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Marco Trainito

Nota su Il cimitero di Praga di Umberto Eco

Dal punto di vista dei temi e della costruzione narrativa, Il


cimitero di Praga, il sesto romanzo di Eco, uscito il 29 ottobre
scorso, presenta delle importanti analogie soprattutto con Il pen-
dolo di Foucault, e per certi versi anche con L'isola del giorno
prima, con Baudolino e con La misteriosa fiamma della regina
Loana.
Quest’ultimo romanzo, in particolare, è richiamato con tut-
ta evidenza sia per l’utilizzo delle illustrazioni (entrambi sono,
ciascuno a suo modo, “romanzi illustrati”, in cui immagini pesca-
te altrove vengono “citate” e magistralmente ricontestualizzate, al
punto da apparire come create ad hoc per la nuova collocazione)
sia per la riproposizione del motivo della perdita della memoria
da parte del protagonista, il cui cammino di recupero dei ricordi
attraverso lo scavo nel proprio passato diventa poi il romanzo
stesso. Salvo che, mentre Yambo perdeva solo la memoria auto-
biografica, ma non quella semantica, per cui i suoi ricordi si ridu-
cevano a quelli dell’enciclopedia collettiva, Simonini subisce an-
che uno sdoppiamento di personalità e lui e il suo doppio perdo-
no la memoria in modo diverso, perché il primo ignora sia i pro-
pri ricordi che quelli dell’altro, mentre il secondo ignora i propri
ricordi ma ricorda ciò che l’altro ha dimenticato (cfr. p. 102).
La chiusa metanarrativa del cap. 18 («Certo che il docu-
mento che il vostro Narratore sta sbirciando è pieno di sorprese, e
varrebbe forse la pena di trarne un giorno un romanzo», p. 318)
mi pare rimandi direttamente alle ultime righe sia dell'Isola che
di Baudolino. Sono tre riflessioni teoriche sul gioco veri-
tà/menzogna intrinseco alla costruzione del romanzo accomunate
da una certa somiglianza di famiglia. Ancora una volta, da questo
punto di vista i romanzi di Eco riflettono le tappe della ricerca fi-
losofica dell'Eco semiologo del romanzesco. Naturalmente anche
ne Il nome della rosa, nel Pendolo e in Loana è possibile rintrac-
ciare precise e ulteriori concezioni della costruzione narrativa,
che tuttavia, almeno prima facie, mi sembrano apparentate meno
direttamente con quella un po' più omogenea che emerge dai pas-
si citati prima. Come Simonini, mutatis mutandis, anche Roberto
de la Grive scrive la propria storia e introduce il doppio, mentre
sopra entrambi sta un Narratore che raccoglie e ordina il tutto; e
come Simonini, anche Baudolino è un bugiardone e falsario che
scrive la lettera di Prete Gianni a Federico Barbarossa, finge di
trovare il “Gradale” e gioca al gioco menzognero della narrazio-
ne con Niceta Coniate, finché interviene il Narratore, più bugiar-
do di Baudolino, e racconta la storia.

Ma è col Pendolo che il Cimitero ha un rapporto davvero


stretto, e a più livelli. Si potrebbe dire che l'ultimo romanzo di
Eco sia nato da una costola, o da diverse costole, di quello del
1988, per una serie di motivi.

