam colligit uasa prius quibus uinum infundi
tur mundare consueuit, ne sors aliqua uini gratiam decoloret
Quid enim prodest ponere uitem ordine, foderp quodannis aul
aratris sulcos ducere, putare, subrigere, adiungere ulmis et quo
dam conubio copulare, si tanto labore uina quaesita in uase eoa
cescant? Matutinos quoque solis ortus si quis spectare desiderat
emundat oculos suos, ne quid pulueris, ne quid purgamentorum
oculis eius insidat, quo tuentis hebetetur optutus, neue aliqua
caligo nebulosa corporeos uisus spectantis obducat. Nobis in lec
tione exoriundus est sol, qui ante non fuerit. Primum iam diem
sine sole transiuimus, secundum sine sole transgimus, tertium
sine sole confecimus: quarto die iubet deus fieri luminaria, solem
et lunam et stellas. Sol incipit. Emunda oculos mentis, o homo,
animaeque interiores optutus, ne qua festuca peccati aciem tui
praestringat ingenii et puri cordis turbet aspectum. Emunda au
rem, ut uase sincero scripturae diuinae nitida fluenta suscipias,
ne qua ingrediatur contagio. Procedit sol magno iubare diem,
magno mundum conplens lumine, uaporans calore. Caue, o homo,
solam eius perpendere magnitudinem, ne nimius fulgor eius uisus
tuae mentis obcaecet, ut qui e regione in radium eius intendit
repercusso lumine omnem subito amittit aspectum ac, nisi in ce
teras partes uultum suum oculosque conuertat, aestimat se nihil
uidere et tuendi munere esse fraudatum, si uero deflectat opta
timi, integrum sibi officium perseuerat. Caue igitur ne et tuum
QUARTO GIORNO
VI SERMONE
Capitolo 1
1. Chi vendemmia, prima suole lavare i vasi nei quali viene
versato il vino, perch qualche impurit non ne guasti il pregio *.
A che giova infatti piantare la vite in filari*, zappare ogni anno
0 tracciare solchi con l aratro nel terreno intorno ad essa, potarla,
sostenerla, appoggiarla agli olmi^ e, per cosi dire, maritarla ad
essi, se il vino, prodotto con tanta fatica, dovesse inacidirsi nel
recipiente? Cosi, se uno desidera vedere la levata del sole, lava
1suoi occhi perch non ci sia della polvere o del sudiciume che
indebolisca Io sguardo n ombra di nebbia che offuschi la vista
corporea nellatto di osservare. Noi ora, a questo punto del no
stro discorso, dobbiamo far sorgere il sole che prima non esiste
va. Abbiamo gi trascorso il primo giorno senza sole, abbiamo
trascorso senza sole il secondo, concluso senza sole il terzo: il
quarto giorno Iddio comanda che siano fatti i luminari del cielo,
il sole, la luna, le stelle. Comincia ad esistere il sole. Monda gli
occhi della tua mente, o uomo, e gli interiori sguardi dellanima,
affinch qualche pagliuzza di peccato non offuschi l acutezza del
tuo ingegno e intorbidi la vista dun cuore puro. Pulisciti gli orec
chi per accogliere in un vaso immacolato le limpide acque della
Scrittura divina, perch non vi penetri nulla dinfetto. I l sole
avanza inondando il giorno di un grande splendore, il mondo di
una grande luce, riscaldandolo con il suo calore. Guardati, uomo,
dal valutarne solo la grandezza, perch il suo bagliore, troppo
vivo per te, non accechi la vista della tua mente, come chi ne fissa
direttamente il raggio perde immediatamente la vista per il ri
flesso e, se non rivolge da unaltra parte la sua faccia e i suoi
occhi, ha l impressione di essere cieco e di aver perduto la facolt
risiva, mentre, se devia lo sguardo, questa gli rimane intatta.
* Sors rarissiina forma del nominativo singolare del sostantivo plurale
mrdes, ium, usata solo da S. Ambrogio in tutta la latinit classica e cri-
eiana (Co ppa , op. cit., p. 228, n. 2).
* Cf. Lv c r ., vi , 17-18: intellegit ibi uitium uas efficere ipsum / omniaque
Bius uitio corrumpier intus) HOR., Ep., I, 2, 54: sincerum est nisi uas, quod-
umque infundis acescit. Cf. E p i c i ., apud Ge l l ., XVII, 19, 3 (Us e n e r , 396).
Cf. Ve r g ., Bue., I, 73: pone ordine uitis.
* et. Verg., Georg., I, 2: ulmisque adiungere uitis.
radius eius exoriens confundat aspectum. Et ideo prius firmamen
tum caeli aspice, quod ante solem factum est, terram aspice, quae
antequam sol procederet, coepit esse uisibilis atque composita,
germina eius aspice anteriora solis lumine. Anterior brucus quam
sol, antiquior herba quam luna. Noli ergo deum credere, cui uides
dei munera esse praelata. Tres dies transacti sunt; et solem nemo
quaesiuit et luminis claritas abundauit. Habet enim et dies suam
lucem, quae praecessor est solis.
190 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 1, 1-3
2. Non igitur te tanto splendori solis temere committas
oculus est enim mundi, iocunditas diei, caeli pulchritudo, naturae
gratia, praestantia creaturae sed quando hunc uides, auctorem
eius considera, quando hunc miraris, lauda ipsius creatorem. Si
tam gratus est sol consors et particeps creaturae, quam bonus est
sol ille iustitiae ! Si tam uelox iste, ut rapidis cursibus in die
ac nocte lustret omnia, quantus ille, qui ubique semper est et
maiestate sua conplet omnia'! Si admirabilis qui iubetur exire,
quam supra admirationem qui dicit soli et non exoritur'^, ut legi
mus! Si magnus est qui per horarum uices locis aut accedit aut
decedit cotidie, qualis ille qui etiam, cum se exinaniret , ut nos
eiun possemus uidere, erat lumen uerum, quod inluminat omnem
hominem uenientem in hunc m u n d u m Si praestantissimus qui
obiectu terrae patitur saepe defectus, quantae maiestatis qui ait
Adhuc ego semel et mouebo terram Illum terra abscondit, istius
motum non potest sustinere, nisi uoluntatis eius substantia ful
ciatur. Si caeco damnum est huius solis gratiam non uidere, quan
tum peccatori damnum ueri luminis munere defraudatum perpfr
tuae noctis tenebras sustinere!
3. Ergo cum uides solem, adtende terram, quae ante fundati
est, adtende herbam faeni, quae praestat ordinis priuilegio, adteD:
de ligna, quae plaudunt, quod priora luminibus caeli esse coej;
runt. Numquid merita faeni maiora quam solis aut numquid po-
Mal 4, 2.
b Ps 71, 19.
c lob 9, 7.
< Phil 2, 7.
* I o 1, 9.
f Agg 2, 6(7).
2, 8. complet Schenkl; sed uide passim.
Bada dunque che il suo raggio sorgente non confonda anche la
tua vista. Perci guarda anzitutto il firmamento del cielo che fu
creato prima del sole, guarda la terra che cominci ad essere vi
sibile e ordinata prima che il sole iniziasse il suo corso, guirdane
i germogli che spuntarono prima della luce del sole. I l bruco *
anteriore al sole, l'erba piti antica della luna. Non credere dun
que dio quellastro sul quale vedi che ebbero la precedenza i doni di
Dio. Erano trascorsi tre giorni, e nessuno sentiva la mancanza
del sole, eppure lo splendore della luce rifulgeva. Infatti anche il
giorno ha ima sua luce che ha preceduto il sole.
2. Non ti affidare avventatamente allo splendore cosi limii-
DDSO del sole infatti locchio del mondo, la letizia del giorno,
la bellezza del cielo, l'incanto della natura, l'eccellenza del crea
to* ; ma, quando Io vedi, pensa al suo autore; quando lo am
miri, 'loda il suo Creatore. Se tanto accetto il sole che partecipa
della sorte d'ogni creatura, quant' mai perfetto quel Sole di gi-
stizia\ Se cosi veloce da percorrere col suo moto nello spazio
d'un giorno e duna notte tutto l'universo, quant' potente colui
che sempre dappertutto e riempie ogni cosa con la sua maest!
Se merita ammirazione quello che riceve l'ordine di levarsi ogni
pomo, com al di sopra d'ogni ammirazione colui che comanda
al sole e questo non si leva, come leggiamo nella Scrittura! Se
grande Tessere che ogni giorno si avvicina e si allontana dalle re
gioni terrestri mentre le ore si succedono, qual mai colui che,
anche quando si annient perch lo potessimo vedere, era la vera
luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo! Se
eccelso l'astro che spesso eclissato per l interporsi della terra,
quant' grande la maest di colui che dice: Ancora una volta, ed
io scuoter la terrai La terra, mentre eclissa il sole, non potrebbe
sostenere il movimento che costui le imprime, se non fosse soste
nuta dalla sostanza della sua volont. Se per un cieco un male
Don vedere la bellezza del sole materiale, quale male per il pec
catore sopportare le tenebre di una notte senza fine, privo del
dono della vera luce!
3. Or dunque, quando vedi il sole, pensa alla terra che stata
creata prima, pensa all'erba da foraggio che gli superiore per il
diritto di precedenza, pensa agli alberi che applaudono perch
rominciarono ad esistere prima degli astri del cielo. Forse i me
riti del foraggio sono maggiori di quelli del sole o forse prefe-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 191
Gli esseri viventi non erano ancora stati creati. Evidentemente si tratta
e una svista di S. Ambrogio; vedi Co ppa , op. cit.. p. 230, n. 7.
Cf. S e c v n d i , Sent. in Frg. Phil. Graec., I , 518, 25 ss.: Quid est sol? Muti-
6 oculus, noctis concertatio, caloris circuitus, indeficiens cauna, splendor
me occasu, caelestis uiator, diei omatus, caeli pulchritudo, naturae gratia,
hrarum distributor; cf. 513, 12 ss.; ^, ' ,
lltpiov ...
^Ba s ., Hexaenu, 120 (50 ): & <&,
rfw 6 ^, , -
W {! -r , 6 ^-
m ' S &( ^ *
& 6 ;
tior ligni praerogatiua? Absit ut insensibilia tanti muneris prae
feramus ministro. Quid igitur praeuidit altitudo sapientiae et scien
tiae dei, ut prius inciperent ligna esse quam illa duo mundi lumi
na et quidam caelestis oculi firmamenti, nisi ut cognoscerent
omnes diuinae testimonio lectionis terram sine sole posse esse
fecundam? Nam quae potuit sine sole prima rerum semina ger
minare potest utique semina accepta nutrire et proprio fotu sine
calore solis partus edere.
192 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 1, 34 - C. 2, 5
4. Hac igitur uoce quadam suorum munerum clamat natura:
bonus quidem sol, sed ministerio, non inperio, bonus meae fe
cunditatis adiutor, sed non creator, bonus meorum altor fructuum,
sed non auctor. Interdum partus,meos et ipse adurit, frequenter
mihi et ipse damno est, plerisque me locis indotatam relinqmt
Non sum ingrata conseruo, mihi est in usum datus, mecum labori
est mancipatus, mecum subiectus est uanitati, mecum corruptio
nis subditus seruituti. Mecum congemescit, mecum parturit', ut
ueniat adoptio filiorum et humani generis redemptio, quo possi
mus et nos a seruitio liberari. Mecum adsistens laudat auctorem,
mecum hymnum dicit domino deo nostro. Vbi maior eius est gra
tia, ibi mecum est ei commune consortivmi. Vbi sol benedicit, ibi
terra benedicit, benedicimt ligna fructifera, benedicunt pecora,
benedicunt uolucres mecum . In mari positus illum nauta accusat,
me desiderat; in montibus illum pastor declinat, ad mea germina,
ad meas festinat arbores, quibus exaestuans obumbretur, ad meos
fontes sitiens et lassus adcurrit.
Caput II
5. Sed ne oculorum tibi exiguum uideatur esse testimonium,
emunda aurem, admone eam caelestibus oraculis; duobus enim
et tribus testibus stat omne uerbum. Audi dicentem: Fiant Ium
naria in firmamento caeli ad inluminationem terrae^. Quis hoc
dicit? Deus dicit. Et cui dicit nisi filio? Deus ergo pater diciC
'fiat sol, et filius fecit solem; dignum enim erat, ut solem munifi
faceret sol iustitiae. Ipse ergo eum in lumen adduxit, ipse em
inliuninauit, ipse ei donauit fundendi luminis potestatem. Factui
est ergo sol; ideo et ipse seruit, quoniam dictum est: Fundas^
* Rom 8, 22.
h Rom 8, 15.
i Ps 148, 3 et 9; Dan 3, 62 ss.
a Gen 1, 14.
ribile il privilegio dellalbero? Non accada che preferiamo beni
materiali allautore di un si gran dono! Perch la profondit
della sapienza e della scienza di Dio dispose che cominciassero
ad esistere gli alberi prima dei due luminari del mondo e, per
cosi dire, degli occhi del firmamento celeste, se non perch tutti
apprendessero dalla testimonianza della Scrittura divina che la
terra pu essere feconda anche senza il sole? Quella che pot
senza sole far germogliare i primi semi delle cose, certamente
potrebbe nutrire i semi ricevuti e con il tepore del suo seno por
tarne a maturazione i frutti senza il calore del sole.
4. Questo proclama la natura lasciando, per cosi dire, la pa
rola alle proprie funzioni: Buono davvero il sole, ma perch
serve, non perch comanda; buono perch aiuta la mia fecondit,
non perch la crea; buono perch alimenta i miei frutti, non per
ch ne l autore. Talora anzi esso brucia i miei prodotti, spesso
mi piuttosto di danno, in molti luoghi mi lascia senza dote. Non
sono ingrata verso chi mi compagno di servit: esso mi stato
dato per il mio bene, assoggettato con me alla fatica, sotto
posto con me alla vanit, esposto con me alla schiavit della
corruzione. Geme con me, con me partorisce perch giunga l ado
zione dei figli e la redenzione del genere umano, affinch possia
mo anche noi essere liberati dalla schiavit. Al mio fianco, insie
me con me loda il Creatore, insieme con me innalza un inno al
Signore nostro Dio. Dove il sole benedice, l benedice la terra,
benedicono gli alberi fruttiferi, benedicono gli animali, benedicono
con me gli uccelli. Trovandosi in mare, il marinaio lo accusa e mi
rimpiange; sui monti il pastore lo evita e cerca frettoloso i miei
cespugli, i miei alberi allombra dei quali ripararsi stillante di
sudore, assetato e stanco corre alle mie fontane .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 193
Capitolo 2
5. Ma perch non ti sembri insufficiente la testimonianza
degli occhi, pulisci i tuoi orecchi, rivolgili alle parole rivelate:
infatti ogni questione si decide sulle parole di due o tre testimoni.
Ascolta Iddio che dice: Siano fatti luminari nel firmamento del
cielo per illuminare la terra. Chi dice questo? Dio. E a chi lo dice
se non al Figlio? Dunque Dio Padre dice: Sia fatto il sole, e il
Figlio cre il sole. Era giusto che fosse il Sole di giustizia a creare
il sole del mondo. Egli lo rese luminoso, egli lo fece risplendere,
egli gli diede la capa:cit di diffondere la luce. Fu creato dunque
il sole; perci anchesso serve, giacch stato detto: Tu hai fon
dato la terra ed essa dura; per tuo comando dura il giorno, per
ch tutte le cose sono al tuo servizio. Se il giorno serve, come
terram, et permanet; dispositione tua permanent dies, quoniam
uniuersa seruiunt tibi^. Etenim cum dies seruiat, quomodo non
seruit sol, qui factus est in potestatem diei? Quomodo non
seruit luna et stellae, quae factae sunt in potestatem noctis'?
Etenim quanto maiorem his gratiam creator donauit, ut aer solito
amplius solis claritate resplendeat, dies serenius luceat, noctis in-
luminentur tenebrae per lunae stellarumque fulgorem, caelum
uelut quibusdam floribus coronatum ita ignitis luminaribus micet,
ut paradiso putes uernante depictum spirantium rosarum uiuis
monilibus renitere, quanto igitur amplius his decoris uidetur esse
conlatum, tanto amplius debent; cui enim plus committitur plus
debet*. Et ideo bene a plerisque ornamentum caeli est nuncupa
tum, eo quod sit stellarum monile pretiosum.
6. Atque ut sciamus quia fertilitas terrarum non calori solis
ascribitur, sed diuinae indulgentiae deputatur, ait propheta: Omnia
a te expectant, ut des illis cibum in tempore; dante te eis colli
gent sibi, aperiente te manum tuam uniuersa implebuntur boni
tate^ et infra: Emitte spiritum tuum, et creabuntur et renouabis
faciem terrae^ et in euangelio: Considerate uolatilia caeli, quia
neque serunt neque metunt, et pater uester caelestis pascit illa.
Non ergo sol aut lima fecunditatis auctores sunt, sed deus pater
per dominum lesum omnibus liberalitatem fertilitatis inpertit.
7. Pulchre autem exposuit nobis propheta quid sit quod ipse
ait quia fecit deus solem in potestatem diei et lunam in potesta
tem noctis I. Nam in ipso psalmo centesimo tertio, de quo supra
diximus, scripsit: Fecit lunam in tempora, sol agnouit occasum
suum. Cum enim dies horas suas complere coeperit, sol debi
tum sibi agnoscit occasum. Est ergo in potestate diei sol et luna
in potestate noctis, quae temporum uicibus oboedire conpellitur
et nunc impletur lumine atque uacuatur. Licet plerique hunc lo
cum mystice de Christo et ecclesia uideantur accipere, quod agno
uit Christus proprii corporis passionem, qui ait: Pater, uenit hora;
clarifica filium tuum ', ut illo occasu suo omnibus donaret uitam
194 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 2, 5-7
b Ps 118, 90-91.
=Ps 135, 8-9.
<1Lc 12, 48.
Ps 103, 27-28.
f Ps 103, 30.
Mt 6, 26.
Ps 135, 8-9.
1Ps 103, 19.
>I o 17, 1.
potrebbe non servire il sole che stato creato a disposizione del
giorno? Come potrebbero non servire la luna e le stelle che sono
state create a disposizione della notte? Quant' pi grande la bel
lezza conferita loro dal Creatore, cosi che l'aria pi luminosa
del solito quando il sole risplende, il giorno brilla pi sereno, le
tenebre della notte sono rischiarate dal fulgore della luna e delle
stelle, il cielo, come cinto da una corona di fior, scintilla di luci
cosi sfavillanti da farti credere che rifulga trapunto di fulgide
ghirlande di rose olezzanti in un giardino a primavera; quant'
pi grande la bellezza che appare loro conferita, tanto pi gli
sono debitori. Infatti quello cui stato dato di pi, deve di pi.
Ben a ragione il sole da molti stato chiamato ornamento del
cielo, perch il prezioso gioiello delle stelle.
6. E affinch sappiamo che la fertilit della terra non va at
tribuita al calore del sole, ma dovuta alla misericordia divina,
dice il profeta: Tutto attendono da te, che tu dia loro il cibo al mo
mento opportuno; se tu dai loro, essi raccoglieranno per s, se tu
aprirai la tua mano, saranno riempiti d'ogni bene; e pi sotto:
Manda il tuo Spirito, e saranno creati e rinnoverai la faccia della
terra; e nel Vangelo: Osservate gli uccelli del cielo: non seminano
n mietono, e il Padre vostro celeste li nutre. Dunque non il sole
e la luna sono la causa della fecondit, ma Dio Padre per mezzo
del Signore Ges assegna a tutte le cose una fertilit generosa.
7. I I profeta d'altra parte ci ha chiarito che cosa intenda
quando dice che Iddio cre il sole a disposizione del giorno e la
luna a disposizione della notte. Proprio nel gi citato salmo cen-
totr egli scrisse: Ha creato la luna per le stagioni, il sole conob
be il suo tramonto. Quando il giorno comincia a esaurire le ore
assegnategli, il sole conosce che pu tramontare. Dunque il sole
a disposizione del giorno e la luna a disposizione della notte,
perch costretta ad obbedire allavvicendarsi delle sue fasi ed
ora si riempie ed ora si vuota di luce. Molti evidentemente inten
dono questo passo in senso mistico, riferendolo a Cristo e alla
Chiesa perch Cristo conobbe la passione del proprio corpo, egli
che disse: Padre, venuta Vora: glorifica tuo Figlio, per dare con
I l motivo della luna come mysterium o come typus Ecclesiae partlco-
laraiente caro a S. Ambrogio. Vi ritorner e vi si soffermer pi avanti (I V,
8,32); altri richiami si trovano in De patriarchis, 13: Explan. ps. 35, 26; ps. 43.
19; Ep. 18, 25: 23 , 4; Exp. Eu. sec. Lue., X, 37. Per il tema nell'ecclesiologia pa-
Iristica vedi H. Rahnhr, L'ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, trad. it..
Ed. Paoline, Roma 1971, pp. 145-287 e G. T o s c a n i , Teologia delta Chiesa in sant
Ambrogio, Vita e Pensiero, Milano 1974, pp. 149-151 e 261-262. NeU'applicazione
di questa figura alla Chiesa, S. Ambrogio come osserva il Rahner dipende
non da Basilio, ma da Origene e forse da Ippolito. N el rapporto sole-luna
Ambrogio presta attenzione ai tre simbolismi del progressivo oscurarsi, del
iraduale illuminarsi e del chiaro splendore dell'astro lunare nel plenilunio,
alio scopo di illustrare quelli che per lui rappresentano altrettanti aspetti im
portanti della sua ecclesiologia. La Chiesa, sposa di Cristo, deve morire, ossia
lenire meno al mondo, per potersi unire intimamente al suo sposo. Neirunione
(on Cristo diviene sorgente di vita e madre spirituale delle anime. Nella mi
sura in cui muore al mondo, rinasce a nuova vita e progredisce verso la gloria
del cielo, circonfusa dello splendore dello sposo. Dei tre motivi, il pi sentito
t sviluppalo da Ambrogio certamente il primo (G. T o s c a n i , op. di., pp.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 195
196 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 2, 7 - C. 3, 8
aeternam, qui perpetuae mortis urguebantur occasu, et ecclesia
tempora sua habeat, persecutionis uidelicet et pacis. Nam uidetur
sicut luna deficere, sed non deficit. Obumbrari potest, deficere
non potest, quae aliquorum quidem in persecutionibus discessio
ne minuitur, ut martyrum confessionibus impleatur et effusi pro
Christo sanguinis olarificata uictoriis maius deuotionis et fidei
suae toto orbe lumen effundat. Namque luna luminis inminutio-
nem habet, non corporis, quando per uices menstruas deponere
uidetur suum lumen, ut mutuetur a sole, quod facile puro aere
atque perspicuo, quando nulla eam obducta nebula caligantem
facit, colligi potest. Orbis enim integer manet limae, etsi non si
militer totus ut pars eius effulgeat, et qualis uideri solet, cum
plenus est luminis, taJ is est magnitudine, sed per umbram quan-
dam lumine suo uiduatus adparet. Et inde cornua eius refulgent,
quia corpus eius in orbem diffunditur et uelut deficiente portionis
luce insinuatur.
Caput III
8. Mouere autem potest quod ait: Fiant luminaria ad inlu-
minationem super terram, quae discernant inter diem ac noctem,
quia et supra iam, ubi lumen fecit, dixerat: Separami deus inter
lucem et tenebras. Et jactus est uesper et factum est mane, dies
unus''. Sed consideremus quia aliud est lumen diei, aliud lumen
solis et lunae et lumen stellarum, eo quod sol ipse radiis suis ful
gorem diurno lumini uideatur adiungere, quod uel ortus diei po
test prodere uel occasus. Nam ante solem lucet quidem, sed non
refulget dies, quia amplius quoque meridiano sole resplendet
Gen 1, 14.
>Gen 1, 4-5.
il SUO tramonto la vita eterna a tutti gli uomini, minacciati dal
tramonto d'una morte senza fine, e perch la Chiesa ha le sue fasi,
di persecuzione cio e di pace. Sembra venir meno come la luna,
ma non cosi. Pu nascondersi, non pu venir meno, essa che
nelle persecuzioni cala bens per le defezioni di alcuni, ma per
raggiungere la sua pienezza per la testimonianza dei martiri e,
glorificata per le vittorie ottenute versando il sangue per Cristo,
diffondere per tutto il mondo una luce pi viva di devozione e di
fede. La luna diminuisce la sua luce, non la sua massa quando nel
corso delle fasi mensili sembra ridurre il suo chiarore per pren
derlo in prestito dal sole, cosa di cui possibile rendersi conto fa
cilmente* se l aria pura e limpida, quando non c caligine che,
ricoprendola, la offuschi. I l disco lunare rimane integro, anche se
non tutto allo stesso modo, cosi che ne risplende solo una peurte,
e per grandezza tale quale suole apparire quando compieta-
mente illuminato, ma per l sovrapposizione di un'ombra sembra
privo della sua luce. E i suoi corni risplendono perch la sua
massa si estende in forma di sfera e, venendo meno la luce in ima
sua parte, per cosi dire con la restante si insinua nelloscurit.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 197
Capitolo 3
8. Pu colpire daltra parte che Dio dica: Siano fatti lumi
nari per illuminare la terra, che distinguano il giorno dalla notte *,
perch gi prima, quando aveva creato la luce, aveva detto: Iddio
separ la luce dalle tenebre. E fu mattino, un giorno. Ma consi
deriamo che una cosa la luce del giorno e tmaltra la luce del
sole, della luna e delle stelle, perch il sole stesso con i suoi raggi
sembra aggiungere splendore alla luce del giorno, come pu di
mostrare lalba o il tramonto. Infatti, prima che sorga il sole, il
giorno chiaro ma non splendente, perch anzi risplende di pi
149-150). Cf. anche la nota di G. Co ppa aWExp. Eu. sec. Lue., X, 37 [Esposizione
del Vangelo secondo Luca/ 2, cit., p. 423).
Per linsieme delle immagini che S. Ambrogio applica alla Chiesa, vedi le
pp. 147-208 (Mysterium in figura. Figure bibliche del mistero della Chiesa)
dcH'opera citata di G. Toscani che il lavoro pi ampio e accurato suH'eccle-
siologia di S. Ambrogio; per l ecclesiologia dei Padri in generale cf. l opera
lopra menzionata di H. Ra h n e r e H.U. v. B a l t h a s a r , Casta meretrix, in Sponsa
Verbi, trad. ital., Morcelliana, Brescia 1972, pp. 259-268. [I .B.]
* Bas., Hexaem., 121 D, 124 A (52 B C ) : ''EiceiTa ix -
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Quod ostendit propheta dicens: Et educet sicut lumen iustitiam
tuam et iudicium tuum sicut meridiem'^. Non solum enim lumini,
sed etiam meridiano lumini sancti iustitiam comparauit.
9. Deinde non solum unum signum, sed etiam duo uoluit
esse diurnae discretionis atque nocturnae, ut et lux discretionem
faciat et solis exortus et iterum lucis defectus et stellarum ortus
inter occasum diei distinguat et noctis exordium. Nam ubi occi
derit sol, manet tamen adhuc aliquid reliquiarum diei, donec te
nebrae terram operiant, et tunc luna oritur et stellae. Et de nocte
quidem aperte liquet, quia lunae et stellarum inluminatio noctis
spatia testantur, siquidem per diem fulgorem illum lunarem stel-
larumque omnium sol exortus abscondit. De die autem uel ipsa
solis flagrantia docere nos potest diuersam diurni luminis et solis
esse naturam et ipsam esse speciem discolorem. Simplex enim
lucis est species, ut lumen praebeat: at uero sol non solum uirtu-
tem inluminandi habet, sed etiam uaporandi; igneus est enim,
ignis autem et inluminat et exurit. Vnde deus uolens Moysi osten
dere suae operationis miraculum, quo Moysen ad oboediendi stu
dium prouocaret atque ad fidem inflammaret eius adfectum, in
igne uisus est in rubo, et rubus non exurebatur, sed tantum splen
dere ignis specie uidebatur <*. Alterum igitur munus ignis uacabat,
alterum operabatur. Vacabat exustionis uis, operabatur inlumina-
tionis. Ideo stupebat Moyses, quia contra naturam suam ignis non
exurebat rubum, qui etiam uehementiorem materiem consueuit
exurere. Sed domini ignis inluminare solet, exurere non solet.
198 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 3, 8-11
10. Ac forte dicas: Quomodo scriptum est: Ego sum ignis
consumens '? Bene admonuisti; non solet consumere nisi sola pec
cata. In retributionibus quoque meritorum colligimus diuini ignis
naturam, ut alios inluminet, alios exurat, inluminet iustos, exurat
inpios. Non eosdem quos inluminat exurit et quos exurit inlumi
nat, sed inluminatio eius inextinguibilis est ad perfunctionem bo
norum, exustio uehemens ad supplicium peccatorum.
11. Sed reuertamur ad discretionem diei ac noctis. Oriente
diei lumine nox fugatur, decedente die nox funditur. Non est enim
luci societas ulla cum tenebris, siquidem naturali lege hoc domi
nus in prima operatione constituit. Etenim quando lumen fecit,
et discretionem fecit inter lucem et tenebras. Denique in ipso
c Ps 36, 6.
Ex 3, 2-3.
' Deut 4, 24.
quando il sole al meriggio. Ci insegna il profeta dicendo: Far
risplendere come luce la tua giustizia e il tuo giudizio come me
riggio. Infatti non ad una luce qualsiasi, ma alla luce del merig
gio ha paragonato la giustizia del santo.
9. Volle inoltre che ci fosse non un segno solo, ma addirit
tura due per separare il giorno dalla notte, in modo che a se
gnarne la divisione siano ad im tempo la luce e il sorgere del sole
e, daltra parte, il venir meno della luce e il sorgere delle stelle
costituiscano il limite fra il tramonto del giorno e linizio della
notte. Quando il sole tramontato, resta ancora tuttavia quilche
traccia del giorno, in attesa che le tenebre avvolgano la terra, e
allora sorgono la luna e le stelle. Quanto eilla notte, del tutto
evidente che la luce della luna e delle stelle attesta la durata della
notte, poich durante il giorno il sole ormai sorto nasconde la
loro luminosit. Quanto alla luce del giorno, anche la stessa vam
pa del sole ci pu insegnare che la natura della luce diurna e quel
la della luce solare sono diverse e presentano una differente in
tensit luminosa. La luce presenta un unico aspetto, quello cio
dessere luminosa; ma il sole ha non soltanto la capacit dillu
minare, bens anche quella di riscaldare: infatti di natura ignea,
e il fuoco non solo illumina, ma anche brucia. Perci Iddio volendo
mostrare a Mos la propria capacit di operare prodigi per indurlo
ad obbedire con ogni impegno e per infiammare il suo cuore alla
fede, si mostr in mezzo alle fiamme in un roveto, e questo non
bruciava, ma sembrava soltanto risplendere a guisa di fuoco. Era
inoperante un effetto del fuoco, agiva l altro effetto. Era inope
rante la capacit di bruciare, era operante quella dilluminare.
Mos si stupiva perch il fuoco, che suole bruciare anche sostanze
pi resistenti, contro la propria natura non bruciava il roveto. Ma
il fuoco del Signore solitamente illumina, non brucia.
10. Forse potresti dire; Come mai sta scritto: I o sono
fuoco che consuma? . Mi hai richiamato a proposito: non con
suma che i peccati. Anche dalla ricompensa dei meriti possiamo
arguire la natura del fupco divino: illumina alcuni, altri brucia,
illumina i giusti, brucia gli empi. Non brucia gli stessi che illu
mina e non illumina gli stessi che brucia; inestinguibile la sua
azione illuminante per compiere il bene, irresistibile la sua azione
divoratrice per punire i peccati.
11. Ma ritorniamo alla separazione del giorno dalla notte.
Quando sorge la luce del giorno, la notte viene messa in fuga;
quando il giorno si ritira, la notte avanza*. La luce non ha alcun
rapporto con le tenebre, poich il Signore con una legge di natura
cosi ha stabilito allinizio della sua azione creatrice. Quando cre
la luce, separ anche la luce dalle tenebre. Inoltre anche di gioir
ne, quando ormai il sole diffonde i suoi raggi sulla terra , vediamo
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 199
Ba s ., Hexaem., 124 C (52 E ) : ' pqL
, -
( .
Cf. Ve r g ., Aen., IX, 461: iam sole infuso, iam rebus luce retectis.
die iam sole infuso terris uidemus umbram uel hominis uel uir-
gulti alicuius a lumine separari, ut mane ad occasum derigatur,
uesperi retorqueatur in orientem, meridianis horis in septentrio
nem inclinet, lumini tamen non confunditur atque miscetur, sed
cedit et refugit. Similiter et nox cedere uidetur diei et se ab eius
lumine declinare; est enim, ut peritiores probauerunt, qui nobis
uel aetate uel munere praecurrerunt, umbra terrae. Naturaliter
enim umbra corpori adhaeret atque adiungitur, adeo ut etiam
pictores umbras corporum quae pincxerint nitantur exprimere id-
que artis esse adserant non praetermittere uim naturae, et quasi
naturalis iuris praeuaricator habeatur ouius pictura non etiam
umbram suam exprimat. Ergo sicut in die cum e regione solis
aliquod corpus occurrit, ex ea parte, qua lumen repercutitur, um
bra subsistit, sic cum decedente die e regione luminis eius aut
solis terrae obiectus occurrit, obumbratur aer. Vnde liquet quod
noctem faciat umbra terrarum.
200 EXAMEHON, DIES IV, SER. VI, c. 3, 11 - c. 4, 12-13
Caput IV
12. Fecit ergo solem et lunam et stellas et praestituit illis
mensuras temporum, soli diurnas, lunae et stellis nocturnas, ut iste
augeat diei gratiam, illae umbram tenebrasque inluminent et sint
in signa et in tempora et in dies et in annos . Diuisa tempora ha
bent paresque mensuras pro mensuum uicibus sol et luna cura
stellis et sunt in signa. Non possumus negare quod ex sole et
luna signa aliqua conligantur; nam et dominus dixit: E t erunt signa
in sole et luna et stellis^ et quaerentibus apostolis signum aduen-
tus eius respondit: Sol obscurabitur et luna non dabit lumen suum
et stellae cadent de caelo Haec dixit fore signa futurae consum:
mationis, sed conueniens debet curae nostrae mensura seruarl.
13. Denique nonnulli natiuitatum temptauerunt exprimere
qualitates, qualis futurus sit unusquisque qui natus sit, cum hoc
non solum uanum, sed etiam inutile sit quaerentibus, inpossibile
pollicentibus. Quid enim tam inutile quam ut unusquisque persua-
Gen 1, 14.
>>Lc 21, 25.
c Mt 24, 29.
che l'ombra sia di un uomo sia di un arboscello si stacca dalla
luce, cosi che al mattino volge verso occidente, a sera ritorna
verso oriente, nelle ore del meriggio piega a settentrione, tutta-
via non si confonde n si mescola con la luce, ma si ritira di fron
te a questa e se ne allontana. Ugualmente anche la notte sembra
ritirarsi davanti al giorno e farsi da parte di fronte alla sua luce *.
Infatti, come hanno dimostrato gli scienziati che ci hanno prece
duti per l'et o per la competenza, essa l'ombra della terra. Per
natura, infatti, l'ombra inseparabilmente unita al corpo, al punto
che anche i pittori si sforzano di riprodurre le ombre dei corpi
che dipingono e affermano che proprio dell'arte non trascurare
le caratteristiche della natura ed considerato come un trasgres
sore delle leggi naturali l'artista che nei suoi quadri non raffigura
anche le ombre richieste. Or dunque, come durante il giorno,
quando davanti al sole si frappone un corpo, dalla parte dove la
luce si riverbera si produce l ombra, cosi, quando al calar del
giorno si frappone davanti alla sua luce o a quella del sole l'osta
colo della terra, l'aria si oscura. Perci evidente che l'ombra
della terra a produrre la notte.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 201
Capitolo 4
12. Iddio cre dunque il sole, la luna e le stelle e assegn
loro la rispettiva durata: al sole la durata del giorno, alla luna e
alle stelle quella della notte, cosi che quello accresca la bellezza
del giorno, queste illuminino l'oscurit delle tenebre e servano
come segni per le ricorrenze, per i giorni e per gli anni. I l sole
e la luna con le stelle hanno tempi distinti e conveniente durata
in rapporto alla vicenda dei mesi e servono da segni. Non possia
mo negare che si ricavino determinati segni dcd sole e dalla luna;
infatti anche il Signore ha detto: E vi saranno segni nel sole e
nelle stelle, e poich gli apostoli chiedevano un segno della sua
venuta, rispose: I l sle si oscurer e la luna non dar la sua luce
e le stelle cadranno dal cielo. Disse che questi sarebbero stati i
segni della futura fine del mondo, ma la nostra curiosit di sa
pere deve osservare un giusto limite.
13. Alcuni veramente hanno cercato di determinare le carat
teristiche delle singole nascite, quale dovr diventare ogni uomo
venuto al mondo, sebbene ci sia non solo senza fondamento, ma
anche inutile per chi lo chiede e impossibile per chi lo promette *.
* B a s ., Hexaem., 124 CD (52 E ): t , -
fwtv 4 & ^
, ^)
tjC .
, 6 ,
.
* Bas ., Hexaem., 128 AB (54 AB): suirastrologia in genere.
deat sibi hoc esse quod natus est? Nemo ergo debet uitam suam
statum moresque mutare et niti quo melior fiat, sed in ea persua
sione manere, neque probum potes laudare nec condemnare in-
probum, qui necessitati natiuitatis suae respondere uideatur. Et
quomodo dominus aut bonis praemia proposuit aut inprobis poe
nas, si facit necessitas disciplinam et conuersationem stellarum
cursus informat? Et quid est aliud quam hominem de homine exue
re, si nihil moribus, nihil institutioni, nihil studiis derelinquitur?
Quam multos uidemus ereptos criminibus atque peccatis in me
liorem statum esse conuersos! Redempti sunt apostoli et congre
gati ex peccatoribus non utique natiuitatis suae hora, sed Christi
eos sanctificauit aduentus et hora dominicae passionis redemit a
morte. Latro damnatus ille, qui est cum domino crucifixus, non
beneficio natiuitatis suae, sed fidei confessione ad paradisi aeterna
transiuit^, lonam in mare non uis natiuitatis, sed dissimulatae
diuinae praedictionis praecipitauit offensa eundemque cetus exci
piens ad indicium futuri mysterii post triduum reuomuit et pro
pheticae merito gratiae reseruauit Petrum de carcere imminenti
morte perimendum angelus Christi, non steUarum series liberauit
Paulum caecitas conuertit ad gratiam * et percussum a uipera tur-,
batumque naufragio non remedia natiuitatis, sed deuotionis me-
rita seruarunt i*. Quid de illis dicimus qui eorum precibus, cum fuis
sent mortui, resurrexerunt*? Vtrum illos sua natiuitas an aposto
lica gratia reuocauit? Quid opus fuit, ut ieiuniis se periculisque
committerent, si quo uolebant natiuitatis beneficio poterant per-
uenire? Quod si credidissent, dum expectant fatonml necessitatem,
niunquam ad tantam gratiam peruenissent. Inutilis igitur ista
persuasio.
202 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C 4, 13-14
14. Quid quod etiam inpossibilis? Nam ut de eorum aliquid
disputatione sumeunus redarguendi gratia, non probandi, magnam,
uim dicunt esse natiuitatis eamque minutis quibusdam et certis
colligi oportere momentis ac, nisi uerius colligatur, summam esse
d Lc 23, 4243.
" Ion 1, 2-3 et 15; 2, 1 et 11.
t Act 12, 7-11.
Act 9, 8.
i>Act 28, 3-5.
1Act 9, 40.
Che c' infatti di cosi dannoso quanto il convincersi che ciascuno
resta quello che nato? Nessuno dunque dovrebbe mutare la
propria vita e la propria condizione e sforzarsi di diventare mi
gliore, ma dovrebbe rimanere in questa convinzione; n potresti
lodare chi onesto e condannare chi non lo , perch manifesta
mente si uniformano al destino della loro nascita. E perch mai
il Signore ha proposto un premio ai buoni e un castigo ai malvagi,
se il fato determina il modo d'agire e il corso delle stelle regola
il genere di vita? E che altro questo se non spogliare l'uomo
dell'uomo se nulla viene lasciato alla morale, all'educazione, al
lo studio? Quanti Vediamo che, strappati ai delitti e alle colpe, si
volsero ad una vita migliore! Gli apostoli certamente non furono re
denti e radunati, da peccatori che erano, nell'ora della nascita, ma
fu la venuta di Cristo a santificarli e l'ora della passione del Si
gnore a riscattarli dalla morte! 11 ladrone condannato a morte,
crocifisso con il Signore, entr nella felicit eterna del paradiso
non per un benefico influsso della sua nascita, ma per la sua con
fessione d fede; Giona fu gettato in mare non per l influenza
della sua nascita, ma per la colpa di aver ignorato lordine. del
Signore, e la balena che lo aveva inghiottito lo vomit dopo tre
giorni quale simbolo del futuro mistero e lo salv per merito del
suo dono profetico. Un angelo di Cristo e non la congiunzione
degli astri liber dal carcere Pietro che doveva essere ucciso dal
l'esecuzione imminente. Fu la cecit a convertire Paolo alla gra
zia e, quando fu morso da una vipera e coinvolto in un naufragio,
non fu il benefico influsso della sua nascita a salvarlo, ma i meriti
della sua devozione a Dio. Che dire di quelli che, morti, risorsero
per le loro preghiere? Li richiam in vita la loro nascita o la
grazia degli apostoli? Che bisogno c'era che sostenessero digiuni
e pericoli, se fossero potuti arrivare dove volevano per l'influenza
favorevole della loro nascita? Se avessero creduto questo, in at
tesa del compiersi fatale del destino, non sarebbero mai giunti
a tanta santit. dannosa dunque questa convinzione *.
14. Si potrebbe aggiungere che anche irrealizzabile *. Rica
viamo dalle loro dispute qualche argomento per confutarli, non
per approvarli. Essi affermano che grande l'influenza della na
scita, che bisogna coglierla in taluni brevi e precisi spazi di tempo
* Cf. Cic., De fin., V, 12, 35: ...fugere piane se ipse et hominem ex homlne
exuens naturam odisse uideatur; cf. Philo, De prou., I, 88 A.
* Per alcuni accenni suH'atteggiiimento dei Padri verso l astrologia cf. M.
Camozzini-C. Testori, Astrologia, in Enc. Catt., I I , 236-241. Per S. Ambrogio
im determinismo astrologico avrebbe come conseguenza la mortificazione della
libert dell'uomo e insieme dell'opera della grazia, e, alla fine, della storia e del
la salvezza nell'uomo stesso. I l compiersi fatale del destino sarebbe para
lizzante e svuoterebbe di senso sia ogni iniziativa e impegno morale persona
le coi suoi progressi e i suoi meriti, sia la capacit dell'sizione divina a tra
sformare, con l'accoglienza da parte dell'uomo, la sua condotta. Significhe
rebbe vanificare ogni discorso di conversione e di crescita evangelica, e
quindi annullare l efficacia all' ora della passione del Signore cio all'eco-
Domia della redenzione che entra in una vicenda di scelte e di responsabi
lit. [I.B.]
* Bas., Hexaem., 128 BC (54 CD): sull'arte genetliaca.
I SEI GIORKI DELLA CREAZIONE 203
distantiam; breiii enim atomo exiguoque momento distare natiui-
tatem inopis et potentis, egentis et diuitis, innocentis et noxii et
plerumque eadem hora generari longaeuitati debitum et prima pue
ritiae aetate moritunmi, si reliqua disparia sint et puncto aliquo
discreta. Hoc quemadmodum possint colligere respondeant. Consti
tue partimi feminae; obstetrix utique eum primo cognoscit, ex
plorat uagitum, quo nati uita colligitur, adtendit utrum mas sit
an femina. Quot uis inter has moras praeterire momenta? Pone
mathematicum praeparatum. Numquid uir potest interesse puer
perio? Dum mandat obstetrix, audit Chaldaeus, ponit oroscopum,
in alterius sortem iam nati fata migrarunt, de altero quaeritur
et alterius genitura proponitur. Pone ueram eorum esse opinionem
de natiuitatum necessitatibus, non potest uera esse collectio. Punc
ta transeunt, fugit tempus inreparabile. Non esse dubium quod
tempus in atomo et in momento oculi sit adducor ut credam,
quiindo omnes in atomo, in momento oculi resuscitamur, ut apos
tolus protestatur dicens; Ecce mysterium dico. Omnes quidem
resurgemus, non omnes autem inmutabimur in atomo, in momento
oculi, in nouissima tuba, et mortui resurgent incorrupti et nos
inmutabimur '. Inter effusionem et susceptionem depositionemque
pignoris, fletum eius et nuntium quot atomi transierunt! Et hoc,
ut simpliciter ista texuerim. Nam et ipsi uitalem illum signorum
duodecim circuitum in duodecim partes diuidunt et, quia triginta
diebus sol duodecimam partem sphaerae eius quae inenarrabilis
habetur egreditur, quo gyrus solis anni circuitu conpleatur, in
triginta portiunculas, quas Graeci uocant, imumquodque
duodecim illarum distribuunt portionum, ipsam quoque portiun-
204 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 4, 14
1 Cor 15, 51-52.
e che, se non si coglie con molta esattezza, la differenza enorme:
la nascita di un poveraccio e di un gran signore, di im indigente
e di un ricco, di un innocente e di un colpevole distano fra loro
di un breve attimo, di un fuggevole istante e spesso nella me
desima ora vengono generati uno destinato alla longevit e uno
che dovr morire nella prima fanciullezza, se le altre circostanze
sono diverse e presentano qualche minima differenza. Mi rispon
dano per come possano ricavare tutto questo. Supponiamo che
una donna partorisca: l'ostetrica naturalmente la prima a ren
dersene conto, attende il vagito dal quale s comprende che il
neonato vivo, osserva se maschio b femmina. Quanti momenti
supponi trascorrano tra queste operazioni? Metti pure che sia li
pronto un astrologo. Forse un uomo pu assistere ad im parto?
Mentre l'ostetrica lo informa, il Caldeo ascolta e predispone l oro
scopo, gi il destino del neonato trasmigrato nella sorte di un
altro: l'indagine riguarda uno e si d invece l'oroscopo di un
altro. Ammetti pure che sia vera la loro opinione sulla fatalit
delle nascite; non pu essere vera da loro argomentazione. Gli
istanti passano, fugge irrecuperabile il tempo *. Sono indotto a cre
dere che senza dubbio il tempo abbia la durata-di un attimo e di
un batter d'occhio, poich tutti in un attimo e in un batter d'oc
chio risusciteremo, come afferma l'Apostolo, dicendo: Ecco, vi ri
velo un mistero. Tutti risusciteremo, ma non tutti saremo tra
sformati. I n un attimo, in un batter docchio, al suono delVultima
tromba, e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.
Tra la nascita del bambino, il prenderlo e deporlo nella culla, il
suo pianto e l'annuncio, quanti istanti sono trascorsi! E questo,
per trattare l argomento senza troppe complicazioni. Infatti essi
dividono in dodici parti la ben nota fascia circolare composta di
dodici costellazioni sotto forma d'esseri viventi, e siccome in trenta
giorni il sole supera la dodicesima parte di quella sfera che si ri
tiene indescrivibile e perci l'orbita solare si compie in im an
no, dividono ciascuna di quelle dodici parti in trenta particelle
che i Greci chiamano , e anche ciascuna di queste parti-
celle distribuiscono in sessanta parti. Suddividono ancora sessanta
I SEI GIORNI DElXA CREAZIONE 205
Ba s . , Hexaem., 128 D, 129 A (54 DE, 55 A):
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Cf. Vbrg., Georg., I l i , 284: Sed fugit interea, fugit inreparabite tempus.
In questo passo sia S. Ambrogio (con altri autori) che la Vulgata dif
feriscono dal testo originale greco che, nei codici migliori, dice:
, Si .
BInenarrabilis corrisponde al greco , ; cf. 2 Cor.,
9, '15: rrt ^ {super inenarrabili do
no eius).
culam in sexaginta uices conferunt. Rursus unumquodque de illis
sexaginta sexagies secant. Quam inconprehensibile est quod sexa-
gensimo sexagensimae portiunculae natiuitatis momenta constituant
et qui singulorum signorum sit aut motus aut species in natiuitate
nascentis. Vnde cum inpossibile sit tam subtiles minutias tempo
ris conprehendere, exigua autem inmutatio inuehat uniuersitatis
errorem, totum negotium plenum est uanitatis. Disputatores eo
rum quae sua sunt nesciunt: et quomodo aliena nouerunt? Quid
sibi inmineat ignorant: possunt aliis quae futura sunt denuntia
re? Ridiculum est credere, quia, si possent, sibi potius prouiderent.
15. lam illud quam ineptum ut si quis signo arietis ortum
esse se dicat, ex usu pecudis aestimetur praestantissimus consi
lio, quod in grege huiusmodi emineat pecus, aut locupletior, eo
quod uestitum habeat aries naturalem et quodannis lucrum capiat
indumenti eoque uiro iUi familiaria uideantur quaestuum esse
conpendia. Similiter et de tauri et de piscium signis argumentan
tur, ut ex natura uilium animantium caeli motus et signorum in
terpretandas extiment potestates. Cibus ergo noster uiuendi nobis
decreta constituit et alimenta nostra nobis, id est aries, taurus
et piscis, morum inprimunt disciplinam. Quomodo igitur de caelo
nobis causas rerum et substantiam uitae huius arcessunt, cum ip
sis caelestibus signis causas motus sui ex qualitatibus escae uilis
inpertiant? Liberalem aiunt signo natum arietis, eo quod lanam
suam aries non inuitus deponat, et eiusmodi uirtutem malunt
uilis animantis naturae deputare quam caelo, unde nobis et sere
nitas fulget et pluuia saepe descendit, laboriosos et patientis ser-
uitii quos nascentes taurus aspexerit, quia animal laboriosum ad
sumendum iugum spontanea seruituti colla subdat, percussorem
206 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 4, 14-15
volte ciascuna di queste sessanta . Com incomprensibile che en
tro i limiti di un sessantesimo di una sessantesima particella pre
tendano di stabilire il momento della nascita e quale sia o il mo-
vimrito o la fi ^r a di ' ciascuna costellazione in cui collocare chi
viene alla luce! Perci, siccome impossibile percepire spazi di
tempo cosi minuti ed un piccolo spostamento provoca un errore
generale, tutto questo lavoro senza costrutto I sostenitori di
tali teorie non sanno il loro destino; come possono sapere quello
degli altri? Ignorano ci che loro sovrasta; possono forse rive
lare ad altri ci che avverr? ridicolo crederlo, perch, se lo
potessero, penserebbero piuttosto a se stessi.
15. Ora del tutto fuor di proposito che uno, nato sotto
la costellazione deU'ariete, si creda abilissimo nelle decisioni a so
miglianza di queiranimale, perch esso domina nel gregge, o pensi
di diventare ricco, perch lariete ha una veste fornitagli dalla
natura e ogni anno ne guadagna una nuova e perci per queU'in-
dividuo dovrebbero essere abituali i grossi guadagni. Nella stessa
maniera ragionano a proposito della costellazione del toro e dei
pesci, cosi da pensare che, in rapporto alla natura di questi vili
animali, debbano essere interpretati i movimenti del cielo e lin
flusso delle costellazioni. Or dunque il nostro cibo che ha sta
bilito il nostro destino d vita e i nostri alimenti, cio lariete, il
toro e i pesci, imprimono in noi il nostro modo di agire. Come
dunque fanno derivare dal cielo la causa degli eventi e la sostanza
di questa nostra vita, dal momento che alle stesse costellazioni
celesti attribuiscono le cause del movimento rifacendosi alle qua
lit di tm cibo di scarso valore? Dicono che sar liberale chi
nato sotto il segno dell'ariete, perch questo si spoglia della pro
pria lana senza opporre resistenza, e preferiscono attribuire una
simile virt alla natura di un vile animale piuttosto che al cielo
dal. quale per noi risplende il sereno e spesso cade la pioggia; di
cono che saranno laboriosi e disposti a servire quelli che alla
loro nascita ha guardato il toro, perch questo laborioso animale
spontaneamente sottopone il collo alla servit accettando il giogo;
colui che alla sua nascita lo scorpione ha accolto nella propria
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 207
Bas., Hexaem., 128 BD (54 CD): ...
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Bas., Hexaem., 129 (55 ):
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quoque cuius natiuitatem scorpius sua parte conplexus sit et ma
litiae uenena reuomentem, eo quod animal uenenatum sit. Quid
igitur auctoritatem uiuendi daturum te signorum caelestium digni
tate praetendis et de nugis quibusdam argumentum adsertionis
adsumis? Nam si de animalibus adsumptae huiusmodi morum
proprietates caeli motibus inprimuntur, et ipsum uidetur bestialis
naturae potestati esse sublectum, ex qua causas uitalis substan
tiae, quas hominibus inpertiret, accepit. Quod si hoc abhorret a
uero, multo magis illud' ridiculum, ueri eos subsidio destitutos
hinc fidem suae disputationis arcessere.
208 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 4, 15-17
16. Deinde illud consideremus, quod planetas ea signa adpel-
lant, quorum motibus formari adserunt uitae nostrae necessitates.
Siue igitur, ut nomen sonat, semper uagentur, siue, ut ipsi dicunt,
quod cito motu ferantur, et decies milies in diem aut, si hoc in
credibile uidetur, multiplicem speciem innumera sui conuersione
commutent, fide caret quod tam uago sui errore et tam celeri mo
tu fixam nobis atque inmobilem uiuendi substantiam sortemque
decernant. Fenmt tamen non esse aequales omnium motus, sed
aliorum celeriores, aliorum tardiores esse circuitus, ut in eadem
hora et uideant se frequenter et frequenter abscondant, dum aliud
ab alio praeteritur.
17. Aiunt autem plurimum referre utrum ortum generationis
benefica signa uideant an malefica et noxia et in eo natiuitatis
esse distantiam, quod benefici signi aspectus plurimum conferat,
malefici et noxii plurimum noceat. Sic enim eadem signa, quae
uenerantur, adpellare consuerunt; necesse enim habeo eorum uti
nominibus quorum utor adsertionibus, ne ignorata magis quam
uacuefacta atque destructa sua argumenta commemorent. Itaque
cum illum uagum celeremque motum non queant conprehendere,
saepe fit, ut per illam puncti et momenti incomprehensibilis sub
tilitatem ponent benefici signi aspectum, ubi grauis atque noci
turi incurrat offensio. Et quid mirum si homines luduntur, ubi
signa innoxia blasphemantur? Quae si sui natura noxia esse cre
duntur, deus ergo summus arguitur, si fecit quod malum est et
fuit inprobitatis operator: si uero ex sua uoluntate putantur ad-
zona, sar facile a spargere sangue e pronto a vomitare il ve
leno della malvagit, perch si tratta di un animale velenoso.
Perch dunque affermi che, riferendoti a creature cosi eminenti
come le costellazioni celesti, intendi offrire im modello di vita,
mentre poi trai un sostegno per la tua asserzione da ciance senza
valore? Se simili qualit morali derivate da animali sono im
presse dai movimenti del cielo, sembra che anch'esso sia soggetto
al potere della natura animalesca dalla quale ha ricavato i prin
cipi dell'esistenza vitale da assegnare agli uomini. Ma se ci
assolutamente contrario al vero, molto pi ridicolo che essi,
mancando del sostegno della verit, cerchino in ragionamenti di
questo genere la credibilit per le loro teorie.
16. Consideriamo poi che essi chiamano pianeti quegli astri
che, a quanto affermano, con i loro movimenti determinano il
destino della nostra vita. Sia che come indicato dal loro nome,
vadano sempre vagando, sia che, come essi sostengono, per effetto
del loro rapido moto con le loro innumerevoli mutazioni cambino
il loro aspetto persino diecimila volte al giorno o, se questo sem
bra incredibile, moltissime volte, non si pu ci^edere che con im
cosi instabile vagabondare e con un movimento cosi veloce pos
sano decretare per . noi unesistenza e una sorte di vita fissa e
immutabile Dicono tuttavia che i moti di tutti i pianeti non sono
uguali, ma le orbite di alcuni sono pi veloci, di altri pi lente,
sicch nella medesima ora spesso si vedono e spesso si nascondo
no, mentre l uno superato dallaltro
17. Dicono poi che sia molto importante se l inizio della nostra
esistenza cade sotto costellazioni benigne oppure malefiche e nocive
e che la varie nascite differiscano, perch l influsso di ima costel
lazione benigna giova moltissimo, quello di una costellazione ma
lefica e nociva reca grandissimo danno. Cosi sogliono chiamare
le medesime costellazioni che fanno oggetto di culto; ritengo in
fatti necessario usare gli stessi nomi di coloro dei quali riporto le
affermazioni, perch non dicano che le loro argomentazioni sono
state ignorate piuttosto che svuotate e distrutte. Pertanto, siccome
non possono cogliere quel moto vagante e rapido, accade spesso
che, per causa della istantaneit impercettibile del pimto e del
momento di cui parlavo, pongano l influsso dima costellazione
benigna dove invece interviene l influsso dannoso d'ima costellazio
ne funesta e apportatrice di mali. E che c di strano se sono bef
fati gli uomini, quando costellazioni che non fanno male a nes
suno vengono cosi calunniate? Ma se si crede che queste per loro
natura siimo nocive, allora si biasima l'Altissimo supponendo che
abbia creato ci che male e abbia compiuto un'azione iniqua;
se invece si ritiene che di loro volont si siimo arrogate il com
pito di nuocere a chi innocente e non ha ancora coscienza di
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 209
B a s ., Hexaem., 129 CD, 132 A (55 CE): s i p a r l a deUa r i e t e , d e l t o r o , deUo
scorpione e d e l l a b i l a n c i a .
Bas., Hexaem., 132 BD (56 AC).
Bas., Hexaem., 132 C (M B): ... ( 6
...
sumpsisse quod noceat insontibus et nullius adhuc facinons pes
simi sibi consciis, quibus poena ascribitur antequam culpa, quid
tam inrationabile, quod etiam inrationabilium bestiarum excedat
inmanitatem, ut usus fraudis aut gratiae non meritis hominum
deputetur, sed signorum motibus deferatur? Nihil, inquit, ille de
liquit, sed noxia eum stella conspexit. Saturni ei sidus occurrit:
auertit se paululum et aerumnam abstulit, crimen absoluit.
18. Sed haec eorum sapientia telae aremeae comparatur, in
quam si culex aut musca incidit, exuere se non potest, si uero
ualidiorum animantium ullum genus incurrisse uisum est, per-
transiuit et casses rupit infirmos atque inanes laqueos, dissipauit.
Talia sunt retia Chaldaeorum, ut in his infirmi haereant, ualidio-
res sensu offensionem habere non possint. Itaque uos, qui uali-
diores estis, cum uidetis mathematicos, dicite: Telam araneae
texumt, quae nec usimi aliquem potest habere nec uincula, si tu
non quasi culex aut musca lapsu tuae infirmitatis incurras, sed
quasi passer aut columba casses inualidos praepetis uOlatus cele
ritate dissoluas . Etenim quis prudentium credat quod signorum
motus, qui ad diem saepe mutantur et multipliciter in se recur
runt, insignia deferant potestatum? Nam si ita esset, quantae ad
diem regalium natiuitatum exprimerentur figurae! Cottidie ergo
reges nascerentur nec regalis in filios transmitteretur successio,
sed semper ex diuerso statu qui ius imperialis adquirerent pote
statis orerentur. Quis igitur regum genituram filii sui colligit, si
ei debeatur imperium, et non proprio successionem regni in suos
transcribit arbitrio? Legimus certe quod Abia genuit Asaph, Asaph
genuit losaphat, losaphat genuit loram, loram genuit Oziam ", et
reliqua omnis usque ad captiuitatem per reges generis pariter et
honoris ducta successio est. Numquid quia reges fuerunt, signis
caelestibus formandos motus suos imperare potuerunt? Quis
enim hominum potest in his habere dominatum?
210 -EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 4, 17-18
- Ps 123, 7; 54, 7.
n Mt 1, 7-8.
nessun orribile delitto e a costui si attribuisce la pena prima della
colpa, che c' di tanto irragionevole da superare la ferocia persino
degli animali irragionevoli, quanto l'attribuire la pratica della mal
vagit o della bont non ai meriti degli uomini, ma ai movimenti
degli astri? Non ha commesso alcun male, dice, ma nato sotto
cattiva stella . Saturno gli veniva incontro; egli si scansato un
po e cosi ha evitato la sventura e si liberato dall'accusa.
18. Ma questa loro sapienza pu essere paragonata a una tela
di ragno; se una zanzara o una mosca v'incappa, non riesce a li
berarsi, mentre, se vediamo finirvi dentro qualche specie d'ani
male pi robusto, rompe le fragili maglie e disperde gli inutili
lacci . Le reti dei Caldei sono tali, che vi restano impigliati gli
spiriti deboli, mentre chi superiore d'intelligenza non pu ricever*
ne danno. Perci voi che siete pi forti, quando vedete gli astrologi,
dite: Tessono una ragnatela che non pu avere nessuna effi
cacia n pu trattenerti se tu, come una zanzara o una mosca, non
vincappi per colpa della tua debolezza, ma, come un passero
0 una colomba, squarci le deboli maglie con la velocit d'un ra
pido volo. Quale persona di buon senso potrebbe credere che i
movimenti delle costellazioni, che sovente, ad un dato giorno,
cambiano ,e ritornano in vario modo nella condizione primitiva, re
chino le insegne del potere? Se cosi fosse, quante hgure di na
scite regali apparirebbero ogni giorno! Nascendo ogni giorno dei
re, la successione regale non passerebbe ai figli, ma sempre da
una diversa condizione nascerebbero gli aventi diritto al potere
imperiale. Quale re pensa all'oroscopo di suo figlio per accertare
se gli dovuto il trono e non trasferisce piuttosto di suo arbi
trio ai propri eredi la successione del regno? Leggiamo almeno
che Abia gener Asaf, Asaf gener Giosafat, Giosafat gener Gio-
ram, Gioram gener Ozia e che tutta la successione sia della fa
miglia che del trono fino alla cattivit di Babilonia si trasmise di
re in re. Forse, perch erano re, potevano comandare alle costel
lazioni del cielo come regolare .i movimenti che li riguardavano?
Quale uomo potrebbe esercitare il proprio potere in questo
campo?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 211
B a s ., Hexaem., 133 A (56 D ):
, ; vedi anche ci che precede im
mediatamente.
Bas., Hexaem., 132 B (55 E, 56 A): -
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'
, ^ ^ )ucl
^. Qui Ambrogio traduce persino l'aoristo gnomico con la forma la
tina corrispondente.
. M Ba s ., Hexaem., 133 AB.(56 DE): Et .
& ,
(( ,
t( ' ; Anche S. Basilio ricorda poi
Ozia, Giosafat, Acaz, Ezechia, con un ragionamento analogo a quello di
S. Ambrogio.
19. Deinde si ad necessitatem genitalem, non ad instituta mo
rum actus nostri factaque referantur, cur leges propositae sunt,
iura etiam promulgata, quibus aut poena inprobis decernitur aut
securitas defertur innoxiis? Cur non uenia datur reis, cum utique,
ut ipsi aiunt, non sua uoluntate, sed ex necessitate deliquerint?
Cur laborat agricola et non magis expectat, ut inelaboratos fruc
tus priuilegio suae natiuitatis inuehat receptaculis horreorum? Si
ita natus est, ut ei diuitiae absque opera affluant, utique operia
tur, ut sibi spontaneos reditus sine ullo semine terra parturiat,
non uomerem aruis imprimat, non curuae manus falci admoueat,
non legeiidae uindemiae subeat expensam, sed ultro ei in omnes
serias fluentia uina fundantur, sponte ei oleum nullis inserta cau
dicibus siluestris oleae baca desudet. Nec diffusi aequoris trans
fretator periculiun propria salutis sollicitus mercator horrescat,
cui otioso potest quadam, ut aiunt, sorte genitali diuitiarum then-
saurus inlabi. Sed non haec est uniuersorum sententia. Denique in-
piger depresso aratro terram scindit agricola, nudus arat, nudus
serit, nudus sole feruenti tostas aestu in area terit fruges, et ne
gotiator inpatiens flantibus euris intuto plerumque nauigio sulcat
mare. Vnde importunitatem eorum temeritatemque condemnans
propheta ait: Erubesce, Sidon, dixit mare , hoc est: si pericula
uos non mouent, uel pudor conprimat, uerecundia confundat.
Erubesce, Sidon, in qua nullus uirtuti locus, nulla salutis cura,
nulla iuuentus pro excubiis patriae bello dedita armisque exercita,
sed omnis sollicitudo de quaestu, omne studium mercaturae. Se
men inquit mercatorum sicut messis^. Quae autem merces ho
mini Christiano, si non ex uoluntate, sed ex necessitate curas suas
et opera componit? Vbi enim decreta necessitas, ibi inhonorata
industria.
212 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 4, 19
o Is 23, 4.
p Is 23, 3.
19. Inoltre, se le nostre azioni devono essere fatte risalire
al destino della nostra nascita e non ad una norma morale, per
ch si stabiliscono leggi, si promulgano decreti che comminano
pene ai malvagi e garantiscono sicurezza agli innocenti? Perch
non si concede il perdono ai colpevoli dal momento che, appunto
come essi affermano, hanno commesso 1 loro misfatti non per
loro libera scelta, ma costretti -dal destino? Perch il contadino
s'affatica e non attende piuttosto di portare al sicuro nel granaio,
per la prerogativa della sua nascita, i prodotti che non ha colti
vati? Se nato con il destino di avere senza lavoro ricchezze
a iosa, attenda senzaltro che la terra gli produca, senza bisogno
di semi, frutti spontanei, non affondi il vomere nel terreno, non
impugni la falce ricurva^, non affronti la spesa di raccogliere
l'uva, ma torrenti di vino, d loro iniziativa, si riverseranno nelle
sue giare e la bacca dell'olivo selvatico, senza essere stata in
nestata, trasuder l'olio spontaneamente. N, attraversando il va
sto mare, il mercante angosciato tema per la propria incolumit ,
perch, anche se resta inattivo, per il felice destino della sua na
scita, come dicono, potrebbe piovergli addosso un tesoro. Ma que
sto non il parere di tutti. Alla fin fine il contadino senza darsi tre
gua traccia i solchi nella terra affondando l'aratro", nudo ara,
nudo semina nudo trebbia sull'aia sotto il sole torrido il grano
abbrustolito dal calore estivo e il commerciante, impaziente din
dugio, sfidando i venti, solca il mare, per lo pi su un naviglio mal
sicuro. Perci i l profeta, condannandone la testardaggine e la te
merit, dice: Arrossisci, o Sidone, disse il mare, cio: se i peri
coli non vi spaventano, vi trattenga almeno la vergogna, vi faccia
arrossire il pudore. Arrossisci, a Sidone, citt nella quale non c'
spazio per la virt, non c cura della salute, non c giovent dedita
alla vita militare ed esercitata nelle armi per difendere vigile la
patria, ma ogni preoccupazione per il guadagno, ogni interesse
per la mercatura**. I l seme dei mercanti, prosegue, come la messe.
Ma quale ricompensa merita il cristiano se dispone i propri in
teressi e le proprie attivit non per una libera scelta, ma costretto
dal fato? Dove la necessit legge, l operosit non ha ricompensa**.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 213
B a s ., Hexaem., 133 BC (56 E, 57 AB}: inutili le leggi, irresponsabili 1
ladri e gli assassini; l'agricoltore non dovrebbe lavorare, il mercante im
pegnarsi nei suoi traffici.
Operiatur, da operior (attendere), non da operio (coprire). La grafia
operior attestata accanto alla pi esatta opperior.
Cf. Verg., Georg., I , 508: et curuae rigidum ialces conflantur in ensem.
** Cf. H o r ., Carm., I , 1, 15-18: luctantem Icariis fluctibus Africum / mer
cator metuens otium et oppidi / laudat rura sui: mox reficit ratis / quassas,
indocilis pauperiem pati.
1 Cf. Ve r g ., Georg., I , 45^: depresso incipiat iam tum mihi taurus
aratro / ingemere.
** Cf. Verc., Georg., I , 299: nudus ara, sere nudus.
Cf. Vbrg., Georg., I , 298: et medio tostas aestu terit area fruges.
Sidone, citt della Fenicia, terra famosa per i suoi mercanti.
^ Bas., Hexaem., 133 C (57 B): *> xpatc,
6 , 6 (6 i<rri.
Caput V
20. Multa diximus, plura nolumus, ne quis ea quae a nobis
de illorum adsertionibus usurpantur ad refellendum, ad cogno
scendum adsumpta arbitretur. Nam quae pueri risimus, ea senes
commemorare qui possumus? Nunc ad ea quae secundum lectio
nem supersunt dirigamus stilum.
21. Sint inquit luminaria in signa et in tempora et in dies
et in annos'. De signis diximus, tempora autem quae sunt nisi
mutationum uices, hiems, uer, aestas atque autumnus? In istis
igitur temporibus aut uelocior est transitus solis aut tardior;, alia
enim praestringit radiis suis, alia inflammat caloribus. Itaque cum
sol meridianis partibus inmoratur, hiems nobis est. Nam cum sol
longius abest, terra rigescit gelu, stringitur frigore et plurima
noctis umbra terras operit, ut multo prolixiora sint noctis spatia
quam diei. Hinc causa oritur, ut hibernis flatibus nimia uis ni-
uium pluuiarumque fundatur. Cum uero ex meridianis decedens
partibus super terram redit, noctis ac diei exaequat tempora et
quo magis moras suis adiungit cursibus, eo paulatim temperiem
aeris huius reducit et reuocat aurarum clementiam, quae fouens
omnia repetendos cogit in partus, ut terra germinet ac resoluta
sulcis semina reuiuescant, uirescant arbores, ad perpetuitatem
quoque conseruandi generis eorum quae uel in terris sunt uel
aquis gaudent annuis fetibus successio propagetur. Ast ubi ad
aestiuas conuersiones in septentrionem se subrigit, spatia diurna
producit, noctes uero artat ac stringit. Itaque quo magis usu as
siduo aeri huic copulatur atque miscetur, eo amplius aerem ipsum
uaporat et terrarum exsiccat umorem et adolescere facit semina
et tamquam in sucos uiriles maturescere poma siluarum. Tunc
quia flagrantior est, minores umbras facit in meridiano, quoniam
ex alto hunc inluminat locum.
214 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 5, 20-22
22. Vnde et synagoga dicit in Canticis canticorum: Adnuntia
mihi, quem dilexit anima mea, ubi pascis, ubi manes in meridiano,
ne forte fiam circumamicta super greges sodalium tuorum^, hoc
est: adnuntia mihi, Christe, quem dilexit anima mea. Cur non
potius 'quem diligit? Sed synagoga dilexit, ecclesia diligit neo
umquam circa Christum suum mutat adfectum. Vbi inquit pascis,
ubi manes in meridiano. Sequi te cupio quasi alumna, quae quasi
copulata ante retinebam, et greges tuos quaerere, quia amisi meos.
>Gen 1, 14.
Cant 1, 7 (6).
21, 6. hiemps Schenkl; sed uide lin. 3 et possim.
Capitolo 5
20. Abbiamo parlato a lungo e non vogliamo insistere oltre
affinch qualcuno non pensi che si faccia propaganda a quelle
loro teorie che esponiamo per confutarle. Come potremmo da
vecchi citare con lode ci di cui ci siamo beffati da ragazzi? Ma
ora occupiamoci di quanto dice ancora la Sacra Scrittura.
21. Vi siano, disse, i luminari e servano come segni per
dividere le stagioni, i giorni e gli anni. Abbiamo parlato dei se
gni; ma le stagioni che cosa sono se non il succedersi di muta
menti, inverno, primavera, estate, autunno? In tali stagioni il pas
saggio del sole pi veloce o pi lento; sfiora alcune appena con
i suoi raggi, altre arroventa con il suo calore. Perci, quando il
sole indugia nelle regioni meridionali, per noi inverno. Infatti,
quando il sole pi lontano, il suolo indurito dal gelo, stretto
dal freddo come in una morsa e l ombra notturna abbondantissima
copre la terra, sicch la durata della notte si prolunga molto di pi
di quella del giorno. Questa la causa per cui dinverno, quando
soffiano i venti, cade uneccessiva quantit di neve e di pioggia.
Quando invece il sole, lasciando le regioni meridionali, ritorna
sulla zona mediana della terra, pareggia la durata del giorno e
della notte e, quanto pi si attarda nel suo corso, tanto pi a poco
a poco riconduce in questa nostra atmosfera un clima temperato
riportando la mitezza dei venti, che con il loro tepore costringono
tutte le creature a riprendere la procreazione. Cosi la terra germo
glia e i semi, dissoltisi nei solchi, ritornano a vivere e gli alberi ver
deggiano; inoltre, per conservare ininterrottamente la specie degli
animali viventi sulla terra e nellacqua, con parti annuali si molti
plica la loro riproduzione. Ma quando si innalza per il solstizio
destate verso settentrione, il sole allora prolunga la durata del
giorno, mentre riduce e restringe le notti. Perci, quanto pi assi
duamente si unisce allaria e la compenetra, tcuito pi la riscalda
ed essicca l'umidit del terreno e fa sviluppare i semi e maturare
i frutti selvatici rendendo saporiti i loro succhi. Allora, essendo
pi infocato, ed meriggio produce ombre pi ridotte, perch illu
mina questi nostri luoghi a perpendicolo
22. Perci anche la Sinagoga dice nel Cantico dei cantici:
Dimmelo tu, che la mia anima am, dove pascoli il gregge, dove
ti fermi il meriggio, perch per caso io non debba andare errando
dietro ai greggi dei tuoi compagni, cio: Dimmelo tu, o Cristo,
che la mia anima am. Perch non dice piuttosto: che la mia
anima ama ? Ma la Sinagoga am un tempo, la Chiesa ama e non
muta il suo affetto per Cristo. Dove pasci, dice, dove ti fermi il
meriggio. Desidero seguirti come ima discepola, io che prima ti
trattenevo presso di me come una sposa, e voglio cercare i tuoi
greggi perch ho perduto i miei. Al meriggio tu li pascoli nei re-
I SEI GIORKI DELLA CREAZIONE 215
1 Bas., Hexaem., 133 D, 136 A (57 B-D): le stagioni. I concetti sono iden
tici a quelli svolti da S. Ambrogio.
In meridiano pascis, in ecclesiae loco, ubi iustitia resplendet, ubi
fulget iudicium sicut meridies ubi umbra non cernitur, ubi maio
res dies sunt, quod eis sol iustitiae* tamquam aestiuis mensibus
diutius immoretur. Denique dies domini non est breuis, sed ma
gnus, quia scriptum est: Donec ueniat dies domini magnus Vnde
et lacob ait: Omnes dies uitae meae quos ago, breues et maligni*;
est enim maligna lux dubia. Ergo dies breues dubiae lucis sunt et
umbrosi. Dies magni sine umbra sunt, ut plurimi in aliquibus locis
feruentioribus usu exemploque cognorunt. Synagoga itaque in die
bus breuibus et malignis, cuius typum plerumque lacob in per
sona sua exprimit uel populi huius, umbram habebat plurimam,
quae solem iustitiae non uidebat et uidebat illum non ex alto
supra caput suum, sed ex meridiano inluminantem, quando hiems
illi erat. Ecclesiae autem dicitur. Hiems abiit, discessit sibi: flo
res uisi sunt in terra, tempus messis aduenit. Ante aduentum
Christi hiems erat, post aduentum Christi flores sunt ueris et men
sis aestatis. Ex meridiano ergo et ex gentium conuersione illum
inluminantem uidens obumbratur. Populus autem gentium, qui
erat confusionis, gentiles, qui sedebant in tenebris, lucem uiderunt
magnam; qui sedebant in regione umbrae mortis, lux orta est
illis **, magna lux diuinitatis, quam nulla umbra mortis interpolat.
Ideo ex alto inluminat, quia et hoc scriptum est dicente Zacharia:
J n quibus uisitauit nos oriens ex alto inluminare his qui in tene
bris et in umbra mortis sedent Est sane et aliqua salutis umbra,
non mortis, ut est illa: Sub umbra alarum tuarum proteges me
umbra quidem, quia corporis est, umbra, quia crucis, sed umbra
salutis, quia in ea erat peccatorum remissio " et resuscitatio mor
tuorum.
216 EXAMBRON, DIES IV, SER. VI, C. 5, 22-23
23. Exemplum ergo possumus capere, quia hiemales dies
breues, sed umbras maiores habent, aestiui dies maiores, sed um
bras minores habent. Medio quoque die minor umbra quam uel
in principio est diei uel fine, et hoc apud nos in parte occidentis.
Ceterum sunt qui per duos totius anni dies sine umbra fuerint in
partibus meridianis, eo quod solem habentes super uerticem
suum undique per circuitum inluminentur, unde et ascii graece
dicuntur. Plerique etiam ferunt sic e regione ex alto fieri solem,
ut per angusta puteorum aquam quae in profundo est uiderint
c Ps 36, 6.
d Mal 4, 2.
e loel 2, 31.
t Gen 47, 9.
Cant 2, 11-12.
b Mt 4, 16; Is 9, 2.
Lc 1, 78-79.
t Ps 16, 8.
Lc 1, 77.
cinti della Chiesa, dove risplende la giustizia, dove il giudizio ri
fulge come il mezzogiorno, dove non si scorge ombra, dove i giorni
sono pi estesi, perch il Sole di giustizia si trattiene in essi pi
a lungo come nei mesi estivi. Insomma il giorno del Signore non
di breve, ma di lunga durata, perch sta scritto: Finch venga
il giorno grande del Signore. Perci anche Giacobbe dice: Tutti i
giorni della vita che trascorro sono brevi e tristi; triste infatti
la luce incerta*. I giorni brevi hanno una luce incerta e sono
oscuri. I giorni che durano a lungo non hanno ombra, come mol
tissimi sanno per lunga esperienza in taluni luoghi della zona
torrida. In giorni brevi e tristi la Sinagoga, della quale Giacobbe
rappresenta pi volte il simbolo in persona propria o in quella
del popolo ebreo, era avvolta in ima fitta ombra, essa che non ve
deva il Sole di giustizia o tuttal pi lo vedeva risplendere non
dall'alto sopra il proprio capo, ma dal meridione, quando per
essa era inverno. Invece alla Chiesa si dice: L'inverno passato,
se n' andato: sono apparsi i fiori sulla terra, giunto il tempo
della messe. Prima della venuta di Cristo era inverno; dopo la sua
venuta, ecco i fiori di primavera, la messe dellestate. Pur veden
done la luce dal meridione, attraverso la conversione dei gentili,
la Sinagoga rimane nelloscurit. Invece il popolo dei pagani, che
era popolo di vergogna, i gentili che stavano nelle tenebre, ne vi
dero la grande luce; per coloro che stavano nel luogo dellombra
di morte spimt la luce, la luce grande di Dio, che nessima ombra
di morte riesce ad offuscare. Illumina dallalto, perch anche que
sto sta scritto dove Zaccaria dice; Per le quali ci ha visitato una
luce dallalto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nel
lombra di morte. C senza dubbio anche unombra di salvezza,
non di morte, come questa: Sotto l ombra delle tue ali mi proteg
gerai, ombra perch di un corpo, ombra perch della croce, ma
ombra di salvezza perch in essa stavano la remissione dei pec
cati e la risurrezione dei morti.
23. Possiamo averne un esempio, perch i giorni invernali
sono brevi, ma hanno ombre maggiori, quelli estivi sono pi lun
ghi, ma hanno ombre pi corte. Inoltre a mezzogiorno l ombra
pi corta che allinizio o alla fine del giorno, e questo da noi, ad
occidente. Ma vi sono popoli che nelle regioni meridionali restano
senza ombra per due giorni allanno, perch, avendo il sole a per
pendicolo, sono illuminati tuttintorno da ogni parte e perci in
greco sono detti senzombre . Molti anche dicono che il sole
cosi a perpendicolo che attraverso l angusta bocca dei pozzi po
trebbero vedere l acqua che sta nel fondo riflettere la sua luce *.
Dicono poi che vi siano nelle regioni meridionali popoli chiamati
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 217
* et. Ve r g ., Aen., VI, 270-272: quale per incertam lunam sub luce mali
gna / est iter in siluis, ubi caelum condidit umbra / luppiter et rebus nox
abstulit atra coorem.
il classico esperimento di Eratostene di Cirene; vedi Enc. ital.,
XIV, p. 184.
refulgere. Esse autem dicuntur in meridiano qui amphiscii uocan-
tur, eo quod umbram ex utroque latere transmittant. Vmbra enim
e regione solis ambulantibus pos tergum est, ut puta si contra
orientem pergas, matutinis horis, si contra meridianam plagam
contendas, medio die, si contra occidentem, in occasu diei. Ex
tribus igitur partibus fit tibi sol obuius, ex oriente, ex meridiano,
ex occidente. Mane et sero pos tergum est, meridie quoque a
latere, at uero a septentrione numquam est sol et ideo umbra, si
contra septentrionem dirigas siue mane siue sero siue meridie,
non potest esse pos tergum. Soli sunt enim in hoc quem nos in
colimus orbe terrarum circa meridiem positi qUi in australem pla
gam uideantur vunbram transmittere. Hoc autem fieri dicitur sum
mo aestu, cum ad aquilonem sol dirigit. Postea nos autumnus ex
cipiens infringit quidem a;estuum magnitudinem, sed paulisper re
laxato ac deposito calore per temperiem medii moderaminis sine
fraude nos atque ulla noxia flatibus tradit hiemalibus.
24. Sint inquit etiam in dies, ut non faciant dies, sed ut in
eis habeant principatum, ut ortum diei uberiore sol inluminet gra
tia ut per totum diem designandi eius habeuit potestatem cursus
sui mimere. Sic accipixmt nonnulli quod ait propheta: Solem in
potestatem diei, lunam et stellas in potestatem noctis, <cum>
circumferant lumen. In annos quoque ordinati sunt sol et luna:
luna per tricenos dies duodenis uicibus suum cursum conficiens
consummat annum secundimi Hebraeos aliquibus diebus adiectis,
secimdum Romanos bissexto semel intra quadriennium unius diei
adjectione celebrato. Solstitialis quoque annus est, cum sol expleto
per omnia signa circuitu in id, unde principium cursus sui sump
sit, recurrit; annua enim fertur ei totius spatii esse perfunctio.
218 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, c, 5, 23-24
n Ps 135, 8-9.
ambiombra perch proiettano l ombra da entrambi i lati *. In
fatti l ombra per chi cammina verso il sole sta alle spalle, come,
per esempio, se ti dirigi verso oriente la mattina, verso meridione
a mezzogiorno, verso occidente al tramonto. Da tre parti, dunque,
tu hai il sole dirimpetto: da oriente, da mezzogiorno, da occidente.
La mattina e la sera dietro le spalle, a mezzogiorno anche di
fianco; ma dalla parte di settentrione non c mai il sole e per
ci l'ombra, se tu vai in quella direzione la mattina o la sera o a
mezzogiorno, non pu mai essere dietro le spalle. Infatti sem
bra che in questo globo da noi abitato siano solamente quelli si
tuati a mezzogiorno a proiettare la loro ombra verso la zona au
strale. E si dice che questo avvenga nel colmo dellestate, quando
il sole s sposta verso settentrione. Successivamente l autunno,
sopravvenendo, fiacca la violenza dei calori, ma attenuando a
poco a poco e riducendo il caldo, con il passaggio attraverso il
clima temperato della mezza stagione, senza rischio e senza danno
ci espone ai venti invernali .
24. Servano anche, dice, per dividere i giorni; non per creare
i giorni, ma per dominare in essi, cosi che, come il sole illumina
il sorgere del giorno con pi ricca magnihcenza, i luminari del
cielo abbiano il potere, nel volgere dellintero giorno, di determi
narlo per mezzo del loro corso. Cosi intendono alcuni quanto dice
il profeta: I l sole a disposizione del giorno, la luna e le stelle
a disposizione della notte, poich portano intorno la loro luce. I l
sole e la luna sono stati disposti per dividere gli anni: la luna
compiendo il suo ciclo di trenta giorni per dodici volte, conclude
Tanno, secondo gli Ebrei, con l'aggiunta di alcuni giorni, secondo
i Romani, ricorrendo all'anno bisestile nel corso dogni quadrien
nio con l'addizione di un giorno. V anche l'anno solstizialequan
do il sode, compiuta Ila sua orbita passando per tutte le costellazioni,
ritorna al punto di partenza; si insegna infatti che esso impiega
un anno per compiere lintero percorso.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 219
* Bas.. Hexaem., 136 BC (57 E, 58 A): in particolare 136 C (57 E. 58 A):
del
,
, 'ro
* 6 . 01
.
xa*
tsv .
S'intende per chi va verso ovest o verso est.
^Bas., Hexaem., 137 AB (58 BC): &
, ,

.
* Come osserva il Coppa {op. cit., p. 351, n. 73), sarebbe pi esatto
parlare di giorno solstiziale.
Caput VI
220 EXAMERON, DIS IV, SER. VI, c. 6, 25-26
25. Fecit ergo deus haec duo luminaria magna possumus
accipere non tam aliorum comparatione magna quam suo mu
nere, ut est caelum magnum et mare magnum; nam et magnus
sol, qui conplet orbem terrarum suo calore uel luna suo lumine
nec solum terras, sed etiam aerem hunc et mare caelique fa
ciem , quae in quacumque parte fuerint caeli inluminant omnia
et aeque spectantur a cunctis, ut ea tamquam suis tantum regio
nibus inmorari et sibi tantum adesse atque lucere singuli populi
credant, cum similiter luceant uniuersis, ut nemo hic propiorem
alium quam ipse est arbitretur. Exemplum magnitudinis eorum
euidens, quod omnibus hominibus orbis lunae idem uidetur. Nam
etsi interdum augeatur lumen eius atque minuatur, tamen eadem
nocte qualis mihi adparet talis et omnibus. Nam si longe positis
minor uideretur, propius constitutis maior refulgeret, proderet
angustiarum et exiguitatis indicium. Etenim reliqua alia longe
positi minora arbitramur, propius contuentes maiora credimus.
Quo magis finitimus fueris, eo tibi eius rei quam cernis magnitudo
cumulatur. Solis radius nulli propior, nulli longinquior est; si
militer et lunae globus aequalis est omnibus. Similis sol et Indis
et Brittanis eodem momento uidetur, cum oritur, nec cum mergi
tur in occasum, minor adparet orientalibus quam occidentalibus
nec occidentalibus, cum oritur, inferior quam orientalibus aesti
matur. Quantum distat inquit oriens ab occidente! . Haec inuicem
sibi distant, sed sol a nullo distat, nulli praesentior, nulli remo
tior est.
26. Neque te moueat quod tamquam cubitalis tibi orbis ui
detur solis, cum oritur, sed considera quantum intersit spatii in
ter solem et terras, quod aspectus nostri infirmitas sine magno
sui non potest transire dispendio. Caligat aspectus noster: num-
quid sol caligat aut luna? Aiigustus noster obtutus: numquid ideo
Ps 102, 12.
