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HAPPY HOUR

Prima edizione: febbraio 2007

2007 peQuod, Ancona www.pequodedizioni.it


ISBN

978 88 6068 016 7

Elisabetta Liguori

Il correttore
Un giallo inutile

peQuod

Per Ugo, la mia origine Per Ada, la mia perseveranza Per Fiore e Riccardo, la mia concentricit

I CAPITOLO

Forse un infarto, dottore. Le passo il procuratore. Arrivederci. Il telefono squillava di continuo. Cercava conferme. Io guardavo Ietta, lui guardava me. Con le sopracciglia virgolettava e io rispondevo. Quella volta lintestino mi arriv dritto in gola, prossimo a una fitta tra orecchio e collo, fin dentro, ai denti; un freddo solido come una saracinesca di metallo, e mi venne da sorridere. Ecco il labirintico percorso della sorpresa. Meraviglioso: il mio primo cadavere. Prima di allora mi era capitato soltanto quello di una nonna novantenne e di una cugina con il cancro ai polmoni. Cadaveri composti, bianchi, con qualche sbuffo di merletto sotto le bocche appese, poco aperte. Comunque non per lavoro; mai per lavoro fino a quel giorno. Un cadavere in Procura era normale; sapevo che sarebbe arrivato, solo questione di tempo, come per ogni cosa che deve venire e viene, senza stupore. Lavevano ammazzato anche per me. Senza neppure aspettare tanto. Era accaduto in fretta, anzi, considerato che allepoca ero ancora uditore. Il concorso in magistratura un anno prima e poi, con calma, luditorato di sei mesi in Procura con il dottor Ietta. Diritto e morti ammazzati. Morti ammazzati e procedura penale. Avevo studiato come un cane con la rabbia, per anni, andati via come olio. Alla fine della corsa avevo scelto quellufficio per attitudine. Cadaveri a
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parte. Mi sentivo sorprendentemente incline allindagine, cinematograficamente incline. Ed anche incline al viaggio, a far valigie. Ormai sono trascorsi dieci anni da allora, da quel giorno. Alla prima notizia del morto, la Procura doveva essere sul posto; bisognava fare in fretta, muoversi velocemente, in macchina di solito, e andare. Il sostituto procuratore teneva alla mia presenza, per questo andai anchio. Apriva le braccia a ciambella come farebbe una chioccia, il mio capo, e io mi infilavo dentro il cerchio della sua comprovata professionalit, fin troppo comodamente. Quel gesto rituale era il suo messaggio in codice. In quella occasione, in particolare, il capo minvit aggiungendoci un sorriso millepieghe e davanti alla gentilezza, non posso proprio evitarlo, io mi arrendo. Ha un suono raro, come largento di una campanella tintinnante che mi ricorda quando ero bambino e tutto mi tintinnava intorno. Sono legato alle tradizioni. Lo so che sono noioso, per alcuni sono davvero noioso; certe volte mi sento di centanni, portati con disinvoltura, ma cento! Cento soldatini di stagno, in fila, a ricordarmi chi sono diventato. Ad essere onesti, il capo mi sorrideva sempre e, a ogni sorriso, ripeteva di conoscere mio padre, e gi questa affermazione, scoccata tempo addietro come un bacio, al momento delle presentazioni, mi aveva centrato. Segnato. E s, caro, io conoscevo tuo padre Sai quale novit! Non era lunico. Quella del conosco tuo padre era una storia abusata. Dal portiere alluomo politico: il mondo conosceva mio padre. Dopo quellesordio banale, ogni volta che guardavo un po pi a lungo la faccia del mio capo, evocavo la pipa fumante di mio padre. Inevitabile. Tutti magistrati noi, ma non tutti con pipa. Io non fumo. Il tabacco, per, un mio pensiero fisso. Tradizioni e contraddizioni. Mi sorrideva di continuo il dottor Ietta; a pensarci bene, forse esagerava. Un tic nervoso? Allinizio rispondevo solerte alla cortesia, gravando, pur con scarsi risultati in termini di espressivit, sulle rughe intorno agli occhi. Poi avevo preso a razionalizzare luso della mascella e dello zigomo.
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Risparmiavo, se potevo, tanto non ne valeva la pena: lo sforzo facciale non era ripagato da alcun risultato. Il dottor Ietta neppure ci faceva caso. Si concentrava piuttosto sul suo sorriso di risposta, come fosse un lavoro. Cos, le mie allucinazioni da fumo passivo diradavano lentamente. Si avvolgeva di un linguaggio ricercato come fosse un pastrano di stoffa dura, ma nellocchio conservava lo scatto imprevisto e rapido di un film danimazione. Pragmatico con cappello floscio, indossato forse, la prima volta per necessit climatica, poi per coerenza. Basso e nero, con la riga in mezzo ai capelli lisci. Me lo ricordo bene il mio sostituto procuratore, con la fronte levigata che si allargava come un residuo donda sulla spiaggia. Aveva voluto essere il mio affidatario, aveva insistito, anche se con lanzianit che aveva maturato se lo sarebbe potuto risparmiare. Invece. A pensarci bene, infatti, era una rogna; io ero una rogna. Prendi un tipo, giovane e inesperto, e gli trasmetti quello che sai, parte di quello che sai, se hai occasione pi di quello che sai; tenti pavide deleghe piene dansia. Comunque sia, ogni gesto lo devi motivare, lo devi rallentare, commenti ogni scelta, la metti in discussione, ti ripeti; ti devi pure documentare per non fare brutta figura. Devi parlare e ascoltare. Devi bere un mare di caff, non leggi pi il giornale in silenzio, come sei abituato a fare da anni, ma ti senti costretto a commentarlo a voce alta. Devi trovare le parole, e mica vero che ci sono parole per tutto e tutti. Devi fare uno sforzo. Rogne. Ma lui, niente, aveva voluto lincarico, forse per quel fatto l, che conosceva mio padre. Erano giovani entrambi allepoca del loro primo incontro. La giovinezza certe volte ti frega per la sua meraviglia e per lestrema rapidit. Mio padre, poi, uno che non si fa dimenticare, comunque. Mio padre e la sua pipa. Cera chi laveva conosciuto durante il servizio miliare, chi era stato suo compagno duniversit, centinaia i colleghi/magistrati/fratelli in giro per lItalia, chi era stato suo vicino di casa, chi aveva ricevuto da lui una cortesia, chi un rifiuto, chi gli aveva curato il giardino e potato le aiuole. Con questa sua fissa del creare legami, lui e il territorio erano una cosa sola, soprattutto dopo che si era
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impegnato anche in politica. Lunga storia. Sembrava avesse vissuto pi a lungo degli altri. Ma un padre immortale quando lo si rimpiange? Mitologico pap, che quando lo devo abbracciare, anche oggi, i gomiti mi navigano nellaria timorosi per qualche secondo. Sempre. Quindi, diciamolo, era per responsabilit paterna se dieci anni fa mi ero trovato l, dove e quando ammazzarono quelluomo. Il Corietti, come lo chiamavano in citt. Dopo dieci anni, vedo ancora le porte dellascensore che si aprono a strappi, sferragliando su di noi: io, il procuratore e tal Agrimi, lautista, che restiamo immobili aspettando il via, finch il capo dice, autorevole: scendiamo a piedi. Lo diceva sempre. Lo disse anche quella volta l. Nella pigra discesa delle gambe tra gli scalini, scappava spesso una parola in pi, un chiarimento, un ricordo o il fiato pi fine. Una rampa di scale scioglie la lingua, lascensore la irrigidisce. Non so perch. Deve essere una qualche questione legata al movimento fisico. Il capo voleva prendere le scale perch aveva voglia di parlare di cadaveri. Il primo cadavere per un magistrato faccenda di cui si parla. Anche il secondo. Un cadavere non mai uguale a un altro, e gi questo pu essere una spinta sufficiente alla chiacchiera. Il mio defunto pi morto del tuo. Confronti, sfide. Un cadavere pu essere morto meglio di un altro, per ragioni pi consistenti, pi valide; non tutte le morti sono ugualmente interessanti, utili, fertili. I magistrati lo sanno. Quelli che fanno penale lo sanno. Solo i magistrati che fanno penale parlano di cadaveri. Tra questi, addirittura, ci sono alcuni fortunati che possono parlare di autopsie avendovi assistito; della tecnica, dellincisione, del pathos dellosservazione interna. Possono dire di aver rovesciato il calzino. il massimo. Si parla per mesi del proprio primo cadavere, con dovizia, con metodo; si ragiona del sangue, del muco, dei frammenti dossa sparsi fuori pista. Lo fanno anche gli uditori, se capita. Cos mi preparavo al mio film. Mi ripetevo: Dario Argento, se tutto un frangersi di arterie, altrimenti Brian De Palma.
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Dunque si andava verso una morte ignota, mentre pioveva. In quasi tutti i thriller, al momento del crimine, piove. Prendi a caso, che ne so, la Cornwell. Un esempio per tutti. Una per dire. Piove sempre nei suoi libri e la pioggia, a cascate, si mescola al sangue. Piove poco meno giusto nei gialli allitaliana, spesso ambientati al sud. In Soriga c la pioggia, nera pioggia, vero, ma i suoi gialli sono ambientati in un luogo imprecisato, che sembra il sud ma non detto; non vale, quindi. La pioggia in quel caso loggetto non laggettivo. In Camilleri c il sole. Ma la sua la Sicilia del sogno ideale, e non centra la pioggia con la Sicilia. Nel mio caso: pioggia come per i migliori. Pioveva non per caso. Ch poi non un dato statisticamente riscontrabile che si muoia di morte violenta solo sotto la pioggia. Con lafa estiva, anzi, sincentiva il numero dei crimini; cresce lefferatezza con il termometro. Si muore di pi sotto al sole, dallalba al tramonto, ma se ne parla di meno. letteratura minore. Sia come sia, quel giorno pioveva. Lombrello lo portava lAgrimi autista e ci andavamo sotto in tre: lautista sul lato, porgeva rispettosamente la destra e riceveva in cambio scolature dacqua gelida dritte nel bavero rialzato dellimpermeabile. Ci uniformavamo al passo del capo, da pendolo, che restava al centro del trio, continuando a dissertare di necrofilia. Poi in macchina, sedevamo sul sedile posteriore, dove riposava ogni mattina il quotidiano del giorno prima. Dimenticato. Letto appena un po. Pioveva quel giorno e non era un dettaglio. In macchina guardavo il vetro schizzato e oltre la citt acneica. Non era la mia citt. Ero in unaltra citt, diversa dalla mia. Me ne ricordavo ogni volta che non riuscivo a immaginare cosa mi aspettasse allo svoltare in un vicolo, ogni volta che sbagliavo strada, le volte in cui non ero in grado di dare indicazioni corrette a un passante in difficolt, quando salivo in autobus ed ero in affanno circa la progressione delle fermate. Quando salivo in autobus, comunque, gi quello era elemento di novit, ch dalle mie parti non si era soliti usare gli autobus; ammesso che ce ne fossero. Ero in lieve ansia anche quando per cena ordinavo una pizza dasporto, o se non trovavo parcheggio;
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non sapendo come fare il furbo, in quale anfratto andare a imbucarmi. Era stata mia la scelta, per. Avevo voluto completare i miei 18 mesi complessivi di pratica in una citt diversa dalla mia. Di questi, sei mesi con Ietta. Mio padre diceva che mi avrebbe fatto crescere. Lui ne era certo e io avevo scelto sulla base delle sue certezze. Avevo comprato cinque valigie nuove, le ricordo bene, di forma differente ma dello stesso colore. Dimensioni a crescere o a decrescere, come bambole russe. Bellissime, perch nuove. Vivevo in quella citt, che non era la mia, dal luned al venerd, giorno in cui tornavo a casa da mia moglie. Non avevamo figli e anche lei lavorava. Mi sentivo un fringuello sul davanzale. Avevo preso un appartamento in affitto, appartenuto a una coppia di coniugi anziani che si erano spenti, solidalmente, luno a breve distanza dallaltra, e poi gestito dallunico figlio addolorato. Un appartamento carico di vecchie fotografie, di figurine attaccate da probabili nipoti sulle mattonelle fiorate della cucina, a un prezzo stracciato, ma che dovevo preservare intatto nel tempo, per contratto. Evidentemente, al proprietario ero apparso come un uomo sensibile a questo tipo di problematica. Un ottimo custode dei sentimenti altrui. Forse. Attenzione al mio olfatto da segugio. Quando dico incline allindagine, non lo dico tanto per dire. Le inclinazione sono una cosa seria, secondo me. Infatti. Ogni stanza dellappartamento preso in affitto, nonostante tenessi costantemente le finestre aperte, conservava ancora una fragranza intensa di lucido da scarpe. Saranno stati i mobili, i divani, le tovaglie ancora perfettamente piegate nel terzo cassetto della madia in tinello, forse una fissa di contenuto puramente estetico dellanziano proprietario; chi lo sa. Non so, ma lodore era prepotente. per questo che per me i cadaveri, ancora oggi, hanno lo stesso odore di un paio di mocassini di pelle ben lustrati. Non era la mia citt e dunque mi abituavo con caparbia lentezza. Nella mia citt non pioveva cos spesso e, per que10

sto, luso dellombrello mi era estraneo. Del tutto. Se ne compravo uno, lo dimenticavo subito dopo lacquisto nel primo bar da cui passavo e, soltanto se ero noto al titolare se non io, magari mio padre quello, cortese, me lo metteva da parte. Altrimenti, era perso per sempre. Soldi buttati. In realt adesso le cose sono un po diverse: piove anche dalle mie parti e sono piuttosto turbato da questa novit. Inutile negarlo, circa dieci anni fa, nella mia citt solo sputi dacqua ogni tanto. Neve, poi, nemmeno a parlarne. Se nevicava ci faceva un fortunato servizio la tv locale, posta leccezionalit dellevento. Figurarsi. Adesso, invece, cambiato qualcosa nel clima. Sono onesto: un fatto che mi frastorna. Nellaltra citt, nellaltro mio luogo, quella del mio praticantato, quando il luned mattina presto mi mettevo alla guida per andare a lavorare, mi chiedevo sempre p i o v e r ?, e solo dopo essermi risposto non lo so, mi accorgevo di non aver messo in macchina lombrello. Poi, di solito, pioveva. Adesso che piove anche nella mia citt, una pioggia irata, imprevista, rapida come uno starnuto, non posso pi fare le distinzioni e le similitudini che amavo fare, tra il prima e il dopo, tra il bello e il brutto, tra il mio e il loro. Si slabbrano i confini tra gli eventi, perdo il perno su cui far girare i giorni. Mi vedo costretto a rimisurare le distanze. Non credo mi piaccia. Non ero a casa mia, quindi era importante seguire i passi del dottor Ietta. In senso fisico. Contarli e passarli a memoria. Lui camminava indicando la strada giusta, io accanto. chiaro: non conoscevo minimamente la zona in cui era avvenuto il fatto. Mi era anzi del tutto estranea, quasi ostile. Una situazione simile non solletica lintuito di chi indaga, come si potrebbe credere, anzi, lo ammorba, lo intimidisce. Ma io ero pronto alle novit. Resistevo. Il territorio, i luoghi, sono fondamentali in unindagine; quasi quanto il cadavere. Bisogna possederli per lavorarci sopra. Masticarli per trasformarli in altro, in appartenenza. Perfetto: io mi sentivo pronto a quellimpegno. La prima cosa che feci, arrivato sul posto, fu guardare, in un modo che quasi gli occhi non bastavano. Cera sangue
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dappertutto. Ma quale infarto? Una mattanza, uno splatter iperviolento, unesagerazione; un massacro, con giusto qualche profilo mistico. Il cadavere, infatti, era stato ritrovato allinterno di una libreria di articoli sacri. Lo dissi al tipo del telefono ma quale infarto, scusa?, e quello rispose scherzavo, dottore, ma non so se era vero. Era buio al momento del nostro ingresso. Caliginosi cervelli in panne tra lampadine fulminate. Nessun riflettore sui nostri primi passi allinterno del teatro. Un palcoscenico prima dellapertura del sipario. Lo stesso vapore da debutto. Entrando, ci si accorgeva che nella stanza cera gente solo dallodore dallaria, e ad aver un buon naso. Naso e occhi da gufo, per cominciare. La citt intanto si metteva in movimento con qualche bicicletta. Poche soltanto perch pioveva. Nel quasi buio. Saranno state le 9.10, almeno credo. Il negozio insisteva su una strada non aperta al traffico, ma cerano un paio di vetture parcheggiate in divieto di sosta proprio davanti. Una strada centrale a tavelle lisce e riflettenti come strass: su un lato, a destra della libreria, una farmacia, a sinistra il grande portone che apriva sulla Curia vescovile. Avanzi di cappuccini oleosi nellaria. Allinterno della libreria, i caramba e il medico legale si muovevano come astronauti senza ossigeno, lesinando sui passi. Il corpo della vittima era quasi del tutto nascosto dal bancone per la vendita e, sul pavimento, dal punto in cui sbucava la testa, si allargava una macchia di sangue ampia come il mantello di Superman in volo. Trentotto coltellate inferte per lo pi al busto, avremmo stabilito subito dopo, alle braccia e al volto, e forse, magari, anche un sopraggiunto infarto. Chiss se lo avrebbe confermato il medico, in omaggio al disarmante intuito dellArma. La dottoressa, il medico legale, era una giovane donna la cui colonna vertebrale ricordava vagamente un bisturi, e continuava a toccarsi la fronte con i guanti poverino su e poverino gi mentre, china, i capelli le ricadevano sul viso come la paglia di uno scopino nuovo. Una fiction, tutta plastica e effetti speciali, finch un carabiniere non mise il piede nel sangue. Squass la forma perfet12

ta del colore che sfugge e diventa un lago. Senza rispetto, impiastricci il resto della stanza con le sue gulliveriane impronte, alterando la scena irreparabilmente. Chi se lo dimentica: quello continuava ad andarsene in giro imperterrito, infilandosi in ogni dove, senza mai guardarsi i piedi. A osservare con attenzione, anche sul bordo dei pantaloni neri, allaltezza della piega, perfetta e rigida quanto quella che lo stesso carabiniere si era autoprocurato in testa con un pettine a denti stretti e il gel, cera uno sbaffo di sangue, quasi una passata di rossetto su un labbro livido. Come per infinite piccole altre ferite intorno alle prime, i suoi anfibi lanciavano schizzi, componevano bouquet di fiori rossi, petali strappati, fanghiglia che suonava di disgustosi ciak ciak. Cos mi colse un conato davanti allemoglobina violata. Chiss che avrebbe detto il capo. Ma non se ne era accorto nessuno, e io rimasi interi minuti a chiedermi se avessi dovuto segnalare lo scempio e cercare un bagno. Ora, a vedere questi qui, sembrava che la sacralit della scena del crimine, la scienza esatta dei luoghi, pagine e pagine di sudati manuali di criminologia, fossero solo mie fantasie da secchione. Cazzo facevano questi? Dove se ne andavano bel belli? Era normale tutta questa approssimazione? Lo scandalo mi rigurgitava in gola un acidulo misto di caff e panna. Inorridivo, ma non dissi niente, non era mio il caso. Potevo tacere. Magari ero io a sbagliarmi; magari era quella la prassi: lo spiaccicamento creativo, estemporaneo. Che ne sapevo? Quindi, zitto. Tanto ero solo uno che stava facendo pratica e basta. Distolsi lo sguardo e buttai gi la saliva. Uno, due e tre. Nessuno si era accorto di nulla. Il negozio non aveva ancora aperto e lomicidio si andava collocando temporalmente tra le 7.45 e le 8.15 dello stesso giorno. Vicino al cadavere restava una ramazza e un po di lanugine polverosa rappresa in gomitoli. Nessuna effrazione, serrature nella norma. Neppure una cicca in quella lana, n altrove. Io faccio caso agli arnesi da fumo, lho detto, ma l nemmeno una cicca. Certe volte le cicche aiutano, svolgono una funzione di tipo investigativo. Sono un evergreen. La cicca, il rossetto o la saliva. In compenso furono scattate molte fotografie.
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La dottoressa disse che si trattava di un uomo di circa cinquantanni. Pi alto della media, estremamente magro, nodoso. Si immagin che potesse trattarsi delluomo delle pulizie. Magari non solo di quelle, comunque, al momento della morte, si stava certamente dedicando alle pulizie. Indossava, infatti, un grembiule plastificato verde. La pettorina tagliata in pi punti non assorbiva il sangue: la stoffa idrorepellente lo aveva fatto scolare via, lungo il corpo, sul pavimento, in rivoli, cascatelle e rapide. Il succo era stato estratto dal corpo, trasformantosi in carta da regalo natalizia: rossa e crespa. Io ero in mezzo a quella gente con le mani nelle tasche del mio giaccone blu. S. Portavo un giaccone blu allepoca, da vecchio lupo di mare. Cera stato il tempo del jeans, dopo quello del trench panna, dopo ancora il rigore del cappotto color cammello. Ogni anno la sua divisa. Quello che vivevo era lanno del giaccone blu. Il blu delle attese. Nelle tasche mettevo le chiavi della macchina e ogni tanto le facevo scampanellare con le dita. Avevo gli occhi e le narici allerta, ma con contegno. Un praticante sempre in attesa di una domanda. E pure io aspettavo una domanda, una qualsiasi, un coinvolgimento professionale, anche minimo, da parte del capo, magari un quesito venuto fuori dalla bocca di uno dei militi presenti o del medico legale; non del morto, possibilmente. Ero pronto a una domanda, ma quelli quasi non respiravano, figuriamoci pronunciare una parola utile. Lunica cosa che sapevano fare era modificare di continuo lo stato dei luoghi. Ora l, ora qua; i quattro cantoni. Pareva il momento della tumulazione, pi che della rivelazione. Regnava il silenzio, gli scatti di nervi e lincertezza sotto il marmo, chiaro, io mi aggiravo a testa bassa, elemosinando bisbigli. Mi svuotavo e mi riempivo come il collo argenteo di una tromba, senza suono. Mentre tutto cambiava. Che spreco dintelletto umano! Preliminarmente cera da cogliere la struttura dei diversi ambienti: vani, ripostigli, porte, finestre, serrature; non sapevo cosa era stato fatto dalle forze dellordine al momento della scoperta del cadavere. E cosa invece non era stato fatto.
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Una piantina ufficiale sarebbe stata propizia. Niente. Ma se ci fosse stata sarebbe stata pi o meno cos, se la memoria non mi inganna: si entrava da una porta non grande, sulla sinistra una vetrina si affacciava sulla strada, sulla destra, invece, unesposizione di articoli per uso solo interno. La vetrina esterna esponeva libri tra candelieri dargento e quadri depoca. Una Madonna con bambino lanciava riflessi dorati con enormi labbra meste. La vetrina interna, diversamente, era molto pi grande. Nel buio intravedevo falene da collezione: paramenti sacri appesi con spilli alla parete felpata amaranto. In giro, negli angoli, tonache nere su manichini mozzati, con le gambe a girello. Ombre sinistre tra i calici doro. Dario Argento, di certo, avrebbe sbadigliato di quellovviet scenografica. Dietro il bancone, una libreria contro il muro, da parete a parete, una ventina di mensole a giorno di legno decap. Libri, appunto: una massa disomogenea per forme e colori. Non solo bibbie. Qualche contaminazione cromatica sfuggita dalla fantasia repressa delle edizioni Paoline. Il bancone per il pubblico era scostato sulla sinistra rispetto allingresso. Nellangolo cerano la cassa e il telefono. Sul fondo, una porta dava su altri due vani comunicanti tra loro: magazzini colmi di scatole di cartone e imballi voluminosi. A sorpresa, lambiente di sinistra aveva unaltra uscita: una porta pi piccola. Seppi che comunicava proprio con la Curia l accanto. Ad un passo da Dio. Porta aperta o porta chiusa? Non potevo toccare nulla. Guardare, solo guardare. Le impronte, per carit, le impronte! Non toccavo nulla, daccordo, ma restava chiaro che nessuno si interessava davvero al tema delle porte. Neppure a quello. Malissimo, secondo me. Sarebbe stato fondamentale, a mio modesto avviso, parlare di porte. Se qualcuno entra in un certo ambiente, ammazza qualcuno ed esce, vitale parlare di porte. Dopo il tour solitario, ritornai indietro. Segugio senza pratica. Uscii allaperto: aveva smesso di piovere; una lamiera di cielo sfondava i pochi ombrelli distrattamente aperti nelle mani dei passanti e si schiantava sullasfalto bagnato.
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Cicatrizzava in croste grigie. Foglie ovunque, forse venivano da lontano, ch non vedevo alberi. Forse pi in l, alla fine della strada, cerano alberi e vento. Il poliziotto che piantonava lingresso mi fece un cenno di cortesia. Qualche curioso allungava il mento verso di me, e per questo rientrai subito nella tana. Non prima per di aver dato una sbirciata al grande portone della Curia, l a sinistra. Ancora chiuso. Gigantesca bocca serrata da ciclope che ha gi concluso il pasto. Nessun movimento intorno. Saziet. Feci cuc un paio di volte; neppure io riuscivo a star fermo. Giusto per fare, cos. Dentro, intanto, si andava evidenziando una precisa necessit: rintracciare la proprietaria del negozio. Che era una donna lavevamo accertato quasi subito. Dovera? A quellora sarebbe dovuta essere in negozio. Chi si occupava delle vendite? Come mai non cera ancora nessuno? Ammesso che si vendesse davvero qualcosa in quel posto scuro; ammesso che qualcuno davvero volesse informarsi circa larte di essere Dio. Ora, non che io sia un tipo ansioso, n un perfezionista, ma in quel momento si era oggettivamente in una bolla dinerzia. Lavrebbe intuito chiunque al mio posto. Non potevo sapere se tra i doveri di un magistrato ci fosse anche quello di far scoppiare certe bolle con una qualche puntuta iniziativa. No, non lo sapevo. Fingevo di saper cosa fare, ma non lo sapevo. Ietta, giustamente, faceva il suo mestiere, il medico legale faceva il suo mestiere, i caramba facevano il loro mestiere, pure il cadavere faceva il morto, restando immobile davanti a noi. Dallinsieme cosmico dei mestieri allopera dipendeva il mio coinvolgimento nellindagine. Ecco, pi o meno cos, per un praticante. Gli elementi per ricostruire il fatto dovevano pur essere da qualche parte. Chiss dove. Il tempo passava invano. Nessuna notizia circa lo stato delle porte, n delle luci. Si dice che i primi momenti siano fondamentali in unindagine. Bene, quelli se ne andavano via. Ma non era colpa mia. In fondo, mi era richiesto solo dimparare. Facile. Mi misi accanto al capo, spalla a spalla. Per imparare. Pi gli stavo vicino, pi avrei
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imparato. Lui non sorrideva pi; prendeva appunti sullagenda in pelle, ma io non ne decifravo la scrittura. Feci un breve, ma doveroso cenno alle storia delle porte, e lui mi osserv come si guarda il risvolto di copertina di un libro. Si sofferm sul dettaglio delle mie labbra in movimento, poi scrisse due righe in pi sullagenda. Tutto qui. Nessuna risposta. Sentivo il bisogno di un momento di sintesi. Ricapitolare, per, con quelle zampe di gallina zoppa sullagenda del capo, sfido chiunque, non era un esercizio semplice. Dunque. Avevamo il nome della proprietaria fornito da un passante. Lora del delitto. Si cerc il numero telefonico e lindirizzo. Saranno stati presenti tre agenti e un maresciallo in tutto. Uno si dedicava alla stesura del verbale sotto la guida del capo Ietta, il secondo cercava limprecisabile nei cestini della carta straccia, il terzo dava una mano al medico legale e scattava foto con flash in pose forzatamente statiche; il maresciallo meditava, sfogliando lelenco telefonico. Tra i libri non frugava nessuno, quasi non centrassero nulla con i fatti degli uomini. Questa era lallegria della squadra omicidi. Ma non finiva mica cos. No, ci sarebbero stati degli approfondimenti, interrogatori, confronti, equivoci, ripensamenti, e gi intuivo quale sarebbe potuto essere il mio impegno lavorativo nei giorni successivi. A sentir loro, il bello doveva ancora venire. E menomale, pensavo io. Sintende, io mi sarei mostrato subito interessato, molto disponibile. certo. Era unoccasione ghiotta per uno che fa pratica. Non mi sarei tirato indietro. Volevo dare di me unimmagine di estrema solidit, abnegazione. Appendermi al collo un cartello grande che distinguesse uomo da uomo. Il lavoro importante per un individuo, ma ci sono modi e modi per lavorare. Volevo che la gente, guardandomi, potesse pensare un giorno: cavolo, questo uno che lavora sul serio! Un praticante che non si risparmia. Magari avrei continuato a studiare, a inseguire il diritto che cammina. Non mi sarei fermato mai. S, cos avrei fatto. Che progetto coraggioso era il mio! Sarei stato di granito fino alla vecchiaia, pensavo, ma con il cervello di spugna. E gli altri lavrebbero capi17

to, e sarebbe diventata quella la mia quotidianit, la mia immagine da difendere. Temerario progetto post-universitario. Ch laccanimento universitario un male incurabile, con metastasi ovunque. Quale sia lorigine di questo male, la causa primigenia, conta ben poco alla fine. Lavorare, si deve lavorare per correggere la morte. S, per, allo stato delle cose, cera solo da aspettare quello che i tecnici, quelli veri, quelli seri, altri da questi, avrebbero rilevato successivamente; sempre che se ne fossero create le condizioni. Aspettare. Uno che tocca la materia giustizia, sa che dovr spesso aspettare, come per un treno in stazione. Che questo lavoro, ha molto a che fare con lattesa. Gran bella sicurezza i tecnici! Tutto era approssimazione, ma i tecnici no, quelli non si toccano; guai a dubitarne. I nostri venivano da fuori, gli eletti erano i RIS di Genova, mi pare. Non venivano vestiti a festa, al contrario, e alla fine se ne andavano con valigie cariche di reperti da analizzare, infilati in piccole buste trasparenti come avanzi destinati al freezer. Con calma spedivano relazioni, dopo aver cercato i capi al telefono, per conversazioni interminabili. Non erano di quelli che salutavano con i tacchi. Quelli erano unaltra cosa. I RIS potevano permettersi i jeans. I tecnici avrebbero fornito piste e ganci in borghese. Da poco ci fanno fiction e film su questi tecnici, ma un tempo, agli inizi, erano soltanto delle ginocchiere sulle fragili articolazioni della magistratura, mica supereroi. Il nostro maresciallo, invece, grasso ventre, ricordava il Sergente Garzia in attesa di Zorro. Sedeva precario e sudaticcio in punta a una sediolina in legno, quasi sulla porta dingresso; sembrava prossimo alla fuga. Blaterava al telefono, nelle correnti daria, dando disposizioni concitate, menando schizzi di saliva a destra e a manca. Era rimasto lui lultimo avamposto della prassi. Il capo aveva chiesto agli altri uomini in divisa di affacciarsi in strada, proprio l davanti, sul marciapiede, a fare domande in giro, cercando di dare un volto al popolo che frequentava la zona abitualmente: amenit, pettegolezzi, consuetudini. E quelli si erano sparsi, sparpagliati come carte da
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gioco, in strada. Grazie a questa abile mossa si era saputo della proprietaria: una vedova con due figlie adolescenti. Domande in strada? Sembr strano anche a me, ma la strada fatta di voci e rifiuti. Quindi, domande in strada, bene, cos che i militi sembravano formiche sullasfalto a raccattare briciole. Dove era finita questa donna? Mentre si contavano i minuti vuoti, squill il telefono poggiato sul bancone. Deus ex machina. Squill solo una volta. Rispose il maresciallo. Fulmineo. Prese tempo e non fece parola di quanto stava accadendo o era accaduto. Il procuratore si accese in volto. Era lei. La vedova. Con chi parlo, scusi? Buongiorno, lei chi ? Scusi, eh, scusi un attimo Io con chi che parlo? Chi lei? Io non la conosco. Come mai risponde a questo numero? Mi dica lei. Con chi vuole parlare? Ehi, basta dico! Mi risponda: chi parla? No, guardi, dica prima lei chi ? Come dico io prima? La finiamo, eh? Ma che numero ho fatto? Scusi, la libreria di via Cardone? Si, lei chi ? Ancora con questa storia del lei chi ? Ma che succede? Mi faccia parlare con il signor Corietti. Subito!! Non mi ha detto ancora chi ? lei che si deve presentare, imbecille! Io sono la proprietaria del negozio. Impari leducazione piuttosto!! Le spiego con calma. Mi dispiace, ma il signor Corietti non c, non si sentito bene questa mattina. Dica pure a me. Non verr in negozio? Dove si trova in questo momento? Dove e il negozio? E io con chi sto parlando? Insomma!? Un attimo, le spiego tutto non calma, non si agiti. Lei parla con i carabinieri Non so bene cosa rispose la vedova, ma la voce del maresciallo si punteggi di pause larghe come trappole per cinghiali. Ma veniamo alla ricostruzione dei fatti.
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Il negozio di solito apriva alle 9, ma proprio quel giorno la signora Florio, la proprietaria, aveva un appuntamento dal dentista fuori citt; molto fuori citt. Bench il suo fosse il primo appuntamento della giornata, il cavadenti di fiducia aveva evidentemente perso tempo e la signora era in ritardo. Telefonava per chiedere al morto di trattenersi in negozio pi del previsto, fino al suo arrivo. Ma il morto era morto. Ah, certo, si sarebbe senza meno trattenuto pi del previsto. E chi lo spostava da l? La donna diceva di non sapere nulla di quanto era accaduto. Aveva alzato la voce davanti alle reticenze del suo scaltro interlocutore, come una cornacchia con le zampe legate, ma poi aveva abbassato la cresta. Era stata rintracciata. Bene. Ietta aveva ripreso a sorridere. Le dissero categoricamente di non muoversi dal luogo in cui si trovava, cos che una pattuglia del posto, incaricata durgenza, potesse andare a interrogarla immediatamente. Funziona pi o meno cos. Se un sospettato, uno che per qualche ragione deve essere sentito nellimmediatezza del fatto, lontano o dice di essere altrove, lo si blocca e si manda qualcuno sul posto; solo cos si accerta la veridicit delle sue affermazioni. Sempre che ci rimanga davvero in quel posto, ovvio. nell interesse di tutti, ma a volte i sospettati, quelli a conoscenza dei fatti, non resistono: scappano, si volatilizzano, si spostano, e poi si spostano ancora, e sono guai. La paura a volte fa fare cose stupide e bisogna tenerne conto. Ho scoperto che in ogni indagine ci sono degli elementi di stupidit. Umanit: dovevamo tenerne conto. Dovevo far labitudine alluomo e alla sua stupidit. Daccordo, posso essere preparato agli stupidi, ma non basta. Non ci sono solo stupidi sulla scacchiera. Ci sono anche assassini intelligenti, e anche quelli molto intelligenti, anche quelli pi intelligenti di me, molto pi di me. forse pi difficile comprendere il senso di mosse intelligenti? Credo che sia la stessa cosa, tutto sommato. Ci sono le une e ci sono le altre, e molte altre categorie nel mezzo. Umanit, dicevo. Io penso che gli assassini, in particolare, o sono pazzi o sono disperati; non si scappa. In ogni caso stu20

