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MARCO TRAINITO
IL CODICE DARRIGO
DallOrca alla Placenta Hatshepsut
INDICE
PARTE PRIMA
LORCA E IL MARE IMMANE DEL MALE
PREMESSA
CAPITOLO 1
Genesi e vicenda editoriale
CAPITOLO 2
La fabula e lintreccio
CAPITOLO 3
Liper-lingua del romanzo
CAPITOLO 4
Genealogia culturale e simbologia dellOrca
4.1. Il titolo
4.2. LOrca, Omero e lOrco
4.3. LOrca, Moby Dick e il Leviatano
CAPITOLO 5
Nota sulla prima connotazione dellanimale
nel passaggio da I fatti della fera a Horcynus Orca
CAPITOLO 6
Le piume dellAngelo. Bufalino e il corpo-a-corpo
della cultura siciliana con Horcynus Orca
APPENDICE.
Due gocce nel mare di Horcynus Orca: la Gela di DArrigo
PARTE SECONDA
IL METODO LAICO. IDENTIT APERTA E MEMORIA PLURIMA
DELLOCCIDENTE IN CIMA DELLE NOBILDONNE
PROLOGO
CAPITOLO 1
Hatshepsut e lOccidente
CAPITOLO 2
Pitagora e il magico numero sette per tre
CAPITOLO 3
Di metamorfosi in metamorfosi
EPILOGO
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
PREFAZIONE
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PARTE PRIMA
LORCA E IL MARE IMMANE DEL MALE
PREMESSA
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Ibidem. Per una discussione di questo problema in relazione a Camilleri si veda linteressante Introduzione di Antonio Buttitta (che non
a caso cita Steiner) alla raccolta di saggi di autori vari che costituisce
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Nei giorni in cui mi aggiravo, solitario e stupefatto, nei meandri di questo romanzo unico nel panorama
letterario del Novecento, ho vissuto in prima persona il
disagio e la frustrazione del lettore appassionato di
cui parla Steiner, acuiti per di pi dal fatto di vivere nella terra che ha dato a Stefano DArrigo non solo i natali,
ma anche lhumus storico, antropologico, linguistico e
topografico per la sua opera di una vita. Ecco perch ho
deciso di scrivere qualcosa intorno a questopera immensa e ancora colpevolmente poco frequentata persino da
chi, come i siciliani, hanno il privilegio culturale e linguistico di poterla apprezzare fino in fondo (o quasi) nella sua miracolosa ricchezza espressiva.
Quello che qui presento non uno scritto accademico (sono gi abbastanza gli studi specialistici, come
saggi e tesi di laurea, dedicati a questo romanzo e sepolti
nelle nicchie polverose di alcune Universit), ma una
sorta di diario di viaggio che sotto lo sforzo del rigore
espositivo e dellaccuratezza delle osservazioni paesaggistiche vuole far risuonare soprattutto lemozione della
ricerca e lo stupore della scoperta. Esso, dunque, si presenta sia come una introduzione al romanzo per i non
il volume Il caso Camilleri. Letteratura e storia (2004), pp. 11-17
(cfr. in particolare p. 13). In uno dei saggi contenuti nel volume, Teatri siciliani della storia. Da Sciascia a Camilleri di Nino Borsellino
(pp. 48-53), poi, si trovano delle interessanti osservazioni su Horcynus
Orca, definito lopus magnum, la massima realizzazione creativa della sicilianit (cfr. in part. pp. 51-52).
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accompagner il lettore in un viaggio di ritorno allucinante che luscita non pi dal labirinto del testo, ma
dalla vita tout-court: quella di Ndrja Cambra, quella
della Storia, quella del Mondo, e quella dellOrca stessa,
la cui morte simbolo e correlato oggettivo del finimondo esistenziale, storico e cosmico annunciato dal
romanzo. Ecco perch, alla fine del viaggio, il lettore navigato ha come limpressione che questo Minotauro ricordi non tanto quello del mito, quanto piuttosto quello
di Borges, cio quellAsterione il quale, anzich giovani
vittime sacrificali, aspetta nella sua casa dalle infinite
porte larrivo di un redentore, ovvero di qualcuno che lo
liberi da se stesso e dal suo destino di morte, al punto che
lancora incredulo Teseo, dopo averlo ucciso, potr dire
ad Arianna le stesse parole di piet perplessa che vorrebbe pronunciare il lettore dopo essere giunto finalmente al termine di Horcynus Orca: Il Minotauro non s
quasi difeso.4
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CAPITOLO 1
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Siciliano1, e cimentandosi in unopera di narrativa di ampio respiro, La testa del delfino, scritta di getto in quindi-
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miscuglio di italiano e dialetto siciliano, fosse accompagnato da un Glossario a cura della redazione.3
Nel frattempo DArrigo, che dopo luscita
dellestratto sul Menab si vede arrivare offerte da Einaudi, Garzanti e Feltrinelli (cosa allora inaudita per un
autore pressoch sconosciuto e alla sua prima prova narrativa), rivede ulteriormente il romanzo da consegnare
per contratto a Mondadori in tempi brevi. Il titolo provvisorio, come si apprende dal carteggio, ora I fatti della
fera, e il dattiloscritto definitivo (1305 cartelle) viene
finalmente mandato alleditore nel settembre 1961. Sembra fatta, perch subito dopo la casa editrice manda a
DArrigo le bozze, che per contratto devono essere corrette in un mese circa, e DArrigo cos sicuro di farcela
che rifiuta laiuto di alcuni collaboratori di Mondadori,
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In occasione di questa pubblicazione emerge gi in tutta la sua evidenza il difficile carattere di DArrigo, il quale, convinto della natura
autoreferenziale e autosufficiente della lingua del suo romanzo e
quindi resto ad essere considerato uno scrittore che usa in maniera
occasionale ed estrinseca il dialetto, si rifiuta di compilare un glossario dei termini dialettali accompagnati dalla traduzione in italiano,
cos come richiestogli dalla redazione. A luglio manda persino un telegramma a Calvino per chiedergli di avvertire i lettori, nel caso avessero deciso di pubblicare comunque il glossario (che intanto qualcuno
- forse addirittura Guttuso, come ipotizza lo stesso DArrigo in una
lettera a Zipelli - aveva approntato e che la redazione si era premurata
di sottoporre alla sua visione e approvazione), che egli si era opposto
alla sua realizzazione rifiutandosi anche di compilarlo in prima persona. Cfr. Cedola 2000: XLIII-XLIV.
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Al momento delluscita del romanzo, per, la critica non unanime nel giudizio sul valore dellopera.
Leccessiva attesa, lenorme mole, la lingua difficile per
i non siciliani o comunque per i non specialisti di linguistica (o meglio di dialettologia connessa allantropologia, come precisa Salvatore Trovato parlando del
lettore ideale del romanzo9), sono forse allorigine, insieme o separatamente, di alcune stroncature che oggi
appaiono ingenerose e assolutamente superate. Ad esempio, Enzo Siciliano intitola la sua recensione QuestOrca
la cucino in fritto misto10; Pietro Citati parla di un bellissimo libro rovinato dallincon-tinenza dellautore11;
Paolo Milano, infine, sostiene che il capolavoro non
c12. I consensi, per, sono pi numerosi: Lorenzo
Mondo scrive che con DArrigo la letteratura assume il
valore di unesperienza assoluta, totalizzante13; Geno
Pampaloni parla di un capolavoro grandioso, sofferto,
solenne, disperato14; Giuliano Gramigna esalta in Horcynus Orca il lungo viaggio fra mito e romanzo15. Discorso a parte merita Walter Pedull, il quale sin da prima
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Siciliano 1975.
Citati 1975.
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Milano 1975.
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Mondo 1975.
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Pampaloni 1975.
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Gramigna 1975.
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CAPITOLO 2
LA FABULA E LINTRECCIO
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vistocogliocchi anzich sul sentitodire, finch si scava un letto-bara sulla sabbia in attesa della morte.
Dopo i quattro giorni di marcia lungo la costa calabrese, Ndrja arriva la sera del 4 al paese delle Femmine (Bagnara). Qui dovr trovare una barca per il trasbordo clandestino sulla costa siciliana, dato che non pu
scendere oltre verso Scilla e Villa perch lo Stretto e il
traghettamento sono controllati dagli inglesi. Il paese delle Femmine infestato da un tanfo pestilenziale derivante
dal particolare trattamento da parte delle femminote della
digustosa carne di fera (delfino), lunico animale, eterno nemico dei pescatori per la strage di pescespada e di
reti che compie per puro divertimento, che si riesca a trovare a riva, morto o per le mine o per indigestione. Mentre i compagni entrano nelle case delle femminote per
mangiare e bere (ci che provocher loro una diarrea terrificante e una sbornia soporifera), Ndrja va sulla spiaggia e la vista del cimitero dossa di fere gli suscita sogni,
ricordi e visioni dal forte significato simbolico e prefigurante (come il sogno delle fere trentenarie che vanno dignitosamente, cio da delfini, a morire carbonizzate
nelle cavit ardenti di Vulcano, cui segue il sogno di lui
che porta la buona novella ai diffidenti pescatori di Cariddi, i quali vi leggono invece la sua degenerazione culturale e quasi la sua depravazione omosessuale dovute
alla guerra e alla vita militare). A questo punto, una delle
femminote, la misteriosa Ciccina Circ, insieme una sirena (secondo una teoria di Mim Nastasi, non a caso un
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Acireale), morta da circa 15 anni, mentre, come le femminote, tratta con aceto la ventresca di una fera spargendo un fetore intollerabile nella cameraperdormire.