Capitolo 6
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 221
25. Dio dunque cre questi due grandi luminari possiamo
intenderli grandi non tanto in confronto con altri, quanto per la
loro funzione, come grande il cielo e grande il mare: infatti gran
de anche il sole che riempie la terra con il suo calore, e non
solo la terra, ma anche l'aria e il mare e la volta del cielo i quali,
in qualunque parte del cielo si trovino, tutto illuminano e da
tutti ugualmente sono visti K Cosi singoli popoli possono credere
che essi, in un certo senso, si trattengano soltanto nei loro paesi
e soltanto loro assistano ed illuminino, mentre risplendono ugual
mente per tutti senza eccezione, cosicch nessuno pensa che un
altro pi di lui sia ad essi vicino. Una prova evidente della loro
grandezza si ha nel fatto che il disco della luna appare uguale a
tutti gli uomini. Anche se di tanto in tanto il suo chiarore si ac
cresce o diminuisce, tuttavia nella medesima notte tale appare a me
quale anche a tutti Se sembrasse pi piccolo a coloro che stanno
lontano ed invece splendesse pi grande per coloro che stanno pi
vicino, offrirebbe una prova della sua ridotta estensione. Infatti
tutte le altre cose ci sembrano pi piccole quando siamo lontani,
mentre, vedendole da vicino, ci rendiamo conto che sono pi
grandi. Quanto pi vicino sei, tanto pi aumenta la grandezza di
ci che vedi. I raggi del sole non sono n pi vicini n pi lontani
per nessuno; cosi anche il globo limare ugualmente grande per
tutti. I l sole nello stesso istante, quando sorge, appare uguale sia
agli Indiani che ai Britanni, e quando scende al tramonto non
appare pi piccolo agli orientali che agli occidentali n, quando na
sce, sembra pi basso agli occidentali che agli orientali *. Quanto
dista l oriente dall'occidente, dice la Scrittura. Questi due punti
sono lontani l'uno dall'altro, ma il sole non lontano da nessun
punto, a nessuno pi vicino, da nessuno pi lontano.
26. Non timpressioni il fatto che il sole, quando sorge, ti sem*
bra un disco alto un cubito, ma rifletti quanta fra il sole e la
terra la distanza che la debolezza della nostra vista non pu supe
rare senza suo grave danno. La nostra vista si oscura: il sole
0 la luna che si oscurano? la forza del nostro sguardo che
V B a s ., Hexaem., 137 CD (58 DE, 59 A): r i 4
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* Ba s ., Hexaem., 137 D (59 A):
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* Ba s ., Hexaem., 140 A (59 ):
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Si, t v ( .
3
*
2 . cosi di seguito 140 B-D (59B-E).
angustiora efficit quae uidentur? Species minuitur, non magnitu
do detrahitur. Neque enim infirmitatem nostrae passionis passio
ni luminarium debemus ascribere. Mentitur noster aspectus; noli
ergo fidele eius aestimare iudicium, sed caelestium minor specta
culi figura, non sui forma. De summo uertice montium si subiec-
timi oculis tuis campum spectare desideres atque illic armenta
pascentia, nonne formicarum siniilia corpora iudicabis? Si mare
spectes e specula aliqua litorali, nonne tibi nauium maximae inter
caeruleos fluctus uela candentia refulgentes uelut columbarum uo-
lantium speciem eminus ponto uidentur obtexere? Quid ipsae in
sulae, quae mare diuidunt, terrarum arua diffundunt, quam an
gusto aestimantur fine concludi, quemadmodum rotunda apparent
de asperis, spissa de raris! Has ergo infirmitates uisus tui pende,
et eorum quae astruimus fidem ex te ipso arbiter iustus arcesses.
222 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, c. 6, 26-28
27. Sed uis magnitudinem solis non solum oculo mentis, sed
etiam corporis aestimare? Considera quanti stellarum globi axem
caeli uideantur intexere et innumeris insignire luminibus, non
queunt tamen tenebras noctis et caeli nubila detergere. Simul ut
sol ortus sui signa praemiserit, omnes stellarum ignes sub unius
luminaris fulgore uanescunt, aperitur aer caelique facies purpu
rascenti rubore perfunditur. Adhuc spirans exordium et iam mo-
mentaria celeritate pleni luminis micat splendor et surgentis solis
praeuia aura dulcis aspirat. Dic mihi quaeso, nisi magnus esset
orbis, quomodo magnum posset orbem inluminare terrarum?
28. Quid autem de tanto loquar temperamento et modera
mine conditoris, qui eam mensuram muneri solis adtribuit, ut ne
que uapor eius igneus, ut uidetur, terrarum uenas rerumque spe
cies infusus exureret neque iterum per tanta mundi spatia refri-
troppo ridotta: forse per questo riduce quel che si vede? Non viene
ridotto l'aspetto visibile, non viene diminuita la grandezza effet
tiva. N dobbiamo attribuire il difetto dovuto ad una nostra defi
cienza ad una deficienza dei luminari celesti. La nostra vista dice
il falso. Non credere dunque esatto il suo giudzio: pi piccola
l'inmagine offertaci dalla vista dei corpi celesti, non la loro co
stituzione^. Se tu desiderassi guardare dalla sommit dei monti
la pianura che si stende sotto i tuoi occhi e gli armenti che vi pa'
scolano, non ne giudicheresti i corpi simili a formiche? Se guardi
il mare da im osservatorio posto sul lido, non ti sembra che le
navi pi grandi, mentre spiccano tra i flutti per le loro candide
vele, presentino lontano sul mare l'immagine di colombe in volo?
E le stesse isole, che interrompono il mare stendendo le loro terre
coltivabili, da quale ristretto confine sembrano limitate, come ap
paiono spianate invece che scoscese, fitte invece che sparse qua e
l! Or dunque valuta questi limiti della tua vista, e da giudice impar
ziale ti convincerai da solo della verit delle nostre affermazioni.
27. Vuoi valutare la grandezza del sole non soltanto con
l'occhio della mente, ma anche con quello del corpo? Considera
quanti globi di stelle sembrano trapuntare la volta celeste e ador
narla di innumerevoli luci: tuttavia non possono spazzar via le
tenebre della notte n le nubi del cielo. Non appena il sole si
preannuncia con i segni della sua levata, al fulgore di quel solo
astro svaniscono tutti i fuochi delle stelle, l'atmosfera si schiude
e la volta del cielo si tinge d'un rosso purpureo. Non che il primo
mizio, ed ecco che con rapidit istantanea sfavilla lo splendore
d'una luce piena e spira ima dolce brezza precedendo il sole che
sorge. Dimmi, di grazia: se non fosse grainde il suo globo, come
potrebbe illuminare l immenso globo terracqueo?.
28. Che dire della misura del freno cosi efficacemente im
postogli dal Creatore? Egli alla funzione del sole assegn im limite
tale che n la sua vampa fatta di fuoco, a quel che sembra, brucias
se le vene della terra e le specie esistenti raggiungendole con i suoi
raggi n, d'altra parte, raffreddandosi nell'attraversare gli spazi
cosi sconfinati del mondo, fosse incapace d'inserire in esse ogni
Z SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 223
* Cf. Cic., Acad., I I , 26, 82: Quid potest esse sole maius, quem mathe
matici amplius duodeuiginti partibus confirmant maiorem esse guam ter
ram? Quantulus nobis uidetur! Mihi quidem quasi pedalis. Epicurus autem
posse putat etiam minorem esse eum quam uideatur, sed non multo; ne
maiorem quidem multo putat esse, uel tantum esse quantus uideatur, ut
oculi aut nihil mentiantur aut non multum. Cf. De fin., 1, 6. 20.
* Bas., Hexaem., 141A (60 A): ooi ?
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tj)v ui^ ^ ,
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geratus nullum terris semen caloris inolerei, sed ieiunam atque
inopem fructum derelinquens ad nullam fertilitatis gratiam ua
poraret?
224 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, c. 6, 28 - c. 7, 29
Caput VII
29. Similia de lunae ratione conueniunt, quae de consorte
eius ac fratre memorauimus, siquidem in id se induit ministe
rium, in quod et frater, ut inluminet tenebras, foueat semina, au
geat fructus. Habet etiam pleraque a fratre distincta, ut quem
toto die calor umorem terrae siccauerit eundem exiguo noctis tem
pore ros reponat; nam et ipsa luna larga roris adseritur. Deni
que cum serenior nox est et Ixma pernox, tunc largior ros fertur
arua perfundere. Et plerique sub aere quiescentes, quo magis sub
lumine fuissent limae, eo plus umoris se capite collegisse sense
runt. Vnde et in Canticis dicit Christus ad ecclesiam: Quoniam
caput meum repletum est rore et crines mei guttis noctis*. Tum
deinde minuitur et augetur, ut minor sit, cum resurgit noua, cum
sit inminuta, cumuletur. In quo grande mysterium, est. Nam et
defectui eius conpatiuntur elementa et processu eius quae sunt
exinanita cumulantur, ut animeintium cerebrum, maritimorum umi
da, siquidem pleniores ostreae repperiri ferantur multaque alia,
cum globus lunaris adolescit. De arborum quoque internis idem
allegant qui hoc usu proprio conpererunt. Videmus ergo ortum
eius et defectum rationis esse, non infirmitatis. Numquam enim
Cant 5, 2.
seme di calore e cosi, lasciando la terra sterile e priva di frutti, non
la riscaldasse per consentirle di offrirci il dono della sua fe
condit *.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 225
Capitolo 7
29. Anche al modo di comportarsi della luna si attagliano
considerazioni simili a quelle che abbiamo fatto nei riguardi del
suo compagno e fratello , poich si assume lo stesso compito di
illuminare le tenebre, di aiutare lo sviluppo dei semi e di accre
scere i prodotti. Ha per anche molte funzioni distinte da quelle
del fratello: far si che la rugiada nel breve spazio della notte ri
costituisca l umidit della terra che il sole ha asciugato durante
tutta la giornata; infatti si afferma che anche la stessa luna sia
generosa dispensatrice di rugiada. Di conseguenza si dice che,
quando la notte completamente serena e la luna brilla per tutta
la sua durata, allora la rugiada con particolare abbondanza ba
gna i campi. E molti che riposavano all'aria aperta si accorsero
che quanto pi erano rimasti al calore lunare, tanto pi timidit
avevano accumulato sulla loro testa. Perci anche nel Cantico
Cristo dice alla Chiesa: Poich il mio capo pieno di rugiada e
i miei capelli di gocce notturne. In seguito poi la luna cala e
cresce, cosi che pi ridotta quando rispunta al novilunio e,
dopo essersi ridotta, ridiventa piena. Questo fatto davvero mi
sterioso: al suo calare gli elementi ne subiscono gli effetti e col
suo crescere le cose che si sono svuotate riacquistano pienezza,
come il cervello degli animali e le parti molli degli esseri ma
rini, poich si dice che, quando il globo lunare aumenta, si tro
vano pi colme le ostriche e molti altri molluschi. Affermano la
stessa cosa del midollo delle piante coloro che constatarono que
sto fatto con la loro esperienza. Vediamo dunque che il suo cre
scere e il suo calare hanno una loro ragione, non costituiscono un
difetto^. La luna non provocherebbe cosi grandi mutamenti nelle
Bas., Hexaem., 141 B (60 B): & ( -
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^Bas., Hexaem., 141 B (60 ):
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* 8., Hexaem., 144 A (60 E, 61 A): ^
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S .


.
Secondo il Giet (. cit., . 380, . 2), simili teorie risalirebbero allo stoico
Posidonio di Apamea.
tantam rerum mutationem daret, nisi praestantem uirtutem habe
ret et gratiam a conditore conlatam.
30. Aerem quoque nonnulli etiam docti et Christiani uiri alle-
gauerunt lunae exortu solere mutari, sed si id mutationis lunaris
quadam fieret uiolentia, ad omnes eius ortus intexeretur nubibus
caelum, pluuiae funderentur. Denique cum ante dies esset sermo
de pluuia, quae fore utilis diceretur, ait quidam; Ecce neomenia
dabit eam. Et quamuis cupidi essemus imbrium, tamen huius-
modi adsertiones ueras esse nolebam. Denique delectatus sura
quod nullus imber effusus est, donec precibus ecclesiae datus ma
nifestaret non de initiis lunae eum sperandum esse, sed de pro-
uidentia et misericordia creatoris. Sane euripi cum exundent un
dique secundum reliquas species lunae et acceptos fluctus refun
dant uel etiam ipsi magno ferantur impetu, in ortu tamen eius
stant placidi, quoad luna sine lumine est; at uero ubi eam dierum
accessus retexerit, tunc in suos cursus refluos reuertuntur. Am-
potis quoque, quae in oceano esse perhibetur, cum reliquis diebus
ordinem suum seruare dicatur, lunari exortu euidens mutationis
suae fertur indicium dare, ut mare ipsum occidentale, in quo
spectatur ampotis, solito amplius accedat ac recedat et maiore
aestu feratur, tamquam lunae quibusdam aspirationibus retror
sum trahatur et iterum isdem inpulsum ac retractum in mensu
ram propriam refundatur.
226 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, c. 7, 29-30 - c. 8, 31
Caput V I I I
31. Vnde si miraris quomodo defectum luna patiatur, cum
tantam uim mutationis habeat suae, considera et in eo magnum
cose, se non possedesse per dono del Creatore una virt ed un
influsso benefico fuor del comune.
30. Alcune persone, anche dotte e cristiane, sostennero che
anche l'atmosfera subisce un mutamento qusmdo sorge la luna;
ma se tale fenomeno si verificasse per ima ripercussione violenta
del mutamento limare, ogni volta che la luna spunta, il cielo sa
rebbe coperto di nuvole e cadrebbe la pioggia. Inoltre, parlando
nei giorni scorsi della pioggia che si diceva sarebbe stata utile, un
tale afferm: Ecco, la porter il novilunio . E sebbene sentis
simo un gran bisogno di pioggia, tuttavia non potevo desiderare
che simili asserzioni fossero vere. Mi rallegrai anzi perch non
cadde una goccia di pioggia finch, concessa per le preghiere
della Chiesa, dimostr chiaramente che doveva essere attesa non
dal novilunio, bens dalla provvidenza e dalla misericordia del
Creatore. un fatto che gli stretti di mare, mentre si spandono
da ogni parte in coincidenza con le altre fasi della luna e riman
dano i flutti penetrati in essi o anche spontaneamente si sollevano
con grande violenza, tuttavia alla luna nuova restano tranquilli
finch essa rimane senza luce; ma quando il passare dei giorni la
scopre, allora riprendono il regolare moto rifluente. Anche il ri
flusso che a quanto si racconta, avviene nelloceano, mentre gli
altri giorni si dice che mantenga la propria regolarit, al sorgere
della luna, a quanto si afferma, d una prova evidente del pro
prio mutamento, sicch lo stesso mare occidentale, in cui si os
serva tale riflusso, avanza e si ritrae con maggiore ampiezza del
solito e solleva-onde pi alte, come se fosse tratto indietro perch
attirato dalla luna, e di nuovo rifluisce nella misura che gli
propria, risospinto dal medesimo influsso
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 227
Capitolo 8
31. Se ti chiedi stupito come mai la luna subisca questi oscu
ramenti pur esercitando un'azione cosi energica con le sue fasi,
Qui S. Ambrogio polemizza con la sua fonte; Bas., Hexaem., 144 B (61 A):
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* ., Hexaem., 144BC (61 ): -
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Imbrogio invece distingue dagli stretti, nei quali durante il novilunio il
mare resterebbe tranquillo (in ortu tamen eius stant placidi), l oceano dove
tttwce nello stesso periodo, per effetto del flusso e riflusso, il mare sarebbe
il ^to (lunari exortu euidens mutationis suae fertur indicium dare, ut
jecrt... solito^ampUus accedat ac recedat et maiore aestu feratur). Non
ietbta infatti che ortus ed exortus possano qui avere significato diverso.
esse mysterium, quod eius exemplo cognoscis, o homo, nihil re
rum humanarum esse posse et mundanae totius creaturae, quod
non aliquando resoluatur. Nam si etiam luna, cui tantum dominus
commisit ministerium, ut inluminet orbem terrarum, et crescit et
deficit deficiunt enim omnia, quae ex nihilo orta usque ad per
fectionem uenerunt et iterum perfecta minuuntur; cadum enim
et terra praeteribunt cur non id moderationis adsumimus, ut
neque in aduersis abiciamus animum qui enim omnia fecit ex
nihilo facile quoque te potens est ad summa et perfecta prouehe-
re et rursus non extollamur in prosperis neque in potestate ali
qua nos diuitiisque iactemus neque in uiribus corporis aut pulchri
tudine gloriemur, in quo est facilis corruptio, crebra mutatio,
sed manentem in futurum animi gratiam persequamur. Nam si te
lunae contristat occasus, quae se semper reparat ac reformat,
multo magis contristare te debet, si anima, profectu uirtutis im
pleta cum fuerit, postea per inconstantiam mentis atque incuriam
a suo deflexa proposito studia sua saepe commutet, quod est insi
pientiae atque inscientiae. Vnde et scriptura ait: Stultus ut luna
mutatur'. Et ideo sapiens non cum luna mutatur, sed permanebit
cum sole'^. Vnde non luna est particeps stultitiae, quia non luna
mutatur ut stultus, sed stultus ut luna, denique semen (usti sicut
luna perfecta in aeternum manet et testis in caelo fidelis^; aliud
est enim fungi ministerio, aliud circumferri ingenio et sensus in
firmitate fixam non habere sententiam. Luna pro te laborat et
propter uoluntatem dei subdita est; uanitati enim creatura su
biecta est non sponte, sed propter eum qui subiecit in spe^. Illa
ergo non sponte mutatur, tu sponte mutaris. Illa congemiscit et
conparturit * in sua mutatione, tu non intellegis et gratularis fre
quenter. Illa tuam redemptionem frequenter expectat, ut a com
muni totius creaturae seruitio liberetur, tu et tuae redemptioni
et illius libertati adfers inpedimentum. Tuae ergo, non suae stul-
228 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 8, 31
- Mt 24, 35.
EccU 27, 12.
c Ps 71, 5.
d Ps 88, 37-38.
' Rom 8, 20.
f Rom 8, 22.
rifletti che questo un grande mistero, perch dal suo esempio
tu impari, o uomo, che non pu esistere cosa umana e creatura
di questo mondo che una volta o l'altra non si dissolva. Se an
che la luna, cui il Signore ha affidato un compito cosi importante
come quello di illuminare la terra, cresce e viene meno vengono
meno infatti tutte le cose che sorte dal nulla hanno raggiunto la
perfezione e, di bel nuovo, dopo averla raggiunta, decrescono, giac
ch i7 cielo e la terra passeranno , perch non cerchiamo di es
sere tanto equilibrati da non abbatterci nelle avversit colui
che dal nulla ha creato tutte le cose pu facilmente portare anche
te alla pi alta perfezione e, daltra parte, da non esaltarci
nella prosperit e non vantarci per qualche carica o per le nostre
ricchezze e non insuperbirci per le forze fisiche e per la bellezza
che facilmente si guastano, spesso si alterano *, ma cerchiamo piut
tosto l imperitura grazia dello spirito? Se ti rattrista la scom
parsa della luna che sempre si rinnova ritornando alla sua forma
primitiva, molto pi ti devi rattristare se la tua anima, dopo aver
raggiunto la pienezza progredendo nella virt, in seguito, distolta
dal suo proposito per l incostanza e la negligenza della mente,
muta spesso le sue aspirazioni, prova questa di stoltezza e di
ignoranza. Perci anche la Scrittura dice: Lo stolto cambia come
la luna^. I l saggio invece non cambia insieme alla luna, ma du
rer quanto il sole. Per questo la luna non partecipe della stol
tezza, perch non la luna che cambia come lo stolto, ma lo stolto
come la luna, anzi la discendenza del giusto dura in eterno come
la luna che non ha difetto e quale testimone fedele nel cielo; in
fatti una cosa compiere il proprio servizio e un'altra fluttuare
con la propria mente e, per la debolezza dei propri sentimenti, non
avere un'opinione stabile. La luna si travaglia per te e a tale tra
vaglio si trova sottoposta per volont di Dio; infatti la creazione
i stata sottomessa alla caducit non per suo volere, ma per vo
lere di colui che l ha sottomessa nella speranza. Essa dunque
muta contro il suo volere, tu invece per tuo volere. Essa, mentre
si tramuta, geme nelle doglie del parto, tu mostri di non com
prendere e te ne rallegri. Essa attende spesso la tua redenzione
per essere liberata dalla comune servit di tutta la creazione, tu
ostacoli sia la tua redenzione che la sua liberazione. Dipende dun-
i Le espressioni ncque in aduersis abicere animum et non extolli in prospe
ris trovano un'eco singolare nell'orazione del Sacramentario Gregioriano: Ada
tto quaesumus Domine supplicationibus nostris, ut esse te largiente mereamur,
t inier prospera humiles, et inter adversa securi ( J . De s h u s s e s , Le Sacramen-
laire Grgorien, I, Ed. Universitaires, Frjbourg Suisse 1971, p. 140, n. 195). [I .B,]
* Ba s ,, Hexaem., 141 CD, 144 A (60 DE, 61 A): '
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I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 229
titiae est, quod dum tu expectaris et nec sero conuerteris, adhuc
et illa mutatur.
32. Noli ergo lunam oculo tui corporis aestimare^sed mentis
uiuacitate. Minuitur luna, ut elementa repleat. Hoc est ergo gran
de mysterium. Donauit hoc ei qui omnibus donauit gratiam. Exi-
naniuit eam, ut repleat, qui etiam se exinaniuit, ut omnis reple
ret; exinaniuit enim se, ut descenderet nobis *, descendit nobis,
ut ascenderet omnibus; ascendit enim inquit super caelos, ut im
pleret omniaK Itaque qui exinanitus aduenerat a plenitudine sua
apostolos impleuit. Vnde unus ex his dicit: Nam de plenitudine
eius nos omnes accepimus^. Ergo annuntiauit luna mysterium
Christi. Non mediocris in qua signum posuit suum, non mediocris
quae typum habet dilectae ecclesiae, quod significat propheta di
cens: Orietur in diebus eius iustitia et abundatia pacis, donec tol
latur luna^ et in Canticis dominus de sua sponsa ait: Quaenam
est haec prospiciens tamquam diluculum, speciosa sicut luna, elec
ta ut sol? Et merito sicut luna ecclesia, quae toto mimdo reful
sit et tenebras saeculi huius inluminans dicit: Nox praecessit, dies
adpropinquauit". Pulchre ait prospiciens, quasi suos de superiori
prospectans, sicut habes: Dominus de caelo prospexit super filios
hominum". Prospiciens ergo ecclesia sicut luna defectus habet et
ortus frequentes, sed defectibus suis creuit et his meruit ampliari,
dum persecutionibus minuitur et confessorum martyriis corona
tur. Haec est uera luna, quae de fraterni sui luce perpetua sibi
lumen inmortalitatis et gratiae mutuatur. Fulget enim ecclesia non
suo, sed Christi lumine et splendorem sibi arcessit de sole iusti-
tiae, ut dicat; Viuo autem iam non ego, uiuit autem in me Chri
s t u s Beata plane, quae tantum insigne meruisti! Vnde te non
tuis numeniis, sed typo ecclesiae beatam dixerim; in illis enim
seniis, in hoc diligeris.
230 HXAMERON, DIES IV, SER. VI, 8, 31-32
* Phil 2, 7.
h Eph 4, 10.
I I o 1, 16.
I Ps 71, 7.
">Cant 6. 10(9).
Rom 13, 12.
o Ps 13, 2.
p Gai 2, 20.
que dalla tua, non dalla sua stoltezza se, mentre tu aspetti e tardi
a convertirti, anch'essa continua a mutare.
32. Non giudicare quindi la luna con gli occhi del corpo, ma
con l acume dellintelligenza*. La lima cala per colmare gli ele
menti. Questo un grande mistero. Le ha dato questa facolt
colui che a tutti ha donato la grazia. Perch possa colmare, l'ha an
nientata colui che annient anche se stesso per colmare tutti gli
uomini: annient se stesso per discendere fra noi, discese fra
noi per salire per tutti. Ascese sopra i cieli, dice la Scrittura, per
colmare ogni cosa. Colui che era venuto annichilito, colm gli apo
stoli della sua pienezza. Perci imo di essi dice: I nfatti della sua
pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. Quindi la luna ha procla
mato il mistero di Cristo. Non di scarso pregio lastro in cui
egli ha posto una sua raffigurazione, non di poco valore l astro
che simbolo della Chiesa a lui cara, come indica il profeta di
cendo: Sorger ai suoi giorni la giustizia e l'abbondanza della
pace, finch scompaia la luna, e nel Cantico il Signore dice della
sua sposa; Chi mai costei che spinge lontano il suo sguardo
come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole? E vera
mente come la luna la Chiesa che ha diffuso la sua luce in
tutto il mondo e, illuminando le tenebre di questo secolo, dice:
La notte avanzata; il giorno vicino. Fa bene a dire che spinge
lontano il suo sguardo, come chi guarda dallalto i suoi; e appunto
leggi: I l Signore dal cielo ha rivolto il suo sguardo sui figli degli
uomini. Spingendo lontano il suo sguardo, la Chiesa, come la luna,
spesso scompare e rinasce, ma per effetto di queste sue scom
parse cresciuta e ha meritato di ingrandirsi, mentre sotto le per
secuzioni si rimpiccioliva e dal martirio dei confessori veniva in
coronata. Questa la vera luna che dalla luce perenne di suo fra
tello deriva il lume dellimmortalit e della grazia. La Chiesa ri
fulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il
proprio splendore dal Sole di giustizia, cosi che pu dire: Non
sono pi io che vivo, ma Cristo vive in me. Veramente beata sei
tu, o luna, che hai meritato una cosi invidiabile distinzione! Per
ci ti potrei dire beata non per i tuoi novilunii, ma perch sei
simbolo della Chiesa; l sei serva, qui sei oggetto damore *.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 231
* Ba s ., Hexaem., 145 A (61 D): toIvuv <),
ta .
* Sulla luna typus Ecclesiae, cf. la nota a IV, 2, 7 (p. 195). Osserviamo
come per S. Ambrogio le vicissitudini lunari sono polisemantiche. I l decre
scere dell'astro segno di un rimpicciolirsi della Chiesa per le defezioni,
ma anche una partecipazione allimiliazione di Cristo e quindi ai suoi in-
iteri. Siamo lontani da una concezione di Chiesa che venga meno per il suo
Piccato, anche se non manca quell'accenno alle defezioni di alcuni (I V, 2,
71 Risalta invece la certezza sulla indefettibilit della Chiesa, che riceve tutto
B suo valore di luce e di grazia da Ges Cristo, che l'astro fratello e
miggiore. L'attenzione e l'esaltazione per la Chiesa tuttava non significa mi-
namente una diminuzione del primato ori^nario di Cristo; il principio
chiarissimo e fonda una vera teologia della Chiesa: <La Chiesa non rifulge
iella propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal
Sole di giustizia . Ne conse^e non una svalutazione dea Chiesa in se stessa,
a al contrario la sua beatitudine per essere oggetto damore da parte di
33. Quam ridiculum autem quod te plerumque credunt ho
mines magicis carminibus posse deduci. Aniles istae fabulae ac
uulgi opiniones. Quis enim opus dei tanto ministerio deputattim
arbitretur Chaldaeicis superstitionibus posse temptari? Lapsus sit
ille qui se transfigurat in angelum lucis et deductus uoluntate
propria, non carminum potestate. Sane et in hoc [quasi], ecclesia,
putaris posse quasi de loco tuo et statione deduci. Multi temptant
ecclesiam, sed sagae artis ei carmina nocere non possunt. Nihil
incantatores ualent ubi Christi canticum cotidie decantatur. Habet
incantatorem suum dominum lesum, per quem magorum incantan
tium carmina et serpentum uenena uacuauit, et ipsa sicut ser
pens exaltatus deuorat colubras *, et Aegyptiorum ferale licet car
men inmurmuret, in Christi nomine hebetatur. Sic et Elymam
magum Paulus non solum sagae artis infirmitate, sed etiam ocu
lorum amissione caecauit*. Sic Petrus Simonem alta caeli magico
uolatu petentem dissoluta carminum potestate deiecit et strauit.
232 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 8, 33
e 2 Cor 11, 14.
Ps 57, 6.
Ex 7, 12; Num 21, 8; I o 3, 14.
Act 13, 11.
33. Quant ridicolo poi che gli uomini per lo pi credano di
poterti tirar gi dal cielo con formule magiche! Codeste sono fa
vole da vecchierelle e credenze del volgo*. Chi potrebbe credere
che unopera di Dio, destinata a un cosi alto servizio, subisca l in
fluenza delle pratiche superstiziose dei Caldei? Sia pur caduto co
lui che assume l aspetto d'un angelo di luce, ma stato trascinato
in basso per la propria volont, non per l efficacia degli incante
simi*. vero che, anche a questo proposito, si ritiene che tu, o
Chiesa, possa, per cosi dire, essere rimossa dal posto dove sei
stabilmente collocata. Molti attaccano la Chiesa, ma gli incantesimi
dellarte magica non possono nuocerle. Non hanno alcuna efficacia
gli incantatori dove ogni giorno si canta il cantico di Cristo. La
Chiesa ha per incantatore il Signore Ges, per mezzo del quale
ha reso inoffensivi gli incantesimi degli incantatori e i veleni dei
serpenti, ed essa, come il serpente posto in alto, divora i rettili;
e sebbene si borbotti la magica formula degli Egiziani apportatrice
di morte, nel nome di Cristo essa viene resa inoffensiva. Cosi
Paolo accec anche il mago Elima, non solo rendendo inefficace
la sua arte magica, ma anche privandolo della vista. Cosi Simon
Pietro, distruggendo il potere degli incantesimi, fece precipitare
e cadere a terra colui che con magico volo si sollevava in alto
Cristo. un tratto di dottrina ecclesiologica di S. Ambrogio questa visione
della Cliiesa nella sua dimensione di grazia proprio per l indisgiungibile le
game col quale unita a Cristo, e per ci amata da lui. Le variazioni nella
vla delia chiesa, come in quella della luna, scrive il Toscani non sono
effetto di debolezza, ma conseguenza di un ordine ragionato, Stabilito da Dio...
Una anteriore volont di Dio,.., assimilandola a Cristo, la esinan per riem
pirla dei suoi doni... Quando dunque si considera l cliiesa nella sua realt
storica, occorre sempre collegarla idealmente con il disegno divino che la pre
cede come modello perfetto, di cui essa non che una pallida proiezione
lulla terra a modo di ombra fugace e verso il quale tende come il suo ter
mine ultimo nella gloria (op. di., pp, 261-262).
Nell'esclamazione di S, Ambrogio: Veramente beata sei tu, o luna...
tl rivela singolarmente la sensibilit e l'atteggiamento del vescovo di Milano
Della sua interpretazione della natura, il suo modo caratteristico di leggerla
e decifrarla. Nella realt della natura emerge ed colto cosi presente e in
tenso il simbolo che i due piani quasi si identificano, per cui volgendosi alla
luna egli pu dire: Beata... perch sei simbolo della Chiesa; l sei serva,
qui sei oggetto d'amore >. [I.B.]
' Ba s ., Hexaem., 145 A (61 DE): Mftot -
$86),
( .
Satana.
L'immagine di Cristo incantatore della Chiesa senza dubbio di forte
tuggestione e audacia. Essa dice la potenza e l'attrattiva che il Signore Ges
esercita sulla Chiesa, cosi che nessun'arte riesce a smuoverla e a distrarla
dalla fedelt a lui. S. Ambrogio parla del canticus Christi, che ogni giorno
sile nella Chiesa e la rende insensibile ad altri incantatori; forse egli pensa
Ue celebrazioni liturgiche, alla Scrittura che vi Ietta e alle preghiere e
enti che vi si elevano e che hanno la forza di rendere vani ogni seduzione e
festativo di distogliere la Chiesa opera di Dio dal destino e dal po-
A) nel quale Cristo stesso l ha collocata. [I .B.]
*Come leggiamo in Atti 13, 6-12, Paolo rese cieco il mago Eliina che a
hfo cercava di distogliere il proconsole Sergio Paolo dalla fede.
' S. Ambrogio non tifersce l episodio d Simon Mago secondo Atti, 8,
M, ma secondo Const. ap VI , 9 (P i , I, 929-932); cf. I u s t . , / Apoi., 26; Diai.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 233
Caput I X
34. Pulchre, ut arbitror, cessit dies quartus. Quomodo igitur
quartum plerique consueuerunt cauere et inutile putant hoc nu
mero aliquid ordiri, quo totus noua luce mundus emicuit? An
sinistris sol coepit auspiciis? Et quomodo alii potest bona signare
qui sibi eligere diem sui nesciuit exortus? Aut quomodo signa eius
probant, cuius ortum non probant? Quid etiam de luna dicimus,
quae et quarto die coepit et quarta decima diem signat salutis?
An displicet numerus, quo celebratur mysterium redemptionis?
Ideo daemones declinandum esse persuadent numeruni eum, quo
eorum destructa nequitia est. Ideo gentiles nihil adoriendum ad-
serunt, quia sciunt timc primum artes suas uacare coepisse et
populos gentiles ad ecclesiam demigrasse. Lunam certe quartam,
si pura fuerit neque obtunsis cornibus, dare reliquis diebus usque
ad exactum mensem indicium serenitatis existimant. Nolunt ergo
isdem exordiis incohare, quibus serenitas incohatur. Sed iam ca-
uendum, ne nobis in sermone dies quartus occidat; cadunt enim
umbrae maiores de montibus, lumen minuitur, umbra cumulatur.
234 EXAMERON, DIES IV, SER. VI, C. 9, 34
Capitolo 9
34. trascorso bene, a quanto credo, il quarto giorno. Come
mai molti sogliono guardarsi dal quarto giorno e pensano che
sia dannoso iniziare qualcosa con questo numero con il quale
tutto il mondo rifulse di nuova luce? Forse il sole ha avuto inizio
con funesti auspici? E come pu presagir del bene ad altri chi
non ha saputo scegliere un giorno favorevole per la propria nascita?
0 come danno credito ai suoi segni coloro che avanzano riserve
sulla sua origine? Che dobbiamo dire anche della luna che ha
cominciato ad esistere nel quarto giorno e col suo quattordice
simo sorgere contrassegna il giorno della salvezza? Forse non
va a genio il numero nel quale si celebra il mistero della reden
zione? Per questo i demoni suggeriscono di evitare quel numero
dal quale fu distrutta la loro perfidia. Per questo i gentili afferma
no che nulla vi si deve inizieire, perch sanno che da quel mo
mento le loro arti cominciarono a non aver seguito e i popoli pa
gani entrarono nella Chiesa. Essi ritengono tuttavia che la luna
al suo quarto sorgere, purch limpida e con le coma ben nette,
dia un indizio di tempo sereno per tutti i rimanenti giorni sino
alla fine del mese*. Non vogliono dunque prendere iniziative co
minciando nel giorno in cui ha principio il bel tempo. Ma ormai
dobbiamo fare attenzione che, mentre stiamo parlando, il quarto
giorno non tramonti. Scendono infatti pi lunghe dai monti le
ombre, la luce si fa scarsa, l oscurit pi fitta.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 235
cum Tryph., 120. Su Simon Mago vedi Lexikon fiir Theologie und Kirche, 9,
76-769.
La morte di Ges sarebbe avvenuta il quattordicesimo giorao della lima
di marzo (G. Ricciom, Vita di Ges, Rizzoli, Milano, pp. 190-195).
Cf. V erg., Georg., I , 432-435: Sin ortu quarto {nantque is certissimus
uiclor) pura ncque obtunsis per caelum comibus ibit, / totus et ille dies
*t qui nascentur ab illo / exactum ad mensem pluuia uentisque carebunt.
Cf. Verg., Buc., I , 83: maioresque cadunt altis de montibus umbrae.
D I E S Q V I N T V S
SERMO VI I
Caput I
1. Vestita diuersis terra germinibus uirebat omnis, caelum
quoque sole et lima geminis uultus sui liaminibus stellarumque
insignitimi decore fulgebat. Supererat elementum tertium, mare
scilicet, ut et ipsi gratia uiuificationis diuino munere proueniret.
Aetherio etenim spiritu omnes terrarum fetus alimtur, terra quo
que semina resoluens uniuersa uiuificat et maxime timc primum
uerbo dei iussa uiridescere uiuificationis suae munere pullulabat:
uacabat aqua et a diuinae operationis feriata beneficio uidebatur.
Habet adhuc creator quod illi conferat, quo munia terrarum pos
sit aequare; seruabat ei, ut et ipsa proprium sibi et speciale ali
quid praerogatiuae conlati sibi muneris uindicaret. Viuificauit prius
terra, sed ea quae spirantem animam non habebant: aqua iubetur
ea producere quae uiuentis animae uigorem dignitatemque prae
ferrent et sensum tuendae salutis et fugiendae mortis acciperent.
2. Dixit itaque deus: Producant aquae reptilia animarum ui-
uentium secundum genus et uolatilia uolantia secundum firma
mentum caeli , Venit mandatum et subito aqua iussos fundebatur
in partus; generare fluuii, uiuificare lacus, mare ipsum coepit di-
uersa reptilium genera parturire et secundum genus effundere
Gen 1, 20.
QUINTO GIORNO
VI I SERMONE
Capitolo 1
1. Rivestita di piante diverse, la terra era tutta verdeggiali te;
anche il cielo risplendeva ornato dai due fulgidi occhi del suo
volto, il sole e la luna, e dallo scintillio delle stelle. Non restava
che il terzo elemento, cio il mare, cui per dono divino dovesse
estendersi il bene della vita Infatti tutti i prodotti della terra
sono alimentati da un soffio etereo * e la terra stessa, dissolvendo
tutti i semi senza eccezione, infonde in essi la vita; e soprattutto
allora, quando essa per la prima volta al comando della parola di
Dio si copriva di verzura, germogliava rigogliosa nellesercizio della
sua funzione vivificante: solo l acqua era inoperosa e sembrava
lasciata in riposo dal beneficio delloperazione divina. Ma il Crea
tore tiene ancora in serbo dei doni da darle, con i quali possa
uguagliare i privilegi concessi alla terra; li riservava per lei,
perch rivendicasse anchessa la prerogativasua propria e parti
colare dun dono destinato a lei sola. Fu la terra a dare la vita
per prima, ma ad esseri privi del soffio vitale: lacqua riceve l or
dine di generare esseri che manifestassero la forza e la dignit
duno spirito vitale e avessero l istinto di proteggere la propria
incolumit e di evitare la morte.
2. Disse perci Iddio: Le acque producano i rettili in un
brulichio desseri viventi secondo la loro specie e volatili: che
volino * in faccia al firmamento del cielo. Fu dato l'ordine, e subito
lacqua si prodigava a generare gli esseri che le erano stati co
mandati: i fiumi procreavano, i laghi davano la vita, lo stesso
mare cominci a partorire diverse specie di rettili e, secondo cia
scuna specie, a spargere nelle sue acque ci che aveva formato.
* Bas., Hexaem., 148 A-C (62 DE):
6<
olovcl ? -
. 6 }.
* Cf. Vero., Aen., V I , 724-726: Principio caelum ac terram camposgue
liquentes / ucentemque globum lunae Titaniaque astra / spiritus intus alit.
* praerogatiuae partitivo dipendente da aliquid.
* S. Ambrogio segue i Settanta che danno: '
.
Dal testo letterale risulterebbe propriamente che anche i volatili provengono
dallacqua; vedi Testa, op. cit., pp. 261-262, nota ai w . 20-23.
quodcumque formauerat. Non exigui gurgites, non caenosae palu
des uacabant, quin omnia datam sibi creandi adsumerent potesta
tem. Pisces exilibant de flumine, delphines praeludebant in fluc
tibus, concae saxis, ostreae adhaerebant proftmdis, adolescebant
echini. Vae mihi! Ante hominem coepit inlecebra, nostrae mater
luxuriae, ante hominem deliciae. Prior ergo hominum temptatio
quam creatura. Sed nihil natura deliquit: alimenta dedit, non uitia
praescripsit. Haec communia dedit, ne tibi aliqua uelut propria
uindicares. Tibi suos fructus terra producit, tibi scaros et acipen
seres et omnes fetus suos generant aquae: et his non contentus
interdicta tibi alimenta gustasti. Ad inuidiaih tuam omnia con
geruntur, ut praeuaricatio tuae auiditatis oneretur.
238 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, C. 1, 24
3. Sed neque quam multae species et nomina sint possumus
enarrare, quae omnia in momento diuinae praeceptionis animata
sunt. Simul coibat forma corporis et operabatur anima, uitalis
etiam uigor aliquid uirtutis. Repleta erat terra germinibus, mare
inpletum animantibus. Ibi insensibilia pullulant, hic sensibilia
uersantur. In terris quoque aquae suas sibi uindicant portiones.
Lambunt terram pisces aquarum et ex ea sibi praedam requirunt,
culices quoque et ranunculae circa genitales strepunt paludes; et
ipsae audierunt domini mandatum dicentis: Producant aquae rep,
tilia animarum uiuentium.
4. Scimus reptilia dici genera serpentium eo quod super ter
ram repant, sed multo magis omne quod natat reptandi habet
uel speciem uel liaturam. Nam etsi in profundum quaeque de
merserint aquam uideantur incidere, tamen cum supra innatant,
repunt toto corpore, quod trahunt super quaedam dorsa aquarum.
Vnde et Dauid dixit: Hoc mare magnum et spatiosum; illic rep
tilia, quorum non est numerus >. Quin etiam cum pleraque pedes
habeant et ambulandi usum eo quod sint amphibia, quae uel in
aquis uel in terris uiuant, ut sunt phocae, crocodilli, equi fluuia-
les, quos hippopotamos uocant eo quod ii generentur Nilo in flu
mine, tamen cum in alto aquarum sunt, non ambulant, sed natant
Ps 103, 25.
Non i minuscoli specchi dacqua, non le paludi fangose restavano
inattivi senza usare la facolt loro concessa di creare ogni specie
acquatica. I pesci balzavano dai fiumi, i delfini iniziavano i loro
giochi tra le onde, le conchiglie si attaccavano agli scogli, le ostri
che al fondo, crescevimo i frutti di mare. Ahim! Prima ancora
deHuomo cominciata la lusinga, madre della nostra mollezza
voluttuosa, prima ancora delluomo, la raffinatezza. La tentazione
delluomo precedette la sua creazione. Ma la natura non ne ebbe
colpa alcuna: essa ci ha dato dei cibi, non ci ha imposto dei vizi.
Ha dato questi alimenti per tutti, perch tu non ne rivendicassi
alcuni esclusivamente per te. Per te la terra produce i suoi frutti,
per te le acque generano gli scari, gli storioni e tutti i loro pro
dotti: e tu, non contento di questi, hai gustato il cibo proibito.
Tutto ci si accumula a tuo rimprovero per rendere pi grave
la prevaricazione della tua avidit *.
3. Ma non possiamo nemmeno specificare quante siano le
specie e i nomi di tutti gli esseri che ricevettero la vita nell'istEmte
del comando divino. Mentre prendeva consistenza la forma del
corpo, lanima ed anche il vigore vitale cominciavano a dare qual
che segno della loro efficace presenza. La terra era piena di ger
mogli, il mare colmo desseri viventi. L pullulavano esseri privi
di sensibilit, qui si agitavano esseri sensibili. Anche sulla terra le
acque rivendicavano la parte loro dovuta. I pesci lambiscono le
sponde e li cercano la preda, anche le zanzare e le ranocchie rumo
reggiano intorno alle paludi ove sn nate; anchesse heinno udito
il comando del Signore che diceva: Le acque producano rettili in
un brulichio desseri viventi.
4. Sappiamo che si chiamano rettili le specie degli animali
che strisciano, perch si trascinano per terra; per, a maggior ra
gione, tutto ci che nuota ha laspetto o la natura del rettile.
Anche se tutte quelle specie che scendono verso il fondo sem
brano fendere l acqua, tuttavia, quando nuotano alla superficie,
strisciano con tutto il corpo che trascinano, per cosi dire, sul
dorso dellacqua. Perci anche Davide disse: Questo il mare va
sto e spazioso: l si trovano rettili senza numero. Anzi, sebbene
mplti abbiano piedi e, di solito, camminano perch sono anfibi,
sia che vivano in acqua sia in terra, come le fochei i coccodrilli,
i cavalli di fiume chiamati ippopotami perch nascono nel fiume
Nilo, tuttavia, quando si trovano in acque profonde, non cam
minano, ma nuotano, n si servono della pianta del piede per
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 239
Questa lusinga che precede la creazione stessa delluomo per cui
l'uomo si trova a nascere in un mondo preparato a tentarlo rivela il
senso profondo del peccato in S. Ambrogio, della sua diffusione o occasione,
oltre la bellezza e la variet delle creature, che egli daltra parte sa descri-
Tere_ con viva sensibilit e arte raffinata. Non ne deriva per un radicale
pessimismo. Da un lato egli sottolinea il ruolo della libert delluomo: la
natura non impone i vizi, che dipendono da una scelta; e dall'altro proprio
in tale contesto di peccato risalter quel perdono divino che agli occhi di S.
Ambrogio come il fine ultimo dell'opera di Dio, quasi la rivelazione della
sua pili intima propriet in atto nel disegno di salvezza (cf. la nota 2 a p. 419).
H.B.]
nec uestigio utuntur pedis ad incedendum, sed tamquam remo
ad reptandum, siquidem et nauis acta remis labitur et aquas
sulcat carina.
240 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 1, 4 - 2, 5-6
Caput I I
5. Producant aquae reptilia dixit dominus. Breuis sermo, sed
uehemens et late patens communem minimis et maximis naturam
infundit. Eodem momento producitur balaena, quo rana eiusdem
ui operationis innascitur. Non laborat in maximis deus, non fastidit
in minimis. Nec dolet natura parturiens delphinas, sicut non do-
luit, cum exiguos murices cocleasque produceret. Aduerte, o ho
mo, quanto plura in mari quam in terris sint. Numera, si potes,
omnium piscium genera uel minutorum uel etiam maximorum,
sepias, polypos, liostraca, carabos, cancros et in his innumerabilia
sui generis. Quid dicam genera serpentium, dracones, muraenas,
anguillas? Nec praetermittam scorpios, ranas, testudines, muste
las quoque et canes maritimos, uitulos marinos, cete inmania, del
phinas, phocas, leones. Quid adtexam etiam merulas, turdos, pauos
quoque, quorum etiam colores in auibus uidemus expressos, ut
nigrae merulae, paui uerso colore dorsa et colla depicti sint, turdi
aluo uarii, et cetera, quorum sibi terrae et species et nomina uin-
dicarunt? Nam prius in mari ista coeperunt diuersisque flumini
bus, siquidem aqua prior animarum uiuentium reptilia diuino nutu
imperata produxit.
6. Adde hanc gratiam, quod ea quae timemus in terris ama
mus in aquis. Etenim noxia in terris in aqua innoxia sunt atque
ipsi angues sine ueneno. Leo terribilis in terris, dulcis in fluctibus.
Muraena, quam ferunt aliquid habere noxium, esca pretiosior est.
5, 3. ballena Schenkl balaena codd. omnes praeter unum; cf. V, 10, 31.
camminare, ma come di un remo per nuotare, dal momento che
anche la nave spinta dai remi scivola via e solca le acque con
la carena.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 241
Capitolo 2
5. Le acque producano rettili, ha detto il Signore. Poche pa
role, ma decise e comprensive che infusero una comime natura
agli esseri pi piccoli e a quelli pi grandi *. Viene creata la ba
lena nello stesso momento in cui, per effetto della medesima ope
razione, nasce la rana. Iddio non prova fatica nel creare gli es
seri pi grandi n disdegno nel creare quelli pi piccoli. E la na
tura non si duole di partorire i delfini, come non si dolse dando.
alla luce murici e minuscole conchiglie. Considera, o uomo, quanti
pi animali vi siano nel mare che sulla terra. Conta, se puoi, le
specie di tutti i pesci, sia dei pi piccoli sia anche dei pi grandi:
seppie, polipi, ostriche, gamberi, granchi, e fra questi gli innume
revoli esemplari di ciascuna specie. Perch ricordare le specie di
quelli che strisciano, draghi, murene, anguille? Non lascer da
parte gli scorpioni acquatici, le rane, le testuggini, la puzzola e
i cani marini, i vitelli marini, gli enormi cetacei, i delfini, le fo
che, i leoni di mare. Perch aggiungere anche i pesci merli, tordi
e perfino i pesci pavoni, dei quali vediamo riprodotti negli uc
celli anche i colori, cosi che i merli sono neri, i pavoni sul dorso
e sul collo sono tinti di riflessi cangianti, i tordi screziati sul
ventre, e tutti gli altri di cui la terra si appropriata specie e
nomi? Infatti questi anim^di cominciarono ad esistere prima nel
mare, perch l acqua per prima, al comando del cenno divino, pro
dusse i rettili in un brulichio desseri viventi.
6. Aggiungi questo vantaggio: noi amiamo nellacqua gli es
seri che temiamo sulla terra. Animali nocivi sulla terra sono in
nocui nellacqua e gli stessi serpenti non sono velenosi. I l leone,
terribile sulla terra, amabile nelle onde. La murena, che dicono
* Bas., Hexaem., 148 D (63 D): I lv , :
, ,
, .
Cf. Vero., Aen., V, 158: et longa sulcat uada salsa carina; X, 197, et
bnga sulcat maria alta carina.
Bas., Hexaem., 149A (63C): ,
oS , joiri) 4 8
, 8 -
fopott .
* mustela marina la donnola marina , cio la bottatrice {Iota
mlfarf), Nella traduzione uso il termine <puzzola per conservare, nel
fuigrafo successivo, il parallelo tra la puzzola di terra e la puzzola
di aure.
Cf. Veeg., Aen., V, 822: tum uariae comitum facies, immania cete.
Rana horrens in paludibus, decora in aquis omnibus fere praestat
alimentis. Plura si qui uult cognoscere, a diuersis locorum pisca
toribus quaerat; nemo enim potest omnia conprehendere. Canes
sane et in mari caue, quos et in ecclesia molestos esse et cauendos
apostolus docet dicens: Cauete canes, cauete malos operarios*.
Mustelae grauis in terris odor, in aquis suauis. Terrena se nouit
uindicta faetoris ulcisci, haec non minorem habet gratiam capta
quam libera. Neque te inhonoratum nostra prosecutione, thymal
le, dimittam, cui a flore nomen inoleuit. Seu Ticini unda te flu
minis seu amoeni Athesis unda nutrierit, flos es. Denique sermo
testatior quod de eo qui gratam redoluit suauitatem dictum facete
sit: aut piscem olet aut florem; ita idem pronuntiatus est piscis
odor esse qui floris. Quid specie tua gratius, quid suauitate iocun-
dius, quid odore fraglantius? Quod mella fraglant, hoc tu corpore
tuo spiras. . Quid loquar coniorum, quid etiam luporum teneritu
dines? Nescit hos lupos agnus timere. Tanta est aquarum gratia,
quarum uitulos fugiunt et leones, ut his propheticum illud dictum
de ecclesiae sanctitate iure conueniat: Tunc lupi et agni simul
pascentur, leo et bos simul paleas manducabunt^. Nec mirum,
quandoquidem etiam in ecclesia aquae illud operantur, ut prae
donum abluta nequitia cum innocentibus comparetur. Quid etiam
242 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, C. 2, 6
Phil 3, 2.
b Is 65, 25.
non priva di qualche pericolo, un cibo squisito. La rana, che ci
ripugna nelle paludi, nellacqua non manca duna sua eleganza e
in bont supera quasi tutti i cibi. Se uno vuol sapere di pi, si
informi dai vari pescatori dei luoghi: nessuno infatti pu cono
scere tutto. Anche nel mare per guardati dai cani che nella
Chiesa sono molesti e devono essere evitati, come insegna lApo-
stolo dicendo: Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai.
Le puzzole sulla terra hanno un odore sgradevole, gradevole in
mare. Quella di terra sa difendersi vendicandosi con il suo fetore,
questa non meno piacevole catturata che libera. N ti lascer
senza lusinghiera menzione nel nostro elenco, o temolo, cui ha
dato nome un fiore. Sia che ti nutra l onda del fiume Ticino sia
quella del ridente Adige, tu sei un fiore. Perci un motto ben
conosciuto quello che si disse scherzando a un tale che emanava
un gradito profumo: Sa di pesce o di fiore in tal modo si
dichiarava che l'odore del pesce era come quello dun fiore. Che
c di pi gradevole del tuo aspetto, di pi soave del tuo sapore,
di pi delicato del tuo profumo? Tu dal tuo corpo emetti la fra
granza di cui olezza il miele'. Che dir poi delle tenere carni dei
corvi* o dei lupi di mare?. Di questi lupi l'agnello non ha paura.
Cosi grandi sono i pregi delle acque dove perfino 1 leoni fuggono
1vitelli *, che ad esse si adatta bene a ragione la famosa profezia
sulla santit della Chiesa: Allora i lupi e gli agnelli pascoleranno
insieme, il leone e il bove mangeranno insieme il foraggio. E non
c da stupirsi, perch anche nella Chiesa l acqua fa si che la mal
vagit dei briganti, una volta purificata dallacqua, sia posta sullo
stesso piano con chi non ha peccato . Perch dovrei ricordare an-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 243
* Il temolo {thymallus uulgaris) chiamato cosi dal caratteristico odore
di timo delle sue carni (Devoto-Oli), una specie di salmone. Per la forma
ktteraria cf. Aus., Mosella, 97-98: nec te puniceo rutilaniem viscere, salmo, /
transierim; 115: nec te, delicias mensarum, perca, silebo.
* Cf. Vero., Georg., IV, 169: redolentque timo fragrantia mella.
* Il corvo di mare identificato con la trigla hirundo L.; cf. Pun.,
NJ l:, XXXII, 11, 145.
^I l lupo di . mare corrisponde alla nostra spigola; cf. Plin., N.H.,
m i l , 2, 11 e 13.
' Come prima sul nome lupo , cosi ora S. Ambrogio gioca sui nomi
vitello e leone ; cf. anche sopra, V, 2, 6: leo terribilis in terris, dulcis in
fluctibus. Da V, 9, 25, dove sono nominati separatamente, si ricava che per
S. Ambrogio vitelli marini e delfini sono due specie distinte. II Coppa, che
pure a p. 264, n. 10, aveva spiegato trattarsi delle foche, qui rende uitulos
con <delfini .
* Nell'acqua, che un motivo di speciale attrazione per S. Ambrogio
per la sua sensibilit poetica che ne appare come incantata e per i richiami
biblici che riporta il vescovo vede in filigrana il lavacro battesimale, con
h sua efficacia redentiva e purificatrice e con il suo effetto ecclesiale: la
trasformazione operata dal battesimo sa creare il miracolo della comunit
pacifica e concorde. Va notata ancora una volta la facilit di S. Ambrogio
* leggere i pregi delle acque e pi generalmente i dati e le vicende
ddla natura in chiave ecclesiologica. La Chiesa vi appare come il senso
Itimo e unificante di tutto il progetto divino: il piano in certo modo rso-
hlivo, in cui entrano come momenti e spazio di prefigurazione e di simbolo
k altre creature, che formano il mondo e che offrono il linguaggio e le rap-
244 EXAMERON, DIES V, SER. VII, C. 2, 6 - 3, 7
purpuras memorem, quae ornant regum conuiuia, amictus in-
buunt? Aquarum est igitur quod in regibus adoratur, aquarum est
species illa quae fulget. Adde porcos maris etiam ludaeis gratos,
quia nihil est commune, quod non aqua abluat, et ideo communes
eos sicut in terra editos aestimare non possunt.
Caput I I I
7. Innumeri itaque usus, innumera genera piscium. Alii oua
generant, ut uarii maiores, quos uocant troctas, et aquis fouenda
conmittunt. Aqua igitur animat et creat et adhuc mandati illius
primi tamquam legis perpetuae munUs exsequitur, blanda quae
dam mater animantium. Alii uiuos fetus edunt de suo corpore, ut
mustelae et caniculae et cete ingentia, delphines et phocae aliaque
cete huiusmodi. Quae cum ediderint partus, si quid forte insidia
rum terrorisque praesenserint circa catulos suos quemquam moli
ri, quo tueantur eos uel tenerae aetatis pauorem materno affectu
conprimant, aperire ora et innoxio partus suos dente suspendere,
interno quoque recipere corpore et genitali feruntur aluo abscon
dere. Qui humanus adfectus hanc piscium pietatem possit imitari?
Oscula nobis satietati stmt, illis non satis est aperire uiscera na-
tosque recipere ac reuocare integros atque iterum fotu quodam
eos sui caloris animare et spiritu adolere suo duosque in corpore
uno uiuere, donec aut securitatem deferant aut corpore suo obieo-
to natos suos defendant a periculis. Quis haec uidens, etsi possit
obtinere, non tantae piscium pietati cedat? Quis non miratus stu
peat, ut seruet natura in piscibus quod non seruat in hominibus?
Plerique ex suspicione nouercalibus odiis adpetitos suos occide
runt filios, aliae in fame, ut legimus, partus proprios comederunt*.
4 Reg 6, 28 ss.
che la porpora che orna i conviti dei re e ne tinge le vesti? Viene
dallacqua, dunque, ci che si venera nei re, viene dall'acqua il
loro fulgido aspetto. Aggiungi i porci marini*, accetti anche ai
Giudei, perch non c' nulla d'immondo che l'acqua non purifichi,
e perci non li possono considersu-e immondi come quelli nati
sulla terra.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 245
Capitolo 3
7. Innxmierevoli sono dunque i vantaggi, innumerevoli le spe
cie dei pesci. Alcimi producono uova, come alcuni pesci pi grandi
chiamati trote, e le affidjuio alle acque perch le portino al pieno
sviluppo. L'acqua vivifica e crea e, quale madre affettuosa d'es
seri viventi, continua ad eseguire il compito assegnatole da quel
primo comando divenuto una legge perenne. Altri partoriscono dal
loro corpo i piccoli gi vivi, come le puzzole, i pescicani, gli enormi
cetacei, i delfini e le foche e gli altri grossi pesci della stessa
specie*. Questi, dopo aver partorito, se si accorgono di qualche
minaccia per i loro piccoli, per proteggerli o per reprimere con
affetto materno lo spavento della loro tenera et; aprono la bocca
e li appendono ed loro denti senza far loro del male ed anche li
accolgono nell'intem del corpo * e li nascondono nell'apparato ge
nitale. Quale affetto umano, potrebbe imitare questo tenero amore
dei pesci? Noi ci saziamo dei baci, quelli non si accontentano di
schiudere le loro viscere e di accogliervi i. piccoli e di farli uscire
sani e salvi e d'infondere loro nuovamente la vita riscaldandoli
col loro tepore e farli crescere con il loro fiato e vivere due in
un sol corpo, finch non siano in grado o di garantire la sicurezza
ai loro nati o di difenderli dai pericoli opponendo il loro corpo.
Chi vedendo questo, pur potendo catturarli, non si ritrarrebbe di
fronte a un cosi tenero amore? Chi al colmo della meraviglia non
si stupirebbe che la natura rispetti nei pesci ci che non rispetta
negli uomini? Molti per un sospetto uccisero i loro figli, persegui-
. lati dall'odio delle matrigne ci furono donne, come si legge, che
[durante la carestia divorarono i propri bimbi *. La madre divenne
presentazioni di un termine e di unopera incomparabilmente pi alta. . sem-
: ne la realt che viene a saturare e a inverare l'intenzione espressa dal
simbolo. [I .B.]
Cf, Plin., ., XXXII, 2, 18: grunnire eum cum capiatur. Da questo
fatto deriva evidentemente il suo nome.
Bas., Hexaent., 149 A, 152 A (63 C, 64 B).
B a s ., Hexaem., 152 A (64 B); cf. Ar i s t ., H.A., VI , 12, 566 b, 8-18, dove
fa si parla del delfino e del marsuino.
* Penso alluda al mito dIppolito, accusato innocente dalla matrigna e
btto perire dal padre Teseo cpn la sua maledizione.
* 2 Re, 6, 28 ss,; cf. los.. De bello Ind., V, 40.
Humanis pignoribus mater sepulchrum facta est, piscium proli
parentis uterus sicut murus uallo quodam intimorum uiscerum
pignera inoffensa conseruat.
8. Diuersa igitur piscium genera diuersos usus habent; alii
oua generant, alii uiuos pariunt atque formatos. Et qui oua gene
rant non nidos teximt ut aues, non diuturni fotus laborem in
duunt, non cum molestia sui nutriunt. Cecidit ouum, quod aqua
gremio quodam naturae suae quasi nutrix blanda suscepit et ani
mal celeri fotu reddidit. Continuo enim tactu parentis animatum
ouum cecidit et piscis exiuit.
246 EXAMERON, DIES V, SER. , C. 3, 7-9
9. Tum deinde quam pura et inuiolata successio! Vt nullus
alteri, sed generi suo miscetur, thymallus thymallo, lupus lupo!
Scorpaena quoque castitatem inmaculati conubii generis sui seruat.
Itaque habet pudicitiam generis <sui>, sed uenenum generis sui non
habet; non enim percutit scorpaena, sed reficit. Nesciunt igitur
alieni generis socium adulterina coniugia, sicut sunt ea quae
coeunte asinorum equarumque inter se genere magna cura ho
minum perpetrantur, uel rursus cum equis asinae miscentur, quae
sunt uere adulterinae naturae; nam utique maius est quod in na
turae conluuionem committitur quam quod in personae iniiiriam.
Et, homo, ista procuras interpres adulterii iumentalis et illud
animal pretiosius putas, quod adulterinum quam quod uerum est
Ipse genera aliena conftmdis diuersaque misces semina atque ad
uetitos coitus plerumque cogis inuitos et hoc industriam uocas.
Hoc quia de hominibus facere non potest, ut diuersi generis com
mixtio fetus possit excludere, tollis homini quod natus est et ui-
rum de tiiro exuis abscisaque corporis parte sexum negas, spa
donem efficis, ut quod negauit natura in hominibus inpleret
audacia.
9, 17. exsuis Schenkl exuis codd. omnes praeter unum.
tomba per le proprie creature per la prole dei pesci l utero ma
terno, come una muraglia, conserva al sicuro i piccoli, per cosi
dire, entro il baluardo delle viscere pi interne.
8. Or dunque i diversi generi di pesci hanno consuetudini di
verse: alcuni danno alla luce uova, altri partoriscono creature gi
vive e complete. Quelli che producono uova non intrecciano nidi
come gli uccelli, non si assumono la fatica di una lunga covatura,
non si preoccupano di nutrirli. Basta che cada l'uovo, e l'acqua,
quasi tenera nutrice, l'accoglie, per cosi dire, nel grembo della
propria natura e lo restituisce con rapida covatura animale fatto.
L'uovo, infatti, cade gi reso vitale dal continuo contatto con la
madre e ne esce il pesce.
9. Inoltre, com' pura e inviolata la loro procreazionel Come
nessuno si accoppia a un'altra specie, ma solo alla propria*, il
temolo al temolo, il lupo al lupo! Anche la scorpena conserva
la castit dell'immacolato connubio proprio della sua specie. Per
ci ha il pudore della propria specie, non ne ha il veleno; la
scorpena non morde, ma ristora. Ignorano infatti connubi adulte
rini con pescid'altra specie, come sono quelli che, incrociando
tra loro asini e cavalle, gli uomini attuano con grande cura o
come ancora avviene quando le asine si accoppiano ai cavalli, con
il risultato di avere una specie autenticamente bastarda; infatti
senza dubbio pi grave ci che si commette per contaminare la
natura di ci che si compie a danno d'una persona. E tu, o uomo,
li comporti cosi divenendo intermediario di questo adulterio tra
giumenti e stimi di maggior valore l'animale bastardo che quello
di razza pura. Unisci inoltre razze diverse e mescoli semi diffe
renti e spesso costringi a connubi contro natura animali per conto
loro restii, e questo chiami industriarsi E siccome con gli uo
mini non puoi ottenere che la mescolanza di razze diverse escluda
la procreazione togli all'uomo ci che ha ricevuto alla sua nascita
e lo privi della sua virilit e, troncando una parte del coipo, gli
neghi il sesso, ne fai un eunuco. Cosi la temerariet lunana ha
potuto raggiungere ci che la natura aveva rifiutato.
Cf. Cic., De off., I , 28, 97: vi si cita il verso natis sepulcro ipse est parens.
* B as ., Hexaem., 152 B (64 E): ( al '
.
tv -
* , -
CV .
....
^C Scorpena (gr. , lat. scorpaena) un altro nome italiano
dello scorfano. Plinio {N.H., X^UI, 11, 151) nomina l'una accanto all'altro
come due specie diverse scorpaena e scorpio.
* La notizia non esatta.
* socium genitivo plurale.
^Evidentemente si tratta di un rigorismo non pi condiviso dalla
Dorale cristiana. Va tuttavia sottolineato in S. Ambrogio il rispetto per la
satura quale opera di Dio. Vedi anche S. Am b r o g i o , L'Esamerone, ecc., testo
con introdtizione, versione e commento di E. Pasteris, SEI, Torino 1937, p.
1, n. 4.
Intendo ut ...possit escludere epesegesi dell'^oc prolettico. L'uomo evi
nto sarebbe l'equivalente del mulo e del bardotto, animali steril.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 247
Caput IV
10. Quam bona autem mater sit aqua etiam hinc considera.
Tu, o homo, docuisti abdicationes patrum in filios, separationes
odia offensas: disce quae sit parentis et filiorum necessitudo. Vi
uere pisces sine aqua non queunt nec a suae parentis consortio
separari neque a suae altricis discerni munere, et fit hoc natura
quadam, ut separati moriantur ilico. Neque enim ut omnia huius
aeris uiuiint spiramine, quia hauriendi spiritus et respirandi na
tura his non suppetit; alioquin sub aquis semper non possent ui-
uere non capientes spiritus infusionem. Quod est nobis spiritus
illis est aqua. Sicut nobis spiritus ita illis aqua uiuendi ministrat
substantiam. Nos intercluso commeatu spiritus, quia ne breui qui
dem spatio possumus expertes esse uitalis spiritus, statim extin-
guimur; pisces quoque sublati de aqua sine substantia sui esse
non possunt.
11. Et causa manifesta est, quoniam in nobis pulmo per tho*
racis laxiora penetralia recipit spiritum et, cum ipse sit <poris>
plerisque penetrabilis, spiritus infusione interiorem calorem re
frigerat. Thorax enim ut suscipit alimenta, ita superflua ciborum
et sucos salubres sanguinemque discernit: fit pulmo peruius, unde
facilius ad eum potest aspiratio spiritus peruenire. Pisces uero
branchias habent, quas nunc plicant et colligunt, nunc explicant
atque aperiunt. In hac ergo collectione et apertione dum susci
pitur aqua et transmittitur ac penetrat,, respirationis munus uide-
tur impleri. Propria igitur natura est piscium nec communis cum
ceteris, specialis usus et a ceteris uiuendi quaedam separata ac
secreta substantia. Propterea non nutriuntur neque ut terrena ani
malia manus humanae tactu et delenimento aliquo delectantur,
etiamsi seruati in uiuariis suis uiuunt.
248 EXAMGROM, DIES V, SER. , C. 4, 10-11
Capitolo 4
10. Anche da questo fatto considera quale buona madre sa
l'acqua. Tu, o uomo, hai insegnato ai padri a diseredare i figli,
ad allontanarli, a odiarli, a offenderli: impara ora quale sia il vin
colo affettivo tra madre e figli. I pesci non possono vivere senza
lacqua n separarsi dalla convivenza con 'la loro madre n a fare
a meno deU'intervento di colei che li nutre, e questo avviene per
una legge di natura, sicch fuori del loro elemento istantanea
mente muoiono Essi non vivono come tutti gli altri animali re
spirando l aria, perch non hanno la capacit naturale di aspirare
l'aria e di emetterla; altrimenti non potrebbero vivere costante-
mente immersi senza che venisse loro somministrata. Ci che per
noi l aria, per essi l'acqua. Come a noi l'aria, cosi ad essi l'acqua
offre il mezzo per vivere. Noi, se il passaggio dell'aria rimane in
terrotto, siccome non possiamo restare privi nemmeno per breve
tempo del soffio vitale, subito moriamo; anche i pesci, tolti dal
l'acqua, non possono rimanere senza il loro elemento.
11. La causa manifesta: in noi, mediante un allargamento
della cavit toracica, i polmoni ricevono l'aria e, siccome questa
pu penetrare in essi attraverso molti meati, inspirando mitigano
il calore del corpo. I l torace, come accoglie gli alimenti, cosi se
para il superfluo del cibo, i succhi utili alla nutrizione e il sangue:
i polmoni sono im organo pervio attraverso il quale l'aria inspi
rata pi facilmente pu giungere al torace. 1 pesci invece hanno
branchie che ora piegano e restringono, ora spiegano ed allargano.
Sembra che mediante questo restringimento e successivo allarga
mento, mentre lacqua viene assorbita, passa e penetra, si compia
la funzione respiratoria. Or dunque la natura dei pesci del tutto
speciale e non comune con altri animali, particolari le loro con
suetudini, la loro esistenza completamente distinta da quella di
lutti gli altri *. Non accettano il cibo n, come gli animali terrestri,
provano piacere a farsi toccare e accarezzare dalle mani dell'uo-
mo, anche se, in appositi vivai, riescono a sopravvivere.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 249
* Bas., Hexaem., 149 B (63 D): "
l i 6 , .
* Bas.. Hexaem., 149 BC (63 E ): . " 6
inuTai, , h
ipa , & & *
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Caput V
12. Quid autem de densitate dicam dentium? Non enim ut
oues aut boues ex una parte dentes habent, sed pars utraque ar
mata est dentibus, quia in aqua sunt et, si -diutius cibum uersa
rent et non cito transmitterent, aquarum alluuione de dentibus
eorum esca posset auferri ac dilui. Ideo densos et acutos habent,
ut cito incidant, cito conficiant cibum, facile et sine aliqua mora
et dilatione transmittant. Denique non ruminant, solus tamen
scarus in his ruminare perhibetur, ut ferunt quibus aut euentus
aut usus,fuit aut studium talia conprehendere.
250 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, C. 5, 12-13
13. Sane nec ipsi a suis potentiae euasere uiolentiam et
auaritiae potiorum sublecti ubique inferiores sunt. Quo quisque
infirmior, eo <plus>praedae patet. Et plerique quidem herbis pa
scuntur ac minutis uermibus; sunt tamen qui inuicem se deuorent
et sua carne pascantur. Minor apud illos est esca maioris, et rur
sus ipse maior a ualidiore inuaditur et fit esca alterius praedator
alieni. Itaque usu uenit, ut, cum ipse alium deuorauerit, ab alio
deuoretur et in unum uentrem uterque conueniant cum deuora-
tore proprio deuoratus sitque simul in uno uiscere praedae uin
dictaeque consortium. Et ipsis sponte forte haec adcreuit iniuria,
sicut in nobis non ex natura coepit, sed ex auaritia, aut quia ad
usum hominum dati sunt, in signum quoque facti sunt, ut in his
nostrorum morum uitia uideremus et caueremus exempla, ne quis
potior inferiorem inuaderet daturus in se potentiori exemplum
Capitolo 5
12. Che dir poi della loro fittissima dentatura? Non hanno,
come le pecore e i buoi i denti da una parte sola, ma entrambe
sono fomite di denti, perch vivono in acqua e, s masticassero
troppo a lungo il cibo e non lo inghiottissero immediatamente,
dal fluire continuo dell'acqua esso potrebbe essere strappato dai
loro denti e dissolto. Perci li hanno fitti e aguzzi per tagliare
rapidamente il cibo, sminuzzarlo in fretta e inghiottirlo facil
mente senza il minimo indugio*. D'altronde non ruminano; si
dice per che solo lo scaro fra essi sia ruminante, come riferi
scono coloro che per combinazione o esperienza o passione hanno
approfondito questa materia.
13. Certamente nemmeno i pesci riescono a sfuggire alla
prepotenza del pi forte da parte dei loro simili e dappertutto i
pi piccoli sono in balia dell'avidit dei pi grandi. Quanto pi
uno debole, tanto pi facile preda. Molti, vero, si cibano di
erbe e di minuscoli vermi; tuttavia ci sono di quelli che si divo
rano reciprocamente e mangiano la loro carne. I l pi piccolo
cibo del pi grande e, a sua volta, il pi grande assalito da
uno pi forte che, dopo aver predato l'altrui, diventa cibo di
un altro. Cosi accade spesso che, quando un pesce ne ha divo
rato un altro, sia divorato a sua volta da un terzo e che nello stesso
ventre sincontri con il suo divoratore e contemporaneamente in
un solo intestino si trovino insieme rapina e pu nizioneNei pe
sci per questa sopraffazione forse si sviluppata spontaneamente,
mentre in noi ha avuto inizio non per natura, ma per avidit;
oppure, siccome i pesci sono stati dati a VEUitaggio degli uomini,
sono diventati anche un esempio, perch vedessimo in loro le
colpe del nostro agire e ci guardassimo dall'imitarli e il pi forte
non assalisse il pi debole con il pericolo di offrire a proprio danno
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 251
Come avverte il Coppa (p. 270, n. 30), non si capisce bene che cosa
intenda S. Ambrogio; vedi sotto n. 2, e Arist,, H.A., I I , 1, 501 a, 13, che per
precisa trattarsi dei denti davanti della mascella superiore.
* Ba s ,, Hexaem., 152 C (64 E): OSv -
orai , ' *
;, ( . Si.
iWvTWV , tvot xpoviqf Stoppi)
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Notizia infondata; vedi anche sopra n. 2, e AmsT., HA., I I , 17, 50Sb, 13.
* Sia il primo che il secondo pesce sono oggetto di preda , ma solo
il secondo di punizione . Non si pu quindi pariare d'una stessa sorte
di rapina e di punizione, come fa il Coppa (op. cit., p. 270), perch questul-
tma riguarda solo uno dei due divoratori.
* Bas,, Hexaem., 152 CD (65 A): 8 ;
. ot S '
CSari . ' ,
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iniuriae. Itaque qui alterum laedit sibi laqueum parat, in quem
ipse incidat.
14. Et tu piscis es, qui uiscera inuadis aliena, qui demergis
infirmum, qui cedentem persequeris usque in profundum. Caue
ne dum illum persequeris, incidas ipse ualidiorem et deducat te
in alienas insidias qui tuas uitat priusque tuam spectet aerum
nam qui te persequente propriam reformidabat. Quid interest
inter diuitem inprobae cupiditatis ingluuie absorbentem infirmo
rum patrimonia et silurum minorum pisciimi uisceribus aluum
repletum? Defunctus est diues et nihil ei sua spolia profuerunt,
immo magis eum rapinarum suarum detestabiliorem fecit infamia.
Captus est silurus et inutilis praeda detecta est. Quanti in eo rep-
periuntur, qui alios deuorauerant! Et tu, diues, habes in sinu tuo
alterius praedatorem. Ille habebat facultates pauperis, quas inua
serat: tu eum opprimens duo patrimonia tuis facultatibus addi
disti et adhuc tanto non satiaris augmento et dicis quod alios uin-
dicaueris, cum eadem committas quae ulcisceris, iniusto iniustior
et iniquo iniquior et auaro auarior. Vide ne idem te qui piscem'
illum finis inueniat; amum caue et retia. Sed praesumis de po
tentia quod nemo tibi possit resistere: praesumebat et silurus
quod amum nemo sibi iaceret, nemo tenderet retia, et, si incidis,
set, uniuersa disrumperet: et tamen fuscinam non euasit aut nexus
uinculi ualidioris incurrit, quibus se non posset exuere. Sine dubio
et hominum iniquitas quo grauiora commiserit, eo magis scelere
suo tuta esse non poterit, quin aliquando dissoluat quod pro sce
lerum pretio constat difficile posse uitari.
252 EXAMERON, DIES V, SER. VU, C. 5, 13-14
lesempio della sopraffazione ad uno ancora pi potente. Cosi chi
offende un altro, si prepara il laccio in cui cadere a sua volta.
14. Sei un pesce anche tu che ti getti sulle viscere altrui,
che sommergi chi debole, che insegui chi fugge davanti a te e
non gli dai tregua sino al fondo. Bada che, mentre tu gli dai la
caccia, non ti cpiti dincontrare uno pi forte di te e quello che
cerca di sottrarsi alle tue insidie non ti faccia cadere in quelle
di un altro e che non assista prima alla tua rovina proprio quello
che, da te inseguito, temeva la propria. Che differenza c' tra il
ricco che ingoia il patrimonio dei deboli con la sua scellerata cu
pidigia e il ventre dei siluri colmo delle viscere dei pesci pi
piccoli? Muore il ricco e il frutto delle sue ruberie non gli giova
a nulla, anzi l infamia delle sue rapine lo rende ancor pi dete
stabile. I l siluro viene catturato, e la sua inutile preda viene alla
luce. Quanti si trovano nel suo ventre che, a loro volta, avevano
divorato altri! Anche tu, o ricco, hai nel tuo ventre chi derubava
il proprio simile. Egli aveva i beni del povero dei quali sera im
padronito; tu, rovinandolo, hai aggiunto due patrimoni alla tua
sostanza e ancora non sei sazio di averla cosi aumentata e dici di
avere vendicato gli altri, mentre commetti le medesime soperchie-
rie che intendi punire, pi ingiusto dellingiusto, pi iniquo del
liniquo, pi avaro dellavaro. Bada di non fare anche tu la stessa
fine di quel pesce: fa attenzione allamo e alle reti Ma tu, quan
to a potenza, supponi che nessuno possa resisterti. Anche il siluro
supponeva che nessuno gli lanciasse l amo, nessuno gli tendesse le
reti e, nel caso che vi fosse incappato, pensava di squarciarle tutte
senza eccezione; e tuttavia non sfuggito alla fiocina oppure
incappato nelle maglie duna rete pi robusta del previsto, dedle
quali non riuscito a districarsi. Senza dubbio anche la malva
git umana, quanto pi gravi sarcuino le colpe commesse, tanto
meno potr sentirsi sicura dellimpunit, cosi da non pagare una
buona volta la pena che sappiamo difficilmente evitabile in pro
porzione del delitto commesso'.
* II siluro famoso per la sua voracit; vedi Plin., N.H., IX, 15, 45: Siiuriu
irassatur, ubicumque est, omne animai appetens, equos innatantes saepe
imergens.
Bas Hexaem,, 152 D, 153 A (65 AB): Tl
I Tfl < - -
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ttpoi . " icipai; 8),
tm . ,
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S. Ambrogio, a cui l'interpretazione morale della Scrittura parti
colarmente congeniale (cf. A. >, S, Ambrogio e la sua et, cit., pp. 437-41:
Dmoralista), ci offre sulla vicenda dei pesci e sul contrappasso che ne segna la
ingressiva voracit una delle sue pagine pi vivaci e concrete. L'ispirazione
bsiliana viene ad alimentare il motivo ricorrente della sua polemica contro la
ii|>acit dei ricchi, che ha trovato la sua pi esplicita e forte espressione nel De
Mutae; cf. anche De Off., I I , 5, 17; HI, 9, 63-64; Exp. Eu. sec. Lue.. IX, 25. Per
I contesto della polemica cf. L. Ciucco RUGGINI, Ambrogio di fronte alla com-
tifine sociale del suo tempo, in Ambrosius Episcopus , I, cit., pp. 230-265
ino la bibliografia ivi citata). Possiamo anche notare la lucidit e l'amarezza
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 253
Caput VI
15. Piscis ergo es, o homo. Audi quia piscis es: Simile est
regnum caelorum reti misso in mare, quod ex omni genere piscium
congregami. Cum autem esset inpletum, duxerunt id ad litus et
sedentes' elegerunt optimos in uasis suis, malos autem foras mi
serunt. Sic erit in consummatione saeculi. Exibunt angeli et se
parabunt malos de medio iustorum et mittent eos in caminum
ignis Sunt ergo et boni et mali pisces; boni seruantur ad pre
tium, mali statim ardent. Bonum piscem nec retia inuoluunt, sed
eleuant, nec amus internecat atque interficit, sed pretiosi uulneris
perfundit sanguine, in cuius oris confessione bonum pretium rep-
peritur, quo tributum apostolicum et census Christi possit exso-
lui'. Sic enim scriptum est dicente domino: Reges terrae a qui
bus accipiunt tributum uel censum? A filiis suis aut ab alienis?
Et respondente Petro 'ab alienis' ait dominus: Vade ad mare et
mitte amum et eum piscem, qui primus ascenderit, tolle, et aperto
ore eius inuenies ibi staterem; illud sumens dabis pro me et / e'.
254 EXAMERON, DIES V, SER. VII, C. 6, 15-16
16. Noli igitur, o bone piscis, Petri amum timere; non occi
dit, sed consecrat. Noli quasi uilem te contemnere, quia uides
corpus infirmum. Habes in ore tuo quod et pro Petro et pro Chri
sto offeras. Noli timere Petri retia, cui dicit lesu: Duc in altum
Mt 13, 47-50.
b Mt 17, 27.
c Mt 17, 25-27.
Capitolo 6
15. Tu dunque, o uomo, sei un pesce. Ascolta perch sei un
pesce: I l regno dei cieli simile a una rete gettata in mare, che
raccoglie ogni genere di pesci. Quando poi piena, la trascinano
a riva, si siedono e raccolgono i migliori in ceste e buttano via i
cattivi. Cosi avverr alla fine del mondo. Verranno gli angeli e
separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ar
dente. Vi sono dunque pesci sia buoni sia cattivi: i buoni riser
vati alla ricompensa, i cattivi subito bruciati. I l buon pesce non
avviluppato, bens sollevato in alto dalle reti, non straziato ed
ucciso dallamo, ma con questo irrorato dal sangue d'una preziosa
ferita; nellattestazione della sua bocca si trova la buona moneta
con cui si pu pagare il tributo degli apostoli e quello di Cristo.
Cosi infatti sta scritto, quando il Signore dice: I re della terra
da chi riscuotono i tributi e le tasse? Dai loro figli o dagli estra
nei? E siccome Pietro rispose: Dagli estranei , il Signore ripre
se: Va' al mare e getta l'amo, prendi il primo pesce che verr a
galla, aprigli la bocca e vi troverai uno statere *. Prendilo e dallo
per me e per te.
16. Non temere dunque, buon pesce: lamo di Pietro non uc
cide, ma santifica. Non disprezzarti come se fossi di scarso valore,
perch vedi debole il tuo corpo. Nella tua bocca hai di che pagare
per Pietro e per Cristo. Non temere la rete di Pietro *: egli non la
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 255
con cui S. Ambrogio individua e rileva questi <giuochi >della insaziabilit
umana, d'altronde fatalmente destinati a una loro vendicazione , e quasi
fil iscritti ed esemplati al livello della natura e dei suoi regni, aperti come
grande libro per la lettura e la dottrina delluomo, [I .B.]
* Lo statere equivaleva a un siclo intero, cio a quattro dramme; cosi s
soddisfaceva ai tributi di Ges e di Pietro insieme (Ricciorri, op. cit.. p. 482).
> S, Ambrogio dimostra una profonda devozione per S. Pietro, il firma
mentum Ecclesiae (Exp. Eu. sec. Lue., IV, 70), ossia il responsabile della
lede cattolica, il centro di coesione delle altre Chiese : Tutti vescovi,
SKcrdoti, fedeli sono condotti da Pietro verso le profondit della gnosi di-
lina, e tutti... trovano posto nella "barca di Pietro che non pu essere tra-
Ita dai flutti perch porta lui... e la conduce con mano sicura (G. Co ppa ,
Esposizione del Vangelo secondo Luca, 1, cit., pp. 4849). I l vescovo milanese
ealta particolannente l'immagine della nauicula Petri, influenzando ~ come
Mia H. Rahner la liturgia, l'oratoria e il diritto ecclesiastico (op. cit., p.
DO), Ancora il Coppa osserva che S. Pietro personaggio di primo rango
itW'Expositio (Eu. sec. Lue.) : Insieme con tutte le altre opere ambrosiane,
ea certamente in forma pi spiccata, VExpositio la pi bella testimonianza
fella fedelt di Ambrogio alla Sede di Roma, e della sua piet, delicata e viri-
It,verso Pietro, il "vicrio deiramore" di Cristo per la Chiesa* {op. cit., p. 49).
Ikordamo espressamente due brani dello stesso commento sul tema d Pie-
#(o; quello relativo alla pesca miracolosa (I V, 68-79) 11Coppa parla di stu-
jtnda ecphrasis della barca di Pietro (op. alt., p. 355) ; e quello relativo al
inegamento e al pianto dellapostolo, che nelle lacrime lava il suo peccato
(K, 72-86). S. Ambrogio al ricordo delle bonae lacriraae, quae lauant culpam
drtla le sue pagine pi vibranti e commosse e apre il cuore alla preghiera
giti confidente a Cristo perch rivolga Io stesso sguardo rivolto a Pietro. Il
motivo del peccato che assolto e lavato presenta tale partecipazione e in-
et laxato rtia^; non enim in sinistram partem mittit, sed in dex
tram, sicut iussus a Christo est. Noli timere sinus eius, quia dic
tum est ei: Ex hoc eris homines uiuificans^. Ideo misit retia et
conplexus est Stephanum, qui de euangelio primus ascendit ha
bens in ore suo statera iustitiae. Vnde confessione constanti cla-
mauit dicens: Ecce uideo caelos apertos et filium hominis stan
tem ad dexteram dei Pro hoc pisce stabat dominus lesus; sciebat
enim esse in ore eius pretium sui census. Denique glorioso mar
tyrio et Petri iudicium atque doctrinam et Christi gratiam locu
ples adsertor inpleuit.
256 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 6, 16 - c. 7, 17
Caput VI I
17. Nec te moueat, quod pro mari euangelium posui. Euan
gelium est, in quo Christus ambulauit*. Euangelium est, in quo,
licet titubauerit Petrus, quando negauit, tamen per dexteram
Christi fidei munimentum, stationis inuenit gratiam; euangelium
<Lc 5, 4.
Lc 5, 10.
I Act 7, 56.
a Mt 14, 25.
<>Mt 26, 70 ss.
getta a sinistra, ma a destra, come gli ha ordinato Cristo. Non
temere le pieghe delle sue reti, perch' gli stato detto: Dora in
poi darai la vita agli uomini^. Perci gett le reti e prese Stefano*,
che per primo sali dal Vangelo recando nella sua bocca lo statere
della giustizia. Con coraggiosa testimoniaiiza egli grid dicendo:
Ecco, vedo i cieli aperti e il Figlio delluomo seduto alla destra
i Dio. In difesa di questo pesce stava il Signore Ges; sapeva in
fatti che nella sua bocca c'era la moneta del suo tributo. Insom
nia, col suo glorioso martirio, quale autorevole testimone confer
m sia il giudzio e l insegnamento di Pietro sia la grazia di Cristo.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 257
Capitolo 7
17. Non ti stupisca che io abbia usato la parola Vangelo
al posto di mare . il Vangelo dove Cristo ha camminato; il
Vangelo dove Pietro, pur avendo vacillato al momento della sua
negazione, 'trov per mezzo della destra di Cristtf il sostegno della
tensit (cf. anche De Pasti., I I , IO, 92) da parte di S. Ambrogio che sembra
vi si possa intrawedere unesperienza personale del santo stesso, cosi riser
vato nel parlare di s (cf. ib., I I , 67; 71-72).