pidi. proprio difficile incontrare un genio con il sangue sulle mani. Secondo me. Hannibal the Cannibal pura astrazione. I geni sono pi richiesti in societ, sono persone molto impegnate, che lavorano, pensano, producono; non hanno tempo da perdere ad ammazzare qualcuno. Lutilit li rende organici. Mentre gli altri, gli stupidi, si annoiano e quindi il tempo lo trovano. Statistica. In certe cose utile pensare che ci sia una statistica da cui partire. I numeri aiutano silenziosamente. I numeri allentano la tensione. Io sono un uomo estremamente razionale. Anche adattabile, vero. Non so se sono pi razionale o pi adattabile, a ben pensarci. Mi piace buttare locchio al precedente, al dato storico, e adattarmi a quello. Ragionarci. Questo s. Ritornando agli assassini, non so dire se mi sia davvero cos facile comprendere gli stupidi, come a volte sembra essere, forse, per vicinanza intellettiva, ma quel che certo che so adattarmi alle situazioni in cui mi imbatto. Sempre. Questa una qualit per un pubblico ministero. Credo. Adattabilit e curiosit per i numeri. Anche i numeri, infatti. Ecco. Lomicidio poteva in qualche modo essere collegato ai numeri. La faccenda cominciava a incuriosirmi e se mi incuriosisco, di solito questo si rivela un dato positivo. Utile. Faccio tutto per curiosit. La curiosit il mio motore. Curiosit e passione, che poi forse sono la medesima cosa. Numeri o no, se c passione meglio. Mi incuriosivo, e pi mi incuriosivo pi mi appassionavo e, contestualmente, mi adattavo al clima del luogo. Tutto sommato un buon inizio. Il comando dei carabinieri fece sapere che la vedova era davvero dove diceva di essere. Lo conferm anche il dentista, che aveva insistito per farle persino unaccurata pulizia del tartaro ed emesso grassa fattura. Le figlie. Erano due e furono sentite entrambe. La pi giovane frequentava il liceo, laltra la facolt di lettere. A casa delle due ragazze, che aspettavano la madre in vestaglia e maglietta, Ietta ci mand due fidatissimi con delega, e leggemmo il verbale dopo circa due ore. Risult decisamente pi rapido dare voce alle figlie, che si trovavano in un
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quartiere s periferico, ma non cos lontano dalla via del centro in cui era avvenuto lomicidio, piuttosto che acquisire le dichiarazioni della madre presso lo studio dentistico. Lessi anchio il primo verbale, come mi chiese di fare il capo. Non volevo sembrare invadente, ma me lo chiese il capo e io lessi ogni parola con scrupolo. Verbali come quelli, sono sempre il frutto della collaborazione tra il chierichetto e il parroco. Mi spiego meglio: il parroco, cio il magistrato, che detta le regole per la stesura dei verbali, perch la verit ha la sua sintassi, proprio come ogni credo. Il chierichetto, cio i carabinieri o chi per loro, devono celebrare il rito nelle sue giuste forme, collaborare, portare il calice e suonare il campanello. Se un elemento, un evento, un dettaglio, uno sguardo significativo, un inciampo, una titubanza, non viene adeguatamente incartata nel verbale, non entrer mai nel processo. Sar una verit che non esiste. Unoccasione sprecata. Il chierichetto importante quanto il parroco, anche se il vestito diverso. Il contenuto degli atti era piuttosto interessante. Le due ragazze conoscevano la vittima solo di vista, dicevano. Non erano attratte dallattivit commerciale della madre, attivit che la stessa aveva ereditato dal nonno, un mezzo prete, come dicevano le due simpatiche nipotine. Prima, nei tre locali della libreria, le pulizie le faceva una vecchia nana, alta tre lattine al massimo, che poi aveva lasciato per ragioni di salute e cos si era messo in mezzo il Corietti; non sapevano come. Parlavano di lui con astio. Sembrava spuntato dal nulla questintruso. Dalla nana al vatusso. La nana era stata a suo tempo sostenuta dalla Curia, mi ci gioco le palle; il Corietti vatusso chiss da chi. Ma del vatusso parlavano malvolentieri, chi lo conosceva quello? Il negozio andava bene, cos pareva, ma sarebbe stato meglio trasformarlo in una birreria, dicevano. Quando era vivo il padre, per la loro mamma era pi facile organizzare il tutto, ma da due anni era rimasta sola. Casa, negozio, contabilit. Una gran stanchezza dopo le 22, tutte le sante sere i soliti rituali, unangoscia notturna che, simile a unidrovora, sembrava staccare persino la carta da parati dai muri. La
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vedova si faceva aiutare se poteva, ma non bastava mai; cos era sempre incazzata e le figlie pure. Nessuna parola in pi, solo biancheria usata nel cesto della roba da lavare. Abbandoni reciproci, poco prima della resa. Ora, non che io avessi avuto esperienze dirette con figlie adolescenti, ma che le due non fossero in armonia con la madre era lampante. Il verbale, dattiloscritto senza una virgola, era lineare; non richiedeva particolari sforzi interpretativi. Lampante, ma non cos inatteso. Dicono che sia normale, anzi. Tutte uguali le storie sulladolescenza al femminile, sullesigenza di cancellare una donna, la madre, per crearne unaltra, la figlia. Inconciliabili fino alla vecchiaia. Quelle due non sapevano quale fosse la sostanza di cui era composta la vita della madre, le difficolt non erano condivise; la morte del padre, solo una circostanza. Unindagine come quella in corso, inoltre, rappresentava per loro un ulteriore fastidio, niente di pi. Le disgrazie non vengono mai da sole. Fin qui daccordo, ma anche a voler leggere piano, quello appariva ugualmente un testo reticente. Un tavolo senza una gamba. Troppe poche virgole. Dicevano di non avere messo piede nel negozio della madre neppure una volta negli ultimi tre anni, di non ricordarne neppure la disposizione dei muri. Non volevano dir nulla del negozio, dei clienti, degli orari di lavoro, se lattivit fruttava o meno, se la madre aveva problemi economici, sui nomi dei fornitori. Dicevano di non sapere. Immaginavo due giovani facce lisce, devastate da smorfie asimmetriche e punti neri, con le spalle strette che vanno su e gi. I capelli, fitti e fermi, sulle teste piccole da cartone animato giapponese. Le gambe nervose. Quellaria di chi ha ben altro per la testa, ed ben consapevole del fatto che la sua noia massima e collosa colpa di altri. La grande aveva i brufoli e un fidanzato alluniversit. La piccola aveva perso un anno a scuola, diceva che voleva fare lalberghiero o in alternativa trovare un lavoro; non frequentava nemmeno la parrocchia sotto casa. No, non si respirava decisamente un clima mistico. Chi le aveva viste in faccia, raccont che sbuffavano entrambe a ritmo binario. La piccolina aveva i capelli rasati, fitti ma non pi di un paio di millimetri a proteggerle
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la scatola cranica come un prato; verdi, verdi i fragili bulbi, di un verde bandiera che sulla punta diventava fosforescente, e una piccola farfalla viola tatuata sulla nuca. Dissero che, per tutto il tempo, aveva tenuto le dita dietro la schiena, con le scapole a sporgere aguzze, due gote concave e fucsia da bambola di porcellana, e la farfalla tatuata in agitazione. Primo piano: un sorriso in playback sopra i denti, destinato allinterlocutore. Il verbale era lungo quattro pagine. Quando leggemmo i verbali eravamo ancora tutti disciolti nella penombra acida della libreria, e di diverso, rispetto al nostro arrivo sul posto, cera soltanto il cadavere, successivamente coperto con un lenzuolo e tolto agli occhi. Eppure, erano trascorse alcune ore. Ci muovevamo come pesci di notte in un acquario. Eravamo pi caldi e pi lenti. Stupidi anche noi investigatori. La strada invece si era totalmente rinnovata. Imbellettata come una ballerina. Anche Ietta era venuto fuori a guardare coloro che eseguivano i suoi ordini, intervistando i passanti, senza microfono. Adesso, in strada, dopo la pioggia, erano spuntati banchetti di oggetti etnici proprio sul marciapiede di fronte, davanti ai nostri occhi da pipistrello; gattoni di caucci acciambellati, giraffe con il collo di tek, batik stesi su teloni di plastica trasparente. Hai visto i negretti, dimmi, hai visto? Ieri da quelli abbiamo preso una bella commedia americana appena uscita in sala. Non mi ricordo il titolo del tarocco, cera quellattore l, quello bello che fa la pubblicit; sai quale, no? Quello! Mia moglie ci perde la testa, come si chiama? lei che lha preso quel film, perch io, mai. Il capo fumava ed era impercettibilmente su di giri. Dieci anni fa. Non ricordo bene la tecnologia che ci abitava dieci anni fa. Videocassette. Senzaltro. Qualcosa gi cera e forse gi mi stupiva. Ietta disse che avrei dovuto considerare una fortuna il fatto di essere da solo in citt, perch ci sarebbero stati di certo degli orari di lavoro pi pesanti nei prossimi giorni. Le mogli non sempre tollerano certi strascichi, disse il capo, e sulla parola moglie fece una pausa respirando e spingendo il collo
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indietro. Solo lavoro, molto lavoro? Nessun problema per me. Beato me. Beatissimo me. Qui la faccenda grossa andava ripetendo, bucando con la penna le pagine dellagenda. Ne era sorpreso. Ci sono casi che ti piacciono e altri che non ti piacciono. Casi ordinari e casi straordinari. Il nostro lavoro non sempre uguale. Sul tardi un furgone metallizzato tir il freno a mano proprio davanti al negozio. Ne scesero due tizi robusti con zuccotto di lana. Non erano infermieri; venivano dallobitorio, credo, per portar via il cadavere. Non guardai il corpo che se ne andava; del resto, da quando era stato coperto, gi non cera pi. Fecero in fretta, mentre la polizia teneva lontano i curiosi allargando le braccia. Il sangue rimase. Il sangue non si lava. Il medico legale, Madame Bisturi, era andata via molto prima. Si sarebbe interessata successivamente delle altre analisi sul corpo, aveva assicurato. Il cadavere di un uomo non resta a lungo; ha sempre fretta di scomparire, sia a causa di chi lha fatto fuori, sia per il pudore di chi lo guarda. C poco tempo, quindi, per guardare un cadavere, tanto quanto ce n per guardare davvero se stessi. Lidea della morte un piccolo scalino non visto, un vuoto daria rapidissimo, il dislivello. Dura un secondo. Non mai attuale, contemporanea, perch il corpo si trasforma subito, gi nelle sfumature di colore, e la morte diventa immediatamente una cosa del passato. Per non parlare dei percorsi che fa il sangue quando finisce fuori. Fasi diverse. E lodore, poi? No, lodore nuovo arriva soltanto dopo, non veloce come la morte. Quando ce ne andammo, aveva ripreso a piovigginare. Con minore rabbia, come a recuperare fiato dopo una corsa. Dovemmo scavalcare il perimetro critico segnato dalle strisce di plastica con le diagonali bianche e rosse, che sfregiavano la zona sotto sequestro. Qualcuno le scavalc, altri passarono sotto. Questione di allenamento o di autostima. Per tutta la mattinata non avevo tolto il mio giaccone blu e, solo uscendo, mi accorsi che faceva freddo. Lautista, buon Agrimi, era ritornato a prenderci per portarci in ufficio. Ietta
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disse che andava a mangiare un boccone e poi si rimetteva al lavoro. Mi chiese se volevo assistere allautopsia fissata per il giorno dopo. Mi piovevano gocce dacqua sulle labbra. Lautopsia mi disse. Risposi di no, salvo poi pentirmene un istante dopo. Che cavolo di inettitudine! Mio padre non si sarebbe fatto scappare loccasione. Se ci fosse stato lui, mi avrebbe detto: Nicola, non questo il momento per dire di no, Nicola, non puoi tirarti indietro. Non puoi. Il rischio di vomitare non era una buona scusa per il primo rifiuto. Erano le 15.30, pi o meno, non mi sbaglio, del primissimo giorno. Ci salut anche lAgrimi, che lasciava in garage la vettura dufficio e prendeva la sua Fiat. Allora dottore arrivederci, io vado, ho segnato lo straordinario, va bene, no?, due ore giuste giuste.

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II CAPITOLO

La casa dava ad Otto un senso di solidit; era una sensazione come di una mano poggiata con fermezza sulle reni. Paula Fox

Allora, Nicola? Lhanno ammazzato, vero? Non stata una morte accidentale! E no, certo che no. Vorrei vedere io! Trentotto coltellate! Una cosa di preti? Non possiamo dire ancora. Secondo me s, i preti. chiaro scusa: a quellora il negozio era chiuso e qualcuno entrato dal retro, mentre la vittima spazzava in terra. Hai detto che cera un passaggio interno tra la Curia e il negozio, no? Sono entrati da l. Chi altri vuoi che frequenti una libreria come quella? Cosa vende? Bibbie rilegate in pelle umana? Dai, un caso facile. Non facile, Angela. Adesso cos, al telefono, chiaro! La fanno tutti facile a parole, appena si parla di ammazzamenti. Che fai? Parli come le signore in fila al supermercato? Anzi, ti dico di pi, questa una faccenda per la quale la Procura ci perde la faccia. Fosse una cosa americana mi diresti: non preoccuparti baby, lo prenderemo! Non ti preoccupare: lo prenderemo, baby! Meraviglioso! Ripeto? Baby, baby Sublime. Di nuovo? Se vuoi ? No, basta cos.
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Gi finito? Miseria, che rapidit. Sar complicato gestire i rapporti con la Chiesa. Lo immagino, ci vorranno grandi doti diplomatiche. Brrr Non vorrei essere al vostro posto. I preti sono tosti. Sono peggio dei magistrati. Scusa Senti una cosa: ma la porta, quella interna, era aperta? Bella domanda. Sono lieto che almeno tu ti preoccupi delle porte. Il problema che i carabinieri non saprebbero cosa rispondere a una domanda come questa. Ci pensi? Loro sono arrivati per primi sul posto, e non sanno niente di porte. Pazzesco! Sono arrivati l per una segnalazione di un passante che aveva sentito degli strani rumori. Gi questo, dico io, che cosa si intende per strani rumori, cio? Sono arrivati e non si ricordano se la porta era chiusa a chiave o no, se dallinterno o dallesterno. Sono venuti per cercare i rumori. Assurdo. Ecco, non si ricordano nemmeno se le luci, nei diversi ambienti, erano accese o spente. Quelli, saranno stati in cinque, arrivati a breve distanza gli uni dagli altri, sono entrati l, hanno visto il cadavere e oooh, che spavento! Che orrore! E non ci hanno capito pi nulla. Hanno cominciato ad aprire porte, chiudere porte, accendere luci, spegnere luci. A casaccio. Ma sono pazzi? Era il primo cadavere anche per loro? Non so io, e che ne so? Ma no, dai, non credo. Hanno toccato qualcosa? S, con i guanti per, attenti alle impronte, per carit. Eppure hanno inciso ugualmente sullambiente, hanno modificato lo stato dei luoghi, anche se non hanno lasciato impronte. Mica esistono solo i polpastrelli, dico io! S, buonasera, che credi, per quelli esistono solo le impronte, non sanno pensare ad altro che alle impronte. Altro che facile! Quindi? Niente. Hanno cominciato subito a fare errori. Ecco qui. E non se ne sono nemmeno accorti. Se facevi domande, facevano spallucce. E dire che noi della Procura ci siamo precipitati sul posto prima che fosse troppo tardi. E quelli gi l a far danni! E sei arrabbiato per questo?
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Non so. Dovrei secondo te? No, non credo. E infatti. Hai detto che un tipo ha sentito rumori? S, uno che passava. Lhanno pure interrogato: aveva sentito dei rumori strani provenire dal negozio. La serranda non era chiusa, ma dice di non aver visto niente. Nessuno che entrava, nessuno che usciva. Hanno tirato gi i suoi dati. Per sentirlo di nuovo. Non si sa mai. Sono fondamentali gli ultimi istanti prima del trapasso. O no? Dobbiamo interrogare un sacco di gente. Rumori dice quello, mica urla, no, dice testualmente rumori. Ma come sono i rumori, chiederei io? Sono tonfi, sono sedie spostate sul pavimento, sono oggetti che cadono e si rompono, o cadono ma non si rompono Lhai sentito anche tu quello dei rumori strani? No, ma non conta; era uno di passaggio. Per lui bastavano i carabinieri. Perch non te lhanno fatto sentire? Cos cominciavi a fare qualcosa di serio. Bastano i carabinieri per quello l, ti ho detto Nessuno entrato, nessuno uscito. Hai visto che questione di preti? I preti stavano gi dentro. Quali preti? Non so: un prete. Ma quale prete? Nessun altro elemento? Per ora, nadadenada. Ti ho detto: quello delle pulizie, la proprietaria, le figlie. Basta. Hanno sentito i passanti, perch, chiaro, si cerca qualcuno che frequenti abitualmente quella zona, quella strada, che possa aver visto qualcosa. Perch? Come perch? Per cominciare. C stata qualche dichiarazione interessante, come quella storia della vecchia. C una vecchia? S, una vecchia, ma ci servono ulteriori riscontri. Gi da domani mattina. Per ora piedi di piombo, come avrebbe detto mio padre.
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Tuo padre non avrebbe detto cos. E cosa avrebbe detto mio padre? Non questo. Non so. Tu tendi a modificare linterpretazione della realt a tuo favore. Cio? Lasciamo stare. Senti qui: la cosa complessa, c poco da dire o fare. Ci sar molto da lavorare questa volta, lha detto pure Ietta. Molto da lavorare. Quindi. Allora non torni venerd? Ringraziamo sua eccellenza per questo. Del resto, se lavori lontano da casa lo dobbiamo agli amorevoli consigli di sua eccellenza Padre Nostro. Il tuo. Vorr dire che lavoro anchio il fine settimana. Resto in studio; non torno a casa nemmeno a mangiare. Tanto Ne abbiamo parlato un mare di volte, credevo che avessimo trovato unintesa, che avessi capito che era una mia esigenza. Che mio padre non centra un tubo. Ma dico io: non ti manca il tuo ambiente? Ma a chi appartieni davvero, tu? E chi ha detto che non mi manca? Faceva schifo il cadavere? Il cadavere non faceva propriamente schifo, era invadente, piuttosto. Cio, ti spiego meglio: se c un corpo sul pavimento, non c nientaltro. Il corpo dappertutto. Non che poi il corpo, cos come era, potesse raccontare molto dei fatti accaduti. Uno scempio. Troppe ferite, soprattutto sul volto, fanno pensare a una collera esplosa allimprovviso, al desiderio prepotente di cancellare qualcosa. Secondo te lassassino doveva essere un tipo robusto, cio uno con una buona dose di forza nella braccia? Un uomo. Magari due. Non si sa, non si sa niente. Non si pu dire se stato colto alle spalle, n se si difeso. Se rimasto dietro il bancone dove era o ci finito in un estremo tentativo di salvarsi dalla furia dellassassino. Tutto sommato un cadavere ridotto cos fa abbastanza schifo. Residui organici sul corpo? Tipo sudore, saliva, altre fibre o moccio dal naso? A questo ci pensano i Ris.
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Ma come possibile che in casi come questi non venga mai fuori? Chi, lassassino? No, parlo dellarma del delitto. Ah.

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III CAPITOLO
O fondare lo Stato sulla verit non altro che un bel sogno? Soltanto al cinico la risposta riesce facile. La societ aperta dello stato costituzionale consegnata al nesso prova ed errore proprio perch luomo stesso un essere fallibile? Certamente: e tuttavia, lo Stato non si fonda forse su un minimo di verit, in altri termini, la sua tolleranza non ha forse certi limiti ultimi proprio perch non pu esservi tolleranza senza una corrispondente pretesa di verit? Peter Haberle

La storia della vecchia matta era venuta fuori per caso. Camminava sullasfalto a un fiato dalle auto in corsa. Ciocche stoppose sfuggivano al giogo della crocchia; tende bianche e lunghe fino al mento. Si appoggiava allombrello semi aperto. Le pantofole nelle pozze dacqua, a bere. Tremolante la linea segnata dai passi. In mano un mazzetto di immagini sacre raffiguranti il martirio di Santa Lucia, tenute insieme da un elastico. Da distribuire: una figurina, una parola; unimmagine, una moneta da cinquecento lire. I carabinieri la fermarono perch incuriositi dal suo accento siciliano ancora intatto, dalle grida insensate che emetteva rivolta ai cani randagi e dai santini che aveva in mano. Era indiscutibilmente fuori posto. Lequazione fu immediata: santini = libreria di articoli sacri. Furbastri, questi caramba. Alla vista delle forze dellordine, la vecchia agit lombrello in aria. Io la vedevo attraverso i vetri, dallinterno del negozio, moltiplicata per quattro nellangolo in alto a sinistra della vetrina, tra scheletrici raggi di sole e pizzi daltare. Poco dopo lincontro con noi, quelli della giustizia, come ci chiam, lei cominci a straparlare a voce alta di cose tipo gli occhi perfetti di Dio, vergini innocenti, inconsapevoli martiri. Era colta da ispirazione divina. Se avesse avuto tra le dita bitorzolute e raggianti un pennello, chiss che quadro! A mio avviso, al di l delle apparenze, quella, per lei, era stata una mattina come le altre, fino al nostro incontro.
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Ma attenzione allombrello. Pioveva, quindi la vecchia aveva un ombrello. Normale, daccordo, ma lombrello era sporco di sangue. Sulla punta, sotto la stoffa: macchie rossastre. Cerano delle macchie, lo vedemmo pressoch subito; che fosse sangue si determin solo tempo dopo. Ma questa storia successiva ed meglio non divagare. Macchie, dunque, la cui origine era da accertare. Prima di parlare, la vecchia volle piazzare un santino anche al maresciallo. Ci teneva; non avrebbe detto una parola altrimenti. Se ne stava statuaria con la testa piegata di lato e locchio perso in uno sguardo nuvoloso, con la mano tesa, e ogni tanto dava al polso una spintarella in avanti, in sincronia con il movimento verso lalto del mento spellato: ecco il santino, eccolo, ogni minuto che passava il sacro foglietto si faceva sempre pi tremulo e si avvicinava alla faccia del maresciallo. Il pancione Garzia, sempre lui, sembrava spazientirsi. La fece sedere con tono fintamente categorico, mentre si infilava in tasca il santino stropicciato. Mai rifiutare un santino. Le monete, invece, le teneva nella tasca di dietro dei pantaloni, mettendo Dio e Cesare a stretto confronto, intorno al suo ampio girovita. La fecero entrare nelloscurit della libreria, perch farla parlare con calma a quel punto era diventato importante. Aveva avuto ragione il capo: cercare passanti nel vociare distratto della strada si era rivelata una necessit. Arrivavano i primi risultati, infatti. Seduta allinterno del negozio, la vegliarda bizzarra si guardava intorno con le guance gonfie daria. Sulla pelle aveva una complessa geografia di vecchie efelidi e di chiazze rosse daffanno e gelo. Mi avvicinai. Mi sembrava un atto semplice la gentilezza, ma non cos tanto tintinnante. Lei un giudice? Cos giovane? Giovane come Cristo. Un giudice che giudica. Paura non ce lhai, giudice? Fai male, spaventati giudice, perch bisogna avere paura, sempre. S, ho paura, giuro. Ma lei signora ci deve aiutare. La vecchia parl proprio con me. Mi disse che era originaria di Palermo e che molti anni prima aveva seguito il marito
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lontano dalla sua isola. I pazzi e i criminali spesso sono meridionali. Ancora numeri. Forse in passato, adesso per assistiamo a una strana inversione di tendenza. Adesso non pi vero. Veniva dal sud, ma era diventata matta al nord. La pazzia era di natura meridionale? Non so. Un sospetto, il mio. Le primissime volte nella citt del praticantato, io il sospetto lavevo avuto. Cerano strade che avevano la consistenza di quelle tende plastificate che si mettono intorno alle docce a schermare la vista; quelle coi pesci rossi o le conchiglie, che catturano gli schizzi dacqua, li trasformano in goccioloni e li lasciano scivolare lentamente. Opache, lasciano intuire senza fare vedere, velano il mondo sotto il getto, bollenti su un lato, gelide sullaltro. Isolano un corpo da un altro. Danno lidea dellaltrove pi segreto, lubrico, pericoloso. Parlare di nebbia non bastava in quella citt: la tenda smorta attutiva persino i suoni, lo scroscio dellacqua, la voce, la vita. Cos. A vivere imbozzolati e lontani, il rischio di diventar matti c, eccome se c. Poi, dopo le 20, nessuno in strada: la gente faceva vita domestica, non circolava, si spegneva dopo una certa ora. Mi chiedevo: chi solo che fa? Come si protegge da quel gelo vaporoso? Chi va a trovare un uomo solo, cosa riesce a guardare con maggiore nitidezza? Come si muove nellopacit di una citt cadavere? Faceva paura persino spostarsi da un isolato allaltro. Se laria non concede alternative al cittadino, gi questa privazione si pu trasformare in unarma: o il cittadino esce e si ammazza, oppure esce e ammazza qualcuno. Uno a caso, un barbone, un commercialista, tanto, nella nebbia, la vittima non la si pu nemmeno scegliere; un corpo uguale allaltro, ha la stessa acquosit. Il rischio c. Dicevano che lorigine era da ricercarsi negli Anni di piombo, poi nellarrivo degli extracomunitari. Ma sono balle. la nebbia il movente. Anche il sole per alle volte pu scaldare troppo. Lontano dalla pioggia, al coperto, il tempo lento raccontato dalla vecchia diventava biblico e imprudente, come quello delle leggende. Crederle non era facile, nella pi insanabile di
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tutte le gazzarre possibili. Parlava di un maschio, del suo potere, delle sue colpe. Probabilmente parlava del marito, sepolto in qualche dove, in un qualche momento storico. Era stata abbandonata dai figli, maschi pure loro, in una stanza del centro, in un quartiere da riscontrare successivamente. Faceva pause sui suoi figli e si muoveva, allargava le braccia quasi che sotto le ascelle si nascondesse lo strazio dellabbandono. Conosceva bene la signora Florio della libreria, ma quel giorno non laveva vista. Cos si chiamava la proprietaria del negozio e ancor prima che la vecchia lo pronunciasse, quel nome, mi sembrava difficile da ricordare. Ostile. Del cadavere coperto dal lenzuolo, poco scostato in l rispetto alle sue centenarie ossa stantuffanti, non si accorse neppure, la matta. Dunque: ecco la folle. Si rassomigliano tutte alla fine, cambiano solo i colori. Lavevo detto io che non poteva mancare un folle in una storia cos. Nellindagine era comparso il primo delirio. Laspettavo al varco come una moglie a cui sono noti i vizi del marito. Compare sempre un personaggio alieno in un giallo che si rispetti, uno fuori di testa. Era lei. Le chiesero subito dellombrello, prima di sequestrarlo. Quando glielo tolsero di mano, rimase a guardarsi il palmo improvvisamente vuoto, prima stupita, poi sconvolta. Dalla mano bagnata pass al polso, frugando disperata sotto la manica della giacca infeltrita, poi, risalendo, si tast il gomito e la spalla e infine cominci a piangere. Disse che poco prima era andata a prendere una medicina contro il mal di testa e che laveva appoggiato a scolare nel portaombrelli, posto in un angolo della farmacia adiacente. Si doveva essere sporcato l. Diceva che lombrello era suo. La macchia, invece, non era di sua propriet. Lombrello mio, mio, mio. S, daccordo, ma cosa davvero appartiene a una donna tipo la vecchia? Perch mai uno stereotipo doc come lei dovrebbe entrare in un negozio, un luned senza pioggia, e acquistare un ombrello e uscire di casa il marted successivo, portandoselo previdentemente dietro? Da quando le matte sono previdenti? Una mattina funesta segnata come tale dallacqua? la pioggia che inventa gli ombrelli, non viceversa. Forse non era suo,
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ma lei avrebbe voluto che lo fosse. Ad ogni buon conto lombrello esisteva: un ombrello affusolato, spazioso e serio. Non potevamo fare finta di nulla. Accennammo al cadavere, ma lei pens a un fatto accaduto molto tempo prima. Chi morto? Non vide il corpo. Perch morto? Si pieg in due come tagliata allaltezza dei reni. Ma quando? Cera spazio tra noi e lei, imposto dal suo naso monolitico, puntuto e scuro come un pastello appena temperato, incondivisibile; lo spazio che agita luniverso. Poi le dicemmo che poteva andare, mentre ancora elaborava il lutto con lultima parola rimastale sotto la lingua, masticando, masticando, ruminava con movimenti circolari e tormentati della mandibola, come dovesse ingoiare una pillola contro il mal di cuore. Non le facemmo vedere il cadavere. E la storia della farmacia? Incredibile quella storia! Lombrello e il mal di testa. Qualcosa non mi quadrava. I folli hanno mal di testa? E se sentono dolore, si decidono a curarlo in farmacia? S, forse, perch no, ma non mi quadrava lo stesso. Quella bianca vecchina, sdrucita di lana, non era affatto un punto chiaro. Il gesto dellacquisto di unaspirina un gesto normale, un gesto banale, ma che in apparenza nulla ha a che fare con i santi. In qualche modo era deludente e per questo non voleva convincermi. Ora, lingresso plateale della vecchia nella vicenda, forse il suo farneticare immaginifico, mi avevano fatto pensare a chiss quali altri miracoli. Daccordo: mi ero montato la testa. Per di pi la vecchia mi ricordava mia nonna, il che non era affatto piacevole. Non fisicamente, ma nello spirito, nellansia della lingua. Mi ricordava la madre di mio padre che, rimasta vedova, si era trasferita a casa nostra. Fornello, corridoio, poltrona, letto: il circuito obbligato. Quando la vita si riduce alla semplice geometria di una curva che unisce quattro punti. Mia nonna era morta a quasi centanni, e s che laveva desiderata la grande torta con i due zeri, sfuggita per cos poco! Avevo convissuto con lei tutta ladolescenza, fino a che ero rimasto nella casa dei miei. Senza un capello in testa, ormai prossima alla morte, con il viso ceruleo schiaccia36

to sul cuscino, faceva pensare a un panetto di burro scavato a cucchiate sui due lati. Lunare. Tuttaltro che terrestre per me. Liscia come Dorian Gray, ma molle. Mi ricordo soprattutto gli ultimi mesi, al massimo lultimo anno di vita durante il quale, gi allettata, se intuiva lombra di un familiare affacciarsi sulla porta della sua stanza, iniziava il suo monologo disperato fatto di urli, biascichi, bava e parole scatarranti. Imprecava contro tutti, contro il decomporsi progressivo del suo corpo, mentre la bocca, la lingua, brandelli di neuroni, si ostinavano a rimanere attivi, a corrente alternata. Alcuni vecchi sono arrabbiati, senza piet per quanti sopravvivono loro, e muoiono zuppi di veleno. Poi cera quella sua ostinazione a conservare tutto. A mettere da parte. Le facevi un regalo, che ne so, per Natale, per il compleanno, e lei lo metteva via, senza nemmeno guardare di cosa si trattava. Cosa ? Una camicia da notte? Un paio di pantofole? Grazie e metteva via, con ancora la confezione, in un qualche buco senza fondo dellarmadio. Metteva via, per i tempi bui, per quando ci fosse stato bisogno. E se chiedevi perch, rispondeva che lei conosceva la fame e che la roba non andava sprecata. Nella fase pi avanzata delle allucinazioni da letto, mia nonna mi guardava e credeva di vedere suo marito. Il primo giudice della dinastia arguta, schiantato da un infarto nel cuore della notte. Per questo con me era eccezionalmente gentile, solo con me, con gli occhietti gialli e gonfi da lucertola che le brillavano nel vedermi. Incontri ultraterreni. Giravo a largo, se potevo. Era difficile sostenere quella visione. Se mi vedeva, non vedeva me, ma mi attribuiva un ruolo pesantissimo; di prestigio, lo ammetto, considerato che preferiva me a mio padre per impersonare il consorte. Mi vedeva, si scusava e piangeva. Si scusava per non avermi riconosciuto subito. Parlava rivolgendosi a suo marito, anche se continuava a guardare me; menzionava episodi del passato: un anello di rubini mal ereditato, che una sua sorella rivendicava senza ragione, i fagioli in pignata che bruciavano sul fuoco; una festa da ballo con abiti scuri. Mi sommergeva di racconti sconnessi e vaghi. Mi faceva pure delle domande e io zitto. Poi taceva anche lei, chiudeva gli occhi e mescolava immagi37

