PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE

NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

INDIPENDENZA di Andrea Muccioli E LUCE NICOLEMINA di Romina Ciuffa
SIAE
di Nicola Cirillo

Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music
lla C.A. del

er noi, nessun ragazzo tossicodipendente è un
P malato irrecuperabile, destinato a convivere
fino alla morte con la sua condizione. Lo
vediamo invece come un individuo unico e irri-
petibile, pieno di capacità e potenzialità che deve
riscoprire e imparare a esprimere. Per questo, nel
momento in cui ci chiede aiuto, non guardiamo
mai al male che ha fatto a se stesso e agli altri a
causa della sua condizione. Per questo, da sempre
San Patrignano offre un grande numero di oppor-
tunità educative ai suoi ospiti. Si studia, si impa-
ra un lavoro, si fa sport, si fa tutto ciò che appar-
tiene alla vita. E la musica è certamente una parte
importante dell’esistenza di ognuno di noi. (...)
¢ CONTINUA NELLA PAGINA CLASSICA-MENTE
«A Presidente
della Siae
e, per conoscenza:
Siae-Sezione
Musica. Mittente:
Rita Marcotulli.
Oggetto: Lo stallo dei diritti d’autore della
musica dal vivo. Lettera aperta alla Siae dai
Musicisti in Italia. Egregio Presidente, in qua-
lità di artisti e professionisti iscritti alla Siae da
decenni, vorremo aprire un confronto serio e
produttivo in merito alla tutela dei nostri diritti
d’autore. Nonostante il nostro contributo come
autori e come interpreti sia diventato di anno in
anno sempre più rilevante in ambito nazionale
ed internazionale, le risultanze economiche dei
diritti liquidati dalla Siae sono sempre meno con-
sistenti. Per molti di noi, il livello medio delle
liquidazioni dei diritti d’autore Siae si mantiene
praticamente costante da decenni.» (...)
¢ CONTINUA NELLA PAGINA SPECIALE
ara Romina, scusami. Non sono potuta veni-
C re per l’intervista perché mi hanno fissato
due compiti in classe domani. Ti scrivo allo-
ra questa lettera, per parlarti di me. Dentro trovi
tutta me stessa: metto Frank Sinatra, Janis Joplin,
Bruce Springsteen, Aretha Franklin, metto New
York e Broadway, il Fantasma dell’Opera, il
mondo. Metto il ’68 e la mia adolescenza, i miei
vestiti, la libertà. Aggiungo il mio stereo della
Chicco, un tatuaggio, i miei primi 18 anni, il
musical, il Saint Louis, X-Factor. Le diverse
anime che ho nei miei gruppi: i Nivada Stil, i
Sat&B, The Estranged. E i libretti delle giustifi-
cazioni che ho riempito per cantare. (...)
¢ CONTINUA NELLA PAGINA BEYOND

LUCE
SIAE
SPECIALE
JAZZ
& blues SAINT LOUIS BIG BAND ROCKOFF BELLADONNA

Direttore
ROMINA CIUFFA
Direttore Responsabile
SALVATORE MASTRUZZI
Caporedattore
ROSSELLA GAUDENZI
Redazione
Flavio FABBRI rockoff@musicin.eu
Rossella GAUDENZI jazzblues@musicin.eu
Valentina GIOSA alt@musicin.eu
Roberta MASTRUZZI soundtrack@musicin.eu
Contributi
Adriano Mazzoletti, Andrea Muccioli
Lorenzo Bertini, Luca Bussoletti, Nicola Cirillo
Lorenzo Fiorillo, Lucio Lussi, Alessia Panunzi
Paolo Romano, Eugenio Vicedomini, Livia Zanichelli

Music In Video
Videointerviste
Reportages, Live
SOUtrN
acD
king BLACK SWAN FEED
BOOK WYNTON MARSALIS
Romina CIUFFA
www.youtube.com/musicinchannel

Music In Radio
Romina CIUFFA
Michele FALANGA
SE MAOMETTO NON VA A BRINDISI
Redazione uando Appio Claudio avviò la costruzione della Via
Via Urbana, 49/a
00184 Roma
Tel. 06.48.70.017
Q Appia, non poteva immaginare che questa avrebbe
un giorno collegato idealmente le due sedi del Saint
Louis, site a pochi metri dall’inizio e a pochi metri dalla fine
Fax 06.48.91.30.51 di questa strada. Passando per Maleventum che, a seguito
redazione@musicin.eu delle vittorie riportate dei Romani sui Sanniti, mutò il suo
nome in Beneventum: chi vince ha sempre ragione e scrive
Progetto grafico la storia a modo suo. La strada poi declina per Taranto,
e fotografia città che ha dato i natali al direttore didattico del Saint
Romina CIUFFA Louis di Brindisi, Salvatore Russo, e finalmente termina
con colonne imponenti in quella che era la porta per
Tipografia l’Oriente. Questa gigantesca ricostruzione e giustifica-
IPrint Srl zione storica potrebbe da sola motivare la scelta di apri-
Via Tiburtina, re una scuola di jazz e di rock nel Salento.
km 18,300 - Guidonia Ma c’è dell’altro. Quasi quattro anni fa, un sindaco deci-
se che, oltre all’Università e al Conservatorio, che lui
Anno IV n. 17 stesso aveva fortemente voluti e conquistati per la città
Primotrimestre 2011 di Brindisi, i ragazzi pugliesi meritassero una struttura
che li avviasse anche alla musica di oggi. Il messaggio è
Reg. Tribunale di Roma chiaro: non si impara a suonare professionalmente rock
n. 349 del 20/7/2007 o blues guardando la televisione né scaricando fram-
menti di lezioni. In questo senso, una scuola di musica
STEFANO moderna svolge un compito di utilità sociale, è fenome-
MASTRUZZI no aggregativo, sano, talvolta con funzione di recupero
EDITORE e sostegno. E in un contesto politico non sempre brillan-
te, dove far fare anticamera viene spesso interpretato come un sintomo di
importanza, il sindaco Domenico Mennitti mi è persino venuto a cercare,
per convincermi a creare una scuola nella sua città.
La struttura che il Comune ha messo a disposizione del Saint Louis è
imponente e farebbe invidia a qualunque conservatorio italiano, con
migliaia di metri quadri, aule insonorizzate, ampi spazi e perfino un audi-
torium per concerti e rappresentazioni; un ex convento del millequattrocen-
to che torna a vivere dopo anni di abbandono. Trapiantare un centro cultu-
rale d’eccellenza in una realtà assai diversa da quella romana non è proprio
un automatismo. Diversa non significa migliore o peggiore,
semplicemente differente. Come potrebbe accadere operan-
do a Gubbio o a Taormina, a Pinerolo o a Ragusa.
Certamente un ragazzo di Brindisi, con marcati interessi
artistici e musicali, ha poche possibilità di scelta rispetto a
un coetaneo di Roma: la scuola dell’obbligo raramente si
spinge oltre il flauto dolce, come in tutta Italia del resto. I
conservatori ricoprono il settore che storicamente compete
loro, quello della musica classica, mentre la musica moder-
na, espressione più viva della contemporaneità, rimane affi-
data all’iniziativa di insegnanti privati, che, in questo senso,
hanno dato un notevole contributo alla crescita musicale di
intere generazioni, colmando inspiegabili lacune tutte ita-
liane. Ma la presenza non è sufficiente. (Stefano Mastruzzi)
¢ CONTINUA NELLA PAGINA VISTA-MARE
 JAZZ
& blues SAINT LOUIS BIG BAND Antonio Solimene L’orchestra è l’apoteosi del
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

MINIMUM FAX C’è qualcosa che imprescindi-

senso d’assieme. Non è il regno del solismo, ma il luogo in cui la somma di ogni bilmente unisce un libro alla musica, ed è l’impri-
a cura di ROSSELLA GAUDENZI
singolo valore è maggiore del singolo: otto per dieci fa cento, non ottanta. matur. Una volta pubblicato, tutto resta.

a cura di Rossella Gaudenzi

E QUESTO
È IL
BIGBAND
in da piccolo ho sempre preferito capire come funzionassero le cose piuttosto che gio-
D
MINIMUM
aniele Di Gennaro, fondatore
di Rossella Gaudenzi

l’impulso di restituzione.

«S
care con esse... ed ecco che un nuovo giocattolo si trasformava in un mucchio di pezzi della casa editrice Minimum Fax,
fino ai 26 anni era sassofonista.
per poi essere abbandonato. Poi, la sera di un Natale di tanto tempo fa, mia madre Dopo aver scartato le possibilità
ebbe l’idea di regalarmi un piccolo organetto che è rimasto sempre intatto. Da allora offerte dagli studi giuridici rima-
continuo a giocare, smontare e ri-comporre musica, inconsapevole ieri e consapevole oggi di nevano in gioco due anime, quel-
essere entrato in contatto con un mondo infinito.» Antonio Solimene la di musicista e quella di grande
amante dei libri. Il successo di
Minimum fax fa sostenere che la
ibrare nell’aria, sollevarsi a tal punto da affermare tanza del gioco del rispetto reciproco. A volte serve una strada intrapresa sia stata la scelta
Nel 1997 esce Come se avessi
le ali - Diari di Chet Baker, primo
libro di una serie dedicata al jazz.
Per poter scrivere di musica
occorre vivere accanto ai musici-
sti, questo è il nostro modo di fare
la differenza, il poter fare una
revisione tecnico-musicale, revi-
sionare e correggere le trascri-

V di sentirsi la persona più fortunata sulla faccia della

terra nel momento in cui si dirige l’orchestra. La
Saint Louis Big Band. Antonio Solimene, pianista, arran-
leadership, ma occorre autorevolezza e non autorità. E i
risultati ci sono; i due musicisti che hanno dovuto abban-
donare l’orchestra sono andati via con molto dispiacere.
giusta. Ma non solo: l’anima di
musicista ha permesso la produ-
zione di libri a tema musicale di
zioni. Per fare ciò è necessario
passare attraverso persone che
suonano.
giatore, compositore, e appunto direttore d’orchestra, la Come è nata l’odierna Saint Louis Big Band? qualità. E continua così a vivere. La casa editrice legge edizioni
sua Big Band la dirige ormai da quattro anni. Quattro anni Il lavoro è iniziato nel 2007 con un’audizione, una sele- Dal 1993 al timone dell’avven- appena uscite negli Usa; non tutto
di equilibri da inventare, mantenere, ricreare, che poggia- zione piuttosto rigorosa. Pian piano ho selezionato musici- tura Minimum Fax, Di Gennaro ha ciò che ci sembra interessare
no su un lavoro duro e assiduo che fa rima con un’unica sti con qualità musicali spiccate ma anche con un senso fatto sì che si creasse, con la colla- regge, vengono pubblicati meno
parola: passione. d’assieme. Ecco, l’orchestra è l’apoteosi del senso d’assie- na Sotterranei, una contaminazio- di un decimo dei libri selezionati
Si procede a ritroso: dall’ultimo progetto che ha porta- me. Non è il regno del solismo, ma il luogo in cui la ne e creazione di linguaggi, che e sceglie la via delle voci dirette:
to Antonio Solimene in terra spagnola, per arrivare alle somma di ogni singolo valore è maggiore del singolo: otto nello specifico significa far convi- o autobiografie o voci d’autore. A
origini, al primo concerto della Big Band nella salentina per dieci fa cento, non ottanta. E questa è la magia del- vere il primo autore edito, Charles maggio uscirà un libro di Sam
Brindisi. L’ultimo progetto nasce all’insegna del Saint l’orchestra. Bukowski, accanto a David Foster Cooke (nella foto) sulla Blue
Louis Jazz Contest e del Festival Odio l’Estate 2010, Come è nato l’amore di Antonio Solimene per la dire- Wallace, Leonard Coen (Music In Note Records, la biografia di una
grazie al contatto con Alberto Conde, pianista e docente zione d’orchestra? 15, Feedback > Le spezie della casa discografica. Inoltre altre
del Conservatorio Superior de Música da Coruña ospite Dirigo orchestre da vent’anni, l’ensemble mi appassiona terra), a Gus Van Sant. riproposte, poi i Police, il grunge
«convidado» di apertura di una straordinaria serata, quel- da sempre. Amare questo ruolo significa avere l’indole di Le storie che approfondiscono e i Nirvana. L’età dei lettori si rin-
la del concerto Escenas Argentinas di Javier Girotto chi è presente, di spalle, e può guardare negli occhi dei il terreno sul quale nascono que- nova. I vecchi cultori sono coloro
assieme alla Saint Louis Big Band. Alberto Conde ha musicisti. Il direttore d’orchestra è il vero anello di con- ste vicende artistiche hanno che oggi sono tra i 40 e i 60 anni
suonato due brani con la Big Band e ha manifestato giunzione con il pubblico, rappresenta il punto di raccogli- senso per capire i grandi innova- e rappresentano quel che è chia-
immediatamente il desiderio di incidere un disco con mento di tanta tensione energetica. Deve essere in grado di tori. Non siamo monomaniaci mato il «portafoglio».
essa. Un progetto che coinvolga l’intera Big Band in compensare i deficit; quando si sale sul palco tutto si azze- della letteratura. Minimum Fax I giovani devono fare econo-
Galizia è articolato e dispendioso, quindi si avanza per ra. Si entra in una dimensione altra, che io vorrei poter far non è solo una casa editrice. Un mia, ne siamo consapevoli.
piccoli passi. vivere a tutti. È la dimensione dell’esaltazione dell’animo. paio di anni fa, ad esempio, Pensiamo a loro facendo delle
Il 26 e 27 gennaio 2011 il primo passo verso la Spagna Quando salgo su un palco a dirigere la mia Big Band mi all’Umbria Jazz di Perugia offerte che talvolta raggiungono
lo hanno mosso Antonio Solimene e Rosario Giuliani, sento in assoluto la persona più fortunata del mondo. abbiamo organizzato conferenze il metà prezzo.
prendendo parte all’Ibero Jazz Festival. A seguire, attendia- Quali progetti sta portando avanti la Saint Louis con la presenza di musicisti quali La critica invece. Attraverso i
mo che il festival estivo del Conservatorio Superior de Big Band? Rava e Pieranunzi. Sostiene piani di comunicazione si crea un
Música da Coruña ospiti l’intera orchestra. I lavori in corso sono due. Un disco che conterrà undici Enrico Pieranunzi che il pittore motore spontaneo.
La mia presenza al Conservatorio Superior de Música brani di Marcello Rosa. Un lavoro che definirei «semanti- Jackson Pollock sia molto vicino I nostri libri a tema musicale
da Coruña mi vede impegnato su due fronti: con una co», infatti, insieme alle registrazioni, il disco conterrà a Monk per l’uso di diversi lin- sono pochi ma buoni, uno all’an-
Master Class di Composición Motívica (accanto a quella tutte le partiture degli undici brani trascritte in formato guaggi per esternare un medesi- no dal 1997 in poi. E importante
di Rosario Giuliani, Saxo e Improvisación) e alla direzio- PDF, ricopiate fedelmente dai manoscritti originali e in mo sentimento. è non farli mai sparire, farli sem-
ne dell’orchestra del Conservatorio, presso il Teatro alcuni casi adattate alla formazione. Un lavoro di archivio L’interesse di Minimum fax pre circolare. Il libro di Chet
Rosalia de Castro, con Rosario Giuliani special guest. (realizzato anche grazie alla collaborazione di Francesco nasce da uno sguardo di trasfor- Baker dopo 15 anni è riproposto
Per quanto concerne il repertorio ho voluto inserire lavo- Luzzio e Dora Sisti) che renderà parte della musica di mazione di tutti i linguaggi, in e rinfrescato. La nostra parola
ri di alcuni arrangiatori di risonanza nazionale, cito tra Marcello fruibile da tutti: riproporre anche per tramanda- contrapposizione alla parola chiave rimane approfondimento,
gli altri: Luigi Giannatempo e Sergio Di Natale. E’ stato re. E un disco con Javier Girotto su arrangiamenti di Luigi «resistenza»: per la conservazio- dunque ristampe, eventi, proie-
inserito, inoltre, un arrangiamento di un mio allievo Giannatempo. Girotto ha deciso di incidere il prossimo ne di alcuni valori, non c’è dina- zioni, mostre fotografiche, eventi
talentuoso, Francesco Luzzio. disco con la Saint Louis Big Band per l’etichetta Jazz mismo e non c’è conquista. tetrali. Non è possibile prescinde-
Questo è un momento che definirei di chiusura dei cer- Collection anziché con la PMJO. Direi che è un grande L’incontro con il pubblico avvie- re dall’ascolto; occorre scavare
chi e che mi sta molto a cuore. C’è una fase delicata che atto di stima. ne su linee orizzontali passando nei video, nella letteratura, nelle
consiste nel ridefinire i ruoli e nel mettersi da parte come Come definiresti l’esperienza del recente concerto per letture teatrali, concerti, foto- interviste storiche, nei testi scritti
docente, quando hai di fronte un allievo davvero bravo. con Girotto? grafia, grafica e altro. La gente è sugli album, nel vinile. Questo è
Sapersi mettere da parte e aprirgli le porte. Un’esperienza travolgente, sia umanamente che musi- entusiasta, avverte l’urgenza del- il nostro punto di forza. ■
La Big Band è costituita in parte da ex allievi oggi calmente. Suonare le sue composizioni con gli arrangia-
divenuti dei veri professionisti. Le esperienze accanto a menti di Giannatempo ha realmente esaltato gli animi, si
Scannapieco, Giuliani, Rosa e l’ultima, con Javier Girotto, percepisce la profonda intesa dei due, viene data voce
ha permesso un moto accelerato e una forte crescita. Big alla loro intenzione. L’Argentina e l’Italia, se posso defi-
Band come crossroads, incrocio di professionisti e non, di nirli musicalmente Paesi del Sud del mondo, hanno in
allievi ed ex allievi. Cito alcuni nomi, tra i solisti: Enrico comune molto cuore, una passionalità coinvolgente.
Olivanti (in questo numero, nella rubrica Feedback E dunque un episodio rimasto nel cuore di Antonio
ndr.), Mario Nappi, Marco Spedaliere, Davide Di Pasqua- Solimene?
le, Gianfranco Menzella, nella ritmica Toto Giornelli e Ricordo la prima serata della Saint Louis Big Band, a
Giuseppe D’Ortona, ex allievi divenuti oggi professioni- Brindisi, nel 2008. Una serata a dir poco elettrica, impre-
sti di qualità. ziosita dalla presenza di Daniele Scannapieco. Una tira-
Siamo di fronte alla prima Big Band del Saint Louis, ta unica, dalla mattina fino alle quattro del giorno suc-
che dura da anni ed è in crescita. cessivo a parlare e confrontarci, dopo aver lasciato il
Fondamentale è che non ci si monti mai la testa. Mai palco. L’avventura della Big Band stava iniziando, il pro-
come in un lavoro come questo si può parlare dell’impor- getto si stava trasformando in realizzazione. ■

TOP JAZZ Danilo Rea

miglior tastierista

2010 Rosariomiglior
Giuliani
sassofonista
Roberto
miglior batterista
Gatto tel. 06/4870017
management@slmc.it
www.saintlouismanagement.eu
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

BRIAN RUST Con lui decede la discografia. Con lui va via la possibilità di rintracciare MULATU ASTATKE Aggrottamento di
JAZZ
& blues
luogo e data di incisione di un pezzo jazz. Non perché Rust sia scomparso, bensì perché ciglia, perplessità, senso di smarrimento.
c’è una «i» all’inizio di ogni raccoglitore moderno, e non è messa in ordine alfabetico. Chi è? Ripartiamo dall’inizio.

L’I-FINE ESSER MULATU

DELLA VERA
DISCOGRAFIA
di Adriano Mazzoletti

O
ggi i discografi hanno un problema da affrontare: cosa fare con la musica registra- di Paolo Romano
ta sugli i-Pod e le sue varianti i-Pod Nano, i-Pod Shuffle, i-Pod Touch? Non avendo
numeri di catalogo, è impossibile l’identificazione. Molti si chiedono se oltre a

P
Brian Rust è anche la discografia ad essere morta. rimo africano della storia a diplomarsi alla Berklee School
di Boston (e pensare che i genitori l’avevano mandato a
studiare ingegneria in Scozia), Mulatu Steps Ahead.