Nelle interminabili due parolette con cui lo tiene sveglio, dispiegate in nove quadri da cantastorie, il padre
racconta al figlio gli ultimi avvenimenti che, dal mese di
agosto, sono accaduti a Cariddi e che lo hanno spinto a
rinchiudersi in casa da giorni per risentimento nei confronti della comunit: 1) il sole infernale del 17 agosto; 2)
il nefasto accoppiamento del sole con la guerra, che ha le
fattezze di una vecchia e laida prostituta; 3) larrivo di
unorda di cetacei che assedia lo Stretto e 4) fa una Roncisvalle di pescispada; 5) unintera famiglia, padre, madre
e tre figli, saltata in aria nel sonno per una bomba daereo
straviata; 6) il suicidio in mare di un gruppo di anziani
pescatori guidati dal No dei cariddoti, il vecchio Ferdinando Curr, che, in occasione del terribile cataclisma
che sconvolse Messina il 28 dicembre 1908, aveva salvato donne e bambini caricandoseli sulle spalle e portandoli
sulle alture; 7) la Ferame, ovvero la fame con la faccia
di fera; 8) il suo ritrovamento di sei cadaveri di fascisti
mitragliati dagli aerei inglesi mentre banchettavano con
una testa di fera al centro della tavola; 9) la sua bravata
notturna in cui va a sfidare da solo su una barca un grosso
cetaceo, Manuncularais, cui riesce persino a tagliare, con
un pugnale volatogli dalla mano, la punta della pinna
dorsale prima di essere ributtato a riva nellindif-ferenza,
per lui offensiva, dei suoi compaesani per limpresa.
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Nel corso del giorno seguente (domenica 5 ottobre), Ndrja apprende la grossa novit: da quattro giorni
(cio dal giorno della sua partenza da Napoli),
unimmensa Orca, puzzolente di carne morta per via di
una piaga enorme sul fianco sinistro, si stabilita nelle
acque dello Stretto e nella sua agonia carica di presagi di
morte arrivata persino a sfamare i cariddoti con i banchi
di cicirella (anguille nate da poco) sollevati in superficie nel corso dei suoi inabissamenti notturni. Nel pomeriggio Ndrja va a trovare la sua Penelope, la giovane zita Marosa, la quale lo ha atteso promettendo a Dio di ricamare tutti i pesci del mare in cambio del suo ritorno e
tenendosi pronta a disfare ogni volta i ricami (quando Dio
si fosse distratto), nel caso avesse esaurito il catalogo dei
pesci conosciuti. La sera di quello stesso giorno, il futuro
suocero Luigi Orioles, la guida spirituale della comunit
di pescatori, lo invita a recarsi lindomani a Messina per
verificare la situazione e soprattutto per informarsi se
possibile, ora che i nazifascisti sono stati cacciati
dallIsola, ordinare una palamitara, la barca vitale per
la loro economia basata sulla pesca.
Lindomani (luned 6), Ndrja scende verso Messina con il fratello di latte Masino, e lungo la strada,
dopo aver incontrato solo desolazione e distruzione in un
paesaggio popolato da donne che espongono i ritratti dei
loro uomini partiti in guerra e non ancora tornati, incontra
il Maltese, lo sbrigafaccende del Town-Major di Messina, un personaggio ambiguo (soprattutto sessualmente)
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che in compagnia di un losco scagnozzo va in giro in carrozza per reclutare, dietro compenso di 500 lire, tredici
giovani messinesi da impiegare in una regata contro gli
angloamericani prevista per il sabato successivo nel porto
di Messina. In un primo momento Ndrja, nonostante il
Maltese, evidentemente attratto dalla sua prestanza fisica,
gli offra addirittura mille lire, non fa molto caso
allofferta, anche se in cuor suo si chiede se quei soldi
basterebbero come anticipo per una palamitara. Nel frattempo, a Cariddi, attratti dalla prospettiva di smerciare la
carne dellOrca spacciandola per tonno, due rigattieri si
presentano con unex Camicia Nera, Dumdum (noto in
Abissinia per la sua cinica destrezza nel maneggiare le
bombe), assoldato per finire lOrca con le sue bomboatte. Il feroce individuo, dopo vari tentativi andati a vuoto,
riesce a colpirla riaprendole lo squarcio sul fianco sinistro, mentre le fere, intuita la vulnerabilit e la cecit
dellOrca, architettano un piano dattacco per mozzarle la
coda.
Venne marte e marte veramente fu per
lorcaferone (p. 758). Il 7 ottobre il gior-no pi lungo,
sia sul piano della narrazione sia su quello degli avvenimenti. Allalba, le fere attaccano in massa lOrca e la
scodano in uno scontro epico, nonostante il suo carattere
maganzese e roncisvalloso. A questo punto, essendo
certa la sua morte, i pescatori discutono lungamente sul
da farsi, e alla fine prevale lidea, degradante per la loro
etica ma vitale per la loro economia, perch ridotti in mi-
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ti dalle associazioni fonomorfologiche e semantiche prodotte dalle parole biascicate da Luigi Orioles, che ai suoi
occhi visionari si erge a simbolo della decadenza e della
mutazione antropologica di tutta la comunit (la quale nel
frattempo mormora alludendo volgarmente ai favori sessuali che lui chiamato a concedere al Maltese per salvare la patria, p. 946). Riecheggiando nella sua mente
ipereccitata e amareggiata la frase Si fece lontana la barca, Ndrja e le parole sempre pi atomizzate e ricomposte barca, bara e arca (addirittura oreocchiate, in
una complessa triangolazione psicologico-percettiva di
echi, sulla bocca di un secondo anziano pescatore seduto
sotto la Lanterna Vecchia del Faro), Ndrja scende negli
abissi della sua psiche e della sua memoria, da cui ripesca
quasi tutte le figure simboliche incontrate nei giorni precedenti, nonch molti ricordi dinfanzia, e ha visioni che
sono allegorie della fine del suo mondo. Alla fine si rende
conto che quelle parole che si implicano a vicenda sono
intercambiabili e rimandano sempre e comunque alla
morte (La barca della vita si scopre sempre pi arca,
sempre pi bara che va incontro alla morte, p. 985), visto che lunica arca di salvezza a loro disposizione
lOrca (ora detta orcarca, ibidem), ovvero la Morte
stessa, per giunta morta e incarognita.
Intanto il Maltese sbarca e va di persona a chiedere a Ndrja di partecipare alla regata, e questi accetta
chiedendogli per, e ottenendo, di far arenare lOrca con
lo zatterone. Quando la carogna dellOrca, che nel frat-
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tempo morta, portata a riva, la comunit sembra rinascere a nuova vita nellentusiasmo di intraprendere
lopera di smembramento dellanimale in una sorta di
banchetto macabro, e Ndrja, prima di imbarcarsi con
Masino (il suo ingaggio un altro favore che egli chiede
al Maltese) sullo zatterone che lo porter a Messina, va a
salutare Marosa, la quale nel frattempo, distrutta dal dolore per la nuova partenza dellamato, ha cominciato a
ricamare in nero il suo cuore, sicch lui, come scherzoso
pegno damore che per si trasforma in gesto sacrificale e
presago della sventura, le offre in dono il suo petto da infilzare con lago nella posa dellEcce Homo.
Durante la sosta al Faro, da cui dovr ripartire per
Messina a bordo di un camion con gli altri dieci sbarbatelli reclutati per la regata, Ndrja incontra di nuovo
Boccadopa e Portempedocle, i quali ottengono un passaggio do-po unequivoca contrattazione con lo scagnozzo. Nello stesso momento sente provenire dalla casermetta degli inglesi sulla piazzetta del porticciolo il frastuono
di un baccanaletto, e presto scopre che il coro di soldati
festaioli che cantano Rosamunda accompagnato dal
suono della campanella di Ciccina Circ, di cui lui serba
un ricordo struggente perch glielaveva vista usare durante il trasbordo notturno per alloppiare le fere. Per
Ndrja, che nella sua mente visionaria ha idealizzato, innamorandosene, la figura della femminota facendone una
sorta di maga incantatrice e passionale, un colpo duris-
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ticolare lingua in cui scritto, come vedremo), il romanzo non presenta alcuna suddivisione in capitoli titolati dallesterno che possano consentire pause di riposo al
lettore o fornire appigli di ritmo per la lettura: il testo si
snoda ondeggiando e rifluendo in un unicum narrativo di
rara densit, simulando laspetto del mare dello Stretto in
rema, con i suoi bastardelli, i suoi spurghi e i suoi
rifiuti (cio le correnti secondarie che si dipartono dai
flussi e dai riflussi della corrente principale del mare in
rema nellalternarsi delle maree). Il mare del testo, in tal
modo, procede avanzando e retrocedendo, e la corrente
della narrazione principale si spezza e rallenta producendo correnti secondarie costituite dai ritorni del narratore, dalle digressioni e dalle rievocazioni del passato da
parte dei vari personaggi, ai quali spesso, in un uso calcolatissimo e abbondante del discorso indiretto libero, il
narratore cede la parola.