Si noti anche che nel pianto d Pietro il vescovo vede il pianto della Chiesa
la dimensione ecclesiale attraversa tutta l'opera ambrosiana , per la quale
Cristo perdona le nostre colpe {ib., I I , 10, 92). Possiamo aggiimgere il senso
provvidenziale della caduta di Pietro che S. Ambrogio mette in luce: Etiam
lapsus sanctorum utilis. Non mihi nocuit quod negauit Petrus, profuit quod
anendauit (Exp. Eu. sec. Lue., X, 89): Ia convinzione un aspetto dellaifer
inazione di S. Ambrogio sulla felix ruina, quae reparatur in melius {Explaru
ps. 39, 20): cf. la nota 2 a p. 419. [I .B.]
I l testo greco ha: ; la Vulgata: eris capiens. I l verbo
significa <catturare vivo >.
* Sul primo pesce interpretato come simbolo di S. Stefano cf. anche Exp.
Eu. sec. Lue., X, 75 e De virginitate, 120, e vedi la nota di G. Coppa al testo del
commento a Luca (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 1, cit., p. 359). I l
Coppa osserva: La fonte della curiosa allegoria... Ilario, Comm. in Matth.,
XVII, 13 (PL 9, 1018), letta per nel contesto di Pietro pescatore d uomini
(ib.). Pu essere interessante osservare che la liturgia ambrosiana tradizional
mente leggeva nel giorno di S. Stefano il brano del tributo (Mt 17, 24, 27). La
scelta della pericope appare legata con ogni probabilit non alla <lectio con
tinua , ma all'interpretazione allegorica del primo pesce riferito a S. Stefano.
E senza dubbio un indice dell'antichit della presenza della pericope per la fe
tta di S. Stefano nella liturgia ambrosiana. <Lo stesso episodio, osserva
P. Sorella, che per lo ritiene dovuto alla lectio continua > nella lezione
di S. Matteo, pure assegnato alla festa di S. Stefano nei libri liturgici
tallicani, i quali l'avranno probabilmente usato ad imitazione di Milano (in
M. RiGHEm, Storia Liturgica, I I : L anno liturgico, Ancora, Milano 1969^, p.
5)9). Veramente difficile precisare in che senso ci sia stata la derivazione,
specialmente se teniamo presente che l'interpretazione allegorica di S. Ambro-
fio c' gi in S. Ilario, cio in una fonte del vescovo d Milano. (Su S. Ilario
bnte di S. Ambrogio cf. G. Co ppa , Opera Omnia di Sant'Ambrogio, Esposizio-
u del Vangelo secondo Luca/ l, cit., pp. 35-37). Forse non si deve parlare di de
rivazione, ma di area comune. CI.B.]
est, de quo martyr ascendit; euangelium est mare, in quo piscan
tur apostoli, in quod mittitur rete, quod simile est regno caelo
rum; euangelium est mare, in quo Christi figurantur mysteria;
euangelium est mare, in quo Hebraeus euasit, Aegyptius interemp
tus est; euangelium est mare, quia sponsa Christi ecclesia et di
uinae gratiae plenitudo, quae super maria fundata est, sicut dixit
propheta: Ipse super maria fundauit eam <*. Exili super undas, o
homo, quia piscis es. Non te opprimant saeculi istius fluctus. Si
tempestas est, pete aitimi et profundum: si serenitas, lude in fluc
tibus: si procella, caue scopuloso litore, ne te in rupem furens
aestus inlidat; scriptum est enim; Estote astuti sicut, serpentes
258 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, C. 7, 17-18
18. Et quia de serpentibus astutis propositum exemplum est,
simus astuti circa quaerenda et seruanda coniugia, diligamus tri
buta nobis consortia. Et si ii qui longinquis fuerant ortus sui tem
pore regionibus separati inter se conuenerint et si uir ad pere
grina contenderit, nulla longinquitas, nulla abstinentia conpiaci
tam minuat caritatem. Eadem lex praesentes absentesque conec
tit, idem naturae uinculum inter distantes et consistentes co-
niugalis caritatis iura constrinxit, eodem iugo benedictionis utrius-
que colla sociantur, etiamsi alter obeat separatarum regionum
longa diuortia, quia non corporis ceruice, sed mentis iugum gra
tiae receperunt. Vipera, nequissimum genus bestiae et super om
nia quae serpentini sunt generis astutior, ubi coeimdi cupiditatem
adsumpserit, muraenae maritimae notam sibi requirit copulam
c Mt 13, 47.
d Ps 23, 2.
Mt 10, 16.
fede e la grazia della fermezza; il Vangelo donde il martire ^
venne a galla; il Vangelo il mare nel quale pescano gli apostoli,
in cui si getta la rete che simile ai regno dei cieli; il Vangelo
il mare in cui sono raffigurati i misteri di Cristo; il Vangelo il
mare nel quale gli Ebrei trovarono salvezza e gli Egiziani perirono.
. il Vanglo il mare, perch la Chiesd la sposa di Cristo e la
pienezza della grazia divina, fondata sopra i mari, come ha detto il
profeta; Egli in persona la fond sopra i mari. Salta sulle onde, o
uomo, perch sei pesce *. Non ti soffochino i flutti di questo mondo.
Se imperversa la tempesta, rifugiati al largo nelle acque profonde;
se splende il sereno, scherza tra i flutti; se infuria l'uragano, ?ta'
lontano dalle scogliere perch le onde scatenate non ti sbattano
contro la roccia. Sta scritto infatti: Siate accorti come serpenti.
18. E siccome ci stato proposto lesempio dei serpenti, sia
mo accorti nel cercare e nel conservare l'altro coniuge, amiamo
quello che ci stato dato E se si uniscono in matrimonio due che
sono vissuti separati in lontane regioni dal momento della loro
nascita, nel caso che il marito debba andare in paesi stranieri, nes
suna lontananza, nessuna rinuncia valga a diminuire l'affetto reci
proco. La medesima legge unisce presenti ed assenti, lo stesso
vincolo di natura ha stretto i diritti deU'amore coniugale fra chi
lontano e chi resta, il medesimo giogo di benedizione unisce il
collo dentrambi, anche se uno affronta una limga separazione in
regioni lontane, perch hanno ricevuto il giogo della grazia non
sul collo del corpo, ma su quello deUanima*. La vipera, specie ani
male velenosissima e pi astuta di tutti i serpenti, quando sente il
desiderio dell'accoppiamento, cerca l'unione con una murena ma
rina gi conosciuta in precedenza o con un altro esemplare e,
spingendosi fin sulla spiaggia, dopo aver segnalata la sua presenza
con un sibilo, la invita allamplesso coniugale; la murena non si
sottrae all'invito e concede al serpente velenoso l'intimit deside
rata del suo congiungimento Che cosa significa un simile discor
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 259
* Cio S. Stefano.
2 S. Ambrogio si riferisce abitualmente nella sua tipologia sia a Cnsto,
a alla Chiesa, sia al singolo cristiano: nel mare, anzi nel Vangelo, egli in*
contra i misteri di Cristo, la Chiesa, il martire e ogni uomo che trova la sal
tezza nelle onde del battesimo, nella Chiesa, in Cristo. Teologia e compia
cenza descrittiva in diversi tratti vivace e arguta, e anche fantasiosa, sono
strettamente unite a darci i caratteri tipici della predicazione e dello stile
del vescovo milanese. [I.B.]
i Ritengo che coniugia e consortia siano qui sinonomi, usati per il con
creto coniuges.
* 11 vincolo coniugale o, come dice S. Ambrogio con suggestiva defi
nziohe, iugum gratiae percepito come legaine che imisce al livello dello
spirito, oltre il piano del corpo e oltre le circostanze esteriori: la sua resi
denza deve superare le distanze e le assenze, e rimanere vivo ed efficace
ira chi lontano e chi resta. I l vescovo avverte cosi la ragione intima
* originaria deH'indissolubilit: la comunione stabilitasi in forza di quella
grazia che coinvolge, prima dei corpi e delle loro condizioni, le persone
flesse, le loro anime , che trascendono le varie situazioni contingenti. [I .B.]
* Si tratta di una leggenda, anche se molto diffusa nell'antichit; vedi. p.
e, PuK., N.H., XXXII, 2, 14 (e nota a p. 84, ed. Les Belles Lettres).
uel nouam praeparat progressaque ad litus sibilo testificata prae
sentiam sui ad coniugalem amplexum illam euocat, muraena au
tem inuitata non deest et uenenatae serpenti expetitos usus suae
coniunctionis inpertit. Quid sibi uult sermo huiusmodi nisi feren
dos esse mores coniugum et, si absens est, eius operiendam prae
sentiam? Sit licet asper fallax inconditus lubricus temulentus:
quid peius ueneno, quod in coniuge muraena non refugit? Vocata
non deest et serpentis lubricum sedula caritate conplectitur. Ille
tua mala portat et leuitatis femineae facilitatem, tu uirum tuum
non potes, mulier, sustinere? Adam per Euam deceptus est, non
Eua per Adam .Quem uocauit ad culpam mulier, iustum est ut
eum gubernatorem assumat, ne iterum feminea facilitate labatur.
Sed horridus et incultus est: semel placuit. Numquid uir frequenter
est eligendus? Comparem suum et bos requirit et equus diligit
et, si mutetur alius, tamen trahere iugum nescit compar alterius et
se non totum putat: tu iugalem repudias tuum et putas saepe
mutandum et, si uno defuerit die, superducis riualem et statim
incognita causa quasi cognita iniuriam pudoris exsequeris. Vipera
absentem requirit, absentem uocat et blando proclamat sibilo
atque, ubi aduentare comparem senserit, uenenum euomit reue-
rentiam marito deferens, uerecundata nuptialem graticim: tu, mu
lier, aduenientem de longinquo maritum contumeliis repellis. Vi
pera mare prospectat, explorat iter coniugis: tu iniuriis uiam uiro
obstniis, tu litium moues uenena, non reicis, tu coniugalis am
plexus tempore dirum uirus exaestuas nec erubescis nuptias nec
reuereris maritum.
260 EXAMERON, DIES V, SER. VII, C. 7, 18-19
19. Sed etiam tu, uir possumus etiam sic accipere de
pone txunorem cordis, asperitatem morum, cum tibi sedula uxor
occurrit, propelle indignationem, cum blimda coniunx ad carita
tem prouocat. Non es dominus, sed maritus, non ancillam sorti-
t 1, Tim 2, 14.
SO se non che deve essere sopportato il carattere del proprio co
niuge e, nel caso che sia lontano, devessere atteso il suo ritorno?
Sia pure intrattabile, bugiardo, grossolano, lascivo, ubriacone: che
c di peggio del veleno che tuttavia la murena non teme nel co
niuge?. Invitata, non si sottrae e con un premuroso affetto ab
braccia il viscido corpo del rettile. Tuo marito sopporta i tuoi di
fetti e la superficialit della leggerezza femminile: tu non puoi
sopportare tuo marito? Adamo fu ingannato per colpa di va, non
va per colpa di Adamo. giusto che la donna abbia come guida
colui che ella indusse alla colpa, per non cadere una seconda volta
a causa della leggerezza femminile. Ma rozzo, trascurato nella
persona . Ti piaciuto una volta per tutte. Forse il marito si deve
scegliere ripetutamente? Anche il bove cerca un compagno stabile c
il cavallo lo predilige, e, se un altro viene messo al suo posto, seb
bene aggiogato con l'altro compagno, non riesce a tirare il giogo,
sentendosi dimezzato. Tu rifiuti tuo marito e pensi di doverlo cam
biare spesso e, nel caso che rimanga assente un solo giorno, gli
attribuisci ima rivale e subito, per un motivo supposto che tim
magini assolutamente certo, poni in atto ci che offende il tuo
pudore. La vipera invece cerca lo sposo lontano, lo chiama, lo in
vita chiaramente con un tenero sibilo e, quando avverte il suo
arrivo, si libera del veleno per riguardo verso il marito, circon
dando di reverenza lamoroso rapporto nuziale: tu, donna, respingi
il marito che torna da lontano coprendolo di contumelie. La vi
pera scruta il mare in lontananza, spia il percorso dello sposo: tu
con le tue ingiurie sbarri la strada al marito; tu, anzich liberar
tene, agiti il veleno dei litigi; tu, al momento dell'amplesso coniu
gale, sprizzi da tutti i pori un mortale veleno senza provare ver
gogna per il matrimonio e rispetto per il marito .
19. Ma anche tu, marito, l'esempio si pu interpretare
anche in questo modo deponi l'arroganza del tuo animo, l'asprez
za del tuo carattere quando tua moglie ti viene incontro premu
rosa, scaccia la tua irritazione quando la sposa teneramente ti
esorta alla bont: non sei un padrone, ma un marito, non ti sei
Bas., Hexaem., 160 BC (68 B): 01 , , -
6 (> <]. '0 , (
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Sempre secondo la leggenda, la vipera vomiterebbe il suo veleno prima
di accoppiarsi con la murena; vedi sopra n. 5.
Nella trama della leggenda della vipera e della murena, rievocata con
insistente concretezza descrittiva si manifesta con particolare efficacia l indole
pastorale e pratica di S. Ambrogio. Risalta la caratteristica capacit di un di
scorso circostanziato e penetrante, che illustra le vicissitudini familiari, ben no
teai suoi ascoltatori. Lispirazione basiliana non sostituisce, ma alimenta la ca
rica etica della predicazione del vescovo. Cf. A. Pa r e d i , S. Ambrogio e la sua
et, cit., pp. 449-452. [I.B.]
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 261
tus es, sed uxorem. Gubernatorem te uoluit deus esse sexus infe
rioris, non praepotentem. Redde studio uicem, redde amori gra
tiam. Vipera uenenum suum fundit: tu non potes duritiam men
tis deponere? Sed habes naturalem rigorem: debes temperare eum
contemplatione coniugii et reuerentia coniunctionis deponas animi
feritatem. Potest et sic: nolite quaerere, uiri, alienum torum, no
lite insidiari alienae copulae. Graue est adulterium, naturae iniu-
ria est. Duos primum deus fecit, Adam et Euam, hoc est uirum
et uxorem, et uxorem de uiro, hoc est de costa Adam et iussit
ambos esse in uno corpore et in uno spiritu uiuere '. Quid unum
separas corpus, quid unum diuidis spiritum? Naturae adulterium
est. Hoc docet muraenae et uiperae non iure generis, sed ardore
libidinis expetitus amplexus. Discite, uiri, qui alienam permolere
quaerit uxorem cuius serpentis sibi asciscere cupiat contuber
nium, cui etiam comparandus ipse serpenti sit. Festinat ad uipe-
ram, quae se in gremium uiri non directo tramite ueritatis, sed
lubrico deuii amoris infundit. Festinat ad eam quae uenenum
262 EXAMERON, DIES V, SER. VII, C. 7, 19
Gen 2, 19 ss.
presa una serva, ma una moglie". Iddio ha voluto che tu fossi la
guida del sesso pi debole, non il tiranno. Ricambia la sua premu
ra, mostrati riconoscente del suo amore. La vipera espelle il suo
veleno: tu non puoi deporre la durezza del tuo animo? La tua
durezza dipende da natura: devi mitigarla considerando che cos'
il matrimonio e deporre la ruvidezza deHanimo per rispetto del
vincolo coniugale. L'esempio si pu intendere anche in questo
modo: non cercate, uomini, il talamo altrui, non insidiate il ma
trimonio degli altri. Ladulterio una colpa grave, unoffesa alla
natura. In principio Iddio cre una coppia, Adamo ed va, cio
marito e moglie, e la moglie dalluomo, cio da una costola di
Adamo, e comand che entrambi fossero un sol corpo ed uniini-
ma sola. Perch separi xm unico corpo, perch dividi imunica ani
ma? E una violazione della natura. Questo insegna lamplesso del
la murena e della vipera, bramato non per diritto di razza, ma per
irresistibile impulso di libidine. Imparate, uomini, con quale ser
pente desidera stringere relazione colui che cerca di godersi la
moglie altrui, a quale serpente anzi deve essere paragonato Cor
re da una vipera chi si insinua in seno alluomo non gi seguendo
la via diritta della verit, ma il viscido sentiero'dun amore irre
golare. Corre da una donna che ringoia il proprio veleno, come fa
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 263
L'affermazione di S. Ambrogio: non ti sei presa ima serva, ma mia
moglie enuncia il principio fondamentale della parit dei coniugi, pur nella
sottolineatura della profonda diversit, interpretata sullo schema biblico.
Ugualmente forte la dichiarazione del Santo: Iddio... comand che entrambi
(Adamo ed va) fossero im sol corpo e unanima sola. Perch separi un unico
corpo, perch dividi iminica anima? . Sopra infatti egli parlava del giogo
della grazia ricevuto sul collo dell'anima . Sul tema cf. L. F. ,
coppia umana in sant'Ambrogio, in Etica sessuale e matrimonio nel cristia
nesimo delle origini (a cura di R. Cantalamessa), Vita e Pensiero, AAUano 1976,
pp. 181-211. Secondo il Pizzolato nella delineazione dei rapporti uir-mulier,
soprattutto nel De paradiso, S. Ambrogio presenta una tensione apparente
mente irrisolta e contraddittoria tra due visioni della coppia umana, tra le
quali oscilla il consenso smibrosiano. Si tratterebbe dell'irresolutezza deU'au-
lore ad attestarsi o sul versante della concezione filoniana, intrisa di allego-
rizzazioni a sfondo platonico-stoicizzante, accentuatamente pessimistica nei
confronti del femminile, oppure su quello della concezione soteriologica cri
stiana, che emancipa la natura del femminile, verso cui lo farebbero pro
pendere l'educazione e l ambiente familiare, la sua speculazione sulla vergi
nit, che l aveva tenuto occupato nei primi anni del suo episcopato (pp.
111-182); tale emancipazione non poteva ovviamente a quel tempo prescindere
da (o distruggere) convinzioni sociali e posizioni giuridiche ben consolidate
(it., n. 9).
Sul matrimonio in S. Ambrogio vedi in particolare V. Mo n ac h in o , S. Am
brogio e la cura pastorale a Milano nel secolo I V, Centro ambrosiano d do-
ounentazione e studi religiosi, Milano 1973, pp. 164-198. [I .B.]
Bas ., Hacaem., 160CD (68C): 8 6
. ,
4^ < ;
Cf. Hor., Sat., I , 2, 34-35: alienas permolere uxores.
Bas., Hexaem., 160 C (68 C): "H
; ,
.
.
suum resumit ut uipera, quae fertur peracto coniunctionis mu
nere uenenum quod euomuerat rursus haurire; adultera enim
uipera est. Vnde et Solomon ait quod is qui fuerit temulentus,
cum per uinum libido feruere consueuerit, tamquam a colubrae
ictu extenditur et tamquam a cornuta diffunditur illi uenenum
Et ut scias quia de adultera dixit adiecit: Oculi tui cum viderint
alienam, os tuum loquetur peruersa
20. Nec quisquam uelut contraria posuisse nos credat, ut et
ad bonum et ad malum uiperae huius exemplo uteremur, cum ad
institutionem utrumque proficiat, si erubescamus aut fidem non
exhibere dilecto, cui exhibet serpens, aut relinquentes sancta co
niugia lubrica et nocitura salutaribus praeferamus, quod facit qui
cum serpenti miscetur.
264 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 7, 19-20 - c. 8, 21
Caput VI I I
21. Et quia de astutia coepimus sermonem subtexere, qua
imusquisque fratrem suum circumuenire et decipere nititur et in
nouas se fraudes componere, ut quem ui optinere non potest cir
cumscribat dolo et fuco quodam artis obducat, fraudulentum illud
polypi ingenium non praeteribo, qui uadoso in litore petram nanc
tus adfigitur ei atque eius nebuloso ingenio colorem subit et si
mili specie terga obductus plurimos. pisciiun sine ulla suspicione
fraudis adlapsos,- dum nota non praecauent et saximi opiniintur,
cassibus furtiuae artis includit et sinu quodam suae carnis inter
cipit. Sic spontanea uenit praeda et talibus capitur argumentis,
qualia sunt eorum qui ingenium suum saepe commutant et diuer
sas nocendi artes mouent, ut singulorum mentes sensusque per-
temptent, cum contineiltibus positi continentiam praedicantes, in
coetu intemperantium tamquam deuii ab studio castitatis et de
mersi intemperantiae uolutabris, ut qui eos audiunt aut uident
incauta facilitate se credant eoque citius labantur, dum declinare
h Prou 23, 32.
i Prou 23, 33.
la vipera, di cui si dice che, compiuto il connubio, assorba nuova
mente il veleno che aveva vomitato; l adultera infatti una vipera.
Perci anche Salomone dice che chi si ubriacato, quando, se
condo il solito, la lussuria gli ribolle dentro, viene abbattuto come
dal morso di un serpente femmina e il veleno si diffonde in lui
come da un aspide. E perch tu sappia che parlava di un'adultera,
aggiunse: Quando i tuoi occhi vedranno un'estranea, la tua bocca
dir parole perverse
20. E qui nessuno creda che noi siamo incorsi in ima con
traddizione proponendo l'esempio di questa vipera in senso buono
e in senso cattivo, poich l uno e laltro sono utili ad istruirci, sia
che ci vergogniamo di non essere fedeli allamato, cui si serba
fedele quel serpe, sia che, lasciando i legittimi rapporti coniugali,
preferiamo a questi, che sono fonte di salvezza, quelli viscidi e
dannosi, come fa chi si accoppia con im rettile.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 265
Capitolo 8
21. E siccome abbiamo gi accennato allastuzia con la quale
ciascuno si sforza di raggirare e di imbrogliare il proprio fratello
e di escogitare nuove frodi per circuire con l inganno colui che
non riesce a sopraffare con la violenza, e, per cosi dire, di fargli
vedere lucciole per lanterne, non passer sotto silenzio la frau
dolenta trovata del polipo. Questo animale, raggiunto uno scoglio
in una secca, vi si attacca strettamente e ne assume il colore me
diante la sua capacit di rendersi simile a nebbia e, imiformando
ad esso il suo dorso, chiude nei lacci della sua impercettibile astu
zia moltissimi pesci che gli guizzano accanto senza alcun sospetto
dellinganno, perch non si guardano da ci che conoscono bene,
scambiandolo per uno scoglio, e li afferra con una delle sinuosit
della sua carne. Cosi la preda viene spontaneamente ed catturata
con raggiri simili a quelli usati da coloro che cambiano spesso il
loro atteggiamento e ricorrono a differenti mezzi per nuocere, allo
scopo di mettere alla prova lanimo e i sentimenti di ognuno. Esal
tano la temperanza quando sono in compagnia dei temperanti,
mentre nelle brigate di dissoluti si mostrano del tutto incuranti
della castit e si immergono nel brago della lussuria cosicch
coloro che li ascoltano o li vedono si affidano a loro con impru-
Effettivamente, secondo i Settanta, il paragone del serpente si riferisce,
almeno grammaticalmente, a ci che precede. Inoltre il termine usato dal te
tto ebraico (zart) indica non la donna straniera, ma le cose strane che
uno vede in stato di ubriachezza.
> Bas., Hexaem., 153 C (65 DE): 3v 6 &
ttl , : 51 , ) () -
Xtrai xpqt. " >
non norunt nec cauere quod noceat, cum grauibr sit et magis
noxia inprobitas benignitatis obumbrata uelamine. Et ideo cauendi
sunt qui crines suae fraudis et brachia longe lateque dispergunt
uel speciem induunt multiformem. Isti enim polypi sunt nexus
plurimos habentes et callidorum ingeniorum uestigia, quibus in-
retire possint quidquid in scopulos suae fraudis inciderit.
266 EXAMBRON, DIES V, SER. VII, c. 8, 21-23
22. Cancer quoque quas cibi gratia praestigias instruit! Nam
que et ipse ostreo delectatur et camis eius epulum sibi quaerit.
Sed quia ut adpetens cibi ita prospiciens est periculi, quoniam
cum difficilis est uenatio tum periculosa difficilis, quia testis
ualidioribus esca interior includitur; nam uelut muris quibusdam
mollitiem camis praecepti imperialis interpres natura muniuit,
quam medio testamm quodam sinu concauo nutrit ac fouet et
quasi in quadam ualle diffimdit; et ideo cassa omnia tempta
menta sunt cancri, quia aperire clausum ostreum nulla ui potest,
et periculosum est, si chelam eius includat , ad argumenta con
fugit et insidias noua fraude molitur. Itaque quia omnia genera
delectatione mulcentur, explorat si quando ostreum in remotis
locis ab omni uento contra solis radios diptycum illud suum ape
riat et reseret claustra testaram, ut libero aere uisceris sui uo-
luptatem quandam capiat, et tunc clanculo calculum inmittens in-
pedit conclusionem ostrei ac sic aperta claustra repperiens tuto
inserit chelas uisceraque intema depascitur.
23. Sunt igitur homines, qui cancri usu in alienae usum
circumscriptionis inrepant et infirmitatem propriae uirtutis astu
quodam subfulciant, fratri dolum nectant et alterius pascantur
aenunna: tu autem proprio esto contentus et aliena te damna
dente leggerezza e perci cadono pi facilmente, non riuscendo
ad evitarli e a guardarsi dal danno. La disonest che si copre del
velo della benevolenza tanto pi malvagia e nociva, e perci
bisogna fuggire coloro che distendono le chiome* e le braccia
della loro fraudolenza o assumono apparenze multiformi. Costoro
sono altrettanti polpi che hanno moltissimi tentacoli e trovate
ingegnosamente scaltre con cui possono afferrare qualunque cosa
finisca tra gli scogli della loro disonest.
22. Anche il granchio quante astuzie pone in opera per pro
curarsi il cibo! Anch'egli, amando le ostriche, vuole banchettare
con la loro carne. Ma siccome quant goloso tant prudente, dato
che quella caccia non solo difficile, ma anche pericolosa
difficile perch il cibo chiuso dentro valve alquanto robuste;
infatti la natura, interprete delleditto del Signore, ha difeso quasi
con una muraglia quella polpa delicata che, tra due valve in una
spepie di borsa, alimenta, protegge e distende come in un avvalla
mento, e perci sono vani tutti i tentativi del granchio, perch non
pu aprire ad onta d'ogni sforzo l'ostrica chiusa; pericolosa, se
questa gli chiude una chela tra le sue valve , ricorre alle sottoglez-
ze, tramando insidie con un insolito inganno *. Poich ogni specie
prova l'attrattiva del piacere, spia quando l'ostrica, in un luogo
ben riparato dal vento, apra le valve ai raggi del sole schiudendo
la barriera della conchiglia affinch la polpa interna goda il pia
cere delKaria libera, allora, inserendo di nascosto un sassolino,
impedisce la chiusura della conchiglia e, trovando cosi le valve
aperte, vi introduce impunemente le sue chele e si mangia tutta
la polpa che sta aHinterno.
23. Vi sono uomini che, come il granchio, astutamente si in
sinuano per ingannare gli altri e con impensati stratagemmi pun
tellano la debolezza delle proprie possibilit, tramano insidie al
loro fratello e si pascono della sventura altrui. Tu invece accon
tentati del tuo e non pascerti del danno degli altri. La schiettezza
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3[
, ,
^ , ,
v ,
. Cf. Arist., .., IX. 37. 622 a, 8.
* Per crines, detto dei tentacoli del polipo, vedi PLIN., N.H., IX, 29, 86:
uescuntur conchyliorum carne, quorum conchas complexu crinium frangunt.
3 Per praestigiae, vedi Caec. S t a t ., Syneph., 209 Ribbeck, in Cic., De
ml. deor.. I I I , 29, 73; cf. Pro Rab. Post., 12, 35.
* Bas., Hexaem., 153 AB (65 BC): *0 *
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pie auroij ,
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Come si vede, S. Ambrogio ha rielaborato il suo modello aggiungendo,
con alcune notazioni, maggiore vivacit alla scena.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 267
non pascant. Bonus cibus est simplicitas innocentiae. Sua bona
habens insidiari nescit alienis nec auaritiae facibus inardescit, cui
lucrum omne ad uirtutem dispendium est, ad cupiditatem incen
dium. Et ideo beata est, si bona sua nouerit, cum ueritate pau
pertas et omnibus praeferenda thensauris, quia melius est exi
guum datum cum dei timore quam thensauri magni sine timore
Quantum est enim quod hominem alat? Aut si quaeris quod etiam
aliis abundet ad gratiam, id quoque non multum est; melior est
enim hospitalitas in holeribus cum gratia quam uitulorum pin
guium praeparatio cum discordia*". Vtamur ergo ingenio ad quae
rendam gratiam et salutem tuendam, non ad alienam circumscri
bendam innocentiam. Licet nobis uti exemplis maritimis ad pro
fectum nostrae salutis, non ad alienae periculum.
268 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 8, 23 - c. 9, 24
Caput IX
24. Echinus, animal exiguum, uile ac despectabile, mariti
mum loquor, plerumque index futurae tempestatis aut tranquilli
tatis adnuntius solet esse nauigantibus. Denique cum procellam
uentorum praesenserit, calculum ualidum arripit eumque uelut
saburram uehit et tamquam ancoram trahit, ne excutiatur flucti
bus. Itaque non suis se librat uiribus, sed alieno stabilit et regit
pondere. Quo indicio nautae uelut signum futurae perturbationis
capessunt et sibi praecauent, ne eos inparatos turbo inprouisus
inueniat. Qui mathematicus, qui astrologus quiue Chaldaeus po
test sic siderum cursus, sic caeli motus et signa conprehendere?
Prou 15, 16.
b Prou 15, 17.
deU'innocenza il cibo che nutre veramente. Chi possiede i propri
beni, incapace dinsidiare quelli degli altri e non arde delle
fiamme dellavarizia, il cui guadagno una perdita di virt, un
incendio che fa avvampare la cupidigia. Perci, se sa valutare i
propri beni', la povert accompagnata dalla conoscenza della ve
rit, felice ed preferibile a tutti i tesori*, perch meglio il
poco ricevuto con il timor di Dio che immensi tesori senza di
questo. Quant infatti ci che basta a nutrire un uomo? Oppure
se cerchi di possedere pi del necessario per dame agli altri, an
che questo non molto: meglio unospitalit a base di erbaggi
condita dalla cordialit che unimbandigione di vitelli grassi con
la discordia. Usiamo dimque il nostro ingegno per attirarci la sim
patia e difendere la nostra incolumit, non per ingaimare la sem
plicit altrui. Possiamo approfittare di questi esempi offerti dal
mare, per garantire la nostra salvezza, non per mettere in peri
colo l altrui.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 269
Capitolo 9
24. I l riccio, animale di piccola corporatura, insignificante e
di nessun valore, intendo parlare di quello marino, per lo pi suo
le pronosticare ai navigcuiti la burrasca che sawicina o annun
ciare la bonaccia. In ima parola, quando avverte lo scatenarsi dei
venti, afferra un sasso dun certo peso, lo trasporta come ima
zavorra e lo trascina come unncora per non essere sbattuto dalle
ondate. In tal modo non si mantiene in equilibrio con le proprie
forze, ma rimane saldo e si regge con quel peso estraneo. I mari
nai, traendo da questo indizio im segno della tempesta imminente,
stanno allerta affinch l improvviso uragano non li trovi impre
parati. Quale studioso di astronomia, quale astrologo o quale Cal
deo potrebbe conoscere con tanta esattezza il corso delle stelle, i
movimenti e i segnali celesti? *, Con quale istinto ha intuito tutto
questo, da quale maestro lo ha imparato? Chi gli ha interpretato
Cf. V er o., Georg., I I , 458.
Bas ., Hexaem., 153 B (65 D): 4 & opcu-
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* Bas ., Hexaem., 160 A (67 E, 68 A): ,
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tfi* . 6, , &
4 , ... Cf. PUN.,
.. IX, 31, 100; XVI I I , 87, 361.
Quo ingenio ista collegit, quo doctore percepit? Quis ei fuit tanti
interpres augurii? Homines confusionem aeris uident et saepe
fallimtur, quod plerumque eam sine tempestate discutiat: echinus
non fallitur, echinum sua nequaquam signa praeterexmt.
25. Vnde exiguo animali tantam scientiam, ut futura prae
nuntiet? Quo magis in eo nihil est, quo tantam possit habere pru
dentiam, crede quod per indulgentiam domini rerum omnium hic
quoque praescientiae huius munus acceperit. Etenim si faenum
deus sic uestit ut miremur, si pascit uolatilia si parauit coruo
escam pulli enim eius ad dominum clamant , si mulieribus
dedit texturae sapientiam^, si araneam, quae tam subtiliter ac
docte laxos casses suspendit in foribus, sapientiae non reliquit
inmunem, si ipse uirtutem equo dedit et soluit de ceruice eius
formidinem, ut exultet in campo et occurrens regibus inrideat,
odoretur bellum eminus, excitetur sono tubae*, si haec inratio-
nabilia pleraque et alia insensibilia ut faenum, ut lilia repleuit
suae dispositione sapientiae ^quid dubitamus quod etiam in echi
num contulerit huius gratiam praescientiae? Nihil enim inexplo
ratum, nihil dissimulatum reliquit. Omnia uidet qui pascit omnia,
omnia replet sapientia qui omnia in sapientia fecit ut scriptum
est. Et ideo si echinum uisitationis suae exortem non praetermisit,
si eum considerat et futurorum informat indiciis, tua non consi
derat? Immo uero considerat, sicut testatur eius diuina sapien
tia dicens: si respicit uolatilia, si pascit illa, nonne uos pluris estis
illis? Si enim faenum agri, quod hodie est et cras in ignem mit
titur, deus sic uestit, quanto magis uos minimae -fidei? \
270 BXAMERON, DIES V, SER. VI I, c. 9, 24-25
a Mt 6, 30; Lc 12, 28.
b Mt 6, 26; Lc 12, 24.
c lob 38, 41.
d lob 38, 36 (Sept.).
e lob 39, 19 ss.
t Mt 6, 28; Lc 12, 27.
8Ps 103, 24.
h Mt 6. 26; Lc 12, 24.
1Mt 6, 30; Lc 12, 28.
un cosi infallibile presagio? Gli uomini, pur vedendo le perturba
zioni atmosferiche, si ingannano sovente, perch spesso l'aria le
disperde senza che vi sia una burrasca; il riccio non sbaglia, e
non accade mai che gli sfuggano gli indizi che egli solo riesce a
percepire.
25. Donde la natura ha dato a questo piccolo animale una
scienza cosi infallibile da predire il futuro? Quanto pi esso pri
vo di qualsiasi qualit che gli possa conferire un tale discernimento,
tanto pi devi credere che anche quest'animale ha ricevuto il dono
di una simile prescienza per la bont del Signore delluniverso.
Se Iddio riveste l'erba in modo cosi meraviglioso, se pasce gli
uccelli, se ha provveduto il cibo ad un corvo i suoi piccoli, in
fatti, gridano verso il Signore , se ha dato alle donne l abilit
nel tessere, se non ha lasciato privo di una sua capacit il ragno
che appende alle porte ampie reti lavorate in modo cosi abile e
sottile; se ha dato la forza al cavallo e ha liberato il suo collo
dalla paura cosi che avanza baldanzoso nel piano e affronta i re
facendosene beffa, annusa da lontano l'odore della guerra, si eccita
al suono della tromba; se ha riempito tutti questi esseri irragio
nevoli e altre creature insensibili, come l'erba, come i gigli, con
le qualit disposte dalla sua sapienza^perch dubitiamo che abbia
conferito anche il dono di questa prescienza? Dio non ha lasciato
nulla che gli sia inesplorato, nulla che gli sia nascosto. Tutto vede
colui che tutto nutre, tutto riempie di sapienza colui che tutto
ha creato con sapienza, come sta scritto. Perci, se non ha lascia
to il riccio privo dun suo intervento, se ne tiene conto e gli inse
gna i presagi del futuro, non si occuper delle tue cose? Al con
trario, se ne occupa, come attesta la sua Sapienza divina dicendo:
Se guarda gli uccelli, se li nutre, voi non contate pi di essi? Se
Dio infatti veste cosi l'erba del campo, che oggi c e domani viene
gettata nel fuoco, quanto pi far per voi, uomini di scarsissima
fede? *.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 271
2 Numerosi codici, tra 1 quali i pi antichi, hanno tantam scientiam,
ectio difficilior rispetto al tanta scientia di vari aJ tri. Si potrebbe sottointen*
dere, p. es., natura dedit.
* Cf. Vero., Georg., IV, 247; laxos in foribus suspendit aranea cassis.
* Nella natura, con i suoi diversi livelli, S. Ambrogio indaga e mette in
luce la struttura sapienziale che le deriva direttamente da Dio. e quindi l'im*
pronta di una provvidenza che guida ogni essere in modo mirabile, oltre
quelle che riterremmo le loro possibilit. Dio si rivela cosi in un rapporto
t personale con il mondo, che non abbandonato a s, in un non senso stra
vagante e senza ordine, ma corrispondente a un disegno della bont del
Signore dell'universo , dotato di qualit disposte dalla sua sapienza . Ma
questa prowidenzialit, che emerge nella lettura religiosa dell'universo,
vista soprattutto come segno di una provvidenza divina per l uomo, verso
il quale la bont e la sapienza sono specialmente rivolti. L'uomo in partico
lare si sente seguito da Dio, e a maggior ragione: <Se non ha lasciato i l rccio
privo d'un suo intervento, non si occuper delle tue cose? . la novit evan
gelica, di un Dio che veglia sull'uomo con tenerezza paterna, che spezza il
determinismo e la casualit di un mondo lasciato a se stesso, neHindifferenza
assoluta e distaccata della divinit, e invece esalta il valore e il senso perso
naie di ogni uomo. [I.B.]
Caput X
26. An uero sine quadam dote naturae manere piscibus etiam
illam putamus gratiam, quod unumquodque genus piscium prae
scripta sibi domicilia habet, quae sui generis nullus excedat, non
incurset alienus? Quis geometra his diuisit habitacula nullis rum
penda teinporibus? Sed geometram audiuimus, thalassometram
numquam audiuimus: et tamen pisces mensuram suam norunt,
non muris urbium portisque praescriptam, non aedificiis domo-
rum, non agrorum finibus limitatam, sed mensuram eius quod
oporteat, ut tantum satis sit unicuique quantum ad usum abun
det, non quantum auiditas quaedam inmoderata sibi uindicet.
Lex quaedam naturae est tantum quaerere quantum sufficiat ad
uictum et alimentorum modo sortem censere patrimonii. Hoc ge
nus piscium in illo sinu maris alitur et gignitur,, illud in alio. De
nique non reperies confusa genera piscium, sed quod hic abundat
alibi deest iterum. Ille sinus maris cephalos alit, lupos ille, ille
saxatiles, lucustas alius. Non est libera uagandi potestas, nec ta
men aut interclusa montibus copia aut fluuiis interlabentibus
transitus inpeditur, sed usus natura inpressus tamquam patriae
finibus unumquemque sese tenere et ultra incolas prodire su
spectum.
272 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 10, 26-27
27: At nobis longe alia sententia, mutare exilio domus, in
colarum fastidio teneri, aduenarum captare gratiam, transferre
terminos perpetuos, quos posuerunt patres nostri, agrum ad agrum
iungere, domum ad domum Deficit terra hominibus, sternuntur
et maria, rursus pro singulorum libidine inciditur terra, mare
infunditur, ut insulas faciant, possideant freta. Spatia maris sibi
uindicant iure memcipii pisciumque iura sicut uernaculorum con-
Is 5, 8.
Capitolo 10
26. O forse pensiamo che, senza un dono di natura, 1 pesci
abbiano stabilmente anche quella prerogativa per effetto della
quale ciascuna specie ha un domicilio fisso da cui nessuno che
vi appartenga si allontana e dove nessun estraneo fa irruzione?
Quale geometra ha assegnato loro la dimora da non abbndonare
mai in nessuna occasione? Abbiamo sentito parlare di geometri,
mai di talassometri e tuttava i pesci conoscono la loro zona, non
delimitata da mura e da porte di citt, non segnata da case e da
confini di propriet agrcole, ma corrispondente ai loro bisogni,
cosi che a ciascuno basta tanto spazio quanto soddisfa abbondan
temente alle proprie necessit, non gi quanto potrebbe preten
dere un'avidit immoderata*, legge di natura cercare tanto
quanto basta per vivere e valutare la quantit del patrimonio sul
la giusta misura del cibo. Questa specie di pesci vive e si ripro
duce in un golfo marino, quella in un altro. Di conseguenza non
troverai mai mescolate le specie di pesci, ma quella che abbonda
qui, altrove rispettivamente manca. Quell'insenatura ha il cibo
adatto per i cefali, quella per le spigole, quella per i molluschi di
scoglio, unaltra per i gamberi. Non possono vagare liberamente,
eppure tale facolt non impedita da monti n il transito osta
colato dal corso di fiumi, ma l'istinto impresso da natura fa si
che ciascuno resti, per cosi dire, entro i confini della propria
patria e tema di spingersi lontano dai propri concittadini*.
27. Noi invece la pensiamo molto diversamente: lasciamo la
patria per terre straniere, proviamo fastidio dei nostri concitta
dini, cerchiamo d acquistare il favore dei forestieri, spostiamo i
confni immutabili posti dai nostri padri, aggiungiamo campo a
campo, casa a casa*. La terra diventata insufficiente per gli
uomini, si interrano anche i mari; al contrario, per il capriccio
di alcuni, si scava la terra, vi s introduce il mare in modo da
formare delle isole e possedere lo stretto che le forma. Rivendi
cano spazi di mare per diritto di propriet e avanzano pretese sui
^Cio <misuratori del mare da (mar e).
* Bas., Hexaem., 156 AB (66 B): -
ttiscv Sioveii^ueva , >(,
; obee *
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kceoTou .
* Bas., Hexaem., 156 AB (66 ): 6
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* Bas ., Hexaem., 156 (66 C ): Spia , S
' . , & ,
^ ^ . P er mutare exitio domus cf. V er g., Georg,,
, 511.
* Cf. H or ., Carm., I I I , 1, 34-37: Contracta pisces aequora sentiunt / tac-
Iit in altum molibus; huc frequens / caementa demittit redemptor / cum
ftmulis dominusque terrae / lastidiosus.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 273
dicione seruitii sibi subiecta commemorant. Iste, inquit, sinus ma
ris meus, ille alterius; diuidunt elementa sibi potentes. His ostreae
in fluctibus nutriuntur, his in uiuario piscis includitur. Luxuriae
nec mare sufficit, nisi apothecas habeant ostrearum. Itaque aetates
earum numerant et piscium receptacula instruunt, ne conuiuium
diuitis mari non possit inpleri. Nam uicini nomen quibus audiunt
auribus, quibus oculis intuentur possessiones eorum! Quemad
modum dies noctisque excogitant, ut aliquid proximis auferant!
Numquid soli habitabitis super terram?^ clamat propheta. Co
gnoscit haec dominus et uindictae reseruat.
274 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 10, 27-29
28. Quanto aliena a piscibus auiditatis rapina! I lli naturalia
caiptant secreta et ultra orbis terrarum terminos mare norunt,
quod nullae interpolant insulae, nec terra aliqua interiacet uel
ulterius ulla sit posita. Illic igitur ubi diffusum late mare omnem
spectandi usum, utilitatis gratia nauigandi intercludat audaciam,
condere se feruntur cete, illa inmensa genera piscium, aequalia
montibus corpora, ut tradiderunt nobis qui uidere potuerunt. Illic
quietum aeuum exigunt discreta ab insulis et ab omnibus mariti
marum urbium contagiis separata habent suas regiones et habita
cula distributa. Manent in his inoffenso uicinorum limite nec uago
transitu mutationes quaerunt locorum, sed tamquam patrium so
lum diligunt et in his inmorari dulce arbitrantur. Quae ideo ele
gerunt, ut solitariam uitam remota possint arbitrorum interpel
latione transigere.
29. Sunt tamen aliqua piscium genera, qui non ingenii faci
litate loca mutent, sed fouendi partus necessitate, quem oportuno
atque legitimo procurantes tempore ex plurimus locis ac diuerso
maris sinu uelut communi consilio conuenientes coniuncto agmi
ne aquilonis flatus petunt et ad illud septentrionalium mare par
tium quadam naturae lege contendunt. Dicas, si ascendentes ui-
deas, reuma quoddam esse; ita proruunt fluctusque intersecant
per Propontidem in Euxinum uiolento impetu profluentes. Quis
piscibus haec adnuntiat loca, praecipit tempora? Quis tribuit di-
b Is 5, 8.
pesci loro spettanti a titolo di servit come se si trattasse di
schiavi. Questa insenatura, dice, mia, quella di un altro :
i grandi s dividono gli elementi. Alcuni hanno allevamenti d'ostri
che in mare, altri tengono rinchiusi i pesci nei vivai. Alla loro raf
finatezza non basta nemmeno il mare, se non hanno depositi di
ostriche. Perci ne calcolano l'et e costituiscono riserve di pesci
per timore che il convito del ricco non sia sufficientemente fornito
d vivande dal mare. Con quali orecchi ascoltano il nome del vicino,
con quali occhi guardano i possedimenti di chi abita accanto! Co*
me si struggono giorno e notte per sottrarre qualcosa ai loro con
finanti! Forse resterete soli ad abitare sulla terra? grida il profeta.
Il Signore conosce tutto ci e attende di fame vendetta.
28. Quant' estranea ai pesci l'avidit di predare! Essi si im
padroniscono dei recessi della natura e conoscono il mare oltre
i limiti del mondo, dove non si frappongono isole, dove nel mezzo
non si stendono terre n ve ne sono al di l. In quei luoghi, dove
il mare sconfinato impedisce ogni possibilit di osservazione, ogni
navigazione ardimentosa a scopo di guadagno, si dice che si na
scondano i cetacei, quelle enormi specie di pesci dai corpi alti come
montagne, stando almeno alle informazini di-coloro che sono
riusciti a vederli. L vivono tranquilli lontani dalle isole e, separati
da ogni contatto con le citt di mare, hanno, equamente distribuiti,
i loro spazi e le loro tane. Non si allontanano di qui, evitando di
violare il confine dei vicini e non cercano di mutare i loro luoghi
passando da una parte all'altra, ma li amano come fossero il suol
della patria e a loro sembra una dolcezza rimanervi stabilmente.
Li hanno scelti per poter trascorrere ima vita solitaria, lontani da
ogni disturbo d'osservatori .
29. Vi sono tuttavia alcuni generi di pesci che cambiano luoghi
non per volubilit d'indole, ma per la necessit di allevare la prole,
per curare la quale al momento giusto ed opportuno, radunandosi
da numerosissimi luoghi e da differenti insenature marine, come
per una comune decisione tutti insieme si muovono nella direzione
del vento di tramontana e, per una misteriosa legge di natura, si
dirigono, com' noto, verso il mare delle zone nordiche. Se tu li
vedessi salire in quella direzione, l diresti im fiimie: con tale
slancio avanzano e tagliano i flutti riversandosi impetuosamente
attraverso la Propontide nel Ponto Eusino. Chi indica ai pesci que
sti luoghi, chi fissa loro i tempi? Chi d loro il comando di met
tersi in viaggio, stabilisce la disposizione della carovana, le mete e il
momento del ritorno? Gli uomini hanno, ben si sa, l'imperatore
I SEI GIORNI DELU CREAZIONE 275
Bas., Hexaem., 156 BC (66 CD): OTSe
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spositionem uiandi, comitandi ordinem, metas et tempora reuer*
tendi? Homines scilicet imperatorem habent, cuius expectatur im
perium, procedit tessera, proponuntur edicta prouincialibus ut
conuendant, tribunis militum litterae diriguntur, dies statuitur: et
plerique ad -dies statutos occurrere nequeunt. Quis imperator pi
scibus praeceptum dedit, quis doctor hanc tribuit disciplinam,
qui metatores itinera disponunt, qui duces iter dirigunt, ut nullius
desit occursus? Sed agnosco quis ille sit imperator, qui ordina
tione diuina sensibus imiuersorum suum infundat imperium, qui
tacitus mutis animantibus naturalis disciplinae ordinem tribuat,
non solum magna penetret, sed etiam per minima quaeque se
fundat. Diuinae legi piscis obsequitur, et homines contradicunt.
Piscis sollemniter obaudit mandata caelestia, et homines inrita
faciunt dei praecepta. An contemptibilis tibi uidetur, quia mutus
est rationisque expers? Sed uide ne tu tibi magis incipias esse
contemptui, si inrationabili inrationabilior deprehendaris. Quid
autem rationabilius hoc piscium transitu, cuius rationem quidem
uerbis non explicant, sed factis locimtur? Pergunt enim aestatis
tmpore ad fretum Ponti, eo quod reliquo maris sinu hic sinus
dulcior sit. Non enim tamdiu sol ei fluctu quarodiu ceteris in-
moratur, eaque fit causa ut non omnem aquam exhauriat, quae
dulcis ac potabilis sit. Quis autem ignoret quod etiam ea quae
maritima sunt aquis plerumque dulcibus delectentur? Denique
dum flumina secuntur et ad superiora ascendunt, frequenter alifr
ni pisces generis capiuntur in fluuiis. Cum haec igitur causa Pon
tum illis faciat gratiorem uel quod aestus temperet sollemnis illic
flatus aquilonis, tum oportimiorem ceteris iudicant, in quo gene
rare et partus possint proprios enutrire, quod teneri fetus laborem
alienae regionis ferre uix possint, quos illic fouet aeris blanda
276. EXAMERON, DIES V, SER. VI I, C. 10, 29
di cui attendono il comando: arriva anzitutto l'ordine, si ema
nano decreti ai provinciali perch si radunino, si inviano lettere
ai tribuni militari, si fissa il giorno. E tuttavia molti non riescono
a presentarsi alla data stabilita. Quale imperatore ha dato l'ordine
ai pesci, quale maestro li ha cosi istruiti, quali topografi predi
spongono litinerario, quali generali guidano la marcia in modo
che nessuno manchi all'appuntamento? Ma io so chi queil'im-
peratore che con divina disposizione infonde il suo comando nel
listinto di tutte le creature, che silenziosamente assegna ai muti
animali l'ordine derivante da un insegnamento naturale, non solo
penetrando negli esseri di una certa grandezza, ma diffondendosi
anche in tutti i pi piccoli *. I l pesce obbedisce alla legge divina,
gli uomini invece vi contravvengono. Mentre il pesce avvezzo a
osservare i comandamenti celesti, gli uomini rendono vani i precetti
divini. Forse il pesce ti sembra disprezzabile perch muto e
privo di ragione? Ma bada di non cominciare tu ad essere pi degno
di disprezzo ai tuoi occhi nel caso che tu sia trovato pi irragio
nevole di un essere irragionevole. Ma che c di pi ragionevole
d questo spostamento dei pesci, la cui ragione essi non spiegano,
vero, con le parole, ma attestano con i fatti? Destate si dirigono
verso il Ponto, perch un tratto di mare pi dolce d ogni altro.
Infatti il sole non vi si trattiene sopra tanto quanto sugli altri, e
questo il motivo per cui non assorbe con l'evaporazione tutta
l'acqua dolce e potabile che questo mare contiene*. Chi non sa
poi che anche gli animali marini per lo pi provano piacere del
l'acqua dolce? Di conseguenza spesso vengono catturati nei fiumi
pesci di mare mentre seguono il corso dei fiumi risalendo verso
la sorgente. Sia dunque che tale motivo renda loro pi gradito il
Ponto sia che i soffi dell'aquilone, che l spira solitamente, at
tenuino la calura estiva, certo che ritengono quel mare pi adatto
di tutti gli altri per dare alla luce e allevare i propri piccoli, poi
ch i pesciolini ancor teneri difficilmente potrebbero sopportare
1disagi di unaltra regione, mentre in quel mare la carezzevole
mitezza del clima offre loro protezione. Compiuta questa funzione.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 277
^Qui tessera ha il senso generico di ordine >.
* Bas., Hexaem., 156C-157A (66 DE):
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* Bas ., Hexaem., 157 AB (67 AB): , -
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clementia. Itaque peracto munere omnes simul eo quo uenerant
agmine reuertuntur.
30. Quaenam ista sit ratio consideremus. Obiectus est Ponti
sinus boreae ceterorumque uentorum uiolentissimis flatibus, un
de si grauis illic procella furit, tempestates mouentur, ita ut de
profundo barena uertatur, cuius rei fluctus harenosus indicio est,
qui uentorum motu insurgens altius, tum pondere grauior haud
dubie non solum nauigantibus, sed etiam maritimis ipsis animan
tibus intolerabilis habetur. Accedit illud, quod cum plurima et
maxima Ponto flumina misceantur, tum hiberno tempore sinus ip
se frigidior et torrentum rigescat adlapsu. Propterea pisces tam
quam arbitri fluentorum aestate illic asperantis aurae clementiam
captare consuerunt, cuius amoenitate perfuncti rursus hiemis
aspera declinare contendunt et septentrionalis plagae saeua fu
gientes in reliquos se sinus conferunt, in quibus aut uentorum
mollior sit placiditas aut solis soleat uernare temperies. Nouit
igitur piscis pariendi tempus, quod pro magno mysterio dixit
Solomonis sapientia, nouit tempus eundi atque redeundi, nouit
tempus perfunctionis et iactationis et nouit ut non queat falli,
quia non rationis aestimatione et disputationis argumento utitiu,
sed inspiratione naturae, quae uera est magistra pietatis. Denique
omnes animantes praescripta habent pariendi tempora, homo so
lus indiscreta atque confusa. Reliqua genera clementiam temporis
quaerunt, mulieres solae partus suos inclementer effundunt; uaga
enim et intemperans libido generandi uagam pariendi aetatem
exhibet. Piscis tanta maria transmittit, ut utilitatem aliquam ge
neri suo quaerat, nos quoque diffusa aequora transfretamus; sed
quanto honestius quod successionis amore quam quod pecuniae
auiditate suscipituri Denique illis ad pietatem, nobis ad quaestum
transmissio deputatur. I lli subolem referunt omnibus mercibus
cariorem, nos mercem longe inparem ad periculi uicem misera
lucri cupidine reportamus. Itaque illi patriam repetimt, nos dere
linquimus: illis nando incrementum generis adquiritur, nobis mi
nuitur nauigando.
278 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 10, 29-30
c Eccle 3, 2.
tutti insieme ritornano nella formazione medesima in cui erano
venuti
30. Consideriamo quale sia la spiegazione di tutto ci. Il
Ponto Eusino esposto alle raffiche impetuosissime della tramon
tana e di tutti gli altri venti sicch, se l infuria una violenta bu
fera, vi si scatenano tempeste tali che sollevano la sabbia dal fondo.
Ci provato dalle onde torbide che, levandosi a grande altezza
sotto la spinta dei venti, appesantite per giunta dalla sabbia, non
possono essere sopportate non solo dai naviganti, ma neppure dagli
stessi esseri marini. Si deve considerare inoltre che, siccome mol
tissimi e grandissimi fiumi sfociano nel Ponto, dinverno quel
tratto di mare particolarmente freddo e gelido per l affluire di
tali acque correnti. Perci i pesci, che sono giudici inappellabili
della temperatura delle acque, destate sogliono cercare col la
dolcezza d'una pungente frescura e, dopo averne goduto il ristoro,
di bel nuovo si affrettano a evitare le asprezze dell'invemo e, fug
gendo i rigori delle regioni settentrionali, si trasferiscono in altri
golfi nei quali regni una pi soave calma di venti o il moderato
calore del sole garantisca costantemente un clima primaverile. Co
nosce dunque il pesce il tempo di partorire, il che equivale a co
noscere un grande mistero, come ha detto la sapienza di Salomone;
conosce il tempo di andare e di tornare, conosce il tempo di svol
gere il proprio compito e di andare errando senza stabile dimo
ra, e Io conosce in modo che non pu sbagliare, perch non
usa una valutazione razionale o argomentazioni proprie delle di
spute, ma listinto naturale, che il vero maestro del sentimento
del dovere. Daltra parte tutti gli animali hanno tempi determinati
per il parto; solo l uomo li ha indeterminati e imprecisi Le al
tre specie cercano la mitezza del clima; solo le donne partoriscono
le loro creature senza riguardi; infatti la voglia del procreare
senza regola e senza freno rende senza regola anche l epoca del
parto. I l pesce attraversa mari cosi sconfinati per procurare qual
che vantaggio alla propria specie anche noi valichiamo le ampie,
distese marine: ma quanto pi onorevole ci che si intraprende
per amore della prole di ci che si affronta per avidit di guadagno!
Insomma le loro traversate sono dovute all'affetto, le nostre al
linteresse. Essi portano con s la prole, pi cara di tutte le mer
canzie; noi, per la miserabile brama di lucro, riportiamo dai nostri
viaggi della merce che non vale assolutamente il pericolo corso.
Quelli ritornano in patria, e noi la abbandoniamo; essi, nuotando,
ottengono un aumento della loro specie, e noi, navigando, una
diminuzione della nostra.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 279
Bas., i/ exaem., 157 BC (67 BC); 8
Wtv .
6 , -
. 8 -
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., Comm., I, 4, 12: suHepoca del parto.
Bas., Hexaem., 157 D (67 D): -
.
31. Quis igitur neget diuinitus illis infusum ingenium esse
huiusmodi atque uirtutem, cum uideat istos in aquilonem tam
sollemnem obeundae fecunditatis peregrinationem uiuaci ingenio
conponere, Eilios in exiguo corpore temtum ualiditatis adsumere, ut
maximas naulum plenis currentes uelis in mediis fluctibus sistant,
sicut breuis pisciculus echeneis tanta facilitate memoratur nauem
ingentem statuere, ut quasi radicatam mari haerere uideas nec
moueri; aliquamdiu enim iilmobilem seruat. An et huic putas
sine creatoris munere tantum potuisse subpetere uirtutis? Quid
gladios loquair aut serras aut canes maritimos aut balaenas aut
zygaenas, quid etiam turturis aculeum et hoc mortuae? Sicut enim
uiperae os si quis calcauerit recens dumtaxat grauius quam uene-
num nocere fertur et inmedicabile uulnus serpre, ita tiam turtur
aculeo suo mortua amplius quam uiua periculi adferre memoratur.
Lepusculus quoque, timidum animal in terris, in mari formidabile,
citam et quae non facile possit auferri corruptelam inuehit. Voluit
enim te creator tuus nec in mari satis ab insidiantibus esse se
curum, ut propter pauca quae noceant quasi in excubiis positus
armis fidei semper et scuto deuotionis accinctus a domino tuo
debeas salutis sperare praesidium.
280 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 10, 31 - c. 11, 32
Caput XI
32. Veniamus ad Atlanticum mare. Quam ingentia illic et in
finitae magnitudinis cete, quae si quando supernatant fluctibus,
ambulare insulas putes, montes altissimos summis ad caelum
31. Chi dunque potrebbe negare che per volere divino sia
stata infusa in essi una simile ingegnosa attitudine e una simile
capacit, vedendo che essi, ad intervalli cosi regolari, organizzano
con un'abilit ricca diniziativa il viaggio verso nord per ottenere
la procreazione? che altri nel loro piccolo corpo raggiungono
tanta energia da arrestare nel mezzo dei flutti le pi grandi navi
che corrono a vele spiegate? Cosi si dice che un minuscolo pe
sciolino come la remora trattenga con tale facilit ima nave enorme,
che tu potresti vederla ferma sul mare, come se vi avesse affondato
le radici, senza muoversi pi; infatti riesce a tenerla immobile per
un certo periodo di tempo. Forse pensi che anche a questo pesce
sia potuta toccare tanta forza senza intervento del Creatore?
Perch parlare dei pesci spada o dei pesci sega o dei pescicani o
delle balene o dei pesci martello? Perch parlare anche dellaculeo
della pastinaca per giunta dopo la sua morte? Infatti, come si
dice che, se uno calpesta la bocca di una vipera, purch morta da
poco, essa sia pi nociva del veleno e la ferita si estenda senza
rimedio cosi dicono che anche la pastinaca con il suo aculeo sia
pi pericolosa da morta che da viva. Anche il leprotto animale
timido sulla terra, ma temibile in mare, produce uninfezione
rapida e difficilmente guaribile. Infatti il tuo Creatore ha voluto
che tu nemmeno in mare fossi sufficientemente sicuro da chi t'in
sidia, perch, stando allerta a causa di pochi esseri nocivi, rivestito
costantemente delle armi della fede e dello scudo della piet, tu
debba sperare dal tuo Signore la difesa che salva.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 281
Capitolo 11
32. Veniamo ora a parlare dellOceano Atlantico. Quali enor
mi cetacei vi si trovano e di quale smisurata grandezza! Quando
essi nuotano alla superficie, penseresti a isole in movimento*, a
Bas., Hexaem., 161 BC (69 A): Ev S
^
, -
( ,
; et. PUN., . ., IX, 24, 79. Si tratta,
naturalmente, di una leggenda.
il pesce che Plinio {N.H., IX, 48, 155) chiama trygon e pastinaca.
Quest'ultimo nome usato anche in italiano per indicare comunemente questa
ipecie di pesci, noti per l aculeo caudale con cui iniettano il loro veleno.
Cf. Ov., Mei., I, 190: sed immedicabile corpus; X, 189: erat im
medicabile uuinus.
E una specie di grosso mollusco; cf. Plin., NJ l., XXXII, I, 8; IX, 48, 155.
Bas., Hexaem., 161 C (69 B): 6 (
(, ( ) ,
, ,
.
Cf. Verg., Aen., V i l i , 691-692: pelago credas innare reuulsas / Cycladas
ut montis concurrere montibus altos.
uerticibus eminere! Quae non in acta nec in litoribus, sed in
Atlantici maris profundo feruntur uideri, ut eorum conspectu
nautae a nauigandi in illis locis praesumptione reuocentur nec
secreta elementorum adire sine supremo terrore mortis usurpent.
282 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, c. 11, 32-33
33. Sed iam adsurgamus ipsi de profundo maris et aliquan
tum sermo noster emergat atque ad superiora se subrigat. Spec
temus ea quae usitata multis et plena sint gratiae, quomodo aqua
in salis uertatur soliditatem, ut ferro saepe caedatur, quod de
Brittannicis salibus nihil mirum, qui <in>speciem marmoris ualidi
eiusdem metalli niueo candore resplendent, salubres corporis cibo
et potui nimis grati: quomodo etiam non indecorus lapis cora
lium in mari herba sit, si in aerem transferatur, lapidis firmitate
solidetur: unde etiam ostreis pretiosissimam margaritam natura
infixerit, quomodo eam maris aqua in tam molli carne solida
uerit. Quae difficile apud reges inueniuntur, ea litoribus quasi
uilia iacent uulgo et in saxis asperis et cautibus colliguntur. Au
reum etiam uellus aqua nutrit et lanam in memorati speciem me
talli gignunt litora, cuius colorem nullus adhuc eorum qui fucis
diuersis obducunt uellera potuit imitari. Adeo naturae maritimae
gratiam humana implere nescit industria. Scimus qua sollicitudi
ne uellera ouium etiam minus pretiosa curentur; sint licet optima,
nequaquam tamen his fucus innascitur. Hic naturalis color est,
quem nullus adhuc fucus aequauit. Hoc quoque piscis est uellus,
sed et ipsi murices, qui insigne dant regium, sunt maritimi.
33, 5. Brittanicis Schenkl Brittannicis plerique codd.
monti altissimi che con le loro cime svettano verso il cielo. Si
dice che non si vedano n limgo le coste n presso il litorale,
ma nelle zone sconosciute dellOceano Atlantico cosicch per la
loro presenza i marinai sono distolti dal navigare temerariamente
in quei luoghi n osano, senza un estremo timore della morte, spin
gersi in quei recessi degli elementi.
33. Ma ormai risaliamo anche noi dal fondo del mare e il
nostro discorso emerga alquanto e si elevi verso ci che sta so
pra*. Guardiamo cose note a molti e tuttavia piene di attrattiva:
come lacqua si trasformi assumendo la solidit del sale, cosi
che spesso viene tagliata con una lama, fatto che non ha nulla di
strano se si pensa ai sali di Britannia, che, simili a marmo du
rissimo, risplendono del niveo candore dello stesso minerale, sa
lutari se usati nel cibo, straordinariamente gradevoli quale be
vanda^; come anche il corallo, una pietra non priva di bellezza,
in mare sia erba e, portato aH'aria aperta, si solidifichi assumendo
la durezza della pietra; con quali mezzi la natura abbia infuso an
che nelle ostriche una perla preziosissima e come l'acqua marina
l'abbia solidificata in mezzo ad una carne cosi molle. Queste gem
me, che si trovano a malapena nei tesori regali, giacciono sparse
sul lido come oggetti senza valore e si raccolgono tra le rocce
scabre e gli scogli. L'acqua nutre anche una lana d'oro che le
coste producono nellaspetto di questo metallo, della quale nes
suno, fra coloro che tingono i velli con succhi svariati, riuscito
a imitare il colore. A tal punto l'ingegnosit umana incapace
di riprodurre le bellezze naturali del mare. Sappiamo con quale
attenzione siano lavorate le lane ovine anche meno pregiate; siano
pure della qualit migliore: tuttavia non hanno mai spontanea
mente una simile tinta. Questo un colore naturale che nessima
tintura riuscita finora ad eguagliare. Anche questa lana un pe
sce. Ma anche i murici, che ci danno le insegne regali, pro
vengono dal mare.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 283
* Bas., Hexaem., 161 B (69 A): ... 6pem
* & , $
.
( , 6
!. Vedi anche 156 C (66 D).
Bas., Hexaem., 161 C (69 B): > &,
.
* Non ne sappiamo nulla.
* Bas., Hexflem., 161A (68DE ): * &
& ,
,
0 . *
, -
, .
* Bas., Hexaem., 161 A (68 E ): t Spiov al ,
(nep ^ .
l; , at ? .
La (meglio che ^ ) un mollusco, dentro una conchita, che si
aUacca alle rocce mediante filamenti serici che possono essere filati e, quindi,
tessuti.
^I murici sono i molluschi dai quali gli antichi estraevano la porpora.
34. Et quae pratorum gratia uel hortorum amoenitas potest
caeruli maris aequiperare picturam? Aurum licet in pratis flores
refulgent, auri quoque fulgorem in mari lana resplendet, et illi
cito meircescunt, ista diu duratura seruatur. Lilia in hortis eminus
nitent, uela in nauibus; hic odor, illic uentus aspirat. Quae utili
tas in folio? In nauibus quanta commercia! Lilia suauitatem na
rium, uela hominum salutem inuehunt. Adde pisces salientes et
delphinas ludentes, adde rauco sonantes fluctus murmure, adice
currentes naues ad litora uel de litoribus exeuntes. Et cum e
carceribus emittuntur quadrigae, quanto studio spectantum et
amore certatur! Equus tamen in uanum currit, non in uanum
nauigia; ille in uanum, quia uacuus, ista ad utilitatem quasi plena
frumenti. Quid his gratius quae non uerbere aguntur, sed uento
rum spiramine, ubi nemo refragator, sed omnes fautores sunt, ubi
nemo uincitur quicumque peruenerit, sed omnes puppes, quae
peruectae fuerint, coronantur, ubi palma merces salutis, uictoria
pretium regressionis est. Quantum enim distat inter directos cur
sus ac reflexos! Isti perpetuantur, hi resoluuntur. Adiunge remi
giis contexta litora, quibus uexillum exeundi aura de caelo est.
Itaque aurigae plausum inanem referunt, hi soluunt uota seruati.
284 EXAMERON, DIES V, SER. VII, c. 11, 34-35
35. Quid de lona dignum loquar, quem cetus excepit ad ui-
tam, reddidit ad prophetandi gratiam? Emendauit aqua quem ter
rena deflexerant. Psallebat in utero ceti qui maerebat in terris
et, ut utriusque redemptio non praetereatur elementi, terrarum
salus in mari ante praecessit, quia signum filii hominis signum
Ps 32, 17.
b Ion 2, 2-3.
34. E quale incanto di prati o quale amenit di giardini pu
uguagliare la tinta del mare color del cielo? Sebbene i fiori nei
prati rifulgano d'oro, nel mare la lana risplende anch'essa dei ba
gliori dell'oro e, mentre quelli rapidamente appassiscono, questa
invece si conserva per una lunga durata. I gigli nei giardini spic
cano candidi in lontananza, sulle navi spiccano candide le vele; l
spira l'olezzo, qui il vento. Quali utilit hanno i petali? Sulle navi,
invece, quanti commerci! I gigli recano piacere all'odorato, le vele
sopravvivenza agli uomini. Aggiungi i pesci saltellanti, i giochi dei
delfini, aggiungi i flutti risonanti con mormorio roco; aggiungi le
navi che si accostano rapide al lido o che da questo si partono.
Anche quando le quadrighe vengono fatte uscire dai recinti, co
me la gara si svolge tra linteresse e la passione degli spettatori!
Tuttavia il cavallo corre senza scopo, non cosi le navi: quello
senza uno scopo perch non porta nulla, queste per recare vantag
gio in quanto cariche di frumento. Quale spettacolo pi grade
vole di queste navi che non sono sospinte a colpi di frusta, ma
dal soffio del vento, dove nessimo avversario, ma tutti sono so
stenitori, dove nessuno, giunto a destinazione, viene vinto, ma
tutte le poppe delle navi che hanno ultimato il viaggio sono inghir
landate di corone: palma la ricompensa d'essere incolumi, vit
toria il premio di aver fatto ritorno. Quanta differenza c', in
fatti, tra i percorsi diretti e i percorsi che ritornano su se stessi!
Quelli si continuano a ripercorrere, questi si concludono una volta
per sempre Aggiungi i litorali affollati di marinai per i quali il
vento che spira dal cielo il segnale per salpare. Perci gli aurighi
ottengono un inutile applauso, questi, ritornati sani e salvi, sciol
gono i loro voti.
35. Come potrei parlarvi degnamente di Giona che un ce
taceo accolse per salvargli la vita e restitu per consentirgli di
compiere la sua missione profetica? Lacqua lo richiam al do
vere, mentre gli interessi terreni Io avevano traviato Nel ventre
del cetaceo cantava salmi, mentre sulla terra era triste; e, per non
trascurare la redenzione di entrambi gli elementi, la salvezza della
terra si comp prima nel mare, perch il segno del Figlio dell'uomo
il segno di Giona * Come costui nel ventre del cetaceo, cosi
Ges rimase nel seno della terra. L'uno e l'altro elemento offri-
I SEI GIORNI DELU CREAZIONE 285
Cf. Vero., Georg., I , 512: ut cum carceribus sese effudere quadrigae.
* Cf. Sai. 32, 17: Fallax equus ad salutem.
Come osserva anche il Coppa (op. cit., p. 290, n. 95), il passo molto
oscuro. Penso che S. Ambrogio contrapponga la rotta delle navi, che si con
tinua a percorrere una volta sperimentata, e il percorso delle qu adr ile
die si esaurisce gara per gara. Cursus reflexus alluderebbe all'uso di girare
pili volte intorno allo stadio (Svet. Dom. 5).
Giona aveva cercato di sottrarsi all'ordine del S i^or e e, invece di
recarsi a Ninive, si era imbarcato alla volta di Tarsis (Giona, 1, 1-3).
Anche S. Basilio nella perorazione della settima omelia (164 A s 69 C) ri
chiama l'episodio d Giona.
^ Leggiamo in Matt., 12, 39: Una generazione perversa e adultera pre
tende un segno! Ma nessun segno le sar dato se non il segno di Giona
profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce,
cosi il Figlio deU'uomo rester tre giorni e tre notti nel cuore della terra .
lonae. Sicut iste in utero ceti, sic lesus in corde terrae <=. In utro
que remedium, maius tamen in mari pietatis exemplum, quoniam
exceperunt pisces quem homines refutarunt et quem homines
crucifixerunt pisces seruauerunt. Petrus quoque in mari titubat i,
sed non labitur et confessus in fluctibus tamen negauit in terris'.
Itaque illic quasi deuotus manu adprehenditur, hic quasi oblitus
aspectu censorio conuenitur'. Sed iam rogemus dominum, ut ser
mo noster quasi lonas eiciatur in terram, ne diutius in salo
fluctuet. Et bene etiam exiuit cucurbita*, quae obumbret nos a
malis nostris. Sed et ipsa procedente sole arefacta admonet re
quiescendum, ne in terra aestuare incipiamus ingenio et nobis
etiam uerba deficiant. Certe plus nobis quam Nineuitis data est in
aquis remissio peccatorum.
286 EXAMERON, DIES V, SER. VI I, c. 11, 35; SEK. VI I I , c. 12, 36
SERMO V I I I
Caput X I I
36. E t cum paulalum conticuisset, iterum sermonem adorsus
ait: Fugerat nos, fratres dilectissimi, necessaria de natura auium
dispu^tio, et sermo huiusmodi nobis cum ipsis auibus euolauerat.
Fit enim natiura quadam, ut ii qui aliquid intuentur uel dicendo
exprimere uolimt eorum qualitatem quae uel intuentur uel Io-
quimtur adsumant, ut et cum pigrioribus inmoremur et cura ue
locibus celeri rapiamur aspectu, stilo quoque aut tardiore uta
mur aut rapido. Itaqiie cum caueo, ne mari demersa praetereant
c Mt 12, 40.
<Mt 14, 30.
Mt 26. 70.
Lc 22, 61.
* Ion 4, 6.
reno un rimedio; tuttavia nel mare fu pi grande lesempio, per
ch i pesci accolsero colui che gli uomini avevano respinto e i
pesci salvarono colui che gli uomini avevano crocefisso Anche
Pietro sul mare vacilla, ma non cade e, dopo aver confessato Cristo
sulle onde, lo rinneg sulla terra. Perci, l, perch fedele, viene
preso per mano; qui, perch smemorato, sincontra in uno sguardo
di riprovazione. Ma ormai preghiamo il Signore che il nostro di
scorso come Giona sia gettato sulla terra, affinch non sia sbat
tuto pi a lungo in mezzo al mare. E anche la pianta di zucca
spuntata a proposito per proteggerci dai nostri mali. Ma anch'es-
sa, per il fatto dessersi essiccata col procedere del sole, ci am
monisce che dobbiamo riposarci perch; giunti sulla terra, la no
stra intelligenza non cominci a ribollire e quindi non ci vengano
meno anche le parole. Certamente per mezzo dellacqua ci stata
concessa la remissione dei peccati in misura maggiore che ai
Niniviti.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 287
V i l i SERMONE
Capitolo 12
E dopo aver taciuto per qualche tempo, riprendendo nuova
mente a parlare disse: *
36. Ci eravamo dimenticati, fratelli dilettissimi, quanto sia
indispensabile trattare della natura degli uccelli e il nostro discor
so su tale argomento aveva spiccato il volo insieme con essi ^C-
pita infatti naturalmente che chi osserva qualche cosa o la vuole
esprimere a parole assUme le caratteristiche delle cose che osserva
0 descrive, cosi che indugiamo con quelle che sono piuttosto pi
gre, con quelle veloci ci lasciamo trascineure in un fuggevole sguardo
ed abbiamo anche la penna pi lenta oppure rapida a seconda dei
casi. Per questo, mentre badavo a non trascurare ci che som-
Non si capisce bene che cosa intenda qui S. Ambrogio con pesci .
Il Coppa (op. cit., 291, n. 98) suppone che forse potrebbero essere i fedeli
che accolgono la parola e rimanda a V, 6, 15-16. I l Pasters (op. cit., p. 468,
0. 4) scrive: <Si noti... che nel "colui l'autore identifica idealmente il
timbolo di Giona e la realt di Cristo . Ad ogni modo l'argomentazione
ppare forzata.
Si allude alla pianta di zucca fatta crescere da Dio {Giona, 4, 6-11) per
proteggere Giona dal sole e quindi fatta seccare per insegnargli che il Si
gnore si preoccupava della sorte dei Niniviti ben pi a ragione che il pro
feta di una semplice pianta. Invece di zucca {Settanta: & ; la VuU
tata ha hedera), le versioni moderne traducono dall'ebraico ricino.
* fi una nota del tachigrafo o stenografo, rimasta eccezionalmente nel
lesto anche dopo la revisione dell'autore.
Bas., Hexaem., 168 C (71 E, 72 A); l ,
4& .
^ .
et aquis operta me lateant, effugit omne uolatile, quia dum incli
natus imos aquarum gurgites scrutor, aerios non respexi uolatus,
nec umbra saltem pinnae me praepetis declinauit, quae in aquis
potuit relucere. Verum ubi omne negotium expeditum putaui et
absolutum esse me credidi et diem quintum consummatum ar
bitratus sum, uenit in mentem auium, quae cUm eunt cubitum,
quasi peracto laetae munere aethera cantu mulcere consuerunt.
Quod uelut sollemniter surgente et occidente die instaurare con
suerunt, ut decursi uel adoriendi nocturni iuxta diurnique tem
poris laudes suo referant creatori. Magnum igitur incentiuum
excitandae nobis deuotionis amiseram. Qui enim sensum hominis
gerens non erubescat sine psalmorum celebritate diem claudere,
cum etiam minutissimae aues sollemni deuotione et dulci carmi
ne ortus dierum ac noctium prosequantur?
288 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 12, 36-38
37. Redeat igitur nobis uolaticus sermo, qui paene fuerat
lapsus ex oculis et aquilae modo alta petens uolatus suos obduxe
rat nubibus, nisi quia oculos abluti aqua dum de gurgite leuamus
ad caelum, speculati uacuum aeris uolatibus ferri ad necessita
tem stili putauimus esse reuocandum. Eritis uos iudices, qui estis
aucupes uerbi, utrum consultius euolet an utiliter in uestra sit
retia relapsus. Nec uereor ne fastidium nobis obrepat in uolatibus
requirendis, quod non obrepsit in gurgitibus perscrutandis, aut
aliqui ex nobis in disputatione obdormiat, cum possit auium can
tibus excitari. Sed profecto qui inter mutos pisces uigilauerit non
dubito quod inter canoras aues somnum sentire non possit, cura
tali ad uigilandum gratia prouocetur. Neque uero uile putetur,
quod potuit praeteriri, cum sit tertia pars in animantibus crea
turae. Tria enim genera animantium esse non dubium est, terre
num uolatile aquatile. Denique sic scriptum est: Educant aquae
reptilia animarum uiuentium secundum genus et uolatilia uolan
tia super terram secus firmamentum caeli secundum genus *.
38. Reuocamur ad superiora sicut obliuiosi uiatores, qui cum
inconsulto praeterierint, in sua reuertentes uestigia incuriae suae
multam repetito itineris labore suscipiunt. Est tamen etiam bo
Gen 1. 20.
merso dal mare e a non dimenticare ci che coperto dalle acque,
mi sono sfuggiti tutti gli uccelli, perch, standomene tutto curvo
a scrutare le profondit dei gorghi marini, non ho rivolto i miei
occhi ai voli su in cielo, e non mi ha distolto dalla mia osserva
zione nemmeno l ombra dell'ala veloce che pur poteva riflettersi
sull'cqua. Ma, quando pensavo di aver esaurito tutto il mio com
pito e credevo di essere a posto e supponevo finito il quinto giorno
mi sono ricordato degli uccelli che, quando vanno a dormire, lieti,
per cosi dire, di aver compiuto il loro dovere, sono soliti rallegrare
il cielo con i loro canti E questo sogliono rinnovare come per una
consuetudine, al sorgere e al tramontar del sole, per lodare il
loro Creatore per la notte come per il giorno, quando sono tra
scorsi o stanno per cominciare. Avevo perduto dunque una grande
occasione per suscitare in noi il sentimento della devozione. Quale
uomo dotato di sensibilit non arrossirebbe di concludere la sua
giornata senza la recita dei salmi, dal momento che anche gli
uccelli piccolissimi accompagnemo il sorgere del giorno e della
notte con un atto di piet abituale e con un dolce Ccuito?
37. Ritorni dunque per noi il discorso alato che quasi aveva
mo perduto di vista e che, a guisa daquila salendo in alto, aveva
nascosto fra le nubi il suo volo; se non che, mentre purificati
dallacqua innalzavamo dallabisso i nostri occhi verso il cielo, ve
dendo che esso si lasciava trasportare spensierato a volo per
laria^, abbiamo ritenuto di doverlo ricondurre alle esigenze della
trattazione. Sarete giudici voi che siete gli uccellatori delle mie
parole, se pi saggio che esse volino via oppure se, con vostro
vantaggio, siano cadute nelle vostre reti. E non temo che nel se
guire i voli degli uccelli si insinui in noi la noia che non ci ha
colto scrutando gli abissi o che qualcuno di noi si addormenti nel
corso della esposizione, perch potrebbe essere risvegliato dal canto
degli uccelli. Ma senza dubbio mi sembra impossibile che chi
riuscito a rimanere sveglio fra i muti pesci, si lasci prendere dal
sonno fra gli uccelli, essendo stimolato a rimanere sveglio da
una simile attrattiva. Daltra parte non si consideri di p>oco conto
ci che si potuto passare sotto silenzio, dal momento che gli uc
celli costituiscono un terzo degli animali di tutto il creato". Tre
infatti sono fuor di dubbio le specie animali: terrestri, alate, acqua
tiche. Infine sta scritto cosi: Le acque producano rettili in un
brulichio di esseri viventi secondo la propria specie e volatili che
volino sulla terra in faccia al firmamento del cielo secondo la
propria specie.
38. Dobbiamo ritornare a ci che precede, come viaggiatori
distratti i quali, essendo andati oltre senza riflettere, ritornando
sui loro passi pagano la pena della loro leggerezza con la raddop-
I SEI GIORNI DEUA CREAZIONE 289
* et. Vero,, Aen., VI I , 34: aethera mulcebant cantu lucogue ualabant.
Cf. Hc., Carm., I , 32, 1-2; si quid uacui sub umbra / lusimus lecum.
aeris = aeriis.
* Tpico squarcio di oratoria ambrosiana, nel quale giochi di parole
foriginc retorica si mescolano ad un umorismo scherzoso e benevolo.
nus uiator, qui dispendium regressionis reliqui itineris compen
diosa celeritate compenset, ut mihi faciendum arbitror, maxime
cum de auibus sermo sit, quae solent oculos hominum uolatu pro-
peratiore praestringere. Quid enim conuenit in his demorari in
quibus celeritas placere consueuit? Auius igitur et inusitatus in
tali genere scriptionis sermo noster canoris auibus resonet ac
resultet.
290 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 12, 38-39 - c. 13, 40
39. Sed unde mihi cygnea carmina, quae etiam sub graui
mortis inminentis terrore delectant? Vnde mihi illos naturales
modulos cantilenae, quibus etiam paludes sonorae cantus edunt
dulcissimos suauitate? Vnde mihi uoces psittaci dulcedinemque
merularum? Vtinam saltem luscinia canat, quae dormientem de
somno excitet; ea enim auis signare solet diei surgentis exortum
et effusiorem diluculo deferre laetitiam. Tamen si illorum sua
uitas deest, sunt gementes turtures et raucae colvmibae, tum etiam
cornix plena uoce pluuiam uocat. Vnde rurale auiarium sermone
quo possumus, scientia quam nos rusticani docuerunt perse
quamur.
Caput X I I I
40. Et quoniam de aquatilibus reptilibus diximus, arduum
est ut subito ad aues caeli sermo noster ascendat. Et ideo de his
auibus prius dicamus, quae circa aquas maris fluminumque uer*
santur, cum quibus possumus emergere. Itaque ab alcyone ser
monem adoriamur. Ea est auis maritima, quae in litoribus fetus
suos edere solet, ita ut in harenis oua deponat medio fere hiemis.
Nam id temporis fouendis habet deputatum partibus, quando
maxime insurgit mare litoribusque uehementior fluctus inliditur,
quo magis repentinae placiditatis sollemnitate auis huius eluceret
39, 4. sittaci Schenkl psittaci plerique codd.; cf. V, 14, 49.
piata fatica del viaggio. C tuttavia anche il buon viaggiatore
che sa compensare il tempo speso per ritornare indietro con ima
vantaggiosa rapidit nel resto del viaggio, come penso di dover fare
io, specialmente trattando degli uccelli che sogliono sfiorare gli
occhi degli uomini con il loro rapido volo. Come pu essere con
veniente attardarsi su queste creature delle quali solitamente ci
piace la velocit? I l mio discorso dunque, inusitato e lontano dalle
vie consuete in questo genere di trattazione, risuoni e riecheggi del
canto degli uccelli.
39. Ma donde attinger i canti del cigno che pur nel pau
roso terrore della morte ci recano diletto? Donde quelle naturali,
ritmiche cantilene, per effetto delle quali anche le paludi risonanti
innalzano canti di dolcissima soavit? Donde i discorsi del pap
pagallo e il canto melodioso dei merli? Magari cantasse almeno
l'usignolo per risvegliare chi dorme: tale uccello, infatti, suole
annunciare l inizio del giorno che sorge e spandere nel mattino
una pi diffusa letizia*. Tuttavia, se manca il loro'canto soave,
ci sono il gemito delle tortore e il roco tubar delle colombe, c'
anche la cornacchia che a gran voce chiama la pioggia . Trat
tiamo quindi degli uccelli di campagna con termini alla nostra
portata, utilizzando le nozioni apprese dai contadini.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 291
Capitolo 13
40. E poich abbiamo parlato dei rettili acquatici, difficile
che il nostro discorso si elevi ad un tratto fino agli uccelli del
cielo. Perci trattiamo prima di quelli che vivono presso le acque
del mare e dei fiumi, con i quali possiamo poi levarci in alto.
Cominciamo dall'alcione Questo im uccello marittimo che suole
dare alla luce i suoi piccoli sul lido, deponendo le uova nella sab
bia verso la met dell'invemo. Tale tempo gli stato stabilito per
covare le sue creature, quando il mare si gonfia di pi e le ondate
pi violente flagellano i lidi, perch il privilegio particolare di
questo uccello spiccasse maggiormente provocando le consuete
Bas., Hexaem., 168 C (72 A): tolvuv
, , & -
, , ^[^[(
< xirov , , , -^ -
.
Cf. Vero., Georg., I I , 328: auia tum resonant auibus uirgulta canoris.
Cf. Anth. Lat., 762 R 1, 13, 31, 42.
Cf. Vero., Bue., l , 57-58: nec tamen interea raucae, tua cura palumbes /
MU gemere aeria cessabit turtur ab ulmo.
Cf. Verg., Georg., I , 388; tum cornix plena pluuiam uocat improba uoce.