ni a visioni, insoddisfatta. Anche lultimo giorno, in tarda serata, mi vide e disse Arturo, quanto sei bello stasera! Mio nonno si chiamava Arturo e non era mai stato particolarmente bello. Neppure mia nonna, per la verit. Quando morta qualcuno ha aperto il suo armadio e si rovesciata sul pavimento una quantit indescrivibile di oggetti inutili e nuovissimi, conservati in centanni di parsimonia. Soprattutto rosari. Legno, vetro, gesso: grani di tutte le fatture. Abbiamo dato tutto alla Caritas. Dicevo. La vecchia chiacchierona, stranezze a parte, aveva ancora in tasca una scatola di Moment; mancavano tre pillole bianche, ma non cera nessuno scontrino. Poteva averle comprate quella mattina stessa o venti giorni prima. Nulla provava nulla. Lei si rigirava tra le mani la piccola scatola con i bordi blu per farcela vedere; le sue dita erano come bastoncini per cibo cinese, orribili. Raccontava della faccenda del proprietario della farmacia accanto, originario della Giordania. Quello che le dava le caramelle allorzo gratis, quando ci passava la mattina. Ma procediamo per gradi. I carabinieri stavano interrogando tutti i negozianti della zona che potessero riconoscere un viso, narrare un gesto utile allindagine. A tappeto. Negozi, venditori ambulanti, il giornalaio, il fioraio, il panettiere, un paio di massaie che facevano la spesa, facce che apparivano abituali. In farmacia per ancora non ci erano entrati e fu la vecchia a parlare per prima dello straniero. Il proprietario era un baffone. Un classico, lesotico col baffo mogano. Inconsueta invece una farmacia in Italia gestita da un giordano. La calotta cranica del Ietta arross di curiosit sotto i capelli. Andate a dare uno sguardo, subito. Vista la reazione del capo, andammo immediatamente in farmacia e la vecchia venne con noi. Accadde tutto in quelle poche ore di luce solare strizzate dallevento. Prima della farmacia, la strada: eccola. Ogni volta che, dopo essermi trattenuto a lungo nel covo del ragno, venivo
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fuori, mi colpiva il riverbero della strada. Era successo pi di una volta quello stesso giorno. Lultimo movimento prima di chiudere la mattinata di lavoro fu la visita dal farmacista. Il cadavere se ne era andato, ormai. Perduto per sempre. Non so se diretto al policlinico o in obitorio, ma ormai era morto per davvero. Non era pi tra noi. Amen. Rimanevano i luoghi e il pensiero di quella faccia di uomo stracciata in pi punti, come un foglio di giornale. La comprensione dei fatti, il corpo e gli eventuali residui da rintracciare sullo stesso, avevano la consistenza dei cubetti di ghiaccio che si sciolgono velocemente dentro un bicchiere vuoto. Come lacquetta sporca e zuccherata che resta sul fondo, dopo aver buttato in gola il resto. Fare presto, fare presto! Tanto il ghiaccio si scioglie comunque secondo i sui tempi imprescindibili. Il tempo continuava a scorrere. Comunque. Daccordo la farmacia, ma la strada, pure, non era un fatto da niente. Il crimine risente del luogo in cui avviene. Lassassinio mi faceva pensare a un colpo di mazza ferrata su una cristalliera con ninnoli di Boemia. Un evento imprevisto, quasi inaccettabile, considerata laura di sacralit che adornava il quartiere. Una bella strada, non un vicolo buio, teatro scontato per misfatti e nefandezze. No. Al contrario. Roba da ricchi. Qui anche lasfalto era lucido. Sar stata tutta la pioggia, ma la strada era pi che specchiante; le massaie carine per forza, di quella media borghesia colta poco prima dellestinzione ufficiale, con piccoli tacchetti lucidi nelle pozzanghere e bimbetti verso la scuola con zaini lucidi. Lucida lincerata gialla delloperatore ecologico che spazzava le rughe ai marciapiedi e raccattava incarti di ex pasticcini alla crema. Il sole rinveniva dal torpore ferrigno e colpiva lucide carrozzerie di auto, da poco uscite dalla concessionaria. Il cadavere grondante, e cos poco lucido, era un affronto bello e buono a un luogo cos elegante. Una novit. Del resto, se avevo scelto quella citt e quel lavoro era per un bisogno di cambiamento. Non mi va di inventar storie sul punto; Angela sa bene come stanno le cose e ancora oggi ci fa
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dellironia facile, quando la nostra vita sembra rallentare e incatenarsi. Mi spiego. Era una forma difficilmente sopportabile dinfantilismo cronico il mio bisogno continuo di cambiamento, che solo da poco va allentando la sua morsa. Un tic che anche mia moglie Angela faticava a tollerare. Era espressione del mio fluire verso. Ho bisogno di seguire un movimento e di ricondurre il nuovo al vissuto, interpretandolo, giustificandolo. Non mi sopporto nella staticit. Tendo al movimento e mi muovo timoroso verso la perfezione, ammesso che sappia riconoscerla. Angela ne ha le palle piene. Non posso biasimarla: lo so che lei terrorizzata dai possibili fuori pista, dal vagone impazzito che deraglia, dalle modifiche al canovaccio imposto. Io invece svicolo, inseguo, e poi riporto, come i cani, la pietra al padrone. Questo spostamento in avanti, o indietro, o di lato, scomposto e vago, comunque, non voleva dire buttare alle ortiche il passato, no, tuttaltro: cumulavo il vecchio al nuovo. Facendone nuove sintesi. Senza perdere nulla. Aggiungevo. Mi tenevo tonico. Sentivo lesigenza di dirmi adesso diverso. La fissit mi svuotava. Lorizzonte degli eventi che tutto ingoia, pure. Sintonizzavo linterno in ebollizione, sullesterno sconosciuto; correggevo il caos e cos stavo meglio. Coglievo le diversit altrui, tutto, tutto il possibile, e lo portavo nel mio buco nero. Ossessionato dagli altri, quanto da me. Eppure, fare quelle valigie, che tanto amavo, nonostante tutto, mi costava fatica, un piccolo pungente dolore. E s e no. S e no, s e no. Troppo difficile soddisfarmi. Che uomo enorme ero, per quanto interessante, credo. Un uomo interessante. S. Comunque. Credo. Non era mai accaduto che rinunciassi. Mi sarei preso a sputi in faccia se fosse accaduto, e subito dopo avrei ricominciato, come un matto. Soprattutto dieci anni fa. Allora ero allo spasimo. Adesso forse va meglio: controllo gli eccessi del vizio di esserci. Ma in quegli anni godevo a pieno di una fretta scivolosa, la mettevo sotto i tacchi, convinto di regalarmi cos un passo pi fascinoso. Dunque dicevo, la strada. La strada dellomicidio era nuova per me. Mi eccitava. I palazzi, alti, antichi, erano infil40

zati dal sole che a tratti compariva, come una scatola colpita dallalto, scoperchiata allimprovviso. Lungo quella strada, sullo stesso lato della libreria, cera la farmacia. Attraente lingresso a vetri colorati. Il proprietario era di origini giordane, ma viveva in Italia ormai da anni. A parte il baffo scuro e locchio di tartaruga, non avrei mai detto che fosse straniero. S, forse qualcosa nellaccento, di vagamente languido, ma oramai c ovunque un tale mescolarsi di colori e suoni e voci, che non ci si fa caso; niente veramente diverso ormai, tutto decodificabile. Dieci anni fa lo straniero era pi straniero. Lui accolse le divise con un certo affanno. Buongiorno. Un affanno reciproco. Buongiorno. Eravamo in quattro: io, due carabinieri e la vecchia. Cercammo subito il portaombrelli; ce lo indic la vecchia, che si voleva fare parte diligente. Era nellangolo vicino alla porta dingresso liberty, che ben si faceva sentire, din din, ad aprirla. Il portaombrelli? Analisi accurata. Attenzione. Il portaombrelli in ferro battuto color canna di fucile era pulito. Non solo pulito, cio privo di macchie. No, era proprio lindo, lustro, tirato a nuovo. Quasi profumava per loccasione. Una giornata di pioggia intensa e il portaombrelli era pulito. Non cerano ombrelli a sgocciolare e questo era tutto sommato normale per il momento, visto che non cera un solo cliente, ma non cerano neppure residui daltre scolature precedenti. Stranissimo. Come era possibile? Le cose erano due: o lombrello della vecchia si era macchiato a contatto con altro oggetto macchiato, contenuto nel portaombrelli, cos come la stessa dichiarava, oppure lo stesso ombrello era gi macchiato e, in questo caso, avrebbe dovuto di certo macchiare il fondo del portaombrelli. In entrambi i casi, il fondo del portaombrelli avrebbe dovuto essere macchiato. Era una questione di forti probabilit. Era ugualmente improbabile, mi pareva, che in farmacia non fosse entrato neppure un cliente nellintera mattinata. A febbraio, pioggia, raffreddori. Le farmacie dovrebbero essere piene come le panetterie al mattino. Strano davvero. Il portaombrelli avrebbe dovuto essere quantomeno un po bagna41

to. Invece il metallo rifletteva le nostre facce sconcertate. Chiedemmo conferma al giordano circa i racconti della vecchia, che dondolava curva ancora sulla porta. Per la verit Il nero delle divise, il bianco del camice; il baffo, lombrello, i colori avulsi dei vetri. Certo che conosco la signora, viene qui molto spesso. Anche solo per scambiare qualche parola. Alla signora piace parlare. Capisce: i vecchi in una grande citt soffrono di solitudine. I vecchi, i poveri e gli extracomunitari sono quelli che soffrono di pi. Noi spesso svolgiamo anche una funzione sociale. Mia moglie soprattutto, se aveva bisogno di aiuto, la signora si rivolgeva a mia moglie. Mia moglie italiana. E cosa vuole che le dica? Come sempre. Mi pare. Una ventina di clienti nella mattinata. Non saprei; uno pi, uno meno. Le pulizie del locale sono competenza di mia moglie, per carit. Io mi devo occupare di altro. Non mi chieda. C una ditta che fa lavori in tutta la zona, banche, uffici, bar, e una impiegata della stessa ditta viene anche qui, nelle prime ore della giornata. S, siamo soddisfatti; ligiene importante per una farmacia. anche un fatto dimmagine, non crede? Hanno fatto le pulizie stamattina presto, credo, mi pare. Ma dove era questa moglie cos essenziale? La farmacia si presentava bene. Tutto ciliegio, anche le scaffalature. Intenso lodore di cannella e melissa. Precisiamo: io non sono un tipo che frequenta le farmacie. Fortuna mia e di quanti frequento con assiduit. Mi curo con la forza del pensiero. Mi sento un po idiota a dirlo, ma cos. Ne parlo poco e solo su sollecitazione diretta. Le medicine, il bugiardino, le polveri, gli sciroppi e le effervescenze: un orrore che alla lunga ti altera il costrutto chimico. Non voglio averci niente a che fare con certa roba. Mi sforzo di tenermene lontano. Si tenga conto che, a mio avviso, quelle ignote malattie degenerative, di cui si pu avere qualche notizia solo su internet o leggendo gli atti di qualche dimenticato convegno internazionale, o per le campagne annuali tipo telethon, quelle patologie chiss da quale nostro personale inverno
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provengono. Quella roba l, secondo me, ti travolge allimprovviso proprio a causa di un inconsapevole, anche lontano, abuso di farmaci. Per debolezza, lurida umana debolezza. Se posso, evito la pasticca. Nutro sotterraneo il dubbio di voler evitare luso del farmaco solo per il timore che scoprirne i vantaggi immediati possa lusingarmi. La via breve. Cerco di non pensarci. Preferisco ripetermi che la malattia non esiste; rinnego il sintomo, rifiuto il malessere. Questa una delle mie sintesi del nuovo, e oggi spaccio questa fissa per forza di carattere. Finch dura. La verit che mi fanno schifo le varie tipologie di malanni, le infinite variabili, soprattutto quelle degli altri, di quelli che si lamentano, sospirano, dicono ahim tutto il santo giorno; considero tutta questa robaccia una colpa, in quanto potenzialmente evitabile con un po di sana prudenza e buona volont. Mio padre, per esempio, non si ammala mai e se capita, a casa festa grande. Non ero in grado di dire se la farmacia in questione era come tutte le altre o aveva qualcosa di esotico o sospetto. In realt mi sembrava come tutte le altre. Non un luogo che sana, ma una qualunque rivendita di cartone e plastica colorata, atta ad ammonticchiare denaro. Tempio del lucro sulle altrui debolezze. S, ma non ero stato chiamato a fare comizi, io. Qui si parlava di omicidio e di imprecisati residui ematici. Ci voleva molto di pi di un comizio a distrarci. La prima furtiva sbirciatina non era stata sufficiente. Salutammo il farmacista dopo quella veloce conversazione, in piedi, come comuni clienti; bisognava liberare la vecchia che si faceva sempre pi curva e nervosa. Ci ripromettemmo di tornare nel pomeriggio, allora in cui era possibile incontrare anche la moglie. Ci serviva la moglie. Assolutamente la moglie. Il capo comment brevemente il nostro lavoro: ritornare. Voleva vedere con i suoi occhi. La moglie era fondamentale. Uno che viene dalla Giordania non mette in piedi una farmacia in Italia se non ha una moglie italiana. La farmacia una cosa di famiglia, diceva Ietta convinto. Ma perch? mi chiedevo io.
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Ci tornammo davvero. Nel pomeriggio il buio faceva dimenticare i cadaveri. La pioggia continuava a punzecchiare. Din din. Ci infilammo dentro la farmacia, dove non pioveva. Impersonavamo, come nei film americani, io il poliziotto buono, Ietta quello cattivo. Cera una donna alla cassa con un ciuffo di lacca. La moglie, fuor di dubbio. Piacente e costruita. Appena un po in soprappeso; anche il marito, del resto, fasciato come un karateca nel suo camice ben cinturato in vita. Entrambi cercavano di apparire rassicuranti, piacevoli, mettendo in mostra le otturazioni. Buonasera. Non cera un cane neppure a quellora, tra le scaffalature di ciliegio. La pioggia era un senso dumido sui vestiti. Guardai il portaombrelli al solito posto, lasciando pigramente che fosse Ietta a presentarsi. Chiese subito del marito: ci teneva a vederlo in faccia; la faccia delluno accanto a quella dellaltra, dal primo allultimo pelo del baffone e della parruccona rigida di resina spray. Lui era nel retrobottega a lavorare e sintravedeva la luce gialla di una lampadina proiettata sulla parete di fronte. Lo chiami, per favore. La donna tentava dinfilarsi la ciocca bionda, dura pi di una pinna di baccal, dietro lorecchio mentre dava voce al marito, piegando remissiva il collo. Ad intervalli parlava di se stessa. Il marito, la moglie, la moglie, il marito. La donna lavorava presso lufficio comunale, nel centro esatto della citt, come un nocciolo di un frutto indigesto. La farmacia in passato era appartenuta alla sua famiglia; dopo la laurea in Italia del marito, aveva cominciato a gestirla lui. Lei ci stava poco a causa del suo altro lavoro. No, non cera un attimo di tempo, nonostante non avessero figli. E da quando uno statale lavora cos tanto? Se non la farmacia, di certo qualcosaltro rosicchiava le ore delle loro giornate. Con sullo sfondo il solito camice bianco del marito, la moglie inanellava aneddoti e quadretti naif di terre lontane, mentre io e Ietta la guardavamo con facce sostanzialmente diverse, che dovevano comunicare differenti emozioni. Comprensione e stronzaggine. Uno solleva il pelo, laltro lo taglia: un rasoio bilama. Si fa cos: il buono e il cattivo lavorano insieme per disorientare e indurre alla verit. Eravamo
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semplicemente perfetti in quel ruolo, mentre premevamo allunisono su tasti differenti del cuore: la lusinga e la paura. S che non residuasse spazio per la fuga. Sia chiaro: io non sapevo nulla della Giordania. Notizie note: 1) Quella storia ridicola, letta chiss dove, che nel Mar Morto un uomo pu galleggiare da seduto per ore, come su una poltrona vibrante, tipo quelle che puoi acquistare in una qualsiasi televendita, grazie al sale di cui sarebbe ricchissima lacqua di quel mare. 2) Il conflitto mediorientale spalleggiato da qualcuno in zona, avvolto dalla striscia di Gaza come da una rigida sciarpa di fuoco, con Davide e Golia combattenti in Filistea mentre la Giordania restava a guardare, ad aspettare la fine. 3) Scontati timori di radicate forme di collaborazione con il terrorismo internazionale, ma soprattutto oggi, che le twin towers sono scomparse dalle cartoline; dieci anni fa neppure quello. La Giordania allinizio del secolo scorso faceva parte della Palestina. Oh, cavolo! La Palestina! Mi veniva in mente un arabo che dormiva accanto a una polveriera, come un pastore da presepio, la notte di Natale. Oppure un sultano ricchissimo con 20 donne e 20 cammelli. Favole e notti che non finiscono mai. La terra santa, le crociate, limperatore Costantino. Due immagini immediate? Il Santo Gral e la benzina da mettere in auto. La Palestina non assolutamente una meta turistica. Non per tutte le tipologie di turisti, almeno. In compenso provoca un bel po di fantasie. La Palestina un mistero illogico con radici antichissime. Un po come la Giordania, appunto. La mia immaginazione osava spingersi al massimo fino alla Turchia; forse allEgitto, l, nei dintorni, chilometro pi, chilometro meno. Informazioni gentilmente offerte dalle agenzie, in vista di viaggi da sogno, ancora mai realizzati. Ho viaggiato, ma non cos tanto. Mio padre molto pi di me, non c confronto; per lavoro e non solo. Lui conosce il mondo, afferma, e io non ho mai avuto motivo di dubitarne, posta la fermezza con cui lo dice. La spensieratezza ieratica di mio padre deriva forse anche dalle sue frequenti
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panoramiche turistiche, dai suoi rapidi giri di mappamondo con amorevoli accompagnatori. I viaggi di pap sono sempre stati un argomento ghiotto, ma difficile. Partiva spesso. Cera poco a casa. Noi di famiglia aspettavamo sempre il suo rientro allaeroporto, con ghirlande di anemoni. Festosamente. Anche noi aspettavamo fiduciosi il nostro personale Santo Gral. Non sbagliava un colpo mio padre. Latterraggio era sempre in perfetto orario. Quindi, noi di casa correvamo come indemoniati per fare presto, fare in fretta e farci trovare ad aspettarlo, come lui era certo avremmo fatto. Gli aerei degli altri a volte subivano ritardi; i suoi mai. Gli altri avevano anche solo dei dubbi a riguardo, lui mai. Nessun dubbio in generale. Eravamo noi di famiglia a dover vincere i nostri personali ritardi nel nome della sua fatale puntualit. Adattarci. Mia madre, io e qualcunaltro vicino a noi, sapevamo che i suoi voli toccavano terra sempre in perfetto orario. Curioso, ma vero. Non ci stupivamo quasi pi. Quando scendeva dalla scaletta con i suoi completi grigio chiaro, perfettamente sbarbato e profumato, senza alcun segno di stanchezza o altre ovviet, metteva un braccio intorno al collo del primo volto amico che gli si parava innanzi, e sorridente commentava: Perfetto. Chi dice che lAlitalia non funziona? E se non era lAlitalia, il succo della vicenda non cambiava. Un nuovo successo da uomo comune. Ma questi erano i viaggi di mio padre, non quelli degli uomini. Un orizzonte diverso e irraggiungibile. Altra storia. La Giordania del farmacista era meno misteriosa di quella di mio padre, tutto sommato. Un tipo come il nostro farmacista, che lascia il suo paese a ventanni, per, che uomo ? Che storia ha vissuto? Con il corpo parla lidioma dei mamelucchi, nonostante ci, avendo fatto scelte molto tortuose, i suoi occhi e la sua bocca riescono a parlare ben pi di una sola lingua. O un tipo che, come me, ama le cose nuove, oppure uno che ha avuto paura ed scappato. Chiss quante volte ha avuto paura. Mi sono subito chiesto come ammazzano i giordani. In altri termini: hanno tecniche preferenziali, lame, scimitarre, fuoco, sputi? Mi si parato innanzi il feroce saladino con le orbite iniettate di san46

gue, e ne sono nate delle domande. logico. Domande anche tecniche, alle volte. Daccordo, i luoghi comuni sono una prigione, chi lo nega?, ma certe volte la testa se ne va per i fatti suoi, e poi cerano quelle trentotto coltellate, quasi tutte al volto, senza arma, senza piet. Dicono che lanalisi della vittima sia utile alla comprensione del crimine. Dico io: trentotto colpi, una rosa di pallettoni in pieno viso non avrebbe fatto di meglio, sono una dichiarazione chiara! Era un cadavere che aveva parecchio da raccontare, quello del Corietti; una vittima che urlava vendetta al cospetto di Dio e procurava una persistente secchezza in gola. I luoghi comuni alleggerivano la tensione e, a quel punto, erano quasi una necessit Immaginavo una mano armata che si alzava e abbassava nella penombra urlante; e zac zac. Che rumore fa la lama che spacca le ossa? Quanta resistenza trova la mano? Quanta soddisfazione offre esattamente codesto tipo di attivit? Aumenta la salivazione? Le mani sudano e scivola via lo strumento? Si produce un odore preciso nellaria? Quale? Miele? Ho letto un libro una volta in cui si affermava che la carne cruda macellata ha lodore del miele. Non so. So che nel frigo dopo due giorni puzza. Non che sono pignolo, che un assassino deve essere proprio determinato per accanirsi tanto contro una parete di carne umana, vibrante, accecata dalla paura e dal dolore. Turbato ero turbato. No, la Giordania non era affatto un pensiero rassicurante, ma in qualche modo ci forniva delle idee. Quello stesso pomeriggio, lungo la strada che ci avrebbe portato fino alla farmacia, il capo mi aveva raccontato lesito dellautopsia. Devastato. Aveva detto. La bocca gli si era storta verso destra bagnando lievemente di saliva il labbro inferiore, mentre con la mano tagliava in due laria segnando i confini di un ipotetico deserto. La scienza medica aveva garantito solo alcuni risultati certi: il numero dei colpi inferti e, poich il cadavere era ancora caldo al momento del ritrovamento, si era potuto calcolare con una certa precisione lorario della morte. Si era guardato poi nello stomaco: cerano
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un caff e un paio di biscotti secchi ancora da digerire. La colazione di chi ha fretta. Nei locali della libreria, messi oramai sotto sequestro, erano stati successivamente individuati schizzi di sangue persino sul soffitto; una macchia a forma di ragnatela, di cui io non mi ero accorto. Violenza inarrestabile. Ietta diceva che se avessimo individuato in tempo accettabile un indiziato su cui concentrare lo sforzo investigativo, avremmo di sicuro potuto trovare dei residui ematici sugli abiti indossati dallo stesso al momento dellassassinio. Avremmo dovuto cercare degli indumenti marchiati, quindi, ma subito!, porca la miseria, subitissimo, con assoluta urgenza. Il colpo mortale, uno degli ultimi inferti, era stato quello al collo. Un orecchio era stato quasi del tutto mozzato. Due ferite di striscio tra locchio e il naso avevano reso irriconoscibile il volto. Si pensava a una arma da taglio lunga almeno dieci centimetri e particolarmente affilata. Ma su questo nessuna certezza. Un tagliacarte? Un cult. Un tagliacarte in una libreria non pu ritenersi fuori posto. Ci sar stato un tagliacarte da qualche parte! Niente: non trovarono niente di simile tra le madonne in campana e i reliquiari. Devastato, diceva Ietta. Dalla sequenza erano stati tagliati i fotogrammi relativi alla lama lucente. Il saccheggio di un volto senza strumento. Senza lama. Eravamo rimasti senza lama. Mi sincupiva persino la fantasia, diventava ossessiva. Ma i giordani sono gente cattiva, vendicativa? Mai capito bene se nel Corano c davvero qualcosa a proposito del Dente per Dente. Mai visto, prima di allora, un vero giordano. Mai letto il Corano. Non aveva senso aver paura in astratto, eppure ero attraversato da brividi dignoranza del tutto incontrollabili. Lambientazione del delitto, la scenografia, lemoglobina dispersa, facevano pensare a una vendetta; alla cattiveria s, come categoria generale, ma provocata da qualcosa di veramente grosso. Non sono poi moltissimi gli esseri umani capaci davvero di vendetta. pi comodo dimenticare. Secondo me. S, ma forse non una regola generale. Al nostro secondo incontro, accanto alla moglie, la voce del marito aveva acquistato un tono da brodino caldo. Era
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evidentemente preparato a un uditorio prevenuto nei suoi confronti. Deduttivo. Seduttivo. Raccontava delle difficolt incontrate negli studi, della lingua italiana, grammaticalmente ostile, ma che aveva sempre amato, che, soprattutto grazie alla moglie, gli era entrata nel cuore. Voleva farci tenerezza il cicciobello musulmano. La sua donna non era araba: era italianissima. Ci teneva a sottolinearlo. Se, nonostante il Corano, si sceglie una donna italiana, ci deve essere una ragione; una certa inclinazione allabbondanza, una certa attitudine alla disobbedienza. La donna italiana ancheggiava in pantacalze arancio. Mediocre icona del peccato. Dieci anni fa il genere pantacalze/aderente/al polpaccio spopolava; era una specie di bandiera per deretani disponibili. Lo si vedeva in giro a primavera, sotto giubbe troppo corte in vita. Ne vedo in giro ancora adesso ogni tanto e, se indossati fuori moda, colpiscono ancor pi lo sguardo e limmaginario. Fortemente evocativa, oggi mi torna in mente la suggestione di quella specie di grossa zucca appoggiata sulle anche, ostentata con orgoglio dalla moglie del farmacista. Mi torna in mente con la precisione dei bordi di un francobollo da collezione. Quanto il suo straniero, corpulento consorte, con le vocali allungate, cos simili alla strada per Amman. Verso le notti di Sharazad. Non era giovanissima la sua donna. Oltre i quarantacinque, di sicuro. Leloquio era tendenzialmente curato, salvo qualche lezioso scivolone che tendeva a esibire con un certo orgoglio, cos come faceva con il fondoschiena. Era abituata a trattare con il pubblico e a imbonirlo. Il tutto era molto rotondo. Il capo chiese qualcosa circa la loro attivit commerciale; notizie soprattutto sulla clientela. La donna aveva gi detto di aver preferito fare altro nella vita. Lo riprecis. Aveva conosciuto il marito in ununiversit del nord. Frequentavano entrambi farmacia. Con la sua famiglia dorigine lei non era mai andata daccordo: litigi, incomprensioni, solite cose. La scelta del matrimonio con un arabo ne era la vistosa dimostrazione. Ma era stata fortunata: lui era un gran marito; s, ne era valsa la pena. Prima avevano convissuto, ma erano studenti, qualche anno in una mansarda. Per capire. Che romantiche49

ria: luomo con la palpebra allungata alla Sharif e la fuggiasca rotonda, soli soletti, troppo vicini al cielo. Era la fine degli anni Settanta. Non volevo fare scelte avventate Sposare lextracomunitario allepoca non era una scelta avventata, no, era la bomba atomica. Quando lui si laureato, io lho seguito e siamo diventati una vera famiglia. Poi cera la questione della farmacia di mio padre. Si poteva ritornare a casa, ma non che fosse una grande prospettiva. La gente ti guarda, fa domande. Ci abbiamo pensato a lungo prima di decidere. Poi pap morto improvvisamente per un cancro alla prostata; nemmeno la mamma stava bene. E cos adesso siamo qui Il marito sembrava essersi scrollato di dosso, come un cane bagnato, un intero patrimonio culturale. Possibile? Ci sono risposte che sembrano un pasto lasciato a met. Il penultimo boccone rubato al cucchiaio. Non mi piaceva la situazione e, dallosservazione attenta della fossetta sul mento del capo, potevo intuire che non era soddisfatto neppure lui. La fossetta si allagava in una smorfia dinsaziet, dinanzi allinnaturale metamorfosi del bacherozzo che si dichiarava italiano dadozione, anche nellanima. La moglie lo toccava di continuo, come fanno i gatti che pisciano negli angoli: gli toccava ora il gomito, ora la spalla, ora la nuca. Come dicesse: mio. Fu per questa ragione che decidemmo di eseguire una giusta dose di intercettazioni telefoniche. Insomma, le chiacchiere non erano bastate in quel clima da favola e si era fatto tardi. Grazie al mio solito intuito da segugio, lavevo capito subito che saremmo arrivati a quello. Non so come lavevo capito, forse per una certa luce pomeridiana tra nuvole cariche e battiti dali duccelli al rientro, in stormi; per le pause del Ietta mentre mi riferiva alcuni elementi di dubbio. Per la coltre di foschi non detti, acquistati in confezione maxi in questa farmacia del centro. Per il tempo che passava e cancellava inesorabilmente le tracce che lassassino doveva aver pur lasciato da qualche parte. Per la fretta. Lavevo intuito dai contrasti.
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Inoltre, cera il fatto dellombrello stranamente macchiato e non cerano pi dubbi (lavevamo accertato nello stesso pomeriggio, friggendo a puntino quelli del laboratorio): erano macchie di sangue, ma non erano dello stesso gruppo sanguigno della vittima, povero cristo. Per la verifica del DNA cera invece da avere pazienza. Comunque, a quel punto, lombrello entrava a pieno titolo nellindagine. Lombrello e il nitore del suo portaombrelli. Il tempo passava, lho detto, e Ietta sembrava perdere a ogni minuto strati di cellule vitali. Aveva in mano solo un ombrello, poveruomo! Le intercettazioni, c poco da fare, sono un ausilio fondamentale a un certo punto. A volte lunico possibile. Subito, la sera stessa. Sarebbero risuonati nella notte, presso la sezione di polizia giudiziaria, i primi squilli, ottenute le autorizzazioni di rito. Perch non si pu fare come ci pare; ci sono dei criteri di legge da seguire e il Ietta era uno preciso. Sempre. Intorno alluso delle intercettazioni ci mangiavano in tanti, come da uno stesso piatto ricco, erano chiacchierate gi da allora. Bisognava andarci cauti. Ma il reato era quello che era; le persone informate sui fatti, dalle prime sommarie informazioni, erano risultate sospette. Si stavano trasformando in indagati. In bocche cucite o ridondanti, tra loro in groviglio. Quindi, le intercettazioni erano uno strumento pi che legittimo, timidezze burocratiche a parte. Inoltre, bisognava stare allerta, poich la stampa avrebbe reso da subito i fatti pi torbidi. Soprattutto se fossimo finiti nelle mani delle donne della cronaca nera. Piet! La stampa, s, la stampa: schiere di pubbliciste agguerrite ci aspettavano al varco. Gi il pomeriggio dopo la morte del tizio, cera addirittura un trio di cronisti con la penna a scatto sotto il Palazzo di giustizia. Un commesso, incontrato fuori dal Tribunale per la pausa pranzo, maveva fatto segno, con il labbro inferiore pendulo, di fare il giro dallaltra parte per non restare sotto il loro assalto. Di qua, di qua, con un filo di voce, e io lavevo seguito lungo la rampa di scale che dal garage portava ai piani
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alti, guardandomi di continuo alle spalle. Fu premuroso, mi ricordo. Brava persona. Se fossi uscito sul giornale avrei detto a mia moglie di comprarlo, ma i giornali non parlarono mai di me; non diventai famoso per quel primo caso. Sui giornali delle settimane a seguire campeggiavano Ietta e alcuni numeri civici della citt. Avevo notato che le reti televisive locali, una volta individuati i luoghi del fatto criminoso, eseguite le prime riprese, continuavano a mandare sempre le stesse esigue immagini di repertorio, acquisite i primissimi giorni. Cos, allinfinito, a ogni servizio. Il tempo si fermava; quasi simpigliava nelle immagini. Sarebbero trascorse le stagioni, eppure, ogni volta che in futuro si sarebbe parlato di via Cardone, quella strada sarebbe apparsa immutata, cos come era stata fermata in quella prima ripresa; stesse le nubi, stessa la luce sugli oggetti, immodificabili i cappotti marcianti, identici i rumori e i visi catturati casualmente. La fama dona immobilit. Un fatto locale, comunque. Non che le reti nazionali si fossero interessate a noi. Al massimo un solo servizio a ridosso dei fatti. Meglio cos, credo io. Ma chi erano i direttori Rai allora? Non ricordo. Gente seria, forse. La stampa pu anche diventare un assillo; bisognava prepararsi per tempo alla sua furia ottenebrata, alla sua fame gialla. Di solito la gola profonda si nasconde tra le forze dellordine. Altro che feroce saladino! Un parente, un amico, e la notizia riservatissima se ne vola via. Non so come stanno davvero le cose, non sono giornalista io! Ma un fatto certo: o le notizie sono pura fantasia, o viaggiano comode comode sulla bocca di qualcuno che vuol fare un piacere a qualcun altro, che a sua volta di certo ha un debito con un altro tizio e via discorrendo. Mio padre s, lui s che veniva bene in televisione; sempre stato un bel mezzobusto. Ma io, con il faccione che mi ritrovo? stato proprio in quel periodo che mi sono fatto crescere questaccenno di pizzo, che porto ancora oggi sotto il labbro. Similcapra, dice Angela. Una capra un po pi vecchia di quella che sono in realt. Fa tanto saggio. Quando poi, dopo anni, ho provato per una volta, a tagliare
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quella barbetta, ho trovato sul mento delle cicatrici, dei segni che non conoscevo; ho trovato un mento cedevole e non pi gli anni che ci avevo nascosto sotto. Le intercettazioni, comunque, sono la parte divertente del gioco; uno spasso. Da raccontare. Quelle intercettazioni, le nostre in particolare, furono un terremoto per tutti.