Le suddivisioni dellopera sono tutte interne alla
narrazione, e quella principale, che grosso modo divide in
due il testo, costituita dai due momenti del nostos del
protagonista e della sua ripartenza verso la morte. Sul piano puramente tipografico il romanzo diviso in tre parti segnalate dal semplice cambio di pagina, che approssimativamente rispettano la partizione suddetta: la prima
parte (dallinizio a p. 343) va dallarrivo al paese delle
Femmine allarrivo a casa sulla barca di Ciccina Circ; la
seconda (pp. 343-616) tutta incentrata sul-lincontro col
padre, dal suo diffidente riconoscimento del figlio al
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suo lunghissimo racconto da cantastorie degli ultimi avvenimenti accaduti a Cariddi (come si vede, le prime due
parti coprono solo le circa dodici ore che vanno dal tramonto del 4 allalba del 5 ottobre, ma sono anche quelle
che contengono quasi tutte le analessi); la terza (pp. 6171082), dopo la rapida presentazione del-lOrca e la segnalazione della concomitanza tra il suo quarto risveglio nel
mare dello Stretto e larrivo di Ndrja, torna indietro nel
tempo alla sera del primo ottobre (giorno dellarrivo
dellOrca, ma anche della partenza di Ndrja da Napoli)
per il riesumo di tutti i fatti del ferone, e tocca uno
per uno in sequenza tutti i giorni fino all8 (se si esclude
quella, cui gi si fatto cenno, allaltezza del raccordo tra
la fine della narrazione in soggettiva del monologo sullo sperone e la ripresa della narrazione oggettiva, c in
tutta la terza parte una sola piega vera e propria
allaltezza della tarda sera di domenica, cio lanalessi sul
primo incontro tra Ndrja e Marosa, avvenuto il pomeriggio prima). Allinterno di ciascuna parte, il flusso della
narrazione scandito in paragrafi (69 nella prima, 58
nella seconda e 89 nella terza) di lunghezza molto variabile (dalle poche righe, come quello di p. 547, alle parecchie pagine), segnalati da doppi spazi bianchi che non
sempre separano nettamente i segmenti narrativi o gli episodi: in alcuni casi, infatti, un unico episodio comprende pi paragrafi (cfr. ad es. il lungo episodio
dellincontro con le femminote nel giardino, pp. 8-46),
mentre in altri si passa da un episodio allaltro allinterno
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Horcynus consiste in una sistematica dilatazione del respiro sintattico dei periodi, nel senso che il discorso indiretto e quello indiretto libero del narrato non solo risultano considerevolmente pi ampi nel complesso, ma gi i
singoli periodi si fanno generalmente molto pi lunghi e
si snodano in una trama articolatissima di frasi incidentali
e di subordinate incassate luna dentro laltra, al punto
che in alcuni casi si arriva a una tale lunghezza che il lettore ha la sensazione di smarrirsi ed costretto pi volte a
tornare indietro per ritrovare il filo del senso principale
del discorso. Tanto per fare un esempio, quando Ndrja,
verso la fine del romanzo, si trova sul camion che lo porter a Messina e sente il mbmbmb della stampella
di Boccadopa, per descrivere la ridda di ricordi inquietanti che questo rimbombo sinistro gli evoca (lultima volta
lo aveva sentito dalla spiaggia del paese delle Femmine,
poco prima che Boccadopa e Portempedocle stramazzassero a terra schiantati dal falso vino e dal mal di stomaco), DArrigo costruisce un periodo estremamente complesso che da un punto fermo allaltro si estende per ben
65 righe, e prima della capo seguito da altri due periodi, di cui il primo di 18 e il secondo di 8 righe (cfr. pp.
1037-1039). Nei Fatti, tra il momento in cui Ndrja sente
il rimbombo e il momento in cui sente la voce di Boccadopa, passano appena 4 frasi, lunghe, nellordine, 2, 3,
2 e 5 righe, e dopo le prime due c gi la capo (cfr. pp.
629-630).
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CAPITOLO 3
LIPER-LINGUA DEL ROMANZO
La novit e loriginalit di Horcynus Orca stanno, com noto, nella sua particolarissima tessitura linguistica, perch DArrigo ha letteralmente inventato una
nuova lingua, affinata e portata a capacit espressive prima impensabili nel periodo della revisione delle bozze de
I fatti della fera.
Sulla filosofia del linguaggio, ovvero sullestetica
dellespressione che informa di s ogni singolo atomo
linguistico del romanzo, lo stesso DArrigo a fornirci le
informazioni pi illuminanti in unintervista rilasciata nel
1985:
Ho costantemente cercato di fare coincidere i fatti
narrati con lespressione, la scrittura con locchio e
con lorecchio, rifiutando qualunque modulo che mi
apparisse parziale, astratto o intuitivo, cio non completo e assoluto. Non ho rinunciato a nessun materiale
linguistico
disponibile
perch
sono
partito
dallobiettiva sicurezza che i luoghi della mia narrazione luoghi topografici ma soprattutto luoghi del te-
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sto restino un fondamentale punto dincontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni
volta che ho adoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente il
corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e mirare il vocabolo finch non giudicavo davere raggiunto lespressione completa: fino al
momento in cui guadagnavo la certezza che il risultato
ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalit
lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che,
sulla pagina finita, la scrittura parlasse.19
Da questo passo, ma anche da una lettura passabilmente attenta dellopera, risultano confutate quelle descrizioni superficiali della lingua di Horcynus Orca (che
spesso capita di leggere) che la presentano come una
struttura costituita da vari livelli sovrapposti: quello del
dialetto, quello dellitaliano comune, quello dellitaliano
letterario o colto e infine quello dei neologismi. In realt
la lingua del romanzo un tuttuno denso e autosufficiente, e suddivisioni come quella precedente non descrivono
minimamente lo stato delle cose, ma possono al massimo
costituire delle semplificazioni astratte e con funzione puramente didascalica. Quello che invece si dovrebbe dire
che la lingua di Horcynus Orca si configura come una
iper-lingua che nellinsieme molto pi della somma
delle suddette parti.
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Come si vede, Camilleri usa un impasto linguistico che non pi pienamente dialettale ma non anco20
Al 1935, e ai transiti nello Stretto delle navi fasciste dirette in Abissinia, legata unimportante analessi del romanzo, cio lepisodio
dellEccellenza fascista che prima ordina dalla sua nave ai pescatori
cariddoti di lasciare andare la fera da loro catturata e spubblicata per
vendetta, poi impone loro di chiamarla delfino e di adorarla come
un fanciullo divertente, elegante, bello, puro, vergine e martire, e infine fa il tiro al bersaglio scaricando in testa allanimale i sei colpi del
caricatore del suo moschetto: cfr. pp. 178-184.
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Camilleri 2003: 9.
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Per me il dialetto, meglio sarebbe dire i dialetti, sono lessenza vera dei personaggi. () Nel romanzo storico, un certo lavoro di ricerca
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CAPITOLO 4
GENEALOGIA CULTURALE
E SIMBOLISMO DELLORCA
4.1. Il titolo
La prima questione da affrontare riguardo
allOrca e al suo significato nel romanzo concerne la particolare denominazione scelta da DArrigo nel titolo, perch il grande mistero che circonda lanimale comincia
proprio da l.
Se abbastanza noto che il nome zoologico
dellOrca Orcinus Orca (o Orcynus Orca), meno
noto il fatto che lespressione Horcynus Orca non ricorre mai nel romanzo (per essere pi precisi non ricorrono mai per esteso neppure le espressioni Orcinus Orca e Orcynus Orca). Per i pellisquadre di Cariddi
(vale a dire i pescatori, cosiddetti perch hanno la pelle
ruvida come quella dello squadro, cio lo squalo, che a
sua volta prende il nome da squadrare, ovvero lisciare e
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pareggiare il legno ruvido con la cartavetrata: pelli, insomma, come la cartavetrata, ma pi che pelli, caratteri,
p. 254), lOrca il ferone, cio la grossa fera, perch
con la fera essa condivide una caratteristica fisica ben
precisa (oltre naturalmente a quella comportamentale
della ferocia): la coda piatta invece che di taglio (p.
618). Quando per il navigato signor Cama, basandosi
sul suo inseparabile manuale di cetologia illustrata, spiega loro che lanimale arrivato nello scille cariddi
unOrca, dice via via che essa lorcinusa, lorca orcinusa, lorcynus (questultima espressione ricorre solo una volta, mentre le altre verranno poi ripetute spesso),
per far capire che gi nel suo nome (omen nomen)
scritto il suo destino di animale assassino, creato da Dio
solo per ammazzare gli altri e impersonare cos la stessa
Morte (cfr. pp. 657). Per il resto, lOrca, quando non
detta semplicemente orcinusa, connotata nei modi pi
svariati nelline-sauribile suppurazione linguisticomorfologica del romanzo, ogni volta per sottolinearne
una sfumatura diversa, ma comunque legata alla ferocia,
alla morte e alla putrefazione: oltre ai frequentissimi orcaferone (da orca+ferone) e orcagna26 (da or26
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con la malattia e la morte, dei cui segreti lOrca depositaria (essa la Morte stessa, ma nella piaga raccoglie la
cicirella da donare ai pescatori, e la cicirella la prima
manifestazione del pi enigmatico, originario e resistente
mistero di vita di cui si parli nel romanzo: le uova
dellanguilla, alla vana ricerca delle quali un vecchio ittiologo dedica tutta la propria esistenza: cfr. pp. 131138). 32 Infine, la y una lettera greca (Y) passata al latino, e dallo stesso padre fondatore della cultura greca proviene lidea mitopoietica, poi ereditata e consolidata dai
poeti latini, di popolare di creature di inaudita ferocia la
Sicilia e il mare dello Stretto (Scilla e Cariddi, il Ciclope,
ecc.).
LOrca, dunque, in quanto Orco e Leviatano nello stesso tempo, si presenta come il luogo dincontro di
due tradizioni generalmente ritenute alternative nella cultura europea, ovvero quella classica, omerica, grecoromana, e quella ebraico-cristiana, assumendo cos laspetto di un segno simbolico mostruosamente ( il caso
di dirlo) significante. Occorrer, quindi, analizzare sepa-
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Cfr anche il seguente passo: Quello [lOrca], arcano di morte, questo [la cicirella], arcano di vita: erano come il principio e la fine del
mare, e si erano toccati l, sotto i loro occhi, e ora erano l frammischiati, cicirella ed orca, i pescicelli della vita pullulanti nella piaga
incarognita, dentro il fianco cavernoso della morte () Il male ha bisogno del bene, no? E la morte della vita, senn la Morte stessa morirebbe per difetto duso (pp. 662-663).
