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2008

INDICE

PREMESSA
CAPITOLO PRIMO
LORIGINE DELLE SPECIE DA UN FILO DI FUMO

1.

Il romanzo-officina

2.

Glosse a un glossario

3.

Gocce di filosofia del linguaggio

4.

Vigta: una, nessuna e centomila

CAPITOLO SECONDO
GIOCHI INTERTESTUALI E IMPEGNO CIVILE

1.

La Biblioteca di Vigta

2.

Fenomenologia dello sdoppiamento

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2.1. MONTALBANO E ANDROCLO


2.2. PERSONA E PERSONAGGIO
2.3. L INVESTIGATORE

E IL LETTORE DI

F AULK-

NER

2.4. CARO MONTALBANO... TUO SALVO


2.5. MONTALBANO PRIMO E SECONDO
2.6. MONTALBANO E ZINGARETTI

3.

Lamarezza sciasciana di Camilleri

4.

La citt invisibile, il martire senza titolo


e il triangolo intertestuale

CAPITOLO TERZO
DALLE BOLLE AI PIZZINI.
LO SPIRITO LAICO DI CAMILLERI

1.

Lo start di Verga

2.

La bolla di componenda e il clero mafioso

3.

I pizzini di Provenzano e la mafia clericale

4.

Sulle tracce letterarie della cultura clerico-mafiosa

BIBLIOGRAFIA

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Andrea Camilleri.
Ritratto dello scrittore

Alla memoria di Nen Trainito (1924-2008),


mio padre

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Premessa

Nelle Postille a Il nome della rosa del 1983, Umberto Eco, citando scherzosamente Woody Allen, ricordava
che, se si scrive un romanzo, bisogna pur scegliersi dei
modelli. Lo stesso, credo, vale anche se si lavora a un
saggio su uno scrittore di romanzi.
Quando lEditore mi ha proposto di scrivere un volume monografico su Andrea Camilleri, ha insistito soprattutto su ci che esso non avrebbe dovuto essere: una tesi
accademica, cio un trattatone onnicomprensivo o unanalisi dettagliata e infarcita di note a pie di pagina di unopera in particolare o di un particolare aspetto delle opere, destinata agli specialisti. Insomma, avrebbe dovuto essere
qualcosa di immediatamente accessibile al pubblico sia dei
lettori accaniti di Camilleri sia di quelli che ancora non si
sono cimentati con le sue opere. Questi ultimi avrebbero
dovuto sentirsi stimolati ad avvicinarsi finalmente alluniverso camilleriano, mentre i primi, generalmente espertissimi, avrebbero dovuto avere la piacevole impressione di
trovarsi coinvolti in una sorta di gioco spassoso ed erudito
a chi ne sa una in pi sul Maestro. Del resto, considerato il
numero ormai notevolissimo delle opere camilleriane,
pressoch impossibile racchiuderle tutte nello spazio di una

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monografia contenuta e di carattere divulgativo. Aggiungendo infatti ai 47 titoli tabulati da Gianni Bonina nel suo
monumentale Il carico da undici, pubblicato nellottobre
del 2007, le quattro opere nuove uscite fino al luglio 2008,
cio Il tailleur grigio, Il campo del vasaio, Il casellante e
La tripla vita di Michele Sparacino, nonch la stessa seconda parte del libro di Bonina, costituita da unintervista a
Camilleri di circa 230 pagine, si arriva a cinquantadue titoli, escludendo la mole sterminata e ancora non integralmente censita n tanto meno raccolta di articoli, interviste brevi, prefazioni a libri altrui, sceneggiature, riduzioni e adattamenti per il teatro, la televisione e la radio, poesie e altri
scritti doccasione. Un primo importante tentativo di sistemazione bibliografica del Camilleri operatore teatrale, televisivo e radiofonico opera di Roberto Scarpa e si trova in
appendice a Lombrello di No, uscito nel 2002, mentre la
pi ampia e dettagliata bibliografia delle opere e degli scritti vari di Camilleri, continuamente aggiornata, quella che
si trova nel sito www.vigata.org del Camilleri Fans Club.
Nellaccettare la sfida, mi tornato subito in mente
il passo di Eco sui modelli evocato sopra e mi sono chiesto,
con un senso di smarrimento, a quale santo votarmi.
Il primo lo avevo proprio sotto il naso, ed era lo
stesso Camilleri, il quale nella Nota in calce alla sua Biografia del figlio cambiato (2000) scrive: Questo libro ambisce ad essere la trascrizione di un mio racconto orale sulla vita di Luigi Pirandello da un punto di vista limitato e del
tutto personale. (...) Il racconto non destinato agli accademici, agli storici, agli studiosi di Pirandello ch queste
cose per loro son risapute, ma al lettore pi che comune. I

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riferimenti al punto di vista limitato e del tutto personale


e al lettore pi che comune corrispondono ai miei scopi e
prendo nota, ma c un problema. Camilleri non solo un
assiduo e devoto lettore di Pirandello, al quale ha persino
dedicato un volume antologico in cui ha raccolto le pagine
per lui esemplari del Premio Nobel (Pagine scelte di Luigi
Pirandello, 2007). Da regista, egli ha adattato e messo in
scena pi volte Pirandello (per lesattezza, 18 regie teatrali,
6 radiofoniche e 3 televisive) ed ha cos avuto la possibilit
di entrare nella carne viva della sua parola, traendone una
lezione di metodo, di stile e di poetica chiaramente espressa
e riconosciuta negli scritti sul teatro di Pirandello raccolti
ne Lombrello di No. Questo volume contiene anche la
prima versione della Biografia del figlio cambiato, costituita da una relazione di una ventina di pagine letta a un convegno su Pirandello tenutosi a San Miniato nellestate del
1996. E non basta. Camilleri condivide con Pirandello la
terra dorigine e le loro famiglie erano in affari nel settore
dello zolfo (cfr. Biografia del figlio cambiato, p. 144), al
punto che nel 1935, come si legge alla voce Scantusu de
Il gioco della mosca (1995), un Camilleri decenne e spaventato (scantatu, cio, mentre scantusu, chiarisce Camilleri, significa tanto cosa che fa paura quanto chi di natura
pauroso) si vide spuntare in casa un vecchio (...) gigantesco, con la barba a pizzo, vestito con una divisa che pareva dammiraglio, feluca, mantello, spadino, alamari, oro a
non finire ricamato dovunque. Era Pirandello, in divisa di
Accademico dItalia, che cercava Carolina Camilleri, nonna del piccolo Andrea. Sullepisodio Camilleri tornato pi
recentemente anche nellintroduzione alla sua antologia pi-

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randelliana (cfr. pp. 9-10), a riprova del fatto che si tratt di


un incontro decisivo. Niente da fare: per quanto geograficamente e linguisticamente prossimo allo scrittore, non ho
un racconto orale da recitare sulla vita e sullopera di
Andrea Camilleri.
Anche il secondo santo era a portata di mano, perch
nel 2001 Roberto Cotroneo ha dedicato un breve ed agile
saggio proprio a Umberto Eco, intitolato Eco: due o tre
cose che so di lui (Bompiani), che allepoca mi piacque
molto. Il saggio di Cotroneo inizia in un modo che mi incoraggia parecchio: Da ventanni Umberto Eco uno degli
scrittori pi famosi del mondo e tra i pi tradotti. Nel 1980
ha pubblicato Il nome della rosa, nel 1988 Il pendolo di
Foucault, forse il suo libro pi complesso, nel 1994, Lisola
del giorno prima, alla fine del 2000 uscito Baudolino.
Questo non gli ha impedito di continuare con rigore il lavoro accademico e didattico; pubblicando saggi specialistici,
insegnando alluniversit, girando il mondo per conferenze
e lezioni. Chi conosce Eco sa quanto negli ultimi anni sia
stato letteralmente assediato da richieste di interviste, conferenze, letture pubbliche, e quanto si sia trincerato dietro
filtri protettivi per difendersi. Ma chi lo conosce sa anche
che per i suoi studenti (e per chiunque si interessi seriamente al suo lavoro scientifico e accademico) le porte sono
sempre aperte. Cos ancora molto facile incontrarlo con i
suoi allievi la sera a Bologna. Mentre per chi insiste a volere spiegazioni sul suo lavoro di romanziere: no, quello non
permesso. I testi sono l, potrebbe rispondere, io non ho
altro da aggiungere. Ecco, comincer il mio saggio pi o
meno allo stesso modo, tenendo per ben presente che ho a

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che fare con uno scrittore che gestisce la propria fama in


una maniera esattamente opposta a quella di Eco. Camilleri, infatti, non si sottrae ai doveri di una star e, nonostante
let ormai piuttosto avanzata, non solo concede interviste
innumerevoli ai media e partecipa a conferenze e letture
pubbliche, ma licenzia sin dal 2000 libri-intervista a ripetizione in cui racconta in lungo e in largo la propria vita e la
genesi delle proprie opere, suggerendo non di rado chiavi
di lettura ben precise e fornendo addirittura ampie anticipazioni sulle opere in cantiere.
La tempesta cerebrale sui modelli possibili mi ha
condotto anche a un paio di esempi decisamente impossibili, per via della statura inarrivabile degli autori. Tuttavia,
nel confronto impari con questi due angeli, mi sono ritrovato qualche piuma preziosa tra le mani. Per un ritratto dello
scrittore da giovane di Sciascia (1985), incentrato su alcune lettere giovanili inedite di Giuseppe Antonio Borgese,
con la sua allusione al Dedalus di Joyce nel titolo, mi ha
suggerito unulteriore parafrasi di cui terr conto nel sottotitolo del mio saggio. Invece, lEvaristo Carriego di Borges
(1930), che a detta dello stesso autore, come si legge nel
Prologo del 1955, pi immaginativo che documentario e che gi solo per questo fatto per me inutilizzabile
come modello (ma non come fonte di suggestioni importanti, come vedremo alla fine), mi ha confermato nella diffidenza che ho sempre nutrito nei confronti delle biografie,
autorizzate o meno che siano, perch allinizio del secondo
capitolo c unosservazione memorabile: Che un individuo voglia risvegliare in un altro individuo ricordi che non
appartennero che ad un terzo, un paradosso evidente.

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Realizzare in tutta tranquillit questo paradosso, linnocente volont di ogni biografia (in Borges, Tutte le opere,
I Meridiani Mondadori, 1984, vol. I, p. 200).
Borges, per, riuscito, seppur indirettamente, ovvero del tutto borgesianamente, a risolvere il mio problema
del modello, perch nel Borges del filosofo spagnolo Fernando Savater (2002) che trovo le precise parole che avrei
voluto scrivere in una normale premessa al mio saggio su
Camilleri: in queste pagine potr raccontare soltanto
leffetto che Borges ha avuto su di me, uno dei suoi tanti
lettori: in che modo mi colp ci che lessi e seppi di lui,
quali piaceri e quali riflessioni gli devo, qual stato il mio
Borges e in che senso sono stato trasfigurato dalla sua frequentazione, dal suo contagio. Come si pu ben vedere, in
ci non vi nulla che possa aumentarne la gloria, e io non
sono cos idiota (sebbene paghi anchio il mio obolo alla
vanit, non arrivo allidiozia) da pretendere di attirare su di
me lattenzione che si deve a lui (ediz. Laterza 2005, p.
8). Per parafrasare, dunque, il titolo dellintroduzione di
Camilleri alla sua antologia di pagine pirandelliane, quello
che presenter qui solo n potrebbe essere altro, in fondo il mio Camilleri.
E visto che ci sono, poich Savater ha frequentato e
tradotto Cioran, subendo anche il suo mortale e insieme vivificante contagio, concludo augurandomi che questo mio
omaggio a Camilleri possa costituire, se non altro, unumile
e apocrifa appendice agli Esercizi di ammirazione del
sommo pensatore franco-rumeno.

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CAPITOLO PRIMO

Lorigine delle specie da un filo di fumo


Vigta una sorta di buco nero che ingloba
tutto. Tutto ci che succede dentro i confini
della Sicilia.
(Andrea Camilleri, in Il carico da undici, p.
396)

1. Il romanzo-officina
Lo scrittore italiano vivente pi letto in assoluto,
oggi ottantatreenne, diventato un caso letterario senza
precedenti dopo aver superato i settantanni, nella seconda
met degli anni Novanta del secolo scorso. Tuttavia, Andrea Camilleri aveva esordito giovanissimo nel secondo
dopoguerra con poesie e racconti usciti su riviste e in raccolte poetiche ed aveva alle spalle una lunga carriera come
regista teatrale, televisivo e radiofonico, sceneggiatore e
docente di regia allAccademia Nazionale di Arte Drammatica di Roma.
Data la fama da lui raggiunta negli ultimi anni, sono
gi disponibili diverse e dettagliate schede bio-bibliografiche, tra le quali sono da segnalare soprattutto quelle contenute nei due Meridiani Mondadori dedicati allo scrittore
(Storie di Montalbano, a cura di Mauro Novelli, uscito nel
2002; Romanzi storici e Civili, a cura di Salvatore Silvano

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Nigro, uscito nel 2004) e quella disponibile nel sito internet


www.vigata.org, che ormai, vista limmensa mole di materiale raccolto dai curatori (il Camilleri Fans Club, fondato
nel 1997), diventato uno strumento insostituibile per
chiunque voglia effettuare ricerche e studi critici sullo scrittore di Porto Empedocle. Sulla vita lunga e intensa di uno
scrittore arrivato al successo a unet che altri grandi autori,
suoi amici poco pi vecchi di lui, non hanno nemmeno
raggiunto (come Italo Calvino, morto a 62 anni nel 1985,
Leonardo Sciascia, morto a 68 anni nel 1989, e Stefano
DArrigo, morto a 73 anni nel 1992), per largamente disponibile anche la voce diretta di Camilleri, il quale ha gi
consegnato la propria autobiografia intellettuale a varie interviste televisive e ad almeno quattro importanti volumi di
interviste, memorie e conversazioni, di cui qui far largo
uso, implicito ed esplicito: La testa ci fa dire. Dialogo con
Andrea Camilleri di Marcello Sorgi (2000); La linea della
palma. Saverio Lodato fa raccontare Andrea Camilleri
(2002), Lombrello di No. Memorie e conversazioni sul
teatro, a cura di Roberto Scarpa (2002); e infine il recente e
per certi versi fondamentale Il carico da undici. Le carte di
Andrea Camilleri. Intervista, saggio, trame di Gianni Bonina (2007), che, come detto, contiene una lunghissima intervista a Camilleri in cui, tra laltro, vengono ripercorse
praticamente tutte le sue opere uscite fino allautunno del
2007. a questi lavori, dunque, che si rimanda per una panoramica pi ampia e dettagliata sulla vita e sulle opere di
Camilleri, nonch sugli studi che gli sono stati dedicati fino
a questo momento.

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Nei primi due paragrafi di questo capitolo, basandomi in parte sulla ricerca condotta da una mia studentessa
nella sua tesi di laurea, da me proposta e seguita da vicino
(Eleonora Cerro, Indagine su Un filo di fumo di Andrea
Camilleri, Universit di Catania, 2006), cercher di illustrare soprattutto il ruolo estremamente significativo giocato nellambito della successiva produzione camilleriana dal
romanzo Un filo di fumo, edito da Garzanti nel 1980 e premiato a Gela nel 1981. Questo riconoscimento, seppur ottenuto nellambito di un Premio letterario minore e senza
futuro (era il Premio Nazionale di Narrativa Citt di
Gela, indetto dalla locale Accademia Eschilea), ricordato
sempre con grande affetto da Camilleri. In unintervista apparsa sul Corriere di Gela del 14 febbraio 2004, concessa
al Direttore del settimanale Rocco Cerro, Camilleri ha dichiarato: C una cosa che mi lega a questa citt. Ricordo
che il primo premio letterario che ho ricevuto in assoluto
lho avuto proprio a Gela, con Un filo di fumo. Ad assegnarmelo nei primissimi anni Ottanta fu lAccademia
Eschilea, presieduta appunto dallamico Federico Hoefer e
con giuria presieduta da Giacinto Spagnoletti. Per questo
conservo una perenne gratitudine verso questa citt. In
questa occasione, peraltro, Camilleri ebbe lunico contatto
diretto, ancorch telefonico, con Gesualdo Bufalino. Lo
racconta ne La linea della palma: Ebbi una sua telefonata
quando pubblicai Un filo di fumo e vinsi il Premio Gela.
Presidente della giuria era Giacinto Spagnoletti, ma il premio era stato organizzato da un mio amico poeta, Federico
Hoefer. Mentre stavamo cenando, telefon Bufalino da
Comiso per congratularsi. Aveva letto il libro e gli era pia-

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ciuto molto. Sperava che un giorno ci saremmo conosciuti.


Ma non mai capitato (p. 250).
Un filo di fumo stato ripubblicato da Sellerio nel
1997 in pieno caso Camilleri e nel 2006 ha conosciuto
una seconda rinascita, questa volta multimediale. Letto dal
noto show-man Rosario Fiorello con una voce che imita
irresistibilmente quella dellautore e con laccompagnamento delle musiche di Enrico Rava, Olivia Sellerio, Paolo
Damiani e Pietro Leveratto, il romanzo di Camilleri inaugur la collana di audiolibri su CD proposta a partire dal 6
giugno di quellanno da La Repubblica e LEspresso.
(Per le citazioni, far qui riferimento alledizione Sellerio,
perch ledizione Garzanti del 1980 ormai difficilmente
reperibile, mentre il secondo Meridiano dedicato a Camilleri, che si apre proprio con Un filo di fumo, come tutti i Meridiani ha una diffusione incomparabilmente inferiore rispetto a quella dei maneggevoli volumetti Sellerio.)
Di Un filo di fumo la critica ha in genere molto apprezzato la particolare costruzione narrativa. Degno di nota,
a tal proposito, un saggio del 1998 di Bruno Porcelli, Un
filo di fumo. Romanzo siciliano di Andrea Camilleri. Porcelli analizza minuziosamente la struttura e la tecnica narrativa del romanzo, sottolineando anche alcuni aspetti
espressivi della lingua di Camilleri e le numerose fonti utilizzate in chiave ironica e allusiva, dallOrlando furioso
alla Gerusalemme liberata, dalla Madama Butterfly (il titolo del romanzo deriva da un verso tratto dal secondo atto
dellopera: un bel d vedremo/ levarsi un fil di fumo sullestremo/ confin del mare./ E poi la nave appare) al Gattopardo. Per non parlare della chiara traccia boccaccesca

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che percorre la tresca tra Helke e il muto e scecchigno


Totuzzo, i quali si danno convegno nel tettomorto due volte
alla settimana con la scusa che la donna deve insegnare al
ragazzo luso della parola.
Sui giochi intertestuali di Camilleri torneremo nel
secondo capitolo. Per il momento, mi sia consentito riportare la trama del romanzo proposta da Porcelli, che molto
pi dettagliata di quella fornita pi di recente da Bonina nel
suo Carico da undici e che utile tenere presente per la retta comprensione di quanto si dir in seguito.
La trama di Un filo di fumo ridotta allessenziale presto raccontata: il giorno 18 settembre 1890 a Vigta, uno dei centri del commercio siciliano dello zolfo, nobili e borghesi (con lesclusione dei
paesani di condizione inferiore, spalloni, conduttori di carretti, minatori, a cui la cosa, lontani come sono dagli interessi di coloro che contano, risulta assolutamente indifferente) attendono con impazienza
larrivo del vapore russo Tomorov, inviato per caricare cinquemila
cantra di zolfo depositate dalla ditta Jung nei magazzini di Tot Romeres (Romeres lo stesso nome del caff ai Quattro Canti di Campagna del Gattopardo), soprannominato Barbabianca. Larrivo della
nave dovrebbe condurre al fallimento Barbabianca, che ha gi venduto, a scopo di pronto realizzo, la merce al cinquanta per cento del suo
valore. Ci renderebbe felici i suoi numerosi nemici personali, cio
coloro che egli in un modo o nellaltro, ma sempre per interesse, ha
danneggiato, e persino gli estranei che non hanno avuto a che fare con
lui, dato che delle disgrazie degli altri si pu anche godere. Lattesa
osservata nei vari ambienti che costituiscono lhabitat di quelli che
contano, e cio gli scagni dei magazzinieri, il Circolo dei nobili, il
terrazzo di don Angelino Villasevaglios, i casini di campagna di nobili
e borghesi, sino al palazzo del Principe.
Dallaltra parte dello schieramento i Romeres fanno di tutto
per evitare il disastro, ognuno nei limiti delle sue possibilit: Tot invia Blasco Moriones, uomo di fiducia e figlio naturale, a Fela presso i
fratelli Munda, che sono gli unici a dover avere motivi di riconoscenza, col compito di chiedere in prestito cinquemila cantra di zolfo da
sostituire a quelle vendute; Nen, primo figlio di Tot, fa visita per lo

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stesso motivo ai dieci magazzinieri di Vigta; Stefanuzzo, figlio tardivo bacchettone e incapace, marito cornuto di Helke, prega, si autoflagella, fa voto alla Madonna, chiuso in una stanza santuario piena di
immagini sacre e lumini.
Gli eventi desiderati o temuti (a seconda dei punti di vista)
non si verificano: i Barbabianca non riescono ad ottenere il prestito
della quantit di zolfo che loro necessita, gli avversari non vedono
arrivare il battello russo perch, come sappiamo, questo naufraga sulla
secca. Le due soluzioni antitetiche non si realizzano; il che sottopone
unaltra volta a decezione i lettori (e gli attori). Tra p. 94 e p. 101 delledizione Sellerio, cio a quattro quinti dellopera, si genera levento
inatteso e improvviso del naufragio che imprime un movimento contrario alla ruota della Fortuna: questa, infatti, girando ora a riversa,
risolleva le sorti dei Barbabianca e getta lo scompiglio nel variopinto
campo dAgramante di nobili e magazzinieri, che cedono le armi passando con la massima facilit dallopposizione allossequio smaccato.
Il vecchio Tot pu cos, la mattina del giorno successivo 19 settembre, celebrare il suo trionfo offrendo alla chiesa matrice di Vigta una
tavoletta votiva fatta dipingere la notte; mentre il figlio bacchettone
scioglie il suo voto personale lustrando con la lingua il pavimento della stessa chiesa.
Le due cerimonie hanno per il lettore, il quale addentro alle
motivazioni dei fatti, un significato: sono di egoistico ringraziamento
per il disastro economico evitato in extremis. Ma possono averne anche un altro, di facciata, almeno per i vigatesi: svolgendosi in occasione delle solenni onoranze funebri celebrate per il naufragio del battello russo, appaiono un ringraziamento per lo scampato pericolo dei
superstiti. La tavoletta di rame raffigura, infatti, ambiguamente
nella parte centrale, una nave che affondava spaccata a met
e una poco di marinai sparsi qua e l con le braccia alzate al cielo
che domandavano salvezza; in un tondo in alto a destra cera la Madonna che benignamente si sporgeva da alcune nuvole per salvarne
certi e altri no secondo un criterio di scelta negato ai mortali; in basso a sinistra cera un cartiglio che portava la scritta: Salvatore Barbabianca & Figli per grazia ricevuta (pp. 117-118).
Il voto di Stefanuzzo pu avere anche una terza motivazione:
di ringraziamento per la miracolosa erezione fallica che, contraddicendo una normalit di miseria sessuale, meraviglia lui non meno del-

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la signora Helke, la quale finalmente, non pi cavalcata dal muto nel


tettomorto, cavalca nel letto matrimoniale il marito con tutti i crismi
della legalit.
La giornata del 18 settembre, seguita dalla breve appendice
del mattino seguente, osservata nella successione dei suoi vari momenti: la mattina, con laffannosa ricerca da parte dei Barbabianca
delle cinquemila cantra mancanti; il meriggio, con lo spostamento
dellobiettivo verso i luoghi dove si pranza; la notte, con la soluzione
della vicenda, positiva o negativa che sia, osservata nelle varie camere
da letto.
Allunit dazione (lattesa delusa degli eventi), di luogo (Vigta), di tempo (il 18 settembre 1890) fa da contraltare una tecnica
narrativa basata sul mutamento continuo di scena: il racconto si snoda
per brevi paragrafi non titolati, separati da uno spazio bianco e dedicati a scenari e personaggi sempre cangianti. Il narratore prende, lascia,
riprende i fili del discorso nel tentativo di rendere, pi che la successione, la contemporaneit delle vicende. Si potrebbe pensare ad una
pervasiva presenza di tecniche teatrali o televisive (Camilleri anche
regista teatrale e televisivo) oppure, almeno per laspetto puramente
formale del dato, allartificio della ripresa nel Furioso ariostesco.

Alcuni dei saggi brevi pi significativi sullopera di


Camilleri si trovano ne Il caso Camilleri. Letteratura e storia (2004), curato da Antonino Buttitta. Il volume raccoglie
i contributi del convegno omonimo organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali dellUniversit di Palermo, con
il sostegno della Casa Editrice Sellerio e del Credito Emiliano, e svoltosi a Palermo tra l8 e il 9 marzo 2002. Al
convegno partecip lo stesso Camilleri, il cui contributo,
stampato come Conclusione del volume, ancora una
volta una vivace rievocazione della sua strana vicenda di
giovane poeta e autore di racconti che nel 1947 arriv in
finale al Premio Libera Stampa di Lugano insieme a Pasolini e ad altre future stelle della poesia italiana e fu poi
notato da Ungaretti, il quale nel 1948 incluse tre sue poesie

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in una raccolta da lui curata per Mondadori; di uomo di teatro dedito per decenni alla regia e allinsegnamento; e infine di anziano romanziere arrivato a un successo di pubblico
tanto inusitato quanto ormai insperato.
Il volume contiene anche il saggio Lo stile della traduzione: Camilleri in Spagna di Maria de las Nieves
Muiz Muiz, in cui lautrice mostra i limiti di resa stilistica delle numerose traduzioni catalane e castigliane delle
opere di Camilleri, che a suo dire sacrificano il groviglio
espressivo della prosa camilleriana in nome di una falsa
chiarezza. Per esemplificare la sua tesi, Maria de las Nieves Muiz Muiz si concentra proprio su Un filo di fumo e
il suo contributo assume laspetto di una interessante analisi del romanzo, di cui viene messo in evidenza soprattutto
il particolare ritmo narrativo. La concordia discorde fra la
profonda immobilit del sistema e liperattivit del movimento innescato, osserva lautrice, rappresentano la cifra
stilistica del libro. Tradurre il ritmo di Un filo di fumo
dunque cos importante quanto riprodurne gli incastri dialettali e i dislivelli di registro che ne tramano il discorso
(). Di qui una specie di corsa alla rovescia che gattopardianamente esprime limmobilit col movimento. Il ritmo,
unito alla densit dei sottintesi linguistici, esprime tutto
ci.
Nonostante i pregevoli saggi citati, mi sembra per
che solo grazie al lavoro dindagine da me suggerito due
anni fa a Eleonora Cerro (che ringrazio per avermi dato il
permesso di attingere a piene mani dai primi due capitoli
della sua tesi di laurea) sia stata finalmente sottolineata
limportanza di Un filo di fumo in quanto vero e proprio

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testo generatore per le opere degli anni Novanta che hanno


dato allo scrittore un clamoroso successo di pubblico, da La
stagione della caccia (1992) a La bolla di componenda
(1993), da Il birraio di Preston (1995) a La concessione del
telefono (1998) e La mossa del cavallo (1999) opere,
queste, che riprendono tra laltro la cornice storica di Un
filo di fumo, cio la provincia siciliana di fine Ottocento ,
fino ai romanzi della fortunatissima serie del commissario
Montalbano, inaugurata da La forma dellacqua (1994).
Vale la pena, allora, ripercorrere innanzi tutto la vicenda della prima edizione del romanzo, perch essa rappresent per Camilleri - in parte deluso dalla sorte del suo
primo romanzo, Il corso delle cose, uscito due anni prima
presso il piccolo editore Lalli di Poggibonsi e ben undici
anni dopo la sua stesura - quel riconoscimento editoriale a
livello nazionale necessario a fortificare in lui la fiducia
nelle proprie capacit di narratore. Successivamente metteremo in luce quegli aspetti del romanzo che ne definiscono
limportanza nellambito della successiva produzione camilleriana.
Nel secondo paragrafo concentreremo lattenzione
sul Glossario di Un filo di fumo, che Camilleri compil
di malavoglia (ma alla fine divertendosi) su invito delleditore Livio Garzanti, il quale temeva che le ardite contaminazioni dialettali della lingua del romanzo ne avrebbero
pregiudicato la diffusione. In una nota aggiunta nel 1997
alla riedizione del romanzo presso Sellerio, Camilleri scrisse che tale Glossario ormai diventato superfluo e, se lo
ristampa, perch la cosa sottilmente ci diverte. In effetti, i suoi romanzi gi a quellepoca erano letti in ogni parte

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dItalia anche da chi, in teoria, dovrebbe avere notevoli difficolt linguistiche per una piena comprensione del testo.
Una interessante analisi di questa quasi miracolosa forma
di comunicazione culturale tra un autore e il suo vasto
pubblico per mezzo di un codice linguistico apparentemente inadatto proposta da Antonino Buttitta nella sua Introduzione al citato volume Il caso Camilleri. Letteratura e
storia. Scrive Buttitta: Il dilemma che alcuni si sono posti:
ma come fanno i lettori ad apprezzare un autore come Camilleri del cui originale e personale linguaggio, dalle incerte referenze italosicule, spesso capisce poco e talora nulla,
di fatto non si pone, per la semplice ragione che la decodifica del lettore va oltre la codifica dellautore, e questa
come quella traggono la loro forza comunicativa da fatti
che pur in rapporto con il testo lo tracimano: promuovono
latto della scrittura e della lettura, ma rispetto a queste ritengono una loro autonomia. La scrittura sempre meno di
quanto lautore voleva dire, la lettura sempre di pi. Ogni
volta che un lettore legge un testo lo riscrive e in questa riscrittura agiscono una serie di fatti che, pur non essendo
immediatamente comunicativi () di fatto rappresentano
la materia della comunicazione, lessenza della fascinazione da essa esercitata, senza la quale la stessa comunicazione perderebbe la sua forza comunicativa.
Lammissione di Camilleri che il Glossario sia ormai
diventato superfluo forse allorigine del fatto che gli
studiosi non abbiano prestato ad esso la dovuta attenzione.
Come si vedr, invece, una sua attenta analisi risulta davvero illuminante, perch consente di valutare appieno il fatto
che Un filo di fumo contiene in embrione tutta larte di

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Camilleri, poi dispiegata e disseminata negli anni in quasi


tutte le opere successive.
In tal senso, lo schema generativo della produzione
camilleriana che verr proposto qui non accoglie il pur interessantissimo nuovo canone delineato da Bonina nel
Carico da undici e basato su un ordinamento dei titoli camilleriani secondo un criterio di disposizione tematica,
che delinea una non intenzionale morfologia dellopera
completa rinvenibile solo dallalto di uno sguardo panoramico e che anzi lo stesso Camilleri subirebbe per involontaria esecuzione automatica, come si legge nellIntroduzione del ponderoso volume. Bonina, inoltre, assegna il
ruolo di romanzo-officina che qui assegnato a Un filo di
fumo al primo romanzo di Camilleri, Il corso delle cose
(1978). opportuno riportare la sua sintetica motivazione,
che si trova allinizio del secondo capitolo de Il carico da
undici (p. 29), affinch il lettore possa farsi una propria
idea indipendente, dato che le pagine che seguono costituiscono unimplicita e involontaria, perch lipotesi qui
avanzata stata elaborata pi di un anno prima delluscita
de Il carico da undici confutazione della tesi di Bonina:
Ci sono [ne Il corso delle cose] tutti gli elementi costitutivi del nascente planisfero camilleriano: non solo un linguaggio che seppure non faccia ancora man bassa dellargot agrigentino a esso va fieramente in prestito quando il
termine provinciale, non trovando nella lingua nazionale un
pari corrispettivo semantico, risulta pi espressivo, ma anche un metodo narrativo che concentra lintero intreccio
nellarco massimo di due giorni: con la differenza che mentre in tutte le indagini di Montalbano lautore si incarner

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nel protagonista con il quale proceder a braccetto, qui invece il narratore onnisciente mancando in realt un vero
artefice della vicenda. Che non neppure il maresciallo
Corbo, come non lo Vito. Protagonista , semmai [...] il
paese sicch il romanzo integra un dcoupage non soltanto
della serie di Montalbano ma anche dei cosiddetti romanzi
civili.
Nel terzo paragrafo ci concentreremo sulla vera e
propria filosofia del linguaggio, peraltro di origine pirandelliana, che Camilleri assume come criterio estetico e che
alla base delle sue particolari e ben note invenzioni linguistiche. Lultimo paragrafo di questo capitolo, invece,
unampia ricognizione dei molteplici volti (anche mediatici) di Vigta.
Bench arrivato alla grande notoriet nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, il Camilleri romanziere nasce infatti circa trentanni prima. Furono lesperienza della lunga agonia del padre in una clinica ed il
confronto culturale e generazionale tra padre e figlio (il padre era stato fascista, mentre il figlio era vicino alla sinistra
marxista) ad innescare quel processo di recupero della memoria e delle radici siciliane che si tradurr nel bisogno irresistibile di raccontare. Questo rapporto che si cre fra
noi, ricorda Camilleri ne La linea della palma (p. 232),
quel comune viaggio nella nostra memoria, provoc quello che oggi si chiamerebbe un effetto collaterale: la voglia di raccontare una certa esperienza mia di vita. E raccontarla nei modi in cui la sapevo raccontare: scrivendo un
romanzo. Non un caso che il mio primo romanzo Il corso delle cose sia dedicato a mio padre. E il futuro com-

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missario Montalbano, come Camilleri ha dichiarato pi


volte, avr molti tratti del padre: Montalbano come un
puzzle composto da tante tessere. Le tessere che appartengono a mio padre sono il settanta per cento (Il carico da
undici, p. 336). In unintervista di sei anni prima apparsa su
La Stampa del 23 giugno 2001 la percentuale era un po
pi bassa, ma il concetto era ancora pi chiaro: come ha
scoperto mia moglie, Montalbano al 60 per cento mio padre. C la sua ironia, il senso pratico, la voglia di accomodare, di perseguire la verit senza trasformarsi in rappresentanti dellInquisizione. E certi suoi silenzi, un certo coraggio che io non ho.
Il corso delle cose sinuoso, dice il passo di Merleau-Ponty che fa da epigrafe al romanzo e da cui il romanzo stesso prende il titolo. Anche il corso del Camilleri romanziere stato particolarmente sinuoso, ed in parte sotterraneo. Il corso delle cose, infatti, come si legge in calce, fu
scritto a Roma tra laprile 1967 e il dicembre 1968, ma dovettero passare pi di dieci anni perch esso vedesse la
luce, addirittura in circostanze casuali. La storia di questa
pubblicazione stata raccontata ampiamente da Camilleri
in una nota dal titolo Mani avanti aggiunta nel 1998 alla
riedizione Sellerio del romanzo, e poi successivamente in
La testa ci fa dire (pp. 62-66) e La linea della palma (p.
233).
Subito dopo averlo terminato, Camilleri lo fece leggere a degli amici, tra cui Nicol Gallo, critico letterario e
collaboratore della Mondadori, il quale gli promise che in
un paio di anni lo avrebbe pubblicato nella collana da lui
diretta. Ma nellestate del 1971 Gallo mor, e cos Camilleri

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si ritrov al punto di partenza. Dal 1968 al 1978 non trovai un cane di editore che me lo pubblicasse, ricorda Camilleri ne La linea della palma, incassando rifiuti variamente motivati da Laicata, Marsilio, Bompiani, Garzanti,
Feltrinelli e dagli Editori Riuniti. Nel 1978, per, la situazione si sblocc grazie alla televisione, nel cui mondo Camilleri gravitava come produttore, regista e sceneggiatore,
e soprattutto grazie a Dante Troisi, un amico scrittore e
magistrato: Dante Troisi propose il romanzo come soggetto cinematografico a Sergio Amidei che lo giudic inadatto
perch poco violento (testuale). Torn alla carica in televisione e la sua proposta fu accettata. Cominci a sceneggiarlo con Nin Suriano, in arte Antonio Saguera, pure lui magistrato. Qualche giornale ne diede notizia e si fece avanti
un editore a pagamento, Lalli, facendomi la proposta di
pubblicare il libro senza che io sborsassi una lira (del resto
non lavrei mai fatto) purch nei titoli di coda apparisse il
nome della sua casa editrice. La riduzione televisiva in tre
puntate, diretta da Pino Passalacqua, venne intitolata La
mano sugli occhi: parve pi accattivante delloriginale. Il
romanzo, col suo vero titolo, Il corso delle cose, venne
stampato da Lalli nel settembre 1978, dopo quasi dieci anni
che avevo finito di scriverlo. Anni nei quali, a parte le due
interviste impossibili, ero stato io nellimpossibilit di scrivere altro (Il corso delle cose, p. 145).
Le due interviste impossibili cui si fa riferimento
nel passo sono quelle a Stesicoro e a Federico II di Svevia,
che Camilleri compose per un programma radiofonico di
Radio Rai andato in onda tra il 1973 e il 1974. Si trattava di
un programma - poi diventato celebre e ancora oggi un cult

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per gli amanti del genere - in cui degli scrittori contemporanei immaginavano di intervistare personaggi del passato.
Famose sono rimaste le interviste di Umberto Eco a Pitagora, Muzio Scevola e Beatrice, quelle di Edoardo Sanguineti a Socrate e a Francesca da Rimini e quelle di Italo Calvino a Montezuma e allUomo di Neanderthal. A leggere i
nomi di altri partecipanti alla trasmissione c da rimanere
allibiti per il livello della squadra: Sermonti, Manganelli,
Ceronetti, Del Buono, Malerba, Arbasino, fino a Sciascia,
la cui intervista a Maria Sofia regina di Napoli non venne
per registrata e fu realizzata dalla Rai solo nel 1998, con
la voce di Camilleri al posto di quella di Sciascia. Le ottantadue Interviste impossibili, di cui Camilleri cur quattordici regie, furono poi pubblicate in due volumi da Bompiani
tra il 1975 e il 1976 a cura di Umberto Eco e nel 2006 la
casa editrice Donzelli le ha riproposte in un unico volume
curato e introdotto da Lorenzo Pavolini, preceduto da
unintervista a Camilleri e accompagnato da due CD audio
che contengono la versione radiofonica originale di sette
interviste (Calvino allUomo di Neanderthal, Ceronetti ad
Attila e a Jack lo Squartatore, Sanguineti a Francesca da
Rimini, Eco a Beatrice, Manganelli a Fregoli e Del Buono
a Dostoevskij).
Il corso delle cose era un giallo di mafia nello
stile di Sciascia (Il giorno della civetta, il primo romanzo
di mafia della letteratura italiana, era uscito nel 1961), ambientato in una non precisata ma riconoscibile e contemporanea Porto Empedocle con il suo porto e la sua Scala dei
Turchi. la futura Vigta, che comparir proprio con Un

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filo di fumo, e protagonista era il maresciallo dei carabinieri


Corbo, pi o meno nel ruolo che poi sar, dal 1994, del
commissario di polizia Salvo Montalbano. La novit del
romanzo, che fu allorigine della diffidenza di alcuni degli
editori maggiori, stava nelluso ardito di una lingua italiana
contaminata con espressioni dialettali. Non ancora la
lingua propria di Camilleri, perch litaliano ancora dominante, anche nei dialoghi. Tuttavia la pubblicazione del
romanzo fu per Camilleri una sorta di liberazione, come
egli ricorda ne La linea della palma (p. 233): fu come levare il tappo a una bottiglia. Venne fuori tutto quello che
avevo dentro. Tanto vero che appena due anni dopo, nel
1980, Garzanti pubblicava il mio primo volume a diffusione nazionale, Un filo di fumo. Il romanzo edito da Lalli
aveva avuto invece una scarsa distribuzione.
Un filo di fumo ebbe pi fortuna perch fin subito
nelle mani giuste. Camilleri lo consegn allamico e critico
Ruggero Jacobbi, il quale aveva gi avuto modo di apprezzare e recensire Il corso delle cose. Jacobbi port il romanzo a Milano e riusc a farlo arrivare a Gina Lagorio, lallora
compagna e futura moglie di Livio Garzanti. Fu la svolta,
perch alla Lagorio e a Garzanti il romanzo piacque cos
tanto che decisero di pubblicarlo senza indugio.
Lincontro con Garzanti, accompagnato da un gustoso episodio che ricorda certi siparietti del ciclo di Montalbano, segna lingresso di Camilleri nel mondo della letteratura che conta, anche perch appare sulla scena una vecchia
conoscenza dello scrittore, che si riveler decisiva, quattro
anni dopo, per il contatto (e il contratto) con la casa editrice
Sellerio. Ecco come Camilleri lo racconta in La testa ci fa

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dire (pp. 66-67): Lui venne a Roma per conoscermi, mi


diede appuntamento in un albergo, io mi vestii e prima di
uscire mi preparai un caff, ma ero nervoso e mi rovesciai
addosso la tazzina. Dovevo cambiarmi, avevo solo un distinto completo blu, me lo misi. Arrivato in albergo, domandai di Garzanti. Cera un tipo scamiciato, in jeans mi
pare, appoggiato al banco. Che disse: Ecco leditore milanese che incontra il pirla di scrittore siciliano vestito come
si deve. E io risposi: Ecco il miliardario snob che finge di
essere trasgressivo. Diventammo amici amici nei limiti
in cui possibile esserlo con uno del carattere di Livio
Garzanti. Lui pubblic questo libro, gli fece una pubblicit
mostruosa. Mi recensirono tanti, e tutti molto bene. E alla
ristretta festa romana per la presentazione, a sorpresa, per
uno schivo come lui, arriv Leonardo Sciascia. Sciascia lo
avevo conosciuto a Roma alla fine degli Anni 50. Volevamo affidargli la sceneggiatura televisiva del Delitto Notarbartolo, ma lui non accett. Lo rividi poco dopo con
Giancarlo Sbragia, che sceneggiava Il giorno della civetta,
con me regista, per il Teatro Stabile di Catania (con leggere modifiche e alcune aggiunte, lo stesso episodio raccontato in La linea della palma, pp. 234-236).
Il romanzo piacque molto a Sciascia, anche se
la lingua inventata da Camilleri lo lasciava perplesso. Poco
tempo dopo Camilleri si present a Sciascia per consegnargli il materiale storico da lui raccolto su una strage a Porto
Empedocle di 114 galeotti avvenuta nel 1848 ad opera dei
Borboni, timorosi dellondata di moti insurrezionali di
quellanno famoso. Camilleri voleva che Sciascia ci scrivesse sopra unopera storica romanzata nel suo stile pecu-

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liare, ma Sciascia lo convinse a scriverla lui, quella storia, a


modo suo, e gli promise che lavrebbe fatta pubblicare da
Elvira Sellerio, di cui era un collaboratore editoriale. La
collana blu La Memoria della Sellerio, infatti, in cui usciranno tutti i pi famosi libri di Camilleri nel corso degli
anni Novanta, era stata inaugurata nel 1979 con Dalle parti
degli infedeli di Sciascia. Il piccolo e delizioso libro-inchiesta La strage dimenticata (appena 72 pagine) uscir nel
1984 presso Sellerio, e da questo momento inizia unaltra
storia nella carriera letteraria di Andrea Camilleri, anche se
il libro successivo, La stagione della caccia (ancora un romanzo storico), vedr la luce solo nel 1992 (cfr. La testa ci
fa dire, pp. 67-69 e pp. 117-119, nonch La linea della
palma, pp. 239-240).
Un filo di fumo uno dei romanzi pi brevi
tra quelli finora scritti da Camilleri, che pure non sono mai
troppo lunghi, per una scelta esplicita dellautore. Il mio
ideale sono duecento, duecentocinquanta pagine al massimo (La linea della palma, p. 93), dice Camilleri, anche se
questo ideale non stato sempre rispettato. Il romanzo fino
ad ora pi lungo, Il re di Girgenti (2001), infatti, che lo
stesso Camilleri considera una delle proprie opere pi importanti e meditate, arriva addirittura a pagina 448.
Nelledizione Sellerio Un filo di fumo si estende da
pagina 11 a pagina 120. Il Glossario occupa le pagine da
125 a 136, mentre a pagina 123 si trova la nota in cui se ne
spiegano la genesi e la ragione della ristampa. Non diviso
in capitoli, ma in 53 paragrafi (di lunghezza variabile: si va
dalle poche righe alle diverse pagine), non numerati ma segnalati dal doppio spazio bianco tra luno e laltro. Il ro-

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manzo, come visto, racconta una serie di avvenimenti accaduti in massima parte in un solo giorno, il 18 settembre
1890. Gli ultimi due paragrafi sono dedicati alle due cerimonie religiose in due diverse chiese il funerale delle
dieci vittime del naufragio della Tomorov e il teatrale ringraziamento votivo di Tot Barbabianca e della sua famiglia (il penultimo) e alla morte del vecchio don Angelino
Villasevaglios (lultimo), avvenute la mattina dopo. Nel
raccontare la vicenda corale del romanzo i paragrafi sono
disposti a mosaico, al punto che ciascuna delle microstorie
dei vari personaggi si ramifica e si spezza in diversi paragrafi distanti tra loro. In tal modo il lettore chiamato a ricostruire un puzzle i cui vari pezzi vanno prendendo forma
lentamente e, nellassistere a storie che si intrecciano e si
sovrappongono a spezzoni, ha la percezione della contemporaneit degli eventi. Questa costruzione polifonica una
delle caratteristiche pi salienti del romanzo e non a caso
spesso sottolineata ed elogiata dalla critica. Ma su altro
che punteremo ora lattenzione, perch qui che il romanzo mostra la sua capacit di fungere da modello per la produzione successiva di Camilleri. Del resto, la costruzione a
incastro, ulteriormente raffinata e portata alle estreme conseguenze combinatorie, la si ritrover nel Birraio di Preston (1995).
Gli elementi del romanzo che intendo sottolineare sono quattro e rappresentano delle costanti che percorrono in vario modo le opere successive.
1) In primo luogo, linvenzione di Vigta.
Nella Nota dellautore posta in calce a Il ladro di merendine (1996) Camilleri scriver: Un critico, recensendo il

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mio Cane di terracotta, ha scritto che Vigta, il paese geograficamente inesistente nel quale ambiento tutti i miei romanzi, il centro pi inventato della Sicilia pi tipica. E
lo ribadir ancora nellintervista a Bonina che si trova ne Il
carico da undici: Vigta una sorta di buco nero che ingloba tutto. Tutto ci che succede dentro i confini della Sicilia (p. 396). Come si gi rilevato, in Un filo di fumo
che per la prima volta fa la sua apparizione questo nomemaschera per Porto Empedocle, la cui fortuna nelle opere
successive ben nota.
Su Vigta e i suoi molteplici volti torneremo alla
fine di questo capitolo.
2) In secondo luogo, linvenzione della lingua. Si gi accennato al fatto che la lingua di Un filo di
fumo sensibilmente diversa da quella del romanzo precedente ed gi la lingua inconfondibile di Camilleri come la
conosce e riconosce ogni lettore abituale. Da questo punto
di vista acquista notevole significato il Glossario, perch in
esso come se Camilleri avesse fissato un vero e proprio
codice, poi mantenuto e ampliato nelle numerosissime
opere che seguiranno. Anche su questo si torner pi avanti.
Come si vede, i due punti precedenti mettono
in luce elementi del romanzo che poi si ritroveranno in
quasi tutta la produzione di Camilleri. I due punti successivi, invece, sono allorigine di caratteristiche ben precise di
molti dei futuri romanzi storici e civili.
3) Un filo di fumo, come visto, si svolge nellarco di due giorni del settembre 1890. Il momento storico
particolarmente significativo per la Sicilia. Una trentina

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danni dopo lo sbarco di Garibaldi e il raggiungimento dellUnit, la crisi economica e le tensioni sociali e politiche
non sono affatto attenuate. Riprendendo motivi presenti ne
I vicer di De Roberto, ne I vecchi e i giovani di Pirandello
e ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Camilleri traccia un quadro desolato della delusione post-unitaria e della
stagnazione socio-economica della Sicilia di quegli anni. Il
classismo feudale, le angherie dei signorotti nostalgici dei
Borboni (il Circolo dei nobili), collusi da un lato col
nuovo ordine piemontese e dallaltro col potere mafioso,
la nascita di una borghesia imprenditoriale corrotta (di cui
emblema Tot Barbabianca) e le prime avvisaglie delle tensioni sociali che sfoceranno di l a poco nellavventura dei
Fasci Siciliani, sono aspetti della Sicilia dellepoca che attraggono Camilleri, poich acquistano un valore simbolico
che ancora si riverbera sul presente e ne permette una comprensione pi penetrante. Quindici anni prima si era avuta
la quasi farsesca inchiesta parlamentare sulle condizioni
economiche e sociali della Sicilia, accompagnata dalla parallela ricerca di Franchetti e Sonnino (entrambe esplicitamente citate nel romanzo alle pagine 35-37), e proprio da
queste fonti Camilleri trarr spunto per altri suoi romanzi
storici ambientati nella Sicilia di fine Ottocento (La stagione della caccia, Il birraio di Preston, La mossa del cavallo,
ecc.). Questo per dire che in Un filo di fumo creata
unimpalcatura storica (e anche ideologica) che funger da
sostegno per tutta una parte consistente dellopera successiva di Camilleri.
4) Lo spunto da cui nasce Un filo di fumo un volantino anonimo trovato da Camilleri tra le carte del nonno,

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in cui si metteva in guardia contro i maneggi disonesti di


un commerciante di zolfo, come rivela lo stesso autore nella gi citata nota aggiunta alledizione Sellerio del romanzo. Per inciso, quella di rivelare in una nota conclusiva la
fonte da cui i suoi romanzi traggono spunto una caratteristica di Camilleri, spesso occasione di osservazioni curiose
e divertenti. Questo fatto ci d laccesso allultimo elemento che si vuole mettere in luce, forse il pi importante. Alcuni personaggi del romanzo sono introdotti nellatto di
leggere o scrivere lettere o documenti, che Camilleri inserisce in corsivo nel corpo della narrazione. Intanto osserviamo subito che questa unaltra novit rispetto al romanzo
precedente. Ma non si tratta, come si vedr, di una caratteristica solo dei romanzi storici, perch questa costruzione
di documenti apparir qua e l anche nella serie di Montalbano. Come vedremo nel capitolo successivo, ne La luna di
carta (2005), ne La vampa dagosto (2006) e ne Il campo
del vasaio (2008) si arriver persino allartificio di lettere
che il commissario scrive a se stesso per riordinare le idee
sul caso che sta seguendo. I documenti che appaiono in
Un filo di fumo costituiscono per Camilleri loccasione per
un arguto esercizio di stile sul tema epistolare: ciascuna lettera, infatti, dotata di tratti formali e linguistici che spesso, oltre ad adeguarsi al rango del destinatario, rivelano la
natura in genere meschina e servile del mittente. Ed ecco,
nellordine, i luoghi e le circostanze in cui questi documenti vengono inseriti.
Nel terzo paragrafo (pp. 15-17), il personaggio attorno a cui ruota la vicenda, Tot Barbabianca, introdotto
nellatto di leggere e rileggere i due documenti che lo in-

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chiodano a un probabile destino di disonore e fallimento. Il


primo la lettera dordine (scritta in un pretenzioso e contorto linguaggio commerciale) con cui Emil Jung di Palermo, commerciante di zolfo, avvisa la ditta Barbabianca che
i cinquemila cantra di zolfo precedentemente depositati
nei suoi magazzini dovranno essere consegnati al comandante della nave Ivan Tomorov proveniente da Odessa per
conto della ditta russa Nikolaj Arbuzov. Il secondo il telegramma con cui Emil Jung avverte Barbabianca che la
nave in arrivo a Vigat per marted 18 settembre. Il complotto di cui vittima Barbabianca sta proprio nel fatto che
questo telegramma fatale, spedito tre giorni prima, stato
fatto arrivare dai magazzinieri rivali lo stesso giorno dellarrivo della nave, con la complicit delladdetto alle poste
di Vigta. E poich Barbabianca ha gi venduto a met
prezzo lo zolfo della ditta Jung, non ha il tempo materiale
per rimettere insieme il carico, esponendosi cos a una gogna rovinosa.
Nel sesto paragrafo (pp. 25-28), don Masino
Bonocore introdotto nellatto di aprire dopo sette anni la
finestra dello scagno impolverato e di rileggere dopo cinque una sua lettera al Direttore della Banca dItalia in cui
con toni patetici e stile formale e sottomesso raccontato il
raggiro economico attraverso cui i Barbabianca (lui suocero di Nen) lo hanno indebitato con la Banca portandolo
alla rovina. Rileggendo il documento ingiallito nel momento in cui viene a sapere che i Barbabianca sono prossimi
alla disfatta, don Masino pu rivivere la sua umiliazione
alla luce del pensiero dellimminente vendetta riparatrice.

