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Heidegger e il problema della metafisica


Intervista a Friedrich-Wilhelm von Herrmann
di Federico Lijoi

In una relazione da Lei tenuta nell’ambito di un colloquio filosofico sulla metafisica nel
pensiero di Heidegger (mi riferisco alla conferenza che ha avuto luogo nella Facoltà di
Filosofia della Pontificia Università Lateranense e che è stata pubblicata nel libro La
metafisica nel pensiero di Heidegger, Urbaniana University Press 2004) tenta di
chiarire il concetto di “superamento della metafisica”. Vorrebbe riassumerci
brevemente che cosa ha sostenuto in quell’occasione?
Il discorso di Heidegger sul superamento della metafisica è in sé duplice: in primo
luogo, può trattarsi di una rinuncia alla metafisica, di un volgerle le spalle, nel senso
per cui la metafisica sarebbe un percorso sbagliato che dobbiamo lasciarci dietro. Il
discorso heideggeriano sembrerebbe rientrare facilmente in questa prima accezione,
visto che la parola Überwindung in tedesco significa innanzitutto superare qualcosa,
vincerla; e ciò che ho vinto, me lo lascio dietro. Il superamento della metafisica,
tuttavia, non è mai inteso in questo senso; secondo me, il confronto pensante e
filosofico di Heidegger con la storia della metafisica non appartiene alla cosiddetta
critica della metafisica, dunque alle dottrine del positivismo o della filosofia analitica (si
tratta di correnti filosofiche che non prendono affatto sul serio la filosofia e la
metafisica, bensì ne considerano le domande solo come apparenti).
Nel suo cammino di pensiero, al contrario, Heidegger si è confrontato con le diverse
epoche della storia della filosofia occidentale in modo molto dettagliato e approfondito;
le sue domande, anche quelle fondamental-ontologiche, non sono completamente
altre e al di fuori della metafisica tradizionale, bensì rappresentano le domande
tradizionali della metafisica colte nella loro originarietà: la domanda sull’essere,
l’essenza del mondo, l’essenza del tempo, l’essenza dello spazio, l’essenza del
movimento e la domanda inclusa in tutte queste, quella sull’essenza dell’uomo.
Queste sono le domande che Heidegger trae dalla storia della filosofia. Non si è
inventato nulla di nuovo. Si rivela in questo senso un profondo pensatore storico e
pensare storicamente significa rivolgersi alla storia, comprendere la storia in sé, nei
suoi motivi di pensiero, afferrare tali motivi di pensiero e domandare se essi debbano
essere ripetuti più originariamente. Qui si tratta proprio della ri-petizione (così come
Heidegger la presenta in apertura di Essere e Tempo), cioè del tornare-indietro
all’originaria domanda sull’essere posta all’inizio della storia della metafisica, cosicché
ora possa essere formulata in modo più originario. Ma porre più originariamente,
innanzitutto in modo fondamental-ontologico, la domanda sull’essere, e con essa tutte
le altre (sull’essenza della verità, l’essenza del mondo etc.), non significa affatto
lasciarsi dietro le domande poste inizialmente, bensì ottenere la forma di domanda
originaria proprio in dialogo con quelle poste inizialmente.
L’espressione “superamento della metafisica” si rivela, dunque, un’espressione
infelice, visto che la maggior parte delle volte sembra alludere al superamento di
qualcosa che non possiede più alcuna validità. Mettiamola così: la posizione
fondamental-ontologica delle tradizionali domande metafisiche sull’essenza era la
prima via di Heidegger e a partire da questa prima via si è venuta formando la
seconda via, l’altra via, quella della storia dell’essere, nella quale egli si rivolge con
sguardo retrospettivo alla metafisica del primo inizio e con sguardo anticipante al
pensiero della storia dell’essere dell’altro inizio (che Heidegger intende dispiegare).