Alcione: nome delluccello martin pescatore , usato talvolta impro
priamente anche per il gabbiano (Devot o-Ou ).
gratia. Namque ubi undosum fuerit mare, positis ouis subito mi
tescit et omnes cadunt uentorum procellae flatusque aurarum
quiescunt ac placidum uentis stat mare, donec oua fouet alcyone
sua. Septem autem dies fotus sunt, quibus decursis educit pullos
fetusque absoluit. Ilico alios quoque septem adiungit dies, quibus
enutriat partus suos, donec incipiant adolescere. Nec mireris tam
exiguum nutriendi tempus, cvun absolutio fetuum tam paucorum
dierum sit. Tantam autem gratiam minuscula auis diuinitus in-
dultam habet, ut hos quattuordecim dies nautici praesumptae se
renitatis obseruent, quos et alcyonidas uocant, quibus nullos mo
tus procellosae tempestatis horrescant.
292 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 13, 4042
41. Nonne uos passeribus pluris estis? dominus ait. Si igi
tur auis minusculae contemplatione et insurgit mare et repente
comprimitur atque aspero hiemis inter graues procellas tempe-
statesque uentorum deterget caeli nubila fluctusque componit
elementis omnibus subito infusa tranquillitas, quantum praesu
mere debeas, o homo, ad imaginem dei factus agnoscis, si tamen
auiculae istius fidem studio deuotionis imiteris. Illa tempestates
uidens insurgere, saeuire uentos inter hiberni saeua non reuocatur
neque reflectitior, sed inpellitur. Denique in litore sua oua consti
tuit, ubi ea relabente fluctu madida adhuc harena suscipiat, nec
insurgentes fluctus, quos immurmurare atque adlabi uideat, re
formidat.
42. Et ne putes quod ouorum uideatur habere contemptum,
continuo, ubi deposuerit oua, nidificat et suo partus corpore
fouet nec saluti propriae adluuione litoris pertimescit, sed secura
de dei gratia uentis se committit et fluctibus. Parum est hoc.
Adiungit totidem alios ad nutriendum dies nec interpellari tot
diebus infidi maris tranquillitatem ueretur temptatque meritum
suum naturae iam sollemnitate fundatum. Illa teneros fetus non
latibulis aliquibus abscondit aut tectis nec includit cauemis, sed
nudo et rigenti conamittit solo, nec defendit a frigore, sed diuino
fotu, quo magis cetera despiciat, tutiores fore extimat. Quis no
strum paruolos suos non uestimentis tegat, tectis abscondat, quis
non claudat eos saeptis cubiculorum, quis non ita diligenter un
dique fenestras obstruat, ne qua possit aura uel leuiter penetra-
a Lc 12, 7.
pause d'improvvisa bonaccia. I l mare, se agitato, si calma su
bito appena deposte le uova, s placano tutte le procelle dei venti,
hanno tregua le raffiche e la superficie marina resta immobile per
l'assenza del vento*, per tutto il tempo in cui l'alcione cova le
proprie uova. La covatura si prolimga per sette giorni, trascorsi
i quali fa uscire i piccoli ormai completamente formati. Subito
aggiunge altri sette giorni per nutrirli, finch non comincino a
crescere. E non meravigliarti di un cosi breve periodo di alleva
mento, dal momento che la completa formazione dei piccoli ri
chiede pochissimi giorni. Ed tanto grande il dono che questuc
cello di modeste proporzioni ha ricevuto dalla bont di Dio, che
i marinai rimangono in attesa di questi quattordici giorni di
bonaccia, che chiamano anche dell'alcione , perch in essi non
devono temere l imperversare del cattivo tempo*.
41. Voi non valete pi dei passeri? dice il Signore. Se dun
que per riguardo d'im modesto uccello il mare si solleva e tosto
si placa e nell'asprezza deirinverno, tra violente procelle e tem
peste di vento, la bonaccia, diffondendosi repentinamente in tutti
gli elementi, sgombra le nubi del cielo e spiana i flutti, sai che
cosa devi attenderti, o uomo, creato ad immagine di Dio, purch
tu imiti con l'impegno della tua devozione la serena fiducia di
questo piccolo uccello. Esso, pur vedendo levarsi le tempeste e
infuriare i venti mentre imperversa l'inverno, non se ne lascia
dissuadere, non si tira indietro, ma ne riceve stimolo; depone
le sue. uova addirittura sulla spiaggia perch ivi le accolga la sab-
bia ancor umida per il rifluire dell'onda, e non si spaventa per l'in
sorgere dei flutti che vede spingersi gorgogliando sulla riva.
42. E perch tu non pensi che l'alcione sia incurante delle
sue uova, fabbrica il nido subito dove le ha deposte, le riscalda
con il suo corpo, senza preoccupazione per la propria incolumit
in seguito al riversarsi copioso dell'acqua sul lido, ma, sicuro della
bont di Dio, si affida ai venti ed ai flutti. E questo ancor poco.
Aggiunge altrettanti giorni per l'allevamento n teme che in tutti
questi giorni s'interrompa la tranquillit del mare infido e mette
alla prova il proprio merito ormai fondato sulle consuetudini della
natura. L'alcione non cela i propri piccoli in qualche nascondiglio
0 riparo n l chiude in cavit rocciose, ma li affida alla nuda terra
irrigidita dal gelo; n li protegge dal freddo, ma pensa che saranno
pi sicuri per il tepore fornito loro da Dio e per tale motivo si cura
meno del resto. Chi di noi non proteggerebbe con vesti i propri
bambini, non li nasconderebbe in casa, chi non li chiuderebbe tra
le pareti della stanza da letto, chi non turerebbe diligentemente
k finestre da ogni parte affinch non possa penetrarvi nemmeno
un filo d'aria? Noi in tal modo otteniamo di spogliare della pro-
* Cf. Verg., Bue., I I , 26: cum placidum uentis starei mare; IX, 57-58:
a omnes, aspice, uenlosi ceciderunt murmuris aurae.
* Bas., Hexaem., 177 AB (75 E, 76 A): ' .
,
... " >
6(; . Cf. Arist., .., V, 8, 542 b, 4; PuN., N.H., X, 32, 90,
e XVIII, 62, 231, dove manifesta un certo scetticismo.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 293
re? Merito quos tam sollicite induimus ac fouemus, exuimus eos
clementiae caelestis inuolucro, alcyone uero quos nudos proicit
eos diuino uestit indutu.
43. Nec uos praeteribo, merguli, quibus ab adsiduitate mer
gendi nomen hoc haesit. Qupmodo semper mergentes aurarum
signa colligitis et praeuidentes tempestatem futuram propere me
dio reuolatis ex aequore et ad litorum tuta cum clamore conce
ditis! Quomodo etiam, fulicae quae maritimo delectantur pro
fundo refugientes quam praescitis commotionem maris in uado
luditis! Ipsa ardea, quae paludibus inhaerere consueuit, notas de
serit sedes imbresque formidans supra nubes uolat, ut procellas
nubium sentire non possit. Consideremus diuersas uolucres ma
ris, quemadmodum inminente uentorum motu ad tutiora et tunc
temporis dulciora sibi stagna se conferant atque in abscondito
terrarum sinu cognita sibi alimenta rimentur.
294 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 13, 4244
44. Nocturnas autem anserum quis non miretur excubias,
qui uigilias etiam suas cantus adsiduitate testantur? 'Denique eo
etiam Romana Capitolia a Gallo hoste seruarunt. Merito illis de
bes, Roma, quod regnas. Dii tui dormiebant et uigilabant anseres.
Ideo illis diebus anseri sacrificas et non loui; cedunt enim dii
uestri anseribus, a quibus se sciunt esse defensos, ne et ipsi ab
hostibus caperentur.
44, 5. di Schenkl dii omnes codd. praeter unum.
lezione della misericordia divina proprio quelli che ci preoccu
piamo tanto di vestire e -di tener riparati; l'alcione invece ricopre
della veste fornita da Dio i suoi piccoli che abbandona nudi e
senza difesa.
43. N tacer di voi, smerghi^, cui rimasto questo nome
dal vostro frequente immergervi nel mare *. In qual modo, nono
stante le vostre immersioni ininterrotte, cogliete i segni dati dai
venti e, prevedendo -la burrasca imminente, ritornate in fretta
volando dal mare aperto e vi rifugiate schiamazzando al sicuro
sulla spiaggia? Anche voi, folaghe, uccelli che pur godono di
tuffarsi nelle profondit marine in che modo, evitando lo scon
volgimento del mare che riuscite a prevedere, fate i vostri giochi
dove l'acqua bassa? *. Lo stesso airone, che solitamente non ab
bandona le paludi, lascia le sedi consuete e, temendo la pioggia,
vola sopra le nubi, cosi che riesce ad evitare le tempeste. Con
sideriamo come i vari uccelli marini, quand imminente una
bufera di vento, si rifugino negli stagni per essi pi sicuri e,
in quella circostanza, pi graditi e' in quei loro nascondigli
cerchino, scavando, il cibo ad essi ben noto.
44. Chi non ammirerebbe i turni di guardia delle oche che
dimostrano di essere vigilanti ripetendo assiduamente il loro ver
so? Cosi anzi salvarono anche il Campidoglio di Roma dall'attacco
dei Galli. A buon diritto, Roma, sei loro debitrice del tuo imperol
I tuoi numi dormivano e vegliavano le oche. Perci in quei giorni
tu sacrifichi all'oca e non a Giove; infatti gli di vostri cedono alle
oche dalle quali sanno di essere stati difesi affinch non cades
sero anch'essi nelle mani dei nemici*.
I SEI GIORNI DELIA CREAZIONE 295
* Cf. Verg., Georg., I , 361-362: cum medio celeres reuolant ex aequore mer-
fi / clamoremque ierunt ad Utora; vedi anche Plin., N.H., XVI I I , 87, 362.
* Varr., L.L., V, 13, 78: mergus quod mergendo in aquam captat escam.
L'etimologia esatta; vedi -, Dici, tym., sub noce.
* Cf. Vero., Georg., I , 362-363: cumque marinae / in sicco ludunt fulicae.
Cf. Vero., Georg., I , 363-364: notasque paludes / deserit atque altam
supra uolat ardea nubem.
Bas., Hexaem., 181 BC {77 E):
tJ jv ,
, 6 '
fccpav . Cf. PUN., . ., X, 22, 51: E t
enseri uigil cura Capitolio testata defenso, per id tempus canum silentio
proditis rebus, quam ob causam cibaria anserum censores in primis locant;
wdi anche XXIX, 14. 57. e Verg.. Aen., V I I , 655^56.
Sawerte qui un'eco sarcastica della polemica contro il paganesimo deeli
ante, ma non ancora sconfitto, della quale era stato un episodio particolar-
BKQte significativo lo scontro tra Ambrogio e Simmaco (384); vedi, p. es., H.
Buch, La rinascita pagana in Occidente alla fine del secolo I V, in I l conflitto
tn paganesimo e cristianesimo nel secolo I V , Saggi a cura di A. Momigliano,
Eioaudi, Torino 1968, pp. 201 ss.
Caput XIV
45. Pulchre autem post descriptionem piscium de his auibus
quae adsuetae sunt aquis sermo successit, quia et ipsae similiter
usu natandi et munere delectantur. Vnde prima cognatio uidetur
auibus istis esse cum piscibus, quoniam natandi communis quae
dam uidetur utrique generi esse consortio. Secunda quoque co
gnatio auibus et piscibus est eo quod uolantis usus species sit na
tantis. Sicut enim aquam natando piscis incidit, ita auis aerem
uolatu celeri secat. Atque utrique generi similiter caudae suppetit
alarumque remigium, ut pisces ad priora se alis subrigant atque
ad ulteriora procedant, caudae quoque gubernaculo uel quo uelint
se facile conuertant uel impetu quodam e regione iter suum diri
gant. Aues quoque aeri uolatibus suis uelut aquis innatant et qua
si quaedam extendunt brachia, cauda quoque se uel ad superiora
subrigimt uel ad inferiora demergunt. Vnde quoniam in nonnullis
idem usus et species, ideo de aquis utriusque generis natiuitas
diuina praeceptione processit. Dixit enim deus: Producant aquae
reptilia animarum uiuentium secundum genus et uolatilia uolantia
secus firmamentum caeli secundum g e n u s Non inmerito igitur,
quia de aquis genus utrumque producitur, natandi proprietas
utrisque subpeditat.
296 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 14, 45-47
46. Sane cum et coluber lubricus omnesque serpentes ideo
enim serpenti nomen est inditum, quia non possunt ambulare, sed
repere , dracones quoque simili modo ut pisces plerique sine
pedibus sint, nullum auium genus pedum officio caret, quia om
nibus uictus e terris, et ideo pedum munere fulciuntur, quia huius-
modi ad escam quaerendam indigent ministerio. Itaque aliae uo-
lucres imguibus armantur ad raptum, ut accipitres et aquilae,
quae rapinam uenationis exercent; aliae uel ad incedendum uel
ad cibum sibi parandum usu ministerioque utuntur adcommodo.
47. Vnum autem nomen auium, sed genera diuersa, quae quis
possit aut memoria aut cognitione conprehendere? Sunt itaque
aues, quae came uescuntur. Ideo his ungues asperi, curuatum
Gen 1, 20.
Capitolo 14
45. Opportunamente poi, dopo la descrizione dei pesci, ab
biamo pariato di questi uccelli che vivono sull'acqua, perch an-
ch'essi, come i pesci, si dilettano abitualmente dellesercizio del
nuoto. Pertanto pare che questi uccelli abbiano ima prima affinit
con i pesci, perch entrambe le specie sembrano avere una co
mune propensione per il nuoto. Pesci e uccelli hanno anche ima
seconda affinit, perch l'atto di chi vola assomiglia a quello di
chi nuota. Come il pesce nuotando solca l acqua, cosi l uccello
nel suo rapido volo taglia l'aria. E l'ima e l'altra specie dispon
gono ugualmente del remeggio della coda e delle ali, cosi che i
pesci mediante le pinne si drizzano e procedono in avanti e, usando
anche la coda come un timone, si volgono facilmente nella dire
zione voluta oppure con un guizzo invertono la loro rotta. Anche
gli uccelli volando nuotano neU'aria come se fosse acqua e, per cosi
dire, tendono le loro braccm e inoltre per mezzo della coda si sol
levano verso l'alto o si lasciano cadere verso il basso. Quindi, poi
ch in alcuni di essi uguale il comportamento e l'aspetto, per
tale motivo per volont divina entrambe le specie sono state
create dalle acque *. Iddio disse infatti: Le acque producano i ret
tili in un brulichio desseri viventi secondo la propria specie e vo
latili che volino sulla terra in faccia al firmamento del cielo se
condo la propria specie. Non a torto, dunque entrambe le spe
cie, provenendo dallacqua^ godono della capacit di nuotare.
46. Senza dubbio, mentre la viscida biscia e tutti i serpenti
infatti sono stati chiamati con questo nome perch non pos
sono camminare, ma soltanto strisciare e inoltre i dragoni sono
per lo pi privi di piedi come i pesci, non c' specie di uccelli che
manchi di tale sostegno, perch tutti traggono il nutrimento dalla
terra e quindi si sostengono con l aiuto delle zampe; hanno infatti
bisogno di un simile aiuto per trovare il cibo^. Perci alcuni uc
celli sono armati di artigli per predare, come gli avvoltoi e le
aquile che cacciano la preda; altri se ne servono in modo adeguato
per camminare o per procur2irsi il cibo.
47. Unico il nome di uccelli , ma le specie sono diverse:
chi potrebbe ricordarle o conoscerle tutte? Vi sono uccelli che si
cibano di carne. Questi hanno artigli appuntiti, becco ricurvo e
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 297
* Bas., Hexaent., 169 A (72 B): * -
.
6 , -
f i i
& >] . *
b ,
^.
* Come si visto sopra (V, 1, 1, n. 4) S. Ambrogio segue alla lettera
0 testo dei Settanta,
Bas., Hexaem., 169 A (72 BC): oSv ,
4
4 .
atque acutum os, uelox uolatus, quoniam raptu uiuunt, ut possint
facile praedam conprehendere quam secvmtur, propere uel ore
uel unguibus euiscerare. Sunt etiam aues, quae reperto pascun
tur semine, aliae diuerso et fortuito cibo. Est etiam diuersitas
copularum, quarum gratia carent quae intendunt rapinis. Nam
propter auiditatem praedandi uel propter insidias explorandi nec
ipsis inter se conuenit, et ideo declinant sui copulam refugit
enim auaritia consortium plurimorum , deinde coniunctio plu
rimorum facile ipsa se proderet. His ergo auibus nihil est copu-
latorium praeter iugale consortium. Ergo aquilis accipitribusque
hic usus est uitae, contra uero colimibae grues sturni corni atque
cornices, etiam turdi gaudent plurimum conexione.
48. Alia quoque auium genera enchoria, quae manent in locis
semper, alia aduenticia, quae obeunt regiones alias et peracta
hieme reuertuntur. Simt alia, quae hieme redeunt, aestate pere
grinantur a nobis, siue quod alia hiemis tempore ad calidiora se
conferant, siue quod pleraque rursus aestatem in his locis exi
gant, quae amoeniora nouerunt. Turdi denique autumni fine, hie
mis confinio quasi exacta aestate se referunt. Quibus nos inhospi
tali immanitate molimur insidias et diuerso genere nimc infida
sede decipere, nunc sibilo eos fallere, nunc laqueis eos captare
contendimus. Ciconiae reditus uexillum ueris attollit. Grues, quia
alta petimt, amant frequenter peregrinari.
298 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 14, 47*49
49. Aliae aues ad manum se subiciunt et mensae adsuescunt
tactuque mulcentur, aliae reformidant. Aliae isdem quibus ho
mines domiciliis delectantur, aliae secretam in desertis uitam di
ligunt, quae requirendi sibi uictus difficultatem libertatis amore
compensant. Aliae uocibus tantum strepunt, aliae canoro delec
tant suauique modulamine. Quaedam ex natura, aliae ex institu
tione diuersarum uocum oblocuntur discrimina, ut hominem pu
tes locutum, cum locuta sit auis. Quam dulcis merularum, quam
expressa uox psittaci esti Sunt etiam aliae simplices ut colum
affilato, volo veloce: cosi, vivendo di rapina, possono facilmente
afferrare la preda che inseguono e sventrarla prontamente col
becco e con gli artigli. Ci sono anche uccelli che si nutrono dei
semi che trovano, altri di cibi diversi e occasionali. C' anche di
versit nello stare insieme, piacere ignoto agli uccelli di rapina,
che per l'avidit di predare o per i pericoli del cacciare, non
vanno daccordo nemmeno fra loro e perci evitano di stare in
sieme l'avidit, infatti, rifugge dalla compagnia di molti ;
inoltre un gruppo troppo numeroso si farebbe facilmente sco
prire. Nulla tiene uniti questi uccelli, eccetto il vincolo coniugale.
A tale comportamento delle aquile e degli sparvieri si contrappone
quello delle colombe, delle gru, degli storni, dei corvi e delle cor
nacchie e anche dei tordi, amantissimi della vita in comune^.
48. Ci sono poi specie sedentarie duccelli, che restano sem
pre nello stesso luogo, altre provenienti da altri paesi, che cam
biano residenza e tornano a inverno finito Altre specie ritornano
dinverno e migrano destate, sia perch alcune dinverno si recano
in luoghi pi caldi sia perch altre, le pi nimierose, trascorrono
invece Testate in questi luoghi che sanno pi ameni. I tordi, in
fine, partono al termine dellautunno, quando, trascorsa l'estate,
sta per cominciare linverno. E noi, con una crudelt inospitale,
tendiamo loro insidie e con mezzi*^diversi cerchiamo ora di sor
prenderli con un falso nido ora dingannarli col fischio ora di cat
turarli con i lacci'. I l ritorno della cicogna d il segno della pri
mavera. Le gru, siccome volano in alto, amano migrare frequen
temente.
49. Altri uccelli si accostano alla mano delluomo, si abituano
a mangiare alla sua tavola^, godono a lasciarsi accarezzare; altri
hanno paura. Alcuni amano vivere nelle stesse case dell'uomo,
altri preferiscono una vita appartata in zone desertiche, compen
sando la difficolt di procurarsi il nutrimento con la gioia della
libert. Alcuni con il loro verso producono soltanto del rumore,
altri ci deliziano con le loro modulazioni armoniose e delicate. Al
cuni per natura, altri perch ammaestrati riescono a riprodurre
distintamente suoni diversi, sicch crederesti che a parlare sia
stato un uomo, mentre stato un uccello. Quanto dolce il canto
dei merli, com articolato il verso del pappagallo! Vi sono uccelli
ingenui, come le colombe, altri astuti, come le pernici; il gallo ha
^Bas., Hexaem., 172 AB (73 AB): '
,
6, ^;8[
&. "
. -
. , 33| <
. -
, 6 .
* Bas., Hexaem., 172 73 ): "
, ^ ,
.
' et. Verg., Georg., I , 139: tum laqueis captare feras et fallere uisco.
Cf. Verg., Aen., VI I , 490: ille manum patiens mensaeque adsuetus erili.
' Cf. Verg., Aen., VI , 646: obloquitur numeris septem discrimina uocum.
I SEI GIOKNI DELLA CREAZIONE 299
bae aliae astutae ut perdices; gallus iactantior, pauus speciosior.
Sunt etiam uitae in auibus et operum diuersitates, ut aliae ament
in commune consulere et conlatis uiribus uelut quandam curare
rem publicam et tamquam sub rege uiuere, aliae sibi quisque
prospicere, imperium recusare et, si capiantur, indigno uelint
exire seruitio.
300 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 14, 49 - c. 15, 50-52
Caput XV
50. Ab his igitur ordiamur quae nostro se usui imitationem
dederunt. In illis enim politia quaedam et militia naturalis, in
nobis coacta atque seruilis. Quam iniusso et iioluntario usu gnies
in nocte sollicitam exercent custodieun! Dispositos uigiles cernas,
et ceteris consortibus generis quiescentibus aliae circumeunt et
explorant, ne qua ex parte temptentur insidiae, atque omnem de
ferunt inpigro sui uigore tutelam. Post ubi uigiliarum fuerit tem
pus impletum, perfuncta munere in somnum se praemisso clan
gore conponit, ut excitet dormientem cui uicem muneris traditura
est. At illa uolens suscipit sortem nec usu nostro inulta et pigrior
somno remmtiat, sed inpigre suis excutitur stratis, uicem exsequi
tur et quam accepit gratiam pari cura atque officio repraesentat.
Ideo nulla desertio, quia deuotio naturalis, ideo tuta custodia,
qiiia uoluntas libera.
51. Himc etiam uolantes ordinem seruant et hac moderatio
ne omnem laborem adleuant, ut per uices fungantur ductus sui
munere. Praecedit enim una ceteris praestituto sibi tempore et
quasi ante signa praecurrit, deinde conuertitur et sequenti sortem
ducendi agminis cedit. Quid hoc pulchrius, et laborem omnibus
et honorem esse communem nec paucis adrogari potentiam, sed
quadam in onmes uoluntaria sorte transcribi?
52. Antiquae hoc reipublicae munus et instar liberae ciuitatis
est. Sic a principio acceptam a natura exemplo auium politiam
homines exercere coeperant, ut communis esset labor, commu-
0 Mt 10, 16.
un certo sussiego, il pavone una particolare bellezza. Fra gli uc
celli si rileva una diversit nel modo di vivere e di agire: alcuni
amano prendere in comune le loro decisioni e, unendo le forze,
governare una specie di stato e vivere come sotto im re; altri
preferiscono provvedere a se stessi, rifiutare ogni dominio e, se
vengono catturati, vogliono sottrarsi ad una schiavit indegna
di loro ".
I SEI GIORNI DEUA CRBAZIONB 301
Capitolo 15
50. Cominciamo dunque da quelli che si offrono quale mo
dello per le nostre abitudini. In essi l organizzazione politica e il
servizio militare sono un fatto naturale, in noi un frutto di co
strizione e di asservimento. Con quale consuetudine libera e spon
tanea le gru di notte esercitano una scrupolosa vigilanza! Potresti
vedere sentinelle opportunamente scaglionate e, mentre tutti gli
altri membri dello stormo riposano, alcime fanno la ronda e spiano
che da qualche parte non si tramino insidie e con im vigore in
stancabile esercitano ogni sorveglianza. Poi, trascorso il tempo
del servizio di guardia, la gru, compiuto il proprio dovere, si ab
bandona al snno dpo aver starnazzato per svegliare la compa
gna cui deve trasmettere il turno di servizio. Quella subentra vo
lonterosa e non rinuncia al sonno protestando e tirando in lungo
le cose, ma prontamente balza dal giaciglio, compie il suo turno
e con eguale cura e disponibilit rende il favore ricevuto. Non ci
sono diserzioni, perch l attaccamento al dovere dipende da natura;
sicura la vigilanza, perch la loro volont lbera.
51. Osservano questa regola anche in volo e rendono pi
lieve ogni fatica con qualche distribuzione dei compiti, sostenendo
a turno l'incarico della guida. Una va innanzi alle altre per il tempo
ad essa stabilito e, per cosi dire, fa da esploratrice; poi si volta
e cede a quella che la segue l'incarico di guidare lo stormo *. Che
c' di pi bello del fatto che la fatica e l'onore siano comuni a
tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma passi dall'uno all'al
tro senza eccezioni come per una libera decisione?
52. Questo, l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica re
pubblica, quale conviene in uno stato libero. Cosi da principio
gli uomini avevano cominciato ad attuare un'organizzazione po
litica ricevuta dalla natura sull'esempio degli uccelli, in modo cio
che la fatica fosse comune, comune la dignit, ciascuno imparasse
* Bas., Hexaem., 172 BC (73 CD); sulle abitudini dei vari uccelli. Sono
ricordati gallo, pavone, colombe, galline, pernice; vedi anche Awst., HA.,
I. 1, 488 b, 12.
Cf. Vero., Bue., I, 40; negue seruitio me exire licebat.
'Bas., Hexaem., 176 A (74 E, 75 A); sul modo di comportarsi delle gru.
nis dignitas, per uices singuli partiri curas discerent, obsequia
imperiaque diuiderent, nemo esset honoris exsors, nullus inmunis
laboris. Hic erat pulcherrimus rerum status, nec insolescebat
quisquam perpetua potestate nec diuturno seruitio frangebatur,
quia et sine inuidia erat ordine muneris et temporis moderatione
delata promotio et tolerabilior uidebatur quae communicabat sor
tem custodiae. Nemo audebat alium seruitio premere, cuius sibi
successuri in honorem mutua forent subeunda fastidia, nemini
labor grauis, quem secutura dignitas releuaret. Sed postquam do
minandi libido uindicare coepit indeptas et susceptas nolle depo
nere potestates, posteaquam militiae non ius commune coepit es
se, sed seruitus, posteaquam non ordo factus est suscipiendae
potentiae, sed studium uindicandae, coepit etiam ipsa laboris func
tio durius sustineri, et quae non est uoluntaria cito locum relin
quit incujriae. Homines quam inuiti subeunt uigiliarum munera,
quam aegre unusquisque in castris pcriculum sortitus excubat,
quod tuendum sibi regali praeceptione committitur! Proponitur
poena desidiae: et tamen plerumque obripit incuria, non seruan
tur excubiae. Necessitas enim, quae inuito inponit obsequium,
affert plerumque fastidium; nihil est enim tam facile, quin habeat
difficultatem, quom facias inuitus. Ergo et iugis labor auertit af
fectum et continua ac diuturna potentia gignit insolentiam. Quem
inuenias hominum, qui sponte deponat imperium et ducatus sui
cedat insigne fiatque uolens numero postremus ex primo? Nos
autem non solum de primo, sed etiam de medio saepe contendi
mus et primos discubitus in conuiuio uindicamus ac, si semel de
latum fuerit, uolumus esse perpetuum. Ideo inter grues aequani
mitas in laboribus est, humilitas in potestatibus. Admonentur ut
exerceant custodiae uices, non admonentur ut de potestate de
cedant, quia ibi naturalis quies somni interpellanda, hic uolunta
riae sedulitatis gratia praestanda est.
302 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , C. 15, 52
a divdersi a turno le responsabilit, venissero ripartiti obbedienza
e comando, nessuno fosse escluso dalle cariche, nessuno esente
dalla fatica. In questa situazione politica ideale nessuno insu
perbiva per l'esercizio ininterrotto del potere n si abbatteva per
il lungo servire, perch da un lato l'avanzamento, conferito com'era
secondo un ordine di funzione e ppr un periodo limitato, non su
scitava invidia e dall'altro sembrava pi tollerabile perch com
portava un comune compito di sorveglianza. Nessuno osava tiran
neggiare un altro, del quale, perch destinato a succedergli nella
carica, avrebbe dovuto sopportare a sua volta l'alterigia; a nessuno
era grave la fatica, perch la dignit che sarebbe venuta in seguito
l'avrebbe compensato. Ma quando la bramosia di potere cominci
a conservare le cariche raggiunte e a non voler deporre quelle
ottenute, quando il servizio militare cominci ad essere non un
diritto di tutti, ma un asservimento, quando non si segui pi un
ordine nell'assumere il potere, ma la voglia di rivendicarlo, anche
la stessa fatica delle cariche Cominci ad essere sopportata eoo
maggiore difficolt; e una fatica che non si assume volontaria
mente, lascia presto il posto allincuria. Con quale contrariet gli
uomini compiono il servizio di guardia, con quanta difficolt ognu
no monta di sentinella negli accampamenti quando gli tocca un
incarico pericoloso* la cui esecuzione viene pur affidata per or
dine imperiale! Per la negligenza si minacciano punizioni; e tut
tavia spesso l'incuria prende furtivamente il sopravvento e non
si osservano i turni di guardia. La costrizione, che impone l'ob
bedienza a chi riluttante, provoca di solito avversione; non c'
nulla, per quanto facile sia, che non presenti difficolt, quando
si compie di malavoglia. Quindi la fatica ininterrotta toglie la buona
disposizione e il potere continuo e prolungato produce arroganza.
Quale individuo troveresti disposto a rinunciare spontaneamente
al potere, a ceder l insegna del suo comando e a diventare volon
tariamente l'ultimo, da primo che era? Noi poi litighiamo non solo
per le prime posizioni, ma spesso anche per quelle di mezzo e pre
tendiamo nei banchetti il posto -donore e, se una volta ci stato
usato un riguardo, lo vogliamo per sempre. Per questo fra le
gru esiste la tolleranza nelle fatiche, la modestia nei posti di co
mando. Sono invitate a compiere il loro turno di guardia, non
lo sono a deporre il potere, perch nel primo caso devessere in
terrotto il naturale assopimento del sonno,- nel secondo dev'essere
dimostrata la compiacenza d'una sollecitudine volontaria*.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 303
* Cf. Vero., Aett., IX, 174*175: omnis per muros legio sortita periclum /
excubat exercetque uices, quod cuique tuendum est.
s Tutto il paragrafo ha colorito sallustiano: cf. Catti., 6*12. Vedi
Al f o n s i , op. cit., pp. 129-130.
S'awerte qui in S. Ambrogio, che pur fedele suddito dell'impero, un at
t^giamento di propensione e di rimpianto per l antica repubblica con le sue
Ubere e democratiche istituzioni. Tale atteggiamento stato senza dubbio de
temiinato anche dalla formazione scolastica ricevuta. Ne una prova l'in-
Quenza sallustiana sopra rilevata.
Caput XVI
53. Ciconias ferunt collecto proficisci agmine, si quo pergen
dum putant, et simul plerisque circa orientem locis inuehi et qua
si tessera militari pariter omnes moueri. Exercitum credas cum
signis suis pergere: sic omnes uiandi comitandique et praeeundi
ordinem seruant. Cornices autem ducunt eas ac dirigunt et uelut
quibusdam turmis stipatricibus prosequuntur, adeo ut adiumenta
quaedam bellantibus aduersus inimicas aues conferre credantur et
propriis periculis bella aliena suscipere. Cuius rei indicium est
quia nullae interuallo aliquo temporis residere in illis locis rep-
periuntur et quia cum uulneribus reuertentes manifesta quadam
sanguinis uoce ceterisque locuntur indiciis grauium se certami
num subisse conflictum. Quis igitur illis poenam desertionis in
dixit, quis derelictae militiae supplicia formidolosa praescripsit,
ut nulla prosequendis hospitalibus turmis se subtrcihere nitatur,
sed certatim omnes deductionis munere officioque fungantur?
304 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 16, 53-55
54. Discant homines hospitalia seruare iura et ex auibus co
gnoscant quid religionis hospitibus sit deferendum, quae obsequia
deputanda, quibus cornices etiam pericula sua negare non so
leant. His igitxir nos ianuas claudimus, quibus aues etiam animas
suas conferunt, et quos illae consortio prosecuntur discriminis,
eos tecti prohibemus hospitio et quonmi illae bella suscipiunt,
his nos bella frequenter inferimus. Mentior, si non Sodomitanis
haec fuit causa supplicii aut Aegyptius furor, genti hospitae dum
bellum conatur inferre, inhospitalitatis poenas infidae naufragio
plebis exoluit.
55. Quam uero rationabilium non excedat pietatem ac pru
dentiam auis huius clementia considerandum, quam ne post exem
plum quidem inrationabilivun quisquam nostrum imitari potuerit.
Nam depositi patris artus per longaeuum senectutis plumarum
tegmine alarumque remigio nudatos circum instans suboles pinnis
55, 2. consideradum Schenkl considerandum codd. omnes praeter utuM.
Capitolo 16
53. Dicono che le cicogne si mettano in viaggio dopo aver
formato imo stormo, se intendono raggiungere una meta deter
minata, e si rechino contemporaneamente in numerosi luoghi del-
rOriente, muovendosi tutte insieme come se ne avessero rice
vuto l'ordine da un comando superiore. Le crederesti un esercito
che avanza con le sue insegne; a tal pimto osservano tutte l'or
dine della marcia, dei ranghi, delle precedenze. Le cornacchie poi
le guidano e le dirigono e le scortano come squadroni di guardie
del corpo, tanto che si crede rechino loro im appoggio nel combat
timento contro uccelli nemici e con proprio rischio intrapren
dano guerre nell'interesse daltri. Ne una prova il fatto che per
qualche tempo nessuna di esse risiede in quei luoghi e che, ritor
nando ferite, con la inconfondbile voce del sangue e con altri
indizi mostrano di aver. affrontato lo scontro di rischiose lotte.
Chi ha minacciato loro una pena per la diserzione, chi ha stabi
lito spaventosi supplizi per la fuga deiresercito, cosi che nessuna
cerca di sottrarsi al compito di scortare gli stormi degli ospiti,
ma a gara tutte compiono scrupolosamente iL loro dovere d'ac-
compagnatrici? *
54. Imparino gli uomini ad osservare i diritti deU'ospitalit
e apprendano dagli uccelli quale religioso rispetto sia dovuto
agli ospiti, quale riguardo debba essere loro usato, dal momento
che le cornacchie non sogliono rifiutare ad essi nemmeno il ri
schio della 'propria incolumit. Noi chiudiamo le nostre porte in
faccia agli ospiti ai quali degli uccelli donano perfino la loro vita
e neghiamo l'ospitalit delle nostre case a quelli che esse scortano
condividendone i pericoli e spesso moviamo guerra a coloro in
difesa dei quali gli uccelli l'affrontano. Mi si chiami bugiardo se
questa non fu la causa della punizione degli abitanti di Sodoma
0 se il furore egiziano, mentre cercava di muovere guerra al p*
polo suo ospite, non pag la pena della propria inospitalit con la
rovina della sua gente malfida.
55. Bisogna poi considerare a qual punto la bont di que
sto uccello non trascuri * l'affettuosit e l'avvedutezza proprie de
gli esseri ragionevoli, sicch, nemmeno dopo l'esempio offertoci
da questi animali privi di ragione, nessuno di noi riuscito ad
imitarla. Infatti la prole, stringendoglisi attrno, riscalda con
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIOKB 305
^Bas., Hexaem., 176 BC (75 AB): T S < -
-
( * {^ * . -
, , )^
. , & &
, ^ 8
3^ .
; ,
) & ;
* Cf. Ambr., I n ps. X L I I I , 84, 3: remedium excederent = praeterirent, euita-
reni {T.L.L V, p. I I , 1208).
propriis fouet et quid dicam? collaticio cibo pascit, quando
etiam ipsa reparat naturae dispendia, ut hinc atque inde suble
uantes senem fulcro alarum suarum ad uolandum exerceant et in
pristinos usus desueta iam pii patris reuocent membra. Quis no
strum releuare aegrum non fastidiat patrem? Quis fessum senem
suis umeris inponat, quod in ipsa historia uix credibile habeatur?
Quis, ut pius sit, non hoc seruulis mandet obsequiimi? At uero
auibus non est graue quod pietatis est plenum, non est onerosum
quod soluitur naturae debitum. Non recusant aues pascere pa
trem, quod etiam praescripta necessitate sub terrore poenarum
plerique hominum recusarunt. Aues non scripta, sed nata lex strin
git, aues ad hoc munus nulla praecepta conueniunt, sed gratiae na
turalis officia, aues non erubescimt reuerendi senis membra por
tare. Est enim uectura pietatis, quod eo usque frequenti testifi
catione percrebuit, ut congruae mercedem remnerationis inue-
nerit; nam Romanorum usu pia auis uocatur et quod uix imo im
peratori consulto senatus delatum dicitur hoc istae aues in com
mune meruerunt. Habent ergo aues istae decreta patrum ad pro
priae insigne clementiae; pios enim filios patnmi prius oportuit
iudicio praedicari- Habent etiam uniuersorum suffragia; nam re
tributio beneficiorum nominatur; enim
ciconia dicitur. Virtus itaque ab his nomen accepit, cum relatio
gratiarum ciconiae uocabulo nuncupatur.
306 EXAMERON, DIES V, SER. VI U , C. 16, 55
le proprie penne le membra del padre giacente, prive ormai
della protezione delle piume e del remeggio delle ali * a causa
della sua decrepita vecchiaia, e che debbo dire? lo nutre
col cibo raccolto qua e l; talora anche rimedia alla perdita na
turale delle forze, cosi da mantenere esercitato nel volo il vecchio,
sostenendolo da una parte e dall'altra con l'appoggio delle loro
ali, e da ricondurre alle antiche abitudini le membra ormai de
suete del loro buon padre Chi di noi non avrebbe a noia di sol
levare il padre ammalato? Chi si prenderebbe sulle spalle un
vecchio stanco, cosi che sembra appena credibile un simile ge
sto narrato dalla storia? Chi, volendo adempiere i propri obblighi,
non affiderebbe agli schiavi tale servizio? Ma per gli uccelli non
molesto ci che sincera manifestazione d'affetto, non oneroso
ci che soddisfa a un debito di natura. Gli uccelli non rifiutano
di nutrire il padre, mentre molti uomini si sono rifiutati, nono
stante Tobbligo imposto con la minaccia delle pene. Gli uccelli
non sono obbligati da una legge scritta, bens da una legge in
nata^; non sono costretti a questo dovere da nessuna ingiunzione,
ma da un impegno d'affetto voluto dalla natura; gli uccelli non s
vergognano di portare le membra di un vecchio meritevole della
loro venerazione. questo un trasporto dovuto ad un sentimento
di affettuoso rispetto, talmente noto per le frequenti attestazioni
da ottenere il premio di una adeguata ricompensa; infatti i Ro
mani sogliono chiamare la cicogna il pio uccello : cosi questi
uccelli si sono meritati tutti insieme tale appellativo che sap
piamo attribuito a malapena ad un unico imperatore per decisione
del senatoQuesti uccelli dunque hanno una deliberazione dei
padri quale attestato della loro bont; infatti necesseirio che i
figli siano prima dichiarati pii dal giudizio dei loro padri
Hanno anche l'approvazione universale: il ricambio dei benefici
si dice ; cicogna in greco si dice Per
ci una virt ha preso il nome da questi uccelli, poich il ricambio
dei benefici si indica con un nome che deriva da quello della
cicogna.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 307
Cf. Vero., Aen., XII, 395: ille ut depositi proferret fata parentis.
< Cf. Verg., Aen., I , 300-301: uoiat ille per aera magnum / remigio alarum;
VI, 18-19: sacrauit / remigium alarum.
Bas., Hexaem.. 176 C (75 BC): H
, , <( .
, .
.
-
...
* II Coppa (. cit., . 305, . 29) pensa giustamente al gesto di piet
di Enea verso il padre Anchise (Aen., I I , 707-708).
Cf. Cic., Pro Mil., 4, 10: Est igitur haec, iudices, non scripta sed nata lex.
* Si tratta di Antonino Pio (138-161), chiamato cosi dal senato o perch
aveva sostenuto con la sua mano il suocero ormai vecchio o perch aveva
salvato da morte persone condannate da Adriano o per i grandi onori tri
butati a quest'ultimo dopo la sua morte (R.E., I I , 2498).
^Gioco di parole tra patres = senatori e patres = genitori.
Bas., Hexaem.. 176 CD (75 C).
Caput XVII
56. Habemus auiariae subolis erga cultus patrios pietatis
exemplum: accipiamus nunc maternae sedulitatis in filios grande
documentum. Hirundo minuscula corpore, sed egregie pio subli
mis adfectu, quae indiga rerum omnium pretiosores auro nidos
instruit, quia sapienter nidificat; nidus enim sapientiae potior est
auro*. Quid enim sapientius, quam ut et uolandi uaga libertate
potiatur et hominum domiciliis paruolos suos et tecta commendet,
ubi subolem nullus incurset? Nam et illud est pulchrum, ut a pri
mo ortu pullos suos humanae usu conuersationis adsuescat et
praestet ab inimicarum auium insidiis tutiores. Tum illum prae
clarum, qua gratia domus sibi sine ullo adiutore tamquam artis
perita componat. Legit enim festucas ore easque luto inlinit, ut
conglutinare possit. Sed quia lutum pedibus deferre non potest,
summitates pinnarum aquae infundit, ut facile his puluis adhae
reat et fiat limus, quo paulatim festucas uel minutos surculos sibi
colligat atque adhaerere faciat. Eo genere nidi totius fabricam
instruit, ut quasi pauimenti solo pulli eius intra aedes suas sine
offensione uersentur nec pedem aliquis interserat per rimulas
texturarum aut teneris frigus inrepat.
308 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 17, 56-57
57. Sed hoc industriae officium prope commune multis aui-
bus, illud uero singulare, in quo est praeclara cura pietatis et
prudentis intellectus et cognitionis insigne, tum quaedam medi
cae artis peritia, quod si qua pulli eius fuerint caecitate suffossi
oculos siue conpuncti, habet quoddam medendi genus, quo pos
sint eorum lumina intercepto usui reformari. Nemo igitur de ino
pia queratur, quod uacuas pecuniae proprias aedes reliquerit.
Pauperior est hirundo, quae uacua aeris abundat industria, aedi
ficat nec inpendit, tecta attollit et nihil aufert proximo nec indi
Prou 16, 16.
Capitolo 17
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 309
56. Nella prole degli uccelli abbiamo un esempio di piet
filiale verso i genitori; consideriamo ora ima straordinaria prova
della sollecitudine materna verso i figli. La rondine minuscola
di corpo, ma veramente eccezionale per sentimento daffetto ,
pur mancando di tutto, fabbrica nidi pi preziosi delloro, perch
nidifica sapientemente, e il nido della sapienza preferibile alloro.
Che c di pi sapiente dellassicurarsi un'illimitata libert di volo
e dellaffidare i propri piccoli e il proprio nido alle case degli uo
mini, dove nessuno possa attentare alla prole? ima bella cosa
anche quella di avvezzare i propri piccoli fin dalla nascita ai rap
porti con gli uomini e di garantire loro una maggiore sicurezza
dalle insidie degli uccelli nemici. E poi veramente insigne il
garbo con il quale, senza che nessuno laiuti, si costruisce la pro
pria dimora da abile artista. Raccoglie con il becco delle pagliuzze
e le spalma di fango in modo da poterle connettere insieme. Non
potendo per trasportare il fango con le zampe, immerge nel
l'acqua le estremit delle ali, perch la polvere vi si attacchi fa
cilmente e si formi del fango con cui, a poco a poco, raccogliere
insieme fuscelli o schegge di l egn oC on tale sistema fabbrica
lintero nido, sicch i rondinini girano senza danno nella loro casa
camminando come su un pavimento, senza che nessuno di essi
infili la zampetta negli interstizi dellintreccio o attraverso tali
fessure il freddo penetri mentre sono ancor gracili.
57. Tale compito industrioso, per, generalmente comune
a molti uccelli; singolare invece cosa che rivela una straordi
naria sollecitudine affettuosa e dimostra unintelligenza e unespe
rienza veramente avvedute e inoltre una certa competenza medi
ca che la rondine, se i suoi piccoli hanno gli occhi trafitti od
offesi da qualche forma di cecit, ricorra ad un genere di cura che
renda la vista nuovamente capace della funzione interrotta*. Nes
suno dunque si lagni della propria povert, se cio ha lasciato la
propria casa senza denaro. Ancor pi povera la rondine che, seb
bene priva dogni spicciolo, ricca dingegnosit, costruisce senza
spesa, innalza la sua casa senza togliere nulla al prossimo, non
indotta dalla completa indigenza a nliocere ad un altro n si ab
bandona alla disperazione quando i suoi piccoli sono gravemente
menomati. Su noi invece la povert esercita uninfluenza depri-
* Bas., Hexaem., 176D-177A (75 D): & * -
( ,
... Si parla quindi della costruzione del
nido.
* Bas,, Hexaem., 177 A (75 D): ,
, Si .
Cf. Plin., . ., XXV, 49, 89: Animalia quoque inuenere herbas, in primisque
chelidoniam. Hac enim hirundines oculis pullorum in nido <..>restituuntque
uisum, ut quidam uolunt, etiam erutis oculis. Si tratta evidentemente d'una
leggenda (vedi ed. Les Belles T.ettre:. n.
gentia et paupertate ad nocendum alii compellitur nec in graui
filiorum imbecillitate desperat. Nos uero et paupertas afficit et
inopiae necessitas uexat, et plerosque indigentia cogit in flagitium,
inpellit in crimen; lucri quoque studio in fraudes uersamus inge
nium, aptamus adfectum atque in grauissimis passionibus spem
deponimus fractique animo resoluimur, inprouidi et inertes iace-
mus, cum de diuina miseratione tunc sperandum amplius sit, cum
praesidia humana defecerint.
310 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 17, 57 - c. 18, 58
Caput XVI I I
58. Discant homines amare filios ex usu et pietate cornicum,
quae etiam uolantes filios comitatu sedulo prosecuntur et sollici
tae, ne teneri forte deficiant, cibum suggerunt ac plurimo tem
poris nutriendi officia non relinquunt. At uero feminae nostri ge
neris cito ablactant etiam illos quos diligunt aut, si ditiores sunt,
lactare fastidiunt; pauperiores abiciunt paruulos et exponunt et
deprehensos abnegant. Ipsi quoque diuites, ne per plures suum
patrimonium diuidatur, in utero proprios negant fetus et parrici
dalibus sucis in ipso genitali aluo pignera sui uentris extinguunt,
priusque aufertur uita quam traditur. Quis docuit nisi homo filios
abdicari? Quis repperit tam inmitia patrum iura? Quis inter na
turae fraterna consortia fratres inpares fecit? Vnius diuitis filii
diuersa sorte caeduntur. Alius totius paternae sortis ascriptioni
bus inundatur, alius opulentae hereditatis patriae deplorat exhau
stam atque inopem portionem. Numquid natura diuisit merita fi
liorum? Ex pari omnibus tribuit quod ad nascendi atque uiuendi
possint habere substantiam. Ipsa uos doceat non discernere pa
trimonio quos titulo germanitatis aequastis. Etenim quibus de
distis commimiter esse quod nati sunt, non debetis his, ut id com
muniter habeant in quod natura substituti sint, inuidere.
mente, le strettezze deUindigenza ci tormentano e la miseria in
duce molti al delitto, li spinge alla criminalit; inoltre per avidit
di guadagno rivolgiamo il nostro impegno, applichiamo le nostre
inclinazioni a tramare inganni e nelle pi gravi disgrazie ci dispe
riamo, affranti nellanimo restiamo come distrutti, siemio a terra
incapaci di correre ai rimedi e di agire mentre bisognerebbe spe
rare maggiormente nella misericordia divina proprio allorquando
le risorse umane sono venute a mancare.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 311
Capitolo 18
58. Gli uomini imparino ad amare i propri figli dalle affet
tuose consuetudini delle cornacchie, che seguono i loro piccoli an
che quando sono in volo, accompagnandoli con sollecitudine, e,
perch non vengano meno le loro ancor deboli forze, premu
rose li imboccano e per lunghissimo tempo non trascurano di
nutrirli. Al contrario le donne della nostra specie smettono pre
sto di allattare anche i figli che amano o, se sono benestanti, non
hanno voglia di farlo; le pi povere se ne disfano, li espongono e,
se vengono ritrovati, li disconoscono. Anche i ricchi, per non di
videre il loro patrimonio tra pi eredi, rinnegano le proprie crea
ture nel grembo materno e con veleni assassini spengono i frutti
del loro ventre nello stesso alvo che li ha generati e cosi la vita
viene tolta prima ancora di essere trasmessa *. Chi, se non l'uomo,
ha insegnato a ripudiare i propri figli? Chi ha inventato diritti
paterni cosi crudeli? Chi ha reso diversi i fratelli che la natura
ha voluto uguali? I figli di imo stesso ricco sono colpiti da ima
sorte opposta. In uno si riversa sovrabbondante l'assegnazione del
lintero patrimonio paterno, un altro protesta per aver ricevuto una
scarsa e misera parte dellopulenta eredit lasciata dal padre. Forse
la natura ha distinto i meriti dei figli? ssa che attribuisce in eguale
misura i mezzi necessari per nascere e per vivere, vi insegni a non
distinguere col patrimonio quelli che avete fatto uguali per di
ritto di fratellanza. Voi non dovete negare a coloro, ai quali avete
concesso di essere pari per la loro nascita, di godere in ugueile
misura i beni di cui la natura li ha istituiti eredi.
* Ba s ., Hexaem., 180 A (76 C): ot [<
tJ ) 6 -
. ( yf, & ( ^ ,
p? ( .
Su questo punto l'insegnamento della Chiesa di una assoluta chia
rezza. Accenno contro i Manichei (Co ppa , op. cit., p. 308, n. 35)? Questi, che
in teoria proscrivevano matrimonio e procreazione, di fatto concedevano di
sposarsi o di vivere con una concubina e di avere dei figli ( P u e c h , op. cit.,
pp. 584-585).
59. Accipitres feruntur duram in eo aduersus proprios fetus
habere inclementiam, quod ubi eos aduerterint temptare uolatus
primordia, nidis eiciunt suis continuoque eliminant ac, si moren
tur, propulsant pinnis atque praecipitant, uerberant alis cogunt-
que audere quod trepidant nec ullum postea deferunt his munus
alimoniae. Quid mirum tamen, si rapere adsueti nutrire fastidiunt?
Consideremus ad hoc eos esse generatos, ut etiam aues ad cauen-
dum formido exerceat, ne passim curas relaxent, sed pericula a
praedonibus declinanda prospiciant. Deinde cum his natura qua
dam praedandi munus inoleuerit, magis a tenero pullos suos insti
tuere uidentur ad praedam quam pastus abdicare conpendiis.
Cauent ne in tenera aetate pigrescant, ne soluantur deliciis, ne
marcescant otio, ne discant cibum magis expectare quam quae
rere, ne naturae suae deponant uigorem. Intermittunt studia nu
triendi, ut in usum rapiendi audere conpellant.
312 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 18, 59-60
60. Aquila quoque plurimo sermone usurpatur quod suos ab
dicet fetus, sed non utrumque, uerum unum ex pullis duobus.
Quod aliqui fieri putauerunt geminandorum alimentorum fastidio.
Sed id non arbitror facile credendum, praesertim cum Moyses tan
tum testimonium in pullos suos pietatis huic dederit aui, ut di
ceret: Sicut aquila protegit nidum suum et super pullos suos con
fidit: expandit alas suas et adsumpsit eos et suscepit eos super
scapulas suas. Dominus solus deducebat eos^. Quomodo ergo ex
pandit alas, si occidit alterum? Vnde puto non auaritia nutriendi
eam inclementem fieri, sed examine iudicandi. Semper enim fer
tur probare quos genuit, ne generis sui inter omnes aues quoddam
regale fastigium degeneris partus deformitas decoloret. Itaque
adseritur quod pullos suos radiis solis obiciat atque in aeris me
dio pciruulos ungue suspendat. Ac .si quis repercusso solis lumine
intrqiidam oculorum aciem inoffenso tuendi uigore seruauerit, is
probatiu, quod ueritatem naturae sinceri optutus constantia de
monstrauerit: qui uero lumina praestrictus radio solis inflexerit
quasi degener et tanta indignus parente reicitur nec aestimatur
dignus educatione qui fuit indignus susceptione. Non ergo eum
acerbitate naturae, sed iudicii integritate condemnat nec quasi
suum abdicat, sed quasi alienum recusat.
Deut 32, 11-12.
59. Si dice che gli sparvieri usino contro i propri piccoli una
crudele durezza in quanto, non appena si accorgono che essi ten
tano i primi voli, li caccieino dai loro nidi mettendoli fuori im
mediatamente e, se indugiano, li respingono agitando le penne
e li fanno cadere, li colpiscono con le ali e li costringono ad osare
ci di cui hanno paura n poi dedicano loro cura alcuna per nu
trirli. Tuttavia, perch meravigliarsi se, avvezzi a predare, non
sopportano di somministrare il cibo? Consideriamo che sono stati
creati affinch la paura abitui anche gli uccelli a stare allerta, per
ch non allentino indiscriminatamente la vigilanza, ma badino ai
pericoli che devono evitare da parte dei rapaci. Inoltre, siccome
si sviluppato in essi per una certa disposizione naturale listinto
del predare, sembra che istruiscano fin dalla tenera et i loro pic
coli alla preda piuttosto che a rinunciare a guadagnarsi il pasto.
Si preoccupano che ancor piccoli non impigriscano, non si lascino
fiaccare dalla vita comoda, non infrolliscano nellozio, non im
parino ad attendere il cibo invece di cercarlo, non perdano il vigore
della loro natura. Interrompono la cura di nutrirli per indurli a
osare, allo scopo di avvezzarli a cacciare la preda.
60. Si dice spessissimo che anche l aquila respinge i suoi aqui
lotti, ma non tutti e due, bens uno di essi. Alcuni pensano che
ci avvenga per la noia di raddoppiare la quantit di cibo^. In
vece io penso che a questa spiegazione non si debba dare troppo
credito, soprattutto perch Mos ha dato a questo uccello una
testimonianza cosi solenne del suo affetto per i piccoli fino a dire:
Come l aquila protegge il proprio nido e confida nei suoi piccoli;
spiega le sue ali e li prende e li accoglie sul suo dorso. Solo il
Signore li conduceva. Come pu spiegare le sue ali se uccide uno
dei due aquilotti? Perci credo che diventi crudele non per rispar
miare il cibo, ma per giudicarli dopo averli esaminati. Si dice
infatti che metta sempre alla prova quelli che ha generato, per
ch la deformit dun parto degenere non degradi, in un certo
modo, la regale supremazia della sua razza fra tutti gli uccelli.
Si sostiene perci che esponga i propri piccoli ai raggi del sole
e li tenga sospesi nel vuoto ai suoi artigli. Se imo, nonostante
il riflesso della luce solare, resiste imperterrito con gli occhi con
servando intatta la forza visiva, questi supera la prova perch
ha dimostrato la genuinit della sua natura con la fermezza dello
sguardo che non ha subito danno. Quello invece che, abbagliato
dai raggi del sole, abbassa gli occhi, viene ripudiato perch de
genere e indegno di si nobile madre: non si ritiene meritevole
d'essere allevato quello che era immeritevole dessere generato.
Perci l aquila non lo condanna per crudelt di natura, ma per
obiettivit di giudizio, non lo rifiuta come suo, ma Io ripudia
come illegittimo.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 313
Ba s ., Hexaem., 177 C (76 B ) : -
tJ l'4 . , -
\ ^, ,
, .
*Cf. P l i n . , . ., X, 3, 13: Alterum expellunt taedio nutriendi.
61. Hanc tamen, ut quibusdam uidetur, regalis auis incle
mentiam plebeiae auis excusat clementia. Auis enim, cui fulica
nomen est, quae graece dicitur , susceptum illum siue abdica
tum siue non agnitum aquilae pullum cum sua prole conectit
atque intermiscens suis eodem quo proprios fetus maternae se
dulitatis officio et pari nutrimentorum sumministratione pascit
et nutrit. rgo alienos nutrit: nos uero nostros inmiti crude
litate proicimus. Aquila uero si proicit, non quasi suum proicit,
sed quasi degenerem non recognoscit: nos, quod peius est, quos
nostros recognoscimus abdicamus.
314 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 18, 61 - c. 19, 62
Caput XIX
62. Sed ueniamus ad turturem, quam lex dei uelut castae
hostiae munus elegit. Denique cum dominus circumcideretur,
oblata est, quia scriptum est in lege domini, ut darent hostiam
par turturum aut duos pullos columbarum . Hoc est enim uerum
Christi sacrificium pudicitia corporalis et gratia spiritalis. Pudi
citia ad turturem refertur, ad columbam gratia. Fertur etenim
turtur, ubi iugalis proprii fuerit amissione uiduata, pertaesum
thalamos et nomen habere coniugii, eo quod primus amor fefelle
rit eam dilecti morte deceptam, quoniam et infidelis ad perpetui
tatem fuit et amarus ad gratiam, qui plus doloris ex morte quam
suauitatis ex caritate generauerit. Itaque iterar coniunctionem
recusat nec pudoris iura aut compiaciti uiri resoluit foedera, illi
soli suam caritatem reseruat, illi custodit nomen uxoris. Discite,
mulieres, quanta sit uiduitatis gratia, quae etiam in auibus prae
dicatur.
Lc 2, 24,
61, Tuttavia la bont dun uccello plebeo compensa, come
sembra a talxmo, la durezza deU'uccello regale. L'uccello chiamato
folaga, in greco , imisce alla sua prole l'aquilotto che sia stato
ripudiato e non riconosciuto e, ponendolo tra i suoi figli, lo alleva
e nutre con la stessa premurosa attenzione materna e con la stessa
somministrazione di cibo dei propri piccoli *. La nutre i figli
de^i altri; noi invece abbandoniamo i nostri con crudelt atroce.
Ma l aquila, se abbandona l aquilotto, non lo abbandona conside<
randolo un proprio figlio, bens non lo riconosce ritenendolo di
una specie degenere; noi, e ci ancora peggio, rifiutiamo i figli
che riconosciamo per nostri.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 315
Capitolo 19
62. Ma veniamo alla tortora, che la legge di Dio ha scelto co
me offerta d'una pura vittima. Quando il Signore venne circon
ciso essa fu offerta perch stava scritto nella legge del Signore
che offrissero come vittima una coppia di tortore o due giovani
colombe. Questo il vero sacrificio accetto a Cristo, la castit del
corpo e la grazia dello spirito. La castit si richiama alla tortora,
ia grazia alla colomba. Si dice che la tortora, quando rimane ve
dova per la perdita del proprio sposo, abbia in odio il talamo e
perfino il nome delle nozze, perch il suo primo amore l'ha in
gannata deludendola con la morte del suo diletto questo stato
infedele nella perennit del vincolo e causa di sofferenza nel
lamore, perch ha recato pi dolore con la sua morte che gioia
con il suo affetto. Essa perci rifiuta di rinnovare l'unione e non
infrange i diritti del pudore o il vincolo coniugale con lo sposo
diletto, a lui solo riserva la sua tenerezza, per lui custodisce il
nome di moglie. Imparate, o donne, quanta sia la bellezza della
vedovanza esaltata persino tra gli uccelli \
Bas., Hexaem., 177 C {76 C): <, ^
* .
Cf. Arist., .., IX, 34, 619 b, 23.
Come osserva il-Coppa (op. cit., p. 311, n. 40), l offerta delle due tor
tore da parte della Madonna avvenne in occasione della purificazione {Lue.,
2, 22-24), quando Ges fu presentato al tempio. La circoncisione era av
venuta in precedenza, a otto giorni dalla nascita {Lue., 2, 21).
* Cf. Ve r o ., Aen., I V , 16-18: ne cui me uinclo uellem sodare iugali, /
postquam primus amor deceptam morte fefellit; / si non pertaesum tha
lami taedaeque fuisset, / huic uni forsan potui succumbere culpae.
3Alla vedovanza e al suo valore cristiano S. Ambrogio ha dedicato espres
samente il De uiduis (PL, 16, 233-262), in cui esorta le vedove a perseverare
Del nuovo stato, santificandolo con l'esercizio delle virt domestiche e so
ciali. Cf. V . Mo k a c h i n o , op. cit., pp. 223-231.
< Ba s ., Hexaem., 177 C (76 B): 5
(, ^ ( , -
, . -
, & , ^,
.
63. Quis igitur has leges turturi dedit? Si hominem quaero,
non inuenio, homo enim nullus est ausus, quando nec Paulus
ausus est leges tenendae uiduitatis praescribere. Denique ipse ait:
Volo ergo iuniores nubere, filios procreare, matres familias esse,
nullam occasionem dare aduersario^ et alibi: Bonum illis, si sic
maneant; quod si se non continent, nubant; melius est enim nu
bere quam uri'=. Optat Paulus in mulieribus quod in turturibus per-
seuerat. Et alibi iuniores hortatur ut nubant, quia mulieres no
strae turturum pudicitiam implere uix possunt. Ergo turturibus
deus hunc infudit adfectum, hanc uirtutem continentiae dedit, qui
solus potest praescribere quod omnes sequantur. Turtur non uri
tur flore iuuentutis, non temptatur occasionis inlecebra; turtur
nescit primam fidem inritam facere, quia nouit castimoniam re-
seruare prima conubii sorte promissam.
316 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 19, 63 - c. 20, 64-65
Caput XX
64. Diximus de uiduitate auium eamque ab illis primum exor
tam esse uirtutem; nunc de integritate dicamus, quae in pluribus
quidem auibus inesse adseueratur, ut possit etiam in uulturibus
deprehendi. Negantur enim uultures indulgere; concubitu et co
niugali quodam usu nuptialisque copulae sorte misceri atque ita
sine ullo masculorum concipere semine et sine coniunctione ge
nerare natosque ex his in multam aetatem longaeuitate procedere,
ut usque ad centum annos uitae eorum series producatur nec fa
cile eos angusti aeui finis excipiat;
65. Quid aiunt qui solent nostra ridere mysteria, cum au
diunt quod uirgo generauit et inpossibilem innuptae, cuius pudo
rem nulla uiri consuetudo temerasset, aestimant partum? Inpos
sibile putatur in dei matre quod in uulturibus possibile non ne-
> 1 Tim 5, 14.
c 1 Cor 7, 8-9.
63. Chi ha dato questa legge alla tortora? Se lo cerco tra gli
uomini, non lo trovo. Nessun uomo ne ha avuto il coraggio, dal
momento che nemmeno Paolo ha avuto il coraggio dimporre una
legge sullosservanza dello stato vedovile. Del resto egli stesso dice:
Voglio che le giovani prendano marito, procreino figli, siano ma
dri di famiglia, non offrano alcuna occasione al nemico; e altrove:
Sarebbe bene per loro se restassero cosi; ma se non riescono ad
osservare la continenza, prendano marito; infatti meglio pren
dere marito che ardere di concupiscenza. Paolo desidera nelle don
ne ci che nelle tortore disposizione permanente. E nellaltro
passo esorta le givani a prendere marito/ perch le nostre donne
riescono con difficolt a conservare la castit delle tortore. Dun
que Dio ha infuso nelle tortore questo sentimento, ha dato loro
questa virt della continenza, lui che solo pu stabilire ima norma
valida per tutti. La tortora non arde nel fiore della giovinezza,
non si lascia sedurre dalle attrattive dunoccasione; la tortora
non sa violare il primo impegno assunto, perch sa conservare la
castit promessa nel primo connubio toccatole.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 317
Capitolo 20
64. Abbiamo parlato della vedovanza degli uccelli e abbiamo
detto come da essi sia sorta primieramente tale virt; parliamo
ora della verginit che si afferma sussista almeno in molti di essi,
tanto che pu essere constatata anche negli avvoltoi. Escludono
infatti che gli avvoltoi indulgano allaccoppiamento e si uniscano
in un rapporto di tipo coniugale mediante l esercizio delia copula
nuziale e affermano che perci concepiscano senza intervento del
seme maschile, generino senza accoppiamento e i loro figli invec
chino raggiungendo unet cosi avanzata che la loro esistenza si
prolunga sino ai centanni e difficilmente non superano il limite
di una breve et *.
65. Che cosa dicono coloro che sogliono farsi beffa dei no
stri misteri, quando sentono che una vergine ha generato e cre
dono impossibile il parto di una nubile il cui pudore non sia stato
contaminato da alcun rapporto con l'uomo? Si ritiene impossibile
nella Madre di Dio ci che non si nega sia possibile negli avvol
toi?. Questo uccello partorisce senza intervento del maschio, e
Bas., Hexaem., 180 AB 76 DE):
1) * -
*, S -
^ , , <( .
* Cf. Ve r o ., Georg., IV, 206: ergo ipsas guamuis angusti terminus aeui /
txcipiat.
La partenogenesi degli avvoltoi una leggenda; lo stesso Aristotele (H.A.,
VI. 5, 563 a, 5-11, e IX, 11, 615 a, 9-14) non ne parla.
gatur? Auis sine masculo parit et nullus refellit: et quia despon
sata Maria peperit, pudori eius faciunt quaestionem. Nonne aduer-
timus quod dominus ex ipsa natura plurima exempla ante prae
misit, quibus susceptae incarnationis decorem probaret, astrueret
ueritatem?
318 EXAMEHON, DIES V, SER. V I I I , C. 20, 65 - C. 21, 66-67
Caput XXI
66. Nunc age quae aues uelut quandam rem publicam curare
uideantur expediam atque uitae huius aetatem agere sub legibus.
Hinc enim rei publicae usus est leges omnibus esse communes
atque obseruari eas deuotione communi, uno omnes teneri uincu-
lo, non alii Ius esse quod alius sibi intellegat non licere, sed quod
liceat licere omnibus et quod non liceat omnibus non licere; esse
etiam communem reuerentiam patrum, quorum consilio res pu
blica gubernetur, commune omnibus urbis domicilium, commune
eonuersationis officium, unum praescriptum omnibus, unum esse
consilium.
67. Magna haec, sed quanto in apibus praestantiora, quae so
lae in onlni genere animantium communem omnibus subolem ha
bent, unam omnes incolunt mansionem, unius patriae clauduntur
limine. In commune omnibus labor, communis cibus, communis
omnibus operatio, communis usus et fructus est, communis uo
latus quid plura? communis omnibus generatio, integritas
quoque corporis uirginalis omnibus communis et partus, quoniam
nec inter se ullo concubitu miscentur nec libidine resoluuntur
nec partus quatiuntur doloribus et subito maximum filiorum exa
men emittunt e foliis atque herbis ore suo prolem legentes.
nessuno contesta questo fatto; e siccome Maria, ancora fidanzata,
ha partorito, mettono sotto processo la sua castit. Non vediamo
che il Signore ha fatto precedere moltissimi esempi ricavati dalla
stessa natura, mediante i quali intendeva dimostrare l onorabilit
ed affermare la verit dellIncamazione avvenuta per suo volere?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 319
Capitolo 21
66. Vi esporr ora quali uccelli sembrano amministrare una
specie di stato e trascorrere il tempo della loro vita sotto le leg
gi ^Di qui ha tratto origine la consuetudine degli Stati che le
leggi siano uguali per tutti e siano osservate da tutti con uguale
ossequio, tutti siano soggetti al medesimo vincolo, uno non abbia
un diritto che un altro pensi di non poter esercitare, ma a tutti sia
lecito ci che lecito e ci che non lecito non sia lecito per nessu
no; inoltre che sia comune la riverenza per gli anziani 1quali con la
loro saggezza governano lo Stato, comune a tutti il domicilio nella
citt, comune il dovere dei rapporti sociali, unica per tutti la nor
ma, unico il modo di sentire*.
67. Questo modo di comportarsi straordinario, ma ben
pi straordinario nelle api, che, uniche fra tutte le specie dei vi
venti, hanno una prole comune a tutte, tutte abitano in un'unica
dimora, vivono chiuse dentro i confini di ununica patria. Comune
a tutte il lavoro, comune il cibo, comune l attivit, comune l uso
e il provento, comune il volo che dire di pi? comune a
tutte la procreazione, comune a tutte nchie l'integrit del corpo
verginale e il parto, poich non si uniscono in alcun modo fra
loro mediante l accoppiamento n si sfiniscono con la libidine n
sono scosse dai dolori del parto e danno alla luce ad un tratto un
grandissimo sciame di figli raccogliendo dalle foglie e dai prati
la prole con la loro bocca
Cf. Ve r o . , Georg., I V, 54: magnisque agitant sub legibus aeuum. Anche
rinizio Nunc age ricorda Georg., IV, 149.
^ Ba s ., Hexaem., 172 D (73 E): krri 6,
tSiov & ,
( rti .
* Bas., Hexaem., 173 AB (74 A); ,
ti , .
Cf. Ve r g ., Georg., IV, 153: Solae communis natos, consortia tecta; 155:
tt patriam solae et certos nouere penates; 184: omnibus una quies operum,
labor omnibus unus.
* Cf. Verg., Georg., IV, 198-199: quod neque concubitu indulgent nec cor
pora segnes / in Venerem soluunt aut fettts nixibus edunt; 200-201: uerum
ifsae e foliis natos, e suauibus herbis ore legunt; 201-202: ipsae regem paruos-
(ue Quirites / sufficiunt. In realt la sola regina viene fecondata una volta
per tutte durante il volo nuziale.
68. Ipsae sibi regem ordinant, ipsae populos creant et licet
positae sub rege sunt tamen liberae. Nam et praerogatiuam iudi-
cii tenent et fidae deuotionis affectum, quia et tanquam a se sub
stitutum diligunt et tanto honorant examine. Rex autem non sorte
ducitur, qyia in sorte euentus est, non iudicium et saepe inratio-
nabili casu sortis melioribus ultimus quisque praefertur, neque
inperitae multitudinis uulgari clamore signatur, quae non merita
uirtutis expendit nec publicae utilitatis emolumenta rimatur, sed
mobilitatis nutat incerto, neque priuilegio successionis et generis
regalibus thronis insidet, siquidem ignarus publicae conuersationis
cautus atque eruditus esse non poterit. Adde adulationes atque
delicias, quae teneris inolitae aetatibus uel acre ingenium eneruare
consuerunt, tum institutiones spadonum, quorum plerique suo
magis quaestui quam usui publico animum regis inclinant. Apibus
autem rex naturae claris formatur insignibus, ut magnitudine cor
poris praestet et specie, tum quod in rege praecipuum est, morum
mansuetudine. Nam etsi habet aculeum, tamen eo non utitur ad
uindicandum. Sunt enim leges naturae non scriptae litteris, sed
inpressae moribus, ut leniores sint ad puniendum qui potestate
maxima potiuntur. Sed etiam illae quae non obtemperauerint le
gibus regis paenitenti condemnatione se multant, ut inmoriantur
aculei sui uulneri. Quod Persarum populi hodieque seruare dicun
tur, ut pro commissi pretio ipsi in se propriae mortis exequantur
sententiam. Itaque nulli sic regem, non Persae, qui grauissimas
in subditos habent leges, non Indi, non populi Sarmatarum tanta
320 EXAMERON, DIES V, SER. VIII, C. 21, 68
68. Di loro iniziativa si nominano un re di loro iniziativa co
stituiscono le comunit e, sebbene poste sotto un re, tuttavia so-'
no libere. Infatti mantengono la prerogativa di ^udicame i me
riti e insieme un sentimento di fedele devozione verso di lui,
perch lo amano in quanto da loro designato e con uno sciame
tanto niuneroso gli rendono onore. I l re poi non indicato dalla
sorte, perch nella sorte domina il caso, non gi una valutazione
dei meriti, e spesso per lirragionevole vicenda della sorte il pi
inetto preferito a chi vale di pi; non viene indicato a gran voce
dalla moltitudine inesperta che, non sapendo giudicare i meriti del
la virt n penetrare vantaggi del bene comune, ondeggia nel-
rincertezza della volubilit; non s'installa sul trono regale per il
privilegio della successione familiare, poich chi inadatto alla
vita politica non potr mai essere prudente e preparato. Aggiungi
le adulazioni e le mollezze che, avendo esercitato la loro influenza
fin dalla' tenera et, sogliono snervare anche un'indole piena di
energia, e inoltre gli insegnamenti degli eunuchi, la maggior parte
dei quali orientano l'animo del sovrano pi in vista dei loro in
teressi che dell'utilit pubblica *. Per le api invece la natura forma
il re con chiari segni cosi che si distingue per le dimensioni del
corpo, per il suo aspetto e inoltre per la mitezza del carattere, la
dote pi importante in un re. Infatti, pur avendo il pungiglione,
non lo usa per punire vma legge di natura, non scritta ma
impressa nel costume, che coloro che detengono il sommo potere
siano senz'altro miti nel punire *. Ma anche quelle che hanno di
subbidito alle leggi del re si condannano da sole in segno di penti
mento, uccidendosi con la pimta del proprio pimgglione. Si dice
che le popolazioni persiane conservino tuttora l'usanza di esegui
re personalmente contro di s la sentenza di morte quale pena
della colpa commessa. Tuttavia nessuno non i Persiani che
hanno leggi severissime contro i sudditi, non gli Indiani, non le
popolazioni dei Sarmati onora il proprio re con tanta devota
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 321
^Come s' detto, realmente si tratta di ima regina . Su tutto il pa
ragrafo cf. Sen., De clementia, I , 19, 24 (I I I . 17); vedi anche Alfonsi, op. cit.,
p. 130.
Secondo Seneca, noluit illum (i l re, cio la regina) natura nec saeuum
esse nec ultionem magno constaturam petere telumgue detraxit et iram eius
inermen reliquit. In realt anche l ape regina provvista di un pungiglione, ma
senza uncini, sicch, a differenza dell'ape operaia, essa pu ritirarlo dopo
aver punto.
* Come rileva il Coppa (op. cit., p. 314, n. 51), queste parole di S. Am
brogio sembrano riferirsi ad una situazione storica molto concreta, cio
a Valentiniano I I .
'* Bas., Hexaem., 137 A (74 A): Kal crtiv o 6
{ <)
( yip 6 -
) -
< ( o&rci (
, , }, * -
, . -
, .
^Bas., Hexaem., 173 (74 ): ,
.
quanta apes reuerentia deuotionis obseruant, ut nullae de domi
bus exire audeant, non in aliquos prodire pastus, nisi rex fuerit
primo egressus et uolatus sibi uindicauerit principatum.
69. Processus autem est per rura redolentia, ubi inalantes
horti floribus, ubi fugiens riuus per gramina, ubi amoena ripa
rum: illic ludus alacris iuuentutis, illic campestre exercitium, illic
curarum remissio. Opus ipsum suaue. De floribus, de herbis dul
cibus fundamina castrorum prima ponuntur. Quid enim aliud est
fauus nisi cjuaedam castrorum species? Denique ab his praesae
pibus apium fucus arcetur. Quae castra quadrata tantum possunt
habere artis et gratiae, quantirai habent crates fauorum, in qui
bus minutae ac rutimdae cellulae conexione sui inuicem fulciun
tur? Quis architectus eas docuit exagonia illa cellularum indiscre
ta laterum aequalitate componere ac tenues inter domorum saepta
ceras suspendere, stipare mella et intexta floribus horrea nectare
quodam distendere? Cernas omnes certare de munere, alias inni
gilare quaerendo uictum, alias sollicitam castris adhibere custo
diam, alias futuros explorare imbres et speculari concursus nu
bium, alias de floribus ceras fingere, alias rorem infusum floribus
ore colligere, nullam tamen alienis insidiari laboribus et rapto
uitam quaerere: Atque utinam raptorum insidias non timerent!
Habent tamen spicula sua et inter mella fundunt uenenum, si fue
rint lacessitae, animasque ponunt in uulnere ardore uindictae.
Ergo mediis castrorum uallibus umor ille roris infunditur paula-
timque processu temporis in mella cogitur, cum fuerit liquidus
ab exordio, et coalitu cerae florumque odore fragrare mellis inci
pit suauitatem.
322 EXAMERON, DIES V, SER. VIH, C. 21, 68-69
reverenza qusinto l api al punto che nessuno osa uscire di casa
o cercare qualche pastura, se prima non uscito i l re assumendo
il comando dello sciame in volo.
69. Esse procedono poi attraverso i campi odorosi, dove vi
sono giardini olezzanti di fiori dove il ruscello fugge tra i pra
ti , dove si allungano le rive ridenti: l i giochi di quella gioven
t vivace, l gli esercizi in campo, l il sollievo dalle preoccupa
zioni. Lo stesso lavoro riesce loro gradevole. Ricavandoli dai fiori,
dalle erbe dal dolce sapore, pongono i primi fondamenti del loro
accampamento Che cos' infatti un favo se non una forma di
accampamento? Di conseguenza da questi ricoveri delle api il fuco
viene cacciato via*^. Quale accampamento ben costruito pu rag
giungere tanta arte e bellezza quanta ne ha la compagine dei favi
nei quali cellette minuscole e rotonde si sorreggono reciprocamen
te con vicendevole connessione? Quale architetto ha loro insegna
to a costruire gli esagoni delle cellette dai lati perfettamente sim
metrici e a stendere la cera sottile entro il recinto di ciascuna
dimora, ad accumulare il miele e a spalmare di non so qual net
tare i granai intessuti di fi or i . Le potresti vedere tutte com
piere a gara le loro funzioni: alcune dedicarsi premurose alla
ricerca del cibo, altre esercitare un'attenta vigilanza sull'accam
pamento altre spiare ravvicinarsi delle piogge ed osservare l'ac
cumularsi delle nuvole, altre formare dai fiori la cera, altre rac-
coglire con la bcca la rugiada spruzzata sui fior; nessuna tut
tavia insidiare il lavoro altrui e procurarsi i mezzi per vivere rapi
nando*. E magari non dovessero temere le insidie dei rapina
tori! Anch'esse tuttavia hanno il pimgiglione e, pur in mezzo al
miele, iniettano un veleno, se sono provocate, e nell'ardore della
vendetta, mentre feriscono, perdono la vita. Or dunque, dentro
le cavit del loro accampamento viene riversato l'umore della ru
giada, di cui s detto, che, fluido aHinizio, un po' alla volta col
passare del tempo viene reso denso a formare i l miele e, per la
mescolanza della cera e per il profumo dei fiori, comincia ad
emanare il soave odore che gli proprio *.
9Cf. Vero., Georg., IV, 210*212: Praeterea regem non sic Aegyptus et
ingens / Lydia nec populi Parthorum aut Medus Hydaspes / obseruani.
Cf. Verg., Georg., IV, 109; inuitent croceis halantes floribus horti.
Cf. Ver g., Georg., IV, 19: et tenuis iugtens per gramina riuus.
Cf. Ver g., Georg., IV, 159-162: pars intra saepta domorum / narcissi
lacrimam et lentum de cortice gluten / prima fauis ponunt fundamina, dein
de tenacis / suspendunt ceras.
Cf. Ver g., Georg., IV, 168: ignauum fucos pecus a praesepibus arcent.
Ver g., Georg., IV, 163*164: aliae purissima mella / stipant et liquido
^lendunt nectare cellas.
Cf. Ver g., Georg., IV, 15859: Namque aliae uictu inuigilant et foede
re pacto / exercentur agris.
Cf. Ver g., Aen., V I I , 749: connectare iuuat praedas et uiuere rapto; IX,
613: comportare iuuat praedas et uiuere rapto.
Cf. Ver g., Georg., IV, 236-238: Illis ira supra modum est laesaeque ue-
nenum / morsibus inspirant et spicula caeca relinquunt / adfixae uenis ani-
masque in uulnere ponunt.
Cf. Ver g., Georg., IV, 169: Feruet opus, redolentque thymo fragrantia
mella.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 323
70. Merito quasi bonam operariam scriptura apem praedicat
dicens: Vade ad apem et uide quomodo operaria est, operationem
quoque quam uenerabilem mercatur, cuius laborem reges et me
diocres ad salutem sumunt; adpetibilis enim est omnibus et cla
ra^. Audis quid dicit propheta? Mittit utique te, ut apiculae illius
sequaris exemplum, imiteris operationem. Vides quam laboriosa,
quam grata sit. Fructus eius ab omnibus desideratur et quaeritur
nec pro personarum diuersitate discernitur, sed indiscreta sui
gratia regibus pariter ac mediocribus aequali suauitate dulcescit.
Nec sOlum uoliiptati, sed etiam saluti est. Fauces obdulcat et cu
rat uulnera, internis quoque medicamentum infundit ulceribus.
Itaque cum sit infirma robore apis, ualida est uigore sapientiae
et amore uirtutis.
71. Denique regem suum summa protectione defendunt et
perire pro eo pulchrum putant. Incolumi rege nesciunt mutare iu-
dicium, mentem inflectere, amisso fidem reseruandi muneris de
relinquunt atque ipsae sua mella diripiunt, quod is qui principa
tum habuit muneris interemptus est. .
72. Itaque cmn aues aliae uix in anno edant singulos fetus,
apes geminos creant et duplici ceteris fecunditate praeponderant.
324 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , c. 21, 70-72 - c. 22, 73
Caput XXII
73. Consideremus nunc quid sit quod ait: Producant aquae
reptilia animarum uiuentium et uolatilia uolantia super terram
secundum genus et secus firmamentum caeli". Cur super terram
dixerit, certum est, quia uictum de trra quaerunt; secus firma
mentum autem caeli quomodo, cum aquilae ultra ceteras aues
uolent et tamen ipsae non secus firmamentum caeli? Sed quia
graece dicitur, quod latine caelum adpellamus,
autem - id est a uidendo, ideo quod aer perspicuus
sit et ad uidendum purior, in aere uolitantia genera dixit animan
tium. Neque moueat quod ait secus firmamentum caeli. Non pro-
Prou 6, 8a-b (Sept.).
71, 2. incolomi Schenkl incolumi plerique codd.
a Gen 1, 20.
70. Ben a ragione la Scrittura esalta lape come lavoratrice
esemplare dicendo: Va' dallape e guarda come lavora ed anche
quale apprezzabile opera essa d in cambio: re e gente modesta
si servono del suo lavoro per la loro salute; infatti per tutti de
siderabile e apprezzata **. Senti ci che dice il profeta? Ti esorta
addirittura a seguire l esempio di quella piccola ape e ad imitarne
lattivit. Tu vedi quant' laboriosa, quant simpatica. I l suo pro
dotto, desiderato e ricercato da tutti, non diverso a seconda
delle persone, ma indistintamente la sua bont con soavit uguale
offre uguale dolcezza ai re come alla, gente comune. Esso non
solo ci reca piacere, ma anche salute. Addolcisce la bocca, guari
sce le ferite e inoltre, infuso sulle piaghe interne, esercita una
azione curativa. Perci, pur debole nel fisico, l'ape robusta per
vigore di sapienza e per amore di virt.
71. Difendono inoltre il loro re proteggendolo con tutte le
forze e ritengono bello morire per lui. Finch il re incolume,
non sanno cambiare decisione, mutare sentimenti; quando l'han
no perduto, trascurano l impegno di salvare la loro attivit ed
anzi sono esse a saccheggiare il loro miele, perch morto chi
di tale attivit aveva la direzione
72. Perci, mentre gli altri uccelli procreano una volta al
lanno, le api danno due volte il loro prodotto, superando con
tale duplice fecondit tutti gli altri animali
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 325
Capitolo 22
73. Consideriamo ora che cosa significhino le parole: Le ac
que producano rettili in un brulichio desseri viventi e volatili
che volino sopra la terra secondo la propria specie e in faccia al
firmamento del cielo. Perch abbia detto sopra la terra, ben
chiaro, in quanto ricavano il vitto dalla terra; ma perch mai ha
detto in faccia al firmamento, dal momento che nemmeno le
aquile, pur volando pi in alto degli altri uccelli, volano in faccia al
firmamento del cielo? Ma siccome in greco si dice ci che
in latino chiamiamo cielo e - deriva -,
cio da vedere , per questo la Scrittura ha detto che specie di
esseri viventi volano per l aria perch l aria trasparente e assai
limpida a vedersi. N deve stupirci che dica in faccia al firmamen-
Cosi i Settanta; nella Vulgata (come nell'ebraico) si parla, e in forma
diversa, della formica.
Cf. Verg., Georg., I V, 212-218: Rege incolumi mens omnibus una est; /
misso rupere fidem constructague mella / diripuere ipsae et crates soluere
iauorum. / Ille operum custos, illum admirantur et omnes / circumstant
Uemitu denso stipante/ ue frequentes / et saepe attollunt umeris et corpora
bello / obtrectant pulchramque petunt per uulnera mortem.
** Cf. Vero., Georg., IV, 231: Bis grauidos cogunt fetus, duo tempora
tMssis.
prie firmamentum hic posuit. Sed abusiue, eo ijuod comparatione
aetherii illius corporis etiam iste aer, quem possumus oculis con-
prehendere, quasi crassus et densior uicem habeat firmamenti.
74. Nunc quia diximus quae uolatilia, quam naturam habeant
uel gratiam, et ea pauca de multis neque enim uacat uniuersa
describere, cum sint similia atque eiusdem generis ) tamen aues
ipsae quam inter se diuersitatem habeant consideremus. Inueni-
mus enim cornicis pedes uelut quibusdam digitis distantibus se
paratos atque diiiisos, comi quoque atque pullorum aliter etiam
formatos a natura pedes, auium quae carne uescuntur quasi in-
curuos atque sinuatos, uelut ad praedam paratos. Ea uero, quae
natandi habent usum et consuetudinem, latos habent pedes et
membrana quadam illos digitos pedum sibi copulatos atque co-
niunctos. In quo admirabilis patet ratio naturae, ut et illa ad
uolandum uel ad rapiendum cibum usu adcommodo fulciantur et
ista ad natandum adiumenta habeant conpetentia, quo melius
aquis possint supernatare et quasi remis quibusdam ita pedibus
suis membranae illius extensione latioribus aquarum fluenta pro
pulsent.
75. Cygnus quoque cur proceriore collo utatur in promptu
est, ut, quia est paulolum pigrior corpore nec facile potest aqua
rum inferiora penetrare, ceruicem extendat ad praedam, quae qua
si praeuia reliqui corporis escam quam inuenerit rapiat atque eruat
de profimdo. Adde illud, quia suauior et magis canorus per pro
cera modulus colla distinguitur et longiore exercitatione purior
longe resultat.