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IV CAPITOLO

Credi che non sorgano impeti di sentimenti anche in me? Ma io non li lascio scatenare; io li afferro, li domo; li inchiodo. Hai visto le belve e il domatore nei serragli? Ma non credere: io, che pure sono il domatore, poi rido di me Luigi Pirandello

Da quanti giorni? Da una settimana circa che sentiamo ogni parola. Tutto. Mi pareva, infatti bello no? Ti stai divertendo, almeno? Ehi, diventata una faccenda intricatissima, con tutti quei nomi noti che stanno venendo fuori. Mica ci credevo io. E adesso che fate, che dice il tuo capo? Chi lavrebbe immaginata una scoperta cos, eh? Una vera casa di tolleranza avete fatto saltar fuori. Non solo preti. E quella, lorganizzatrice dico, bella quella? Fidati Angela: un cesso. Tutta lacca e culo. lei che gestisce le relazioni, mentre larabo, il marito, cura il libro mastro e tiene lagenda degli appuntamenti. C un giro daffari pazzesco. Non detto che non venga fuori anche lipotesi dellusura. Per ora solo un giro di appuntamenti hard per donne ricche e compiacenti, alcune forse straniere irregolari, ma poche rispetto alle insospettabili nobildonne. Ci stanno in mezzo avvocati, commercialisti, artigiani, studenti. un gran bazar. Guarda, siamo rimasti cos, a bocca aperta. Soldi? Droga? Per ora non possiamo dire, ma chiss. Si divertono da matti quelli l. Al sabato organizzano delle festicciole, in alberghi di lusso o in una villa sulla provinciale. E in Tribunale non si sapeva niente? Figurati! La sorella dellorganizzatrice ci lavora in Tribunale, conosce lambiente, mentre il marito fa il farmaci54

sta. Linsospettabile esotico medicamentoso. Una specie di cura efficacissima, insomma. Da provare! Nicola, ma in che razza di ambiente sei finito? cos, Angela. Non ci credi? Non so. Non ci credi. Quando sei l, mi sembra che tu non sia mai stato qui. Mi parli di cose che non conosco. I mariti di solito non lo fanno. Non ho capito niente, scusa. Non so, stranissimo: quando sei l mi sembra che tu sia un estraneo, che tu non abbia mai abitato nella nostra casa. E quando ritorno, invece? No, allora tutto ritorna normale. Chiss se capita a tutti, dico tra marito e moglie, se capita quando si vive in posti diversi, tu l e io qui; un po pi lontano dal centro di s. Non so se come incontrare qualcuno che non conosci o solo perdere la persona che conoscevi prima. Ma quando siamo insieme tutto normale, hai detto, no? Pi o meno. Minor abitudine. Allinizio, quando arrivi a casa, hai latteggiamento del lord inglese in visita in Italia, sembri a pensione da me. Gentilissimo. Tutto buonissimo, tutto perfetto, grazie, scusa, si figuri, come cortese, come carina. Dopo un po finalmente ti rilassi e ricominci a rovistare nel frigo, a non chiudere la porta del bagno quando ci sei dentro, a buttare la spazzatura ossessivamente, anche vuota. Abbastanza ridicolo. Non pu durare in eterno. Sono educato io. Sei in imbarazzo. No, affatto. E perch dovrei? Non so. Un eccesso dimpegno, forse. Vedremo. Va. Parliamo del morto. Nessuno parla pi del morto, alla fine. Solo del morto, intendo. Per ora niente di chiaro. Ma io te lavevo detto. Cosa mi avevi detto? Niente, niente Cosa, scusa?
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E dai, niente. Lo sai. No, non capisco, cosa mi avevi detto? Di non venire a lavorare qui? Insomma, la solita solfa? Comunque la questione si fa interessante. Alla fine. un territorio interessante quello su cui stai lavorando. Male che vada stato interessante. Qui da noi pi moscio! Ma che centra questo, adesso? Non capisco. Sei nervosa. Allo studio come va? Come sempre: va. Solite difficolt a strappare una pratica al grande avvocato. Non si vede un soldo. Totale accentramento. Quasi quasi mi dedico ai festini anchio, che dici? E basta: sono senza appuntamenti, senza marito, senza figli; che ne dici? Ora vedi che ti combino. Mi manchi molto. E il morto? Allora? Parlano del morto quelli che state intercettando? Labbiamo perso di vista, il morto. Presi da tutte quelle telefonate bollenti. Lo sai che pure il Presidente dellOrdine degli Avvocati, pure lui Ah, e che ne sai tu: ci credi che organizzavano pure viaggi in Thailandia? Ti giuro! Tutto regolare allapparenza. La sezione civile del Tribunale doveva essere uno dei quartieri generali per la moglie del farmacista, che di suo lavorava altrove, per la precisione allufficio pratiche migratorie interne, e magari aveva il suo giro daffari pure l. Adesso ci dobbiamo andare cauti, perch si apre un nuovo troncone dindagine, che non ci riguarder pi, passer ad altri di sicuro. Sar un processo mediatico di quelli veri; una bomba. Vedrai! Ma io fra sei mesi vado via. Figurati. Inutile farsi prendere troppo. A me preme il morto, il mio cadavere. E basta. Prima di andar via vorrei capirci qualcosa di pi. E basta. Almeno quello. Il portaombrelli? Non ne hanno parlato proprio, nonostante noi glielo avessimo contestato. Gli abbiamo messo vicino pure la vecchia, per spaventarli, ma niente. La vecchia matta continuava a gridare come una civetta cieca: il sangue, il sangue!, e pregava in aramaico. Ma niente. Nelle telefonate neppure un accenno al fatto terribile dei giorni precedenti.
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Ma molto strano, non credi? Perch non parlano dellomicidio i farmacisti? E neppure dellombrello? Lo so. Non quadra. Per alle volte che ne sai come sono fatti gli uomini. Questi due sembrano presi soltanto dalla loro fiorente attivit secondaria! Ma che razza di Palazzo di giustizia il tuo? Una fiera. C un magistrato, cinquantanni, separato da un po, con un figlio, credo grande, che se la fa con due donne e non si decide: una segretaria di trentanni, una specie di trampoliere con le piume rosa, e una collega rampante, ma pi matura. Ne parlano tutti, dal caff alle fotocopie. Ci fanno su i centrini. Uno schifo. C puzza di scandalo pure al civile, nella sezione con i magistrati pi anziani, ma quelli, a fine carriera, se ne sbattono. Cos, i pochi che vogliono lavorare e basta, si trovano a disagio. Le donne, soprattutto, non mi far dire. In cortile ci sono fissi i giornalisti. Due giorni fa ne parlavano alcuni dipendenti in garage. Ho sentito tutto. In garage? Si fa diritto penale pure in garage, tra le tracce di copertone? Si fa diritto dappertutto, se vuoi. In verit non posso parcheggiare in garage. Era un caso se mi trovavo l. Non previsto il parcheggio per gli uditori. E dove la metti la macchina nuova? Fuori, a pagamento. Certe volte dentro, ma poi resto bloccato perch non ho il telecomando per il cancello automatico. Resto per ore negli scantinati, finch non passa un cane qualunque e mi fa uscire. Certe volte la sera non passa un cane. E quindi. Passano giusto i magistrati soli, senza famiglia, quelli che si mangiano la fettina di vitello con insalata in osteria con i buoni pasto. Hai presente? Meglio non incontrarli quelli, mi deprimono. Sei pazzo. La macchina nuova fuori? Ma ti prego! Ma la metto in posti tranquilli. Giuro. A pagamento. Ti ho detto. Non la rubano se ci sono le strisce blu. E che devo fare scusa? Sono agli inizi; non ho peso nellorganizzazione generale. Normale, no? Anche se, devo dire, ormai cominciano a riconoscermi quelli della sorveglianza notturna. Dovresti
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vedere come mi salutano, buongiorno giudice, s, mi salutano cos, loro. S, buongiorno! Funzionare cosa? Ma che normale! Va! Sei scemo, sei. Devi farti dare il pass e basta. Non si discute. Tutte queste chiacchiere. Qui, per il fatto che vivi fuori, ci sono un mare di spese in pi, e se ci metti pure il parcheggio comunale I soldi bastano. Dici tu! Se arrotondo anchio con un festino, per, meglio. Magari il fine settimana che non torni; con le telefonate che devi ascoltare chiss quanto lavoro. Non torni, no? Immaginavo infatti. Non ci vedremo nemmeno questa settimana. Che dici prendo il treno e vengo io? Che fai, ridi? Vieni subito, che ti porto sulla provinciale. Poi mi racconti meglio, per. Mo ride sto scemo. Tutto, tutto mi devi raccontare. Altro che ridere. Ch da qui non si capisce niente. Non lo dire a me. Come lo spieghiamo il sangue sullombrello? Ti sembra unassassina la vecchia? No, non credo. Stiamo per intercettare pure le sue telefonate. Da domani. Giacch la tipa, nonostante lapparenza, ha una casettina tutta sua, piena di roba ammassata, e c pure il telefono. Non una barbona come gli altri. I matti mica sono tutti uguali. Certo, non ci sta con la testa, un fatto, ma cha i mezzi suoi. E potrebbero esserci dei nessi. Sai che ti dico? Forse lombrello non era della vecchia, forse laveva raccattato chiss dove. Magari lha lasciato in strada lassassino. E perch no? O forse lassassino lha lasciato in libreria e la vecchia entrata un attimo dentro e lha trovato. Forse pioveva e aveva paura di bagnarsi. Forse non lha visto neppure il cadavere, o forse s Forse, forse, forse. Pensaci! Che dici di un ombrello quasi nuovo, o comunque ancora utilizzabile, buttato per terra, cos, non si sa da chi, non si sa quando, sul marciapiede, nelle pozzanghere. Tu non te lo prenderesti? Io me lo prenderei. Magari lacqua piovana ha lavato via ogni impronta digitale e non si pu risalire
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al proprietario. Lacqua elimina le impronte? Io non lo so. Tu lo sai? Lassassino aveva visto che era macchiato di sangue e se ne voluto liberare. Pu essere, no? Forse proprio quella larma del delitto. Come fai a escluderlo? Come no? Trentotto violentissime ombrellate. Ma va! Diciamo cose serie, che meglio. Magari lombrello era gi in farmacia. La vecchia lha preso proprio l. Allora vieni a trovarmi? Vieni s o no? Ti puoi liberare? Oh, dico a te! Rispondi! Hai udienza luned? Nel caso, ti trattieni anche luned, cos stiamo pi tempo insieme. Bisogna venirsi incontro, lo sai che cos che bisogna fare. Senti un po, ma cosa sapete della vittima? Che tipo era?

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V CAPITOLO
Per un turista lintera esperienza di viaggiare per un paese che gli estraneo viene immediatamente consegnata al passato. Gi nel momento in cui i giorni trascorrono, ha la consapevolezza che quelli sono stati giorni trascorsi a Roma, e giri turistici, souvenir, fotografie, regali, ogni cosa un atto di pura commemorazione. Anche quando il viaggiatore, di notte, giace sul letto sdraiato in attesa di addormentarsi, in quello stesso momento quelle sono diventate le notti che egli trascorse a Roma. John Cheever

Siamo entrati nelle case della gente. Noi eravamo seduti a una scrivania, con intorno i tecnici della polizia giudiziaria, mentre gli altri vivevano, altrove, tra le loro cose, nel guscio delluovo, nella loro segretezza piena, intima, indifesa e rapida, violenta e vera, senza sapere. Ascoltavamo in cuffia voci rauche gracidare dalla cornetta. Uno stagno affollato, pi che un gruppo di lavoro. Perch a quel punto era necessario lavorare in gruppo. Ietta, gran capo, con la mano a coppa sullorecchio, percepiva scricchiolii sinistri e ronzii di zanzare, uniti a parole sconce e diventava una tigre. Pi chiaro, per favore! Pretendeva che noi fossimo produttivi al massimo e magari pi silenziosi. Rispettosi. Lo tormentava lidea di sperperare pubblico denaro. Perch le intercettazioni telefoniche costano un pozzo. Il ministero spediva con cadenza mensile oscure circolari per fissare i criteri di acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico dei privati: costi, criteri, modalit, autorizzazioni, limiti e contenuti tecnici. Un percorso a ostacoli. Stringere, stringere, stringere: era limperativo erariale. Gi da allora. Se la necessit dellintercettazione veniva avanzata in Procura, durante le indagini, ma laccertamento lo autorizzava il tribunale, chi le pagava allesito tutte le spese? Se ne parlava, si concionava su una opportunit o sullaltra, in ascensore, in ufficio, al bar. Pagate voi o paghiamo noi? Chi pi ricco tra i poveracci? E quanto si paga e perch si paga. Scuole diverse. Ragion per cui, si cercava di stringere allosso,
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ch non si raccontasse in giro che noi della Procura eravamo degli scialatori sconsiderati, posta la funesta situazione delle casse ministeriali che, sin da allora, stavano velocemente scivolando verso un impoverimento progressivo e inarrestabile. Con la criminalit organizzata si poteva fare, va bene, non cera da discutere, per il 41 bis si intercettava sempre, ma negli altri casi si doveva valutare attentamente. E non bello essere costretti a discernere. Chi la vuole la discrezionalit? Chi che ci tiene tanto? Noi del diritto no di certo. Comunque intercettammo quelli che sembravano i maggiori indiziati. Osammo perch Ietta era convinto che il caso valesse la spesa, e lo raccontava pure in giro. Osammo e li lasciammo parlare sotto i denti. I maggiori indiziati per primi. Anche se per poco, senza esagerare. Fu uno spasso comunque. Che crepasse lavarizia! La moglie del farmacista si faceva chiamare signora Bourtaki, ma quanti le parlavano al telefono sapevano bene chi era, dove abitava, dove lavorava. Gli interlocutori a volte erano uomini, a volte donne, ma sempre, dico sempre, sembravano grandi amici. Promettevano brindisi con quello buono, vino rosso dicevano, solo rosso, e cera nelle voci ununghia deuforia feroce, che nemmeno il gracidare dello stagno riusciva a disperdere. La voce saliva di tono a ricordare la bionda, faccia puntuta da televisione, che cera stata alla festa del mese prima, a ballare sul cubo. Facevano il nome di Tizio, persona fidata, presentato da Caio, che veniva piacevolmente accompagnato da Sempronio. E gi a gracidare. Tutto un brulicare di nomi senza cognomi, come piccoli vermi bianchi dentro la noce rinsecchita, rotto il guscio. Ma in ordine al denaro cera silenzio. Le frasi si mozzavano sotto lo zefiro di una scure netta. Silenzio e ronzii. Impossibile quantificare la moneta. Impossibile capire, da quelle telefonate, se il giordano era buono o cattivo. Coloratissime le persone nellintimit. Il capo quasi non aveva pi la riga in mezzo alle bande avverse dei capelli, a forza di spazzare con le dieci dita tese sul cuoio capelluto, come un rastrello.
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Erano giorni che eravamo l, girando intorno al circuito interpretativo della legge, come lo chiamano i giuristi pi nobili, tenendoci bassi e polverosi come in un go-kart. Dal sangue allo sperma, versati a fiumi. Ascoltare, ascoltare, ascoltare. La nostra attenzione si era spostata su questa storia dei festini pi che altro per lo stupore. La polizia ridacchiava in capannelli nei corridoi, mentre noi cercavamo di darci un contegno, ma poi, alluscita dagli uffici, temevamo la stampa pi delle trombe e degli arcangeli nel giorno del giudizio universale. Comunque continuavo a non ricevere domande, neppure davanti alle bobine parlanti. Forse le facevano a Ietta, ma di certo non a me. E non ho mai saputo se tra i suoi colleghi ce ne fosse mai stato uno che gli invidiava il caso. Forse lassenza di domande nasceva dallinvidia. Alle volte. Ma no, adesso che conosco lambiente posso permettermi di escluderlo con certezza. Non si invidia uno che ha troppo lavoro, poche idee e la faccia triste. Quel fine settimana, proprio quello delle rivelazioni orgiastiche a sorpresa, venne a trovarmi mia moglie. Come mi aveva promesso. Aveva tagliato i capelli, senza anticiparmelo al telefono. Gi la prima immagine in stazione fu rivelatrice. Se una donna taglia allimprovviso i capelli perch sta accadendo qualcosa. Pi il capello a cui rinuncia lungo e curato, pi pesante la trasformazione. Dicono. Non tagliano i capelli solo perch sono diventati lunghi, loro. Le donne non lo fanno, al massimo spuntano. Le forbici svolgono altre funzioni, che ben poco hanno a che fare con la comodit. A volte lo fanno prima che la novit in questione si palesi, perch sono ansiose, perch vogliono creare allarme o cercano di agevolare il corso degli eventi. Mi stabilizzano teorie consolidate come queste. Ci credo. Ci posso ragionare sopra, adattarle a me. Peccato che la seduta dal parrucchiere costi quasi quanto un collo di visone, altrimenti mia moglie, oh, chiss quante volte. Diciamo preliminarmente che Angela aveva preferito il
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treno allaereo, perch fa snob, diceva, ma io sapevo che era soltanto per risparmiare. Nellultimo anno, quello del risparmio, era diventato un suo bisogno, non so se per colpa mia o, pi probabilmente, per il senso di precariet con cui era costretta a vivere la sua professione di avvocato. Se poteva risparmiava il centesimo e lo raccontava in giro con vanto. Braccino corto, insomma. Non ne ero infastidito, almeno non ancora. Lei risparmiava sulle creme per il viso, ma era bella; era pure giovane e quindi, grazie, il sacrificio non rilevava. Vediamo ai cinquanta, pensavo io. Risparmiava pure sul cibo, anzi sulla singola caloria, ma anche in quel caso la faccenda era pi complessa. Era a dieta. Sempre. Tutta la settimana, escluso il sabato. Il sabato era giorno obeso, da santificare. La domenica, invece, il programma era variabile: decideva la bilancia sulla base del computo del singolo etto. Se si era nei limiti imposti dalla paura, si mangiava, altrimenti digiuno ascetico davanti alla televisione. Sempre a dieta. Avevo conosciuto Angela al liceo, quando era troppo presto. Era amica dellamica di un amico. Una faccia familiare, che aveva sempre altre cose da fare, che si muoveva lesta, troppo lesta. Poi ceravamo rivisti a giurisprudenza, nel momento esatto in cui due individui sentono il bisogno di ritrovare facce note, dal significato noto. Fortuna. Ho confuso, direi sovrapposto, la faccia di Angela alla mia vita. sempre stata bella, bella per tutti. Faticosa per me, tanto, soprattutto per luso spasmodico che fa delle parole, anche quando non parla, le pensa, le sceglie, le prepara, le colleziona, le ripudia e le sostituisce con altre. Ne dipendente. A volte sostituiscono il suo cibo. A volte mi sorprendono, a volte no; sempre mi riempiono. Non ricordo di essere mai stato privo di Angela. Mai. Neppure lei di me. Siamo due figli unici e questo forse incide sulla nostra vita di coppia. Cio, sulle nostre storie precedenti e i nostri corpi, la massa cerebrale e le parole che contengono. Molte delle mie parole, mi secca un po ammetterlo ma cos, erano in origine appartenute ad Angela. Lei il mio calendario biologico. Labecedario. Nello stesso momento, lei pura fantasia e pensiero razionale. Cos, molte delle cose
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che sono o faccio, vengono influenzate dalla sua presenza: una zona di pensiero di misura assoluta tendente allinfinito, screziata da fantasie da muratore instancabile, in continua costruzione, in costruzione necessaria. Dicevo del nostro regime alimentare dieci anni fa. Si faceva la spesa soltanto il venerd sera: carrelli carichi che contenevano gli strumenti del godimento e quelli del sacrificio. Se cera un invito al gioved, si consumava un dramma. Si rifiutava di netto se linvito non celava obblighi sociali o professionali. Se invece non si poteva evitare, la mia donna sarmava: prendeva uninsalata scondita e, ferita dai riflessi smorti della lattuga asciutta, restava nervosa per tutta la sera. Non tentava neppure di contrastare il malumore insorgente con meccanismi di raziocinio, perch lo considerava la giusta punizione. Anche per me. Ma era bella. Bella quanto la mia immaginazione desiderava per sentirsi paga. Ero io lunico capace di non accorgersi di alcuni piccoli cambiamenti, di alcune assenze. Io, il marito. Lunico veramente cieco per forza. Ed era cieca pure lei, ch di s vedeva solo quello che vedevo io. Quel venerd mattina, in stazione, mi piaceva: indossava un completo giacca e pantalone, blu scuro, stretto da una cintura della stessa stoffa. Era linsieme a spingermi a riflettere sul significato della vita a due, mentre lei, lusingata a sufficienza, diceva che la natura non aveva nessun merito e che tutto era frutto dellimpegno. Mi piacevano in particolare alcune cose: come si stropicciava i fianchi della giacca, il fatto che dondolava e faceva sempre segno di s con la testa mentre parlava, il vezzo di allungarsi le dita di una mano con quelle dellaltra. Insomma, da una parte la settimana, dallaltra la sua coda di peccato e consolazione. Solo io conoscevo la consistenza specifica delle sue labbra e della salivazione intorno, quando faceva freddo o aveva fame, o si sentiva cattiva. Credo, solo io. Quindi aveva fame, ma era venerd. Dovevo accoglierla con qualcosa di appropriato al venerd: fibre, verdure bollite, proteine, carboidrati ma non dopo le 14. Se fosse stato sabato? Lei sarebbe stata di ottimo umore e qualunque locale
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avrebbe fatto al caso suo; dalla tavola calda al bar, al ristorante, purch seduti luno di fronte allaltro, a sperperare parole, senza spendere una fortuna. Ed avrebbe mangiato ogni briciola, con voracit animalesca; non sarebbe rimasta in silenzio con la mascella contratta per ore, ma avrebbe chiacchierato di nugelle. Mi piaceva il sabato e quel suo modo da ergastolano di affrontare le portate. Alle comprensibili obiezioni di quanti, anche casualmente, mangiavano accanto a lei, lei rispondeva che il suo non era un calcolo salutistico. Era lunico modo a lei noto per assecondare laltalena della sua anima. Io capivo, gli altri credo di no. Non riuscivo a pensare di dovermi preoccupare veramente per questinquietudine alimentare, perch lei sembrava cos sicura di quello che faceva, cos controllata, cos follemente assurda. Poi, era sempre stato cos. Cera labitudine a venirmi incontro. Lei era mia moglie. Io capivo, io arginavo, io resistevo. Io gi sapevo. Per ai capelli cos corti non ero preparato quel giorno. Si present con la frangetta dritta su quei due soliti occhi cangianti e la sciarpa colorata che sappoggiava giusto nella fossa triangolare della nuca, dove i capelli finivano la loro corsa, come la punta di una freccia in un bersaglio. E qualcosa mancava. Avremmo fatto sesso quella sera. Avevo la piacevole sensazione che si lavorasse nella stessa direzione. questo che rende lamore significativo, credo io. La direzione. Lho vista in stazione e ho pensato che avremmo fatto lamore la sera stessa, ma non perch pensi solo a quello, ma perch non lo facevamo da due settimane. Sarebbe durato poco perch avevamo aspettato troppo. Comunque. Eravamo abituati a farlo con cadenza settimanale, anche se ne parlavamo con pi frequenza. Perch una buona coppia parla del sesso. Questo ho sempre pensato. E noi ne parlavamo, e ci dicevamo che dovevamo parlarne, e parlandone scoprivano elementi nuovi; di conseguenza, convenivamo circa lopportunit di parlarne ancora. Non che fossimo sempre daccordo sullargomento. Limportante era parlarne. Come in molte altre faccende, avevamo deciso di essere un minimo organizzati e cos lo faceva65

mo almeno una volta alla settimana. Parlandone. A volte si riusciva a farlo anche pi spesso, mescolandolo al sonno e ai mezzi sogni, ma era sesso stanco, come diceva Angela. Quando c dietro una buona programmazione, invece, si pu lavorare sul dettaglio: lumore da modificare lentamente, il vestito, i profumi, le candele, le fantasie a seconda dei gusti. Credo. Mi prodigo per questo. Solo una volta Angela mi ha detto che fatica!, e ha aggiunto figlio mio; solo una volta e poi mai pi, ma era sfinita quella volta. Non fa testo. Di solito sa cosa dire e cosa non dire: mandare a memoria quel certo decalogo inevitabile in ogni prolungata convivenza. Quellanno, a essere onesto, la lontananza aveva rinverdito la passione. Una cosa positiva. Lo chiedevo spesso ad Angela: una cosa positiva secondo te? Lei rispondeva s e basta, non argomentava, perch il sesso, si sa, un argomento delicato, ma ancora non so quanto fosse davvero convinta. Comunque, non mi posso lamentare. Quel venerd, dopo aver scambiato giusto due parole di benvenuto, ho avuto la certezza che non fosse occorsa una trasformazione, ma piuttosto che il nuovo taglio di capelli fosse dovuto al suo bisogno che qualcosa cambiasse. Che fosse una richiesta, con tanto di trabocchetto. Una bellezza intimidatrice. Se ne stava davanti a me, piena di aspettative, cos affamata di novit da restare con le labbra lievemente schiuse. Aveva le mani screpolate per il cambio di clima e mise su un po di crema idratante, massaggiandole, insinuando la mousse bianca sotto la fede, al cospetto di un caff rigorosamente amaro. Sentii lodore vellutato della crema per le mani, lo stesso di altre volte, lo stesso di altre sere dinverno, lo stesso dellinfilarsi sotto le lenzuola, lo stesso dopo avere spento la luce, lo stesso dei suoi piccoli movimenti nel letto al buio; odore che mi fece pensare subito a casa. Quando buia, al rientro la sera, appena dopo aver aperto la porta dingresso, prima di toccare linterruttore, quando parla ancora di quello che avvenuto poco prima, racconta di te, proprio di te, ed come sdoppiarsi e guardare il clone; guardarsi da dietro e riconoscersi subito. Mi riport a quellideale di casa che la lontananza inventa o ingigantisce. Pensai che la mia donna,
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scientemente, stesse facendo di tutto per riportarmi da lei. E tra un giochetto e laltro, mentre io svelavo il suo quiz facile facile, lei annientava i miei spazi di solitudine reinventata. Efficace come un vecchio killer. La mia casa in affitto la conosceva gi. Cera gi stata in precedenza, quando ero venuto per la prima volta, per ambientarmi in ufficio e a far pubblicit alla mia faccia fresca da praticante. Durante la serata, messo alle strette, le raccontai tutto quello che ancora non sapeva sul mio morto. Avevamo sentito qualcosa anche sulla linea telefonica della vecchia dei santini. Quella s, che era stata veramente fulminata dalla paura del sangue. In una settimana avevamo intercettato otto telefonate disperate al suo medico di fiducia. La vecchia era convinta di avere contratto laids. La scienza medica non laiutava. Unica certezza per lei: la punizione divina. La vicenda dellombrello insanguinato aveva assunto, infatti, connotati profetici. Il medico cercava di tagliar corto, ma la vecchia era una zecca indemoniata. Dottore, lei mi deve dire se ho laids e cosa posso fare. Al confidente involontario, che chiedeva spiegazioni sulla questione, lei rispondeva di non sapere, di non aver capito come erano andate le cose. Descriveva gli occhi del carabiniere che laveva interrogata e rimetteva lanima nelle mani di Dio. Diceva che il sangue era finito sul suo ombrello non si sa come e che forse lei laveva toccato. Era sangue malato, infetto, sangue di peccatori. Faceva anche qualche smodato riferimento alla clientela del farmacista. Si contraddiceva, si ripeteva. Diceva che l dentro era pieno di drogati e che il sangue doveva appartenere a uno di quei poveri senzadio. Entravano per pietire una siringa, laveva visti e sentiti; conosceva pure la panchina, poco distante, dove andavano a morire. Quindi quel sangue era malato e lei laveva toccato. Purtroppo. Una disgrazia per tutti. Ogni telefonata si chiudeva con unimprecazione e un brusco click. Lei voleva fare subito le analisi; credeva di avere i giorni contati. Il medico esausto aveva finito per darle un appuntamento nel suo studio. Rividi la vecchia qualche giorno pi tardi. Scendeva una
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scala interna al tribunale, passando dal terzo piano al secondo, in pantofole. Il cappotto sfiorava lo scalino appena pi in alto come lo strascico liso di una sposa dimenticata a putrefarsi. Doveva essere stata poco prima da Ietta, che laveva lasciata andar via, senza nessuno che laccompagnasse in quel labirinto di vicoli ciechi che il Palazzo. Un santino le cadde dalla tasca e il rumore di carta che cade fu coperto dal suo passo da cavia in trappola. Davanti al finestrone del piano, incrostato dallo sterco dei piccioni, si ferm. Io invece fui ben felice di proseguire. Non ero il capo io. Crocicchi di tribunale. Mi trovavo spesso a camminare per quei vicoli, in cerca di una via di fuga o di una qualunque alternativa. Non sono luoghi che facilitano la maturazione del pensiero, piuttosto lo riducono, lo frenano. Per corridoi impervi e ingombri di fotocopiatrici e armadi, tra targhette scollate, acquistate e composte per benino con le loro letterine bianche e rimuovibili, destinate a individuare cancellieri ormai in pensione da decenni. Un dedalo mortale, salve poche regole salva vita, note solo a pochi fortunati. Quei palazzi, pur nelle logiche diversit urbane, si rassomigliano un po tutti. Regole cos si possono imparare facilmente e sono universali. Attenzione: un corridoio di cancelleria si distingue da quelli di presidenza per lingombro di divani in pelle. Si tratta di pura segnaletica orizzontale o meglio trasversale. I divani non sono pensati per il personale amministrativo. Se c un divano di pelle, anche consunto, di quella pelle antica, quasi cuoio, che regge il tempo con dignit e magari una vecchia lampada con paralume di velluto rosso cardinale, allora si in prossimit del magistrato capo dellufficio. Bene, perch qui si pu godere della vista esclusiva di quattro leoni rampanti ai piedi di ogni armadio o delle scrivanie, e di un ascensore ormai di interesse storico, eppure ancora funzionante. Un miracolo della nostalgia. Se, invece, sindividua solo qualche poltrona, ma non un divano biposto, allora si al piano dove soggiornano gli altri magistrati. Un paio di leoni rampanti si possono trovare anche l, in via
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residuale. Lunica zona munita di videocitofono e controlli virtuali quella della Procura della Repubblica, peccato che spesso il citofono sia solo un monile prezioso appeso alla parete, esclusivo ma non funzionale, e la porta resti sempre aperta. A chi bussa, nessuno chieder chi e se qualcuno, per caso o progetto, nasconde uno o pi ordigni sotto il braccio, invece di un fascicolo, nessuno ci trover nulla da ridire. La guardiola rimanda auree luminescenti e miraggi da Sahara: non ci passano neppure quelli delle pulizie alla mattina. Diversamente, se sinciampa in cassettiere, cestini gonfi di fogli appallottolati e bicchierini di carta, si giunti in una cancelleria. Ad ogni snodo riposano almeno tre fotocopiatrici rigorosamente spente. Ultimo girone: lufficio del consegnatario economo. Qui troverete solo ammassi di mobilia in disuso e resti di personal computer Ibm, di vecchissima generazione. In genere a questo punto della corsa, si quasi presso gli archivi, le stanze dei tecnici informatici, il garage e i suoi topi domestici. Quali esalazioni e con quali effetti siano costretti ad assorbire gli allocati resta ancora un mistero. Io avevo gi appreso i trucchi del mestiere, bench residuassero ancora terre praticamente sconosciute, corridoi che non avevo percorso mai e forse mai avrei percorso. Chiss la vecchia in quale anfratto tra questi si era smarrita quel giorno. La vecchia si era persa, mentre la moglie del farmacista non avrebbe avuto di questi problemi. Per lei era diverso. Lei era dellambiente: andava a trovare di frequente la sorella nel suo ufficio al terzo piano del tribunale; conosceva persino le uscite di sicurezza da sfruttare per pause caff allungate fino allinverosimile. Non avrebbe avuto un ruolo ufficiale nelle nostre indagini, poich non era presente in farmacia il giorno del delitto. S, avevamo verificato: la donna era a ronzare dietro il suo bancone per le relazioni con il pubblico, in Comune, dove lavorava ogni giorno dalle 8 alle 14; trentasei ore alla settimana. Il dirigente amministrativo conferm guardando il registro delle firme del personale. Pare che fosse
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molto ligia ai suoi doveri: mai un giorno dassenza in pi, rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo; oltremodo gentile, disponibile, efficiente, riservata. La sua restava comunque una posizione assolutamente privilegiata per tenere la situazione sotto controllo. Aveva conoscenze in tribunale utili a carpire notizie sullo stato della procedura che vedeva coinvolto il marito. Che ci fossero in giro individui che non potevano permettersi di dirle di no, ormai era chiaro. Il punto era che, n lei, n noi, eravamo ancora in grado di dire quanto il marito fosse coinvolto nella vicenda del nostro morto ammazzato. Magari la donna temeva di essere convocata in Procura da un momento allaltro, e invece, noi, burloni, convocammo il marito. Il marito per cogliere anche la moglie. Aprire un toast a met e annusarne solo una fetta, per intuirne loriginario ripieno. Una cosa di questo tipo. Tanto altri, dopo, avrebbero fatto della procace impiegata ministeriale carne da macello in altre indagini. Forse. Per intanto la signora Bourtaki rimaneva vigile e rotonda. Mi compariva davanti allimprovviso e di continuo, ovunque. In tribunale, e non solo. Buongiorno dottore, e io rispondevo, ma la bocca mi si stirava stramba, sagomando una smorfia senza senso. Che ci faceva l quella santa donna? Era sempre tra i piedi con il suo enorme deretano. Io, marmoreo, non rispondevo alle provocazioni. Avr pensato che ero timido. Ma tanto non faceva differenza. Non ero il capo io. Cos convocammo di nuovo luomo della Giordania, buono o cattivo che fosse. Era stato fisso in negozio la mattina del crimine. Non bastava. Volevamo sentire da lui se nel giorno dellomicidio aveva visto tipi sospetti. Volevamo vederlo scomodamente seduto in una delle nostre scomode sedie in Procura. Ancora e ancora, volevamo porgli le medesime domande. Quali tipi sospetti? Quali? Come quali? chiaro quali. Per esempio, tipi che sembravano far uso di sostanze stupefacenti, tipi sopra le righe, tipi che vanno di fretta, tipi che sembrano aver voglia di nascondersi, tipi con laffanno, tipi lenti come lumache,
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tipi mai visti prima, facce che si ricordano o facce che si dimenticano. Insomma: tipi che ti danno una certa idea. Non so bene quale. Unidea in qualche modo irregolare. Lo straniero aveva gi detto che non ricordava niente di strano, ma volevamo che ci pensasse meglio e pi a lungo. Dai, pensa, forza, parla. Qualcuno era entrato e non aveva detto buongiorno? Quella mattina aveva incontrato un tipo maleducato? Che ne so. Oppure uno che aveva detto buongiorno troppe volte? Un tipo gentile, lezioso, scontroso, un timido, un indeciso, un distratto, uno di poche parole o un chiacchierone. Largo ai particolari. La memoria va stimolata, stanata, perseguitata, perch sputi fuori qualcosa. Fanno cos gli investigatori, cavolo! Aveva visto uomini, donne, bambini, ragazzacci, magari preti? Bisognava riflettere. Quanti i soldi rimasti in cassa alla fine della giornata? Erano stati venduti oggetti poco richiesti, inconsueti: una sputacchiera dargento, un alambicco di rame? Forza, concentrarsi, forza! Le domande piovevano come una batteria di proiettili. Bellesempio di ritmo e jazz Ietta al lavoro. Ciononostante i risultati erano scarsi. Il farmacista balbettava e tirava fuori inutili interlocuzioni arabe da chiss quale bagaglio. Il colpo finale fu inferto quando il capo gli chiese di depositare la copia conforme del suo titolo di studio e della licenza allesercizio della professione. Stoccata dartista. I baffi tremarono. Linterrogato chiese subito un decaffeinato, che gli tirasse su le borse da sotto gli occhi, calate come il risvolto di una coperta sulla sua faccia forestiera. Passammo poi ad analizzare i rapporti esistenti tra il giordano e gli altri. Conosceva bene la proprietaria della libreria, non aveva difficolt ad ammetterlo. Un giorno la figlia pi piccola era caduta con il motorino allangolo della strada e lui laveva medicata al gomito, su richiesta della madre. Solo un graffio. Erano corse da lui entrambe, madre e figlia, e lui aveva procurato loro del disinfettante e della garza adesiva. No, non erano stati necessari punti di sutura. Non si era fatto pagare. Il gentiluomo. La bambina aveva ringraziato, pulendosi il naso con il dorso della mano. Pareva strano a tutti noi che la vedova non avesse in negozio un armadietto del pron71