a) La fallace teoria sociale della cospirazione. Come si


vede dall'epigrafe del cap. 118 del Pendolo, Eco ha desunto lo
strumento teorico per criticare in maniera devastante tutte le teo-
rie del complotto da un passo di Congetture e confutazioni di
Popper, che egli citerà in seguito in modo più esteso molte altre
volte in altri saggi e articoli. Ora, in quel capitolo, Casaubon
svolge alcune considerazioni teoriche sulle ragioni che spingono
le persone a credere nei Piani e nei Complotti (la credulità innata,
la frustrazione, la mania di protagonismo, ecc.) che sono alla ba-
se anche del Cimitero.
b) Elogio del feuilleton. Si potrebbe dire che da un certo
punto di vista il Cimitero sia il romanzo d'appendice che Belbo
sognava di scrivere e che avrebbe scritto se non fosse morto ap-
peso al Pendolo (molti suoi file sono abbozzi postmoderni e
combinatori di romanzi d'appendice). Ma siccome Belbo è un
doppio di Eco (condividono buona parte dell'infanzia), Eco ha
deciso di fare questo regalo al suo Belbo, scrivendo al posto suo
un romanzo in forma di summa metalinguistica del feuilleton. Per
fare questa operazione, però, ci vuole una precisa estetica filoso-
fica sul rapporto tra arte e realtà, e tale teoria è abbozzata dallo
stesso Belbo all'inizio del cap. 97 del Pendolo, una delle cui epi-
grafi è guarda caso tratta dal Giuseppe Balsamo di Dumas, cui è
dedicato un grande spazio nel Cimitero.
c) La storia dei Protocolli dei Savi anziani di Sion. Tutto
il Cimitero converge verso la vicenda della redazione dei Proto-
colli, cui già nel Pendolo era dedicato un ampio spazio (capp. 92-
96), anche se lì essa era inserita nel più ampio piano millenario
dei Templari. In ogni caso, il modo stesso in cui i Protocolli en-
trano nel Pendolo dimostra che questo romanzo è lo sfondo del
Cimitero, che maliziosamente si presenta nelle false vesti di una
riedizione del primo per lettori meno esigenti e più superficiali,
del tipo di quelli che si lasciano affascinare e trascinare dai facili
polpettoni alla Dan Brown (ma si tratta di un inganno, perché il
Cimitero è un abile gioco di "sprezzatura" che si sforza di na-
sconde l'abisso dell'Enciclopedia totale su cui si regge). Ed è an-
cora una volta l'astuto, scettico e disperato Belbo, il personaggio
autobiografico per eccellenza di Eco, l'Autore occulto dei due
romanzi, perché il Cimitero, nello stile dei frammenti romanze-
schi di Belbo (e in ultima analisi come i Protocolli medesimi, as-
semblati attraverso il riutilizzo e l'adattamento di materiale pre-
cedente), è un collage costruito con pezzi pescati dalla letteratura,
dalla memorialistica e da documenti vari dell'Ottocento, da Du-
mas a Sue, da Abba a Garibaldi, da Joly a Goedsche, da Taxil a
Huysmans, fino agli stessi Protocolli (per citare solo alcune delle
innumerevoli fonti di Eco).

Con il peculiare avvitamento temporale del suo intreccio,


poi, il Cimitero è costruito quasi come il Pendolo (e in parte co-
me l’’Isola, Baudolino e Loana), salvo che in quest'ultimo l'even-
to narrativo cruciale è successivo al momento in cui inizia la nar-
razione, perché Casaubon parte dalle quattro del pomeriggio del
23 giugno 1984 e termina la notte del 26, mentre l'evento clou, il
tragicomico raduno iniziatico del sedicente Tres attorno a un
Pendolo nel Conservatoire di Parigi, accade intorno alla mezza-
notte del 23 e per il resto il romanzo narra gli avvenimenti acca-
duti negli anni precedenti che costituiscono l'antefatto generale.
Nel Cimitero, invece, Simonini inizia a rievocare il passato il 24
marzo 1897 e interrompe il diario degli eventi di cui è stato arte-
fice il 20 dicembre dell'anno dopo, mentre l'evento clou, la messa
nera cui assiste come abate Dalla Piccola, era accaduto il 21 mar-
zo 1897, anche se il suo recupero da parte della coscienza del
protagonista smemorato e dalla personalità scissa avviene la not-
te tra il 17 e il 18 aprile 1897 (e quindi, anche narrativamente per
il lettore, e non solo psicologicamente per il protagonista, è come
se accadesse allora, per cui ricadiamo nello schema del Pendolo).
Inoltre, sarebbe possibile istituire un parallelismo tra le coppie
Casaubon-Belbo da un lato e Simonini-Dalla Piccola dall'altro,
perché entrambe le coppie costituiscono un tandem narrativo in
qualche modo dialettico e dialogico, e ciascuna storia prende
corpo dall'incrocio e dalla sovrapposizione dei loro testi.

Su queste cose, credo, si scriverà molto e per ora possono


essere solo accennate. Qui, invece, vorrei concludere manifestan-
do i miei dubbi su due punti che non mi tornano e in cui, se non
ci sono delle cose che mi sfuggono e che quindi mi impediscono
di sbrogliare i nodi, forse Eco è stato piuttosto impreciso.