Il
nome di Brian Rust probabilmente dirà poco o A dire il vero prima di Charles Delaunay un altro stu-
nulla a chi legge queste righe, ma per chi si dioso, Hilton R. Schleman, aveva pubblicato a Londra

occupa professionalmente di jazz è conosciu-
to e fortemente apprezzato. Chi è questo signore, o
meglio chi era? Infatti Rust è scomparso la notte fra il
5 e il 6 gennaio, durante il sonno, all’età di 88 anni
nella sua casa di Londra. Ogni appassionato e studioso
di jazz possiede almeno un’edizione delle molte sue
discografie. Infatti Rust è considerato il padre della
moderna discografia in campo jazzistico.
Nelle enciclopedie del jazz alla voce Discografia, si
legge: «Elencazione cronologica e dettagliata delle
registrazioni sia in studio che dal vivo, pubblicate o
inedite, di complessi, orchestre e singoli musicisti».
Una discografia, pur necessaria nella musica accademi-
ca o commerciale, è spesso limitata ad una schematica
lista di titoli, esecutori e marche di dischi. Nel jazz
invece, a causa del valore di ogni singolo musicista che
ha partecipato all’incisione, assume una particolare
importanza.
Per cui la discografia jazzistica trae valore dal mag-
gior numero di informazioni in essa contenuta: luogo e
data di incisione di un determinato disco, nomi e stru-
menti di tutti i musicisti che hanno preso parte alla sedu-
ta, nomi degli arrangiatori dei singoli brani, titoli delle
composizioni musicali incise, ma anche quante volte,
nella stessa seduta, è stato ripetuto lo stesso brano e
quale di questi è stato pubblicato con l’indicazione del
un volume di quasi trecento pagine dal titolo Rhythm
on Record in cui erano elencati, secondo uno schema
che poi venne ripreso dagli altri discografi, i dischi
incisi e pubblicati negli Stati Uniti e in Inghilterra dal
1906 al 1936. Perciò, se bisogna individuare il vero ini-
ziatore della discografia di jazz, è sicuramente questo
ormai dimenticato ricercatore del cui libro (che ebbe
una sola edizione, quella del 1936, per Melody Maker)
si conoscono poche copie diventate ormai pezzi da col-
lezione. Mentre Schleman e Delaunay, per diverse
ragioni soprattutto a causa dello scoppio della Seconda
Guerra Mondiale, non sono riusciti a proseguire le loro
opere, Rust invece ha pubblicato la sua immensa disco-
grafia generalista, che comprende tutto il jazz registra-
to dal 1897 alla comparsa sul mercato del compact disc,
in un numero impressionante di volumi, recentemente
pubblicati anche su cd.
Da qualche anno, con la produzione discografica che
ha raggiunto vertici impensabili, sono nate le «name
discography», discografie cioè dedicate ad un singolo
musicista, opere spesso indispensabili e di più agevole
consultazione. Anche se con la continua pubblicazione
su disco di registrazioni live anche queste discografie
diventano incomplete. Solo per alcuni musicisti di gran-
de importanza come Duke Ellington, Count Basie,
Miles Davis o John Coltrane, i ricercatori sono riusciti
M
ulatu Astatke. Aggrottamento di
ciglia, perplessità, senso di
smarrimento. Chi è? Ripartiamo
dall’inizio. Astatke è probabilmente il
più importante musicista di jazz etnico
degli ultimi trent’anni. Per chi si ricor-
da un bel film di qualche anno fa di Jim
Jarmush, Broken Flowers, che deve
parte del suo successo alla azzeccatissi-
ma colonna sonora, ecco, è sua, in par-
ticolare quella Yègelle Tezèta che lo ha
fatto conoscere definitivamente al pub-
blico americano e caraibico a metà
degli anni Settanta. Per chi, invece,
desidera credenziali curricolari andrà
ricordato che Mulatu vanta collabora-
zioni con Duke Ellington, per esempio,
che ebbe modo di conoscere ad Addis
Abeba durante il tour che il Duca portò
in Africa nel 1973.
Etiope di nascita, primo africano
della storia a diplomarsi alla Berklee
School di Boston (e pensare che i geni-
tori l’avevano mandato a studiare inge-
gneria in Scozia), Astatke è un polistru-
mentista (pianista e vibrafonista,
soprattutto) che ha appena pubblicato
un album dal significativo titolo
Mulatu Steps Ahead, che presenta a
Roma e che si avvale della collabora-
zione della Either Orchestra e del col-
lettivo Heliocentrics. L’album rivisita
in chiave del tutto improvvisativa cel-
lule melodiche e canti tradizionali etio-
pi, con un’energia creativa e una capa-
cità comunicativa assolutamente fuori
dal comune.
Instancabile sperimentatore, Astatke
è concentrato parallelamente tanto
nell’uso della più moderna tecnica
jazzistica e di avant-garde quanto
nella riscoperta delle nenie regionali
etiopi, utilizzando spesso rielabora-
zioni di strumenti popolari pressoché
scomparsi, come il krar: chi altri sa
com’è fatto? ■

nome della casa discografica e del numero di catalogo
del disco originale e delle successive ristampe. Perché il
jazz a causa del suo carattere estemporaneo ha assoluta
necessità di queste informazioni per una corretta analisi
dell’opera di ogni singolo musicista.
Rust è stato colui il quale, prendendo le mosse dai
suoi predecessori, soprattutto il francese Charles
Delaunay, figlio dei pittori Robert e Sonia esponenti del
cosiddetto «cubismo-orfico» a cui si deve la prima
discografia nella storia del jazz, portò lo studio di que-
sto importante settore a livelli altamente professionali.
ad individuare anche i luoghi, le date e i titoli dei brani
suonati nel corso di concerti, festival ed esibizioni in
locali pubblici in modo che al momento della pubblica-
zione di queste registrazioni, lo studioso e l’appassiona-
to possono immediatamente ritrovare tutte le relative
informazioni. Oggi i discografi hanno però un altro pro-
blema da affrontare: cosa fare con la musica registrata
sugli i-Pod e le sue varianti i-Pod nano, i-Pod shuffle, i-
Pod touch? Non avendo numeri di catalogo, è impossi-
bile l’identificazione. Molti si chiedono se oltre a Brian
Rust è anche la discografia ad essere morta. ■ SPAZIO DISPONIBILE PER CONCERTI, FESTE, EVENTI,
LeStorie
LIBRERIA BIS TROT
SAGGISTICA • STORIA • NARRATIVA • ARTE • ARCHITETTURA
BAMBINI • GUIDE TURISTICHE “LONELY PLANET”
PRENOTAZIONI E ORDINAZIONI IN TEMPI RAPIDI
TESTI UNIVERSITARI • DVD & CD • FIDELITY CARD
CAFFETTERIA • SALA THE • APERITIVI • PRANZO&CENA
MOSTRE D’ARTE E FOTOGRAFICHE • PRESENTAZIONI LIBRI
INCONTRI CULTURALI, MOSTRE, PERFORMANCE

Stefano Mastruzzi
 ROCK
OFF BELLADONNA Padri del rock noir, sono su Wikipedia, Rolling Stones e GQ, ELVIS COSTEL- PEARL JAM Ho visto le cose
Michael Nyman suona il piano per loro, hanno Ballot nei Grammy Awards, registra- LO Mississipi. E il più chiaramente una volta che
a cura di FLAVIO FABBRI
no a Los Angeles. E se digiti «belladonna» online trovi un ragno e una pornostar.
BELLADONNA
A CURA DI FLAVIO FABBRI
S
arò Agca nella follia, Osvaldo nello stile, e se Stauffenberg sentisse sono
certa, riderebbe. Se Bin Laden esistesse, approverebbe. Questa notte il
bastardo morirà. Sono Amleto per pazzia, Macbeth nel sangue. Se
Ghandi fosse vivo amerebbe la mia bomba, se Cesare stesse guardando
non si divertirebbe. Dopo lo scoppio io mi chiederò: Hitler è ancora vivo?
N
ati nel giorno di San Valentino del
2005, i Belladonna nell’arco di pochi
anni e senza nessuno alle spalle sono
divenuti famosi in tutto il mondo, grazie ad una
miscela di testi filosofici e di sonorità rock oggi
definite «noir». Durante il primo anno su
MySpace scalano la Top 100 degli artisti auto-
prodotti più popolari del social network. I
magazine musicali se ne accorgono e comincia-
no a cercarli: GQ, Muen Magazin e Rolling
Stone vogliono sapere chi sono i Belladonna,
ma anche radio, quotidiani nazionali e televisio-
ni (Rai, La7, MTV). E noi.
Di lì a poco due canzoni dell’album d’esordio
finiscono nei Ballot per i Grammy Awards 2008.
Durante gli anni i Belladonna aprono concerti di
band di prestigio, come all’Erotica 2007 di
Londra (davanti a 100.000 persone), tra cui
Mars Volta, Korn e Nine Inch Nails. Nell’agosto
del 2010 la band inizia la pre-produzione del
terzo album che è stato registrato a novembre a
Los Angeles, con l’aiuto del produttore Alex
Elena e di Mike Tacci, ingegnere del suono del
The Black Album dei Metallica. A dicembre del
2010 pubblicano Let There Be Light, un singolo
scritto in collaborazione con il compositore
inglese Michael Nyman e basato sulla sua The
Heart Asks For Pleasure First, dalla colonna
sonora del film di Jane Campion Lezioni di
piano. Sono Luana Caraffa (voce), Dani Macchi
(chitarra elettrica), Alice Pelle (pianoforte e
seconda voce), Tam Scacciati (basso) e Alex
Giuliani (batteria). I primi due ci parlano nel
mezzo del missaggio del nuovo album.
Come nascono i Belladonna?
Nel 2005 io e Luana abbiamo fondato la
band a Roma, poi si sono uniti Alice Pelle, Alex
Giuliani e Tam Scacciati. Avevamo già molti
brani e assieme agli altri componenti abbiamo
deciso di registrare dei provini. Una volta pub-
blicati su MySpace, all’improvviso, abbiamo
cominciato ad avere dei feedback provenienti
da tutto il mondo, con migliaia di commenti
entusiasti, email e richieste di acquisto dei
brani. Così, quelli che per noi erano considera-
ti niente più che dei provini divennero dei veri e
propri brani, tanto che è stato necessario pro-
durre il primo album in tutta fretta. Abbiamo
scelto una decina di queste tracce e nel 2005 è
nato Metaphysical Attraction, primo album dei
Belladonna. Addirittura due brani, Black Swan
e Foreverland, sono finiti nei Ballot dei
Grammy Awards alcuni anni dopo. Migliaia di
fan in tutto il mondo volevano la nostra musica
e soprattutto volevano conoscerci. Internet in
questo è incredibile, ti consente senza filtri di
dialogare con il tuo pubblico, senza interme-
diazione di case discografiche e distributori.
DI VALENTINA GIOSA
Primi dopo i Lacuna Coil. E il rock noir?
Spesso ci accostano ai Lacuna Coil e a un
certo tipo di sound, che però non è del tutto
nelle nostre corde. Stimiamo enormemente i
Lacuna Coil, ma musicalmente siamo diversi.
Noi facciamo rock noir non nell’accezione goti-
ca o metal che in molti immaginano, ma del
mistero, dell’esoterismo, del crimine e dell’e-
ros. Elementi tipici della letteratura noir che
poi si ritrovano nel nostro secondo album del
2009, The Noir Album, che ha visto la collabo-
razione della produttrice Sylvia Massy. Oggi ci
considerano padri di questo genere e ancora
una volta ci siamo sorpresi del messaggio che
siamo riusciti a lanciare, di quanto questo sia
arrivato lontano e abbia fatto presa. Al Rock
Noir si ispirano ormai tantissime giovani band
in tutto il mondo.
Musica alla vecchia maniera quindi?
Registriamo i brani in purezza, senza filtri.
Come negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso,
senza trucchi di studio. Il rock è un’estensione
dell’emotività e della sessualità dell’essere
umano. Il nostro primo disco è stato suonato in
maniera diretta, spontanea, così come l’ultimo
in uno studio a Los Angeles appositamente scel-
to perché attrezzato per questo tipo di lavoro.
Nelle classifiche Billboard ci sono ancora
dischi di decenni fa, dei Led Zeppelin o degli
AC/DC. Noi non potremmo mai fare musica
senza ispirarci a tali band, che hanno sempre
preferito l’aspetto del suono puro a quello del-
l’elettronica artificiale e senz’anima del lavoro
in studio.
Perché Belladonna?
È una parola che ha più chiavi di lettura,
come le nostre canzoni. Belladonna rimanda a
una cura, ma anche a un veleno e a un alluci-
nogeno. Essendo una band a maggioranza fem-
minile ci stava davvero bene, e comunque è
anche il titolo di un famoso disco di Stevie
Nicks che adoriamo.
Il prossimo album?
Siamo nel mezzo del missaggio e speriamo
che riesca ad uscire per aprile 2011. Al titolo
ancora non abbiamo pensato, ma certamente
sarà diverso dai due precedenti. Più onirico,
strutturato su una successione di musica senza
soluzione di continuità, con i pezzi tra loro con-
nessi tipo concept album dei Pink Floyd. Brani
più visionari e sperimentali, con molti ospiti e
strumenti musicali atipici per il nostro genere.
Tante anche le collaborazioni esterne, come
quelle di Mike Tacci, ingegnere del suono del
celebre Black Album dei Metallica, e Alex
Elena, musicista e produttore di livello interna-
zionale. Non aggiungiamo altro per ora, ma le
sorprese non sono finite qui. ■ ti Oscar della musica, ma le sue scalate alle Top
rock s’è perso.
tu sei stato nel mio retrovisore
DI ALESSIA PANUNZI
C
ome può il sole tramontare così velocemente? E le mie mani amare
cullare vetri rotti di ogni cosa che era? Tutte le foto sono state lava-
te nel nero, tatuando ogni cosa, tutto il mio amore è andato in
malora trasformando il mio mondo di nero! Tatuando tutto quello
che vedo, quello che sono, tutto quello che sarò... sì.
V
ent’anni fa nascevano i Pearl Jam e
per ricordare l’evento Eddie Vedder e
compagni hanno pubblicato il nuovo
album Live on Ten Legs, 18 tracce registrate
durante i tour mondiali tenuti tra il 2003 e il
2010. Questo disco è la testimonianza del calo-
roso rapporto dei Pearl Jam col pubblico, dando
la possibilità di scaricare le tracce direttamente
dal sito web e continuando a portare avanti il
progetto avanguardista di vendere bootleg uffi-
ciali di ogni concerto. Un impegno sociale che
fin dagli inizi accompagna la musica dei Pearl
Jam, soprattutto nelle modalità di organizzazio-
ne delle loro esibizioni live (vedi la battaglia
contro la Ticketmaster per abbassare il prezzo
dei biglietti dei concerti), peraltro da sempre
apprezzate per la carica e la spettacolarità che le
caratterizza.
Pearl Jam politicamente impegnati nel comu-
nicare il malessere di fondo tipico della disillu-
sione post anni ’70, all’origine del movimento
di Seattle, ma banalmente considerati grunge
come i Nirvana, Alice in Chains e Soundgarden.
Il concetto di «arte» come forma di protesta non
violenta è stato da sempre il loro leitmotiv, a
partire dal primo storico album Ten; ma è stato
CASTELLO COSTELLO
G
razie ad artisti come Elvis
Costello oggi sappiamo che,
senza alcun dubbio, il rock è
morto. Lo mastichiamo come
un chewingum, ma arriverà il
momento di buttarlo.
DI FLAVIO FABBRI
Q
uando un musicista supera i trent’anni di
carriera e trova posto nella celebre
Rock&Roll Hall of Fame, sicuramente
merita un pochino della nostra attenzione.
Parliamo di Elvis Costello, uno dei singer-
songwriter inglesi di maggior prestigio a livello
internazionale. Fin dal 1977, anno del suo
debutto musicale, Costello ha pubblicato un
gran numero di dischi (34 in studio+13 raccol-
te, molti dei quali assieme alla sua storica band
The Attraction), live e produzioni di vario gene-
re. Ha vinto diversi Grammy Award, i cosiddet-
Chart internazionali sono state lente e spesso di
breve durata.
Nome d’arte nato dall’accostamento del re
del Jailhouse al cognome della nonna, Elvis
Costello è certamente uno degli ultimi grandi
storyteller del rock&roll, con il bisogno innato
però di contaminare la sua chitarra col folk, il
blues e le ballate anni ’30 del Novecento. Un
modo per rendere omaggio alle proprie radici
musicali, le stesse che in fondo hanno influen-
zato prima di lui i Beatles. A fine ottobre 2010
è uscito il suo ultimo album, National Ransom,
prodotto dal fidato Mr T Bone Burnett e regi-
strato in soli 10 giorni tra Nashville e Los
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
PERLE
dopo Vs e Vitalogy che l’approccio «politically
incorrect» diviene un tratto peculiare della loro
discografia, fino a Riot Act, dove i Pearl Jam cri-
ticano aspramente l’avvento della politica neo-
conservatrice di George W. Bush, che in
Bushleager viene definito come un lobbista
texano con il solo intento di disseminare paura.
Con l’ultimo album in studio, The backspa-
cer del 2009, tornano infine ad uno stile musi-
cale più fresco e leggero, arricchito da una liri-
ca semplice e ariosa che rappresenta il simbolo
di una maturità (è il primo disco interamente
indipendente) che non perde l’incanto della gio-
vinezza e della speranza. Resta ancora ignota la
nuova via che i Pearl Jam sono in procinto di
intraprendere, ma un’importante linea guida in
questo cambio di passo sembra proprio consi-
stere nel ritorno alla tradizione del classic rock
e l’abbandono del grunge sound, ormai consi-
derato obsoleto.
Riuscire ad arrivare ad una tale evoluzione
deve considerarsi un punto di arrivo non trascu-
rabile e, magari, un punto di partenza verso
nuove ricerche musicali per una band solida,
sempre amata e speriamo ancora lontana dalla
via del tramonto. ■
Angeles. Quasi fosse un tentativo di riscrivere il
grande romanzo americano, Costello cerca con
National Ransom di raccontare l’America degli
ultimi 100 anni, la gente, la musica, le sue
disgrazie (il crack finanziario del 1929 e del
2008), sempre con la voglia di puntare il dito
contro chi fa il furbo (banche e speculatori ben
rappresentati sulla cover del cd dalla volpe in
fuga col bottino).
Eppure c’è uno strano senso di malinconia in
questo cd. Lo senti e lo risenti senza capire bene
di cosa si tratta, fino al momento in cui percepi-
sci che, se per ascoltare del buon rock&roll
bisogna chiudere gli occhi e immaginarsi le
vecchie campagne del Mississipi, allora qualco-
sa è cambiato inevitabilmente nella storia di
questo genere musicale. Oggi il rock è solo let-
teratura. Una mutazione che ha trasformato un
linguaggio musicale di protesta universale in
uno commerciale, buono per la televisione, i
talent show e i suoi spot. Grazie ad artisti come
Costello ora sappiamo, senza alcun dubbio, che
il rock è morto. Continueremo magari a pronun-
ciarne il nome, chiamandolo in causa a spropo-
sito, ma alla fine, come un chewing gum che da
troppo tempo mastichiamo, dovremo definiti-
vamente decidere cosa farne. ■
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

CAGE AGAINST THE MACHINE Un silenzio di 4’33 minuti. «Mi SPIDERMAN Il Musical di Bono Voglio correre | Voglio nascondermi | Voglio
ROCK
OFF
resi conto che non esiste una reale e oggettiva separazione tra suono e silen- abbattere i muri | Che mi tengono dentro | Voglio protendermi | E toccare la fiam-
zio, ma solo tra l’intenzione di ascoltare e quella di non farlo» (John Cage) ma | Dove le strade non hanno nome (U2, Where the Streets have no Name)