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dio, in cui il mondo abbandonato da tutte le divinit celesti ed lasciato in balia solo di quelle ctonie e dei loro
emissari pi feroci: i dittatori che scatenano le guerre, le
fere e, soprattutto, a riesumo simbolico di ogni forza
del male, lOrca/Orco. Tutto muore nel romanzo, inghiottito dallo sbadiglio delle fauci dellOrco: muore la forma
di vita secolare dei cariddoti, i quali, se non scelgono il
suicidio (come ha fatto Ferdinando Curr, leroico salvatore di donne e bambini nel corso del disastroso terremaremoto del 1908), possono sopravvivere solo adeguandosi a scendere a patti con i bassifondi del nuovo ordine
del dollaro e con i suoi metodi cinici e utilitaristici, i
cui profeti al livello pi basso sono figure equivoche e
parassitarie come lo scagnozzo e il Maltese; muore
Ndrja, nel tentativo donchisciottesco di arrestare la storia
nellattimo in cui essa stritola con somma indifferenza i
pi umili; e infine, a suggellare il Trionfo della Morte
sulla sua stessa manifestazione fisica pi emblematica,
muore lOrca, dopo aver dato lillusione beffarda di essere una divinit benigna apportatrice di manna, quando
invece, come ripete Luigi Orioles, la verit bruta che la
sua apparizione in superficie un effetto casuale degli
inabissamenti del mostro marino, e se mai segno di
qualcosa, segno solo dellinutile tentativo di
questultimo di andare a distruggere la vita stessa alla radice (cfr. p. 663 e p. 667).
67
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70
rapporto che nelle varie culture umane sussiste tra il colore bianco, il terrore e la Morte (e ci vanno di mezzo pure i
poveri albini).
Abbiamo gi elementi sufficienti per ricondurre
lOrca di DArrigo, tramite Melville, entro lalveo della
cultura ebraico-cristiana, perch un animale unico, ubiquo e immortale pu essere stato creato solo da Dio e direttamente, e questo il signor Cama non si stanca mai di
ripeterlo ai pellisquadre (cfr. ad es. pp. 657-658, 666,
689, 796). Ma queste caratteristiche della sua balena,
Melville, pi esplicitamente ancora di DArrigo, le riconduceva direttamente al mitico mostro biblico, come si vede gi a partire dal fatto che lampio catalogo di citazioni
cetologiche posto a vestibolo del romanzo comincia con
ben cinque passi biblici: Genesi, I, 21; Giobbe, XLI, 24;
Giona, I, 17; Salmi, CIV, 26 e Isaia, XXVII, 1, tre dei
quali, cio il secondo, il quarto e il quinto, menzionano
esplicitamente il Leviatano.
b) Quando Cristina Schir, quella specie di gigantessa nana () che faceva unguenti e medicamenti
con le ossa di fera, tirava fuori i figli dal ventre delle madri e aiutava lanima a partirsene per dove doveva (p.
674), cos intrigata quindi con la stessa divinit (p.
675) che per lei erano le cose pi naturali di questo
mondo, quelle dellaltromondo, sostiene che lOrca ha
donato ai cariddoti la cicirella perch posseduta
dallanima protettrice del No Ferdinando Curr (suicidatosi in mare insieme ad altri vecchi pellisquadre), e il si-
71
gnor Cama, al fine di razionalizzare la fantasia superstiziosa della donna, suggerisce che forse lOrca ha inghiottito il corpo del grande vecchio della comunit, la donna
gli chiede: vossia intende dire che se lincamer nella
panciona, nel senso che laddntro vive come Giona nella
balena?; al che il Delegato di Spiaggia risponde: s,
brava, una specie di questo intendo dire, una specie
(p. 684).
Quando lOrca, ormai scodata e morente, in un
ultimo, feroce e rabbioso sussulto di vita si vendica facendo une-catombe di fere maganzesi, DArrigo d
una descrizione delle sue fauci terrificanti (si aprivano e
chiudevano pestando, sputando, inghiottendo, eruttando
carne ossa sangue, co-me una bocca di un cratere vulcanico, abitata di vampe, fosca di tenebrosi bagliori, p.
809) che non pu non richiamare alla mente il coccodrillo-Leviatano di Giobbe, XLI, 11-13: Dalla sua bocca
escono faville,/ ne sprizzano come scintille di fuoco./
Dalle sue narici esce fumo,/ come da pentola bollente e
da caldaia./ Il suo alito accende i carboni,/ e fiamma esce
dalla sua bocca.
noto che i testi biblici non sono chiari
sullesatta natura del Leviatano (Balena? Drago? Idra?
Coccodrillo?), e questo forse spiega le varianti mitiche
che gli altri testi ebraici non canonici o di commento a
quelli canonici, come i libri apocrifi, il Talmud Babilonese e i midrashim haggadici, hanno prodotto e accumulato
intorno a questo mostro originario. Seguendo lampia,
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dettagliata e documentatissima panoramica su queste varianti che costituisce il sesto capitolo de I miti ebraici di
Robert Graves e Raphael Patai36, metter in evidenza
quegli aspetti relativi al Leviatano che ricordano pi da
vicino lOrca darrighiana.
1) In origine, pare che Dio avesse creato una femmina e un maschio di Leviatano, ma poi, per impedirne la
proliferazione, macell la femmina e castr il maschio.
Sulla solitudine e sullunicit dellOrca DArrigo, attraverso lesperto Cama, insiste molto, come abbiamo visto,
e in unoccasione rappresenta malin-conicamente lOrca
nellatto di cercare in se stessa la femmina per accoppiarsi: girava, percosdire, tornotorno alla sua immensa mole affusolata e facendo perno su se stesso, con
limponente fianco destro, nero pieno compatto, pareva
sbandare, inclinarsi e cercarsi tormentosamente sul fianco
sinistro massacrato, sfondato vuoto, con quellestraneo,
incredibile biancore di carne sfatta, per cui si aveva ogni
volta limpressione come se fossero veramente su ogni
fianco due animali diversi, e magari uno maschio e laltro
femmina, che si cercavano, bramavano din-contrarsi e
unirsi e questo accoppiamento invece, non sarebbe mai
stato possibile (p. 651).
2) Quando il Drago (un altro mostro spesso identificato col Leviatano) si vant di aver creato tutti i fiumi e
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sto del fetore di carogna uno degli aspetti principali dellorcagna, su cui DArrigo torna continuamente.
4) Secondo alcuni esegeti, Dio ha creato un solo essere temuto dal Leviatano, e si tratta di un piccolo pesce
che vive a branchi, il Chalkis, generalmente identificato
o con la sarda o con laringa. Una delle pagine pi
commoventi di Horcynus Orca riguarda proprio i martirii dellagonia lunga e dura dellOrca, che, ormai scodata e indifesa, attaccata e sbranata da un enorme banco
di sarde, le bazzicanti di carogne (cfr. pp. 768-770).
5) Secondo una versione del mito, Dio uccide il Leviatano legandogli la lingua con una corda e infilzandogli le mascelle, dopo averlo afferrato con un gancio e
tratto fuori dagli abissi; poi ne getta la carcassa sul fondo di una barca e la porta in giro come se andasse al
mercato. E unaltra versione aggiunge che Dio preparer un grande banchetto con le sue carni distribuendole
per le vie di Gerusalemme a un prezzo equo (affinch i
giusti che non hanno mai potuto permettersi la carne
potranno beneficiarne), e far tende e ornamenti per le
mura della citt con la sua pelle, che dureranno sino alla
fine del mondo. LOrca trainata a riva dallo zatterone
inglese con una corda legata ai suoi denti da Masino, e il
suo destino quello di risollevare le sorti dei pellisquadre, i giusti ingiustamente martoriati e ridotti alla miseria, che potranno smembrarla e svenderla al mercato del
pesce, mentre con le sue ossa e con la sua pelle potranno
fare per s e persino smerciare scarpe, coltelli, for-
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Dellomosessualit Ndrja ha avuto unesperienza perlomeno indiretta e traumatica al tempo in cui si trovava in servizio sulla corvetta,
perch a un certo punto ripensa con orrore allinfame Capo Tarantino,
quello che sinculava i signorini tipo Signor Monanin (p. 974); e il
Signor Monanin, lo smidollato veneziano che per culla aveva una
gondoletta imbottita e tutta foderata di trine e pizzi e aveva ricami e
svolazzi, nappe e nappine, cappotte e tendine, veli e velari per non
farlo bruciare dal sole o sporcare dalle cacatine di mosche (p. 193), si
rif violentando linguisticamente (e riproducendo cos la guerra del
fascismo contro i dialetti locali) i sottoposti come lui e Crocitto e obbligandoli a chiamare con leffeminato termine italiano delfino
lanimale che per il loro dialetto e per la loro vita la fera (cfr. pp.
194-203).
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gigantesco neo di desio, una gigantesca insoddisfatta voglia dorca incinta, stampata sulla pelle del figlio (p.
1015).
Infine, come lOrca, che, dopo aver donato ai pescatori la manna della cicirella, offre loro in pasto tutto il
proprio corpo39, Ndrja d tutto se stesso e poi anche la
sua stessa vita per guadagnare quelle mille lire utili
allacquisto della barca, arca di salvezza per leconomia
del-la comunit, dopo essersi prodigato per ottenere che
gli inglesi arenassero lanimale morto. E il romanzo si
chiude con il quadro messianico-escatologico di lui morto
nella sua barca-bara portata come unarca dellalleanza ai
cariddoti, che nel frattempo stanno consumando il banchetto dei giusti attorno al corpo dellOrca.
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CAPITOLO 5
Per unanalisi generale della tecnica dellaggettivazione in Horcynus Orca, con tutte le sue implicazioni semantiche e strutturali sulla
topologia linguistico-espressiva del romanzo, si veda Gatta 1991: 483495.
79
p. 618). lOrca, infatti, la grande novit, il fatto inquietante che trova Ndrja al suo ritorno a Cariddi, nonch
lassoluta protagonista fisica e simbolica del romanzo a
partire gi dal titolo.