A questo proposito occorre precisare che Heidegger, quando parla della storia
dell’essere, non intende solamente il pensiero futuro. La storia dell’essere, piuttosto,
assume nel contempo il primo inizio e l’altro inizio da dispiegare; e se il primo inizio
appartiene internamente alla storia dell’essere, non deve trattarsi allora di una via che,
per così dire, corre all’esterno della storia della metafisica. Quest’ultima, invece,
costituisce già il primo inizio dell’essenziamento della verità proprio nel modo del
toglimento, del togliersi del disvelamento dell’essere a favore del disvelamento
dell’ente nel suo essere. Questo essere è l’enticità dell’ente ed è il grande tema della
storia della metafisica. Ma se le cose stanno così, allora risulta necessario, anche per
il pensiero dell’altro inizio, assumere il pensiero metafisico del primo inizio, poiché
esso appartiene pur sempre alla storia dell’essere che è da pensare. Per questo
motivo, Heidegger afferma nella sezione 93 dei Contributi alla filosofia (che è intitolata
Le grandi filosofie), che le grandi filosofie, e intende con ciò le grandi figure della storia
della metafisica, sono montagne invincibili e insuperabili. Ciò significa che le grandi
metafisiche sono insuperabili, non possono essere vinte. Filosofie, poiché traggono la
propria verità proprio dalla storia dell’essere.
La storia della metafisica viene vista in questi termini da Heidegger, come storia delle
grandi filosofie, di insuperate e insuperabili montagne; montagne che possono essere
solo nel loro ergersi e solamente così possono essere interpretate. Non è
possibile leggere la metafisica diversamente, per esempio come un voler superare,
come una volontà-di-vincere da parte di una posizione metafisica. Quando Heidegger
si appresta alla comprensione della metafisica nel senso della storia dell’essere, la
storia della metafisica appare come la prefigurazione di ciò che egli ha sviluppato in
primo luogo in senso fondamental-ontologico e poi nel senso della storia dell’essere.
La storia della metafisica, cioè, intesa come primo inizio, si accompagna sempre al
pensiero dell’altro inizio. Per un tale concetto di metafisica (montagne insuperate e
insuperabili) la parola Überwindung non va più bene. Vi sono alcuni luoghi testuali
(proprio recentemente uno di questi passi ha attirato la mia attenzione), nei quali
Heidegger rifiuta il significato di superamento nel senso del vincente lasciarsi-dietro,
confermando, tuttavia, che esso è proprio quello che più spesso ci viene in mente
quando udiamo la parola Überwindung.
Nella sua relazione Lei parla anche della differenza tra Grundfrage e Leitfrage. In che
cosa consiste precisamente questa differenza?
Questa differenza è straordinariamente importante. Heidegger l’ha introdotta per la
prima volta nel 1930 nel corso di lezioni intitolato Sull’essenza della libertà umana: con
il termine Leitfrage siintende la domanda guida per la metafisica. Egli la riporta nella
formulazione aristotelica “Che cos’è l’ente?”. Questa domanda non viene liquidata
come una domanda falsa, bensì viene mostrato che questa Leitfrage ha dal canto suo
un fondamento che la rende possibile, e questo è proprio la Grundfrage – Grundfrage
che prima viene posta in senso fondamental-ontologico, poi nel senso della storia
dell’essere. La Grundfrage domanda non più semplicemente “che cos’è l’ente?”, bensì
“che cos’è l’essere?”. E ciò non nel senso della quiddità dell’essere, bensì: “Come
perviene all’essenziamento l’essere?”. Quindi, la metafisica domanda “Che cos’è
l’ente?”, l’essere nel senso del “che cos’è” dell’ente (ousia), e la Grundfrage domanda
“come perviene all’essenziamento l’essere nella sua verità?”. E questa domanda sul
modo di essenziamento della verità dell’essere è la Grundfrage, poiché essa si
interroga sul fondamento (fondamento non nel senso di causa, piuttosto fondamento
nel senso di fondamento fondante, nel quale la Leitfrage si fonda e mediante cui viene
resa possibile). Anche in questo esempio si vede molto bene come Heidegger
riprenda la Leitfrage metafisica e vada oltre in direzione di una domanda più originaria,
pur senza presentare la Leitfrage metafisica come falsa o sbagliata.
Nell’ultimo corso marburghese del 1928 (Principi metafisici della logica), precisamente
nell’appendice al § 10, Heidegger parla di svolta e di capovolgimento. Di svolta egli
parla anche nella celebre conferenza Sull’essenza della verità(1930). Qual è la
differenza tra queste due accezioni della Kehre?