to soccorso. Facemmo controllare. Cera, ma era vuoto. Vita difficile quella della vedova. Vita di lacune. Il ragazzo delle pulizie invece no, il giordano quello non lo conosceva. Facemmo notare che non era un ragazzo e lui ribad: non lo conosco. Ma il capo non era convinto. Si vedeva chiaramente che non aveva voglia di mandare via il farmacista, che se lo sarebbe voluto tenere a lungo in stanza, a lisciargli il pelo fino a conquistarsi qualche elemento di conoscenza in pi. Del resto, cosa avevamo per le mani al momento? Una vedova, una vecchia, un farmacista, una donna sferica e un morto di morte violentissima. Non molto. Linterrogatorio jazz dur circa tre ore, tra luci e ombre. Ebbe un ruolo non da poco la conoscenza della lingua, luso delle parole, la quantit e la qualit delle parole. Vuoi mettere Ietta con il giordano, per quanto riguarda luso del vocabolario della lingua italiana? Non cera gara: chiaro. Quello di Ietta era uno strapotere, era vincere facile. Alla fine, il mamelucco non lo ammise in modo netto, ma si cap che conosceva la vittima. Venne fuori che il farmacista conosceva bene gli orari delle pulizie in negozio e che, soprattutto, sapeva che lo sfortunato garzone di bottega non si occupava soltanto di tenere lindo il negozio, ma dava una mano. S, dava unimprecisata mano alla vedova con figlie a carico. Non si riusc a strappare niente di pi. Come lo sapeva? Ci aveva parlato? Quando, quante volte, perch? Il farmacista sinchinava e negava, negava e sinchinava. Ma perch certi musulmani si inchinano tanto? Deve essere un fatto di liturgia del male oppure di teatro. Alla fine delle favole nemmeno una sigaretta. Erano ben poche le cicche ai nostri piedi, troppo poche per lo squallido noir che andavamo sviluppando. Avrei immaginato di camminare su un tappeto gommoso alla fine dellinterrogatorio. O nella nebbia. Macch. Mi sbagliavo. Quello del fumo, lho gi detto, un mio pensiero ricorrente, come anche quello delle medicine. Mi interrogo sul suicidio non violento alle volte, sulle sue trasformazioni. Il tempo trasformava i tabagisti e i loro ambienti, infatti.
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Nessuna nuvoletta intorno alla chioma nera pece del musulmano convertito. Ho pensato fosse strano, ma non lho detto. Del resto un farmacista non pu fumare davanti alla clientela. Per coerenza, almeno, non dovrebbe. Questo, per di pi, si dichiarava musulmano e salutista! Non beveva alcolici e non mangiava carne di maiale. Lui coltivava ben altro genere di passatempo e aveva preferito trascorrere le sue tre ore di agonia giudiziaria mordendosi le unghie. Sia chiaro: io sono molto attento ai dettagli. Riducono luniverso a uno spettro di significati accettabile anche per un uomo. Linsieme disarma. Di un soggetto guardo un piede, se capita, lanello al dito, il bavero rialzato della giacca. Di rado linsieme conta davvero qualcosa, come in una facciata di cattedrale barocca, ci che svela la minuzia. Mi accade anche con Angela, con il colore del suo rossetto. Quella volta lei si trattenne fino al luned sera; poi prese un treno della notte. Pendolarismo lo chiamano, e fa pensare a una inusitata patologia tendinea, una cosa che riguardi un piede o un ginocchio. In realt rende bene lidea del movimento oscillatorio che, dallalto, ha netta la certezza della discesa e, dal basso, feroce quella della risalita. Stessa la partenza, stesso larrivo. Con continuit. Una noia mortale che finisce per cancellarti sia qui, che l. Per esempio, se ti capita la Calabria per penzolare sullo stivale, sei un uomo morto. Va detto, i pendolari non sono tutti della stessa specie. Al momento i pi tristi sono proprio i calabresi. C solo un pullman che trasporta frotte di studenti rassegnati allisolamento come bovini in carri di legno. Prima nemmeno quello, quindi per i bovini calabresi quel rappresenta una conquista. Tra gli studenti qualche vecchia coppia che, dopo essere andata a trovare un figlio, tenta di tornare a casa e borbotta per tutto il viaggio in un calabrese arcaico, rabbioso, crespo. E poi ci sono questi loschi figuri che gestiscono il mezzo in regime di monopolio assoluto e fanno salire tutte le bestie che gli gira, a prescindere dal numero dei posti disponibili. Comprare il biglietto in anticipo in una qualche agenzia una beffa per allocchi, ch al venerd sera tutti i fuori sede vogliono torna73

re a casa e ci tornano comunque. A qualunque costo. Del biglietto non frega a nessuno, si fa dove capita, come capita, se capita. La Calabria doggi li ha addestrati a costi altissimi e allindifferenza. Scuola dura, ma efficace. Nessuna alternativa, nessun treno, nessuna speranza: una sola corsa. Sul pullman gli autisti, un paio, fanno scontrini ridicoli, piccoli e sottili come francobolli, e tutti salgono a bordo, comunque, ciascuno diretto verso il proprio inferno, che appare finalmente raggiungibile: centocinquanta uomini per sessanta posti, uno sullaltro, schiacciati sul pavimento, sugli scalini interni, le femmine sulle cosce isteriche del riccioluto brufoloso di turno, vicino di casa. Testa bassa: la polizia non deve vederli. Se il pullman riesce a decollare davvero, i ragazzi applaudono lautista. Nessuna azione, nessun contributo personale volto alla costruzione di un qualche futuro prossimo, se non la magra soddisfazione del momento. Chi protesta un nemico, un pazzo, un piantagrane. Gli altri se ne stanno a bordo per cinque ore gomito a gomito, gomito in bocca, ginocchia a ginocchia, ginocchio in bocca, schiamazzanti e incomprensibili, senza nessuna certezza circa la progressione delle fermate; gli autisti, infatti, fanno il percorso che gli pare e se non gli va pi di guidare, fanno scendere tutti i passeggeri con i loro valigioni, per un ipotetico cambio del mezzo, anche in amara campagna, tra i lupi della Sila. Sono questi traumatizzati i futuri professionisti della Calabria da non abbandonare: ventenni che se ne stanno muti, purch si parta e si arrivi. Specie a Natale e Pasqua. E che vuoi fare e che vuoi dire. Il clima quello della cecit mafiosa, che del Sessantotto ha fatto tanti piccoli fal da spiaggia, e gi a ridere. Quando ti abituano a tutto, lorrore fa ridere a crepapelle. I profughi felici, innamorati persi dei loro carnefici, arrivano a Rossano Calabro in piena notte, si spera, si prega, mentre pi di un padre aspetta il proprio figlio al buio, in macchina, con un plaid sulle gambe. Vivono pi in fretta degli altri uomini, i pendolari, ecco il punto. Sono distratti. Portano pietre da un luogo a un altro come galeotti.
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I vani in affitto si svuotarono presto della mia Angela, lasciando qualche scolatura in fondo alla bottiglia di vino rosso, una spazzola sul bordo del lavandino, la copia del quotidiano mal stesa sulla poltrona, i bastoncini di crusca in una confezione trasparente, chiusa con un cordoncino di ferro filato intrecciato, nascosta in credenza. Lasci la sua eco. Da non credere, ma laggirarsi in una casa con la coscienza grave che altrove qualcuno costretto a vivere senza di te, rimanda suoni sinistri, quasi che i pensieri, pensati troppe volte, restino intrappolati tra le mura domestiche e ritornino a formularsi in modo ossessivo, fino ad acquisire un suono autonomo. Da diventar matti, come cavalli, se gi non lo si . Particolari, dicevo. Condividevo la tecnica di Ietta: grattare la patina superiore dalla glassa che offusca e irrigidisce la memoria, partendo dal dettaglio e da quello ricostruire momenti, ore, intere giornate. Audace sempre; efficace soltanto a volte. una tecnica dindagine che ho appreso e riutilizzato in molte circostanze. Il ritmo fa la differenza e, onestamente, ho qualche difficolt a riprodurre proprio quel ritmo specifico, quello e non un altro, quello del gran capo Ietta. Mi spiego meglio: allinterrogato non bisogna concedere respiro. Dice Ietta. Nemmeno per un solo istante. Una gragnola di interrogativi che gli aprano la testa a met. Io invece non resisto: se il tipo sotto pressione chiede un bicchiere dacqua, per esempio, non riesco a dire aspetta cocco mio, e proseguire. Io il bicchiere non glielo nego e nellacqua annega la memoria del particolare, proprio quella che stava per emergere. Il mio, pi che un buon jazz, un valzer, sicuramente un ballo di coppia; spero di qualit discreta, ma pur sempre un valzer. Moderato, meno imprevisto. Pi regole fisse. Di solito sufficiente il mio valzer. Daccordo, pu capitare la roccia, luomo che niente smuove, il bronzo, limpenetrabile o lassassino; pu capitare vero, ma sono eccezioni. Sul resto della materia umana si pu lavorare con moderazione. Se uno non vuol nascondere nulla, perch dovrebbe fare resistenza? La resistenza, il pi delle volte, non un fatto con75

sapevole e perci ci si pu lavorare. Pu capitarti tra le mani lassassino e allora s che ci vuole la botta di jazz per spaccare in due il torrone di una personalit che cerca di tenere insieme i pezzi con tutte le sue forze. Ma da cosa lo riconosci un vero assassino? Come si interroga un assassino? Potrebbe essere addirittura pi facile, considerato che in certi casi non c pi nulla da rompere, tutto gi in frantumi. Ma poi, diciamolo, su mille individui da interrogare, quanti di questi sono assassini? E allora? A che serve tutta questa cagnara? Comunque sia, io ho rispetto per le pause degli altri e questo spesso mi frega. Mi ha addestrato mia moglie. Nella nostra danza, lei guida, io seguo, e sono un grande in questo. Mica tutti. Il nostro un tango, un complicatissimo tango; volendo proseguire con la metafora: balli di coppia. Ho bisogno di una compagna. Lincarico lontano da casa fu un mio gioco di gambe imprevisto, una fantasia a cui lei non era preparata. E per questo la mia compagna invent subito la sua variazione. Lho detto, lei non tollera gli imprevisti, forse perch ha vissuto tutta la sua infanzia e parte delladolescenza in piedi su un cornicione, a sfidare folate casuali. I suoi genitori, perennemente prossimi a una separazione che non ha mai smesso di annunciarsi come la pi cruenta vista nella storia delluomo, erano il vento; quei due burloni non le hanno mai svelato i loro piani, ammesso che ne avessero, lhanno lasciata da sola ad aspettare la fine. Ma lei parla di rado di questo: il suo cornicione ventilato se lo tiene dentro. Ricordo bene il suo gioco quel venerd. I suoi occhi, la sciarpa, quello che mettemmo in bocca e la sua richiesta di avere un figlio. La sua variazione. Ecco. Questo non era un dettaglio. Ne avevamo gi parlato, in generale. Quanti figli vuoi, cosa faranno da grande, quali le scuole. Roba cos. Ma prima era diverso. Era un discorso equilibrato, mentre si mette in tavola per due. Non una colpa da confessare. Allinizio sapevamo che far figli era una delle possibilit, avevamo la percezione del tempo e ci sentivamo ancora qualcosa che diventa, che pu diventare, ma non . Era molto diverso. Adesso si trattava di mettere
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davvero un nuovo peso sul braccio della bilancia e ricercare un nuovo equilibrio. Non era solo un fatto di ormoni primitivi da assecondare. Quando ne parlammo, sembrava scaduto il tempo a mia disposizione. Mi venivano in mette le bolle di chewingum e fiato, che scoppiano sulla faccia stranita e ti si appiccicano fino al mento. La mia sorpresa non sembrava contare molto per Angela. Era determinata: avrebbe smesso di prendere la pillola da un momento allaltro. Ecco, non sapevo far calcoli, ma lavrebbe fatto. Quando quel fine settimana Angela venne a trovarmi, facemmo un buon sesso, pieno di dettagli: lei mise una cravatta nera, e per me le cravatte nere fanno sesso, io bruciai qualcosa nellaria, ma non avendo con me lattrezzatura adatta, usai il fornello a gas in cucina e prese fuoco lintero pacchetto di bastoncini profumati; cos che oggi non ricordo pi che odore avesse quel momento e questo mi spiace. Facemmo sesso con una cravatta come piace a me e con un profumo qualsiasi come piace a lei. Fu di venerd che mia moglie mi parl dei figli che avremmo dovuto avere. Di questa necessit. Io avevo da lavorare, cerano le indagini da chiudere; non che avessi molto tempo da dedicare a certi progetti. Lo dissi e lei nemmeno mi rispose. Non era come le altre volte. Non rideva di me. Parl per quasi unora di filato, quasi a voler dare un segno nuovo e segreto ai suoi desideri. Mi parl, mi parl, e le sue parole erano, a ogni ritorno, diverse. Tra le sue preferite ne erano comparse due nuove di zecca: episiotomia e placenta; le ripeteva di continuo usando fiumi di saliva. E poi, cera il fatto che aveva tagliato i capelli. I capelli e le parole: non potevo non intendere. Non so bene se quello che voleva erano davvero dei figli o piuttosto rimanere incinta. Il suo sembrava uno spasimo fisico. Un sacco vuoto da riempire. Questa la riprova: la curiosit muove il mondo. Dei figli non si sa nulla prima che nascano, ma di quello che cela veramente la biologica opportunit di riprodursi siamo tutti curiosi come scimmie. Accada quel che accada.

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VI CAPITOLO

Sono sicura che mio marito se ne andato. Mi aveva avvertita. Non gli credevo. Lui mi aveva incoraggiata a fare questo pellegrinaggio. Doveva sapere che quella offesa mi avrebbe fatto riflettere meglio di qualsiasi discorso che lui mi avrebbe fatto. Scopro lo scacco e le mie lacrime non servono a niente. Tahar Ben Jelloun

Quindi c un legame. Un legame? Ecco. S. Probabilmente la vittima ha frequentato la farmacia. Dobbiamo sentire di nuovo la proprietaria della libreria a questo proposito. E pure i preti? Va bene, pure i preti. Chiss come uscir Ietta da questo labirinto. Bella signora la moglie, non credi? Elegante. Chi? La moglie del capo? Non mi sembra; non mi piace il trucco che usa. Troppo viola. Io non mi trucco. Infatti. E se mi volessi truccare? Vedremo, magari poi mi piace. Stasera gioco. Stesso squadrone di mercoled scorso? No, magistrati contro polizia penitenziaria questa volta. Comunque tutta una questione di soldi. Cosa, il calcetto? No, ma quale calcetto. I soldi, se ce li hai sei pi bella. Con la squadra degli avvocati il mese scorso abbiamo perso, ma abbiamo perso proprio male: quelli con noi fanno allenamento e non mi piace. Poi stasera manca Antonio, quello bravo, ti ricordi? Quello della cancelleria civile. Siamo di meno. Mancano le figure chiave. Non vale cos. Quegli altri hanno tutti trentanni, noi di media ci aggiriamo sui cinquan78

ta. La prossima volta, se cos, resto a casa, ch non ne vale la pena. Attento ai crociati. No, non forzo pi come un tempo. Lo sai. Anche se gli avvocati giocano sporco. Dopo che mi sono fregato i legamenti, rotto un dente, e la pallonata nella palle Lo sai che giochiamo alle 22.30? Perch uno di noi deve prima mettere a letto i figli; due figli piccoli, entrambi a letto, altrimenti la moglie non lo fa uscire. Grande compromesso! Donna seria questa qui, che si fa rispettare. Beata lei. Ma come fa? Me la devi far conoscere. Chiss se lei lha fatta lepisiotomia, la fanno a tutte ormai, lo sai? La percentuale dei cesarei spaventosamente aumentata negli ultimi anni. C da dire anche questo. Si persa la naturalit del gesto per paura, per avarizia. Per esaltazione tecnica. Non , a dire: valutiamo prima lelasticit di tessuti, la posizione del feto, le alternative, non che stanno a scegliere, a distinguere, non ti fanno un esame prima. Tagliano e basta, e lo stesso discorso vale per il taglietto da praticare prima dellespulsione in un parto naturale. Che sia un cesareo o un parto naturale, loro tagliano, allargano, si ritagliano una spazio chirurgicamente certo, e basta. Per pigrizia. La fanno e basta. Dicono che si debba fare per sicurezza, ma secondo me lo fanno anche per pigrizia. E che ne so io? Che centra il parto con la follia? Una pazza e basta. Allora in cui siamo costretti a giocare, c unumidit che ti inzuppa. Io non capisco proprio dove sta la necessit Ma dimmi una cosa: cosa ti piace del calcetto, veramente? Lequilibrio e la regola. Tranne che con gli avvocati. Per forza. Sono dei vandali quelli, lo giuro, e poi finisce che si prendono confidenza pure sul lavoro. Con loro viene meno sia la regola che lequilibrio. Sembra una balla zen, lequilibrio e la regola Ma va! Non ci credo nemmeno per sbaglio. Vabb, mi piace un dribbling rapidissimo, che ne so, un tiro al volo, il suono della palla che scheggia il palo e poi sin79

sacca, troppo bello! Mi fa sentire ancora capace. Piacere fisico, questo alla fine. La circostanza casuale che procura un casuale piacere. Comunque, con gli avvocati uno schifo e la magistratura vecchia ormai. Vi vogliono cancellare dalla faccia della terra. E poi chi gli d da mangiare? E chi che ci mangia davvero con il lavoro di avvocato? Non parlo di avvocati come te, ovvio! Parlo di quelli che guadagnano. Quelli veri. Grazie tante! Cos non vai lontano. Non pu essere un ripiego. Il lavoro. Ci vuole altro per te. Tutti abbiamo bisogno di qualcosaltro. Tipo? Ad una certa et il movimento importante. Tu vai in palestra. Tre volte alla settimana, no? E secondo te la palestra pu bastare? Che ne so. Adesso ci vado quattro volte. Ho tempo da perdere per ora, finch la mia vita non si decide a cambiare davvero. E tu invece. Perch non pensi al golf? Che costa molto di pi, vero, ma ti preserva i denti dalla furia dei colleghi. Che ne dici del golf? Eh? Pensaci. Torni venerd? Magari andiamo al cinema. Devi scegliere tu il film, la settimana scorsa ho scelto io, ora tocca a te. Certo. Vengo. Abbiamo rallentato con le intercettazioni. Le indagini stanno subendo uno stop perch Ietta ha altre cose per la testa. Questioni di associazione, mi pare. Sta pensando a fare carriera. Tutto sommato, per lui il nostro un lavoro come un altro. Non come me: io non posso essere stanco. Ha diritto pure lui. Poveraccio. Si macina da giorni sulla stessa storia. Adesso ci vuole la svolta. Ma un lavoro come un altro! Non credo. Che fai? Come quello della corte dappello di Bari che lhanno portato via con la forza e nella stanza caveva appeso il poster di Guevara, di Toro seduto e di Falcone? Se li guardava tutto il santo giorno. E magari ci parlava. Vuoi finire
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come quello? Sono persone con problemi, chiaro. Cosa centra il lavoro che uno fa con quello che ? Bisogna cercare di separare. Di scindere. Non so. E gi. Non rientra tra i tuoi obiettivi. Sempre cos. Se tu riconosci una cosa come importante, dai il massimo. Altrimenti semplicemente non esiste. E quale dovrebbe essere lobiettivo questa volta? Hai da suggerirmi qualcosa? Scindere. E cio? Trovare altre forme. Scindere, appunto. Lanima per esempio, senza il resto. Scindere, s, va bene, come vuoi. Adesso basta. Ti ho detto quello che abbiamo intuito del signor Corietti? Cio? Ah. Non ti ho detto le novit? Che era gay? S, me lhai detto. Il secondo colpo di scena. Prima il giro di prostitute snob organizzato dalla farmacista e poi, a sorpresa, le novit circa i gusti sessuali della vittima. Ma come lavete scoperto? Ci siete arrivati rovistando nel suo appartamento? Giarrettiere, trucchi da donna, parrucconi? Era omosessuale, Angela, non un travestito. Questo muta il quadro. Subentra lelemento passionale? Forse. Allora, cercate un altro uomo. Non credo che lo straniero possa Non mi pare proprio il tipo, considerata loscura descrizione che mi hai fatto. E perch no? Gi, perch no? Che dici se prendo appuntamento da un nutrizionista? Cosa? Niente. Unidea del cavolo. Lascia stare. Buono sarebbe trovare il compagno della vittima, perch certo che ci fosse almeno un compagno fisso. Uno che frequentava abitualmente. Una figura nuova. Adesso o mai pi. Per questa ragione, secondo me, pu essere determinante la vedova, la proprietaria del negozio.
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La cosa si fa sempre pi interessante. Cercate tra i frequentatori abituali del negozio. Oppure nel giro di amicizie della vittima. S, anche. Datevi una mossa, per. Sfruttatela questa improvvisa fortuna. La vedova ci ha fornito lelenco completo dei suoi clienti, insieme al bilancio commerciale. Tutti preti o quasi: parroci della provincia e mamme di chierichetti con gli occhiali, a comprargli il vestitino. Bellini. Cera pure qualche catechista, che ci teneva a tenersi aggiornata e si comprava dei manuali con le illustrazioni. E che fate: sentite tutti i clienti? Ma sei pazza, e quando finiamo cos? C un limite a tutto.

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VII CAPITOLO

Si pu amare un monumento, unarchitettura, unistituzione come tale solo nellesperienza a sua volta precaria della sua fragilit: essa non sempre stata l, non sar sempre l, finita Come amare altrimenti se non in questa finitezza? Da dove verrebbe altrimenti il diritto di amare, lamore per il diritto? Jacques Derrida

Facevo finta di essere io la vittima e immaginavo chi avrebbe voluto farmi del male. Molto male. Esercizi di empatia. Un indagatore si aiuta con visioni spontanee, con esercizi quotidiani, se non ha altro su cui lavorare. Lempatia un esercizio possibile, comodo in quanto spontaneo, che si distingue dalla mera imitazione. Prima dei trentanni il mio unico desiderio era diventare identico a quelli che pi mi piacevano; dopo i trenta ho scoperto lempatia, che ben altra cosa, nel bene e nel male. consonanza, orecchio musicale. Il Corietti in vita era stato un uomo molto riservato; in pochi sapevano qualcosa di lui. Eppure la signora Florio si fidava, tanto che non di rado capitava che lasciasse il negozio nelle sue mani. Molti clienti in passato avevano avuto modo di trattare direttamente con il Corietti, e ne ricordavano bene i modi bruscamente affettati, le mani affusolate che increspavano approssimativi pacchetti regalo, il suo rispondere al telefono con un eloquio flautato da cardellino in amore, usando verbi generosi. Dicevano. Prendeva appunti con scrittura affilata su piccoli notes, custoditi accanto al telefono; spesso fissava con la Curia vescovile appuntamenti, messe commemorative, stampe di locandine. La padrona si fidava davvero o erano solo voci? Chi poteva dirlo. Come quella volta che era andata dal dentista, il giorno del delitto. Sapeva bene che il Corietti lavrebbe dovuta sostitui83