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Nellottavo paragrafo (pp. 30-32), Agatino


Cultrera, ispettore corrotto della The Anglo-Sicilian Sulphur Company e della Ditta Jung, introdotto nellatto di
architettare un modo per guardarsi le spalle e
cautelarsi, dopo aver saputo che il suo compare Barbabianca sta per essere smascherato nei suoi loschi traffici.
Avendo coperto la vendita per conto proprio dello zolfo da
parte di Barbabianca, Agatino Cultrera prepara una relazione di ispezione in cui denuncia lammanco nei magazzini,
ovviamante retrodatandola al 15 settembre (a falsificare il
timbro ci avrebbe pensato lufficiale postale Calcedonio
Macaluso, opportunamente comprato con una mazzetta).
La relazione, messa da parte e da spedire solo in caso di
effettiva necessit (come sappiamo essa non verr mai spedita, perch il complotto andr in fumo), un capolavoro di
ipocrisia siciliana da parte dellispettore corrotto e doppiogiochista. Ecco il finale: Antichi rapporti di amicizia mi
attaccano al predetto Barbabianca, che ha tenuto fra
laltro a battesimo una mia figlioletta (meglio che glielo
faccio sapere ora, prima che qualche beccamorto glielo
manda a dire con una lettera anonima) ed perci con animo travagliato che mi trovo costretto a segnalarvi la posizione certo non regolare della ditta in oggetto, ma sempre
mi stato di faro e guida il convincimento che lonesto
esercizio delle proprie funzioni vada fatto tenendo in non
cale affetti e amicizie. Resto pertanto in attesa di vostri ordini (p. 32).
Lultimo documento occupa quasi per intero il
sedicesimo paragrafo (pp. 55-58). Si tratta della lettera di
un anonimo, evidentemente appartenente alllite del paese

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(come dimostra la prosa pomposa e untuosa), indirizzata


allIllustrissimo ed Eccellentissimo Onorevole Procuratore del Regno. Nella lunga lettera vengono denunciate dettagliatamente non solo tutte le malefatte di Barbabianca,
ma anche le contromisure che questi prender (minacce alla
Ditta Jung e corruzione delle Autorit) nel caso in cui la
frode dello zolfo dovesse venire a galla. Ma lanonimo un
codardo che da dieci anni scrive lettere che poi non spedisce e alla fine, nel timore che una perizia calligrafica possa
smascherarlo, strappa pure questa.
Questi documenti inseriti nel corpo della narrazione,
come si diceva, permettono a Camilleri di riprodurre ironicamente alcune delle strategie comunicative dellepoca e
rivelano gi la grande abilit mimetica dellautore. Ebbene,
espedienti di questo tipo, inaugurati in Un filo di fumo, opportunamente variati e ampliati, raggiungeranno livelli raffinatissimi e andranno a costituire alcune delle componenti
essenziali in molti dei successivi romanzi (soprattutto in
quelli storici), al punto da poter essere considerati una delle
cifre dellarte e del successo di Camilleri. Basti pensare, a
tal proposito, a opere come La concessione del telefono
(1998), La mossa del cavallo (1999) e a Privo di titolo
(2005) (su questultima opera torneremo in maniera pi approfondita alla fine del secondo capitolo), dove le sezioni
narrative si alternano con sezioni di documenti di ogni tipo:
articoli di giornale, lettere anonime, volantini, comunicazioni ufficiali delle forze dellordine, missive burocratiche,
verbali, deposizioni di testimoni, ecc.

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Lapice di questa tecnica per raggiunto ne La


scomparsa di Pat, uscito nel 2000 e miracolosamente fiorito su un aneddoto raccontato incidentalmente da Sciascia
nelle ultime righe di A ciascuno il suo (cos come La strega
e il capitano di Sciascia prende lavvio dal passo XXXI,
37-41 de I promessi sposi), in un passo riportato da Camilleri in epigrafe al romanzo: Cinquantanni prima, durante
le recite del Mortorio, cio della Passione di Cristo secondo
il cavalier DOrioles, Antonio Pat, che faceva Giuda, era
scomparso, per come la parte voleva, nella botola che puntualmente, come gi un centinaio di volte tra prove e rappresentazioni, si apr: solo che (e questo non era nella parte) da quel momento nessuno ne aveva saputo pi niente; e
il fatto era passato in proverbio, a indicare misteriose
scomparizioni di persone o di oggetti. Questo aneddoto,
relativo a un fatto realmente accaduto a Raccadali nel 1919,
aveva gi attirato lattenzione di Camilleri, il quale gli aveva dedicato un pezzo dal titolo Ipotesi sulla scomparsa di
Antonio Pat, uscito sullAlmanacco dellAltana e poi
ristampato in Gocce di Sicilia (2001). Da questo punto di
vista, La scomparsa di Pat costituisce un capolavoro forse
irripetibile, sia per il modo incredibilmente fantasioso in
cui Camilleri rielabora e reinventa a modo suo laneddoto,
sia perch la narrazione tradizionale sparisce del tutto e il
romanzo costruito come un unico e variegatissimo dossier di documenti disparati disposti in ordine cronologico
(si va dal 20 marzo al 28 aprile 1890: di nuovo lanno in
cui si svolgono i fatti di Un filo di fumo), con effetti altissimi di realismo mimetico e amara comicit.

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2. Glosse a un glossario
Per le considerazioni che seguono utile avere sottocchio il Glossario di Un filo di fumo, che qui di seguito si
riporta integralmente. Il lettore paziente che non ha ancora
familiarit con i testi camilleriani vi trover un concentrato
di suoni, espressioni e quadretti che costituiscono una prima introduzione alluniverso linguistico e antropologicoculturale dello scrittore.
Adenzia: darisi adenzia: badare a se stesso. Senza sapirisi dari
adenzia: non sapendo risolversi.
Ammammaloccuti: stupefatti, sbalorditi, come mammalucchi.
Appinnicunato: pinnicuni la romana pennichella, il sonnellino pomeridiano. Appinnicunato: semi-addormentato.
Larca e lamerca: modo di dire intraducibile che significa
ogni ben di Dio oppure, come nel nostro caso, uno di tutto.
Arrimino: arriminarsi: muoversi.
Assuppato: inzuppato.
Astutare: spegnere. Ma anche ammazzare, uccidere.
Attagna: attagnari: interruzione della fuoriuscita di un liquido.
Azzalori: frutti del lazzeruolo, o la pianta stessa.
Babbaluci: lumaca. Detta cos in siciliano perch lascia dietro
di s una striscia di bava luccicante.
Balte: la forma rettangolare (una sessantina di cm. di lunghezza, per quaranta di larghezza, per trenta di altezza) in cui veniva confezionato lo zolfo in raffineria. Prima misura di terziatura
dello zolfo; le altre due erano il tocco e il tocchetto. La balta
anche la pietra da lastricare: dari lu culu a la balta: ridursi sul
lastrico.
Bsola: bsola una grossa pietra lvica che serve per pavimentare le strade, durissima. Facci di bsula sta per sfacciato o
per impassibile mentitore.
Borgise: borghesi, benestanti.

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Botto: rumore, scoppio. Anche fucile. Aviri u bottu scarricu,


avere il fucile scarico, vale non farcela pi a procreare o ad avere
rapporti.
Bmmuli: recipienti di terracotta che, trasudando, tengono
sempre fresca lacqua (o il vino). Se non sono stati bene infornati
dal vasaio, non trasudano e lacqua rimane calda: in questo caso il
bmmulu detto crudo. Bmmulu crudu: persona insipida, che
non n carne n pesce.
Buttana: puttana.
Cajorda: sporca, sordida. Spesso prostituta dinfimo rango.
Betta la cajorda: un esemplare personaggio di Martoglio.
Clati juncu ca passa la china: proverbio: piegati giunco perch passa la piena. (Spiega Sandro Attanasio nel suo Parole di
Sicilia: accettare di malgrado o di buongrado una situazione a cui
non ci si pu opporre. O piegarsi o rompersi).
Calatna: companatico. Aiuta il pane a calari meglio nello
stomaco.
Caliarsi: riscaldarsi.
Campieri: oggi detti vigilantes. Era gente assoldata dai proprietari dei feudi per vigilare sui campi. In realt, oltre ad esercitare continui soprusi sui contadini e sul bracciantato agricolo, fungevano da intermediari fra i proprietari e la mafia. LInchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876) contiene decine di pagine assai interessanti sullattivit dei campieri.
Anche i due volumi dellinchiesta Franchetti-Sonnino del 1876
affermano le stesse cose sui campieri e sulla mafia in genere; cose
un po diverse dicono i tre grossi tomi della Relazione della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia del
1972. Cambiano le parole usate, passano fra la prima inchiesta e
la terza esattamente centanni, ma il risultato immancabilmente
non cambia.
Camurra: seccatura gigantesca. Deriva da una deformazione
di gonorrea, che era un tempo di lunga e diffcile cura. Camurrusu
o camurriusu: noioso.
Cantra: plurale di cantru. Ogni cantru equivaleva a cento
rotoli; ogni rotolo corrispondeva a circa 1 chilogrammo. Attenzione a non spostare laccento di cantru, perch cntaru era un vaso
di terracotta atto a deporvi gli escrementi del ventre. E quindi pezza di cntaru, cio panno di pitale, era offesa da lavarsi col sangue.

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Cantoni: pietre squadrate di tufo che servono per la costruzione dei muri perimetrali di una casa. La cantunera langolo esteriore di una casa che d inizio a una strada. Fimmina ca fa cadiri
cantuni: donna straordinariamente bella.
Carico di undici: , nel gioco della briscola, la carta di pi alto
punteggio, cio lasso. Mettiri u carricu di unnici significa attizzare una lite portando argomenti che esasperano gli animi, in genere
peggiorare in qualche modo una situazione.
Caruso: ragazzino. Il diminutivo caruseddu implica un certo
disprezzo. Il bambino invece laddevu, lallievo.
Catafottere: scaraventare e anche cadere, ma sempre con violenza. Il cata iniziale spesso un rafforzativo. Vatti a fari futtiri e
catafuttiri.
Catamini: cataminarsi: muoversi. Nun ti cataminari (non fare
il pi piccolo movimento). Se in Sicilia uno ti dice mviti, tu resta
assolutamente immobile, a scanso di guai: significa infatti stai
fermo.
Catojo: abitazione, in genere di una sola stanza, posta al piano
terra. Quasi sempre senza finestra, ha come unica bocca daria e di
luce la porta dingresso.
Chiummo: piombo. Testa di chiummu: testardo. Mentre aviri i
pedi di chiummu, avere i piedi che sembrano di piombo, segno di
estrema stanchezza.
Ciruso: indurito come la cera. Ovu cirusu: uovo sodo.
Coffa: canestro non rigido, fatto di foglie di palma selvatica,
adatto a trasportare per lo pi commestibili. Dari la coffa sta per
togliersi uno di torno piuttosto bruscamente. Pigliarselo nella coffa significa rimanere fottuto, prenderlo in quel posto.
Compare di sangue: si diventa cumpari in tanti modi: per aver
tenuto a battesimo o a cresima il figlio di un amico, per essere
stato testimone di nozze (cumpari daneddu: compare danello),
per lunga dimestichezza o per atto di fratellanza (che appunto u
cumpari di sangu). In questultimo caso bisogna, praticando delle
piccole incisioni al braccio o alla mano, mischiare insieme il sangue dei due che decidono il cumparaggiu.
Criata: la servente di casa: dallo spagnolo criado, servo. La
criata sparrittera: sonetto celeberrimo di Martoglio dove una domestica sparla dei padroni.
Cucco: il cuculo. Anche stupido e, nel nostro caso, albino.

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Cu nasci tunnu non pu muriri quatratu: chi nasce rotondo


non pu morire quadrato. Il proverbio vuole significare che assai
difficile mutare carattere o mutare destino.
Custureri: sarto. Dal francese couturier.
Cu veni appressu aggruppa i fili: proverbio: chi subordinato
sempre costretto a sottomettersi. Aggruppari i fila, annodare i
fili, significa pure dissimulare.
Elasso: trascorso. Elapsus participio del latino elabor che
significa anche svanire, andar via.
Fvuso: falso, imbroglione, ipocrita: Catanisi, sordu favusu
(Catanese, soldo falso).
Feteva: puzzava.
Figliu fissa: figlio fesso, stupido. Fissa, sostantivo, uno dei
tanti modi per indicare il sesso della donna.
Filama: qui il significato di relazione. Ma certe volte vale
diceria, insinuazione.
Fonduto: profondo.
Friscanzana: venticello. C un verso famoso di Martoglio:
Orlando, chi aveva sintito la friscanzana... Dove la friscanzana, il
venticello, nasce dal mulinare della spada di Rinaldo.
Fujuto: pigliari u fujuto: darsi alla fuga.
Furettu: furetto, piccolo mammifero adoperato per stanare
conigli. Cammina zigzagando.
Gabelloti: gabelloto colui che si fa affittare un pezzo di terra
dal proprietario e paga una certa cifra annua per il fitto. Pu, a sua
volta, subaffittare tutto o parte del campo.
Gana: dallo spagnolo gana: voglia, desiderio.
Garrusi: scrive il Mortillaro: voce per lo pi di solo spregio,
ma poco onesta, e da schivarsi; significando in effetti il paziente
nellatto della sodomia tra maschi. Per a seconda dellintonazione, pu avere significati diversi: furbo, figlio di buonadonna,
uomo al quale piace scherzare, ecc. Garrusera pu essere azione
ridicola o gioco tra amici.
Gastime: maledizioni. Ittari gastmi, scagliare maledizioni.
Gilecco: gilet.
Gnutticatra: gnutticare lazione di ripiegare un panno, un
lenzuolo. Significa anche raggirare. Ma, nel caso nostro, col
palmo e la gnutticatra equivale a di buon peso, col sovrappi.
Infatti, misurato un palmo con la mano, il sovrappi era rappresentato dalla piegatura del pollice.

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Imparpagliato: incerto. Deriva, credo, da nel barbaglio, che


impedisce di vedere chiaramente e rende esitanti.
Infaccialate: infalacciarsi: travestirsi, ma frequentemente
celare il volto. I ladri di passo, cio quelli che tendevano imboscate sulle strade, erano sempre infaccialati con sciarpe e barracani.
Insallanuto: attonito.
Lagnusa: pigrizia, poltroneria.
Lggia: leggera.
Levare il pelo: livari u pilu oppure scutulari u pilu in genere
legato a: botte da... Per significa anche criticare duramente.
Lmmiti: limmitu o limitu, che deriva da limite, in genere un
muro a secco che costeggia la trazzera.
Malanova: cattiva notizia.
Mzzara: un ammasso di pietre ben legate che costringe la
parte inferiore della rete di tonnara a stare aderente al fondo. Mettersi la mzzara al collo significa legarsi addosso un peso per poter affondare pi rapidamente.
Minchia: pudicamente, Vincenzo Mortillaro, marchese di Villarena, autore del Nuovo Dizionario siciliano-italiano, del 1876,
non registra la voce; il Biundi vi dedica un rigo: voce oscena,
coso. Quotidianamente e universalmente pronunciata, la parola ha
finito per perdere il suo significato originario per diventare esclamazione di stupore, di rabbia, di indignazione, ecc. Minchiata:
stupidata. Notare che il sesso maschile, in Sicilia, si designa con
un sostantivo femminile, e viceversa.
Minnitta: vendetta. Ma farinni minnitta equivale a fare strage,
distruggere sconciamente.
Muffoletto: piccola forma di pane.
Mutngheri: mutanghera il silenzio nato da dispetto o da
indisposizione. anche non voler parlare a bella posta, tenendo
per s i propri pensieri.
Ngiuriato: ngiuria: nomignolo offensivo. Assai pi spesso
un soprannome che trae origine da un tic, da un difetto fisico, da
una particolarit del carattere, da unabitudine. Ci sono, al riguardo, delle pagine esemplari di Brancati.
Nico: piccolo, in tutti i sensi, di et o di grandezza. La frase mi
pari nicu sta per: mi sembri irragionevole.
Nonsi: nossignore.
Nzam: nzam Signuri: vale esattamente: non sia mai, Signore! Dio ne scampi e liberi.

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Omu di panza: colui che sa tenere tutto dentro di s, ligio alle


leggi dellomert. Significa anche mafioso.
Onza: equivaleva, nella seconda met dellottocento, a lire
italiane dodici e centesimi settantacinque. Arricogghiri a unza e
cacari a rotuli: raccogliere con grande fatica, a poco a poco, e
spendere, costretti, tutto in una volta.
Palla allazzata: palla legata con un laccio di ferro che, sparata, torna indietro violentemente.
Pampra: il Biundi, nel suo Dizionario del 1857 definisce la
pampra pezzo di suola che si pone sul davanti del berretto detto
cppola, vedi Visiera. Mettiri a manu a pampra: coprire gli occhi
con la mano aperta allaltezza della fronte per ripararli dalla luce
del sole.
Pap, a mamma mor ora ora: papa, la mamma morta in
questo preciso momento.
Papello: , ironicamente, uno scritto eccessivamente lungo.
anche lequivalente del papiro che si consegna alle matricole universitarie. Deriva dallo spagnolo papel, carta. Ma la pianta di papello una sorta di margherita selvatica, spinosissima. Le foglie,
quando manca il tabacco, vengono fatte seccare al sole e poi fumate.
Parrino: prete. Monaci e parrini sinticci la missa e stccacci
li rini (monaci e preti: ascoltali dir messa e poi spezza loro le
reni). Significa anche padrino.
Pejo: peggio.
Piombigno: plumbeo se detto del cielo; se detto del sonno vale
pesante.
Pirretto: grosso limone, assai simile al cedro. Qui sta a significare porro.
Pirriatori: coloro che lavorano col piccone.
Pirtusi: pertugi, buchi.
Pititto: appetito.
Plaja: dallo spagnolo playa, spiaggia. Si dice anche pilaja.
Prescia: fretta.
Primintia: precoce. Anche primizia.
Puliziare: far pulizia, pulire.
Pupi pupi: gli occhi fanno pupi pupi quando, per la stanchezza, la vista si annebbia e par di vedere macchie e figure.
Purriti: dal francese pourri: marcio, guasto, corroso, putrido.
Quadiare: scaldare. Anche cominciare ad adirarsi.

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Raggia: rabbia. Dal francese rage.


Ranto: vicinissimo.
Rimaneva in tredici: ristari ntridici equivale restare a mezzo,
e proprio sul pi bello. Si dice anche di chi non ha saputo trovare
una soluzione, una risposta pronta: rist ntridici.
Salta il trunzo e va in culo allortolano: proverbio; si dice di
chi predestinato alla disgrazia, segnato dal destino, costretto dalla sua posizione nella societ. Se per un colpo di vanga salta in
aria un tronchetto, inevitabilmente andr ad infilzare in quel posto
lortolano.
Sanfasn: dal francese sans faon, senza modo, senza ordine,
alla come viene viene.
Santioni: bestemmie. Ma il vero e proprio santiuni lattribuzione della santit al diavolo: santu diavuluni!
Sbmmicano: sbommicare: cacciar fuori parole o mostrare
sentimenti con violenza inarrestabile. Anche sfogarsi.
Scanata: grossa forma di pane.
Scanto: spavento, paura, oppure sbigottimento danimo per
aspettazione del male (Mortillaro).
Scappacavallo: carrozzino aperto a due posti, leggero, tirato
da un solo cavallo.
Scecchigni: a mo dasino. Aviri loricchi scicchigni, avere le
orecchie grandi come quelle di un asino; aviri a vucca scicchigna,
avere la bocca cavallina: ma scicchignu solamente, detto di un
uomo e senza riferimenti, si riferisce invece inequivocabilmente ai
suoi attributi virili.
Sciroccati: colpiti dallo scirocco, vento caldo e umido, che
toglie le forze.
Scoppo: la serratura a scatto.
Scu e passa in l: scu il suono col quale si scacciano i porci.
Nun mi dissi n scu n passadd, significa non avere ricevuto risposta a una domanda, equivale a un silenzio volutamente indifferente.
Sfondapiedi: letteralmente affonda-piede, fosso ricoperto da
rametti e foglie per fare inciampare una persona: trappola. Il piede
che deve entrare nel fosso uno solo, non inganni il plurale piedi.
In una sua preziosa grammatichetta, labate Meli ricorda che la i
la lettera pi favorita dai siciliani, e si sostituisce per lo pi alla e:
ci reca un inconveniente negli articoli plurali femminili: dovendo

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dire una madre con due fglie, deve dirsi in siciliano: una matri cu dui figghi fimmini.
Sgonocchier: sgonocchiare: sconnettere. Un cavallo sgonocchia quando per stanchezza cade sulle zampe anteriori.
Signo: cenno, segnale.
Si ingiarma: sincanta, si stupisce.
Smirciarlo: smirciari latto, proprio del miope, che socchiude gli occhi per meglio vedere.
Sparagnavano: sparagno, risparmio, non voce solo siciliana:
dialettale s, ma registrata nei vocabolari italiani.
Sparluccicho: il brillare: ci sparluccicano locchi. Sparluccicanti: brillanti.
Sperto: esperto, pratico. Ma in realt significa furbo. Chi ti
senti, spertu? (Vuoi fare il furbo con me?)
Sponza: spugna.
Squasciarata: eccessivamente larga, quasi squartata.
Squieto: inquieto. Squieto no sonnu oppure squieto no drmiri
equivale ironicamente a donnaiolo, a chi non riesce a dormire se
nel letto non ha compagnia.
Stcchio: la vulva. Chi si sticchiuta! si dice a una donna prepotente.
Stracangiarsi: stracangiarisi a facci: scurirsi in volto.
Strammaria: stranezza. Stramma: strana, inconsueta.
Strascinuni: trascinandosi per terra.
Struppiare: storpiare.
Supra a pasta minnulicchi: sulla pasta, mandorlette la traduzione letterale, e il suo equivalente italiano pu essere in qualche modo: piove sul bagnato. E cio disgrazia su disgrazia. In
questo senso, la Sicilia ha una fioritura di proverbi impressionante. Tre esempi fra centinaia: Allannigatu, petri dincoddu (Allannegato, pietre addosso); Passari i gu do linu (Patire i guai del
lino: taglio, battitura, triturazione, ecc.); Allannu cci muru lu
mulu e supra lannu cci fitu lu culo (Entro lanno gli mor il
mulo e dopo un anno gli puzzo il culo: anche il proprietario del
mulo cio tir le cuoja).
Svacantato: svuotato.
Tabbto: bara, cassa da morto.
Talano: talire guardare.
Tanger: dal francese tagre, scaffale. Ma uno scaffale basso, di solito con un ripiano di marmo nella parte superiore.

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Tanticchia: un poco. Si dice anche na picca.


Tar: moneta dargento siciliana che valeva, nel 1875, mezza
lira toscana. Era anche la trentesima parte delloncia (onza).
Terziati: zolfi terziati espressione tipica dei commercianti di
zolfo e sta a significare la suddivisione dello zolfo in tre diverse
misure di grandezza.
Tirriblio: fracasso, confusione, insieme di cose terribili.
Trainello: tranello.
Travagliu di la sira a la matina: lavoro dalla sera alla mattina,
sono peggio di un cane alla catena.
Trigliole: triglie piccole ma saporitissime.
Tringulimnguli: barcollante, malfermo sulle gambe.
Ummira: ombra.
Una stampa e una figura: espressione che si adopera per designare due cose identiche fra loro.
Urbigna: drisi corpi allurbigna: darsi botte da orbi. Anche
urvigna. Pirandello, nella sua versione del Ciclope usa lespressione: e tiru certi prita allurvigna (e sparo certi peti alla cieca).
Vossia ci issi: vossignoria ci vada.
Vulemu a Garibaldi: la canzoncina, pubblicata da Antonino
Uccello nel suo Risorgimento e societ nei canti popolari siciliani
suona cos: Vogliamo Garibaldi / con un patto: senza leva! / Che
se lui mette la leva / cambiamo di bandiera. Con i Borboni, infatti
la leva non era obbligatoria: lobbligatoriet della leva militare,
introdotta dopo lUnit, suscit reazioni negative perch toglieva
braccia giovani dal lavoro dei campi.
Zamm: liquore fatto con alcool ed essenza di cimino. una
specie di anice che si beve con lacqua.
Zardo: zotico, oppure chi ha difficolt a capire.
Zotte: a zotta sferza di campo attaccata ad una verga colla
quale si frustano i cavalli (Mortillaro).

Una cosa che salta subito agli occhi che


questo glossario non si presenta come opera rigorosa dal
punto di vista di un linguista dialettologo. Non c in esso
alcun cedimento, per esempio, alle sofisticate e aride ricerche etimologiche (se non in quei rari casi in cui viene indicata lorigine latina, come nel caso di elasso, o comun-

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que straniera, di qualche termine dialettale, come gana,


plaja, purriti, raggia, custureri, ecc.). Lo scopo di
Camilleri sembra molto diverso da quello del linguista.
Come vedremo in seguito, egli mira soprattutto al colore
antropologico-culturale delle espressioni e persino allabbozzo narrativo. Un esame pi approfondito mostra persino
che esso non per nulla completo. Nel corpo del romanzo
si possono trovare, infatti, almeno una trentina di altri dialettismi ed espressioni decisamente dialettali che avrebbero
dovuto entrarvi ma che sembrano essere sfuggiti alla tabulazione:
bocca allapposa (p. 13), indica la sensazione che si
ha quando si mangia un frutto acerbo;
piccamora (p. 14), per adesso;
masann (p. 15), altrimenti;
cicato (p. 19), accecato;
mormoriare (p. 19), lamentarsi a bassa voce;
sdirruparsi (p. 29), cadere rovinosamente in un dirupo;
ripestiare (p. 32), richiamare alla mente con insistenza;
preno (p. 35), gravido;
minarsela (p. 38), letteralmente masturbarsi, qui
trovarsi senza lavoro, ovvero senza niente da fare;
picinoso (p. 39), fastidiosamente pignolo;
babbo (p. 41), scherzo;
assumava (p. 54), si manifestava;
incuponarsi (p. 54), nascondersi;
sintmo (p. 61), un malore improvviso, un colpo;

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penzoliare (p. 69), pendere oscillando, penzolare;


quartiato (p. 76), riparato;
incarcato (p. 85), calcato;
insitato (p. 85), infilato nellago come filo di seta,
quindi, riferito a persona, essere di cattivo umore;
cimiare (p. 86), oscillare come la cima di un albero;
inchiovati (p. 86), inchiodati;
sintorciunava (p. 89, nella forma si era intorciuniato a p. 116), si attorcigliava;
attrassata (p. 92), arretrata;
impupato (p. 93), in ordine come un pupo;
a riversa (p. 101), allincontrario;
piliarsi (p. 105), consumarsi;
magara (p. 108), maga;
pinire (p. 108), penare;
arravogliati (p. 109), avvolti pi e pi volte e disordinatamente;
vota e svota (p. 111), girarsi e rigirarsi.
Viceversa, non di rado il glossario riporta, allinterno delle voci, espressioni e modi di dire che non
compaiono nel romanzo. Valga per tutti lesempio delladagio ferocemente anticlericale (tipico della societ rurale
vessata per secoli dalle decime della Chiesa) riportato maliziosamente alla voce parrino. Piuttosto, pur tenendo
presenti i classici dizionari di Mortillaro e di Biundi, Camilleri sembra pi interessato a riagganciarsi alla grande
tradizione letteraria siciliana dellabate Meli, di Martoglio,
di Pirandello e di Brancati, nonch alle inchieste sulle condizioni della Sicilia condotte dal Parlamento e da Franchetti

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e Sonnino negli anni Settanta dellOttocento. Questo fatto


conferma limpressione che Camilleri si serva dellespediente del glossario per fissare quel paradigma linguistico e
antropologico che poi utilizzer e perfezioner in tutte le
opere successive. Da questo punto di vista Un filo di fumo
costituisce davvero lopera fondante dello stile e della poetica di Camilleri.
Per rendersene conto, baster citare qualche esempio
della complessa rete di relazioni che possibile scorgere tra
il testo del romanzo e il glossario da un lato e un opuscolo
successivo come Il gioco della mosca dallaltro. Questo
volumetto, pubblicato per la prima volta da Sellerio nel
1995 nella collana Il divano e poi ristampato nel 1997
nella collana La memoria (vale a dire negli anni cruciali
dellesplosione del caso Camilleri), un repertorio in ordine alfabetico di termini e modi di dire dialettali dietro ai
quali stanno aneddoti e microstorie locali tipici del mondo
vigatese di Camilleri. costruito sul modello di Occhio di
capra (1984) di Sciascia, e con esso e Il museo dombre
(1982) di Bufalino (che per Camilleri ha conosciuto solo
dopo aver pubblicato Il gioco della mosca: cfr. Il carico da
undici, p. 270) costituisce un trittico peculiare in cui il recupero di una certa antropologia culturale localistica avviene attraverso un elenco di voci dialettali costituito da modi
di dire, motti, espressioni varie e nomi di mestieri e di luoghi di una Sicilia perduta. Ecco come lo presenta lo stesso
Camilleri: ho raccolto alcune microstorie, anzi sarebbe
meglio dire storie cellulari, e le ho rielaborate: le intitolazioni sono la conseguenza logica delle storie, la conclusione posta in testa e non in coda. La disposizione secondo

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lalfabeto solamente unagevolazione alla lettura (Il gioco della mosca, p. 11). Questi abbozzi narrativi si trovano
poi disseminati e variamente sviluppati nei romanzi e nei
racconti coevi e successivi, ma interessante osservare
come essi siano gi in parte presenti in Un filo di fumo e
nel glossario, se non addirittura nel primo romanzo (si confrontino ad esempio le pp. 31-32 e 57 de Il corso delle cose
rispettivamente con le voci Amminchi cu pupu e A risata do zu Manueli quannu pird u caiccu de Il gioco della
mosca).
Anzi, si potrebbe dire che Il gioco della mosca non
altro che una rielaborazione e un ampliamento del Glossario, come dimostrano le numerose corrispondenze tra i
due testi. Si prenda ad esempio la voce Catamini del
glossario e la si confronti con la voce Moviti de Il gioco
della mosca, dove tra laltro si legge: Un non siciliano, al
suono di questa ingiunzione, pensa che debba cominciare a
muoversi in fretta, commettendo un errore che pu essere
fatale (non so, ad esempio nel caso che gli stiano puntando
unarma contro). Il suono quello, certamente, ma il senso
locale decisamente lopposto: stai perfettamente immobile, non battere ciglio (cfr. anche la voce Sfondapiedi del
Glossario con la voce Sfunnapedi de Il gioco della mosca).
Ancora pi interessante, dal nostro punto di vista,
un confronto tra la voce Calatina del glossario e la stessa
voce ne Il gioco della mosca, che comincia cos: Companatico. Cos chiamata forse perch aiutava il pane a calarsene. La voce poi prosegue con un elenco di tipiche calatne del popolo, recuperate dalla memoria personale e di

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famiglia: luovo sodo messo in bocca per sentirne il sapore


e poi tirato fuori per riutilizzarlo magari il giorno dopo; la
sarda appesa a un filo e leccata per accompagnare il pane e
infine la caponatina di melanzane, sedani, capperi, sugo
di pomodoro e aceto. Ma queste sono proprio le calatine
di cui si parla in una delle pagine di Un filo di fumo pi belle e cariche di piet per gli umili. Prima c la straordinaria
carrellata del pranzo dei notabili, notevole soprattutto per la
sapiente applicazione della figura retorica dellanafora, che
rende perfettamente la contemporaneit e la tensione dellevento: Mangiava Michele Navarra (...) Mangiava Padre Imbornone (...) Mangiava Ciccio Lo Cascio (...) Mangiava Filippo Ingrassia (...) Mangiava Paolo Attard (...) il
marchese Curt di Baucina che ora stava mangiando (...)
Mangiavano tutti, da Alajmo a Zizza () Non mangi invece don Angelino Villasevaglios (...) Non mangi il Principe di Sommatino (...) Non mangi Masino Bonocore...
(pp. 61-65). Poi Camilleri fa una digressione sul pranzo
di quelli che non contano nulla, cio della massa informe di
coloro i quali sono sfruttati da sempre dalla voracit parassitaria dei potenti: Ma dato che si era fatta lora di mangiare, pure loro che non contavano stavano mangiando. Lo
facevano per con fantasia, perch cera da prendersi per il
culo, convincersi cio che la scanata di pane di frumento da
un chilo fosse appena bastevole per il companatico che non
andava pi in l di una sarda salata, di un uovo ciruso, di
un pugno di olive. Allora si faceva penzoliare dalla cima di
una canna la sarda salata e si dava un mozzicone al pane e
una leccata alla sarda, una sola passata di lingua pelle pelle:
i denti sulla sarda si cominciavano ad adoperare verso la

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fine, quando il rapporto fra il pane ed il companatico era


diventato cosa ragionevole. Oppure si metteva in bocca tutto intero luovo ciruso, che per questo scopo doveva essere
ben sodo, lo si teneva un poco fra lingua e palato e poi
sempre tutto intero lo si ritirava fuori e su questo sapore
uno poteva mangiarsi magari mezza scanata, e capace che
in caso di bisogno luovo era ancora buono per il giorno
dopo. I pi fortunati, quelli ai quali il lavoro dava diritto
per tradizione alla calatina, il companatico a spese del padrone, mangiavano caponatina, uninsalata di capperi,
sugo, sedani e melanzane annegata nellaceto, e si sentiva
meglio di un re (pp. 68-69).
Un ultimo esempio mostra addirittura come un elemento narrativo di Un filo di fumo verr presentato ne Il
gioco della mosca come aneddoto basato su fatti e personaggi reali. Descrivendo Padre Imbornone mentre mangiava la sua solita minestrina accompagnata da sei uova, in
attesa del mezzo capretto messo a forno (e si noti il contrasto con il pranzo del popolo), il narratore interviene anticipando gli eventi e informando che il prete non poteva sapere che di l a un mese la badante Filippa lo avrebbe trovato
morto per una sincope e con la testa dentro la minestrina:
E mai avrebbe saputo di conseguenza che appena conosciuta la sua morte, un uomo semplice, che fino a quel
momento si era occupato di molini e pastifici, sarebbe stato
di colpo folgorato dalla grazia dellarte: altrimenti non si
pu definire e altrimenti non si pu spiegare come mai questuomo, uscito di furia da casa appena appresa la notizia,
avesse prezzolato il banditore comunale perch andasse
gridando di strada in strada: Cu avi a mannri trusciteddi

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onfernu, mur u parrinu Imburnuni. Si faceva cio premura davvertire i compaesani che avessero parenti allinferno, e volessero mandar loro qualche fagottello, di cogliere
al volo loccasione, perch sulla destinazione di Padre Imbornone dubbio non sussisteva (p. 63). Si confronti ora
questo passo con la fine della voce Cu avi a mannari trusciteddri ombernu, mur u parrinu Arnuni de Il gioco della mosca, relativa a un prete descritto nella sua dissolutezza
in termini pressoch identici a quelli con cui viene descritto
padre Imbornone poco prima del passo citato (p. 62):
Quando si sparse la notizia che padre Arnone aveva tirato
le cuoia, uno dei tanti al quale il prete aveva fatto torto
ebbe una geniale ispirazione. Assold il banditore comunale perch andasse di strada in strada gridando: Cu avi a
mannari trusciteddri ombernu, mur u parrinu Arnuni!.
Chi aveva da mandare pacchetti e fagottini ai propri familiari allinferno, approfittasse subito delloccasione, perch
sulla destinazione di padre Arnone nellaldil non potevano
sussistere dubbi.

3. Gocce di filosofia del linguaggio


Ma in base a quale teoria del linguaggio Camilleri
pu insistere su un uso cos marcato e diffuso del dialetto?
La risposta interessante e merita di essere discussa con
attenzione, perch si vedr che essa rimanda ad almeno un
paio di snodi cruciali della filosofia del linguaggio della
prima met del XX secolo.

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Per i suoi scopi espressivi e di poetica, Camilleri insegue esplicitamente lideale regolativo di una raffigurazione il pi possibile aderente alla realt delle strutture linguistico-cognitive e dellorizzonte simbolico-culturale dei
personaggi del suo mondo narrativo (costituito da una serie
di tipi ideali di una certa Sicilia nelle sue varie fasi storiche
dal 700 a oggi). Come egli dichiara in La testa ci fa dire,
riferendosi nella circostanza a Il re di Girgenti, per me il
dialetto, meglio sarebbe dire i dialetti, sono lessenza vera
dei personaggi. () Nel romanzo storico, un certo lavoro
di ricerca indispensabile: se devo raccontare un contadino
siciliano del 700, ho bisogno di capire come parlava ai
suoi tempi. E mentre cerco di capirlo, il personaggio comincia a prendere forma; nasce, quasi, dalle parole che
deve dire. () La sua lingua il suo pensiero (pp.
120-121).
A tal proposito pu risultare illuminante un rapido
raffronto tra Gadda e Camilleri, perch si tratta di una questione gi emersa nel dibattito sul caso Camilleri. In effetti, a uno sguardo superficiale sembra che Gadda sia uno
dei pochi autori italiani cui Camilleri possa far pensare per
il suo caratteristico uso di una lingua mista in cui litaliano
convive con varie gradazioni del dialetto siciliano, con altri
dialetti (come ad esempio il genovese ne La mossa del cavallo) e con altre lingue (come ad esempio lo spagnolo ne
Il re di Girgenti). Tuttavia, come ha pi volte sottolineato
lo stesso Camilleri, anche se il modello di Gadda gli presente, il confronto con lui fuorviante se incentrato sulla
questione della lingua, mentre non lo se si considera il
ricorso pretestuoso al meccanismo del giallo. La speri-

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mentazione linguistica, infatti, ha in loro metodi e scopi


completamente diversi, se non addirittura incommensurabili. Per rendersene conto basta aprire dallinizio Il pasticciaccio e osservare il modo in cui Gadda presenta la visione del mondo di don Ciccio Ingravallo, un molisano in
servizio a Roma che parla mescolando insieme il napoletano, il molisano e litaliano, e che per di pi legge libri
strani: da cui cavava tutte quelle parole che non vogliono
dir nulla, o quasi nulla, ma servono come non altre ad accileccare gli sprovveduti, gli ignari, mentre Montalbano,
come vedremo, legge soprattutto i narratori e qualche poeta. Ingravallo, oltre a mescolare parlate diverse, esibisce
una gamma molto vasta di registri linguistici e lessicali, che
arrivano a coinvolgere non solo, ovviamente, lambito giuridico, ma anche quello medico-psichiatrico e persino quello filosofico. Nella terza pagina del romanzo, infatti, detto
che il suo scopo era quello di modificare il concetto univoco di causa, cos come ci stato tramandato da Aristotele e
Kant, e sostituirlo con lidea che la causa avesse un senso
polivoco (un po come Aristotele stesso aveva fatto col
concetto di essere). Piuttosto che di causa, quindi, secondo Ingravallo bisognerebbe parlare di cause: Sosteneva, fra laltro, che le inopinate catastrofi non sono mai la
conseguenza o leffetto che dir si voglia dun unico motivo,
duna causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicit [corsivo mio]
di causali convergenti () La causale apparente, la causale
principe, era s, una. Ma il fattaccio era leffetto di tutta una
rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello

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() e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la


debilitata ragione del mondo. Come si storce il collo a un
pollo. Come si vede, c qui lesibizione di una epistemologia che rimanda a una ben precisa ontologia pluralistica,
vorticosa e piena, e il tutto muove dalla liquidazione dellepistemologia e dellontologia dominanti nel pensiero occidentale (Aristotele e Kant, esplicitamente citati nella stessa pagina, ed Hegel, cui allude lespressione ragione del
mondo). Come emerso dalle carte postume, in effetti,
Gadda, da ingegnere attratto dai sistemi fisici complessi, si
ispirava ai due metafisici che meglio esprimono la visione di un mondo pieno e fitto di rimandi reciproci, di interconnessioni e di rispecchiamenti, ovvero Spinoza e Leibniz. Sulla scorta di un saggio di Gian Carlo Roscioni del
1969, La disarmonia prestabilita, Italo Calvino, nellultimo
periodo della sua vita, stato un acuto interprete di questo
aspetto della poetica di Gadda, come si vede dalla sua introduzione a unedizione americana del 1984 del Pasticciaccio e soprattutto dallultima delle sue Lezioni americane, che comincia proprio con una lunga citazione delle pagine iniziali del romanzo e si intitola non a caso Molteplicit, come la parola che nel passo citato sopra ho messo in
corsivo. Ora, tutto questo assolutamente assente nelluniverso di Camilleri, al quale, come visto, interessa soprattutto realizzare attraverso il linguaggio una mimsi pi rigorosa possibile dei pensieri dei suoi personaggi, al fine anche
di rendere pi efficace e vera la rappresentazione del loro
carattere. Naturalmente anche questo programma rimanda a
ben precise concezioni filosofiche e psico-linguistiche, che
tuttavia non hanno nulla a che vedere con quelle di Gadda,

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perch sono legate alla sua lunga esperienza di uomo di


teatro e di sceneggiatore.
Pirandello, infatti, la sua musa teoretica ed estetica. In un suo articolo apparso su Rivista popolare del 31
gennaio del 1909 e intitolato Teatro siciliano?, pur sostenendo che le opere teatrali dialettali (da lui stesso sperimentate) sono condannate a una circolazione limitata alla
regione cui appartiene il dialetto usato, e quindi di fatto
condannando un uso sistematico del dialetto in opere che
ambiscano a una vasta circolazione, Pirandello fa unosservazione di semantica teorica che ha molto colpito Camilleri, il quale non a caso ha ristampato larticolo (peraltro
poco noto) nelle sue Pagine scelte di Luigi Pirandello, a
rimarcare proprio il suo debito nei confronti del grande
maestro. Camilleri tornato su questo articolo di Pirandello
e sulla sua concezione del dialetto, nemico amatissimo,
anche nella sua introduzione al quarto Meridiano delle Maschere nude (2007). Tra le altre cose, Pirandello vi sostiene
che, laddove la lingua esprime soprattutto il concetto delle cose designate, il dialetto ne esprime fondamentalmente
il sentimento, fermo restando che un grandissimo numero di parole di un dato dialetto sono su per gi tolte le alterazioni fonetiche quelle stesse della lingua, ma come
concetti delle cose, non come particolar sentimento di
esse (in Pagine scelte di Luigi Pirandello, p. 131). Nellintroduzione alla sua antologia, Camilleri riporta proprio
questo passo e lo chiosa con una confessione estremamente
interessante: Confesso qui che mi capit di leggere questa
affermazione di Pirandello quando, nel 1967, cominciavo a
mettere mano al mio primo romanzo e molti erano i dubbi

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che su quel mio particolare modo di scrivere, mischiando


cio lingua e dialetto, da me stesso nascevano. Quelle parole mi diedero allora il coraggio di continuare, me ne spiegarono la necessit (p. 19).
Ma cosa voleva dire esattamente Pirandello? Una
esplicitazione molto articolata del passaggio pirandelliano
stata proposta da Gianni Bonina nei termini seguenti:
Concetto e sentimento sono due cespiti che richiamano la teoria di Wittgenstein sulluso che nel linguaggio comune si fa della parola (il significato di una parola luso
che se ne fa nella lingua); la distinzione leopardiana tra parola e termine, la prima di senso poetico e la seconda di significato tecnico; il teorema di Frye sulla metodologia degli archetipi perch la letteratura viene informata da categorie preletterarie quali il rituale, il mito, il folk; la differenza di Kant tra concetti ed intuizioni, cio logica ed
estetica; e ancora la tradizione dantesca della dicitura in
volgare anzich in latino, ovvero in stile atto a moderni
sensi; il gusto di Teocrito per il dialetto dorico capace di
rendere pi autentico il mimo; il genio di Verga di fare
comprendere la povera gente senza linterprete, usando un
linguaggio analogico e mimetico: si tratta di una profonda
differenziazione, un vero spartiacque linguistico e culturale
che Pirandello riferisce al problema dei mezzi di comunicazione e di conoscenza stabilendo che le parole prima di
interpretare un sentimento evocano un concetto, il quale
solo concetto ha una accezione generale e pure nel quale lo
stesso dialetto si esprime quando non vuole invece restituire la nativit pi sorgiva (Il carico da undici, pp.
210-211).