Il concetto di ‘svolta’ compare per la prima volta all’interno del pensiero ontologico
fondamentale, nell’ultimo corso di lezioni marburghesi (1928); si tratta di una ‘svolta’
che fin dall’inizio è prevista come capovolgimento, come ‘svolta’ dell’ontologia
fondamentale nella metaontologia, dove tale capovolgimento, tale ‘svolta’, è già
preconcepita nella concezione dell’ontologia fondamentale. L’ontologia fondamentale
non basta a se stessa. Essa è piuttosto la preparazione per la metaontologia, per la
metafisica ontica degli ambiti dell’essere che fanno parte dell’ente in totale, laddove la
metaontologia, naturalmente, rimane sempre connessa all’ontologia fondamentale.
Questa ‘svolta’ la chiamo fondamental-ontologica, e da questa ‘svolta’ fondamental-
ontologica occorre differenziare nettamente la svolta nel senso della storia dell’essere,
ovvero ciò che Heidegger chiama ‘svolta’ nella Lettera sull’Umanismo e che costituisce
il passaggio dall’approccio fondamental-ontologico a quello nel senso della storia
dell’essere. Quest’ultima Kehre ha come presupposto che il modo di essenziamento
della verità dell’essere venga visto e compreso in quanto ‘evento’. ‘Evento’ indica la
reciproca co-appartenenza della verità dell’essere e dell’essere dell’uomo, quindi
dell’essere del Ci. Si tratta di un rapporto cor-rispondente – Heidegger lo chiama
Gegenschwung nei Beiträge zur Philosophie – ma all’interno di questa struttura di
rapporti cor-rispondenti ve n’è uno che possiede un primato: l’Ereignung (che non è la
stessa cosa dell’Ereignis).
La maggior parte delle volte Ereignung indica per Heidegger il rapporto primario, la
verità ad-veniente, l’ad-veniente gettarsi della verità dell’essere, il gettarsi per l’essere
dell’uomo, per l’essere progettante dell’uomo, che dal getto ad-veniente viene lasciato
accadere come gettato, gettato nella verità dell’essere, affinché ottenga la Cura di sé.
Ottenga la Cura proprio nel modo del progettare, del progettante aprire di ciò che si
getta ad-veniendo, cosicché la struttura formale dell’Ereignis suoni: il getto ad-veniente
nel contro-slancio per il progetto avvenuto da ciò. Questo concetto di Ereignis,
potremmo dire, è l’Evento dell’essere. Il concetto di ‘evento’ di cui si parla a proposito
del seminario aristotelico tenuto a Marburgo nel 1928, invece, non è già l’‘Evento’
dell’essere, bensì è chiaramente l’‘evento’ dell’esser-ci. Quando l’esistere viene
compreso come evento, allora si tratta dell’evento dell’esserci, ed esso è ancora preso
in considerazione sul fondamento dello stesso concetto di evento che Heidegger ha
utilizzato già all’inizio del 1919 durante il semestre straordinario di guerra:
l’appropriarsi del vivere nel suo esser proprio. Il concetto di ‘evento’ sviluppato in
questo seminario del 1928 non si distingue quasi per niente o addirittura affatto dal
concetto di evento del 1919. Non si può, dunque, affermare che, poiché Heidegger nel
corso di un seminario su Aristotele nel 1928 ha parlato di evento, egli abbia già portato
a compimento una ‘svolta’ nel 1928. Ciò è assolutamente falso.
Il corso estivo del 1928, Principi metafisici della logica,e il successivo seminario su
Aristotele, si mantengono ancora completamente nell’ambito dei concetti di
trascendenza e orizzonte. Heidegger intende la trascendenza come ‘evento’, ma la
trascendenza è il modo d’essere dell’Esserci che comprende il mondo. Dunque si
tratta, per quanto riguarda questo concetto di evento del 1928, sempre dell’‘evento’
dell’Esserci, ma non ancora dell’‘Evento’ dell’essere. Ma la conferenza Sull’essenza
della verità del 1930 si rivela un primo e decisivo passo verso il pensare nel senso
della storia dell’essere, poiché ora la verità (la verità originaria, l’essenza della verità)
viene compresa come verità svelantesi-coprentesi e in questo accadere svelantesi-
coprentesi si trova proprio il gettarsi della svelantesi-coprentesi verità dell’essere in
quanto Ci e per l’essere del Ci.
