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Abbiamo bisogno di un nuovo sentimento del mondo!

Scritto da MarioEs
sabato 01 marzo 2008

Partendo da questa discussione su aNobii, ho invitato l'amica Niki ad un dialogo sul sentimento del mondo,
che vi propongo di seguito.
 
Buona lettura. 
Mario:  La nostra vita quotidiana è sostanzialmente sempre più schiacciata sul presente, sull'adesso e subito,
dominata in un vortice di attività frenetiche in cui lavoro, famiglia, consumi e svago si susseguono in una
"timeline" pressochè identica a sè stessa in cui le nostre azioni sono succubi e schiave dell' abitudine.

In questo scenario, abbiamo probabilmente perso un sentimento storico sia di proiezione nel passato che nel
futuro, che è forse uno dei motivi per il quale la Politica è arrivata a toccare il fondo.
Come riconquistare secondo voi un sentimento del mondo e quindi del nostro futuro momentaneamente
"ibernato" nel flusso della nostra - spesso egoistica e solipsistica - quotidianità?

NIKI: Ho il sospetto che un vero sentimento del mondo non ci sia mai stato, se non nelle elucubrazioni di
qualche appassionato filosofo.
Mario sottolinea come   "la nostra vita quotidiana è sostanzialmente sempre più schiacciata sul presente,
sull'adesso e subito, dominata in un vortice di attività frenetiche in cui lavoro, famiglia, consumi e svago si
susseguono in una "timeline" pressochè identica a sè stessa in cui le nostre azioni sono succubi e schiave dell'
abitudine".

Ma quando non e' stato cosi'? Esiste un periodo storico, un frangente in cui ci sia stato un generalizzato
"sentimento del mondo"?

Oggi sono le attivita' frenetiche, il lavoro, la famiglia, i consumi e lo svago, ieri erano il lavoro e la
preoccupazione per la mera sopravvivenza. Non solo preoccuparsi di questo sentire presupponeva il tempo per
farlo, ma non si possedeva nemmeno la concezione, la forma mentis per poter concepire "il mondo", di un tutto
piu' grande di cui si faceva parte.
Ripensando alla storia recente dell'Italia, perche' credo che al nostro Paese tu ti riferisca quando parli di
politica che "è arrivata a toccare il fondo", si possono pero' individuare momenti molto alti di partecipazione,
di passione, di scelta attiva; non posso fare a meno di pensare a tutti i grandi valori del Risorgimento e a quelli
della Resistenza.
Mi sono sempre chiesta, e ancora di piu' in questi ultimi tempi dove la disillusione e la sfiducia sembrano aver
raggiunto uno stato endemico radicato, quale tipo di speranza nel futuro bisognasse coltivare per desiderare di
far nascere dei figli in un mondo in guerra, dove non solo mancava proprio tutto, ma vivere e morire era
questione di pura fatalita'?
Ecco, allora forse bisognerebbe recuperare quella stessa volonta' di esserci comunque, quel ricorrere allo
spirito di sopravvivenza che e' tanto forte nell'essere umano. E allo stesso tempo far appello a quegli stessi
valori, perche' di quelli siamo figli, di quelli portiamo le tracce.

Ma di fronte alla realta' che viviamo ogni giorno, non e' tutto quanto un parlarsi addosso, in ultima analisi?

Tutto quello che e' stato alla fin dei conti e' servito a ben poco. Viviamo meglio di come si viveva cinquant'anni
fa, ma questo non cambia la vera natura delle cose: l'Italia e' un paese che dimentica, ha una memoria corta, e
soprattutto, una scarsa propensione a considerarsi "Paese". Basta vedere gli episodi di questi ultimi tempi 
( la "monnezza" di Napoli e' uno di quelli, sempre li' torniamo, i morti sul lavoro, le battaglie per vedere
riconosciuti i diritti piu' semplici, ecc.).
Altro che sentimento del mondo: e' in atto una lotta che temo diventera' molto aspra. Questo per quanto
riguarda il nostro piccolo orticello.
In una prospettiva piu' ampia, le cose non cambiano di molto, la realta' di ognuno e' quella entro la quale
ognuno si muove, una specie di bolla, e' difficile uscirne e vivere "l'altro" in uno stato di empatia sociale.
Anche per questo sono spesso arrabbiata e frustrata, ed e' solo per un forte sentimento d'orgoglio che mi fa
continuare ad essere idealista e con una concezione romantica della realta' (in senso filosofico). Ed e' per questo
che sono di sinistra (che altro?). 
Tags: brain 2 brain sentimento del mondo creativi culturali 
 
E se si ripartisse dal concreto? Certo, fa più rumore riempirsi la bocca con dichiarazioni d’intenti senza
fondamento, con critiche altisonanti al sistema, alla politica, alla società.
Ma poi, quanti concludono o non si accontentano di demandare? La pratica dell' armiamoci e partite e'
ancora cosa diffusa purtroppo. Cominciamo da noi allora, nella vita di tutti i giorni, in quella vita frenetica che
sembra non lasciare spazio per molto altro secondo me c'e' ancora modo di essere coerenti, intellettualmente
onesti, tolleranti e impegnati, anche grazie ai mezzi di comunicazione che la nostra epoca mette a nostra
disposizione. Per dirla biblicamente: iniziamo dalla trave nel nostro occhio, gia' sarebbe un bel passo in avanti.
Non sono ottimista in questo caso, ma ci spero ancora.