1) Nel secondo capitolo, a pagina 35, Simonini, già sme-


morato, riporta la seguente lista di impegni stilata prima della
perdita della memoria (avvenuta il 22 marzo per Simonini-Dalla
Piccola e il 23 marzo per Simonini-Simonini):

21 marzo, messa
22 marzo, Taxil
23 marzo, Guillot per testamento Bonnefoy
24 marzo, da Drumont?
In questa fase, il lettore (perché ignaro dei fatti), al pari di Simo-
nini (perché smemorato), non può capire di cosa si tratti, fatta ec-
cezione per il terzo punto, perché dell'incontro con Guillot si era
parlato a pagina 23. Nel corso del romanzo, poi, si capirà cosa
vogliano dire il primo e il quarto punto. Ma è il secondo che pone
dei problemi, perché il Simonini ancora sano di mente non pote-
va fissare un appuntamento con Taxil per il 22 marzo, dato che,
come si dice chiaramente nel cap. 24 (p. 450), egli, nei panni di
Dalla Piccola, il 19 o 20 marzo aveva detto a Taxil di non farsi
più vedere fino al 19 aprile. Non solo, ma in quanto Simonini e-
gli in quel periodo non aveva alcun rapporto con Taxil e quest'ul-
timo non sapeva nemmeno chi fosse, perché ha sempre avuto a
che fare con Dalla Piccola (cfr. p. 472). Dunque, se non mi è
sfuggito qualcosa che potrebbe fare chiarezza lasciando le cose
come stanno, il secondo punto della lista degli appuntamenti di
Simonini è incongruente e, se si tratta di un errore di Eco, credo
di poter fare un'ipotesi per spiegarne la genesi. In effetti, nel ro-
manzo il nesso tra la messa e l'incontro con Taxil subito dopo c'è,
ma non riguarda l'accadere di quest'ultimo il giorno dopo la mes-
sa. La messa avviene effettivamente la sera del 21 marzo, ma
Simonini, nelle vesti di Dalla Piccola, che il giorno dopo la mes-
sa aveva perso la memoria, la ricorda all'alba del 18 aprile (cfr.
p. 465). Ed è la mattina del 18 aprile che Simonini, ormai guarito
e sicuro di essere lui stesso Dalla Piccola, veste di nuovo i panni
dell'abate e va a trovare Taxil per giustificare con delle menzo-
gne l'assenza di circa un mese e per mettersi d'accordo con lui per
la sceneggiata del giorno dopo (cfr. p. 471, dove tra l'altro si ri-
badisce che Taxil aveva cercato invano per quasi un mese Dalla
Piccola nella casa di Auteuil, dove soleva recarsi comunque per
amoreggiare con Diana). Dunque, il nesso messa-Taxil avviene
nel romanzo nello spazio di poche pagine tra la fine del capitolo
23 e l'inizio del capitolo 24, ma tra la messa e l'incontro con Ta-
xil passa quasi un mese, dal 21 marzo al 18 aprile, e Simonini
non può aver fissato un appuntamento con Taxil per il 22 marzo,
visto che, come detto, lo aveva congedato il 19 o il 20 marzo
dandogli appuntamento per il 19 aprile.
2) Lo stesso capitolo 24, quello della messa nera, contiene
delle stranezze. Di primo acchito, la sua estensione temporale
sembra chiarissima: in apertura si legge “17 aprile 1897” e Dalla
Piccola, come visto, lo termina all'alba del 18, come dice alla fine
del capitolo. Questo intervallo è confermato da Eco nella tabella
della cronologia messa in appendice, dove, in corrispondenza del
capitolo 24, si dice: “Diario 17 aprile 1897 (che si conclude
all'alba del 18 aprile)” (p. 519). Sembrerebbe che non ci sia alcun
problema, eppure nel corso del capitolo ci sono due indicazioni
temporali che mi lasciano perplesso. A pagina 450 Dalla Piccola
dice: “Oggi è il 16 aprile”, e subito dopo, in testa alla pagina suc-
cessiva, compare l'indicazione intermedia “17 aprile, all'alba”.
Com'è possibile? Come fa uno ad iniziare una pagina di diario
scrivendo “17 aprile”, a dire qualche pagina dopo “Oggi è il 16
aprile”, a iniziare la pagina successiva con un “17 aprile, all'alba”
e a concludere tredici pagine dopo dicendo che è l'alba del 18 a-
prile? Nel secondo capitolo, Simonini si era sbagliato pensando,
il 23 marzo, che fosse il 22, ma lì la spiegazione c'era, perché il
22 aveva perso la memoria come Dalla Piccola e il 23 l'aveva
persa come Simonini, ecc. Ma ora? Non riesco a trovare una
spiegazione coerente lasciando il testo com'è, ma mi viene diffi-
cile anche individuare l'eventuale errore, perché potrebbe esser-
cene più di uno.

M.T., 9-10/11/2010

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