Qui mi riferisco alla prima versione di questa conferenza che risale al 1930, sebbene
ad essere pubblicata nel 1943 sia stata la quarta edizione rielaborata. Il tratto
fondamentale di questa conferenza, il suo impianto, è quello del 1930, ma i passaggi
concettuali appaiono rimaneggiati; è per questo che solo nel 1943 compare la parola
, mentre nel 1930 questa espressione non è ancora presente, sebbene la
conferenza si muova già nello stato di cose dell’‘Evento’, visto che la verità dell’essere
viene pensata storicamente. Ciò significa non solo che la verità, come nell’ontologia
fondamentale, è più o meno originariamente apertura, ma piuttosto che ciò che egli
innanzitutto chiama apertura è in sé l’accadere della verità dello svelantesi-velamento
e del velantesi-svelamento. Quando Heidegger alla fine della conferenza Sull’essenza
della verità dice che è stata prevista una seconda conferenza che avrebbe tematizzato
il passaggio dall’essenza della verità alla verità dell’essenza – vi sono nel lascito
alcune annotazioni in cui questo passaggio di pensiero è brevemente schizzato – egli
intende la svolta dall’essenza della verità alla verità dell’essenza; questa svolta della
quale lei mi domanda è già la svolta nel senso della storia dell’essere, poiché la
domanda sull’essenza della verità si capovolge, e si è già capovolta nel corso di
questa conferenza, nella verità dell’essenziamento, nella verità dell’essenza. Ciò
dunque significa: nel dis-velamento dell’essenza dell’essere. La verità dell’essenza
non è un semplice rivolgimento dell’essenza della verità; in questo caso verità significa
qualcosa di diverso rispetto alla prima formula e così anche essenza. Nella formula
“l’essenza della verità”, il termine essenza significa innanzitutto la correttezza (viene
poi mostrato che questa correttezza si fonda nell’apertura); ma nel rivolgimen- to (la
verità dell’essenza), il termine verità indica il disvela- mento dell’essenza non più
nel senso dell’essenza, bensì dell’essenziamento dell’essere. Questa seconda
conferenza, perciò, non elaborata né pubblicata, avrebbe tratto dalla conferenza
pubblicata la conseguenza di tematizzare propriamente l’essenziamento storico della
verità dell’essere, dato che la prima conferenza si muove già nella tematizzazione
dell’originaria essenza della verità. Ma Heidegger ancora non dice expressis verbis
che questa originaria essenza della verità, pensata nella conferenza, sia la verità non
più dell’ente, bensì dell’essere. Affinché ciò sia mostrato, bisogna che giunga a
compimento la seconda conferenza.
Questa tesi Sull’essenza della verità appartiene, quindi, al territorio della svolta nel
senso della storia dell’essere, cioè al territorio del ritorno della posizione fondamental-
ontologica della domanda sull’essere nella posizione della domanda nel senso della
storia dell’essere, e questo concetto di svolta già rimanda alla fine della conferenza
Sull’essenza della verità alla ‘svolta’ nell’Evento. Entrambi questi concetti di ‘svolta’,
soprattutto quello fondamental-ontologico, devono allora essere tenuti rigorosamente
distinti dal concetto di ‘svolta’ nel senso della storia dell’essere. Quest’ultimo emerge
per la prima volta là dove l’evento è Evento dell’essere e non più solamente evento
dell’Esserci.