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Ora, difficile non rimanere schiacciati di fronte a


una tale girandola di riferimenti; tuttavia una normale dimestichezza con la filosofia sufficiente a far notare che
Bonina non solo inserisce un paio di citazioni piuttosto
dubbie (il Wittgenstein della teoria del significato come uso
e soprattutto il Kant della Critica della ragion pura) ma
dimentica stranamente il pi calzante tra i vari riferimenti
logico-filosofici possibili, vale a dire Gottlob Frege. Una
delle ragioni della pertinenza di un riferimento alla semantica di Frege costituita dal fatto che questultimo elaborava a Jena la sua famosa teoria esposta in Senso e denotazione (ber Sinn und Bedeutung, 1892) esattamente negli
anni in cui Pirandello studiava a Bonn per conseguire la
laurea in filologia romanza con una tesi di linguistica sulla
parlata agrigentina (1889-1891), acquisendo peraltro una
tale padronanza della lingua tedesca da scrivere in tedesco
la sua tesi di laurea e potersi cimentare con la traduzione in
distici italiani delle Elegie romane di Goethe. Non so se
Pirandello abbia avuto modo di conoscere la teoria di Frege
prima del 1909, ma sicuro che la sua idea sulla differenza
tra concetto e sentimento quasi identica alla distinzione fregeana tra senso e rappresentazione, che Pirandello integra con la sua sensibilit antropologica ed etnografica da linguista, chiaramente esibita nellarticolo. Vediamo perch.

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Secondo Frege, al segno di un nome proprio (che


comprende sia i nomi veri e propri, come Aristotele, sia
ci che Russell chiamer descrizioni definite, come Lo
scolaro di Platone, e che oggi chiamiamo di solito termine singolare, ovvero espressione che designa un unico oggetto) sono associati sia una denotazione (Bedeutung), cio
il determinato oggetto designato, sia un senso (Sinn), che
esprime il modo in cui loggetto dato, e che pu essere
considerato come il contenuto cognitivo (oggettivo) che un
parlante afferra per il fatto stesso di conoscere la lingua in
cui il segno espresso. In tal modo, al segno corrisponde
un determinato senso e questo determina la denotazione
corrispondente. Viceversa, a un medesimo oggetto denotato
sono associati diversi segni (almeno tanti quante sono le
lingue naturali) e un medesimo senso pu essere espresso
in modi diversi in lingue diverse, persino allinterno della
stessa lingua. Ad esempio: le espressioni La stella del mattino e La stella della sera hanno identica denotazione (il
pianeta Venere), ma sensi diversi, dato che esprimono propriet diverse del pianeta dal punto di vista della Terra.
Daltra parte, allinterno dellitaliano, La stella del mattino e Fosforo (nonch La stella della sera ed Espero)
hanno non solo identica denotazione ma anche identico
senso, e ci che cambia solo il mero segno linguistico.

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Ma nello stesso contesto, ed quello che qui ci interessa maggiormente, Frege distingue nettamente il senso dalla rappresentazione (Vorstellung) connessa a un
segno. Il senso ha una dimensione oggettiva, perch ci
che parlanti diversi afferrano quando comunicano e si
comprendono, e inoltre ci che rimane invariato nella traduzione da una lingua allaltra (per un italiano cavallo ha
lo stesso senso che per un inglese ha horse). La rappresentazione connessa a un segno invece, per Frege, qualcosa di soggettivo e di mutevole, perch coincide con
limmagine interna che un individuo associa al segno e che
dipende dai ricordi di impressioni sensibili, dalle attivit
interne ed esterne esercitate, nonch dai sentimenti. Ecco
perch, sostiene Frege, un pittore, uno zoologo e un cavaliere saranno portati ad associare rappresentazioni diverse
alla parola Bucefalo. Secondo il famoso esempio di Frege, dunque, se si guarda la luna col cannocchiale, la luna
stessa la denotazione (reale), limmagine restituita dallobiettivo (oggettiva e accessibile a diversi osservatori) il
senso, mentre limmagine che si imprime sulla retina (soggettiva e propria a ciascun osservatore) la rappresentazione.
Alla luce di tutto ci, evidente che la distinzione
pirandelliana tra concetto e sentimento in gran parte
sovrapponibile a quella fregeana tra senso e rappresentazione. Ma c di pi. Camilleri sfrutta abilmente la possibilit di allargare le nozioni soggettiviste di sentimento
e rappresentazione a unintera comunit chiusa di parlanti nativi e giustificare cos il fatto che la sua peculiare lingua dialettale in grado di catturare le specificit antropo-

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logico-culturali del suo microcosmo vigatese. In questo microcosmo, infatti, chi perde il lavoro non rimane disoccupato, ma va a minarsela, perch il concetto astratto evocato
dalla parola in lingua non ha nulla a che vedere con la sfumatura sessuale suggerita dallespressione dialettale, che
rimanda a un mondo arcaico e maschilista in cui il lavoro e
la vana masturbazione sono roba per soli uomini. Una memorabile messa in scena di questo contrasto espressivo tra
la lingua e il dialetto si trova in Horcynus Orca (1975) di
Stefano DArrigo. Qui il Signor Monanin, lo smidollato
veneziano che per culla aveva una gondoletta imbottita e
tutta foderata di trine e pizzi e aveva ricami e svolazzi,
nappe e nappine, cappotte e tendine, veli e velari per non
farlo bruciare dal sole o sporcare dalle cacatine di mosche,
sulla nave militare se la prende con i sottoposti come Ndrja Cambra e Crocitto violentandoli linguisticamente (e riproducendo cos la guerra del fascismo contro i dialetti locali) e obbligandoli a chiamare con leffeminato termine
italiano delfino lanimale che per il loro dialetto di Cariddi e per la loro vita di pescatori umili e verghianamente
vinti labominevole fera (cfr. Horcynus Orca, ed.
Rizzoli 2003, pp. 193-203). In tal senso, ecco allora che
pu tornare utile il riferimento al secondo Wittgenstein, di
cui andrebbe ricordata non la generica e generalmente
fraintesa teoria del significato come uso ma tutta lanalisi
pragmatica e antropologica dei giochi linguistici e delle
connesse forme di vita, di cui Pirandello ha gi chiara
contezza con qualche decennio danticipo soprattutto laddove osserva che un dialetto esprime particolari usi e
particolari costumi, ovvero, in una parola, una particolar

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vita (p. 132). Ed ecco perch, sulla scorta di Pirandello,


quello che Camilleri crea con la sua neolingua propriamente un complesso e storicamente dinamico gioco linguistico che si radica nellagire cos della forma di vita ideale
e tipica di Vigta.

4. Vigta: una, nessuna e centomila


Si detto che limmaginaria Vigta fa la sua prima
comparsa nella narrativa camilleriana con Un filo di fumo.
Alla sua seconda entrata in scena, la cittadina ancora in
costume, perch la ritroviamo ne La stagione della caccia,
il secondo romanzo storico di Camilleri, uscito nel 1992.
Come si vede, dunque, Vigta trova la sua prima definizione letteraria in due romanzi ambientati nella Sicilia della
fine dellOttocento. Occorrer aspettare il 1994, anno delluscita de La forma dellacqua, perch faccia la sua apparizione la ben pi nota Vigta contemporanea in cui si
muove il commissario Montalbano. Questa circostanza merita attenzione, perch ci permette di capire il peculiare
movimento oscillatorio lungo lasse dei secoli compiuto da
Camilleri nel corso degli anni per costruire, tassello dopo
tassello, la storia moderna parallela della sua citt immaginaria.
Osserviamo, innanzi tutto, che Vigta, prima facie,
una. O meglio: pur essendo nella realt nessuna, in quanto
si tratta di uno spazio finzionale modellato sullo spazio reale di Porto Empedocle, nelluniverso narrativo di Camilleri
ununica citt; una citt che, come tutte le altre, ha una

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sua storia. Tuttavia, questunica citt della finzione, nel


corso degli anni stata ritratta da Camilleri da diverse prospettive storiche e con diverse tonalit estetiche e sentimentali, al punto che spesso si ha la sensazione di avere a che
fare con una molteplicit di citt diverse. Si aggiunga che
la trasposizione televisiva delle storie di Montalbano (iniziata nel 1999) ha imposto allimmaginario collettivo e persino allimmaginario dello stesso Camilleri, come vedremo,
il quadro di unaltra Vigta, non meno inventata della prima, anche se i luoghi delle riprese della fiction sono realissimi.
E non basta. Negli ultimi anni, diversi romanzi della
serie di Montalbano, come Il ladro di merendine, Il cane di
terracotta e La voce del violino, sono stati ulteriormente
ritradotti nel codice dei cartoni animati digitali e dei giochi
interattivi in cd-rom, cio fruibili su computer, il che ha aggiunto alla Vigta multidimensionale della pagina scritta e
alla Vigta televisiva anche una Vigta della realt virtuale.
E si noti che non si tratta solo di un semplice espediente
commerciale ideato per raggiungere i pi giovani, perch lo
strumento informatico permette un arricchimento del testo
e delle immagini abissalmente lontano dalle possibilit rispettivamente della pagina scritta e della televisione. Ecco,
per essere pi precisi, cosa dichiara di contenere il cdrom della Sellerio dedicato a La voce del violino:
La Voce del Violino - Cartone Animato Interattivo, riunisce una sceneggiatura, tratta dal famoso giallo di Camilleri, con un gioco in cui il lettore-spettatore interagisce, immedesimandosi con Montalbano al momento di
scegliere la linea di azione. Un cartone animato pieno di
vivaci disegni colorati e di musica.

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Contiene:
Dizionarietto vigatese italiano oltre 600
voci. Il dizionarietto stato curato dal Camilleri
Fans Club

Oltre 200 minuti di animazione

45 personaggi doppiati da attori siciliani

Oltre 60 minuti di musiche originali

10 giochi interattivi

20 schede di approfondimento

10 ricette

Oltre ai consueti contenuti, il nuovo CDROM stato


arricchito con unintervista doppia ad Andrea Camilleri
e al commissario Montalbano, realizzata sullo stile delle
interviste del programma televisivo Le Jene. Camilleri ha
risposto in prima persona alle domande che gli sono state
rivolte, mentre le risposte di Montalbano sono state proposte dal Camilleri Fans Club.

Nel 2001, con Il re di Girgenti, Camilleri ha


presentato una Vigta (e soprattutto una Montelusa) ancora
pi antica, posizionando il racconto tra la fine del XVII secolo e le prime due decadi del XVIII secolo; mentre, a partire dal 2003, con La presa di Macall (e poi con altri romanzi, come vedremo), Camilleri ha ricostruito la Vigta
dellepoca fascista. Nellestate del 2008, infine, con il racconto La triplice vita di Michele Sparacino, stato coperto
il periodo che va dal 1898 alla disfatta di Caporetto dellesercito italiano. Come si vede, dunque, nel corso degli anni
Camilleri ha non solo colmato la lacuna temporale tra la
Vigta dei primi romanzi storici e quella di Montalbano,
ma ha anche lanciato larpione della storia indietro fino al
XVII secolo per costruire una vera e propria epopea mo-

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derna della sua citt immaginaria. Vale la pena, allora, di


soffermarsi in ordine cronologico su alcuni momenti temporali di Vigta, al fine soprattutto di metterne in evidenza
la luce cangiante e screziata. Concluderemo la nostra ricognizione su queste immagini storiche di Vigta con alcune
osservazioni sulla Vigta televisiva di Montalbano-Zingaretti.
Con notevole e ammiccante ironia, Camilleri
ha fatto scattare la pi antica fotografia della futura Vigta
fino ad oggi disponibile nientemeno che agli occhi del Caravaggio. Il colore del sole, uscito allinizio del 2007, un
divertissement borgesiano in cui lautore immagina di ritrovare e ricopiare in parte un diario autografo del Caravaggio che va dal periodo maltese alla fuga in Sicilia, fino
al giorno prima dellimbarco per Napoli da Palermo (16081610). Ebbene, alle tappe siciliane documentate (Siracusa,
Messina, Palermo), Camilleri ne aggiunge una basandosi su
una diceria agrigentina secondo la quale il sommo artista
sarebbe passato da Girgenti e Licata (citt, questultima, in
cui si trova un San Girolamo nella fossa dei leoni attribuito
alla scuola del Caravaggio). Linvenzione romanzesca gli
consente cos di fare approdare nottetempo il Caravaggio,
in fuga da Malta, presso Vigta, ovviamente non nominata,
perch il testo finge di raccontare per mano dello stesso Caravaggio un viaggio reale. Qui il fuggiasco si imbatte nei
tre punti fermi del panorama reale e immaginario della
zona, la torre dellodierna Porto Empedocle (quella de La
strage dimenticata), la Scala dei Turchi (lo scenario del finale de Il corso delle cose) e naturalmente il Tempio della
Concordia:

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La speronara diressesi non ver lo loco de la rada dove di


solito approdava lo regolar naviglio per li commerci e
che protetto era da ben munita torre, ma mise la prora a
una scogliera bianca che ergevasi simil a un picciolo
monte e che nomavasi scala de li turchi. A lo riparo di
quel monte, la speronara non era visibil da la torre. (...)
Minniti et io prendemmo la via per Girgenti... (...) Alzata
la testa per dimandare a Minniti, che avanti a me andava,
quanto ancora per la citt mancasse, a uno tratto vidi alta
e di sopra a me una costruzione che parvemi assai mirabile. Domandai a Minniti se elli sapea cosa fosse. Elli dissemi essere lo tempio greco detto de la concordia (pp. 6869).

Della geografia arcaica, feudale e quasi fiabesca della Vigta-Montelusa de Il re di Girgenti merita attenzione un elemento che per Camilleri sembra costituire
una sorta di luogo dellanima. Padre Uh Ferlito, lo sciamano spiritato mentore di Michele Zosimo, abita in una
grotta situata nella montagna del Crasto (p. 82), e questa
grotta ha due ambienti separati da un corridoio, uno dei
quali contiene una sorgente magica. Questo piccolo rilievo
oggi quasi circondato dai quartieri popolari della zona di
espansione di Porto Empedocle, e la grotta di padre Uh,
usata fino alla Seconda guerra mondiale come rifugio antiaereo da alcune famiglie, crollata ormai da molti anni.
Ebbene, la cosa interessante che la grotta del Crasto anche quella in cui Montalbano trover prima un deposito
darmi della mafia e poi, nel vano pi piccolo, il quadro
magico e arcaico costituito dai cadaveri dei due innamorati sul cui sonno, che dura dalla tragica estate del 1943,
veglia il cane di terracotta.

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La prima vera e propria foto-cartolina di


Vigta, scattata poco dopo le due del pomeriggio del capodanno del 1880, la troviamo nelle prime pagine de La stagione della caccia. Nella genesi di questa storia di una specie di serial-killer farmacista che arde damore e che cova
dei sentimenti di vendetta come un novello Conte di Montecristo (ma finir condannato a morte) si intrecciano due
suggestioni interessanti. La prima costituita da un passaggio involontariamente strepitoso dellInchiesta sulle
condizioni sociali ed economiche della Sicilia, nel quale
solo un osservatore acuto e ironico come Camilleri poteva
scorgere un tesoro di psicologia siciliana. Alla domanda di
uno dei membri della commissione parlamentare: Recentemente ci sono stati fatti sangue al suo paese?, un responsabile dellordine pubblico di un paesino rispose, con quella tipica tranquillit assuefatta che dice tutto un mondo di
senso, tutta una familiarit culturale con la follia: No. Fatta eccezione di un farmacista che per amore ha ammazzato
sette persone (cfr. la Nota finale di Camilleri, pp.
153-154). La seconda costituita dalleco di un breve racconto di Sciascia incluso ne Il mare colore del vino (1973),
Western di cose nostre, che Camilleri stesso aveva sceneggiato per la televisione nel 1984 in collaborazione con
altri. Il racconto si svolge negli anni della Grande Guerra in
un paesino tra le province di Trapani e Palermo: un farmacista, contrastato nel suo amore per una donna dalla famiglia di lei, che si anche rivolta alla mafia per minacciarlo,
decide di vendicarsi a freddo inserendosi nella regolare faida del suo paese e uccidendo diversi membri delle due cosche, compreso il vecchio capo di una di esse (lo stesso che

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lo aveva minacciato); scoperto, luomo viene alla fine freddato con un colpo di moschetto al cuore davanti allingresso della farmacia dallo stesso figlio del vecchio capo ucciso. Ebbene, Fof la Matina arriva al porto di Vigta da Palermo a bordo del postale Re dItalia (che i siciliani continuano a chiamare Franceschiello, per rispetto del re
borbone che aveva istituito il servizio) il primo gennaio
1880. Manca da molti anni e in paese ci si interroga sullidentit e sulle intenzioni del misterioso personaggio, che
tuttavia in seguito apre una farmacia e conquista la fiducia
dei compaesani, soprattutto dei membri del Circolo dei nobili. Quando Fof scende dal postale osserva le basse case
di Vigta pittate di giallo, bianco, verde e azzurro (p. 10),
cio quelle del vivace popolino, ma il suo sguardo carico
di odio e di fosche intenzioni. Anche il Caravaggio era
sbarcato con lanimo tormentato, ma la vista del Tempio
della Concordia lo aveva riempito di emozione estetica, al
punto che lindomani, dopo aver passato la notte ai piedi
delle colonne, il sole gli era apparso col suo vero colore e
non pi nero. Fof, invece, arrivato nella piazza di Vigta,
fotografa un panorama desolato di fine Ottocento, dello
stesso colore tra il grigio e il marrone delle foto dellepoca:
Al forasteri bast traversare due strade completamente
prive di vita per trovarsi sulla piazza principale di Vigta.
Nello slargo si affacciavano la Chiesa Madre, il Circolo
dei nobili, il palazzo a tre piani del barone Uccello, quello a due del marchese Peluso, cinque scagni di magazzinieri di zolfo, trita e fave, la Banca Sicula di Credito e
Sconto e il Municipio. Tra la Chiesa Madre e il Circolo
dei nobili si partiva il corso, una stradina come le altre
ma un poco meno a torciglione. Magari nella piazza forma desistenza non cera, fatta eccezione per un cane

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pezzato che stava comodamente pisciando ai piedi di una


curiosa statua senza basamento, allocata allato la porta
mezza chiusa del Circolo dei nobili. Assurdamente poggiato sopra unautentica seggia di paglia a braccioli, il
monumento rappresentava, in un colore tra il marroncino
e il grigiastro, un decrepito signore di lunga barba, in stiffelius, un bastone da passeggio fra le mani incrociate sul
ventre (p. 11).

La Vigta di fine Ottocento risente della lezione di


Verga, del Pirandello de I vecchi e i giovani e dello Sciascia
delle inchieste storiche, con quel che ne consegue in termini di polemica meridionalista e anti-piemontese, sebbene il
tutto sia trasfigurato nella tipica leggerezza satirica e deformante di Camilleri. Particolari motivi di interesse presenta invece la Vigta dellepoca fascista, di conio pi recente. A partire da La presa di Macall, negli ultimi anni
Camilleri tornato spesso su quel periodo, facendo culminare ben tre storie La pensione Eva, Maruzza Musumeci e
Il casellante durante lo sbarco americano nel luglio del
1943 (in quello stesso periodo si era svolta la storia che
Montalbano aveva chiarito a ritroso ne Il cane di terracotta). La ricostruzione della Vigta di quellepoca si basa sui
ricordi dinfanzia di Camilleri, e in essa traspaiono sia il
suo sdegno antifascista sia la nostalgia per il tempo perduto
della giovinezza, in alcuni casi rievocato in chiave mitica,
fiabesca e picaresca.
Ne La presa di Macall, ad esempio, troviamo la
raffigurazione grottescamente priapico-sodomitica dello
spirito spartano del fascismo (siamo nel 1935) attraverso le
avventure picaresche e tragiche di Michilino, uno scicchigno seienne trasformato in un assassino mistico e piroma-

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ne dal lavaggio del cervello clerico-fascista cui sottoposto


(come quasi tutti gli altri bambini italiani, del resto). Camilleri, ne Il carico da undici (p. 386), indica come modello principale de La presa di Macall solo Eros e Priapo di
Gadda, un devastante atto daccusa contro il ventennio in
cui Mussolini e gli italiani che ne hanno subito la fascinazione sono ridicolizzati e psicoanalizzati con una prosa satirica colma di pirotecniche invenzioni linguistiche. La
stessa critica si molto concentrata sui rapporti tra La presa di Macall e Eros e Priapo, e interessante, a tal proposito, il saggio Uninfanzia da sillabario. Il fascismo secondo Camilleri di Simona Demontis, letto al Seminario Lingua, storia, gioco e moralit nel mondo di Andrea Camilleri svoltosi a Cagliari il 9 Marzo 2004, dove tra laltro si
legge: Se Camilleri, attraverso un racconto inventato
come La presa di Macall, si scaglia indirettamente contro
il fascismo, Gadda con Eros e Priapo fa accuse dirette, anche se tardive, al regime e soprattutto al duce, il quale, per
ulteriore sfregio non viene mai citato con il suo nome, ma
solo con epiteti dispregiativi se non scurrili: ecco quindi il
Bombetta, il mascelluto, il mortuario smargiasso, il
parolaio da raduno, il Gran Pernacchia e via discorrendo. Il suo libello come di consueto incompiuto, perse per
strada le ambizioni di trattato, non si propone come biografia di Mussolini, ma come una testimonianza o meglio
uninvettiva nei confronti delle devastazioni operate dalla
dittatura, colpevole di aver trasformato lItalia in un manzoniano vaso di coccio in mezzo ad altre nazioni forti come
vasi di ferro. Gadda argomenta gli stessi temi affrontati
successivamente da Camilleri: il fascismo responsabile di

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innalzare lattivit sessuale a canone, a paradigma e a sistema di vita; di indurre allidentificazione tra la potenza
sessuale e lautorit politica attraverso la propaganda, complice il fatto che la voce esaltata dagli amplificatori si staglia prepotentemente distinguendosi dalla massa, diventando un potente richiamo sessuale, mezzo di conquista, strumento di regno; di solleticare nelle deboli e influenzabili
femmine i pi bassi istinti animali e di indurle al tradimento mentale, se non carnale dei propri mariti; di aver mandato al massacro masse incolpevoli e manipolate fin dallinfanzia. Molta parte della critica ha individuato in Gadda
uno dei possibili padri putativi di Camilleri, fin dai primi
libri da lui pubblicati, soprattutto riguardo alla variet dei
registri linguistici e alla dissacrazione del romanzo giallo.
Il sottotitolo di Eros e Priapo, da furore a cenere, che ben
si appropria al rogo della casa e della famiglia di Michilino
che costituisce la tragica conclusione del romanzo del narratore siciliano, non fa che alimentare le somiglianze fra
due autori per altri versi agli antipodi (disponibile su
www.vigata.org).
Ma insieme a quelle di Gadda, a Camilleri arrivano
senza dubbio anche le suggestioni di DArrigo, che a sua
volta non era stato insensibile a certi echi gaddiani. Allinizio di Horcynus Orca, ad esempio, Mussolini, quello che
chiamavano duce ed era invece amaro, semplicemente
Grantesta, ed ridotto simbolicamente a un mascherone
cavo di gesso bronzato, raccattato a Reggio Calabria dopo
il parapiglia del 25 luglio, dentro il quale le femminote
fanno i loro bisogni per consumarlo. Nel nono quadro del
suo lunghissimo racconto al figlio Ndrja (le famose due

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parolette), Caitanello narra della sua sblasata di andare


nel campo dAgramante ovverossia uscire sopra quel mare
di fere roncisvallose per sfidare a duello, come uno sprudentissimo Astolfino, la fera Manuncularais; ed nel corso di questa impresa grottesca, che fa il verso a quella di
Orlando contro lOrca, che, reagendo al riso sfottente
delle fere che si prendevano gioco della sua pipata
dalla lancitta, Caitanello sbandiera priapicamente davanti
a loro il suo affarecinese (cfr. Horcynus Orca, pp.
493-495). In seguito, sar un altro vecchio, Cannadastendere, a usare come arma il suo spropositato affarecinese
contro lo scagnozzo del Maltese, il quale per sbaglio gli
aveva pisciato addosso (cfr. Horcynus Orca, p. 1028).
Questo ribaltamento darrighiano del priapismo baldanzoso e cavalleresco in grottesca e pseudo-ariostesca opera dei pupi, ripreso chiaramente da Camilleri ne
La pensione Eva (2006), che termina nel 1943, lo stesso
anno in cui si svolge Horcynus Orca. Si veda ad esempio
lepisodio dellultraottantenne cavaliere Calcedonio Lardera, al quale una bomba scoppiata a cinco passi di distanza restituisce per lo shock unerezione e una satiriasi tali
che lo portano ad avere un rapporto sessuale lungo trentuno
minuti con una prostituta della Pensione Eva, la quale ne
esce addirittura sfiancata (cfr. pp. 115-116). Ma il culmine
arriva quando i giovani Ciccio e Nen, ribattezzatisi rispettivamente Astolfo e Rinaldo, si sfidano a duello nudi, armati di bastoni di scopa e montando sulle spalle di due prostitute, ovviamente ribattezzate per loccasione Rabicano e
Baiardo.

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Partirono allattacco nuovamente. Ma fatti manco d


passi, Rabicano sciddric e cadde supra le ginocchia.
Astolfo, disarcionato, gett la lancia, tent di tenersi alla
criniera del cavallo, cio alla crocchia, ma cadde a sua
volta di schiena. Baiardo, per non andare a sbattere contro Rabicano, si blocc di colpo. Rinaldo vol in aria,
lass la lancia, atterr facendo una specie di cazzicatummula.
E scoppi una risata generale. Pirch i coraggiosi e indomiti cavalieri, tutti e d a panza allaria, mostravano
ora in resta le loro lance personali, quelle naturali, che,
certo per il longo sfregamento contro il cozzo sudatizzo
delle picciotte, orgogliosamente si ergevano verso il cielo. E qui capit il prodigio della metamorfosi. Pirch a
quella vista il cavallo Rabicano, cangiatosi per magara
nel paladino Astolfo, supra il suo ex patrone gettossi, con
un selvaggio grido di subito montollo e impetuosamente
cavalcollo, tra le urla di incoraggiamento degli astanti,
mentre, senza por tempo in mezzo, il medesmo facea Baiardo tramutato in Rinaldo (pp. 112-113).

Il pi recente Maruzza Musumeci (2007) un cunto che si inarca su quasi un secolo di storia e di vita siciliane, dal 1850, anno di nascita di Gnazio Manisco, il protagonista maschile, allestate del 1943, quando Gnazio
muore e la Sicilia viene liberata nella distruzione. Questo
romanzo il primo di una trilogia non ancora ultimata.
Ecco come Camilleri ne ha anticipato il disegno complessivo in unintervista a Salvo Fallica apparsa su LUnit del
4 marzo 2008: Ho unidea che voglio realizzare. Ho pensato ad una trilogia dei romanzi fantastici. Il primo della
serie gi stato pubblicato, ed Maruzza Musumeci. Ora,
dopo la storia della donna sirena, ho pensato ad una donna
che tenta di trasformarsi in albero. Le anticipo anche il titolo del libro: Il casellante. (...) In questo caso, i protagonisti

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dovrebbero essere un casellante dei treni ed una donna che


tenta di trasformarsi in albero. Parlo di tentativo di metamorfosi, perch queste possono anche fallire o riuscire a
met. Con questo secondo romanzo ed un terzo, La donna
capra, del quale per prematuro fare anticipazioni, voglio
realizzare una trilogia delle metamorfosi (Il casellante,
che riprende e coniuga le metamorfosi ovidiane di Dafne e
Niobe, sarebbe uscito il 26 giugno).
Maruzza Musumeci merita una particolare attenzione. Si tratta di una favola che riscrive il mito delle sirene
omeriche, con Maruzza e la catananna Minica (e poi con
Resina, figlia di Maruzza) che fungono da entit talattiche e
che, vendicatesi finalmente dello sgarro di Ulisse attraverso
luccisione di chi ne rievoca persino il nome, possono votarsi allamore e far proprie addirittura, e realizzare, le parole autentiche di Nausicaa che esprimono i suoi sogni nuziali con leroe naufrago, pronunciate direttamente nel greco di Omero. una novit assoluta, questultima, nellopera camilleriana, e il suono dellantica lingua greca sembra
fondersi miracolosamente con quello del siciliano arcaico
inventato da Camilleri.
La contrada Ninfa, una lingua di terra che si inoltra
nel mare di Vigta e sulla quale Gnazio costruisce pian piano una casa che nello stile anticipa inconsapevolmente la
migliore filosofia dellarchitettura del XX secolo, cos
crocevia di reincarnazioni e presenze spettrali del mito: non
solo le sirene (Minica, Maruzza, Resina), ma anche le due
Ninfe ninfomani che la abitavano e da cui essa prende il
nome, e persino Scilla, col viso ridotto a una crozza con
tre file di denti, che ogni cinquecento anni viene a piangere

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il suo Glauco sotto lulivo saraceno e rende folle chi la


vede. Un po stridente e forzato, forse, il riferimento al pittore e grafico statunitense Lyonel Feininger e allarchitetto
e urbanista tedesco Walter Gropius, eroi del Bauhaus: ai
tempi e nel tono tragicomico di Pat, gli improbabilissimi
Escher e Penrose erano pi funzionali al carattere grottesco
della vicenda.
Questa favola rapida e delicata rende omaggi pi o
meno espliciti, oltre che naturalmente ad Omero e al Cola
Pesce riscritto da Calvino nelle Fiabe italiane, anche al
Tomasi di Lampedusa di La sirena (1956-1957), un racconto (noto anche col titolo Lighea datogli dalla vedova dello
scrittore) in cui si narra di un vecchio professore, il grecista
Rosario La Ciura, che su una spiaggia isolata presso Augusta, allet di ventiquattro anni, aveva vissuto con la sirena
Lighea, figlia di Calliope, per tre settimane, dal 5 al 21
agosto 1887. Camilleri stesso confessa di aver tenuto presente il racconto di Tomasi di Lampedusa, ma aggiunge:
Ho fatto tutto il possibile per non farne arrivare nemmeno
leco nel mio racconto (Il carico da undici, p. 448). Perch? Probabilmente perch il racconto di Tomasi di Lampedusa incentrato sulla figura di un grecista coltissimo
che lontano anni luce dallumile e laborioso Gnazio Manisco, il quale non sa nulla delle sirene, dellOdissea e della
sapienza greca. Il senatore La Ciura, invece, nella Torino
del 1938, ormai settantacinquenne, letteralmente sputa sulla cultura accademica del suo tempo, sembra il solito
mangiapreti accademico con in pi un pizzico di nietzscheismo fascista e finisce con il suicidarsi buttandosi in
mare da una nave diretta in Portogallo, dove avrebbe dovu-

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to partecipare a un convegno di grecisti da lui considerati


minorati. Lincontro con la sirena non rappresenta per lui
uneducazione sentimentale serena e duratura che porta alla
riconciliazione con la realt circostante, come accade a
Gnazio, ma lo segna per sempre astraendolo dalla volgarit
del mondo e rendendolo un aristocratico e disadattato asceta pagano.
Ma Maruzza Musumeci a mio parere soprattutto
una ripresa e una reinterpretazione delle femminote darrighiane, cio le arcigne, lussuriose e misteriose abitanti del
Paese delle Femmine, lodierna Bagnara, di cui Ciccina
Circ quasi la sacerdotessa, con quella sua complessa
personalit che racchiude in s Calipso, Circe, Persefone,
una baccante, una sirena e una prostituta insieme sacra (per
Ndrja) e profana (per i militari inglesi). Le femminote, infatti, sono creature ferine discendenti delle sirene omeriche,
come le stesse fere (cio i delfini), secondo la teoria popolare esposta in Horcynus Orca da Mim Nastasi, non a
caso un paralitico, il quale con le sue storie di sirene e
femmine femminote mangiatrici di uomini educava
limmaginazione e la sessualit di Ndrja bambino e della
sua comarca di muccusi (cfr. Horcynus Orca, p. 568 e
571). Pi o meno come accaduto allo stesso Ndrja Camilleri, il quale dichiara di essere stato introdotto da bambino alla favola omerica delle sirene da un contadino di
nome Minicu: il racconto di Minicu riguardava una sirena
che a picca a picca lamuri fici addivintari fimmina (Il
carico da undici, p. 447).
Come si vede da queste rapide note, la Vigta del
passato aggiunge agli inevitabili mutamenti storici molte

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coloriture espressive, cariche ciascuna di significati simbolici precisi, che ne fanno una citt a pi dimensioni, ovvero
una sorta di iper-spazio narrativo che si distende nel tempo
comunicando di volta in volta un diverso umore estetico,
sentimentale e concettuale dellautore. La Vigta del commissario Montalbano, invece, oltre ad accentuare gli echi
sciasciani dellimpegno civile e della denuncia di certe logiche politico-affaristiche del nostro tempo (e in tal senso
metafora della Sicilia, se non dellItalia tutta), si apre addirittura alle occasioni offerte dalla multimedialit ed esplode, con la complicit divertita dello stesso Camilleri, in un
pulviscolo di linguaggi che vortica nella stessa direzione
del vento dellodierna comunicazione globale e ipertestuale.
Sui rapporti tra la mappa narrativa camilleriana e la provincia di Agrigento e tra i luoghi delle riprese
della fiction televisiva e la provincia di Ragusa (con qualche incursione in quelle di Trapani e Siracusa) esiste unottima guida pubblicata da Sellerio nel 2006: I luoghi di
Montalbano. Gli autori, Maurizio Clausi, Davide Leone,
Giuseppe Lo Bocchiaro, Alice Pancucci Amar e Daniela
Ragusa, hanno opportunamente fatto una distinzione netta
tra i luoghi letterari e i luoghi televisivi della geografia di Montalbano, entrambi ormai sovrapposti nellimmaginario collettivo. Il volume, riccamente illustrato con
foto dei luoghi dei romanzi e della fiction televisiva, contiene due altre sezioni molto interessanti, che contribuiscono a trasformarlo in una praticissima guida turistica per appassionati. Analizzando gli otto romanzi della serie di
Montalbano disponibili fino al 2004 La forma dellacqua,

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Il cane di terracotta, Il ladro di merendine, La voce del violino, La gita a Tindari, Lodore della notte, Il giro di boa e
La pazienza del ragno gli autori aprono il volume con
altrettanti Itinerari in cui al lettore-turista viene mostrato
come seguire passo passo il Commissario, nei suoi spostamenti imposti dallindagine in corso, sulla cartina reale di
Porto Empedocle e dintorni, invitandolo di volta in volta a
spostarsi a piedi, in bici o in macchina. Questa operazione
dimostra che lo spazio letterario di Camilleri sta in un rapporto di isomorfismo piuttosto dettagliato con quello reale,
come si vede anche nella sezione finale del volume, costituita da cinque belle carte dedicate nellordine a La Sicilia del commissario Montalbano (A), I dintorni di Vigta (B), Montelusa Agrigento (C), Vigta Porto Empedocle (D) e infine a Ragusa e dintorni (E), questultima utile per il giro turistico nei luoghi televisivi.
Il lettore-turista che non ha familiarit con la costa
dellagrigentino scopre cos, ad esempio, che la famosa
Marinella, in cui Montalbano ha la sua casetta sulla spiaggia, una localit reale che si trova fuori Porto Empedocle
sulla statale 115 verso Sciacca e che Camilleri si limitato
a ricreare modellandola sui suoi ricordi giovanili, perch
oggi Marinella molto cambiata per via dello sviluppo urbanistico. Come ha dichiarato lo stesso Camilleri in unintervista, Marinella, infatti, che era formata da quattro, forse cinque case, diventato un vero e proprio paese. Un
tempo cerano pochissime abitazioni, sviluppate tutte in
orizzontale. Si trattava di villette, regolarmente abusive.
Montalbano, il mio Montalbano, si sceglie una villetta di
queste, e non quella lussuosa che si trova a Punta Secca, a

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Ragusa, e che si vede in televisione. Secondo lei, il mio


commissario sarebbe mai andato ad abitare in una casa a
due piani, cos bella e sfarzosa? In realt a lui piace una casetta con tre camere in fila. Per mi va bene la spiaggia, e
anche il terrazzo (in La Sicilia di Andrea Camilleri. Tra
Vigta e Montelusa, Gruppo editoriale Kals, 2003, p. 15,
cit. in I luoghi di Montalbano, p. 259). Eppure la villetta di
Punta Secca, frazione costiera di Santa Croce di Camerina,
diventata cos famosa da essere ormai per tutti la casa di
Montalbano e oggi meta di pellegrinaggio cultural-televisivo e richiestissimo Bed & Breakfast, con colazione sulla terrazza del commissario. Ecco come il regista della serie
televisiva Alberto Sironi ha raccontato la scelta della location: Siamo andati a fare dei sopralluoghi con Ricceri, circumnavigando la Sicilia. Mi ha aiutato un po Giuseppe
Tornatore, che mi ha suggerito di andare a vedere dalle parti di Ragusa, perch l avevano girato Zampa e Germi, tanti
anni fa. Io cercavo una casa sulla spiaggia. In Sicilia, per,
c pi roccia che sabbia. Il triangolo allestremo sud della
Sicilia, Porto Palo, Ragusa, Pozzallo, era perfetto per quello che cercavamo e l abbiamo trovato la famosa casa sul
mare di Montalbano, che la casa di un nobile siciliano che
aveva avuto nel 1930 un permesso speciale dal demanio
per costruire una casa direttamente sulla spiaggia. Una location cos si poteva solo sognare. Ma oltre a questo volevamo anche trovare qualcosa che ci permettesse di avere
delle immagini del grande barocco siciliano e l cera Scicli, Ragusa, Modica (in Roberto Scarpetti e Annalisa Strano, Commissario Montalbano. Indagine su un successo,

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Editrice Zona, 2004, cit. in I luoghi di Montalbano, pp.


258-259).
Poich le riprese della fiction sono effettuate in numerose localit (soprattutto) della provincia di Ragusa, c
un ulteriore aspetto della Vigta televisiva che la rende profondamente diversa da quella romanzesca. Come abbiamo
gi osservato, questultima corrisponde abbastanza fedelmente ai luoghi reali, al punto che possibile seguire i passi di Montalbano sulle strade, gli edifici e le zone di Porto
Empedocle, da Marinella al commissariato, dalla Mnnara
al Molo, dalla Torre di Carlo V alla montagna del Crasto,
dalla Trattoria San Calogero al distributore di benzina
sulla strada per Marinella. La Vigta televisiva, invece,
un puzzle di luoghi disseminati nella provincia di Ragusa,
sicch quando Montalbano-Zingaretti si sposta dalla propria abitazione sul mare al commissariato (un tragitto relativamente breve sia nei romanzi che a Porto Empedocle),
ad esempio, passa in realt da Punta Secca al Municipio di
Scicli, una cittadina dellentroterra. Questo notevole straniamento, imposto in gran parte dalla stessa logica del linguaggio televisivo, stato illustrato in dettaglio dagli autori
de I luoghi di Montalbano: Pensiamo al percorso che ogni
giorno compie il commissario per andare da Marinella al
commissariato, eventualmente raggiungendo la questura di
Montelusa, per poi tornare a Vigta e andare a mangiare
alla Trattoria San Calogero, visita quotidiana alla quale
segue una passeggiata sul molo fino allo scoglio piatto sotto il faro. Muovendoci nella location televisiva Montalbano
si sveglia nella casa di Punta Secca nei pressi di Santa Croce di Camerina, per poi andare in commissariato a Scicli

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(palazzo del Comune). Per raggiungere la questura di Montelusa bastano pochi minuti, quelli necessari per andare da
Via Francesco Mormino Penna a Piazza Italia nellangolo
tra il Palazzo Penna e il Palazzo Mormino (oggi Iacono)
entrambi a Scicli. Pranzare alla Trattoria San Calogero
significa raggiungere il ristorante La Rusticana a Ragusa
Ibla, mentre lo scoglio piatto sotto il faro non altro che
una delle panchine della piazzetta della Torre davanti la
casa del commissario a Punta Secca. Per un caff nel cuore
di Vigta il nostro commissario dovr raggiungere la Piazza
Duomo di Ragusa Ibla (pp. 260-261). In tal senso, la Vigta televisiva una citt invisibile non tanto nel preciso
senso calviniano quanto piuttosto nel senso in cui lo fu
Mussolinia, la citt dellentroterra siciliano progettata in
onore del Duce ed esistita solo in fotomontaggi beffardi e
incongruenti di cui parl Sciascia e di cui parla anche Camilleri in Privo di titolo, come vedremo alla fine del prossimo capitolo.
La compresenza nellimmaginario collettivo della
Vigta televisiva e di quella romanzesca, con la prima inevitabilmente dotata di maggiore forza persuasiva e di penetrazione, ormai un fatto con cui tutti gli appassionati delle
storie del commissario Montalbano devono fare i conti, indipendentemente dallopinione che possono avere al riguardo. Riprendendo la vecchia distinzione di Umberto
Eco tra apocalittici e integrati, potremmo distinguere
nel panorama dei possibili atteggiamenti culturali dei lettori-telespettatori due posizioni fondamentali, naturalmente
dai confini non ben definiti e costellati da diverse sfumature. Da un lato c latteggiamento di chi lamenta il disastro

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cognitivo provocato, in una parte del popolo dei lettori e in


quello di chi non legge mai e conosce solo la riduzione televisiva o cinematografica della letteratura, dallinvadenza
del medium iconico; dallaltro c quello di chi disposto a
fruire criticamente della possibilit di arricchimento interpretativo e di senso offerta dalla molteplicit di codici messi a disposizione dallodierna civilt della comunicazione.
La cosa interessante che Camilleri, seppure con qualche
riserva, sembra disponibile a sperimentare e a incoraggiare
questo secondo atteggiamento, cio quello tipico degli integrati, prestandosi a collaborare non solo alla trasposizione televisiva ma persino a quella multimediale del suo
mondo narrativo. Limbarazzo cognitivo, per, inevitabilmente investe anche lui: la mia Sicilia innanzitutto quella occidentale e non quella orientale e tra queste due Sicilie
c unenorme differenza, come tra lAmerica del nord e
quella del sud. La Sicilia orientale una terra ricca
dacqua, molto coltivata, dove difficile trovare certi paesaggi che descrivo nei miei romanzi, come le case a dado in
mezzo alla terra bruciata. Si trovano altri paesaggi siciliani
altrettanto splendidi, pi dolci, pi accattivanti, pi accoglienti. La mia la Sicilia dellagrigentino, del mazzarese,
quella zona l, quella Vigta. Quindi esiste una Vigta
romanzesca, che quella del mio paese, e poi una Vigta
televisiva, che quella bellissima di Scicli, Modica, eccetera. Ora mi succede che quando scrivo un nuovo Montalbano rischi di influenzarmi non tanto il personaggio televisivo
di Montalbano, quanto piuttosto il paesaggio (in Commissario Montalbano. Indagine su un successo, p. 129, cit. in I
luoghi di Montalbano, pp. 256-257). Viceversa, se c un

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apocalittico arrabbiato, questo sicuramente il Montalbano romanzesco, il quale, in un gioco intertestuale vertiginoso sperimentato dallultimo Camilleri, comincia a scassrisi i cabasisi per la presenza ingombrante del suo doppio televisivo impersonato da Luca Zingaretti, come vedremo meglio nel corso del prossimo capitolo.

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CAPITOLO SECONDO

Giochi intertestuali e impegno civile


Molte indagini di Montalbano sono borgesiane.
(Andrea Camilleri su La Stampa del 23
giugno 2001)

1. La Biblioteca di Vigta
S gi avuto modo di notare di passaggio, nel capitolo precedente, che la scrittura di Camilleri, oltre ad essere
attraversata da unironia ora giocosa ora amara, piena di
ammiccamenti intertestuali al lettore e raramente allenta la
tensione di un impegno civile militante di stampo illuministico e sciasciano sempre vigile, lucido e non di rado tagliente.
In questo capitolo prenderemo in esame questi due
aspetti della scrittura camilleriana, il cui intreccio non casuale. Per Camilleri, infatti, il gioco dei rimandi ad altri testi ha spesso lo scopo di avvertire il lettore che ci che sta
leggendo si staglia su una trama di riferimenti letterari che
egli farebbe bene a tentare di ricostruire per entrare pi a
fondo nelle intime intenzioni dellopera e dellautore. Lapparente facilit di Camilleri non deve trarre in inganno.
Come nota giustamente Bonina nellEpilogo de Il carico da
undici, giusta losservazione di Fogazzaro secondo cui il
romanzo una lettura leggera riguardo ai lettori e mai agli

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autori, per Camilleri vale ancora di pi lenunciato del Castiglione circa la forza della sprezzatura, di un esercizio che
mostra la semplicit di esecuzione mentre ne nasconde le
reali difficolt: come una ginnasta che sorrida serena mascherando uno sforzo estremo.
Dietro la grazia di una prosa che sembra danzare sulle punte c lo sterminato repertorio di letture, esperienze e
pensieri personali di uno scrittore variamente attivo ininterrottamente dagli anni 40 del secolo scorso. Camilleri, per
giunta, non ha mai fatto mistero delle proprie idee politiche
che, sebbene oggi in disuso nel nostro curiosissimo Paese
precario, proletario e nel contempo votato alla destra e al
populismo mediatico, forse proprio per questo sono da lui
continuamente rivendicate e manifestate nei libri con un
supplemento di orgoglio ferito e deluso.
Nel sito www.vigata.org del Camilleri Fans Club c
addirittura una sezione dedicata alla continua tabulazione
di tutte le citazioni letterarie pi o meno esplicite disseminate nei romanzi e nei racconti di Camilleri, e in particolare
in quelli della serie del commissario Montalbano. I titoli e
gli autori segnalati sono centinaia e tuttavia ne mancano
allappello molti altri, non ancora censiti o sfuggiti agli appassionati cacciatori di citazioni. Lo stesso sito ospita
uninteressatissima intervista a Camilleri di Antonio De
Benedetti risalente al 2001 e intitolata La biblioteca di
Camilleri, dove lo scrittore mette a nudo la propria biblioteca. Riferendosi a Montalbano, confessa: Montalbano
legge gli stessi libri che leggo io ma li legge dopo di me. Se
a me piace un romanzo di Faulkner si pu star certi che,
prima o poi, anche lui se ne innamorer. andata cos con

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Simenon, con Conrad e non so pi con quanti altri autori.


Considerato che Montalbano predilige un certo tipo di letture (narrativa, i classici e qualche poeta, tra cui soprattutto
Dylan Thomas) e considerato che anche i libri che non riguardano la serie di Montalbano contengono una loro biblioteca, possiamo chiamare borgesianamente Biblioteca di
Vigta il sottoinsieme della biblioteca di Camilleri che in
qualche modo fa capolino dalla sua opera.
Il motivo per cui Montalbano un lettore cos appassionato che, come vedremo, talvolta sono proprio le sue
letture a portarlo sulla strada giusta nel corso delle sue indagini, spiegato chiaramente nei primi capoversi di un
racconto della raccolta Un mese con Montalbano (1998)
intitolato Miracoli a Trieste:
Si pu essere sbirri di nascita, avere nel sangue listinto
della caccia, come lo chiama Dashiell Hammett, e contemporaneamente coltivare buone, talvolta raffinate letture? Salvo Montalbano lo era e, se qualcuno gli rivolgeva
stupito la domanda, non rispondeva. Una volta sola, chera particolarmente dumore nvuro, rispose malamente
allinterlocutore:
Si documenti prima di parlare. Lei lo sa chi era Antonio Pizzuto?
No.
Era uno che aveva fatto carriera nella polizia, questore, capo dellInterpol. Di nascosto traduceva filosofi tedeschi e classici greci. A settantanni e passa, andato in
pensione, cominci a scrivere. E divent il pi grande
scrittore davanguardia che noi abbiamo avuto. Era siciliano.
Laltro ammutol. E Montalbano seguit.
E dato che ci siamo, le vorrei dire la mia convinzione.
Leonardo Sciascia, se invece di fare il maestro elementa-

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re avesse fatto un concorso nella polizia, sarebbe diventato meglio di Maigret e di Pepe Carvalho messi assieme.
E poich era fatto cos, appena sceso dalla vettura-letto
che laveva portato a Trieste, una poesia di Virgilio Giotti, in dialetto, principi a risonargli dintra.