Mario: che un vero sentimento del mondo non sia mai esistito è molto probabile se ci guardiamo indietro negli
ultimi secoli di sviluppo tecnologico.
Questo perchè lo sviluppo della Tecnica ha progressivamente determinato quello che Günther Anders ha
definito "dislivello prometeico", ossia "l'asincronizzazione ogni giorno crescente tra l'uomo ed il mondo dei
suoi prodotti".

Questo crescente dislivello tra l'Uomo ed il "suo mondo", fatto di oggetti tecnici e tecnologici da un lato e dalle
conseguenze sociali, economiche e politiche provocate dal loro uso dall'altro , hanno generato - come ben
sottolinea Galimberti - quel "nichilismo passivo, denunciato per primo da Nietsche, che scaturice dal fatto
che il "troppo grande" ci lascia freddi, perchè il nostro sentimento di reazione si arresta alla soglia di una
certa grandezza, e da "analfabeti emotivi" assistiamo al proliferare delle armi nucleari, alla distruzione del
sistema ecologico, ad una ricchezza ed a una povertà decise più dalle tecniche che regolano il regime
economico che dal nostro effettivo lavoro, alla possibilità della comunicazione totale superiore ai contenuti
effettivi che abbiamo da comunicare, alla presenza simultanea di tutti gli accadimenti del mondo senza
un'adeguata possibilità di assimilazione".

L'Uomo ha cioè reagito, come direbbe McLuhan, in maniera da narcotizzarsi rispetto alle continue
innovazioni degli strumenti di comunicazione disponibili e alla sempre maggiore crescente complessità da essi
determinata nel sistema economico, sociale e politico.

Questa narcosi narcisistica, per molti versi necessaria al fine della sopravvivenza stessa del genere umano, ha
però avuto come contro-reazione una serie di spiacevoli effetti che vanno dalla cosiddetta alienazione
individuata da Marx nella prima società industriale alla perdita del sentimento della responsabilità, della
compassione, di stima e di provare "orrore" (sempre parafrasando Günther Anders).

La crescente complessità della società ed il crescente dominio su di essa del "paradigma tecnico" hanno
dunque provocato un ripiegamento su sè stesso dell'Uomo ed una sua implosione identitaria, dai connotati non
di rado schizofrenici, che lo ha portato da un lato ad aderire ad un processo di omologazione culturale
determinato dai mass media e dal sistema capitalistico neo liberista e dall'altro a cercare una sorta di rifugio tra
le pareti domestiche e familiari dove poter far emergere il "sè diverso" e dove poter "scaricare" le tensioni
provocate dalla predetta omologazione.

Questa accesa dicotomia fra pubblico e privato ha progressivamente determinato una passiva accettazione del
"mondo esterno" percepita come realtà immutabile in cui è fondamentale difendersi più che lottare ed una
focalizzazione sui "piaceri domestici e privati" nelle varie componenti dei consumi e della soddisfazione dei
bisogni di breve periodo nonchè della appartenenza a più o meno piccole tribù culturali "alternative",
decisamente più alla portata del proprio sentire e delle proprie capacità di reazione.

Atomizzazione individuale e frammentazione sociale sono le due parole che, a mio parere, ben descrivono
questa situazione.

Il "funzionario dell'Apparato" (noi tutti) è oggi però di fronte ad un ulteriore shock - forse quello più
difficile e risolutivo - della sua già fragile "psiche" e questo shock è quello che - citando Ervin Laszlo - è la
comune percezione che ci stiamo dirigendo verso il "punto del caos" senza un vero e proprio "timoniere" (o
con quelli sbagliati!).

Questa crisi diffusa, questo "sentiment globale", inevitabilmente credo ci dovrà portare ad un salto qualitativo,
ad una sorta di discontinuità culturale e "sentimentale" nel percepire ed interpretare il mondo da un lato e
nel cercare attivamente di trasformarlo in modo da evitare un "breakthrough" globale.

In un precedente post, riferendomi a E. Laszlo, ho condiviso l'opinione della necessità che i nascenti creativi
culturali in tutto il mondo cominciassero ad unirsi in maniera più solida e cosciente: dipende da loro (cioè da
noi in quanto creativi culturali), in ultima analisi, la nascita/rinascita di un sentimento del mondo e per il
mondo.

Non è più tempo di "deleghe in bianco", bisogna tornare ad agire personalmente ed in maniera organizzata per
un obiettivo comune tornando ad immaginare un futuro per tutti noi e impegnandosi per realizzarlo.

Parafrasando le conclusioni di Niki, direi che pur avendo le speranze ridotte all'osso dobbiamo sforzarci di
essere ottimisti e di utilizzare la nostra creatività per creare il nostro nuovo futuro.
 
Ci riusciremo?

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