Nella sua relazione Lei ha parlato di metaontologia, interpretandola nei termini di
un’ontologia regionale. A questo proposito Heidegger afferma che Aristotele parla di
due direzioni della filosofia: la prote philosophia (ontologia fondamentale) e la
theologike philosophia (metaontologia). Di queste due direzioni della filosofia, dice
Aristotele, l’autentica filosofia deve essere pensata come theologike philosophia. Nello
stesso tempo, Heidegger sostiene che il tema della theologike philosophia, cioè Dio (to
, che è naturalmente anche il tema della metaontologia, debba essere definito
das Umgreifende und Überwältigende (l’onniabbracciante e l’incombente), das
Übermächtige (l’onnipotente). Tutte determinazioni che non fanno pensare a nulla di
regionale…
La sua domanda coglie il punto. Vorrei fissare la differenza tra ontologia fondamentale
e metaontologia (in quanto ontologia regionale) non tanto sul rapporto tra filosofia
prima e teologia, sebbene Heidegger vi faccia riferimento – si tratta comunque di un
passo oscuro – bensì in riferimento alla moderna, leibniziano-wolffiana, e accademica
partizione della metafisica in metaphysica generalis e metaphysica specialis.
Partizione della quale Heidegger ha sempre molto parlato nelle sue lezioni su Kant.
Direi che l’ontologia fondamentale è la forma originaria della metaphysica generalis.
Mentre la metaphysica generalis è orientata alla Leitfrage, l’originaria fondazione della
metaphysica generalis attraverso l’ontologia fondamentale è orientata alla Grundfrage;
come all’interno della metafisica la metaphysica generalis prepara le tre metafisiche,
così, per analogia, l’ontologia fondamentale prepara la metaontologia dell’ente in
totale. Credo che Heidegger con questo riferimento alla distinzione aristotelica di
filosofia prima e teologia avesse davanti agli occhi ciò che stava alla base della
distinzione tra metaphysica generalis e metaphysica specialis, poiché questa
distinzione aristotelica è entrata nella separazione scolastica di metaphysica generalis
metaphysica specialis, e ora, per Heidegger, le metafisiche speciali non significano
la metafisica dell’anima, la metafisica del mondo e la metafisica di Dio, bensì le
metafisiche speciali dei diversi ambiti dell’essere. La distinzione heideggeriana tra
ontologia fondamentale e metaontologia è, nell’ambito della Grundfrage, la distinzione
più originariamente fondata tra generalis e specialis.
Vi sono delle critiche che vorrebbe muovere alla filosofia di Heidegger?
Una prima critica consiste nel modo in cui in questa occasione, per esempio, ho
interpretato la comprensione della metafisica da parte di Heidegger. La mia critica,
dunque, all’utilizzo della parola “superamento”. Senza dubbio Heidegger, come
nessun altro pensatore, ha intrapreso una nuova via. Deve essere sottolineato molto
chiaramente che egli ha posto le fondamentali domande metafisiche in una forma
nuova. Si tratta di un suo merito incomparabile. Diversamente da lui, tuttavia, io vorrei
mantenere con pari diritti, se è lecito che io per una volta mi esprima così, la strada
che la metafisica ha finora percorso. E qui si deve ancora una volta combattere contro
Heidegger (in fondo egli già salvaguarda la strada della metafisica tradizionale; è,
infatti, normale che un uomo che in quaranta corsi di lezioni ha quasi esclusivamente
trattato la storia della metafisica, ad un certo punto tagli corto con essa, la metta da
parte e si occupi delle proprie cose).
Sono stato invitato a Bologna ad un congresso sul tema “Metafisica e nichilismo –
Löwith e Heidegger interpreti di Nietzsche” e lì ho tenuto una conferenza dal titolo
Sottrazione e annientamento: sulla differenza essenziale tra metafisica e nichilismo.
A tal proposito, una seconda critica, che si riallaccia alla prima e che abbiamo toccato
brevemente, è la seguente: Heidegger, seppure in un senso elevato, intende la critica
alla metafisica come critica al nichilismo. Questo non posso condividerlo. C’è in lui, per
esempio nel trattato del volume 69 dell’opera completa, La storia dell’essere, una
grandiosa interpretazione nel senso della storia dell’essere di ciò che il nichilismo è nel
nostro tempo; lì si parla dell’annientamento, l’annientamento di tutta la significatività;
egli sostiene che la significatività e ciò che è decisivo – qui ha naturalmente in mente il
dominio dell’essenza della scienza moderna e della tecnica moderna – vengano
annientate, e precisamente annientate irrimediabilmente. Questa è un’analisi del
nichilismo, ma questo carattere di annientamento è, secondo me, da un punto di vista
qualitativo, altra cosa rispetto a ciò che nella metafisica accade come ritrarsi.