76. Quam dulcis etiam in exiguo cicadis gutture cantilena,
quarum cantibus medio aestu arbusta rumpuntur, eo quod magis
canorae meridianis caloribus, quo puriorem aerem id temporis
adtrahunt spiritu, eo cantus resonant clariores. Nec apes ipsae
326 EXAMERON, DIES V, SER. VI U , c. 22, 73-76
to del cielo. L'autore non ha usato qui firmamento in senso pro
prio, ma improprio, poich in confronto di quel corpo etereo an
che questaria, che possiamo percepire con gli occhi, fa parte del
firmamento perch spessa e alquanto densa
74. Ora, detto quali siano i volatili, e quale natura e bellezza
abbiano, limitandoci a pochi dato il loro numero non c tem
po infatti per descriverli tutti, essendo poi simili e appartenendo
alla stessa specie , consideriamo tuttavia quali diversit iinche
gli uccelli abbiano fra loro. Troviamo che i piedi della cornacchia
sono divisi come in dita separate, quelli del corvo e dei polli han
no da natura ima diversa conformazione, quelli degli uccelli car
nivori sono adunchi e ricurvi, come predisposti alla preda. I vo
latili invece che solitamente nuotano, hanno i piedi allargati e le
dita unite insieme da una specie di membrana. In ci si manife
sta un mirabile disegno della natura^che cio quelli si appoggino
su un. mezzo adatto per spiccare il volo o per predare il cibo,
questi dispongano di strumenti idonei al nuoto per poter meglio
mantenersi a galla nellacqua e far leva sulla corrente, come fos
sero remi, con i piedi resi pi larghi dal dilatarsi di quella mem
brana *. . * .
75. Cosi pure evidente per quale ragione il cigno abbia im
collo allungato, e cio perch, essendo piuttosto lento nei movi
menti e non potendo facilmente tuffarsi sotto la superficie del
lacqua, sia in grado di allungare verso la preda il capo e con
esso, che per cosi dire precede il resto del corpo, afferrare il
cibo scovato ed estrarlo dal fondo. Aggiungi che la modula*
zione della voce, passando per quel lungo collo, si articola pi
dolce e sonora e, data la maggiore elaborazione, risuona di gran
lunga pi limpida.
76. Quale dolce cantilena si leva anche dalla piccola gola
delle cicale^ per il cui canto nel cuore dellestate gli alberi si
fendono', perch, pi canore ai calori del meriggio, quanto pi
pura l aria che respirano, tanto pi chiaro risuona il loro verso.
E nemmeno le api emettono im suono sgradevole; infatti nel roco
* Bas., Hexaem., 180 BC (77 A): Kocr Sh , -
)\ , -
VOU S, , ^
,
.
Sull'errata etimologia di , vedi I I , 4, 15.
* Bas., Hexaem., 184 B (78 0): &,
,
, ,
^ , "
6 .
Bas., Hexaem., 184 B (78 D): Si (
, ,
, 8 ^ ^ , (
( , .
_ <Bas., Hexaem., 184 A (78 ): 6 -^ ;
*< [? , 6 , -
, ^;
* Cf. Vero., Georg., I l i , 328: et cantu querulae rumpent arbusta cicadae.
I SEI GIORNI DEIXA CREAZIONE 327
insuaue quiddam canunt; habent enim gratam in rauco illo uocis
suae murmure suauitatem, quam nos fracto tubarum sonitu len
tius primum uidemur imitati, quo strepitu ad excitandos animos
in uigorem nihH aptius extimatur. Et haec illis gratia manet, cum
pulmonem respirandique mimus atque usum nequaquam habere
prodantur, sed aerio uesci spiramine. Denique si quis eas super*
fimdat oleo, propere necantur, eo quod obstructis poris aerium
spiramen illud haurire non possint, continuoque si quis acetum
his superfundat, ilico reuiuescunt, eo quod uis aceti cito illos po-
ros, qui concretione olei obstruuntur, umore feratur aperire.
328 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , C. 22, 76 C. 23, 77
Caput XXI I I
77. Et quia de uolatilibus -dicimus, non putamus alienum ea
conplecti quae de uerme Indo tradit historia uel eorum relatio
qui uidere potuerunt. Fertur hic corniger uermis conuerti primum
in speciem caulis atque in eandem mutari naturam, inde proces
su quodam fieri bombylius. Nec eam tamen formam figur^que
c:ustodit, sed laxis et latioribus foliis pinnas uidetur adsumere. Ex
iis foliis mollia illa Seres depectunt uellera, quae ad usus sibi
proprios diuites uindicanmt. Vnde et dominus ait: Quid existis
in desertum? Videre hominem mollibus uestimentis indutum? Ec
murmure del loro ronzio hanno una gradevole piacevolezza che
sembra sia stata da noi imitata con una certa lentezza la prima
volta mediante il suono spezzato delle trombe, del quale nessim
clangore si stima pi efficace per incitare gli animi al coraggio.
E questa una loro particolare dote, perch si dice che non ab
biano polmoni e perci manchino completeimente della funzione re
spiratoria, ma si nutrano aspirando aria. Di conseguenza, se uno
versa su di esse dellolio, muoiono rapidamente, perch, essendone
stati turati i pori, non possono assorbire quell'alito daria; e se
immediatamente vi si versa sopra dellaceto, tosto , perch
si dice che la natura acida dellaceto apra subito con il suo liquido
i pori ostruiti dallolio rappreso.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 329
Capitolo 23
77. Dal momento che stiamo parlando dei volatili, pensiamo
che non sia fuor di luogo riassumere ci che la storia o i resoconti
dei testimoni oculari tramandano sul verme indiano. Si dice che
questo verme fornito di coma prenda anzitutto l aspetto di im
gambo e ne assuma anche la natura, quindi, mediante ima partico
lare metamorfosi, si trasformi in bozzolo. Tuttavia non conserva
stabilmente questa forma esteriore, ma, aprendo delle foglie duna
certa ampiezza, sembra mettere le ali. Da quelle foglie i Cinesi
tolgono con i pettini * quei morbidi fiocchi che i ricchi haimo riser
vato al loro uso esclusivo*. Perci anche il Signore dice: Perch
* Cf. Vero., Georg., I V, 71-72: et uox / auditur fractos sonitus imitata
tubarum.
Cf. Vero., Aen., VI, 164-165: quo non praestantior alter / aere etere uiros
Uartemque accendere cantu.
Cf. Vero., Georg., I I , 121: uelleraque ut foliis depectant tenuia Seres;
Hor., Epod., V i l i , 15-16: inter sericos ... puluillos. I Seri debbono identifi
carsi con i Cinesi.
* Bas., Hexaem., 184 D, 185 A (78 E, 79 A): Ti ol
, (
^; CFxo
' ,
,
^. " , -
, &
, 6 ,
^ -
Come tutti possono constatare, le notizie date da S. Basilio e ripetute da
S. Ambrogio sulla metamorfosi del baco da seta sono assai imprecise. Solo
pel 552, per opera di due monaci inviati in Cina da Giustiniano, furono
importanti in Europa i primi bozzoli e la sercultiu-a fu impiantata nel
Mediterraneo.
ce qui mollibus uestiuntur in domibus regum sunt . Chamaeleon
quoque diuersas species fertur uario colore mentiri. Lepores cer
te, quod de proximo facile cognouimus, hieme albescere, aestate in
suum post colorem redire non dubium est.
330 EXAMERON, DIES V, SER. V I I I , C. 22, 77-80
78. Haec ideo libaui, ut ad commutationis fidem, quae in
resurrectione futura est, etiam ista exempla nos prouocent, sed
ita ut commutationem illam dicamus, quam apostolus euidenter
expressit dicens: Omnes quidem resurgemus, non omnes autem
inmutabimur^. Et infra ait: E t mortui resurgent incorrupti et nos
inmutabimur. Oportet enim corruptibile hoc induere incorrupte
lam et mortale Hoc induere inmortalitatem Plerique enim com
mutationis genus et formas, quas non acceperunt, interpreta
ti nequaquam praesumptionis indebitae incongrua usurpatione
caruerunt.
79. Phoenix quoque auis in locis Arabiae perhibetur degere
atque eam usque ad annos quingentos longaeuam aetatem produ
cere. Quae cum sibi finem uitae adesse aduerterit, facit sibi the
cam de ture et murra et ceteris odoribus, in quam impleto uitae
suae tempore intrat et moritur. De cuius umore camis uermis
exsurgit paulatimque adolescit ac processu statuti temporis in
duit alarum remigia atque in superioris auis speciem formamque
reparatur. Doceat igitur haec auis uel exemplo sui resurrectionem
credere, quae sine exemplo et sine rationis perceptione ipsa sibi
insignia resurrectionis instaurat. Et utique aues propter hominem
sunt, non homo propter auem. Sit igitur exemplo nobis quia auc
tor et creator auium sanctos suos in perpetuum perire non pa
titur*, qui auem unicam perire non passus resurgentem eam sui
semine uoluit propagari. Quis igitur huic adnuntiat diem mortis,
ut faciat sibi thecam et inpleat eam bonis odoribus atque ingre
diatur in eam et moriatur illic>ubi odoribus gratis faetor funeris
possit aboleri?
80. Fac et tu, homo, tibi thecam: expolians te ueterem homi
nem cum actibus suis nouum indue*. Theca tua, uagina tua Chri
stus est, qui te protegat et abscondat in die malo. Vis scire quia
Mt 11, 8.
*>1 Cor 15, 51.
c 1 Cor 15, 52-53.
Ps 15, 10; Act 13, 35.
Coi 2, 9.
siete usciti nel deserto? Per vedere un uomo avvolto in morbide
vesti? Quelli che indossano morbide vesti stanno nei palazzi dei re.
Si dice che anche il camaleonte, cambiando colore, tragga in in
ganno assumendo aspetti differenti. Ad ogni modo indubbio
che le lepri, fenomeno che conosciamo per constatazione diretta,
d'inverno diventino bianche, mentre d'estate riprendono il colore
naturale.
78. Ho sfiorato questi argomenti perch anche questi esempi
ci stimolino a credere nella trasformazione che l'Apostolo indic
chiaramente dicendo: Tutti certamente risorgeremo, ma non tutti
saremo trasformati^. E pi sotto dice: E i morti risorgeranno
incorrotti ' e noi saremo trasformati. I nfatti bisogna che questo
corpo corruttibile rivesta lincorruttibilit e che questo corpo
mortale rivesta l'immortalit. Molti infatti, avendo voluto spie
gare senza informazione adeguata il genere e le forme di questa
trasformazione, non evitarono affatto di ricorrere sconveniente
mente a indebite congetture.
79. Si narra che nelle regioni d'Arabia si trovi anche l uc
cello chiamato fenice, che prolunga la sua longevit fino a cin
quecento anni. Quando si accorge che si awicina la fine della sua
vita, si costruisce un involucro dincenso, mirra e altri aromi, nel
quale, una volta compiuto il tempo dell'esistenza, entra e muore.
Dal disfacimento della sua carne nasce im verme che a poco a
poco si sviluppa e, dopo un determinato periodo di tempo, assu
me il remeggio delle ali, ricostruendosi nell'identico aspetto del
preesistente uccello *. Ci insegni dunque questo uccello, anche con
il suo esempio, a credere nella risurrezione, esso che, senza alcun
modello e senza rendersene conto, rinnova in s il simbolo della
risurrezione. E senza dubbio gli uccelli esistono per gli uomini,
non gli uomini per gli uccelli*. Ci dimostri dunque che l'Artefice
e il Creatore degli uccelli non permette che i suoi santi periscano
in eterno, egli che, non avendo permesso che quell'unico uc
cello perisse, ha voluto che s riproducesse risorgendo dal proprio
seme. Chi dunque gli annuncia il giorno della morte in modo che
si fabbrichi l'involucro, lo riempia di profumi, entri in esso e
muoia l dove il fetore della morte possa essere annullato dai
gradevoli odori?
80. Anche tu, o uomo, fbbricati il tuo involucro; spoglian
doti dell'uomo vecchio con le sue opere, rivestiti dell'uomo nuovo.
Il tuo involucro, il tuo rivestimento Cristo che deve proteggerti
^Vedi I V, 4, 14, n. 6.
^S. Cl em.,' p., I , 25.
^Riflettendo su un dato del tutto fiabesco come avviene spesso nel
linterpretazione allegorica S. Ambrogio arriva a enunciare un principio
enneneutico della realt creaturale teologicamente fecondo: tutte le creature
uno un messaggio di Dio all'uomo. Le loro leggi e la loro storia non sono
concluse in s come autosufficienti: le ispira im'intenzione pi alta, cio il
riferimento all'uomo, che ne trae esempio e insegnamento: Ci insegni que
sto uccello, anche con il suo esempio... . Tale principio ermeneutico, che
unifica in senso antropologico tutto l'universo e se ne serve come illustnudone
( controprova, sta alla base di tutta l'esegesi ambrosiana dell'Esamerone. Cf.
p. 345, n. I. [I .B .]
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 331
theca protectionis est? Pharetra inquit mea protexi eum^. Theca
ergo tua est fides; imple eam bonis uirtutum tuarum odoribus,
hoc est castitatis, misericordiae atque iustitiae et in ipsa penetra
lia fidei suaui factorum praestantium odofe redolentia totus in
gredere. Ea te amictum fide exitus uitae huius inueniat, ut pos
sint ossa tua pinguescere et sint sicut hortus ebrius , cuius cito
suscitantur uirentia. Cognosce ergo diem mortis tuae, sicut co-
gnouit et Paulus, qui ait; Certamen bonum certaui, cursum con
summaui, fidem seruaui. Reposita est mihi corona iustitiae^. In-
trauit igitur thecam suam quasi bonus phoenix, quam bono re-
pleuit odore martyrii.
332 EXAMERON, DIES V, SER. VI U , c. 23, 80-83
81. Interrogabo te, tu autem responde mihi unde uultures
mortem hominum signis quibusdam adnuntiare consueuerint, quo
indicio docti atque instructi sint, ut, cum bellum lacrimabile inter
se aduersae acies instruant, multo praedictae uolucres sequantur
agmine et eo significent quod multitudo hominum casura sit bello
futura praeda uulturibus. Quod utique ex specie instructionis hu
manae quaderni uidentur ratione colligere.
82. Vsque ad lucustam quoque gratia diuina penetrauit, quae
cum agmine conferto regionis cuiusque occupauerit latitudinem,
innoxio primum feriatur habitaculo nec fructus inhospitali incur
sione depascitur, nisi diuinae signum praeceptionis acceperit. Ete
nim sicut in Exodo legimus, ea quoque caelestis ultionem offen
sionis exequitur piae ministra uindictae.
83. Hanc quoque auis deuorat seleucis r sic enim graeco
auis haec nuncupatur nomine data ad remedium malorum,
quae lucusta consueuit inferre. Cui creator inexplebilem dedit
deuorandi. naturam, ut insatiabili pastu plagam quam supra dixi
mus possit extinguere.
f Is 49, 2.
Is 58, 11.
h 2 Tim 4, 7-8.
e ripararti nel giorno della tentazione. Vuoi sapere perch un
involucro che ti protegge? Con la faretra, dice, l'ho protetto. I l
tuo involucro la fede: riempila dei profumi delle tue virt, cio
della castit, della misericordia e della giustizia, ed entra con tutto
il tuo essere nel santuario stesso della fede, odoroso del soave
profumo delle azioni pi sante. Avvolto in questa fede ti colga il
momento di lasciare questa vita, perch le tue ossa possano man
tenersi ben nutrite e siano come un giardino inebriato dal quale
presto sorgono le piante. Considera il giorno della tua morte co
me lo consider Paolo che disse: Ho combattuto la buona batta
glia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi attende
la corona di giustizia. Entr dimque nel proprio involucro come
ima brava fenice, riempiendolo del profumo del martirio.
81. I o ti far una domanda, e tu rispondendo dimmi donde
gli avvoltoi abbiano preso la consuetudine di annimciare la morte
degli uomini, da quale indizio ne ricavino la sicura conoscenza,
cosicch, quando gli opposti eserciti per loro sventura si appre
stano a combattersi tali uccelli li seguono in folto stormo e con
ci indicano che una moltitudine di uomini cadr nella guerra
divenendo preda degli avvoltoi. Sembra evidentemente che lo ar
guiscano, come se ragionassero, dalla vista degli uomini schierati.
82. La bont divina ha raggiunto perfino le locuste le quali,
quando in fitti nugoli occupano im paese in tutta la loro esten
sione, dapprima vi fissano oziose la loro dimora senza recar danni
e non divorano i prodotti del suolo con avverse incursioni, a meno
che non ricevano il segnale del comando divino *. Infatti, come
leggiamo ntWEsodo, anch'esse, strumento d'un castigo voluto da
Dio, eseguono la pimizione stabilita dallira divina.
83. Ma anch'esse sono divorate dalla seleucide (cosi infatti
chiamato in greco quest'uccello), concessa quale rimedio delle
rovine che le locuste sogliono produrre. I l Creatore le ha dato per
natura una voracit insaziabile, affinch, col suo pasto che non
ha tregua, possa eliminare la piaga di cui s parlato
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 333
Is, 58, 11: .
Cf. Vero., Aen., VI I , 604: siue Getis inferre manu lacrimabile bellum.
* Bas., Hexaem., 181 C (78 A): -
8 ,
6 , - , aurji
.
Bas., Hexaem., 181 D (78 A): , -
- , &
: ;
Cf. PuN., N.H., X, 27, 75: Seleucides aites uocantur quarum aduentum ab
ove precibus impetrant Cadmi montis incolae, fruges eorum locustis uastan-
tibus. Nec unde ueniant quoque abeant compertum, numquam conspectis nisi
cum praesidio earum indigetur. La seleucide una specie di tordo che si
nutre di locuste.
Caput XXIV
84. Sed quid hoc est? Dum sermonem producimus, ecce iam
tibi et nocturnae aues circumuolant et in eo ipso, quo finiendum
sermonem admonent, sui quoque adsumendam commemorationem
producunt. Repetunt diuersae aues auiaria sua, quas uesper nocti
cogit decedere, et se in latibulis suis abdunt canoro occasum
diei carmine prosequentes, ne inmunis abeat gratiarum, quibus
creatorem suum omnis creatura conlaudat.
85. Habet etiam nox carmina sua, quibus uigilias hominum
mulcere consueuit, habet et noctua suos cantus. Quid autem de
luscinia dicam, quae peruigil custos, cum oua quodam sinu cor
poris et gremio fouet, insomnem longae noctis laborem cantile
nae suauitate solatur, ut mihi uideatur haec summa eius esse inten
tio, quo possit non minus dulcioribus modulis quam fotu corporis
animare oua quae foueat. Hanc imitata tenuis illa mulier, sed pu
dica, incusum molae lapidem brachio trahens, ut possit alimen
tum panis suis paruolis non deesse, nocturno cantu maestum pau
pertatis mulcet adfectum et, quamuis suauitatem lusciniae non
possit imitari, imitatur tamen eam sedulitate pietatis.
86. Noctua ipsa quemadmodum magnis et glaucis oculorum
pupillis nocturnarum tenebrarum caligantem non sentit horro
rem et quo fuerit nox obscurior eo contra usum auium ceterarum
inoffensos exercet uolatus, exorto autem die et circumfuso splen
dore solis uisus eius hebetatur, quasi quibusdam erret in tene
bris. Quo indicio sui declarat esse aliquos, qui cum oculos ha
beant ad uidendum, uidere non soleant et uisus sui officio solis
fungantur in tenebris. De cordis oculis loquor, quos habent sa
pientes mundi et non uident, in luce nihil cernunt, in tenebris
ambulant, dum daemoniorum tenebrosa rimantur et caeli alta
uidere se credunt describentes radio mimdum, mensuram aeris
ipsius colligentes, porro autem a fide deuii perpetuae caecitatis
tenebris inplicantur habentes in proximo diem Christi et lumen
334 EXAMERON, DIES V, SER. VIXI, c. 24, 84-86
Eph 1,18.
Capitolo 24
84. Ma che questo? Mentre prolunghiamo i l nostro discor
so, ecco che ti volano attorno gli uccelli notturni e, nell'atto stesso
in cui avvertono che bisogna finire U discorso, fanno presente che
dobbiamo ricordarci anche di loro. Ritornano ai loro ricoveri i
vari uccelli che la sera costringe a ritirarsi davanti alla notte e si
rimpiattano nei loro nascondigli, accompagnando con un canto
armonioso il calar del giorno, perch non se ne vada senza il rin
graziamento con il quale ogni creatura loda il proprio Creatore.
85. Anche la notte ha le sue melodie con le quali suole al
lietare le veglie degli uomini; persino la nottola ha i propri canti.
Che dire dell'usignolo che, sentinella vigile, quando attende a co
vare le uova col calore del suo seno, conforta l'insonne fatica della
lunga notte con la soavit del suo canto? Mi sembra chesso si
sforzi soprattutto dinfondere la vita nelle uova che sta covando
non meno con la particolare dolcezza della melodia che con i l ca
lore del suo corpo*. Sul suo esempio la donna povera ma onesta,
facendo girare a forza di braccia la pietra scalpellata della maci
na perch non manchi il nutrimento del pane ai suoi bambini *,
con il canto notturno lenisce il tormentoso pensiero della povert
e, sebbene non possa imitare la dolcezza dell'usignolo, tuttavia
ne imita il sollecito affetto.
86. Anche la nottola, come non avverte l'orrore deU'oscurit
tenebrosa con le sue pupille spalancate e cangianti e, quant' pi
oscura la notte, tanto pi contro la consuetudine di tutti gli altri
uccelli si abbandona senza pericolo al volo, cosi invece, quand
sorto il giorno e si diffuso lo splendore del sole, la sua vista ri
mane offuscata come se andasse errando nelle tenebre. E con tale
comportamento ci dimostra che ci sono persone che, pur avendo
gli occhi per vedere, solitamente non vedono e si servono della
loro vista solamente quand' buio . Parlo degli occhi del cuore
che i saggi di questo mondo possiedono senza vedere: non scor
gono nulla, camminano nelle tenebre, mentre cercano di penetrare
i tenebrosi abissi dei demoni e pensano di vedere le sublimit del
cielo, tracciando con un bastoncello l immagine dell'imiverso e
calcolando persino i limiti dell'atmosfera; invece, lontani dalla
fede, sono avvolti nel buio d'una cecit senza fine, pur avendo a
portata di mano il giorno di Cristo e la luce della Chiesa, e, senza
Cf. Verg., Georg., 1, 293: interea longum cantu solata laborem.
* Bas., Hexaem., 181A (77 C): , , 8
.
3 Cf. Vero., Georg., I , 274-275: lapidemgue reuertens / incusum ... reportat.
* Cf. Vero., Aen., V i l i , 411-413: noctem addens operi famulasgue ad lu
mina longo / exercet penso, castum ut seruare cubile / coniugis et possit
paruos educere natos.
^Bas., Hexaem., 181 B (77 D): |
ri|v . ( 6 , >
. 1 6
^(, & .
* Cf. Verg., Aen., VI , 849^50: caelique meatus / describent radio.
Z SBI GIORNI DELIA CRAZIONB 335
ecclesiae et nihil uidentes aperiunt os quasi scientes omnia, acuti
ad uana, hebetes ad aeterna et longae disputationis anfractu pro
dentes scientiae propriae caecitatem. Itaque dum cupiunt subti
libus uolitare sermonibus, quasi noctuae in lumine euanuerunt.
87. Vespertilio animal ignobile a uespere nomen accepit. Est
autem uolatilis eademque quadrupes et dentibus utitur, quos in
aliis auibus repperire non soleas. Parit ut quadrupedia non oua,
sed pullos uiuentes. Volitat autem in aere auium more, sed cre
pusculo uespertino consueuit offundi. Volitat autem non aliquo
pinnarum, sed membranae suae fulta remigio, quo suspensa uelut
pinnarum uolatu circumfertur atque uegetatur. Habet et illud hoc
uile animal, quod sibi inuicem adhaerent et quasi in speciem bo
tryonis ex aliquo loco pendent ac, si se ultima quaeque laxauerit,
omnes resoluuntur. Quod fit quodam munere caritatis, quae diffi
cile in hominibus huius mundi repperitur.
336 EXAMBRON, DIES V, SER. V I I I , c. 24, 86-88
88. Est etiam galli cantus suauis in noctibus non solum
suauis, sed etiam utilis, qui quasi bonus cohabitator et dormi
tantem excitat et sollicitum admonet et uiantem solatur proces
sum noctis canora significatione protestans. Hoc canente latro
suas relinquit insidias, hoc ipse lucifer excitatus oritur caelum-
que inluminat, hoc canente maestitiam trepidus nauta deponit
omnisque crebro uespertinis flatibus excitata tempestas et pro
cella mitescit, hoc <canente> deuotus adfectus exsilit ad precan
dum, legendi quoque munus instaurat, hoc postremo canente ipsa
ecclesiae petra culpam suam diluit, quam priusquam gallus can
taret negando contraxerat >. Istius cantu spes omnibus redit, ae
gri releuatur incommodum, minuitur dolor uulnerum, febrium
flagrantia mitigatur, reuertitur fides lapsis, lesus titubantes respi
cit, errantes corrigit. Denique respexit Petrum, et statim error
abscessit, pulsa est negatio, secuta confessio'. Quod non fortuito
accidisse, sed ex sententia domini lectio docet. Sic enim scriptum
>Mt 26, 74-75.
c Lc 22, 61.
veder nulla, aprono la bocca come se fossero onniscienti, acuti in
ci che vano, ottusi in ci che eterno, rivelando, con i cavilli
delle loro dispute interminabili, la cecit della propria scienza.
Pertanto, mentre desiderano di librarsi con le sottigliezze dei loro
discorsi, come nottole rimangono abbacinati davanti alla luce.
87. 11 pipistrello, animale ignobile, ha preso il nome dal ve
spero. E per uccello e, nello stesso tempo, quadrupede ed
Fornito di denti, che solitamente mancano negli altri uccelli. Par
torisce come i quadrupedi, non uova, ma piccoli gi vivi. Vola
per l'aria come gli uccelli, ma suole uscir fuori la sera, al crepu
scolo. Vola inoltre reggendosi non col remeggio delle ali, ma con
laiuto duna membrana di cui dispone, librandosi sulla quale si
aggira in cerca di cibo come se volasse con le ali. Questi spre
gevoli animali hanno anche la caratteristica di stare attaccati gli
uni agli altri e di rimanere appesi ad un dato luogo a guisa di
grappolo; se il primo si lascia andare, tutto il grappolo s dissolve.
E ci avviene per un doveroso senso di carit che difficilmente si
riscontra negli uomini di questo mondo.
. 88. Anche.il canto del gallo gradevole nella notte non
solo gradevole ma per di pi utile, perch come un buon coin
quilino sveglia chi ancora sonnecchia, avvisa chi gi desto, con
forta chi in viaggio, indicando con il suo squillante segnale che
la notte sta per terminare. Al suo canto il brigante abbandona
l'agguato e la stessa stella del mattino ridestandosi si leva e illu
mina il cielo: al suo canto il navigante ansioso depone la sua
angoscia ed ogni tempestosa procella, suscitata spesso dai venti
della sera, si placa; al suo canto l animo devoto di slancio si d
alla preghiera e riprende inoltre la lettura interrotta; al suo canto
infine la stessa Pietra della Chiesa lava la colpa commessa con la
sua negazione prima che il gallo cantasse. Al siio canto ritorna
in tutti la speranza, si allevia la pena dell'infermo, si attenua il
dolore della ferita, si mitiga l'arsura della febbre, in chi caduto
ritorna la fiducia, Ges fissa con lo sguardo chi vacilla, richiama
chi nell'errore Cosi rivolse a Pietro il suo sguardo e subito la
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 337
Cio, pi esattamente, mammifero . I I suo nome latino uespertilio.
* Bas., Hexaem., 181A (77 C): 6 -
. 6 ,
8h , icvl . .
( ,
( }, '
0^^ '(>.
* 5., Hexaem., 181 (77 ): uv & ^
(, q; rf) > -
, &^ 6 .
Cf. Aeterne rerum conditor, w. 1-28:
Aeterne rerum conditor. Praeco diei iam sonat,
noctem diemque qui regis noctis profundae peruigtl,
et temporum das tempora, nocturna lux uiantibus
ut alleues fastidium. a nocte noctem segregans.
est, quia dixit lesus ad Simonem: Non cantabit gallus, priusquam
me ter neges Bene fortis in die Petrus, nocte turbatur et ante
galli cantum labitur et labitur tertio, ut scias non inconsulta ef
fusione sermonis esse prolapsum, sed mentis quoque nutatione
turbatimi. Idem tamen post galli cantum fit fortior et iam dignus
quem Christus aspiciat; oculi enim domini super iustos . Agnouit
uenisse remedium, post quod iam errare non posset, et in uirtu-
tem ab errore mutatus amarissime fleuit ut lacrimis suis lauaret
errorem.
338 EXAMERON, DIES V, SER. VIII, c. 24, 88-90
89. Respice nos quoque, domine lesu, ut et nos propria re
cognoscamus errata, soluamus piis fletibus culpam, mereamur in
dulgentiam peccatorum. Ideo consulto sermonem protraximus, ut
nobis quoque gallus cantaret et loquentibus subueniret, quo si
quod delictum obrepsisset in uerbo, culpam, Christe, donares. Da
quaeso lacrimas Petri, nolo laetitiam peccatoris. Fleuerunt He
braei et per mare sunt undis dehiscentibus liberati. Laetatus est
Pharao quod Hebraeos tenebat inclusos et mari mersus cum po
pulo suo occidit. Exultauit et luda in mercede proditionis suae,
sed ipsius se mercedis suae laqueo strangulauit . Fleuit errorem
suum Petrus et meruit ut aliorum aboleret errores.
90. Sed iam tempus est quo finire sermonem et claudere de
beamus, tempus est quo melius tacetur aut fletur, tempus est quo
celebratur indulgentia peccatorum. Nobis quoque gallus iste my
sticus in sacris cantet, quoniam Petri gallus in nostro sermone
cantauit. Fleat pro nobis Petrus, qui pro se bene fleuit, et in nos
<Mt 26, 36.
* Ps 33, 16.
i Mt 26, 75.
* Mt 26, 14-15.
Mt 27, 5.
colpa scomparve, fu cacciata la negazione, segui la confessione
del peccato. La Scrittura ci insegna che tutto ci non accadde per
caso, ma per volont del Signore. Sta scritto infatti che Ges
disse a Simone: Non canter il gallo prima che tu mi rinneghi
tre volte. Ben saldo di giorno, di notte Pietro si confonde e prima
del canto del gallo cade, e cade tre volte, affinch tu sappia che
egli caduto non solo per un'incontrollata esuberanza del suo
parlare, ma si confuso per il tentennamento del suo animo. Egli,
tuttavia, dopo il canto del gallo diventa pi saldo e ormai degno
di essere guardato da Cristo; infatti gli occhi del Signore si po'
sano sui giusti. Riconobbe che era venuto il rimedio dopo il quale
non avrebbe potuto pi sbagliare e, passando daH'errore alla vir
t, pianse con profonda amarezza per lavare con le lacrime la pro
pria colpa.
89. Guarda anche noi. Signore Ges, affinch anche noi rico
nosciamo i nostri errori, laviamo con. lacrime di pentimento. la
nostra colpa, meritiamo il perdono dei peccati. D proposito, ab
biamo prolungato il nostro discorso, perch anche per noi can
tasse il gallo e desse im aiuto alle nostre parole, affinch, se nel
discorso si fosse insinuato un qualche errore, tu, o Cristo, ce ne
concedessi il perdono. Concedimi, ti prego, le lacrime di Pietro;
non voglio il tripudio del peccatore. Piansero gli Ebrei, e furono
liberati attraverso il mare, mentre le onde si spalancavano davanti
a loro. I l Faraone si rallegr di tener prigionieri gli Ebrei, e peri
sommerso insieme con il suo popolo. Anche Giuda esult per la
ricompensa del suo tradimento, ma si strangol con il laccio della
sua stessa ricompensa. Pietro pianse il suo errore e merit di
cancellare gli errori altrui
90. Ma ormai giunto il tempo di finire, concludendo i l di
scorso, il tempo in cui meglio tacere o piangere, il tempo in
cui si concede generosamente il perdono dei peccati. Anche per
noi canti nel sacro rito questo mistico gallo, perch nelle mie pa
role ha cantato il gallo di Pietro. Pianga per noi Pietro, il quale
seppe piangere a dovere per s, e faccia rivolgere verso di noi il
pio volto di Cristo. Si affretti la passione del. Signore Ges, che
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 339
Hoc excitatus lucifer Gallo canente spes redit,
soluit polum caligine: aegris salus refunditur,
hoc omnis errorum chorus mucro latronis conditur,
uias nocendi deserit. lapsis fides reuertitur.
Hoc nauta uires colligit lesu, pauentes respice
pontique mitescunt freta; et nos uidendo corrige:
hoc ipse petra ecclesiae si respicis, lapsus cadunt
canente culpam diluit. fletugue culpa soluitur.
Surgamus ergo strenue:
gallus iacentes excitat
et somnolentos increpat,
gallus negantes arguit.
Comunemente, per influenza del titubantes eMExameron, al v. 25 si
legge labantes.
Si allude alla facolt di rimettere i peccati nel sacramento della pe
nitenza (Matt., 18, 18).
pia Christi ora conuertat. Adproperet lesu domini passio, quae
cottidie delicta nostra condonat et munus remissionis operatur.
91. Bonus dominus dimittere ieiunos non uult, ne quis defi
ciat in uia. Si ille dicit: Misereor huius turbae, quia triduum est
quod perseuerant mecum et non habent escam, et dimittere eos
ieiunos nolo, ne deficiant in uia', cuius intenta sermoni Maria
adparatus recusabat epularum quanto magis nos considerare
debemus quia non multi sunt qui in uerbo dei uiuunt et ideo re
fecto corporis desideratur. Certe illius tridui nostrum hoc postri
die laboriosius est.
340 EXAMERON, DIES V, SER. VIII, c. 24, 90-92
92. Et ideo qui cum auibus lusimus, cum gallo cantauimus,
iam domini canamus mysteria, et ad corpus lesu conueniant aqui
lae peccatorum ablutione renouata; iam enim cetus ille magnus
uerum nobis lonam reddidit", et gratulemur quod factus est no
bis uesper, et fiat mane dies sextus.
i Mt 15, 32.
1U 10, 39.
Mt 24, 28; Lc 17, 37.
Ion 2, 11.
Ogni g i o r n o c o n d o n a l e n o s t r e c o l p e e p e r a i n n o i l a g r a z i a d e l
p e r d o n o .
91. I l Signore nella sua bont non vuole rimandarci a casa
digiuni, perch qualcuno non venga meno lungo la strada. Se egli
dice: Ho compassione di questa folla, perch sono tre giorni che
mi seguono senza stancarsi e non hanno cibo e non voglio ri
mandarli digiuni, perch non vengano meno lungo la strada, e
Maria, tutta intenta ad ascoltare le sue parole non pensava ai pre
parativi del pranzo, quanto pi dobbiamo considerare che non so
no molti quelli che vivono della parola di Dio e perci si sente la
mancanza del cibo per il corpo. Certamente, dopo i tre giorni pre
cedenti, quello di domani sar pi faticoso per noi** di quanto
non fosse per la folla che seguiva Ges.
92. Perci noi che ci siamo divertiti a volare con gli uccelli,
che abbiamo cantato con il gallo, cantiamo ormai i misteri del
Signore e presso il corpo del Signore si raccolgano le aquile, es
sendosi rinnovato il lavacro dei peccati. Ormai, infatti, quellenor-
me cetaceo ci ha restituito il vero Giona; rallegriamoci che sia
giunta la sera, e domani sorga la sesta giornata.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 341
S. Ambrogio parla qui di tre giorni , richiamandosi ai tre giorni della
precedente citazione evangelica.
** Perch, come osserva il Coppa (op. cit., p. 328, n. I l i ), non era Ges
t parlare.
DIES SEXTVS
SERMO IX
Caput I
1. Sextus iste est dies, quo mundanae creaturae origo con
cluditur, et ideo etiam sermonis nostri, quem de rerum exordiis
adsumpsimus, finis paratur. Qui etsi per quinque iam dies non
mediocri labore nobis processerit, tamen hodierno die maiore cu-
ranun adcrescit faenore, quia in hoc et superiorum dierum peri
culum est et totius summa certaminis. Etenim si in fidibus aut
cantibus et athletarum contentionibus crebris licet et maximis lu
dicris tamen superiores dies sine ullo coronae transiguntur dispen
dio, postremus autem dies habet sortem coronae, in quo et de
cernendi periculum est et cedendi obprobrium et uincendi prae-
miiun, quanto magis in hoc tanto agone sapientiae, tanto non
paucorum sed uniuersorum iudicio, cum hodie nobis uelut quae
dam certaminis corona procedat, maior sollicitudo angit, ne et
superiorum effimdamus laborem dierum et praesentis subeamus
pudorem. Neque enim eadem dicendi condicio, quae canendi at-
que luctandi, cum in illis ludus offensionis, in isto lapsus mortis
sit. Illic si pecces, spectantum fastidium est, hic damnum est
audientum.
2. Adsistite igitur mihi tamquam coronae iudices et ingredi
mini mecum in hoc magnum et admirabile totius uisibilis thea
trum creatiuae. Etenim si is qui explorat nouorum aduentus ho
spitum, dum toto eos circumducit urbis ambitu praestantiora
quaeque opera demonstrans, non mediocrem locat gratiam, quan
to magis sine fastidio accipere debetis quod uelut quadam ser
monis manu per hanc communionem uos circumduco in patria
et singularum rerum species et genera demonstro ex omnibus col
ligere cupiens, quanto uobis creator uniuersorum gratiam ube-
SESTO GIORNO
IX SERMONE
Capitolo 1
1. Questo il sesto giorno, nel quale si conclude la crea
zione del mondo, e perci si avvia alla fine anche il nostro discorso
sul principio delle cose esistenti. E sebbene questo si sia prolun
gato ormai per cinque giorni con fatica non trascurabile, oggi
tuttavia in proporzione suscita preoccupazioni molto maggiori,
perch in esso si ha il giudizio definitivo di queuito s' detto nei
giorni precedenti e la parte essenziale di tutta la nostra fatica. Se
nelle gare musicali o canore o atletiche, sia pure con numerose e
importantissime esibizioni, i giorni precedenti trascorrono senza
scpito per il premio, l ultimo giorno invece quello che assegna
la corona, e quindi in esso sta il rischio della competizione che
comporta p la vergogna della sconfitta o il premio della vittoria;
quanto pi in questa cosi difficile gara di sapienza, di fronte ad
un giudizio cosi importante quale quello non di pochi, ma di
tutti i fedeli, poich oggi in gioco per me, per cosi dire, la co
rona dellintera gara, mi tormenta una' maggiore preoccupazione
di non sprecare la fatica dei giorni passati e di non dovermi ver
gognare per quella doggi. Infatti la condizione di chi parla non
la stessa di chi canta o di chi lotta; per questo l insuccesso pur
sempre un gioco, per quello il fallire irreparabile rovina. Qui, se
sbagli, provochi il malcontento degli spettatori, l sono gli ascol
tatori ad averne danno.
2. Statemi dunque attenti come giudici dim premio ed en
trate insieme con me in questo grande e ammirevole teatro* di
tutta la creazione visibile. Se chi spia larrivo di nuovi ospiti di
mostra non poca benevolenza nel portarli in giro per tutta la citt
quant grande, indicando loro i monumenti pi insigni, quanto
pi dovete ascoltare voi senza annoiarvi, perch, come prenden
dovi per mano con il discorso, vi conduco a visitare la vostra pa
tria attraverso questa vostra partecipazione e vi indico specie e
generi di tutte le singole cose, desiderando da tutte argomentare
quanto pi grandi sono i privilegi concessi a voi dal Creatore del-
* Bas., Hexaetn., 164 A (69 C): et xal -
tpov...

riorem quam uniuersis donauerit. Vobis igitur haec corona pro


ponitur, uos hodie cupio uestro iudicio coronare. Non enim nos
athletarum modo marcentia serta deposcimus, sed uiride uestrae
sanctitatis examen, quo decernatis per omnes quidem creaturas
prouidentiam penetrare diuinam, sed cum ceteris uobis commu
ne corporeae fragilitatis esse consortium, prae ceteris tamen uos
animi uirtute constare, quae sola nihil habet commune cum ceteris.
344 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 1, 2 - c. 2, 3-4
Caput I I
3. Nunc age naturas bestiarum dicamus et hominis generatio
nem. Audio enim iamdudum aliquos insusurrare dicentes: 'Quam-
diu aliena discimus et nostra nescimus, quamdiu de reliquis ani
mantibus docemur scientiam et nosmet ipsos ignoramus? Illud
dicat quod mihi prosit, ut me nouerim ipsum. Et iusta est con
questio, sed ordo seruandus est, quem scriptura contexuit, simul
quia non possumus plenius nos cognoscere, nisi prius quae sit
omnium natura animantium cognouerimus.
4. Producat inquit terra animam uiuentem secundum genus,
quadrupedes et serpentes et bestias terrae et pecora secundum
genus et omnia reptilia ad genus. E t fecit deus bestias terrae et
omnia pecora ad genus et omnia repentia terrae ad genus. Et
uidit deus quia bona et dixit deus: Faciamus hominem . Hoc loco
non ignoro quosdam bestiarum et pecorum et repentium terrae
Gen 1, 24-26.
l universo rispetto a tutte le altre creature. Per voi dunque
messa in palio questa corona, siete voi che oggi io desidero in
coronare per mezzo del vostro stesso giudizio. Noi non aspiriamo
come gli atleti a corone destinate a imputridire, ma alla verdeg
giante approvazione della vostra santit, con cui manifestiate la
certezza che la Provvidenza divina penetra in tutte le creature e
che, mentre con le altre avete in comune un corpo fragile, a dif
ferenza delle altre essenziale in voi la virt dellanima che sola
non ha nulla in comune con tutti gli altri esseri.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 345
Capitolo 2
3. Ors, parliamo della natura delle bestie e della creazione
delluomo. Gi da im pezzo infatti sento che alcuni mormorano
dicendo: Fino a quando attenderemo a imparare ci che non
ci riguarda e ignoreremo ci che ci tocca direttamente? Fino a
quando ci saraMO fomite cognizioni sugli altri esseri viventi,
mentre non conosciamo noi stessi? Dica ci che mi sia utile a co
noscere me stesso . Questa lamentela giusta, ma bisogna se
guire l ordine disposto dalla Scrittura, anche perch non possia
mo conoscerci in modo veramente completo, se prima non ab
biamo imparato a conoscere quale sia la natura di tutti gli esseri
viventi
4. Produca la terra, dice la Scrittura, esseri viventi secondo la
loro specie, quadrupedi e serpenti e fiere della terra e bestiame
secondo la loro specie e tutti i rettili secondo la loro specie. E
Dio fece le fiere della terra e tutto il bestiame secondo la loro
specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide
che era un bene, e Dio disse: Facciamo luomo. Non ignoro che
* L uomo come centro e senso finale della natura una delle chiavi di
lettiu-a dei sei giorni da parte di S. Ambrogio. L attenzione provvidenziale di
Dio per le creature indizio e momento di una provvidenza ben pi alta ed
efficace che ha come termine l'uomo, compimento dell'opera divina: i pri
vilegi concessi alluomo sono incomparabili rispetto a quelli concessi alle
altre creature, dai quali d'altronde si avvia e sale l argomentazione. Cf. p.
271, n.-4. [LB.]
I l principio enimciato da S. Ambrogio dimportanza eccezionale, non
solo per comprendere il suo metodo esegetico, messo in opera nel commento
ai sei giorni, ma pi ancora per l intelligenza della sua antropologia. L'uomo
si rivela cosi solidale con l'universo, che la conoscenza della natura di tutti
gli esseri inizia gi alla conoscenza dell'uomo, il che suppone le creature
partecipazioni ridotte ma reali a quei valori che l'uomo possiede in pienezza.
la convinzione ricorrente dell'uomo come finalit del mondo e delle creature
in funzione di lui: una funzione di conoscenza (insegneunento ed esempio),
di significato e anche di uso. In forza dello stesso principio logicamente
superato un dualismo esasperato uomo-universo e anima'^orpo. L'uomo con
cepibile allora come un microcosmo e un horizon , che riassume e in
cui converge il complesso degli esseri. La riflessione medioevale si compiacer
particolarmente di questa prospettiva. Cf. p. 419, nota 2. [I.B.]
species ad hoc rettulisse, ut haec ad inmanitates criminum, stul
titiam peccatorum, nequitiam cogitationum referrent: ego autem
simplices naturas uniuscuiusque generis accipio.
5. Nec uereor ne quis me pauperis conuiuae praesumptioni
conferendum putet, qui studio humanitatis complures roget nec
his quicquam nisi uiles et usitatos adponat cibos, ut tenui mensae
pauperis adparatu plus reprehensionis incurrat ex fastidio con-
uiuarum quam gratias referat ex hospitalitatis adfectu; nec enim
Helisaeum amici quasi malum conuiuam agrestia adponentem ho-
lera refutarunt Simile uanis relationibus exquisitum illud et
adcuratum opipare conuiuium est, in quo fasiemi aut turturis
species adponitur et intus pullus manducatur aut pullus infertur
et ostreis est fartus aut spondulis aut poculum bibitur, quod
diuerso colore atque odore in alienos mutetur sapores. Maritima
terrenis, terrena maritimis farciuntur. Hoc est reprehendere pro-
uidentiam creatoris, qui nobis ad uictum omnia condonauit, quod
non illa miscuerit. Sed haec dulcia primo uidentur et postea fiunt
amara. Quo enim copiosior fuerit luxuries, eo perniciosior intem
perantia est. Helisaeus autem amara adposuit, sed postea facta
simt dulcia. Denique qui ante in illo cibo mortem putabant po
stea in eo suauitatis et uitae gratiam simt adepti'.
346 EXAMERON, DIES VI, SER. DC, C. 2, 4-6
6. Neque enim rursus formidini est, ne plures uidear inui-
tasse quam possum pascere et uobis panes deficiant uerborum
meorum, quia et Helisaeus, etsi merito inimitabilis nobis imitan
dus fide, non considerauit quantos panis haberet, sed quos ha
beret diuidere omnibus uoluit et sufficere omnibus iudicauit. Ita
que decem panes ordeacios diuidere in plebem iussit ministro*.
b 4 Reg 4, 39.
c 4 Reg 4, 40-41,
d 4 Reg 4, 42.
in questo passo alcuni * hanno interpretato le specie delle fiere, del
bestiame e dei rettili in modo da riferirle alle atrocit dei delitti,
alla stoltezza dei peccati, alla malizia dei pensieri; io invece le
intendo come le nature pure e semplici di ciascuna specie
5. E non temo che qualcuno ritenga di dovermi paragonare
con la presunzione di un padrone di casa con mezzi limitati, il
quale, per apparire cortese, inviti molte persone, ma non imban
disca loro se non cibi usuali e di poco prezzo, in modo da esporsi
a critiche per la modesta imbandigione della sua povera tavola
pi che meritare ringraziamenti per il suo sentimento d'ospitalit;
nemmeno Eliseo gli amici criticarono considerandolo un padrone
di casa poco ospitale, perch offriva loro soltanto erbaggi*. As
somiglia a inutili discorsi quel convito raffinato e lautamente im
bandito nel quale si servono in apparenza fagiani e tortore, dentro
i quali invece si mangia un galletto, o si porta in tavola un gal
letto farcito di ostriche o di molluschi o si bevono bevande che
assumono sapori inattesi rispetto al loro colore ed odore. Gli
animali marini sono farciti con gli animali terrestri e viceversa.
Ci significa rimproverare la provvidenza del Creatore, che ci ha da
to tutti gli animali per il nostro sostentamento, di non averli me
scolati fra loro. Queste vivande, per, in un primo momento sem
brano gradevoli, ma poi diventano amare. Infatti quanto pi sfar
zosa la sontuosit, tanto pi dannosa l'intemperanza. Eliseo
invece imband vivande amare, che poi divennero gradevoli. Di
conseguenza chi prima temeva che in quel cibo si nascondesse la
morte, vi trov l'attrattiva della soavit e della vita .
6. N daltra parte devo temere che si creda che ho invitato
pi persone di quante posso realmente sfamare e che vi manchi
il pane delle me parole, perch anche Eliseo, che, sebbene ini
mitabile nei suoi meriti, deve essere imitato da noi nella fede, non
calcol quanti pani avesse, ma volle dividere con tutti quelli che
aveva, ritenendoli sufficienti per tutti. Perci ordin al servo di
dividere tra il popolo dieci pani d'orzo. Allora il servo chiese:
Come posso mettere questo davanti a cento persone? Quello ri-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 347
^S. Ambrogio al seguito di Basilio si proclama qui tenace sostenitore
del senso letterale. Non dice chi siano quelli che hanno interpretato il passo
In senso allegorico, ma troviamo tale interpretazione in Origene (cf. Or i g i n e ,
Hom. in Genesim, I , 11: Homlies sur la Gense, Les ditions du Cerf, Paris
1976, pp. 52-53). [I.B.]
* B a s ., Hexaem., 188 C (80 C): ' , ,
fUTv ( , , .
Sulla preferenza di S. Ambrogio per l interpretazione letterale, vedi Viti-
Toduzione.
* Bas., Hexaem., 188 AB (80 AB): }} -
;
^, 6 , ^: -

.
viene citato l'esempio di EUseo.
^Allude a quanto narrato da 2Re, 4, 39-41: Eliseo, versando della farina
sella pentola, elimin l amarezza duna minestra preparata da un suo di-
icepolo con ingredienti non adatti.
Et dixit minister: Quid dabo hoc in conspectu centum uirorum?
Et respondit: Da et manducent, quoniam haec dicit dominus: Man
ducabunt et relinquent^. Fides igitur uestra faciet abundare pau
peris linguae conuiuium. Nec uereor, ne ieiunia uos edaciores fa-
citint, quominus repleti et esurientes ac uacui reuertamini, quia
scriptum est: Confirmat iustos dominus, et in diebus famis satu
rabuntur Multo pulchrius est ordeacios panes non erubescere
et adponere quod habeas quam negare. Helisaeus, qui sibi nihil
reliquit, populis abundauit. Helisaeus ergo ordeacios panes non
erubuit adponere: nos erubescimus simplices intellegere creaturas,
quae simplicibus et suis declarantur uocabulis. Caelum legimus,
caelum accipiamus; terram legimus, terram intellegamus fru
giferam.
7. Quid mihi quaerere quae sit eius mensura circuitus, quam
geometrae centum octoginta milibus stadiorum aestimauerunt?
Libenter fateor me nescire quod nescio, immo scire quod scire
nihil proderit. Melius est genera terrarum scire quam spatia, quae
circumfuso mari, interiectis barbarum regionibus, suffusa atque
inula paludibus humo quemadmodum possumus conprehendere?
Quod inpossibile esse hominibus scriptura demonstrat dicente deo:
Quis mensus est manu aquam et caelum palmo et uniuersam ter
ram clausa manu? Quis statuit montes in libra et rupes in statera
et nemora in iugo? K Et infra: Qui tenet gyrum terrae et habitantes
in ea'sicut lucustas, qui statuit caelum ut cameram^. Quis igitur
aequalem sibi cum deo audet scientiam uindicare, ut quae deus
maiestatis suae esse proprio signauit oraculo haec sibi homo ad
cognitionem suppetere posse praesumat?
348 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 2, 6-8
8. Certe Moyses eruditus erat in omni sapientia Aegyptio
rum, sed quia spiritum dei accepit, quasi minister dei inanem
illam et usurpatoriam philosophiae doctrinam ueritatis rationi
posthabuit et ea descripsit mihi quae nostrae spei adcommoda
iudicauit, quod terram fecerit deus, quod produxerit terra iuxta
dei oninipotentis imperium operationemque domini lesu uirgulta
de terris et omnem animam uiuentem secundum genus. At non
ille putauit dicendum quantum de spatio aeris occupet umbra
terrae, cum sol recedit a nobis diemque abducit inferiora axis
inluminans, et quemadmodum in regionem mundi huius incidens
lunae globus eclipsis faciat, quoniam quae nihil ad nos quasi nihil
* 4 Reg 4, 43.
f Ps 36, 17 et 19.
* Is 40, 12.
h Is 40, 22.
spose: Dallo loro e ne mangino, perch il Signore dice: Ne man
geranno e lasceranno avanzi. Dunque la vostra fede far che sia
abbondante il banchetto di questa mia povera lingua. E non temo
che i digiuni vi rendano troppo ingordi, cosi che ve ne torniate
pieni, ma ancora affamati e a pancia vuota, perch sta scritto:
Il Signore sostiene i giusti e nei giorni della fame saranno saziati.
molto pi bello non vergognarsi dei pani dorzo e imbandire
ci che hai piuttosto che rifiutarlo. Eliseo, che non tenne nulla
per s, abbond per il popolo. Eliseo non si vergogn dimban
dire dei pani dorzo; noi invece proviamo vergogna dintendere le
semplici creature che sono indicate dai semplici nomi, cio dai
loro. Leggiamo cielo: intendiamo il cielo; leggiamo terra: inten
diamo la terra feconda di frutti'.
7. Che mi importa cercare la misura della sua circonferenza
che i geometri hanno calcolato in centottantamila stadi?. Con
fesso volentieri di non sapere ci che non so, anzi di sapere cose
che non mi saranno di nessun vantaggio. meglio conoscere le
specie che le dimensioni della terra: in che modo potremmo mi
surarle, dato che il mare la circonda, regioni barbare sinterpon
gono, il terreno sparso di paludi che lo rendono inaccessibile?
La Scrittura dimostra che ci impossibile agli uomini, poich
Dio dice: Chi ha misurato con la sua mano lacqua e il cielo con
il palmo e tutta la terra con il pugno? Chi ha collocato i monti
sulla bilancia e i boschi sul braccio della stadera? E pi sotto:
Colui che regge il cerchio della terra e coloro che vi abitano come
locuste, che ha costituito il cielo come una volta. Chi dunque osa
rivendicare una scienza pari a quella di Dio, in modo che l uomo
presuma di disporre per la sua conoscenza di quelle nozioni che
Dio con una sua decisione stabili che fossero proprie della sua
maest?
8. Certamente Mos era stato istruito in tutta la scienza egi
ziana, ma, avendo ricevuto lo Spirito divino, quale ministro di
Dio pospose ai principi della verit quella vana e presuntuosa eru
dizione filosofica e descrisse per me quanto ritenne adatto alla
nostra speranza, che cio Dio aveva creato la terra, che la terra,
conforme il comando di Dio onnipotente e loperazione del Signo
re Ges, aveva fatto crescere dal suolo le piimte e tutti gli ani
mali secondo la loro specie. Egli per non ritenne di dover dire
quanto dello spazio atmosferico occupi l ombra della terra, quan
do il sole si allontana da noi e reca con s il giorno, illuminando
le regioni inferiori del cielo, e come il globo della luna, venendo
a trovarsi in faccia a questo mondo, produca le eclissi, poich
trascur le cose che non ci riguardavano in quanto non sarebbero
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 349
* Vedi sopra n. 1.
Tale misura fu stabilita da Tolomeo (I I sec. d. Cr.); vedi Giet, op. clL,
p. 482, n. 1. Lo stadio, pari a seicento piedi greci o seicentoventicinque piedi
romani, variava da centosessantadue a centonovantotto metri circa.
* Come la misura della circonferenza della terra; vedi P a s t e r i s , op. cit.,
p. 580, n. 111.
profutura praeteriit. Vidit enim in sancto spiritu non illas mar
cescentis iam sapientiae uanitates sequendas, quae rebus inexpli
cabilibus mentem nostram occupant luduntque operam, sed ea
potius describenda quae ad uirtutis spectarent profectum.
350 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 2, 8 - c. 3, 9-10
Caput III
9. Inhaereamus igitur propheticis dictis nec spiritus sancti
quasi uilia despectui habeamus adloquia. Producat inquit terra
animam uiuentem pecorum et bestiarum et reptilium. Quid ar
gumentamur alia, ubi euidenter creaturarum terrestrium natura
formatur? Currit enim in constitutione mundi per omnem crea
turam dei uerbum, ut subito de terris omnia quae statuit deus
animantium genera producantur et in futurum lege praescripta
secundum genus sibi similitudinemque uniuersa succedant, ut leo
leonem generet, tigris tigridem, bos bouem, cygnus cygnum, aqui
la aquilam. Semel praeceptum in perpetuum inoleuit naturae, et
ideo ministerii sui obsequium praebere terra non desinit, ut pri
scae animcmtium species reparabili generis successione in nouas
reparentur aetates.
10. Sed uis ad usum hominis deriuare quae genita sunt?
Noli ueritatem unicuique generi naturae propriae denegare, et
multo magis ea ad gratiam aptabis humanam, primum quia om
nia genera pecon^, bestiarum ac piscium in aluum natura pro
strauit, ut alia uentre repant, alia quae pedibus sustinentur de
mersa magis quadripedi corporis gressu et uelut adfixa terris
uideas esse quam libera, siquidem, cum erigendi se non habeant
facultatem, de terra uictum requirunt et uentris, in quem deflec
tuntur, solas sequuntur uoluptates. Caue, o homo, pecorum more
curuari, caue in aluum te non tam corpore quam cupiditate de
State di nessuna utilit per noi Vide nello Spirito Santo che non
bisognava seguire quelle vanit duna sapienza ormai in disfaci
mento, che occupano la nostra mente con problemi senza solu
zione e beffano la nostra ricerca, ma si dovevano esporre quelle
notizie che servono a farci progredire nella virt.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 351
Capitolo 3
9. Restiamo dunque aderenti ai vocaboli ispirati e non di
sprezziamo, come di poco conto, le parole che ci rivolge lo Spirito
Santo. La terra, disse, faccia uscire esseri viventi, quadrupedi,
fiere e rettili. Perch andiamo in cerca di altre interpretazioni
dove manifestamente si parla della formazione delle creature ter
restri? La parola di Dio, mentre il mondo viene costituito, si dif
fonde rapida per tutto il creato, affinch ad un tratto tutte le spe
cie animali stabilite da Dio escano fuori dalla terra e si susseguano
tutte in futuro obbedendo alla legge stabilita secondo la loro spe
cie e somiglianza, cosi che il leone generi im leone, la tigre tma
tigre, il bue im bue, il cigno im cigno, l aquila unaquila. I l co
mando impartito una volta si impresso per sempre nella natura,
e perci la terra non cessa di offrire l ossequio del suo servizio,
sicch le originarie specie animali si rinnovano in altre generazioni,
succedendosi via via nellambito della stessa specie.
10. Vuoi rivolgere a profitto dell'uomo queste creature? Non
rifiutando a ciascuna specie la verit della propria natura, tanto
pi le utilizzerai a vantaggio delluomo, anzitutto perch la natura
ha steso sul ventre ogni specie di bestiame, di fiere e di pesci,
cosicch alcune strisciano sulla pancia, altre che pur si reggono
sui piedi, ti sembrano sprofondate con l'incedere del loro corpo
a quattro zampe e come inchiodate al suolo anzich libere, dal
momento che, non potendo rizzarsi, ricavano il loro sostentamento
dalla terra e cercano soltanto i piaceri del ventre che hanno pie
gato in gi*. Guardati, o uomo, dal curvarti a guisa delle bestie,
guardati dal piegarti sul ventre, non tanto col corpo, quanto con
i tuoi desideri sfrenati. Guarda lassetto del tuo corpo e assumi
Bas., Hexaem., 188 D, 189 A (80 DE, 81 A): O (-
, 6

T ,
, <^ -
^ . 4 -
^ ^ ^
;
* Ba s ., Hexaem., 192 AB (81 E ): ;
,
& .
flectas. Respice corporis tui formam et speciem congruentem celsi
uigoris adsimie, sine sola animalia prona pascantur. Cur te in
edendo sternis ipse, quem natura non strauit? Cur eo delectaris in
quo naturae iniuria est? Cur noctes et dies cibo intentus pecorum
more terrena depasceris? Cur inlecebris corporalibus deditus ip
sum te inhonoras, dum uentri atque eius passionibus seruis? Cur
intellectum tibi adimis, quem tibi creator adtribuit? Cur te iumen-
tis comparas, a quibus te uoluit deus segregare dicens: Nolite
fieri sicut equus et mulus, in quibus non est intellectus <^7 Aut si
te edacitas equi intemperantiaque delectat et adhinnire ad femi
nas uoluptati est, delectet in freno maxillas tuas camoque con
stringi. Si crudelitas pascit ferarum haec rabies est, quae prop
ter saeuitiam trucidantur , uide ne in te quoque crudelitatis tuae
uertatur inmanitas.
352 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 3, 10-13
11. Piger asinus et expositus ad praedam sensuque tardior
quid aliud docet nisi nos uiuaciores esse debere nec desidia cor
poris animique pigrescere, confugere ad fidem, quae onera gra-
uia ableuare consuerit?
12. Fraudulenta uulpes foueis se latibulisque demergens non
ne indicium est infructuosum esse animal odioque dignum prop
ter rapinam, despectui propter infirmitatem. et ideo suae incau
tam salutis, dimi insidiatur alienis?
13. Perdicem astutam, quae aliena oua diripiat, hoc est per
dicis alterius, et corpore foueat suo, sed fraudis suae fructum ha
bere non posse, quia, cum eduxerit pullos suos, amittit eos, quia,
ubi uocem eius audierint quae oua generauit relicta ea ad illam,
se naturali quodam munere et amore conferunt quam ueram sibi
matrem ouorum generatione cognouerint significantes hanc nutri
cis fungi officio, illam parentis. Itaque incassum proprios fundit
labores ac, fraudis suae pretio multatur. Vnde et Hieremias ait:
Clamauit perdix et congregauit quae non peperit id est oua con-
gregauit et clamauit quasi ouans suae fraudis effectu, sed ludit
operam, quia inpenso labore alii educit quos ipsa diuturnae fotu
sedulitatis animauerit. Huius imitator est diabolus, qui generatio
nes creatoris aeterni rapere contendit, et si quos insipientes et
sensus proprii carentes uigore potuerit congregare fouens eos in
lecebris corporalibus, ubi primum uox Christi paruolis fuerit in
fusa, discedunt atque ad eam se conferunt matrem, quae pullos
suos sicut auis materno amore conplectitur Congregauit enim
diabolus gentiles, quos non creauerat; sed ubi in euangelio suo
uocem Christus emisit, ad eum se potissimum contulerunt quos
0 Ps 31, 9.
b ler 17, 11.
c Mt 23, 37.
l'aspetto d'un nobile vigore che ad esso conviene: lascia che solo
gli animali pascolino rivolti a terra. Perch nel mangiare ti stendi
airingi*, mentre la natura non ti ha steso cosi? Perch ti diletti
di ci che offende la natura? Perch notte e giorno, rivolto solo
al cibo, ti pasci delle cose terrene come il bestiame? Perch, ab
bandonandoti agli allettamenti della carne, disonori te stesso ser
vendo al ventre e alle sue passioni? Perch rinunci alFuso deirin-
telligenza che il Creatore ti ha dato? Perch ti fai simile ai giu
menti dai quali il Signore ha voluto distinguerti dicendo: Non
vogliate diventare come il cavallo e il mulo che non hanno in
telligenza? Oppure, se ti attrae la voracit del cavallo e la sua
intemperanza* e ti piace nitrire alle femmine, allietati che le tue
mascelle siano costrette dai morso e dalla museruola. Se provi
gusto alla crudelt questo furore proprio delle fiere che ven
gono uccise appunto per la loro ferocia , sta' attento che la tua
crudelt disumana non si volga anche contro di te.
11. Lasino, pigro, esposto ad essere preda e tardo nei sensi*,
che altro ci insegna se non che noi dobbiamo essere pi alacri n
impigrire neH'accidia del corpo e dell'anima, ma cercare un rifu
gio nella fede che suole alleviare i nostri carichi pesanti?
12. La volpe fraudolenta che precipita nelle fosse nascostfe,
non dimostra di essere un animale inutile, degno di essere odiato
per le sue ruberie, disprezzato per la sua dappocaggine e perci
incapace di garantirsi l incolumit mentre insidia quella degli altri?
13. E l'astuta pernice che ruba le uova altrui, cio di un'al
tra pernice, e le cova col suo corpo? Ma essa non pu godere il
frutto del suo. inganno, perch, una volta fatti uscire dall'uovo i
piccoli, li perde; infatti, quando questi odono la voce di colei che
li ha generati, l'abbandonano e, per un affettuoso istinto di natura,
vanno dallaltra che hanno riconosciuto come la vera madre perch
ha generato le uova, mostrando che la prima solo la nutrice.
Perci getta al vento le proprie fatiche e riceve la pena del suo
inganno. Per tale motivo anche Geremia dice: La pernice si mise
a gridare e radun ci che non aveva partorito, cio raccolse le
uova e lev la sua voce quasi in un grido di trionfo per il risultato
del suo inganno; ma perde il suo lavoro, perch, dopo tanta fatica,
alleva per un'altra i piccoli che essa ha chiamato alla vita col
tepore d'una lunga sollecitudine. Fa altrettanto il diavolo che cerca
in ogni modo di rapire all'eterno Creatore le sue creature; e se
riesce a mettere insieme alcuni esseri incoscienti e privi della
capacit di ragionare per conto proprio, crogiolandoli con le lusin
ghe della carne, non appena la voce di Cristo penetra in quei pic
coli, essi se ne vanno, rifugiandosi da quella madre che, come un
uccello, abbraccia con amore materno i suol figliuolini. I l diavolo
radun i gentili che non aveva creato; ma non appena nel Van
gelo Cristo lev la sua voce, preferirono di gran lunga recarsi da
^Com' noto, gli antichi mangiavano distesi su divani.
^Bas., Hexaeni., 192 C (82 A): 6 & .
* BAS., ffexaem., 192 BC (82 A): 8 6 6.
Bas., Hexaent., 192 C (82 A): >cal .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 353
sub umbra alarum suarum^ipse suscepit et matri dedit ecclesiae
nutriendos.
14. Leo naturae suae superbus ferocia aliarum ferarum ge
neribus miscere se nescit, sed quasi rex quidam plurimorum de
dignatur consortium. Qui etiam cibum fastidit hesternum, etiam
ipsas suae escae reliquias auersatur. Quae autem ei se sociare fera
audeat, cuius uoci tantus naturaliter inest terror, ut multa ani
mantium, quae per celeritatem possent impetum eius euadere, ru
gientis eius sonitu uelut quadam ui adtonita atque icta deficiant?
15. Nam de pardi specie nec scriptura siluit quod uarietate
coloris motus uarios animae suae prodat. Dicit enim Hieremias:
Si mutabit Aethiops pellem suam et pardus uarietatem suam^.
Non solum enim de figura, sed etiam de mobilitate furoris istud
accipitur, eo quod tenebrosis et inquietis ac mobilibus infidae
mentis atque animi mutationibus decoloratus populus ludaeorum
boni propositi gratiam iam tenere non possit nec ad emendatio
nem ullam correctionemque remeare, qui semel ferinam induerit
immanitatem.
354 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 3, 13-15 - c. 4, 16
Caput IV
16. Est tamen etiam in natura quadrupedum quod imitari
nos sermo adhortetur propheticus, quo exemplo caueamus desi
diam et exiguitate uel infirmitate corporis a uirtutis studio non
Ps 16, 8.
* ler 13, 23.
lui che li accolse sotto l ombr delle sue ali e li affid da allevare
alla madre Chiesa.
14. I l leone, fiero per la sua natura intrepida, non sa unirsi
alle specie delle altre bestie feroci, ma, come im sovrano, sdegna
la compagnia della torma. Rifiuta anche i cibi del giorno prima e
aborrisce perfino gli avanzi del proprio pasto. Ma quale fiera ose
rebbe associarsi a lui, la cui voce per natura suscita tanto terrore
che molti animali, i quali per la loro velocit potrebbero sottrarsi
al suo assalto, al suono del suo ruggito vengono meno come stor
diti e colpiti da una forza sconosciuta?
15. Riguardo poi allaspetto del leopardo, nemmeno la Scrit
tura ha taciuto che esso rivela gli incostanti umori del suo animo
nella sua pelle variegata. Dice Geremia: Se l Etiope cambier
la sua pelle e il leopardo il suo pelo variegato. E questo si intende
non solo dellaspetto, ma anche della volubilit nel furore, perch
il popolo dei Giudei, variamente ritinto ' dai mutamenti tenebrosi,
turbolenti e volubili della sua mente malfida e dellanimo suo, non
pu pi mantenere la grazia di un sano proposito n ritornare ad
una emendazione e correzione, poich si rivestito una volta per
sempre dtma ferocia belluina.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 355
Capitolo 4
16. Tuttavia anche nella natura dei quadrupedi esistono qua
lit che la parola ispirata ci esorta ad imitare, perch sul loro
esempio evitiamo la pigrizia e non siamo indotti dalla meschinit
* Bas., Hexaem., 192 CD (82 B): 6 , -
, .
6, , ^
. " Sv
^ ,
, .
Bas., Hexaem., 192 D (82 ): '
6
.
Cf. Hor., Carm., I I , I, 34-35: Quod mare Dauniae / non decolorauere
caedes? Decoloro = scolorire o, come qui, sostituire un colore con un altro
peggiore.
Nonostante il fondo polemico, osserva il Coppa Ambrogio sem
pre pronto a riconoscere le prerogative uniche del popolo giudaico e la spe
ranza della misericordia, che non respinge mai nessuno > (Esposizione del
vangelo secondo Luca/ l, cit., p. 421, nota a V, 79: <Poich rimasero intrisi della
rugiada del mondo, la Chiesa di Dio vien fatta entrare nella luce celeste, a
patto per che anche a quelli [i Giudei], qualora giungano alla fede, sia con
servato il privilegio della misericordia). I l vescovo h a parole di grande
delicatezza e di apertura possibilista verso i Giudei (ibid., p. 211, nota a I I ,
74; 11 paragone con le vipere va riferito a quella generazione, non allintera
discendenza). Si veda anche dello stesso Coppa la nota a I I , 49 (op. cit.,
p. 191) che oKre il contesto storico in cui la polemica antigiudaica dei Padri
si pone. [I .B.]
reflectamur neque reuocemur ab illius propositi magnitudine.
Exigua est enim formica, quae maiora suis audet uiribus neque
seruitio ad operandum cogitur, sed spontaneae proposito prospi
cientiae futura alimentorum subsidia sibi praestruit. Cuius ut imi
teris industriam scriptura te commonet dicens: Confer te ad for
micam, o piger, et imitare uias eius et esto illa sapientior". Illa
enim nullam culturam possidet: neque eum qui se cogat habens
neque sub domino agens quemadmodum praeparat escam, quae
de tuis laboribus sibi messem reconditi Et cum tu plerumque
egeas, illa non indiget. Nulla sunt ei clausa horrea, nullae inpene-
trabiles custodiae, nulli inuiolabiles acerui. Spectat custos furta-
que prohibere non audet, aspicit sua damna possessor nec uindi-
cat. Nigro conuectatur agmine praeda per campos, feruent semi
tae comitatu uiantum et quae conprehendi angusto ore non pos
sunt umeris grandia frumenta truduntur. Spcctat haec dominus
messis et erubescit tam parca piae industriae negare conpendia.
356 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 4, 16-17
17. Quid autem de canibus loquar, quibus insitum est na
tura quadam referre gratiam et sollicitas excubias pro domino
rum salute praetendere? Vnde ad inmemores beneficii et desides
atque ignauos cleunat scriptura: Canes muti, nescientes latrare^.
Canes ergo sunt, qui nouerint latrare pro dominis, nouerint sua
tecta defendere. Vnde et tu disce uocem tuam exercere pro Chri
sto, quando ouile Christi incursant lupi graues, disce in ore tuo
uerbum tenere, ne quasi mutus canis commissam tibi fidei custo
diam quodam praeuaricationis silentio deseruisse uidearis. Talis
canis uiator et comes angeli est, quem Raphael in libro prophetico
non otiose sibi et Tobis filio adiungendum putauit, quando per
rexit, uti Asmodaeum fugaret, firmaret copulam; memoris enim
aTfectus gratia pellitur daemonium, stabilitur coniugium. Muta
itaque specie bestiae sanctus Raphael angelus Tobiae iuuenis quem
tuendum receperat ad relationem gratiae erudibat adfectum
Prou 6, 6.
*>Is 56, 10.
c Tob 6, 1; 11, 5(9>.
e debolezza del nostro corpo ad abbandonare la ricerca della
virt n siamo distolti dalla grandezza di un tale proposito. Pic
cola la formica che osa imprese maggiori delle sue forze e non
costretta ad agire perch schiava, ma per la determinazione do
vuta ad una previdenza spontanea si costituisce in anticipo ri
serve di alimenti per il futuro E la Scrittura ti esorta ad imitarne
l'operosit dicendo: Recati dalla formica, o pigro, e imitane il
modo di comportarsi e sii pi saggio di lei. Essa infatti non pos
siede alcun campo coltivato; e, pur non avendo nessuno che la co
stringa n servendo sotto un padrone, come prepara il suo nutri
mento riuscendo ad accumulare un raccolto a spese delle tue fa
tiche) E mentre tu spesso ti trovi in strettezze, essa non versa mai
nel bisogno. Per lei non ci sono granai sbarrati, non ci sono sor
veglianze impenetrabili, mucchi di vettovaglie inviolabili. I l cu
stode sta a guardare e non si risolve a impedire i furti, il padrone
constata le proprie perdite e non interviene La preda viene tra
sportata attraverso i campi in una fila oscura, i sentieri brulicano
di quella comitiva di viandanti e grossi chicchi di frumento, che
non possono essere afferrati dalle loro piccole bocche, vengono
sospinti a forza di spalle. I l padrone della messe vede tutto questo
e si vergogna d rifiutare proventi cosi modesti a quella coscien
ziosa laboriosit.
17. Che dire poi dei cani, i quali evidentemente hanno per
natura l'istinto di mostrarsi riconoscenti e di esercitare uno scru
poloso servizio di guardia per lincolumit del padrone?. Perci
a coloro che dimenticano il beneficio, ai pigri, agli accidiosi la
Scrittura grida: Cani muti, che non sapete latrare. Solo i cani
che sanno latrare per i padroni, sanno difendere le loro case. Per
ci impara anche tu a levare la tua voce per Cristo, quando feroci
lupi ne assaltano l ovile, impara a tener pronta nella tua bocca la
parola, perch non sembri che tu, come im cane muto mantenendo
un silenzio imputabile a tradimento, abbia abbandonato il posto
di guardia affidato alla tua fedelt. Tale fu il cane viaggiatore e
compagno dellangelo, che Raffaele non inutilmente nel libro ispi
rato ritenne di prendere con s e con il figlio di Tobi, quando si
mise in cammino per mettere in fuga Asmodeo e sancire le noz
ze*; infatti la riconoscenza d'un animo non immemore scaccia il
demonio e consolida il matrimonio. Perci il santo angelo Raf
faele con l'esempio di quel muto animale educava alla riconoscen
za l'animo del giovane Tobia ch'era stato affidato alla sua prote-
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 357
1Bas., Hexaent., 193 CD, 194 A (83 AB); Philo, De anim., 42 A.
* Cf. Vero.. Aen., IV, 402-407: Ac uelut ingentem formicae farris aceruum
/ cum populant hiemis memores tectoque reponunt, / it nigrum campis
agmen praedamgue per herbas / conuectant calle angusto; pars grandia
trudunt / obnixae frumenta umeris, pars agmina cogunt / castigantque mo
ras, opere omnis semita feruet.
^Bas., Hexaem., 192 C (82 A): 6 1 -
.
* I I demonio Asmodeo aveva cercato di ostacolare le nozze d Tobia con
Sara, figlia di Raguele (Tob., 3, 8; 8, 3).
Quis enim non erubescat gratiam bene de se merentibus non re
ferre, cum uideat etiam bestias refugere crimen ingrati? Et illae
inpertitae alimoniae seruant memoriam, tu non seruas salutis
acceptae?
18. Vrsa insidiatis licet, ut scriptura ait est enim plena
fraudis fera , tamen fertur informes utero partus edere, sed
natos lingua fingere atque in speciem sui similitudinemque for
mare. Non miraris in fera tcim pii oris officia, cuius pietas natu
ram exprimit? Vrsa igitiu- partus suos ad sui effingit similitudi
nem, tu filios tuos instituere similes tibi non potes?
358 EXAMESON, DIES VI, SES. IX, c. 4, 17-20
19. Quid quod etiam inedendi industriam non praetermi
sit? Siquidem graui adfecta caede et consauciata uulneribus
mederi sibi nouit herbae, cui nomen est flomus, ut Graeci ad-
pellant, ulcera subiciens sua, ut solo curentur adtactu. Serpens
quoque pastu fenuculi caecitatem repellit exceptam. Itaque ubi
oculos obduci sibi senserit, nota remedia petit nec fraudatur ef
fectu. Testudo uisceribus pasta serpentis, cum uenenum aduer-
terit sibi serpere, origano medicinam suae salutis exercet et, cum
sit uolutabris palustribus mersa, curare se timien proprio nouit
antidoto certoque auxilio sanitatis potestates herbarum etiam ipsa
scire se conprobat. Videas etiam uulpem lacrimola pinus meden-
tem sibi et tali remedio inminentis mortis spatia proferentem.
20. Clamat ipse dominus in Hieremiae libro: Turtur et hi
rundo, agri passeres custodierunt tempora introitus sui, populus
autem meus non cognouit iudicia d o m i n i Nouit hirundo quando
ueniat, quando etiam reuertatur, nouit etiam pia auis adnuntiare
aduentus sui testimonio ueris indicium. Nouit etiam formica ex
plorare serenitatis tempora; nam cvun aduerterit madidatos im
bre fructus suos umescere, explorato diligentius aere quando iu-
gem possit seruare temperiem, aceruos reserat suos et de cauer
nis foras suis vmieris exportat, ut iugi sole propria fnmienta sic
centur, Denique hautquaquam illis diebus omnibus rumpi de nu
bibus imbres uideris, nisi cum fruges suas horreis propriis for-
<1Thren 3, 10.
ler 8, 7.
zione. Chi non arrossirebbe di non mostrarsi grato a coloro che
gli hanno fatto del bene, vedendo che persino le bestie cercano
di evitare J a taccia dingratitudine? Quelle conservano il ricordo
del nutrimento offerto loro, e tu non conservi quello della salvez
za ricevuta?
18. Lorsa, sebbene stia in agguato, come dice la Scrittura
infatti una fiera insidiosa , si dice tuttavia che partorisca
piccoli ancora informi, ma che poi li modelli con la lingua e dia
loro un aspetto a sua immagine e somiglianza. Non ti fa meravi
glia in una fiera un servizio cosi affettuoso della bocca? La sua
tenera cura ne rivela l'istinto. L orsa, dunque, modella i suoi pic
coli a propria immagine, e tu non puoi educare i tuoi figli in modo
che ti assomiglino?
19. Che dire poi del fatto che essa non suole inoltre trascu
rare di curarsi con premurosa sollecitudine? Infatti, quando
gravemente ferita e coperta di piaghe, sa curarsi sottoponendo le
sue lesioni ad imerba, dai Greci chiamata flomo , cosi che
guariscono al solo contatto*. Anche il serpente, mangiando il fi
nocchio, si libera dalla cecit che l'ha colpita*. Perci, quando
avverte che gli occhi gli si offuscano, cerca il rimedio a lui ben
noto e il risultato non lo delude. La tartaruga che ha mangiato
un serpente, quando si accorge che il veleno si diffonde nel suo
corpo, usa quale rimedio per salvarsi l origano e, puf immersa
nel fango delle paludi, sa tuttavia -curarsi con l'antidoto che le
proprio e con l'efficace contributo fornito alla sua salute dimostra
anchessa di conoscere la propriet delle erbe. Potresti vedere
anche la volpe curarsi con la resina del pino e con tale rimedio
ritardare la morte imminente.
20. Lo stesso Signore si lamenta nel libro d Geremia: La
tortora e la rondine, il passero del campo osservano il tempo del
loro arrivo, invece il mio popolo non conosce i giudizi del Signore.
La rondine sa quando arrivare, quando partire; quel tenero uccello
sa anche annunciare con il proprio arrivo i primi inizi della pri
mavera. Anche la formica sa spiare i periodi di sereno: quando si
accorge che le sue provviste, imbevute di pioggia, sinfradiciano,
dopo aver esaminato con ogni attenzione l'atmosfera per vedere
quando possa mantenersi costantemente temperata, schiude i gra
nai dove sono ammucchiate le sue riserve e a forza di spalle le
trasporta fuori dalle cavit sotterranee per essiccare il suo fru
mento al calore continuo del sole. Di conseguenza in quei giorni
non vedresti scrosciare dalle nubi la pioggia in tutto il creato,
B a s . , Hexaem., 193 A (82 D): "
,
.
* B as ., Hexaem., 193 A (82 D); 6 & -
.
B as . , Hexaem., 193 A (82 D); ,
.
* Bas., tfexaem., 193 A (82 D): fi* Sv , ^
( .
* Cf. Vbrg., Aen., XI, 548*549: tantus se de nubibus imber / ruperat.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 359
mica reuocauerit. Boues inpendente pluuia ad praesaepia se tenere
nouerunt. Idem ubi naturali sensu mutationem caeli collegerint,
foras spectant et ultra praesaepia ceruices extendunt suas una
omnes specie, ut prodire se uelle testentur. Ouis sub aduentu
hiemis inexplebilis ad escam insatiabiliter herbam rapit, eo quod
praesentiat asperitate hiemis defuturcim, ut se prius herbae pa
bulo farciat quam gelu adurente omnis herba deficiat. Echinus
iste terrenus, quem uulgo iricium uocant, si quid insidiarum prae
senserit, spinis suis clauditur atque in sua se arma colligit, ut
quicumque eum contingendum putauerit uulneretur. Idemque
echinus futuri prouidens geminas sibi respirandi uias munit, ut
quando boream flaturum collegerit, septentrionalem obstruat,
quando noto cognouerit detergi aeris nubila, ad septentrionalem
se conferat, ut flatus declinet obuios et e regione nocituros.
360 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 4 20-21
21. Vnde dignam domino laudem propheta detulit dicens;
Quam magnificata sunt opera tua, domine! Omnia in sapientia
fecisti^. Omnia penetrat diuina sapientia, inplet omnia, idque lo
cupletius ex inrationabilium sensibus quam ex rationabilium di
sputatione colligitur; ualidius est enim naturae testimonium quam
doctrinae argumentum. Cui animanti incognitum est quaemadmo-
dum suam tueatur salutem, si virtus subpetit, resistendo, si ueloci-
tas, fugiendo, si astutia, praecauendo? Quis eas usum medendi her-
banmique docuit habere notitiam? Homines sumus et saepe spe
cie herbarum fallimur et plerumque quas salubres putamus noxias
repperimus. Quotiens inter dulces epulas cibus letalis inrepsit et
inter ipsas aulicorum excubias ministrorum uitalia regum feralis
esca penetrauit! Ferae solo norunt odore noxia et profutura di
scernere, nullo praeuio, nullo praegustatore carpitur herba nec
laedit; melior enim magistra ueritatis natura est. Haec sine ullius
i Ps 103, 24.
se non quando la formica abbia nuovamente riportato il raccolto
nei propri granai I buoi, quando imminente la pioggia, sanno
rimanere nella stalla; quando per con il loro istinto intuiscono
un cambiamento di tempo, guardano fuori e protendono tutti con
lo stesso atteggiamento il collo oltre la mangiatoia per mostrare la
loro volont d'uscire La pecora, neHimminenza deUinverno, in
saziabile di cibo divora senza tregua l'erba, perch prevede che
le verr a mancare per l inclemenza dell'avversa stagione. Cosi si
ingozza pascolando nei prati prima che ogni erba, bruciata dal gelo,
scompaia I l riccio di terra, comunemente chiamato porcospino,
se si accorge di qualche pericolo, si chiude nei suoi aculei e si
raccoglie nella sua armatura , cosi che chiunque pensi di toc
carlo, ne sia ferito. I l riccio inoltre, preoccupandosi del futuro,
apre, nella sua tana, due fessure per respirare: quando comprende
che sta per soffiare la tramontana, chiude la fessura rivolta a setten
trione; quando si accorge che le nubi del cielo sono spazzate dal
l'austro, ricorre a quella di settentrione per evitare le raffiche di
rette che gli sarebbero dannose, se prese di fronte
21. Perci il profeta ha rivolto al Signore una degna lode
dicendo: Come sono magnifiche le tue opere, Signore! Tutto hai
fatto con sapienza Tutto penetra la sapienza divina, tutto riem
pie, e ci s comprende con maggior ricchezza dall'istinto degli
esseri irragionevoli che dalle discussioni di quelli dotati di ragio
ne: pi valida la testimonianza della natura che gli argomenti
dei dotti. Quale animale ignora come proteggere la propria inco
lumit, resistendo, se ne ha la forza, fuggendo, se dotato di ve
locit, stando in guardia se possiede <l'astuzia? Chi ha insegnato
loro a curarsi e a conoscere le erbe? Noi siamo uomini, e spesso
siamo ingannati dall'aspetto delle erbe e, p>er lo pi, constatiamo
che quelle credute salutari sono nocive. Quante volte tra vivande
squisite si insinuato un cibo mortale e, superando la stessa vigi
lanza dei servi di corte, un cibo velenoso penetrato negli organi
vitali dei re! Le fiere invece al solo odore sanno distinguere gli
alimenti dannosi e quelli giovevoli; senza che nessuno si sia in
terposto o ne abbia fatto lassaggio, brucano l'erba e non fa loro
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 361
Bas., Hexaem., 196 A (83 B): Kal ( ),
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Bas., Hexaem., 193 B {82 E); pq; *
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** Bas., Hexaem., 193 B (82 D): " , -
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Cf. Vero., Aen., X, 412: tendit in aduersos segue in sua colligit arma.
Bas., Hexaem., 193 B (82 E): " -
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Bas., Hexaem., 196 AB (83 CD).
magisterio suauitatem sanitatis nostris infundit sensibus, eadem
doloris acerbitatem docet esse fugiendam. Hinc uita dulcior, hinc
mors amarior. Haec commendat leaenae catulos suos et inmitem
feraim materno mollit affectu. Haec tigridis interpellat ferocita
tem et inminentem eam praedae reflectit. Namque ubi uacuum
raptae subolis cubile reppererit, ilico uestigiis raptoris insistit.
At ille quamuis equo uectus fugaci, uidens tamen uelocitate ferae
se posse praeuerti nec euadendi ullum subpetere sibi posse sub
sidium technam huiusmodi fraude molitur. Vbi se contingi uide-
rit, sphaeram de uitro proicit; at illa imagine sui luditur et su
bolem putat. Reuocat impetum colligere fetum desiderans. Rursus
inani specie retenta totis se ad conprehendendum equitem uiribus
fundit et iracundiae stimulo uelocior fugienti inminet. Iterum ille
sphaerae obiectu sequentem retardat nec tamen sedulitatem ma
tris memoria fraudis excludit. Cassam uersat imaginem et quasi
lactatura fetus residet. Sic pietatis suae studio decepta et uindic-
tam amittit et subolem.