ZITTITUTTI È sempre difficile svegliare chi fa finta di dormire

vuoto psicologico, la
DI FLAVIO FABBRI

«I L noia... È solo per questo

che l’apparato ipertrofi-
co e mostruoso dell’in-
dustria dei divertimenti
si mantiene in vita e continua ad
estendersi e a dilatarsi sempre di
più», Theodor W. Adorno.
Avete mai pensato di regalare
per Natale del buon vecchio silen-
spiderman DI LIVIA ZANICHELLI

zio? Il progetto Cage Against The
Machine, nato su Facebook per
iniziativa di Dave Hilliard, vi
avrebbe dato questa possibilità.
Ogni Natale le grandi major sfor-
nano i pezzi più collaudati e il vincitore di X-
Factor domina le vendite per tutto il periodo.
C
hi sono? Sicuri di volerlo sapere? La storia della mia vita non è per i deboli
di cuore. Se qualcuno ha detto che era una bella favoletta, se qualcuno vi ha
raccontato che ero solo un tizio normale senza una preoccupazione al mondo,
quel qualcuno ha mentito. Ma ve l’assicuro: questa è a proposito di un flop.
l’importante è che qualcuno abbia tentato di fare
breccia nel muro del mercato discografico gover-

Stavolta un gruppo di produttori e di musicisti
di diversa estrazione ha deciso di cambiare le
carte in tavola, partendo dal successo di una
medesima iniziativa dei Rage Against The
Machine dell’anno scorso. Come?
Usando il silenzio, riproponendo uno dei com-
ponimenti più singolari del grande John Cage:
4’33. Proprio lui, il celebre compositore ameri-
cano e padre della musica contemporanea, che
nel 1952 decise di trasformare l’assenza di rumo-
re in suono, scoprendo che il silenzio è «vera e
propria materia sonora». Supportati da un grup-
po su Facebook di oltre 100mila fan, si sono riu-
niti a Londra i Suggs dei Madness, assieme a vari
componenti di Kooks, Pendulum, Orbital, Ou
Est Le Swimming Pool, The Big Pink, Billy
Bragg e tanti altri agli ordini del produttore Paul
Epworth, per registrare i più famosi e silenziosi
4 minuti e 33 secondi della storia. Sul come sia
finita la sfida attendiamo i numeri ufficiali, ma
nato dall’alleanza di ferro tra major discografi-
che e media. Anche solo insinuare il dubbio che
tali modelli di business non abbiano niente a che
fare con la cultura musicale, è già una piccola
grande vittoria. Chiunque sia uscito da program-
mi come X-Factor è stato spremuto fino all’osso
dal management per fare profitti, vere e proprie
unità di ricambio nel meccanismo perfetto del-
l’industria discografica attuale. Niente di più.
Molti di questi hanno spesso una buona voce,
ma quale sarà il loro lascito alle generazioni
future di musicisti e ascoltatori? Molto proba-
bilmente un imbarazzante senso di mediocrità.
Ripartire dal silenzio per ripensare la musica e
il suo ruolo estetico, culturale e artistico nel
nostro tempo ci sembra una valida alternativa
per tornare a pensare con la propria testa. Un
monito sia per i musicisti, sia per il pubblico,
anche se è il caso di ricordarci che è sempre dif-
ficile svegliare chi fa finta di dormire. ■ pubblico del Foxwood Theatre di New York ha
T
utti ne parlavano da mesi, tutti lo aspet-
tavano, ma il debutto di Spider-Man:
Turn off the Dark è stato un vero e pro-
prio fiasco. L’anteprima della pompatissima
opera rock, scritta da Bono e The Edge degli U2
e diretta da Julie Taymor, si è svolta in un sus-
seguirsi di incidenti tecnici ed interruzioni, tra i
fischi di un pubblico decisamente insoddisfatto
e le risate dei giornalisti in sala.
D’altra parte questa gigantesca produzione da
65 milioni di dollari non gode di buona sorte fin
dagli albori, con diversi attori feriti durante le
prove e le andate in scena ufficiali, insidiosi pro-
blemi di sicurezza nelle evoluzioni aeree dei pro-
tagonisti e un aumento mostruoso dei costi di
produzione. L’epico musical sulle avventure di
Peter Parker nasce e cresce ammantato da un
fantomatico alone di sfortuna, e domenica 28
novembre, giorno dell’anteprima assoluta, il
assistito al flop: una scenografia precaria ed
incompleta che perdeva pezzi, un impianto
musicale mal sincronizzato con gli effetti specia-
li, un finale avvincente che ha sommessamente
ceduto il passo alla comicità quando Natalie
Mendoza, protagonista femminile, è rimasta ad
oscillare per ben 10 minuti sopra le teste diverti-
te della gente. Giudizi catastrofici troppo affretta-
ti? Sarà, ma dopo il brutto incidente di Natale a
Christopher Tiemey, lo stuntman scelto per il
ruolo di Spider-Man, è il caso di correre ai ripari.
Ci si augura che i mesi abbiano dato a questa
poderosa macchina scenografica, registica e
musicale un miglior collaudo. Vero è che il
debutto del musical è stato un fragoroso capi-
tombolo, ma di questo fiasco ormai tutti parla-
no: le critiche aspre dei più importanti giornali
newyorkesi e l’aura di sventura che si è creata
intorno all’opera rock più costosa nella storia di
Broadway hanno dato un’enorme risonanza
all’evento artistico. Per poter dire «io c’ero» è
probabile che gli spettatori incuriositi accorre-
ranno a frotte. E flop o non flop, comunque
vada sarà un successo. ■

...dal 20 giugno
al 5 agosto...

festival internazionale di Villa Carpegna

 ALNATIVE
TER Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

HOUSE OF LIGHT Berlino, intervista a Justin de Vries Niente può bat- EMMA TRICCA Voce eterea, sospesa tra Joan Baez e
tere l’effetto travolgente di un attacco electric-rock perso in una nube di ron- Joni Mitchell, sfodera un cantautorato adatto ai sacri luo-
a cura di VALENTINA GIOSA
zii psichedelici e violenza silenziosa. Una pugnalata post-apocalittica al sole ghi del folk, Greenwich Village fino alle rive del Tennessee.

OF
HOUSE

D
LIGHT
a cura di Valentina Giosa

i base a Berlino ma provenienti da varie parti del mondo

(Australia, Usa, Italia), gli House of Light uniscono sonorità pop
rock-psichedeliche a malinconici echi new-wave disegnando
melodie accattivanti con un tipico tocco dark. Famosi per le loro impre-
vedibili performance, siate pronti ad esserne completamente sedotti se vi
capiterà di vederli suonare dal vivo in occasione del loro primo tour in
Italia a fine febbraio (www.myspace.com/houseoflight). Sarete immedia-
indipendent labels

tamente catturati dai riff travolgenti alternati a sognanti melodie e ballate

dalle liriche tipicamente maudit spesso ispirate ai poeti francesi. Un
sound affascinante che potrebbe rievocare Bowie, Joy Division,
Radiohead con richiami a Morrissey e Jim Morrison. Gli HOL stanno
attualmente ultimando il loro primo album, Electric Odyssey, in uscita a
giugno 2011, un disco di cui sentiremo sicuramente molto parlare. Music
In ha parlato con Justin de Vries, autore dei brani, voce, chitarra, leader
della band. http://vimeo.com/channels/orangeear
Dopo il tour in Germania e Inghilterra sarete finalmente per la
prima volta anche in Italia. Cosa ti aspetti dal Belpaese?
Tutto ciò che so è in realtà quello che la gente mi ha raccontato. Cioè
che gli italiani amano molto la loro musica. In ogni caso mi aspetto un
tipo di pubblico sicuramente meno noioso di quello tedesco. Cos’ altro?
La cucina italiana è la migliore in assoluto, mi piace molto il vostro
Paolo Conte, il film Il Padrino è uno dei miei preferiti, guidavo una Fiat
500 tempo fa in Australia, il modello Bambino.
State per pubblicare il vostro primo album Electric Odyssey pro-
dotto da Martin Fiedler (lo stesso di Alec Empire e Josh Pearson) con
mix di Clif Norrell (in Grace di Jeff Buckley, ma anche in U2, Mars
Volta, Pixies) e Gordon Raphael (il produttore di The Strokes e
Regina Spektor). Puoi darmi qualche anticipazione?
Alcuni lo definiscono un album pop-dark, altri un disco new-wave rock,
o un paesaggio sonoro urbano, una città in dissolvenza, o una pugnalata
post-apocalittica al sole, che credo sia la definizione che preferisco.
So che anni fa suonavi in giro per strada.
È stato per un certo periodo molto divertente e anche un modo veloce
per guadagnare un po’ di soldi, ma poi è diventato troppo «solitario» suo-
nare in solo. E ad ogni modo niente può battere l’effetto travolgente di un
attacco electric-rock perso in una nube di ronzii psichedelici e violenza
silenziosa.
Vivi a Berlino da diversi anni. La scena techno-electro berlinese ha
influenzato in qualche modo la tua musica?
Sicuramente. Ha finito con il farmi odiare quasi del tutto quel tipo di
musica, perciò sono diventato più determinato in quello che stavo facen-
do. Alcuni dei brani degli HOL devo dire che contengono beat un po’
techno, e forse ciò deriva dall’esperienza berlinese. Quello che più mi
ha influenzato, però, è stato sedere sui treni e ascoltarne il ritmo, batte-
re su dei metalli nella metropolitana e ascoltarne gli armonici, e non
certamente la techno. Adoro i suoni industrial. Ci sono milioni di melo-
die elettroniche fantastiche da realizzare, molto di questo lo abbiamo
usato anche nell’album. Penso che la musica techno e electro abbiano
sfruttato solo una minima parte di tali suoni, il più delle volte semplice-
mente ripetendoli fino alla nausea. Trovo invece più interessante combi-
nare la musica elettronica con qualcosa di più sporco come il rock. Se
chi fa questo tipo di musica non sa suonare neanche uno strumento,
techno e electro diventano semplicemente un genere fatto per hobby, per
lo più da non-artisti.
E come ti ha influenzato Berlino?
Sono felice che tu mi faccia questa domanda. Berlino è un posto molto
speciale. Un carosello bohémien sempre in movimento che richiama la
Parigi anni Venti quanto la New York degli anni Ottanta. Decadenza e
sensazione di libertà sono tutto ciò che mette in moto la musica e l’arte
che vengono fatte qui.
Perché hai scelto il nome House of Light?
All’inizio ci chiamavamo House of Love, che è il titolo anche di una
delle nostre canzoni. Poi ho pensato che fosse troppo ordinario.
Tu e il bassista siete australiani, il chitarrista è italiano, il batteri-
sta americano. Come hai incontrato gli altri componenti della band?
Ci è voluto tempo prima di trovare la line up definitiva?
Tutta una vita. Solitamente passa molto tempo finché una band si asse-
sti, ma poi le canzoni trovano i cantautori, i musicisti trovano le band. Ci
siamo incontrati a Berlino, una città non puramente «tedesca», bensì un
luogo oramai internazionale.
Negli ultimi due anni avete cambiato frequentemente il batterista.
Come mai?
Quasi tutti i batteristi che abbiamo avuto avevano in qualche modo
problemi psicologici o fisici. Uno è caduto dal balcone, un altro ci dava
dentro con la droga, un altro ancora è andato a vivere in India. Nemmeno
i tastieristi sono stati affidabili, per alcolismo, overdose, acufene.
I testi hanno un ruolo molto importante nelle tue canzoni. Sono
autentiche poesie astratte, surreali, maudit. Da dove prendi l’ispira-
zione? www.urban49.com www.jazzcollection.it
Direi che sono semplicemente lirici. Possono nascere da qualsiasi
cosa, qualcuno seduto al bar per esempio o il modo in cui siede. O pos-
sono scaturire da un sogno o da un’immagine o un video nella mia testa. powered by
Di solito non riesco a realizzare da dove viene fuori una canzone, non ho
nessun ricordo del momento in cui la scrivo, non sono pienamente con- saint louis
scio. È come se non fossi tanto io a farlo ma fosse la canzone stessa a
lasciarsi scrivere. Una riga provoca o attrae l’altra. È una guerra tra le
righe, una seduzione. I cantautori che ammiro per lo stile di scrittura
sono Leonard Cohen, Nick Cave o Morrisey, e sono un amante dei poeti
romantici francesi.
E cosa mi dici invece del vostro sound? Vi paragonano ai Doors, ai
Radiohead, agli Smiths, a Joy Division. Queste band ti hanno influen-
zato in qualche modo?
Certamente. Tutti questi gruppi sono o sono stati un’influenza sia per
le liriche che per la musica. Forse la gioia è qualcosa che vive nascosta
fino a quando non viene liberata. Se una canzone o una nota, un riff mi
hanno provocato quel tipo di sensazione tutto quello che resta è riespri-
merla o svilupparla finché la fiamma non divampi e questo sentimento
esploda.
Nel video di Naked in a dream compaiono molte immagini militari,
droghe, orgasmi. Qual è il messaggio?
Il filo conduttore che esiste fra violenza, sesso e beatitudine. Il piacere
a volte può essere confuso con il dolore e viceversa.
Perché la scelta di video astratti e immagini fuori fuoco?
Non sopporto tutto ciò che viene descritto troppo chiaramente, mi piac-
ciono le cose indistinte e misteriose. Con un’eccezione per la matemati-
ca e altre scienze. Niente è in realtà così chiaro al mondo. Ci muoviamo
nel caos e tutto ciò che ci resta è afferrare ciò che possiamo prendere. C’è
un buco nero al centro di ogni galassia, è un’opinione condivisa dai mag-
giori astronomi.
Prossimi progetti dopo l’Italia?
Un altro album, un altro tour. Vorrei andare sulla cima di un grattacie-
lo a New York e fare un video o improvvisare concerti nella metropolita-
na. Sto inoltre scrivendo un film rock’n roll ambientato a Berlino. ■

P I ATTO R I CC A
www.parentproject.it

di Eugenio Vicedomini

U
n nome particolare tradisce la sua romanità, nono-
stante faccia la londindese. Emma Tricca pubblica
per Finders Keepers, l’etichetta del dj Andy Votel,
Minor White, ossia l’album n. 2. Un lavoro totalmente intri-
so di musica folk e country, stilisticamente oscillante fra bal-
lata britannica e la canzone americana.
Per capire meglio la genesi dell’album dobbiamo però
fare un passo indietro e tornare a Roma dove, molti anni
fa, Emma incontra John Renbourn, uno dei maggiori
esponenti della musica folk inglese, il quale, dopo aver
ascoltato una sua incisione, l’incoraggia (come direbbe
De Gregori) a perseguire il suo sogno metropolitano. La
sua innata vocazione per la musica folk e la musica coun-
try la porta alla ricerca della propria strada. Prima a New
York e successivamente nel Texas. Si stabilisce quindi sta-
bilmente a Londra dove nel 2007 partecipa al Meltdown
Festival curato da Jarvis Cocker dei Pulp e diventa ricono-
scibile nell’ambiente musicale. Infine, un tour da spalla
allo stesso John Renbourn permetterà a Emma di ritagliar-
si una certa visibilità nell’ambiente del british folk.
Minor White è il frutto delle miglia percorse in viaggio,
con canzoni bucoliche che si accavallano nella mente.
Registrato presso il celebre Times Studios, il disco riassu-
me esperienze di vita cullate nei morbidi arpeggi della sei
corde acustica. Un disco che con spiccato ottimismo guar-
da al futuro conservando i crismi della più antica tradizio-
ne anglosassone.
Con una voce eterea, sospesa tra Joan Baez e Joni
Mitchell, la Tricca sfodera un cantautorato dolcissimo e
delicato che ci porta in un viaggio immaginario attraverso
i sacri luoghi del folk, dal Greenwich Village fino alle rive
del Tennessee. La sensazione che si ha dopo aver ascolta-
to Minor White è di un album in grado di suscitare profon-
de emozioni grazie alla voce di Emma e agli arrangiamen-
ti scarni, essenziali e preziosi alla Nick Drake, tanto per
intenderci.
Il risultato è un disco in cui tutti i brani contenuti sono
belli e riescono a colpire il cuore. I momenti migliori di
questo eccellente lavoro sono rappresentati da All Along
The Hudson, Paris Rain, Monday Morning e It Doesn’t Al costo di 2 euro da ogni cellulare
Matter, in cui il sapiente modulare della sua voce si posa personale TIM, Vodafone, Wind e 3,
oppure da rete fissa Telecom Italia e Fastweb.
su di noi come una dolce carezza. Niente da eccepire:
Minor White, quanto ad intensità d’ispirazione, sembra SOTTO L’ALTO PATRONATO
uscito nel 1965. Complimenti davvero. ■ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

MUSICA La musica è un CONVERSAZIONI SULL’ARTE DELL’IMPROV- COME IL JAZZ

FEED
BOOK
orgasmo ed un suicidio in VISATORE Se si ama qualcuno si cerca di emularlo, PUÒ CAMBIARTI
LA VITA Dixieland. a cura di ROMINA CIUFFA
diretta col rito Seppuku non di demolirne completamente la concezione. ILLUSTRAZIONE:
QUINT BUCHOLZ

COME IL JAZZ PUÒ CAMBIARTI LA VITA

M U S I C A
di dare forma ad un primo pensiero, veloce e
«Come il jazz può quindi vero, più si troverà un cattivo solo.
FEED
BOOK
Yumikava Reiko è frigida. Nello studio dello psicanalista Shiomi Kazunori
si presenta però con un’altra domanda: «Dottore, perché non sento la
cambiarti la vita»
di Wynton Marsalis
Per chi suona, il jazz insegna ad avere grande
rispetto per il lavoro di gruppo, per quello che
musica?». Nell’attimo in cui pensa ah, comincia la musica, per quanto Feltrinelli Editore - 14 euro gli altri stanno sforzandosi di fare insieme,
alzi il volume non riesce a udire nulla fino alla presentazione del brano successivo. ascoltarne con attenzione le idee, trovare nuovi
«Come se calasse all’improvviso il buio». Dietro lo psicanalista Shiomi Kazunori, figura spunti, arricchire uno schema di pensiero con
reale che aiutò lo scrittore nella stesura del romanzo, c’è Yukio Mishima, altri validi (è divertente il racconto del timore
morto suicida in diretta televisiva nel 1970 con il rito del Seppuku, taglio
dello stomaco seguito da decapitazione. Il kaishakunin Masakatsu Morita,
JAZZ
& blues
Leggi un libro e ci trovi, per
incanto, tutto quello che vorre-
reverenziale nutrito in una session domestica
da Marsalis con Elvin Jones, quando alla fine
amico e discepolo (suo amante secondo Marguerite Yourcenar nel saggio sti sentir dire da quelle pagine. quasi sottovoce Wynton gli disse di suonare un
breve Mishima o la visione del vuoto), per l’emozione sbagliò ripetutamen- Capita con questo Come il jazz può cambiarti la po’ più piano e Jones si scusò come un ragaz-
te il colpo di grazia; Hiroyasu Koga dovette intervenire per decapitarlo. vita di Wynton Marsalis, per una volta impe- zino, ringraziandolo del consiglio).
Ad onta del titolo, Mishima non parla mai di musica: è la sessualità di Reiko gnato nel tessere concetti e non storie musica- Per chi lo sente, il jazz insegna la fiducia nell’a-
a pervadere il testo in una lucidità quasi sconcertante. Si chiede Kazunori: li. Chi sia l’autore non c’è bisogno di specificar- scolto, acuisce la capacità di
«La musica era soltanto un elegante simbolo dell’orgasmo? Oppure fra la lo, perché è facile essersi imbattuti in alcune giudizio critico, sviluppa l’im-
musica di cui parlava la ragazza e l’orgasmo che desiderava così fortemen- delle sue registrazioni da solo o con la sua maginazione e può causare
te intercorreva un complesso rapporto simbolico?». Procedendo per asso- Family, dal padre Ellis - pianista acclamatissimo un’irrefrenabile voglia di met-
ciazioni psicanalitiche scopre, con fatica, che l’isteria di Reiko va oltre l’as- in quel di New Orleans - al maggiore Brandford tersi alla prova in prima perso-
senza di musica, verso l’irrisolto nodo della sua sessualità e la necessità di (già salvatore della patria in alcuni dei brani na per vedere di cosa si è
nascondere desideri immorali legati alla figura del fratello. anche meno felici di Sting). capaci. Niente tecniche raffi-
Reiko non sente nulla perché è così solo che riesce ad astrarsi; ne ottiene un risultato I Marsalis sono l’espressione più moderna nate; l’avventura parte dal
isterico. «Mi meraviglio sempre nel constatare quanto l’eccitazione sessuale somigli ai delle radici e del sound tradizionale dixieland, blues, che del jazz è la matrice
sintomi dell’isteria. A volte penso che l’isteria sia solo una congiura dell’inconscio, che attenti a non calpestare una sola cellula delle più autentica, coessenziale,
tenta di riprodurre asetticamente lo stato fisico dell’eccitazione sessuale senza il piace- origini. Il titolo del libro è un po’ «forte», a esser dalla gioia di ritrovarsi su quel terreno comune
re, anzi accompagnandolo con la sofferenza». Quest’invulnerabilità è falsa, indotta. Poi cauti. Lui ricorda i primi passi tra curch band, di 12 battute dove è impossibile che non si
le accade con un uomo in fin di vita: «È stato allora dottore. Che mi sarà successo? gruppi, insegnanti e amici e la fatica iniziale che abbia proprio niente da dire o fischiettare.
All’improvviso ho sentito la musica. Dentro di me, finalmente, la musica che avevo così doveva fargli abbandonare i giochi di strada per Tra le pieghe di questo libro, racconti e giudizi
desiderato. Non smetteva, traboccava come una sorgente e irrigava la mia anima com- mantenere vive e proseguire le tradizioni su tanti dei protagonisti di questa musica,sto-
pletamente inaridita. Risuonava incessante non nelle mie orecchie, ma in tutto il mio «negre delle zio Tom» (cda). Il ritmo e l’improvvi- rie personali di una famiglia straordinaria, i
corpo... dottore, è possibile una cosa sazione, lo swing e la fantasia, il tempo e la soprannomi ed il gergo dei quartieri neri del
simile... tutto il mio corpo, pervaso da libertà nel tempo, concetti pesanti come il piom- Sud dell’America e, soprattutto, la felicità di
una felicità indicibile, sentiva la musi- «Musica» bo che Wynton affronta con straordinaria levità, essere, malgrado tutto, parte di un processo
ca». Ma non è ancora il momento giu- di Yukio Mishima per convincere di quanto il jazz soffra del pre- che da più di cent’anni non accenna a fermar-
sto per una redenzione, che avverrà Feltrinelli Editore concetto di musica difficile, strana, noiosa, e si, perché - parola di Wynton - il jazz non è
solo al termine della terapia. Una musi- 7 euro quanto invece stia là solo a raccontarci storie, morto, è vivo e sta benissimo.
ca che vale mille orgasmi. E un suicidio. scambio di battute tra amici. L’improvvisazione
è, e deve restare, questo. Più si abbandoni l’idea Paolo Romano