Heidegger interpreta la sottrazione, il ritirarsi della verità dell’essere nella metafisica,
precisamente in modo che ciò che aumenta e si accresce venga inteso come un
aumentare di ciò che rispetto all’essere è nulla. Quindi, un aumentare del
fondamentale tratto nichilistico della metafisica. Si tratta di una visione troppo ristretta,
direi addirittura non attestabile fenomenologicamente – e io insisto sempre molto
sull’atteggiamento fenomenologico. C’è il nichilismo, ma esso non è solamente il
ritrarsi della verità dell’essere, bensì l’accadere dell’annientamento. Sostengo, dunque,
che da un punto di vista fenomenologico c’è una differenza essenziale, una differenza
qualitativa tra sottrazione e annientamento. Questo è stato il tema principale di quella
conferenza ed è stato così ben accolto, dai colleghi italiani e dagli uditori, che ho
intenzione di lavorarci ancora.
Una terza critica consiste nella visione heideggeriana della teologia nel senso della
storia dell’essere come totalmente altra rispetto alla teologia cristiana. Nel senso della
dell’essere di Heidegger, dunque, si tratta della dipartita del Dio cristiano in
connessione con Nietzsche e il suo “Dio è morto” a vantaggio di questo atteso (con
Hölderlin, naturalmente) e futuro apparire del divino. Neanche questo, però, sento di
poter condividere. Si tratta di un incomparabile passaggio di pensiero, ma anche le
argomentazioni sull’ultimo Dio risultano fenomenologicamente indimostrabili. La
finitezza del filosofare per me si mostra ai limiti di ciò che non è più
fenomenologicamente dimostrabile. Come preparazione per l’apparire dell’ultimo Dio,
Heidegger dice già molto bene nella Lettera sull’Umanismo che l’evento in sé potrà
accadere solamente quando la verità dell’essere tornerà ad avere valore; quando egli
afferma che il sacro, e nel sacro la dimensione del divino e nella dimensione del divino
il Dio, potrà accadere, egli intende (sebbene non lo dica nella Lettera sull’Umanismo)
l’ultimo Dio; ciò può ritenersi fenomenologicamente comprensibile, dimostrabile. A
queste dichiarazioni mi sento di aderire pienamente, ma questo Dio che deve apparire
può essere anche il Dio cristiano, esattamente come Heidegger ha meravigliosamente
detto nella sua lezione di libera docenza, nella sua introduzione alla fenomenologia
della religione, nella sua interpretazione delle lettere di Paolo, dei Galati e dei
Tessalonicensi. Per quanto riguarda la religiosità cristiana e l’attesa del Dio cristiano,
del ritorno di Cristo nell’ambito delle lettere paoline, la dimostrazione diviene positiva in
base alla liberazione dall’interpretazione filosofica da lui compiuta. Ciò si mostra come
fenomeno poiché libero rispetto allo stravolgimento effettuatone nell’ambito
dell’ontologia greco-aristotelica. Secondo la mia opinione, ma qui io stesso sono
solamente all’inizio, ciò che Heidegger ha affrontato nel suo primo corso di lezioni da
libero docente in riferimento alle lettere paoline, all’interno della sua analisi della vita
fattizia, deve essere pensato, conformemente alla cosa stessa, insieme al pensiero
dell’evento.
Questi sono tre inizi per una critica, con cui io non ho intenzione di superare
Heidegger (sarei completamente pazzo). Fichte poteva andare più in alto di Kant, ma
io ho spesso detto che il Fichte di Heidegger ancora non c’è (escluderei che Derrida lo
sia). E tuttavia vorrei filosofare con Heidegger, poiché ciò è in sé affascinante; nel
pensiero di Heidegger è raccolta l’intera filosofia occidentale, ma con alcune
modificazioni, e in queste modificazioni consistono le mie critiche.

(Traduzione dal tedesco di Federico Lijoi. Un particolare ringraziamento va a Thomas


Brandstaetter)

PUBBLICATO IL : 07-02-2005
@ SCRIVI A Federico Lijoi
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