362 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 4, 21-22
22. Quod nobis scriptura adfert, quae dicit: Filii, diligite pa
tres uestros; parentes, nolite ad iracundiam prouocare filios ue
stros*, natura hoc bestiis infundit, ut catulos proprios ament, fe
tus suos diligant. Nesciunt illae odia nouercalia, nec mutato con
cubitu parentes a subole deprauantur neque nouerunt praeferre
filios posterioris copulae, superioris autem neglegere. Norunt pi
gnora sua, nesciunt caritatis differentiam, odiorum incentiua, of
fensionum discrimina. Simplex ferarum natura est, nescit uerita-
tis calumnias. Sic enim omnia dominus temperauit, ut quibus mi
nus rationis daret plus indulgeret adfectus. Quae fera pro catulis
Coi 3, 20-21.
male. La natura migliore maestra di verit: senza che nessuno
ce lo insegni, fa percepire ai nostri sensi il piacere di ci che
sano e nello stesso tempo ci insegna ad evitare l'asprezza del
dolore Da un lato la vita pi gradevole, daUaltro la morte
pi amara. La natura affida alla leonessa i leoncelli e con laffetto
materno addolcisce quella fiera crudele. Essa ostacola la ferocia
della tigre e la respinge quando sta per piombare sulla preda. In
fatti, quando trova vuota la tana perch i piccoli le sono stati
rapiti, subito si mette sulle tracce del rapitore. Ma quello, seb
bene in groppa a un cavallo che fugge a gran carriera, accorgen
dosi tuttavia di poter essere raggiunto dalla velocit della belva e
di non avere alcuna possibilit di scampo, la inganna ricorrendo
a questo stratagemma: quando si vede raggiunto, getta una sfera
di vetro; quella, ingannata dalla propria immagine scambiandola
per un tigrotto , frena lo slancio volendo raccoglierlo. Di bel
nuovo, dopo essere stata trattenuta da quella apparenza inconsi
stente, si slancia con tutte le forze per afferrare il cavaliere e, resa
pi veloce dallassillo del furore, addosso al fuggitivo. Ancora
una volta questi, gettando la sfera, ne ritarda l'inseguimento senza
che il ricordo del precedente inganno renda inoperante la pre
mura materna. Fa girare quella vana immagine e si accovaccia
come per allattare i suoi piccoli. Cosi, ingannata dallo slancio del
suo affetto, perde e vendetta e prole.
22. La Scrittura ci raccomanda questo stesso sentimento di
cendo: Figli, amate i vostri padri; padri, non provocate i vostri
figli allira: dalla natura stato impresso nelle fiere in modo che
amino i propri piccoli, abbiano care le loro creature Esse igno
rano gli odii delle matrigne n, cambiando coniuge, i genitori di
ventano snaturati verso la loro prole n sanno mostrare prefe
renza per i figli dell'imione successiva e quindi trascurare quelli
della precedente. Conoscono i frutti dellamore, ignorano le diffe
renze dell'affetto, gli stimoli dellodio, le discriminazioni dell'av
versione. La natura delle fiere semplice, non sa alterare la verit.
Il Signore ha stabilito in ogni creatura un tale equilibrio per cui
ha concesso maggiore semplicit d'affetto a quelli cui ha dato mi
nore capacit razionale. Quale fiera non esiterebbe ad offrirsi
spontaneamente alla morte in difesa dei propri piccoli? Quale fie-
Bas ., Hexaem., 196 B (83 DE): Elol S at ,
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Cf. Clavd., De rapt. Pros., I l i , 263-268: Arduus Hyrcana quatitur sic
matre Niphates, / cuius Achaemenio regi ludibria natos / auexit tremebun
dus eques: fremit illa marito / mobilior Zephyro, totamque uirentibus iram
/ dispergit maculis, iamiamque hausura profundo / ore uirum; uitreae tar
datur imagine formae. Probabilmente l'opera fu scritta fra il 395 e il 397;
vedi Introduzione, n. 42.
Bas., Hexaem., 196 CD, 197 A (83 E, 84 A): T ,
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08V , ; Et
...
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 363
suis non ipsa potissimum se offerat morti? Quae fera fetus suos
innumeris licet obsessa cuneis armatorum non suis ulsceribus te
gat? Ingruat licet telorum seges, illa paruulos suos muro sui cor
poris saeptos iiimunes praestat periculi. Quid dicit homo, qui
mandatum neglegit, naturam obliterat? Filius patrem despicit, pa
ter abdicat filiimi: et hoc putant ius esse, ubi damnatur fecun
ditas. Se potius pater damnat, qui facit inritum esse quod genuit:
et hoc putatur auctoritatis esse, ubi sterilitatis natura multatur.
364 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C; 4, 22-23
23. Exortem rationis canem esse nemo dubitauerit; tamen si
sensus eius uigorem consideres, censes eum sentiendi sagacitate
uim sibi rationis asciscere. Denique quod pauci in gymnasiis con
stituti, qui totam in discendo uitae longinquitatem contriuerint,
uix potuerunt cognoscere, ut syllogismorum coniunctiones con
texerent, hoc naturali canis eruditione conprehendere facile pote
rit aestimari. Nam ubi uestigium leporis ceruiue repperit atque
ad diuerticulum semitae uenerit et quoddam uiarum conpitum,
quod partes in plurimas scinditur, obiens singularum semitarum
exordia tacitus secum ipse pertractat, uelut syllogisticam uocem
sagacitate colligendi odoris emittens. 'Aut in hanc partem inquit
'deflexit aut in illam, aut certe in himc se anfractum contulit, sed
nec in istam nec in illam ingressus est uiam. Superest igitur, ut
in istam se partem sine dubitatione contulerit. Quod homines uix
prolixa compositae artis meditatione componunt, hoc canibus ex
natura subpetit, ut ante mendacium deprehendant et postea fai-
sitate repudiata inueniant ueritatem. Nonne totos dies conterunt
philosophi propositiones sibi in puluere diuidentes, qui radio sibi
describunt singulas et ex tribus, cum unam earum ueram esse
necesse sit, duas primo interficiunt tamquam mendacio congruen
tes et sic in ea quae relicta est uim ueritatis haerere definiunt?
ra, sebbene circondata da innumervoli schiere di armati, non
proteggerebbe i figli con le proprie membra? Anche se le piomba
addosso una fitta pioggia di dardi essa, proteggendoli col suo
corpo come con un muro, salva dal pericolo i propri piccoli. Che
dice l uomo che dimentica il precetto divino, cancella la legge di
natura? I l figlio disprezza il padre, il padre ripudia il figlio; e
pensano che si eserciti im diritto dove si condanna la fecondit.
Condanna piuttosto se stesso quel padre che rende inesistente
l'essere che ha generato; e si crede esercizio dell'autorit punire
con la sterilit la natura.
23. Nessuno potrebbe dubitare che il cane sia privo della
ragione; tuttavia considerando l acutezza della sua sensibilit, sa
resti indotto a credere che esso raggiunga la capacit di ragio
nare con la finezza delle sue sensazioni. Di conseguenza si potr
facilmente ritenere che il cane per istinto afferri quelle nozioni
che pochi frequentatori delle scuole filosofiche, i quali hanno
consumato tutta la loro vita negli studi, sono riusciti faticosa
mente ad apprendere cosi da imbastir sillogismi. Infatti quando,
dopo aver scovato la traccia di una lepre o di un cervo, arriva a
una svolta o a una specie di crocicchio dal quale si diramano
strade in varie direzioni, seguendo linizio di ciascuna traccia lo
studia seriamente tra s e s in profondo silenzio, come se rica
vasse la conclusione dun sillogismo con la finezza del suo odorato.
La lepre ha piegato, dice, da questa parte o da quella oppure
ha cercato rifugio in questa curva, ma non ha preso n questa n
quella strada. Si deve dunque concludere per esclusione che essa
senza alcun dubbio si diretta da questa parte Cosi la natura^
mettendoli in grado prima di scoprire Terrore e poi, scartate le ipo
tesi infondate, di trovare la verit, fornisce ai cani quelle conclu
sioni che gli uomini raggiungono faticosamente dopo aver medi
tato a lungo su tutti i ritrovati della scienza. I filosofi non per
dono giorni interi a distribuire i loro enunciati sulla polvere,
tracciandoli ad uno ad uno con il bastoncello*^ e fra tre, dal
momento che uno solo pu essere vero, cominciano col cancellar
ne due e cosi stabiliscono che in quello rimasto si trova autenti
camente la verit?. Chi, come i cani, potrebbe conservare il ri
cordo d'un beneficio ed essere altrettanto memore nella ricono-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 365
Cf. Vero., Aen., I l i , 45-46: Hic confixum ierrea texit / telorum seges
et iacuUs increuit acuiis; X I I , 283-284: it foto turbida caelo / tempestas telo-
rum ac ferreus ingruit imber.
2 Si tratta dei sillogismo disgiuntivo. S. Tommaso, nella S. Th., I-I I , 13,
2, ob. 3, ricorder l'esempio portato da S. Ambrogio parlando del cane che
iosegue il cervo, ma che propriamente non sceglie in virt di un ragiona
mento, bens si orienta per inclinazione naturale (ad 3m). [I.B.]
Cf. Verg., Aen., VI , 849-850: caetique meatus / describent radio.
Bas., Hexaem., 197 BC (84 CD): , 18*
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Quis tam tenax potest esse beneficii et memor gratiae? Quando
quidem pro domino etiam in latrones insilire nouerunt et extra
neorum accessus prohibere nocturnos et mori pro dominis et
commori cum dominis sint parati? Saepe etiam necis inlatae eui-
dentia canes ad redarguendos reos indicia prodiderunt, ut muto
eorum testimonio plerumque sit creditum.
24. Antiochiae ferunt in remotiore parte urbis crepuscolo
necatum uirum, qui canem sibi adiunctum haberet. Miles quidam
praedandi studio minister caedis extiterat. Tectus idem tenebroso
adhuc dies exordio in alias partes concesserat: iacebat inhumatum
cadauer, frequens spectantium uulgus adstabat, canis questu la
crimabili domini deflebat aerumnam. Forte is qui necem intule
rat, ut se habet uersutia humani ingenii, quo uersandi in medio
auctoritate praesumpta fidem ascisceret innocentiae, ad illam cir
cumspectantis populi accessit coronam et uelut miserans adpro-
pinquauit ad funus. Ttmc canis sequestrato paulisper questu dolo
ris arma ultionis adsumpsit atque adprehensimi tenuit et uelut
epilogo quodam miserabile carmen inmurmurans imiuersos con*
uertit in lacrimas, fidem probationi detulit, quod solum tenuit
ex plurimis nec dimisit. Denique perturbatus ille, quod tam ma
nifestum rei indicem neque odii neque inimicitiarum neque inui-
diae aut iniuriae alicuius poterat obiectione uacuare, crimen diu
tius nequiuit refellere. Itaque quod erat difficilius, ultionem per
secutus est, quia defensionem praestare non potuit. Quid nos di
gnum nostro referimus creatori, cuius cibo uescimuir? Et dissi
mulamus iniurias et saepe inimicis dei eas quas a deo accipimus
epulas exhibemus!
366 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 4, 23-25
25. Quid agniculis simplicius, quos minusculae paruulorum
comparamus infantiae? Saepe ex his in magno grege agniculus
per ouilia tota uagatus errat a matre et, cum eam repperire non
possit, balatu frequenti absentem citat, ut responsurae uocem
excitet, quo ad eius sonum errabunda replicet uestigia. Multis
licet uersetur in milibus ouium, recognoscit uocem parentis, festi
nat ad matrem, lactis quoque materni notos sibi fontes requirit.
scenza? Essi sono capaci anche di scagliarsi contro gli assassini
in difesa del padrone e d'impedire che estranei entrino di notte
in casa e sono pronti a morire per i loro padroni e a farsi ucci
dere con essi. Spesso i cani fornirono per smascherare i colpevoli
prove cosi evidenti dun assassinio, che per lo pi si suole pre
star fede alla loro muta testimonianza.
24. Narrano che ad Antiochia, in una parte della citt piut
tosto fuori mano, sul far del giorno venne ucciso un uomo che
aveva insieme un cane. Autore dell'assassinio era stato un soldato
che aveva agito a scopo di rapina. Protetto dal chiarore ancora
incerto dell'alba, si era diretto verso un'altra zona. I I cadavere
giaceva insepolto, si era raccolta una folla di curiosi, il cane con
pietosi guaiti piangeva la disgrazia del suo padrone. Ora avvenne
che colui che l'aveva ucciso come solitamente agisce l'astuzia
dell'ingegno umano , per assicurarsi una prova d'innocenza con
tando temerariamente sulla garanzia derivante dal mostrarsi in
pubblico, si accost a quel circolo di gente che stava a guardare
e in atteggiamento di commiserazione si avvicin al cadavere. A
questo punto il cane, interrompendo per un istante il suo lamento
doloroso, s'incaric della vendetta e, afferratolo, lo tenne stretto
e, ripetendo il suo lamentevole guaito quasi a conclusione di quel
tragico evento, strapp le lacrime a tutti senza eccezione e con
fer credibilit alla sua dimostrazione, perch in mezzo ad una
folla numerosa aveva afferrato quello solo senza pi lasciarlo
andare. Di conseguenza, sconvolto perch non poteva togliere di
mezzo un testimone cosi evidente del fatto invocando motivi di
odio, d'inimicizia, d'invidia, di ritorsione, non pot negare pi a
lungo il suo delitto. Perci, cosa pi difficile, il cane riusc a ven
dicare il padrone, visto che non era riuscito a difenderlo**. E noi
quale degno contraccambio offriamo al nostro Creatore che ci
mantiene fornendoci il nutrimento? E fingiamo d'ignorare le of
fese che gli vengono fatte e spesso offriamo ai suoi nemici i cibi
che riceviamo da lui!
25. Che c' di pi innocente degli agnellini che paragoniamo
alla tenera infanzia dei nostri bimbi? Spesso uno di questi in un
gregge immenso, dopo aver vagato per tutto l'ovile, si perde lon
tano dalla madre e, non potendo ritrovarla, con frequenti belati
chiama l'assente perch risponda con la sua voce, in modo da
poter rivolgere nella direzione di quel suono i suoi passi erra
bondi. Anche se si trova in mezzo a molte migliaia di capi, rico
nosce la voce della madre, corre da lei e cerca le ben note sorgenti
del latte materno. Sebbene sia dominato dal desiderio del cibo e
della bevanda, tuttavia lascia da parte le mammelle rigonfie delle
1 SEI GIRNI DELLA CREAZIONE 367
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Bas., Hexaem., 197 C (84 E): 3 ,
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SvFT., Prata, X, . 254 e 443 Reifferscheid.
Quamuis cibi desiderio teneatur et potus, transcurrit tamen aliena
ubera grauida, licet umore lactis exundent, solam matrem requirit,
solius sibi materni uberis pauperes sucos significat abundare. Illa
quoque inter multa agniculorum milia solum filium nouit. Vnus
plurimorum balatus, eadem species: illa tamen fetum suum di
scernit a ceteris et solum filium tacito pietatis testimonio reco
gnoscit. Pastor errat in discretione ouium, agniculus in agnitione
matris nescit errare. Pastor fallitur specie, sed ouis pietate non
fallitur. Vnus odor omnibus, sed tamen habet natura odorem
suum, quem suboles cara speciali quadam uidetur proprietate
redolere.
368 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 4, 25-27
26. Habet suos usus natura et sensus domesticos. Vix infan
tulo dentes coeperunt prorumpere, et iam nouit sua arma temp
tare. Nondum catulo dentes, et tanquam habeat, ore suo se quae
rit ulcisci. Nondum ceruo cornua, et tamen fronte praeludit atque
ex ea quae nondum expertus sit tela minitatur. Lupus si prior ho
minem uiderit, uocem eripit et despicit eum tamquam uictor uocis
ablatae: idem si se praeuisum senserit, deponit ferociam, non
potest currere. Leo gallum et maxime album ueretur. Capra uul-
nerata dictamnum petit et de uulnere excludit sagittas. Nouerunt
et bestiae remedia sua. Leo aeger simiam quaerit, ut deuoret quo
possit sanari. Leopardus capreae agrestis sanguinem bibit et uim
languoris euitat. Omnis fera aegra canis hausto curatur sanguine:
ursus aeger formicas uorat, ceruus oleae ramusculos mandit.
27. Ergo ferae norunt ea petere quae sibi prosint; tu ignoras,
o homo, remedia tua. Tu nescis quomodo uirtutem eripias aduer-
sario, ut te tanquam praeuentus lupus effugere non possit, ut
altre pecore, che pur traboccano di latte, cerca soltanto la madre
e dimostra che soltanto gli scarsi umori del seno materno sono
veramente abbondanti per lui. Anche la madre tra le molte mi
gliaia d'agnellini conosce solo il proprio figlio. Identico l belato
di quel gran numero, medesimo l'aspetto; essa tuttavia distingue
il suo piccolo dagli altri e con la silenziosa attestazione del suo
affetto dimostra di riconoscere soltanto lui. Mentre il pastore sba
glia nel riconoscere le sue pecore, l agnello incapace di sbagliare
nel riconoscere la madre. I l pastore ingannato dall'aspetto, ma
la pecora non ingannata dal suo affetto materno. Tutti gli agnelli
hanno lo stesso odore, la natura invece ne ha uno tutto suo che
la cara prole sembra emanare per una speciale propriet a noi
sconosciuta
26. La natura ha le sue consuetudini e i suoi sentimenti fa
miliari. I denti cominciano appena a spuntare ad un bimbo, ed
egli sa gi mettere alla prova le proprie armi. I l cagnolino non
ha ancora denti, e, come se li avesse, cerca di farsi ragione con i
morsi. II cervo non ha, ancora messo le corna, e tuttavia giostra
con la fronte e da essa sembra rivolgere la minaccia di quelle
armi che non ha ancora sperimentato. I l lupo, se vede per primo
un uomo, gli toglie la voce poi lo disdegna considerandosi vin
citore per avergliela tolta; ma, a sua volta, se si accorge di essere
stato avvistato per primo, depone la sua ferocia ed incapace di
correre. I l leone teme il gallo, specialmente se bianco . La
capra colpita cerca il dittamo e con esso espelle le frecce dalla fe
rita*. Anche le bestie feroci conoscono i rimedi ad esse appro
priati. I l leone ammalato va in cerca di una scimmia per divo
rarla e cosi guarire. I l leopardo beve il sangue della capra selva
tica ed evita l attacco della malattia. Ogni fiera ammalata si cura
bevendo sangue di cane lorso ammalato divora le formiche , il
cervo mastica ramoscelli d'olivo.
27. Le fiere sanno cercare ci che loro giova; tu, o uomo,
ignori i rimedi per te. Tu non sai togliere forza all'avversario, in
modo che, come un lupo avvistato per primo, non possa sfug-
Bas., Hexaem., 197 AB (84 BC): Iv &
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Cf. PUN., . ., V i l i , 34, 80; Vero., Bue., IX, 54: lupi Moerim uidere
priores.
^ Cf. PuN., N.H., X, 21, 47: Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum
generosissimis.
Cf. PUN., N.H., V i l i , 41, 97: Dictamnum herbam extrahendis sagittis
cerai monstrauere percussi eo telo pastuque herbae eius eiecto. Per le capre:
XXV, 53, 92.
Cf. Plin., N.H., XXX, 41, 121: Scabiem ... ante omnia sanguis caninus
sedat.
* Cf. Plin., N.H., V i l i , 41, 101: Vrsi cum mandragorae mala gustauere,
formicas lambunt.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 369
oculo tuae mentis eius perfidiam deprehendas et prior cursum
uerborum eius inpedias, inpudentiam eius et acumen disputatio
nis obtundas. Quod si te ille praeuenerit, uocem tibi auferet. Et
si ommutueris, solue amictum tuum, ut sermonem resoluas, et
si in te insurrexerit lupus, petram cape et fugit. Petra tua Christus
est. Si ad Christum confugias, fugit lupus nec terrere te poterit.
Hanc petram quaesiuit Petrus, cum titubaret in fluctibus et inue-
nit, quia dexteram amplexus est Christi
370 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 4, 27-29 - c. 5, 30
28. Quid dicam alio homines delectari et illud ad escam su
mere, quod leopardus fugit? Denique sicubi alium aliquis confri
candum putauerit, leopardus inde exilit nec resistit. Cuius uene-
nata fera odorem non potest sustinere, id tu pro cibo sumis et
tuis uisceribus infundis internis! Sed medicatur interdum dolo
ribus: sumatur pro medicamento, non pro cibo, sumatur ab aegro
tantibus, non ab epulantibus. Medicamentum quaeris et ieiunium
fugis, quasi maius aliud remedium repperire possis. leiuni hominis
sputum si serpens gustauerit, moritur. Vides quanta uis ieiunii
sit, ut sputo suo homo terrenum serpentem interficiat et merito
spiritalem.
29. Quantam dominus etiam minusculis infudit prudentiam!
Turtur nido suo, ne pullos suos incurset lupus, scillae folia supe-
riacit. Nouit enim quod huiusmodi folia lupi fugere consuerunt.
Nouit uulpecula quomodo posteritatem foueat suam, et tu igno
ras, tu neglegis quomodo aduersus lupos nequitiae spiritalis po
steritatem uitae huius habeas tutiorem?
Caput V
30. Sed reuertamur ad seriem creaturae et consideremus
qua ratione dominus aliis bestiis angustiora colla formauerit ut
leonibus atque tigridibus, ursis quoque, aliis prolixiora ut hele
fantis et camelis. Nonne euidens causa est quia illis feris quae
Mt 14, 30.
girti, in modo che tu scopra la sua slealt con l occhio della tua
mente e impedisca per primo lo svolgimento del suo discorso e
smussi l'acutezza delle sue impudenti argomentazioni. Se sar lui
invece a prevenirti, ti toglier la voce; se sarai diventato muto,
lascia il tuo mantello per interrompere il suo discorso; se il lupo
si scagner contro di te, prendi una pietra e quello fuggir. La
tua pietra Cristo. Se cerchi rifugio in Cristo, il lupo fugge senza
poterti spaventare. Tale pietra cerc Pietro, quando vacillava in
mezzo alle onde, e la trov perch riusc ad afferrare la mano di
Cristo.
28. Perch ricordare che gli uomini usano con piacere l aglio
e lo usano come cibo, mentre il leopardo lo aborrisce? Di conse
guenza, se uno si mette a sfregare dellaglio, il leopardo se ne
allontana d'un balzo. E tu prendi come cibo e introduci dentro le
tue viscere quel vegetale di cui una belva pericolosissima non
riesce a sopportare l odore! Ma talvolta placa i dolori: si prenda
perci come medicina, non come cibo; si prenda quando si
ammalati, non quando si pranza. Cerchi un rimedio ed eviti il
digiuno, come se tu potessi trovare un rimedio migliore. Se un
serpente assaggia lo sputo di un uomo digiuno, muore. Tu vedi
quant grande la potenza del digiuno, cosi che un uomo col suo
sputo uccide un serpente terrestre e tanto pi quello spirituale.
29. Quanta saggezza il Signore ha infuso anche nelle crea
ture minuscole! La tortora stende sopra il suo nido foglie di scil
la", perch il lupo non assalga 1suoi piccoli. Sa infatti che i lupi
evitano solitamente le foglie di questa pianta. La volpicella sa
come garantire la propria sopravvivenza, e tu non ti preoccupi di
rendere pi sicura la vita che seguir a questa contro i lupi della
malvagit spirituale?
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 371
Capitolo 5
30. Ma ritorniamo allordine della creazione * e consideriamo
perch il Signore abbia fornito pi corto il collo ad alcuni ani
mali come i leoni, le tigri e anche gli orsi, pi lungo ad altri come
gli elefanti e i cammelli*. Non motivo evidente che le belve che
la scilla maritima urginea maritima. velenosa; usata in medicina.
Viene, chiamata anche <cipolla marina .
* Ba s ., Hexaem., 200 A (85 A): . - -
.
^ Ba s ., Hexaem., 200 C (85 D): 6 , iva
;
$$ 6 ,

, , ^.
carne uescuntur non erat opus prolixitate ceruids? Non enim in
terram pascendi gratia ceruicem atque ora deiciunt, sed aut ce
ruum inuadunt aut bouem ouemque discerpunt. Camelus uero cum
sit altior, quomodo herbis minutissimis pasceretur, nisi longiora
usque ad terram colla ad usum pastionis extenderet? Itaque came
lus pro ratione proceritatis suae prolixiora colla sortitus est,
equus pro ratione, bos quoque simili modo; haec enim pascuntur
herbis.
31. Helefantus autem etiam prominentem promoscidem ha
bet, quia, cum sit eminentior cunctis, inclinare se ad pascendum
non potest. Itaque eius ad colligendum cibum Utitur ministerio.
Ea immani bestiae largi potus infundit umorem ideoque concaua
est, quo ad restinguendam tantae beluae sitim plenos lacus hau
riat, ut collecto flumine possit inundare potantem. Ceruix sane
minor est quam poscit tanti corporis moles, ne ea quoque oneri
magis esset quam usui. Ideoque nec genua inflectit, quia rigidio
ribus opus fuit cruribus, quo uelut columnis tanta possit mem
brorum machina sustineri. Calcaneum letiiter incuruat, rigent ce
tera pedum a summo usque ad imum. Nec sicut nos in anquilas
saepe deponimus, ita se etiam bestia potest tanta deflectere meri
toque non uoluendi se neque curuandi usum cum ceteris animan
tibus potest habere communem. Fulcitur hinc inde trabibus mam
mis, ut in somno aliquantulum sine periculo reflectatur, quia pes
eius nulla artuum coniunctione distinguitur. Mansuetis igitur ue-
luti quaedam fulcra eorum quibus hic usus est parantur ingenio,
feris autem et agrestibus, quia nemo huiusmodi quibus sustentari
queant fulcra substernit, hinc uenit usus periculi.
372 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 5, 30-32
32. Namque arbori innixi aut costas fricant aut in somno
sese relaxant. Quae nonnumquam uicta atque inflexa tanto corpore
frangitur atque ille qui sese in eandem refuderat corruit nec eri
gere atque eleuare se potest ibique iacens interit aut gemitu suo
proditus sternitur, dum uentre ceterisque iuxta mollioribus ad
uulnus patet; nam dorsum eius ceteraque exteriora non ulla fa
cile solent tela penetrare, sunt autem qui propter ebor has illis
si nutrono di carne non avevano bisogno d un collo allungato?
Infatti esse non abbassano verso terra testa e muso per pasco
lare, ma o assalgono un cervo o dilaniano un bove o una pecora.
Invece il cammello, essendo pi alto di statura, in che modo po
trebbe brucare le pianticelle pi minute, se non potesse stendere
fino a terra un collo pi lungo in rapporto alla sua altezza, il ca
vallo in proporzione, il bue ugualmente? Questi sono infatti ani
mali erbivori.
31. Lelefante poi ha anche una proboscide che si allunga
davanti, perch, essendo pi alto di tutti, non si pu curvare per
procurarsi il cibo. Perci, per raccoglierlo, si serve deiraiuto di
quella. La proboscide introduce in queUenorme bestia il liquido
in abbondanti sorsi e perci concava per assorbire intere pozze,
dovendo spegnere la sete di una belva cosi enorme, al punto che
pu inondarla mentre beve con Tacqua raccolta. Certamente la
testa meno grande di quanto non richiederebbe la mole di un
simile corpaccio, perch anch'essa non sia pi di peso che di van
taggio. Non piega nemmeno le ginocchia, perch c'era bisogno .di
gambe piuttosto rigide per sostenere, come su colonne, una cosi
poderosa struttura fisica. Piega leggermente il calcagno, mentre
le altre parti dei piedi rimangono rgide da cima a fondo N,
come spesso facciamo noi che ci adagiamo piegando le giunture,
quella grossa bestia pu curvarsi e ben a ragione non pu avere
in comune coh gli altri animali l'abitudine di girarsi o di piegarsi,
Si appoggia invece da una parte o dall'altra a grossi tronchi, in
modo da abbandonarsi alquanto nel sonno senza pericolo, perch
il suo piede non diviso da alcuna articolazione. Agli elefanti
domestici si approntano dunque come dei sostegni per iniziativa
di coloro che se ne servono, mentre per quelli feroci e selvatici
da tale abitudine deriva solitamente un pericolo, poich nessuno
pone sotto di loro simili appoggi su cui possano reggersi.
32. Appoggiati ad un albero, o si sfregano i fianchi * o si ri
lassano nel sonno. Ma l'albero talora, sopraffatto e piegato da
un corpo cosi pesante, si spezza e quello che si era appoggiato
stramazza a terra e non pu rimettersi in piedi e sollevarsi e l
giacendo muore o, tradito dai propri lamenti, viene abbattuto
mentre scopre ai colpi il ventre e tutte le parti contigue pi de
licate; infatti solitamente difficile che un dardo riesca a, tra
passare il dorso e le altre parti esterne. Vi sono per coloro che
3 Bas ., Hexaem., 200 C, 201A (85 DE): Tl -
; " , *^ -
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* Cf. Ver o., Georg., I l i , 756: iricat arbore costas (detto del cinghiale).
1 $1 GIORNI DELU CREA^^IONE 373
insidias parant, ut arbores eas, quibus se adplicare consueuerint,
ex alia parte, qua infrequentior eis usus sit, aliquantum recidant,
ut reflectente se helefanto pondus membrorum eius sustinere non
possint ruinamque eius arcessant.
33. Sed si quis ista reprehendit, reprehendat etiam altitudi
nem aedificiorum, quia citius grauem minantur ruinam et diffi
cilius lapsa reparantur. Verum si illa aut propter pulchritudinem
aut propter speculam frequenter adtollimus, haec quoque in her
lefantis probare debemus, quia magnum rebus bellicis usum mi
nistrant. Inde gens Persarum ferox bellis, ualida sagittis omnique
telorum iactu, quia de superioribus ad inferiora ualidiore nisu
tela torquentur, acies eorum uelut gradientibus turribus saepta
procedit. In mediis campis quasi de muro dimicant et uelut in
arce quadam et specula conlocati spectant magis bella quam su-
beimt itaque alieni a periculo uidentur tuti molibus bestiarum.
Quis enim eas adire audeat, cum desuper iaculis facile figatur,
inferius helefantorum conteratur incursu? Denique cedunt illis
acies et armatorum cunei et castra illa quadrata soluuntur. Into
lerabili namque inpetu in hostes ruunt, ut nullo agmine bellato
rum, nulla constipatione militum, nullo clipeorum retardentur ob-
iectu, uelut quidam mobiles montes uersantur in proeliis et ut
colles alto eminent uertice, mugitus fragore omnium perturbant
confidentiam. Quid his faciat pedes, quamuis lacertis ualidus et
manu promptus, cum sibi saeptus armatorum populis gradienti
motu murus, occurrat? Quid faciat eques, cum equus eius perter
refactus tantae bestiae inmanitate diffugiat? Quid faciat sagitta
rius, ciun desuper ferrata uirorum corpora iaculi ictum sentire
non possint, bestia quoque nec nuda facile penetrabilis ferro sit
et munita loricis obuias sine sui periculo acies secet, conterat
turmas?
374 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 5, 32-34
34. Itaque ut imnensa aedificia ita helefanti fundamentis ua
Udioribus sustinentur; alioquin inparibus fulti pedibus intra bre-
uem laberentur aetatem. Nunc autem trecentis et amplius ferun
tur annis uitim producere, quia omnia sibi ad magnitudinem mem-
per procurarsi l'avorio tendono loro trappole di questo genere:
tagliano parzialmente gli alberi cui gli animali sogliono appog
giarsi, dalla parte cui si addossano pi di rado, sicch, quando
l'elefante si abbandona, non possono sostenere U peso delle sue
membra e ne provocano il crollo.
33. Ma se uno critica le proporzioni degli elefanti, critichi
anche la mole degli edifici, perch minacciano di rovinare pi in
fretta e, una volta crollati, si riparano con maggiore difficolt.
Ma se li innalziamo spesso o per la loro bellezza o per farne
un osservatorio, dobbiamo lodare tali doti anche negli elefanti,
perch offrono un utile impiego nell'arte militare. Per questo il
bellicoso popolo persiano, abile nel saettare e nello scagliare ogni
arma da lancio, siccome i dardi sd vibrano con maggiore forza
dallalto verso il basso, muove allattacco come circondato da
torri che camminano. Nel mezzo del campo di battaglia com
battono come dall'alto d'un muro e, stando come in una fortezza
o in un osservatorio, contemplano la lotta pi che non l'affron
tino e perci cosi, difesi dalla mole degli animali, sembrano
estranei al pericolo. Chi infatti oserebbe avvicinarsi potendo essere
dall'alto facilmente trafitto dai giavellotti e a terra calpestato
dallavanzata degli elefanti? Di conseguenza si ritirano di fronte
ad essi eserciti schierati e cunei darmati e le famose formazioni
in quadrato vengono scompaginate. Infatti irrompono contro i
nemici con tale foga irresistibile, che non sono trattenuti da
nessvma schiera di combattenti, da nessuna formazione di soldati
per quanto fitta, da nessuna barriera di scudi; come monti in
movimento si spostano nella battaglia e come colline spuntano
con la loro alta statura e col rimbombo dei loro barriti di
struggono in tutti la fiducia nelle proprie forze. Che cosa po
trebbe fare contro di essi il fante, pur robusto di muscoli e pronto
di mano, quando gli viene incontro a passo di marcia im muro
assiepato da una folla di armati? Che cosa potrebbe fare il ca
valiere, quando il suo cavallo, atterrito dalla mostruosit di una
bestia cosi enorme, fugge a precipizio? Che cosa potrebbe fare
l'arciere, dal momento che in alto i corpi degli avversari pro
tetti dalle armature non possono avvertire il colpo del dardo
ed anche la bestia, sebbene priva di protezione, difficilmente pu
essere trafitta dal ferro e, protetta dalla corazza, attraversa senza
pericolo Io schieramento avversario calpestando gli squadroni?
34. Perci, come gli edifici smisurati, cosi gli elefanti sono
sostenuti da fondamenti veramente robusti; altrimenti^ poggiando
su;piedi impari allo sforzo, in breve tempo crollerebbero. Invece
si dice che vivano trecento e pi anni, perch tutte le membra
sono in rapporto alla grandezza . Perci i loro arti non sono sno-
Bas., Hexaem., 201 B (86 A): 65 oiovcl
^ ,
4, waevrQv SicoeTrrouoiv;
* Bas ., Hexaem., 201 B (86 AB ): el ,
3 . $ $
lhr>] ( * -
^ .
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 375
bra conueniunt. Ideoque non distincti ut nobis, sed conpacti artus
sunt, quo sint robustiores. Quam cito hominibus, si diu steterint
aut uelocius cucurrerint uel iugiter ambulauerint, genua uexan-
tur et plantae! Coniuncta enim et articulata facilius quam concreta
atque solidata aut doloris sensum aut causam offensionis ad
mittunt.
35. Et quid miraris, si uestiti armis timentur, quandoquidem
dentibus suis tamquam naturalibus spiculis semper armati sunt?
Promoscide sua quidquid inuoluerint frangunt, pede uero quid
quid conpresserint uelut quodam lapsu ruinae ingentis exanimant.
Inuoluunt promoscide nemora ad sui escam et quasi quidam al
tissimi dracones serpentinis quos ceperint spiris flagellant. Ple
rumque eas in orbem, colligunt, maxime cum de terra cibus le
gitur aut potus hauritur. Documento itaque nobis sunt, quod
nihil superfluum sit creatum. Et tamen haec tantae molis bestia
subiecta nobis imperiis seruit humanis.
376 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, c. 5, 34-35 - c. 6, 36-37
Caput VI
36. Etenim quoniam de hominis creatura dicturi sumus, com
mendationem eius praestruere et praelibare debemus. Videbatur
nihil helefantis creatura habere robustius, nihil tam terribile uel
procerum, nihil tam ferum quam leones uel tigrides sunt. Et haec
seruiunt homini et naturam suam humana institutione deponunt.
Obliuiscuntur quod nata sunt, induunt quod iubentur. Quid mul
ta? Docentur ut paruoli, seruiunt ut infirmi, uerberantur ut ti
midi, corrigimtur ut subditi, in mores nostros transeunt, quo
niam motus proprios perdidenmt.
37. Mirabilis igitur natura in maximis mirabilis enim in
excelsis dominus , mirabilis etiam in minimis. Sicut enim non
minus plana camporum quam montium alta miramur nec plus
altitudinem caedri stupemus quam uitis aut oleae breuis fecun
ditatem, ita non amplius miror helefantum, quia procerus est,
Ps 92, 4.
dati come i nostri, ma compatti, per essere pi robusti. Con
quanta rapidit agli uomini, se rimangono ritti a lungo o cor
rono troppo velocemente o camminano senza interruzione, sindo
lenziscono ginocchia e piante dei piedi! Infatti le membra con
giunte da articolazioni sono sensibili al dolore o soggette a di
sturbi pi facilmente di quelle solidamente compatte.
35. E perch ti meravigli se gli elefanti sono oggetto di ti
more ricoperti darmi, dal momento che sono sempre armati delle
loro zanne come di giavellotti forniti da natura? Essi spezzano
tutto ci che avvolgono con la loro proboscide, mentre privano
della vita tutto ci che schiacciano con il loro piede come sotto
il crollo di un enorme edificio. Avvolgono con la proboscide gli
alberi dei boschi per cibarsene e come altissimi draghi sbattono
quelli che hanno stretto nelle loro spire serpentine. Spesso le
arrotolano in cerchio, soprattutto, quando raccolgono il cibo da
terra o aspirano la bevanda. Sono perci una prova per noi che
non stato creato nulla di superfluo. E tuttavia una bestia cosi
enorme, rimanendo a noi sottomessa, schiava della volont
umana
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 377
Capitolo 6
36. Accingendoci a parlare della creazione delluomo, dobbia
mo introdurre e pregustarne l elogio. * Sembrava che la creazione
non avesse nulla di pi robusto degli elefanti, nulla di altrettanto
terribile ed imponente, nulla di cosi feroce come il leone e le
tigri. Eppure queste belve sono schiave delluomo e, una volta
addomesticate, perdono la loro naturale ferocia. Dimenticano ci
che sono per nascita, assumono ci che viene loro imposto. Per
dirla in breve, si lasciano istruire come bambini, servono come es
seri privi di forza, subiscono le percosse come creature vinte dalla
paura, accettano i rimproveri come dei dipendenti, assumono le
nostre abitudini perch hanno perduto gli impulsi della loro natura.
37. La natura ammirevole nelle creature pi grandi am
mirevole, infatti, il Signore nelle cose pi sublimi , ammirevole
anche in quelle pi piccole. Come non ammiriamo meno le distese
delle pianure che le cime dei monti n proviamo maggior stu
pore per l'altezza deJ cedro che per la feracit della vite o del
modesto olivo, cosi non ammiro di pi l elefante per la sua im
ponenza che il topo perch incute paura allelefante*. Questa
Bas., Hexaem., 201 BC (86 B):
4 , $
...
* Bas., Hexaem., 201 C (86 CD): 84
4 , iv
. ^
quam murem, quia terribilis helefanto est. Naturae igitur haec
potentia est, ut terribilia aliis aliis meticulosa sint. Est enim do
nata praerogatiua quaedam singulis creaturis, ut quibusdam pri-
uilegiis propriis fulciantur. Formidabilis tauris helefantus, mu
rem timet. Leo quidem rex ferarum exiguo scorpionis aculeo exa
gitatur et ueneno serpentis occiditur. Eximia leonis pulchritudo:
comantis ceruice toros excutit uel sublato pectore adtollit ora;
sed quis non miretur tam breui scorpionis aculeo, ut incorporeum
putes, ingentium corporum exire mortem?
378 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, c. 6, 37-38
38. Nec hoc qxiispiam reprehendat, quod creator serpentis
creaturis suis et alia uel animantium uel herbarum genera ue-
nenata miscuerit. Nata sunt enim haec ad correptionem nostram,
non ad deformationem. Nam quae ignauis aut infirmibus aut
impiis plerumque offensioni atque terrori sunt, aliis usui ita sunt
haec ut paedagogi paruolis. Amari uidentur, acerbi et molesti,
formidabiles uerbere, libertatem lasciuiendi negant, necessitatem
disciplinae exigunt, pueriles animos, ne luxu defluant, terrore
constringunt, ideoque horum austeritate frugi euadunt, sobrii,
continentes, laudi magis quam ludo dediti. Vides quid terribilia
illa flagella proficiant? Sic et serpentes flagella sunt eorum qui
bus infirma animi aetas et quaedam puerilis mentis est uirtus:
ceterum fortioribus nocere non possunt. Denique confidenti in
domino dietimi est: Super aspidem et basiliscum ambulabis et
conculcabis leonem et draconem''. Paulum momordit uipera, et
putabant eum quasi peccatorem uix de naufragio seruatum uene
no esse moriturum; sed posteaquam inuiolabilis mansit excussa
in ignem uipera, plus apud intuentes uenerationis inuenit'. Sed
et ipse dominus ad omnes ait: Qui crediderit et baptizatus fuerit
hic saluus erit; qui uero non crediderit damnabitur^. Signa au-
Ps 9, 13.
c Act 28, 3-6.
i Mc 16, 16.
dunque la potenza della natura; creature, che incutono spavento
ad altre, di fronte ad altre sono vinte dalla paura. Infatti alle
sngole creature stata data per cosi dire la prerogativa di sen
tirsi sostenute da talune doro speciali qualit. Lelefante, che in
cute terrore ai tori, teme a sua volta il topo. I l leone, che pure
il re delle fiere, messo in agitazione dal piccolo pungiglione
dello scorpione e ucciso dal veleno del serpente. La bellezza del
leone straordinaria: scuotendo la testa agita la criniera che ne
ricopre la muscolatura e solleva il muso gonfiando il petto*; ma
chi non si stupirebbe che dal pungiglione dello scorpione, pur tan
to corto che lo crederesti immateriale, esca la morte per corpi
cosi imponenti?
38. E nessuno critichi il fatto che il Creatore abbia mesco
lato alle sue crature anche altre specie, ' sia d'animali che di ve
getali, fornite di veleno. Queste sono nate per correggerci, non
per danneggiarci. Le creature che per lo pi provocano danno o
terrore negli ignavi, nei deboli, negli empi, agii altri giovano cosi
come i maestri ai bambini. I maestri sembrano duri, aspri, pe
danti, temibili perch usano la sferza, non lasciano la libert di
scapricciarsi, impongono una rigida disciplina, frenano col terrore
l'animo dei fanciulli perch non si lascino andare alla dissipazione,
e cosi, per effetto della loro austerit, diventano onesti, assennati,
capaci di controllarsi, pi preoccupati davere buon nome che di
divertirsi. Vedi quali vantaggi recano quelle terribili sferze? Co
si anche i serpenti sono una sferza per coloro che sono spiritual-
mente in et ancora immatura e hanno una virt deiranimo, di
ciamo cosi, ancora infantile; del resto essi non possono nuocere
a chi pi forte. A chi confida nel Signore stato detto: Cam
minerai sull'aspide e sul basilisco e calpesterai il leone e il ser
pente. Una vipera aveva morso Paolo, e pensavano ch'egli, perch
peccatore, a malapena scampato dal naufragio, sarebbe morto
avvelenato; ma quando egli, scossa la. vipera nel fuoco, rimase
illeso, ottenne da parte dei presenti una pi grande venerazione
Lo stesso Signore disse a tutti: Chi creder e sar battezzato, sar
salvo; chi invece non creder, sar condannato. Disse poi che que-
, al
, ,
, & cbpa <
^ & ,
* 3 ...
* Cf. V e rg ., Aen., XII, 6-7: mouet arma leo, gaudetque comantis / excutiens
ceruice toros.
B a s T/ exaem., 201 D, 204 A ( 8 6 B ) : Kal ^
, <{) *
* & ^
, .
* B a s . , Hexaem., 204 A (86 E ): .
; ^
... ^
& ;
L'episodio, narrato da Atti, 28, 3-6, avvenne dopo il naufragio che, nel
corso del viaggio alla volta di Roma, aveva sbattuto Paolo e i suoi com
pagni sulle coste deUisola di Malta.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 379
tem credentium haec dixit fore, ut serpentes manu mulceant,
uenena his atque omne mortiferum, etiamsi biberint, nocere non
possint. Tua igitur tibi magis incredulitas, o homo, quam uenena
metuenda serpentium sunt. Time igitur illa, ut saltem dum for
midantur illa ad fidem prouocare te possint. Quod si deum non
times, uel ultricia perfidiae uenena formides.
39. Nunc quoniam et helefantos uides tibi subditos et leo
nes esse subiectos, cognosce te ipsum, o homo, quod non, ut fe
runt, Apollinis Pythii, sed Solomonis sancti est, qui ait: Nisi scias
te, formonsa in mu l i er i b u s quamquam multo ante Moyses in
Deuteronomio scripsit: Adtende tibi. Homo, tibi adtende^ ait lex
et propheta ait: Nisi scias te. Cui hoc dicit? Formonsa inquit in
mulieribus. Quae est pulchra in mulieribus nisi anima, quae in
utroque sexu praestantiam possidet pulchritudinis? Et merito de
cora est, quae non terrena sed caelestia, non corruptibilia sed
incorrupta desiderat, in quibus decus perire non soleat; corpo
ralia enim omnia processu aetatis aut aegritudinis inaequalitate
marcescunt. Huic adtende, dicit Moyses, in qua tu totus es, in
qua melior tui portio est. Denique interpretatus est dominus qui
sis tu dicens: Adtendite uobis a falsis prophetis *; isti enim ani
mam debilitant, mentem subniunt. igitur caro tu es. Quid
enim est caro sine animae gubernaculo, mentis uigore? Caro ho
die sumitiu, cras deponitur. Caro temporalis, anima diuturna.
Caro amictus est animae, quae se induit quodam corporis uesti-
mento. Non igitur tu uestimentum es, sed qui uestimento uteris.
Ideo tibi dicitur ut expolians ueterem hominem cum actibus eius
nouum induas, qui non in corporis qualitate, sed in spiritu men
tis et agnitione renouatur''. Non, inquam, caro es tu; neque enim
cami dicitur: Templum enim dei sanctum est, quod estis uos' et
alibi: Templum dei uos estis, et spiritus dei sanctus habitat in
uobis sed renouatis dicitur et fidelibus, in quibus permanet spi
ritus dei. In carnalibus autem non permanet, quia scriptum est:
Non permanebit spiritus meus in istis hominibus, quoniam caro
sunt
380 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 6, 38-39
Cant 1, 8 (7).
I Deut 4, 9.
Mt 7, 15.
Coi 3, 9-10.
1 Cor 3, 17.
1 1 Cor 3, 16.
Gen 6, 3.
sti sarebbero stati i segni di coloro che avrebbero creduto: ac
carezzare con la mano i serpenti, bere veleno ed ogni pozione
mortale senza riceverne danno. Dunque, o uomo, tu devi temere
di pi la tua incredulit che i veleni dei serpenti. Temili, perch
almeno, mentre saranno per te motivo di timore, ti possano spro
nare alla fede. Se non temi Iddio, temi almeno i veleni che puni
scono la tiia infedelt.
39. Ora, siccome vedi che a te sono sottoposti gli elefanti
e soggetti i leoni, conosci te stesso, o uomo. Questa massima non
di Apollo Pizie , come affermano, ma del santo Salomone che
dice: Se non ti conosci, a bella fra le donne; per quanto molto
tempo prima Mos aveva scritto nel Deuteronomio. Bada a te stes'
so, o uomo, bada a te stesso, dice la legge; e il profeta dice: Se
non ti conosci. A chi dice questo? Bella, dice, fra le donne. Chi
bella fra le donne se non l anima che in entrambi i sessi possiede
l'eccellenza della bellezza? E a buon diritto bella, perch non de
sidera i beni terreni, ma quelli celesti, non i beni corruttibili, ma
quelli incorruttibili nei quali la bellezza maestosa non suole pe
rire: tutti i beni materiali, infatti, per il passare del tempo o per
Io squilibrio della malattia imputridiscono. Bada a questa, dice
Mos, nella quale tu interamente consisti, nella quale la miglior
parte di te. Infine il Signore ha spiegato chi tu sia dicendo: Guar
datevi dai falsi profeti: questi fiaccano lanima, scalzano Io spi
rito. Tu non sei carne. Che cos' la carne senza la guida delFanima,
senza la forza dello spirito? La carne viene assunta oggi e deposta
domani. La carne dura nel tempo, l'anima dura per sempre. La
carne il mantello deHanima, che si riveste, per cosi dire, del
corpo. Tu dunque non sei il vestito, ma colui che lo usa. Perci
ti si dice di spogliarti dell'uomo vecchio con le sue opere e di
indossare l'uomo nuovo che si rinnova non nell'aspetto del corpo,
ma nello spirito della mente e nella conoscenza. Tu non sei carne,
ripeto: non si dice alla carne: I nfatti santo il tempio di Dio che
siete voi e altrove: Voi siete il tempio di Dio e lo Spirito Santo
di Dio abita in voi, ma si dice a coloro che si sono rinnovati e
ai fedeli in cui rimane lo Spirito di Dio, il quale non rimane
negli esseri carnali, perch sta scritto: I l mio Spirito non rimarr
in questi uomini, perch sono carne.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 381
* ^ oeaordvera il motto scolpito sul frontone del tempio di Apollo
a Delfi. Sull'argomento, vedi P. Cour cel l e, Saint Ambroise devant le prcepte
delphique, in Forma futuri . Studi in onore del card. Michele Pellegrino,
Bottega dErasmo, Torino 1975, pp. 181-183.
^La concezione del corpo come mantello deU'anima riflette chiaramen
te una <cultura dualistica di tipo platonico, che d'altra parte verr supera
ta teologicamente con la Verit cristiana della risurrezione della carne, e anzi
della stessa incarnazione del Verbo. I l Coppa osserva che Ambrogio oltrepassa
il dualismo greco ispirandosi all'antropologia biblica, con gli elementi corpo,
anima, spirito, santificati dalla grazia e quindi unificati (cf. Esposizione del
Vangelo secondo Lucali, cit., p. 241, nota a VI I , 190). Per l'antropologia
santambrosiana cf. guanto cita L.F. Pizzolato, La coppia umana in santAm-
brogio, cit., p. 181, n. 1. Vedi anche pa5sim G. Maudec, op. cit., e in partico
lare per questo testo di Ambrogio le pp. 320-322. [I .B ]
Caput VII
40. Sed ipsius creationis nostrae seriem consideremus. Fa
ciamus inquit hominem ad imaginem et similitudinem nostram^.
Quis hoc dicit? Nonne deus, qui te fecit? Quid est deus? Caro an
spiritus? Non caro utique, sed spiritus, cuius similis caro esse
non potest, quia ipse incorporeus et inuisibilis est, caro autem et
conprehenditur et uidetur. Cui dicit? Non sibi utique, quia non
dicit 'faciam', sed 'faciamus', non angelis, quia ministri sunt, serui
autem cum domino et opera cum auctore non possunt operationis
habere consortium, sed dicit filio, etiamsi ludaei nolint, etiamsi
Arriani repugnent. Sed et ludaei conticiscant et Arriani cum suis
parentibus ommutescant, qui dum unum a consortio diuiriae ope
rationis excludunt, plures inserunt et praerogatiuam quam filio
negant seruolis donat.
382 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, C. 7, 40-41
41. Sed esto ut adminiculo seruorum ad operandum deus
uobis indiguisse uideatur: si operatio communis est cum angelis
deo, numquid deo et angelis imago communis est? Numquid an
gelis diceret: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem
nostram? Sed qui sit imago dei audi dicentem: Qui eripuit nos
inquit de potestate tenebrarum et transtulit in regnum fili clari
tatis suae, in quo habemus redemptionem et remissionem pecca
torum, qui est imago dei inuisibilis et primogenitus uniuersae
creaturae^. Ipse est imago patris, qui semper est et erat in prin
cipio'. Denique imago est qui dicit: Philippe, qui uidet me uidet
et patrem Et quomodo tu, cum imaginem uiuam patris uiuentis
uideas, dicis: ostende nobis patrem? Non credis quia ego in patre
et pater in me esi?*. Imago dei uirtus est, non infirmitas, imago
dei sapientia est, imago dei iustitia est, sed sapientia diuina est
et sempiterna iustitia est. Imago dei est solus ille qui dixit: Ego
et pater unum sumus ita habens similitudinem patris, ut diui
Gen 1, 26.
Coi 1, 13-15.
=Coi 1, 18; I o 1, 1.
d I o 14, 9.
' I o 14, 9-10.
f Io 10, 30.
40, 10. Ariani Schenkl Arriani plerique codd., quorum nonnulli antiquissimi;
vide I I , 5, 20.
Capitolo 7
40. Ma consideriamo lo svolgimento della nostra creazione.
Facciamo, disse, l'uomo a nostra immagine e somiglianza. Chi
dice questo? Non forse Dio che ti ha creato? Che cos' Dio?
Carne o spirito? Non carne certamente, ma spirito, cui la carne
non pu assomigliare, perch lo spirito immateriale e invisibile,
mentre da carne si tocca e si vede. A chi lo dice? Non certa
mente a se stesso, perch non dice Che io faccia , ma facciamo;
non agli angeli, perch sono suoi ministri, e i servi non possono
partecipare aU'operazone insieme con il padrone e l'opera con
chi ne l'autore; ma lo dice al Figlio*, anche se i Giudei non
sono daccordo, anche se gli Ariani si oppongono. Ma i Giudei
tacciano e gli Ariani con i loro padri ammutoliscano, essi che,
mentre escludono una sola Persona dalla partecipazione all'ope
razione divina, ve ne inseriscono molte e concedono a umili servi
il privilegio che negano al Figlio*.
41. Ma ammettiamo pure che vi sembri che Dio abbia avuto
bisogno dell'aiuto dei suoi servi per compiere- la sua opera: se
Dio ha in comime l'opera con gli angeli, forse ha in comime con
essi l'immagine? Avrebbe forse detto agli angeli: Facciamo l uomo
a nostra immagine e somiglianza? Ma ascolta l'Apostolo dire chi
immagine di Dio: Colui che ci ha sottratti, dice, al potere delle
tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio della sua luce, nel
quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati, che
limmagine di Dio invisibile e il primogenito d'ogni creatura. L'im
magine del Padre lui che sempre esiste ed esisteva fin da prin
cipio. Di conseguenza l'immagine chi dice: Filippo, chi vede me,
vede il Padre, E come mai tu, pur vedendo l'immagine vva del
Padre vivente, dici: Mostraci il Padre? Non credi che io sono
nel Padre e il Padre in me? . L'immagine -di Dio la potenza,
non la debolezza, l'immagine di Dio la sapienza, la giustizia;
ma la sapienza divina e la giustizia eterna. Limmagine di Dio
solo chi ha detto: I o e il Padre siamo una cosa sola, possedendo
in tal modo la somiglianza col Padre da possedere con lui l'imit
della divinit e della pienezza. Quando dice facciamo, come pu
esistere disuguaglianza? Quando dice a nostra somiglianza, dov'
la dissomiglianza? Cosi anche nel Vangelo, quando dice I o e il
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 3S3
Bas., Hexaem., 205 A (87 D): cvd-. , -
, 8( ...
* Bas., iiexaem., 205 BC (87 E, 88 A):
^, , (, &
. , -
. , ^ * tvec
& , . &03
T * -
.
Vedi P h i l o . De . mundi, 24: , 6
(l'aver associato a s) , Sv .
3 Bas., Hexaem., 208 A (88 B).
nitatis et plenitudinis habeat unitatem. Vbi dicit faciamus, quo
modo inaequalitas? Cum iterum dicat ad similitudinem nostram,
ubi est dissimilitudo? Sic et in euangelio, ubi dicit ego et pater,
utique non una persona est; ubi autem ait unum sumus, nulla
est discrepantia diuinitatis aut operis. Non igitur in utroque ima
persona, sed una substantia est. Et bene addidit sumus, quia sem-
per esse diuinum est, ut coaeternum credas quem putabas esse
dissimilem. Aeternus est enim de quo dicit Moyses: Qui est misit
me *. Pulchre etiam illud praemisit ego et pater. Nam si patrem
praemisisset, tu minorem filium iudicares; sed praemisit filium,
quem non conuenit credi patre superiorem, adiunxit patrem, ut
aduertas deum patrem et filium eius ordinis praeiudicio non teneri.
42. Adtende inquit tibi soli''. Aliud enim sumus nos, aliud
sunt nostra, alia quae circa nos sunt. Nos sumus, hoc est anima
et mens, nostra simt corporis membra et sensus eius, circa nos
autem pecunia est, serui sunt et uitae istius adparatus. Tibi
igitur adtende, te ipsum scito, hoc est non quales lacertos habeas,
non quantam corporis fortitudinem, non quantas possessiones,
quantam potentiam, sed qualem animam ac mentem, irnde omnia
consilia proficiscuntur, ad quam operum tuorum fructus refertur.
Illa est enim plena sapientiae, plena pietatis atque iustitiae, quo
niam omnis uirtus a deo est. Cui dicit deus: Ecce, Hierusalem,
pinxi muros tuos K Illa anima a deo pingitur, quae habet in se uir-
tutum gratiam renitentem splendoremque pietatis. Illa anima bene
picta est, in qua elucet diuinae operationis effigies, illa anima bene
picta est, in qua est splendor gloriae et paternae imago substan
tiae. Secundum hanc imaginem, quae refulget, pictura pretiosa est.
Secimdum hanc imaginem Adam ante peccatum, sed ubi lapsus
est, deposuit imaginem caelestis, sumpsit terrestris effigiem. Sed
fugiamus hanc imaginem, quae intrare ciuitatem dei non potest,
quia scriptum est: Domine, in duitate tua imaginem eorum ad
nihilum rediges K Et non intrat indigna imago et ,quae intrarit
excluditur, quia non intrabit inquit in eam omne commune et qui
facit execrationem et mendacium'^, sed ille intrabit in eam cuius
in fronte agni nomen scriptum est ".
384 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, c. 7, 4142
. Ex 3, 14.
h Deut 4, 9.
Is 49, 16.
* Ps 72, 20.
">Apoc 21, 27.
Apoc 14, 1.
Padre, certamente non si tratta di un'unica persona; e quando
dice siamo una cosa sola, non vi alcuna differenza nella divi
nit e nell'operazione. Dunque entrambi non sono una sola per
sona; ma una sola sostanza. E con esattezza ha aggiunto siamo,
perch proprio di Dio essere sempre, perch tu creda coetemo
con il Padre quello che ritenevi dissimile da lui. eterno infatti
colui del quale Mos dice: Colui che mi ha mandato. E giusta
mente ha premesso anche le parole I o e il Padre. Se avesse nomi
nato per primo il Padre, tu potresti credere inferiore il Figlio;
ma ha nominato per primo il Figlio, che non giusto credere
superiore al Padre; ha nominato quindi il Padre, perch tu ti ren
da conto che Dio Padre e Figlio non sono soggetti alla pregiu
diziale di una precedenza come questa *.
42. Bada, dice, a te solo. Una cosa siamo noi, un'altra le
cose nostre, un'altra ci che sta attorno a noi. Noi siamo cio
l'anima e l'intelligenza; le cose nostre sono le membra del corpo
e i suoi sensi; intorno a noi c' il denaro, ci sono gli schiavi e i
mezzi per questa nostra vita. Bada dunque a te stesso conosci
te stesso, cio non quali muscoli tu abbia, non quanta fon:a fisica,
non quanti possedimenti, quanto potere, ma quale anima e quale
intelligenza dalle quali derivano tutte le tue deliberazioni e alle
quali si riconduce il frutto delle tue opere. L'anima piena di.
saggezza, piena di piet e di giustizia, perch ogni virt da Dio.
A lei dice Iddio: Ecco, Gerusalemme, ho dipinto le tue mura.
Viene dipinta da Dio quell'anima che ha in s il fascino luminoso
delle virt e lo splendore della piet. dipinta bene queU'anima
in cui risplende Teffigi dell'operazion divina, quell'anima nella
quale c' lo splendore della gloria e l immagine della sostanza del
Padre. Conforme a questa immagine, che in essa riluce, la pit
tura preziosa. Adamo prima del peccato era conforme a que
sta immagine; ma quando cadde, perse limmagine della creatura
celeste, assunse quella della creatura terrena. Ma evitiamo questa
immagine che non pu entrare nella citt di Dio, perch sta scritto:
Signore, nella tua citt annienterai la loro immagine. In essa non
entra un'immagine indegna e quella che riuscita ad entrare ne
viene cacciata, perch non entrer, dice, in essa ogni essere im
puro e colui che ha commesso abominazione o mendacio, ma vi
entrer colui sulla cui fronte sta scritto il nome deHAgnello.
1 SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 385
* Si comprende il contenuto del brano, con la speciale sottolineatura del-
r unit della divinit e della pienezza del Figlio rispetto al Padre nel con
testo antiariano in cui la predicazione di S. Ambrogio non cessa di svolgersi.
<Gli ariani sono tenuti costantemente sotto il fuoco di fila del vescovo, il
quale vuol salvaguardare il suo gregge da reali pericoli dottrinali, che per
di pi si facevano forti della politica di Corte per sedurre gli animi (G.
Co ppa, in Esposizione del Vangelo secondo Luca'/ l, cit., p. 42). [I .B ]
Bas., I l i , 204 AB, . (Hont. in illud: Attende tibi).
* L'immagine della pittura come opera di Dio nellanima ha im rife
rimento sostanzialmente cristolagico. Dio dipinge neUaniina la figura di Cri
sto, splendore della gloria e immagine della sostanza del Padre . una ca
tegoria patristica per rendere la realt e la funzione della grazia e per rimar
carne il valore. Per contrasto, il peccato appare come deformazione e sostitu
zione con una immagine indegna e difforme. [I .B.]
386 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 7, 43 - C. 8, 44
43. Anima igitur nostra ad imaginem dei est. In hac totus
es, homo, quia sine hac nihil es, sed es terra et in terram solueris
Denique ut scias quia sine anima caro nihil est, nolite inquit ti
mere eos qui possunt corpus occidere, animam autem non pos
sunt^. Quid igitur in carne praesumis, qui nihil amittis, si car
nem amiseris? Sed illud time, ne animae tuae defrauderis auxilio.
Quam enim dabit homo commutationem pro anima sua, in qua
non exigua sui portio, sed totius humanae uniuersitatis substan
tia est? Haec st, per quam ceteris ferarum auiumque dominaris
animantibus, haec est ad imaginem dei, corpus autem ad speciem
bestiarum. In hac pium diuinae imitationis insigne, in illo cum
feris ac beluis uile consortium.
Caput VII I
44. Sed tractemus limatius quid sit ad imaginem dei. Caro
numquid ad imaginem dei est? Ergo in deo terra est, quia caro
terra est, ergo corporeus deus, ergo infirmus ut caro passioni-
busque subiectus? Et forte caput tibi uideatur ad similitudinem
dei, quia eminet, aut oculi, quia intuentur, uel aures, quia au
diunt. Si altitudinem spectes, num proceri uidemur, quia paulu
lum uertice eminemus a terris? Sed ideo non pudet eo nos simi
les dei dici, quia serpentibus c^terisque reptantibus aut quia
dammulis atque ouibus aut lupis celsiores sumus? Et quantum
in ea parte cameli nobis atque helefanti proceriores sunt! Optutus
est quidem praestans spectare elementa mundi, cognoscere quae
nullus adnuntiet, sed tuus deprehendat aspectus: uerum hoc ipsum
quantum est quod uidemus, ut eo ad similitudinem dei nos esse
dicamus, qui omniai uidet, spectat omnia, latentes deprehendit af
fectus, scrutatur cordis occulta"? Non pudet hoc dicere, cum
ipse me totum uidere non possim? Quod ante pedes est uideo,
quod a tergo est uidere non possum. Ceruicem meam nescio, non
noui occipitium, renes meos uidere non possum Similiter quan
tum est quod audimus, cum id quod paululum distet uidere et
audire non possim? Si interiecti parietes sint, inpeditur aspectus,
inpeditur auditus. Deinde corpus nostrum uno in loco haeret, an-
Gen 3, 19.
p Mt 10, 28.
Rom 8, 27.
>ler 20, 12; Apoc 2, 23.
44, 18. renis Schenkl renes codd. omnes praeter unum.
43. Lanima nostra, dunque, a immagine di Dio. Tu, o
uomo, sei tutto in essa, perch senza di essa non sei nulla, ma
sei terra e in terra ti dissolverai. Del resto, perch tu sappia che
senza l anima la carne non niente: Non vogliate, disse, temere
coloro che possono uccidere il vostro corpo, ma non possono uc
cidere la vostra anima. Perch dunque sei tanto orgoglioso del
tuo corpo tu che non perdi nulla se perdi il corpo? Ma abbi
paura dessere privato dellaiuto deHanima tua. Che cosa dar
luomo in cambio della sua anima nella quale si trova non una
trascurabile parte della sua persona, ma la sostanza di tutto ci
che costituisce l uomo? Lanima la parte per merito della quale
tu eserciti il dominio su tutti gli altri animali, bestie ed uccelli,
la parte fatta ad immagine di Dio, mentre il corpo conforme
allaspetto delle bestie. Nelluna appare il venerabile distintivo
della somiglianza con Dio, nellaltro la spregevole comunanza con
le bestie feroci.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 387
Capitolo 8
44. Ma spieghiamo con maggior precisione che cosa sia a
immagine di Dio*. Forse il corpo a immagine di Dio? Dunque
in Dio c terra, perch il corpo terra; dunque Dio materiale
dunque debole come il corpo e soggetto alle passioni? Forse il ca
po potrebbe sembrarti a somiglianza di Dio perch sta in alto o gli
occhi perch vedono o gli orecchi perch odono. Se badi alla sta
tura, sembriamo forse alti, perch con la sommit della testa ci
innalziamo un po sopra la terra? Ma non provi vergogna che si
dica che siamo simili a Dio perch siamo pi alti di statura dei
serpenti e degli altri rettili o delle gazzelle e delle pecore o dei
lupi? Sotto questo aspetto quanto sono pi alti di noi i cammelli
e gli elefanti! davvero una capacit straordinaria quella vista
che ci consente di contemplare gli elementi di cui fatto il mondo,
di conoscere le cose che nessuno ti comunica, ma che il tuo
sguardo riesce a cogliere; ma quant quel che vediamo per dire
che per esso noi siamo a somiglianza di Dio che vede tutto, con
templa tutto, coglie i sentimenti nascosti, scruta i segreti del
cuore? E non hai vergogna a parlare cosi, dal momento che non
posso vedere interamente me stesso? Vedo ci che mi sta davanti
ai piedi, non posso vedere ci che sta alle mie spalle. Non so
come sia fatta la parte posteriore della mia testa, non so com
la mia nuca, non posso vedere le mie reni. Ugualmente quant
quello che udiamo, dal momento che non posso vedere e udire ci
che a qualche distanza? Se si frappongono le pareti, impe
dita la vista, impedito l ascolto. Inoltre il nostro corpo rimane
fisso in un sol luogo, ristretto in uno spazio limitato; tutte le
' Come rileva anche il Coppa (op. cit., p. 361, n. 99), qui savverte l in
flusso di Orig., Homil. in Gen., I, 13 (PG 12, 155-157).
gusto includitur spatio; omnes ferae latiores sunt homine, omnes
etiam uelociores.
45. Non ergo caro potest esse ad imaginejn dei, sed anima
nostra, quae libera est et diffusis cogitationibus atque consiliis
huc atque illud uagatur, quae considerando spectat omnia. Ecce
nunc sumus in Italia et cogitamus quae ad orientales aut ad oc
cidentales partes spectare uideantur et cum illis uersari uidemur
qui in Perside sunt constituti et illos uidemus qui degunt in Afri
ca, si quos cognitos nobis ea terra susceperit, sequimur profi
ciscentes, inhaeremus peregrinantibus, copulamur absentibus, ad-
loquimur separatos, defunctos quoque ad conloquium resuscita
mus eosque ut uiuentes conplectimur et tenemus et uitae officia
his usumque deferimus. Ea igitur est ad imaginem dei quae non
corporeo aestimatur, sed mentis uigore, quae absentes uidet, tran-
smeirina uisu obit, transcurrit aspectu, scrutatur abdita, huc atque
illuc uno momento sensus suos per totius orbis finis et mundi
secreta circumfert: quae deo iungitur, Christo adhaeret, descendit
in infernum atque ascendit, libera uersatur in caelo. Denique audi
dicentem: Nostra autem conuersatio in caelis est'^. Non est ergo
ad imaginem dei in qua deus semper est? Sed audi quia ad ima
ginem dei. Dicit enim apostolus: Nos itaque omnes reuelata facie
gloriam dei speculantes ad eandem imaginem reformamur a glo
ria in gloriam sicut a domini spiritu^.
388 EXAMERON, DIES VI , SEK. IX, c. 8, 44-46
46. Quia igitur cognouimus animam esse ad imaginem dei,
nimc consideremus utrum de anima potuerit dici: Faciamus ho
minem. Sed audi et istud, quia anima nomine hominis nuncupatur.
Scriptum est enim in Genesi: Filii autem J oseph, qui facti sunt illi
in Aegypto, animae nouem. Omnes ergo animae, quae intrauerunt
cum lacobi in Aegyptum septuaginta et quinque Et multo aptius
anima uel homo latine uel graece ^ dicitur, alterum ab
humanitate, alterum ab intuendi habens uiuacitate, quae magis
animae quam corpori conuenire non dubium est. Cui rei etiam
illud iure concurrit dictum in Threnis Hieremiae: Bonus est do
minus sustinentibus eum, animae quae quaerit eum *. De homi-
c Phil 3, 20.
<>2 Cor 3, 18.
e Gen 46, 27.
Thren 3, 25.
fiere esigono maggiore spazio deiruomo, tutte sono anche pi
veloci.
45. Dunque il corpo non pu essere ad immagine di Dio,
bens l'anima nostra, che libera vaga qua e l con i suoi pensieri
e i suoi propositi, che tutto contempla con le sue riflessioni.
Ecco, ora noi siamo in Italia e pensiamo a quelle cose che sem
brano riguardare le regioni orientali o occidentali e ci pare d'in-
trattenerci con coloro che si trovano in Persia e vediamo quelli
che vivono in Africa, se quella terra ospita persone da noi cono
sciute; li seguiamo mentre partono, li accompagniamo nei loro
viaggi, ci uniamo a loro sebbene siano lontani, rivolgiamo loro
la parola sebbene siano separati da noi; risuscitiamo persino i
nostri morti per parlare con loro, li abliracciamo stretti stretti
come se fossero vivi e usiamo loro le consuete attenzioni come
a persone viventi. dunque a immagine di Dio la nostra anima
che non si valuta per la forza fisica, ma per quella dello spirito,
che vede gli assenti, raggiunge con la vista le regioni al di l
del mare e le percorre con Io sguardo, scruta le zone nascoste
in un istante porta in giro qua e l i suoi sentimenti per i con
fini di tutta la terra e per i luoghi pi appartati del mondo Essa
si unisce a Dio, si accompagna a Cristo, discende sotterra e ne
risale e libera, dimora nel cielo. Ascolta infine la Scrittura che
dice: La nostra dimora nei cieli. Non ad immagine di Dio
quella in cui Dio abita sempre? Ma ascolta perch a immagine
di Dio. Dice infatti l Apostolo: Noi tutti dunque, riflettendo senta
veli sul nostro volto la gloria del Signore veniamo trasformati se-
condo quella medesima immagine di gloria in gloria dallo Spi
riio del Signore.
46. Resici conto che Tanima a immagine di Dio, conside
riamo ora se si sarebbe potuto dire dell'anima: Facciamo luo
mo. Ma ascolta anche questo, e cio che l'anima qui viene chiamata
col nome di uomo . Sta scritto infatti nella Genesi: E figli di
Giuseppe, che gli nacquero in Egitto, sono nove anime. Dunque
tutte le anime che entrarono con Giuseppe in Egitto furono set-
tantacinque *. E molto pi esattamente l'anima si chiama in latino
homo o in greco prendendo il primo nome da huma
nitas il secondo dall'acutezza della vista *, che evidentemente
conviene pi all'anima che al corpo. Con tale spiegazione a buon
* Cf. Sal l ., Bell. lug., 12, 5; Scrutari loca abdita.
3 indubbiamente notevole questa analisi deU'inimaterialt di alcuni
atti dell'uomo per risalire alia loro natura spirituale e quindi allo spinto che
ne il principio. Sar la prova classica della spiritualit dell'anima, in
quanto pu operare senza essere cosi condizionata fisicamente, da poter agire
solo per le relazioni di presenza sensibile e immediata o come espressione
di energie materiali. S. Ambrogio intende questa spiritualit come comunione
con Dio e rapporto con Ges Cristo, superando cosi i l puro piano filosofico.
H.B.]
* Osserva opportunamente il Coppa (op. cit., p. 363, n. 106) che anima
qui non ha valore metafisico, ma termine usato nel senso di persona .
Humanitas da humanus, che per non si pu etimologicamente colle-
gare a homo (cf. humus); Er no ut -Mbil l bt , Dici, tym., sub uoce.
* Etimologia infondata; vedi Ch ant r ainb, Dict. tym., sub uoce.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 389
nbus dixit et animam adiciendam putauit; melius enim quaerit
ista, si sola sit, abducens se a corporis caeno et a cupiditate car
nali. Ipsa est ad imaginem dei conformis domini lesu, qui autem
conformes filii dei sancti sunt. Sic enim legimus dicente Paulo:
Scimus autem quoniam diligentibus deum omnia concurrunt iri
bonum, his qui secundum propositum uocati sunt sancti, quos
praesciuit et praedestinauit conformes fieri imaginis filii sui, ut
sit ipse primogenitus in multis fratribus. Quos autem praedesti
nauit hos et uocauit et quos uocauit hos et iustificouit, quos au
tem iustificauit hos et glorificauit Vtrum igitur secundum cor
pus an secundum animam iustificatio tibi conferri uideatur, quaeso
respondeas. Sed dubitare non potes, cum iustitia, unde iustificatio
deriuata est, mentis utique, non corporis sit.
390 BXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 8, 4647
47. Pictus es ergo, o homo, pictus a domino deo tuo*'. Bo
num habes artificem atque pictorem. Noli bonam delere pictu
ram, non fuco sed ueritate fulgentem, non cera expressam sed
gratia. Deles picturam, mulier, si uultum tuum materiali cando
re oblinas, si adquisito rubore perfundas. Illa pictura vitii, non
decoris est, illa pictura fraudis, non simplicitatis est, illa pictura
temporalis est aut pluuia aut sudore tergetur , illa pictura
fallit et decipit, ut neque illi placeas cui placere desideras, qui
intellegit non tuum, sed alienum esse quod placeat, et tuo displi
ceas auctori, qui uidet opus suum esse deletum. Dic mihi, si su
pra artificem aliquem inducas alterum, qui opus illius superioris
nouis operibus obducat, nonne ille qui opus suum adulteratum esse
cognouerit dolet? Noli tollere picturam dei et picturam meretricis
adsumere, quia scriptum est: Tollam membra Christi et faciam
membra meretricis? Absit! Quod si qui adulterat opus dei, grau
crimen admittit. Graue est enim crimen ut putes quod melius te
homo pingat quam deus. Graue est ut de te dicat deus: 'Non agno
sco colores meos, non agnosco imaginem meam, non agnosco uul
tum, quem ipse formaui. Reicio ego quod meum non est. Illum
quaere qui te pinxit, cum illo habeto consortium, ab illo sume gra
tiam cui mercedem dedisti'.
* Rom 8, 28-30.
*Is 49, 16.
1 Cor 6, 15.
diritto concorda ci che si dice nelle Lamentazioni di Geremia:
Buono il Signore per coloro che sperano in lui, per l anima che
lo cerca. Parl degli uomini e ritenne di dover aggiungere, speci
ficando, r anima ; questa infatti cerca meglio se sola, sepa
randosi dal fango del corpo e dalle passioni della carne. Essa
a immagine di Dio, conforme al Signore Ges; ma coloro che sono
conformi al Figlio di Dio, sono santi; cosi infatti leggiamo dove
Paolo dice: Sappiamo poi che per coloro che amano Dio tutto
concorre al bene, per questi che secondo il suo disegno sono stati
chiamati santi, che nella sua prescienza ha predestinati a diventare
conformi allimmagine di suo Figlio, sicch egli sia il primogenito
tra molti fratelli. E quelli che ha predestinati ha anche chiamati,
e quelli che ha chiamati ha anche giustificati, e quelli che ha giu
stificati ha anche glorificati. Ti prego dunque di dirmi se ti sem
bra che la giustificazione sia concessa secondo il corpo o secondo^
lanima. Ma non puoi aver dubbi, perch la giustizia, dalla quale
derivata l giustificazione, propria dello spirito, non del corpo.
47. Dunque, o uomo, tu sei stato dipinto, sei stato dipinto dal
Signore Dio tuo. Hai un artista e un pittore capace. Non cancel
lare una pittura di valore che risplende non per ima falsa appa
renza, ma per la sua verit, non fissata con la cera, ma con la
grazia. Cancelli la pittura, o donna, se spalmi il tuo volto dun
candore materiale, se lo ricopri dun rossore artificiale. Questa
una pittura che esprime il vizio, non il decoro della bellezza;
una pittura bugiarda, non autentica; una pittura destinata a
perire sar distrutta dalla pioggia o dal sudore ; una pittu
ra che imbroglia ed inganna, cosi che non piace a colui cui vor
resti piacere, perch capisce che non tuo ma daltri ci che
piace in te e spiace al tuo Creatore che vede cancellata l opera sua.
Dimmi, se oltre ad un artista tu ne chiamassi un altro per sten
dere sullopera del primo una nuova pittura, non vero che chi
viene a sapere che il suo quadro stato alterato ne sarebbe mal
contento? Non cancellare la pittura di Dio e non assumere quella
di una prostituta, perch sta scritto: Lever le membra di Cristo
e ne far le membra duna prostituta? Non sia mai! Chi altera
l'opera di Dio, commette una grave colpa. infatti una grave
colpa pensare che un uomo ti dipinga meglio di Dio. grave che
Dio dica di te: Non riconosco i miei colori, non riconosco la mia
Immagine, non riconosco il volto che io stesso ho plasmato. Io
respingo ci che non opera mia. Cerca quello che ti ha dipinto,
fa societ con lui, prendi da lui la bellezza, visto che lo hai pagato .
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 391
I l passaggio concettualmente illegittimo perch la pittura materiale del
trucco femminile non potr mal cancellare quella spirituale deU'impronta
divina nelluomo. Evidentemente qui il moralista ha avuto il sopravvento
sul teologo.
Poco sopra, quando si parla di pittura fissata con la cera, si allude alla
pittura ad encausto >, nella quale i colori erano sciolti nella cera e spal
mati a caldo.
48. Quid respondebis? Quod si graue est adulterare opus
dei, quid de illis dicemus qui interficiunt opus dei, qui humanum
sanguinem fundunt, qui uitam quam deus donauit extorquent,
qui dicunt: Tollamus iustum, quia inutilis est nobis ^7 Vnde bene
lectum est hodie: Vulpes foueas habent et uotucres caeli nidos
ubi requiescant, filius autem hominis non habet ubi caput suum
reclinet^. Vulpis ergo se abscondit in fouea, aues se tuentur in
nido: homo non absconditur in fouea, sed decipitur: fouea uero
os hominis est, fouea alta pectus est hominis, ubi sunt noxia et
fraudulenta consilia, malae cogitationes. Tu ambulas, et alius tibi
foueam parat. In medio laqueorum ambulas ", quos absconderunt
tibi in uia inimici tui. Omnia ergo circum inspice, ut effugias sicut
dammula de retibus et sicut auis de laqueo. Dammula retia aspec
tus uiuacitate declinat, auis euitat laqueos, si ad superiora se
conferat et terrena superuolet; in superioribus enim nemo tendit
retia, laqueym nullus abscondit. Ideo cuius conuersatio in super
nis est huius non solet in praedam uenire captura. Sed quid
miraris, si homo decipiatur ab homine, quando filius hominis ubi
requiesceret non habebat p? Et ille quidem talem hominem fecit,
in quo caput suum reclinaret: sed posteaquam in pectore nostro
non requies proximi coepit esse, sed fouea, posteaquam alter alte
ri nectere coepit insidias, quem iuuare deberet, caput suum Chri
stus auertit a nobis, sed postea tamen maluit illud morti offerre
pro nobis. Noli igitur esse fraudulentus, crudelis, inmitis, ut in te
Christus caput reclinet.
49. Denique cum fecisset piscium beluas, cum fecisset fera
rum genera et bestiarum, non requieuit: requieuit autem, po
steaquam hominem ad imaginem suam fecit In quo requiescat
audi dicentem: Aut supra quem requiescam nisi super humilem
et quietum et trementem uerba mea? >. Esto ergo humilis et quie
tus, ut in tuo deus requiescat adfectu. Qui non requieuit in bestiis
multo magis non requiescit in pectore bestiali. Sunt enim animi
bestiales, sunt ferae forma hominum indutae, de quibus dicit do
minus: Adtendite uobis a falsis prophetis, qui ueniunt ad uos in
uestitu ouium, intus autem sunt lupi rapaces *. In his autem non
requiescit deus, sed requiescit in moribus humanis, quos fecit
deus ad imaginem suam et similitudinem, quando fecit uirum,
qui non debet uelare caput suum, quoniam imago et gloria est
dei^. Huius uiri animae dicit: Ecce ego, Hierusalem, pinxi muros
Non dixit: 'pinxi uentrem tuum', non dixit: pinxi inferiora
tua', sed dicit: pinxi muros tuos' ualida se adserens homini mu-
>Sap 2, 12.
m Mt 8, 20.
a Eccli 9. 13 (20).
0 Phil 3, 20.
p Mt 8, 20; Lc 9, 58 (I s 66. 1).
1 Gen 2, 2.
Is 66, 1-2.
Mt 7, 15.
t 1 Cor 11, 7.
Is 49, 16.
392 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, c. 8, 4849
48. Che cosa risponderai? Se grave alterare l opera di Dio,
che diremo di coloro che uccidono l opera di Dio, che versiino
sangue umano, che tolgono la vita che Dio ha dato, che dicono:
Togliamo di mezzo il giusto perch ci molesto? Perci si letto
opportunamente oggi: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del
cielo i loro nidi dove riposare, ma il Figlio dell'uomo non ha dove
posare il capo. La volpe si nasconde nella propria tana, gli uccelli
si riparano nel loro nido; l uomo nella tzina non trova rifugio, ma
insidia. Tana la bocca delluomo, tana profonda il suo petto
dove si celano propositi dannosi e ingannevoli, pensieri malvagi.
Tu cammini, e un altro ti scava la fossa. Cammini in mezzo alle
insidie che i tuoi nemici hanno nascosto sulla tua strada. Guarda
attentamente ogni cosa intorno a te per sfuggire, come una gaz
zella, alle reti e, come im uccello, al laccio. La gazzella, con l acu
tezza della sua vista, evita le reti, l uccello evita i lacci levandosi
in alto e sorvolando la terra; nel cielo infatti nessuno tende le
reti, nessuno nasconde i lacci. Perci chi vive nelle regioni celesti
non suole essere catturato quale preda. Ma perch ti stupisci se
luomo viene ingannato dal proprio simile, dal momento che il
Figlio delluomo non aveva dove poter riposare? Ed egli aveva
pur fatto l uomo tale da potervi posare il capo; ma, dopoch nel
nostro petto cominci ad essenti non sollievo, ma frpde per il
prossimo, dopoch l uno cominci a tramare insidie contro l al
tro, mentre avrebbe dovuto aiutarlo, Cristo allontan il suo capo
da noi, anche se poi volle offrirlo per noi alla morte. Non essere
dunque ingannatore, crudele, spietato, perch Cristo reclini il suo
capo sopra di te.
49. Quel che pi conta, dopo aver creato i mostri'marini, le
specie delle fiere e degli animali. Iddio non ripos; ripos invece
dopo aver fatto l uomo a sua immagine e somiglianza. Ascolta su
chi egli trov riposo, quando dice: O sopra chi io riposer, se non
sopra chi umile, tranquillo e teme le mie parole? Sii dunque
umile e tranquillo, perch Dio riposi nel tuo animo. Colui che non
ha trovato riposo nelle bestie, molto meno pu riposare in un ani
mo bestiale. Ci sono animi bestiali, ci sono belve in forma umjma,
delle quali il Signore dice: Guardatevi dai falsi profeti, che si pre
sentano a voi in veste di pecore, dentro invece sono lupi rapaci.
In costoro Iddio non riposa, ma riposa nella condotta degli uo
mini creati a sua immagine e somiglianza, quando cre luomo,
che non deve coprire il proprio capo, perch immagine e gloria
di Dio. Dice allanima di questuomo: Ecco io, o Gerusalemme, ho
dipinto le tue mura. Non ha detto: Ho dipinto il tuo ventre ,
non ha detto: Ho dipinto le tue parti inferiori , ma dice: Ho di
pinto le tue mura, affermando cosi di aver dato alluomo la valida
difesa di un baluardo, in modo che, se sulle mura c chi sta al-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 393
< L uomo come riposo di Dio e quindi anche di Cristo il motivo fon
damentale di queste ultime pagine e imo dei punti pi originali della teolo
gia ambrosiana: I l Figlio delluomo... aveva..-, fatto l uomo tale da potervi
posare il capo. L uomo appare fatto per Ges Cristo, e Ges Cristo per
l'uomo. [LB.]
rorum dedisse praesidia, ut si peruigil speculator in muris sit, ob-
sidionis possit periculum propulsare. Dicit itaque: 'non tibi uolup-
tates dedi, non inlecebras cupiditatum, non incentiua luxuriae, non
alieni decoris concupiscentiam, sed dedi tibi fundamenta mura
lia, dedi tibi turrium excelsa fastigia, in quibus constitutus expu
gnari ab hoste non metuas nec ingruentium legionum terribilia
licet temptamenta formides'. Denique habes in Esaia quia iusti
anima dicit uel ecclesia: Ego duitas munita, ego duitas obsessa \
munita per Christum, obsessa per diabolum. Sed non debet ob
sidionem uereri cui Christus adiutor est; mimitur enim gratia
spiritali et saecularibus periculis obsidetur. Vnde et in Canti^
habes dictum: Ego murus, et ubera mea turres'. Murus est ec
clesia, turres eius sunt sacerdotes, quibus abundat et de naturali
bus uerbum et de moralibus disciplina.
50. Cognosce ergo te, decora anima, quia imago es dei. Co
gnosce te, homo, quia gloria es dei^. Audi quomodo gloria. Pro
pheta dicit: Mirabilis facta est cognitio tua ex me hoc est: in
meo opere tua mirabilior est maiestas, in consilio hominis tua
sapientia praedicatur. Dum me intueor, quem tu in ipsis cogita
tionibus occultis et internis affectibus deprehendis, scientiae tuae
agnosco mysteria. Cognosce ergo te, homo, quantus sis et adtende
tibi, ne quando laqueis inplicatus diaboli fias praeda uenantis, ne
forte in fauces tetri illius leonis incurras, qui rugit et circuit quae
rens quem deuoret Adtende tibi, ut consideres quid in te intret,
quid ex te exeat. Non de cibo dico, qui absorbetur et egeritur'.