Il processo di avvicinamento narrativo-espressivo
allOrca giunge alla esplicita, precisa e diretta denominazione dellessere nel passo appena citato (Era lOrca),
che apre il secondo paragrafo della parte terza e che nelle
due redazioni, almeno fino a immortale, identico, se
si trascura qui perch meriterebbe ben altra attenzione
lo strano uso del maschile ne I fatti della fera (dove si
aveva: Era lOrca, quello che d morte, mentre lui
passa per immortale, p. 465). Ma prima di arrivare al
nome della cosa, il testo passa attraverso tre tappe successive di denominazione semanticamente sempre pi calibrate e specifiche (novit, fatto, animale), contenute nei primi tre capoversi del primo paragrafo. La cosa
interessante che, mentre le prime due espressioni, piuttosto generiche e perci stesso abbastanza innocue, mantengono non casualmente la medesima aggettivazione
nelle due redazioni (la novit grossa, grossissima, e il
fatto immenso, allarmante), laggettivazione di animale termine ben pi importante perch finalmente indica
la natura della cosa si presenta in Horcynus Orca totalmente diversa rispetto a I fatti della fera. Infatti, mentre in Horcynus leggiamo di ... un gigantesco, misterioso, inimmaginabile animale (p. 617), se andiamo a
guardare il passo parallelo de I fatti, scopriamo che in o-
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b) Pi avanti ancora, in coda al monologo del signor Cama sui pro della presenza dellOrca nel mare
dello Stretto, c in Horcynus un commento del narratore
sulla futilit del teatrino dialogico messo in piedi da
Cama e da Luigi Orioles (sostenitore dei contro) che
del tutto assente ne I fatti (cfr. p. 489), dove dal monologo di Cama si passa direttamente al paragrafo successivo
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qui, forse, in questa esplicita, meti-colosa e sistematica trasfigurazione dellOrca in simbolo ultraterreno e immanente insieme di morte, in divinit ctonia
che persino etimologicamente ha in s, d ed la Morte,
lorigine di quel senso di angoscia esistenziale, storica e
cosmica che pervade il grande romanzo e che inesorabilmente opprime e non lascia dormire il lettore: infatti, in
queste pagine sullOrca poste in apertura della terza parte, e poi in quelle, verso la fine, che costituiscono il grande innesto sul corpo della narrazione de I fatti della fera e
che ci proiettano nel lunghissimo e snervante delirio
mentale del protagonista sullo sperone, in cui la lingua
schiuma e vortica attorno allidea e ai veicoli (barca,
bara e arca) della morte e della dissoluzione degli
uomini di Cariddi e del loro mondo (che il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale), in uno sconquasso che
coinvolge, scardinandoli, tutti i suoi livelli, da quello fo-
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CAPITOLO 6
LE PIUME DELLANGELO.
BUFALINO E IL CORPO-A-CORPO DELLA CULTURA SICILIANA CON HORCYNUS ORCA
Cfr. Bufalino 1985, ora in Bufalino 2001: 815-1022 (il Codicillo a DArrigo alle pp. 889-890).
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di parlare con Matteo Collura il 19 gennaio 2007 a Milano, in occasione della presentazione al Castello Sforzesco
dellAlmanacco del Bibliofilo, cui partecipava anche
Umberto Eco (che dovevo intervistare45). Matteo Collura,
amico di Sciascia e autore di una fondamentale biografia
del Maestro di Regalpetra46, mi ha spiegato la cosa ricorrendo a una citazione rivelatrice, che individua perfettamente il genere di repulsione che Sciascia poteva nutrire per DArrigo (anche se forse non spiega del tutto il silenzio). Secondo Collura, Sciascia applicava a DArrigo
la distinzione tra lo stile di cose e lo stile di parole,
introdotta da Pirandello nel celebre discorso del 2 settembre 1920 al Teatro Bellini di Catania per gli ottantanni di Verga47 e applicata rispettivamente a varie
coppie di autori italiani tra loro pi o meno coevi, come
Dante e Petrarca, Machiavelli e Guicciardini, Ariosto e
Tasso, Manzoni e Monti, Verga e DAnnunzio. In tal
senso, secondo quanto Collura ha potuto appurare nelle
sue conversazioni con Sciascia, questultimo probabil45
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Camilleri 2000.
Camilleri: 2007.
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Per maggiori dettagli sugli echi darrighiani in Camilleri rimando a Trainito 2008: 82-87.
51
Grasso 1997: 170.
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Grasso 2006: 31.
95
la parola levigata e alta e del periodo elegantemente articolato nel respiro apparentemente involuto, e con Sciascia e Camilleri predilige laurea brevitas, la misura
classica del tempo dei testi propri e altrui. Ecco perch
lapparizione, nel 1975, del corpo smisurato del romanzo
darrighiano, costruito con un periodare che trama ossessivamente nel testo il labirinto acquatico degli spurghi
e dei bastardelli del mare in rema dello Scille Cariddi
per introdurre e perdere il lettore nel regno dellOrcoMinotauro, lo lasci sconcertato e lo indusse ad abbandonare per insofferenza da libertino il corpo-a-corpo con
lAngelo. Ma fu una scelta di cui egli ebbe a pentirsi e
sette anni dopo lo riconobbe con grande onest intellettuale in un breve testo che anche una stupenda ripresa
contemporanea dellantico genere letterario della palinodia. Con esso, dunque, mette conto concludere:
Non ero cos da giovane, ma da qualche
tempo in qua non amo coi libri le relazioni prolungate, bens, da libertino in transito, le estasi
momentanee, le avventure in un portone. Sicch
sono uno di quelli che non hanno letto Horcynus
Orca sino alla fine.
Non tanto per debilit fisica o umana impazienza; quanto per limpressione, divenuta presto
umiliazione e rimorso, che il tempo di quelle pagine fosse diverso dal mio, e che mi bisognassero
troppe ore per educarvi lorecchio e poterne catturare la difficoltosa, gloriosa scansione. A di-
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stanza di anni le cinque o seicento pagine delibate allora, pi le molte altre scorse, annusate, aperte direbbe lautore allorbisca, lievitano
nella memoria con una leggerezza inattesa, perdono quellantico colore di grondante e impervia
immanit, viene voglia di rivisitarle con animo
ingenuo.
Nulla di men che naturale, in questa resipiscenza: non la prima volta che sento unopera,
senza rileggerla, ringiovanire e spostarsi dentro
di me. Cos oggi esiterei meno, fra ammirazione
e sospetto, davanti allallegro subbuglio delle invenzioni linguistiche; non chiederei pi a una
macchina mitopoietica di cos alte e legittime
ambizioni una parsimonia impossibile; n cercherei la concentrazione fulminea dove era lecito
attendersi solo la coazione a ripetere e la munificenza delle mani bucate...
Il fatto che nellingegneria narrativa conta
specialmente la virt che taluno vant nel Borromini: dellornato che sappia farsi funzione, al
punto che, se mancasse, ledificio crollerebbe.
il caso dellOrca, mi sembra, e il libro ritorna
oggi per necessaria verifica. Vogliamo riaprirlo
senza pregiudizi, vincere una buona volta le resistenze della cattiva coscienza? Vogliamo provare
a dedicargli, infine, lo stesso allarme e rispetto
che se fosse tradotto dallinglese?
il meno che si deve a un ingegno di cos
malinconica e altera natura, a una dedizione e os-
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APPENDICE
Per stimolare nei lettori gelesi la curiosit di leggere Horcynus Orca, che lesigua schiera di studiosi e
ammiratori - esigua perch il romanzo, oltre a intimorire
per la sua mole, oggettivamente difficile, soprattutto
per i lettori non siciliani, i quali non possono entrare nel
cuore delle miracolose invenzioni linguistiche del testo,
spesso ottenute con linnesto di molte radici dialettali sulla morfologia dellitaliano - annovera tra i capolavori assoluti della narrativa del Novecento, azzarder uno
sguardo dinsieme sul romanzo partendo dalle due ricorrenze in esso del nome della nostra citt.
Le ragioni che mi spingono a questo tentativo che
pu apparire (e per taluni versi ) bizzarro, per, ci sono,
*
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e sono sostanzialmente due: 1) come gi detto, il mio intento qui quello di invitare i miei concittadini che amano la grande letteratura ad avvicinarsi a unopera fondamentale ancora troppo ignorata (addirittura, ahim, tra gli
stessi docenti siciliani di materie letterarie), scritta da un
siciliano e ambientata in Sicilia, in particolare nello Stretto di Messina, tra Scilla e Cariddi; 2) la costruzione
del romanzo, la cura maniacale di ogni dettaglio linguistico-espressivo e la compattezza dei rimandi interni fanno s che il suo tessuto narrativo presenti una forma ricorsiva che ricorda molto i frattali, nel senso che praticamente ogni livello micro-strutturale riproduce in piccolo
la macro-struttura generale del-lopera, per cui isolare e
analizzare due gocce nel mare di testo di questo testo di
mare (che non ha al suo interno alcuna divisione in capitoli proprio per simulare la compattezza, ondeggiante in
flussi e riflussi di correnti primarie e secondarie, spurghi, rifiuti e bastardelli, del mare in rema dello
Stretto) pu riservare le stesse sorprese conoscitive, per
quanto parziali, che lanalisi chimica di un campione
dacqua marina riserva di solito a uno studioso degli Oceani.
In tal senso, spero che la mia operazione una tra
le tante possibili, dato che il testo pieno di luoghi minori analoghi da cui si potrebbe guardare il tutto riesca a
far assaporare lintima anima dellopera con lo stesso
meccanismo di risonanza evocativa attraverso il quale un
uomo, standosene tranquillamente e pensosamente in
100
barca, pu assaporare e sentire lessenza del mare leccandosi le dita bagnate in esso.