ROMINA CIUFFA ROCK E SERVIZI SEGRETI

BEATLES A FUMETTI
«Beatles a fumetti»
a cura di Enzo Gentile
e Fabio Schiavo
Skira Editore - 39 euro
PO PCK
pop&rock
Dalle loro prime apparizioni i
Beatles hanno inciso profonda-
mente nel costume e nell’im-
maginario collettivo: i Fab Four come nuovi
Magnifici Quattro (a proposito, è di questi giorni
la notizia che uno di loro verrà eliminato), si pre-
stavano certo a essere catapultati dai palchi al
mondo a strisce. Eppure, il primo incontro - fisi-
co - tra Beatles e fumetti non si rivelò così feli-
ce: protagonisti John Lennon e Al Capp, ospite
del suo Bed-in a Montreal, alquanto scettico sul-
l’ecumenismo da periodo bianco di John.
Questo volume tenta di ricucire oggi questo
connubio inedito tra musica rock e fumetto -
linguaggi tra i più rivoluzionari del Novecento e
ROCK Complottisti di tutto il mondo gioite!
Questo è il libro che fa per voi:
OFF
luoghi di contaminazione tra cultura pop e cul- senza facili dietrologie ma con
tura cosiddetta «alta» - in una ricognizione à documenti alla mano, Mimmo Franzinelli, auto-
rebours sul viaggio dei Beatles nell’universo re di numerosi studi sulla strategia della tensio-
magico dei cartoon, a partire da Yellow ne in Italia, svela tutti i retroscena dei rapporti
Submarine e con scelta di immagini più o tra l’FBI e i più grandi musicisti rock degli anni
meno rare (o rarissime) provenienti dagli ‘60 e ‘70. Da Jim Morrison a Frank Zappa, da
angoli più disparati del globo, dall’Argentina al Jimi Hendrix a John Lennon, ognuno di essi è
Giappone alla Spagna franchista. stato oggetto di particolari attenzioni da parte
È la testimonianza di un amore inesauribile di
disegnatori e cartoonist per i quattro ragazzi di
dei servizi segreti americani. Colpevoli di essere
artisti amati dalle folle e di aver risvegliato attra-
Liverpool, di volta in volta tradotti in ninja o in eroi verso musica e parole molte giovani coscienze
disneyani, o spediti a intorpidite, le grandi star del rock
spasso nel tempo (all’e- hanno dovuto scontare pedinamenti,
poca della Britannia violazioni della libertà personale e
romana), il tutto in ordi- falsi capi d’accusa, tanto da spinge-
ne cronologico e corre- re al suicidio uno di essi, Phil Ochs
dato da schede di pre- (l’autore di I ain’t marching anymore,
sentazione. Operazione canto anti-miltarista contro la guer-
fascinosa e spericola- ra del Vietnam).
ta, per i cultori beatle- Il rock è la musica del Diavolo? A
siani. quanto pare, in quegli anni sì, soprat-
tutto se si identifica come diabolico il
Lorenzo Bertini messaggio di pace di molti brani del-
«Rock e servizi segreti»
di Mimmo Franzinelli
Bollati Boringhieri Editore
16 euro
l’epoca, veri inni alla libertà e all’amore universa-
le, valori decisamente sovversivi per un gover-
no, quello americano, che doveva tener in conti-
nua tensione il mondo per tenere in piedi i pre-
cari equilibri di una guerra fredda. Accanto alle
rockstar americane troviamo
anche il nostro Fabrizio de Andrè,
accusato di finanziare gruppi anar-
chici e di estrema sinistra. In Italia,
l’accesso ai documenti relativi a
indagini concluse è ancora coperto
dal segreto istruttorio. Ecco spiega-
to il perché di un solo unico capito-
lo, l’ultimo, dedicato ad un artista
italiano.
Roberta Mastruzzi