re in negozio per pi di qualche ora. Si fidava quindi, e questo poteva lasciar intuire una qualche intimit; anche se in realt nulla escludeva che si fosse trattato di una necessit occasionale. Mentre il Corietti crepava, la signora Florio era seduta sotto il neon rotondo, su una sedia tipo sdraio, con limbottitura in pelle e i braccioli da stritolare nello strazio da trapano, con il cavadenti che non fiatava, neppure per mera piet. E non sappiamo se era in pensiero per le sorti del suo negozio oppure no. Era stata lei stessa a dirci che il suo dentista era un tipo che parlava poco (al contrario di molte delle sue clienti, aveva aggiunto), solo il necessario, e si era perso tempo quella mattina non per chiacchiere da parrucchiere, non sia mai, ma a causa di unaltra paziente, arrivata in studio prima della vedova, quasi allalbeggiare, che lamentava un dolorino qui, un altro l, mal di gola, mal di gengiva, mal di vivere; non trovava pace, insomma. E non si capiva cosa avesse questa santa donna, poich tutti gli interventi tecnici demergenza nella sua bocca larga non avevano prodotto effetto alcuno. Il medico, uomo saggio, seppur taciturno, se la prendeva con se stesso, che distrattamente aveva anticipato alla cliente che la capsula da lui creata intorno al dente malato avrebbe potuto darle fastidio in futuro. Lo sapeva: mai parlare troppo con i clienti, ch pu capitarti il soggetto apprensivo e sei finito. Per questa ragione non faceva commenti il dentista della signora Florio. Di solito. Le si era fratturato un dente, ormai in crisi da un po, e lui niente, nessuna chiosa: cosa fare, come intervenire, cavarlo o dargli unaltra possibilit; niente. Aveva estratto il pezzo rotto dopo lanestesia, davanti agli occhi supplicanti della paziente e poi, dopo una lunga pausa, un respiro cavernoso e unaggiustatina alla montatura degli occhiali, aveva sussurrato: mezzo dente non serve a niente. Segnandone il destino. Il boia. Questa razza duomini di scienza, o non parla o parla troppo! Quel giorno non pot raccontare la storia del dentista al fidato Corietti, come avrebbe voluto, per sfogarsi quel tanto, come era sua abitudine. A sentir lei.
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Quello era gi bello che crepato al momento della pronuncia della sentenza relativa al dente ammorbato. Ma parliamo della vittima. La sua famiglia non era del posto, gente del sud, nel senso pi assolato, crudo, solitario, sordo del termine, con cui non aveva rapporti da pi di venti anni. Gente che aveva trovato facile e opportuno cavarsi dalla memoria il diretto congiunto, proprio come una mola marcia. Mi sembrarono dei gran bastardi, cos, di primo acchito. Anche del nucleo familiare del Corietti, leggemmo i verbali; niente di pi. Non si erano mossi prima, non si mossero dopo. I Borboni. Anche in quel caso, una bella delega allindagine fatta per iscritto ai carabinieri, verso il fondo dello Stivale, e il gioco era fatto. Gli accertamenti fatti sul posto e incartati dai carabinieri, con qualche linfa oscura nascosta nelle pieghe, tra una pagina e laltra, arrivarono via fax. Dal sud al nord. Ma cera una moglie per. S, la vittima era sposato. La vendetta delle mogli? Chiss. Per amor di verit, dico subito che io quella donna non lho compresa mai del tutto. Sar per quel dialetto settentrionale, con cui impiastricciava le parole, come fosse stato vecchio mascara grumoso, soprattutto le frasi pi partecipate; sar per quegli occhiali da sole a specchio anni Novanta, sempre sulla faccia immota, tipo cornice appesa alla parete. Che strana la sorte: per contrappasso, la moglie del morto era un tipo mascolino, con certi muscoli rudi, tirati sotto la camicetta, da far invidia. Era molto pi giovane del marito; una sorta di liquido gassoso sbatacchiato, piccola, gonfia e pronta a spruzzare. Lavorava in una palestra, come era facilmente intuibile dallosservazione delle vistose virt muscolari. Faceva la buttafuori, ruvidamente, ma finiva per occuparsi di tutto: dalle pulizie alle registrazioni dei clienti, dalla vigilanza alla manutenzioni degli attrezzi. E si allenava da sola. Fu lei a farci il nome del compagno del Corietti, ma senza rendersene conto. Quando, dopo, le rivelammo come stavano davvero le cose, si chiuse in un silenzio bellicoso e duro.
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Credo che quella sia stata la prima volta in cui vidi una faccia diventare altro. Definitivamente. Non pi brutta o disperata o sconvolta, rispetto al momento prima della notizia. Altro. Non una faccia, ma un quadro, una rappresentazione, un articolo di cronaca nera. Non so. Altro. Forse, pi semplicemente, la faccia di una donna che cambia i suoi lineamenti e diventa unaltra donna. Per sempre. Due persone diverse. Due facce diverse. A causa di una rivelazione. Tra le frequentazioni pi assidue del marito, aveva raccontato, cera quella con un amico di vecchia data; un compagno del militare, per la precisione. Anche questamico aveva moglie e cos capitava che uscissero in quattro, senza figli, magari al sabato. Andavano a mangiare qualcosa e a scambiare due parole, ma non troppo spesso comunque, che si tirava la cinghia e il soldo non bastava mai. Figurarsi ad aver figli. E chi ci pensava ai figli? Si sa: la palestra consentiva entrate variabili e il lavoro al negozio non era poi una grande sistemazione. Cera lesigenza di arrotondare, se potevano, quando potevano, come potevano. Non avevano voglia daccrescere i disagi, e per far figli bisognerebbe averne voglia; quantomeno si deve fare sesso almeno ogni tanto, perch possa capitare lincidente. No, lui aveva voglia di far soldi e lei di far ginnastica. Quindi. Noi, magistrati allerta, facevamo finta di comprendere le ragioni dansia della signora, palesate dal suo pettorale sospirante, ma, per me, quella donna parlava troppo poco della morte, della tragedia che le era capitata tra capo e collo, allimprovviso, in una giornata di pioggia. Non cercava assassini, cos come invece avrebbe dovuto, per logica umana. Che li avesse gi trovati di suo e volesse dimenticarli? Raccontava che il ragazzo era diventato uno di famiglia. Stava spesso da loro la sera, con o senza la moglie. Pensammo: forse questamico avrebbe potuto raccontarci qualcosa di pi intimo sulla vita del Corietti. Bene. A quel punto sembravamo cos vicini alla verit a qualche trappola segreta per topi scattata silenziosamente, grazie a una moglie androgina e glaciale. Finalmente un po di fortuna, e che diamine! Perch le intercettazioni telefoniche possono non
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bastare; per quanto occasionalmente utili, forse necessarie. Alle volte bisogna guardarli in faccia certi uomini per capire. Alle intercettazioni, infatti, si ricorre soprattutto per casi di mafia: l c la trama, lumano intreccio. I telefoni aiutano a metter ordine, a ricostruire la cronologia degli eventi, a individuare luoghi, nomi, orari, legami, ma tra le auricolari, le pause e i bisbigli, possono perdersi le ragioni pi profonde. Il senso. Negli omicidi, invece, contano pure le facce degli uomini. Il loro senso specifico. Stava forse nella faccia il segreto. No, Lombroso non centra. Anche se poi devo dire che, genetica o meno, lambiente che dipinge le facce e Lombroso non era un fesso. Se una casa sporca, sporca la faccia che la abita. Poche chiacchiere: il corpo la fa da padrone; il corpo non sa mentire a lungo; il corpo parla tacendo. La faccia, il luogo e la parola: la sacra triade. Che meraviglia per un praticante. Volevamo questa benedetta faccia, quindi. Il suo segreto. Gi me la immaginavo: elementare, tipo foto segnaletica, ma, adesso che avevamo lindirizzo dellamico, era fatta. Potevamo farne un ingrandimento e metterlo in cornice. Perch una vita segreta ci doveva pur essere: una faccia, s, pure due, con appresso un bel segreto succoso, qualcosa di caparbiamente celato sotto unapparente serenit. Quella morte non poteva essere stata un errore. Al massimo un raptus, ma non un errore. Chi avrebbe potuto sostenere il contrario e apparire credibile? La faccia avrebbe spiegato, speravamo. Perch un uomo parla con un amico se ha un cruccio, se lo lascia sfuggire davanti a una birra o mentre aspetta che cominci la partita allo stadio. Ma il Corietti non andava allo stadio, tuttaltro, e la moglie non ne era per niente felice. Nessuna somiglianza a unirli. Ecco perch aveva bisogno di un amico il pover uomo. Diciamolo una buona volta: sono le affinit che uniscono. S, daccordo, l esotico attrae, ma alla fine non si resta a lungo accanto a inspiegabili orecchie a punta simili a quelle di Spok. Io sono uomo di quelli: moglie e buoi. Almeno credo, non avendo avuto fino a oggi esperienze daltro pianeta. Il Corietti non era solo. Menomale. Un amico cera; non
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cerano chiacchiere allo stadio, partitelle, daccordo, forse neppure una birra ogni tanto, chi lo sa, ma almeno cera una faccia che vagolava in casa come una scheggia, lasciando segni sui muri. Era quella la svolta nelle indagini che cercavamo da giorni. Se c un amico, ci devono essere per forza delle confidenze. A che servono gli amici altrimenti? Banale? Quando si fanno indagini di un certo tipo non ci si deve discostare dallovvio, sarebbe avventato. Esistono delle banalit utili a mettere in fila le idee come perline delle stesso colore. La psichiatria, per esempio, scienza colma di ovviet, o per lo meno di quelle che oggi ci sembrano tali, ma quale fatica riconoscerle. Si parte sempre da quelle, poi si vede. Per, quella del militare insieme, era una balla che i due amici concordemente avevano voluto raccontare alle rispettive mogli, al fine di giustificare la loro grande intimit. Non era mica cos che si erano conosciuti i due uomini. Macch. Si erano incontrati, sorpresi e amati, grazie a un annuncio su di un giornale a tema specifico qualche anno prima, e a una casella postale anonima sempre piena di missive rosa. Tutto questo ce lo rivel lamico, successivamente. Le mogli non sapevano che erano amanti. Glielo raccontammo noi. Crudeli. Eppure le mogli dovrebbero avere un ruolo nel compiersi graduale di unesistenza. il mio caso, per esempio. Se dovessi pensare a un amico sarei in difficolt, lo ammetto, ma mia moglie basterebbe. Lei racconterebbe di me ogni pulsazione senza sbagliarsi. una fine narratrice. Amici, s, qualcuno ma del passato, che il tempo ha truccato. Rapporti da rimettere in moto, impigriti, tanti ricordi, e qualche serena conoscenza pi recente. Nata dal bisogno. Forse se avessimo dei figli, avremmo pi amici. Come quelle coppie che sincontrano ai giardinetti o davanti alle scuole, e si sentono parte di un meccanismo comune da oliare di continuo. Gli amici dinfanzia, invece. Accade che ci si renda conto che di ricordi simili ai propri, siano piene le vite di tutti, e
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questo li rende meno preziosi. Non so. Come le banconote, non hanno tutte lo stesso valore, ma sono della stessa razza. La storia dei grandi amici mi sembra una gran bufala. Tutti abbiamo almeno un amico. E quindi? Che bravura c? Chi ha detto che hanno pi valore gli amici dinfanzia? Cretinate. Avevo un amico, per esempio, uno che adesso ha i baffi e quando lho rivisto per caso in banca, dove lavorava, ho pensato che strano, ha i baffi. Quello stupore ci ha reso lontani. Non ho pensato: ecco, come immaginavo si fatto crescere i baffi, no, al contrario, ho pensato che era un fatto strano. Lamicizia troppo vecchia si carica di scelte non fatte o, comunque, diverse dalle proprie, perdute; di locuzioni non pronunciate, di fatti incomprensibili, di vecchiezza e, sotto questo peso, rallenta il passo. Lamicizia spesso un abbaglio o una generalizzazione. Dopo, o si resta amici per stupore o per bisogno. Non si scappa. Forse, semplicemente, lamicizia non esiste. Spesso manca il senso del possesso a coagularla, o ne avanza fin troppo a zavorrarla. Avevo un amico, un altro, un coetaneo con cui avevo diviso il pane ai tempi delluniversit, ma era un tipo possessivo, con locchio allucinato di chi sospetta sempre un tradimento. Quando ho conosciuto mia moglie, lui ha avuto paura, la paura del primogenito la chiamo io, e cos lho abbandonato in preda alle sue angosce. Non sono abbastanza generoso, non ci riesco. Devo pensare a me. Lavorare su di me, per divenire un prodotto spendibile, interessante, utile. un lavoro fatto anche nellinteresse degli altri, benevolo quindi. Ma molto impegnativo. Cos, agli appuntamenti davo buca e facevo in modo che i reciproci impegni ci impedissero ogni incontro. Ho lasciato che accadesse e lui ha deciso di odiarmi. Liberissimo di farlo, ho pensato. Perch alcuni sono capaci: odiare a comando. Sanno farlo bene. Nonostante tutto, per, inspiegabilmente, mi mancava il suo sguardo ammirato, quel suo bisogno vacuo di assomigliarmi. Cos, dopo anni, lho cercato. Per vanit e per astinenza. Mia moglie diceva che era una botta di insano egoismo la mia, e aveva ragione. diventato un magistrato anche lui, anzi, per la precisione che mi contraddistingue, tengo a chiarire che la sua, iniziale,
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scelta professionale non era stata emulatoria. Lui, gran sgobbone, aveva preso servizio un anno prima e con un punteggio pure pi alto del mio agli orali. Forse, come sempre, anche in quel caso, allinizio ero stato io a imitare lui. Eravamo a una festa di capodanno un avvocato rampante, con un villone di propriet del padre, ha sempre dato serate mondane qui in citt, in prossimit di quella che oggi la tangenziale, su cui si affaccia la comunit pi in vista, e ci passavamo anche noi ogni tanto, con un certo rossore in viso, ben dissimulato, ogni volta lamentandoci che ci fosse sempre la stessa gente, ma contando le presenze una per una, come candeline sulla torta, segnalando vistosamente le assenze, tutti con vestiti e acconciature nuove di zecca , eravamo a questa festa, dunque, tra una folla coerente che sallargava per il parco antistante, con il collo allungato allinverosimile e qualche sigaretta in mano, che si sbriciolava in cenere elegante. Tutti con la stessa andatura dinoccolata e disinvolta, e lo stesso modo di ridere, tutti con una mano sulla spalla di un altro, a catturarlo, come in una specie di sirtaki. stato l che ho rivisto il mio vecchio amico. Parlava con una tizia. Mi venuta voglia di riabbracciarlo. Incontrollabile arrivata questa strana specie di nostalgia. La voglia di mettere anchio la mia mano sulla spalla di un altro. Tutta colpa di quel mio solito desiderio di conciliazione, di sanatoria, desiderio fallimentare che mi trascino dietro come un mulo. Lho fatto come lavrei fatto se si fosse trattato di mio padre. Lho toccato con le mani. Ho toccato questamico che non vedevo da anni. Mai toccare con le mani un altro essere umano, se non assolutamente necessario. fuoco. Quando ho sentito i muscoli delle sue spalle irrigidirsi e lo sguardo accendersi in una visione onirica, gi in quellistante, ho capito che non era quello che volevo. Che avevo fatto unenorme cazzata. Lho abbracciato ed ricominciato il tormento. Le sue telefonate hanno ripreso a mitragliare il mio orgoglio e solo di rado le mie reazioni erano sincere. Quello che cera stato in mezzo, tra il prima e il dopo, aveva reso impossibile la comunicazione. Questo lamicizia: un recinto. Una lampadina soggetta a
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ripetuti cali di tensione. Ho cercato di spiegargli chi ero diventato, che ci che lui ricordava non esisteva pi; a volte lo facevo con autentico trasporto, mentre era quasi piacevole risentire la sua voce di un tempo pronunciare le solite menate. Ma lui ha preso a parlare di s, ch del resto di me non sapeva un tubo. Ha intessuto in un baleno un vomitevole elogio della giovinezza, la sua, manco avessimo avuto ottanta anni. Andava ripetendo che dovevamo lasciar stare le rispettive mogli, che due uomini come noi avevano bisogno di stare un po da soli di tanto in tanto; di prendersi delle libert. Di sospendere il ritmo. Certe cose le nostre donne non potevano capirle, diceva. Quali cose? Il ritmo, quale ritmo? Benvenuto il ritmo, uno qualunque, purch adatto al vivere, pensavo io. Cose di uomini, diceva lui. Evviva, pensavo io. Uomini, quali uomini? Lho scaricato di nuovo appena ho potuto. Non nego che allinizio lui abbia cercato di vendicarsi, facendo leva su certe mie riservatissime emozioni che gli erano note. Era convinto che avessi messo in moto tutto il meccanismo perverso del riavvicinamento a causa dello storico irrisolto rapporto con mio padre; che lo avessi usato come terapia. Anche lui come tanti conosceva mio padre. Per la stessa ragione, era certo che avessi ipotecato tutti i miei fine settimana di riposo, destinandoli in modo esclusivo a una moglie, per sentirmi migliore. Una moglie. Una? Come sarebbe a dire una? Furono le sue uniche affermazioni di un certo rilievo, prima dellabbandono definitivo. Non era proprio un cretino, comunque. Chiss cosa avrebbe mai potuto raccontare di me questo vecchio amico, se un giorno qualcuno avesse deciso di farmi tacere per sempre con trentotto crudeli coltellate. Lho rivisto qualche anno pi tardi, quando cominciammo a frequentare giri diversi. Per Capodanno si usava andare nella villa, non pi dellavvocato, ma di un magistrato molto noto sul territorio. Ci andavano tutti. Per la verit, la villa dellavvocato era pi grande di quella del magistrato, ma ci andavano tutti, perch lo spazio fisico non ha importanza nel jet-set. I metri quadrati sono un piacere da parvenu. Ci andammo una volta anche noi. Con Angela volevamo vedere
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di che si trattava, dove stavano le differenze. Non di certo nel biglietto dingresso, che aveva pi o meno lo stesso costo, non nel men, che esalava pi o meno gli stessi profumi robusti della tradizione locale. La differenza era data dal numero delle persone presenti molto pi frequentata la festa dellavvocato, a causa del grande affollarsi del foro e dal contenuto delle conversazioni. I magistrati, a differenza degli avvocati, parlano dei colleghi, parlano di sedi presso cui trasferirsi se lanzianit di servizio lo consente; spesso si tratta di naufraghi giudiziari in attesa del prossimo bollettone, zattera ufficiale ma instabile, che trasporta domande di trasferimento, nuove assegnazioni, pensionamenti, rinunce e graduatorie. Di conseguenza, come intuibile, lanzianit ha un grosso rilievo tra i colleghi, quindi i magistrati parlano anche di anni di servizio. Sono racconti, mica verit. Teatro puro. Nelle feste dellavvocato, anche oggi, c un maggiore investimento di denaro. Ragioni di rappresentanza, credo. Denaro produce denaro. Lo sanno anche quelli che non ce lhanno. Ci che conta che la festa riesca bene e se ne parli a lungo. Quindi, se c la possibilit, che ne so, di far esplodere una schioppettata di palloncini colorati giunta la mezzanotte, o di fuochi dartificio mirabolanti a forma di cigni avvinghiati tra loro, in segno benaugurale, lo si fa senzaltro, a qualunque costo. I soldi in qualche modo vengono fuori. Se, per esempio, possibile chiamare un gruppo di rokkettari vestiti di metallo, lo si fa senza indugio, per tagliare le catene agli invitati che, spesso, sono di una certa et, eppure, davanti al revival, non sanno resistere e quasi si commuovono. E quindi che ballino i vegliardi, che si scatenino, via! E se gli viene un coccolone, peggio per loro: si riduce il numero, si allarga la dimensione della fetta di torta per quelli che sopravvivono. Alle feste dei magistrati, al contrario, niente effetti speciali. Apparente sobriet. Ci sono invece tanti bravi bambinetti vestiti di velluto e organza. I figli. Qualcuno ha jeans con perline colorate ai bordi delle tasche griffate. Sembrano tutti uguali. Nel prezzo del biglietto si fa rientrare lanimazione,
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con annesso spettacolo di marionette, cucite in casa da studenti in cerca di occupazione. Bisogna pure animarli questi piccini vellutati! E amarli quanto basta, mentre producono quel loro baccano infernale. Ho ancora ben presente quelle urla disumane, vicine allo stridere dei gabbiani al porto quelle delle femminucce, simili alle stecche di tromboni gorgoglianti dacqua quelle dei maschietti. Bambinetti a spintonarsi, a saltare con scarpe che sembrano ferrate, come fossero mille o pi, spalmati fin sotto i piedi, sui tappeti, tra una porta e laltra, a farti inciampare di continuo, a farti sentire in colpa per averli ammaccati un po camminandoci sopra senza volerlo. Almeno zittirli, davvero, con un pestone. Macch: cos si riusciva soltanto a farli strepitare ancora di pi. I figli. La sera in cui ci andammo, di diverso, oltre la prole, cera pure che io ero meno rilassato: la giacca nuova, ben abbottonata, mi tirava in vita come una ciambella di gomma per i primi tuffi. Il nodo della cravatta troppo stretto. Mi abituavo alla professione, ma avevo ancora qualche imbarazzo con labito. Angela invece no, o almeno cos mi sembrava: era elegante nel tubino, magra e nera, nata cos, riflessa nei vetri smerigliati che separavano i diversi salottini pluridivanati. Lei non conosceva bene nessuno, ma di vista tutti, e la panoramica furtiva ed efficace sugli invitati presenti, faceva tanto rotocalco, senza alcun obbligo di socializzazione. Gli altri sembravano sempre meglio vestiti di me. Che strano, prima come adesso. Ogni volta che mi veniva presentato qualcuno, era di rigore puntualizzare: le presento il collega ecco il collega oh, che caro collega lei il collega? le presento la moglie del collega i figli del collega Ci tengono i magistrati alla loro colleganza; un fatto. Non ricordavo un nome neanche per sbaglio, ma in compenso avevo la garanzia assoluta che si trattasse di colleghi questo sarebbe dovuto bastare e che vestissero benissimo i loro fresco lana antracite. La cosa sembrava importante. Non per fare del razzismo, ma le donne in giro quella sera, che fossero colleghe o mogli di colleghi o affini, erano tutte un po chiatte, (ma le affini, devo dirlo, meno chiatte delle altre), di
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certo pi chiatte delle avvocatesse, senza dubbio, poco frivole o pedantemente frivole, e parlavano animatamente di democrazia, azione, tanto che la presenza sul posto di ciascuno poteva sembrare in qualche modo connessa allintegrarsi di una funzione sociale. I magistrati erano sposati per lo pi con altri magistrati, conventicole coniugali, ed erano amici intimi di altri magistrati, solo tra loro avvenivano i contatti pi profondi, il vero scambio di esperienze significative, ma non di certo sorprendenti. Scambi di codici umani per categorie. Tra loro si annusavano, toccavano, amavano, invecchiavano. Gli invitati, quindi, sembravano dare un senso socialmente e altamente rilevante al luogo, al tempo, alla mezzanotte che sopraggiungeva ignara. Nutrivano di bocconi nuovi una sorta dideologia presistente. Nutrire oltre che nutrirsi. O almeno cos mi pareva, cos vedevo la cosa, quasi che le giacche e le gonne e i dcollet si muovessero piano nella penombra delle sale per capire, per correggere, ordinare. Gli avvocati invece no, quelli si dislocavano senza doppi sensi, allapparenza. Questo, per, accade fino a quando un avvocato non si trova in presenza di un magistrato. Ammettiamo che i due sincontrino, per esempio. Se sono solo conoscenti, lavvocato invidier potere e ruolo e avr modi riverenti, il magistrato invidier i soldi dellaltro, se uno dei pochi che ce lha fatta, e conserver toni distaccati. Un classico delle relazioni umane, ieri, oggi, domani, credo. Cowboys contro Indiani. La sede del bene o del male, dipende dal disegno, dalla regia, dallocchio. In gruppo lavvocato non svolge alcuna funzione, si diverte se pu e stop. Il magistrato, nel branco, invece, sente di rappresentare la collettivit, immagina che dietro la sua voce si celi quella di altri. Tutto questo perch non cerano amici l in mezzo, solo individui astratti e il loro immaginario. Si divertiva la mia donna, intanto. Grazie! Quando si andava in casa dellavvocato, invece toccava ad Angela sentirsi sotto i riflettori. Un supplizio alternato, il nostro. Bisognava che, una volta per tutte, si decidesse con equit che non avremmo frequentato pi questi ambienti: ormai il quadro della situazione ci era chiaro. Inutile fare i cani da
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salotto, ch ogni curiosit era stata ormai saziata. Si poteva provare a star da soli e dimostrare a noi stessi che eravamo davvero in grado di farlo, come andavamo sostenendo sin dai nostri primissimi incontri. Vederci fluire in materialit tra la gente. Quella sera alla villa del giudice, nella punta delle scarpe come un sasso, cera anche quel mio vecchio amico duniversit avr fatto di certo anche lui i suoi bravi calcoli su come fosse possibile spendere le proprie serate in citt e fatto le sue scelte ma non ci salutammo nemmeno. Amici. Gli amici a volte sanno di te solo quello che eri, e avanzano pretese infondate. Soprattutto i vecchi compagni darmi. Ma il compagno del Corietti, quello di cui per prima ci parl sua moglie, era pi di un amico per lui. Lo capimmo solo pi tardi, dopo averlo torchiato come una oliva. Venne da noi in Procura ed era triste, il ragazzo. Lo notai subito, perch di soggetti cos profondamente tristi per quella morte violenta, fino ad allora, non ne avevamo visto neppure uno. N la moglie, n i parenti, n la datrice di lavoro. Lui invece era triste. Una tristezza solida, dialogante pur nel suo silenzio. Si chiamava Alvaro Pace. La prima volta, posto davanti alle nostre domande, fece una ricostruzione confusa della sua amicizia con la vittima. Era molto pi giovane dellamico e per questo proprio non si comprendeva come avessero potuto conoscersi durante il servizio militare. Era una questione matematica. Non fu difficile sgamarlo. Mentiva, ma perch mentiva su questo dettaglio? Ergo: se mentiva su un punto, forse avrebbe mentito su altro. Era spuntata questa perla nera: un amico particolare. Era stata la moglie del Corietti a dire: tra Alvaro e Mario, mio marito, cera unamicizia particolare. Parole sue, non so quanto consapevoli. Poi dalla bocca di Alvaro erano arrivate altre informazioni, conferme. Ietta accese i motori, ancora una volta. Dunque: ricostruzione dei fatti. I due si vedevano almeno una volta a settimana. Si conoscevano da anni, dunque fortemente, necessariamente abitudinari. No, non era accaduto nulla di strano nellultimo periodo; nulla che preoccupasse
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lamico. Corietti, a suo dire, lavorava come sempre, sembrava tranquillo. Nessuna strana lacerazione nelle pratiche quotidiane. Il Pace sosteneva di trovarsi in auto, da solo, la mattina dellomicidio e allora x, come ogni mattina, diretto allagenzia postale presso cui lavorava. Quel giorno, in particolare, si era svegliato tardi e presso lagenzia confermarono il suo ritardo. Uno strano ritardo che non seppe motivare adeguatamente. Pu capitare per, e non si condanna a morte una sveglia che funziona male. Un uomo se ne fuggiva via, tutto intero in un alito di voce, davanti alle nostre facce attonite, seppure percettibilmente soddisfatte. Il mento gli ballava e si ritraeva in cento pieghe, sentieri brevi e meati viola. La guance erano fosse profonde di couperose, la pelle si tendeva sugli zigomi, diventando liscia e grigiastra, quasi trasparente come la pancia di un tamburo. I pensieri si trasformavano in parole, e le parole in senso, con fatica, mentre nelle pause, nonostante lo sforzo, si formavano comunque vaste conche dincredulit; la sua, la nostra. Senza alibi, senza testimoni, quasi senza palle ormai. Un uomo profondamente senza. Non buttava gi neppure un caff. Rimaneva senza. Lo ascoltammo per tre volte, ogni volta con scuse differenti. Al terzo incontro si present con le gambe gi molli e fran sulla sedia che gli avevamo preparato. Sput fuori tutto quello che aveva taciuto fino ad allora. Aveva una relazione a sfondo sessuale con il Corietti. Semplicemente questo. Laveva visto lultima volta proprio la notte prima della sua morte. Laveva visto, ma non trattenuto. Lerrore fatale. Il suo Mario. Ehi, finalmente qualcuno chiamava per nome il cadavere! Mario. Strano sentirlo anche per noi: come entrare in confidenza con la morte. Alvaro, il disperato, cercava di ricordare le sfumature della faccia del suo uomo quella sera, la sua ultima espressione, ed era uno sforzo apparentemente sincero che gli gonfiava le tempie e gli incartava gli occhi in piccoli, ridondanti ricami. Le mogli non erano al corrente di nulla, credeva lui.
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Ora, non che io sia esperto in materia, al contrario, devo ammetterlo, largomento mi imbarazza non poco. il retaggio del pallone, come lo chiamo io, per il fatto che, ai figli maschi, non si parla mai di certe possibilit, ma di altri argomenti, semmai, di forza fisica e coraggio virile, per paura che il demonio ascolti e prepari uno dei suoi scherzi. Se un uomo, per esempio, discute di omosessualit, parla di checche e magari, per colore, ci aggiunge sempre un ghigno scaramantico; soprattutto se ne parla con altri uomini. Il Pace sembrava terrorizzato allidea che, una volta svelato il segreto, sua moglie dovesse entrare in questo suo mondo mistificato per anni, e farne un luogo reale. Perch le donne fanno germinare pensieri materiali, vessanti, tattili, e prendono lomosessualit terribilmente sul serio, come tutto il resto; s, questa una cosa che fanno le donne e lo fanno, mi par ovvio, gli stessi omosessuali. Avrebbe voluto risparmiare sua moglie e il suo mondo di Swarowski. Costretto, raccont il passato con urli di pianto che gli deformavano la faccia. Raccont di quando la sera sincontravano in quattro nel modesto appartamento della vittima e, mentre le mogli restavano amabilmente in soggiorno sul divano, a discutere di serie da venti ripetizioni di addominali laterali, gli uomini di casa si immergevano in una bolla privata di piacere gelatinoso, presso larea solare del palazzo, tra antenne televisive e panni stesi. Era un sesso glaciale e veloce, umido di saliva, come il vento che tirava l, in alto, in testa al condominio, da cui non potevano pi astenersi. I primi approcci, le barbe che grattavano luna contro laltra, le gocce di sudore sul collo a perdere, i pertugi divelti, le rivelazioni, lasprezza e il sollievo; il succo di ciascuno sul cornicione ad asciugare. Con uno dei due, il pi intraprendente, il pi bisognoso, che rovistava, tastava sempre pi ansioso laltro, sui fianchi ossuti, fin sulla patta, infilando le dita nelle tasche, sempre pi dentro, premendo per vedere se laltro desiderava, se era felice, se capiva. Per maschile imbarazzo, davanti a tutto questo, cercammo di rallentare il flusso strattonato della sua delazione, che
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andava crescendo, invitandolo a prendersi una pausa, magari un caff. Anche nel rispetto dellanima del defunto. Ma lui aveva la gola serrata e sazia, sembrava non poter smettere di raccontare; mai pi smettere. Quella del caff era una scusa, comunque. In realt in Procura si sempre alla ricerca del reperto biologico da utilizzare in processo, e una tazzina usata rivela il Dna di chi lha usata. Ottimo. Peccato che sul luogo del delitto non che si fosse trovato molto. Il sangue versato a fiumi apparteneva soltanto alla vittima e poi, comunque, per ritenere chiusi gli accertamenti pi complessi, forse, ci sarebbero voluti mesi. Campa cavallo! Cera lombrello, vero, ma senza un indagato, le analisi dei Ris sullombrello o sul resto a che servivano? Che ce ne facevamo di quella specie di enorme Bartezzaghi lasciato a met vicino alla tavoletta del water in una casa al mare? In pieno inverno? Inutile e desolato. Interrotto. Ietta, con i motori sempre accesi, sempre gli stessi motori, era uomo sprovvisto di pazienza; un ariete pronto a sfondare, ma senza pazienza. Sbuffava dietro la spalle del Pace. Tazzine niente. Niente cicche. Niente sperma. Solo lacrime da raccogliere. Con le lacrime, per, si perde tempo. Gli amanti, in genere, piangono. Che dovevamo fare: gli esami a tutti quelli che avevamo incontrato in quei giorni? Tutto il Foro ci si sarebbe rivoltato contro e non ne saremmo usciti indenni. La lacrima non voleva dire nulla in s. A suo avviso, la lacrima era solo letteratura e prescindeva dalle scelte sessuali. Non si commuoveva Ietta, manco per niente. Per io credo che il loro fosse amore, Mario pi Alvaro, imbrigliati in attitudini sessuali sospese nel tempo. E il sesso centrava. O perlomeno non era solo il sesso il collante, secondo me. Per via del sesso, cambia tutto, pure lamore. Perch lidentit sessuale un magma in movimento. A volte, non sempre per, esplode, sallarga, si trasforma, e altre volte no, resta fermo. Ci sono circostanze in cui si cristallizza, si cicatrizza come una ferita. Non evolve e non involve. Resta immobile: acerbo e nebbioso. Chimica inespressa, una formula ossessivamente ripetuta, ma non trasformata in esperienza.
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Per il gruppo in questione sembrava potersi parlare di intensa attivit vulcanica, senza il timore di apparire esagerati. Dolorosa attivit senza crescita. Molte le vittime, anche inconsapevoli. Tra loro cera seduzione e violenza. Psiche e carne. Non autentica condivisione o scambio. Chi aveva in mano il potere e come lo usava? Durante i colloqui davanti alla faccia di Ietta, venne fuori roba bollente. Altra roba e diversa. Roba da vietare ai ragazzini. A pranzo presi fiato con il capo. Avevamo bisogno di masticare, cos che il muscolo facciale desse il tempo alle sinapsi di farsi una telefonata. Pausa, una sana e meritata pausa. Scendemmo le scale verso unuscita secondaria e in strada ci fermammo davanti alle strisce pedonali. Ietta lamentava un fastidio al ginocchio. Calcetto? Chiesi timidamente al mio maestro. Lui conferm, e ci tenne a precisare: colpa delle modalit di avvicinamento utilizzate dagli avvocati. Maestro! Anche lui. Prima del verde, mi volli fare unidea pi precisa. Siamo uomini noi: una massa compatta. Anche il capo giocava a calcetto per difendersi? Bene. La sua, come la mia del resto, era una stramba concezione dello sport in maturit: raccontiamo di farlo per mantenerci in salute, in realt sappiamo benissimo che la forma fisica centra ben poco. Le vere motivazioni sono altrove; legate ai ricordi della parrocchia e dei cortili sterrati, ai no di certe madri apprensive, al tipo di lavoro che si costretti a fare, alla volont di mettere in gioco le energie residue, piuttosto che di preservarle, magari confrontandole senza misericordia con quelle dei propri simili. Al desiderio onesto di essere solo corpo, solo naso, solo gambe, solo torace, ogni tanto. sogno. Utopia. Si davvero, totalmente, semplicemente liberi, simili gli uni agli altri, ed enormemente fortunati quando si parla di calcio. Dura quel che dura. Ietta diceva che solo da morto avrebbe smesso di giocare a calcetto; avvocati a parte. Quelli pensano sempre di potersi prendere tutto, non guardano alle competenze specifiche, cos come invece dovrebbero. Si buttano nella mischia a caso, diceva il gran capo, con insano orgoglio, come se il rischio
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delle contusioni multiple e il confronto con altre categorie professionali, gli regalasse ogni volta una sferzata di gaudio imprevisto. Ah, se avesse sentito Angela! Non era una questione di et, n di esperienza, quindi, ma di sfide. Il bisogno di Ietta era reale reale quanto il mio incontrollabile, e lo affermava senza esitare, pur continuando a pensare a sua moglie, sempre in onda come un televisore, ai consigli del suo psichiatra che lavevano accompagnato, a pagamento, lungo uno strano momento di crisi. Chiaro: cerano altre questioni nella sua vita. Ma non che dicesse tutto. Benedetto uomo! Io, gongolavo per quella piccola confidenza sfuggita al serraglio, mentre lui, si vedeva che si censurava. Lo psichiatra, per esempio: quella era la prima volta che me ne parlava. Un giorno di maggior tranquillit, al contempo mi assicurava, mi avrebbe raccontato tutto e meglio, e quando lo diceva sembrava quasi una minaccia. Il calcio non un affare improduttivo. Comunque. Produce nessi psichiatrici. Leterogenesi dei fini. Per me, come per il mio capo. Lavrei detto ad Angela. Non me la sarei fatta sfuggire questa occasione. Sulla strada ci raggiunse il Sergente Garzia, il nemico di don Diego della Vega non ricordo come si chiamasse in realt il maresciallo, ma non fa niente , era lui il carabiniere conosciuto sulla scena del delitto. Era lui il nemico della nostra pausa pranzo a contenuto adolescenziale e calcistico. Si era convinto, chiss perch, di doverci offrire il pranzo, per forza e, nonostante avessimo tentato di dissuaderlo in altre occasioni o di seminarlo, quella volta ci sorprese con il suo profilo rubicondo e il fiatone. Tortillas per tutti, pensai vedendolo. Carissimo, lo salut Ietta, calcando sulla doppia esse come una biscia. Fastidioso. Tavola calda in via di svuotamento. Ietta parlava e noi ascoltavamo. Il ritmo delle parole di chi in pausa ben diverso da quello di chi interroga. Pi morbido. Le parole si arrotavano sotto il rumore delle piccole forchette da dessert, dei tovagliolini di carta stropicciati, delle
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monetine che rotolavano sparse sui banconi, dei cucchiaini rimenati nelle tazzine da caff. Il controritmo della siesta: una parola, una pausa, con la lingua tra i denti, frammenti di cibo, unaltra parola senza lultima vocale, monca, un boccone, il pezzo di unaltra parola quasi incomprensibile, e poi briciole. Granella di zucchero a finire. Per prima cosa chiedemmo notizie in ordine ai rilievi della scientifica ancora in corso. Cos, giusto per dire qualcosa. Il maresciallo, affamato, prima si schiar la voce, buttando gi lacquolina eccedente che, spuma donda, gli imbiancava gli angoli della bocca; quindi disse che aveva saputo che non si era riusciti a tirare fuori neppure unimpronta utile. Tante, ma nessuna riconoscibile. Nessuno da inchiodare, quindi. Intercettiamo pure il Pace? Pure lui? Ietta era teso, instabile e senza appetito. Vediamo, non se ne pu abusare, ma se necessario necessario non so, c il sangue da considerare vediamo. Comunque, non era stato ancora consegnato il carteggio ufficiale del Ris. Si sa: quella libreria era un posto da cui passava tanta gente, quindi tante manate dappertutto, ma aspettavano ugualmente i plichi ufficiali prima di dirsi delusi. Penso a quasi dieci anni fa, mica un mese. Il Ris non era quello che oggi diventato, e lacido desossiribonucleico era una cassaforte ad alta sicurezza contro gli scassi. Adesso quelli se la tirano, sono personaggi, ma allora erano fantasmi da laboratorio, studiavano sodo e leggevano riviste americane tradotte da altri. Intanto, la lasagna nel piatto si andava consumando e Ietta scrollava la bocca piena come un cavallo. Quasi pensava di scrivere un giallo su questa storia. Un magistrato a fine carriera, o semplicemente quando stufo, scrive qualcosa. O un testo parauniversitario, oppure un giallo. Soprattutto un procuratore scrive un giallo. Tanto, a scrivere si pu sempre imparare. Non si ha neppure bisogno di un assassino, non per forza. Basta una storia e una casa editrice. Anzi, basta la casa editrice. Era nellaria e l restava: la noia imposta dallassenza di risultato. Non saremmo riusciti a ricavare da questindagine
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molto di pi di quanto era gi venuto fuori. Per questo era stanco il mio procuratore. Ogni tanto, ormai sempre pi di rado, Ietta sentiva ancora il bisogno di ricapitolare. Un riflesso condizionato: al chiudersi di ogni giorno dindagine, al calar della sera, si utilizzava la punta delle dita come a scuola. Primo: un tizio muore in una libreria. Secondo: la proprietaria del negozio sembra estranea ai fatti e ha un alibi. Terzo: il farmacista e la moglie, presso lesercizio commerciale confinante con la libreria, sembrano estranei ai fatti e risultano molto impegnati in una fiorente attivit secondaria e parallela. Quarto: nessuna prova neppure a carico della moglie della vittima, che risulta solo eccezionalmente antipatica. Quinto: compaiono lamante omosessuale della vittima e sua moglie, sembrano sinceri e nessuna prova li inchioda. Sesto: lamante non ha un alibi, ma neppure un movente. Settimo: linspiegabile ombrello macchiato, trovato tra le mani di una vecchia delirante, che si crede malata in fase terminale, ma che appare estranea ai fatti. Ottavo: aspettavamo i risultati delle analisi. Era trascorso troppo tempo tra questi esercizi scolastici, secondo Ietta. Tutto deve accadere nelle prime quarantotto ore, altrimenti non si cava un ragno dal buco. Invece. Neppure un indumento da analizzare. Neppure uno sputo di prova. Niente. Nessun miracolo in questa professione. La verit? Sulla luna. Pura astrologia. vero, allinizio, per puro caso, spazzando sotto il divano, avevamo potuto portare a galla una gran quantit di zozzerie inattese. Avevamo portato a casa degli indizi, ma era una circostanza non prevedibile, non organizzata. Fortuna. Avevamo tirato fuori prostituzione, omosessualit, un paio di figlie abbandonate. Era un risultato, lo ammetto, ma non quello sperato. Come finire per errore in un campo derba ben rasata, durante una partita giocata da altri. Non vale. Si consideri: quello non era un caso come un altro per me.
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Io stavo imparando. In quel mio inizio, Ietta mi era parso un modello facile da avvicinare, ma ugualmente interessante. Voler diventare come lui sembrava un buon progetto. Alla fine tutte le relazioni umane si rassomigliano: sono un mezzo di trasporto, pi o meno veloce, pi o meno costoso. Uno di noi voleva dire qualcosa, laltro ascoltare e prendere appunti. Complementariet. A volte ascoltava anche Ietta, se mi riusciva di dire qualcosa dinteressante, ma comunque, in via generale, possiamo affermare che lui parlava e agiva, mentre io ascoltavo e osservavo. Imparare era allora il mio progetto, e io sono uno che ci mette lanima. Il capo per si era impantanato, quasi arreso, e questa no, non mi sembrava una grande lezione. Diamine: il morto non era il mio, vero, ma ci tenevo lo stesso. Ietta era un maestro per me e non mi piaceva che tentasse dinsegnarmi ad arrendermi. Chi poteva escluderlo: pur se avessi tentato di non imparare, in questa circostanza specifica, poteva accadere che il messaggio passasse ugualmente, anche in modo subliminale, e mi sarei potuto ritrovare, dopo decenni, a pensare e vivere da magistrato disilluso e stanco, psichiatra dipendente, senza essermi coscientemente applicato per diventarlo. Non era questo il progetto iniziale. Dai Ietta, dimmi che cosa c che non va, dammi qualcosa di pi vivace da ricordare, pensavo. Trovati una donna che ti tiri su, tanto la mia bocca rester cucita con quella rompimaroni di tua moglie, mimmaginavo di gridargli. Se proprio non possiamo fare altro, buttiamoci sulla cocaina: vuoi che non giri pure un po di cocaina tra marchette e omosessuali? E dai! S, daccordo, la solita roba, ma almeno! Cera da dargli la classica pacca. Invece lui, il maestro, si cimentava in una performance tra le peggiori. Perch in tutti i mestieri, come nel nostro, puoi anche limitarti a fare lo stretto indispensabile, a firmare quattro carte senza fantasia, in prestampato, non oltre lorario dufficio, e pochi se ne accorgono. Oppure puoi sputarci sopra lanima, creare qualcosa di utile, cui la lettera della legge aveva solo accennato. E non se ne accorge nessuno lo stesso. Ma per me, per il mio futuro professionale, faceva una
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bella differenza. Era importante stabilire sin da subito lumore con cui andavano firmate queste benedette cartacce giudiziarie. Questo umore appreso agli esordi, avrebbe potuto marchiarmi per sempre. Firmare le carte. Mica niente. Faceva parte del debutto. Avevo osservato la firma del capo in calce alle pagine: un insetto senza ali, schiacciato da una suola. Agli uditori fanno un certo effetto le firme. Forse sin da subito, da quel primo dettaglio, avrei dovuto dubitare circa lopportunit del modello che mi ero scelto. Ammesso che fossi stato davvero io a scegliere. Sapevamo bene entrambi che nessuno dei due aveva scelto un bel niente in quella sporca vicenda. Per dirla papale papale. Il lavoro, i figli, il sesso, sono molto spesso una casualit. Per inquietudine, dapprima facevo le prove sui fogli bianchi, non la mia firma in esteso, che poco conta, ma una sigla: la sigla il potere della rapidit, dellemergenza e dellabitudine. Lesercizio nel quale non segue la riflessione, e per questo, gesto autentico e pericoloso. Due lettere da decidere a tavolino, che ti rassomiglino, che ti sintetizzino in modo autorevole, che ti identifichino indubitabilmente. Uniche, difficili da riprodurre. Oggi le mie due lettere sono diventate altre lettere, non le sento pi, vanno gi da sole, come un colpo di tosse. Gli altri le riconoscono, io no. Inanello quantit incommensurabili di firme, il che d il senso delluso che faccio del tempo a mia disposizione, senza aver pi neppure la certezza che la noia si nasconda ancora in quello scippo. Uno come noi, uno come me, Ietta, uno come mio padre, non pu dedicarsi mai solo a un caso con tutti i neuroni che possiede. Macch. C sempre dellaltro: udienze da rinviare, fascicoli da riempire, incontri inutili, errori da dimenticare, posta insulsa da leggere, codici da comprare, rivendicazioni sindacali da contemperare. Un cervello con la cassettiera costantemente aperta e disordinata. Una firma e sia va avanti, si chiude un cassetto, distribuendo diversamente uno spazio che non basta mai. Gestire adeguatamente il tempo e il controtempo fondamentale. A saperlo fare. Ma se quello che altro diventa trop104