Ebbene, come entra in gioco Gela in questo vero
e proprio Trionfo della Morte che si svolge nelle acque
dello Scille Cariddi (cos DArrigo chiama lo Stretto)?
Vi entra, a mio parere, seppure occasionalissimamente,
come luogo topografico che si configura come autentico
luogo dello spirito, perch tutte e due le volte in cui Gela
menzionata siamo in un contesto in cui il Male, quello
del corpo e quello della natura, trova un punto di singolarit in cui esso esprime al massimo la sua potenza dilagante nel mondo. (Noto di passaggio che le due occorrenze della parola Gela sono gi presenti nei luoghi paralleli de I fatti della fera, p. 452 e p. 561, e ci non irrilevante, perch nei quasi quindici anni di rielaborazione
delle bozze DArrigo cambi molte cose anche sul piano
delle indicazioni topografiche).
Nel primo caso, ci troviamo in un microepisodio
che, insieme ad altri due, rievoca liniziazione sessuale di
Ndrja durante ladolescenza, e tutti e tre costituiscono
delle digressioni minori rispetto a una digressione pi
ampia, che ha la funzione di chiarire un sogno erotico fatto dal protagonista sulla riva subito dopo lestenuante
racconto del padre seguito al loro primo incontro (questo
vertiginoso incassamento di digressioni sul passato costituisce la sostanza del tessuto narrativo del romanzo).
Lepisodio racconta di quando Ndrja e i suoi amici in-
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Il senso letterale di questo passo, preso isolatamente, che verso Gela la malattia dellappestato si aggrava e costui costretto a mettersi a letto nella stiva. Ma
perch, ci si potrebbe chiedere, proprio verso Gela?
Che cosa c da quelle parti? Il lettore, per il momento,
non ha alcun motivo di cercare una risposta a queste domande, tanto pi se non di Gela. E se non di Gela, difficilmente si ricorder del passo citato quando, centocinquantasette pagine dopo, si imbatter per la seconda e ultima volta in questo toponimo. Ma il lettore gelese, se
non distratto, non pu evitare a questo punto di tornare
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Erano le villane del Canale, quelle rustiche e rusticazze abitu che informate del grande e memorabile
fatto che stava per succedere sullo scille cariddi, venivano a dargli anchesse la loro incalcata e affogata
allorcaferone. Queste villane, della stessa razza delle
abitu, ma brune o pi brune ancora di quelle, dun
bruno affumicato, e non tanto flessuose, quanto torciute piuttosto, non tanto snelle, sfilate, eleganti, quanto
corte e malecavate piuttosto, queste, se le abitu erano
scabrose, esse erano pessime, con la mentalit grezza
di rusticazze, il carattere tale e quale il colorito affumicato, tinto, pessimo, cio a dire, passato di nero,
mascherato col nerofumo, carattere di fere veramente
africanesche, fere che bazzicano fra Biserta e Pantelleria, fra Malta e Gela.
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PARTE SECONDA
IL METODO LAICO.
IDENTIT APERTA E MEMORIA PLURIMA
DELLOCCIDENTE
IN CIMA DELLE NOBILDONNE
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PROLOGO
zione di conoscenze (...) bens (...) che cosa la conoscenza in s53. Ebbene, osserva Wittgenstein,
lidea, che, per comprendere il significato di un
termine generale, si debba trovare lelemento comune a tutte le sue applicazioni, ha paralizzato la ricerca filosofica: non solo non ha riportato alcun risultato, ma ha anche indotto il filosofo a respingere, come irrilevanti, i casi concreti, lunica cosa che avrebbe potuto aiutarlo a comprendere luso del termine generale. Quando Socrate pone la domanda:
Che cos la conoscenza?, egli non considera neppure una risposta preliminare unenumerazione di
casi di conoscenza. Se io volessi scoprire quale sorta
di cosa sia laritmetica, riterrei del tutto soddisfacente aver indagato il caso di unaritmetica dei numeri
cardinali finiti. Infatti: (a) ci mi condurrebbe a tutti
i casi pi complicati, (b) unaritmetica dei numeri
cardinali finiti non incompleta, non ha lacune che
siano poi colmate dal resto dellaritmetica54.
Nello spirito di questo passo, dunque, io qui
eviter di rispondere a domande del tipo Che cos
la laicit?, ma esibir piuttosto quello che vorrei
chiamare il metodo laico, che a mio parere dovreb53
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be distinguere chi, come si espresso Giulio Giorello che a sua volta citava un passo di Samuel Johnson riferito a Milton -, di nessuna chiesa55, e
pertanto non riconosce rivelazioni divine e dogmi
religiosi, n presume una gerarchia assiologica tra
fedi e credenze storiche, ma tratta ogni fede e ogni
dogma come ulteriore figura del mito, come un luogo culturale segnato da tracce esclusivamente umane
e da percorrere come un borgesiano giardino di sentieri che si biforcano e si dirigono potenzialmente in
ogni altro spazio-tempo allinterno del frattale della
mappa totale della nostra memoria. In tal senso ogni
porta daccesso vale laltra e qui io mi inoltrer nel
giardino della nostra memoria muovendo dal caso
esemplare costituito dal romanzo minore di un autore siciliano noto soprattutto per aver scritto un
grandissimo romanzo che pochissimi, per, ancora
oggi riescono a leggere: Horcynus Orca.
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CAPITOLO 1
HATSHEPSUT E LOCCIDENTE
Naturalmente DArrigo non manca, qua e l, di avvertire implicitamente e allusivamente il lettore di avere a che fare pur
sempre con lautore di Horcynus Orca, e quindi di stare allerta
e di non fidarsi troppo dellapparente linearit espressiva del
testo di Cima delle nobildonne. Ecco perch, ogni tanto, il lettore che abbia nelloreocchio della memoria la morfologia, il
lessico e la sintassi del grande romanzo, riconosce linconfondibile voce di DArrigo anche nellasettica prosa di Cima
delle nobildonne, sia in certe neoformazioni (stranottati, p. 7;
ruminarumina, p. 91; straluciati, p. 105, ecc.) sia soprattutto in certi ritmi del periodo in cui lo stesso andamento sintat-
115
primo era limitata a una strettissima porzione geografica e antropologica dellEuropa meridionale (lo
Stretto di Messina, i pescatori), quella del secondo
spostata nellestremo Nord dellEuropa, a Stoccolma57, dove a darsi convegno sono uomini illustri per
tico a determinare le creazioni morfologiche (procedimento,
questo, che ricorre ossessivamente in Horcynus e ne costituisce, per cos dire, la cifra espressiva). Cfr. ad es. p. 62: Mattia
ne fu sbalordito. Unidea come quella venuta a un operatore
qual era Belardo, operatore-attore, operattore di razza, non poteva non sbalordire: lui stesso, quel grande operattore, proponeva labolizione della sua platea, anche se lanfiteatro era lo
stesso destinato a scomparire con ladozione dei circuiti chiusi.
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Questa collocazione geografica del romanzo, prima facie
molto strana per uno scrittore mediterraneo, da collegare
forse alla probabile provenienza del misterioso popolo degli
arpioni, la cui sconfitta ad opera dellantichissimo Faraone
Narmer celebrata nel corteo trionfale di Hierakonopolis raffigurato nella cosiddetta Paletta di Narmer (in realt un contenitore in ardesia di prodotti cosmetici a due facce, simili alle tavolozze dei pittori). Come dice Planika ai suoi studenti, nella
Paletta sono graffite le strips che girando dalluna allaltra
faccia raccontano per immagini il corteo trionfale che 3500 anni prima di Cristo si svolse nella citt di Hierakonopolis nel
Basso Egitto in onore del Faraone Narmer che tornava dalla
memorabile vittoria ottenuta sul popolo degli arpioni, misterioso popolo marinaro, forse scandinavo, vichingo, scapolato
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Cfr. Feyerabend 1999. Per una coincidenza oltremodo singolare, in questo libro postumo, e in particolare nel quarto capitolo della prima parte, intitolato Brunelleschi e linvenzione della prospettiva, Feyerabend riporta e discute brevemente, tra
laltro, il recto della Peletta di Narmer per sottolineare il carattere animato, cio figurativamente ricco (in contrapposizione
a certe astratte e matematiche stilizzazioni delle estetiche
dellarte figurativa successiva), del falco-simbolo del Faraone
(cfr. Feyerabend 1999: 127-128). Il verso della Paletta, invece,
illustrato fumettisticamente e con lausilio di diapositive da
Planika nella sua prima lezione di Placentologia, il nucleo
ispiratore di Cima delle nobildonne (cfr. soprattutto pp. 17-23 e
89).
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CAPITOLO 2
PITAGORA
E IL MAGICO NUMERO SETTE PER TRE
Forse qui il caso di rilevare che i principali fatti della placenta si svolgono nellarco di alcuni giorni del mese di giugno
del 73 (ad eccezione di unanalessi sulla prima lezione di
Placentologia, avvenuta un anno prima, e su un ulteriore incontro tra Planika e gli studenti, due mesi dopo la prima lezione,
cui sono dedicati i capp. 2 e 3 della prima parte, pp. 17-33).