C O N V E R S A Z I O N I
JAZZ Non mi piace la musica com-
petitiva, e basta! Partiamo da
& blues
questo fiero outing che giunge
nel bel mezzo di un libro intervista che Lee
Konitz ha concesso, non dopo qualche ritrosia,
ad Andy Hamilton e che grazie all’Edt, con la
collaborazione prestigiosa della Fondazione
Siena Jazz, è ora disponibile nelle nostre libre-
rie. Conversazioni sull’arte dell’improvvisare è
il titolo della lunga chiacchierata che uno dei
più importanti interpreti del jazz moderno rila-
scia al pungente e rispettoso autore che, gra-
zie alla sua professione di insegnante di filoso-
fia ed estetica nelle università ben temperata
da una presumibilmente buona tecnica piani-
stica e conoscenza teorica, riesce bene a rico-
struire la passione ed il coraggio di dedicare
una vita a questa musica straordinaria.
Ora, non si tratta della solita torrenziale pioggia
di domande cui seguono risposte autocelebra-
tive, preconfezionate e ad alto tasso soporife-
ro, perché questa intervista è un qualcosa di
diverso. Sul piano del genere letterario, tanto
per cominciare. Perché sarebbe più proprio
chiamarlo «dialogo» e con assai più dei due
personaggi che ci si aspetterebbe. Entrano in
scena, di volta in volta, e secondo una logica
meritoria che sottende un lavoro accurato,
protagonisti, interpreti e musicisti jazz che a
vario titolo parlano di Konitz (e di aneddoti
divertenti ce ne sono a decine) per parlare, in
S U L L ’ A R T E
realtà, dell’estetica sottesa all’improvvisazione.
E come un dialogo che si rispetti la conversa-
zione si pone ad un incrocio tra maieutica e
psicanalisi, alleggerita da una ben distribuita
ironia, che accompagna i protagonisti pagina
dopo pagina. Del metodo psicanalitico, mettia-
mola così, conserva l’aspirazione aletica, l’in-
camuffabilità di alcune verità necessarie per
raggiungere la propria concezione di quello
che il jazz e l’improvvisazione devono necessa-
riamente essere per poter essere pensabili
come tali. E fuori dai denti, Lee si lascia anda-
re a giudizi spesso trancianti su colleghi e stili,
senza risparmiare totem come Monk (pur
rispettatissimo) o apprendisti stregoni come
Braxton; una schiettezza ed una freschezza
che sono alla fine il plusvalore di questo libro e
che spesso confortano l’appassionato non di
rado spiazzato da sperimentalismi più accredi-
D E L L ’ I M P R O V V I S A T O R E
tati perché è la page che non per il loro auten-
tico valore artistico.
Prendiamo, perché è una delle parti più diver-
tenti, il caso del giudizio su Anthony Braxton
che volle affrontare, a modo suo, alcune song
di Tristano (cui Konitz dedica grandissima
parte delle sue parole, trattandolo come men-
tore, coach, ispiratore di idee e propulsore di
originalità, in pratica un «intoccabile»): «Credo
sia il peggior assolo che ho sentito nella mia
vita... (esordisce). Ci sono molte note sbaglia-
te... Non ha nessun rapporto con la sezione rit-
mica. Per qualche motivo lui a parole dice
sempre bene (di Tristano). Tra me e me
penso: mi domando se li suona anche sul sax.
Una farsa (conclude), un insulto alla memoria
di Tristano. E altre punte di fioretto sul sound
maturato da Braxton: Non lo sopporto, lo
trovo orribile. Il suo eroe era Paul Desmond,
«Lee Konitz. Conversazioni
sull’arte dell’improvvisatore»
di Andry Hamilton
Edt Editore - 20 euro
ma io non so che cazzo sentisse. Se si ama
qualcuno si cerca di emularlo, non di demolir-
ne completamente la concezione. E prosegue:
Suonare su una linea ingegnosa basata su I’ll
remember April e squittire senza pietà è un
sacrilegio.
Il dialogo scorre velocissimo e taglia le tappe,
anche più dolorose della vita di Lee, dalla
dipendenza dagli stupefacenti come presunto
viatico alla creatività, alla sua formazione alla
corte di Lennie Tristano (uno dei primi didatti
con un metodo specifico sull’improvvisazione),
alle concezioni poliritmiche, melodiche e tim-
briche utilizzate nelle sessioni di registrazione,
fino ad un’attenta analisi sullo strumento-sas-
sofono, le sue potenzialità ed i suoi limiti.
Da segnalare, infine, una pregevole appendice
contenente stralci di trascrizioni di alcuni
solos particolarmente eloquenti circa lo stile di
Konitz e, per così dire, una summa pratica di
tutti i temi affrontati nel corso dell’intervista.
Paolo Romano
 BEYOND
&further
NICOLE DI GIOACCHINO Disperata perché si avvicinano i 19. Crescere sapendo troppo spesso quello che vuoi non è
a cura di ROMINA CIUFFA sempre il massimo: mi ritengo fortunata, ho un mezzo di trasporto direttamente iniettato nelle vene. Non è concreto. Lo è
nelle sensazioni, nelle vibrazioni, ma non alla vista. Diventa concreto quando è viscerale. Questo mezzo è la musica.
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > NICOLEMINA
NICOL E MINA
Mi viene in mente «nicolemina». Le do questo appella-
tivo come i Nobel nominano le scoperte: il mio tra-
smettitore è il risultato dell’unione di due molecole,
Nicole e Mina, responsabili della frequenza cardiaca.
Videoreportage
w w w. y o u t u b e . c o m / m u s i c i n c h a n n e l
(...) N
icole assomiglia a Mina, quei filmati in bianco e
nero e una classe mai più riproposta in tanti anni di
cultura musicale. La ricorda non solo al cantare, la
somiglianza è de visu ed evoca i desideri più inconsci di assiste-
re, una volta nella vita, ad una esibizione dal vivo della tigre di
Cremona. Il tilt dei neuroni. Mi viene in mente «nicolemina». Le
do questo appellativo come si nominano le scoperte, uno scienzia-
to che improvvisamente, di notte, sa. Scopro un neurotrasmettito-
re nuovo, al pari della serotonina, della dopamina, di tutte quelle
sostanze in grado di veicolare informazioni sensoriali fra i neuro-
ni di un sistema nervoso. Lei, come all’esito di una sinapsi, è di
fatto in grado di contribuire all’aumento della frequenza cardiaca
e della pressione sanguigna, e risulta influente nella regolazione
dell’umore, della temperatura corporea, dell’appetito. Da quando
la vidi, per la prima volta, cantare, ballare, recitare in Sessantotto
Italian Rock Musical, incluso un pezzo interamente cucito su di
lei, Carmencita. Mi colpì per potenza vocale ed espressione.
Giorni fa ne vedo una su un palco, la nicolemina va in circolo
come allora e posso avvertire lo stesso senso di spaesamento. La
vocalità, il modo di tenere il microfono. Altri tempi. Fatela canta-
re ora che domani deve andare a scuola, dicono, e capisco. È di
nuovo Nicole. La mattina del nostro appuntamento le fissano due
compiti in classe per il giorno dopo. Studia. Poi la notte mi scrive.
«Cara Romina, in confidenza, è così che mi ritrovo oggi: dispe-
rata perché si avvicinano i 19, felice perché è questo l’anno in cui
posso decidere cosa fare della mia vita. Crescere sapendo troppo
spesso quello che vuoi non è sempre il massimo. Mi ritengo una
persona fortunata. Sai perché? Ho un mezzo di trasporto diretta-
mente iniettato nelle vene. Non è concreto: lo è nelle sensazioni,
nelle vibrazioni, ma non alla vista. Diventa concreto quando è
viscerale. Questo mezzo è la musica. Music was my first love and
it would be my last. Mia madre mi cullava con Frank Sinatra; in
macchina mio padre mi nutriva di Queen, Santana, il Boss. È una
frase di Bruce Springsteen che ho voluto tatuarmi prima di com-
piere 18 anni, il 17 maggio 2010. ‘Cause tramps like us, baby, we
were born to run. I vagabondi come noi sono nati per correre. Non
trovo altra parola per definirmi migliore di «vagabonda».
Il primo giocattolo a cui diedi importanza fu uno stereo della
Chicco, quello con il microfono attaccato e nel quale si potevano
inserire le cassettine (che rubavo a mia madre e ne smontavo i
nastri, soprattutto quelli di Whitney Houston). Parte della mia
instancabilità è dovuta al fatto che ho sempre viaggiato. Sin da
piccola sono stata abituata a passare da Roma a New York, Los
Angeles, Las Vegas, San Francisco, Parigi senza difficoltà.
Viaggiare per me è vitale, è un modo per comprendere quanto c’è
intorno, ma è anche un modo per sparire: a volte ho bisogno di
sparire. Di ritrovarmi. Ogni tanto penso: adesso Nicole chi è?, e
non sempre ho le risposte. Non sempre sono necessarie.
«C
ara Romina, in confidenza, è così che
mi ritrovo oggi. I vagabondi come noi,
tesoro, sono nati per correre.»
Mia madre ha ceduto. Mi ha iscritto a scuola di canto. La potevo
raggiungere anche calandomi con la corda dal balcone, perché era
a mezzo passo da casa mia. L’insegnante che ho trovato, Fierina
Federici, è stata la mia base, la mia guida per 3 anni. Poi, dopo un
anno di stallo, ho sentito parlare di Cinecittà Campus. A 12 anni i
miei compagni di lavoro avevano dai 18 ai 35 anni. Non mi presen-
tai a loro con un repertorio da dodicenne, ma con Janis Joplin; ero
una di quelle che studiava di più e 3/4 di quei ragazzi trovavano
ogni buona ragione per denigrarmi. Dava fastidio il fatto che io,
così piccola, stessi «già» lì, e loro «ancora» lì. Ma sai, Romina, a
cosa ha portato tutto ciò? Mi ha reso forte. Noi che merito abbia-
mo? Studiare è il minimo per ringraziare chi ci ha fatto questo
dono. Sai che dovremmo fare? Cominciare a sentire. Quello che
c’è, che ci circonda, quello che diciamo. Cos’altro è la musica, se
non il mezzo di trasporto e di empatia più potente al mondo?
Poi è arrivata Maria Grazia Fontana, conosciuta al Campus.
La mia mamma artistica. A 13 anni mi ha preso e mi ha insegna-
to a sentire. Lei, suo fratello Attilio, la D’AltroCanto sono stati la
mia famiglia, da quando Maria Grazia mi ha proposto di fare il
corso di Musical Andiamo in Scena del Saint Louis. Sono cresciu-
ta più con loro in 2 anni che in 18. Volevamo mettere in piedi un
musical nuovo e farlo diventare un cult, ci siamo riusciti. È nato
Sessantotto Italian Rock Musical (il servizio di Music In Video
è su www.youtube.com/musicinchannel, ndr). Il 1968 è l’anno
del mio cuore, l’anno in cui sono nati i Led Zeppelin (mia infini-
ta e viscerale ispirazione), l’anno preparatorio a Woodstock, l’an-
abbonarsi al giornale della musica classica,
jazz, pop e world costa soltanto 29 euro
ABBONAMENTO ANNUALE
29 €
CARTA + PDF ON LINE
ABBONAMENTO ANNUALE
19 €
AL PDF ON LINE
ABBONAMENTO TRIENNALE
CARTA + PDF ON LINE 70 €
info > www.giornaledellamusica.it/abbonamenti
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
a cura di ROMINA CIUFFA
3 VOLTE AL D I ’
no in cui finalmente l’arte ha preso il sopravvento.
Romina, c’è una frase che è come uscisse dalla mia anima:
L’imagination prende le pouvoir. La forza delle parole ha comin-
ciato a contare negli anni 60 e 70, la mia ispirazione musicale e
culturale più forte. Attilio mi ha proposto il personaggio di
Lauretta, una delle due protagoniste femminili. Lì è nata la sfida:
interpretare qualcuno completamente diverso in ogni aspetto da
Nicole. E sfidare per due ore consecutive (la durata del musical)
la fisica musicale prendendo note che non pensavo neanche di
avere e che, provando, sono stata io stessa a proporre. Lauretta
l’ho costruita io al punto che nella vita privata mi veniva da
rispondere nello stesso modo in cui avrebbe risposto lei. La prima
volta che è finito Sessantotto, a gennaio del 2009, sono caduta in
depressione. Ci ho messo un mese per ricominciare la mia vita di
sempre, tra i banchi di scuola. Il punto è che il teatro mi ha rapi-
ta. La seconda volta del Musical, invece, ero pronta a lasciare
andare Lauretta, lo start della mia vita da artista a 360 gradi.
Sono malata di musical e New York per me è un toccasana. Amo
The Phantom of the Opera, che ho visto tre volte a Broadway, e il
sequel Love Never Dies a Londra. Quelle luci, le voci, il palco, i
costumi, la città. Dopo l’attentato alle Torri gemelle sapevo che la
città era cambiata profondamente, ma ero cambiata anche io. A
Times Square la scorsa estate mi sono seduta e ho pensato: è trop-
po grande, non ce la farò mai qui, mentre fissavo il cartellone di
Jordin Sparks, una mia coetanea diventata famosa grazie ad
American Idol, ora protagonista di uno show di Broadway. Poi sono
arrivati i Promessi Sposi-Il Musical, con un sms di Maria Grazia; vi
ho partecipato per la registrazione dei cori ritrovandomi nella sezio-
ne dei soprani, per la prima volta accanto a cantanti liriche. Sapevo
di essere debole nella lettura dello spartito, ho fatto un corso avan-
zato e sono cresciuta nuovamente. Abbiamo cantato nel Duomo di
Milano, e con le telecamere del Tg3 puntate in faccia, in prima fila,
a 17 anni in mezzo ai grandi ho intonato il Padre Nostro.
Sto vivendo la mia adolescenza nel modo più bello. Mando
avanti il mio gruppo, i Nivada Stil, dal 2005; con loro ho costrui-
to la Nicole rocker, che è ciò che sono, Janis, i Led Zeppelin, il
blues anni 50 e 60, il glam dei Guns’n Roses, Aretha Franklin. Ma
anche, dal 2007, ai SAT&B, il coro gospel di Maria Grazia, con
cui ho partecipato al concerto di Giorgia all’Auditorium. Con X-
Factor ho capito di essere libera. Mi sono sempre rifiutata di fare
certi talent, ma per quello ho sempre avuto un occhio diverso:
sapevo che avrei lavorato per me. Ho fatto 5 provini, solo il primo
normalmente. Il secondo, due ore dopo la mia festa dei 18 anni
(alle 3 è finita, alle 5 ero sul Roma-Milano), il terzo e il quarto li
ho fatti di lunedì e martedì, sono tornata a Roma il mercoledì, il
giovedì sono partita per Londra, il venerdì ho perso il volo per
Roma e sabato, per la finale, mi sono svegliata alle 3.30 del mat-
tino e ho preso il primo volo per Linate. Ho riscoperto una Nicole
diversa, più riflessiva e poco incline ad essere competitiva in
modo negativo. Ad oggi non so il motivo per il quale non sono
stata presa, visto che Anna Tatangelo mi ha stilato un elenco di
roba che con me c’entra ben poco. Ma va bene così, ho vinto
comunque. Credo di aver fatto la differenza, nel bene e nel male.
È lì che ho conosciuto quelli che ora sono i miei compagni di
viaggio preferiti, gli altri 5 della mia nuova band The Estranged.
Tutto questo è un viaggio che avrà fine solo quando smetterò di
sentire. Questa è Nicole oggi, con quattro tatuaggi. So che partirò
dopo la maturità. So anche che Broadway è difficile da raggiun-
gere, ma mi piace pensare alla mia vita come la descrive Kerouac.
Sono su una strada che mi porterà a qualcosa di più grande. In
questi ultimi periodi mi sono chiusa tra sala registrazione e studi
fotografici per realizzare il mio album di cover riarrangiate, e il
nome dell’album significa tutto: The Pursuit, la ricerca.
So che c’è qualcosa di più grande: io lo sto cercando.
Peace, Nicole» ■
da 25 anni
con la musica
abbonamenti@edt.it +39 0115591831
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
RENZO RUBINO Il figlio di una relazione sporca tra
Enrico Ruggeri, Vinicio Capossela, Astor Piazzolla.
Ma lui è lui, l’unico re di questo grasso bignè
PUNTADIRUBINO
MI DIRAI, ADESSO DENUNCIAMI
lo
scoviamo. Letteralmente. Bisogna girare, la notte, con le
a cura di
Lorenzo orecchie da gatto. Lui anonimo, uno dei tanti. Poi sale su
Fiorillo un palco, prende il pianoforte: vibrisse e... dei tanti uno.
G «C
ran parte degli emergenti si limita a
seguire una moda, ad imitare od emu-
lare ciò che è già sfruttatissimo nel
panorama musicale italiano. Renzo Rubino non
sembra come gli altri, a un primo ascolto. Lo
troviamo, e per la prima volta lo ascoltiamo, al
Garlic Show di Mauro Di Maggio, che chiama
gli amici emergenti e dà loro un palco su Roma
tutti i lunedì. Cantava Non ti voglio fermare, ma
non solo non li ferma: li spinge. Questo Renzo
Rubino invece. Incuriosisce. 22 anni e a breve
il primo cd, Farfavole, una miscellanea di suoni
e colori in cui il filo conduttore è l’amore rac-
contato tramite la poesia e lo sberleffo.
Attraverso uno stile musicale onirico, psichede-
lico non nella forma ma sicuramente nel conte-
nuto. E psichedelici e un po’ grotteschi sono i
testi, nei quali Rubino riversa tutta la sua arte,
dipingendo una realtà a tratti folle, a tratti triste
e condita di un sagace humour nero. Un artista
eccentrico, che non ama le etichette e che tiene
a non farsi definire un cantautore per non esse-
re accomunato a giri armonici scontati.
Lo strumento matrice delle tue opere è il
pianoforte. Ti definisci pianista?
Ho iniziato a studiarlo a 7 anni, ma non mi
pongo né come pianista né come cantante. Mi
sento un creativo. Il pianoforte per me è solo un
mezzo. Dal punto di vista tecnico costruisco da
lì, ma il punto di forza sono le canzoni. I testi
sono una parte fondamentale. Importantissima.
Come componi le tue canzoni?
Mi metto al pianoforte. È difficile raccontare
come compongo, inspiegabile. Mi capita di
cantare e suonare. Dico delle parole buttate lì
mentre suono, dalle quali poi nascono concetti
e storie, e la musica si forma intorno a queste
immagini, a queste sensazioni. Una canzone la
scrivo in cinque minuti, poi ci metto settimane
per arrangiarla.
Quindi l’istinto la fa da padrone?
Esatto. La tecnica è solo un mezzo. Prima di
affrontare il pianoforte bisogna riempirsi. E ci
si riempie con l’esperienza. Quando ho un
blocco, non mi chiudo in casa davanti lo stru-
mento musicale o un foglio di carta bianco, ma
esco, vado in giro, parlo con la gente. Osservo,
respiro, cammino e mi ispiro.
Chi ti influenza maggiormente nel panora-
ma musicale italiano?
Vinicio Capossela mi piace molto. Non mi
piace la definizione cantautore. Una volta uno
mi definì «malinconico circense».
Ed il paragone con Vinicio Capossela non è
ILARIA GRAZIANO E ora dove andrà questo nuovo essere creato? La rete è
vasta e infinita [il nuovo essere generato dall’unione di Kusanagi e del Burattinaio,
«Ghost in the Shell]. Ossia le animate anime di una interprete d’Anime.
d’obbligo, ma in un certo senso, ascoltando le
canzoni di Rubino, si rimane avvolti da un fle-
bile ed appena accennato retrogusto tipico del
polistrumentista di Hannover. Si percepisce un
richiamo alle atmosfere burlesque e rurali, che
hanno sempre fatto da DNA ai pezzi di
Capossela, e che non risuonano come note
negative nello stile di Rubino. Lui conferma
questo legame a più riprese nelle sue opere. In
Che cosa sono le nuvole, una ballata dall’odore
mazurca, si abbandona a sentimenti contrappo-
sti ed uniti per assurdo, miscelando parole d’a-
more ed odio con erudizione e sarcasmo: Eri
bellissima quando t’amavo | sì, tu eri bellissima
quando ti baciavo | prima di sgozzarti | prima
di dimenticarti | prima di chiamarti amore.
Chi ascolta quest’album non può che rimane-
re affascinato da un mix ironico e sentimentale,
cupo e nostalgico. I brani racchiusi nel cd in
prossima uscita, dal titolo Farfavole, prometto-
no di essere tutto tranne che banali. Piccole
poesie in rima con l’anima musicale e l’endo-
scheletro puramente letterario.
Qual è il filo conduttore dei tuoi pezzi?
L’amore. Non per una donna, ma per la vita,
per le piccole cose, per la quotidianità. Chi
ascolterà il cd sentirà otto canzoni molto diver-
se fra loro.
Come hai iniziato la carriera musicale?
È stato difficoltoso. Non solo mio padre, ma
nessuno ha accettato la mia carriera di musici-
sta. Sono andato via di casa a 17 anni e mi sono
ritrovato a fare il pizzaiolo. Mentre infornavo
pizze, mi sono messo dinanzi un bivio: conti-
nuare a fare lavori che non mi avrebbero grati-
ficato o inseguire il mio desiderio di fare musi-
ca. Ho scelto la musica. Quando avevo 16 anni
mio padre organizzava nella mia Martina
Franca un festival internazionale di artisti di
strada, la Girandola, una manifestazione che
porta migliaia di turisti tra i vicoli del centro
storico. Mi travestii: mi misi una maschera, una
parrucca, un cappello lunghissimo e mi finsi Mr
V, pianista di strada londinese. Ovviamente non
ci fu mai un incontro tra me e mio padre, il tutto
era stato organizzato telefonicamente. Fu un
successo, nessuno mi scoprì e riuscii anche a
portarmi a casa qualche spicciolo (che però a
casa non arrivò mai).
Farfavole diventa così uno stile di vita per
questo cantastorie, e il suo esser malinconico
circense una punta di diamante. Ma a questo
punto, è il caso di parlare di una punta di rubi-
no, che è esattamente la sua. ■
BEYOND
&further
A N
a una pagina su Wikipedia, è arrabbiata come PJ Harvey ed elegante come
H
Marlene Dietrich. Fa esperimenti di pop-rock elettronico, combat folk e jazz.
Ha molte Anime: quelle dei cartoni animati giapponesi cui presta la voce.
osa avrei rimpianto di più nella
vita? Non aver tentato il tutto per
tutto per cantare». Così parla
Ilaria Graziano della sua carriera
musicale, nell’intervista rilasciata
a Music In prima di una sua recente esibizione
in un locale di Roma. Cantante napoletana dalla
voce versatile e dall’approccio live molto accat-
tivante, un po’ arrabbiata come PJ Harvey e
decisamente elegante come Marlene Dietrich,
ciò che emerge immediatamente all’ascolto è la
sua impressionante capacità vocale e la ricchez-
za degli influssi culturali che la caratterizzano.
Da 15 anni presta la sua voce a diversi esperi-
menti, dal pop-rock elettronico al combat folk,
dal jazz alle colonne sonore dei film di anima-
zione giapponesi, anche conosciuti come
«Anime», tra cui Wolf’s Rain, Ghost in the
Shell, Cowboy Bebop. È stato l’incontro con la
compositrice giapponese Yoko Kanno ha cam-
biare la sua vita professionale, trasportandola in
un mondo fatto di sensazioni delicate e di affla-
ti artistici di respiro internazionale.
Chi è Ilaria Graziano?
Una che nella vita ha sempre voluto cantare.
Il mio rapporto con il canto nasce da lontano,
da quando mia nonna, cantante lirica, mi dice-
va sempre, ascoltandomi piangere, che un gior-
no sarei diventata una grande cantante. È uno
dei primi ricordi d’infanzia, assieme al violino
che ho ricevuto da mio padre. Successivamente
ho studiato canto classico e moderno a Napoli,
per poi frequentare laboratori teatrali e vocali
sperimentali, dove ho imparato che è il corpo
ad agire sulla voce, riuscendo a modulare il
canto su nuove esperienze e impulsi esterni vei-
colati dal fisico.
Quali sono stati i tuoi primi impegni?
Una decina di anni fa ho lavorato con
Stefano Miele, oggi star della scena breakbeat
internazionale, portando in giro un progetto
sperimentale e molto innovativo che ha incon-
trato subito l’interesse dei media, tra cui Radio
Deejay e MTV. Assieme abbiamo aperto con-
certi di grandi artisti come Dj Shadow e
Galliano and the African Divas. Ho collabora-
to poi con Daniele Sepe e i Zezi, scoprendo la
musica popolare, il folk, il jazz, il pop-rock, che
mi hanno portata a modificare ulteriormente la
voce per affrontare sonorità decisamente
distanti tra loro.
Quando hai conosciuto Yoko Kanno?
Ci siamo incontrate più di 10 anni fa.
DI FLAVIO FABBRI
I M E
L’occasione l’ho avuta interpretando una can-
zone inserita in una compilation prodotta dai
99 Posse, Sienteme, che portammo al program-
ma televisivo Roxy Bar condotto da Red
Ronnie. Qui incontrai un’agente che conosceva
la compositrice giapponese e che in quel perio-
do cercava una nuova voce. Grazie alla colla-
borazione professionale con Kanno, e la suc-
cessiva amicizia, ho iniziato anche a lavorare
per le colonne sonore di Anime, ossia i film di
animazione giapponesi. Entravamo in sale di
registrazione con grandi orchestre, a Roma,
New York, Londra, Parigi, Tokio e altre città.
Le Anime ricevono, in diversi Paesi del mondo,
una grande attenzione e anche la musica che
accompagna tali prodotti, di conseguenza, è
valorizzata al massimo.
Hai una pagina dedicata su Wikipedia, lo
sapevi?
È il successo della scena Anime, che senza
MTV, perlomeno in Italia, non sarebbe esplosa.
Ma anche il web ha dato un forte impulso. Chi
ascoltava le musiche di questi film ha comin-
ciato a cercarmi su Internet, senza neanche
avere un’immagine precisa di me in testa.
Tantissimi fan hanno realizzato blog e siti web
a me dedicati, tra cui la pagina su Wikipedia.
Un universo che ignoravo e che poi ho scoper-
to e seguito grazie a MySpace e Facebook.
Usare le parole come suoni, perché?
È stato un gioco, ma anche una necessità.
Solo così si riesce ad esprimere pienamente una
coerenza di stile nel pronunciare una parola in
toni e suoni diversi, divertendoti ogni volta a
modificarne il senso. Da alcuni anni, assieme a
Francesco Forni (chitarra), Emanuele
Brignola (basso), Cristiano De Frabrizi (batte-
ria) e Fabio Rondanini (batteria), ho intrapre-
so un percorso musicale più personale, in cui
ho approfondito tale approccio vocale.
A cosa stai lavorando?
A nuovi pezzi, per cui la fase di scrittura è
quasi completa. I live, in questo, sono fonda-
mentali per veder crescere un pezzo nel modo
giusto, per sentirlo davvero tuo e infatti siamo
sempre in scena. Solo dal vivo è possibile
assorbire e fare proprie le sensazioni che si
vengono a determinare tra musicista e pubbli-
co. Con Francesco Forni, cantautore e chitar-
rista, inoltre, sto portando in giro un nuovo
progetto di sperimentazione dei linguaggi
musicali, che ci ha visti suonare in diverse città,
tra cui Berlino. ■
CLASSICA
MENTE
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

MENTE SAN PATRIGNANO L’intervento di Andrea Muccioli All’interno della comunità più gran-
de d’Europa nascono i laboratori di «Capire la musica», sul presupposto che l’alterazione di se
A LITTLE NIGHTMARE
MUSIC La classica ha qualcosa
aa cura
cura di
di ROMINA CIUFFA
FLAVIO FABBRI
stessi e della realtà dipenda solo dall’incapacità di capire la techno senza lo sballo del rave. di tipicamente umano: la risata.
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > INDIPENDENZA DI A N D R E A M U C C di
I OADRI
LI*

LA MUSICA GENERA INDIPENDENZA *RESPONSABILE COMUNITÀ DI S. PATRIGNANO

Sappiamo però che la musica, come ogni linguaggio, ha pagi-
ne più facili e altre meno. Alcuni suoni e ritmi sono immediata-
mente vicini a noi, alla nostra sensibilità, altri li sentiamo più
lontani. Non li comprendiamo subito e sembrano annoiarci, non
Videoreportage piacerci. Ma è un errore. Se si viene preparati a questo incontro,
a questo nuovo tipo di ascolto, scopriamo invece che anche quel-
la musica può piacerci. Nasce da qui Capire la musica, il proget-
to realizzato grazie a un nostro grande amico, il maestro Paolo
w w w. y o u t u b e . c o m / m u s i c i n c h a n n e l Olmi. Vogliamo offrire ai ragazzi della comunità l’opportunità di
conoscere e apprezzare generi a loro sconosciuti o che conside-
rano «inascoltabili». A febbraio è partito un ciclo di lezioni/labo-
La musica è uno dei linguaggi più belli e univer- ratorio tenute da giovani docenti in grado di comunicare con
sali attraverso il quale le persone si esprimono, facilità con i coetanei. I temi delle lezioni saranno vari, dalla fun-

(...) raccontano i sentimenti che provano. Spesso, rap-

presenta ed esprime la bellezza, una dimensione
sempre distrutta e cancellata dalla tossicodipen-
denza. Poco importa se la musica sia classica,
zione del direttore d’orchestra spesso sconosciuta, e qui sarà di
scena proprio Paolo Olmi, alla musica nel mondo, la musicalità
della voce, la conoscenza di suoni e percussioni, fino a ricostrui-
re il filo che lega tra loro i vari generi musicali con l’ultima lezio-
contemporanea o tradizionale, è sempre un veicolo di emozioni, ne, Da Bach ai Led Zeppelin.
una delle cose che meglio ci fa stare con noi stessi e con gli altri. Ci ha subito stupito l’entusiasmo che abbiamo raccolto a San
Così a San Patrignano la musica ci accompagna da sempre. In Patrignano. Pensavamo fosse difficile avere più di 20 persone
comunità abbiamo un gruppo musicale, teniamo corsi e lezioni di disposte a seguire le lezioni e ci siamo trovati invece a limitarci a
chitarra e batteria. Da qualche anno c’è un coro gospel, i 80 ragazzi, il numero massimo che potevamo seguire in quello
SanpaSingers, con un bel repertorio anche di brani spiritual e che spero sia solo il primo ciclo di un’attività destinata a diventa-
soul. Canzoni che esprimono lo spirito di riscatto, di gioia e spe- re abituale per la nostra comunità. Claudio, 24 anni, parteciperà
ranza, con cui cerchiamo di fare ogni cosa in comunità. La musi- alle lezioni. Mi ha detto: «Se qualche anno fa mi avessero detto
ca segna poi i nostri momenti d’incontro: Natale, Capodanno, che mi sarebbe interessata la musica classica, non ci avrei mai
Ferragosto e tutte le feste. D’estate San Patrignano diventa anche creduto. La mia musica preferita era la techno, l’unica che si

una specie di grande discoteca all’aperto. Si balla al ritmo dell’hip
hop, della dance. Si fa, però, senza nessuno «sballo», solo per il
piacere di ascoltare musica, ballare e stare con i propri amici.
Quasi la dimostrazione che la musica non sia la responsabile
dello «sballarsi», di ciò che troppo spesso accade ascoltando que-
sti brani, ma che alterare se stessi e la realtà dipenda da noi, dalla
nostra incapacità di affrontare il divertimento senza droghe o
«additivi» di ogni genere. È sorprendente vedere ragazzi che nei
rave si stavano bruciando il cervello scoprire stupiti e increduli
che ci si può divertire, anzi divertire molto di più, senza pillole,
polveri o altra robaccia del genere. La musica nella nostra comu-
nità assume così significati profondi, diventa strumento per cono-
scersi, capirsi, e imparare un nuovo modo di stare con gli altri.
«A
San Patrignano la musica ci accompagna
ascolta ai rave. Ma l’idea che un mio coetaneo possa farmi cono-
da sempre ed esprime lo spirito di riscat- scere questo linguaggio musicale a me finora sconosciuto mi ha
to, di gioia e di speranza con cui cerchia- incuriosito e così ho pensato di fare questa nuova esperienza».
mo di fare ogni cosa in comunità.» Andrea Muccioli In queste parole, semplici e dirette, il significato di questa ini-
ziativa, una nuova opportunità educativa, di formazione e di cre-
«Vincenzo ha perso il cello della casa in cui i scita. Esattamente ciò che San Patrignano offre a chi vuole usci-
re dal disagio, dalla droga, dall’emarginazione. E sono certo che
senno, è in collina coi droga- Muccioli portavano i tossici i due concerti nel nostro auditorium, tenuti da musicisti di altis-
ti», dicevano di suo padre. che barcollavano per Rimini. simo livello come Andrea Griminelli e da giovani concertisti di
Andrea aveva 12 anni e i Oggi San Patrignano acco- grandissimo talento, saranno un successo. In platea non ci sare-
vicini gli avvelenavano i cani glie 1.800 tossicodipendenti mo solo noi di San Patrignano, ma anche appassionati di Rimini
ed infilzavano le teste dei ed è la più grande comunità e del nostro territorio. Grazie ai concerti ci conosceremo. Sarà un
gatti alle inferriate del can- terapeutica d’Europa. nuovo incontro. La musica serve anche a questo. ■