Sed de cogitatione dico, de sermone adsero, non intret in te alieni
tori concupiscentia, non inrepat in tuam mentem, non rapiat ocu
lus transeuntis feminae pulchritudinem, animus non includat, non
sermo tuus temptamentorum machinas nectat, non in dolo pro
dat, non maledico proximum aspergat obprobrio. Venatorem te
fecit deus, non expugnatorem, qui dixit: Ecce mitto uenatores
multos'^, uenatores non criminis, sed absolutionis, uenatores non
culpae utique, sed gratiae. Piscator Christi es, cui dicitur: Amodo
eris homines uiuificans Sic mitte retia tua, sic mitte oculos
tuos, sic mitte sermones tuos, ut nullum obprimas, sed adleues
fluctuantem. Adtende inquit tibi. Sic sta, ne cadas, sic-curre, ut
ad brabium peruenias, sic certato, ut saepe decernas, quia legiti
mo debetur corona certamini'. Miles es, hostem diligenter explo
ra, ne tibi , nocturnus inrepat; athleta es, manibus aduersario pro-
V Is 27, 3(10).
w Cant 8, 10.
* 1 Cor 11, 7.
* Ps 138, 6.
a' 1 Pt 5, 8.
b' Mt 15, 11.
e' ler 16. 16.
d' Lc 5, 10 (cf. ler 16, 16).
e 2 Tim 2, 5.
50, 16. aspargat Schenkl aspergat codd. omnes praeter unum; praeterea
uide infra lin. 31.
394 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 8, 49-50
l'erta vigilante, .pu respngere il pericolo d'im assedio. Dice dun
que: Non ti ho dato i piaceri n gli allettamenti delle passioni
n gli stimoli della lussuria n la brama della bellezza altrui, ma
ti ho dato i fondamenti delle mura, ti ho dato la sommit eccelsa
delle torri, arroccato sulle quali non dovrai temere d'essere con
quistato dai nemici n paventare gli assalti per quanto terribili
delle legioni che ti piombano addosso . Inoltre trovi in Isaia che
lanima del giusto o la Chiesa dice: I o sono una citt difesa, io
mno una citt assediata: difesa da Cristo, assediata dal diavolo,
ta non deve temere l'assedio chi ha l'aiuto di Cristo; difeso
-^alla grazia spirituale ed assediato dai pericoli del mondo. Per
ci anche nel Cantico tu trovi: J o sono un muro e le mie mam-
nyelle torri. I l muro la Chiesa e le torri sono i suoi sacerdoti nei
4uali sovrabbonda sia la parola nelle discipline naturali sia l'n
segnamento in quelle morali.
50. Conosci dunque te stessa, o anima bella: tu sei l'imma
gine di Dio. Conosci te stesso, o uomo: tu sei la gloria di Dio.
Ascolta in qual modo ne sei la gloria. Dice il profeta: La tua
scienza divenuta mirabile provenendo da me, cio: nella mia
opera la tua maest pi ammirabile, la tua sapienza viene esal
tata nel senno dell'uomo. Mentre io considero me stesso, che tu
cogli anche nei pensieri segreti e negli intimi sentimenti, io rico
nosco i misteri della tua scienza. Conosci dunque te stesso, o uo
mo, quanto grande tu sei e vigila su di te perch, una volta o
l'altra, incappando nei lacci del diavolo che ti d la caccia, tu
non ne divenga preda, perch tu per caso non finisca nelle fauci
di quel tetro leone che ruggisce e va in giro cercando chi divorare.
Bada a te, considerando che cosa in te entra, che cosa ne esce.
Non parlo del cibo, che viene digerito ed espulso, ma parlo del
pensiero, alludo alle parole. Non entri in te il desiderio del talamo
altrui, non si insinui nella tua mente; il tuo occhio non rapisca, il
tuo animo non chiuda in s la bellezza d'ima donna che passa;
la tua parola non escogiti trame d seduzione, non le conduca
innanzi con l'inganno, non ricopra il prossimo con maldicenze ca
lunniose, Iddio ti ha fatto cacciatore, non conquistatore, egli che
ha detto: Ecco mando molti cacciatori, cacciatori non di colpe,
ma di perdono, cacciatori non di peccati, ma di grazia. Tu sei
pescatore di Cristo, al quale s dice: Da questo momento darai la
vita agli uomini. Getta le tue reti, getta i tuoi sguardi, getta le tue
parole, cosi da non opprimere nessuno, ma da sostenere chi va
cilla. Bada, dice, a te stesso. Sta' saldo per non cadere, corri in
modo da guadagnare il premio, gareggia cosi da resistere sino alla
fine, perch la corona dovuta soltanto a un combattimento re
golare. Tu sei un soldato: spia con attenzione il nemico, perch
di notte non strisci sino a te; sei un atleta: sta' pi vicino all'av-
versaro con le mani che con il volto, perch non colpisca il tuo
occhio. Lo sguardo sia liber, astuto l'incedere per stendere a
terra lavversario quando ti .si precipita contro, per serrarlo fra
le braccia quando si ritrae, per evitare le ferite con la vigilanza
dello sguardo, per impedirle assalendolo con decisione. Se poi
sarai ferito, bada alla tua salute, corri dal medico, cerca il rimedio
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 395
pior esto quam uultu, ne oculum feriat tuum. Liber optutus sit,
argutus incessus, ut inruentem effundas, cedentem occupes, uulnus
uigilanti aspectu exeas, forti congressu repellas. Quod si fueris
uulneratus, adtende tibi, curre ad medicum, quaere remedium
paenitentiae. Adtente tibi, quia carnem habes, quae cito labitur.
Veniat tibi bonus animorum medicus sermo diuinus, aspergat tibi
oracula domini tamquam medicamenta salubria. Adtende tibi, ne
fiat ucrbum absconditum in corde tuo inicum; serpit enim sicut
uenenum et letalia confert contagia. Adtende tibi, ne obliuscaris
deum, qui fecit te et ne nomen eius in uanum accipias
51. Adtende tibi, lex dicit, ne cum manducaueris et satiatus
fueris et domus aedificaueris et habitare coeperis et pecoribus
tuis repletus fueris et auro et argento abundaueris et omnibus
quaecumque tibi fuerint in multitudine exaltes te corde et obliui-
scaris dominum deum tuum Quid enim habes, homo, quod non
accepisti? Nonne haec omnia sicut umbra praetereunt'? Nonne
domus tua haec puluis est et ruina? Nonne haec omnia falsa?
Nonne saeculi thensaurus uanitas est? Nonne tu ipse es cinis?
Respice in sepulchra hominum et uide quid ex te nisi cinis et ossa
remanebunt, hoc est ex corpore tuo, respice, inquam, et dic mihi
quis ibi diues et pauper sit. Discerne inopes ac potentes. Nudi
omnes nascimur, nudi morimur. Nulla discretio inter cadauera
mortuorum, nisi forte quia grauius fetent diuitum corpora disten
ta luxurie. Quem audisti pauperem cruditate defunctum? Prodest
illi inopia sua; exercet corpus, non opprimit. Nec tamen audiuimus
iustum derelictum et semen eius quaerens panem quoniam qui
bene operatur in terra sua abundat alimentis. Adtende ergo tibi,
diues, quia et tu carnem portas sicut pauper.
396 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 8, 50-52
52. Adtende tibi, pauper, quia anima tua pretiosa est. Etsi
caro mortalis, diuturna anima, etsi tibi deest pecunia, non deest
gratia, etsi non est domus ampla, non diffusa possessio, cae
lum patet, terra libera est. Omnibus in commune elementa do
nata sunt, patent aeque diuitibus atque pauperibus ornamenta
mundi. Numquid pulchriora pretiosissimarum domorum aurata
laquearia quam caeli facies stellis insignita fulgentibus? Num
quid latiora diuitum rura quam spatia terrarum? Vnde ad eos
qui domum ad domum, uillam ad uillam iungunt dictum est: Num-
f Deut 8, I I .
' Deut 5, 11.
k Deut 8, 11-14.
Eccle 7, 14.
' Ps 36, 25.
52, 4. conmune Schenkl .
della penitenza. Bada a te stesso, perch hai una carne pronta a
cadere. / Venga a visitarti, medico buono delle anime, la parola di
vina, sparga su di te gli insegnamenti del Signore come rimedi
salutari. Bada a te stesso, perch le parole celate nel 'tuo cuore
non siano inique; serpeggiano infatti come veleno e causano con
tagi mortali. Bada a te stesso, per non dimenticare Iddio che ti
ha creato e non pronunciare inutilmente il suo nome.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 397
51. Bada a te stesso, dice la legge, affinch, quando avrai
mangiato e sarai sazio e avrai costruito delle case e avrai comin
ciato ad abitarle e sarai colmo dei tuoi greggi e avrai abbondan
za doro e dargento e d tutti i beni innumerevoli in tuo possesso,
non ti esalti nel tuo cuore e non dimentichi il Signore Dio tuo.
Che cosa hai, uomo, che tu non abbia ricevuto? Tutte queste cose
non passano come un'ombra? Questa tua casa non torse polvere
e rovine? Tutte queste cose non sono ingannevoli? I tesori del
mondo non sono vanit? Tu stesso non sei forse cenere? Guarda
dentro i sepolcri degli uomini e vedi che cosa rimarr di te, cio
del tuo corpo, aU'infuori di cenere e ossa, guarda, ripeto, e dimmi
chi in essi sia ricco e chi povero *. Prova a distinguere i miserabili
e i potenti. Tutti nasciamo nudi, nudi moriamo. Non c' nessuna
differenza tra i cadaveri, se non forse perch i corpi dei ricchi,
gonfiati dalla dissolutezza, emanano un fetore pi insopportabile.
Di quale povero hai sentito dire che sia morto dindigestione? La
sua miseria gli giova; mette alla prova il suo corpo, ma non l uc
cide. Tuttavia non abbiamo sentito che il giusto sia stato abban
donato e che la sua discendenza vada mendicando il pane, perch
chi ben opra, nella sua pena ha cibo in abbondanza. Bada dun
que a te stesso, o ricco, perch anche tu, come il povero, sei fatto
di carne.
52. Bada a te stesso, o povero, perch la tua anima pre
ziosa, Anche se la carne mortale, lanima non muore mai; anche
se ti manca il denaro, non ti manca la grazia; anche se la tua casa
non spaziosa e i tuoi beni sono limitati, il cielo immenso e la
terra a tua libera disposizione. Gli elementi sono stati dati in
comune a tutti, gli ornamenti del mondo sono a disposizione dei
Ticdii come dei poveri Forse i cassettoni dorati dei palazzi pi
sfarzosi sono pi belli della volta del cielo trapunta di stelle ful
gent^ Forse le campagne dei ricchi sono pi ampie dell'estensione
dem terra? Per questo stato detto a coloro che aggiungono casa
ft/ casa, villa a villa: Forse abiterete soli sopra la terra? Tu, o
'povero, hai una casa pi grande nella quale levi la tua voce e sei
Bas., I l i , 212 A Ai.
Riaffiorano in questo brano il cosiddetto comuniSmo >di Ambrogio
(cf. De off., I , 28, 132). la polemica contro l'avidit del ricchi e la convinzione
che il fondamento della dignit dcUuomo e perci anche del povero
il principio spirituale che in lui e il suo rapporto con Dio. I l resto del pa
ragrafo , in prevalenza, come una libera rapsodia di motivi lucreziani (I I ,
24-36), virgiliani {Georg., I I , 458-471) e oraziani (Carm., I I , 18, 1-2). evidente
398 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 8, 52-53
quid soli habitabitis super terram?'. Maiorem domum tu habes,
pauper, in qua clamas et exaudiris. O Istrahel, inquit propheta,
quam magna est domus dei et ingens locus possessionis eius! Ma
gnus et non habet finem, altus et inmensus"'. Domus dei diuiti
est communis et pauperi; difficile tamen est diuitem intrare in
regnum caelorum Sed forte doleas quod nullum tibi auratorum
lychnorum lumeii refulgeat: sed multo inlustrior tibi lumine cir
cumfuso luna resplendet. De hieme forsitan quereris, quia nulla
tibi hypocauta anelantibus ignibus uaporentur: sed habes solis
calorem, qui tibi orbem terrarum temperet et hiberno te defendat
a frigore. An illos beatos putas, qui seruitiorum sequentium sti
pantur cateruis? Sed qui alienos pedes requirunt suis uti nesciunt;
denique a paucis praeceduntur, a. plurimis portantur, nisi forte
illud miraris, quod abundant auro argento pecunia. Quantis abun
dent uides, quantis egeant non uides, sed eburneis lectis accum
bere pretiosum putas et non consideras pretiosiorem esse terram,
quae pauperi toros graminum sternit, in quibus dulcis requies,
suauis est somnus, quem ille aurea conpositus sponda tota pe-
ruigil nocte quaerit et non capit. O quanto te ille beatiorem iu-
dicat uigilans quiescentem! Illud praeterea, quod multo est prae
stantius, quoniam iustus, qui hic eguerit, illic abundabit et qui
hic laborem tolerauerit illic consolationem habebit, qui autem hic
receperit bona illic mercedem eorum sperare non poterit; pauper
tas enim mercedem suam reseruat, census absumit.
53. Adtende ergo tibi, pauper, adtende, diues, quia et in pau
pertate et in diuitiis temptamenta sunt. Ideoque sapiens dicit:
Diuitias et paupertatem ne dederis mihip. Et qua ratione hoc
petierit dicit: Satis est homini habere quod sibi sufficit, quia diui-
tiae ut epulis uentrem ita animum curis sollicitudinibusque di
stendunt. Ideoque petit constitui sibi quae opus sunt et sufficien
tia, ne repletus inquit mendax fiam et dicam: quis me uidet? Aut
factus pauper furtum faciam et iurem nomine domini'*. Fugien
da igitur uel cauenda sunt temptamenta mundi, ne pauper despe
ret, ne opulens insolescat. Scriptum est enim: Cum expuleris
gentes et coeperis uti terris eorum, ne dicas: uirtus mea et manus
Is 5, 8.
Bar 3, 24.
o Mt 19, 23.
p' Prou 30, 8.
1 Prou 30, 9.
52, 23. abundant Schenkt qui tamen in apparatu adicit: malim abundent.
ascoltato O Israele, dice il profeta, quant' grande la casa di Dio
ed esteso il luogo del suo possedimento! Grande e senza fine,
alto e immenso. La casa di Dio appartiene al ricco come al povero;
difficile tuttavia che un ricco entri nel regno dei cieli. Forse ti
potresti lamentare perch non brilla per te la luce di lampadari
dorati; ma molto pi luminosa risplende per te la luna diffon
dendo il suo chiarore. Forse ti lamenti dell'invemo, perch per il
tuo benessere nessun impianto sotterraneo viene riscaldato ded-
l ansimare del fuoco; hai per il calore del sole che ti regola la
temperatura della terra e ti difende dal freddo invernale. 0 forse
stirai felici quelli che sono circondati da una folla di schiavi che
li seguono? . Ma coloro che ricorrono ai piedi altrui sono incapaci
di usare i loro; di conseguenza sono pochi a precederli, moltissi
mi a portarli . A meno che non desti la tua ammirazione invi
diosa il fatto che sono ricolmi d'oro, dargento, di deaaro. Tu vedi
tutto ci di cui abbondano, non vedi tutto ci che loro manca;
credi ima cosa magnifica giacere su letti davorio e non stimi pi
magnifica la terra che stende per il povero giacigli derba, sui
quali dolce il riposo, soave quel sonno che i l ricco, adagiato
entro sponde dorate, cerca ad occhi aperti tutta la notte senza
ottenerlo Quanto' pi felice per il tuo sonno ristoratore ti stima
chi non riesce a dormire! C unaltra cosa ancora molto pi im
portante: il giusto, che quaggi s trovato nel bisogno, lass
sar neHabbondanza e quello che quaggi avr sopportato la sua
pena, lass trover consolazione; invece chi avr ricevuto ricchez
ze quaggi, non potr sperarne lass la ricompensa. Infatti la po
vert accantona la ricompensa corrispondente, la ricchezza se la
consuma.
53. Bada dunque a te stesso, povero, bada a te stesso, ricco,
perch sia nella povert che nelle ricchezze non mancano le ten
tazioni. Perci il sapiente dice: Non darmi ricchezze e povert.
E spiega per quale ragione abbia fatto tale richiesta: sufficiente
per luomo avere quanto gli basta, perch le ricchezze, come riem
piono il ventre di cibi prelibati, cosi riempiono l animo con le
preoccupazioni e gli affanni. Perci il sapiente chiede che gli sia
assicurato quant necessario e sufficiente, perch sazio, dice, io
non diventi mendace e dica: Chi mi vede? o, divenuto povero,
io non commetta furti e spergiuri profanando il nome del Signore.
Bisogna evitare le tentazioni del mondo perch il povero non di
speri, perch il ricco non diventi insolente. Sta scritto infatti:
Quando caccerai i gentili e comincerai a godere della loro terra,
non dire: I l mio valore e le mie mani mi hanno procurato que-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 399
anche l influsso dello istoicismo.
Bas., I l i , 212 C Ai .
Cf. Vero. , Aen., I V, 136: tandem progreditur magna stipante caterua.
Cio in lettiga.
Oggi le considerazioni di S. Ambrogio sui poveri sarebbero forse con
troproducenti, perch, per essere condivise, richiederebbero una visione della
vita, che ai nostri tempi sempre pi rara.
Bas., I l i , 212 D Ai .
mea hanc mihi possessionem parauit^\ Sic est qui opes suas
merito ascribit suo et ideo quasi probatus proprium non agnoscit
errorem, sed longo trahit fune peccatum. Nam si credat quod
accessio pecuniae aut fortuiti euentus aut turpis astutiae sit, non
habet locum insolentia in quibus aut nulla laus et inanis labor
aut cupiditas inuerecunda sit modum nesciens ponere uoluptati.
400 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, c. 8, 53 - c. 9, 54-55
Caput IX
54. Sed iam de ipso aliqua dicenda sunt corpore hominis,
quod praestantius ceteris decore et gratia esse quis abnuat? Nam
etsi una atque eadem omnium terrenorum corporum uideatur esse
substantia, firmitudo et proceritas quibusdam maior in bestiis,
forma tamen humani corporis est uenustior, status erectus et
celsus, ut neque enormis proceritas sit neque uilis et abiecta
pauxillitas. Tum ipsa habitudo corporis suauis et grata, ut neque
beluina uastitas horrori sit nec gracilitas tenuis infirmitati.
55. Ac primum omnium cognoscamus humani corporis fa
bricam instar esse mundi, siquidem ut caelum eminet aeri terris
mari, quae uelut quaedam membra sunt mundi, ita etiam caput
supra reliquos artus nostri corporis cernimus eminere praestan-
tissimumque esse omnium tamquam inter elementa caelum, tam
quam arcem inter reliqua urbis moenia. In arce hac regalem quan
dam habitare sapientiam secundum propheticum dictum quia
oculi sapientis in capite eius', hanc esse ceteris tutiorem et ex
illa omnibus membris uigorem prouidentiamque deferri. Quid
enim robur et ualiditas lacertorum proficiat, quid uelocitas pe
dum, nisi capitis uelut principis sui imperialis quaedam admini
culetur potestas? Ex hoc enim aut destituuntur uniuersa aut om
nia fulciuntur. Quid agat fortitudo, nisi oculo duce utatur ad
proelium, quid fuga, si desit obtutus? Carcer est totum corpus
tenebroso horrens situ, nisi oculorum luminetur aspectu. Quod
igitur sol et luna in caelo, hoc sunt oculi in homine. Sol et luna
duo mundi lumina, oculi autem quaedeun in capite sidera ful
gent desuper et inferiora claro inlustrant lumine nec patiuntur noc-
r J Deut 8, 17.
Eccle 2, 14.
St o possesso . Cosi chi attribuisce le ricchezze al proprio merito
e perci, come se fosse ineccepibile, non riconosce il proprio er
rore, ma trascina il suo peccato con una lunga fune . Infatti, se
credesse che l aumento del suo denaro dovuto a un caso for
tuito o ad una riprovevole astuzia, non potrebbe sussistere larro
ganza in cose nelle quali sta una vana fatica o una smania inve
reconda, incapace di porre un freno al piacere.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 401
Capitolo 9
54. Ma ormai bisogna dire qualcosa anche sul corpo umano,
di cui nessuno potrebbe negare la superiorit su tutti gli altri per
bellezza ed eleganza. Pur essendo chiaro che la sostanza di tutti i
corpi terrestri assolutamente identica e la robustezza e la sta
tura sono maggiori in talune bestie, tuttavia la conformazione del
corpo umano pi leggiadra, la posizione eretta ed elevata, in modo
che la sua altezza non ajjpaia eccessiva n la sua piccolezza me
schina e spregevole. Inoltre la stessa complessione fisica attraen
te e gradevole, cosi che non desta orrore come lenorme mole di
una belva n appare priva denergia per una esagerata gracilit.
55. E prima di tutto rendiamoci conto che la costituzione
del corpo umano simile a quella del mondo, poich, come il cielo
sovrasta l aria, la terra e il mare, che sono, per cosi dire, le mem
bra delluniverso, cosi vediamo che anche il capo sovrasta le altre
membra del nostro corpo e le domina tutte come il cielo gli ele
menti, a guisa di rocca rispetto alla cinta murata della citt. In
questa rocca ha sede una sapienza regale secondo ci che dice
lautore ispirato: Gli occhi del sapiente stanno sul suo capo; que
sta pili sicura di tutte le altre parti e di li si trasmettono a tutte
le membra vigore e prudenza. A che servirebbero la robustezza
e la resistenza dei muscoli, a che la velocit dei piedi, se non li
sostenesse, in un certo senso, la sovrana autorit del capo quale
loro signore? Da questo infatti tutte le altre membra vengono ab
bandonate a se stesse o vengono sostenute. Che farebbe il corag
gio, se non avesse gli occhi quale guida per il combattimento, o
a che servirebbe fuggire, se mancasse la vista? Tutto il corpo
sarebbe un carcere, squcdlido di un tenebroso sudiciume, se non
fosse illuminato dallo sguardo degli occhi. Quello che sole e luna
sono in cielo, negli uomini sono gli occhi. I l sole e la luna sono i
due lumi del mondo, gli occhi, dal canto loro, brillano come due
stelle in alto nel capo e illuminano di chiara luce ci che sta pi
in basso e non permettono che noi siamo avvolti da alcuna tenebra
Funis ha qui il significato metaforico di catena , schiavit (BLAisb
Ch ir at , sub uocey, l intera espressione tango trahere fune era diventata pro
verbiale ad indicare la fatica del trascinare pesi; cf. Mar i ., V, 22, 8: Trahi
multo marmora fune: vedi T.L.L., VI , p. I , 1595, 52.
tis quibusdam nos tenebris inplicari. Speculatores quidam nostri
die ac nocte excubant. Nam et e sopore membris ceteris citius
excitantur et uigilantes circumspectant omnia; uiciniores enim
simt cerebro, unde omnis manat usus uidendi. Neque uero prae
propere quisquam huc descendisse me credat, quod relicto uer-
tice oculos praedicem, cum alienum non sit summam rem in parte
laudare; oculos enim certum est esse capitis portionem. Caput
itaque oculis explorat omnia, auribus occulta rimatur, cognoscit
abscondita, audit quid aliis agatur in terris.
402 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 9, 55-57
56. Ipse autem uertex capitis quam suauis et gratus, quam
speciosa caesaries, quam reuerenda in senibus, quam ueneranda
in sacerdotibus, quam terribilis in bellatoribus, quam decora in
adulescentibus, quam compta in mulieribus, quam mollis in pue
ris! Alium sexum crinita <de>decet, alium tonsa non decet. Ex
arboribus licet quae humani sit gratia capitis aestimare. In capite
arboris omnis est fructus, ibi omnis est pulchritudo, illius coma
nos aut a pluuiis tegit aut defendit a sole. Tolle arboris comam,
tota arbor ingrata est. Quantus igitur humani capitis ornatus est,
qui cerebrum nostrum, hoc est sedem originemque nostrorum
sensum capillis capitis munit et uestit, ne aut frigore uexetur aut
aestu! I llic enim fons uniuersorum est et ideo ubi iniuria nocet,
ibi gratia praeminet.
57. Quid sine capite est homo, cum totus in capite sit? Cum
caput uideris, hominem agnoscis; si caput desit, nulla agnitio
adesse potest; iacet truncus ignobilis, sine honore, sine nomine.
Sola aere fusa principum capita et ducti uultus de aere uel de
marmore ab hominibus adorantur. Non inmerito igitur huic quasi
consultori suo cetera membra famulantur et circumferunt illud
seruili gestamine sicut numen atque in sublimi locatum uehunt.
Vnde censoria potestate quo uult dirigit quorundam obsequia ser-
uulorum et praecepta singulis obeunda decernit. Videas imperatori
suo singula gratuito stipendio militare. Alia portant, alia pascunt,
alia defendunt uel ministerium suum exhibent, parent ut principi,
ancillantur ut domino. Vnde uelut quaedam procedit tessera, quam
debeant pedes obire regionem, quae militiae munia manus con-
>1 Cor 11, 14-15.
e Apoc 22, 4.
notturna. Come nostre sentinelle, vegliano giorno e notte. Infatti
prima di tutte le altre membra si destano dal sonno e, ben aperti,
guardano tutto ci che sta loro attorno; sono infatti assai vicini
al cervello donde ha origine la capacit visiva. Ma nessuno creda
che io abbia avuto troppa fretta di trattare questargomento per
ch, trascurando il capo, faccio l elogio degli occhi, dal momento
che non fuor di luogo lodare il complesso in una sua parte; ed
indubbio che gli occhi sono una parte della testa. I l capo perci
per mezzo degli occhi scruta ogni cosa, con gli orecchi percepisce
i segreti, conosce ci ch' nascosto, sente ci che avviene in altri
paesi.
56. E la stessa sommit del capo quant leggiadra e grade
vole, quant bella la capigliatura, quant veneranda nei vecchi,
degna di rispetto nei sacerdoti, minacciosa nei combattenti, leg
giadra nei giovani, elegante nelle donne, morbida nei fanciullil
Allun sesso sta male troppo folta, allaltro sta male tagliata. Dagli
alberi si pu comprendere quanto sia la bellezza della testa del
l uomo. Sulla sommit dellalbero stanno tutti i suoi frutti, li sta
tutta la sua bellezza, la sua chioma ci protegge dalla pioggia o ci
difende dal sole. Taglia il fogliame di un albero: tutto l albero
ha un aspetto sgradevole. Quant dunque l ornamento della testa
delluomo *, che con i capelli protegge e riveste il nostro cervello,
cio la sede e l origine delle nostre sensazioni, perch non soffra
per il freddo o per il calore! Li infatti sta la sorgente di tutto, e
per questo, dove l offesa pi sentita, maggiore il pregio.
57. Che cos l uomo senza la testa, dal momento chegli sta
tutto nel capo? Quando vedi la testa, riconosci l uomo; se essa
manca, non pu avvenire nessun riconoscimento: il tronco giace
ignoto senza onore, senza nome. Solo J e teste dei sovrani sono
fuse nel bronzo e i loro volti, riprodotti nel bronzo o nel mar
mo, sono oggetto di. venerazione da parte degli uomini. Non a
torto, dunque, tutte le altre membra sono al servizio del capo che
considerano il loro consigliere, e come schiavi lo portano in giro
quale una divinit sulla portantina e lo fanno procedere come
collocato sullalto dun trono. Perci, con l autorit di un cen
sore, dirige dove vuole l ossequio di questi che possiamo chiamare
suoi umili schiavi e decide gli ordini che ciascuno deve eseguire.
Potresti vedere le singole membra prestare gratuitamente il ser
vizio militare al proprio imperatore. Alcune portano pesi, altre
forniscono il cibo, altre provvedono alla difesa od offrono 1 loro
servigi, obbediscono come ad un sovrano, si comportano come
schiavi con un padrone. Perci accade come se un ordine scritto
stabilisse dove debbano andare i piedi, quali compiti militari
le mani debbano eseguire per portare a termine i lavori di for-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 403
* Cf. Ov Ars. am., I l i , 249-250: Turpe pecus mutilum, turpis sine gra
mine campus / et sine fronde frutex et sine crine caput.
^Cf. Verg., Aen., I I , 557-558: lacet ingens litore truncus / auulsumque
umeris caput et sine nomine corpus.
Cf. Vero., Aen., VI , 848: uiuos ducent de marmore uultus.
summandis operibus exequantur, quam uenter abstinendi uel eden
di formam inpositae teneat disciplinae.
58. Huic frons libera, nudis aperta temporibus, quae mentis
habitum specie sui prodat, nunc laeta, nunc tristior, nunc erecta
ad seueritatem, nunc ad leuitatem remissior, quae signis foren
sibus internam exprimat uoluntatem. Imago quaedam animi lo
quitur in uultu, fidei basis, in qua cotidie nomen domini scribitur
et tenetur Eandem geminae saepes superciliorum secuntur, quae
oculis munimenta praetendunt, praetexunt gratiam, ut et uenus
decoris adrideat et diligentia protectionis adsistat. Si quid enim
de capite sordium decidat aut harenae puluis aut ros nebulae aut
umescentis uerticis sudor, excipitur supercilio, ne teneras offen
sa acie uisiones mollium perturbet oculorum.
404 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 9, 57-60
59. Adhaerent uelut quibusdam montium superciliis oculi, ut
et protegente montis cacumine tutiores sint et tamquam in sum
mo locati de quadam scaena superiore uniuersa prospectent.
Neque enim oportebat eos humiles esse sicut aures uel os ipsosque
narium interiores sinus. Specula enim semper ex alto est, ut ad
uenientium cateruarum hostilium explorari possit aduentus, ne
inprouiso occupent otiantem uel urbis populum uel imperatoris
exercitum. Sic latronum quoque cauentur incursus, si exploratores
in muris aut turribus aut montis excelsi, supercilio sint locati, ut
desuper spectent plana regionum, in quibus insidiae latronum la
tere non possint. In mari quoque positus si quis terrae adpropin-
quare se conicit, in ipsa mali fastigia et celsa antemnarum cornua
uoti explorator ascendit et adhuc inuisibilem reliquis nauigantibus
eminus terram salutat.
60. Ac forte dicas: Si specula editior necessaria fuit, cur non
supra summum uerticem capitis oculi constituti sunt sicut can
cris uel scarabaeis in summo sunt, quibus licet nullum caput ad
pareat, colla ac dorsa tamen cetero corpore celsiora sunt? Sed
illis testa ualida nec tam tenuis membrana sicut nobis, quae fa
cile possit offendi ruboque et ceteris interscindi sentibus. Aliis
quoque animantibus huiusmodi species, ut possint oculos aut ad
ceruicem conferre ut equi aut boues ac propemodum omnes ferae
tificazione, quale regola, secondo una dieta imposta, debba os
servare il ventre nel digiunare o nel mangiare.
58. I l capo ha la fronte libera, scoperta sulle nude tempie,
tale da rivelare con il suo aspetto l'atteggiamento deiranimo: ora
lieta, ora rannuvolata, ora eretta a indicare severit, ora distesa
a mostrare benevolenza, in modo da esprimere con questi segni
esteriori la volont interiore. In un certo senso parla nel volto
l'immagine dell'animo, il fondamento della lealt. I n tale imma
gine ogni giorno si scrive e vi rimane il nome del Signore. Sotto
di essa stanno le due siepi dei sopraccigli che sporgono quale
difesa degli occhi e ne incorniciano la leggiadria, sicch men
tre sorride l attrattiva della bellezza, si ha l'aiuto d'una efficace
difesa *. Se infatti dalla testa cadesse qualche po' di sporcizia o im
granello di sabbia o una goccia d'umidit o il sudore del capo
grondante, verrebbero trattenuti dal sopracciglio perch non irri
tino la vista delicata delle sensibili pupille, danneggiandone
l'acutezza.
59. Gli occhi sono collocati accanto come a ciglioni di mon
tagne, affinch siano pi sicuri al riparo della cima del monte e,
posti in un punto elevato, vedano tutto come dall'alto di im pal
coscenico. Non era opportuno che essi stessero in. basso senza
risalto, come gli orecchi o la bocca o le stesse cavit interne delle
narici. Un osservatorio domina sempre dallalto', cosi da spiare
l'arrivo delle schiere nemiche avanzanti, affinch non sorprendano
impreparato il popolo della citt o l esercito dell'imperatore. Nel
lo stesso modo ci si guarda anche dalle scorrerie dei briganti, se
sono stati collocati degli osservatori sulle mura, sulle torri o sul
costone di un monte elevato per controllare dallalto le zone pia
neggianti, sicch in esse non possano rimanere nascosti gli agguati
briganteschi. Anche quando uno si trova in mare, se suppone di
avvicinarsi alla terra, sale fin sulla cima dell'albero maestro e
all'estremit delle antenne pi elevate per scrutare la meta e di
lontano salutare la terra ancora invisibile agli altri naviganti.
60. Ma tu potresti dire: Se era necessario un osservatorio
veramente elevato, perch gli occhi non sono stati collocati sopra
la cima del capo, come ai granchi e agli scarabei, nei quali, pur
non apparendo affatto una testa, il collo e il dorso tuttavia sono
pi alti del resto del corpo? . Ma essi hanno im involucro robu
sto e non, come noi, una membrana cosi sottile che pu essere
facilmente offesa e lacerata dai rovi e da qualsiasi altra pianta
spinosa. Anche altri animali hanno una costituzione di tal fatta
da poter girare gli occhi verso la nuca, come i cavalli o i buoi o
quasi tutte le fiere, o verso le loro ali, come gli uccelli, per godere
d'un tranquillo riposo. Per noi invece era opportuno che gli occhi
fossero collocati nella parte pi alta del corpo come in una roc-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 405
* Cf. Xenoph., Comm., I, 4, 6: ...
, ,
S Bas., I I I , 216 D .
Cf. Verg., Aen., I l i , 524: Italiam laeto socii clamore salutant.
aut ad alas suas ut aues, quo tuta quiete potiantur. Nobis autem
in summa corporis parte constitui oculos oportuit tamquam in
arce et ab omni uel minima offensione defendi, quae duo sibi
conpugnantia uidebantur. Nam si in humili essent propter tuta
men, munus inpediretur, si in uertice, paterent ad iniuriam. Ita
que ne uel usu muneris aliquid detraheretur uel aliquid ad pro
pulsandam iniuriam <non> prospiceretur, eo loco oculos consti
tuit, cui supercilia desuper non minimum protectionis inpertiant,
subter malae aliquantulum eleuatae haut exiguum munitionis ad-
iungant, interiorem partem saepiant nares, exteriorem quoque
frontis malanunque gibbi extuberantes et licet ossuum compage
conexa et aequata confinia circumuallare uideantur. Inter haec
medii sunt oculorum orbes et tuti ad cauendum et ad intuendum
liberi et decori ad gratiam utpote in crystalli speciem refulgentes.
In quorum medio pupillae sunt, quae uidendi munus operantur.
Haec ne qua incidentis iniuria offensione laedantur, pilis hinc inde
consertis uelut quodam uallo per circuitum muniuntur, unde tu
tum auxilium sibi postulans propheta ait: Custodi me, domine, ut
pupillam oculi ut protectionis diuinae fieret ei tam sollicita et
tuta custodia quam pupillam oculi tutissimo quodam naturae ual
lo munire dignatus est, simul quia innocentia et integritas leui
sorde aspersa uiolatur et gratiae suae munus amittit et ideo pro
spiciendum, ne quis eam puluis erroris oblimet aut ulla uexet
festuca peccati, quia scriptum est: Eice primum trabem de oculo
tuo et tunc uidebis eicere festucam de oculo fratris tui .
406 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 9, 6W1
61. Itaque propter oculos ferunt medendi periti cerebrum
hominis in capite locatum, alios autem nostri corporis sensus
propter cerebrum finitimo quodam esse domicilio constitutos.
Initium enim nemorum et omnium sensuum uoluntariae com
motionis cerebrum est atque inde omnis eorum quae diximus
causa manat. Initium autem arteriarum et insiti caloris, quo ani
mantur et tepefiunt uitalia, cor esse plerique arbitrantur. Sen
suum autem singulorum uelut organum nerui sunt, qui uelut cor
dae et fides quaedam de cerebro oriuntur et per partis corporis
in singula quaeque officia deriuantur. Ideoque mollius est ceteris
cerebrum, quia omnis suscipit sensus. Vnde et nerui, qui refenmt
uniuersa quae uel oculus uiderit uel auris audierit uel odor inala-
uerit uel lingua increpuerit uel os saporis acceperit. Quod enim
d Ps 16, 8.
e Mt 7, 5.
ca e che fossero protetti da qualsiasi anche minima offesa, esi
genze queste due che sembravano fare a pugni tra loro. Infatti,
se fossero collocati in basso per la loro sicurezza, ne sarebbe im
pedita la funzione; se nel punto pi alto, sarebbero esposti al
l'offesa. Perci, affinch nulla venisse tolto alla loro funzione e,
d'altra parte, si prendesse ogni precauzione per scongiurare il dan
no, Iddio ha collocato gli occhi in una posizione dove i sopraccigli
superiormente garantiscano una protezione tutt'altro che trascu
rabile, al di sotto le guance alquanto sporgenti aggiungano una
non piccola difesa, le narici ne proteggano a guisa di siepe la parte
interna, mentre le prominenze rigonfie della fronte e delle guance
e la linea di demarcazione delle ossa , che pur formano una com
pagine strettarnente connessa e spianata, sembrino circondarne
come d'un bastione la parte esterna. In mezzo a tutto questo si
trovano i globi oculari, protetti dai pericoli, liberi nel guardare,
splendidi nella loro bellezza perch risplendenti a guisa di cristal
lo. Al loro centro si trovano le pupille che esercitano la funzione
visiva. Queste, per non essere offese da qualche lesione provocata
da un corpo estraneo, sono protette tutt'intorno, da una parte e
dall'altra, da peli che s'intrecciano strettamente fra loro, come una
palizzata. Perci il profeta, chiedendo per s un sicuro aiuto,
dice: Custodiscimi, Signore, come la pupilla dellocchio, affinch
la custodia della protezione divina fosse per lui cosi premurosa
e sicura come Dio si era degnato di difendere le pupille dell'oc
chio con una palizzata naturale assolutamente valida e, nello stes
so tempo, perch l'innocenza e l'integrit, contaminate se raggiun
te da una lieve impurit, perdono il privilegio della bellezza, e
quindi bisogna stare attenti che nessun pulviscolo d'errore le in
sudici, giacch sta scritto: Togli prima la trave dal tuo occhio e
allora vedrai di togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
61. Gli esperti di medicina dicono che il cervello dell'uomo
sia stato collocato nella testa per la presenza degli occhi e che
invece gli altri sensi del nostro corpo siano stati fissati in una
zona confinante per la presenza del cervello. I nfatti il cervello
il punto di partenza dei nervi e di ogni sensazione provocata dalla
volont e di qui deriva ogni causa dei fenomeni sopra esposti.
Invece il punto di partenza delle arterie e del calore innato, che
anima e riscalda gli organi vitali, i pi ritengono che sia il cuore.
Dei singoli sensi sono poi organo i nervi che, come le corde di una
lira, hanno origine dal cervello e si diramano attraverso le parti
del corpo per esercitarvi ciascuno la propria funzione. E il cer
vello pi molle degli altri organi, perch riceve tutte le sensa
zioni. Perci tali sono anche i nervi che trasmettono tutto ci che
o l'occhio vede o l'orecchio ascolta o l'odorato annusa o la lingua
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 407
Cf. Cic., De nat. deor., I I , 56, 140: Sensus autem interpretes ac nuntii
rerum in capite tamquam in arce mirifice ad usus necessarios et facti et
collocati sunt.
Confinia soggetto con gibbi.
* Cf. Clc., De nat. deor., I I , 57, 143: Munitae sunt palpebrae tamquam
uallo pilorum, quibus et apertis oculis, si quid incideret, repelleretur.
molle ad conpassioncm aptius, quod autem durum ex aliquo ri
gore nemorum ad agendum efficacius.
62. Praestantissimum quoque audiendi munus est et uisui
suppar gratia. Ideo aures extantiores sunt, ut et ornatus decorem
praeferant et excipiant omne illud quidquid de uertice sordium
umorisue defluxerit, simul ut in earum sinibus uox repercussa
sine offensione interioris ingrediatur anfractus. Nam nisi ita es
set, quis non ad omnem fortioris sonum uocis adtonitus redde
retur, cum inter ista subsidia frequenter inprouiso ictus clamore
nos obsurdiscere sentiamus? Tum uelut quaedam propugnacula
uideas praetendere aduersum frigoris asperitatem calorisque fla
grantiam, ut neque frigus penetret ductus patentes neque nimius
adurat aestus. Sinuatio autem interiorum aurium modulandi quen-
dam numerum praestat et disciplinam, siquidem per anfractus
aurium quidam rythmus efficitur et modulis quibusdam ingres
sae sonus uocis exprimitur. Tenaces praeterea sermonis accepti
ipsos esse anfractus aurium usus ipse nos docet, siquidem uel in
concauis montium uel in recessu rupium uel in anfractu fluminum
uox auditur dulcior et responsa suauia referens echo resultat.
Ipsae quoque sordes aurium non inutiles, quae ligant uocem, ut
tenacior eius in nobis et memoria sit et gratia.
408 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 9, 61-65
63. De naribus autem quid loquar, quae biuio et procero fo
ramine antrum quoddam recipiendis odoribus praestant, ut non
perfunctorie odor transeat, sed diutius inhaereat naribus et earum
ductu cerebrum sensusque depascat? Ideo diutius odor fraglat ac
ceptus quam sermo resonat aut uisus apparet. Plerumque quod
momento breui fueris odoratus toto tibi die spirat in naribus.
Per eas quoque purgamenta capitis defluunt et sine fraude atque
offensione aliqua corporis deriuantur.
64. Est etiam non mediocris sensus in tactu atque in eo uo-
luptas gratissima, sincerum iudicium; plerumque enim tactu pro
bamus quae oculis probare non possumus.
65. Postremum quoque officium est oris aut linguae, quod
tamen oronibus uires ministrat. Nam neque oculi uigorem uiden-
di haberent, nisi uirtutem substantiae corporalis acciperent, quae
cibo defertur et potu, neque aures audiendi aut nares odorandi
aut mmus tangendi, nisi corpus omne confortetur alimentis. De
ficimus enim uiribus, nisi eas cibi conpetentis adsiduitate repa-
63, 3. diutus Schenkl mani f esto mendo typ.
fa risonare o il gusto percepisce. Infatti ci che molle pi
adatto a subire le impressioni, mentre ci che resistente pi
efficace nellagire per una certa rigidezza dei nervi.
62. Importantissima anche la funzione delludito e quasi
uguale in pregio a quella della vista. Gli orecchi sono alquanto
sporgenti sia per conferire un decoroso ornamento sia per racco
gliere ogni sudiciume o umore che scenda dalla sommit del capo
e, nello stesso tempo, perch la voce, echeggiando nelle loro pie
ghe, vi penetri senza danno del condotto pi interno. Se non fosse
cosi, chi non rimarrebbe stordito ad ogni suono di voce un poco
pi forte, dal momento che, nonostante questi accorgimenti, spes
so ci sentiamo assordati quando ci colpisce un improvviso cla
more? Inoltre vedresti che costituiscono una difesa, come dei ba
luardi, contro il rigore del freddo e l ardore del caldo, di modo
che n il freddo penetri nei condotti spalancati n li riscaldi l ec
cessivo calore. La sinuosit dellorecchio interno consente poi un
certo ritmo regolare nella modulazione del suono, giacch, for
mandosi una specie di cadenza, attraverso i condotti auricolari
il suono della voce che penetra assume una particolare scansione.
Inoltre anche la nostra esperienza ci insegna che le stesse cavit
auricolari conservano a lungo il suono delle parole udite, se
vero che sia nelle cavit montane sia nelle rupi solitarie sia nelle
anse dei fiumi la voce si sente pi dolce e l eco rimbalza rinviando
gradevoli suoni*". Lo stesso cerume degli orecchi non inutile,
perch conserva la voce in modo che pi a lungo ne rimanga in
noi il ricordo ed il piacere.
63. Che dire poi delle narici? Mediante una duplice e profon
da apertura formano una specie di cavit per la percezione degli
odori, in modo che Io stesso odore non passi superficialmente, vi
rimanga a lungo impresso e attraverso il loro condotto provochi
nel cervello ima sensazione piacevole. Per questo l'odore percepito
conserva la fragranza pi a lungo di quanto non risuoni la voce
o si mostri l immagine. Spesso per tutto il giorno ti rimane nelle
narici un profumo annusato per un breve istcnte. Attraverso le
narici defluiscono anche gli spurghi del capo e si disperdono sen
za danno o disgusto del corpo.
64. Anche nel tatto esiste una sensibilit non trascurabile,
perch consente sensazioni gradevolissime e valutazioni del tutto
aderenti alla verit; molte volte infatti con il tatto constatiamo
ci che non possiamo constatare con gli occhi.
65. L ultima funzione quella della bocca o della lingua, la
quale tuttavia conferisce forza a tutti gli altri organi. Infatti n
gli occhi avrebbero la capacit di vedere, se non ricevessero l ener
gia della sostanza corporea che viene fornita dal cibo e dalla be
vanda, n gli orecchi avrebbero quella di ascoltare o le narici quella
di odorare o le mani quella di toccare, se tutto il corpo non ve
nisse sostentato dal nutrimento. Le nostre forze vengono meno.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 409
Cf. Veri;., Georg., IV, 49-50; ubi concaua pulsu / saxa sonant uocisque
offensa resultat imago.
remus. Denique confecti fame nullis oblectantur sensuum uolup-
tatibus, sed quasi exortes eorum delinimenta non sentiunt.
410 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 9, 65-67
6 6 . Quid ego describam dentium uallum, quo conficitur cibus
et plenae fit uocis expressio? Quae sine dentibus alimonia delec
taret? Denique aeui maturos plerumque cernimus hoc ipso citius
senescere, quod amissis dentibus nullam possint cibi uirtutem
ualidioris adsumere. Ideo muta infantia, quia non habet adhuc
organum uocis.
67. Linguae quoque non solum in loquendo, sed etiam in
edendo munus pretiosissimum est. Ea enim uelut plectrum lo-
quentis et quaedam edentis est manus, quae defluentem cibum
dentibus suggerit et ministrat. Vox quoque aeris quodam remigio
uehitur et per inane portatur eademque ui sua aerem uerberat,
nimc conmouet, nunc demulcet audientis adfectum, iratum miti
gat, fractum erigit, solatur dolentem. Sit igitur nobis canorum
commune cum auibus, sed apud quem quo sono uocis utatur,
quod est rationabile, non potest cum omnibus animantibus inra-
tionalibus scilicet esse commune. Nam et ipsi sensus communes
nobis sunt cum animalibus ceteris, sed tamen non eadem his
ceterae animantes industria utuntur. Erigit et bucula ad caelum
oculos, sed quid spectet ignorat, erigunt ferae, erigunt aues, om
nibus est liber aspectus, sed soli inest homini eorum quae aspiciat
affectus interpres. Spectat oculis ortus obitusque signorum, uidet
ornamentum caeli, miratur stellarum orbes, fulgores quoque di-
uersos intellegit singulorum, quando uesperus surgat, quando lu
cifer, cur ille uespertinus, hic matutinus inradiet, quos motus Orion
habeat, quod luna defectus, quemadmodum sol suos norit occa
sus, circuitus quoque cursus sui sollemnitate custodiat. Audiunt
quoque animantes ceterae, sed quis praeter hominem audiendo
cognoscit? Secreta sapientiae solus homo ex omnibus generibus
quae in terris sunt auditu et meditatione et prudentia colligit,
qui potest dicere: Audiam quid loquetur in me dominus deus'
hoc est pretiosissimum, quod homo divinae vocis fit organum
et corporalibus labiis exprimit caeleste oraculum, sicut illud
Ps 84, 9.
se non le ricostituiamo continuamente con il cibo appropriato.
Pertanto, coloro che sono sfiniti per l inedia non ricavano alcuna
soddisfazione dai piaceri dei sensi, ma, come se ne fossero privi,
non ne sentono le attrattive.
6 6 . Perch dovrei descrivere la chiostra dei denti che serve
a masticare il cibo e ad articolare esattamente le parole? Senza i
denti quale vivanda sarebbe gradita? Di conseguenza spesso ve
diamo invecchiare rapidamente le persone mature proprio perch,
avendo perduto i denti, non possono nutrirsi con cibi pi sostan
ziosi. E l infanzia non sa parlare, perch non ha ancora questorga
no della voce.
67. utilissima la funzione della lingua non solo nel parlare,
ma anche nel mangiare. Essa infatti come im plettro per chi
parla e una mano per chi mangia, che porta sotto i denti e di
stribuisce il cibo che tende a scendere verso lo stomaco. Anche
la voce trasportata, in un certo senso, dalle ali del vento e si
diffonde nel vuoto e inoltre con la sua intensit sonora sferza
l aria: ora commuove, ora rasserena l animo di chi ascolta, placa
chi adirato, incoraggia chi abbattuto, conforta chi addolo
rato. Anche se abbiamo in comune con gli uccelli la capacit di
emettere suoni armoniosi, tuttavia non pu essere evidentemente
comune con tutti gli animali irragionevoli l elemento razionale esi
stente nelluomo quando emette tale suono con la sua voce.
Con gli altri animali abbiamo in comune persino i sensi; tutta
via le altre creature viventi non li usano con la medesima no
stra ingegnosit. Anche la giovenca alza gli occhi al cielo, ma
non sa che cosa vede; li alzano le fiere, li alzano gli uccelli, tutti
sono liberi di vedere, ma solo nelluomo insita la disposizione
atta ad interpretare ci che vede. Contempla con gli occhi il sor
gere e il tramontare delle costellazioni vede l ornamento del
cielo, ammira i globi delle stelle, riconosce la differente lumino
sit di ciascuno di essi, sa quando sorga Vespero, quando Luci
fero, perch quello brilli alla sera, questo al mattino, quali movi
menti abbia Orione, quali fasi la luna, come il sole conosca il suo
tramonto e come mantenga immutabilmente il percorsi^ della sua
orbita. Anche le altre creature viventi odono; ma chi allinfuori
delluomo conosce per mezzo delludito? Solo l uomo, fra tutte le
specie esistenti sulla terra, con l udito, la riflessione, il discerni
mento conquista i segreti della sapienza, lui che pu dire: Ascol
ter che cosa mi dir il Signore Iddio. Ed un dono preziosissimo
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 411
Bas., I l i , 218 A Ai.
Cf. Cic., De nat. deor., I I , 59, 149: Itaque plectri similem Unguam no
stri solent dicere, chordarum dentes, nares comibus iis qui ad neruos re
sonant in cantibus.
apud quem = apud eum qui.
Cf. Cic., De nat. deor., I I , 61, 153: Soli enim ex animantibus nos astro
rum ortus, obitus cursusque cognouimus; Sal. 103, 19: Fecit lunam in tem
pora, sol cognouit occasum suum.
est: Clama. Quid clamabo? Omnis caro faenum e. Accepit quod
diceret et clamauit. Sibi habeant prudentiam suam qui radio
caeli spatia terrarumque describunt, sibi habeant intellectum
suum, de quo dicit dominus: Et intellectum prudentium reproba
bo \ Neque numeros orationis ac modos et modulos musicae sa
pientiae hoc constituam loco, sed eam sapientiam definio, de qua
dicit propheta: Incerta et occulta sapientiae tuae manifestati mihi K
412 EXAMERON, DIES VI , SER. IX, C. 9, 67-69
6 8 . Quid autem loquar de osculo oris, quod pietatis et cari
tatis est signum? Osculantur se et columbae, sed quid ad humani
osculi uenustatem, in quo amicitiae insigne humanitatisque prae
fulget, in quo plenae caritatis fidelis exprimitur adfectus? Vnde
dominus uelut prodigii genus in proditore condemnans ait: luda,
osculo filium hominis tradis?^. Hoc est: caritatis insigne conuer-
tens ad signum proditionis et infidelitatis indicium pacis hoc pi
gnore uteris ad officinam crudelitatis? Bestiali igitur oris obse
quio inferentem potius necem quam caritatis foedera deferentem
diuinae arguit uocis oraculo. Illud quoque praecipuum est, quod
soli homines ore exprimimus quae corde sentimus itaque cogita
tiones tacitae mentis oris sermone signamus. Quid est igitur os
hominis nisi quoddam sermonis adytum, fons disputationis, aula
uerborum, promptuarium uoluntatis? Absoluimus uelut quandam
humani corporis regiam, in qua sit licet quaedam quantitas por
tionis, forma tamen uniuersitatis est.
69. Sequitur guttur, per quod toto corpori uitale commer
cium et spiritus huius conmeatus infunditur. Succedunt brachia
et ualidi lacertorum tori, ualidae ad operandum manus et proce
rioribus digitis habiles ad tenendum. Hinc aptior usus operandi,
hinc scribendi elegantia et ille calamus scribae uelociter scriben
ti s", quo diuinae uocis exprimuntur oracula. Manus est quae ci
bum ori ministrat, manus est quae praeclaris eminet factis, quae
conciliatrix diuinae gratiae sacris infertur altaribus, per quam of
ferimus et sumimus sacramenta caelestia, manus est quae opera
tur pariter atque dispensat diuina mysteria, cuius uocabulo non
dedignatus est, se dei filius declarare dicente Dauid: Dextera do
mini fecit uirtutem, dextera domini exaltauit me . Manus est quae
fecit omnia, sicut deus dixit omnipotens: Nonne manus mea fecit
haec omnia?*. Manus est totius corporis propugnaculum, capitis
* Is 40, 6.
h Is 29, 14; 1 Cor 1, 19.
i Ps 50, 8.
I Lc 22, 48.
m Ps 44, 2.
n Ps 117, 16.
Is 66, 2.
che l'uomo diventi strumento della voce divina e con le labbra
del corpo pronunci parole ispirate come questa: Grida . Che
cosa grider? . Ogni carne erba . Ascolt ci che doveva dire
e lev la sua voce. Si tengano il loro senno coloro che con im ba
stoncello disegnano gli spazi del cielo e della terra si tengano la
loro intelligenza di cui il Signore dice: Riprover l'intelligenza dei
sapienti. E qui non considerer sapienza le clausole oratorie e i
ritmi o le melodie musicali, ma intendo quella sapienza di cui
dice il profeta: Tu mi hai rivelato le verit oscure e segrete della
tua sapienza.
6 8 . Che dire poi del bacio, segno d'affetto e d'amore? Si ba
ciano anche le colombe; ma che rapporto pu esserci con la gen
tilezza del bacio umano in cui risplende l'insegna dellamicizia e
dell'amabilit, in cui si esprime il sentimento sincero dell'auten
tico amore? Perci il Signore, condannando nel traditore come
un atto mostruoso, dice: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio
delluomo?, cio, mutando il segno dell'amore in segno di tradi
mento e in prova d'infedelt, ti servi di questo pegno di pace per
una macchinazione di crudelt? Con la sentenza della sua voce di
vina smaschera colui che, col ripugnante omaggio della sua bocca,
gli recava la morte invece di dimostrargli la fedelt nell'amore.
importante anche il fatto che solamente noi uomini esprimiamo
con la bocca i sentimenti del nostro cuore e cosi suggelliamo con
le parole che ci escono dalle labbra i pensieri della mente che
non parla. Che dunque la bocca dell'uomo se non l'intima sede
dei discorsi, la fonte delle discussioni, la reggia delle parole, il
magazzino della volont? Abbiamo finito di trattare del capo che
come il palazzo imperiale del corpo umano, nel quale, sebbene
sia quantitativamente soltanto una parte, ha sede ci che regola
il tutto.
69. Subito dopo viene la gola, attraverso la quale penetra
nellintero corpo lo scambio vitale ed entra quest'aria che respi
riamo. Seguono le braccia e i vigorosi rilievi dei muscoli, le mani
robuste nell'operare e adatte ad afferrare con la punta delle dita.
Di qui la particolare attitudine al lavoro, di qui l'eleganza nello
scrivere e la famosa penna dello scriba che scrive velocemente,
mediante la quale si esprimono gli oracoli della voce divina. la
mano che porta il cibo alla bocca, la mano che si distingue per
illustri imprese, che per conciliarsi la protezione divina si posa
sui sacri altari, quella per mezzo della quale offriamo e riceviamo
i sacramenti celesti; la mano che compie e distribuisce ugual
mente i divini misteri, quella con il cui nome il Figlio di Dio non
ha sdegnato d'indicarsi quando Davide dice: La destra del Signore
ha compiuto atti di valore, la destra del Signore mi ha esaltato.
la mano che ha fatto ogni cosa, come ha detto Dio onnipotente:
Non la mia mano che ha fatto tutto questo? La mano un ba
luardo per l'intero corpo, una difesa per il capo: pur essendo col-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 413
Cf. Vero., Aen., VI , 849-850: caelique meatus / describent radio.
Intendi: hoc loco sapientiae.
defensatrix. Quae cum sit loco inferior, totum uerticem comit et
honesto uenustat ornatu.
70. Quis digne explicet pectoris cratem uentrisque mollitiam?
Aliter enim uiscera molliora non possent foueri et intestinorum
sinus duris haut dubie ossibus laederentur. Quid tam salutare
quam ut pulmo cordi finitimo limite iungeretur, ut, cum exarserit
cor ira et indignatione, pulmonis sanguine atque umore citius
temperetur? Ideoque et mollis pulmo est, quia madet semper, si
mul ut rigorem indignationis emolliat. Haec ideo strictim percur
rimus, ut tamquam indocti obuia perstringere, non tamquam me
dici plenius scrutare uideamur et persequi quae naturae latibulis
abscondita sunt.
414 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 9, 69-72
71. Lien quoque cum iecore habet uiciniam fructuosam, qui
dum adsumit quo ipse pascatur, abstergit quidquid sordium de
prehenderit, ut per fibras iecoris minutiores ciborum possint te
nues atque subtiles reliquiae transire, quae uertantur in sangui
nem uiribusque proficiant, non cum fimi sordibus egerantur. In
testinorum uero circumplexi orbes et sine aliquo licet nodo sibi
tamen inuicem nexi quid aliud nisi diuinam prospicientiam crea
toris ostendunt, ut non cito esca pertranseat et statim ab stoma
cho decurrat? Quod si fieret, iugis famis et continua uorandi li
bido hominibus gigneretur. Exinanitis enim uisceribus et exhau
stis, dum momentaria effusione uacuarentur, necesse erat inex
plebilem atque insatiabilem cibi et potus generari cupiditatem,
quam sine dubio mors matura sequeretur. Ideoque prouide con
ficitur primum esca in utero superiore, deinde in iecore quoquitur
eiusque uapore digestus transfunditur sucus eius in reliquas cor
poris partes eaque substantia artus aluntur humani, quam iuuenes
accipiunt ad incrementum, senes ad perseuerantiam, reliquum au
tem uelut superfluum per intestina deducitur et per illud ex trans-
uerso ostium deriuatur.
72. Denique etiam in Genesi arca Noe ad fabricam humani
corporis ordinatur, de qua dixit deus: Fac tibi arcam ex lignis
quadratis. Et nidos jacies in ea et bituminabis eam intus et foris
bitumine. Et sic facies arcam et: Ostium uero facies ex transuer-
so, inferiora autem arcae bicamerata et tricamerata facies \ Hoc
ergo significat dominus, quod ostium ex posteriore sit parte, per
quod egerantur ciborum superflua. Decore enim creator noster
ductus reliquiarum a uultu hominis auertit, ne dum curuamur, in
quinaremus aspectum. Simul illud considera, quod ea quae pu-
p Gen 6, 14.
1 Gen 6, 16.
71, 17. relicum Schenkl reliquum codd. paene omnes.
locata pi in basso, ne acconcia la parte superiore e lo abbellisce
con un decoroso ornamento.
70. Chi potrebbe spiegare adeguatamente la gabbia toracica
e la morbidezza del ventre? I n caso contrario, non potrebbero es
sere protetti i visceri pi delicati, mentre le anse intestinali sareb
bero indubbiamente lese dalla durezza delle ossa. Che cosa con
tribuisce tanto alla salute quanto il fatto che i polmoni siano con
giunti al cuore e ne siano confinanti, sicch, quando il cuore si
infiamma dira e di sdegno, viene raffreddato prontamente dal
sangue e dallumidit del polmone? Per questo motivo il polmone
anche spugnoso, perch costantemente imbevuto dumidit per
allentare la tensione provocata dallo sdegno. Trattiamo brevemente
di questi argomenti perch sia chiaro che riassumiamo da incom
petenti nozioni elementari e non gi da medici li approfondiamo,
indagando ci che la natura ha nascosto nel nostro corpo.
71. Anche la milza si trova vantaggiosamente vicina al fe
gato, essa che, mentre ne ricava il proprio nutrimento, filtra tutte
le impurit che vi trova, sicch attraverso le piccolissime fibre del
fegato possono passare tutti i minuti e sottili resti dei cibi che si
trasformano in sangue e accrescono le forze, senza essere elimi
nati tra 1 rifiuti delle feci. E le anse intestinali, strettamente in
trecciate fra loro pur senza presentare nodi, che altro rivelano
se non la divina previdenza del Creatore, affinch il cibo non passi
troppo in fretta, uscendo subito fuori dallo stomaco? Se accadesse
questo, si provocherebbe negli uomini una fame perenne e una
continua, irresistibile, voglia di mangiare. Infatti, nei visceri com
pletamente svuotati per il loro scaricarsi istantaneo, si produrreb
be necessariamente una bramosia di cibo e di bevanda inestin
guibile ed insaziabile che senza dubbio sarebbe seguita da una
rapida morte. Perci, prima il cibo viene elaborato provvidamente
nello stomaco, poi viene dissolto nel fegato e, digerito mediante
il calore di questo, il suo succo passa nelle altre parti del corpo;
le membra delluomo traggono alimento da tale sostanza, che i
giovani ricevono per crescere, i vecchi per sopravvivere, mentre
il resto, come superfluo, si inoltra attraverso l intestino e si scarica
per la nota apertura posteriore.
72. Appunto ad imitazione del corpo umano anche nella Ge
nesi viene costruita l arca di No, della quale Iddio disse: Fabbri
cati unarca di legni squadrati. E in essa ricaverai delle celle e la
spalmerai di bitume dentro e fuori. E cosi farai Varca, e ancora:
Farai per la porta posteriormente, mentre dividerai lo spazio in
feriore in due e tre piani. I l Signore dunque vuol dire che deve
essere dalla parte posteriore la porta attraverso la quale scaricare
il superfluo dei cibi. Opportunamente, infatti, il nostro Creatore
tenne lontano dal volto delluomo gli scarichi degli escrementi per
non contaminare la nostra vista nellatto in cui ci curviamo E
nello stesso tempo rifletti che le parti che sono oggetto di mag-
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 415
" Cf. Xenoph., Comm., I, 4, 6; Ambr., De Noe, 8, 24.
doris plena sunt eo loco constituta sunt, ubi operta uestibus de
decere non-possint.
73. Venarum pulsus uel infirmitatis internuntius uel salutis
est. Eadem tamen cum toto diffusae corpore sint, neque nudae
atque intectae sunt et ita leuibus operiuntur uisceribus, ut explo
randi copia sit et celeritas sentiendi, quando nulla est uiscerum
crassitudo, quae pulsum possit obducere. Ossa quoque omnia te
nui operta sunt uiscere et rcuincta neruis, praecipue tamen capi
tis leui tecta sunt corio et, quo possint aliquod aduersus imbres
et frigora habere munimen, capillis densioribus uestiuntur. Quid
de genitalibus loquar, quae uenis e regione ceruicis per renes
lumbosque deductis suscipiunt genitale seminium ad munus et
gratiam procreandi?
74. Quid de officio pedum, qui totum corpus sine ulla susti
nent oneris iniuria? Flexibile genu, quo prae ceteris domini miti
gatur offensa, ira mulcetur, gratia prouocatur. Hoc enim patris
summi erga filium donum est: Vt in nomine domini omnes genu
curuent caelestium et terrestrium et infernorum t omnis lingua
confiteatur quoniam dominus lesus in gloria dei patris est^. Duo
enim sunt quae prae ceteris deum mulcent, humilitas et fides.
Pes itaque exprimit humilitatis affectum et sedulae seruitutis ob
sequium, fides aequat filium patri atque utriusque eandem glo
riam confitetur. Recte autem non plures, sed duo sunt homini
pedes; quatemi enim pedes feris ac beluis sunt, bini auibus et ideo
imus quasi de uolatilibus est homo, qui alta uisu petat et quodam
remigio uolitet sublimium sagacitate sensuum. Et ideo de eo dic
tum est: Renouabitur sicut aquila iuuentus tua , eo quod proprior
sit caelestibus et sublimior aquilis, qui possit dicere: Nostra autem
conuersatio in caelis estK
416 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, c. 9, 72-74 - c. 10, 75
Caput X
75. Sed iam finis sermoni nostro sit, quoniam completus est
dies sextus et mundani operis summa conclusa est, perfecto ui-
delicet homine, in quo principatus est animantium uniuersarum
et summa quaedam uniuersitatis et omnis mundanae gratia crea
turae. Certe deferamus silentium, quoniam requieuit deus ab om-
r Phil 2, 10-11.
Ps 102, 5.
Phil 3, 20.
gior pudore sono state collocate l dove, coperte dalle vesti, non
possono essere causa di disagio
73. I l battito delle vene messaggero o della malattia o della
buona salute. Esse tuttavia, siccome si diramano per tutto il cor
po, non sono n scoperte n prive di protezione, ma sono coperte
da tessuti cosi leggeri da offrire la possibilit di seguirne il per
corso e la facilit di percepirne il battito, quando lo spessore della
carne non tale da occultarlo. Anche tutte le ossa sono coperte
da un sottile strato di carne e congiunte insieme dai nervi; so
prattutto quelle del cranio sono protette da una leggera pelle e
sono rivestite da ima fitta capigliatura per poter avere una difesa
contro la pioggia e il freddo. Che dire delle parti genitali che, me
diante le vene che scendono dalla nuca, attraverso le reni e i lom
bi ricevono il seme prolifico per la funzione e il dono della pro
creazione?
74. Che dire della funzione dei piedi che sostengono tutto il
corpo senza avvertire la fatica del suo pes? I l ginocchio flessi
bile: piegandolo, pi che con qualsiasi altro atto si placa l offesa
recata al Signore, se ne mitiga l ira, se ne ottiene la grazia. Questo
infatti il dono del sommo Padre al Figlio: Perch nel nome del
Signore tutti, quanti sono in cielo, in terra e sotto terra, pieghino
il ginocchio e ogni lingua proclami che il Signore Ges nella
gloria di Dio Padre. Due sono le virt che pi delle altre placano
Dio: l umilt e la fede. I l piede perci esprime il sentimento di
umilt e l ossequio duna premurosa servit, la fede pone il Figlio
alla stessa altezza del Padre e riconosce ad entrambi la medesima
gloria. Giustamente poi i piedi delluomo sono due e non di pi;
infatti le fiere e le bestie ne hanno quattro ciascuna, due gli uc
celli, e perci l uomo appartiene, per cosi dire, agli alati, perch
con la sua vista mira a ci che sta in alto e con l acutezza dei suoi
sentimenti pi nobili si libra come su ali E perci di lui stato
detto: Si rinnover come aquila la tua giovinezza, perch pi
vicino alle cose celesti e sinnalza pi delle aquile, lui che pu
dire: La nostra vita invece nei cieli.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 417
Capitolo 10
75. Ma ormai tempo di porre fine al nostro discorso, per
ch finito il sesto giorno e si conclusa la creazione del mondo
con la formazione di quel capolavoro ch l uomo, il quale eser
cita il dominio su tutti gli esseri viventi ed come il culmine del
luniverso e la suprema bellezza dogni essere creato. Veramente
dovremmo mantenere un reverente silenzio, poich il Signore si
Cf. Ambr., De off., I , 18, 78.
Bas., De hom. struct., I , 13.
nibus mundi operibus*. Requieuit autem in recessu hominis, re
quieuit in eius mente atque proposito; fecerat enim hominem ra
tionis capacem, imitatorem sui, uirtutum aemulatorem, cupidum
caelestium gratiarum. In his requiescit deus, qui ait; Aut super
quem requiescam nisi super humilem et quietum et trementem
uerba mea?^.
76. Gratias ago domino deo nostro, qui huiusmodi opus fecit,
in quo requiesceret. Fecit caelum, non lego quod requieueril, fe
cit terram, non lego quod requieuerit, fecit solem et lunam et
stellas, nec ibi lego quod requieuerit, sed lego quod fecerit homi
nem et tunc requieuerit habens cui peccata dimitteret. Aut forte
tunc iam futurae dominicae passionis praecessit mysterium, quo
reuelatum est quia requiesceret Christus in homine, qui requiem
sibi praedestinabat in corpore pro hominis redemptione secun
dum quod ipse dixit; Ego dormiui et quieui et surrexi, quoniam
418 EXAMERON, DXES VI, SER. X, C. 10, 75-76
Gen 2, 2.
Is 66, 1-2.
ripos da ogni opera del mondo. Si ripos poi neirintimo deU'uo-
mo, si ripos nella sua mente e nel suo pensiero; infatti aveva
creato l'uomo dotato di ragione, capace d'imitarlo, emulo delle
sue virt, bramoso delle grazie celesti *. In queste sue doti riposa
Iddio che ha detto: O su chi riposer, se non su chi umile, tran-
quiilo e teme le mie parole?
76. Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un'opera
cosi meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Cre il cielo,
e non leggo che si sia riposato; cre la terra, e non leggo che si
sia riposato; cre il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nem
meno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l uomo e che
a questo punto si riposato, avendo un essere cui rimettere 1
peccati. O forse gi allora si preannunci il mistero della futura
passione del Signore, col quale si rivel che Cristo avrebbe ri
posato nell'uomo, egli che predestinava a se stesso il riposo in im
corpo umano per la redenzione dell'uomo, secondo quanto egli
stesso afferm: I o dormii e riposai e mi levai, perch il Signore
mi ha accolto^. Infatti lo stesso Creatore si ripos. A lui onore,
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 419
^L'entusiasmo d S. Ambrogio per la creazione dell'uomo che ha dato
in quste ultime pagine slancio lirico alla sua prosa' arriva alla dottrina
delluomo come sintesi di ogni valore creato, come microcosmo . I l tema
era gi stato accennato (cf. p. 345), ed collegato col riposo di Do >. Dio
si astiene da ogni altra opera' perch col capolavoro ch l'uomo >la crea
zione del mondo si conclude: egli il culmine dell'universo e la suprema
bellezza dogni essere creato . il senso antropologico del mondo, che pren
de significato dalla sua intenzione prima, anche se ultima neUattuazione, cio
l uomo. Una tale visione senza dubbio capace di far superare radicalmente
un pessimismo nella valutazione delle creature compresa la realt materiale,
che entra a costituire l'uomo stesso.
Ma non solo Dio riposa dopo la creazione delluomo: egli riposa
nell'uomo, <dotato di ragione, capace di imitarlo, emulo delle sue virt,
bramoso delle grazie celesti . L'uomo cosi il luogo di Dio, della sua presenza
e abitazione nel mondo, della sua imitazione e comunione. [LB.]
^Dio si riposa, secondo S. Ambrogio, propriamente non per il fatto di
aver creato l uomo comunque, ma l uomo in quanto essere cui rimettere i
peccati >. fi questo uno dei punti pi caratteristici e uno dei motivi pi alti
della sua originalit. . come dire che Dio, per un disegno misterioso e mira
bile, le cui ragioni appartengono al suo insondabile segreto, quando decide di
creare vuole esprimere di s come prerogativa ultima e compiuta la sua mise
ricordia. Crea l uomo per essere misericordioso. Senza dubbio non crea l'uomo
peccatore o perch pecchi, ma certamente la passione del Signore, il riposo
di Cristo nella morte redentiva, rappresenta il senso della creazione, prefi
gurato dal riposo di Dio al termine dei sei giorni. I l peccato, che in ogni
modo male, consente a Dio di manifestarsi come colui che perdona, e che,
appunto riposando, non ha altro da fare e da rivelare, poich nel mondo,
al di fuori cio di lui, Dio ha fatto tutto. Questa concezione ambrosiana non
occasionale, ma ricorrente, e ci piace riportare espressamente alcimi testi
sorprendenti:
Maluit enim Deus plures esse quos saluos iacere posset, et quibus dona
ret peccatum, quam unum solum Adam, qui liber esset a culpa (De Para
diso, 47).
Non gloriabor quia iustus sum: sed gloriabor quia redemtus sum. Gloria
bor, non quia uacuus peccatis sum, sed quia mihi remissa sunt peccata.
Non gloriabor quia profui, neque quia profuit mihi quisquam: sed quia pro
me aduocatus apud Patrem Christus est: sed quia pro me Christi sanguis
effusus est. Facta est mihi culpa mea merces redemptionis, per quam mihi
dominus suscepit me. Ipse enim requieuit qui fecit. Cui est ho
nor gloria peipetuitas a saeculis et nunc et semper et in omnia
saecula saeculorum amen.
420 EXAMERON, DIES VI, SER. IX, C. 10, 76
=Ps 3, 6.
I SEI GIORNI DELLA CREAZIONE 421
gloria, perennit dai secoli e ora e sempre e per tutti i secoli dei
secoli. Amen.
Chr i stus adueni t. Pr opter me Chr i stus mor tem gustaui t. Fr uctuosi or cul pa,
quam i nnocenti a. I nnocenti a ar rogantem me fecerat, cul pa subi ectum red
di di t (De lacob et uita beata, I , 21).
Non di xerat Adae: Mecum eri s; qui a sci ebat i l l um esse casurum, ut re
di meretur a Chri sto. Fel i x rui na, quae reparatur i n mel i us fExplan. ps. 39, 20).
Pl us..., Domi ne l esu, i ni uri i s tui s debeo quod r edemtus sum quam operi
bus quod creatus sum. Non prodesset nasci , ni si r edi mi profui sset (Exp.
Eu. sec. Lue., I I , 41-42).
Eti am l apsus sanctor um uti l i s: ni hi l mi hi nocui t quod negaui t Petr us;
pr ofui t quod emendaret (Exp. Eu. sec. Lue., X, 89).
Ampl i us nobi s profui t cul pa, quam nocui t: i n quo r edempti o qui dem
nostr a di ui num munus i nueni t (De instit. uirg., 104).
Vni uer sor um i taque cul pa operata est subl ecti onem, subi ecti o humi l i tatem,
humi l i tas obedi enti am. I taque qui a super bi a cul pam contraxerat, e contrari o
cul pa obedi enti am generaui t (Ep. 78, 6).
Non si pu non rilevare l'affinit tra le espressioni ambrosiane Fel i x rui na,
quae reparatur i n mel i us. Ampl i us prof ui t cul pa, quam nocui t. Non prodesset
nasci , ni si r edi mi profui sset e quelle deWExsul tet romano: O fel i x cul pa,
quae tal em ac tantum mer ui t haber e Redemptor em, Ni hi l ... nobi s nasci pr o
fui t, ni si r edi mi pr ofui sset.
Non mancato chi ha attribuito a S. Ambrogio la composizione deUx-
sul tet (cf. per la questione e la relativa bibliografia P. Sorella, op. ci t., pp.
404-405). interessante notare che le frasi (deWE xsul tet) O certe necessari um
Adae peccatum... O fel i x cul pa quae tal em ac tantum mer ui t Redemptor em,
erano nel medio evo da molti ritenute eccessive. Infatti, in molti Mss. del-
VExsul tet o mancano o sono cancellate (M. RiGHBrri, op. ci t., p. 262, n. 54).
Cf. anche G. Coppa, Esposi zi one del Vangel o secondo L uca l i , cit., p. 185, n. 3.
Notiamo che in questa concezione delluomo creato come colui al quale
Cristo rimetter i peccati nella passione, e progettato come il luogo deUeser-
cizio della misericordia divina, pone le premesse per una visione unitaria del
piano di Dio in questo universo concreto: l Uomo-Dio Redentore non un
contingente e occasionale, sopravvenuto, ma il fine stesso della creazione, per
ima scelta di cui sfugge ogni logica razionalmente ed esaurientemente com
prensibile.
Quanto abbiamo notato sopra riguardo alla positivit * del peccato trova
qui il suo fondamento: il peccato nel disegno di Dio serve per il dono della
misericordia e la grazia del perdono. Perci S. Ambrogio, che pure ha vi
vissimo il senso del male nel mondo, si sofferma ammirato a illustrare ci
che Dio sa operare proprio attraverso il peccato nelluomo che se ne pente
e si converte. La parola definitiva e pi vera per il santo vescovo non la
colpa, che diviene secondaria, ma la conversione, la purificazione e la grazia
che redime. Cf. p. 239, nota. [LB.]
INDICI
INDICE SCRITTURISTICO *
Gen 1, 26: I I I , 7, 32
I, 2,5
1, 20: VI, 7. 40
1 7 25 2, 2: VI, 8 , 49
I S; 28 2, 2: VI, 10, 75
1 8 29 2, 19 ss.: V, 7, 19
2-3: '1/ 9, 33
3
I 9 33 3, 19: VI, 7, 43
1 9 34 4,2: 1,7,25
'tv 3 R 4, 20-21: I, 8 , 28
T 9 6,3: VI, 6, 39
; 10, 36 6,14: VI, 9, 72
I I 2 4 6, 16: VI, 9, 72
I I 3 8 7, 11: I I I , 2, 9
i l 4 15 7, 20: I I I , 3, 14
i i i 1 1 8,1:111,2,9
i n 2 7 9,20: 111,17,72
9 {SevtV I I I 2 7 21: I I I , 17, 72
9 I I I 3 12 14,19: 1,3,8
9 (Sepi.):' 111,5,20 ^ g: I 3, 9
10: II , 5, 18 27, 27. I l i , 8, 36
10 I l i 2 7 27, 27: I I I , 17, 72
0 I I I 3 13 27,28: 111,17, 72
5 : I I I 4 9 '6,27: VI, 8, 46
W- I I I 5 S 47,9: 1,10,36
HI . I l i , J ,
10: I I I , 5, 20
11: 1,4, 13 Ex
J 5 31 2, 5. 10: I, 2, 6
' ' 2 11 T 2 6
m
g z, 1 1 . 1 , z, o
* ' 2 IS* T 2 6
, 4 i S ' V U s : V. 3%
14: IV, 3, 8 4 12; j 2, 7
14: IV, 4, 12 4, 22: 1,4,15
14: IV, 5, 21 7, 12: IV, 8, 33
20: I I , 4, 16 12, 2: I, 4, 13
20: V, 1, 2 12, 2: I, 4, 13
20: V, 12, 37 12, 6-8 : I, 2, 6
20: V, 14, 45 14, 21: I I I , 2, 9
20: V, 21, 70 15, 6 : I I , 1, 3
24-26: VI, 2,'4 15,8: 11,3,11
I l presente indice contiene le citazioni riportate in calce al testo latino.
426 INDICE SCRITTURISTICO
N u m Ps
21,8: IV, 8. 33 1, 3: 111,17,71
24, 20: I, 4, 14 2, 8 : I, 5, 19
3, 6 : VI, 10, 76
De u t 8, 9: II, 4, 15
4.9: VI, 6 , 39
4 9* VI 7 42 ' * *
4 24 IV 3 10 3,2: IV, 8, 32
5 11 VI 8 50 15, 10: V, 23, 79
<.:5:,7,70 Is1: .
8 1 - '?51 VI >:60
17 VT 8 Si 18-1: 16
?9 5 ' 8 31 18-2: . 4, 15
2 ? : B : ', 4 : 6 g - 6 ; J -/ j 36
32,11-12: V, 18, 60 " , 2. - 1. 6
l : 9; , io
32, 6 : I, 8, 29
32, 7: I I I , 2. 9
5, 13 (4, 33): HI, 15, 64 32, 9: I, 3, 8
3 R ec
16, 29-33: I I , 4, 16 32, 9: I, 7, 27
21 (20), 28: I I I , 1, 3 32, 17: I I I , 1, 3
32, 17: V, 11, 34
4 Reg 33, 8: I I I , 12, 50
4, 39: VI, 2, 5 ^3, 15: I, 8, 30
4, 4041: VI, 2, 5 V
4 % VT 7 ; 1^ 2^ 8
Z' 1 TTT 36, 6: IV, 3, 8
6, 6: I I I , 2, 9 36 5 . jy, 5, 22
6, 28 ss.: V, 3, 7 36,17.19: VI, 2, 6
36, 25: VI, 8, 51.
TOB 36, 28: I, 4, 14
6, 1: VI, 4, 17 41, 2: I I I , 1, 4
11, 5 (9): VI, 4, 17 44, 2: VI, 9, 69
49, 11: I I I , 8, 36
J ob 50,8: VI, 9, 67
1, 1: I, 7, 25
54, 7: IV, 4, 18
57, 6: IV, 8, 33
' . J v V z
V'fJ \ ^1'^= ' ' ' * ' 3 2
0-6 . 1, 0, 22 2
26, 7: I, 6, 22 72 20 Vi! ?! 42
26,11-13: 1,6,22 74; 4 . ^ ^
33. 4: I , 8 , 9 7 5 9 . j 7 2 6
37, 27: I I . 3, 12 76 , 7 . 2
38. 1: I, 6, 22 77, 16; m, 2 , 9
38, 4-6: I, 6, 22 79, 9.12: m, l, 50
38, 8 : I I I , 3, 13 79, 14: I I I , 1, 4
38. 10-11: I, 6, 22 83, 7: I I I , 1. 3
38. 10-11: I I I , 2, 10 84, 9: VI, 9. 67
38, 36 {Sept.y. I, 6, 22 88, 12-13: I I I , 3, 13
38, 36 {Sept.y. V. 9. 25 88, 37-38: IV, 8, 31
38, 41: V, 9. 25 89. 10: I, 10, 36
39, 19 ss.: V, 9, 25 92, 34: I I I , 1, 6
INDICE SCRITTURISTICO 427
92, 4: I I I , 1, 6 15, 16: V, 8, 23
92, 4: VI, 6 , 37 15, 17: V, 8, 23
94, 4: I , 6, 22 16, 5: I, 4, 12
94, 5: I I I , 4, 17 16, 16: V, 17, 56
95, 5: I I , 2, 5 23, 32: V, 7, 19
101, 26-28: I, 6, 24 23, 33: V, 7, 19
102, 12: IV, 6, 25 27, 27: I I I , 1, 5
102, 12; VI, 9, 79 30, 8 : VI, 8, 53
103, 5: I, 6, 22 30, 9: VI, 8, 53
103, 6 : I I I , 2, 9
103, 15: I I I , 12, 49
E c c l e
103, 19: IV, 2, 7
1, 4: I, 6 , 22
1, 7: I I I , 2, 10
2, 14: VI, 9, 55
3, 2: V, 9, 30
7, 1: VI, 8, 51
7, 24 (25): I I , 3, 10
10, 8 : I I I , 1, 5
103, 24: I, 3, 8
103, 24: I, 5, 17
103, 24: V, 9, 5
103, 24: VI, 4, 21
103, 25: V, 1, 4
103, 27-28: IV, 2, 6
103, 30: I, 8, 29
103, 30: IV, 2, 6
Ca n i
103, 32: I, 6, 22
104, 34: I I I , 16, 67
1, 7: IV, 5, 22
106, 33: I I I , 4, 17
1, 8 (7): VI, 6 , 39
110, 10: I, 4, 12
1, 17 (16): I I I , 13, 53
113, 3: I I , 1, 2
2, 3: I I I , 17, 71
H3, 3: I I , 3, 11
2, 11-12: IV, 5, 22
113, 11 (3b): II , 2, 5 4, 3: I I I , 13, 56
117, 16: VI, 9, 69 5, 1: I I I , 17, 71
118, 2.5-6: I I , 1, 3
5, 2: IV, 7, 29
118, 90-91: IV, 2, 5
6, 10 (9): IV, 8 , 32
123, 7: IV, 4, 18
7, 7: I I I , 17, 71
127, 3: I I I , 12, 52
7, 8 : I I I , 13, 53
135, 8-9: IV, 2, 5
7, 8-9: I I I , 17, 71
135, 8-9: IV, 2, 7
135, 8-9: IV, 5, 24
136, 2: I I I , 13, 53
7, 13 (12): I I I , 13, 56
8, 10: VI, 8 , 49
138, 6 : VI, 8, 50
SAP
148, 3: IV, 1, 2
148, 4: I I , 2, 6
2, 12: VI, 8, 48
148, 4-5: I I , 3, 10
5, 12: I, 7, 25
148, 5: I, 6 , 24
7, 20-21: I I I , 15, 64
148, 5: I, 9, 33
14, 12: I, 4, 12
148, 5-6: I I , 3, 10
148, 7: I I , 4, 17
Eccu
150, 1: II , 4, 16 9, 13 (20): VI, 8 , 48
23, 18 (26): I, 10, 38
Pr o u 27, 12: IV, 8, 31
1, 7: I, 4, 12
5, 15: I I I , 12, 49
27, 26 (29): I I I , 1, 5
31, 28-29 (37-38): I I I , 17, 72
6, 6 : VI, 4, 16
Is
6, 8a-b (Sept.y. V, 21, 70
8, 22: I, 4, 15 1, 6 : I, 8, 38
8, 27: I, 4, 12
5, 1-2: I I I , 12, 50
8, 29-30: I, 4, 12 5, 8 : V, 10, 27
II. 13: I I I , 13, 56 5, 8 : V, 10. 27
lOEL
5, 8 : VI, 8, 52 4, 26: I I I , 14, 59
9, 2: IV, 5. 22 4, 27; I I I , 14, 59
18, 1: I, 7, 25
23, 3: IV, 4, 19 Da n
23.4: IV, 4 19 3 5,^ 4 15
24, 16 (Sept.): I, 7, 25 3 62 ss IV 1 4
27,3: VI, 8, 49 TI 4 17
29: 14; vi , 9, 67
30, 8 ; I I I , 13, 53
34, 4; I, 6, 21
40, 6: VI, 9, 67 I. 4: I I I , 6, 67
40, 6-8 ; I I I , 7, 29 2, 11: I, 10, 37
40, 12; VI, 2, 7 2, 31: IV, 5, 22
40, 12-13: I, 3, 9
40, 22: I, 6, 21 Am
40, 22; I, 6, 21 4 13 ^Sept.): I I , 4, 16
S r i A V . . . , . 3
45 2 I I I 3 15 * 2-3.15; IV, 4, 13
49 : 2 ; , , ' 8 0 2, 1.11: IV. 4, 13
4,; 16: VI. 7, 42 2,2-3; V, 11, 35
49,16: VI, 8, 46 4 i v n S f
49, 16; VI, 8, 49 4, 6; V, 11, 35
51, 6; I, 6, 21
51, 6: I, 8, 28 Ac g
54, 2-3: I I I , 1, 5 2, 6 (7): I, 6, 22
56, 10: VI, 4, 17 2, 6 (7): IV, 1, 2
58, 11: V, 23. 80
60, 19-20: I , 10, 37 Mal
65. 25: V. 2, 6 4 2 IV 1 2
66. 1; VI, 8, 48 4' 2 ' w 5 22
66, 1-2: VI, 10, 75 . . .