Cominciamo a prendere nota di alcuni nomi


che abbiamo incontrato nella Biblioteca di Vigta. Georges
Simenon e Manuel Vzquez Montalbn, innanzi tutto, e poi
William Faulkner, Dashiell Hammett, Antonio Pizzuto e
Joseph Conrad.
La frequentazione con Simenon da parte di Camilleri e linfluenza da lui esercitata sullo scrittore siciliano sono
notissime e di lunga data. stato Camilleri, infatti, a produrre per la televisione la celebre serie de Le inchieste del
commissario Maigret, trasmessa dalla Rai tra il 1964 e il
1968 (dodici episodi) e nel 1972 (due episodi), e da questa
esperienza di smontaggio e rimontaggio dei romanzi di
Simenon per ladattamento televisivo egli ha appreso e
compreso la struttura del giallo alleuropea, che assai
diversa dalla struttura del poliziesco allamericana (Il carico da undici, p. 325). Un articolo apparso su La Stampa del 4 luglio 1999, poi incluso nei Racconti quotidiani
(2001), si intitola proprio Il mio debito con Simenon. Tra
le varie rivelazioni di dettaglio interessanti, una in particolare merita di essere sottolineata. Camilleri aveva bisogno
di differenziare il pi possibile Montalbano da Maigret, la
cui presenza rischiava di essere troppo ingombrante, e cos
ha deciso non solo di rendere il commissario sospettoso
delle atmosfere e delle sensazioni immediate (elementi importanti in Maigret), facendogli preferire invece il ragionamento a posteriori, ma anche di sdoppiare la presenza

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femminile nella sua vita nelle due figure della cammarera


Adelina, che sa cucinare, e della zita Livia, che invece
odia cucinare, per non clonare la moglie di Maigret: Maigret felicemente maritato e sua moglie (quando lui non va
a mangiare alla Brasserie Dauphine) gli prepara squisiti
piatti. Anche a Montalbano piace mangiare: se maritato con
una fimmina che non sapeva cucinare, avrebbe domandato
il divorzio dopo qualche mese, se invece Livia avesse saputo stare in cucina, avrei fatto un doppione della coppia
Maigret. Allora ho scisso la signora Maigret in due: la
cammarera Adelina che gli prepara i piatti che piacciono
a lui e la fidanzata Livia la quale, come vedete per ragioni
del tutto letterarie, da troppo tempo aspetta che Montalbano
se la sposi.
noto che il padre del detective privato Pepe
Carvalho, Manuel Vzquez Montalbn, morto prematuramente nel 2003 allaeroporto di Bangkok, ha dato il suo
cognome al commissario Montalbano prima ancora che lui
e Camilleri si conoscessero di persona (il pronubo dellincontro, avvenuto nel 1998 alla Festa dellUnit di Bologna,
fu Massimo DAlema: cfr. Il carico da undici, p. 326).
Meno noto, invece, il motivo preciso che spinse Camilleri
a rendere un cos grande omaggio allo scrittore barcellonese: Gli sono debitore soprattutto della struttura di Il birraio di Preston. Quando lo stavo scrivendo vedevo che cresceva male. Non mi piaceva il tempo della narrazione, tutto
ordinato cronologicamente. Ma non sapevo come fare, finch non mi capit di leggere il suo Il pianista ed ebbi come
una rivelazione. Era scritto in maniera disordinata, senza
una cronologia dei fatti raccontati. Avevo trovato come

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scrivere Il birraio: cominciai da un punto e costruii attorno. C di pi. Il nome del mio commissario, quando mi
resi conto che quel modo di procedere era ideale per il romanzo giallo, un omaggio proprio a Montalbn (Il carico da undici, p. 326). La forma dellacqua (1994), infatti,
che apre la serie di Montalbano, nasce durante la lunga gestazione de Il birraio di Preston, che uscir un anno dopo.
per questo preciso rapporto di figliolanza, forse, che gi a
partire dal secondo episodio della serie, Il cane di terracotta (1996), Montalbano presentato come lettore esperto di
Montalbn: stava leggendo un romanzo giallo di uno scrittore barcellonese che lintricava assai e che portava lo stesso cognome suo, ma spagnolizzato Montalbn (p. 10);
Pens che in fatto di gusti egli era pi vicino a Maigret
che a Pepe Carvalho, il protagonista dei romanzi di Montalbn, il quale sabbuffava di piatti che avrebbero dato
foco alla panza di uno squalo (pp. 41-42).
Nelle storie di Montalbano ricorre spesso lespressione listinto della caccia. Ma Listinto della caccia non
altro che il titolo italiano di una celebre raccolta postuma
(The Big Knock-over, 1966) di dieci storie di Dashiell
Hammett gi uscite a partire dai primi anni Venti sulla rivista Black Mask, dove esordirono autori come Raymond
Chandler e lo stesso Hammett, i quali diedero vita cos al
genere poliziesco hard boiled (la raccolta era gi stata edita
in italiano da Mondadori nel 1967 e nel 2008 stata riproposta da Feltrinelli in una nuova edizione). Hammett, infatti, uno dei numi tutelari di Camilleri, come egli stesso
ha dichiarato nellintervista a De Benedetti: Hammett, fra
i creatori del cosiddetto stile hard-boiled, uno dei miei

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numi tutelari. capace come nessuno di chiudere la trama


dun giallo ricchissimo, formidabile nello spazio dun racconto lungo o dun romanzo breve. Eppoi, cosa che non
guasta, Hammett era un uomo coraggioso. Quando stata
indagato e processato, insieme con molti intellettuali e uomini di spettacolo, per attivit antiamericane, ha mostrato
di avere un grande carattere. Stanco, bruciato dallalcol, ha
subito la galera con esemplare dignit e senza spifferare
nulla o pentirsi o altre cose del genere. Preferisco decisamente Hammett a Chandler, pi letterario e raffinato. Con
questo non voglio togliere nulla allautore di un capolavoro
come Il grande sonno.
La parabola biografica di Antonio Pizzuto
rievocata di nuovo, ma stavolta ironicamente, in un gustoso
dialogo tra Montalbano e Mim Augello che troviamo ne
La gita a Tindari (2000, p. 261), che occasione per una
stoccata polemica rivolta allatteggiamento snobistico della
critica letteraria accademica nei confronti del giallo e in cui
lallusione a Pizzuto (che per certi versi unallusione alla
stessa situazione di Camilleri) pu per essere colta adeguatamente solo alla luce del passo citato prima:
Certo che ne hai di fantasia comment Mim che aveva ripensato alla ricostruzione del commissario. Quando
vai in pensione puoi metterti a scrivere romanzi.
Scriverei certamente dei gialli. E non ne vale la pena.
Perch dici accuss?.
I romanzi gialli, da una certa critica e da certi cattedratici, o aspiranti tali, sono considerati un genere minore,
tant vero che nelle storie serie della letteratura manco
compaiono.
E a te che te ne fotte? Vuoi trasre nella storia della
letteratura con Dante e Manzoni?.

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Me ne affrunterei.
Allora scrivili e basta.

Centoquaranta pagine prima, Montalbano


aveva gi rievocato Manzoni, ma questa volta in un contesto e in un modo decisamente pi significativi, del tipo di
quelli su cui torneremo nel prossimo paragrafo. Trovandosi
a discutere con il vecchio boss della mafia don Balduccio
Sinagra, il quale gli sta esponendo il codice comportamentale del vero uomo donore, che prescriveva per esempio di
tentare prima di tutto di convincere un altro uomo ad inginocchiarsi di fronte a lui senza minacciarlo con le armi e
col puro ragionamento, Montalbano va con la mente a un
preciso luogo manzoniano: Fulmineo, nel ricordo del
commissario sillumin un brano della manzoniana Colonna Infame, quando un disgraziato portato al punto di
dover pronunziare la frase ditemi cosa volete che io dica
o qualcosa di simile. Il riferimento alla tortura del Mora,
il quale testualmente dice: V. S. veda quello che vole che
dica, lo dir (Storia della Colonna infame, IV, 72). Ma
situazione e citazione, in questo caso, sono state prestate a
Montalbano da Camilleri, il quale ha effettivamente incontrato nel 1949 a Roma un boss italoamericano, Nick Gentile. Il boss gli fece lo stesso discorso che Sinagra fa a Montalbano, in relazione al quale il giovane Camilleri, fresco
di studi, come lui stesso dice, si ricord del passo manzoniano. Lepisodio stato pi volte raccontato da Camilleri,
ma il particolare dellassociazione mentale con la Colonna
Infame si trova solo in Se vince lui, ma forse no. Una
conversazione con Andrea Camilleri di Enrico Deaglio, in-

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tervista apparsa su Diario del 30 marzo 2001, dove il riferimento del titolo a Berlusconi, perch si era alla vigilia
delle elezioni politiche poi effettivamente vinte dal Cavaliere.
A proposito di Manzoni, Ermanno Paccagnini, autore dellampio e dettagliatissimo commento alla Colonna
Infame contenuto nel secondo tomo del secondo Meridiano
dedicato ai Promessi sposi (a cura di Salvatore Silvano Nigro, Mondadori 2002), ha scritto nel 2004 un importante
saggio su Il Manzoni di Andrea Camilleri, incluso nel gi
citato volume Il caso Camilleri. Letteratura e storia. Segnalo il saggio di Paccagnini sia perch vi sono analizzati
nel dettaglio i riferimenti manzoniani contenuti ne La strage dimenticata, La bolla di componenda (opere, queste, in
cui ad agire dietro le quinte soprattutto la Colonna Infame, che in tal modo si configura come modello per eccellenza delle inchieste storiche di Camilleri, come gi era accaduto per Sciascia) e Il re di Girgenti (opera che invece
riprende ampiamente diversi punti de I promessi sposi), sia
perch basato esplicitamente su un metodo articolato che
mi ha guidato qualche volta nella ricerca delle citazioni
camilleriane. I riferimenti di cui Paccagnini va in cerca, infatti, sono di tre tipi, come egli dichiara in apertura: a.
come espresse presenze e volute citazioni o richiami a passi
dellopera manzoniana; b. come suggestioni manzoniane
in Camilleri (...); c. ma pure nel significato pi ampio di
suggestioni da parte mia, in quanto taluni passaggi di
Camilleri mi evocano immagini, situazioni, paesaggi, momenti manzoniani (p. 111). Ma sul suo rapporto con Manzoni stato lo stesso Camilleri, nella Conclusione del vo-

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lume Il caso Camilleri, a mettere le carte in tavola, prendendo spunto da un episodio davvero singolare: capitato
che in una scuola di Ispica, in Sicilia, il consiglio di classe,
cio quando si mettono assieme padri e professori, abbia
deciso di cacciare via I promessi sposi di Manzoni come
libro di testo e di mettere al suo posto Il birraio di Preston,
il che ha scatenato il doveroso macello che prevedibile in
questi casi. (...) Gianni Riotta mi telefona e dice: perch
non gliela scrivi una lettera ad Alessandro Manzoni e gli
spieghi la situazione!? E, allora, glielho scritta questa lettera su La Stampa cominciandola con Caro collega..., ho
scritto questa lettera per dirgli del mio amore per lui e per il
fatto che ce lo insegnano male a scuola. Io infatti a scuola,
ho detestato quel ramo del lago di Como... sta cosa che
non finiva mai; poi, a trentadue anni, me lo sono letto per i
fatti miei, me ne sono innamorato, lho riletto tre o quattro
volte e... la Colonna infame assai di pi... faccio delle citazioni magari non accorgendomi e certe volte, quando me ne
accorgo, attribuendole ironicamente al notaio Minzoni,
come dire, mi spavento delleccesso mio di citazioni da don
Lisander (pp. 222-223).
Per quanto riguarda Conrad, si tratta sicuramente di
una delle letture preferite di Montalbano, oltre che di Camilleri. Cuore di tenebra (1902), in particolare, ha trovato
nei testi camilleriani unulteriore reincarnazione, dopo
quelle notevolissime che si trovano nello scrittore e poeta
angloamericano Thomas S. Eliot (la celebre poesia Gli uomini vuoti, del 1925, porta come epigrafe il passo di Cuore
di tenebra in cui viene annunciata la morte di Kurtz), nel
regista americano Francis Ford Coppola (nel film Apoca-

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lypse Now il racconto conradiano trasferito dallAfrica


coloniale della fine del XIX secolo allinferno del Vietnam,
e nel finale Marlon Brando-Kurtz declama non a caso i versi iniziali de Gli uomini vuoti di Eliot) e nello scrittore noir
americano James Ellroy (il celebre autore de La Dalia nera
e American Tabloid, il cui romanzo Il grande nulla, del
1988, ha di nuovo unepigrafe tratta da Cuore di tenebra).
Ne La gita a Tindari (p. 276), Montalbano prende in mano
L'agente segreto (1907) e ne Il quarto segreto, che fa parte de La paura di Montalbano (2002), egli legge a letto
prima di addormentarsi alcune pagine proprio di Cuore di
tenebra, che ogni tanto ripigliava in mano (p. 206). Montalbano, inoltre, in Giorno di febbre (il primo dei sei racconti de La paura di Montalbano), dimostra anche di aver
letto La terra desolata (1922) di Eliot, o se non altro di ricordarne a memoria il primo verso: Quale mese per Eliot
era il pi crudele? S, ora se larricordava, aprile il pi
crudele dei mesi (p. 11).
Ma ne Il giro di boa (2003) che Cuore di tenebra
viene nuovamente evocato da Camilleri e questa volta in un
modo ancora pi significativo, perch implica una reinterpretazione, ovvero una reincarnazione di Kurtz in uno dei
suoi personaggi. Qui, infatti, il tunisino capo assoluto e
inavvicinabile di unorganizzazione criminale che smista
bambini extracomunitari clandestini nel racket dellaccattonaggio, nel mercato dei pedofili sadici e nel traffico di
organi, viene descritto a Montalbano dal giornalista freelance Sozio Melato con un esplicito riferimento a Cuore di
tenebra. Ecco, dunque, il Mister Kurtz di Camilleri: Baddar Gafsa, un personaggio, mi creda, da romanzo. Tra

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laltro soprannominato lo sfregiato, pensi un po. Pi


nobilmente, lo si potrebbe definire un vero cuore di tenebra. un gigante che ama caricarsi di anelli, collane, braccialetti e che indossa sempre giacche di pelle. Poco pi che
trentenne, ha ai suoi ordini un vero e proprio esercito di
assassini guidato da tre luogotenenti Samir, Jamil e Ouled e
una flottiglia di pescherecci, che non gli servono certo per
pescare, infrattati nelle insenature di capo Bon al comando
di Ghamun e Ridha, due espertissimi capitani che conoscono il canale di Sicilia come il loro lavandino. Dicono che
nei suoi rifugi segreti ci siano esposti decine di cadaveri di
nemici da lui assassinati. Gafsa li tiene per un certo periodo
bene in vista sia per scoraggiare possibili tradimenti sia per
compiacersi della sua invincibilit. Trofei di caccia, mi
spiego? (pp. 209-210).
Come detto, ogni lettore dello scrittore siciliano sa
che a lui piace molto il gioco a carte pi o meno scoperte
dellintertestualit. Per quanto riguarda le opere storiconarrative, a parte quelle ricordate in relazione a Manzoni,
un esempio paradigmatico rappresentato senza dubbio
dagli incipit di tutti i capitoli de Il birraio di Preston, che
fanno il verso agli incipit pi o meno celebri di
altrettanti classici della letteratura, a volte con effetti assolutamente esilaranti. Per esempio, il memorabile Chiamatemi Ismaele di Moby Dick cambia significato e diventa:
Chiamatemi Emanuele, ordin sua Eccellenza il prefetto di Montelusa (). qui fuori che aspetta da una mezzorata (p. 37). C poi il Catalogo dei sogni che conclude La mossa del Cavallo, in cui i sogni simultanei dei

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personaggi principali sono costruiti con immagini, frasi,


parole rubate (dice lo stesso Camilleri nella Nota conclusiva) alla Bibbia, a Kafka, a Faulkner, a Firpo, a Sciascia, a
Hemingway, a Hammett, a Joyce e a Proust.
Per quanto riguarda invece i romanzi di Montalbano,
come vedremo anche in seguito, un caso significativo e vagamente simile a quello visto a proposito della rievocazione della Colonna Infame rappresentato da Lodore della
notte (2001), in cui il commissario risolve un caso perch si
rende conto che esso ripropone una sorta di scena primordiale, un archetipo letterario tragico che fa parte della sua
memoria culturale inconscia e che lui ricorda piano piano e
sempre pi angosciosamente di aver trovato rappresentato
nel racconto Una rosa per Emily di Faulkner. Ma gi Il
cane di terracotta era tutto fondato su un complesso gioco
di rimandi intertestuali. Il cane del titolo rimanda a Kytmyr,
che veglia sul sonno secolare dei dormienti nella leggenda
cristiana dei sette dormienti di Efeso, ripresa e riadattata, in
un raro esempio di contaminazione tra tradizione popolare
cristiana e musulmana, in quella specie di Mito della caverna islamico contenuto nella sura XVIII del Corano. Su
questo mito coranico, poi, si basa una celebre opera teatrale
del drammaturgo egiziano Taufiq al-Hakim, La gente della
caverna (1933), rappresentata nel 1956 nel chiostro di
Monreale. Ed proprio alla sura XVIII del Corano e al
dramma di Hakim che si ispira esplicitamente Camilleri nel
romanzo, dove, peraltro, ad aiutare il commissario nella
decifrazione della foresta di simboli in cui viene a trovarsi
rischiando di perdersi, vengono chiamati in causa, per bocca del vecchio Alcide Maraventano, opere di semiotica

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come Semeiotik di Julia Kristeva (1969) e il Trattato di


semiotica generale (1975) di Umberto Eco. significativo,
poi, che nella circostanza (cfr. p. 166) Montalbano dichiari
da un lato di non aver letto e di non aver nessuna gana di
leggere il libro della Kristeva (molto citato da Eco nel Trattato, tra laltro anche in relazione al tema dellintertestualit e dei suoi presupposti: cfr. 2.14.3, nota 28), e dallaltro di
aver letto, di Eco, solo Il nome della rosa, Diario minimo e
Il secondo diario minimo, cio il poliziesco borgesiano di
ambientazione storica e le due raccolte esilaranti di geniali
pastiche e arguti giochi letterari. Si confermano cos la sua
predilezione per la narrativa (preferibilmente il giallo) e i
giochi intertestuali colti, e la sua avversione viscerale nei
confronti dei trattati teorici e accademici.
La Biblioteca di Vigta cui ha accesso Montalbano
contiene addirittura anche i romanzi storici di Camilleri e
ne Il campo del vasaio il gioco intertestuale raggiunge livelli vertiginosi. Ci sono le solite citazioni letterarie, pittoriche e cinematografiche pi o meno esplicite: la Parabola
del cieco di Bruegel, p. 25; Il diluvio di Ugo Betti, p. 37;
Shakespeare e Nietzsche, messi insieme in una battuta di
Montalbano sulla logica nella follia che ricorre similmente
sia nellAmleto che in Cos parl Zarathustra, e che linterlocutore non coglie, p. 122; il Vangelo di Matteo, da cui
tratto il titolo, p. 105; il Boiardo, p. 60; Consolo, di cui
citato di nascosto il titolo del romanzo Nottetempo, casa
per casa, p. 72; Dostoevskij, di cui Montalbano cita alcuni
titoli parlando col Questore, che naturalmente non se ne
accorge, essendo gnorante come na crapa, p. 73; il
classico Elementare, Watson, p. 137; lepisodio omerico

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di Ulisse che incontra Argo, p. 216; Il caso Skorpio tuo,


ispettore Callaghan, che Fazio capisce e Mim no, p. 223;
ecc. Ma questa volta accade anche qualcosa di assolutamente inedito e inaudito, come dice Salvatore Silvano
Nigro a chiusura della sua nota finale: lindagine di Montalbano ha una svolta quando il commissario si mette a leggere un vecchio romanzo storico di Camilleri, La scomparsa di Pat (cfr. p. 102 e ss.). Questo romanzo, si ricorder,
ha a che fare con la figura di Giuda (impersonata da Pat
nel Mortorio), e il campo del vasaio proprio quello in
cui Giuda and ad impiccarsi e che i sommi sacerdoti acquistarono coi trenta denari restituiti dal traditore per destinarlo alla sepoltura degli stranieri (Mt, 27, 6-10). Montalbano, leggendo il Camilleri dei romanzi storici, intuisce che
il cadavere tagliato in trenta pezzi e buttato nel critaru
contiene una semiologia mafiosa (o una sua imitazione) che
rimanda al tradimento.
A proposito di cuori di tenebra e di noir, un
interessante esempio di omaggio a certi canoni della letteratura del Novecento prediletti da Camilleri costituito da
Il tailleur grigio (2008). Questo romanzo, per quanto profondamente camilleriano in ogni pagina, piuttosto atipico.
Non una storia di Montalbano, non un romanzo n un
saggio storico, non un apocrifo come Il colore del sole
(2007), dedicato a Caravaggio, o come La novella di Antonello da Palermo (2007), dedicato a Boccaccio, non una
favola come quelle raccolte in Favole del tramonto (2000)
e non nemmeno un cunto come Maruzza Musumeci e Il
casellante. Tra i due rami classici della produzione dellautore e tutto il resto esso si staglia isolato e inquietante.

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una storia moderna, ambientata nella Palermo di oggi, e la


misteriosa protagonista femminile, Adele, ha fatto pensare
alle dark ladies e soprattutto alle donne fatali del noir alla
francese, molto caro a Camilleri. Ma il breve romanzo suscita anche altre emozioni, evoca altre immagini. La parabola dellanziano protagonista maschile tra lavoro e pensionamento, narrata con unasciuttezza gelida, spinge a
meditare seriamente e senza illusioni sulla vita e sulla morte. Adele, invece, con la sua sterilit tutta proiettata verso
una sessualit compulsiva e ingorda, vissuta con una freddezza meccanica, induce a ritenere che forse Camilleri abbia voluto raccontare la vita di una futura protagonista del
vero noir, magari ricostruita a partire dal giorno in cui il
suo corpo dovesse essere trovato a pezzi. Nel romanzo, la
donna si limita solo ad essere una via di mezzo tra una puttana altolocata e una santa, una mangiatrice e una consolatrice di uomini (anche nel senso di grande consolatrice,
che la morte), una persona libera e unipocrita. Ecco perch si potrebbe leggere il libro con la canzone Se ti tagliassero a pezzetti di Fabrizio De Andr (in cui compare un
tailleur grigio fumo) in sottofondo, magari pensando che,
se un giorno Adele facesse quella fine, la sua storia potrebbe assomigliare a quella della Dalia Nera o addirittura della
stessa Jean Ellroy, la madre di James, la cui vicenda tragica
raccontata nel meraviglioso I miei luoghi oscuri (1996).
Nellimmaginaria Biblioteca di Vigta non
poteva mancare di certo lautore de La biblioteca di Babele. La dimestichezza di Montalbano con Borges tale che
addirittura, ne Il cane di terracotta, gli sembra di incontrar-

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lo: Sono quasi cieco, vedo con molta difficolt fece il


vecchio assittato sulla panchina della veranda ma qua mi
pare molto bello, fa tranquillit. Solo in quel momento il
commissario cap dove aveva visto il vecchio, non era lui
precisamente ma un suo sosia perfetto, ritratto in fotografia
su un risvolto di copertina, Jorge Luis Borges (p. 263).
Poca roba, certo, un semplice caso di somiglianza tra vecchi ciechi, ma come non pensare allinizio del primo racconto de Il libro di sabbia (1975), intitolato Laltro, in
cui Borges racconta, nel 1972, che nel 1969, a nord di Boston, a Cambridge, mentre stava seduto su una panchina
davanti a un fiume eracliteo, gli si sedette accanto il se
stesso pi giovane?
I riferimenti pi significativi a Borges sono
due e si trovano in due dei tre racconti lunghi che costituiscono la raccolta La prima indagine di Montalbano (2004).
Vale la pena esaminarli con attenzione sia perch rivelano
qualcosa di interessante sulla struttura della mente investigativa di Montalbano sia perch hanno ingenerato una certa
confusione in chi, come Bonina, vi ha fatto cenno.
Nel decimo capitolo del racconto che d il
titolo alla raccolta, il giovane Montalbano (siamo nel 1985
e il commissario ha trentacinque anni), preda della spiacevole sensazione di sentirsi un pupu in mano a un puparo,
che subito gli richiama alla mente il Pupi siamo... di Pirandello, si ripromette di acquistare lultimo libro di Borges. Il riferimento non chiaro. Nella primavera del 1985
Borges in Italia, in particolare a Roma e a Milano, e
lanno prima aveva pubblicato Atlas, che chiude il secondo
Meridiano delle sue opere complete in italiano, uscito pro-

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prio nel 1985, anno in cui a Madrid appare anche una sua
raccolta di poesie, Los conjurados. Sempre nel 1985 in italiano escono altri titoli borgesiani. Morir il 14 giugno dellanno dopo. E dunque: quale libro deve comprare Montalbano? Non si sa. Ecco come prosegue il racconto: Misteriosamente, il nome dello scrittore, una volta trasutogli in
testa, non volle pi nesciri. Borges, Borges continu a
ripetere. E tutto nzmmula gli torn alla memoria una
mezza pagina, o meno ancora, dellargentino liggiuta tempo avanti. Borges contava la trama di un romanzo giallo
indovi tutto nasceva dallincontro assolutamente casuale, in
treno, tra due giocatori di scacchi che prima non si erano
mai accanosciuti. I d giocatori organizzavano un delitto,
lo portavano a compimento quasi con pedanteria, arriniscivano a non essere sospettati. Borges scriveva insomma un
soggetto plausibilissimo, logicamente concatenato, senza
una crepa. Solo che alla fine lo scrittore metteva un post
scriptum, una domanda, questa: e se lincontro in treno tra i
due giocatori non era stato casuale? Ecco, nellindagine che
stava facenno, una domanda accuss non gli era manco passata per il ciriveddro. Quelle poche righe di Borges erano
una grannissima lezione sul modo di fare uninchiesta. E
perci macari in questo caso abbisognava farsi una domanda in grado di rimettere tutto suttasupra, tutto in discussione (pp. 218-219).
In effetti il giovane Montalbano far tesoro della lezione di Borges, perch in seguito molte sue indagini
avranno buon esito grazie alla sua capacit di porre la domanda giusta e di capovolgere con unilluminazione interiore (linsight di cui parlano gli psicologi) una versione o

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unimpressione dei fatti che altri, e talvolta egli stesso,


avevano accettato o voluto far accettare. Ma tutta la citazione di Borges che sottilmente e divertitamente borgesiana. Camilleri avverte subito che sta riferendo una trama
raccontata da Borges, non la trama di un racconto di Borges, come crede erroneamente Bonina cadendo nel tranello
e fraintendendo di conseguenza tutta la citazione. Riferendosi a questo passo, infatti, egli scrive che, a proposito di
Borges, Camilleri richiama un suo racconto nel quale due
scacchisti si incontrano per caso su un treno e organizzano
un delitto, senonch lo scrittore argentino si chiede se
lincontro sia stato davvero casuale (Il carico da undici, p.
156). Lerrore di interpretazione ripetuto anche nellintervista, allorch Bonina, in una domanda a Camilleri, dice
che ne La prima indagine di Montalbano un giallo di
Borges, quello degli scacchisti, assunto per definire la
teoria secondo cui tutto va sempre messo in
discussione (p. 366).
Niente di tutto ci. Innanzi tutto Camilleri, da narratore puro e sceneggiatore consumato, ordina creativamente,
integra e praticamente reinventa il soggetto del romanzo
di cui parla Borges, che tra laltro non ha quella trama e
addirittura non esiste. Camilleri, infatti, non ha fatto altro
che citare, lavorando di memoria e di fantasia, The God of
the Labyrinth, il primo romanzo immaginario, forse influenzato da Agatha Christie (secondo lo Spectator), dello scrittore altrettanto immaginario Herbert Quain, di cui
Borges finge di scrivere il necrologio e analizzare le opere
nel breve Esame dellopera di Herbert Quain (1941), poi
incluso in Finzioni. Leggiamola, allora, la mezza pagina, o

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meno ancora, accompagnata dal necessario contesto, che


torna in mente a Montalbano, per capire quanto Camilleri
ci metta di suo nel ricostruire la trama del romanzo: Deploro di aver prestato a una signora, irreversibilmente, il
primo che pubblic. Ho gi detto [nel primo capoverso,
laddove Borges riporta il giudizio dello Spectator] che si
tratta di un romanzo poliziesco, The God of the Labyrinth;
posso aggiungere che leditore lo mise in vendita negli ultimi giorni del novembre 1933. Ai primi di dicembre dello
stesso anno, le gradevoli e ardue involuzioni del Siamese
Twin Mystery affaccendarono Londra e New York; io preferisco attribuire linsuccesso del romanzo del nostro amico a
questa coincidenza rovinosa. Nonch (voglio essere del tutto sincero) alla sua deficiente esecuzione e alla vana e frigida pompa di certe descrizioni del mare. A distanza di sette anni, m impossibile recuperare i dettagli dellazione;
ma eccone il piano generale, quale limpoveriscono (quale
lo purificano) le lacune della mia memoria. V un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto
ormai lenigma, v un paragrafo vasto e retrospettivo che
contiene questa frase: Tutti credettero che lincontro dei
due giocatori di scacchi fosse stato casuale. Questa frase
lascia capire che la soluzione erronea. Il lettore, inquieto,
rivede i capitoli sospetti e scopre unaltra soluzione, la
vera. Il lettore di questo libro singolare pi perspicace del
detective (in Tutte le opere, vol. I, p. 675).
Tutto qui. Niente treno, dunque; niente scacchisti
che si incontrano su un treno; niente scacchisti che si incontrano su un treno e progettano un delitto; niente scac-

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chisti che si incontrano su un treno, progettano un delitto e


lo portano a termine quasi con pedanteria; e infine niente
scacchisti che si incontrano su un treno, progettano un delitto, lo portano a termine quasi con pedanteria e rimangono
insospettati. tutta uninvenzione camilleriana che cerca di
ricucire i brandelli del resoconto lacunosissimo di Borges,
il quale immagina di recensire un autore di cui sette anni
prima ha letto un romanzo che ha poi prestato e perso.
Capita che un autore inventato cos bene tragga in
inganno e Camilleri riuscito a far credere che Borges
avesse raccontato in dettaglio la trama del romanzo di Herbert Quain. Molti anni fa un editore e un paio di critici si
sono messi a cercare le opere dellimmaginario linguista,
sociologo e cultore di intelligenza artificiale albanese Milo
Temesvar, inventato da Umberto Eco in Apocalittici e integrati (1964). E non un caso che tra i saggi fantasiosi di
questo studioso immaginario ci fossero titoli come Le fonti
bibliografiche di J. L. Borges e Sulluso degli specchi nel
gioco degli scacchi, unopera, questultima, pubblicata
anonima dallo stesso Temesvar per confutare la prima e
confondere cos le idee dei lettori. Anche il finto manoscritto caravaggesco su cui si basa Il colore del sole, un altro
scherzo di stampo borgesiano, ha tratto in inganno qualche
studioso, come racconta a Bonina lo stesso Camilleri:
incredibile il numero delle persone che hanno preso per
vero questo racconto inventato di sana pianta. Tra i tanti, un
eminente oculista tedesco che, attraverso lesame accurato
dei dipinti caravaggeschi, era arrivato alla conclusione che
il pittore soffrisse di un disturbo della vista identico a quello che avevo narrato. ancora certo, malgrado le mie

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smentite, che io abbia avuto tra le mani documenti autografi del Caravaggio (Il carico da undici, p. 433).
Certo, nei mondi possibili delle finzioni narrative
pu accadere di tutto, e non ci si potrebbe sorprendere se
un giorno Montalbano trovasse nella Biblioteca di Vigta
proprio The God of the Labytinth di Herbert Quain. In almeno uno di tali mondi possibili, infatti, questo gi accaduto. Ne L'anno della morte di Ricardo Reis (1984) di Jos
Saramago, dove il gioco di specchi non meno vertiginoso
di quelli visti fin qui, a un certo punto, mentre si trova sulla
nave che lo trasporta da Rio de Janeiro a Lisbona, Ricardo
Reis, che a sua volta uno degli alter ego di Fernando Pessoa (quindi una finzione di Saramago sulla finzione di Pessoa), prende nella biblioteca un libro poliziesco, The God
of the Labyrinth di Herbert Quain, appunto. E se vogliamo
chiudere il cerchio di questa giostra intertestuale, possiamo
osservare che Sostiene Pessoa il titolo del quarto dei
venti racconti che costituiscono Gli arancini di Montalbano (1999), dove Pessoa, attraverso il suo investigatore Quaresma, citato in un modo che fa chiaramente il verso a
Sostiene Pereira (1994) di Antonio Tabucchi, grande esperto e traduttore italiano di Pessoa, e che consente di riprendere la questione della logica dellosservazione investigativa che Montalbano ha gi trovato e trover ancora (come
vedremo subito sotto) in Borges: il commissario principi
a pensare a una lettura fatta qualche giorno prima. Sostiene
Pessoa, attraverso le parole che mette in bocca a un suo
personaggio, linvestigatore Quaresma, che se uno, passando per una strada, vede un omo caduto sul marciapiede,
istintivamente portato a domandarsi: per quale motivo

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questuomo caduto qui? Ma, sostiene Pessoa, questo gi


un errore di ragionamento e quindi una possibilit di errore
di fatto. Quello che passava non ha visto luomo cadere l,
lha visto gi caduto. Non un fatto che lomo sia caduto
in quel punto. Quello che un fatto che egli si trova l per
terra. Pu darsi che sia caduto in un altro posto e labbiano
trasportato sul marciapiede. Pu essere tante altre cose, sostiene Pessoa (p. 71). Questo classico ragionamento investigativo sar alla base, ad esempio, dellavvio de Le ali
della sfinge (2006), dove Montalbano, confortato poi dal
medico legale Pasquano, intuisce subito che il corpo della
ragazza sfigurata trovato in una discarica in realt stato
trasportato l per far credere (per esempio a uno come il pm
Tommaseo, di fantasia fervida e pervertita) a un omicidio
avvenuto sul posto, che un noto ritrovo di coppiette.
Il secondo importante riferimento a Borges si trova
nel primo capitolo del terzo e ultimo racconto de La prima
indagine di Montalbano, intitolato Ritorno alle origini.
Siccome giorno di pasquetta e i vigatesi, come tutti i siciliani, poliziotti compresi, sono soliti fare la scampagnata,
Montalbano, alle nove in punto, si reca in commissariato,
che sa di trovare semideserto, portando con s due libri,
uno per la mattina e uno per il pomeriggio. Si tratta di una
raccolta di saggi e articoli di Borges (e precisamente Discussione, del 1932) e di un romanzo di Daniel Chavarra
ambientato a Cuba (quale? Pi di un romanzo di Chavarra ambientato a Cuba. Altre volte Montalbano legge libri
di cui resta imprecisato il titolo, ma non lautore. Ne La
voce del violino, ad esempio, sappiamo che sta leggendo un
libro di Marco Denevi, uno scrittore argentino che gli pia-

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ceva ass, peraltro pubblicato in italiano da Sellerio, ma


non viene detto quale: cfr. p. 56 e p. 117). Trovandosi a
mente fresca e non ancora appesantita dalla digestione,
Montalbano comincia con Borges, perch ti obbliga sempre e comunque allesercizio dellintelligenza, e si immerge nella lettura per pi di tre ore:
E come mai? Si fece capace che non era andato oltre alla
pagina 71, l si era intoppato a ragionare supra a una frase:
Il fatto stesso di percepire, di porre attenzione, di tipo selettivo: ogni attenzione, ogni fissazione della nostra coscienza,
comporta una deliberata omissione di ci che non interessa.

Questo era vero, si disse, in linea generale. Ma nel suo


caso particolare, di sbirro cio, la selezione tra ci che
interessa e ci che non interessa non doviva essiri contemporanea alla percezione, sarebbe stato un errore grave. La percezione di un fatto, in unindagine, non pu
consistere in una scelta contestuale, devessere assolutamente oggettiva. Le scelte si fanno appresso, faticosamente e non per percezione, ma per ragionamenti, deduzioni, comparazioni, esclusioni. E non detto che non
comportino lo stesso il rischio dellerrore, anzi. Ma, in
percentuale, la possibilit di errore pi bassa rispetto
alla scelta dovuta a unistintiva selezione percettiva. Per
daltra parte, a ben considerare, in cosa consisteva quello
che Hammett chiamava listinto della caccia se non
nella capacit di una fulminea selezione allatto stesso
della percezione?
Allora cosa avrebbe potuto scrivere e consigliare in un
ideale Manuale del perfetto investigatore? Che forse la
virt stava nel mezzo, come al solito (e sarraggi con se
stesso per la frase fatta che gli era venuta in testa). E cio
che la scelta percettiva bisogna tenerla in gran conto perch era la prima cosa da discutere fino alla sua negazione.

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Compiaciuto per le vertiginose altezze filosofiche raggiunte, sent che gli smorcava il pititto. Allora telefon
alla trattoria (pp. 240-241).

Dopopranzo, Montalbano ripigli in mano il libro


di Borges. Ma doppo una decina scarsa di minuti locchi
principiarono a fargli pampineddra, resistette eroicamente
ancora tanticchia nella lettura e appresso, come fu e come
non fu, le palpebre gli calarono di colpo come saracinesche (p. 243).
Come si vede, il passo tutto giocato su un registro
ironico e leggero e, inoltre, laddove Montalbano si sforza
di confrontarsi con Borges non pensa certamente di confutarlo; piuttosto disposto a riconoscere una certa fondatezza alla sua osservazione e si limita ad arricchirla concentrandosi sui livelli cognitivi superiori e successivi allatto
percettivo, finendo poi col riconoscere che probabilmente
la verit sta nel mezzo. Eppure Bonina legge in questo passo un contrasto irriducibile tra i due approcci teorico-investigativi e sostiene che Montalbano (ovvero Camilleri)
contesta la teoria di Borges della concomitanza tra ci che
di una cosa interessa e la sua percezione: secondo Camilleri
in una inchiesta di polizia la percezione viene prima in maniera oggettiva mentre la scelta degli elementi utili alle indagini sono [sic!] il risultato di successive operazioni basate sul ragionamento e sulla deduzione (Il carico da undici,
p. 157). Nel corso dellintervista a Camilleri Bonina parla
addirittura di confutazione della teoria di Borges secondo
cui la percezione scarta ci che non interessa (p. 369).
Ora, gi discutibile attribuire a dei narratori delle
teorie di psicologia della percezione e dei processi cogni-

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tivi sulla base di passi isolati ed estemporanei. Peraltro, il


saggio di Discussione da cui tratto il passo di Borges, intitolato La postulazione della realt e datato in calce
1931, una nota di teoria della letteratura che mira a
confutare lidentit crociana dellestetico e dellespressivo
(Estetica come scienza dellespressione e linguistica generale infatti il titolo completo del famoso trattato di estetica di Benedetto Croce, uscito per la prima volta nel 1902)
sulla base dellosservazione che il costume classico, contrariamente a quello romantico, bench rifugga dalla componente espressiva e accetti linevitabile semplificazione concettuale della complessit del reale, raggiunge ugualmente
leffetto estetico. E ora capiamo, per inciso, perch Montalbano prima si blocchi e poi si addormenti su queste pagine.
Gi in precedenza (cfr. p. 56), parlando di quel vero
e proprio almanacco della memoria che Il gioco della
mosca, Bonina aveva attribuito peraltro in maniera imprecisa allUmberto Eco de La misteriosa fiamma della
regina Loana (2004) una vera e propria teoria della distinzione tra memoria individuale e collettiva, per cui in
base alla prima ci ricordiamo e ci raccontiamo quello che
abbiamo fatto ieri, mentre in base alla seconda altri ci
raccontano quando e dove nata nostra madre. Ma tutto
questo non esiste, perch in quel romanzo Eco segue esplicitamente e pedissequamente il paradigma cognitivista predominante sui tipi di memoria, in una versione peraltro abbastanza semplificata e manualistica. In particolare, egli
riprende la distinzione tra memoria sensoriale, a breve e a
lungo termine del modello di Atkinson e Shiffrin del 1968,

!112

cui allude a p. 14; la teoria di Miller della capacit della


MBT limitata dal magico numero sette pi o meno due,
introdotta in un famoso articolo del 1956, esplicitamente
evocato da Eco a p. 323; la distinzione, nella MLT dichiarativa o esplicita, tra memoria semantica ed episodica,
introdotta nel 1972 da Tulving e da Eco ripresa a p. 16;
nonch la distinzione, operata dagli psicologi successivi
allinterno della memoria episodica, tra memoria autobiografica e storica, che corrisponde grosso modo alla distinzione cui accenna da Bonina.
Analogo discorso pu essere fatto per le cosiddette
teorie che Bonina attribuisce a Borges e Camilleri, perch in realt si tratta di vaghi riecheggiamenti di un ampio,
complesso e specifico dibattito interno a diverse branche
della psicologia del 900 sul problema della selezione percettiva. Si discusso a lungo, infatti, per cercare di stabilire
se essa sia precoce (modello di Broadbent, 1958), tardiva
(modello di Norman, 1968) oppure ora precoce ora tardiva
a seconda dei casi (modello multimodale di Johnston e
Heinz, 1978). La distinzione operata dagli psicologi tra informazione sensoriale, informazione percettiva e informazione cognitiva, la teoria degli schemi cognitivi che guidano e filtrano la percezione, nonch gli studi sperimentali sul
carattere selettivo della percezione nella lettura, permettono
poi di osservare che Borges esprime in fondo quello che
ormai un luogo comune in psicologia. E tutto questo era gi
ben noto agli psicologi della Gestalt e della Scuola di
Wrzburg ben prima del 1931. Il passo che segue immediatamente quello citato da Camilleri, infatti, recita: Vediamo
e ascoltiamo attraverso ricordi, paure, previsioni, che

!113

una perfetta sintesi di quella che si chiamer Theory-ladenness of perception (cio lidea che le percezioni siano cariche di teoria, ovvero di aspettative e precomprensioni) e
che proprio in quegli anni Karl Popper, allievo di alcuni
psicologi delle scuole suddette, andava delineando in campo epistemologico. Anche Camilleri esprime dei luoghi
comuni, soprattutto quando punta lattenzione sui processi
di elaborazione logica soggettiva che avvengono al livello
delle informazioni cognitive. Tuttavia, con ogni probabilit
egli in errore quando sostiene lesistenza di una percezione assolutamente oggettiva di un fatto, perch cos facendo va a riesumare inconsapevolmente un vecchio mito
positivistico che lepistemologia e la psicologia hanno
smascherato gi nella prima met del 900, cio prima ancora che le scienze cognitive e le neuroscienze si affermassero e si sviluppassero esponenzialmente grazie anche alla
rivoluzione informatica.

2. Fenomenologia dello sdoppiamento


Una delle caratteristiche principali dellevoluzione
della personalit di Montalbano che i lettori di Camilleri
hanno potuto notare pi chiaramente negli ultimi anni consiste nella sempre pi spiccata propensione del commissario allintrospezione e al monologo, ovvero al dialogo con
se stesso, causa ed insieme effetto di una sua solitudine crescente e di un deterioramento dei rapporti con le persone
pi vicine (Livia e Mim Augello in particolare). Sappiamo
che Montalbano nato nel 1950 e Camilleri, di storia in

!114

storia, lo tiene ancorato al calendario reale. Avvicinandosi


ai sessantanni, il commissario comincia a sentire il peso e
gli acciacchi degli anni: debole e lento nei riflessi, corre
dei rischi seri per la salute quando cerca di farsi le sue solite nuotate mattutine, ha bisogno degli occhiali per leggere,
divenato pi permaloso e irascibile, tende sempre di pi a
parlare con se stesso e addirittura arriva a scriversi delle
lettere per fare il quadro della situazione dellindagine in
corso e fissarne i punti nodali. Inoltre, per la paura del passare del tempo e della vecchiaia incombente, non resiste
pi come prima alla seduzione delle altre donne. Ne La
vampa dagosto (cfr. p. 263) ha cinquantacinque anni e tradisce Livia per la prima volta cedendo alla giovinezza della
ventenne e diabolica Adriana proprio per la consapevolezza
della vecchiaia (cfr. p. 264), quasi come certi personaggi di
Gombrowicz. Ne La pista di sabbia (cfr. p. 116) si lascia
sedurre dalla cavallina e quarantenne Rachele ancora una
volta per lo scanto (...) degli anni che passavano (p. 117)
e si rende conto che erano tutti tentativi riddicoli, miserabili e miserandi, di fermare il tempo. Fermarlo almeno per
quei pochi secondi nei quali solo il corpo era vivo, mentre
la testa inveci si pirdiva in un gran nenti finalmente senza
tempo (p. 118). Ne Il campo del vasaio (cfr. p. 95), poi,
dopo una dozzina danni di resistenze sempre pi difficili,
Montalbano cede finalmente, e oserei dire per la gioia dei
lettori, allirresistibile amica Ingrid. In questo stesso romanzo assistiamo anche a una crisi molto dolorosa del rapporto damicizia con Mim, il quale, circuito da una donna,
rischia di tradire il commissario e la sua stessa vita professionale, ma Montalbano decide di tirarlo fuori da quel

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loco nfami, cio dal campo del vasaio, il luogo per eccellenza del tradimento, perch consapevole che egli stesso
un traditore (cfr. p. 198).
In questo paragrafo cercher di ripercorrere le tappe
di questo progressivo ripiegamento di Montalbano su se
stesso e di questo concomitante e articolato sdoppiamento
del suo S attraverso alcune situazioni esemplari disposte
in ordine cronologico. Certo, se fosse valida la celebre definizione fornita da Platone nel Sofista (263e), stando alla
quale il pensiero il discorso dellanima con se stessa, potremmo dire che in questo suo percorso verso una personalit un po schizoide Montalbano in cammino verso quella
saggezza della vecchiaia tanto celebrata dai filosofi antichi.
Lallusione hegeliana nel titolo di questo paragrafo potrebbe addirittura indurre nel lettore laspettativa e la speranza
di un approdo del commissario verso una forma di sapere
assoluto. Ma difficile immaginare qualcosa di pi lontano
dal vero. La definizione di Platone vacua, perch definisce una cosa che non si sa bene cosa sia (il pensiero) tramite unaltra cosa (lanima) che non si sa per nulla cosa sia, e
lallusione a Hegel ironica. Per rispetto della lucida e disincantata consapevolezza di Montalbano e di Camilleri, i
quali da sani materialisti sanno benissimo che la vita un
gioco a perdere, con perdita di tutto, cio, non solo del senno, descriver le tappe principali di questa fenomenologia
dello sdoppiamento tenendo sempre presente che al termine
della strada ci sono comunque il rimbambimento senile e la
morte, se tutto va bene.

!116

1.