SPINGI IL
pianista sale sul palco e subito
perde la sua mano per motivi
misteriosi. Non contento deci-
de di picchiare i tasti del pia-
noforte a testa in giù mentre
mangia un panino. Immaginate sempre
che nello stesso concerto il violinista
che gli sta accanto, durante l’accordatu-
ra dello strumento, si addormenti
all’improvviso per risvegliarsi e vedere
il suo archetto risucchiato da un aspira-
polvere lasciato incustodito. Ci si può
imbattere in un umorismo e un’ironia
così sfrontati nell’austero mondo della
musica classica?
Certamente sì, e Aleksey Igudesman
(violino) e Richard Hyung-Ki Joo (pia-
noforte) hanno costruito sulla risata del
pubblico un’intera carriera. Badate
incantevole, spettacolo musicale. A
Little Nightmare Music ha già fatto il
giro del globo più volte, occupando il
palco dei più prestigiosi teatri da con-
certo, coinvolgendo nei loro provo-
catori e raffinati siparietti musicali
celebrità del calibro di Mischa
Maisky e Viktoria Mullova, solo per
fare alcuni nomi.
Di essi e del loro spettacolo musi-
cale Bernard Johan Herman Haitink,
direttore d’orchestra olandese di fama
internazionale, ha avuto modo di
affermare: «Igudesman e Joo hanno
suonato alle celebrazioni per i miei
80 anni. Sono quasi morto dal ridere.
Mi piacerebbe invitarli di nuovo per i
miei 85 anni, ma potrebbe essere
rischioso per me... Grandi musicisti,

PIANO
bene, non una carriera qualsiasi, ma di
musicisti classici, portata avanti nello
studio e nella disciplina più rigidi.
Igudesman è di origine russa, Joo di ori-
gine coreana, conosciutisi in Gran
Bretagna durante gli studi alla Yehudi
Menhuin School sono diventati grandi
di Flavio Fabbri amici e, dopo aver preso strade diverse,
si sono ritrovati di nuovo assieme nel
Pianoforte suonato a testa in giù e un violinista che 2004, dando vita al divertente spettaco-
lotta con un aspirapolvere per riavere il suo archetto lo A Little Nightmare Music.
Un progetto di cui hanno parlato i
giornali di tutto il mondo, nel quale si
eseguono i grandi capolavori classici in
chiave irresistibilmente comica e si
prendono amabilmente in giro i cliché
più consumati della scena sinfonica. È
stato grazie alla IUC, l’Istituzione
RIONE MONTI - Via Madonna dei Monti, 28 Universitaria dei Concerti di Roma, che
06 6990968 - info@fafiuche.it abbiamo avuto modo di assistere nella
capitale al loro oltraggioso, quanto
grande divertimento». Non è l’unico.
Gidon Kremer, probabilmente uno
dei più grandi violinisti e direttori
d’orchestra lettoni vivente, subito
dopo aver assistito allo show di
Igudesman e Joo ha commentato: «Ad
un cento punto mi hanno tirato sul
palco a suonare con loro e vi assicu-
ro che è stato lo spettacolo musicale
più divertente che abbia mai visto».
Parafrasando l’autorevole filosofo
francese Henri Bergson, che sostiene
non esservi nulla di comico al di fuori
di ciò che è propriamente umano,
possiamo almeno in questo caso
affermare con certezza che la musica
classica, diversamente da come ce la
fanno intendere i suoi alfieri più
austeri, forse, qualcosa di tipicamente
umano ce l’ha ancora. E nella risata
riesce a mostrarlo con fierezza. ■
 Vista
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011 MARE
BRINDISI L’intervista al sindaco, Domenico Mennitti «Richiedere alla storia le ragioni per le L’EDITORIALE DI STEFANO
quali i Romani missionati alla conquista d’un regno cosmopolito, s’indussero a soggiogare Brindisi, MASTRUZZI Così concepisco il
a cura di ROSSELLA GAUDENZI
è lo stesso che cogliere il fine ultimo delle prerogative d’una ragion di stato.» (Salvatore Morelli) Saint Louis di Brindisi. Vista mare.

A CURA DI ROSSELLA GAUDENZI

BRINDISI: LA CULTURA UN’ABITUDINE

S iamo a Brindisi e ci rapportiamo a lui. È
Domenico Mennitti, il sindaco, a guidare la
ripresa culturale della città in una visione
della conoscenza come motore dello svilup-
po. Agli anni del suo mandato risalgono l’a-
pertura al pubblico dello storico Palazzo Granafei-
Nervegna dopo l’abbandono e il conseguente degrado,
per la parte dell’ex Corte d’Assise (primo gennaio
2008), edificio destinato ad essere importante conteni-
tore culturale; la valorizzazione e incentivazione della
Settimana della cultura e del Brindisi in jazz, rassegne
culturali divenute capisaldi e consuetudine per la citta-
dinanza brindisina e per la regione Puglia, capaci di
avvicinare un numero crescente di turisti.
Tra le prime opere rilevanti di ripresa culturale il
ripristino del Nuovo Teatro Verdi, dalla struttura avve-
neristica, una gigantesca palafitta in acciaio, opera del-
l’uomo moderno che vuole lasciare un segno sospeso
sulla storia, sulle rovine di un’antica civiltà che rappre-
senta idealmente le fondamenta di una nuova stagione
culturale per Brindisi città d’arte. Affidato nel 1966
all’architetto Enrico Nespega, sovrasta basamenti di costruzioni
di epoca romana ed è noto come il «Teatro sospeso»; è in grado
di ospitare 995 spettatori ed è uno dei maggiori teatri del
Mezzogiorno, fiore all’occhiello della città. Inutilizzato per ben
cinquant’anni è stato inaugurato il 20 dicembre 2006 con un con-
certo diretto da Riccardo Muti.
La direzione artistica è affidata all’estro di Italo Nunziata che
ha dato vita, come negli anni passati, a una stagione 2010/2011
eccezionalmente ricca. Di prosa in scena una Medea con Pamela
Villoresi, La ciociara, Tradimento con Nicoletta Braschi,
L’inganno con Glauco Mauri alla regia e sul palco, un Fu Mattia
Pascal per la regia di Tato Russo, la Madama Butterfly suppor-
tata dall’Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce. Il direttore
Salvatore Accardo è sul Concerto in re maggiore per violino e
orchestra op. 61 e sulla Sinfonia n.4 in si bemolle maggiore op.
60; la danza è trattata in maniera variegata, dal classico al folk
allo sperimentale: Tango feeling, Lo schiaccianoci, Shadowland,
e spazio per il musical Jesus Christ Superstar.
La necessità di quest’opera di restituzione era fortemente
avvertita dalla cittadinanza ed è stata realizzata grazie alla costi-
tuzione, da parte del Comune e della Provincia, della Fondazione
Nuovo Teatro Verdi, la quale gestisce direttamente la struttura
avendo piena autonomia nelle scelte artistiche e puntando sulla
diffusione e costruzione di una vera e propria cultura dello spet-
tacolo. Da 4 anni il teatro offre repliche per due sere ed è per due
sere pieno.
Il sindaco ci spiega. Abbiamo operato una politica dei prezzi
molto attenta e il risultato è un indubbio successo. Nel disastro
odierno delle attività teatrali, questo è un punto di arrivo impor-
tante, sia per la qualità degli spettacoli proposti che per la par-
tecipazione dei giovani. Fondamentale è mantenere un rapporto
intenso con le scuole. In contrasto con la considerazione dila-
gante che la cultura non dà il pane, affermo che la
conoscenza sia il motore fondamentale dello sviluppo.
Bisogna sfuggire il destino di essere terra esclusiva-
mente industriale (e nell’industria sì che la crisi si è
fatta acuta) con l’aggiunta di posizioni diverse.
Brindisi come città postindustriale? Il settore dei
servizi è oggi importante per il bilancio nazionale,
occorre avere la capacità di superare vecchi meccani-
smi legati al turismo. Si deve parlare di turismo di
città: elementi paesaggistici accanto a elementi monu-
mentali, eno-gastronomici ed eventi culturali, e di una
cultura non più da leggere come privilegio dei ricchi,
ma dei sensibili. Che la cultura divenga abitudine.
In quest’ottica che Brindisi si candida a diventare
«capitale europea della cultura» per il 2019. Non si
tratta di velleitarismo; si va verso la scelta di città non
più scontate, verso la scoperta di aree in fermento.
Occorre ricordare che fino a dieci anni fa Brindisi era
il «porto delle sigarette». Cultura e conoscenza, edu-
cazione dei giovani: in questo momento la nostra città
teatro rappresenta il motore trainante è molto meglio attrezzata.
«IL della cultura di una città, il suo centro
propulsore. Quando non viene ridotto a
semplice contenitore. Una scatola vuota rimane una
L’aeroporto di Brindisi ha avuto un incremento dei passeg-
geri del 47 per cento, il più alto indice di aumento di tutta
l’Europa. Brindisi ha le caratteristiche per divenire la Porta
d’Oriente? Sì, ma il nostro porto va potenziato in maniera poliva-
scatola vuota, ma se viene riempita di idee e profes- lente: come porto commerciale, industriale, turistico. La regata
sionalità, allora diventa un organismo vivente, un velica Brindisi-Corfù rappresenta già una risposta, un’esperienza
solido riferimento per l’intera collettività. Ci sono divenuta consuetudine dal significativo risvolto economico.
Qual’è la sua opinione sul sistema Puglia Sounds, il pro-
voluti cinquant’anni perché il Nuovo Teatro Verdi gramma della Regione Puglia per il sostegno e lo sviluppo
venisse consegnato funzionante alla città e all’intera della produzione musicale regionale? Protagonista primo di
regione.» Domenico Mennitti, Sindaco di Brindisi e tale progetto è la Regione Puglia, e noi vi abbiamo aderito dal
Presidente della Fondazione Nuovo Teatro Verdi punto di vista organizzativo, mettendo a disposizione il Nuovo
Teatro Verdi.
Come si rapporta il Comune di Brindisi con le iniziative
musicali, nello specifico della musica jazz? La città di Brindisi
Il 30 maggio 2009 il Saint Prima e unica sede ospita da cinque edizioni la rassegna «Brindisi in Jazz», che ha
Louis arriva a Brindisi, nel- distaccata del Saint Louis accolto negli anni talenti quali Rosario Giuliani, Maria Pia De
l’ex convento di Santa College of Music, essa ha Vito, il progetto di Gino Paoli «Un incontro di Jazz» e, nell’ulti-
Chiara, edificio del XVI l’ambizione di divenire il ma edizione del luglio 2010, eccellenze provenienti dal Saint
secolo: un unicum, innanzi- polo di riferimento per Louis come Susanna Stivali, Ettore Carucci e Salvatore Russo.
tutto dal punto di vista tutti i futuri musicisti pro- Inoltre il Comune di Brindisi si è prestato alla costruzione dei
dell’eccellenza della loca- fessionisti del Sud. luoghi in cui si possa svolgere l’attività musicale e la destinazio-
tion e dei lavori di restau- La sede ha raggiunto i ne dell’ex convento di Santa Chiara ne è un valido esempio.
ro che l’hanno resa scuola 300 iscritti e si va ad A parlare sono i numeri. Ancor prima dell’avvento del
Saint Louis la partecipazione ai concerti jazz ha registrato
di musica, con aule inso- imporre nel panorama grossi numeri di pubblico. Circa la promozione delle iniziative
norizzate di oltre 40 metri musicale del Mezzogiorno specifiche il problema è lo studio e la capacità di trarre insegna-
quadrati ciascuna, un per la qualità degli inse- mento dallo studio. Mi auguro che vengano spunti dall’esterno,
auditorium di cento posti gnamenti, del corpo è difficile che l’amministrazione faccia tutto da sé. Le esperien-
e un giardino attrezzato docente e delle numerose ze vanno consolidate per entrare nel solco della consuetudine,
con palco per festival e iniziative, quasi sempre a per poter parlare non di eccezione ma di abitudine. E in questi
rappresentazioni estive. titolo gratuito. anni un buon tratto di strada è stato compiuto. ■

¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > L’EDITORIALE

Concepisco il Saint Louis di

Brindisi come una realtà
autonoma che non sarà mai
una copia di quella romana,
bensì un’alternativa che per-
segue i medesimi obiettivi.

Saint Louis a Brindisi deve

(...)Il svolgere un ruolo decisivo,
perché la musica è molto di
più della lezione privata, è partecipazione,
come canta Gaber, la possibilità di confron-
tarsi con altri coetanei, di formare e scio-
gliere gruppi, di salire e scendere da un
palco, di affrontare una commissione di
docenti-musicisti che periodicamente giun-
ge da Roma per verificare l’andamento di
tutto un sistema didattico, che si rinnova e
plasma sulla realtà brindisina.
Credo che il modello economico del fran-
chising sia del tutto inadeguato per una
qualunque scuola di musica; dobbiamo inse-
gnare un’arte, non vendere profilattici. Il
fatto che il Saint Louis di Roma sia una
realtà consolidata straordinaria e unica in
Italia, centro di eccellenza di livello europeo,
non significa che sia un modello trapiantabi-
le tout court altrove. Non è il frutto di una
sapiente gestione aziendale di neolaureati
in business administration, ma il risultato di
anni di errori e riposizionamenti, di lavoro
meticoloso spesso svolto anche in sordina,
Saint Louis, BR
con il contributo di migliaia di persone,
musicisti e studenti.
Concepisco il Saint Louis di Brindisi come
una realtà autonoma, che acquisirà negli
anni una personalità, sulla base di un’espe-
rienza maturata in 35 anni di didattica e
non sarà mai una copia di quella romana,
bensì un’alternativa che persegue i medesi-
mi obiettivi. L’ingrediente segreto di una
grande scuola sono gli allievi stessi. Per
questo motivo la sede di Brindisi necessita
di un tempo fisiologico per portare le attua-
li giovani leve a livelli sempre più alti, affinché
siano successivamente di esempio, riferi-
mento e stimolo per chi comincia. In questa
prima fase stiamo proponendo decine di
concerti, spettacoli, seminari e manifesta-
zioni, coinvolgendo i giovani allievi ed artisti
internazionali, eventi di cui c’è grande fame
in tutto il territorio, un arricchimento cultu-
rale concreto e lontano dalle solennità pom-
pose e autoreferenziali dei grandi media.
Ed è emblematico che alcuni decidano di
trasferirsi dal Saint Louis di Roma a quello
di Brindisi e viceversa; ciò rappresenta
un’opportunità straordinaria, che va ad inci-
dere profondamente e definitivamente sulla
formazione e sulla vita della persona. A
dimostrazione che l’antica strada costruita
dai romani è tuttora percorribile e in
entrambi le direzioni di marcia.
Stefano Mastruzzi
 SOUND
tracking
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011

GIANLUCA ZENONE La tv JOHN TURTURRO La MUSICINVIDEO(CLIP) > Dimartino, «Cercasi anima» La

a cura di ROBERTA MASTRUZZI è veicolata, ma se solo stacchia- passione serve a far emergere mia anima l’ho persa mentre tutto mi sembrava niente: le mutande
mo il decoder vediamo la neve. ciò che la morale nasconde. di Francesca, la banda in piazza, il tempo per amarmi ancora un po’.

ZENONE IN &OUT Videoclip

di Roberta Mastruzzi
S
uoni, musica, immagini. Il cinema come
un quadro animato che ha bisogno di
essere contenuto in una cornice. L’arte
come riflesso di noi stessi. Gianluca Zenone,
regista, musicista e videomaker ha trovato il suo
personalissimo modo di dare una visione alter-
nativa a quella che chiamiamo realtà, frutto di
una approfondita ricerca in quel magma incan-
descente che è l’inconscio di ognuno di noi.
Prima di dedicarti alla regia, eri un musici-
sta. Puoi raccontarci il tuo percorso?
La passione per la musica mi ha sempre
accompagnato, per me suonare è un’esigenza
fisiologica, come bere e mangiare. È una forma
di comunicazione: può rilassare o angosciare,
creare ritmo e atmosfere. Ad un certo punto ho
sentito che solo con la musica non riuscivo ad
esprimere tutto. Avendo studiato e lavorato
come grafico e fumettista ero abituato a lavora-
re con le immagini. Ho capito allora che dove-
vo legare le due cose: musica e immagini. Non
mi sento un regista, nel senso «industriale»
della parola, ma un videomaker che opera nel
campo dell’arte. Lo studio e la lettura di testi di
filosofia mi ha portato ad esplorare il significa-
to di certi simboli e archetipi e a trasportarli in
visioni, nelle quali la musica è sempre elemento
imprescindibile. Il mio tentativo è quello di
creare un’alternativa a ciò che crediamo sia la
realtà, facendo emergere dall’inconscio un’in-
terpretazione diversa.
La musica può essere uno strumento per
arrivare ad un’alternativa al reale e sviluppa-
re la conoscenza del mondo e di noi stessi?
Secondo Platone, la musica era creata dal
movimenti degli astri e dei pianeti, mentre quel-
la che si suonava a corte era solo una brutta
imitazione, musica popolare per soddisfare un
re. Sono d’accordo con gli antichi greci quando
affermavano che «la musica non udita è miglio-
re di quella udita». Come tutte le arti, è un’e-
stensione della personalità di chi la interpreta.
La musica ci fa avvicinare all’energia che ci cir-
conda e in cui siamo immersi senza rendercene
conto. Come la legge dell’attrazione, secondo la
quale possiamo attirare attraverso il nostro pen-
siero positivo energie affini e attrarre invece
negatività se ci facciamo dominare dalle nostre
paure. Cercare un’alternativa alla realtà per me
significa andare a scovare la bellezza dove non
sembra che ci sia e comunicarla agli altri. In
questo la musica, rispetto a tante altre forme
d’arte, ha il vantaggio di essere più immediata:
è un rapporto intimo con se stesso, per fare
musica a volte basta anche un’unica nota.
Puoi parlarci della collaborazione con il
direttore d’orchestra Diego Conti per il quale
hai realizzato il video del Concerto per violon-
celli ed archi in Do minore di Vivaldi?
Sto preparando un documentario su Diego
Conti e sulla sua ricerca che lo ha portato a
reinterpretare la musica di Vivaldi in chiave
moderna. Per questo ho effettuato alcune ripre-
se di un suo concerto. Ho pensato di poter fare
con le immagini quello che lui aveva fatto con la
musica: associare il classico al contemporaneo.
Come molti, ho una visione ellenistica della
classicità per cui ho inserito nel video alcuni
elementi come la statua di Diana, i capitelli, una
frutta caravaggesca. Il contemporaneo per me è
invece associato al degrado della società e in
particolare dell’architettura; oggi si creano
spazi asettici ed esclusivamente funzionali al
loro scopo. Ho cercato allora di vedere bellezza
dove in realtà non c’era, come nelle crepe sui
muri. Ci sono pareti meravigliose in cui l’usura
del tempo ha creato quasi dei disegni. Ecco per-
ché ho deciso di proiettare le immagini del con-
certo sui muri lasciando vedere le muffe, la
sporcizia, gli spazi vuoti, accanto a cornici di
stampo più classico.
La cornice è un elemento che ricorre spes-
so nei tuoi lavori. Cosa rappresenta per te?
La mia formazione estetica è improntata alla
video arte e al cinema di Greenway in cui ogni
scena è presentata come un dipinto. In questo
senso la cornice è fondamentale, così come lo è
per un quadro, anche se le immagini che io rap-
presento non sono pittoriche ma in movimento.
Non a caso il mio primo lungometraggio, quel-
lo che io ritengo il mio lavoro più importante, si
chiama La cornice del quadro in movimento.
C’è un modo per uscire fuori dalla cornice?
È una scelta soggettiva. Io non riesco a pre-
scindere da essa, ma se penso che in questo
momento in Italia abbiamo una tv molto parti-
colare, veicolata da una sola persona, dove non
c’è spazio per l’arte e la cultura, allora il mio
invito è quello di uscire subito fuori da questa
cornice. Se stacchiamo il decoder e accendiamo
la televisione, vediamo la «neve». E possiamo
immaginare quello che vogliamo. La cornice è
la personalità, la visione del mondo.
Un altro elemento ricorrente nei tuoi video
è la figura di un uomo con in testa un cappuc-
cio nero del quale non si riesce mai a vedere
D
ietro i miei
protagonisti
ci sono io
con un cappuc-
cio nero. Non
solo. Più vado
avanti, più il mio
cinema sarà sem-
pre più muto. Mi
piace così.
il volto. Non ti nego di provare anche una
certa inquietudine ogni volta che compare.
È una figura nata per caso ai tempi dell’uni-
versità. Nel mio primo lavoro, Il suono della
neve (miglior colonna sonora al VII Horror Film
Festival di Torino nel 2007, NdR), non avendo
budget ho chiesto ad un amico di recitare per
me. Lui però non aveva la fisionomia giusta per
quello che volevo realizzare e quindi ho deciso
di coprire la sua testa con un cappuccio. In
seguito, ho usato questo espediente tutte le volte
in cui avevo bisogno di fare esperimenti per il
mio lavoro di ricerca. In uno dei primi video per
il gruppo musicale dei Garuà, ho interpretato io
stesso il ruolo del protagonista indossando la
maschera. Credo rappresenti la parte più spiri-
tuale di me, quella più sconosciuta. Con il
tempo poi ho provato a togliere quel cappuccio
nero e ho scoperto che sotto c’ero proprio io. È
una figura che può trasmettere angoscia, è
vero. Ma mi piacerebbe arrivare al momento in
cui lo spettatore, guardando un mio video, rico-
nosca una paura e la trasformi in una sensazio-
ne di benessere, come una specie di terapia.
In uno dei tuoi ultimi video, The dissolved
time, non ci sono dialoghi, sostituiti da suoni,
dalla musica e dall’uso dei colori nella foto-
grafia. Perché hai eliminato le parole?
Più vado avanti, più penso che il mio cinema
sarà sempre più muto. Mi piacciono i silenzi, le
dilatazioni temporali, la meditazione. Ho impa-
rato con il tempo che per affrontare certe situa-
zioni è meglio mettere da parte le parole, per-
ché parlando non ci si capisce. Nella frenesia di
oggi c’è un abuso di parole. Per ogni minima
cosa, scatta una denuncia, ci si mette di mezzo
un avvocato. Sarebbe bello invece riscoprire la
comunicazione facendoci guidare dalla natura
e dagli animali. Anche se privi di dialogo ver-
bale sanno comunicare sicuramente molto più
degli esseri umani.
Dove vorresti che fossero proiettate le tue
opere? Immagini un luogo particolare?
Mi piace pensare che una persona apprezzi
un mio lavoro perché è riuscito a farla stare
bene o a capire delle cose di sé. Immagino allo-
ra che questa persona prenda una cornice e
proietti il mio video sulle sue pareti di casa. ■
CERCASI ANIMA
DI ROMINA CIUFFA
olo l’attacco di questo pezzo mi
S fa cambiare letteralmente la
recensione. Nemmeno arrivo al
ritornello che prendo la pagina e cancel-
lo, senza nemmeno salvarlo, il prece-
dente articolo, tolgo le foto, sostituisco
tutto senza ripensamenti. Non ci sono
più per nessuno. I Dimartino sono folgo-
ranti. Esce ora Cara Maestra Abbiamo
Perso, album d’esordio di questo grup-
po capitanato da Antonio Di Martino,
appunto, che è voce, basso e chitarra di
quello che prima era un quartetto di
culto palermitano conosciuto come
Famelika. Di Martino qui cerca l’anima,
«persa in un supermarket alle 9 e 30
mentre tutti volevano approfittare del-
l’offerta commerciale». Con Simona
Norato (piano, sinth, chitarre, cori) e
Giusto Correnti (batteria, diamonica,
glokenspiel) costruisce un castello di
carte napoletane. Idea, regia e fotogra-
fia da premiare per originalità e indipen-
denza, che fuoriesce dallo schermo e fa
ritrovare giustappunto un pezzo di quel-
l’anima musicale distrutta dal pop italia-
no in un posteggio da supermercato. Le
carte si accumulano, cresce l’edificio
mentre Dimartino tira palline colorate-
caramelle-cibo per pesci (?) verso un
punto non definito; il castello non crolla,
piuttosto s’innalza nonostante i tre si
muovano senza sosta. Troppo concen-
trati ad ascoltare il testo - finalmente un
testo degno di note - non ci si domanda,
in effetti, cosa stia facendo. La risposta
è alla fine: il corpo di donna, l’anima
forse, e tutte quelle palle colorate.