Lanno non mai indicato esplicitamente, ma pu essere facilmente dedotto, perch sappiamo che Planika e il fratello sono nati il 15 ottobre 1913 (cfr. p. 93 e p. 95) e che Planika
muore a sessantanni (cfr. p. 95 e p. 113). Per quanto riguarda
il mese, esso esplicitamente menzionato (ad es. a p. 73). Per
stabilire i giorni bisogna fare invece dei riferimenti incrociati
tra i diversi e slegati episodi narrati sulla base delle pochissime
coordinate temporali fornite da DArrigo. Facendo un po di
conti, si pu con ogni probabilit stabilire che i fatti vanno da
un venerd (giorno in cui un allievo comunica accidentalmente
a Planika la notizia della scoperta dei K-Seminomi, riportata su
Index Medicus) al gioved successivo (giorno finale in cui Mat-
124
125
momento trionfale del suo addio allattivit agonistica, Planika scorge un modello lontano del suo
stesso momento cruciale, il 3 (e qui non c invenzione da parte di DArrigo, perch quella foto e
la foto di Y.A. Tittle, che ritrae il momento del suo
sprofondare sconfitto nellumano, esistono davvero64); infine, su uno straordinario gioco di parole
(Vergine padre, figlio di tua figlia) con il primo
verso del canto trentatreesimo della terza cantica
dantesca, quello della visione del mistero trinitario,
basata una pagina memorabile in cui Mattia, nel
prendere in braccio il suo Professore morto (in tal
senso un Padre spirituale), atteggiandosi a Madre (in
tal caso il Padre diventa Figlio e il Figlio Madre,
cio Figlia), per trasportarlo dal divano al letto, ha
limpressione di riprodurre la Deposizione (cfr. p.
128).
Ma linsistente apparizione del 7, numero
magico da sempre, dal Genesi allApocalisse, da
Pitagora65 al sapere ermetico, fino allodierna psicologia cognitiva, a indurre il lettore nella tentazione di
deragliare verso elucubrazioni esegetiche di carattere
numerologico. Non star qui a ricapitolare tutte le
64
65
127
una fenomenologia della visione, in tutte le sue possibilit: reale, fantastica, simbolica e onirica. Ebbene, Planika e il figlio spirituale Mattia (come gi
Ndrja e il padre Caitanello in Horcynus Orca) rivelano nel corso del romanzo una grande propensione
a cadere in una febbrile attivit visionaria (p. 101
e p. 103), e se sommiamo le loro apocalittiche visioni-chiave ci accorgiamo che esse sono sette (le prime cinque di Planika e le ultime due di Mattia): 1) la
Leggenda Cassidica dei quattro Rabbi, in quella
cio che come la sacra metafora sul progressivo
smarrimento della fede e della via del Tempio in
mezzo al popolo ebraico, metafora che era tutto
quello che di ebraico un ebreo sradicato ed errante
quale lui in fondo era, si portava appresso come per
farsene un rimprovero per il resto dei suoi giorni
(pp. 101-102); 2) i tre Cavalieri dellApocalisse che,
come folli folletti folleggianti, svolazzano sul cielo di Stoccolma e piombano come falchi piuttosto
grotteschi in quellabbigliamento ibrido di camici e
pezzi di frac per ghermire i fetini che sembrano
librarsi dal ventre di donne che, pur avendo abortito,
vanno in giro spingendo carrozzine vuote (pp. 104106; queste prime due visioni sono a occhi aperti);
3) il sogno del Seminoma antropomorfo che tiene il
130
mia memoria fetale di figlio (p. 14). (Si noti la ricorrenza del lorenziano imprinting nozione famosa delletologia, poi passata alla psicologia
dellappren-dimento , la cui intuizione storica secondo Planika risale alloscuro padre di Narmer, il
quale, pur essendo un nessuno, ebbe la divina divinazione di mummificare la placenta del figlio che
inaspettatamente sarebbe diventato Faraone: cfr. p.
26). Nel corso dellintervento, quando finalmente
Belardo comincia come una talpa a scavare il tunnel
nel corpo di Amina, Mattia vorrebbe allontanarsi, se
non col corpo, almeno con la mente, e guardando
lEmiro al suo fianco pensa tra a s: S, noi potremmo andarcene, oppure restare fisicamente e andarcene coi nostri pensieri e pensare, meditare, ricordare, specie se posiamo gli occhi su una persona
che conosciamo e che qui presente con noi. Allora,
assieme agli occhi poniamo mente, la ricordiamo e
ci ricordiamo di noi ricordandola, quando dove e
come fu che il nostro comune ricordo ebbe inizio
(p. 50). Quando Planika, deluso e ridotto a un torso mutilato dalla sconvolgente notizia della scoperta dei suoi tre colleghi, che comporta la fine del suo
culto di Hatshepsut, si trova solo nella sala riunioni
dellIstituto di Placentologia, si abbandona alla rie132
vocazione di quattro citazioni mediche sui Seminomi per rendersi conto dello stato del problema da cui
sono partiti i tre scienziati per la loro scoperta dei KSeminomi della placenta, seminati nel feto a futura
memoria di morte per cancro: A capo chino, come
leggesse nellIndex che teneva chiuso sulle gambe le
citazioni della scoperta una e trina dei colleghi cacciatori di farfalle, si lasci andare, vagolando con la
mente, su questa via come per una caccia a ritroso di
citazioni, di parti smembrate, di frammenti di citazioni (da Index Medicus? Da Current Contents? Da
Excerpta Medica?) de Seminomibus, citazioni e
frammenti di citazioni che messe confusamente, mutilatamente insieme dalla sua memoria di torso,
prendevano significati da fantascienza, allarmanti e
angosciosi (p. 81). Alla fine del romanzo Irina, dopo aver subito un intervento radicale, parla al citofono con Mattia e, tra laltro, gli dice: Non faccio
che ricordare qui (p. 172). Ebbene, se ora ci solleviamo al di sopra del testo e ne osserviamo
larticolazione complessiva, ci accorgiamo che i
ventuno capitoli, distribuiti nelle tre parti con una
media ovviamente di sette capitoli per parte
(7x3), sono raggruppati di fatto nel seguente modo:
9 nella prima, 5 nella seconda e 7 nella terza. E que133
134
CAPITOLO 3
DI METAMORFOSI IN METAMORFOSI
La presenza di Pitagora in Cima delle nobildonne non si esaurisce certo nelle risonanze numerologiche appena messe in luce. Il romanzo, infatti, a
partire da alcuni degli esiti pi alti della scienza medica moderna (la chirurgia plastica e lembriologia),
mostra come in essi, e quindi in tutti noi, figli
dellet della scienza, siano ancora vive e pienamente in opera tutte insieme le figure del mito di ogni
tempo. I dispositivi concettuali per mettere in atto
questo movimento nello spazio e nel tempo della
storia umana sono fondamentalmente due: la metempsicosi e la metamorfosi. Queste nozioni, com
noto, trovano il loro snodo cruciale in Pitagora, semileggendaria figura per eccellenza del viaggio nello spazio e nel tempo, e quindi della mediazione cul135
66
136
sumerico67), Pitagora in Ovidio anche il cosmogono eracliteo che spiega il divenire del Tutto come
processo incessante che passa di metamorfosi in metamorfosi. Nei ben 418 versi su 879 totali (60-478)
che gli sono dedicati nel XV e ultimo libro delle Metamorfosi, Pitagora la prosopopea della sapienza
stessa, quasi la prospettiva del Sapere Assoluto in
quella vera e propria Fenomenologia delle forme
dello Spirito che il poema ovidiano, per cui nel suo
lunghissimo discorso egli pu ridire il Tutto: condanna labitudine degli uomini a cibarsi degli animali; illustra la trasmigrazione delle anime e la sinfonia
eraclitea del divenire cosmico68; spiega la metamorfosi della crosta terrestre, la generazione spontanea
della vita da altre vite, levoluzione degli esseri viventi, il nascere il crescere e il perire delle grandi
67
137
69
139
Cima delle nobildonne tutto un grande gioco di reincarnazioni e metamorfosi, al punto che ognuno dei personaggi principali la ricapitolazione
di ogni passato culturale, la complicazione (nel
senso ridotto allumano della complicatio divina di
Teodorico di Chartres e di Nicola Cusano) di tutte le
radici storiche in una identit sempre aperta e plurima.
Belardo che opera Amina forma reincarnata
e trasformata del dio biblico che crea Eva da Adamo. Del dio Knum, specie di Mercurio egizio (p.
88) con testa di pecora, che modella corpi su un tornio da vasaio nel cosiddetto Fregio della Vita e della
Morte, mentre alle sue spalle il dio Toth, con testa di
avvoltoio, segna la data di morte di ogni bambino
svasato con una intacca su un bastone di bamb
(p. 91)72. Dellambigua Kal indiana, divinit con
sei braccia (come il corpo unico costituito da Belardo e dalle due strumentiste) insieme benigna
(lintervento di neovagina nasce da un atto damore
di Amina per lEmiro, e Belardo lo rende visibile e
concreto) e maligna (nel corso della descrizione
dellintervento ricorre ossessivamente una insolita
72
140
derivazione verbale e nominale dellaggettivo cruento, a sua volta metamorfizzata nelle sue varie
possibilit morfologiche: cruentare, cruentata,
cruentate, cruentazione: cfr. pp. 39, 47, 55, 57,
59, 63, 69, 71). Del Prometeo che crea luomo e lo
fornisce di memoria, scienza e tecnica, o che lo ricrea con pezzi di altri corpi, come nel Frankenstein
di Mary Shelley (non a caso si legge Prometeo moderno nel sottotitolo). E infine (infine?) di Gerione,
mostro triforme con sei braccia, noto soprattutto per
essere stato ucciso da Ercole nella decima fatica, ma
che, secondo certe interpretazioni antropologicoculturali, data la sua collocazione nellestremo Occidente (presso Cadice), dove alcuni situavano
lingresso del regno dei morti, da considerare come
pastore di morti73, al pari di ogni altro medico, stregone o sciamano, o di ogni levatrice e guaritrice popolare, come ad esempio la Cristina Schir di Horcynus Orca, quella specie di gigantessa nana ()
che faceva unguenti e medicamenti con le ossa di fera, tirava fuori i figli dal ventre delle madri e aiutava
73
141
Per la numerazione delle pagine di Horcynus Orca si fa riferimento alla nuova edizione Rizzoli del 2003.
75
Cfr. Schwarz 2000: 139.
76
Cfr. Infanti 2002: 176.