MONTALBANO E ANDROCLO

Un primo esempio larvale di sdoppiamento si trova


in un breve racconto di Un mese con Montalbano intitolato
Quello che cont Aulo Gellio. Il caso che qui Montalbano risolve richiede non lazione investigativa ma il recupero di un ricordo lontano, risalente allepoca in cui aveva
circa trentanni ed era un vicecommissario, a partire da una
casuale sollecitazione letteraria.
una sera buia e tempestosa da fare spavento, veramente scantusa per riprendere lincipit del Birraio,
che fa esplicitamente il verso al romanzo di Snoopy, che
faceva il verso allinizio del secondo capoverso dellAvventura degli occhialini doro di Sherlock Holmes e allinizio del famoso quarto capitolo del Frankenstein di Mary
Shelley, questi ultimi tre a loro volta gi evocati per antifrasi nellincipit del primo giorno de Il nome della rosa e
Montalbano sta tornando in macchina da un incontro burrascoso con il nuovo questore di Montelusa. Seguendo il consiglio di un amico, cerca unosteria sulla strada di Fiacca,
che segnalata da una tavola inchiodata su un palo con su
scritto: da Filippo che si mancia bene. Arrivato in questo
locale sinistro, sperduto e deserto, il commissario ordina i
polipi alla napoletana e, novello Carvalho, ingaggia con
Filippo una disputa sulla ricetta, perch il gestore solito
aggiungere ai numerosi condimenti pure i capperi di Pantelleria, che a lui non risultano. Ma la polemica, che Montalbano prosegue nellimmaginazione per ingannare lattesa, viene interrotta bruscamente dallirruzione nel piccolo
locale di due uomini armati di pistola e col volto coperto

!117

dal passamontagna. Uno di bassa statura e laltro un colosso. Dalle parole del primo risulta subito chiaro che il
bersaglio dei due killer proprio Montalbano, il quale, contrariamente al luogo comune che vuole che in punto di
morte si veda scorrere in un lampo nella mente tutta la propria vita, rimpiange solo i polipetti che Filippo sta preparando. E allora successe lincredibile: mentre il killer
bassotto sta per sparargli, quello colossale, che non gli ha
mai staccato gli occhi di dosso, toglie il mattarello dalle
mani di Filippo e colpisce violentemente alla testa il compagno, che stramazza a terra. Poi simula una sparatoria,
sparando un colpo a una parete e un altro a quella opposta,
chiede a Montalbano Ci siamo capiti? e, ricevuta la risposta affermativa del commissario, recupera il compagno
svenuto e se ne va, consentendo al commissario di consumare il tanto agognato piatto di polipetti alla napoletana.
Questi i fatti, e Montalbano per giorni non riesce a capire
perch il killer colossale gli abbia salvato la vita, peraltro
correndo un rischio enorme per la propria. Ma quattro giorni dopo, una domenica, Montalbano legge sullinserto culturale di un giornale economico (lallusione chiaramente
a Il Sole 24 ore) la recensione di unantologia appena
pubblicata delle Notti attiche di Aulo Gellio, una vasta opera compilativa e miscellanea del secondo secolo in venti
libri, che ci pervenuta mutila solo dellottavo e che costituisce una fonte importantissima di informazioni grammaticali, lessicografiche, filologiche, storiche, letterarie, filosofiche e di costume relative sia al tempo di Aulo Gellio
che ai secoli precedenti. Lautore dellarticolo, dopo aver
ricordato che Aulo Gellio ha raccolto le sue note erudite per

!118

far passare le lunghe notti invernali trascorse nel suo campicello dellAttica (linformazione, peraltro, si trova nella
prefazione dellopera e serve a spiegarne il titolo), aggiunge, direi in maniera abbastanza avventata, che lopera merita di essere ricordata solo per il racconto della storia di Androclo e del leone (che si trova nel capitolo 14 del quinto
libro). Ma il riassunto dellaneddoto fa trasalire Montalbano, perch gli sembra che lavventura capitatagli nellosteria di Filippo sia una versione ammodernata e vera della
leggenda scritta da Aulo Gellio.
Vale la pena riportare per intero il riassunto del riassunto fornito nel racconto, anche perch contiene, come
vedremo, diverse e non trascurabili inesattezze rispetto alla
versione originale di Aulo Gellio. Contava lo scrittore latino che uno schiavo romano dAfrica, Androclo, scappato
dal suo padrone che langariava, era andato ad ammucciarsi
dintra a una grotta nella quale cera un leone ammalato. Invece di levare lincomodo e cercarsi unaltra grotta pi abitabile, Androclo cera rimasto e aveva curato il leone che
pativa di uninfezione causata da una grossa spina a una
zampa. Poi il leone, guarito, era corso via e Androclo, dopo
molte storie che gli erano capitate, si era convertito al cristianesimo ed era arrivato a Roma. Arrestato perch cristiano e condannato a morire sbranato dai leoni, Androclo si
era fatto il segno della croce ed era trasto nella pista. Qui
di subito un leone, pi grosso degli altri, aveva fatto un
balzo verso di lui con la bocca spalancata, ma poi, tra la
maraviglia degli spettatori, si era accucciato e aveva leccato
le mani al cristiano. Era lo stesso leone che Androclo aveva

!119

curato in Africa. Naturalmente lex schiavo venne


graziato.
Qui bisogna fare una pausa e osservare innanzi tutto
che il fatto, diventato quasi leggendario, vanta un fondamento storico. Circa un secolo prima di Aulo Gellio vi aveva fatto cenno Seneca (De beneficiis, II, 19), il quale, per,
senza far nomi, aveva scritto che il leone difese lo schiavogladiatore dagli altri leoni e aveva negato al leone la molto
antropomorfica e favolistica attribuzione di intenzionalit e
capacit di riconoscimento che si riscontra nel racconto riferito da Aulo Gellio, dove ricorre addirittura un interessante termine di nuovo conio come noscitabundus, riferito appunto al leone. Lintento di Seneca, nella circostanza, era
appunto quello di dimostrare che il gesto del leone, come
quello di un tiranno che concede la grazia, non ha alcun significato etico, perch non scaturisce dalla precisa volont
di fare il bene. Aulo Gellio riprende la notizia dalle Meraviglie dEgitto di un certo Apione, soprannominato Plistonice, il quale si dichiara testimone oculare dellaccaduto
(spectator fui) e addirittura riporta il racconto in prima persona dello stesso Androclo. Aulo Gellio, dunque, virgoletta
Apione che a sua volta virgoletta Androclo, il cui racconto,
dice Apione, fu subito scritto su una tavoletta che gir di
mano in mano e mise gli spettatori nelle condizioni di essere informati dei fatti e di chiedere cos la grazia con cognizione di causa.
Confrontando attentamente il riassunto di Camilleri
con il testo di Aulo Gellio, si scoprono alcune differenze
notevoli. Innanzi tutto, non vero che il leone fugge via
subito dopo essere stato guarito da Androclo, ma Andro-

!120

clo che a un certo punto, stancatosi della vita selvaggia


condotta con il leone nella caverna e durata ben tre anni,
nel corso dei quali il leone lo nutriva con i pezzi pi prelibati delle sue prede, abbandona la caverna approfittando di
una momentanea assenza dellanimale. Del tutto inventata,
rispetto alla versione riferita da Aulo Gellio, poi la conversione al cristianesimo di Androclo, il quale non viene
arrestato a Roma perch cristiano, ma in Africa e solo dopo
tre giorni di cammino dal momento dellabbandono della
caverna. Ad arrestarlo sono i milites stationarii, il cui compito era proprio quello di catturare gli schiavi fuggitivi e
riconsegnarli ai loro padroni. Ed da loro che Androclo
viene portato a Roma e restituito al suo padrone, un ex console nel frattempo rientrato, il quale lo condanna a morte e
lo destina alle belve feroci. Di conseguenza, inventato
pure il segno della croce che si sarebbe fatto Androclo alla
vista del leone, che non balza affatto verso di lui con le
fauci spalancate perch lo riconosce subito. curioso osservare, infine, che la faccenda della conversione di Androclo riportata anche nella sintesi del racconto che ne Il carico da undici fornisce Bonina (p. 511), il quale a sua volta
si inventa un particolare non presente nel testo di Camilleri,
collocando lo svolgimento dello spettacolo nel Colosseo,
quando invece nel testo di Aulo Gellio si dice chiaramente
che levento si svolse nel Circo Massimo. Evidentemente
nel nostro immaginario collettivo lassociazione Colosseoleoni-cristiani cos forte che riusciamo a vederla anche
dove non esiste, operando inferenze interpretative del tutto
arbitrarie su testi peraltro chiarissimi.

!121

Chiedo venia per questa digressione forse un po pignola, ma essa ci permette di fare alcune considerazioni
interessanti. Abbiamo visto che la parte della Biblioteca di
Vigta frequentata da Montalbano piuttosto ricca, ma essa
non contiene le Notti attiche, cui il commissario pu avere
accesso solo indirettamente e tramite le pagine culturali di
un giornale. Questo spiega perch Montalbano pu qui avviare un processo di sdoppiamento ancora acerbo attraverso
lidentificazione a posteriori con uno schiavo romano basandosi non su ricordi di letture fatte (come avverr normalmente negli altri casi) ma su un resoconto di seconda
mano incontrato casualmente. Significativamente, le zeppe
inserite nel resoconto della storia di Androclo indeboliscono notevolmente lanalogia tra Androclo e Montalbano. Lo
schiavo-martire cristiano di Camilleri che davanti al leone
si fa il segno della croce non ha nulla a che vedere con
lAndroclo di Aulo Gellio, che suscita simpatia per lasciuttezza e lessenzialit del suo racconto, del tutto privo di
qualsiasi fronzolo religioso, pagano o cristiano che sia (non
vi nominato alcun dio, n si accenna a interventi soprannaturali o miracolosi di alcun tipo). Ed a questultimo
Androclo che assomiglia davvero Montalbano quando, di
fronte alla morte, si rammarica per i polipetti alla napoletana.
Lattivazione della memoria a partire da questo input
accidentale consentir a Montalbano di completare il quadro dello straniamento storico-letterario. Se infatti lui
Androclo, il leone chi ? Per capirlo, Montalbano dovr
passare la sera e gran parte della notte a ripa di mare passeggiando, fumando, ricordando e sfidando la tramontana e

!122

il mare grosso: Le memorie, si sa, sono come le cirase,


una se ne tira appresso unaltra, ma ogni tanto sintromettono nella fila ricordi non richiamati e non piacevoli che
fanno deviare dalla strada principale verso viottoli scuri e
lordi dove come minimo sinfangano le scarpe. Ad ogni
modo, verso le quattro del matino, ebbe la certezza di esserci arrivato, davere inquadrato nel mirino il leone. Il
leone riconoscente era Salvatore Niscemi, il ragazzo quindicenne che molti anni prima, rimasto gravemente ferito a
un polpaccio a seguito di un terribile incidente stradale in
cui quello che probabilmente era il padre era morto sul colpo, il trentenne vicecommissario Montalbano, trovandosi a
passare per caso con la macchina in quel posto sperduto nei
pressi di un paesino delle Madonie, aveva soccorso e salvato da morte sicura per dissanguamento.

2.2.

PERSONA E PERSONAGGIO

Un esempio pi argutamente barocco e prettamente


narrativo di sdoppiamento si trova nel racconto Montalbano si rifiuta de Gli arancini di Montalbano. Questa volta
lincipit evoca esplicitamente Leopardi, perch siamo immersi in una dolce e chiara e senza vento notte di fine
aprile. Ma il lettore capisce immediatamente che si tratta di
unantifrasi beffarda, perch Montalbano sta tornando in
macchina nella sua casa di Marinella alla mezzanotte di un
d tuttaltro che di festa, che addirittura precede una notte
di orrori questa volta inenarrabili nel vero senso della parola. Il commissario, infatti, ha passato tutta la giornata

!123

cercando di far confessare un vecchio porco che ha stuprato una bambina di nove anni e lha poi ridotta in fin di
vita colpendola in testa con una pietra. Luomo si dichiara
innocente e Montalbano, che conduce linterrogatorio secondo le regole, non riesce a farlo crollare. Alle cinque del
pomeriggio si allontana per andare a darsi una rinfrescata
in bagno e quando torna trova luomo col volto tumefatto e
la bocca sanguinante. Evidentemente Fazio passato alle
maniere forti in sua assenza, ma luomo resiste. Alle dieci
di sera, stanco e affamato, Montalbano lo affida a Mim
Augello e si reca alla trattoria San Calogero per godersi un
antipasto di mare, ma prima che il piatto ordinato arrivi
raggiunto da Gallo, il quale lo informa che Mim riuscito
a far confessare lo stupratore. Tornato in commissariato,
Montalbano apprende da Mim che riuscito a far confessare luomo in bagno, dove lo aveva accompagnato, prima
ferendolo al pene con un rasoio e poi minacciandolo di evirarlo. Il commissario torna in trattoria ripromettendosi di
convocare lindomani mattina i suoi uomini per stigmatizzare il loro operato poco ortodosso. Consumate le sue triglie al sughetto, si dirige verso casa, ma il percorso notturno segnato da due incontri. Vedendo un uomo che sta urinando sopra un barbone ubriaco addormentato dentro uno
scatolone, Montalbano scende dalla macchina e lo colpisce
con un calcio ai testicoli che lo fa crollare nello scatolone.
Poco prima di arrivare a casa scorge una scena che sulle
prime gli sembra innocua: vicino a una fuoristrada Nissan
ferma, tre sagome sembrano danzare nel buio sul lato opposto della strada. Entrato in casa, un lampo gli esplode
dentro come un flash un attimo prima di premere linterru-

!124

ttore della luce. La scena che ha visto poco prima poteva


essere un rapimento, perch ora gli torna in mente limmagine di una delle due sagome maschili che afferra per i capelli la terza sagoma, evidentemente una donna. Allora si
precipita fuori e va alla ricerca della Nissan, che ritrova davanti a una casupola su una collina fuori Vigta. Introdottosi di nascosto nelledificio, scorge a pianterreno due giovani barbuti e a torso nudo che stanno cucinando qualcosa;
non notato, si dirige al piano di sopra, salendo per dei gradini ricoperti di sangue, e qui trova una ragazza riversa
nuda sul pavimento e orrendamente mutilata: le mancano
gli occhi, il polpaccio sinistro, la mano destra ed ha il ventre parzialmente squarciato, mentre un manico di scopa insanguinato indica che stata anche barbaramente stuprata.
Il commissario torna al piano di sotto, capisce dalla loro
conversazione che i due giovani stanno friggendo gli occhi
e bollendo o cucinando al sugo il polpaccio della ragazza,
esce fuori, vomita, raggiunge la propria macchina accecato
dallira, tira fuori dal bagagliaio una tanica di benzina che
svuota oltre lingresso della casa, medita di stanarli col
fuoco come topi, torna alla macchina per prendere la pistola e mette il colpo in canna. Ma improvvisamente si blocca,
ripone la pistola nel cassetto del cruscotto, tira fuori dal
portafoglio una scheda telefonica, raggiunge una cabina e
fa una delle telefonate pi incredibili della storia della letteratura:
Il sittantino che, nella nottata romana, stava battendo a
macchina, si sus di scatto, and al telefono preoccupato.
Chi poteva essere a quellora?
Pronto! Chi ?

!125

Montalbano sono. Che fai?


Non lo sai che faccio? Sto scrivendo il racconto di cui
tu sei protagonista. Sono arrivato al punto in cui tu sei
dintra la macchina e hai messo il colpo in canna. Da dove
telefoni?
Da una cabina.
E come ci sei arrivato?
Non tinteressa.
Perch mi hai telefonato?
Perch non mi piace questo racconto. Non voglio entrarci, non cosa mia. La storia poi degli occhi fritti e del
polpaccio in umido assolutamente ridicola, una vera e
propria stronzata, scusa se te lo dico.
Salvo, sono daccordo con te.
E allora perch la scrivi?
Figlio mio, cerca di capirmi. Certuni scrivono che io
sono un buonista, uno che conta storie mielate e rassicuranti; certaltri dicono invece che il successo che ho grazie
a te non mi ha fatto bene, che sono diventato ripetitivo,
con locchio solo ai diritti dautore... Sostengono che
sono uno scrittore facile, macari se poi saddannano a
capire come scrivo. Sto cercando daggiornarmi, Salvo.
Tanticchia di sangue sulla carta non fa male a nessuno.
Che fai, vuoi metterti a sottilizzare? E poi, lo domando a
tia che sei veramente un buongustaio: lhai mai provato
un piatto docchi umani fritti, macari con un soffritto di
cipolla?
Non fare lo spiritoso. Stammi a sentire, ti dico una
cosa che non ti ripeter pi. Per me, Salvo Montalbano,
una storia cos non cosa. Padronissimo tu di scriverne
altre, ma allora tinventi un altro protagonista. Sono stato
chiaro?
Chiarissimo. Ma intanto questa storia come la
finisco?
Cos disse il commissario.
E riattacc.

Fine del racconto. evidente che qui, di fatto,


lartificio consiste nel far s che il narratore usi lautore

!126

come personaggio del racconto (un po come nel famoso


quadro di Velzquez, Las Meninas, in cui tra le altre figure
si vede lo stesso pittore che guarda verso losservatore e
sembra ritrarlo in un misterioso dipinto sul cavalletto di cui
si vede solo lintelaiatura posteriore). Ma io intendo qui
sottolineare soprattutto lartificio intenzionale e dar per
buono il processo contrario, quello cio che proietta il protagonista fuori dal racconto e, sempre dentro la finzione, lo
fa interloquire con il suo autore nella realt. Sorvoler sia
sulla polemica con i critici sia sulloccasione contingente
che, nel 1999, spinse Camilleri a fare dellironia sulla moda
di allora della cosiddetta letteratura dei cannibali, consacrata dalla famosa antologia Giovent cannibale (Einaudi
1996) che raccoglieva dieci storie noir tra il pulp e lo splatter firmate da giovani autori che si ispiravano, tra laltro, ai
romanzi di Stephen King e ai film di Quentin Tarantino (in
particolare Le Iene e Pulp Fiction, due pellicole cult della
prima met degli anni 90).
Che cosa accade qui a Montalbano? Raggiunta la consapevolezza di essere un semplice personaggiopupo nelle mani di un autore-puparo, egli rivendica il diritto di essere anche una persona reale e di potersi cos dissociare polemicamente dal proprio autore. La presa di coscienza non indolore perch provoca nel commissario da
un lato un turbamento nuovo, una sospensione esistenziale
che lo irretisce tra le potenzialit del personaggio, che
larbitrio del suo creatore pu condurre verso campi dazione che ripugnano alla sua autocoscienza, e dallaltro la
vana rivendicazione di uno statuto di realt che rimane pur
sempre una modalit ironica ed estrema della finzione. Il

!127

nostro mondo, come ci ricordano i logici modali e alcuni


cosmologi, nonch il Borges de Il giardino dei sentieri che
si biforcano, in fondo solo uno dei mondi possibili cui
capitata abbastanza casualmente la ventura di indossare
labito precario della realt.
Un artificio del genere, com noto, non nuovo, e
lo stesso Camilleri, ne Il carico da undici (p. 329), riconosce come modelli immediati i dialoghi surreali tra Simenon
e Maigret e soprattutto Pirandello, i cui Sei personaggi in
cerca dautore e la cui Tragedia di un personaggio sono
non a caso inclusi da Camilleri nella propria antologia personale di pagine pirandelliane. Ma non c solo questo. In
una delle sue Altre inquisizioni, intitolata Magie parziali
del Don Chisciotte, Borges si era soffermato soprattutto
sullo straordinario artificio per cui nella seconda parte del
Don Chisciotte i protagonisti e qualche altro personaggio
hanno letto la prima, sicch Sancio e Don Chisciotte sono
contemporaneamente lettori e attori delle loro imprese precedenti. Come esempi precedenti di artifici simili Borges
cita lAmleto, una tragedia che contiene allinterno una copia imperfetta di se stessa; il Ramayana di Valmiki, dove lo
stesso poeta, alla fine, istruisce i figli del protagonista
Rama usando come libro di testo lo stesso Ramayana, che i
bambini reciteranno davanti al padre, il quale potr cos
ascoltare la propria storia e riconoscere i propri figli; e Le
mille e una notte, in cui c un racconto che contiene tutti
gli altri e anche se stesso, per cui il re di Persia ode dalla
bocca di Shahrazad la propria storia. Ma agli esempi di
Borges si pu senzaltro aggiungere quello pi antico, che
coinvolge addirittura il primo vero personaggio romanze-

!128

sco della letteratura occidentale. Allinizio del canto ottavo


dellOdissea, alla corte di Alcinoo, Ulisse non fa altro che
incontrare Omero (o chi per lui) sotto le spoglie del cantore
cieco Demodoco, il quale lo muove al pianto quando si
mette a cantare le glorie degli uomini, / da un tema, la cui
fama arrivava allora al vasto cielo, / la lite di Odisseo e del
Pelide Achille (VIII, 73-75, tr. di A. Privitera). Questa
scissione di Ulisse in persona e personaggio anticipa tutte
le altre, quella di Rama, quella del re di Persia, quella di
Amleto, quella di Don Chisciotte, quella del dottor Fileno,
quella dei sei personaggi, quella di Maigret e infine quella dello stesso commissario Montalbano, il quale, se pu
telefonare al suo autore e leggere i romanzi storici di Camilleri, pu benissimo leggere anche le avventure di Montalbano e vederne magari la trasposizione televisiva, come
infatti accadr. La gi ricordata scena de Il campo del vasaio in cui Montalbano legge La scomparsa di Pat, in effetti, pu essere ricondotta alla modalit di sdoppiamento vista qui, perch il commissario che legge Camilleri allude
proprio a una scissione reale, pur dentro la finzione, tra la
persona e il personaggio. Un interessante precedente cinematografico lo si ritrova in Stanley Kubrick. Nella scena di
Arancia meccanica in cui Alex nel negozio di dischi, si
vede che tra i dischi in esposizione c quello che raccoglie
le musiche della colonna sonora di 2001: Odissea nello
spazio, il famosissimo e immediatamente precedente film
del medesimo regista. Sicch, in teoria, Alex e i suoi drughi
potrebbero aver visto al cinema almeno un film di Kubrick.
Un artificio del genere, com evidente, serve a rafforzare il
senso di reality trasmesso dalla fiction.

!129

Se nel mondo possibile di Vigta vengono pubblicati


i romanzi di Camilleri, allora esso non pi (ovvero si finge che non sia) una creazione tutta interna al mondo finzionale di Camilleri. E quindi, mentre Montalbano trae profitto dalla lettura di Pat, collocandosi cos nella schiera dei
suoi lettori, pu anche accadere che un altro personaggio
del romanzo, nella circostanza linvestigatore dellantimafia Musante, indossi i panni del lettore diffidente e occasionale di Camilleri e dica al commissario: noi non possiamo
andare dai nostri superiori dicendo che tu ti sei fatta una
certa convinzione leggendo romanzetti come quelli di Camilleri (p. 123). I lettori come Musante, che parlano con
disprezzo di Camilleri pur non avendolo letto o avendolo
letto poco e superficialmente, sono numerosi e facilmente
riconoscibili nel mondo reale. Ci torner nel prossimo paragrafo, allorch metter in forma di dialogo unanalisi de
La pazienza del ragno (2004) e dar voce alle loro ragioni.
Ma perch lUlisse che ascolta Demodoco piange
vedendosi trasformato in personaggio e si copre la testa col
mantello per la vergogna? Perch i personaggi citati di Pirandello vivono una tragedia? Perch anche Montalbano si
arrabbia con il suo autore? Quale segreta inquietudine esistenziale suscita questa scissione in persona e personaggio,
allorch ci si trasforma in lettori o spettatori dellimmagine
letteraria di s stessi? Il problema, in relazione ad Amleto e
a Don Chisciotte e soprattutto in relazione ai lettori che
partecipano della loro inquietudine, se l posto in chiusura
del suo saggio lo stesso Borges, il quale azzarda la seguente
risposta: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di
una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro

!130

lettori o spettatori, possiamo essere fittizi (in Tutte le opere, vol. I, p. 952).
Allinizio del terzo paragrafo del saggio Labduzione in Uqbar (che nel titolo evidentemente allude a Peirce e
al famoso racconto Tln, Uqbar, Orbis Tertius, che apre le
Finzioni di Borges), Eco scriveva: Mi pare un buon procedimento borgesiano assumere che i libri si parlino tra
loro e non necessario che gli autori (che i libri usano per
parlare una gallina lartificio che un uovo usa per produrre un altro uovo) si conoscano lun laltro (Sugli specchi e altri saggi, Bompiani 1985, pp 165-166). Ebbene, per
parafrasare Eco, cos come le galline possono essere considerate artifici creati dalle uova per produrre altre uova, allo
stesso modo anche i lettori, e non solo gli scrittori, possono
essere considerati solo come degli artifici che i libri creano
per parlare tra di loro. Ed esattamente questo rischio di
finzionalit che ci turba come lettori-spettatori di personaggi che scatenano in noi meccanismi di identificazione
proiettiva e che a loro volta risultano scissi nella finzione in
inquieti lettori-spettatori di s stessi.

NER

2.3.

LINVESTIGATORE E IL LETTORE DI FAULK-

Ne Lodore della notte assistiamo a una variante interessante del tipo di sdoppiamento che abbiamo
visto in opera nel racconto basato sulla storia di Androclo.
Montalbano, compiuti i cinquantanni, comincia a sentire il
peso della vecchiaia e la sua razionalit stanca tende a de-

!131

ragliare dal principio di realt e a proiettarsi verso una dimensione surreale e fantasmagorica. Lo vediamo ricostruire narrativamente e con largo anticipo le dinamiche reali
del caso con cui alle prese e presentarle a Fazio e a Mim
Augello come se si trattasse di un romanzo (il mio un
romanzo. Nel senso che non ho manco lmmira di una
prova di quello che dir, p. 178) o addirittura di uno sceneggiato televisivo (cfr. p. 184). Questa visionariet profetica sfocer addirittura nellallucinazione, perch il commissario smascherer lautore del delitto-chiave trascrivendo con una parte di s tutta la vicenda sul palinsesto di un
ricordo letterario nel momento stesso in cui lazione della
progressiva scoperta si svolge davanti a lui come in un incubo ad occhi aperti. In questa simultaneit la differenza
fondamentale con lo sdoppiamento cui abbiamo assistito
nel caso di Androclo. L linput che scatena nel commissario il processo di sdoppiamento e identificazione proviene
dallesterno, e soprattutto si tratta di un prestito culturale
parassitario che sopraggiunge casualmente dopo lesperienza drammatica oggetto di reinterpretazione. Notti attiche,
come detto, non fa parte della sezione della Biblioteca di
Vigta accessibile a Montalbano, il quale pu al massimo
trovarne uneco frammentaria e indebolita tra le pagine del
supplemento culturale di un giornale. Ne Lodore della notte, invece, il racconto di Faulkner fa parte a pieno titolo
della sua memoria letteraria e pu irrompere prepotentemente nella coscienza nel momento stesso in cui il commissario alle prese con un caso che ne richiama la trama.
Il ricordo, in questa circostanza, essendo concomitante allazione, ha come un effetto performativo, nel preciso sen-

!132

so che ha questo termine nella pragmatica del linguaggio:


esso quasi crea una situazione reale nel momento stesso in
cui ne evoca una parallela e immaginaria.
A Rose for Emily (1931) citato da Camilleri nella
traduzione italiana di Francesco Lo Bue, Omaggio a Emilia, inclusa nella raccolta Questi tredici (Lattes, Torino
1948). Dal 1997 il racconto disponibile in italiano con il
titolo Una rosa per Emily nella nuova traduzione di David
Mezzacapa e Luciana Pansini Verga, pubblicata da Adelphi
in un volumetto dal titolo omonimo che contiene altri due
racconti dello scrittore americano ( a questa edizione che
si far riferimento qui). Si tratta di un racconto relativamente breve incentrato sulla vita della misteriosa Miss
Emily Grierson di Jefferson. La storia si apre e si chiude
sul giorno del suo funerale, e la rievocazione di alcuni
momenti essenziali della vita della donna serve a spiegare
il mistero della sua casa chiusa e inaccessibile da tantissimo tempo: Di tanto in tanto la vedevamo a una delle finestre del pianterreno aveva evidentemente chiuso il piano
superiore della casa , simile al busto scolpito di un idolo
in una nicchia, che ci guardava oppure non ci guardava, era
impossibile dirlo. Cos pass da una generazione allaltra,
amabile, ineluttabile, impervia, tranquilla e perversa (p.
61). (Per inciso, non superfluo ricordare che Donna alla
finestra, un olio su tela di Pippo Rizzo datato 1931, vale a
dire lo stesso anno delluscita del racconto, compare sulla
copertina de Lodore della notte). Morta a settantaquattro
anni, i concittadini vanno a renderle omaggio, soprattutto
perch possono finalmente entrare e curiosare nella sua
casa, e scoprono che Emily celava nella stanza da letto al

!133

primo piano il cadavere dellunico uomo della sua vita, da


lei ucciso col veleno per topi oltre quarantanni prima, forse poco dopo il matrimonio o forse proprio perch luomo
si era rifiutato di sposarsi e lei non aveva sopportato il rifiuto (cfr. pp. 57-58).
Lodore della notte incentrato sulla scomparsa di Emanuele Gargano, un consulente finanziario che
sembra essersi volatilizzato con i soldi dei numerosi risparmiatori che gli avevano prestato la loro fiducia. Lindagine porta lentamente alla luce una storia torbida di omosessualit (Gargano era amante di un suo giovane dipendente, Giacomo Pellegrino, e omosessuale era anche Homer Barron, luomo di Emily), ricatto e omicidi. In fondo
al mare viene trovato il cadavere di Giacomo nellauto di
Gargano, che continua a risultare irrintracciabile. A un certo punto Montalbano concentra lattenzione su Mariastella
Cosentino, segretaria di Gargano, una nubile cinquantina,
tozza e sgraziata (p. 16). Incontrata nel suo luogo di lavoro, lagenzia Re Mida di Gargano, la donna comunica al
commissario un senso di desolato squallore (p. 103). Tra
laltro, egli venuto a conoscenza del suo amore non corrisposto nei confronti di Gargano, un amore cos intenso che
se Gargano si fosse trasformato nello scarafaggio di Kafka,
come gli dice Michela Manganaro, unaltra impiegata dellagenzia, Mariastella non se ne sarebbe nemmeno accorta
(cfr. p. 76). La donna, inoltre, mostra un atteggiamento
stranamente freddo e indifferente, persino quando il commissario la informa del ritrovamento del corpo del giovane
Pellegrino. La svolta si ha quando Montalbano viene a sapere che Mariastella parente di Clementina Vasile Cozzo,

!134

la sua anziana confidente. Recatosi da lei, Montalbano ha


notizie della sua infanzia e della sua reazione alla morte del
padre, avvenuta quando Mariastella aveva ventanni (la
madre era morta cinque anni prima). durante questo colloquio che Montalbano comincia a sdoppiarsi. Una parte di
s come se sapesse gi tutto e anticipa persino le risposte
dellanziana maestra. Quando questa gli dice che Mariastella non accett la morte del padre e chiese ai parenti in visita
a casa sua chi fosse morto, il commissario anticipa che
questo atteggiamento patologico le dur tre giorni e che la
ragazza torn in s quando, rifiutatasi di consegnare la salma ai becchini, i parenti, che consideravano il suo comportamento comprensibile e non frutto della follia, stavano per
ricorrere alla forza contro di lei (cfr. p. 202). Il lettore di
Faulkner, qui, gi in azione nellinconscio del commissario e rievoca e ripercorre automaticamente un passo ben
preciso del secondo paragrafo di Una rosa per Emily, che
per Camilleri non riporta integralmente, limitandosi a parafrasarne una parte: Il giorno seguente alla morte del padre tutte le signore si prepararono, secondo le nostre usanze, a portare le loro condoglianze e il loro aiuto. Miss Emily le ricevette sulla porta, vestita normalmente e senza traccia di dolore sul volto. Disse loro che suo padre non era
morto. Si comport in questo modo per tre giorni, mentre
medici e pastori cercavano di persuaderla a lasciar portare
via la salma. Croll proprio quando erano in procinto di
ricorrere alla legge e alla forza pubblica, e la sepoltura ebbe
luogo speditamente. Quella volta non dicemmo che era
pazza. Eravamo convinti che aveva dovuto comportarsi
cos (p. 52).

!135

Montalbano non sa spiegarsi il fenomeno, perch


laltro, cio il vecchio lettore di Faulkner, parla impadronendosi della sua bocca, un po come accadeva al piccolo
protagonista di Shining di Stanley Kubrick. A quel punto
Montalbano lascia la Vasile Cozzo, incontra Mariastella
davanti allagenzia, dove viene investita senza gravi conseguenze da un automobilista mentre sta attraversando la
strada, la soccorre e laccompagna a casa. Da questo momento in poi lincubo si fa pi persistente e la narrazione
incorpora in corsivo e senza soluzione di continuit brani
tratti dal racconto di Faulkner, che corrispondono quasi
perfettamente a quello che Montalbano va via via apprendendo e vedendo: Le parole che gli tornavano a mente non
gli erano state dette, non gli erano state contate, pronunziate da una voce. No, ora era persuaso di averle lette. E quelle
parole scritte lo avevano tanto colpito e forse turbato da
stamparglisi nella memoria. Dimenticate, ora tornavano
vive, violente. E tutto nzemmula cap. Cap, sprofondato
in una specie di scanto quale mai in vita sua aveva provato
e mai pinsato che si potesse provare. Aveva capito che stava vivendo dentro un racconto di Faulkner, letto tanti anni
avanti. Comera possibile? Ma non era quello il momento
di darsi spiegazioni. Lunica era continuare a leggerlo e a
viverlo, quel racconto, arrivare alla terribile conclusione
che gi conosceva (pp. 211-212). Visitando con la donna
una casa ricoperta da una polvere funerea e odorante di
chiuso e di muffa che gi conosce perfettamente perch
perfettamente identica a quella del racconto, Montalbano
vede la terribile conclusione nella stanza degli ospiti, dove
Emanuele Gargano, morto da tempo, avvolto nel nylon si-

!136

gillato con nastro adesivo, giace nel letto, mentre i vestiti


sono accuratamente appesi alla sedia, le scarpe mute
sono sotto e le calze sono buttate l accanto. la proiezione
quasi letterale dellultima pagina del racconto di Faulkner:
Uno strato acre e sottile, quasi un drappo funebre su una
tomba, pareva stendersi ovunque in quella stanza, arredata
e adorna come una camera nuziale: sulle tende di damasco,
di un rosa sbiadito, sulle lampade dai paralumi rosati, sul
tavolino da toletta, sui delicati oggetti di cristallo e su quelli per la toletta maschile col dorso dargento annerito, tanto
annerito che il monogramma non si vedeva quasi pi. Fra
questi oggetti erano posati un colletto e una cravatta, come
se qualcuno se li fosse appena tolti; quando vennero sollevati lasciarono sulla superficie una pallida mezzaluna nella
polvere. Su una sedia cera il vestito, accuratamente piegato; le due scarpe mute e le calze abbandonate a terra. Luomo era a letto. A lungo restammo a contemplare quel profondo ghigno privo di carne. Apparentemente il corpo giaceva, un tempo, nel gesto di un abbraccio, ma adesso il
lungo sonno che sopravvive allamore, e che sconfigge anche la beffarda finzione dellamore, laveva tradito. Quel
che rimaneva di lui, decomposto sotto ci che rimaneva
della camicia da notte, era ormai inestricabile dal letto; e su
di lui e sul cuscino accanto si era posato quello strato uniforme di polvere paziente e duratura. Notammo allora che
sul secondo cuscino cera limpronta duna testa. Uno di
noi ne prese qualcosa, e chinandoci, con quellinvisibile
polvere secca, acre e fievole nelle narici, scorgemmo una
lunga ciocca di capelli color grigio ferro (p. 65). Solo questultimo particolare viene risparmiato al commissario:

!137

Ora doveva concludere veramente il racconto. Sopra


laltro guanciale era impresso lincavo di una testa? Cera,
sopra laltro guanciale, un lungo capello color grigio-ferro?
Si sforz di taliare. Sullaltro cuscino non cera nessun incavo, nessun capello color grigio ferro. Respir, sollevato.
Almeno questo gli era stato risparmiato (p. 216).
Mariastella, come una guida professionale, apre e
richiude la porta come se niente fosse, cio come se Gargano, da lei ucciso per gelosia e forse addirittura per proteggerlo dal disonore e dalla galera, non fosse l; e il commissario ha piet per quella donna completamente folle, al
punto che per un attimo pensa di far sparire il cadavere e
salvarla, ma il dovere dello sbirro prevale e il romanzo si
chiude con lui che, stremato, si getta tra le braccia salvifiche di Livia.
Riferendosi proprio a questo romanzo, nella
gi citata intervista apparsa su La Stampa del 23 giugno
2001, Camilleri disse: Borges non citato ma chi lo conosce se ne accorge, e aggiunse unallusione a Pierre Menard, autore del Chisciotte, uno dei pi famosi racconti
di Finzioni. Si tratta di un suggerimento illuminante, perch
permette di capire meglio cosa ha voluto fare Camilleri con
questo suo inusuale artificio narrativo. Tra le altre cose,
limmaginario Pierre Menard, uno scrittore attivo nei primi
decenni del XX secolo, si era occupato dellarte combinatoria di Raimondo Lullo, della caratteristica universale di
Leibniz, della logica simbolica di Boole e del paradosso di
Zenone su Achille e la tartaruga nella rivisitazione matematica di Russell, come risulta dalla magistrale bibliografia
dei suoi scritti noti costruita da Borges. Ma il suo progetto

!138

pi ambizioso, eroico, impareggiabile, segreto e apparentemente assurdo, rimasto per incompiuto, era un altro.
Probabilmente sognando una forma estrema di applicazione
del calcolo combinatorio, di cui era un cultore, Pierre Menard voleva rifare il Chisciotte, non nel senso di trascriverlo o di copiarlo, ma di riconcepirlo identico al precedente.
Il nuovo Chisciotte sarebbe risultato per semanticamente
altro, ancorch letteralmente identico a quello di Cervantes,
per via del diverso contesto storico e culturale in cui sarebbe riapparso. Pierre Menard non si sarebbe immedesimato
in Cervantes (nella sua lingua, nei suoi pensieri, nel suo
tempo), ma sarebbe arrivato a riscrivere il Chisciotte rimanendo Pierre Menard e basandosi sulla propria esperienza
personale del mondo, non su quella di Cervantes. Borges
fornisce un esempio perfetto (che anche una straordinaria
lezione di esegesi) di come un passo del Chisciotte di Pierre Menard, scritto nel XX secolo, possa acquistare un significato diverso e infinitamente pi ricco del passo gemello
del Chisciotte di Cervantes, scritto allinizio del XVII secolo:
Il raffronto tra la pagina di Cervantes e quella di Menard senzaltro rivelatore. Il primo, per esempio, scrisse
(Don Chisciotte, parte I, capitolo IX):
... la verit, di cui madre la storia, emula del tempo, deposito
delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dellavvenire.

Scritta nel secolo XVII, scritta dallingenio lego


Cervantes, questenumerazione un mero elogio retorico
della storia. Menard, per contro, scrive:

!139

... la verit, di cui madre la storia, emula del tempo, deposito


delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dellavvenire.

La storia, madre della della verit; lidea meravigliosa. Menard, contemporaneo di William James, non vede
nella storia lindagine della realt, ma la sua origine. La
verit storica, per lui, non ci che avvenne, ma ci che
noi giudichiamo che avvenne. Le clausole finali esempio e notizia del presente, avviso dellavvenire sono
sfacciatamente pragmatiche (in Tutte le opere, vol. I, pp.
656-657).

Borges non lo dice, ma interessante osservare che il passo del Chisciotte da lui preso in esame un
calco quasi letterale di un celebre luogo ciceroniano sulla
storia che si trova nel De Oratore (Historia vero testis
temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae,
nuntia vetustatis, II, IX, 36), per cui il gioco di specchi si
complica ulteriormente. Si noti, inoltre, come lallusione di
Borges al pragmatismo americano di William James, per
cui ad esempio la verit storica coincide non con la ricostruzione di ci che effettivamente avvenuto ma con ci
che noi giudichiamo che sia avvenuto (la verit storica
come creatura del pensiero storico), assomigli alla memoria
performativa di Montalbano cui si faceva cenno sopra. Tutta la sequenza finale de Lodore della notte, infatti, costruita come se i fatti cui Montalbano assiste scaturissero
magicamente dalla sua evocazione del loro archetipo letterario, o se non altro come se i fatti andassero misteriosamente ad adattarsi al loro modello sgorgante dalla memoria
del commissario. Tali finzioni sono lessenza stessa della
letteratura, che esiste proprio per nutrire la nostra propensione a dar corpo alle nostre fantasie, come sapevano bene

!140

Cervantes e Borges, e come sa bene Camilleri, cultore de I


Giganti della montagna e della stanza delle apparizioni
della villa degli Scalognati.
evidente, allora, che con il suo gioco intertestuale
con Faulkner Camilleri ha voluto fare il verso a Pierre Menard riscrivendo alcuni passi di Una rosa per Emily, ambientato nellAmerica profonda del Sud, provinciale e spiritualmente asfittica, e catapultandoli a Vigta, dove si colorano di sensi ulteriori, tutti intrisi di cultura siciliana. La
ricontestualizzazione veste cos il significante di nuovi significati, desunti da unantropologia affatto diversa e tuttavia in qualche modo simile, soprattutto laddove si tiene agganciata al perno delle costanti della follia e del dolore
umani. Non c qui, dunque, solo lo sdoppiamento di Montalbano, ma anche quello di Camilleri, che si diverte come
un matto a spiazzare sia i suoi lettori pi affezionati sia i
critici che lo accusano di superficialit e ripetitivit.
Non sar superfluo ricordare qui due luoghi sciasciani che si intrecciano con il modo in cui Camilleri utilizza Borges e Faulkner. La terza sezione de Laffaire Moro
(1978) tutta incentrata sul medesimo passo di Borges citato sopra, perch Sciascia vuole comunicare limpressione
che lintera vicenda del rapimento e delluccisione di Aldo
Moro da parte delle Brigate Rosse, con il suo contesto politico-istituzionale di sfondo, sia cos perfettamente letteraria
da sembrare una replica alla Pierre Menard, cio identica e
insieme diversissima, di qualcosa che gi stato scritto dagli uomini di lettere, per esempio da Pasolini o da lui
stesso ne Il contesto e in Todo modo. Inoltre, un omaggio al
racconto di Faulkner lo aveva gi reso lo stesso Sciascia

!141

poco pi di trentanni prima nellultimo capoverso del breve saggio Una rosa per Matteo Lo Vecchio, poi incluso
ne La corda pazza. Per inciso, come apprendiamo dal racconto Amore e fratellanza de Gli arancini di Montalbano, La corda pazza unopera che il commissario legge e
rilegge forse per capirci qualcosa di pi di se stesso (p.
181). Il pezzo su Lo Vecchio datato 1969, lanno delluscita della Recitazione della controversia liparitana, che si
conclude proprio con la morte di Lo Vecchio. Sciascia vi
racconta la triste fine del cadavere dellufficiale di polizia
coinvolto per conto del Regno nella controversia liparitana
(evocata da Camilleri ne Il re di Girgenti come omaggio a
Sciascia). Lo Vecchio venne ucciso per vendetta da sicari
curialisti la sera del 21 giugno 1719, dopo la componenda (come direbbe Camilleri) tra la Chiesa e gli spagnoli,
tornati a impadronirsi della Sicilia lanno prima in violazione del trattato di Utrecht del 1713: E mentre guardiamo
la casa che forse fu sua ricordiamo lo straziante racconto di
Faulkner che sintitola Una rosa per Emily: di Miss Emily
che per anni dorme accanto al cadavere delluomo amato.
Una rosa per Matteo lo Vecchio: per questo cadavere che
esattamente da un secolo e mezzo [sic!] dorme, in fondo al
pozzo secco, accanto al cadavere dello Stato.

4.

CARO MONTALBANO... TUO SALVO

Il commissario Montalbano un raffinato epistolografo. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il fatto che leterna fidanzata viva a Boccadasse, in Li-

!142

guria, non lo spinge a usare frequentemente questo mezzo


per comunicare con lei. I due ricorrono di solito al telefono.
Nonostante ci, egli preferisce di gran lunga scrivere lettere, e anche se nel frattempo si diffuso luso della posta
elettronica, continua a usare carta e penna perch diffida
dei mezzi informatici e lascia che sia il buon Catarella ad
iniziarsi ai misteri del computer, che per Montalbano rimane un corpo estraneo. alla fine del terzo episodio, Il ladro
di merendine (1996), che Montalbano scrive a Livia per la
prima volta una lunga lettera, dalla quale tra laltro apprendiamo come stanno le cose per quel che riguarda la loro
corrispondenza: Livia mia cara, questa lettera ti stupir
per almeno due ragioni. La prima sta nella lettera stessa,
per averla scritta e spedita. Lettere non scritte invece te ne
ho mandate tante, quasi una al giorno. Mi sono reso conto
che in tutti questi anni ti ho fatto avere, di tanto in tanto,
solo avare cartoline di burocratici e commissariali saluti,
come li definisci tu... (pp. 241-242). Quasi a colmare questa lacuna, appena tre anni dopo Camilleri includer ne Gli
arancini di Montalbano un intero racconto epistolare dal
titolo Salvo amato... Livia mia, composto da tre lettere di Livia e due di Montalbano e chiuso da un telegramma di questultimo. Si tratta di un esempio singolare di soluzione di un caso a distanza, perch la vittima, Francesca,
unamica di Livia, stata uccisa a Boccadasse e ad indagare il commissario della Omicidi Giorgio Ligorio, che Livia ha conosciuto nelloccasione e che tramite lei si avvale
della consulenza di Montalbano. Ne La pazienza del ragno,
infine, Montalbano vorrebbe scrivere una lettera a Livia,
ma dopo tre inizi abortiti (Livia amore mio,, Livia ado-

!143

rata,, Livia,: cfr. pp. 238-239) lascia perdere e si ripromette di comunicarle a voce quello che ha da dirle.
Negli ultimi anni, per, il ricorso allepistolografia
ha assunto un aspetto un po patologico, perch Montalbano ha cominciato a scrivere lettere a se stesso. Dal punto di
vista puramente narrativo, questo artificio serve al narratore
per fare il punto della situazione soprattutto a beneficio del
lettore, perch spesso i casi seguiti da Montalbano sono
non solo ingarbugliati e affollati di personaggi ma anche
composti da due o tre tronconi diversi che allinizio sembrano procedere in parallelo per poi convergere improvvisamente e rivelarsi come fili di ununica trama contorta
come i rami di un ulivo saraceno (un simbolo pirandelliano,
questo dellulivo saraceno, spesso sfruttato da Camilleri).
Ma lartificio della lettera a se stesso serve anche a Camilleri per teatralizzare letteralmente il declino fisico e mentale di Montalbano.
La prima lettera il commissario se la scrive in un
episodio del 2005, La luna di carta (cfr. pp. 145-150), in
cui messo a dura prova da due donne maestre della dissimulazione e ciascuna a suo modo pericolosissime: una perch assassina del fratello, laltra perch seduttrice e in grado di fare sangue persino a Montalbano. Il modo in cui
Camilleri introduce questa modalit nuova di sdoppiamento
tutto interno alla psiche del commissario (non vi sono infatti suggestioni letterarie o occasioni estrinseche del tipo di
quelle viste in precedenza) molto interessante. Montalbano non ha mai usato appunti, contrariamente ad esempio al
tenente Colombo, che non si separa mai dal suo taccuino.

!144

Ma ora Montalbano, a causa dellet, comincia a dimenticare pi facilmente. Che fare?


Il commissario sinni tras, sassitt al tavolo. Tanto, o
fora o dintra, il ciriveddro funzionava listisso. Da una
mezzorata infatti dintra di lui si stava svolgendo un animato dibattito incentrato sul tema:
Nel corso di unindagine, un vero poliziotto deve prendere appunti o no?.
Lui, per esempio, non laviva mai fatto. Non solo, ma gli
davano fastiddio quelli che lo facivano e che macari erano
poliziotti migliori di lui.
Questo, nel passato. Pirch ora, da qualichi tempo, sintiva la nicissit di farlo. E pirch sintiva la nicissit di farlo?
Elementare, Watson. Pirch si era fatto capace che principiava a scordarsi di alcune cose importanti. Ahi, amico
mio, commissario egregio, siamo arrivati al cinco de la
tarde, al punto dolente di tutta lintera facenna. Uno principia a scordarsi le cose quanno il piso dellet accomenza
a farisi sintiri. (...)
Forse era pi giusto cangiare leggermente il titolo del
dibattito:
Nel corso di unindagine, un vecchio poliziotto deve
prendere appunti o no?.
Messa in conto la vecchiaia, il pigliare appunti parse
meno disdicevole a Montalbano. Ma questo viniva a significari una resa incondizionata allet avanzante. Abbisognava trovare una soluzione di compromesso. Allora ebbe
unalzata dingegno. Pigli carta e penna e si scrissi una
littra.
Caro commissario Montalbano,
so che in questo momento le girano vorticosamente i cabasisi
per fatti del tutto personali dovuti allidea della vecchiaia che
tuppia testardamente alla sua porta, ma mi pregio con la presente
di richiamarla ai suoi doveri sottoponendole alcune osservazioni
che riguardano lindagine in corso sullomicidio di Angelo Pardo.
(...)

!145

Con i migliori auguri di buona riuscita, mi creda di lei devot.mo


SALVO MONTALBANO

Si noti leffetto esilarante che produce il tono


formale in una lettera rivolta a se stessi: evidentemente
Montalbano ama farsi del male ulteriormente prendendosi
in giro da solo.
La lettera, dunque, diventa lo strumento che la parte
pi lucida e attenta di Montalbano, raccoltasi in pensosa
concentrazione, usa per dare una mano al resto della persona del commissario immersa in mille e stressanti faccende
quotidiane e preda di pensieri neri sul declino della vita. Da
questo punto di vista significativo che lepisodio del
2007, La pista di sabbia, dove peraltro Montalbano non
ricorre allartificio della lettera a se stesso, sia tutto basato
su un lapsus memoriae. A p. 14 il commissario mette in tasca uno dei ferri del cavallo massacrato sulla spiaggia davanti alla sua casa di Marinella e se ne dimentica completamente. Questo ferro di cavallo, che si riveler decisivo
per lesito dellindagine, ricompare a p. 238, cio a poco
pi di venti pagine dalla fine, quando Adelina glielo d dicendogli che quelli della lavanderia lo avevano trovato nei
suoi pantaloni. Nella circostanza Montalbano ha modo di
deprimersi per il grave atto di dimenticanza, anche perch
gli tornano in mente le parole beffarde del dottor Pasquano,
il medico legale amato-e-odiato che ogni tanto, con lugubre
umorismo, gli dice che non vede lora di fargli lautopsia:
Montalbano, questo un signo evidente di vicchiaia. Il
segno che le s cellule cerebrali si sfaldano sempre cchi
velocemente. Il primo sintomo la perdita di memoria, sa?