N
ella mia infanzia c’era tanta musica,
creava una sorta di privacy in un luogo
tanto piccolo quanto la casa in cui WWW.YOUTUBE.COM/MUSICINCHANNEL
sono cresciuto e ci si ballava sopra.

Ora in dvd. C’è Mina accompagnata al piano

da Danilo Rea che apre il film con Carmela;
Massimo Ranieri che canta Malafemmena
insieme a Lina Sastri; uno straordinario Peppe
Servillo che duetta con la voce della cantante

PASSIONE
portoghese Misia in Era de Maggio; la voce
struggente di Pietra Montecorvino (v. intervi-
sta su Music In n. 13 e videointervista su
Music In Channel) che graffia la melodia di
Come faccette mammeta; persino Fiorello e lo
di Roberta Mastruzzi stesso Turturro che si cimentano in un diverten-
te ballo all’interno della solfatara rendendo
omaggio a Renato Carosone e alla sua Caravan

C
ome il Dracula di Bram Stoker o il
Frankestein di Mary Shelley il titolo è
inscindibilmente legato al nome del suo
autore, solo che qui non parliamo di inquietanti
mostri ma di una città inquieta. La passione di
John Turturro, attore e regista americano di lon-
tane origini italiane, è quella per Napoli. La
musica, l’allegria, il mare. L’eccessiva esuberan-
za, la spazzatura, i quartieri spagnoli. È grazie
allo sguardo di uno straniero che lo spirito parte-
nopeo mostra tutte le sue contraddizioni in un
originale documentario che si propone di riper-
correre la storia della canzone napoletana, poi si
perde letteralmente nei vicoli di Spaccanapoli e
si trasforma in un animato musical.
John Turturro, che nel Grande Lebowsky,
film cult dei fratelli Coen, leccava la sua palla
da bowling prima del tiro finale, regista dello
stravagante Romance and Cigarettes dove Kate
Winslet e Susan Sarandon si battevano per l’a-
more di un uomo a colpi di duetti musicali,
torna in Italia per cercare le proprie origini.
Riunisce un cast straordinario e dà vita ad una
pellicola coraggiosa, singolare, unica, a tratti
dissacrante. Scene da un videoclip.
Cori da strada. Coreografie impeccabili sullo
sfondo di una città che non nasconde la sua
sporcizia. Mostriamo quello che voi nasconde-
te nei vostri angoli bui. La passione, serve a far
emergere ciò che la morale nasconde. A rende-
re ridicolo ciò che è serio. Ad accostare mondi
lontani anni luce.
Petrol. Un’esuberante versione di Tammurriata
nera mescola la voce tunisina di M’Barka Ben
Taleb alla sonorità partenopea di Max Casella e
Peppe Barra (Nuova Compagnia di Canto
Popolare), un incrocio etnico che richiama lo
stesso descritto dal testo.
Solo una cosa non troverete: i neomelodici.
Questo inspiegabile fenomeno popolare che -
grazie al cielo - il regista trascura di citare, pre-
ferendo dare voce alla autentica popolarità: i
napoletani veri. Quelli che cantano e fischietta-
no per strada il loro motivo preferito e che
irrompono nelle scene del film. E a chiudere il
sipario, lo sguardo colmo di amore e malinco-
nia di Pino Daniele che ci ricorda che «Napule
è tutto nu suonno». ■
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
WE LOVE ZOMBIE Gli haitiani del ceto povero sarebbero indotti ad uno stato di morte apparente BLACK SWAN Natalie Portman
perché, riesumati con un blando antidoto e incapaci di qualsiasi resistenza, possano essere asserviti come balla meglio di quanto non farebbe un
schiavi per le piantagioni di canna da zucchero. Da qui nasce Thriller e (forse) muore Michael Jackson Oscar da migliore attrice protagonista.
DI FLAVIO FABBRI
O dilerlastanotte
creatura avvicinarsi da dietro | non hai più tempo perché è un thriller, thril-
| non c’è nessuna seconda possibilità contro la cosa con 40 occhi
L
a musica per zombie iniziò con
Thriller, di Michael Jackson. A quel
tempo c’era lui a documentare il ballo
di morti viventi, a dichiarare che con le danze
gli zombie uccidono, e più son rock più è splat-
ter. Oggi quattro film per raccontare la possibi-
lità di un’apocalisse, dedicate al mostro più
disumano che esista, la creatura che ha sempre
fame, essere né vivo, né morto, spinto dalla
necessità impellente di divorare membra e
squarciare ventri.
We love Zombie ci ha ricordato che odore
abbia la paura e come di essa si possa ridere. La
rassegna che ha impegnato l’associazione
Riunione di Condominio, a San Lorenzo, ha
confrontato amabilmente diverse idee di
mostro: dalla zombie comedy Benvenuti a
Zombieland di Ruben Fleischer, al profondo
Diary of the Dead di George A. Romero, allo
humor tipicamente britannico de La Notte dei
Morti Dementi di Edgar Wright, per finire con
l’apoteosi scenica di Grindhouse-Planet Terror
di Robert Rodriguez.
Basterebbe un virus a cambiare il mondo, ci
ha insegnato la letteratura di genere degli ultimi
anni. E se scoppiasse l’epidemia finale e venis-
simo circondati da non-morti? Un’ipotesi così
fantasiosa? Sicuri? Un anno fa, basandosi sulla
simulazione di un’infezione virale che potesse
SHEILA
JORDAN
DAVE
LIEBMAN
www.jazzscool.it
www.jazzscool.it - via urbana
ur 49/49a tel - 06/4870017 - management@slmc.it
CQIGNONEROuando il corpo è strumento di
we love
zombie
riportare in vita persone decedute e contagiare
quelle ancora in vita, i matematici delle
Università di Ottawa e Carleton, guidati dal
prof. Robert J. Smith, hanno costruito un
modello di «olocausto zombie». È risultato che
non ci sarebbe scampo per nessuno.
We love Zombie allora: per i ritmi incalzanti
di scene cruente e in pieno stile splatter, ma
anche per la commistione con quelle più esila-
ranti e la sapienza delle colonne sonore che ne
esaltano la forza narrativa. I titoli in rassegna
contengono musiche firmate da artisti celebri:
Metallica, Van Halen, Velvet Underground,
Doves, Blue Oyster Cult, Band Of Horses,
Nouvelle Vague, Smiths, Queen, Zombie
Nation e tanti altri, che sulle note del rock più
travolgente riescono a far ballare gli zombie
facendoli sembrare più umani. Pezzi forti come
For Whom the Bell Tolls, Everybody Wants
Some, Kingdom of Rust, accostati ad altri deci-
samente più frivoli come No One’s Gonna Love
You, Don’t Stop Me Now o Panic, mescolano
paura e risa, esaltazione e angoscia, rafforzano
e rilanciano il messaggio di una quotidianità
fragile e sul punto di franare sotto i piedi.
Cosa c’è di tanto ingenuo nell’immaginare in
un laboratorio militare un virus in grado di muta-
re il nostro corpo in quello di un mostro? Niente,
e ciò è constatabile di notte, soprattutto. ■ DI
11 - 17 luglio
seminari di perfezionameto jazz
DANILO
PEREZ
LAGE
LUND
SOUND
tracking
espressione artistica può diventa-
re un’ossessione la ricerca della
sua perfezione. Il sodalizio artistico tra il
compositore Clint Mansell e il regista
Darren Aronofsky, in Black Swan punta i
riflettori sul mondo della danza classica.
Nina (Natalie Portman) si prepara a met-
tere in scena il più famoso dei balletti, Il
lago dei cigni, occasione minata da un’e-
strema e rigida ricerca della perfezione e
dall’arrivo di una nuova ballerina, la disini-
bita Lily (Mila Kunis). Amica, antagonista,
amante, proiezione onirica delle sue
paure o immagine riflessa di se stessa?
NATALIE
PORTMAN
La storia parte scivolando dolcemente
sulle punte dei piedi e tra fruscii di tulle,
muscoli tesissimi e quintali di trucco che
si sciolgono in lacrime nere, si trasforma,
con un inarrestabile crescendo musicale.
Mansell riscrive radicalmente le musiche
originali di Tchaikovsky, esaltandone le
sfumature dark e portando al massimo la
drammaticità che, già insita nelle musi-
che originali, qui esplode definitivamente
in un vortice di violente passioni. Nella
soundtrack ci sono anche alcuni brani dei
Chemical Brothers, indicativo del ritmo
frenetico che assumono le vicende nel
momento in cui virano dal thriller psicolo-
gico all’horror. Una colonna sonora che
appaga gli animi più inquieti offrendo loro
uno specchio in cui riflettere le proprie
più profonde ossessioni.
ROBERTA MASTRUZZI
2011
JOHN
PATITUCCI
JOE
LA BARBERA
 LUCE
SIAE
SPECIALE
LETTERA APERTA ALLA SIAE DAI MUSICISTI ITALIANI Intervista a Rita Marcotulli Caro COPYright/left Ogni
a cura di NICOLA CIRILLO
Presidente, ci rivolgiamo a lei perché auspichiamo un deciso cambio di rotta che porti finalmente al ricono- rivoluzione che si rispet-
scimento anche sostanziale della nostra creatività e del nostro contributo alla musica italiana. Cordialmente. ti parte da sinistra.
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > E LUCE SIAE
E LUCE SIAEuoniamo e lavoriamo con successo in tutto il mondo. Componiamo e registriamo
«S
dischi. La nostra musica passa in radio, in televisione e in streaming nel web. Perché a
tutto questo non corrisponda un conseguente incremento delle ripartizioni dei diritti
d’autore è un mistero che ci sorprende e preoccupa. Dove finiscono i nostri soldi?»
n confronto con i nostri colleghi francesi
(...) « I evidenzia che a parità di esecuzioni i nostri
diritti corrispondono più o meno a 1/4 o
1/5 di quelli liquidati a loro favore dalla Sacem. Sarebbero
quanto mai necessari rendiconti più analitici, con la detta-
gliata indicazione di tutte le utilizzazioni delle opere in
radio, televisione e sul web, del numero delle medesime,
con data, minutaggio e tutti i parametri utili alla identifi-
cazione di ogni singolo passaggio. Consentirebbero a noi
autori di rilevare e segnalare agli uffici competenti even-
tuali anomalie o omissioni e alla Siae stessa di snellire
molte procedure relative alle attuali molte richieste di
chiarimenti e verifiche da parte degli aventi diritto.
Riteniamo, tra l’altro, che sia arrivato il momento di rico-
noscere anche in Italia il diritto di improvvisazione - un
diritto che all estero è affermato da tempo e che in Francia
è regolamentato dalla Sacem da più di 10 anni. Come
vede, sig. Presidente, sono questioni decisive per autori
che fanno della musica di qualità la loro ragione di vita e
contribuiscono attivamente alla identità culturale italiana
nonché al prestigio della stessa Siae. (...) Cordialmente.»
Pianista, compositrice e da anni protagonista della scena
jazz italiana e internazionale si è fatta portavoce di un disa-
gio piuttosto diffuso nell’ambiente degli autori e interpreti
di musica: una riforma degli strumenti di tutela del diritto
d’autore, oggi monopolio della Siae. È possibile leggere il
testo dell’appello sul sito web www.firmiamo.it e sulle
centinaia di pagine web su cui è rimbalzato. Ma noi abbia-
mo voluto approfondire le ragioni della protesta diretta-
mente con Rita Marcotulli.
Rita, da chi è partita a questa protesta e da quando?
In realtà la lettera è partita già da tempo, indirizzata al
presidente della Siae Giorgio Assumma, che però si è
dimesso, ed ora la SIAE è commissariata. L’iniziativa è
stata mia, ma è nata parlandone con altri amici musicisti,
soprattutto quelli jazz che sono più vicini a me; posso dire
che è ampiamente condivisa.
Da cosa nasce questa richiesta?
A tanti di noi è venuto il dubbio che qualcosa non fun-
ziona nella redistribuzione dei proventi che fa la SIAE. I
pagamenti a fine anno sono sempre meno consistenti,
nonostante gli anni di carriera si accumulino e le produ-
zioni musicali aumentino.Mi sono accorta che 20 anni fa
riuscivo a guadagnare dalla SIAE gli stessi soldi che gua-
dagno ora e questo mi sembra impossibile: faccio 5 volte
di più le cose che facevo prima. E tale consapevolezza non
è stata solo mia ma anche di altri musicisti.
I musicisti non hanno uno spirito corporativo, c’è sem-
pre molto individualismo, qualunquismo. Non sono impe-
gnati «politicamente». Non c’è mai stata una «unione»
vera e propria; non siamo mai riusciti a fare niente, anche
se tempo fa ci abbiamo provato: ci sono state la Siem,
l’associazione di musicisti di Jazz, ma sono durate poco.
Si preferisce tornare e coltivare il proprio orticello.
Questa è una prassi consolidata un po’ dovunque, oramai.
Perché dobbiamo accettare questo stato di cose? Della
Siae non si conoscono i criteri di ripartizione dei soldi.
Quando mandano i resoconti non sono mai dettagliati,
sono molto approssimativi, sintetici, generali. Faccio un
esempio: le voci sono «compensi per Rai Tre», oppure
«radio». Ma in quale programma è stata usata la mia
musica, in quale ora e quale musica? Tutta questa confu-
sione a cosa serve? A nascondere le cose?
Se protesti forse ottieni qualcosa. Tempo fa scrissi le
musiche per un documentario su Tiziano Terzani che andò
in onda in TV e non mi fu riconosciuto dalla Siae. Andai
a chiedere spiegazioni e mi dissero: «Sì, è vero. Non glie-
lo abbiamo riconosciuto per questo motivo». Io lo accet-
to, ma non accetto che la decisione non sia comunicata
spontaneamente.
Perché è così difficile modificare questo sistema?
All’interno della SIAE esistono fasce diverse, a seconda
dei guadagni. Al momento di eleggere le cariche gli appar-
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
a cura di Nicola Cirillo
COPYRIGHT
«copyright» nasce nel XVI seco-
di Romina Ciuffa
smo, in cui si riconosce l’impor-
Il
lo. Si tratta proprio del diritto di tanza dell’investimento ai fini
copiare concesso agli Stationers, della circolazione dell’arte.
librai di Londra, che possono così La Siae protegge, ma abusa. Ci
stampare, ricercare e confiscare deve pur essere una via di mezzo.
libri non autorizzati, e bruciare Nasce, così, un’anti-Siae, la
tenenti ad una fascia non possono votare membri di altre quelli stampati illegalmente. Nel Federazione degli Autori di
fasce. Questo vuol dire che quelli di fascia A, che guada-
gnano di più e che controllano la SIAE, si votano tra di
loro, e gli altri non riusciranno mai ad avere la possibilità
1710 è emanata la prima norma
moderna, lo Statuto di Anna, e gli
autori ottengono il (vacuo) potere
Mogol, Gino Paoli, Tony Renis,
Franco Micalizzi, Filippo Sugar
(figlio di Caterina Caselli) e Mario
di cambiare le cose. di bloccare la diffusione delle pro- Lavezzi. Costituita nella sede del
Poi c’è il problema degli editori. prie opere, ma la corporazione Cet a Toscolano, vi aderiscono la
Questi tendono a modificare il sistema e a renderlo più degli editori incrementa i profitti Fem (Federazione degli Editori
fumoso. Con l’introduzione del borderò rosso ad esempio. grazie alla cessione obbligatoria Musicali), i sindacati e le associa-
Il borderò blu è dettagliato: tu scrivi il tuo pezzo e la Siae dei diritti sulle opere. zioni di categoria più autorevoli.
dovrebbe pagare in percentuale a seconda dei brani ese- 2002, caso Napster. Il primo siste- Un passo che è necessario secon-
guiti; il borderò rosso funziona «a campione»: tu scrivi il ma di condivisione gratuita di file do i fondatori: «La coesione tra
tuo pezzo, ma la SIAE rileva un campione di quei fogli e musicali è fatto chiudere, ma la editori e autori è necessaria per
dopo paga a forfait, ripartendo la somma percepita per i musica cambia: il file sharing è un evitare che la rivoluzione del mer-
diritti a tutti gli autori in maniera proporzionale a quanto mostro che gli editori non posso- cato della musica e l’affaticamen-
gli autori guadagnano. Ciò vuol dire che la maggior parte no fronteggiare. Nel copyleft i to della Siae (abituata a lavorare
degli associati non prenderà niente, mentre quello che già files sono condivisi senza obolo, in regime di monopolio) compro-
prende tanto prenderà sempre di più. Parlando con alcuni il prodotto creativo circola, l’auto- mettano il settore della creatività
che operano all’interno della Siae, però, si scopre che ci re guadagna in popolarità pur per- italiana con il conseguente impo-
sono due grosse correnti: quella degli editori - che vorreb- dendo il controllo della sua stessa verimento culturale del nostro
be utilizzare i «campioni» e le ripartizione proporzionali - opera. Forma di automecenati- Paese». E il magna-magna? ■
e una corrente che vorrebbe, invece, maggior equità.
Nel tuo appello citi il «diritto di improvvisazione» che
in Francia esiste ma in Italia no.
Di recente un ispettore ha contestato dopo un mio con-
certo che nel borderò avevo scritto un brano non presente
nella sua registrazione, solo perché avevo cambiato le
prime 8 battute: non sapeva che io posso fare un’introdu-
zione che dura 20 minuti prima di arrivare al tema che ho
registrato alla Siae. O può capitare che, suonando, citi
altri brani noti, ciò è contestato anche quando si citino
solo due righe. Per provocazione vorremmo fare un con-
certo in cui trasformiamo i nostri brani, improvvisando.
In una recente intervista al NYT Francis Ford
Coppola dice che i musicisti non dovrebbero guadagna-
re dai diritti sull’opera, ma dal lavoro. Dice che una di Nicola Cirillo
volta erano papi e nobili a finanziare gli artisti…
COPYLEFT
Ma oggi ci sono i mecenati? Il settore pubblico non è
mecenate. E se mancano i mecenati comunque l’artista
dovrebbe ricevere un compenso per la sua opera. E come
si fa? Non sono d’accordo con Coppola.
La iae la pagate quando incidete il CD e lo immette-
te sul mercato, poi la paghiamo noi quando lo compria-
mo, e la radio quando lo trasmette. Alla Siae arrivano on tutti i musicisti coprono i modo, acronimo: SA, da Share-
molti soldi per una singola opera…
E dove vanno a finire? Per un concerto gli organizzato-
ri spendono centinaia di euro, e poi a te ne arriva un euro,
N loro brani con il copyright, e
non tutti ricorrono alla Siae
per vedere tutelati i diritti patri-
Alike). Le diverse combinazioni
di queste scelte generano i 6 tipi
di licenza di diritto d’autore.
un euro e mezzo. Che fine fanno questi soldi? A chi vanno? moniali legati allo sfruttamento Un’opera tutelata da una
Negli stadi pagano molto la Siae per trasmettere musica. della loro opera. Da tempo, ad Creative Commons circola molto
Ma poi a chi vanno? È un criterio che non regge. esempio, molti hanno cominciato liberamente e non crea guadagni
Tu sei un’artista internazionale, hai vissuto all’estero. ad avvalersi delle licenze da «intermediazioni»; inoltre per
Ma la situazione è molto difforme nei vari Paesi? «Creative Commons». Nate per l’artista non occorrono registra-
In Svezia, appena lo chiedi, ti arriva un resoconto di tutti condividere i codici di program- zioni, iscrizioni a enti, versamen-
gli italiani che sono stati saldati: ora, giorno, programma mazione del software, queste ti di contributi. D’altra parte è
in cui è stato trasmesso il pezzo. Da noi no. Per non par- particolari licenze col tempo si pur vero che i musicisti che scel-
lare del diritto d’improvvisazione. Noi dovremmo chiedere sono affermate anche in altri gono questa forma di licenza non
un’armonizzazione a livello europeo della materia, trovare ambiti, soprattutto grazie al web, possono accedere alla redistribu-
il modo di adeguarci alle regole che adottano da tempo la consentendo a milioni di artisti, zione dei proventi della Siae (ma
Stim in Svezia, la Sacem in Francia, etc. Non è possibile giornalisti, blogger, scrittori, questi sono così esigui per la
che in questi Paesi il diritto d’esecuzione esista già da anni ricercatori, di condividere il stragrande maggioranza degli
e da noi no. Queste rivendicazioni toccano un problema di risultato della propria arte o del iscritti, che il fatto non è percepi-
tutti. È un problema di diritti. C’è l’esasperazione di vive- proprio lavoro secondo il model- to come uno svantaggio).
re in un Paese così, c’è sconforto e nessuno ha voglia di lo «alcuni diritti riservati». Nel frattempo si moltiplicano i
arrabbiarsi per rivendicare i propri diritti. Il detentore dei diritti può non siti che consentono il libero
Ma ora il tuo appello sortirà qualche effetto... autorizzare usi prevalentemente download di musica libera:
Le firme sono state tante. Sono 2300 per ora. Mi fa pia- commerciali dell’opera (opzione www.jamendo.org è il più popo-
cere che abbiano aderito anche personaggi che provengo- Non commerciale, acronimo lare. Il libero download delle
no dal Pop, come Eugenio Finardi e Vinicio Capossela, inglese: NC) o la creazione di tracce contribuisce alla popola-
anche attori. Per ora non abbiamo nessun risultato, ma opere derivate (Non opere deri- rità dei brani e dei loro autori e
sono in contatto con l’Uncla, associazione che opera nella vate, acronimo: ND); e se sono interpreti. Una popolarità che si
Siae. Poi c’è l’idea di questo concerto d’improvvisazioni. possibili opere derivate, può traduce nella vendita del suppor-
Abbiamo la disponibilità dell’auditorium a Roma e del imporre l’obbligo di rilasciarle to discografico e incide in manie-
Jazzexpo in Sardegna. Io ho dato l’idea, ma ci vuole un’or- con la stessa licenza dell’opera ra sostanziale nel booking dei
ganizzazione che la supporti. ■ originaria (Condividi allo stesso musicisti. ■
Music In ¢ NUMERO 17 > Primotrimestre 2011
MALAKATON Rumbastards OLIVANTI QUINTET
Svegliarsi nudi a Barcellona cen- Sovrumani silenzi Io nel
tro con sola rumba gitana addosso. pensier mi fingo.
FEED
J. S. BACH Il clavicembalo ben temperato Non ci stupiamo di come,
dopo 24 Preludi in tutte le tonalità di toni e semitoni con terza maggiore
back a cura di ROMINA CIUFFA
e minore su chitarra 10 corde, ciò che segua è la fuga. Anzi, 24 Fughe.