77
Cfr. Odissea, XXIV, 1-10.
78
Cfr. Esiodo, Teogonia, 444-445.
142
143
Golfo del Petrolio, non rinnega le sue antiche radici mesopotamiche (come rivela il suo culto mistico
della scienza) ed anche molto occidentalizzato,
tant vero che non solo va a Stoccolma per fare operare Amina, ma intende addirittura costruire il
Museo della Placenta del Kuneor con marmi di Carrara e, anzich vicino alla Moschea (cfr. p. 68), al
confine col campo di golf, lato mare, tra il Palazzetto
dello Sport e il Palazzo del Ghiaccio, in vista dello
stadio di calcio (p. 13), come aveva detto a Mattia
nel corso di una telefonata (e si noti il suo linguaggio da operatore turistico che recita a memoria le parole di un dpliant). Ma perch vuole costruire un
Museo della Placenta? Perch, da quando ha appreso
da Mattia, inizialmente tramite Belardo, la storia di
Narmer e linterpretazione della Paletta del trionfo di
Hierakonopolis, si convinto di essere la reincarnazione del padre del Faraone (cfr. pp. 65-66), e pertanto vuole che ogni suo suddito, futuro emiro, abbia
la sua placenta a portata di mano, col suo nome e la
sua data di nascita, in una celletta di vetroflex della
Placentateca, affinch un giorno possa portarla in
trionfo accanto al braccio della gru che pompa il
greggio, che la prima, vera Insegna della sua Dinastia (p. 14).
144
146
che queste analogie non siano dovute a pura e semplice coincidenza, ma che il cordone ombelicale o la
placenta ci forniscono una base materiale (non necessariamente lunica) per la teoria e la pratica
dellanima esterna81. Lanima esterna, quindi, va
custodita, ed dal tipo di cura che se ne ha che, secondo certe credenze, dipende il destino del nato.
Ecco perch, secondo Planika, la mummificazione
da parte del padre della placenta di Narmer un
monumento dellintuizione umana dellimprinting,
cio di qualcosa che sarebbe stato scoperto millenni
e millenni dopo (p. 26). Ed ecco perch il padre di
Planika, tramite lostetrico dottor Eliah, aveva consegnato la placenta del tragico parto gemellare della
moglie al dottor Lazarik, lo sfortunato ricercatore
praghese (destinato a essere deportato dai nazisti e a
finire in una fossa comune ceca) impegnato nel vano
tentativo di scoprire, attraverso lo studio delle placente, il Chorion Frondoso o Albero della Vita, cio
labbozzo precursore e capostipite della placenta
(p. 28. Cfr. pp. 98-99). Custodita insieme al ricordo
del fratello morto nel laboratorio di un placentologo
met scienziato e met stregone (p. 99), cui spesso
81
147
nale (in realt sua amante e compagna di pattinaggio, pp. 166-167), lindomani sarebbe stata operata
di intervento radicale da Belardo.
Il viaggio circolare di Mattia attraverso queste tre scene insieme una discesa agli inferi e un
percorso iniziatico di conoscenza e di redenzione.
Dallo spettacolo scientifico della cruentazione chirurgica del corpo di Amina, adagiata in quella che
viene immaginosamente detta posizione litotomica,
posizione cio della pietra da tagliare, ovvero
con le gambe piegate sulladdome in modo quasi fetale, coi genitali esterni e con lano allo scoperto,
come rattrappita e sospesa nel vuoto (p. 40); a quello naturale del Professore morto dinfarto e seduto
sul divano, come fosse stato suicidato (cfr. p. 124)
da quello che aveva letto sui K-Seminomi, e quindi
dalla stessa Placenta-Hatshepsut; e da questo allo
spettacolo orrido della placenta in formalina nel portafiori di vetro col coperchio ermetico (p. 159)
poggiato sul comodino accanto al letto di Irina, Mattia compie un progressivo allontanamento iniziatico dalla condizione umana normale, che culminer
nella redenzione e nella riscoperta degli affetti pi
elementari attraverso la regressione a uno stato
preumano (o sovrumano?), addirittura canino. Pro151
prio in questultimo quadro da oltretomba, cui si accede dalla soglia del tempo immobile e morto nonscandito dalla pendola ferma (p. 154) ed esibito
nel correlato oggettivo della tavola apparecchiata da
tempo immemorabile nel vestibolo della casa, il ciclo vertiginoso delle metamorfosi viene esplicitamente evocato, e a Mattia la placenta appare inizialmente ora come lorrida testa di un serpente boa ( forse quella staccata con un morso e sputata
dal giovane pastore de La visione e lenigma di
Cos parl Zarathustra?), ora come una specie di
medusa accartocciata (allusione al mitico mostro
mitologico che pietrificava con lo sguardo e aveva
dei serpenti al posto dei capelli?). Ma il ciclo iniziato da chiss quanto tempo e non ancora finito:
la placenta nella formalina passava ormai di metamorfosi in metamorfosi, di mostruosit in mostruosit. Come la testa del serpente boa che sera formata
nel suo vuoto fetale. E come, di l, nel seno materno,
la faccia di vecchia tutta tagliuzzata di rughe, che
apparve a Mattia soprassaltandolo lattimo che sollev appena appena fra le mani il vaso dal comodino
per guardare laltra Faccia: il volto di vecchia baluginava come unapparizione onirica sottomarina nei
barlumi che emanava il tratto di cordone ombelicale
152
82
153
154
155
Cfr. AA. VV., Cera una volta un pezzo di legno. La simbologia di Pinocchio, Atti del Convegno organizzato a Pescia
dalla Fondazione Carlo Collodi, Emme edizioni, 1981, nonch
la bellissima recensione di Italo Calvino a questo volume, Ma
Collodi non esiste, uscita su la Repubblica nellaprile del
1981 e ora inclusa in Calvino 1995 (pp. 801-807 del primo tomo).
156
159
Melampo unintera appendice del suo commento alla Biblioteca di Apollodoro91, e Graves gli ha dedicato lintero capitolo 72 nei suoi Miti greci92. Ora,
rileggendo la storia di Melampo alla luce di Cima
delle nobildonne, si scoprono notevoli analogie tra
lantico medico guaritore conoscitore dei culti egizi,
il cui nome, Melampodes (= dai piedi neri), secondo Graves93, era quello con cui nei tempi classici
si designavano comunemente gli Egiziani stessi, e
Mattia, medico iniziato alla teologia teriomorfa
dellantico Egitto dal suo professore di Placentologia. La pi sorprendente analogia riguarda il fatto
che anche Melampo ha a che fare con un cane,
linsuperabile guardiano della mandria di Filaco (altro che il Melampo di Pinocchio!). Da indovino, Melampo sa che, non essendo Ercole, non potr rubare
91
Cfr. Frazer, Appendice IV: Melampo e la mandria di Filaco, in Apollodoro, Biblioteca, cit., pp. 519-524.
92
Cfr. Graves 1955: 209-213.
93
Cfr. Graves 1955: 213. La spiegazione del nome, secondo
la quale Melampo aveva i piedi neri perch la madre, quando
nacque, glieli lasci al sole, pur sistemando accuratamente il
bambino allombra di un albero, fornita dallo scoliasta di Apollonio Rodio, 1, 121. Cfr. Accorinti 2004: 499-501, che tra
laltro mette in luce le ambiguit di Nonno nelle menzioni di
Melampo.
160
161
se vero che quello di Mattia un percorso iniziatico che comincia con levocazione di un cane letterario (p. 137), comporta la compagnia imprescindibile della cagna Margot e culmina nel desiderio di
trasformarsi in un cane (Margot? Melampo?), questo
riferimento al mito di Atteone, gi interpretato simbolicamente nellegiziano libro undicesimo delle
Metamorfosi di Apuleio (dove Iside si identifica, tra
laltro, con la Diana dei cretesi, abili arcieri95) e poi
ampiamente sfruttato in chiave sapienziale nei ben
pi egiziani Eroici furori di Bruno, non pu essere
casuale. Tra laltro, liden-tificazione bruniana dei
mastini e dei veltri di Atteone con le volizioni e
i pensieri dellintelletto intento alla caccia della divina sapienza96, trova un preciso riscontro in alcu-
95
162
ni passi di Cima delle nobildonne riferiti alla bastardina Margot, cagna segugia bassottoide di razza
Drever: i suoi occhi hanno una luce ferma e agguerrita e il suo aspetto viveva in unimpressione
di forza, di scatto e di coraggio (p. 146), e a un certo punto a Mattia dette limmediata impressione, se
non era troppo dirlo, che pensasse (p. 162) e che
fosse una creatura superiore nel suo genere (p.
161)97. E se i cani di Atteone, come si legge in un
celebre passo degli Eroici furori, sono pensieri de
cose divine che vrano questo Atteone, facendolo
morto al volgo98, Margot, che la proiezione dei
pensieri apocalittici ed escatologici di Mattia dopo
lincontro con la placenta nella formalina, pensa un
suo pensiero nero, nero come la morte, che non pass molto tempo, minuti, e in mente a lei quel pensiero dovette farsi la stessa Morte che lei pensava (suicidio?) o che la pensava (disgrazia?) (p. 162). Subito dopo, infatti, come Ndrja, che, sentito lo sparo
della sentinella della portaerei inglese, fu come se
ch delle opere neoplatoniche e neopitagoriche di Plotino,
Giamblico e Proclo.
97
Espressione, questa, che ricorre per ben tre volte nella stessa
pagina 161.
98
Bruno [1585], 1999: 301 (Seconda parte, Dialogo secondo).
163
99
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EPILOGO
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI
170
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172
173
174
Fig. 5: Y. A. Tittle, dei New York Giants, dopo lultimo placcaggio omicida nella partita contro gli Steelers di Pittsburg (Pitt Stadium, 20 settembre 1964)
175
176
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
177
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