!146

Per esempio, non le ancora capitato di fare una cosa e un


attimo doppo scordarsi daverla fatta? (p. 239).
Sulla stessa falsariga la lettera che Montalbano
scrive a se stesso ne La vampa dagosto (2006), della quale
vale la pena leggere qui linizio e la fine, per osservare le
analogie e le differenze con la precedente (pp.161-164):
Caro Montalbano,
sono costretto a constatare che vuoi per un principio di
rimbambimento senile vuoi per la gran calura di questi
giorni i tuoi pensieri hanno perduto ogni brillantezza,
sono diventati estremamente opachi e si muovono a rilento. Lo hai potuto vedere anche tu stesso nel corso del dialogo col dottor Pasquano che stato da lui vinto largamente ai punti. (...)
Ti abbraccio e stammi bene. Tuo Salvo.

Come si vede, rispetto alla lettera precedente,


Montalbano ha effettuato un passaggio dallironico lei
formale al pi confidenziale tu, e questo fatto segnala un
progressivo avvicinamento e unaccresciuta familiarit con
laltro S, con il quale allinizio intratteneva un rapporto
pi distaccato e diffidente. Evidentemente Montalbano si
sta abituando alla convivenza con il Doppio.
Assai drammatica, invece, la lettera che
Montalbano si scrive ne Il campo del vasaio. Nel romanzo,
peraltro, assistiamo anche a uno scambio assolutamente
inedito di lettere tra il commissario e il suo vice Mim Augello. Il loro rapporto di amicizia sta attraversando un brutto momento e cos Mim, che ha intessuto un legame pericoloso con una donna ambigua, ricorre alla fredda comunicazione per lettera con il suo capo, il quale risponder per
le rime. Quando per Montalbano scrive a se stesso la si-

!147

tuazione molto tesa, perch comincia a capire che dietro


latteggiamento di Mim, il quale insiste per aver assegnato
il caso che stanno seguendo, si nasconde qualcosa di cos
torbido che egli potr pronunciare la parola giusta e terribile per definirlo (tradimento, traditore, e non solo
combutta e congiura, come scrive allinizio della lettera)
solo dopo una crisi di vomito. La lettera, dunque, scritta
in due tempi, perch a un certo punto Montalbano, che
mentre scrive a se stesso e mette in ordine i fatti scorge
inorridito la vera spiegazione dello strano comportamento
del suo amico, non riesce a proseguire: E a questo punto
dovitti interrompirisi pirch la nausea gli si era di colpo arrisbigliata, provocannogli na sputazzeddra amarognola
dintra alla vucca. Si sus, nisc nella verandina. Faciva ancora scuro. Sassitt supra alla panchina, non se la sentiva
di stari addritta. Come chiamare il comportamento di
Mim? La risposta cera, gli era venuta subito, ma non aviva voluto n dirla n scrivirla (p. 195). Dopo aver riconosciuto che tutta la storia in cui immerso allinsegna del
tradimento (Io ho tradito, Dolores tradisce Mim, Mim
tradisce me, p. 198), pu riprendere a scrivere la lettera a
se stesso, che chiude con parole che forse annunciano
labbandono di questo strumento di lavoro e soprattutto di
dialogo con se stesso: Caro Salvo, mi sono scassato i cabasisi di continuare a scrivere. Lessenziale te lho detto.
Ora tocca a te. Buona fortuna (p. 200).

5.

MONTALBANO PRIMO E SECONDO

!148

Oltre alle figure dello sdoppiamento viste fin qui, in


genere non molto consuete, Montalbano incontra quella
classica dello sdoppiamento della personalit in due S distinti e in conflitto tra di loro. Naturalmente qui Camilleri
ha una tradizione lunghissima e articolatissima alle sue
spalle. Per rimanere allet moderna, con il tema del Doppio, pi o meno allucinatorio, si sono cimentati alcuni dei
pi grandi narratori dellOttocento e del Novecento, da Poe
a Dostoevskij, da Stevenson a Wilde, fino a Pirandello. E
se Pirandello aveva come supporto medico-scientifico le
teorie psichiatriche sulla dissociazione dellIo di Binet,
Camilleri ha alle spalle la psicoanalisi, da Freud (esplicitamente evocato ne Il campo del vasaio, come vedremo) a
Lacan, sul quale, in relazione a Camilleri, ha acutamente
attirato lattenzione Bonina ne Il carico da undici (cfr. pp.
25-26). Ma ancora una volta Pirandello che funge da carico da undici in questa partita di Camilleri con la coscienza di Montalbano, al punto che per gli ultimi episodi
si pu fondatamente parlare di una progressiva pirandellizzazione del personaggio del commissario, che pure muoveva e continua a muovere da un chiaro modello sciasciano.
Il Montalbano diviso nellaffetto tra Livia e Ingrid sembra
la versione maschile di Evelina, la protagonista della commedia del 1920 La Signora Morli, una e due. Mentre le
singolar tenzoni dialettiche tra il Montalbano primo e il
Montalbano secunno ricordano a tratti la novella del
1909 Stefano Giogli, uno e due, che racconta le battaglie
nella testa di Stefano tra limmagine di s che ha lui e
limmagine di lui che egli crede abbia in s la moglie Lucietta.

!149

La prima apparizione di questo doppio Montalbano


si ha ne Le ali della sfinge, uscito nel 2006. Non a caso, il
pretesto per introdurre questo nuovo artificio il problema
della vecchiaia. Montalbano si sveglia e si accorge di non
sentire pi quella corrente di pura felicit che lo attraversava un tempo al mattino: Ora, appena isava le palpebre,
immediatamente le ricalava e sinni ristava allo scuro per
qualichi secondo, mentre una volta, appena rapriva locchi,
li mantiniva aperti, squasi tanticchia sbarracati, per agguantare avidamente la luci del jorno (p. 10). Naturalmente attribuisce il fenomeno allet, ma questo pensiero subito
bloccato e contestato da un altro di segno opposto, sostenuto da Montalbano secunno, il Super-io che cerca di contrastare il vittimismo e le comode autogiustificazioni di un
Io stanco e desideroso di cedere le armi. La voce narrante
ci informa che questa battaglia tra le due istanze della coscienza del commissario cominciata da qualche anno e
scoppia sistematicamente ogni volta che il secondo Montalbano si irrita per le lamentele senili del primo:
Ma cos sta storia dellet? disse Montalbano secunno. Com possibile che a cinquantasei anni tu ti
senti vecchio? La vuoi sapiri la vera virit?.
No disse Montalbano primo.
E io te la dico lo stisso. Tu ti vuoi sintiri vecchio pirch
ti torna commodo. Siccome che ti sei stancato di quello
che sei e di quello che fai, ti stai costruenno lalibi della
vicchiaia. Ma se ti senti accuss, pirch come prima cosa
non presenti na bella littra di dimissioni e ti chiami
fora?.
E dopo che faccio?.
Fai il vecchio. Ti pigli un cani per tiniriti compagnia,
la matina nesci, taccatti il giornale, tassetti supra na

!150

panchina, lasci il cane libero e accomenzi a leggiri principianno dai necrologi.


Pirch dai necrologi?.
Pirch se leggi che qualichi coetaneo t morto mentre
che tu sei ancora sufficientimenti vivo, ti viene na certa
sodisfazione che taiuta a campare minimo altre ventiquattrore. Doppo unorata....
Doppo unorata te la vai a pigliari n culu tu e il cani
disse Montalbano primo, aggelato dalla prospettiva.
E allura susiti, vai a travagliare e non scassare i cabasisi concluse risoluto Montalbano secunno (pp. 10-11).

Il rifiuto del risveglio mattutino segna anche


lincipit dellepisodio successivo, La pista di sabbia, e questa volta Montalbano ritarda tanticchia il momento di alzarsi dal letto e cominciare la nuova giornata di lavoro con
la scusa di voler ricostruire nel ricordo e mettere in ordine i
fotogrammi sbrindellati del sogno sulla donna-cavallo che
ha appena fatto. Questa volta, per, il secondo Montalbano
non interviene. Lincipit de Il campo del vasaio, invece,
una specie di sintesi dialettica dei due precedenti, perch
abbiamo un sogno seguito dalla sua interpretazione ad opera di Montalbano uno e due; e si tratta di un momento davvero interessante, perch qui Camilleri manifesta attraverso
il commissario i suoi incubi peggiori sulla fase storica che
sta attraversando il nostro Paese sul piano politico e istituzionale.
la solita notte buia e tempestosa e Montalbano
viene svegliato da qualcuno che bussa con insistenza alla
sua porta. Precipitatosi ad aprire, con sua enorme sorpresa
si trova davanti il questore Bonetti-Alderighi, terrorizzato,
bagnato fradicio e con un cappellaccio nero in testa. Il questore entra, si siede, scoppia in lacrime e a un Montalbano

!151

basito chiede asilo in casa sua, perch, riferisce, durante la


notte la mafia ha preso il potere e di conseguenza lui ha bisogno di nascondersi. Nel nostro sventurato Paese, una leggina oggi e una leggina domani, prosegue il questore, non
poteva finire altrimenti. A questo punto il questore chiede
al commissario un bicchiere dacqua, e quando questi torna
dalla cucina trova davanti a s la seconda sorpresa: il questore non c pi e al suo posto c Tot Riina con la coppola. Con fare gentile e cerimonioso, Riina spiega a Montalbano di avere poco tempo perch un elicottero lo deve
portare a Roma per formare il nuovo governo. l per proporgli lincarico di ministro dellInterno, perch per la vicepresidenza, gli Esteri e la Difesa i nomi ce li ha gi e
sono quelli, rispettivamente, di Bernardo Provenzano, di
uno dei fratelli Caruana e di Leoluca Bagarella. Ma prima
che Montalbano possa rispondere Catarella fa irruzione con
la pistola in mano e lo minaccia piangendo: Si vossia dottori ci dici di s a quisto sdilinquenti io lammazzo di pirsona pirsonalmenti!. Nel frattempo Riina spara e si dilegua.
Svegliatosi alle quattro del mattino a causa di
questo brutto sogno, Montalbano vorrebbe riaddormentarsi
ma bloccato dal suo alter ego, il quale vuole che si dia
una spiegazione al sogno, magari sulla scorta di Freud, altrimenti sar impossibile riprendere sonno. da notare che
qui si parla di altro Montalbano, non di Montalbano primo e secondo. Camilleri, inoltre, questa volta sceglie una
diversa tecnica di resa grafica e narrativa: le battute dei due
Montalbano non sono virgolettate e si alternano teatralmente senza che vengano segnalati i turni. Questo rende non
immediata lattribuzione dei ruoli, ma sembra plausibile

!152

attribuire la prima battuta (Cosa viniva a significare quel


sogno?) allalter ego, cio a quello che altrove il secondo, pi sicuro di s, saputello e conoscitore di Freud,
perch lultima (Sai che ti dico? Che me ne stracatafotto
di Freud. E ora lassami dormiri che mi torn il sonno)
chiaramente dellego. In questo dialogo, che occupa tre pagine e in cui ai due interlocutori sono assegnate 21 battute a
testa, vengono fuori delle considerazioni interessanti che
riflettono il modo in cui Montalbano, ovvero Camilleri,
legge lattualit politica italiana. Innanzi tutto, la cosa che
pi lo turba del sogno lo scambio questore/Riina (tramite
La favola del figlio cambiato di Pirandello, il tema dello
scambio una delle ossessioni di Camilleri), cio il fatto
che il numero uno della mafia prenda il posto del rappresentante della legge. Detta cos una semplificazione, naturalmente, ma, secondo certe ricostruzioni storico-giornalistiche, dal 1992 ad oggi, cio dalle stragi di Capaci e via
DAmelio, in Italia avvenuta qualcosa di assai simile.
Una ricostruzione di questo tipo stata ospitata, ad esempio, in un romanzo noir come Nelle mani giuste (2007) di
Giancarlo De Cataldo, lo scrittore-giudice di Corte dAssise gi autore di quellAmerican Tabloid allitaliana, ovvero
Romanzo criminale (2002), di cui Nelle mani giuste una
continuazione (come Sei pezzi da mille, sempre di Ellroy, lo
di American Tabloid). E una tesi simile adombrata da
Camilleri stesso nel suo Voi non sapete (2007), lalfabeto
mafioso dedicato a Provenzano, ai suoi pizzini e alla sua
teoria e pratica della mafia in immersione, affarista, clericale e infiltrata nelle istituzioni, che il nuovo capo dei capi ha
inteso sostituire a quella stragista ed eversiva di Tot Riina.

!153

I due Montalbano, poi, toccano il delicato problema


dellatteggiamento delle forze dellordine, chiamate per statuto a rispettare sempre e comunque le istituzioni, di fronte
a un delinquente improvvisamente diventato primo ministro: devono obbedire o no? La soluzione di Montalbano 1
incentrata sullapparizione di Catarella, che a suo giudizio rappresenta la sua coscienza, ed da tragedia greca:
La scena di Catarella sta a significare che chiuttosto che
accettare la proposta di Riina ero pronto a spararmi (p.
15). Il dilemma di Antigone, in effetti, sempre in opera
nella coscienza del commissario, il quale non di rado agisce
sulla base di un diritto naturale, empatico ed umanitario che
si contrappone a quello positivo, inflessibile e non di rado
disumano dello Stato e delle sue leggi.

6.

MONTALBANO E ZINGARETTI

Nel corso di questa piccola fenomenologia pseudohegeliana dello sdoppiamento di Montalbano abbiamo incontrato cinque figure della dissociazione. Abbiamo visto
il commissario prendere coscienza della sua parentela con
un antico schiavo-gladiatore grazie a una suggestione letteraria occasionale, e in questa figura abbiamo scorto la sua
capacit di orientarsi, adattarsi e sopravvivere in un mondo
pieno di belve. Lo abbiamo poi visto polemizzare con il
suo stesso autore attraverso un gesto impossibile nella finzione narrativa ma che in teatro sarebbe plausibile: un attore potrebbe teoricamente abbandonare il palcoscenico in
nome del suo stesso personaggio, se dovesse ritenere che la

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parte non fa onore alla percezione che si ha della sua personalit e del suo repertorio di azioni possibili. In tale occasione Montalbano ha guadagnato lautocoscienza di s
come persona e come personaggio. Nella terza tappa abbiamo assistito allo scontro tra il suo principio di realt cosciente e una ragione in qualche modo superiore: quella
della memoria letteraria profonda che improvvisamente fa
irruzione nella coscienza e si pone come chiave di lettura e
persino come creatrice dellesperienza. In tal senso Montalbano scopre la forza generatrice degli archetipi letterari,
rispetto ai quali quello che accade nella realt quotidiana ne
una pallida e prevedibile esemplificazione. Il Montalbano
che scrive lettere a se stesso agisce direttamente sul proprio
spirito, coagulando nel proprio io informe una sorta di intelletto separato che funge da principio guida autocritico e
ordinatore. Quello, infine, che dialoga con se stesso si avvicina a un tipo di dissociazione che evoca Socrate alle prese con il suo demone, una figura religiosa, questultima,
che si laicizza nella cosiddetta voce della coscienza. Il conoscere s stessi, infatti, presuppone la capacit di far dialogare lanima con se stessa, e in ci consiste, stando a Platone, lintima natura del pensare.
Davvero, allora, il nostro commissario in cammino
verso una forma di sapere filosofico? Dove vuole arrivare
Camilleri? Il punto di approdo di questo processo noto
per grandi linee sin dal 2005, quando lo scrittore ha annunciato di aver gi scritto e consegnato ad Elvira Sellerio
lultimo episodio di Montalbano e ne ha resi noti il titolo
provvisorio e lincipit. Non si creda che lironico schema
dellevoluzione della coscienza di Montalbano appena ri-

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percorso per grandi linee sia del tutto arbitrario. Come abbiamo visto, esso ampiamente sostenuto dai testi ed inoltre trova una qualche conferma nel modo in cui Camilleri,
per sua stessa ammissione, ha costruito e distribuito gli ultimi quattro-cinque episodi della serie. Guardiamo le date.
Il gi famoso e tuttavia ancora inedito Riccardino stato
terminato nel 2005, e gi il 21 giugno di quellanno il primo capitolo venne pubblicato in anteprima su Stilos. Ma
nel giugno del 2005 uscito proprio La luna di carta, cio
lepisodio in cui per la prima volta Montalbano si scrive
una lettera e inizia quel processo di sdoppiamento della
personalit che culmina ne Il campo del vasaio, dove abbiamo tanto la lettera a se stesso quanto il dialogo con il
proprio alter ego, inaugurato nel 2006 con Le ali della
sfinge. del tutto evidente, allora, che dal 2005 Camilleri
ha cominciato a calibrare le storie di Montalbano in vista
dellartificio post-moderno escogitato in Riccardino, in cui
il Montalbano romanzesco incontra addirittura il suo doppio televisivo interpretato dallattore Luca Zingaretti. Riccardino, cos, si pone come esito ultimo proprio di quel
processo graduale che abbiamo descritto sopra. In sostanza,
lultimo episodio di Montalbano ha esercitato una pressione selettiva sullevoluzione della personalit del commissario, costringendolo a percorrere un binario abbastanza definito sulla strada di una progressiva schizofrenia. Ecco una
dichiarazione illuminante dello stesso Camilleri apparsa su
Il Venerd del 15 settembre 2005: Lultimo romanzo di
Montalbano si chiama provvisoriamente Riccardino. Nella
cassaforte di Elvira Sellerio ci sono due romanzi, Il campo
del vasaio quello che prepara la dipartita di Montalbano,

!156

con nuove crisi. Per arrivare allo sdoppiamento di Riccardino, quando Montalbano ha problemi con lo stesso Luca
Zingaretti, diventato pi noto di lui. Il commissario arriva
sul luogo di un delitto e un gruppetto di curiosi grida:
Tal! Tal! U commissariu arriv!. Montalbano !.
Cu? Montalbanu? Chiddru di la televisioni?. No, chiddru veru. E a lui gli girano le scatole. Cos comincia una
sfida con il suo alter ego, una sfida a perdere, perch si
sente sempre pi diviso. Si mette anche a leggere La scomparsa di Pat di Camilleri. Ma Il campo del vasaio e Riccardino non usciranno a breve da quella cassaforte della
casa editrice. Il campo del vasaio sarebbe uscito nel marzo del 2008, ma le parole di Camilleri del 2005, come si
vede, confermano molte delle cose dette qui sulla base di
una semplice ispezione dei testi editi dal 2005 ad oggi, che
dunque hanno incorporato davvero un disegno intelligente
come quello evidenziato dalla nostra pseudo-fenomenologia, per poter tendere coerentemente alla situazione surreale raccontata in Riccardino. Gi due settimane prima, su
La Stampa del primo settembre del 2005, Camilleri aveva fatto altre rivelazioni sulla trama dellultima storia di
Montalbano: In quel cassetto c il mio Montalbano terminale, ci sto lavorando in questi giorni. Sar la fine del
personaggio. Il fatto che Montalbano a differenza di altri
personaggi seriali, come Sherlock Holmes o Maigret invecchia, partecipa alla vita di tutti i giorni, mi rende sempre
pi difficile stargli dietro. Cos ho deciso di scrivere il romanzo finale. Mi venuta lidea e non me la sono fatta
scappare. Ma non che finisce sparato o va in pensione o si
sposa Livia, come piacerebbe ai lettori: ci voleva una trova-

!157

ta alla Montalbano per fargli abbandonare la scena. Anche


se non detto che questo libro uscir subito, magari se mi
viene ne pubblico prima qualche altro, o magari uscir postumo. Nelle pagine che sto scrivendo c uno scontro continuo fra me e il personaggio. Montalbano si lamenta sempre, sono vecchio, sono vecchio.... Non vero niente, gli
rispondo, che ti sei rotto le palle! Il personaggio non pu
che finire nel momento in cui comincia a pensare al doppio. Cio comincia a pensare a Zingaretti. E si trova sopraffatto dallaltro personaggio. E non trova in Camilleri
lappoggio necessario per andare avanti. Cos gli fa un discorso cinico: Senti un po, quando io stampo un libro e
sono 500 mila copie si tocca il cielo con un dito; quando
laltro appare in televisione sono 10 milioni di spettatori:
che vogliamo fare?. Allora Montalbano ha unidea montalbaniana. Linizio di questa cosa lui che arriva sul luogo
del delitto, e tutta la gente, sulla strada, col morto, tutti affacciati ai balconi che pare una festa.
In Riccardino, dunque, Camilleri non fa altro
che trarre tutte le estreme conseguenze logiche dai paradossi narrativi disseminati in passato nelle storie di Montalbano. Se il commissario pu telefonare al suo autore e polemizzare con lui, allora possono anche mettersi a parlare
della presenza ingombrante di Montalbano-Zingaretti; e se
la Biblioteca di Vigta comprende i romanzi storici di Camilleri, allora deve comprendere anche le storie di Montalbano; e se Montalbano pu leggere La scomparsa di Pat,
egli stesso e i vigatesi possono leggere i romanzi e i racconti dedicati alle avventure del commissario Montalbano.
Ma se Vigta cos simile a una vera citt italiana, allora i

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vigatesi possono pure guardare la riduzione televisiva delle


storie di Montalbano, vedere il commissario con la faccia
di Zingaretti e pensare a questultimo quando sentono che
il primo gi in strada davanti al cadavere di Riccardino. E
lo stesso vale naturalmente anche per Montalbano, che pu
vedere la fiction televisiva, specchiarsi in Zingaretti e magari incontrare lo stesso attore, il quale nellimmaginario
collettivo a causa della forza irresistibile con cui licona
televisiva in grado di imporsi alla memoria sia dei telespettatori che dei lettori, e nonostante il fatto che il personaggio letterario abbia ben poco in comune con le fattezze
di Zingaretti Moltalbano.
Ed eccolo, allora, il passo del primo capitolo
di Riccardino cui Camilleri faceva riferimento nelle anticipazioni del 2005:
Dalle finestre, dai finestroni, dai terrazzi, vecchi e picciotti, fimmine e mascoli, picciliddri, cani e gatti saffacciavano a taliare, altri si sporgevano a rischio di andarsi
a catafottere sulle basole per vidiri meglio quello che capitava ed era tutto un chiamari, arridiri, chiangiri, prigari,
fari voci, un gran virivir che pariva precisa ntifica la
festa di San Cal. E proprio come nella festa cera chi
scattava fotografie e chi ripigliava la scena con quelle
telecamere niche niche che oggi sanno adoperare macari i
neonati. Il commissario accost al marciapiedi, scinn. E
subito sintrecci supra la s testa un animato dialogo
aereo.
Tal! Tal! U commissariu arriv!
Montalbano !
Cu? Montalbanu? Chiddru di la televisioni?
No, chiddru veru.
A Montalbano gli vinni una violenta botta di nirbuso.
Non si pu fare in modo che questa gente non se ne stia

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affacciata a godersi lo spettacolo? I corvi hanno pi decenza!.

La visione finale promessa al commissario al


termine del suo viaggio di formazione lungo le figure del
proprio progressivo sdoppiamento, come si pu intuire, non
ha niente di sapienziale o di filosoficamente impressionante, trattandosi semplicemente di un beffardo incontro pirandelliano con la propria maschera televisiva, cio con la
propria immagine mediatica costruita proprio da quellindustria culturale verso cui egli nutre un inestirpabile disprezzo ideologico.

3. Lamarezza sciasciana di Camilleri


Pi sopra, sulla scorta di un passo di Umberto Eco,
abbiamo visto che possibile considerare il lettore come un
artificio creato dai libri per comunicare tra di loro e, si potrebbe anche aggiungere, per riprodursi, esattamente come
la gallina pu essere considerata lartificio che luovo ha
creato per produrre altre uova. Per quanto apparentemente
paradossale, e forse al di l delle stesse intenzioni di Eco,
questo modo di vedere certe cose trova oggi un fondamento
scientifico nella versione del neodarwinismo divulgata in
un libro ormai famosissimo come Il gene egoista (1976 &
1989) dallo scienziato inglese Richard Dawkins, dove tra
laltro si sostiene che, se ci mettiamo dal punto di vista dei
geni, un corpo vivente (dalle sue cellule in su) non altro
che una macchina da sopravvivenza creata dai geni stessi

!160

per migliorare le probabilit di continuare a replicarsi con


successo, ovvero di produrre altre copie di s stessi. E non
un caso che il filosofo americano Daniel Dennett (cfr. ad
esempio il suo fondamentale Lidea pericolosa di Darwin,
1995, in particolare 11.3), uno dei pi famosi sostenitori di
questo approccio alla biologia noto come centrismo genico, abbia espresso lidea che il gene sia in genere la risposta giusta alla domanda degli evoluzionisti Cui bono? con
uno slogan come cherchez le gne!. In questo modo Dennett ha parafrasato esplicitamente una ben nota regola del
giallo e del noir, quel cherchez la femme! che era gi presente ne I Mohicani di Parigi di Dumas padre, stata resa
indimenticabile da Ellroy ne La Dalia nera ed implicita
praticamente in tutte le storie di Montalbano.
In Borges, poi, abbiamo trovato una spiegazione dellinquietudine che assale i lettori quando hanno di fronte
personaggi della finzione letteraria che sono anche lettori o
spettatori della loro stessa storia (Ulisse, Amleto, Don Chisciotte... fino a Montalbano): secondo Borges essa deriva
dal fatto che il lettore preso dal dubbio che anche lui,
come quei personaggi, possa essere fittizio, possa essere
cio un artificio. Alla luce di tutto ci, e dopo un lungo paragrafo dedicato agli sdoppiamenti di Montalbano, potrebbe essere interessante mettere in scena un lettore fittizio e
sdoppiato per dire qualcosa di pi preciso sullimpegno civile di Camilleri. I due personaggi del dialogo che segue
incarnano due tipi di lettori di Camilleri che possono tranquillamente coesistere nella stessa persona, come i due
Montalbano: il lettore appassionato e quello un po pi
scettico e distaccato ma sufficientemente informato. La di-

!161

scussione incentrata su La pazienza del ragno, che indubbiamente contiene spunti molto interessanti per capire
come Camilleri intenda il giallo e come si rapporti con la
fase storica che lItalia sta attraversando negli ultimi anni.
Il prossimo paragrafo, invece, prendendo spunto da
un romanzo storico come Privo di titolo, esibisce attraverso
un altro dispositivo di scrittura creativa la sintesi tra gioco
intertestuale e impegno ideologico che caratterizza le opere
di Camilleri. Come il lettore noter facilmente, i due romanzi usati come esemplari, uno della serie di Montalbano
e uno storico, hanno in comune il tema della mistificazione
nelle sue varie forme, da quella messa in atto dagli oppressi
per sopravvivere a quella praticata sistematicamente dagli
oppressori.
A. Hai letto La pazienza del ragno?
B. S, ma non mi piaciuto.
A. Molto bene. Visto che labbiamo letto entrambi e che
ce labbiamo tra le mani, proviamo ad applicare il metodo
dellosservazione meticolosa e della deduzione intelligente.
Che coshai da dire contro La pazienza del ragno? Che
cosa noti?
B. Noto che sempre la stessa musica: niente di nuovo
sotto il sole. E poi noto che lautore di questo dialogo ci sta
usando per citare qualcuno. Stiamo scimmiottando altri dialoghi, credo.
A. Beh, s, ad esempio linizio del Dialogo sul metodo
del filosofo della scienza Paul Feyerabend

!162

B. Feyerabend? E che diavolo centra? Non dirmi che


porterai il discorso sulla vicenda di Ratzinger e della Sapienza!
A. Non essere malizioso. Il mio vuole essere semplicemente un modo di manifestare la mia soddisfazione
per avere scoperto che anche Camilleri, e non solo Ratzinger, legge Feyerabend.
B. Non mi pare di averlo mai incontrato nei suoi romanzi.
A. Infatti non citato nei romanzi, ma verso la fine de
Lombrello di No, nellintervista di Roberto Scarpa che d
il titolo al volume. Camilleri dimostra di aver letto la sua
autobiografia, Ammazzando il tempo. Un libro bellissimo,
tra laltro, con un finale straziante.
B. E dimmi, cosa dice Camilleri di Feyerabend?
A. Non molto, per la verit. stato colpito dalla sua
idea dellimportanza della componente retorica e affabulatoria nella scienza, e da vecchio uomo di teatro ha notato
linfluenza esercitata da Brecht su di lui. Tra laltro, quando
scoppiato il caso Ratzinger-La Sapienza, nessuno, mi
pare, ha notato che il giudizio di Feyerabend su Galileo che
tanto piace a Ratzinger proviene da Vita di Galileo di Brecht...
B. Oddio no, ti prego...
A. Va bene, la smetto. A proposito, a cosa ti riferivi
quando dicevi di aver capito che questo dialogo una citazione?
B. AllIndagine preliminare in forma di dialogo di
Fruttero & Lucentini premessa a una delle edizioni italiane

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de Il mastino dei Baskerville, cio il terzo romanzo di Conan Doyle dedicato a Sherlock Holmes. Non credi?
A. Elementare, Watson. Ma qui che ti volevo: Camilleri sa benissimo che per certi versi deve pagare un tributo
alla serialit, e del resto i lettori stanno al gioco. Ricordi
cosa dicevano a tal proposito Fruttero & Lucentini? I consumatori abituali di Sherlock Holmes non si annoiavano a
ritrovarlo sempre identico a se stesso, anzi ne godevano: e
la delizia suprema quando leroe sembra cambiato, ma
poi si scopre che non era vero, che era solo per finta. un
rapporto affettuoso.
B. Sento odore di fregatura dialettica. Dove vuoi arrivare?
A. Voglio arrivare a farti ammettere la grande astuzia di
Camilleri, il quale fa continuamente i conti con Conan
Doyle. Egli vuol portare i suoi lettori pi attenti alla delizia
opposta: il mondo delleroe non sembra cambiato, ma poi
si scopre che leroe cambiato. Catarella continua a sbattere la porta quando entra e a parlare una lingua assurda;
Mim il solito fimminaro, anche se si sposato; la
zita Livia e la cammarera Adelina continuano a evitarsi
e a detestarsi tacitamente; il Questore Bonetti-Alderighi
sempre il burocrate-superiore un po tonto per ruolo istituzionale e il suo untuoso ed eternamente democristiano capo
di gabinetto, il dottor Lattes, sempre Lattes e Mieles,
anzi, ora semplicemente Latte e Miele, come apprendiamo a pagina 189; ecc. Tuttavia Montalbano diverso: ha
scatti di commozione, di paura, di banale saggezza senile,
ma altamente se ne frega, perch la ferita alla spalla ereditata dal precedente episodio quel Giro di boa che rappre-

!164

senta davvero un giro di boa per il carattere delleroe e


per lo stesso Camilleri lo ha portato vicino alla morte e la
morte stessa gli si presentata sotto laspetto della consunta signora Giulia, circondata da un tanfo di medicine, di
escrementi, di sudore, di malattia, di vomito, di pus, di cancrena, come detto a pagina 251.
B. Daccordo, Montalbano non Holmes: ma questo lo
sanno tutti. Holmes tutto dun pezzo, un blocco glaciale
di intelligenza deduttiva, anzi abduttiva, come sostiene a
ragione Eco, misogino, cocainomane sconvolgente, a
tal proposito, lincipit de Il segno dei quattro. Come diceva Camilleri in quellintervista ad Antonio De Benedetti?
Sir Arthur Conan Doyle, in tutto e per tutto figlio del suo
tempo, un campione dello scientismo positivista, si appoggia a una concezione del mondo oggi indigeribile. I ragionamenti del suo Holmes sono cosi strettamente logici,
implacabilmente e paradossalmente logici da risultare spesso campati in aria. Se ci riflette, finiscono col presupporre
una razionalit nel mondo che non c, che non pu esserci.
E tanto meno pu esserci nelluniverso del crimine, nelle
oscure passioni che lo dominano. Montalbano, invece,
umano, pasticcione, acuto quanto basta, comprensivo, monogamo, e si fa cucinare dalla madre di un ladro di polli
che lui stesso ogni tanto mette dentro. E con questo?
A. Non una questione cos banale, perch se Montalbano non Holmes come lui stesso ammette a pagina
227, allorch non riesce a trovare a casa loggetto holmesiano che contraddistingue lo stereotipo del perfetto detective, cio la lente dingrandimento allora sar e vuole essere qualcun altro. Ed della massima importanza capire

!165

chi vuole essere Montalbano, perch in tal modo scopriremo che in Camilleri il giallo un puro espediente di genere per parlare daltro.
B. Ho capito, vuoi arrivare allabate Vella. In effetti,
devo ammettere che la pagina 239 ha colpito anche me.
Anzi, se devo essere sincero, lunica cosa di questo romanzo che mi abbia dato, come dire, unemozione culturale.
A. Bene, vedo che sei di palato fine. Del resto si tratta
di uno dei libri pi amati da Montalbano, e alla pagina 231
de Il ladro di merendine, cio in quello che appena il terzo episodio della serie, si dice che lo sta rileggendo per la
ventesima volta. Ma rifletti: cosa significa quel riferimento
al Consiglio dEgitto? Intendo dire, al di l dellennesimo
omaggio allamatissimo Sciascia.
B. Significa che Montalbano, poich sta per
togliersi un peso dalla coscienza facendo sapere al dottor
Mistretta e a Susanna che lui ha capito tutto, che ha visto la
ragnatela geniale che loro hanno saputo tessere nel loro
teatro del sequestro ed pronto a mantenere pietosamente il segreto, si sente finalmente riposato, sereno, affrancato, per poi rendersi conto che questi tre aggettivi che gli
sono venuti in mente provengono da un episodio preciso
del libro tanto amato, cio da quella straordinaria pagina
122 della prima edizione del 1966 (tra parentesi, cito alla
lettera per segnalarti quella che mi sembra una svista: la
prima edizione del 1963, e comunque la pagina si trova
nellottavo capitolo della parte terza) in cui labate Vella,
prima di andare a rivelare a monsignor Airoldi che il famoso codice arabo una sua geniale falsificazione e impostura

!166

(cosa che avrebbe sconvolto la sua vita, facendolo finire in


carcere), si rilassa con un bagno e un caff, due cose rare
per quei tempi (fine 700) e per quei luoghi (Palermo). E
cos il commissario fa come labate Vella, aggiungendo alla
doccia e al caff un bel cambio di biancheria, una cravatta
seria e una mangiata pantagruelica di pesce nella trattoria di
fiducia. C altro, secondo te?
A. Eccome. Intanto fammi dire che hai fatto
bene a menzionare la cravatta. Stranamente questa pagina
cos importante per capire Montalbano sfuggita a Gianni
Bonina, altrimenti non avrebbe mai potuto dire a pagina 91
de Il carico da undici che Camilleri non ci dice mai (...) se
indossa la cravatta o veste sportivo.
B. Beh, se per questo ci sarebbe pure quel
Fresco, sorridente, giacchetta e cravatta, avvolto in una
nube di sciuro di colonia, Montalbano, alle sette del matino, sapprisent a casa del signor Francesco Lacommare
con cui inizia il capitolo undici de Il cane di terracotta...
A. Ah, ecco, questo non me lo ricordavo.
Okay, chiusa parentesi. Il passo, dicevamo, a un primo livello di lettura, un semplice ammiccamento intertestuale,
peraltro frequente in Camilleri, ma a un secondo livello,
diciamo metalinguistico o metaletterario, una vera e propria dichiarazione di poetica, un vero e proprio programma
di impegno letterario e civile in questa nuova Italia della
destra imprenditoriale al potere. Camilleri vuole essere il
nuovo Sciascia, non il nuovo Conan Doyle. Pi scanzonato,
forse, ma non meno incisivo, non meno indignato.
B. Spiegati meglio.

!167

A. Vedi, egli con questo romanzo ha praticamente messo le carte in tavola, rendendo esplicito ci che
era gi implicito nei testi precedenti. Il giallo un pretesto,
un dispositivo narrativo che serve a esprimere qualcosa di
profondamente attuale: il disagio, lumore nero suscitatogli
dal momento storico che stiamo attraversando, dallItalia
berlusconiana, in cui sembrano ritornare, amplificati dalla
sfacciataggine mediatica, i peggiori incubi della prima Repubblica. E lo rivela il fatto che questo romanzo un giallo
doppiamente finto: finto innanzi tutto perch un giallo
senza il morto, cio senza il fatto che tradizionalmente mette in moto il meccanismo investigativo, dato che si tratta
solo di un rapimento; ed finto soprattutto perch il rapimento stesso una finzione, una simulazione di rapimento,
una messinscena, un teatro, una tela di ragno tessuta per
vendetta, una vendetta che i buoni, sconvolti dallodio,
mettono in atto per colpire il cattivo, lintrallazzista ingegner Peruzzo, cio lesponente tipico della nuova classe
imprenditoriale coccolata e cooptata dal nuovo ordine politico con la compiacenza di certe leggi, di certi avvocati e di
certi funzionari dello Stato. Pensa per esempio allinsistenza sul suo essere in odore di una candidatura con Forza Italia, cio la DC del nuovo secolo, almeno in Sicilia. E la
vendetta condotta con la stessa arma del potere che essa
vuole colpire: larma della manipolazione mediatica dellimmagine, larma che usa lapparire al posto dellessere,
il lifting al posto della verit. Lingegner Peruzzo sar perduto non tanto per quello che ha fatto, ma per quello che si
riesce a far credere che abbia fatto. E qui lanalogia con Il
Consiglio dEgitto si approfondisce ulteriormente, perch

!168

cos come labate Vella si serve di unimpostura, di un imbroglio filologico, per smascherare limpostura e limbroglio storico, politico e sociale su cui si regge lordine anarchico-feudale della distribuzione patrimoniale e del sistema
di privilegi nobiliari della Sicilia borbonica, allo stesso
modo Susanna e il dottor Mistretta si servono di un finto
rapimento per mettere a nudo i loschi meccanismi affaristici e le complicit politico-giuridiche su cui si regge e prospera la nuova classe imprenditoriale che in Italia diventata forza egemone e che ha a Palazzo Chigi il suo pi emblematico rappresentante.
B. Vuoi dire che questa la chiave di lettura
per il Camilleri degli ultimi anni? Intendi cos, ad esempio,
tutta quella tirata sui fatti di Genova durante il famigerato
G8 allinizio del Giro di boa? In effetti l Montalbano stava
quasi per dare le dimissioni per la vergogna di essere un
poliziotto, per la vergogna, cio, di appartenere allo stesso
corpo che si macchi dellinfamia della scuola Diaz. Ci
sar poi quella illuminante pagina 35 de Il campo del vasaio in cui Montalbano, facendo zapping, realizza un blob
dellattuale populismo mediatico, dellirresponsabile propaganda governativa e dellipocrisia indecente che emerge
da certe presunte battaglie ideologiche dei politici clericali,
in realt dei semplici pretesti per solleticare a fini elettoralistici la sub-cultura pi retriva del pubblico. Vogliamo
leggerla?
A.
Prego.
B.
Cangi canale. Il capo del governo
spiegava pirch leconomia del nostro pasi annava a scatafascio: la prima ragione era lattacco terroristico alle torri

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gemelle, la secunna lo tsunami, la terza leuro, la quarta


lopposizione comunista che non collaborava... Cangi canale. Cera un cardinale che parlava della sacralit della
famiglia. Ad ascutarlo, in prima fila cerano na poco
dmini politici dei quali d divorziati, uno convivente con
una minorenne doppo aviri lassato la mogliere e tri figli, un
quarto che mantiniva na famiglia ufficiale e d famiglie
ufficiose, un quinto che non si era mai maritato pirch era
cosa cognita che le fmmine non gli piacivano. Tutti assentivano gravemente alle parole del cardinale. Cangi
canale.
A. Precisamente. E non dimenticare che prima c stato quel terribile romanzo storico sul fascismo, La
presa di Macall, in cui lo sdegno per la dittatura espresso da Camilleri con toni cos cupi da rasentare il furore e la
ferocia.
B. Questa volta sono daccordo. Quel libro
lho trovato straziante, dietro il grottesco e la priapata picaresca: forse, oltre ad essere il libro di Camilleri pi pieno
di vastasate, anche il pi amaro e carico di pietas per la
stupidit umana che si manifesta sotto le dittature arroganti
e guerrafondaie e che ci mette un attimo a ribaltarsi in tragedia assurda.
A. E non ci vedi analogie con la pi scottante
attualit nazionale e internazionale?
B. Devo dire che ho perso?

4. La citt invisibile, il martire senza titolo e


il triangolo intertestuale

!170

Della citt di Mussolinia esistono la prima pietra,


lastratto progetto, un album fotografico che la ritrae da
diverse (ancorch parziali) prospettive e una singola fotocartolina panoramica. Lalbum e la cartolina, com nella
natura di ogni ritratto, sono due diverse interpretazioni del
progetto ed esprimono, ciascuno a suo modo, una citt del
desiderio, il modello di unaltra Mussolinia.
Il progetto prevede un grande spazio circolare circondato da dodici o sedici torri unite da un doppio colonnato. Ciascuna delle torri ospiter un diverso ufficio pubblico, nonch le dimore del capufficio e dei suoi luogotenenti, mentre le abitazioni private dei sudditi, lunghi casamenti a un piano simili a pollai, finacheggeranno le strade
che si dipartono a raggiera dallo spazio centrale. Qua e l
giardini e fontane.
Il viaggiatore che consultasse lalbum fotografico di
Mussolinia prima di raggiungere da terra il bosco di querce e ulivi in cui non mai sorta, sarebbe senza dubbio colpito dai grandi spazi cui alludono i dettagli maestosi e imponenti delle torri, del colonnato, delle abitazioni private
dallarchitettura ora spartana ora fin de sicle, del consorzio agrario, dellospedale, dei giardini rigogliosi e delle
fontane copiose; e avrebbe ragione di pensare, per elementare induzione, che la turrita citt forestale sia tutta circondata da colline e che il doppio colonnato delimiti una
grande piazza con al centro, forse, una fontana monumentale.
Il marinaio che naviga lungamente per i mari africani e desidera un vicino porto amico, se avesse tra le

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mani la cartolina di Mussolinia, crederebbe senzaltro che


il suo sogno si avverer, perch Mussolinia gli apparirebbe
come una turrita citt costiera il cui doppio colonnato funge da diga e banchina portuale che racchiude circolarmente una baia disseminata di barche ormeggiate e di reti stese
ad asciugare su un mare inondato di sole tricolore.
Cos, se fosse possibile imitare anche pallidamente
linimitabile Calvino de Le citt invisibili, potremmo descrivere parodisticamente Mussolinia, la citt-fantasma che
i notabili fascisti di Caltagirone fecero finta di edificare nel
bosco di Santo Pietro in onore di Mussolini. Il viaggio in
Sicilia del Duce, nel maggio del 1924, prevedeva proprio
una tappa nella citt natale del suo fedelissimo Capo di Gabinetto al Ministero degli Esteri, tale Giacomo Barone. In
occasione di quel viaggio, Mussolini, in una cerimonia funestata da incidenti grotteschi (la sparizione della bombetta
e la sua sostituzione con una ridicola coppola da contadino;
la sparizione della stessa pergamena commemorativa che il
Duce avrebbe dovuto murare dentro la prima pietra; i fischi
dei pastori che protestavano per la sospensione dei lavori di
costruzione della linea ferroviaria Gela-Caltagirone), pos
la prima pietra di una citt che non sarebbe mai stata costruita e di cui, qualche anno dopo, gli arriveranno due fotomontaggi beffardi direttamente dalla Sicilia: in uno, costituito da un intero album fotografico, il Duce ammirer
compiaciuto limponenza e la maestosit della citt che
porta il suo nome, e nellaltro, a mo di controbeffa volta a
smascherare la prima, un Duce incredulo e furente avr di

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fronte una sorta di cartolina in cui la stessa citt un ridente porto di mare.
Questa incredibile e grottesca messinscena uno dei
due fatti di cronaca poco noti su cui costruito Privo di titolo (2005). Laltro fatto di cronaca la misteriosa uccisione a Caltanissetta, il 24 aprile 1921, del diciottenne patriota Gigino Gattuso (Lillino Grattuso nel romanzo), nel
corso di una rissa tra fascisti e comunisti. Gattuso fu poi
elevato dal regime, con una tipica montatura mistificatoria
fatta di retorica patriottica e di opportunismo politico, al
rango di unico martire del fascismo in Sicilia, e in quanto
tale celebrato con un monumento, con adunate commemorative ad ogni anniversario della morte e con intitolazioni
di strade e scuole. Dopo la caduta del fascismo, dice Camilleri, lex via Arco Arena in cui avvenne il fatto di sangue si
chiam via Gigino Gattuso, Martire e non pi Martire
Fascista, come una volta: e gi questo la dice lunga sul
metodo italiano della chiarificazione delle cose, perch se
prima Gattuso era stato un falso martire fascista, in seguito
divenne un vero martire di niente. Oggi, addirittura,
scomparsa pure la dicitura Martire e quasi nessuno, a
Caltanissetta, soprattutto tra i giovani, ha idea di chi sia
questo Gattuso.
In un paese come lItalia ormai appiattito su una
permanente e provincialissima campagna elettorale, tutto
questo spiega perch il romanzo abbia scatenato discussioni e polemiche sui principali quotidiani e settimanali nazionali gi un mese prima delluscita. Il Secolo dItalia, per
esempio, pubblic l11 febbraio di quellanno (il romanzo
sarebbe uscito a marzo) un lungo articolo di Massimiliano

!173

Mazzanti in cui si accusava Camilleri di falso storico e sostanzialmente di bassa propaganda politica mirata al cambiamento del nome della via di Caltanissetta dedicata
allunico mito del fascismo rivoluzionario dellintera Sicilia. Accusa alla quale un perplesso Camilleri dovette rispondere in unintervista pubblicata su La Sicilia del 23
febbraio, anticipata dallAnsa del giorno prima, con queste
parole: Come si pu pensare che uno come me scriva un
romanzo per far cambiare il nome di una strada a Caltanissetta? Come si fa a discutere? Io non mistifico nulla, riporto le cose come stanno. Un attacco cos - sottolinea riferendosi alle critiche del quotidiano di An - della peggiore destra. Tutta la polemica basata su una loro non conoscenza
di questo libro, che non hanno letto. quindi difficile parlare per me. In unintervista uscita su Il Mattino del 16
marzo Camilleri fu esplicito sui nessi del romanzo con
lattualit: Il romanzo racconta di grandi falsificazioni. E
oggi distinguere tra realt virtuale e realt vera diventato
sempre pi difficile. Le faccio un esempio clamoroso: la
guerra in Iraq. Ci avevano detto che era un atto dovuto,
preventivo, perch Saddam aveva delle armi di distruzione
di massa. Poi stato accertato che queste armi non cerano,
ma si continuato a propagandare e a credere che quella in
Iraq fosse una guerra giusta. diventato un atto di fede,
tanto che George W. Bush, che ha raccontato questa gigantesca frottola, stato rieletto. Bisognerebbe ricordare, in
questi casi, una frase di Stanislaw Jerzy Lec, che le cito a
memoria: se una menzogna diventa duso comune non significa che non sia pi una menzogna.