MALAKATON - RUMBASTARDS J. S. BACH - MARCELLO PEGHIN CHITARRA 10 CORDE

CLASSICA Le tocca tutte.
BEYOND
&further
Ahi, qué agonìa tìa. Svegliatevi nudi nel mezzo di Plaza de la Universitat.
È l’alba e c’è gente a Roma che pagherebbe oro per vedervi nudi. Come
MENTEMENTE Tutte e dieci.
Le corde della
vermi. Esattamente come vi trovate ora. Vedervi sdraiati, persi, inermi. sua chitarra, Marcello Peghin, e di
Vi ci hanno messo, vi ci hanno mandato. Tutto è dalla loro parte tranne una cosa: non ogni uditore. È pur sempre Bach,
siete a Roma. In questo momento a Barcellona ce ne sono molti come voi, menefreghi- va detto. Che compose Il clavicem-
sti. E sono tutti dei Rumbastards. Scoprite che c’è da festeggiare: tutte le donne stanot- balo ben temperato, raccolta divi-
te sono andate via, letteralmente fuggite. La notizia è degna di una rumba gitana. Dalla sa in due libri, con preludi e fughe
Ronda de San Antonio - ascoltate! - una sola cosa rompe l’alba. Il rumo- in tutte le 24 tonalità (toni e semi-
re delle mani. Il ritmo. Fandangos libres. I Malakaton, sudati. Scattanti. toni sia con la terza maggiore o
Catalani. Sono solo le 5 del mattino e state già come una cabra. «do, re, mi», sia con la terza minore o «re, mi,
Albert Ferré (voce), Ignasi Cama (chitarra), Manolo Benìtez (percus- fa». Ciascuna coppia è in una tonalità diversa e
sioni e cajón), Dìdac Sauret (percussioni), Agustì Espìn (basso) ed le tonalità progrediscono in ordine ascendente).
Enric Vinyeta (tecnico del suono) - che nell’ultima edizione del Mei L’opera è espressamente diretta all’uso e al
hanno rivoltato come un pedalino un padiglione intero ad onta di tutti godimento di tutti i giovani musicisti desiderosi
i cacciatori di produttori - vi misureranno a ritmo di palos. Li vedete di imparare, e in particolar modo per lo svago di
arrivare, non siate imbarazzati, la nudità a Barcellona è il primo passo quanti sono già abili in questi studi.
verso l’autocoscienza. Non c’è chi, appena il sole sarà più alto del A noi, che è sempre piaciuto Ramin Bahrami (v.
Monument à Colomb, non sarà autocosciente. Gli uccelli - il canto pro- Music In n. 3), che del compositore tedesco è il
veniente dalla Rambla dels Ocells - sono già in gabbia stamane, il Liceu maggior (e più giovane) interprete al pianoforte,
ricostruito, i mimi immobili, e voi ne sembrate la discreta sintesi: in gabbia, ricostruiti, non può non strappare una lacrima anche que-
immobili, oltre a quel sapore bastardo di rum l’ingrediente segreto. Lei se ne è andata sto chitarrista. Ebbene sì, c’è uno, al mondo,
con la maglietta del vostro concerto e ciò vi infastidisce. La suerte no tenìa nada que che (per l’etichetta discografica Isola dei Suoni)
ver. Questi qui ballano, joder, il ritmo è caraibico e strizzate gli occhi: dal Carrer de Pelai, ha trascritto per due chitarre l’opera. Seconda
dalla Ronda de Sant Pere, persino dal vostro appartamento di Diputaciò 225 e da quel- impresa del genere: Peghin si era già dedicato
l’afterhour lì sotto, arrivano. Tutti. E ballano. Intorno a voi, come foste falò. Bruciate. alle Variazioni Goldberg, le nostre preferite.
Dov’è la maglietta del concerto? Lei, ora ricordate, l’avete portata ieri al pronto soccor- Oggi ci presenta invece queste, e la prima
so di Villarroel, poi a mangiare in Plaza del Pì e l’aperitivo al Berimbau, nel Born. Non traccia (Bach ci perdoni) può tempestarci di
ricordate più nulla dopo, va bene così perché i Malakaton muovono le mani a ritmo di domande introspettive, nelle quali il Preludio n. 1
palos e la piazza è gremita. Una cosa sola ora: vi girate a vedere se l’Estudiantil ha già
aperto per farvi un occhio di bue con pancetta. Nudi, alzatevi. Siate felici, suonano palos
flamenchi e manca solo la maglietta del concerto. Barcelona és bona si la bossa sona. JULES NOT JUDE - ALL APPLES ARE RED... EXCEPT FOR (...)
Zoom out: l’Universitat ha due patios identici, ecco il perché della vostra confusione. Vi
alzate, attraversate la Gran Vìa e vi riparate nell’altro. La vostra camicia è lì, infatti.
ALTNATIVE
ER Dopo l’EP Clouds of Fish e oltre
40 date in tutta Italia fra cui la
ROMINA CIUFFA partecipazione ai festival No
Silenz, Roma PopFest e Magnolia Parade, i
Jules not Jude tornano ad allietarci con le loro
tipiche sonorità indie-pop-rock e questa volta
finalmente con un vero e proprio cd. Prodotto
da Fabio Benni e Alessandro Paderno (Le Man
Avec Les Lunettes), All Apples are Red...
except for which are not Red gode della colla-
borazione di numerosi nomi di punta della
scena rock indipendente odierna fra cui Le
Man Avec Les Lunettes, Freaky Mermaids,
Edipo (Fausto Zanardelli), Massimiliano
«Budo» Tonolini, Andrea Abeni degli Annie Hall.
Echi beatlesiani e influenze brit a cui si aggiun-
ci sdraia letteralmente su un letti-
no sconfortante dal quale veniamo
perché no cullati. Ma lui è in attesa
di risposte e questo mette in sog-
gezione. La culla di un cane che
per la prima volta si accorge del-
l’io, ecco cos’è questo Preludio.
In dieci corde è anche più com-
plesso. Questa e le restanti tracks
(Bach ci salvi) sono state per noi
registrate ad Alghero, nella chiesa Pissarello,
mixate e masterizzate (chiedo pietà) da Stefano
Amerio e, il tutto, distribuito da Egea.
Peghin, chitarrista e compositore, è conosciuto
ed apprezzato nell’ambito della musica colta e
nella musica improvvisata. Suona: chitarra clas-
sica a 10 corde, 12 corde, chitarra baritono,
viola caipira, chitarra elettrica, chitarra folk e i
live electronics; tutto questo con Dino Saluzzi,
Enrico Rava, Tony Scott, Lester Bowie, Enzo
Favata. Ha girato Russia, Stati Uniti, Europa,
Brasile (da ricordare il concerto con Gilberto Gil
a Salvador di Bahia) con la tuva Sainko
Namtchilak.
Ognuno di questu 24 Preludi è seguito da una
Fuga. Non ci stupiamo che, da un lettino così,
scaturisca la fuga. Ed è solo il preludio.
Romina Ciuffa
te un duo (Mirza
Sahman e Simone
Ferrari avevano
fondato il gruppo
nel 2007) per l’oc-
casione si sono
aggiunti altri due
elementi alla sezio-
ne ritmica (Mauro
Paolini e Marzia
Savoldi).
L’album, brillantemente arrangiato, si apre e si
chiude con due coinvolgenti brani acustici
(Run e Elven) spaziando dal pop catchy e mai
banale di pezzi come Chance a episodi più rock
oriented come Ordinary Sunshine o sonorità

“CODICE 5”
gono deviazioni e contaminazioni elettroniche e
richiami a Wilco e Belle & Sebastian: questa la
prima attesa creatura della band bresciana, un
disco che fa rima con crescita ed evoluzione
Giovanni Tommaso - Apogeo anche se si pensa che alla band, originariamen-
tipicamente brit (The Hospital ) ed echi shoe-
gaze (Just a Girl ), uno dei brani migliori del-
l’album).
Valentina Giosa

SIRIO - L’INCUBO E IL SOGNO

“...il qquintetto
“...il uintetto Apogeo
Apogeo unauna delle
delle ppiù
iù iimportanti
mportanti e interessanti
musica
m usica jazz
jazz in
in Italia.”
Ita lia.”
(www.online-jazz.net)
OFELIADORME - ALL HARM ENDS HERE
PO PCK
pop&rock
Rock minimal
e post moder-
no. Questi
sono gli Ofeliadorme, gruppo
bolognese attivo sulla scena
dal 2007 e con alle spalle l’ep
Sometimes is better to wait
del 2009. E forse è proprio
questo quello che insegnano i
componenti della band:
Francesca Bono, voce e chi-
tarra, Gianluca Modica, chitarra, Michele
Postpischl, batteria, e Tato Izzia, chitarra.
Hanno saputo attendere, e dopo una serie di
concerti anche oltreconfine - Londra,
Manchester e Bruxelles - hanno raggiunto una
maturità musicale apprezzabile, ampiamente
dimostrata nel nuovo lavoro All Harm Ends
Here. Prova ne sia un tessuto sonoro curato
nei minimi particolari, che sembra unire PJ
Harvey ai Blonde Redhead, il tutto in salsa for-
temente internazionale.
Fortunamente alcuni limiti o supponenze della
solita musica indie italica mancano alla band
bolognese che dimostra di essere pronta per
il mercato estero. Il cantato in inglese di
Francesca Bono è un ottimo biglietto da visita
oltre che una marcia in più, così come i ritor-
interessanti rrealtà
ea ltà della
della
www.
w ww.jjaazzcollection.it
zzcollection.it
nelli ricercati e tirati al massi-
mo. Le undici tracce non sono
certo solari e forse non brilla-
no nemmeno per ottimismo.
Sono per lo più ipnotiche,
avvolgenti e sognatrici. Anche
dopo l’ascolto, l’incanto e il
fascino degli Ofeliadorme
resta addosso, creando una
sottile voglia di loop continuo e
pacato.
Tra le migliori tracce I Like my Drums, con l’in-
cedere intenso della batteria (altrove più
smorzata) e le carezze alle corde della chitar-
ra, e Leaves of Grass, le cui distorsioni sor-
prendono come un pugno nello stomaco.
Paranoid Park e Naked Evil, invece, sono più
lente ma non rassicuranti ed evocano movi-
menti lenti e giornate di pioggia trascorse in
attesa del sereno.
In tutte le tracce non mancano ispirazione,
buone idee e ottime capacità vocali e musica-
li. Ora non ci resta che attendere la consacra-
zione definitiva della band bolognese. Unica
pecca: una confezione digipack piuttosto mini-
mal senza libretto né testi, a dir poco indispen-
sabili con il cantato in inglese.
Lucio Lussi
BEYOND Esce in tutti i
digital-store,
&further
da iTunes ad
Amazon, il nuovo album di Sirio,
cantautore di origine venete
che fa già molto parlare di sé. Si
tratta, infatti, di uno dei nomi più
attivi della scena indie del nord-
est che, dopo una carriera tra
festival di qualità e live in giro
per l’Italia, approda alla pubbli-
cazione del cd L’incubo e il
sogno.
Il titolo nasce dalla metafora della vita stessa
concepita in tanti modi distanti, a seconda
delle possibilità che ci sono offerte, dei sogni
e degli ideali per i quali si lotta e dei traguardi
che si raggiungono lungo il percorso. Il lavoro
è impreziosito dalla presenza di Alex Carreri,
a molti noto per essere il bassista di Enrico
ENRICO OLIVANTI QUINTET - SOVRUMANI SILENZI
JAZZ
& blues
«Sovrumani silenzi e profon-
dissima quiete», scriveva
Leopardi ne L’Infinito.
Prendendo spunto dalle immortali parole del
sommo poeta, Enrico Olivanti,
jazzista e compositore, ha
scritto, registrato e autopro-
dotto il suo primo cd dal titolo,
appunto, Sovrumani silenzi.
Il lavoro nasce dalla collabora-
zione del chitarrista romano
con quattro giovani talenti del
panorama jazzistico italiano:
Andrea Verlingieri al sax teno-
re, Mario Nappi al piano,
Giuseppe Salvaggio al basso e
Marco Tardioli alla batteria. L’incontro, avve-
nuto frequentando le stesse aule della storica
scuola di musica Saint Louis, ha dato vita ad
un progetto musicale fresco e interessante.
Ruggeri e Andrea Mirò. Il
musicista ha, infatti, suonato
il basso fretless nella canzo-
ne L’amarezza della realtà,
composta da Sirio insieme a
Paky Capitale.
L’artista presenta così questo
album al pubblico curioso: «È
il tentativo onesto e serio di
un giovane cantautore di fare
bella musica senza voler pas-
sare dai reality. Cercate que-
sto lavoro su Internet e ascol-
tate qualche assaggio di canzone, sono sicuro
che vi piacerà». Tra sonorità pop e piacevoli
strutture tipiche, L’incubo e il sogno è un’inte-
ressante novità nello scenario italiano lontano
dal mainstream.
Luca Bussoletti
Cinque perle musicali, oltre al brano che dà il
titolo all’album troviamo Stella danzante,
Hutong, 1913 e Ritroverai la strada, in cui
l’interplay tra i giovani musicisti è scambio e
contaminazione in equilibrio
perfetto. Un suono che non
mira a rompere il silenzio ma a
fondersi con la quiete della
sera.
Un disco da sentire in un’atmo-
sfera notturna, quando le luci
della città sono un tutt’uno con
il buio. Per lasciare vibrare le
nostre corde interiori all’uniso-
no con l’armonia della musica e
lasciarsi andare ad un ascolto
puro e sincero. E come direbbe il poeta, «il
naufragar m’è dolce in questo mare».
Roberta Mastruzzi