po? Il discernimento e la selezione dovrebbe essere una materia di studio al concorso, secondo me. Troppa roba al fuoco, diceva Ietta. Troppo. Troppo. Lui era uno di quelli che conosceva tutto laffanno della parola TROPPO. E per tutta quella roba era divenuta di nostra propriet. Cera. Non che ci si pu tirare indietro. O forse s? Come la storia dellamante omosessuale e degli altri suoi giochetti. Ci mancava una storia cos. Allamante infatti, come se non bastasse, si erano aggiunte altre rivelazioni scottanti. Corietti era uno che sperimentava e lo faceva servendosi proprio del suo giovane, inesperto, amico. Due possibilit: o non aveva ancora deciso quali erano i suoi gusti sessuali o ci giocava per il gusto di farlo. Gli amanti frequentavano, infatti, anche un giro di prostitute, tre per la precisione, con turni differenti. Erano diventati clienti fissi. Forse gli organizzatori dei loro traffici. Si divertivano in gruppo e dal Corietti il ragazzo aveva imparato tutto quello che sapeva in materia. Le mogli ne dovevano restare fuori, come sempre. Era lunica condizione imposta allamico iniziatore e tiranno da parte dellallievo innamorato. Preservare la moglie, lasciarsi unalternativa. Per il Pace, forse, quello era lunico modo per continuare a sentirsi pulito, quasi che il segreto rendesse ogni cosa pi duttile, con minor danno per tutti. A quel punto cera da sentire le tre prostitute, ma il capo, al solo pensiero, roteava le iridi scure come un pesce con lamo in bocca. Se ne poteva fare a meno? Pi proficuo, forse, continuare a rimestare nella rabbia e nello stupore delle mogli? che fanno paura certe prostitute, certe donne molta paura. Che lingua parlano? La lasagna era finita. Nel piatto solo sordide svirgolate di sugo e segni di forchetta. Si stava facendo terribilmente tardi. Una pausa una pausa, e tale deve restare; se dura troppo, rischia di incidere sul ritmo del lavoro, incrementare lulcera
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e vanificare lattivit di unintera giornata. Salta il ticchettio del metronomo e buonanotte. Alla fine decidemmo per unambientale. Il Pace alimentava due fuochi distinti, ugualmente vitali? Bene. Avremmo chiamato il Pace insieme alla moglie, nascondendo un microfono nella stanza in cui li avremmo lasciati soli a duellare. Avremmo scoperto cos la verit. Una trappola mortale. Come stavano le cose veramente? Il mio maestro mi stava insegnando a rinviare, nella vana speranza che i soggetti che avevamo a portata dindagine divenissero spontaneamente pi comprensibili, accessibili alla nostra pigrizia, al nostro strambo tedio; contestualmente mi addestrava a portare sulla mia spalla duomo che lavora, il peso di questa attesa. Non so se era una buona lezione. Era una lezione? Per la verit, aspettare non mi sembrava cosa da insegnare a un praticante, a un giovane praticante. Io ero gi capace di aspettare, e lo stavo dimostrando egregiamente, dunque ripetevo mnemonicamente quanto gi in mio possesso, come si fa dinanzi a una materia odiosa o un maestro antipatico. Mi sembrava da vecchi aspettare. Mi sembrava un pessimo vizio indotto dalla senilit. Anche se il tempo a disposizione di un vecchio ridotto, o forse proprio per questa ragione, quelli hanno una maggiore attitudine allattesa, alla quasi rassegnazione. Le prostitute, semmai dopo diceva Ietta, se era il caso, se era necessario, a ogni buon conto, dopo, sia per i giovani che per i vecchi. E io ritornavo nel mio appartamento in affitto la sera e facevo prove tecniche dattesa: stavo sul divano, accendevo la tv, sfogliavo un codice. Per intere serate restavo a ripetere lesercizio della pazienza per sei, sette ore, dalle 14 alle 22, in totale solitudine, cos che quando alla fine telefonavo ad Angela e dicevo pronto, aprendo bocca e dando fiato, mi accorgevo con disagio che fino ad allora avevo pronunciato solo unaltra parola altrettanto opportuna, vabbvabb, e lavevo fatto a voce bassa, parlando tra me e me. Stavo imparando la lezione di Ietta? Stavo andando oltre quella mite arrendevolezza che gi mi era propria? In sostanza la domanda da fare era: ero giovane o vecchio? Dieci anni fa. I miei
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maestri, i miei compagni, casuali, biologici, involontari o volontari, mio padre, Ietta, Angela, mi stavano rendendo giovane o vecchio? Ci sono sempre dei maestri. Spesso c di mezzo un padre. Ma non solo un padre. Certi maestri sono necessari, non lo discuto, ma erano stati bravi i miei? E io come ero stato? Ero vicino alla realizzazione del progetto? Sempre a fare tutte queste domande inutili, mi sembrava di sentirla la mia Angela, la quale, peraltro, pur senza rendersene conto sinterrogava anche lei. Non voleva forse essere felice? E allora i figli? E far benzina per andar per negozi? E inventare parole per raccontare cose nuove o per insabbiarle? E prendere uno stipendio e mettere magari qualcosa da parte? Non erano progetti questi? Eppure lei rideva di me dieci anni fa, e solo dopo dieci anni, oggi, ha smesso di ridere e messo su, tra le labbra, un ghigno strano. Non sopporta che si parli di domani. Nel caso qualcuno si permetta di farlo, si gira e va via. Il tutto fu organizzato per il giorno successivo e non fu facile, perch cerano molte cose da fare e in quei giorni la segreteria era in agitazione per non ricordo quale problema. Figurarsi: cera sempre qualche problema. Si lavora in perenne affanno nei nostri uffici, oggi come ieri, zigzagando tra le assemblee sindacali. Perch noi, attenzione, senza le segreterie, siamo niente. E le segreterie soffrono. Nessuno pensa a loro. una catena. Gli amministrativi vanno coccolati, altrimenti sono guai: i fascicoli, per reazione allo scontento, prendono strade sconosciute, entrano in coma vigile, non si muovono pi. Davanti a certe funzioni vitali azzerate, qualunque cosa accada, non si riuscir mai a rintracciare il vero responsabile. Perch nessuno mai veramente responsabile. una catena a tanti anelli, appunto. Nessuno esiste senza laltro. Anche a fare scenate davanti al capo ufficio, i procedimenti disciplinari sono pura fantascienza. Mai visto uno vero, portato a termine. Mai. Mai visto qualcuno in croce per davvero. Ad ogni modo, miracolosamente, lambientale riusc a puntino. Nessuna macroscopica falla organizzativa. Riuscimmo a venirne a capo. Ci catapultammo con le orec107

chie ben aperte sul privato dei due giovani e poi riascoltammo le registrazioni di sera, in un ufficio deserto e in una rigorosa penombra erariale. La moglie scoperchi il pentolone sulla sozza storia del marito. Eravamo stati noi, senza troppi scrupoli, a indurla a scoperchiare quel pentolone. Vermi noi. Non avevamo nessuna certezza che il gruppo avesse avuto un ruolo nellomicidio, eppure avevamo fatto scattare la tagliola. Eravamo dei vermi. Rassegnati, tristi, delusi, ma vermi. Comunque non ero il capo io, per fortuna. Descrizione doverosa. Sul nastro friggeva allinizio un silenzio grasso. Le sedie stridevano sul pavimento, ch i due, luno davanti allaltro, non potevano stare fermi e si agitavano come scrofe nel recinto. Ad intervalli irregolari, lui pronunciava delle bestemmie piene di catarro. Lei piangeva. Forse piangeva; qualcosa di simile al pianto, non si poteva dire con certezza. Nel nastro qualche scoppio; non si capiva se singhiozzi o lemmi. Te ne devi andare. Ecco finalmente qualche parola comprensibile. Cantilene. Allitterazioni. Subito, te ne devi andare. Tu. Tu. Te ne vai adesso, tu. La fatica disumana delle locuzioni. Da casa te ne devi andare, adesso. Noi li avevamo lasciati a decomporsi. Noi che ascoltavamo, eravamo diventati gobbi e nani, per il piacere. Un godimento energico, folle allinizio. Proprio come ci era accaduto davanti al cadavere. Che scialo: alla fine dellambientale, non cera niente su quel nastro che non fosse lo spasimo genuino di chi si taglia in due e vede il cancro che si gi allargato dentro. Le infiltrazioni, le metastasi: ecco cosa avevamo colto. Venne fuori anche la faccenda degli incontri con le donnine. Avvenivano la domenica pomeriggio, mentre le mogli guardavano Domenica in. Uomini e donne, tutti insieme: tutta la concupiscenza cieca delluniverso. Furiosa la moglie! La rabbia, per, sembrava veder la luce giusto in quel momento; non sembrava aver avuto origine prima e altrove. Lorrendo assassinio restava, ancora una volta, fuori dalla questione, non riguardava il dolore dei pre108

senti; al contrario, nelle loro frasi scomposte dodio, il Corietti sembrava ancora pi che vivo: era lui lunico vero mostro e sembrava ancora poter far danni. Sembrava potesse ancora essere ucciso, ancora e di nuovo. I coniugi che si sfregiavano in solitudine, tiravano fuori bile e bava, parevano due ragazzini. Non due assassini. Sembrava di assistere a una festa a sorpresa, sconvolgente, alle battute finali di una partita estenuante, al calar del sole. Dopo circa unora di registrazione, mettemmo lo stop a tutti gli umori maligni che si drenavano davanti a noi. Cera da metter un argine. Determinati lo eravamo, vero, ma non cos crudeli, in fondo. Per me, del resto, era pur sempre la prima volta! Quando richiamammo la signora nella nostra stanza per farli smettere, lei volle rimanere in piedi. Se non una cosa lunga, per favore posso andare? Rovesciava il peso del corpo prima su una gamba, poi sullaltra, e cercava di concentrarsi sul mento di Ietta, senza successo, si distraeva di continuo e gli occhi sfuggivano verso il soffitto. Sembrava non avere capelli: una massa di pelo immobile e scura incollata sulla sua testa, che partiva dalle orecchie e si esauriva sul collo. Poche parole ancora per confermare che lei non ne sapeva nulla degli affari della vittima. Io non avevo capito. Mi aveva fatto fessa. Si appoggi per qualche secondo con le mani a ventaglio sul bordo della scrivania del capo, per reggere il peso e la fiacchezza di quella nuova realt. Andandosene, lasci due guanti di sudore impressi sul legno. Lui, il Pace, rimase a lungo nellaltra stanza. Da solo. Non aveva altro luogo in cui recarsi. Nessuno in cui rimanere. Il sesso, le porcherie, pure le prostitute, ma niente applausi per lultima scena. Cos era fatta. Avevamo sentito le mogli: prima la polveriera allenata, poi lingenua stupefatta. Alla fine della giornata, per, eravamo di nuovo poveri. Io e Ietta pallido. Nessun collegamento tra la vittima e la proprietaria del negozio. Niente tra la vittima e sua moglie. Niente tra la vittima e il suo amante, n tanto meno tra il morto e la moglie del109

lamante. Niente con il farmacista: larabo e la moglie si facevano altre storie, per conto loro. Niente di nuovo sulla vecchia dei santini che si voleva far ricoverare. Per le puttane era ancora da vedere. Puttane a destra e a manca. Punto. Meglio dormirci su. Il capo gir attorno alla scrivania, arrivando l dove ero seduto io, lento lento. Si ferm solo un attimo con locchio liquido e lo fece galleggiare su una superficie indeterminata tra il calendario, quello ogni anno gentilmente offerto da una ditta di articoli di cancelleria, e la finestra buia. Due mezzi passi ancora e indoss limpermeabile e un cappello largo e moscio, come carta bagnata. Piove ancora. E che schifo di citt! Andiamo a casa. Basta. Peccato per il cappello che sembrava acquistato da poco. Avevo parcheggiato fuori e lui si offerse di accompagnarmi con il suo ombrello, tutto umido dabitudine, fino alla mia macchina. Ietta aveva sempre tanta gente intorno, ma adesso era un tassello isolato. Pi piccolo, senza i suoi girotondi dinchini. Parlava con voce di mezzo tono pi bassa. Ho mille cose in testa. Forse non te ne ho mai parlato. Potrei? Non so se potrei. Se il caso. Alla tua et. Sembri un tipo che comprende. Uno che ha tempo per pensare. Aveva voglia di parlare, ma la pioggia faceva troppo rumore. Forse domani ti racconter di me, se avremo tempo o il tempo che avremo lo riconosceremo come tale. Pure quello un fatto dintuito e solidariet. Ci sono udienze domani? Tu hai visto per caso lo statino dudienza? Mi pare di s. Mi devo guardare ludienza di domani, quindi. E guarda come piove. Pausa. Dopo, a indagine finita, anche dopo aver cambiato il mio affidatario, pi volte negli anni, ho risentito il dottor Ietta. Il mio maestro. Di solito al telefono. No, lui non rassomigliava a mio padre. Nessuno rassomigliava a mio padre. Mi aveva parlato solo alla fine dei nostri giorni insieme: dello psichiatra esoso, degli anni di terapia che aveva portato avanti faticosamente e dei risultati di cui andava fiero. Era un maestro di vetro sottile, anche se non voleva che si raccontasse in
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giro. Il suo tallone vulnerabile era la famiglia. Eppure a soldi stava messo bene allepoca. Non era per soldi che non riusciva a trovar pace, a provare il piacere del divano, come dico io; quello dellabbandono serale in un grande grembo, che ti aiuta a star fermo. Mi aveva raccontato qualcosa del pensiero del suo psichiatra, ma con riserbo estremo. E io avevo ascoltato, senza dare i consigli che non avevo da dare. Rispetto a quella storia del tu sei il mio maestro, io imparo, se lui parlava del suo psichiatra, le poche volte in cui lo faceva, e lo faceva perch decideva di farlo e non era solo un inciampo, un cascare casuale in un discorso tra uomini, be, insomma, se lo faceva, io lo ascoltavo, ma cercavo di non imparare. Di non memorizzare nulla di quella debolezza ritrosa. Non so se ci riuscivo. A volte non riuscivo a frenarmi in tempo e finiva che registravo lo stesso. E infatti oggi ricordo ogni cosa. Quella sera dallinterno della mia macchina, mentre mettevo in moto, lho visto ritornare sui suoi passi, dopo avermi salutato con un cenno dei suoi, con il braccio destro ad angolo retto e la mano pure, lho visto arrivare fino al gabbiotto della vigilanza con le pozzanghere sulle spalle, nonostante lombrello. Dal gabbiotto uscito lAgrimi autista, che lo aspettava da ore, e sono andati via insieme oscillando in sincrono, a destra e a sinistra, come tergicristalli in servizio. No, non come un metronomo, ma come un tergicristalli. Un magistrato e il suo autista hanno sempre un rapporto esclusivo, un ritmo solo loro.

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VIII CAPITOLO

Trader dice che come nelle partite di tennis. Ti si fottono addirittura gli occhi. Dici che la palla fuori perch desideri che sia fuori. Desideri a tal punto che sia fuori che la vedi fuori. Si nasce con un ordine del giorno vincere, avere successo e questo ti fotte gli occhi Non mi serve per vincere. Non mi serve per avere successo. Martin Amis

Avete distrutto una famiglia. Cos Era necessario. Mica siamo sadici, scusa. Era necessario e basta. Ci vediamo venerd o ci sono problemi? Ho smesso di prendere la pillola da due settimane. S. E come lo sai? Lho immaginato. C una mia amica che rimasta incinta dopo tre giorni. Uhm. Unaltra invece non si era neppure accorta di esserlo, perch continuava ad avere il ciclo. Pu succedere anche questo, pensa. S. Ho solo amiche che partoriscono, io. S. Mi fanno sentire un po malata. Mica lo sei. Neanche tu. E infatti. Due settimane sono tante, non credere. Pu succedere in due settimane. E gi. Hai cambiato idea circa la personalit dellammazzato? Allinizio ti faceva tenerezza. Adesso sei pi duro.
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No, ma che centra? Potrebbe essere anche un omicidio a scopo passionale. Oppure altro. Non si capisce niente. tutto uno sfascio. Scusa, che famiglia era quella del morto? Un teatrino? Tutto finto. Come si fa a lavorare dentro questo teatrino? Ah, la famiglia, quindi. Bene bello mio. Se avremo un figlio non potrai continuare a fare questa vita. Tu stesso parli di famiglia e poi Io la voglio per davvero una famiglia. Vedremo quando accadr. Io non escludo niente, ma la vita non va vista in modo fotografico. Cosa? Voglio dire che il tutto deve essere analizzato in modo dinamico. In movimento. Hai presente il movimento della vita, tu? Ecco. Adesso facciamo questa vita, daccordo, ma domani potrebbe essere diverso. Questo voglio dire. Dico che la vita non deve essere vista in senso fotografico, hai capito?, dico non statico, ma dinamico; cinematografico insomma. Non cambia niente se non si vuole che cambi. Altro che cinema! Io intanto ho smesso di prendere la pillola. Ho fatto una cosa. Cera una cosa da fare e io lho fatta. Tanto per cominciare. Io ho fatto. Tu invece, cosa hai fatto? Per esempio. Io cambio. Davvero. Mica te. Perch questo cambiamento voglio partorirlo davvero. Ho fatto il primo passo e lho fatto io, mica tu. Gradirei pi entusiasmo. Le cose nuove mi piacciono. Appunto. E allora? S. Tu dici cos, ma poi Non ti devi preoccupare di questo. Che hanno detto le prostitute? Le abbiamo fatte sentire dai carabinieri. Prima. Poi dopo vediamo. E che hanno detto ai carabinieri? Innanzitutto che loro non sono prostitute. Vivono insieme in un appartamento popolare, con la lampadina davanti alla porta dingresso, che se accesa anche di giorno, d il via libera al cliente. Ma dicono di non essere prostitute. Lo fanno
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per piacere. Ricevono solo qualche regalino ogni tanto e il Corietti era un buon amico. Il Pace era timido, il Corietti un buon amico. Dicono che erano molto diversi luno dallaltro, quei due. Timido dicono, quindi pochi regalini. Se il Pace era diverso dallamico ammazzato, come dicono, allora lammazzato non era timido. Forse ha pestato i calli a qualcuno. Bisognerebbe approfondire. Sentirle di nuovo? Ecco. Ritornate sui preti, che meglio! Non avete fatto parlare nemmeno un ecclesiastico! Le zoccole s, ma i preti no, perch? Magari un cliente affezionato della libreria di articoli sacri, magari un imberbe giovinetto in clergyman, che ricordi vagamente il Pace, quantomeno fisicamente se non nel carattere. Anche le donnine erano giovanissime, se per questo. Amava il frutto acerbo, dici tu. Chiamalo fesso. Avresti dovuto vedere, poco pi che maggiorenni e certi incroci dossa intorno allombellico. Punti di contatto tra il giro di prostitute della vittima e quello del farmacista? Niente di certo. Erano due distinte tipologie di affari. Livelli di offerta differenti, diciamo. Ma quelle ricche se le stanno torchiando alla seconda sezione. A noi le poveracce. Che dicevi di queste tre allora? Straniere? No, italiane; con il fard a grumi. Sciupate. Me le immagino cos. Hai fatto caso: le italiane sono pi truccate, le giovani almeno, sono pi truccate. Hai notato? Io ho notato. Strano che fossero italiane! Ietta adesso potrebbe tentare di ricostruire il giro, sempre che ci sia davvero un giro da ricostruire. Comunque un giro molto pi modesto rispetto a quello della moglie del farmacista della Giordania. Come era cominciata? Anni fa, dicono, con una visita solitaria fatta dal Corietti. Una ricostruzione incerta. Da bambine. Ma magari, hanno ragione loro e non sono prostitute. Magari il Corietti non era il pappa, come uno potrebbe credere. Ietta ha messo una volante sotto casa, ma per ora non circola nessuno. Sono a lutto. Nessuno? Preti, musulmani, farmacisti, magistrati?
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Nessuno. E allora? Ho detto: bisognerebbe ricostruire il giro nei particolari, nomi, dati, luoghi. Ma Ietta, non so, non ha voglia. Senti, stavo pensando una cosa. Non centra niente, ma la stavo pensando. Considerata la scarsa soddisfazione professionale dellultimo anno, eh, come sai, solite beghe inestinguibili, lasciamo stare, allora dico: che ne diresti se cominciassi uno di quei corsi di preparazione al concorso per uditore giudiziario? Pure io? Nello studio sono arrivati degli stacchi di coscia che proprio non si tollerano, due nuovi collaboratori femmina, e chi gli sta dietro a questa concorrenza? Proprio non ho n voglia, n energia, di ricominciare di nuovo a sgomitare, no, non se ne parla, mi arrendo. E lavvocato a dire bene, bene, pi siamo meglio si lavora, e come no? Finir per odiare la gente in generale, specie quella che vuole fare il mio stesso mestiere. Evviva Maria. Non dici niente. Pensi che io sia troppo vecchia? No, certo che no! Si pu fare. Anzi. Se vuoi mi informo tra i colleghi. In citt c il famoso corso di coso, l, come si chiama?, accidenti, non ricordo il nome del magistrato che tiene il corso con un paio di colleghi. Due lezioni a settimana. conciliabile con qualsiasi altra attivit. Non mica una cosa impossibile. Ma come cavolo si chiama quello? Proprio non riesco a ricordare. Faccio il mio nome? S, il tuo nome, ecco, fallo dai, visto che ci sei. Forse alla fine uno stimolo. Anche la voglia di prendere il treno pu essere una botta per me. Ci sono molti corsi simili in questo momento. Tutti si danno da fare. Ma bisogna scegliere il meglio, altrimenti non ha senso. Certo, ci avessi pensato prima Se per nel frattempo tu mi metti incinta, io lascio perdere ogni cosa. Sai? Che vuol dire? E perch? Si pu sempre conciliare, te lho detto. S, ma non so se a quel punto avrei ancora voglia di mettermi in gioco.
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Allora del concorso non ti frega! Che cavolo significa mettersi in gioco? Fare figli mettersi in gioco? No, per ci sono anche altre cose. Ti ricordi come ero ciccia prima di cominciare a lavorare? Un metabolismo con le allucinazioni. Altro che saltapasto! Linerzia di quel periodo mi terrorizza ancora. Non me lo sono mica inventato il cambiamento fisico che c stato dopo, era cos evidente per tutti, lo dicevano tutti, persino io me ne accorgevo. Era un godimento miracoloso, una cosa che, guarda, non so come dire: era meravigliosa, superava qualsiasi verbalizzazione. Perch avevo smesso di annoiarmi. chiaro! Sono un mostro di trasparenza, lo sai. Ma quando mai? Io di solito non capisco un tubo di queste faccende da donne. Tu sei trasparente solo se vuoi esserlo. Anche questa cosa dei capelli cos corti, a sorpresa, per esempio. Non ti piaccio? Lo sai che devo riflettere. Comprendere con calma. Secoli, ti ci vogliono secoli figlio mio! Con calma. Non solo un fatto estetico. Prima eri pi in carne perch avevi bisogno di lavorare, di spezzare un ritmo alienante. Adesso sei magra perch hai bisogno di metterci in gioco. Mica semplice. E poi io in genere preferisco le donne che lavorano. Sono diversa fisicamente. E quindi? Ma non si era detto che amavi le novit, scusa? S, ma che centra, ci sono dei limiti. Non che per caso non ho pi un aspetto rassicurante? Hai un aspetto nuovo. E quindi? Quindi? Niente: una trasformazione che viene da dentro. Tu vuoi che gli altri vedano fuori quello che successo dentro. Non cos? Ti soddisfa questa tesi? Sei contenta adesso? Lo sapevo. Io lo sapevo che ti piaceva. Il cibo, comunque, importante. Non diciamo che quello che mangi non centra nulla! Quasi, quasi, smetto di mangiare anchio. Ma io non ho smesso di mangiare. Sarebbe troppo facile cos.
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Ah no? Ma sei scemo? Perch, io ho mai smesso di mangiare? Ti risulta che io abbia smesso? Allora non capisci davvero un accidente. Voglio dimagrire anchio prima di diventare vecchio. Ma tu hai capito come mi sento? Vuoi una esemplificazione? Forse ti aiuterebbe? Una cosa romantica? Te la do. Conosci quei posti di villeggiatura che si svuotano a ottobre e tira un vento della madonna tra le cabine? Non c il sole, c un solo bar aperto che vende quattro giornali e basta. Cos. Hai presente quegli stessi posti che cambiano dinverno e gli unici esseri umani che trovi sono muratori pagati per piccole manutenzioni o i proprietari che, alla domenica, dopo Pasqua, vengono a parlare con le famiglie che vogliono affittare per la bella stagione, ma che poi non restano nemmeno un minuto in pi in mezzo allumido, nemmeno per imparare a conoscere il posto. Eh, cos. Cos mi sento. Puoi capire? Cio? Tho fatto un esempio. Hai capito? Pi o meno. Meno male. Ma le stagioni cambiano, appunto. Eccome. S Buonasera! Vedrai. Va bene, va. Comunque. Veniamo a noi. Di: non avete percepito nulla di falso nelle dichiarazioni delle prostitute? Erano amiche hai detto. Magari si coprivano luna con laltra. Sembravano lievemente alterate. Ma poco. E la moglie del morto? Era lievemente alterata pure lei? Non so. Era diverso. Oh, queste sono idee di Ietta. Il caso suo. Per quanto pure io E la Curia? Quand che sfondate quel portone? Che cavolo aspettate? Unenciclica che chiuda definitivamente la questione? Fatevi coraggio e cominciate subito. Agite invece di stare a rimuginare. Sempre l a ponderare, a cercare altri significati, eh, che palle, siete voi a comportarvi come femmine! Almeno tu. Parlo di te, io. Altro che checche.
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IX CAPITOLO

Dietro le loro domande stava il presupposto o era solo la sua immaginazione che lei fosse il tipo di persona logicamente e presumibilmente presente a un crimine del genere, come un incendiario ad un rogo altrui. Ian McEwan