!174

Come ha raccontato lo stesso Camilleri, la


gestazione di questo romanzo storico stata molto lunga,
quasi decennale, e vale la pena ricostruirne per sommi capi
la doppia genesi, cui legata, come detto, la struttura tematica a dittico imperniata su due fatti di cronaca molto diversi tra loro ma accomunati dalla capacit di rivelare
esemplarmente, sotto lo specifico siciliano, tutto il carattere
tragicomico della colossale montatura retorica, ideologica e
politica rappresentata dal fascismo.
Camilleri aveva 16 anni quando si imbattuto
per la prima volta nella storia di Gigino Gattuso, partecipando da liceale agrigentino alladunata del 1941 organizzata a Caltanissetta per commemorare il XX anniversario
della morte del giovane Eroe siciliano del fascismo. A
colpire la sua immaginazione fu non solo il fatto curioso
che in quelloccasione egli incontr lassassino di Gattuso, lormai cinquantenne Michele Ferrara, che piangeva tra
la folla appartato in un portone, ma anche il fatto che da
suo padre si sent dire che Dio solo sa come and veramente quelloscura faccenda (questo episodio, gi rievocato
ampiamente alle pp. 88-90 de La linea della palma, costituisce ora la Premessa di Privo di titolo). Intorno alla
met degli anni Novanta, allepoca della stesura de Il birraio di Preston (anchesso ambientato a Caltanissetta), Camilleri si vide inviare direttamente dallautore, il giornalista
nisseno Walter Guttadauria, il libro Fattacci di gente di
provincia (Caltanissetta 1993), dove la vicenda processuale
del caso Gattuso era dettagliatamente ricostruita. Ad attrarlo subito fu il groviglio pirandelliano e sciasciano del caso:
un morto ammazzato in una rissa e un reo confesso; la veri-

!175

t ufficiale, basata sulle apparenze, che celebra il giovane


attivista fascista barbaramente assassinato da un sanguinario attivista comunista; la verit processuale della difesa,
suffragata dalle perizie balistiche, che stabilisce che il colpo mortale, simultaneo a quello del reo confesso, fu in realt sparato da un camerata di Gattuso, Santi Cammarata,
mai accusato per questo; e infine la verit di comodo della
sentenza definitiva secondo cui il bolscevico spar e uccise per legittima difesa. Camilleri decise allora di trarne un
romanzo, ma il progetto stent a decollare per la difficolt
di dare al contenuto fattuale unadeguata forma narrativa ed
espressiva. Nel 2002 Camilleri dice a Saverio Lodato:
Questa una storia sulla quale, da anni, sto scrivendo un
romanzo (La linea della palma, p. 90), e ancora nellautunno del 2004, subito dopo luscita de La pazienza del ragno, Camilleri cos motiva la difficolt di portare a termine
il romanzo su Gattuso: Pi che i fatti a me interessano due
cose: il linguaggio (in La scomparsa di Pat le corrispondenze, oppure Cose dette e Cose scritte in La concessione del telefono) e la struttura. Io faccio un piano mentale,
come un architetto fa un villino: quanti capitoli dovr essere, che durata ha il respiro di ogni capitolo. Tutto questo io
per Gattuso non ce lho ancora chiaro. () Ne ho scritto
una settantina di pagine e mi sono fermato (da unintervista a Camilleri di Rai Educational, a cura di Gianni Bonina,
disponibile sul sito www.educational.rai.it). Il romanzo sar
portato a termine nel corso dellinverno 2004/2005.
Riprendendo la tecnica narrativa di romanzi come
La concessione del telefono, La mossa del cavallo e La
scomparsa di Pat, il testo consiste in un assemblaggio

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comicamente movimentato di articoli di giornali, lettere,


documenti ufficiali, manifesti, fonogrammi, note burocratiche, ecc., cui si accompagnano sezioni narrative pi o
meno tradizionali (memorabili i tre fermo immagine da
moviola in cui lassassino comunista ripreso e descritto
dettagliatamente nellatto di imboccare la via Arco Arena e
nellatto di esplodere i due colpi fatali durante la colluttazione con gli aggressori fascisti). Camilleri pu cos esibire
una irresistibile ricostruzione della vicenda svariando sui
pi diversi registri linguistici e stilistici, da quello drammatico a quello burlesco e comico-realistico, da quello ridicolmente e fumosamente burocratico a quello puramente
retorico e magniloquente del Regime, fino allautentico
pezzo di bravura rappresentato dalla patetica lettera scritta
a Mussolini dalla moglie di Michele Ferrara (Lopardo nel
romanzo) Filomena Boccadoro, nella quale la donna lo implora di intervenire di persona affinch cessino le intollerabili vessazioni subite dal marito anche dopo lassoluzione,
e sulla quale il Duce di suo pugno scrive: Mandatelo al
confino. Mussolini (pp. 284-285).
Sul piano puramente quantitativo, la storia di
Mussolinia occupa uno spazio relativamente piccolo nel
corpo del romanzo (una ventina di pagine sulle quasi 300
totali), ma il suo peso specifico tuttaltro che marginale,
perch mentre la vicenda Gattuso in fondo un fatto di
provincia piuttosto marginale, la burla della citt-fantasma
coinvolge nientemeno che il Cavalier Mussolini in persona.
In tal modo, laccostamento delle due vicende, bench poco
giustificato sul piano strettamente narrativo, crea un gioco
di rimandi reciproci nella costruzione di un vero e proprio

!177

festival della mistificazione, che coinvolge tutti i livelli del


Regime, dalla sua interpretazione di una rissa mortale avvenuta in una viuzza di Caltanissetta, su su fino al suo
Capo, investito in pieno dalla macchina della menzogna
propagandistica da lui stesso messa in moto. Le fonti storico-documentarie e giornalistiche cui Camilleri ha attinto
per ricostruire la vicenda della fondazione di Mussolinia a
Santo Pietro una localit tra Caltagirone, Niscemi e Acate
sono tutte dettagliatamente indicate nella Nota posta in
margine al romanzo, ma quella che sicuramente la pi interessante, nonch la pi sfruttata (lo stesso Camilleri dice
di essere non uno storico o un urbanista ma un romanziere
che lavora di fantasia, p. 296), costituita dal pezzo di
Leonardo Sciascia del 1969 intitolato Fondazione di una
citt, poi incluso ne La corda pazza. Una lettura comparata mostra che il testo sciasciano seguito passo passo, con
la sola eccezione del numero delle torri di Mussolinia: 16
per Sciascia, 12 per Camilleri (cfr. p. 227). Nella citata intervista a Il Mattino, Camilleri dichiara di aver letto (o
riletto) le pagine di Sciascia su Mussolinia nel periodo in
cui leggeva il libro di Guttadauria e di aver pensato allora
di collegare i due fatti, ma lidea rimasta l, fino a quando non ho trovato la struttura da dare al romanzo.
Il fatto che lo stimolo sia venuto da Sciascia
molto interessante perch crea un circolo di corrispondenze
letterarie che coinvolge anche Italo Calvino e fa s che
Fondazione di una citt, Le citt invisibili e Privo di titolo vengano a costituire un trittico legato insieme da sottili
rimandi intertestuali. Per rendersene conto, baster vedere
qualche data. Sin dal 1954, anno in cui gli arrivano sul ta-

!178

volo di redattore dellEinaudi le Cronache scolastiche,


poi confluite due anni dopo nelle Parrocchie di Regalpetra,
Calvino un lettore attento di tutto quello che Sciascia
manda alla casa editrice torinese per la pubblicazione, e
non manca di mettere per iscritto le sue impressioni di lettura in alcune lettere ormai celebri, gi pubblicate nel 1979
dalla rivista francese LArc e nel 1981 dalla rivista americana Forum italicum, e ora confluite nel Meridiano che
contiene unampia scelta dellepistolario calviniano (Lettere 1940-1985, Mondadori 2000). Ebbene, Einaudi pubblica
La corda pazza nel 1970 e Le citt invisibili nel 1972, e del
14 settembre 1971 una famosa lettera di Calvino a Sciascia su Il contesto. Ora, anche se non risultano riferimenti
espliciti, difficile non supporre che allepoca in cui lavorava alle Citt invisibili Calvino conoscesse il pezzo di
Sciascia su Mussolinia. Se ci fosse vero, allora la Mussolinia raccontata da Sciascia nel 1969 sarebbe una sorta di
prototipo storico-farsesco delle 55 citt calviniane dotate
ciascuna di un nome femminile, oltre che la fonte principale della Mussolinia di Camilleri.
Del resto, la cornice storica da un lato e quella narrativa dallaltro hanno non pochi punti in comune. Se
infatti nella realt abbiamo il Fondatore dellImpero che
riceve dai suoi sudditi e gerarchi due fotomontaggi in cui
una inesistente citt della periferia dellImpero, di cui anni
prima egli stesso ha posto la prima pietra, appare in due
versioni contraddittorie (citt-fortezza dellentroterra boschivo e citt portuale della costa), nella finzione calviniana troviamo il malinconico imperatore dei tartari Kublai
Kan che ascolta dallambasciatore Marco Polo il resoconto

!179

delle sue visite ad alcune citt del vastissimo impero dallarchitettura improbabile, surreale e simbolica (e pertanto
invisibili). E se pure lastratta, geometrica e lirica figurativit delle citt calviniane, restituite da una prosa limpida,
essenziale e speculativa, ha ben poco a che vedere con il
farsesco aspetto di Mussolinia (la letteratura conoscenza,
mentre la storia solo un incubo tragicomico), tuttavia la
prima pagina delle Citt invisibili pu aiutarci a capire
lineluttabile dramma dei tiranni prigionieri dei loro stessi
sogni di grandezza, si chiamino essi Kublai Kan o Benito
Mussolini:
Non detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice
Marco Polo quando gli descrive le citt visitate nelle sue
ambascerie, ma certo limperatore dei tartari continua
ad ascoltare il giovane veneziano con pi curiosit e attenzione che ogni suo altro messo o esploratore. Nella
vita degli imperatori c un momento, che segue allorgoglio per lampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, () in cui si scopre che questimpero
che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie uno
sfacelo senza fine n forma, che la sua corruzione troppo incancrenita perch il nostro scettro possa mettervi
riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto
eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco
Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana dun disegno cos sottile da sfuggire al morso delle termiti.

!180

CAPITOLO TERZO

Dalle bolle ai pizzini.


Lo spirito laico di Camilleri
Leducazione religiosa ricevuta al convitto
vescovile mi ha fatto perdere la fede.
(Andrea Camilleri, in Il carico da undici, p.
406)
E questo sarebbe un bellargomento: i rapporti dei mafiosi con la religione.
(Andrea Camilleri, in La linea della palma,
p. 310)

1. Lo start di Verga
ben noto che la mafia fa il suo ingresso nella letteratura italiana del XX secolo nel 1961, anno in cui esce Il
giorno della civetta di Sciascia. Meno noto il fatto che i
due colpi squarciati che in apertura del romanzo si sentono dallautobus sono leco lontana delle due schioppettate che la sera del 31 agosto 1859 risuonano nella casina di
campagna del Canonico protagonista de La chiave doro di
Verga. Si tratta di una novella poco nota in cui Verga, per la
prima e lultima volta, sfiora il tema della mafia agraria e
della struttura socio-economica su cui si innesta, bench la
parola mafia non vi ricorra mai. Fu pubblicata su rivista
nel 1883 e lanno dopo conflu nella raccolta Drammi intimi. importante prendere in considerazione questo breve
testo perch, per parafrasare la celebre battuta del filosofo

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Alfred North Whitehead secondo cui tutta la storia della


filosofia pu essere considerata come una serie di note
esplicative ai Dialoghi di Platone, tutto quello che Sciascia,
Camilleri e altri avranno da dire su mafia, potere e religione non altro che un commentario a questa novella di Verga, che costituisce davvero una sorta di testo archetipico e
per certi versi definitivo. Bench semplicissima nella trama, impossibile riassumerla senza rovinarne la mirabile
asciuttezza ed essenzialit, perch ogni singola parola
perfettamente calibrata, necessaria e insostituibile. Per tale
motivo conviene sottoporla subito e integralmente allattenzione del lettore.
A Santa Margherita, nella casina del Canonico stavano recitando il Santo
Rosario, dopo cena, quando allimprovviso si ud una schioppettata nella
notte.
Il canonico allib, colla coroncina tuttora in mano, e le donne si fecero la
croce, tendendo le orecchie, mentre i cani nel cortile abbaiavano furiosamente. Quasi subito rimbomb unaltra schioppettata di risposta nel vallone sotto
la Rocca.
- Ges e Maria, che sar mai? - esclam la fantesca sulluscio della cucina.
- Zitti tutti! - esclam il Canonico, pallido come il berretto da notte. Lasciatemi sentire.
E si mise dietro limposta della finestra. I cani si erano chetati, e fuori si
udiva il vento nel vallone. A un tratto riprese labbaiare pi forte di prima, e
in mezzo, a brevi intervalli, si ud bussare al portone con un sasso.
- Non aprite, non aprite a nessuno! - gridava il Canonico, correndo a
prendere la carabina al capezzale del letto, sotto il crocifisso. Le mani gli
tremavano. Poi, in mezzo al baccano, si ud gridare dietro al portone: - Aprite, signor Canonico; son io, Surfareddu! - E come finalmente il fattore del
pianterreno esc a chetare i cani e a tirare le spranghe del portone, entr il
camparo, Surfareddu, scuro in viso e con lo schioppo ancora caldo in mano.
- Che c Grippino? Cos successo? - chiese il Canonico spaventato.
- C, vossignoria, che mentre voi dormite e riposate, io arrischio la pelle
per guardarvi la roba - rispose Surfareddu.
E raccont cosera successo, in piedi, sulluscio, dondolandosi alla sua
maniera. Non poteva pigliar sonno, dal gran caldo, e sera messo un momen-

!182

to sulluscio della capanna, di l, sul poggetto, quando aveva udito rumore,


nel vallone, dove era il frutteto, un rumore come le sue orecchie sole lo conoscevano, e la Bellina, una cagnaccia spelata e macilenta che gli stava alle
calcagna. Bacchiavano nel frutteto arance e altre frutta; un frusco che non fa
il vento; e poi ad intervalli silenzio, mentre empivano i sacchi. Allora aveva
preso lo schioppo daccanto alluscio della capanna, quel vecchio schioppo a
pietra con la canna lunga e i pezzi dottone che aveva in mano. Quando si
dice il destino! Perch quella era lultima notte che doveva stare a Santa
Margherita. Sera licenziato a Pasqua dal Canonico, damore e di accordo, e
il 1 settembre doveva andare dal padrone nuovo, in quel di Vizzini. Giusto il
giorno avanti sera fatta la consegna di ogni cosa col Canonico. Ed era
lultimo di agosto: una notte buia e senza stelle. Bellina andava avanti, col
naso al vento, zitta, come laveva insegnata lui. Egli camminava adagio adagio, levando i piedi alti nel fieno perch non si udisse il frusco. E la cagna si
voltava ad ogni dieci passi per vedere se la seguiva. Quando furono al vallone, disse piano a Bellina: - Dietro! - E si mise al riparo di un noce grosso. Poi
diede la voce: - Ehi!...
- Una voce, Dio liberi! - diceva il Canonico - che faceva accapponar la
pelle quando si udiva da Surfareddu, un uomo che nella sua professione di
camparo aveva fatto pi di un omicidio. - Allora - rispose Surfareddu - allora
mi spararono addosso a bruciapelo - panf! - Per fortuna che risposi al lampo
della fucilata. Erano in tre, e udii gridare. Andate a vedere nel frutteto, che il
mio uomo devesserci rimasto.
- Ah! Coshai fatto scellerato! - esclamava il Canonico, mentre le donne
strillavano fra di loro. - Ora verranno il giudice e gli sbirri, e mi lasci nellimbroglio!
- Questo il ringraziamento che mi fate, vossignoria? - rispose brusco
Surfareddu. - Se aspettavano a rubarvi sinch io me ne fossi andato dal vostro
servizio, era meglio anche per me, che non ci avrei avuto questaltro che dire
con la giustizia.
- Ora vattene ai Grilli, e di al fattore che ti mando io. Domani poi ci
avrai il tuo bisogno. Ma che nessuno ti veda, per lamor di Dio, ora ch tempo di fichidindia, e la gente tutta per quelle balze. Chiss quanto mi coster
questa faccenda; che sarebbe stato meglio tu avessi chiuso gli occhi.
- Ah no, signor Canonico! Finch sto al vostro servizio, sfregi di questa
fatta non ne soffre Surfareddu! Loro lo sapevano che fino al 31 agosto il custode del vostro podere ero io. Tanto peggio per loro! La mia polvere non la
butto via, no!
E se ne and con lo schioppo in spalla e la Bellina dietro, chera ancor
buio. Nella casina di Santa Margherita non si chiuse pi occhio quella notte,
pel timore dei ladri e il pensiero di quelluomo steso a terra l nel frutteto. A
giorno chiaro, quando cominciarono a vedersi dei viandanti sulla viottola
dirimpetto, nella Rocca, il Canonico, armato sino ai denti e con tutti i conta-

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dini dietro, si arrischi ad andare a vedere quel chera stato. Le donne strillavano: - Non andate, vossignoria!
Ma appena fuori del cortile si trovarono fra i piedi Luigino, che era sgattajolato fra la gente.
- Portate via questo ragazzo - grid lo zio canonico. - No! voglio andare
a vedere anche io! - strillava costui. E dopo, finch visse, gli rimase impresso
in mente lo spettacolo che aveva avuto sotto gli occhi cos piccolo.
Era nel frutteto, fatti pochi passi, sotto un vecchio ulivo malato, steso a
terra, e col naso color fuliggine dei moribondi. Sera trascinato carponi su di
un mucchio di sacchi vuoti ed era rimasto l tutta la notte. I suoi compagni
nel fuggire serano portati via i sacchi pieni. L presso cera un tratto di terra
smossa colle unghie e tutta nera di sangue.
- Ah! signor canonico - biascic il moribondo. - Per quattro ulive mhanno ammazzato! Il canonico diede lassoluzione. Poscia, verso mezzogiorno, arriv il
Giudice con la forza, e voleva prendersela col Canonico, e legarlo come un
mascalzone. Per fortuna che cerano tutti i contadini e il fattore con la famiglia testimoni. Nondimeno il Giudice si sfog contro quel servo di Dio che
era una specie di barone antico per le prepotenze, e teneva al suo servizio
degli uomini come Surfareddu per campari, e faceva ammazzar la gente per
quattro ulive. Voleva consegnato lassassino morto o vivo, e il Canonico giurava e spergiurava che non ne capiva nulla. Tanto che un altro po il Giudice
lo dichiarava complice e mandante, e lo faceva legare ugualmente dagli sbirri. Cos gridavano e andavano e venivano sotto gli aranci del frutteto, mentre
il medico e il cancelliere facevano il loro ufficio dinanzi al morto steso sui
sacchi vuoti. Poi misero la tavola allombra del frutteto, pel caldo che faceva,
e le donne indussero il signor Giudice a prendere un boccone perch cominciava a farsi tardi. La fantesca si sbracci: maccheroni, intingoli dogni sorta,
e le signore stesse si misero in quattro perch la tavola non sfigurasse in quelloccasione. Il signor Giudice se ne lecc le dita. Dopo, il cancelliere rimosse
un po la tovaglia da una punta, e stese in fretta dieci righe di verbale, con la
firma dei testimoni e ogni cosa, mentre il Giudice pigliava il caff fatto apposta con la macchina, e i contadini guardavano da lontano, mezzo nascosti fra
gli aranci. Infine il Canonico and a prendere con le sue mani una bottiglia di
moscadello vecchio che avrebbe risuscitato un morto. Quellaltro intanto
lavevano sotterrato alla meglio sotto il vecchio ulivo malato. Nellandarsene
il Giudice grad un fascio di fiori dalle signore, che fecero mettere nelle bisacce della mula del cancelliere due bei panieri di frutta scelte; e il Canonico
li accompagn sino al limite del podere.
Il giorno dopo venne un messo del Mandamento a dire che il signor Giudice avea persa nel frutteto la chiavetta dellorologio, e che la cercassero
bene che doveva esserci di certo.
- Datemi due giorni di tempo, che la troveremo - fece rispondere il Canonico. E scrisse subito ad un amico di Caltagirone perch gli comprasse una

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chiavetta dorologio. Una bella chiave doro che gli cost due onze, e la
mand al signor Giudice dicendo:
- questa la chiavetta che ha smarrito il signor Giudice?
- questa, sissignore - rispose lui: e il processo and liscio per la sua
strada, tantoch sopravvenne il 60, e Surfareddu torn a fare il camparo dopo
lindulto di Garibaldi, sin che si fece ammazzare a sassate in una rissa con dei
campari per certa questione di pascolo. E il Canonico, quando tornava a parlare di tutti i casi di quella notte che gli aveva dato tanto da fare, diceva a
proposito del Giudice dallora:
- Fu un galantuomo! Perch invece di perdere la sola chiavetta, avrebbe
potuto farmi cercare anche lorologio e la catena.
Nel frutteto, sotto lalbero vecchio dove sepolto il ladro delle ulive,
vengono cavoli grossi come teste di bambini.

Come si vede, in questa novella c tutto. C


il contesto feudale, con le sue rigide divisioni di classe, in
cui prospera la mentalit mafiosa; c la religione ridotta a
rito sociale di facciata per intrattenere le donnine; c il canonico-barone che dietro la devozione tutta esteriore offerta
ai sudditi agisce di fatto come un boss mafioso che tiene la
carabina sotto il crocifisso e ha al suo servizio un camparo che anche un killer pluriomicida (successivamente le
figure si scinderanno e, ad esempio in Camilleri, il prete
sar spesso al servizio di un capomafia in qualit di padre
spirituale e di mediatore, come il finzionale don Crucill de
La gita a Tindari e i veri preti intelligenti di cui si parla
alla voce Preti di Voi non sapete); ci sono la connivenza e
lomert del popolino, ridotto a servo tremebondo e superstizioso, che ha interesse a coprire il potente a causa dello
stato di dipendenza e bisogno in cui lo tengono i rapporti
feudali di propriet; c il giudice, espressione dellautorit
statale, che, pur capendo di avere davanti un mascalzone,
una specie di barone antico per le prepotenze, un complice e mandante, subito dopo si fa corrompere con una

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tavolata di delizie imbandita da donne devote al prete-padrone e nel contempo esercita una concussione opportunamente misurata; c la componenda, il mettersi daccordo
tra galantuomini per uscire dallimbroglio rappresentato
dal cadavere di un poveraccio, della cui morte atroce dopo
unagonia durata tutta la notte nessuno si cura; e c infine
il totale disprezzo delle leggi e della giustizia umane in
nome di quellimpostura ideologica del rapporto diretto con
un legislatore e un giustiziere sovrumano che di fatto maschera il privilegio sociale ed economico (su questo punto
fondamentale torneremo, perch lo ritroveremo nel ritratto
culturale di Provenzano fornito da Camilleri).
In questo capitolo esamineremo in particolare
il modo in cui Camilleri affronta il tema del rapporto tra
mafia e religione in due testi molto significativi, La bolla di
componenda e Voi non sapete, nonch in una prolusione
ricavata dallampliamento di alcune voci di questultimo.
bene precisare subito che qui user il termine religione
per indicare soprattutto la pratica sociale ritualista e supersiziosa e limpalcatura culturale oscurantista sostenuta e
indotta da un certo clero, soprattutto siciliano. Una sua definizione sintetica in relazione a un altro tipo di clero la si
trova nel gi citato pezzo de La corda pazza intitolato Una
rosa per Matteo Lo Vecchio. Sciascia osserva che nella
fase della controversia liparitana svoltasi durante la breve
gestione del Regno di Sicilia da parte dei Savoia, si svilupp in Sicilia un effimero clero che credeva in Dio e propugnava il diritto dello Stato contro la temporalit della
Chiesa, grazie anche a influenze gianseniste e a contatti
pi stretti con una cultura francese gi attraversata da

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sprazzi di illuminismo. Questo clero, che ancora oggi esiste


e che qui verr ignorato, si pose in aperto contrasto con il
vecchio clero isolano sostanzialmente ateo, avido di benefici, intento a scrutare e ad avallare prodigi e
superstizioni. Di questo vecchio clero isolano unesemplificazione indimenticabile aveva fornito Federico De Roberto ne I Vicer (1894) attraverso don Blasco, il monaco avido, lussurioso e trasformista che attraversa il romanzo
come un interminabile urlo isterico (se ne veda lo straordinario ritratto in stile manzoniano di monaco forzato allinizio del terzo capitolo della prima parte). Di lui si ricordato certamente Camilleri quando ha creato personaggi come
padre Imbornone di Un filo di fumo, padre Carnazza de La
mossa del cavallo e padre Burruano de La presa di Macall, tanto per citare solo i pi importanti.
Questo tipo di clero, potentissimo, intrinsecamente
mafioso e onnipresente nel tessuto sociale della Sicilia anche dopo lUnit era gi definito ignorante, corrotto e insaziabile dal professor Giuseppe Stocchi nella seconda
delle quattordici lettere del 1874 di cui si d conto ne La
bolla di componenda (cfr. p. 84); ed quello che in genere
rappresenta Camilleri attraverso molte delle sue figure di
religiosi. Padre Uh de Il re di Girgenti e il vescovo Peruzzo del pi recente Le pecore e il pastore sono solo due delle
poche eccezioni costituite da religiosi, diciamo cos, virtuosi nelluniverso camilleriano.
Qui, dunque, si presupporr come parziale correlato
oggettivo del generico termine religione proprio questo
clero, che scatena la controversia liparitana per ottocento
grammi di ceci, che inventa la scellerata e criminogena

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bolla di componenda e che per difendere la roba consente che si ammazzi un povero cristo per quattro ulive
senza rimorso e senza conseguenze giudiziarie, anzi coprendo lassassino, seppellendo alla meglio il cadavere sotto un vecchio ulivo malato e aggiustando limbroglio con
un piccolo regalo in oro al giudice.

2. La bolla di componenda e il clero mafioso


La bolla di componenda usc per la prima volta nel
1993 nella collana specialistica Quaderni della Biblioteca
siciliana di storia e letteratura della Sellerio. Sullonda del
successo riscosso dallo scrittore a partire dagli anni immediatamente successivi soprattutto con La forma dellacqua,
Il Birraio di Preston e Il cane di terracotta, il breve saggio
fu poi riedito nel 1997 nella pi diffusa collana La memoria, che comprende le altre opere di Camilleri. Questo libretto delizioso, sicuramente una delle perle della produzione camilleriana, ha richiesto un lavoro di ricerca piuttosto lungo, se vero che Camilleri ne poteva parlare con
Sciascia, morto quattro anni prima della sua pubblicazione.
Ed proprio Sciascia il suo ispiratore, perch lindagine
storica, sociale e culturale in cui esso consiste tipicamente
sciasciana: Camilleri introduce la lama della ricerca documentaria di taglio illuministico nelle crepe del muro della
storia e dei documenti ufficiali per portare alla luce alcune
verit sconvolgenti che erano state occultate per essere tolte
alla vista dellopinione pubblica.

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Oggi la Chiesa spesso accusata, tra laltro, di responsabilit morale per lalta mortalit di bambini e delle
donne che ricorrono allaborto clandestino in certi paesi
cattolici del Terzo Mondo a causa del suo appoggio pi o
meno diretto a politiche governative contrarie alla diffusione nella popolazione delle pratiche contraccettive. In questo caso, per, si tratta al massimo di conseguenze non intenzionali che scaturiscono da principi astratti di etica sessuale di per s non malvagi (il valore della castit, laccoppiamento finalizzato solo alla procreazione, ecc.), applicati magari con miopia e con scarso senso pratico. Almeno
fino al XIX secolo, invece, soprattutto in Sicilia, la Chiesa
isolana ha introdotto credenze, pratiche e costumi per taluni
versi criminogeni che hanno costituito un terreno di coltura
ideale per la diffusione e il radicamento della mentalit mafiosa. La violenza, lestorsione, lomert, la connivenza,
lidea di una legalit alternativa fondata sul patteggiamento
e sullintimidazione al di fuori dellordine legale istituzionale, ecc., tutti tratti tipici del sistema mafioso, hanno ricevuto un avallo influentissimo da parte dello stesso clero
presso le masse ignoranti e abituate a un rispetto acritico
nei confronti della Chiesa, come dimostra soprattutto la cosiddetta bolla di componenda e come facevano notare gi
nel periodo immediatamente successivo allUnit dItalia
alcuni spiriti critici e laici del tempo.
Ma che cos la bolla di componenda? Procedendo a coda di porco (p. 31), cio con digressioni, svolte,
esempi, spostamenti casuali lungo lasse del tempo, ritorni,
attorcigliamenti e persino invenzioni narrative (il racconto
finale su Tano Fragal), Camilleri ricostruisce lesistenza di

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un documento scandaloso venduto dalla Chiesa in certi periodi dellanno (da Natale allEpifania) basandosi su alcune
pagine degli atti dellInchiesta sulle condizioni sociali ed
economiche della Sicilia, compiuta da unapposita Commissione parlamentare dal 6 novembre 1875 al 29 gennaio
1876. Tali atti, come gi abbiamo avuto modo di osservare,
costituiscono una fonte preziosa per il Camilleri storico,
che ha potuto consultarli sia in originale presso lArchivio
di Stato sia nellampia silloge in due volumi pubblicata nel
1968 dalleditore Cappelli.
Prima di spiegare la natura della bolla di componenda Camilleri deve chiarire che cos la componenda
e che cos una normale bolla delle indulgenze, o bolla dei
luoghi santi. La voce Componenda del Dizionario storico della mafia di Gino Pellotta (1977), riportata da Camilleri, recita: Forma di compromesso, transazione, accordo
fra amici. Veniva stipulata tra il capitano della polizia a cavallo e i malviventi o i loro complici in una data et storica
della Sicilia. Grazie alla componenda, il danneggiato poteva rientrare in possesso di una parte di ci che gli era stato
sottratto; in cambio ritirava ogni denuncia. Tutto veniva
dimenticato, magari in cambio di cortesie formali, di dichiarazioni di rispetto. In tal modo lufficiale di polizia sistemava le cose, creando una prassi, una forma di giustizia
al di fuori delle leggi ufficiali. Si formava, anche per questa
via, una legge, una legalit diversa, e anche questi elementi, seppure marginali, tornano nel discorso generale di ci
che pu essere la mentalit mafiosa. E daltronde chi pu
sostenere che sia del tutto scomparsa? Piuttosto da pensare che al posto dellufficiale di polizia possa intervenire la

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mafia, in un ruolo di mediazione, di giustizia mafiosa. In


tal caso, il padrino, oppure il boss, decide: si restituisca in
parte o si restituisca tutto (p. 33). Camilleri, per, non
molto soddisfatto di questa definizione, che trova alquanto
generica. In precedenza, infatti, ha proposto diversi esempi
storici (lattivit illecita di restituzione della refurtiva dietro
riscossione di percentuali dellinglese Jonathan Wild, cui
Daniel Defoe dedic una biografia nel 1725, anno della
morte del malfattore, e che Brecht far rivivere trasfigurato
ne Lopera da tre soldi; la cattura del generale spagnolo
Jos Borjes postosi a capo di un piccolo esercito di briganti
e di forze filoborboniche allepoca della repressione del
brigantaggio; luccisione combinata del bandito Giuliano) o attinti dai ricordi personali (il racconto iniziale del
giornalista Giorgio Vecchietti; lincontro nel 1947 con uomini della banda di Giuliano, che in cambio del trasporto
sicuro di pesce da Porto Empedocle a Palermo esigevano
una percentuale della merce) dai quali si potrebbe dedurre
che tutto il mondo una componenda (p. 31).
Prendiamo ad esempio il racconto che Vecchietti
fece un giorno a Camilleri di un episodio accadutogli allepoca in cui dirigeva il telegiornale della seconda rete. Vecchietti intendeva eliminare dal suo telegiornale quelle che
oggi si chiamano marchette, cio i servizi retorici e propagandistici a beneficio di politici, imprenditori e istituzioni varie. Tra questi servizi aveva incluso quelli della serie
Brillante operazione della Guardia di Finanza contro il
contrabbando di sigarette, perch semplicemente ripetitivi.
Ma una sera venne avvicinato da un misterioso individuo
(evidentemente un potente) il quale gli fece notare che, cos

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facendo, veniva a spezzare una componenda, cio un


gentlemans agreement. Questo accordo tra gentiluomini
coinvolgeva tutti, dalla Finanza ai giornalisti che salivano
sulle motovedette per fare il servizio in diretta, dai contrabbandieri alla societ produttrice delle sigarette. I finanzieri,
infatti, ci guadagnavano in elogi, encomi e promozioni; il
giornalista in prestigio; altri contrabbandieri usufruivano di
un momento di tranquillit dopo la brillante operazione,
mentre per il produttore di sigarette si trattava di pubblicit
gratuita, visto che la marca delle sigarette sequestrate
(sempre la stessa) veniva inquadrata a lungo nel servizio.
Lunico ad essere gabbato era il solito popolo bue. Se poi si
pensa che oggi la televisione quasi esclusivamente questo, con interi programmi televisivi (dallo spettacolo alla
fiction) che sono dei veri e propri contenitori per la pubblicit spesso occulta, per non parlare dei telegiornali e dei
talk-show di approfondimento, spesso al servizio dei politici e di altri rappresentanti di precisi interessi economici, si
comprende che, almeno il mondo della comunicazione,
una gigantesca componenda ai danni del popolo degli
elettori e dei consumatori.
Definita la nozione di componenda nelle sue diverse sfumature, Camilleri passa a un ricordo di famiglia e
d conto di una bolla dei luoghi santi trovata tra le cose
della madre. Questa bolla era venduta da certi frati ed era
un modo per aggirare il divieto della vendita delle indulgenze, ovvero la sua forte restrizione stabilita dal Concilio
di Trento: Cera, e me ne accorsi dopo, un sottile marchingegno. Vale a dire: i frati non vendevano direttamente
lindulgenza n istituivano un parallelo tra essa e lofferta

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ma si limitavano a vendere la tessera di socio di una figliolanza che, a sua volta, godeva dellindulgenza. Ogni
rapporto diretto era cos eliminato, non cera causa, non
cera effetto (p. 39). Tale bolla, quindi, era una specie di
talismano che, se in stato di grazia, garantiva messe gratuite e indulgenze e preservava dai flagelli divini. In caso di
calamit naturali, per esempio, bastava strapparne dei pezzettini e lasciarli portar via dal vento per placare la furia
degli elementi.
In questo caso, evidentemente, si tratta di semplice
sfruttamento a fini di lucro della credulit popolare, perpetrato dalle chiese e da altri ciarlatani da quando esiste il
mondo. Non pare sussistere alcun rapporto, inoltre, tra la
componenda e la bolla dei luoghi santi, che sono effettivamente cose diverse. In Retablo (1987) di Vincenzo Consolo, poi, Camilleri trova ulteriore conforto, perch vi vengono citate sia la componenda che le bolle suddette, e siccome Consolo non mette in rapporto le due cose, la ricerca di
Camilleri ha ancora un senso, perch c da scoprire il terzo
oggetto misterioso: la bolla di componenda.
A questo punto della sua ricerca, Camilleri ricorda
finalmente che della bolla di componenda aveva letto
qualcosa tra le 1410 pagine dellInchiesta sulle condizioni
sociali ed economiche della Sicilia. Mettendo insieme le
parole bolla e componenda si profila allorizzonte il
pi infame documento mai prodotto dalla Chiesa, che
cosa ben diversa dalla quasi innocua bolla dei luoghi santi,
comprata in genere da donnette superstiziose.
Tra le persone attentamente selezionate sentite dalla
Commissione parlamentare cera il comandante generale

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militare della Sicilia, Alessandro Avogadro di Casanova,


che aveva il grado di Tenente Generale. Camilleri mostra
grande simpatia per questo militare illuminato che, interrogato sullattivit di repressione del malandrinaggio svolta
dallesercito, si lascia andare a considerazioni di carattere
socio-culturale sulle radici profonde della mentalit delinquenziale diffusa in Sicilia e tira in ballo, tra le altre cose,
le suggestioni incessanti del clero (p. 48). Queste suggestioni, spiegher nel corso delludienza, si condensano nella bolla di componenda, di cui possiede una copia che
manda alla Commissione e che in seguito misteriosamente
sparisce dagli atti. Come preciser il professor Stocchi (su
questo il Tenente Generale era stato impreciso) si trattava
di un documento venduto dalla Chiesa in base al quale si
risultava preventivamente composti per una ventina di
reati (escluso lomicidio), uno pi abominevole dellaltro.
Nel caso di furto, per esempio, una bolla di lire 1,13, acquistata anche prima del furto, permetteva di tenere con tranquilla coscienza una refurtiva fino a lire 32,80. Questo fino
a un tetto di 1.640,50 lire di refurtiva (da comporre con uno
numero proporzionale di bolle da 1,13 lire), superato il
quale, la componenda avveniva a quattrocchi col vescovo,
cio ci si metteva daccordo da galantuomini.
Dichiara il Tenente Generale nel corso delludienza,
dopo aver fatto risalire lorigine della pratica allepoca delle crociate: questa povera gente ingannata da chi la dovrebbe condurre... E quando un paese di molta immaginazione, di passioni vive, si trova immerso (...) in quella putredine da chi deve condurlo alla virt, o per mezzo di motivi umani o per mezzo di motivi superiori a tutto, come

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diceva un prete, quanto a questo bisogna essere giusti, bisogna dire che linfamia loro (p. 62). Avogadro di Casanova, infatti, considera questa pratica causa determinante di
pervertimento morale nella popolazione, che viene educata
allidea che basti una vera e propria tangente alla Chiesa
per essere autorizzati a commettere reati con la coscienza
tranquilla e senza paura di cadere in peccati non emendabili. Ma la Commissione, dando prova di miopia intellettuale
e metodologica forse non del tutto inintenzionale, ritenne
irrilevanti le osservazioni fuori dal seminato del Tenente
Generale, al punto da smarrire la copia della bolla da lui
acclusa alla relazione sulla dislocazione delle truppe dellesercito nellisola. Chiosa Camilleri: diciamolo subito, a
chiare lettere, prima di andare oltre: la componenda (e cio,
ripetiamolo, laccordo illecito tra briganti e poliziotti) non
altro che la versione laica e in un certo senso addomesticata dellautentica e originaria bolla di componenda. La quale
invece consiste in un incredibile tariffario a stampa, emesso
ufficialmente dal clero (bolla) con le percentuali da pagare alla Chiesa per i reati commessi. La compera della bolla
da parte dei malfattori viene automaticamente a costituire
sottoscrizione di patto. Questo spiega perch Casanova,
quando ne parla, nutre il timore dellincredulit altrui (p.
79). In altre parole, con questo documento la Chiesa si inseriva come soggetto attivo nelleconomia e nel fatturato
della criminalit, che in tal modo era incoraggiata, preventivamente assolta nel confessionale e in ultima analisi autorizzata nellambito di un sistema legale alternativo a quello
dello Stato. Un sistema legale, cio, coincidente con quello
della mafia, non a caso da sempre spiritualmente pi vicina

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alla Chiesa che allo Stato, come vedremo meglio in seguito.


Quando in Sicilia si sparse la voce dellimminente
arrivo della Commissione dinchiesta, molti cittadini ed
enti di varia natura produssero lettere (in genere anonime),
articoli e documenti ufficiali nellintento di collaborare o
semplicemente di denunciare problemi relativi al lavoro
della stessa. Tra questi, Camilleri si sofferma sui quattordici articoli pubblicati su La Gazzetta dItalia tra lagosto e
il settembre 1874 da tale Giuseppe Stocchi, preside del Regio Ginnasio Ciullo di Alcamo. Loccasione di questi articoli venne offerta da un dibattito ospitato dal giornale sui
provvedimenti amministrativi da prendere per risolvere i
problemi di ordine pubblico e di costume morale della Sicilia. Stocchi rilevava che per rimuovere lo stato di pervertimento morale in cui versava la societ civile siciliana occorreva andare alle radici, cio alle cagioni profonde del
malessere, e non limitarsi a misure amministrative superficiali come la scelta dei funzionari, la provenienza dei magistrati, una nuova regolamentazione della milizia a cavallo,
ecc. Stocchi, quindi, spostava lattenzione dal piano amministrativo a quello socio-politico e culturale e soprattutto
nel secondo articolo, La questione sociale Elemento religioso, svolgeva delle considerazioni acutissime che hanno attratto lattenzione di Camilleri, anche perch tra le
cagioni del pervertimento morale dei siciliani il professore includeva la bolla di componenda, sulla quale si mostra
informatissimo: La natura del siciliano intrinsecamente
non religiosa, ma superstiziosa. Tale disposizione naturale
poi fomentata dallinteresse; prima perch in quella specie

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di fatalismo, che inseparabile da qualunque religione positiva, egli trova una scusa e quasi una sua giustificazione
alla sua ritrosia al lavoro e al darsi attorno; poi perch le
turpi condiscendenze e larghezze di un sacerdozio ignorante, corrotto e insaziabile, gli addormentano la voce e i rimorsi della coscienza, prodigandogli assoluzioni e benedizioni per qualunque colpa o delitto, e lo incoraggiano ai
vizi e ai misfatti a cui tanto proclive. Qui la prima radice di ogni male. I facinorosi pi famigerati cominciano
sempre col furto e con la componenda. Ora il furto e la
componenda sono non solo tollerati e perdonati, ma autorizzati e incoraggiati dal cattolicismo come lo intende e lo
pratica il sacerdozio e il laicato siciliano. E difatti sapete
voi di dove viene il nome stesso di componenda? Viene
dalla bolla di componenda (tale il suo titolo ufficiale e
popolare insieme) che ogni anno si pubblica e si diffonde
larghissimamente per espresso mandato dei vescovi, in tutte le borgate e le citt della Sicilia (pp. 84-85). Stocchi
passa poi a specificare il prezzo di ciascuna bolla (1,13 lire)
e il corrispondente valore (32,80 lire) della refurtiva che
essa permette di trattenere con tranquilla coscienza, nonch
il tetto massimo di roba o denaro rubati (1.640,50 lire) che
pu essere composto a suon di bolle, come abbiamo visto.
Ma se le cose stanno cos, osserva Stocchi, la Chiesa, con
la sua enorme influenza soprattutto sulle donne e sui bambini e con questa sua partecipazione agli utili della criminalit, costituisce un cancro etico e culturale che imprigiona i
siciliani come tra le spire del boa in un incantesimo cognitivo e pratico moralmente perverso: Ora che cos il
prezzo della bolla di componenda? Al tempo stesso che una

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tassa in favore del clero sul delitto, una partecipazione al


furto e un furto esso stesso. E il volgo, sottilissimo ragionatore e logico impareggiabile, nei suoi interessi e nei suoi
vizi, ne conclude (e sfido se pu essere diversamente) che
se partecipa ai furti e ruba il prete, a pi forte ragione pu
rubare lui, e che perci il rubare non peccato. E quando il
siciliano ignorante si persuaso che una cosa non peccato, di tutto il resto non teme e non si cura, soccorrendogli
mille mezzi e infinite vie a non cadere o a sfuggire alle
sanzioni della giustizia umana. Gli basta essere certo (stolta
ma esiziale certezza) che non andr allinferno; e da questa
unica paura lo guarentisce lesempio e lassoluzione del
prete. E la bolla di componenda che cosa essa? , n pi
n meno, un ricatto (p. 87).
La conclusione di Camilleri ribadisce la nettissima
differenza che sussiste tra le relativamente innocue bolle
dei luoghi santi e la bolla di componenda, uno strumento
attraverso cui la Chiesa si confonde con unassociazione
per delinquere di stampo mafioso, peraltro detentrice della
stessa sovrastruttura ideologica che fornisce alla mafia le
condizioni di possibilit per la sua esistenza e per il suo radicamento nella struttura mentale dei siciliani devoti: Non
c modo alcuno di nobilitare (mi si passi il verbo) la bolla
paragonandola a una qualsiasi bolla dindulgenza, anche la
pi degenerata. La bolla di componenda un puro e semplice, ma torno a ripetere devastante, pactum sceleris: solo
che uno dei contraenti la pi alta autorit spirituale, la
Chiesa, qui certamente non mater ma cattiva magistra (p.
97). Non sorprende, allora, che Sciascia abbia potuto dire a
Camilleri che, scomparsa dagli atti la bolla di componenda

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allegata da Avogadro di Casanova alle sue dichiarazioni


scritte, nessunaltra bolla sarebbe pi riemersa dalle discariche della coscienza della Storia. A quellepoca, cio alla
fine degli anni Ottanta, Camilleri non poteva non mostrarsi
daccordo, soprattutto perch non avrebbe mai immaginato
che sarebbe diventato di l a qualche anno il pi grande best
seller italiano. E cos dovette accontentarsi di scrivere un
saggio su un documento che non aveva mai visto e su cui
aveva solo le informazioni di seconda mano fornite da
Avogadro e da Stocchi. Ma lenorme diffusione dei suoi
romanzi ha avuto un effetto di trascinamento sui suoi libri
precedenti, tra i quali appunto La bolla di componenda, e
ci ha aumentato le probabilit di trovare lettori in possesso
di una bolla originale. Come ha dichiarato Camilleri a Bonina, due lettori, dopo la pubblicazione, mi hanno inviato
due bolle di componenda che risalgono alla fine del Settecento. Quindi luso della bolla va spostato indietro nel tempo. Di quella di cui parlava il generale Avogadro non ne ho
trovato traccia, come ipotizzava Sciascia. Nei fascicoli, al
posto della bolla in copia, ho trovato sempre lo stesso foglietto: documento mancante (Il carico da undici, p. 261).
Come altre Commissioni parlamentari dinchiesta,
anche quella del 1875-1876 aveva tra i suoi compiti quello
di far finta di cercare la verit tragediando un po e soprattutto quello di occultarla, laddove essa fosse emersa per
caso e fosse risultata particolarmente scomoda per gli intoccabili.

!199

3. I pizzini di Provenzano e la mafia clericale


Ho davanti a me 72 tra lettere e biglietti che sempre una
stessa persona invia o in risposta a lettere di altri (che
per qui non prendo in considerazione) o per dare suggerimenti, consigli, pareri sulla conduzione di grandi e molteplici affari.
Coprono un arco di tempo che va dal 2001 al 2004.
La particolarit che appare subito evidente, a leggere in
fila lettere e biglietti, consiste nel fatto che lo scrivente
una persona profondamente religiosa e animata da alti e
severi principi morali.
Ogni lettera, ogni biglietto per quanto breve possa essere, termina sempre con la stessa formula:
Vi benedica il Signore e vi protegga.
Identico sempre lincipit:
Con laugurio che la presente vi trovi tutti in ottima
salute. Come, grazie a Dio, al momento posso dire di
me.
Insomma, tutte le missive si aprono e si chiudono col
nome di Dio.
Allinterno di esse torna per 43 volte lespressione:
Con il volere di Dio.
Anche la Divina Provvidenza viene a essere citata in
pi occasioni:
Ci dobbiamo accontentare della Divina Provvidenza
del mezzo che ci permette.
Le festivit religiose sono ricordate puntualmente e con
insistenza: Ditemi se andiamo incontro a un Santo Natale.
Oppure:
A tutti vi auguro di passare Una Buona Felicissima
Serena Santa Pasqua, oppure:
In ricorrenza della Santa Pasqua per quello che il nostro Buon Dio ci permette di passare, di cuore vi auguro
che potete passare UNA BUONA FELICISSIMA SERENA SANTA PASQUA uniti ai propri cari.
E ancora:

!200

Vi auguro un Felicissimo Santo Natale, che sia portatore di bene, di salute, di pace, di serenit e di soddisfazione. Questa bottiglia la dovete aprire quando siete tutti
presenti, tutta la famiglia. Due gocce luno alla mia salute.
Dio insomma sempre presente nei pensieri dello scrivente, egli certe volte se lo sente a fianco che lo protegge
e in una lettera lo ringrazia addirittura per averlo aiutato a
trovare un nuovo luogo dove stare, migliore di quello di
prima.
pi che naturale quindi che lettere e biglietti siano
ricchi di buoni insegnamenti, di preziose regole di vita,
sia pure un po allantica:
Ti prego di essere calmo, e retto, corretto e coerente,
sappi sfruttare lesperienza delle sofferenze sofferte, non
screditare tutto quello che ti dicono, e nemmeno credere a
tutto quello che ti dicono, cerca sempre la verit prima di
parlare, e ricordati che non basta mai avere una sola prova per affrontare un ragionamento, per essere certi in un
ragionamento occorrono tre prove, e correttezza, e coerenza.
E ancora:
Ricordati che sbagliare umano, basta dirlo e si chiarisce.
E ancora:
Bisogna impegnarsi per portare a termine gli studi magari con qualche sacrificio: la laurea sar meglio delleredit di un feudo.
E ancora:
Bisogna sempre sentire laltra campana.
un uomo che pur avendo un immenso potere anche
sul destino individuale delle persone che per motivi
daffari o altro vengono in contatto con lui, non impartisce ordini, non impone mai la sua volont di numero uno
dellimpresa della quale il capo indiscusso.
Il mio fine pregarvi - scrive.
E ancora:
Io con il volere di Dio voglio essere un servitore, comandatemi e se possibile con calma e riservatezza andiamo avanti.

!201

Oppure:
Sono nato per servire.
E infine:
Tu mi chiedi se io ho qualche consiglio in merito, cerco lo stesso da te, che tu potessi consigliare a me.
A questo punto credo che tutti avrete capito che lautore
delle missive Bernardo Provenzano e che le frasi da me
citate sono estrapolate dai famosi pizzini.