66, 2: VI , 9, 69 jyiT
1. 7-8: IV, 4, 18
a .
? il- B I 3 9
J 4,^i I ' l ^ 5, 10: I, 10, 38
13 23 : VI 3 15 ^'26: IV, 2, 6
16 16: V i 8, 50 I ' ^
17, 6: I I I , 16, 69 26: V. 9, 25
17, 11; VI, 3, 13 6, 28; I I I , 8, 36
20, 12: VI, 8, 44 6, 28: V, 9, 25
24, 5: I I I , 14. 50 6. 29: I I I , 8. 36
6, 30: V, 9. 25
THREN 6,30: V, 9, 25
, in. VT 1 5: VI , 9, 60
3, 10. VI , 4, 18 jc. y j ^ 3 0
3 . 25; VI. 8. 46 ^ J %
8. 2; I I . 1. 3
8, 20; VI, 8, 48
3. 24; VI. 8. 52 8, 20; VI, 8, 48
428 INDICE SCRITTURISTICO
8, 24-26: I I I , 2. 9 5, 4: V, 6, 16
8, 26: I I I , 5. 24 5, 10: V, 6, 16
9, 30: I I , 1, 3 5. 10; VI. 8 , 50
10, 16: V. 7, 17 8 , 24: I I I , 5. 24
10, 16: V, 14, 49 8 , 31: I, 8, 32
10, 28: VI, 7, 43 9, 58: VI, 8, 48
11, 8 : V, 23, 77 10, 20: I, 6 , 21
11, 28: I I I , 12, 50 10, 39: V, 24, 91
12, 40: V, 11, 35 12, 7: V, 13. 41
13, 24-25: I I I , 10, 44 12, 24: V, 9, 25
13, 26: I I I , 10, 44 12, 24: V, 9, 25
13, 27-28: I I I , 10, 44 12, 27: V, 9, 25
13, 43: I, 10, 37 12, 28: V, 9, 25
13, 47: V, 7, 17 12, 28: V, 9, 25
13, 47-50: V, 6 , 15 12, 42: IV, 2, 5
14, 25: V, 7, 17 13. 11-13: I I I , 12, 50
14. 30: V. I l, 35 17, 37: V, 24, 92
14, 30: VI. 4, 27 18, 42: I I . 1, 3
15. 11: VI. 8 , 50 20, 21: I. 4. 15
15, 32: VI, 24, 91 21. 25: IV, 4, 12
17, 25-27: V. 6 , 15 22, 48: VI, 9, 68
17,27 - -
18, 10
19. 23
INDICE SCRITTURISTICO 429
V, 6 , 15 22, 61: V, l , 35
I I . 4, 15 22, 61: V, 24, 88
VI, 8. 52 23, 4243: IV, 4, 13
20. 34: I I , 1, 3
20, 70 ss.: V, 7, 17 Io
22, 37: I I I , 10, 44 1 1* I 5 19 '
23,37: VI, 3, 13 vi , 7 , 41
24, 20: I, 3, 11 1, 3: l, 4, 15
24, 28: V, 24. 92 1, 3: I, 8 , 29
24, 29: IV, 4, 12 1, 9: I, 9, 33
24, 35: I. 3. 10 1, 9: IV, 1, 2
24, 35: I. 6. 24 1, 16: IV. 8, 32
24. 35: IV, 8, 31 3, 14: IV, 8, 33 '
26, 14-15: V, 24. 89 5, 19: I I , 5, 19
26. 36: V, 24, 88 7, 38: I I I , 1, 6
26. 70: .V, 11, 35 5: I, 2, 5
26, 74-75: V, 24, 88 5'
27,5: V.24. 89 =
27. 75: V. 24, 88 f
10. 30: V i , 7. 41
11. 39-44: I, 7, 27
4, 14: I I I , 10, 45 11. 42: I I . 5. 18
4. 26: I I I . 10. 44 11, 4344: I I I , 2, 9
4. 26-29: IH. 10, 46 14, 9: VI, 7. 41
8, 25: I I . 1, 3 14, 30: I. 4. 14
10, 52: I I . 1, 3 17, 1: IV, 2, 7
14. 36: I I . 2, 5 17. 14: I, 7. 25
16, 16: VI, 6 , 38
Me
Le
AcT
7, 56: V, 6 , 16
1. 77: IV. 5. 22 9, 8 : IV, 4, 13
1, 78-79: IV, 5, 22 9, 40: IV, 4. 13
2, 24: V, 19, 62 10, 15: I I . 5, 20
12, 7-11: I V, 4. 13 Ph i l
13, 11; IV, 8, 33 2 7 IV 1 2
13,55: V, 23, 79 l ' I 2
17, 27-28: 111,7,31 2 0 VI 9 74
28, 3-6: VI, 6, 38 2: y 2, 6
3 ! 20: I I l 12, 51
3, 20: VI , 8, 45
1, 20: I, 4, 16 3, 20: VI, 8, 48
8, 15: IV, 1, 4 3, 20: VI, 9, 74
8, 20: I, 4, 15 4, 13: II , 3, 11
8, 20: IV, 8, 31
8, 20-21: I, 6, 22 Col
8, 22: IV, 1, 4 j 13.15. yj 7 41
8, 22: IV, 8, 31 l i^/ "i J ' / '
8, 27: IV, 8, 44 J
8,28-30: IV, 8, 46 \ j. t {5
8 35: I I I , 13 53 ll V 41
430 INDICE SCRITTURISTICO
11, 36: I, 5, 19
2, 8: I I , 1, 3
13, 12: I, 10, 38 . 9 TT 3
13. 12: IV, 8, 32 2! 9 ! V, 23, 80
3, 9-10: VI, 6, 39
^COR 20-21: VI, 4, 22
1, 19: VI, 9, 67
3, 16: VI, 6, 39 1 TiM
3, 17: VI, 6, 39 2 14 I 7 18
6, 15: VI, 8, 47 5
7. 8-9: V, 19, 63 l g!
7, 51: I, 3, 10
9,11: 111,7,31 2 Ti m
10, 1-2: I, 4, 14 ^
. 11, 7: VI, 8, 48 2, 5: VI, 8, 50
11, 7: VI, 8, 50 4, 7-8: V, 23, 80
11, 14-15: VI, 9, 56
15, 51: V, 23, 78
15, 51-52: IV, 4, 14 1: , 13, 53
15, 52-53: V, 23, 78
H ebr
2 Cor 7 , 2-3: I, 3, 9
3, 18: IV, 8, 45
11, 14: IV, 8, 33 ^Pet r
12, 9: I, 8, 31 5, 8: VI, 8, 50
12, 9: I, 8, 31
12, 10: I, 8, 31 1 Io
4, 16: I I I , 12, 51
Gal
2, 20: IV, 8, 32 Arac
1, 17: I, 4, 15
Eph 2, 23: VI, 8, 44
1, 18: V, 24, 86 14, 1: VI, 7, 42
3, 18-19: I I , 3, 9 21, 6: I, 4, 45
4, 10: IV, 8, 32 21, 27: VI, 7, 42
INDICE DEI PASSI DI S. BASILIO
UTILIZZATI DA S. AMBROGIO *
S. A mb r o g i o S. B a s ., Hexaemeron
1.2,6 5 A (2 B)
5 AB (2 BC)
5 C (2 D)
I, 2, 7 5 C (2 D)
8 B (3 A)
I, 3, 8 8 BC (3 C)
I, 3, 10 9 AB (3 E, 4 AB)
9 B (4 AB)
I, 4, 12 12 C (5 C)
1,4.16 16 C (7 A)
17 A (7 B)
16 C (6 E)
I, 5, 17 17 AB (7 BD)
I, 5, 18 17 BC (7 DE)
13 AB (5 D)
I, 6, 20 20 A (8 A)
20 AB (8 BC)
20 C (8 D)
I, 6, 22 24 A (9 A)
24 BC (10 AB)
24 D (10 C)
25 A (10 D)
I, 6, 23 25 A-28 A (10 E-11 D)
I, 7, 25 29 AC (12 CE)
I, 7, 26 29 BC (12 E)
33 C (14 E)
36 A (15 A)
I, 7, 27 29 B (12 D)
I, 8 , 28 . 36 A (15 AB)
36 BC (15 C)
I. 8, 29 44 A (18 B)
44 B (18 C)
I, 8, 30 37 CD (16 CD)
36 D-37 A (15 DE)
37 A (15 E)
37 A (15 E)
37 C (16 C)
I, 8, 31 37 D (16 D)
40 AB (16 DE, 17 A)
* I passi di S. Basilio sono elencati nell'ordine in cui sono citati nel commento.
S. Amb r o g i o S. Bas., Hexaemeron
I. 8. 32 40 .C (17 B)
I, 9, 33 44 C (18 E)
45 B (19 C)
44 C (18 E-19 A)
45 B (19 BC)
45 BC (19 C)
I, 9. 34 45 C (19 D)
48 AB (20 B)
48 B (20 AB)
I, 10, 36 48 C (20 C)
49 A (20 CD)
49 A (20 D)
, 10. 37 49 AB (20 E)
49 C (21 AB)
52 A (21 C)
I. 10. 38 52 B (21 E)
I I , 1. 1 52 C (22 A)
I I , 1. 2 52 C (22 A)
I I . 1, 3 53 A (22 B)
11,2,5 56 D (23 E)
57 AB (24 AB)
I I , 2, 6 57 B (24 BC)
I I , 2, 7 57 D (24 BC)
I I , 3. 8 60 A (24 E)
I I , 3, 9 60 B (25 AB)
60 B (25 B)
I I . 3, 12 64 CD (27 BC)
65 A (27 CD)
65 CD. 68 A (27 E, 28 AB)
68 B (28 C)
I I . 3, 13 69 A (29 A)
I I , 3, 14 69 B (29 C)
69 C (29 D)
69 C, 72 A (29 E, 30 A)
, 4, 15 72 B (30 A)
72 B (30 B)
I I . 4, 16 72 BC (30 BC)
73 AB (30 C)
I I , 4, 17 73 CD, 76 A (31 BC)
76 C (31 E)
, 5, 18 76 C (32 A ).
I I , 5, 21 77 A (32 C)
I I . 5. 22 77 A (32 C)
I I I , 2. 7 80 D, 81 A (34 A)
81 A (34 A)
I I I , 2, 8 81 AB (34 BC)
, 2, 10 84 AB (35 AB)
84 B (35 BC)
I I I , 2, 11 84 C (35 CD)
111,3, 14 85 A (35 E),
I I I , 3, 15 85 B (36 A)
88 A (36 CD)
I I I . 3, 16 85 C (36 C)
I I I , .4, 17 89 AB (37 CD)
432 INDICE DEI PASSI RIPRESI DA S. BASILIO
S. A mb r o g i o S. Bas., Hexaemeron
I I I , 4, 18 89 BC (37 E, 38 A)
I I I . 5, 20 88 D, 89 A (37 C)
I I I , 5, 22 92 BD, 93 AB (38 DE, 39 AB)
I I I , 5, 23 93 B (39 C)
93 C (39 E)
I I I . 6 , 26 96 A (40 A)
I I I , 6 , 27 96 AB (40 C)
I I I , 7, 28 . 96 B (40 D)
96 BC (40 D)
I I I . 7, 29 97 C (41 D)
I I I , 7, 30 100 A (41 E, 42 A)
I I I , 8, 33 100 B (42 B)
I I I , 8. 34 100 BC (42 BC)
100 D, 101 A (42 DE)
I I I . 9. 38 101 B (43 A)
I I I . 9, 39 101 C (43 BC)
101 D (43 C)
101 D (43 D)
101 D (43 D)
101 D (43 D)
101 D (43 D)
I I I , 9. 40 104 A (43 D)
101 C (43 B)
I I I , 9. 41 101 B (43 A)
IH. 9. 42 104 A (43 E)
I I I . 10. 43 104 AB (43 E, 44 A)
I I I , 10. 44 104 B (44 A)
I I I , 10, 45 105 A (44 C)
105 A (44 D)
HI, 11, 47 105 B (44 E)
I I I , 11, 48 105 BC (45 A)
. 12, 49 108 A (45 C)
I I I , 12. 50 108 C (45 E)
I H. 12. 51 109 A (46 B)
108 CD (46 A)
I I I , 13. 55 112 AB (47 AB)
I I I , 13. 56 112 BC (47 CD)
109 CD, 112 A (46 E. 47 A)
I I I . 14. 58 112 CD (47 D)
I I I , 14, 59 112 D (47 DE)
112 D (47 DE)
IH, 14, 60 112 D, 3 A (47 E)
I I I , 15, 62 113 A-D (47 E48 D)
, 15, 63 113 B (4 AB)
113 B (48 AB)
I I I , 16, 66 105 C (45 B)
I I I , 16, 69 116 BC (49 B)
I I I , 17, 71 116 B (50 E)
IV, 1, 2 120 B (50 E)
IV. 2, 7 121 D, 124 A (52 BC)
IV, 3, 8 124 B (52 D)
IV. 3. I l 124 C (52 E)
124 CD (52 E)
IV, 4, 13 128 AB (54 AB)
INDICE DEI PASSI RIPRESI DA S. BASILIO 433
S. A mb r o g i o S. B a s ., Hexaemeron
IV, 4, 14 128 BC (54 CD)
128 D. 129 A (54 DE, 55 A)
128 B-D (54 CD)
129 B (55 B)
IV. 4. 15 129 CD. 132 A (55 C-E)
IV, 4. 16 132 BC (56 AC)
132 C (56 B)
IV. 4, 17 133 A (56 D)
IV, 4. 18 132 B (55 E. 56 A)
133 AB (56 DE)
IV, 4, 19 133 BC <56 E. 47 AB)
IV. 5, 21 133 C (57 B)
133 D, 136 A (57 B-D)
IV, 5, 23 136 BC (57 E. 58 A)
137 AB (58 BC)
IV, 6, 25 137 CD (58 DE. 59 A)
137 D (59 A)
140 A (59 B)
140 B-D (50 B-E)
IV, 6, 27 141 A (60 A)
IV, 6 , 28 141 B (60 B)
IV, 7, 29 141 B (60 B)
144 A (60 E, 61 A)
IV. 7, 30 144 BC (61 A)
144 BC (61 B)
IV, 8. 31 141 CD. 144 A (60 DE, 61 A)
IV, 8, 32 145 A (61 D)
IV, 8, 33 145 A (61 DE)
V, 1, 1 148 A-C (62 DE)
V, I, 4 148 D (63 B)
V. 2. 5 149 A (63 C)
V. 3, 7 149 A. 152 A (63 C, 64 B)
152 A (64 B)
V. 3, 9 152 B (64 E)
V. 4, 10 149 B (63 D)
V. 4. 11 149 BC (63 E)
V, 5, 12 152 C (64 E)
V, 5, 13 152 CD (65 A)
V. 5, 14 152 D. 153 A (65 AB)
V, 7, 18 160 BC (68 B)
V, 7. 19 160 CD ( 68 C)
160 C (68 C)
V, 8. 21 153 C (65 DE)
V, 8, 22 153 AB (65 BC)
V, 8, 23 153 B (65 D)
V, 9, 24 160 A (67 E, 68 A)
V, 10. 26 156 AB (66 B)
156 AB (66 B)
V, 10,-27 156 B (66 C)
V, 10, 28 156 BC (66 CD)
V, 10, 29 156 C-157 A (66 DE)
157 AB (67 AB)
157 BC (67 BC)
V, 10, 30 157 D (67 D)
434 INDICE DEI PASSI RIPRESI DA S. BASILIO
S. Ambrogio S. Bas., Hexaemeron
V, 10. 31 161 BC (69 A)
161 C (69 B)
V, I I . 32 161 B (69 A)
V. 11. 33 161 C (69 B)
161 A (68 DE)
161 A (68 E)
V. 12, 36 168 C (71 E, 72 A)
V, 12, 38 168 C (72 A)
V. 13, 40 177 AB (75 E, 76 A)
V, 13. 44 181 BC (77 E)
V. 14. 45 169 A (72 B)
V. 14, 46 169 A (72 BC)
V, 14. 47 172 AB (73 AB)
V, 14. 48 172 B (73 B)
V, 14. 49 172 BC (73 CD)
V. 15, 51 176 A (74 E. 75 A)
V, 16. 53 176 BC (75 AB)
V. 16, 55 176 C (75 BC)
176 CD (75 C)
V. 17. 56 176 D-177 A (75 D)
V. 17. 57 177 A (75 D)
179 A (75 E)
V. 18, 58 180 A (76 C)
V. 18. 60 177 C (76 B)
V. 18. 61 177 C (76 C)
V. 19, 62 177 C (76 B)
V. 20. 64 180 AB (76 DE)
V. 21. 66 172 D (73 E)
V. 21. 67 173 AB (74 A)
V, 21. 68 173 A (74 A)
173 B (74 B)
V. 22, 73 180 BC (77 A)
V, 22, 74 184 B (78 C)
184 B (78 D)
V, 22. 76 184 A (78 B)
V. 23. 77 184 D (78 E, 79 A)
V, 23, 82 181 C (78 A)
V. 23. 83 181 D (78 A)
V. 24. 85 181 A (72 C)
V, 24. 86 181 B (77 D)
V, 24. 87 181 A (77 C)
V, 24, 88 181 C (77 E)
VI. 1. 2 164 A (69 C)
VI. 1. 4 188 C (80 C)
VI. 1, 5 188 AB (80 AB)
VI. 2, 8 188 D, 189 A (80 DE, 81 A)
VI, 3, 10 192 AB (81 E)
192 C (82 A)
VI. 3, 11 192 BC (82 A)
VI, 3, 12 192 C (82 A)
VI. 3, 14 192 CD (82 B)
VI. 3. 15 192 D (82 B)
VI. 4. 16 193 CD. 194 A (83 AB)
VI, 4, 17 192 C (82 A)
INDICE DEI PASSI RIPRESI DA S. BASILIO 435
S. Ambrogio S. Bas., Hexaemeron
VI , 4, 19 193 A (82 D)
193 A (82 D)
193 A (82 D)
193 A (82 D)
VI, 4, 20 196 A (83 B)
193 B (82 E)
193 B (82 D)
193 B (82 E)
VI, 4, 21 196 AB (83 CD)
196 B (83 DE)
VI, 4. 22 196 CD, 197 A (83 B, 84 A)
VI, 4, 23 197 BC (84 CD)
197 C (84 E)
VI. 4. 25 197 AB (84 BC)
VI, 5, 30 200 A (85 A)
200 C (85 D)
VI, 5, 31 200 C, 201 A (85 DE)
VI, 5, 33 201 B (86 A)
VI, 5, 34 201 B (86 AB)
VI, 5, 35 201 BC (86 B)
VI, 6, 37 201 C (86 CD)
VI, 6, 38 201 D, 204 A (86 B)
204 A (86 E)
VI, 7, 40 205 A (87 D)
205 BC (87 E, 88 A)
VI, 7, 41 208 A (88 B)
Hom. in illud: Attende tibi
VI, 7, 42 I I I , 204 AB M.
VI, 8. 51 212 A
VI, 8 , 52 212 C
212 D
VI, 9. 66 218 A
De hom. struciura
VI, 9, 74 I, 13
436 INDICE DEI PASSI RIPRESI DA S. BASILIO
INDICE DEGLI AUTORI CITATI NEL COMMENTO *
A mb r o s i u s
De lacob, I, 21; VI. 10, 76
II , 1, 4: I I I , 17. 72
De iust. uirg., il04: VI. 10. 76
De Noe, 8 . 24; VI, 9. 72
De off., I, 18, 78; VI, 9. 72
I, 28, 132: VI, 8, 52
De parad., 47; VI. 10. 76
De patr., 13: IV. 2. 7
Ep 18. 25; IV. 2. 7
23. 4; IV, 2, 7
78. 6 ; VI, 10, 76
Expl. ps 1, 9-10: I I I , 6 , 23
35, 26: IV, 2, 7
39, 20: VI. .10, 76
43. 19: IV. 2, 7
43, 24: I I I , 6 , 23
xp. ps.. 118. 19, 30-32: I I I . 6 . 23
xp. m. iec. Lue., II . 41-42; VI.
10. 76
X, 37; IV. 2, 7
X, 89; VI. 10. 76
An/ / i. . 762 R.; V. 12. 39
A r at v s
5 (Act., 17. 28); IH. 7. 31
A r i s t o t e l e s
De caelo, I, 8-9 (276a, 18; 277b.
27); II , 2, 5
W. A. I. 1. 488b. 12: V. 14, 49
I I . 17. 508b. 13: V. 5. 12
V. 8. 542b. 4: V. 13, 40
VI, 5, 563a. 5-H; V. 20. 65
VI. 12. 566b. 8-18; V. 3. 7
IX. 11. 615a, 9-14: V, 20, 65
IX, 34. 619b. 23: V. 18. 61
IX, 37. 622a. 8 : V. 8. 21
Meteor., I. 14. 27. 352b. 26; I I I .
2. 11
Avl vs Ge l u v s
XIII. 31: HI. 13. 53
XVII. 19. 3; IV. 1.1 (E p i c i ., Use-
ner 396)
AVSONIVS
Mosella, 97-98; 115: V, 2, 6
C i c e r o
Acad., I I , 17, 55; I, 1. 3
I I . 17, 55; I I . 2. 5
I I . 26. 82: IV. 5. 26
I I . 37, 118; I, 2. 6
De fin., I. 6. 17; I. 2. 7
I, 11. 37; I I I , 7, 30
I. 15, 49: i n , J l. 48
V. 12, 35; IV. 4, 13
De nat. deor.. I. 10, 24: I, 4, 12
I, 10. 24; I, 1. 4
I, 10, 25; I, 2, 6
I, 13, 33; I, 6 , 23
I. 45. 120; I. 1. 3
I I . 17. 46; I. 1. 4
I I . 18. 47: I, 3. 10
I I , 19. 49: I. 3. 10
I I . 50, 140: VI, 9. 60
I I . 57. 143: VI. 9. 60
I I . 59. 149; VI. 9. 67
II . 61. 153; VI, 9. 67
I I I . 29. 73: V. 8. 22 (C ae c .. Sy-
neph., 209 Ribbeck)
De off., I. 28. 97: V. 3. 7
De rep., VI. 16 (4. 16): I. 8. 28
VI. 17 (4. 17): I I , 2. 6
VI. 18 (5, 18): I I . 2. 6
VI. '18 (5. 18); I I . 2. 7
* Bibbia e S. Basilio esclusi.
438 INDICE DEGLI AUTORI
VI, 19 (5, 19): I I , 2, 7
De sen., 15, 51: I I I , 8, 34
15, 52: I I I , 12, 49
15, 52: I I I , 12, 49
15, 53: I I I , 12, 51
15, 53: I I I , 12, 52
Or., 26, 87-90: I I I , 5, 22
Pro Mil, 4, 10: V, 16, 55
Pro Rab. Post., 12, 35: V, 8, 22
Tusc., I, 7, 40: I, 6, 22
1,15, 34: I I I , 7, 30. (E n n .,
Varia, 18 Vahlen).
Verr., V, 47, 84: I I I , 5, 23
C l a v d i a n v s
De rapt. Pros., I l i , 263-268: VI, 4,
21
C l e me n s
Ep., I , 25: V, 23, 79
COLVMELLA
V i l i , 17, 3: I I I , 2, 8
H er o d o t vs
II , 158: I I I , 2, 11
H i ppo l y t v s
Philos., 6, 3 (Diels, p. 559, 23):
I, 6 , 22 >
13, 2 (Diels, p. 565, 9): I, 1, 3
20, 6 (Diels, p. 574, 34): I, 1, 3
H o r a t i v s
Carm., I, 1, 15-18: IV, 4, 19
I, 32, 1-2: V, 12, 37
I I , 1, 34-35: VI, 3, 15
I I , 18, 1-2: VI, 8, 52
I I I , I, 3-7: V, 10, 27
Ep.. I, 2, 54: IV, 1, 1
Epod., 17, 4-5: IV, 8, 33
Sat., I, 2, 34-35: V, 7, 19
I, 9, 72-73: I, 1, 1
IWENALIS
X I I I , 23: I I I , 9, 38
L a c t a n t i v s
Din. inst.. VI I , 3: I I , 3, 11
L v c a n v s
Phars., V, 729: J II, 11, 47
L v c i l i v s
1314 Marx (E n n ., 622 Vahlen)
apud Mar. Vict. p. 216, 13 K:
I I I , 7, 30
L v c r e t i v s
I, 24-36: VI, 8, 52
I I , 32-33: I I I , 8, 34
II, 1052-1066: I I , 2, 5
IV, 652-653: I, 4, 13
VI, 17-18: IV, 1, 1
Or i g e n e s
Hom. in Gen., I, 11: VI, 2, 3
OVIDIVS
5., I l i , 249-250: VI, 9, 56
Met., I, 12-13: I I , 3, 11
I, 190: V, 10, 31
P e t r o n i vs
Cena Tr.. 53, 12: I I I , 1, 5
Ph i l o
De aet. mundi, 3: I, 1, 3
De anim., 42 A: VI, 4, 16
Da opif. mundi, 3: I, 10, 37
7: I. 4, 12
10: I I , 3, 8
24: VI, 7, 40
De prou., I, 88 A; IV, 4, 13
De Ulta Moys., I, 4: I, 2, 6
Quaest. in Gen., IV, 214: I I I , 17,
72
P l at o
rim., 27d-29b: I, 1, 3
32c-33a: II , 2, 5
54e: I, 6, 22
P l i n i v s
N. H VI, 29, 165: I I I , 2, 11
VI I , 11, 32: I I I , 9, 40
Vi li, 34, 80: VI, 4. 26
Vi l i , 41, 97: VI, 4, 26
V i l i , 41, 101: V, 4, 26
VI I I , 50, 118: I I I , 9, 40
IX, 15, 45: V, 5, 14
IX, 24, 79: V, 10, 31
IX, 29, 86: V, 8, 21
IX, 48, 155: V, 10, 31
X, 3, 12: V, 18, 60
INDICE DEGLI AUTORI 439
X, 21. 47; VI. 4, 26
X. 22, 51: V. 13, 44
X, 23, 69: I I I , 9, 39
X, 27, 75: V, 23, 83
X, 32, 90: V, 13, 40
X. 72, 197: I I I , 9, 39
XVI, 28, 70: I I I , 13, 53
XVIII, 62, 231: V, 13, 40
XVIII, 87, 362: V, 13. 43
XX, 76, 199: I I I , 9, 39
XXIV, 73, 117: I I I , 8, 37
XXV, 22, 54: I I I , 9, 39
XXV, 53, 92: I I I , 9, 40
XXV, 94, 150: I I I , 9, 39
XXV, 95, 154: I I I , 9, 39
XXVII, 28, 52: I I I , 8, 37
XXIX, 14, 57: V, 13, 44
XXX, 41, n i : VI, 4, 26
XXXII, 1, 8: V, 10, 31
XXXII, 2, 11. 13: V, 2, 60
XXXII, 2, 14: V, 7, 18
XXXII, 2, 18: V, 2, 6
XXXII, 11, 145: V, 2, 6
XXXII, 11, 151: I I I , 4, 16
P l i n i v s
p., VI I I , 2, 4: I I I , 4, 16
P r o pe r t i v s
I I I , 23, 9: I I I , 13, 53
Q v i n t j l i a n v s
IV, 2, 53: I I I , 2, 8
Riit. Nam., 439-452: HI, 5, 23
Sa l l v s t i v s
Catti., 6-12: V, 15, 52
/ Mg., 12, 5: VI, 8 , 45
79, 6: I, 8, 28
85, 10: I I I , 7, 30
S e c v n d v s
Sent., Frg. phil. Graec., I, 513,
24: I I I , 9, 38
I, 516, 14: I I I , 9. 38
I, 518, 25 ss.: IV, 1, 2
I, 518, 30: I I I , 9, 38
S e n e c a
De ben., I I , 29, 4: I I I , 11, 47
De clem., I. 19, 24 (I I I , 17): V,
21, 68
St r abo
I, 38: I I I , 2, 11
XVII, 804: IH. 2, 11
SVETONIVS
Praia, p. 206 R.: I I , 3, 13
p. 254 R.: VI, 4, 24
V ar r
L.L., V. 3, 18: I I , 4, 15
V, 13, 78: V, 13, 43
V e r g i l i v s
Aen., I, 105: I I I , 2, 10
, I, 161: I I I , 2, 10
I, 164-165: I, 8, 32
I, 174: I I , 3, 12
I, 174-175: I I , 3, 14
I, 300-301: V, 16, 55
I, 301: I, 7, 25
I, 387-388: I, 8, 29
I, 607-608: I I I , 2, 8
I I , 557-558: VI, 9, 57
II , 707-708: V, 16, 55
I I I , 45-46: VI, 4, 22
I I I , 524: VI, 9, 59
IV, 16-18: V, 19, 62
IV, 136: VI, 8, 52
IV, 402-407: VI, 4, 16
V, 20: I I , 3, 11
V, 158: V, 1, 4
VI, 18-19: V, 16. 55
VI, 19: I. 7, 25
VI. 270-272: IV, 5, 22
VI, 646: V, 14, 49
VI, 674: I I I , 16, 65
VI, 674-675: I, 8, 28
VI, 724-726: V, 1, 1
VI, 847-848: II , 5, 21
VI, 848: VI, 9, 57
VI, 849-850: V, 24. 86
VI. 849-850: VI. 4, 23
VI, 249-250: VI, 9, 67
VII, 34: V. 12, 36
VI I . 56: I I I . 7. 30
VI I , 490: V, 14. 49
VI I . 604: V, 23. 81
VI I , 749: V. 21, 69
V i l i , 276-277: I I I , 13, 54
V i l i , 411413: V, 24, 85
VI I I , 655-656: V, 13, 44
V i l i , 691-692: V, 11, 32
IX, 174-175: V, 15, 52
IX. 461: IV. 3. 11
X, 412: VI, 4. 20
440
INDICE DEGLI AUTORI
XI, 223: I I I , 7, 30
XI, 548-549: VI, 4, 20
XII, 6-7: VI. 6, 37
XII, 283-284: VI, 4, 22
XII, 395: V, 16, 55
Bue., I, 1: IH, 13, 54
I, 40: V, 14, 49
I, 57-58: V, 12, 39
I, 73: IV, 1, 1
I, 83: IV, 9, 34
I I , 26: V, 13, 40
I I I , 83: I I I , 13, 53
IV, 2: I I I , 16, 69
VI, 33-34: I, 4, 13
VI, 33-34: II, 3, 12
VI, 33-34: I I I , 8, 34
IX, 54: VI, 4, 26
IX, 57-58: V, 13, 40
Georg., I, 1: I, 8 , 28
I. 1: I I I , 16, 65
I, 2: IV, 1, 1
I, 45-46: IV, 4, 19
I, 92-93: I I I , 8, 34
I, 93: IH, 10, 43
I, 139: V, 14, 48
I, 144: I I I , 8, 34
I, 187-188: I I I , 16, 65
I, 274-275: V, 24, 85
I, 293: V, 24, 85
I, 298: IV, 4, 19
I, 299: IV, 4, 19
I, 361-362: V, 13, 43
I, 362-363: V, 13, 43
I, 363-364: V, 13, 43
I, 378: I I I , 1, 4
I, 388: V, 12, 39
I, 432435: IV, 9, 34
I, 508: IV, 4, 19
I, 512: V, 11, 34
I I , 121: V, 23, 77
I I , 152: I I I , 9, 38
II , 161-164: I I I , 3, 15
I I , 212: I I I , 5, 23
II , 217-218: I, 8, 25
I I , 223: I, 8, 25
II , 317-318: I, 4, 13
I I , 328: V, 12, 38
I I , 330: I I I , 8, 34
II, 330-331: I, 4, 13
II, 336-345: I, 4, 13
I I , 343-345: I, 4, 13
II , 376: I I I , 17, 71
II , 458: V, 8, 23
II, 458459: I I I , 9, 41
II , 459471: VI, 8, 52
I I , 462: I I I , 5, 23
I I , 511: V, 10, 27
I I I , 256: VI, 5, 32
I I I , 284: IV, 4, 14
I I I , 328: V, 22, 76
I I I , 334: I I I , 13, 54
IV, 19: V, 21, 69
IV, 49-50: VI, 9, 62
IV, 71-72: V, 22, 76
IV, 109: V, 21, 69
IV, 149: V, 21, 66
IV, 153: V, 21, 67
IV, 154: V, 21, 67
IV, 158-159: V, 21, 69
IV, 159-162: V, 21, 69
IV, 163-164: V, 21, 69
IV, 168: V, 21, 69
IV, 169: V, 2, 6
IV, 169: V, 21, 69
IV, 198-199: V, 21, 67
IV, 200-201: V, 21, 67
IV, 201-202: V, 21, 67
IV, 206: V, 20, 64
IV, 210-212: V, 21, 68
IV, 212-218: V, 21, 71
IV, 231: V, 21, 72
IV, 236-238: V, 21, 69
IV, 247: V, 9, 25
Xe n o ph o n
Comm., I, 4, 6 : VI, 9, 58
I, 4, 6 : VI, 9, 72
I, 4, 12: V, 10, 30
INDICE ANALITICO
Ab i s s o :
da intendersi in senso letterale, I, 8, 32; significato del termine, I,
8, 32.
A c ab (cf. Gezabele).
sotto di lui regnava l empiet, II , 4, 16.
A c q u a :
tutte le cose secondo Talete hanno origine dallacqua, I, 2, 6; si
confuta chi sostiene che non vi pu essere acqua sopra i cieli, II ,
3, 9-11; divisa dal firmamento, I I , 3, 10; le acque sopra i deli in
terpretate da alcuni come potenze purificatrici, I I , 4, 17; cause della
sua fluidit, I I I , 2, 8 ; tende a risalire al livello altrove raggiunto,
I I I , 2, 9; come un unico bacino abbia potuto contenere tutte le
acque. I I I , 3, 14-16; cambia colore e sapore, I I I , 15, 62; produce ef
fetti diversi nei frutti, I I I , 15, 62; differente al tatto, I I I , 15, 62;
ha generato per prima esseri viventi, V, 1, 2; i pesci non possono vi
vere fuori dallacqua, V, 4, 10-11.
A g l i o :
aborrito dal leopardo, usato dagli uomini, VI ,.4, 28; utile quale
medicina, VI, 4, 28.
A l c i o n e :
sua riproduzione, V, 13, 40; giorni deUalcione e relativa applicazione
morale, V, 13, 4042.
Amb r a :
' ima resina, I I I , 15, 63.
An i m a :
possiede l eccellenza della bellezza, VI, 6, 39; dura per sempre, VI,
6, 39; immagine di Dio, VI, 7, 42-43; 8, 50; sostanza di ci che costi
tuisce l'uomo, VI, 6, 43; senza di essa da carne non niente, VI, 7,
43; in che senso immagine di Dio, VI, 8, 44-45; quella del giusto
difesa da Cristo, assediata dal diavolo, VI, 8, 49.
A n i m a l i :
nocivi sulla terra, innocui nel mare, V, 2, 6 ; dotati da Dio di parti
colari qualit, V, 9, 25; hanno im tempo determinato per il parto,
V, 10, 30; continuit delle specie animali, VI, 3, 9; perch Dio ha
fornito ad alcuni un collo corto e ad altri lungo, VI, 5, 30; perch
esistono quelli velenosi, VI, 6, 38.
A n n o :
il sole e la luna dividono gli anni, IV, 5, 24; bisestile, IV, 5, 24.
A n t i o c h i a :
episodio del cane che in Antiochia fa scoprire l uccisore del padro
ne, VI, 4, 24.
A p i :
vita delle api, V, 21, 67-72; loro ronzio, V, 22, 76.
Apo l l o Pi z i q ;
non suo il detto Conosci te stesso , VI, 6, 39.
Aq u i l a :
come mette alla prova gli aquilotti, V, 18, 60.
Ar i a n i :
negano la bont del Creatore del firmamento, I I , 5, 20; negano che
il Figlio sia creatore con il Padre, VI, 7, 40.
Ar c a d i N o :
analogia col corpo umano, VI, 9, 72.
Ar i s t o t e l e :
i due principi di ci che esiste, I, 1, 1; sostiene l'eternit del mon
do, I, 1, 3.
Ar mo n i a d el l e s f er e:
si confuta l'affermazione che il moto delle sfere produca un suono,
I I . 2, 6-7.
Ar t i :
pratiche e speculative, I, 5, 17.
As c i u t t o :
perch nella Genesi si usa la parola asciutto invece di terra ,
I I I , 4, 17-19.
As i n o :
ci insegna che non dobbiamo impigrire neiraccidia, VI, 3, 11.
At l an t i c o (Oceano):
ospita enormi cetacei, V, 11, 32.
At o mo :
una connessione di atomi non causa di perpetua durata, I, 2, 7.
Av i d i t :
applicazione morale dell'astuzia del granchio, V, 8, 23.
Av v o l t o i :
loro verginit, V, 20, 64; annimciano la morte degli uomini, V, 23, 81.
B ac i o :
segno daffetto e damore, VI, 9, 68; segno del tradimento di Giuda,
VI, 9, 68.
B ac o da s e t a: vedi V e r me i n d i an o .
B e l l e z z a :
delle cose create in armonia tra loro, I I , 5, 2; del campo, I I I , 8, 36;
9, 42; del mare, V, 11, 34; l'anima ne possiede l'eccellenza, VI, 6 , 39;
superiorit del corpo umano per bellezza, VI, 9, 54.
B i b b i a : vedi Sc r i t t u r a Sac r a.
B r i t a n n i a :
mare che circonda le isole britanniche, I I I , 3, 15; suoi sali simili a
marmo durissimo, V, 11, 33.
B u o i :
intuiscono im cambiamento di tempo, VI, 4, 19.
Ca l d e i :
loro arti fallaci, IV, 4, 18.
Camal e o n t e :
cambia il suo colore, V, 23,77.
Ca mpo :
sua bellezza, I I I , 8, 36; non mai senza doni, I I I , 9, 42.
Ca n i :
sanno difendere i pad>roni, VI, 4, 17; i cristiani ne imitino la fedelt,
VI, 4, 17; l'arcangelo Raffaele sullesempio del cane educa Tobia al
442 INDICE ANALITICO
la riconosoenza, VI, 4, 17; loro qiulit quasi umaiie, VI, 4, 23; epi
sodio d Antiochia, VI, 4, 24; ogni belva ammalata si cura bevendo
sangue di cane, VI, 4,26.
Ca n t i u t u r g i c i :
la voce del popolo in coro loda Dio, I I I , 1, 5; il canto dei fedeli fa
eco ai responsori dei salmi. I I I , 5, 23.
Car n e :
l'uomo non carne, VI, 6, 39; senza l'anima la carne non niente,
VI, 7, 43.
Cer vo :
mastica ramoscelli d'olivo per guarire, VI, 4, 26.
Ce t ac e i :
si nascondono nel mare oltre i limiti del mondo, V, 10, 28; ospi
tati neirOceano Atlantico, V, 11, 32.
Ch i e s a :
ima. I I I , 1, 3; nel popolo cristiano opera intimamente lo Spirito
Santo, I I I , 1, 5^; paragonata al mare, I I I , 5, 23; simboleggiata dal
melograno. I I I , 13, 56; in essa risplen^ la giustizia, IV, 5, 22.
Ci b o :
le piante Io offrono agli uomini e agli animali, I I I , 16, 65; l uomo
non deve volgersi solo al cibo, VI, 3, IO.
Ci c a l e :
effetti del loro verso, V, 22, 76.
Ci c o g n e :
loro ordine di volo, V, 16, 53; loro piet verso il vecchio padre,
V, 16, 55.
Ci e l o :
sua qualit e sostanza, I, 5, 21; teorie dei filosofi sulla sua natura,
sulle sue propriet e sulla sua composizione, I, 6, 23-24; perch non
fu subito ornato di stelle, I, 7, 27; destinato a perire, I, 8 , 28; uni
cit o pluralit dei cieli, I I , 2, 5-6; sbaglia chi sostiene che non vi
pu essere acqua sopra i cieli, I I , 3, 9; nome comime rispetto a
firmamento , I I , 4, 15; etimologia del nome, I I , 4, 15; il sole suo
ornamento, IV, 2, 5; da intendersi in senso letterale, VI, 2, 6.
Co l l o :
perch Dio ha fornito ad alcuni animali un collo corto, ad altri
lungo, VI, 5, 30.
COMUNISMO;
i l cosi ddetto comuniSmo di S. Ambrogio, VI, 8, 52.
Co n v i t i :
raffinati e sfarzosi assomigliano a inutili discorsi, VI, 2, 5.
Co r n ac c h i e :
scortano le gru in volo, V, 16, 53; loro senso di ospitalit, V, 16,
54; cure per i loro piccoli, V, 18, 58.
Co r po u ma n o :
sua superiorit per bellezza su tutti gli altri, VI, 9, 54; sua costi
tuzione, VI, 9, 55-74; funzione preminente del capo, VI, 9, 55-58
occhi, VI, 9, 59-60; cerveUo, VI, 9, 61; udito, VI, 9, 62; narici, VI, S
63; tatto, VI, 9, 64; bocca e lingua, VI, 9, 65-67; parola, VI, 9, 67
bacio, segno d'affetto e d'amore, VI, 9, 68; bado, segno del tradi
mento di Giuda, VI, 9, 68; gola, VI, 9, 69; mani, VI, 9, 69; altre
parti, VI, 9, 70-71; analogia con l'arca di No, VI, 9, 72; vene, VI,
9, 73; piedi, VI, 9, 74.
Co s t e l l a z i o n i :
loro presunto influsso sulla vita degli uomini, IV, 4, 15; 4, 17.
INDICB ANAUnCO 443
Cr i s t o (vedi anche Figlio, Verbo):
semina il buon seme, I I I , 10, 44; i Manichei lo rifiutano come crea
tore, I I I , 7, 32; i Fotiniani negano la sua esistenza ail momento della
creazione. I I I , 7, 32; sole di giustizia, IV, 1, 2; 5, 22; il mistero
d Cristo proclamato dalla luna, IV, 8 , 32; simboleggiato da Giona,
V, 11, 35.
Dan u b i o :
divide i Romani dai barbari, I I , 3, 12.
Dar i o (cf. Sesostri):
vuole unire il Mare Indiano al Mare Egiziano, I I I , 2, 11.
De mo c r i t o :
sostiene la pluralit dei mondi, I, 1, 3.
Di g i u n o :
rimedio spirituale e sua potenza, VI, 4, 28.
Di o :
creatore delltmiverso, I, 3, 8-10; 5, 19; non ha creato il male, I, 8 ,
30; appare a Mos nel roveto, IV, 3, 9; di suo fuoco illumina, non
brucia, IV, 3, 9; il suo fuoco illumina i giusti, brucia gli empi, IV,
3, 10; ha dotato alcuni animali d particolari qualit, IV, 9, 25;
inaccessibile agli uomini la sua scienza, VI, 2, 7; non carne, ma
spirito, VI, 6 , 40; si ripos dopo aver creato luomo, VI, 8, 49; 10,
75-76; riposa neH'animo dell'uomo, VI, 8, 49; riposa nell'intimo
dell'uomo, VI, 10, 75-76.
Di r i t t o d i pr o pr i e t :
la terra a 'libera disposizione di tutti, VI, 8, 52.
Di v i n i t d el mo nd o :
fallaci opinioni di alcuni filosofi, I, 1, 2; 1, 4.
Do n n a :
il suo trucco esprime il vizio, non il decoro della bellezza, VI, 8, 47.
E g i t t o (M ar e d'):
ha un livello inferiore al Mare Indiano, I I I , 2, 11.
E l e f an t e :
uccso dal pitone, I I I , 9, 40; sue caratteristiche e abitudini, VI,
5, 31-35; modo 'per catturarlo, VI, 5, 32; suo impiego in guerra, VI,
5, 33; teme il topo, VI, 6 , 37.
E l e me n t i :
l otta tr a lor o, I I , 3, 12; l or o qualit. I I I , 3, 18; si accordano armo
niosamente fr a l or o. I I I , 3, 18.
E l i ma (mago):
accecato da Paolo, IV, 8, 33.
E l i s e o :
fa galleggiare una scure, I I I , 2, 9; imbandisce vivande amare, VI, 2,
5; sua fede, VI, 2, 6 .
E mp i :
il fuoco di Dio brucia gli empi, IV, 3, 10.
E r ba:
sua germinazione, I I I , 6 , 26; perch fu creata prima del cibo per
gli uomini, I I I , 7, 28; simbolo della vita umam. I I I , 7, 29-30; succhi
curativi delle erbe. I I I , 8 , 37; creata prima del sole, IV, 1, 3; erbe
e piante con cui gli animali si curano da s, VI, 4, 19.
E t e r n i t d el mo nd o :
non c' cosa sconveniente come l aver congiunto l'etemit del-
444 INDICE ANALITICO
'l'opera a quella di Dio, I, 1, 2; sostenuta da Aristotele, I, 1, 3; se
gata da Platone che afferma il mondo imperituro. 1,1, 3; moltissimi
si oppongono ad entrambi, I, I, 3.
E u n o mi a n i :
negano la bont del creatore del firmamento, I I , 5, 20; negano che
il Figlio sia uguale al Padre, I I I , 7, 32.
E u s i n o (Ponto):
vastissima insenatura del Mediterraneo, I I I , 3, 13; meta delle mi
grazioni dei pesci, V, 10, 29; pi dolce di altri mari, V, 10, 29; per
ch ricercato dai pesci, V, 10, 29-30.
F a s i :
scendendo dal Caucaso si riversa nel Ponto Eusino, I I I , 3, 13.
F e n i c e :
sua leggenda, V, 23, 79; applicazione morale, V, 23, 80.
F i c o :
la sua riproduzione ci ammonisce a non evitare chi sepairato dalla
nostra fede, I I I , 13, 56; forma delle sue foglie. I I I , 14, 60.
F i e r e :
loro affetto per i piccoli, VI, 4, 22.
F i g l i :
comportamento crudele ed ingiusto degli uomini verso 1 figli, V,
18, 58; 18, 61.
F i g l i o (vedi anche Cristo, Verbo):
immagine del Dio invisibile, I, 5, 19; I I , 5, 19; coeterno al Padre, I,
5, 19; in lui stata creata ogni cosa, I, 8 , 29; uguale al Padre, I I ,
5, 18-19; I I I , 7, 32; creatore con il Patire e uguale a dui, VI, 7, 40-41;
tale verit negata da Ariani ed Ebrei, VI, 7, 40.
F i n e d el mo nd o :
suoi segni, IV, 4, 12.
F i r ma me n t o :
sua creazipne, I I , 2, 4; 3, 8 ; divide le acque, I I , 3, 10; nome spe
cifico rispetto a cielo , I I , 4, 15; etimologia del nome, I I , 4, 16;
messo da alcuni in rapporto con le potenze attive, I I , 4, 17; signifi
cato dell'espressione in faccia al firmamento , V, 22, 73.
Fo l ag a:
alleva l'aquilotto ripudiato dai suoi, V, 18, 61.
Fo r mi c a :
sua previdenza e laboriosit, VI, 4, 16; sa spiare i periodi di sereno,
VI, 4, 20.
Fo t i n i a n i :
negano lesistenza di Cristo al momento della creazione. I I I , 7, 32.
Fr au d o l e n t i :
applicazione morale dell'astuzia del polipo, V, 8, 21.
F r u t t i :
loro sesso, I I I , 13, 55; -loro variet, I I I , 13, 57; loro uso in medicina,
I I I , 13, 57; maturati dal calore del sole>I I I , 14, 58; naturalmente
protetti. I I I , 14, 59.
F uo c o :
quello di Dio illumina, non brucia, IV, 3, 9; illumina i giusti, brucia
gli empi, IV, 3, 10.
Gal l o :
effetti del suo canto, V, 24, 88; applicazioni morali, V, 24, 88-89.
INDICE ANALITICO 445
Gezabele (cf. Acab):
sotto di lei regnava lempiet, I I , 4, 16.
G iac o bbe:
olezzava deUodore della terra, I I I , 16, 72; simbolo della Sinagoga,
IV, 5, 22.
Gi o n a:
richiamato al dovere dall'acqua, V, 11, 35; simbolo di Cristo, V,
11, 35.
G io r d ano ;
risale alla propria sorgente, I I , 3, l i (cf. I I I , 1, 2; 2, 6).
Gi o r no :
la luce chiamata giorno, I, 9, 35; significato della parola giorno ,
I, 10, 36; perch u n giorno invece di pr i mo giorno, I, 10, 37-
38; I I , 1, 2; la sua luce ha preceduto il sole, IV, 1, 1; la sua durata
determinata dal sole, IV, 5, 21; il sole creato a disposizione del
giorno, IV, 2, 5; 5, 24; che significa questo, IV, 2, 7; la sua luce
distinta da quella del sole, IV, 3, 8-9; pretesa influenza negativa del
quarto gioino, IV, 9, 34.
Gi u d a :
bacio del tradimento, VI, 9, 68.
Gi u d e i :
incapaci di un sano proposito e dd emendamento, VI, 3, 15; simili
al leopardo per incostanza, VI, 3, 15; negano che il Fglio sia crea
tore con id Padre, VI, 7, 40.
Gi u s e ppe (Tr i b di ):
benedizione di Mos, I I , 4, 16.
Gi u s t i :
il fuoco di Dio illumina i giusti, IV, 3, 10.
Gi u s t i z i a :
quella del santo paragonata alla luce del meriggio, IV, 3, 8; risplen
de nella Chiesa, IV, 5, 22; quella da cui deriva la giustificazione ap
partiene all'anima, non ad corpo, VI, 8, 46.
Gr an c h i o :
sua astuzia per procurarsi il cibo, V, 8, 22; applicazione morale agli
avidi, V, 8, 23.
Gr u :
loro turni di guardia, V, 15, 50; loro ordine di volo, V, 15, 51.
I m ma g i n e :
I I F i gl i o l'immagine dei Di o invisibile, I , 5, 19; I I , 5, 19.
I n c o n t e n t ab i l i t :
degli uomini, V, 10, 27.
I n d i an o (Mare):
ha un livello superiore al Mare d'Egitto, I I I , 2, li.
I n t e r pr e t az i o n e l e t t er al e:
tenebre e abisso da intendersi in senso letterale, I, 8, 32;
acque da intendersi in senso proprioi I I , 4, 17; le specie delle
fiere da intendersi come sopra, VI, 2, 4; cielo e terra da inten
dersi come sopra, VI, 2, 6; aderenza alle parole ispirate, VI, 3, 9.
L a g h i :
non si mescolano alle onde marine. I I I , 3, 16.
L eo ne:
sdegna la compagnia della folla, VI, 3, 14; teme il gallo, specie se
446 INDICE ANALITICO
bianco, VI, 4, 26; divora una scimmia per guarire, VI, 4, 26; teme
il pungiglione dello scorpione ed ucciso dal serpente, VI, 6, 37.
L eopar do :
suoi umori incostanti, VI, 3, 15; gli sono simili i Giudei, VI, 3, 15;
beve il sangue della capra selvatica e cosi evita la malattia, VI, 4,
26; aborrisce *raglio, VI, 4, 28.
L epr e:
diventa bianca d'inverno, V, 23, 77.
LocusTn:
strumento dei castighi di Dio, I I I , 16, 67; divorano i prodotti, V,
23, 82; sono divorate. daJ la seleucide, V, 23, 83.
L u c e :
sua creazione, I, 9, 33; un bene, I, 9, 34; chiamata giorno, I, 9, 35;
quella del sole distinta da quella del giorno, IV, 3, 8*9; quella del
meriggio paragonata alla giustizia del santo, IV, 3, 8 ; non ha alcun
rapporto con le tenebre, IV, 3, 11.
L u n a :
creata a dis'posizione della notte, IV, 2, 5; 5, 24; che significa questo,
IV, 2, 7; interpretazione mistica, IV, 2, 7; segno per le ricorrenze, i
giorni e gli anni, IV, 4, 12; divide gli anni, IV, 5, 24; sue dimensioni,
IV, 6, 25; effetti veri e falsi provocati dalla luna, IV, 7, 29-30; ap
plicazione morale delle fasi lunari, IV, 8, 31; proclama di mistero
di Cristo, IV, 8, 32; simbolo della Chiesa, IV, 8, 32-33; pretesa
azione degli incantesimi sulla luna, IV, 8, 33.
L u po :
toglie la voce all'uomo, se lo vede per primo, e viceversa, VI, 4, 26;
applicazione morale, VI, 4", 27; evita le foglie di scilla, VI , 4, 29.
M ae s t r i :
utile la loro severit, VI, 6, 38.
M al e :
Dio non ha creato il male, I, 8, 30; non realt vivente, I, 8 , 31;
origine del male, I, 8, 31; non sono mali se non quelli che coinvol
gono ila mente in una colpa, I, 8, 31.
M and o r l o :
come i contadini eliminano l'amarezza dei suoi frutti, I I I , 13, 56;
relativa applicazione morale, I I I , 13, 56.
Ma n i c h e i :
loro dottrina suU'origine del male, I, 8 , 30; rifiutano Cristo come
creatore. I I I , 7, 32.
M a r c g n i t i :
loro dottrina suirorigine del male, I, 8, 30.
M ar e :
circoscritti i mari entro un confine loro imposto. I I I , 2, 10; nomi
attribuiti ai vari mari. I I I , 3, 12; una sola la massa delle ac
que, I I I , 3, 13; come un unico bacino abbia potuto contenere tutte
le acque, I I I , 3, 14-16; sconfinato circonda le isole britanniche, I I I , 3,
15; suo elogio, I I I , 5, 21-23; ricchezze in esso contenute, V, 11, 33;
identificato allegoricamente con il Vangelo, V, 7, 17; bellezza del
mare, V, l i , 34.
M ar e d'E g i t t o : vedi E g i t t o (Mare d').
M ar e I n d i an o : vedi I n d i an o (Mare).
M ar i a V e r g i n e :
suo parto verginale, V, 20, 65.
INDICE ANAUTICO 447
M at e r i a:
chamafta , I, 1, 1; 4 filosofi sostengono che non ha avuto inizio,
I, 7, 25; esiste dal momento in cui fu creata, I, 7, 25; insufficiente,
secondo i filosofi, per formare un secondo cielo, I I , 2, 5.
M a t r i mo n i o :
doveri dei coniugi, V, 7, 18-19.
M e i o c r ano :
simbolo della Chiesa, I I I , 13, 56.
M o nd o :
unicit del mondo affermata da Pitagora, I, 1, 3; opinioni sulla
eternit del mondo, I, 1, 3; sulla sua divinit, I, 1, 4; sua origine se
condo Tlete, I, 2, 6 ; ha avuto princiiMo, I, 4, 12; fu creato in pri
mavera, I, 4, 13; creato in Cristo quale principio, I, 4, 15; 8 , 29;
creato prima del tempo, I, 4, 16; secondo pagani sussiste sponta
neamente, I, 4, 18; terra e cielo sono i suoi cardini, I, 7, 25; luogo
e causa delle tenebre, I, 9, 33; segni della sua fine, IV, 4, 12.
M o s :
autore ispirato, I, 2, 5-7; agisce non per ci che sa, ma obbedendo
a Dio, I I , 1, 3; sua benedizione alla trib di Giuseppe, I I , 4, 16;
Dio gli appare nel roveto, IV, 3, 9.
M u s i c a : vedi Spe t t ac o l i t e at r al i (Musiche degli).
N a s c i t a : vedi Or os c o po .
N i l o :
sue cateratte, I I , 2, 7; allaga lEgitto, I I , 3, 12; vi nascono gli ippo
potami, V, I, 4.
Nofe:
coltivatore della vite, I I I , 16, 72; analogia del corpo umano con
'l'arca di No, VI, 9, 72.
No t t e :
tenebre chiamate notte, I, 9, 35; la luna creata a disposizione della
notte, IV, 2, 5; che significa questo, IV, 2, 7; l'ombra della terra,
IV, 3, 11; la sua durata determinata dal sole, IV, 5, 21.
N o t i o i a :
la sua vista offuscata dalla luce, V, 24, 86; applicazione morale,
V, 24, 86.
Oc h e :
'loro turni di guardia, V, 13, 44; salvarono il Campidoglio, V, 13, 44.
Oc eano At l an t i c o : vedi At l an t i c o (Oceano).
Omb r a :
la notte l'ombra della terra, IV, 3, 11; inseparabilmente imita al
corpo, IV, 3, l i ; c un'ombra di salvezza, IV, 5, 22; il sole produce
il variare delle ombre, IV, 5, 23.
Or i g i n e d el l e c o s e:
opinione di Talete, I, 2, 6 .
Or o s c o po :
sua infondatezza, IV, 4, 139; esempi degli apostoli, del buon la
drone, di Giona, dei santi Pietro e Paolo, IV, 4, 13; lo zodiaco e le
sue suddivisioni, IV, 4, 14; presunto influsso delle costellazioni;
IV, 4, 15; 4, 17; presunta influenza dei pianeti, IV, 4, 16.
Or s a :
modella i piccoli con la lingua, VI, 4, 18; si cura da s, VI, 4, 19;
Torso ammalato divora le formiche, VI, 4, 19.
448 INDICE ANALITICO
Os pi t a l i t :
senso di ospitalit degli uccelli e relativa applicazione morale, V,
16. 54.
Pad r e;
uguaJ e al Figlio, opera insieme con lui, I I , 5, 18-19.
Pa l ma :
sua riproduzione. I I I , 13, 55; suo significato simbolico, I I I , 16, 71.
Pal u d e :
simbolo della sede dei vizi, I I I , 1, 4.
Pa mpi n o :
sua forma e bellezza, I I I , 14, 60.
Pao l o (S.):
acceca il mago Blima, IV, 8, 33; morso da una vipera a Malta, VI,
6, 38.
Par o l a:
c' chi semina J a parola, I I I , 10, 45.
Par t o :
in periodi determinati per gli animali, a differenza dell'uomo, V,
10, 30.
Pec o r a:
s'ingozza d'erba in previsione deirinvemo, VI, 4, 20; sa riconoscere il
proprio agnello, VI, 4, 25.
Pe r n i c e :
stia vana astuzia nel rubare le uova altrui, VI, 3, 13.
Pe s c i :
'loro creazione, V, 2, 5; loro riproduzione, V, 3, 7-8; loro procrea
zione, V, 3, 9; non vivono fuori dell'acqua, V, 4, 10-11; doro dentatura,
V, 5, 12; i pi piccoli sono preda dei pi grandi, V, 5, 13; applica
zione morale di tale fatto ai ricchi, V, 5, 14; identificazione alle
gorica tra uomini e pesci, V, 6, 15-16; applicata a S. Stefano l aUe-
goria del buon pesce, V, 6 , 16; ciascuna specie ha un domicilio fisso,
V, 10, 26; loro migrazioni, V, 10, 29; ricercano particolarmente il
Ponto Eusdno, V, 10, 29; velenosi, V, 10, 31; creati dalle acque come
gli uccelli, V, 14, 45; affinit tra pesci e uccelli, V, 14, 45.
Pi a n e t i :
presunta loro influenza sulla vita umana, IV, 4, 16.
Pi a n t e :
create prima del sole, I I I , 6, 27; IV, 1, 3; loro riproduzione. I I I , 8 ,
33-34; perch nascono piante velenose, I I I , 9, 38; I<o usi, I I I , 9,
39; loro significato simbolico. I I I , 13, 52; loro specie, I I I , 13, 53-54;
distinzione di sesso. I I I , 13, 55; fioriscono al comando di Dio, I I I ,
16, 65; offrono il cibo per uomini e jmimali, I I I , 16, 65; si molti
plicano mediante il seme. I I I , 16, 6 6; piante sempreverdi. I I I , 17,
71'; perch esistono piante velenose, VI, 6, 38.
Pi e t r o (S.):
fa precipitare Simon Mago, IV, 8, 33; si pente al canto del gallo,
V, 24, 88; suo pianto, V, 24, 90.
Pi g n a :
eleganza della sua forma. I I I , 16, 68.
Pi pi s t r e l l o :
sue caratteristiche, V, 24, 87.
Pi t ag o r a:
afferma l'unicit del mondo, I, 1, 3.
Pi t t u r a :
di Dio nelluomo, VI, 8, 47.
INDICE ANALITICO 449
P l at o n e :
i tre prncipi di ci che esiste, I, 1, 1; sostiene che il mondo non
esistito sempre, ma non avr fine, I, 1, 3.
Pl i ^i a l i t X d ei mo n d i :
sostenuta da Democrito, I, 1, 4.
Po:
sicuro mezzo di trasporto, I I , 13, 12.
Po l i po :
sua astuzia, V, 8, 21; applicazione morale alle insidie dei fraudo
lenti. V, 8, 21.
Po nt o E u s i n o : vedi E u s i n o (Ponto).
P o po l o c r i s t i an o :
in esso opera continuamente lo Spirito Santo, I I I , 1, 5-6; la vite
immagine del i>opolo fedele. I I I , 12, 50-51.
P o r c o s pi no :
come si difende, VI, 4, 20; come protegge le sue vie respiratorie,
VI, 4, 20.
P o t e n z e a t t i v e :
messe da alcuni in rapporto col fiaxnamento, I I , 4, 17.
P o t e n z e i n t e l l e t t i v e :
messe da alcuni in rapporto con l'espressione iel dei cieli , I I ,
4. 17.
Po t e n z e ma l v a g i e (vedi anche Male):
la malvagit non sos^nza, I, 8, 28.
P o t e n z e pu r i f i c a t r i c i :
ile acque sopra d cieli interpretate come potenze purificatrici, I I ,
4, 17.
Po ver o :
vigili contro ie tentazioni, VI, 8, 50-51; ci che ha e ci che non
ha, VI, 8, 52.
Po v e r t :
nella povert non mancano le tentazioni, VI, 8, 53.
Pr i n c i pi d i c i c h e e s i s t e :
tre secondo Platone, I, 1, 1; due secondo Aristotele, I, 1, 1.
Pr o pr i e t : vedi Di r i t t o d i pr o pr i e t .
R e mo r a:
trattiene grosse navi, V, 10, 31.
R e n o :
bastione dellimpero romano, I I , 3, 12.
R e s i n e :
diverse tra loro. I I I , 15, 63; ambra, I I I , 15, 63.
Re t t i l i :
come dev'essere inteso questo termine, V, 2,4; loro creazione, V, 2,5.
R i c c h e z z a :
nella ricchezza non mancano le tentazioni, VI, 8, 53.
R i c c h i :
avidi come i pesci, V, 3, 14.
Ricao ma r i n o :
preaimunzia burrasca e bonaccia, V, 9, 24.
R i c o n o s c e n z a:
l'arcangelo Raffaele educa Tobia alla riconoscenza, VI, 4, 17.
R o d ano :
fende impetuoso le acque del Mare Tirreno, I I , 3, 13.
450 INDICE ANALITICO
R o n d i n e :
sua sollecitudine materna e relativa applicazione morale, V, 17, 56.
Ro s a:
sua bellezza. 111, 11, 48; immagine della vita umana, I I I , 11, 48.
Rosso (Mare):
passaggio del Mar Rosso, I I , 3, 11; I I I , 1, 2; 2, 9; non s congiunge
col Maire Epziano, I I I , 2, 11.
Sal o mo n e :
nemmeno Salomone pot spiegare la ragion dessere d'ogni crea
tura, I I I , 15, 64.
Sc r i t t u r a Sac r a:
preferibile l'interpretazione detteraile, I , 8, 32; I I , 4, 17; VI, 2, 4; 2,
6 ; 3, 9; molte aggiunte al testo ebraico introdotte dai Settanta,
I I I , 5, 20.
Se g n i :
per le ricorrenze, i giorni e gli anni, IV, 4, 12; della fine del mondo,
IV, 4, .12.
Se me :
sua deg^erazione, I I I , 10, 43; Cristo semina di buon seme. I I I , 10,
44; le piante si moltiplicano mediamte di seme, I I I , 16, 66.
Se r pe n t e :
si libera dalla cecit mangiando finocchio, VI, 4, 19; se assaggia lo
sputo dim uomo digiimo, muore, VI, 4, 28.
Ses o s t r i (cf. Dario):
tenta di unire il Mare Indiano al Maire Egiziano, I I I , 2, 11.
S e t t a n t a :
introdussero molte aggiunte al testo ebraico della Bbb^, I I I , 5, 20.
S i d o n e :
in essa non c spazio per la virt, IV, 4, 19.
Si mo n M ago :
fatto precipitare da I^etro, IV, 8 , 33.
S inag o g a:
avvolta in fitta tenebra, IV, 5, 22; simboleggiata da Giacobbe, IV,
5, 22.
So l e :
produce calore, I I , 3, 14; provoca l'evaporazione marina, I I , 3, 14;
i pagami gli tributano ciilto divino, I I , 6, 27; creato dopo le piante,
I I I , 6, 27; IV, 3, 1; matuira i frutti. I I I , 14, 58; sua creazione, IV, 1,
1; Cristo sole di giustizia, IV, 1, 2; 5, 22; la terra pu essere fecon
da anche senza di esso, IV, -1, 3; 2, 6 ; suo elogio, IV, 1, 4; orna
mento del cielo, IV, 2, 5; creato a disposizione del giorno, IV, 2, 5;
5, 24; che significa questo, IV, 2, 7; interpretazione mistica, IV, 2,
7; la sua luce distinta da quella del giorno, IV, 3, 8 ; causa delle
stagioni, IV, 5, 21; determina la durata del giorno e della notte,
IV, 5, 21; causa del variare delle ombre, IV, 5, 23; divide gli anni,
IV, 5, 24; sue dimensioni, IV, 6, 25-26; limiti impostigli dal Crea
tore, IV, 6, 28.
Spa r v i e r i :
come educano piccoli, V, 18, 59.
Spe t t ac o l i t e at r al i (Musica degli):
corrompe l'animo, I I I , 1, 5.
Spi r i t o San t o :
aleggiava sopra de acque, I, 8, 29; creatore. I, 8 , 29; opera intima-
INDICE ANALITICO 451
mente nel popolo cristiano. I I I , 1, 5-6; luomo ne tempio, VI, 6, 39.
Spo s i : vedi M a t r i mo n i o .
St a g i o n i :
prodotte dal moto del sole, IV, 5, 21; applicazione allegorica alla
Chiesa, IV, 5, 22.
St at o :
com'era un tempo e sua decadenza, V, 15, 52; gli uccelli sembrano
amministrare ima specie di Stato, V, 21, 66.
St e f an o :
applicata a lui l'allegoria del buon pesce, V, 6 , 16.
St e l l e :
perch cielo non fu subito ornato di steiUe, I, 7, 27; create a di
sposizione della notte, IV, 2, 5; 5, 24; segni .per le ricorrenze, i
giorni e gli anni, IV, 4, 12.
T ame r i s c o :
simbolo d'im'astuzia maligna, I I I , 16, 69.
T ar t ar u g a:
si libera dal veleno con l'origano, VI, 4, 19.
T e mo l o :
sue particolari qualit, V, 2, 6.
T e mpo :
principio del tempo, I, 4, 13; 6, 20.
T enebr e:
da intendersi in senso detterale, I, 8, 32; non sono sostanza origina
ria, I, 8, 32; il mondo luogo e causa delle tenebre, I, 9, 33; chia
mate notte, I, 9, 35.
T e n t a z i o n i :
ne sono soggetti ricchi e poveri, VI, 8, 53.
T er r a:
sua natura e posizione, I, 6 , 22; esiste dal momento della sua crea
zione, I, 7, 25; terra e cielo sono i cardini del mondo, I, 7, 25; non
si librava neUaria, I, 7, 25; perch era ancora invisibile, I, 7, 26;
8, 30; I I I , 2, 7; 6, 25; perch non fu subito ornata, I, 7, 27; desti
nata a perire, I, 8, 28; informe, I, 8 , 28; sospesa nel vuoto e rimane
immobile, I I , 3, 11; una sola, I I I , 3, 13; perch nella Genesi si
parla di. asciutto e non d terra. I I I , 4, 17; 4, 19; germoglia
l'erba, I I I , 6, 26; restituisce ad usura quanto riceve. I I I , 8, 35; fe
conda pur senza coltivatori, I I I , 10, 45; feconda anche senza il sole,
IV, 1, 3; 2, 6; la notte i'ombra della terra, IV, 3, 11; da intendersi
in senso letterale, VI, 2, 6 ; inutile conoscerne la circonferenza,
VI, 2, 7.
T i g r e : .
suo affetto materno, VI, 4, 21; come viene ingannata dal cacciatore
inseguito, VI, 4, 21.
T o r o :
sua utilit, I I I , 9, 41.
T o r t o r a:
sua fedelt vedovile e relativa applicazione morale, V, 18, 62-63;
stende sul nido foglie di scilla per tenere lontani i lupi, VI, 4, 29.
Uc c e l l i :
stavano per essere dimenticati nella trattazione, V. 12, 36; lo^no
Dio con i loro canti, V, 12, 36; loro canti, V, 12, 39; comportamento
452 INDICE ANALITICO
di vari uccelli mardm, V, 13, 43; affinit tra pesci e uccelli, V, 14,
45; entrambe le specie sono state create dalle acque, V, 14, 45.
Un i c i t d el mo n d o :
Pitagora afferma che e&iste xm solo mondo, I, 1, 3.
Uo mo (vedi anche Corpo umano).
creato ad immagine di Do, I I I , 7, 31; identificazione allegorica tra
uomo e pesce, V, 6, 15-16; sua incontentabilit, V, 10, 27; non ha un
tempo detenninato per la procreazione, V, 10, 30; creato eretto a
differenza degli animali, VI, 3, 10; non deve volgersi solo al cibo,
VI, 3, 10; tempio dello Sprito Santo, VI, 6 , 39; sua creazione,
VI, 7, 40; pittura di Dio nelluomo, VI, 8, 47; pu essere tana la sua
bocca, VI, 8, 48; insidia il proprio simile, VI, 8, 48; Dio s ripos
dopo averlo creato, VI, 8, 49; 10, 75-76; Dio riposa neU'animo del
l'uomo, VI, 8, 49; gloria di Dio, VI, 8, 50; il capolavoro della
creazione, VI, 10, 75; Do riposa nelliirtmo dell'uomo, VI, 10, 75*76.
Us i g no l o :
dolcezza del suo canto, V, 24, 84.
V a l e n t i n o ;
sua dottrina sull'origine del male, I, 8, 30.
Vang el o :
identificato allegoricamente con il mare, V, 7, 17.
V er bo (vedi anche Cristo, Figlio):
mentre viene costituito il mondo, sd diffonde per tutto il creato,
VI. 3, 9.
Ve r me i n d i a n o :
sua metamorfosi, V, 23, 77.
V e r g i n i t :
degli avvoltoi, V, 20, 64; parto verginale di Maria, V, 20, 65.
V i g i l a n z a :
J uomo vigili contro le tentazioni, VI, 8, 50-51; anche il ik>vero vigili,
VI, 8, 52.
V i pe r a:
cerca l accoppiamento con l a murena marina, V, 7, 18; applica
zione mor ale, V, 7, 18-20.
V i t a u ma n a :
la rosa immagine della vita umana. I l i , 11, 48.
V i t e :
sua bellezza e utilit. I I I , 12. 49; immagine del <popo(lo fedele, I I I ,
12, 50-51; sua coltivazione, I I I , 12, 51; l'esempio della vite come
regola per la nostra vita, I I I , 12, 52; forma e bellezza del pampino,
I I I , 14, 60; No coltivatore della vite, I I I , 16, 72.
V o l pe :
animale inutile da odiarsi per de sue ruberie. VI, 3, 12; 5 cura con
la resina del pino, VI, 4, 19.
Zi z z a n i a :
seminata dal nemico, I I I , 10, 44.
Zo d iac o :
sue suddivisioni, IV, 4, 14; presimto influsso delle costellazioni,
IV, 4, 15; 4. 17.
INDICE ANAUTICO 453
INDICE DEI NOMI *
Ab r amo : I , 3, 9.
A c abbo : I I , 4, 16.
A d a mo : V, 7, 19 (2); VI, 7, 42.
A d i g e : V. 2, 6 .
A d r i a t i c o (mare): I I I , 3, 12; 3, 13
(2).
A f r i c a: I I I , 3, 13; VI, 8, 45.
A l bano (lago di ): I I I , 3, 16.
Al p i : I I , 3, 12.
A ma l e c : I , 4, 14 (3).
A n t i o c h i a : VI, 4, 24.
A po l l o P i z i o : V I , 6, 39.
A r a b i a : I I I , 3, 15; V, 23, 79.
Ar i a n i : II , 5, 20; VI, 7, 40 (2).
Ar i s t o t e l e : I, 1, 1; 1, 3.
A s mo d e o : vi , 4, 17.
At l an t i c o (mar e): I I I , 3,12; V, 11,
32 (2).
A u g u s t o (por to d i ): I I I , 3, 15.
A v e r n o (l ago d i ): I I I , 3, i l
B ar u c: vi , 8, 52 {propheta).
B enaco: I I I , 3, 16.
B r i t an n i : IV, 6, 25.
B r i tan n i a: I I I , 3, 15.
B r i t an n i ci (sali): V, 11, 33.
Cadi ce (di): I I I , 3, 13. Vedi anche
Gaditano .
C al dee (superstizioni): IV, 8, 33.
C al dei (astrologi): IV, 4, 18.
C al deo (astrologo): IV, 4, 14; V,
9, 24.
C ampi dogl i o: V, 13, 44.
C anti co dei C an ti ci : IV, 5, 22; 7,
29; 8, 32; VI, 8, 49.
Caspio (mare): I I I , 3, 12.
Ca t a d u pe (cater atte d el N i l o): I I ,
2, 7.
Caucaso (Caucasei montes). I I , 3,
12.
C i n esi : V, 23, 77. Vedi anche Se
ri .
C r eta (mare d i ): I I I , 3, 12.
C r i s to: I, 4, 15; 8, 29; II , 1, 3; I I I ,
2,9; 7, 32 (2); 10, 44 (2); 13, 53 (2);
17, 71 (2); IV, 2, 7 (3); 4, 13 (2);
5, 22 (4); 7, 29; 8, 32 (2); 8, 33 (2);
V, 6, 15; 6, 16 (3); 7, 17 (4); 19,
62; 23, 80; 24, 86; 24, 88; 24, 89;
24, 90; VI, 3, 13 (2); 4, 17 (2); 4,
27 (3); 8, 45; 8, 48 (2); 8, 49 (2);
10, 76. Vedi anche Ges C r i
s t o .
D an i el e: I I , 4, 15 (propheta), 4,
17 (propheta).
Danubio: II , 3, 12.
Dar i o (r e dei Persiani): I I I , 2, 11.-
Davi de: I, 3, 8; 5, 17 (propheta),
6, 22; 6, 24 (2); 8, 29 (propheta);
10, 36; I I , 2, 6; 4, 15; I I I , 1, 2.
(propheta); 2, 9; 2, 13 (prophe
ta); 4, 17; 12, 50 (propheta); 13,
53; IV, 2, 6 (propheta); 1, 7 (pro
pheta); 3, 8 (propheta); 5, 24
(propheta); 8, 32 (propheta); V,
1, 4; VI, 8, 50 (propheta); 9, 60
(propheta); 9, 69.
D emocr i to: I, 1, 3.
* I nomi sono elencati nella forma italiana corrispondente a quella della Vul-.
gata. Non sono compresi i nomi contenuti nelle citazioni testuali; in taluni casi,
invece, si registrato anche l appellativo, specie se usato per antonomasia.
I l numero tra parentesi indica quante volte lo stesso nome ripetuto nel me
desimo paragrafo.
INDICE DEI NOMI 455
De u t e r o n o mi o : VI , 6, 39.
E br ai c a (lectio): I I I , 5, 20.
Ebr eo (popolo): I I , 3, 11; V, 7, 17.
Ebr eo (testo): I, 8, 29; I I I , 5, 20.
Eb r e i: I I I , 1, 2; IV, 5, 24; V, 24,
89 (2). Vedi ^che Giudei .
Ec c l e s ia s t e : 1, 6, 22.
E geo (mare): I I I , 3, 12.
E g i t t o : I, 4, 14; I I , 3, 12; I I I , 2,
11; 3, 13; 3,15; 15, 63.
Eg iz ia n i : I, 2, 6; I I , 1, 3; I I I , 1,
2; VI, 2, 8.
E g i z i a n i (formule magiche degli):
IV, 8, 33.
E g i z i a n o : I I I , 2, 11; V, 7, 17.
E g i z i a n o (furore): V, 16, 54.
Eg iz ia n o (mare): I I I , 3, 11 (2); 3,
12.
E l i a : I I , 4, 16.
El im a : IV, 8, 33.
E l i s e o : I I I , 2, 9 (2); VI; 2, 5 (2);
2, 6 (3).
E l l e s po n t o : I I I , 3, 12.
E sodo {.libro dell): V, 23, 82.
E t i o pe : VI, 3, 15.
E t i o pi a : I, 2, 6.
E u n o mi a n i : I I , 5, 20.
E u n o mi a n o : I I I , 7, 32.
E u s i n o (mare): I I , 3, 12; I I I , 3,
12; V, 10, 29. Vedi anche . Pon
to.
v a : V, 7, 19.
Far ao ne : I, 2, 6; 2, 7; 4, 14; V, 24,
89.
Fa s i : I I , 3, 12.
Fo t i n i a n o : I I I , 7, 32.
Gad i t an o (lido): vedi Cadice
(di) .
Ga l l i a : I I I , 3, 13.
Gal l o (nemico): V, 13, 44.
Ge n e s i (libro della): VI, 8, 46; 9,
72.
Ge r e mi a : I, 3, 9; I I I , 14, 59; 16,
69; VI, 3, 13; 3, 15; 8, 46.
Ge r e mi a (libro di): VI, 4, 20.
Ge s i ) Cr i s t o : I, 3, 10 (mundi sa-
luator); 4, 13 (dominus)', 4, 14;
4, 15 (dominus. 2); 6, 24; 6, 24
(dominus), 7, 27 (dominus); 10,
38; I I , 5, 19 (dominus); I I I , 2, 9
(dominus lesus); 5, 24 (dominus
lesus); 10, 44 (dominus); 10, 46
(dominus); 12, 50; 12, 51 (domi
nus); IV, 2, 6 (dominus lesus);
4, 12 (dominus); 8, 33 (dominus
lesus); V, 6, 15 (dominus); 6, 16
(dominus lesus, 2); 11, 35; J 3,
41 (dominus); 19, 62 (dominus);
23, T1 (dominus); 24, 88 (lesus,
2); 24, 88 (dominus); 24, 89 (le
sus); 24, 90 (lesus); 24, 92 (do
minus); 24, 92 (lesus); VI, 2,
8 (dominus lesus); 6, 38 (domi
nus); 6, 39 (dominus); 8, ^ (do
minus lesus); 9, 68 (dominus).
Ge z abe l e : I I , 4, 16.
Giac o bbe: I, 10, 36; I I I , 17, 22;
IV, 5, 22 (2).
Gio bbe: I , 6, 22 (2); 8, 29; I I I , 2,
10; 3, 13.
Gio bbe (libro di): I I , 3, 12.
Gi o n a : IV, 4, 13; V, 11, 35 (3); 24,
92.
Gio r d ano : I I , 3, 11; I I I , 1, 2; 1,
6.
Gi o v e : V, 13, 44.
Gi u b a l : I , 7, 25.
Gi u d a I s c ar i o t a: V, 28, 99.
Gi u d ai c o (sterilitas ludaica): I I I ,
16, 67.
Gi u d e i : I, 7, 27; I I , 3, 11; 4, 16; V,
3, 6; VI, 3, 15; 7, 40 (2). Vedi an
che Ebrei .
Gi u s e ppe : I I , 4, 16.
Gr e c i : I I I , 13, 56; IV, 4, 14; VI, 4,
19.
I n d i a n e (gemme): I I I , 12, 52.
I n d i a n i : IV, 6, 25; V, 21, 68.
I n d i an o (mare): I I I , 2, 11; 3,12; 3,
13.
I n d i an o (verme): V, 23, 77.
I o n i o (mare): I I I , 3, 12.
I s ac c o : I I I , 8, 36; 17, 72.
I s a i a : I , 3, 9 (propheta); 6, 21; 8,
30 (propheta); I I , 3, 12; I I I , 7, 29
(bonus diuinitatis interpres); 7,
29; 12, 50; IV, 4, 19 (propheta);
V, 10, 27 (propheta); VI, 8, 49.
I s a i a (libro di): I, 8, 28.
I s r ael e : I , 2, 6; 4, 14; I I , 4, 16.
I t a l i a : I I I , 3, 13; 3, 15; V I , 8, 45.
456 INDICE DEI NOMI
I t a l i c i : I I , 3, 12.
L ad r o ne bu o no ; IV, 4, 13.
L a me n t a z i o n i (Threni): VI, 8, 46.
L a z i o : I I I , 3, 16.
L az z ar o (amico di Ges); I, 7, 27
(2): I I I , 2. 9.
L i b i a : I I I , 15, 63.
Libr a (costllazione): I I I , 15, 63.
Lu c if e r o (stella): VI, 9, 67.
Lu c r in o (lago): I I I , 3, 15.
Mac e d o ni a; I I I , 3, 13.
M a n i c h e i ; I, 8, 30.
M a r c i o n i ; I, 8, 30.
M ar i a (M adre di Ges): V, 20, 65
(dei mater); 20, 65.
M ar i a (sorella di L azzaro): V, 24,
91.
M edo ; I I I , 2, 11.
M el c h i s ed ec ; I, 3, 9 (2).
Mosfe; I, 2, 5; 2, 6 (2); 5, 18; 7, 25;
I I , 1, 3; 4, 16; I I I , 2, 9; IV, 3, 9
(3); V, 18, 60; VI, 2, 8; 6, 39 (2);
7, 41.
N i l o : II , 2, 7; 3, 12; V, 1, 4.
N i n i v i t i : V, 11, 35.
Nofe; I I I , 3, 14; 17, 72 (3); VI, 9, 72.
N u me r i (l i br o dei ); I, 4, 14.
Or i o n e ; VI, 9, 67.
P a l e s t i n a : I I I , 3,15 (2).
Pao l o ; I, 4, 14 (apostolus); 5, 19
(apostolus); 8, 31 (apostolus); II ,
2, 6 (apostolus); 3, 9 (apostolus);
I I I , 13, 53; IV, 4, 14; 8, 33; V, 19,
63 (2); 23, 78 (apostolus); 23, 80;
VI, 6, 38; 8, 45; 8, 46.
P as q u a; VI, 8, 45.
P e r s i a ; VI, 8, 45.
Pe r s i a n i ; V, 21, 68 (2); VI, 5, 33.
P i e t r o ; IV, 4, 13; 8, 33 (Petrus Si
mon); V, 6, 14 (4); 7, 17; 11, 35;
24, 88 (ipsa ecclesiae petra); 24,
88 (2); 24, 88 (Simon); 24, 89 (2);
24, 90 (2); VI, 4, 27.
P i t ag o r a; I, 1, 3.
Pl a t o n e ; I, 1, 1; J, 3.
Po; I I , 3, 12.
P o nt o : I I , 3, 12; I I I , 3, 12; 3, 13;
V. 10, 29 (2); 10, 30 (2). Vedi an
che Eusino .
Pr o po nt i d e: I I I , 3, 12; V, 10, 29.
Raf f ael e (arcangelo): VI, 4,17 (2).
R eno : II, 3, 12.
Ro d ano : l i, 3, 12.
Ro ma ; V, 13, 44.
Ro ma n i ; 1 ,5,19; I I , 3,12; IV, 5,24.
Ro man o (Campidoglio): V, 13, 44.
Ro man o (impero): I I , 3, 12.
Ro sso (mare): II , I, 3; I I I , 2, 11
(2); 3, 13.
Sal o mo n e : I I I , 15, 64; V, 7, 19; 10,
30; 21, 70 (propheta); VI, 6, 39;
6, 39 (propheta).
Sa r ma t i ; V, 21, 68.
Sat u r no (pianeta); IV, 4, 17.
Sc r i t t u r a (sacra); I, 4, 12; 4, 13;
4, 14; 6, 20; 6, 22; 7, 25 (2); 8, 28;
8, 30; 9, 33; 10, 36 (3); 10, 37 (2);
II , 1, 2; 1, 3; 2, 7; 2, 7 (diuina
lectio); 3, 8; 3, 9; 3, 10; 4, 15; 4,
16 (2); I I I , 2, 7; 2, 10; 3, 12; 3,
15 (2); 4, 19; 8, 36; 10, 46 (exem
plum lectionis); 13, 53; IV, 1, 1;
1, 3 (diuina lectio); 5, 20 (lectio);
8, 31; V, 21, 70; 24, 88 (lectio); VI,
2, 3; 2, 7; 3, 15; 4, 16; 4, 17; 4, 18;
4, 22.
Se r i : vedi Cinesi.
Se s o s t r i ; I I I , 2, II .
Si nag o g a; IV, 5, 22 (3).
S i r i a : I I I , 3, 13.
Si r i ac o (testo): I, 8, 29.
So d o mi t i ; V, 16, 54.
Spag n a: I I I , 3, 13.
St e f an o ; V, 6, 16.
T al e t e ; I, 2, 6.
T i ber i ad e (lago di ): I I I , 3, 15.
T i c i n o : V, 2, 6.
T i r r eno (mare); I I , 3, 12; I I I , 3,
12; 3, 13.
T o b i : VI, 4, 17.
T o b i a: VI, 4,17 (2).
Tr ac i a ; I I I , 3, 13.
T r ai an o (porto di ): I I I , 3, 15.
V al en ti n i : I , 8, 30.
Vangelo: I, 2. 5; 3, IO; 4, 15 (2); 6, Vespero (stella): VI, 9, 67.
24 (2); 7, 27; 8, 32; II, 1, 3; 5, 19;
I I I , 2. 9; 7, 28; 10. 44; 12, 50; IV,
2. 6; V, 6, 16; 7, 17 (8); VI, 3, 13; ZACCARIA (padre del Battista): IV,
7, 41. 5, 22.
INDICE DEI NOMI 457
INDICE GENERALE
Presentazione del Car d . Gi o v a n n i Co l o mb o . . . . pag. 9
Introduzione
Bibliografia essenziale
13
21
23
25
54
81
111
135
189
237
287
343
I n d i c i ............................................................................... 423
Indice s cr i ttu r i s ti co....................................................... 425
Indice dei passi di S. Basilio utilizzati da S. Ambrogio . 431
Indice dei passi citati nel C ommen to........................ 437
Indice a n a l i t i c o ............................................................. 441
Indice dei n o m i ............................................................. 454
Exameron - I sei giorni della creazione
Primo giorno (7 sermone) . . . .
I I s e r m o n e ...............................
Secondo giorno (I I I sermone) .
Terzo giorno (I V sermone) .
V s e r m o n e ..............................
Quarto giorno (V/ sermone) ,
Quinto giorno (V7/ sermone) .
VI I I sermone . . . . .
Sesto giorno {I X sermone) .

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