Cos comincia la Lectio Doctoralis su La religiosit di Provenzano tenuta da Camilleri il 3 maggio 2007
a LAquila in occasione del conferimento della Laurea Specialistica Honoris Causa in Psicologia Applicata, Clinica e
della Salute (indirizzo Psicologia Applicata allAnalisi
Criminale), il cui testo disponibile tra laltro allindirizzo
web http://www.vigata.org/laurea/lectio_aq.shtml. Il rapporto di questo testo con Voi non sapete. Gli amici, i nemici, la mafia, il mondo nei pizzini di Bernardo Provenzano,
lalfabeto mafioso in sessanta voci uscito presso Mondadori nellottobre dello stesso anno, cos spiegato da Camilleri a Bonina: La lectio doctoralis tratta dal libro che stavo
scrivendo ed esamina solo il curioso aspetto della religiosit di Provenzano. Dato che la laurea era in criminologia,
cadeva a taglio. Per la lectio un po diversa e pi lunga
della voce contenuta nel libro (Il carico da undici, pp.
450-451). In effetti, la Lectio si potrebbe definire una sintesi a tema (quello della religiosit dei mafiosi, appunto) di
Voi non sapete, di cui a ben vedere utilizza, oltre a Religiosit, anche altre voci, tra cui soprattutto Ammazzare,
Giustizia, Preti e Croce.
Una cosa da sottolineare subito il fatto che
in questi due testi Camilleri fa un interessante riferimento a

!202

La bolla di componenda, fornendo anche delle informazioni nuove rispetto a quelle contenute nel saggio pubblicato
quattordici anni prima. Loccasione fornita dallaccenno
ai preti definiti intelligenti dai mafiosi, a quei preti, cio,
che non considerano la mafia un peccato e che non di rado
sono consiglieri e padri spirituali dei mafiosi, anche se latitanti. Citiamo dalla Lectio, perch nel passo parallelo di Voi
non sapete (voce Religiosit, pp. 152-153) c qualche
dettaglio in meno: Apro una piccola parentesi. Dunque
esistono preti intelligenti, disposti cio a capire e a perdonare la mafia e i suoi delitti, e preti non intelligenti che finiscono col fare la fine di don Pino Puglisi e di altri. Il problema che, almeno in Sicilia, troppi preti hanno avuto voglia di mostrarsi intelligenti con il malaffare. Ne ho parlato
ampiamente nel mio saggio La bolla di componenda, bolla
che risale addirittura al 1477 e allora si chiamava Taxae
cancelleriae et poenitentiariae romanae, dove, tanto per
fare due esempi, allarticolo 6 si perdonava la falsa testimonianza in tribunale e allarticolo 10 la subornazione dei
giudici. Anche il furto veniva condonato dietro versamento
di tar due, grana 12 e piccioli 5, dopodich, recitava latto,
rimanendo libero e perdonato in foro coscientiae potevasi
tenere il danaro come sua cosa propria giustamente guadagnata e acquistata. Chiusa la parentesi. In Voi non sapete,
la dicitura latina della bolla originaria taxa cancelleriae et
poenitentiariae romanae, ma quella esatta dovrebbe essere
Taxae cancellariae et poenitentiariae romanae, come si
legge a pagina 30 di Mafia & Mafiosi: Origin, Power and
Myth di Henner Hess (edizione inglese a cura di Ewald
Oser, Londra 1998), che sicuramente la fonte di Camilleri

!203

per queste nuove informazioni sulla bolla, anche se lui non


lo dice (in Voi non sapete e nella Lectio citato esplicitamente e in un contesto differente Mafia di Hess nelledizione Laterza del 1973).
Camilleri ricorda che la frequentazione tra
preti intelligenti e mafiosi cosa nota, perch questi ultimi si mostrano volentieri animati da fervidi sentimenti
religiosi: Tanti mafiosi sono religiosi. Un feroce capomafia di Misilmeri, Momo Grasso, ogni anno, interpretava la
parte di Ges nella rappresentazione popolare della Passione. Ci teneva tanto che soffiargli la parte poteva risultare
letale. Quando la polizia arresta il capomafia Pietro Aglieri
si sorprende di trovare nellappartamento dov nascosto
una piccola stanza destinata a cappella con tanto di altare e
statua della Madonna. Ancor di pi si sorprende quando
apprende che Aglieri aveva un padre spirituale, un prete col
quale si confessava regolarmente. Ma non cera da stupirsi.
Aglieri, dopo luccisione di don Pino Puglisi da parte della
mafia, gi si era voluto incontrare, da latitante, col parroco
della chiesa della Magione per dirgli quanto fosse rimasto
turbato da quellomicidio. Aglieri era il figlioccio molto
amato di Bernardo Provenzano e i due si tenevano in stretto
contatto. La riforma di Provenzano prevedeva, tra le altre
cose, linstaurazione di nuovi rapporti con la Chiesa (Lectio; cfr. Voi non sapete, voce Religiosit, pp. 151-152).
Un esempio finzionale ma eloquentissimo di
prete intelligente Camilleri lo aveva fornito ne La gita a
Tindari, nel corso del gi ricordato incontro tra Montalbano
e il capomafia don Balduccio Sinagra. La scena ha tratti
comici e farseschi, com tipico del miglior Camilleri, ma

!204

vale la pena rileggerla alla luce di quello che si sta illustrando qui:
Ecco il nostro caro dottor Montalbano! fece gioioso e
con voce squillante Guttadauro.
Mi deve scusare se non mi suso disse don Balduccio
con un filo di voce ma ho le gambe che non mi tengono
pi.
Non accenn a pruire la mano al commissario.
Questo don Sciaverio, Sciaverio Crucill, che stato
e continua ancora a essere il patre spirituale di Japichinu,
il mio niputuzzo santo, calunniato e perseguitato dagli
infami. Menu mali che un picciotto di grande fede, che
patisce la prosecuzione che gli fanno offrennula al Signuri.
La fede una gran cosa! esal patre Crucill.
Se non taddorme, ti riposa complet Montalbano (p.

116).
Tutta la scena un gioco di finzioni. Lo scopo del
capomafia far capire a Montalbano che intende consegnargli il nipote latitante per proteggerlo dallinfluenza della nuova mafia, a suo dire pi efferata e lontana dal suo
vecchio codice donore. E sar proprio il prete a farsi da
tramite conducendolo nel covo, dove Japichinu verr trovato morto, fatto ammazzare proprio dal vecchio, il quale
aveva allestito il teatro dellincontro con il commissario
proprio per costruirsi un alibi. Padre Crucill, dunque, incarna quella figura di prete intelligente che frequenta abitualmente i mafiosi, ne raccoglie le confidenze e si fa da
tramite per la gestione di alcune relazioni esterne. Per questa categoria di ecclesiastici la fede davvero una gran
cosa, perch essa fornisce quel paravento indispensabile,

!205

nel gioco sociale dellipocrisia e dellattribuzione a priori


di prestigio morale, spirituale e intellettuale allabito talare,
dietro cui intessere relazioni pericolose e gestire il potere
lontano da occhi indiscreti.
Che la conversazione tra Montalbano e don Balduccio sia molto importante lo dimostra anche il fatto che essa,
come gi ricordato, ricalca quella reale avvenuta nel 1949 a
Roma tra il giovane Camilleri e il boss italoamericano Nick
Gentile, per i siciliani U z Cola. Questo ricordo lontano,
gi raccontato altre volte, Camilleri torna a rievocarlo alla
voce Ammazzare di Voi non sapete (pp. 21-22) e nella
Lectio, perch intende istituire un parallelismo tra letica
mafiosa di Nick Gentile (gi raffigurato in don Balduccio)
e quella di Provenzano, che vuole tornare alla vecchia mafia per uscire dal vicolo cieco cui aveva condotto la strategia della violenza di Tot Riina:
Capit in un pomeriggio del dicembre 1949, un mio
lontano parente mi aveva pregato di sostituirlo nella sua
gioielleria romana per qualche ora e io a un tratto vidi
entrare U z Cola che avevo intravisto una volta al mio
paese in Sicilia. Indovin di chi ero figlio, ebbe parole di
stima per mio padre e cominciammo a parlare. Gli piaceva parlare. Infatti qualche anno dopo dett a un giornalista, Felice Chilanti, le sue memorie americane e il libro
ebbe come titolo Vita di capomafia. Parlammo per tre
ore, interrotti solo una volta dallentrata di un cliente. Tra
le altre cose, chiamandomi duttureddru, mi spieg la
sua idea di mafia. Che qui riporto.
Duttureddru, se io entro qua dentro, Vossia ha in sacchetta una pistola, me la punta, io sono disarmato, e mi
dice: Cola Gentile, inginocchiati! Io che faccio? Minginocchio. Questo non significa che Vossia un mafioso
perch ha fatto inginocchiare Cola Gentile. Vossia un
cretino con una pistola in mano. Ora vengo io, Nicola

!206

Gentile, disarmato, qua dentro. E Vossia disarmato. Io


le dico: duttureddru, guardi che mi trovo in una certa
situazione Devo chiederle dinginocchiarsi. Lei dice:
ma perch? Duttureddru, io glielo spiego. Glielo spiego
e riesco a persuaderlo che Vossia si deve inginocchiare
per la pace di tutti. Vossia singinocchia e io sono un mafioso. Se Vossia si rifiuta dinginocchiarsi, io le devo sparare, ma non che ho vinto. Ho perso, duttureddru (Lectio).

Questo episodio della vita di Camilleri persino entrato un un volume sulla storia della mafia, Cosa nostra di
John Dickie, pubblicato nel 2004 e tradotto da Laterza nel
2005 (cfr. pp. 222-223). Ed interessante a tal proposito
osservare che Camilleri cita in maniera poco corretta la pagina di Dickie a lui dedicata in Cosa nostra sia in Voi non
sapete sia nella Lectio, dove si legge: Commentando questo incontro e queste parole nel suo Cosa nostra (Bari
2005), John Dickie scrive che Gentile si sforza di presentarsi () come qualcuno che () ha sempre cercato la via
della pace e della giustizia. Ma qui il grave errore di
giudizio di molti. Gentile non si sforza di presentarsi, Gentile profondamente convinto dessere un uomo che ha
sempre cercato la via della pace e della giustizia (cfr. Voi
non sapete, voce Ammazzare, p. 22, dove peraltro il passo di Dickie citato senza la segnalazione dei tagli; una
terza parentesi coi puntini di sospensione andava inoltre
messa tra si sforza e di presentarsi). In realt, per, in
quel passo (Cosa nostra, p. 222) Dickie non sta commentando il racconto di Camilleri, ma sta parlando dellautobiografia di Nick Gentile, e solo dopo fa riferimento allincontro di Camilleri con il mafioso, riportando il racconto

!207

nella versione offerta da Camilleri nella citata conversazione con Deaglio e commentandolo alla luce di quanto ha appena detto sugli sforzi di Gentile compiuti nella sua autobiografia. Questo lapsus memoriae di Camilleri, poi, ha
tratto in inganno Bonina, il quale, basandosi solo su quanto
detto in Voi non sapete, sostiene addirittura che Camilleri
critica la (in realt inesistente) teoria di John Dickie sullincontro tra il giovane duttureddru e il boss (cfr. Il carico
da undici, p. 237).
I mafiosi, dunque, ostentano un grande attaccamento
alla religione cattolica. Provenzano, addirittura, teneva nel
suo ultimo covo un vero e proprio arsenale religioso:
Quando il commissario Cortese e i suoi uomini fanno irruzione nella casupola di Pian dei Cavalli vi trovano un
quadro rappresentante lUltima Cena, due quadretti raffiguranti la Madonna, innumerevoli rosari di cui uno persino in
bagno, tre bibbie, un calendario del 2000 con leffige di
Padre Pio, un piccolo presepe, un libriccino intitolato Pregate, pregate, pregate, 91 santini vari di cui 73 tutti eguali,
raffiguranti Cristo in croce con la scritta Ges io confido
in Te (Lectio; cfr. Voi non sapete, voce Religiosit, p.
155). La religiosit di Provenzano, come quella di altri mafiosi e di molti siciliani, caratterizzata da coreografia,
esteriorit, idolatria e superstizione, come gi notava nel
1945 Sebastiano Aglian in Che cos questa Sicilia?, citato da Camilleri sia nella Lectio che in Voi non sapete. Ed
curioso notare che, mentre qui Camilleri si limita solo a
fare il nome del professor Stocchi come precursore ottocentesco di Aglian insieme a Pitr, nella Lectio cita anche il
bellissimo passo di Stocchi gi riportato nella Bolla di

!208

componenda a pagina 84 e citato anche sopra nel paragrafo


precedente, sebbene con qualche modifica non segnalata:
La natura del siciliano intrinsecamente non religiosa, ma
superstiziosa. Tale disposizione naturale poi fomentata
dallinteresse; prima perch in quella specie di fatalismo,
che inseparabile da qualunque religione positiva, egli trova una scusa e quasi una sua giustificazione alla sua ritrosia
al lavoro e al darsi attorno; poi perch le turpi condiscendenze di un sacerdozio ignorante gli addormenta la voce e i
rimorsi della coscienza.
Nel corso della citata conversazione con Montalbano
don Balduccio Sinagra aveva detto una cosa che Camilleri
ritrover quasi identica nella religiosit di Provenzano:
non mi pento davanti alla liggi. Davanti a u Signuruzzu,
quannu sar lu mumentu, s (p. 122). Nella Lectio si dice:
Avere come alleati dei preti intelligenti (...) sarebbe stato molto comodo per limitare i danni prodotti dai pentiti.
Per un lungo periodo infatti Provenzano fa accostare dai
suoi alcuni preti perch si facciano latori del suo messaggio
a tutti coloro che intendono cambiar vita: pentitevi s, ma
solo davanti a Dio, non davanti alla Giustizia, non collaborate mai con essa (cfr. Voi non sapete, voce Preti, pp.
133, dove Camilleri aggiunge che il progetto di Provenzano
per fortuna fall perch non si trovarono abbastanza preti
intelligenti).
Il disprezzo del mafioso nei confronti della giustizia
umana, cio nei confronti delle leggi dello Stato, e il suo
rispetto, almeno verbale, nei confronti della (cosiddetta)
giustizia divina, ci introduce al nocciolo della questione,
cio allo stretto rapporto culturale tra la mentalit mafiosa

!209

e quella di un certo cattolicesimo, di cui ci occuperemo


ampiamente nel prossimo paragrafo a conclusione di questa
ricognizione dellopera camilleriana. Come trampolino di
lancio per le articolate considerazioni che svolgeremo in
quella sede, ci viene in soccorso la parte della voce Giustizia di Voi non sapete non ripresa nella Lectio, dove Camilleri fa delle osservazioni antropologico-culturali davvero illuminanti, anche se poi evita di approfondirle a dovere.
La voce si apre con una carrellata di sei detti popolari che
esprimono il rapporto dei siciliani con la giustizia: Cu
havi dinari e amicizia teni n culu la Giustizia (Chi ha denari e amici la Giustizia se la mette nel culo). La Giustizia
fatta a manicu di mola (La Giustizia storta per sua natura). Judici, prisidenti e avvucati / in Paradisu nun nni truvati (Giudici, presidenti di tribunali e avvocati non li trovate in Paradiso). La furca pi lu poviru, la Giustizia pi lu
fissa (La forca per il povero, la Giustizia per il fesso). La
liggi pi lamici sinterpreta, pi lautri sapplica (La legge
per gli amici sinterpreta, per gli altri si applica). Lu codici
fattu da li cappeddi pi jiri n culu a li coppuli (Il codice
fatto dai signori col cappello per andare in culo ai poveracci con le coppole) (p. 80). solo un piccolo catalogo rappresentativo di detti, alcuni dei quali certamente noti anche
in lingua e fuori dalla Sicilia, in grado di restituire sinteticamente secoli di angherie e sottomissione dei pi deboli,
vittime degli Azzecca-garbugli di ogni latitudine sempre al
servizio del pi forte e costretti a difendersi irridendo e disconoscendo le ragioni dellordine legale statale. Camilleri
commenta: Se ne potrebbero aggiungere ancora centinaia,
di questi detti popolari, a dimostrazione di quanto sia radi-

!210

cata nei siciliani la sfiducia verso la Giustizia i cui codici


sarebbero stati fatti dalla classe dominante per sottomettere
e vessare la povera gente. La mafia per secoli ha prosperato
in questo campo di coltura, proponendo una giustizia alternativa a quella dello Stato, e ha saputo farne rispettare i codici, rigorosamente applicandoli, assai pi di quanto polizia, carabinieri e magistratura abbiano saputo (e potuto)
fare con le leggi italiane (p. 81).
Ma chi ha gestito e innaffiato questo campo di coltura? Camilleri qui non se lo chiede, ma alla luce de La
bolla di componenda e delle sue analisi dei pizzini di Provenzano la risposta a portata di mano. Gi nel 2002, nellintervista curata da Saverio Lodato, Camilleri, parlando di
Provenzano (allora ancora latitante), anticipava molte delle
cose che poi avrebbe precisato attraverso lanalisi dei pizzini venuti fuori dopo larresto del superlatitante (11 aprile
del 2006): che fine pu fare Provenzano? Pu morire nel
suo letto. E sono sicuro che trover un prete che andr a
dargli lestrema unzione e lo confesser allultimo momento. E questo sarebbe un bellargomento: i rapporti dei mafiosi con la religione... Vedi Pietro Aglieri, con le madonnine, i santi, laltarinu cunzatu... Perch loro pensano di essere nel giusto. E poi, essendo la fede in Sicilia lho sempre
detto , pi che fede, una specie di forma superstiziosa di
sopravvivenza, lui morir nel suo letto (...). Oppure si far
arrestare (La linea della palma, pp. 310-311).
Come fanno i mafiosi a pensare di essere nel giusto?
Questo possibile solo grazie a una raffinata combinazione
tra un relativismo etico-giuridico rivolto al diritto positivo e
lassolutismo etico-giuridico rivolto alla nozione cristiana

!211

di Dio. In base al primo, le leggi umane sono intrinsecamente infondate e perci stesso eludibili, se non addirittura
spregevoli nella misura in cui la giustizia pretende di
scimmiottare Dio o addirittura di farne a meno. In base al
secondo, solo Dio il vero giudice e legislatore, e la Chiesa, ovvero il clero, ne linterprete della volont. Queste
vacue sottigliezze di filosofia del diritto sono intrinseche a
certi settori del pensiero cattolico, com ben noto, e il clero le instilla nei fedeli sotto forma di semplici nozioni di
fede e pratiche di devozione. La proliferazione della mentalit mafiosa nelle strutture cognitive dei siciliani stata favorita dal modo in cui queste ultime sono state plasmate
per secoli da certi articoli dellinsegnamento cattolico,
come gi avevano intuito Avogadro di Casanova e il professor Stocchi.
Un sostegno ulteriore a questa tesi gi implicita in
Camilleri lo troveremo in luoghi inaspettati, che costituiscono comunque, come abbiamo visto, una parte significativa dello sfondo culturale su cui si staglia lesperienza letteraria e intellettuale dello scrittore di Porto Empedocle.
Attraverso Sciascia e Borges, infatti, vedremo che il primo
e involontario ideologo dellomert e della connivenza con
la mafia nientemeno che il povero e cattolicissimo
Don Chisciotte.

4. Sulle tracce letterarie della cultura clerico-mafiosa

!212

La bolla di componenda e i pizzini di Provenzano,


dunque, sono documenti inversi, nel senso che stanno tra di
loro come il diritto e il rovescio di un tappeto, lo sviluppo e
il negativo di una medesima foto, e perci stesso intimamente legati tra loro da una sorprendente simmetria. La
bolla era un documento prodotto dalle alte gerarchie del
clero che, con quel prendere parte in maniera parassitaria e
ricattatoria al fatturato della criminalit, incorporava uno
spirito tipicamente mafioso; i pizzini, invece, erano documenti prodotti da un capomafia che, con quelle invocazioni
petulanti al pantheon cattolico, incorporano uno spirito tipico della devozione popolare. Com possibile che si sia
creata una convergenza cos plateale tra le forze del male e
i custodi del messaggio evangelico, tra il diavolo e lacqua
santa? il diavolo che davvero e per natura un portatore
di luce o lacqua santa che avvelenata gi nel pozzo?
La pista per trovare una risposta a questi interrogativi si trova in un paio di pagine minori e geniali,
una dellultimo Sciascia e una del primo Borges.
Allepoca del maxi-processo alla mafia, Sciascia intervenne con una nota mirabile su LEspresso del
16 marzo 1986, poi inclusa in A futura memoria (1989).
un breve articolo in cui si dice qualcosa di profondo sui siciliani intrisi di cattolicesimo partendo da suggestioni puramente letterarie. Mette conto riportarlo integralmente:
Manzoni lesse in spagnolo il Don Chisciotte; e quando
si imbatteva in parole o espressioni ancor vive nel dialetto milanese, diligentemente le annotava. Ne fece poi un
elenco, che diede a degli amici: e da loro ci stato conservato. Nellelenco la parola mafia, non registrata
dai dizionari della lingua spagnola e finora per me intro-

!213

vabile nel Don Chisciotte. Lho cercata, nelledizione


Aguilar delle opere di Cervantes, in tutti i luoghi in cui
pensavo potesse trovarsi; ho chiesto soccorso agli amici
che molto meglio di me conoscono lo spagnolo e Cervantes. Inutilmente. Non mi resta che rileggere, dopo circa
trentanni, il libro dal principio alla fine; e prevedo con
fatica, se il diletto di rileggerlo sar insidiato e guastato
dalla caccia a quella sola parola.
Mi interessa ritrovarla, quella parola, non solo per liberarmi da unossessione, piccola quanto si vuole ma ossessione, ma anche per trovarvi rispondenza a un passo di
Borges che mi , per cosi dire, saltato agli occhi trovandolo isolato nel Borges A/Z recentemente pubblicato da
Ricci: una specie di dizionario borgesiano curato da
Gianni Guadalupi. Alla voce argentino, che Guadalupi
trae dall Evaristo Carriego, Borges dice di aver sempre
pensato che lArgentina fosse irrimediabilmente diversa
dalla Spagna; ma ad un certo punto due righe del Don
Chisciotte sono bastate a convincerlo di essere in errore.
Le due righe sono queste: che nellaldil ciascuno se
la veda col proprio peccato, ma in questo mondo non
bene che uomini donore si facciano giudici di altri uomini dai quali non hanno avuto alcun danno.
Credevo anchio, come Borges, che nella mafia, nel
sentire mafioso, nellindifferenza della maggior parte
dei siciliani di fronte alla mafia, non ci fosse nulla di spagnolo: ma questo passo di Borges, con dentro le due righe di Cervantes, mi ha convinto che sbagliavo. E poi la
parola, la finora introvata parola registrata dal Manzoni.
Voglio dire: quel che oggi, mentre si celebra il grande
processo contro la mafia, i non siciliani colgono di sgradevole e di condannabile nei siciliani, ha questa antica
radice: il non voler giudicare uomini da cui credono di
non aver ricevuto alcun danno.
Non tutti i siciliani, si capisce: poich la cultura - quella
vera - in tanti riuscita a rimuovere questo sentimento e
atteggiamento. Ed comprensibile che limbattervisi dia
a un non siciliano impressione di connivenza, di complicit: mentre semplicemente si tratta di un modo dessere. E tanto pi negativa impressione, questo sentimento

!214

e atteggiamento, per il fatto che molti ne sostengono la


validit col dire che dalla mafia e dai mafiosi non hanno
avuto alcun danno diretto, personale; mentre certamente,
inevitabilmente, tutti i siciliani ne hanno avuto danno
indiretto e di enorme proporzione.
E chiaro che non sto rifugiandomi nella letteratura per
cercare alibi, ma - come sempre - per capire. Certo, ci
sono altre ragioni che possono giustificare lindifferenza
e lo scetticismo dei siciliani, dei palermitani particolarmente, di fronte al grande processo: e non ultima quella
che i commerci continuano ad essere taglieggiati come
prima, forse peggio di prima. Ma, a chi sappia ben vedere
il significato di questo processo, non ragione per conferirgli poca importanza. Il processo importante, e di effetti che si dispiegheranno nel tempo.

Per inciso, potendo oggi disporre di strumenti


di ricerca pi rapidi e affidabili degli occhi, anchio ho fatto
un tentativo servendomi di un motore di ricerca e di una
versione digitale del Don Chisciotte in lingua originale.
Niente da fare, la parola mafia e le sue possibili varianti
grafiche non vi compaiono e, a quanto mi risulta, dove
labbia presa Manzoni rimane un mistero. Un lavoro pi
fruttuoso consiste invece nellandare a verificare direttamente i riferimenti di Sciascia allEvaristo Carriego e al
Don Chisciotte, perch si trovano delle cose davvero illuminanti per il problema che stiamo affrontando qui.
Il passo di Borges si trova nella sezione intitolata
Un mistero parziale del capitolo XI dellEvaristo Carriego, unopera che peraltro comincia con un excursus storico
sul quartiere Palermo di Buenos Aires, che deve il suo
nome al palermitano Domnguez (Domenico), un approvvigionatore di carne della prima met del XVII secolo sposatosi con la figlia di un conquistatore e stabilitosi in Ar-

!215

gentina. Il quasi mitologico racconto borgesiano della fondazione di Palermo instaura un nesso etnico e culturale tra
argentini e siciliani che per il lettore italiano si fa evidentissimo proprio nella pagina che costituisce il contesto del
passo citato da Sciascia:
largentino, a differenza dellamericano del Nord e di
quasi tutti gli europei, non si identifica con lo Stato. Ci
pu attribuirsi al fatto generale che lo Stato unastrazione inconcepibile per lui; * [* Lo Stato impersonale;
largentino sa concepire solo relazioni personali. Per questa ragione, per lui, rubare denaro pubblico non un crimine. Constato una realt, non la giustifico n la difendo.
(Nota a pie di pagina)] un fatto che largentino un
individuo e non un cittadino. Aforismi come quello di
Hegel: Lo Stato la realt dellidea morale gli sembrano scherzi sinistri. I film elaborati a Hollywood propongono ripetutamente alla nostra ammirazione il caso di
un uomo (di solito un giornalista) che cerca lamicizia di
un criminale per consegnarlo poi alla polizia; largentino,
per il quale lamicizia una passione e la polizia una mafia, sente che un simile eroe una incomprensibile canaglia. Sente con Don Chisciotte che laggi se la veda
ciascuno col suo peccato e che non bene che uomini
donore siano i giustizieri di altri uomini dai quali non
ricevettero danno (Don Chisciotte, I, XXII). Pi di una
volta, davanti alla vana simmetria dello stile spagnolo, ho
pensato che fossimo irrimediabilmente diversi dalla Spagna; queste due righe del Chisciotte sono bastate per
convincermi dessere in errore; sono come il simbolo
tranquillo e segreto di una affinit (in Tutte le opere, vol.
I, pp. 270-271).

Il lettore italiano, soprattutto se siciliano, non


pu non trasalire, perch attraverso un gioco di somiglianze
di famiglia sente che Borges sta parlando anche di lui. Un
siciliano ha dato il nome a un quartiere di Buenos Aires e

!216

gli argentini rivelano una certa anima siciliana nel loro rapporto con lo Stato; ma gli argentini, attraverso Don Chisciotte, si rivelano intimamente spagnoli, e gli spagnoli, per
chiudere il cerchio, hanno lasciato molto di s nella mentalit siciliana, com noto. In questo gioco di specchi e di
popoli viene da pensare a quello che sosteneva uno degli
eresiarchi di Uqbar, secondo il quale gli specchi e la copula
sono abominevoli perch hanno il potere di moltiplicare gli
uomini...
Scopriamo cos che gli argentini e i siciliani, e
non solo gli spagnoli, sono figli culturali di Don Chisciotte,
nella misura in cui condividono un sentire intorno allo Stato ed alle sue leggi che costituisce quello che Camilleri,
come visto, chiama campo di coltura per la mafia. Ma
com possibile? Per capirlo a fondo, dobbiamo dare uno
sguardo pi attento allepisodio (peraltro celebre) che costituisce loccasione del passo del Chisciotte citato da Borges
e Sciascia, i quali, come abbiamo visto, evitano di farvi
cenno. Sciascia, addirittura, che pure solitamente rigorosissimo nelle indicazioni bibliografiche, evita persino di
riprendere da Borges lindicazione esatta del luogo del Chisciotte, su cui ora ci dovremo fermare.
Il capitolo ventiduesimo della prima parte
quello in cui si racconta Come Don Chisciotte rese la libert a parecchi sciagurati, che eran condotti, loro malgrado, dove non avrebbero voluto andare (qui si utilizzer
la classica traduzione italiana di Ferdinando Carlesi del
1933, riprodotta nel Meridiano del 1974). Don Chisciotte e
Sancio si imbattono in un corteo costituito da una dozzina
di galeotti incatenati come grani di un rosario e condotti

!217

alle galere da quattro guardie, due a piedi e due a cavallo.


Nonostante lo scudiero gli spieghi che si tratta di forzati del
re condotti alla pena secondo la legge, cio secondo giustizia, che si identifica con il re, Don Chisciotte ritiene suo
dovere intervenire in loro difesa, con le buone o con le cattive, essendo suo preciso compito di cavaliere, voluto dal
cielo, quello di aiutare gli oppressi e chiunque sia costretto
con la forza a fare qualcosa contro la propria volont. Avvicinandosi al gruppo, vuole intanto interrogare uno per uno i
galeotti per conoscere la causa della loro sventura (e in
questo interrogatorio la critica ha giustamente colto chiari
echi danteschi). Le guardie gli accordano il permesso e
Don Chisciotte dialoga con una met circa dei galeotti, i
quali si mettono a turlupinarlo usando un gergo da furfanti
carico di volgarit e doppi sensi, che al povero cavaliere, in
grado di capire solo il significato letterale delle parole, devono essere chiariti di volta in volta dagli stessi forzati, dalle guardie e da Sancio. Il primo gli dice di essere stato condannato per essersi innamorato, e allo stupefatto Don Chisciotte, il quale osserva che se si dovesse essere condannati
per questo lui sarebbe in galera gi da un pezzo, il ladro
precisa che in realt si era innamorato di una cesta piena di
biancheria. Il secondo, invece, finito dentro perch un
grande cantante, e di nuovo occorre spiegare a Don Chisciotte (questa volta se ne incarica una delle guardie) che in
realt si tratta di un ladro di bestiame che ha confessato sotto tortura, rovinandosi cos con la sua stessa voce. Al terzo
sono mancati dieci ducati, e Don Chisciotte, impietosito,
gliene darebbe venti per salvarlo, ma poi scopre che al corruttore sono mancati i soldi per ungere il cancelliere e il

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procuratore. Il quarto un triste vegliardo con la barba


bianca (con evidente allusione al Catone dantesco) che ha
subito la gogna per essere uno stregone e per aver fatto il
ruffiano, e Don Chisciotte lo riprende solo per la stregoneria, mentre Sancio, mosso a compassione per la sua storia,
gli d una moneta in elemosina. Il quinto uno studente
condannato per aver messo su famiglia con quattro donne
diverse e, con un linguaggio forbito, chiede del denaro a
Don Chisciotte in cambio di preghiere. Il sesto incatenato
pi degli altri perch si tratta del famoso criminale Ginesio
da Passamonte, gi autore in carcere di unautobiografia
(ovviamente incompiuta).
Ma quando una delle guardie sta per bastonare Ginesio per la sua irriverenza e per le sue minacce, Don Chisciotte, per nulla impressionato dal fatto di aver conosciuto
nellordine un ladro di biancheria, un ladro di bestiame, un
corruttore di giudici, un lenone stregone, un poligamo e un
criminale, pronuncia il famoso discorso che contiene i passi
citati da Borges e Sciascia:
Da tutto quello che mi avete detto, fratelli carissimi, ho
messo in chiaro che sebbene per vostra colpa vi abbiano
gastigato, tuttavia le pene che andate a scontare non sono
di vostra soddisfazione, e vi andate molto di mala voglia
e contro la vostra volont. Inoltre potrebbe darsi che il
poco coraggio che uno ebbe durante la tortura, la mancanza di denaro di quello, il poco appoggio che trov
quellaltro, e in fine il giudizio errato del giudice, siano
stati causa della vostra perdizione e del non aver ottenuto
quella giustizia a cui pure avevate diritto. Tutto questo
ora mi si presenta nella mente per dirmi, persuadermi ed
anche sforzarmi a mostrare di fronte a voialtri la ragione
per cui il cielo mi ha messo al mondo, e mi ha fatto pro-

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fessare lordine della cavalleria, che infatti professo, e il


voto che in essa ho fatto di portar soccorso ai necessitosi
e agli oppressi. Ma perch la prudenza insegna che non si
deve adoperare la violenza laddove si possa pacificamente ottenere quello che si desidera, voglio pregare questi
signori, guardiani e commissario, di avere la bont di
sciogliervi e di lasciarvi andare. Non mancheranno certamente altri che servano il re in migliori occasioni, sembrandomi assai mal fatto porre in schiavit coloro che
Dio e la natura crearono liberi. Tanto pi, signore guardie, che questi poveretti non hanno fatto nulla contro di
voi. Che ognuno dunque si tenga il suo peccato: v un
Dio nel cielo che non dimentica n di punire il malvagio,
n di ricompensare il buono; n conviene che onorati
uomini si facciano carnefici daltri uomini, dai quali non
ricevettero verun danno. Questo io vi domando con questa mansuetudine e con questa calma, per aver motivo,
qualora lo desideriate, di rimanervi obbligato del favore;
ma quando non vogliate di buon grado accondiscendervi,
questa lancia e questa spada, congiunte col valore del mio
braccio, lotterranno a viva forza da voi (pp. 210-211;
corsivi miei).

Il commissario naturalmente risponde per le


rime e cos Don Chisciotte lo attacca e lo ferisce con la lancia. Nella confusione che segue, i galeotti si liberano e Ginesio da Passamonte, aiutato a togliersi i ferri dallo stesso
Sancio, si impadronisce del fucile del commissario e mette
in fuga tutte le guardie, inseguite dalla sassaiola degli altri
malviventi. Lepisodio, naturalmente, si conclude nel modo
pi donchisciottesco: i galeotti, avendo capito di essere di
fronte a un folle, che addirittura pretende che si rechino con
le catene a rendere omaggio a Dulcinea del Toboso e a raccontarle questavventura del Cavaliere dalla Triste Figura,
prendono a sassate lui, Sancio, lasino e Ronzinante, derubano dei vestiti i due uomini (lo studente addirittura picchia

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selvaggiamente Don Chisciotte con la bacinella dottone


del barbiere che lui vedeva come lelmo di Mambrino), e si
danno alla fuga.
Come si vede, ridotto allessenziale, lepisodio mette in luce la logica di Don Chisciotte, che non dissimile da quella che Camilleri prima mette in bocca a Balduccio Sinagra e poi vede incarnata nella religiosit di Provenzano. Chi ammette lesistenza di un ordine divino superiore e trascendente (sinceramente o per puro calcolo)
inevitabilmente portato a relativizzare, se non addirittura ad
annullare, la cogenza delle leggi di uno Stato di diritto e a
considerare la giustizia umana come qualcosa da cui poter
prescindere nel giudicare un criminale. esattamente questo il motivo per cui una parte non irrilevante del clero frequenta i mafiosi (anche latitanti) con tranquilla coscienza,
soprattutto se questi si mostrano devoti e generosi con la
Chiesa, ed esattamente questo il motivo per cui i mafiosi,
come ha notato Camilleri, si sentono al sicuro con quelli
che chiamano preti intelligenti. Che poi sia stato il povero Don Chisciotte ad incarnare in modo paradigmatico questa logica dellomert e della connivenza una semplice
ironia della storia. A ben vedere, infatti, il suo modo di ragionare percorre trasversalmente tutta la storia del cosiddetto Occidente cattolico e la Riforma protestante, con la
sua condanna della vendita delle indulgenze, non che una
delle numerose forme di ribellione al sistema legale alternativo della mediazione accomodante, cio, in ultima analisi, della componenda.
Tornando allaccenno di Sciascia a Manzoni contenuto nellarticolo di A futura memoria riportato allinizio di

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questo paragrafo, si pu allora concludere rileggendo alla


luce di tutto ci uno dei luoghi pi famosi della letteratura
italiana, che di solito viene presentato (specialmente ai giovani studenti) come un esempio di alta edificazione spirituale e che invece, a ben guardare, sommamente diseducativo dal punto di vista morale e civile, ovvero dal punto
di vista delletica di uno Stato di diritto. Cos, infatti, tutta
la vicenda dellInnominato, peraltro ambientata, com ben
noto, nella Lombardia di inizio XVII secolo occupata dagli
spagnoli (cio pochi anni dopo luscita delle due parti del
Chisciotte), se non un festival della componenda? Nel suo
ingresso in scena egli presentato come un vero capomafia
che compone esattamente nel senso della definizione di
componenda che si ritrova nella citata voce relativa del Dizionario storico della mafia di Pallotta: Fare ci chera
vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui, senzaltro interesse
che il gusto di comandare; esser temuto da tutti, aver la
mano da coloro cheran soliti averla dagli altri; tali erano
state in ogni tempo le passioni principali di costui. (...)
Quando una parte, con un omaggio vassallesco, era andata
a rimettere in lui un affare qualunque, laltra parte si trovava a quella dura scelta, o di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo nemico; il che equivaleva a esser, come si diceva altre volte, tisico in terzo grado. Molti, avendo il torto,
ricorrevano a lui per aver ragione in effetto; molti anche,
avendo ragione, per preoccupare un cos gran patrocinio, e
chiuderne ladito allavversario: gli uni e gli altri divenivano pi specialmente suoi dipendenti. Accadde qualche volta
che un debole oppresso, vessato da un prepotente, si rivolse

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a lui; e lui, prendendo le parti del debole, forz il prepotente a finirla, a riparare il mal fatto, a chiedere scusa; o, se
stava duro, gli mosse tal guerra, da costringerlo a sfrattar
dai luoghi che aveva tiranneggiati, o gli fece anche pagare
un pi pronto e pi terribile fio (I promessi sposi, XIX, 39
e 46-47). Nel corso della famosa notte dei tormenti,
lInnominato preso dalla paura dellinferno esattamente
come il siciliano ignorante di cui parlava il professor
Stocchi nellarticolo citato da Camilleri ne La bolla di
componenda, e proprio per questo dubbio amletico lascia
cadere la pistola con cui sta per spararsi. Subito dopo, il
ricordo delle parole di Lucia (Dio perdona tante cose, per
unopera di misericordia) lo consola e allalba la gioia
contagiosa dello scampanare e il corteo di gente in festa
che andava incontro al cardinale Borromeo lo spingono a
recarsi dallalto e prestigiosissimo prelato (cfr. XXI,
53-61).
Che il pentimento e la conversione religiosa possano
riscattare una vita di crimini non esattamente un articolo
di fede che la Chiesa insegna da sempre e che i mafiosi accolgono a braccia aperte? Ritorniamo a Voi non sapete e
alla Lectio. Qui Camilleri scrive: Ho gi detto che, secondo gli investigatori, la svolta di Provenzano risale alla met
del 1993. Prima che avvenga la svolta, il 9 maggio dello
stesso anno, Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di
Agrigento pronunzia la sua forte condanna della mafia:
Dio ha detto una volta: Non uccidere! Non pu luomo,
qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, qualsiasi
mafia, non pu cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Queste parole sembrarono passare inosserva-

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te; in realt, come annotano Salvo Palazzolo e Michele Prestipino nel loro Il Codice Provenzano (Bari 2007), scavarono un solco profondo negli ambienti mafiosi. (...) Ma le parole di Giovanni Paolo II per Provenzano ebbero un significato diverso da tutti gli altri; furono, ma questo un mio
parere assolutamente personale, una conferma, suonarono
come un avallo se non addirittura come uninvestitura. Non
era la conferma della politica delladdio alle armi che lui
aveva praticato e predicato da un certo momento della latitanza in poi? Non bisognava tornare allantica autodefinizione mafiosa che gli uomini donore erano portatori di
pace e di giustizia?. E nel passo parallelo della voce Religiosit di Voi non sapete, Camilleri aggiunge: Da allora,
le manifestazioni della religiosit di Provenzano diventano
di giorno in giorno pi evidenti. assodato che, dietro sua
richiesta, due sacerdoti si recarono a trovarlo negli ultimi
anni di latitanza. A un certo punto egli arriva a manifestare
apertamente la convinzione che tutti i suoi atti godano del
sostegno divino. Dio con lui. Gott mitt uns (p. 154). La
stretta confidenza di Dio con i peggiori criminali chiarissimamente teorizzata anche dal cardinale Borromeo nel
primo colloquio con lInnominato, che anchesso un perfetto esempio di componenda, questa volta quasi nel senso
della bolla: - cosa pu far Dio di voi? cosa vuol farne?
Un segno della sua potenza e della sua bont: vuol cavar da
voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il
mondo gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille
voci detestino le vostre opere... - (linnominato si scosse, e
rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio
cos insolito, pi stupefatto ancora di non provarne sdegno,

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anzi quasi un sollievo); - che gloria, - proseguiva Federigo,


- ne viene a Dio? Son voci di terrore, son voci dinteresse;
voci forse anche di giustizia, ma duna giustizia cos facile,
cos naturale! alcune forse, pur troppo, dinvidia di codesta
vostra sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza danimo. Ma quando voi stesso sorgerete a
condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio sar glorificato! E voi domandate cosa Dio possa
far di voi? (...) E perdonarvi? e farvi salvo? e compire in
voi lopera della redenzione? Non son cose magnifiche e
degne di Lui? Oh pensate! se io omiciattolo, io miserabile,
e pur cos pieno di me stesso, io qual mi sono, mi struggo
ora tanto della vostra salute, che per essa darei con gaudio
(Egli m testimonio) questi pochi giorni che mi rimangono; oh pensate! quanta, quale debba essere la carit di Colui che minfonde questa cos imperfetta, ma cos viva;
come vi ami, come vi voglia Quello che mi comanda e mispira un amore per voi che mi divora! (XXIII, 15-17).
Anche noi, come lInnominato, rimaniamo stupefatti
nel rileggere con occhiali nuovi e smagati queste parole del
Cardinale, e siamo addirittura sconcertati dal suo amore divorante per il criminale. Com noto, lincontro finisce a
baci e abbracci (ibid., 22): i due si mettono daccordo,
compongono limbroglio, per riprendere il termine del
Canonico di Verga, e tutto viene dimenticato, magari con
scambio di cortesie formali, di dichiarazioni di rispetto,
per riprendere ancora una volta le parole del Dizionario
storico della mafia, che qui non a caso cadono a pennello.
La ciliegina sulla torta, infine, cio la pi classica e spettacolare forma di componenda, sar la quantificazione in de-

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naro da parte dellInnominato del perdono ottenuto da Lucia: cento scudi doro (...) per servir di dote alla
giovine (XXVI, 33), che nel Fermo e Lucia (III, IV, 61)
erano addirittura dugento.

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BIBLIOGRAFIA

La presente bibliografia non ha pretese di completezza. Ci


si limita a riportare esclusivamente i testi di e su Camilleri citati almeno una
volta in questo libro. Gli estremi bibliografici essenziali delle numerose altre
opere citate sono incorporati nel testo.

1.

Testi di Andrea Camilleri citati:

1978 Il corso delle cose, Poggibonsi, Lalli Editore (riediz. Palermo, Sellerio 1998).
1980 Un filo di fumo, Milano, Garzanti (riediz. Palermo, Sellerio
1997).
1984 La strage dimenticata, Palermo, Sellerio.
1992 La stagione della caccia, Palermo, Sellerio.
1993 La bolla di componenda, Palermo, Sellerio.
1994 La forma dellacqua, Palermo, Sellerio.
1995 Il gioco della mosca, Palermo, Sellerio.
1995 Il birraio di Preston, Palermo, Sellerio.
1996 Il ladro di merendine, Palermo, Sellerio.
1996 Il cane di terracotta, Palermo, Sellerio.
1997 La voce del violino, Palermo, Sellerio.
1998 La concessione del telefono, Palermo, Sellerio.
1998 Un mese con Montalbano, Milano, Mondadori.
1999 La mossa del cavallo, Milano, Rizzoli.
1999 Gli arancini di Montalbano, Milano, Mondadori.
2000 La scomparsa di Pat, Milano, Mondadori.
2000 La gita a Tindari, Palermo, Sellerio.
2000 Biografia del figlio cambiato, Milano, Rizzoli.
2000 Favole del tramonto, Roma, Edizioni dellAltana.
2001 Il re di Girgenti, Palermo, Sellerio.
2001 Racconti quotidiani, Pistoia, Libreria dellOrso.
2001 Gocce di Sicilia, Roma, Edizioni dellAltana.
2001 Lodore della notte, Palermo, Sellerio.
2002 La paura di Montalbano, Milano, Mondadori.
2002 Lombrello di No. Memorie e conversazioni sul teatro, a
cura di Roberto Scarpa, Milano, Rizzoli.
2003 Il giro di boa, Palermo, Sellerio.
2003 La presa di Macall, Palermo, Sellerio.

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Guida.

2004 La prima indagine di Montalbano, Milano, Mondadori.


2004 La pazienza del ragno, Palermo, Sellerio.
2005 Privo di titolo, Palermo, Sellerio.
2005 La luna di carta, Palermo, Sellerio.
2006 La vampa dagosto, Palermo, Sellerio.
2006 La Pensione Eva, Milano, Mondadori.
2006 Le ali della Sfinge, Palermo, Sellerio.
2007 Pagine scelte di Luigi Pirandello, Milano, Rizzoli.
2007 Il colore del sole, Milano, Mondadori.
2007 Le pecore e il pastore, Palermo, Sellerio.
2007 Boccaccio. La novella di Antonello da Palermo, Napoli,
2007 La pista di sabbia, Palermo, Sellerio.
2007 Maruzza Musumeci, Palermo, Sellerio.
2007 Voi non sapete, Milano, Mondadori.
2007 La religiosit di Provenzano, Lectio Doctoralis tenuta il 3
maggio a LAquila in occasione del conferimento della Laurea Specialistica Honoris Causa in Psicologia Applicata allAnalisi Criminale,
http://www.vigata.org/laurea/lectio_aq.shtml.
2007 Introduzione a Pirandello, Opere teatrali in dialetto, in Maschere nude. vol. 4, a cura di Alessandro DAmico e Alberto Varvaro,
Milano, I Meridiani Mondadori.
2008 Il tailleur grigio, Milano, Mondadori.
2008 Il campo del vasaio, Palermo, Sellerio.
2008 Il casellante, Palermo, Sellerio.
2008 La tripla vita di Michele Sparacino, Corti di carta del Corriere della sera, 24 luglio.
2.
Interviste, memorie, saggi e articoli relativi ad Andrea Camilleri citati:

1998 Bruno Porcelli, Un filo di fumo. Romanzo siciliano di Andrea Camilleri, Italianistica, anno XXVII, n. 1, gennaio-aprile.
2000 Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Palermo, Sellerio.
2001 Andrea De Benedetti, La Biblioteca di Camilleri, in www.vigata.org.
2001 Enrico Deaglio,Se vince lui, ma forse no. Una conversazione con
Andrea Camilleri, Diario, 30 marzo.
2001 Maurizio Assalto, Nel commissario rivedo mio padre, La
Stampa, 23 giugno.
2002 La linea della palma. Saverio Lodato fa raccontare Andrea
Camilleri, Milano, Rizzoli.

!228

2003 La Sicilia di Andrea Camilleri. Tra Vigta e Montelusa, interviste di Salvatore Ferlita e Paolo Nifos, fotografie di Giuseppe
Leone, Palermo, Gruppo editoriale Kals.
2004 Roberto Scarpetti e Annalisa Strano, Commissario Montalbano. Indagine su un successo, Arezzo, Editrice Zona.
2004 Simona Demontis, Uninfanzia da sillabario. Il fascismo
secondo Camilleri, relazione letta al Seminario Lingua, storia, gioco
e moralit nel mondo di Andrea Camilleri, Cagliari, 9 Marzo.
2004 Rocco Cerro, Camilleri: "A Gela ho ricevuto il mio primo premio
letterario, Corriere di Gela, 14 febbraio.
2004 AAVV., Il caso Camilleri. Letteratura e storia, a cura di Antonino Buttitta, Palermo, Sellerio.
2004 Camilleri: per amore della lingua, intervista di Gianni Bonina, www.educational.rai.it/railibro/intervi-ste.asp?id=210.
2005 Massimiliano Mazzanti, Un infortunio di Camilleri, Il Secolo dItalia, 11 febbraio.
2005 Ansa, Camilleri, destra guarda passato mistificato, 22 febbraio.
2005 Pietro Treccagnoli, Camilleri e limbroglio del fascismo, Il
Mattino, 16 marzo.
2005 Maurizio Assalto, Montalbano intervista suo padre. Camilleri-Zingaretti: Montalbano siamo, La Stampa, 1 settembre.
2006 Maurizio Clausi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro,
Alice Pancucci Amar, Daniela Ragusa, I luoghi di Montalbano. Una
guida, Palermo, Sellerio.
2006 Lorenzo Pavolini, In souplesse. Intervista sulle Interviste
impossibili a Andrea Camilleri, in Le interviste impossibili, a cura di
Lorenzo Pavolini, Roma, Donzelli Editore.
2006 Eleonora Cerro, Indagine su Un filo di fumo di Andrea
Camilleri, Universit di Catania, Facolt di Lettere e Filosofia, Tesi di
Laurea triennale in Scienze della Comunicazione.
2007 Gianni Bonina, Il carico da undici. Le carte di Andrea Camilleri. Intervista. Saggio. Trame, Siena, Barbera Editore.
2008 Salvo Fallica, Camilleri: Il tailleur non fa la moglie, LUnit, 4 marzo.

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