Quei giorni, i giorni avevano le gambe. In Procura si continuava a lavorare e non solo al caso pi ingombrante del mese. Cerano altri fascicoli in segreteria da macinare, di quelli facilmente riconoscibili tra gli altri per la loro copertina nuova: carta ancora poco utilizzata, minore il numero delle ditate al carboncino, minore il numero dei fogli da mettere in indice, ancora nessun odore, nessun errore materiale da correggere, nessuna orecchietta, nessun segno di spillatrice in alto a sinistra. Carta che pu ancora sembrarti seta, che fruscia. Ietta diceva: dai uno sguardo tu e poi, a fine mattinata, se ne parla con calma e si decide. Il diritto non lo acchiappava pi per niente, questa era la verit, inutile girarci intorno. Io, invece, portavo il codice nuovo in borsa, sforzandomi di rinnovare lentusiasmo che conteneva, e ogni mattina cambiavo sedia per lavorare, perch il mio era ancora un praticantato e gli arredi me lo ricordavano di continuo. Osservavo le sedie che non possedevo, le scrivanie, gli armadi metallici con un certo distacco, mentre, a casa, sperimentavo ricette ardite contro la fame nervosa. Non che la mia fosse vera cucina, nel senso del creativo mescolarsi dingredienti diversi, da portare a differenti gradi di cottura, con modalit variabili. Assolutamente no. Di rado accendevo il forno. Mia madre diceva sempre che il rapporto con il proprio forno deve essere intimo, ma non lo diceva a
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me, al figlio maschio non aveva da insegnare certe cose, lo diceva in astratto, per lasciare un segno, credo, per esserci, senza aspettarsi conseguenze; cos io, poich in affitto, solo per puro caso avevo scoperto che manopola a destra = acceso, manopola a sinistra = spento. Nessun cameratismo, anzi una certa malcelata diffidenza. Il forno era escluso. Qualcosa in padella antiaderente, con poco olio, semmai, e molto al crudo. Cucina sana, sperimentale. La mia sperimentazione di tipo sociale, che consiste nel ricercare prodotti tipici della terra in cui mi trovo, e nel chiedere benevoli chiarimenti, confidenze, segreti, a tutti i rivenditori di prodotti alimentari che incontro. Oggi come allora, cerco di farmi amare. Di fare tenerezza, che poi il sentimento pi utile in assoluto. Io sono uno di quelli che in salumeria chiede lassaggino, che fa i complimenti al fornaio, che partecipa ai reumatismi da umidit mattutina del fruttivendolo e strizza locchio se riceve in omaggio gli odori per il brodo. Adoro la frase: le metto qualche gambo di prezzemolo e sedano, dottore, che non si sa mai . In genere, per tenerezza, raccontavo sempre e racconto ancora, mentendo di vivere da solo e che nessuno cucinava, o cucina per me. cos che mi faccio amare. Come un poveraccio buttato fuori da casa sua. Quanto tempo era trascorso tra il delitto e la serata di Chi lha visto? Non riesco a essere preciso, mi dispiace. Ad un certo punto indagare ci era parso insufficiente: le intercettazioni fiume, le testimonianze, le connessioni, gli atti da spulciare; ascoltare, rifletterci, masticarci su; la stampa da leggere ogni mattina. Le ferie da consumare prima di giugno. Le frasi dei colleghi in ascensore. Sembrava poco, sembrava normale, la chiamano routine. Ma arriv la televisione. Per la verit, allinizio, Ietta disse di no alle riprese televisive, non siamo qui per fare le star, ma dinanzi alle paralizzanti insistenze del grande comunicatore, inoculate attraverso un invisibile pungiglione, aveva finito per fornire tutte le informazioni richieste dagli autori del programma e dal regista, ripetendo alcuni amati concetti chiave, sempre gli stessi, che
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conoscevo bene anchio ormai, da ribadire a ogni orecchio disponibile almeno per due volte, come avrebbe fatto un vecchio docente di latino in una scuola professionale. Concetti chiari, prevedibili, un bizzarro sermone domenicale, solo un po pi breve. La conduttrice, una seria ai tempi, gli fece persino una telefonata, che lui apprezz molto. Cos mi disse ragazzo, guarda la televisione stasera. Diceva che quella trasmissione stava diventando un utile strumento istruttorio, cos, cos, ormai inutile negarlo, sono pi bravi di noi, hanno altri strumenti, sono pi belli esteticamente, arrivano dappertutto, la gente li desidera, li capisce, ha bisogno di loro, si fida, vuoi mettere coi codici? E poi, visto come si erano messe le cose, non poteva essere dannoso. Bisognava prenderne atto: la realt giudiziaria stava mutando sensibilmente. Ora di cena. Sigla. Cera proprio quella conduttrice bionda con gli occhiali, quella che conduceva con grande scienza alcuni anni fa. Quella con il naso a pallina che andava su. Come si chiamava? Primo piano. Io cenavo scomodamente con le ginocchia annodate sotto a un tavolino da t, quello con tre spumeggianti trucioli di legno disegnati intorno alla circonferenza e sbotti di fantasia barocca sui tre piedi. Lo notavano tutti entrando. Era inappropriato un tavolo cos nella scena austera e scura della mia vita a termine. La luce a risparmio energetico di una sola lampadina impiccata in alto, trasformava il tavolino in una luna piena arrogante, con qualche crosta di caff sfuggita al Lisoform. Di certo ero l al moneto della sigla, mangiavo una delle mie solite primizie da raccontare. Niente di estroso o di incontrollabile. Io mangio di tutto, salvo alcune controindicazioni alimentari di poco conto: niente alcolici, mai elementi rotondi, piccoli, rossi e con nocciolo. Perch rotolano, sfuggono, scoppiano in bocca, sporcano. I gusti sono gusti; chi cerca ragioni remote a certe abitudini un fesso, secondo me. cos e basta. I pomodori, per, se a fette, li posso mangiare. Quelli s. Mangio cos e sono certo di risparmiare sulle medicine. Sono categorico su questo. I miei gusti li rispetto, li coltivo, li faccio
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maturare, li comunico a chi vuole condividerli con me. Cerco adepti come un giovane guru, ma solo quelli onestamente interessati a capire. Gli altri, fatti loro, che passino al Maloox. Non so ancora bene in quali termini, ma questa fissa ha a che fare con la mia adolescenza e con lorologio, con il tempo che passa. C sempre di mezzo lequivoco delladolescenza in casi come questi. Sento che cos anche per me. Ma non ho ricordi a riguardo ai quali addossare la responsabilit di certi vizi. Traumi. Incubi. Ospedali. Niente. Io mangio cos: selezionando. Non indifferente quello che si infila nella propria bocca. Alla fine lo stomaco mi offre le stesse lusinghe di una valigia da riempire. Non voglio metterci dentro di tutto e a caso. Tutto quello che posso, ma ragionandoci, secondo un progetto logico, con coerenza, senza rischi inutili. Non mi adatto al cibo, ma adatto il cibo a me. Da qualche anno pure la quantit di cibo da ingerire diventato un monito. Scelgo e mastico piano e rallento lalito ansiogeno del mio orologio da polso. E guardo la faccia di bronzo di Angela, dopo aver osservato a lungo quella mia danguria. Che avr da guardarmi tanto? Te la raccomando Angela e le sue diete! Lei proprio non pu permettersi commenti di nessun tipo. E lo so che gran fatica , che il corpo non possa mai avere lo stesso peso specifico dellanima e neppure le sue trasformazioni, n tanto meno la sua memoria. Questa cosa unisce gli uomini alle donne. Forse la cucina no, ma il corpo ci riguarda entrambi. Ci sono tante faccende in cui siamo diversi, opposti forse, ma non su questo. Secondo me questa storia del corpo che fatica a rispondere alle domande principali, ci unisce. Il cadavere del Corietti, per esempio, era una risposta al tempo che passa oscuro e poco vigile. Anzi, non la risposta, forse era la domanda. A pensarci meglio. Ad ogni modo andava in onda questo programma televisivo e io masticavo, cercando di contrastare il languore triste della sigla, il cui magone era intensificato dallo sfilare morente delle foto degli scomparsi, dei sommersi. Una sigla orribilmente mesta che piaceva molto. Solo musica, nessuno ci can121

tava sopra, ch cera poco da cantarci, del resto. Altri servizi prima, roba sotto sforzo, poi ecco apparire la foto del nostro morto. Come rivedere un parente, per me. La foto era quella della patente, che noi stessi avevamo gi fatto circolare. Sempre quella: una faccia lunga e secca, ma ancora tutta intera, fornita dalla consorte incazzata. Breve ricostruzione dei fatti e poi laccorato appello al pubblico. Di solito un discreto audience. Se qualcuno al corrente di qualcosa che ritiene utile per le indagini in corso, telefoni in redazione. Carrellata sulle alacri telefoniste e stacco successivo sugli occhiali della bionda conduttrice. Era proprio brava. E finiva che la gente chiamava davvero, lusingata, indotta, sospinta dalla cura delle immagini, anche se aveva poco da dire. Chiamavano anche solo per allontanare i propri demoni. Tutto qui. Il tempo di una cena solitaria e morigerata; al massimo quindici viaggi di forchetta. Soltanto la mattina dopo, sul tardi, venimmo a sapere che qualcuno aveva telefonato davvero, ma non in diretta televisiva. Per prima una giovane donna, poi un uomo. Ma andiamo per ordine. La giovane donna. Aveva vuotato il sacco, come si dice, la coraggiosa pulzella. Aveva parlato in particolare di un monolocale affittatole da un prete, di uno sfratto brutale, di un cesso rotto e di un neonato. Per fortuna forn tutti i dati e si dichiar disponibile ad approfondire il suo sintetico fumetto in Procura. Potenza del mezzo. Ci avevamo guadagnato una donna giovane e pure ragazza madre. Io ero felice, forse anche Ietta. Venne con il figlio nel marsupio. Dalla grande tasca veniva fuori un cespo di peli castani, odorosi di Fissan. Il bimbo se ne stava appeso e pago come certi frutti destate, nel vapore che viene dalla terra. Bastavano le bretelle a reggere il peso di quel figlio appena nato, che faceva bruschi movimenti dinconsapevole difesa. La madre non reggeva il marsupio con le mani, che teneva invece infilate in tasca, fiduciose. Il piccolo sembrava un serpente nel cesto: tentava di girare il capo quando sentiva un rumore, una voce, una penna
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che cadeva, una tastiera che titillava. Siccome era schiacciato sulla pancia della madre, non poteva n muoversi n guardarmi in faccia, cos, restava incerto, in bilico. Apriva e chiudeva la bocca. Io lo potevo guardare, ma non in tutti i dettagli come avrei voluto. Volevo capire quanto erano piccoli a quella et; dove possibile infilarli e con quale autonomia di movimento. I figli. Limitata, direi, veramente limitata. Lautonomia, intendo. I neonati si muovono poco, lo fanno a scatti. Non sentono il proprio corpo. La madre raccont la sua storia, intervallando le parole a sibili da voliera indirizzati verso il figlio, segnali che per lui dovevano aver dentro lo zucchero di una caramella o la tranquillit di un carillon. Quel prete un demonio; io lo devo far sapere a tutti. Parlava del suo locatore, che le era venuto in soccorso quando, un anno prima, era rimasta da sola e con la pancia, dandole un posto in cui rifugiarsi, per dormire, cucinare, ed essere sveglia al mattino presto, lavata e pettinata, per andare a lavorare, almeno finch non fosse nato il pupo. La legge, almeno un po, tutela le madri. S, un po, ma non abbastanza. S, c lastensione obbligatoria, anche quella facoltativa, ma a quel punto lo stipendio quasi si azzera, gli assegni, lassistenza, quegli studi sul licenziamento senza giusta causa, ma con un marito meglio. Se non si faceva vedere al lavoro per troppo tempo, se si ammalava, la buttavano fuori o veniva trattata male e messa alle corde. Per lavorare ci vuole la casa, altrimenti va tutto in malora. Per essere di buon umore ci vuole una casa. Se non un uomo, almeno una casa. Ad avere un casa tutto pi facile, pure tenersi un figlio. Ma trovare casa era un disastro. Un vero disastro in citt. Il lavoro importante, scusate, non si scherza con il lavoro. Perch non che una donna non una donna per bene per il fatto di aver fatto un figlio da sola. Ma se non ha un posto in cui dormire A lei era sempre piaciuto lavorare, fare una vita regolata; anche studiare. Continuare a studiare, magari, quando il pupo si fosse fatto grande e non cera pi da perdere la testa in pannolini. Lei aveva tutte le carte anche per trovare un lavoro migliore della segretaria. Belle speranze. Per primo il lavoro, poi la casa. Anzi, forse prima la casa.
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Lungo il discorso della pulzella in cerca di fiducia, fatto senza ingoiare saliva. La storia del prete era da raccontare meglio. Era in Procura per questo. Voleva dire, far sapere. Il prete era diventato un lupo, allimprovviso, senza motivo. Prima un angelo e poi un lupo. Le donne sono vendicative, non tanto per dire, e infatti lei voleva vendicarsi. Che lo scomunicassero al maiale! Prima il prete le aveva offerto un alloggio a costo di cortesia, dopo aveva mutato pensiero. Si era presentato a casa di sera tardi e aveva detto alla ragazza che doveva sloggiare subito, al massimo nel giro di una settimana, perch la casa serviva a lui. Nemmeno il segno della croce si era fatto; neppure una bugia aveva detto. Entrato in casa, sembrava voler far volar via i piccioni dalle gradinate, battendo le mani. Via, via! Ma siccome la giovane madre non se ne andava, lui era ritornato qualche giorno dopo, quando a casa non cera nessuno, e aveva spaccato il cesso a colpi di martello, scheggiando le mattonelle in stile Vietri e facendo cadere lo specchio gi dal suo chiodo. Iella nera per sette anni, se non di pi. Una cosa che non ti aspetti da un prete, che Dio non pu approvare. Chiss quanti altri cessi aveva gi spaccato questo prete. Dalla perizia con cui laveva sventrato non sembrava la sua prima volta. E dove lo trovava un altro monolocale? Costavano un occhio in citt. Dopo la tempesta, la ragazza se ne era andata per qualche mese da unamica. Questultima per, dopo poco, si era rotta: non dormiva bene di notte per colpa del pupo e sbuffava. Non poteva durare. Quel prete fa proprio paura. Non uno normale. La faccenda era poderosa. Il ritmo di Ietta, dinanzi al vagito animale dellesserino in fasce, invece, era lo zero assoluto. Ascoltava, senza sapere come interagire. La creatura gli era stata imposta, inoculata. Non faceva domande, non si era dato una meta, non cera la sua musica. Daccordo: non potevamo dire che la deposizione della signorina fosse particolarmente attinente alla nostra indagine. Per si sa che la giustizia fa spesso giri strani, e solo Ietta fingeva di non saperlo. Impigrito. Eravamo davanti a una deposizione vaginale, che veniva da dentro, una cosa che non capita di frequente.
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Spontanea. Galoppante. Ma lui non reagiva. La ragazza non conosceva il morto, n la libreria presso cui lavorava, n tanto meno il farmacista esotico. Tanto per chiarire. Lassassinio non aveva nulla a che fare con il pargolo. Anzi, la ragazza ci teneva a che apparisse chiaro, in un rigurgito neofemminista, che il figlio era suo e basta; non era l per parlare di sesso o di padri naturali. Non era l per suo figlio o per parlare di suo figlio. N del morto. Aveva solo maturato una pessima opinione sul clero operante in citt e la comunicava per dovere di buon cittadino, considerato che il clero sembrava aver avuto un qualche ruolo nel caso giudiziario in questione. La televisione aveva detto: parlate, se sapete qualcosa. Allora lei aveva voluto parlare. Altrimenti a che serve la televisione? Parlava. Daccordo, la sua era soltanto unopinione, valeva quel che valeva, come potevamo mettere in relazione il cesso con il morto, il sacerdote con luomo delle pulizie? Era fuori di dubbio per che limmagine offerta era in contrasto con le icone sul tema, e arricchiva limmaginario collettivo. Era uno strano prete questo qui. Un prete dovrebbe parlare a voce bassa e sorridere rassicurante, paziente, sotto veli di mistica sapienza. Non me lo vedevo proprio un prete, vestito di lungo, fare piazzate, imbracciare un martello e cesellare il water con la violenza di Mastro Lindo. Ma poi alla fine tutto possibile quando si tratta degli uomini. Nonostante le incertezze, Ietta avrebbe comunque dovuto mostrare pi interesse, secondo me. Pi carattere. Del resto era un racconto avvincente. Il tipo di chiesa si era accanito sul suo stesso water. Domando io: perch un tizio rompe il water se lui il proprietario? Una spiegazione: incavolato nero. molto nervoso. Oppure ha molta fretta. Deve buttar fuori dalla sua propriet uninquilina divenuta scomoda e, per farlo in tempi rapidi, decide di spaventarla a morte. Non esita a sacrificare il suo water pur di terrorizzarla. Non si preoccupa del modesto danno economico, forse perch certo di assicurarsi con quel gesto ben altri guadagni. Non di certo il Regno dei Cieli. Ancor pi semplice: rompendo il water, il tizio si assicura che linquilina andr via. Non si pu restare in una casa che non ha i servizi funzionanti, o per lo meno non vi si
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pu restare a lungo. questa lunica spiegazione possibile, in fondo ovvia e, per questo, geniale. Chiedemmo come era cominciata la persecuzione. Disse che il sacerdote era sempre stato gentile con lei, fino a quando le aveva imposto di andar via. Gentile? Quanto gentile? Avevo chiesto io. No, gentile in modo normale, aveva risposto lei, nel modo in cui ti aspetti da un prete. La chiesa si deve interessare delle persone in difficolt. Nessuno si stupisce di questo genere di generosit. Ma poi le cose erano cambiate in modo repentino e imprevisto. Lui non aveva intenzione di aspettare, di darle il tempo di trovare unaltra sistemazione. Nessun esercizio di carit aggiuntivo. Le aveva fatto staccare persino la luce. Lei aveva resistito. Aveva imparato a resistere. Con la luce del giorno era pi facile: bastava spalancare la imposte. Dopo il sole, le ore scivolavano dentro una bottiglietta dinchiostro scuro e non si vedeva nulla in casa. La luce solare consumava i luoghi. La sera arrivava quando in strada si coloravano gli aloni di gas intorno ai lampioni; era quello il segnale dellangoscia. Lei li vedeva accendersi dal suo appartamento, ma erano lontani, alla fine della strada, proprio l dove sapriva una piccola piazza ovale, troppo lontani per farle compagnia. Finch poteva se ne restava affacciata a vedere laria che cambiava colore. I negozi chiudevano quando lei serrava le due finestre, lasciando aperte le imposte e scostate le tende. Faceva freddo allimbrunire. Pi freddo. Di sera la ragazza stava al buio, mentre il sacro pupo dormiva come dentro la capanna. Non si poteva nemmeno leggere. Ciondolava a tastoni per quei pochi metri quadrati, percorsi lenti, con le mani sulle pareti per riconoscerne gli spigoli. Se ne restava in un silenzio catastrofico, schiacciata dal pianto del neonato, che ricordava il fragore delle martellate sul cesso. Distruttivo, irrimediabile. Senza elettricit, non funzionava neppure la lucina del frigorifero e tutto andava a male, soprattutto il latte artificiale liquido. Quello in polvere costava di pi. Tutto puzzava nel buio. Lultimo colore era quello della notte. Seppia. Di notte cera quella luce orribile che le fasi lunari trasformano, condita con i rumori della strada. Come una spugna intrisa e gocciolante.
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Quel liquido scuro che avvisa gli insonni che diventato troppo tardi per cercare ancora di dormire. Quella luce finta che non mai la stessa, le cui sfumature di petrolio dipendono dalla pressione arteriosa di ciascuno e dal frastuono che fanno i camion della nettezza urbana, rovesciando i cassonetti. Il pupo, comunque, scovava la mamma anche nella penombra, senza alcuna fatica; lui sapeva sempre dove era lorigine, anche a occhi chiusi. Lei, invece, non trovava pi un posto in cui nascondersi da quando cera il pupo. Succede a certi genitori, pare. Scappare era inutile in quel buco. Per una notte intera era rimasta con la testa sotto le coperte, aspettando lora della poppata, con la sveglia in mano a guardare i riverberi fosforescenti dei numeri romani e delle lancette. Verdi come il digiuno. Non poteva continuare a vivere come un topo. Doveva trovare soldi e nuova sistemazione, per forza. Magari come le studentesse, quelle che dividono le spese. Magari un bilocale. Anche se le studentesse vogliono dormire di notte e di solito non hanno figli a cui badare e per i quali perdere il sonno. Di solito. Con dei buoni tappi per le orecchie si pu risolvere il problema? Con un po di comprensione, forse. Forse. Cos la faccenda del buio dur solo un paio di giorni. Non sono una bestia, non mi potevo far trattare cos. Ma della denuncia ho avuto paura, allinizio. Adesso che il pupo cresciuto, ho meno paura. Si voleva prendere la sua rivincita. Era giunto il suo tempo. Che impressione ne avevo avuto? Mi ero chiesto subito di chi era il figlio appeso al collo. chiaro. Tutti al posto mio, credo. Tu vedi un bambino e ti chiedi di chi : normale. Soprattutto se un figlio non ce lhai, te lo chiedi. Un fidanzato, un incontro casuale, un cliente? Nato per sesso, amore o soldi? Lo dice anche Angela che sono scontato nei miei interrogativi. Non sembrava una che faceva sesso per soldi. Sembrava piuttosto volesse uscire da un buco, anche se questo, a ben pensarci, non significa che per farlo non si accettino dei soldi. Sembrava caduta in una trappola. In unindagine come quel127

la in corso, correvamo il rischio di vedere donne in vendita ovunque, anche dove non ce ne erano. Allucinazioni libidinose e tristi, per uomini indotti dalle circostanze a credersi o degli eroi o dei bastardi. Io non sono mai andato a prostitute; no, non conosco lambiente. Ci sono uomini che ci vanno; sempre la stessa o donne diverse ogni volta. E non sempre un fatto di solitudine. La vicenda mi aveva fatto comprendere che ci sono bisogni che la vita non soddisfa naturalmente. Tutto, dallamore alla mera deambulazione, ha a che fare con il bisogno. Il bisogno di mettere le mani nel fango, per esempio, di rovistarci dentro. Poi magari nasce un figlio e il fango lo devi ripulire per forza, che non si mescoli al latte materno, che non imbratti il ciuccio e la tutina. Un figlio, infatti, si porta dietro, insieme alla placenta, il bisogno di pulizia. Un bisogno improvviso , imprevisto, casuale ma incalzante. Cos, un bisogno finisce per contrastare con un altro. Per questo, a mio avviso, la ragazza aveva voluto raccontare alla giustizia laffronto subito. Per pulizia. Non sappiamo quali altri bisogni aveva tentato di soddisfare prima di mettere al mondo quel figlio. I bisogni sono cose volubili. Si dice che il parto si dimentichi in fretta, e che residui solo un vago disagio olfattivo. Che bisogni restituisce, quali cancella? Va bene, non lo dico per esperienza, no, non mi ancora capitato. Niente figli. Bisogni a perdere, i nostri. Nonostante il desiderare, le tecniche, lo specialista con la erre moscia che avevamo scelto, che avevamo consultato pi di una volta; i pensieri indotti. Nonostante tutto questo, non ancora capitato. A tuttoggi non ancora capitato. Mi dicono che non sia il caso di preoccuparsi. Conservo le nostre analisi mediche su carta intestata in comodi raccoglitori numerati, per ogni evenienza. Allinizio Angela non faceva che parlarne. Cerano sempre almeno dieci parole attinenti che giravano per casa. Poi ha smesso. Le parole hanno smesso. Non c nulla di cui preoccuparsi. Alla fine la ragazza parl due ore di fila, mentre il capo non
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sapeva se cercare il diabolico prete o desistere. Ci muovemmo come gatti, lesti per istinto, ma pigri dentro il cuore. Cercammo il prete. Don Oreste, si chiamava cos limmobiliarista cattolico. Non era un prete qualunque, dimenticato in qualche parrocchia di periferia. Faceva parte della Curia, lui. Un pezzo grosso. Pensammo di chiedere prima alla vedova della libreria e poi anche al farmacista se, per caso, lo conoscevano. La vedova se lo ricordava bene: era un cliente affezionato e gentile; un signore distinto, molto noto in citt, un personaggio alto, lungo e talare. Il suo corpo affusolato ricordava quello della vittima. Al negozio veniva di rado di persona, ci mandava piuttosto un prete pi giovane a sbrigar questioni per suo conto, o qualcunaltro che esordiva con il solito Don Oreste desidera. Parlando poi con doverosa deferenza dei desideri di qualcuno molto in alto, molto vicino a Dio. Il popolo della Curia era un popolo con una voce sola. Qualcuno, in qualche confessionale, desiderava qualcosa; gli altri erano daccordo. Questo il quadro dipinto dalla vedova. Un popolo dai modi impostati ed efficaci: un gesto per ogni circostanza, noto ben prima di essere mosso. Codici rigidi e inequivocabili. Nessun movimento affidato al caso. Tra questi individui alati si poteva anche nascondere il polso che aveva vibrato lultimo colpo? Magari no, ma lidea mi stuzzicava. Il giordano farmacista, invece, ricordava appena Don Oreste. Il nome dellecclesiastico di per s non gli diceva nulla. Forse una descrizione fisica dettagliata poteva venire in soccorso alla memoria? Fornimmo quindi tutti i dettagli fisici, ripetendo ogni aggettivo almeno due volte. Don Oreste? Aveva gli occhiali? No, non aveva gli occhiali, ma aveva gli occhi. E che occhi! Non vecchio. Cinquanta, cinquantacinque. Bene in ossa, come una salda costruzione in pietra, scheletro possente che si muove al trillo di un telefono, che sa riconoscere trillo da trillo, e segue il ritmo obbligato ma suadente di unavemaria. S, decisamente imponente, non grosso, ma incisivo. Niente ciccia, solo pietra. Pietra, pietra. Alto, alto, alto. Questa una zona di preti, che vuole; ce ne sono
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tanti di preti! Mi dovete perdonare: sono io che non frequento molto Io sono musulmano. Nessuna prebenda. Erano giorni che i carabinieri se ne andavano su e gi per via Cardone. Tra un dio e laltro. Ritornarono anche dal farmacista, per mettere a verbale una nuova dichiarazione e latmosfera dello scritto, sintetico ed evocativo come certi voli di gabbiani sulle discariche a cielo aperto, ricordava un fine settimana trascorso a Istanbul. Per breve tempo sono stato anchio presso altre fedi. Non sono poi cos crudo. Ho ancora nella testa tutto di quel breve viaggio fatto in un marzo nebbioso con mia moglie. Istanbul tagliata a met dal mare: da una parte lEuropa, dallaltra Asia. Nel mezzo ci volano enormi gabbiani che portano iella, secondo me. Mia moglie prese linfluenza, infatti. Si riemp lo stomaco di Zerinol per tre giorni, trattandomi malissimo, addirittura riconoscendo in me lunico, vero responsabile del suo fastidioso cerchio alla testa, in quanto ero luomo pi accessibile, il pi tollerante a disposizione in quei giorni da turista. Ci sono coppie che si servono dei malanni per comunicare. Ci sono quelle che ormai hanno smesso di parlare e solo davanti a una nuova patologia, a una nuova ricetta medica, ritrovano la libert di una confidenza. Le malattie sono territori neutrali. Cerano mio zio e mia zia, da parte di madre, per esempio, che si odiavano a morte. Vivevano ancora insieme, ma rinnegandosi ogni istante come Pietro e il gallo nei Vangeli. Occupavano camere diverse e lontane, pur nello stesso appartamento. Linferno lo si pu immaginare cos: un bilocale condiviso con la fonte diretta del proprio malessere psichico. Un lento infarto. Se si incontravano nel disimpegno, non si salutavano. Piegavano il collo e stringevano le labbra. Cerano solo due argomenti di cui riuscivano a parlare, senza scannarsi. Primo: lartrosi cervicale di lui e relative siringhe di Artrosilene. Secondo: i noduli al seno di lei da operare, che dimoravano benignamente tra le enormi poppe di mia zia da decenni. Non riuscivano invece a parlare delle rispettive
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gastriti, perch il medico di famiglia, ancora e caparbiamente condiviso come lappartamento, aveva osato ipotizzare unorigine nervosa del disturbo, che ciascuno, ovviamente, imputava allaltro. Per me e Angela non potr valere mai questo discorso. Sono certo. Daccordo, stiamo ancora facendo le analisi per accertare uneventuale infertilit. Abbiamo ancora sporadici contatti con precise categorie di medici e piccoli ambulatori Ma che centra? Non lo facciamo perch ci procura piacere sentirci malati e indagabili. Smetteremo prima o poi, da sani o da sofferenti, smetteremo di sniffare acqua ossigenata e iodio. Non potr durare ancora a lungo. Devo confessarlo, Angela adesso tiene i capelli lunghissimi, le arrivano quasi alle ginocchia e non li lega, li ostenta, dice che ha voglia di aspettare, per ora, cos non taglia, non recide, non rinuncia. Non smette. Non si arrende a una nuova separazione. Ma fatale: presto anche la sua pazienza isterica trover pace, sono certo, e cesser di tenere costantemente sotto controllo quel suo cielo composto da cristalli senza incastro. Sono solo capelli in fondo. I simboli sono un gioco; non voglio entrarci. Non voglio preoccuparmene troppo. Ritrover le forbici un giorno o laltro. Comunque, qualora dovesse accaderci di non essere pi una coppia salda, cos come sono solito intenderla, con i miei tic ottocenteschi, se dovesse accadere, infertilit a parte, non potremmo inventarci delle malattie per campare. Non saremmo capaci di ammalarci per stare meglio. Dicevo di Istanbul. Io continuavo a dirle che le medicine fanno male, ma lei non aveva intenzione di trascorrere lintera vacanza in un letto dalbergo e si trascinava come una medusa a galla, lungo budelli che avrebbe dimenticato presto perch lantipiretico in dosi massicce la ottenebrava. Rimase una Turchia triste e piovosa la nostra, in cui le vite degli uomini sembravano circolare anonime, dentro tram elettrici, come una qualunque altra circostanza senza valore. Senza quel valore che la diversit offre. I turchi che ricordo sono quelli che vendevano mercanzia piena di colori acidi nel Gran bazar e quelli che pregavano
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chini sui tappeti delle moschee. Rigorosamente senza scarpe. O pregavano, o si lavavano i piedi con abluzioni scrupolose, sotto lo scroscio modesto di antiche fontanelle, poste un po ovunque, occultando le scarpe in buste di plastica occidentale da lasciare allingresso delle moschee. Perch sui tappeti, i fedeli ci mettono la faccia e non le scarpe. Nelle strade non cera molta gente; al contrario, i tram erano pieni. Viaggiavano verso laltro continente, come fosse normale, tutti con il braccio in alto a reggersi. La religione era nascosta dappertutto, come un grande orecchio a origliare sulla vita di ciascuno. Ho ancora nella mia libreria la guida con la copertina rossa, La turchia pi bella, quella che spuntandomi fuori dalla tasca del giaccone, mi rendeva turista, e invitava gli autoctoni a seguirmi al fine di mollarmi un tappeto artigianale. Dentro la guida conservo ancora i biglietti dingresso di qualche monumento, quelli dellaereo, qualche cartolina, un biglietto intestato dellalbergo che Angela mi aveva fatto trovare un pomeriggio, sul retro del quale aveva scritto Aspettami gi, dormo un paio dore e poi torniamo in giro. La mia Angela stava male, ma non riusciva a rinunciare. Anche per lei, come per me, non facile accettare di non essere capace. Era sospesa. Non si parlava ancora di terrorismo internazionale a Istanbul. Il cielo era di un azzurro velato, ma pur sempre azzurro. Al tramonto diventava di un cobalto artificiale. Per chi ha visto liridescenza delle piastrelle Iznic, ferite dalla luce nella Moschea blu, quellazzurro materiale, concreto come un debito, non solo una supposizione rivolta in direzione della Mecca. Lo sciogliersi del pigmento, si appoggia come un residuo sui visi. Adesso ti raccontano altre storie. C bisogno di qualcosa che risarcisca questa gente e non basta la preghiera roteante dei dervisci a toglierli dalle spine. Cos sembra a leggere i giornali. E quella strana crema? Incredibile trovare del metallo in quella crema nutriente. Non so che fine ha fatto quella crema per il corpo, che la mia Angela ha usato subito dopo il viaggio. Lavevamo sottratta allalbergo che ci ospitava, una dimora storica di categoria superiore, che destinava le camere migliori ai fumatori e poi, per salvarsi lanima,
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offriva ai clienti carrettate di caramelle alleucalipto, in coppe di silver, presso la portineria. Le cameriere, nel rifare la camera ogni mattina, lasciavano un paio di bottigliette di shampoo, balsamo e una strana cremina, in un cestino di paglia. In ogni buon albergo c questo servizio in pi e tutti i clienti si portano in patria una buona scorta di queste bottigliette, come ricordino. Almeno credo. Angela dice che lo fanno tutti. Angela porta a casa qualunque cosa e sostiene che tutti lo facciano. Anche i magistrati si portavano via dagli alberghi che visitano qualche souvenir. Dice cos. Altrimenti che viaggio ? Dice Angela. Comunque. Quella crema per il corpo, spalmata tra le mura di casa nostra, aveva lodore della polvere da sparo. Tutto sommato, la trasmissione televisiva aveva funzionato. Erano venuti fuori dal nulla dei personaggi nuovi in una commedia dal plot panciuto. Grazie al palinsesto televisivo avevamo acquisito nuovi nomi: una donna, un prete, e poi anche un testimone oculare. Ecco laltro colpo di scena. Non solo una donna e il suo bambino, quindi. Non solo un pretaccio dai modi oscuri, quindi. Di pi. Gli occhi dei mass media erano su di noi. Benissimo. Il mio primo morto si meritava questo e altro, ma dovevo combattere con la stanchezza del capo, che continuava a lanciarmi i suoi segnali di resa. Le intercettazioni, inoltre, hanno un limite temporale da rispettare, per questo, dopo un mese circa, avevamo deciso di tappare la bocca pure alla vecchia e alla farmacia. Avevamo ascoltato fiumi di quotidianit. Nel buco del nulla pi intimo. Le fisse della vecchia erano diventate insopportabili. Fine dei piagnistei. Adesso arrivavano i prelati; scoccava lora dei preti, in fila come grosse perle nere, ad agitare le acque, acque gi torbide. Menomale che cera la tv. Ed io che mi ero persino addormentato prima della fine della puntata la sera della diretta sul morto. Manco avessi avuto centanni, era stato fulminato dal pi classico degli abbiocchi; un autentico ammazza palpebre. Quand che si comincia a diventare vecchi? Quando il sonno arriva presto? Eppure dicono che i vecchi dormono di meno,
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che siano le vittime predilette di quello stato dimpotenza che priva le immagini in onda di qualsiasi interesse, che le rende tutte uguali, ammesso che non lo siano oggettivamente, in cui il respiro si fa intermittente, sagomandosi sulla forma della poltrona e dei bozzi dei cuscini. La colla in bocca. Quando capita, perch capita, eccome se capita, saresti pronto a giurare che no, non vero, eri sveglio, sentivi tutto quanto ti accadeva intorno. Ma pura illusione. Avrebbero potuto violentarti la moglie nella stanza accanto, e tu avresti continuato quel ronfare da cane sazio, con tanto di bavetta agli angoli della bocca. E forse ti sarebbe rimasto in testa solo qualche suono, vago, magari un urlo lontano, una specie di sparo, mescolato a chiss quale sogno western. Lo ammetto con un briciolo di vergogna: dormivo mentre la ragazza era alle prese con la sua coscienza. E di quella trasmissione non mi ricordo quasi nulla. Non lo dissi mai al Ietta che mi ero addormentato e non avevo visto la fine della sua trasmissione. Non volevo che mi considerasse superficiale. Tenevo molto alla sua opinione e non solo perch avrebbe dovuto scrivere il parere sul mio lavoro di quei mesi, destinato al consiglio giudiziario, per la presa di funzioni. Non solo per questa ragione, lo giuro. Temevo il suo giudizio da uomo che lavora. I suoi collegamenti con mio padre. La questione dei maestri. La mia prima volta. Un giudizio, da qualsiasi parte promani, simpasta come lalbume agli altri elementi, per diventare una massa unica, non pi smembrabile. Lui mi osservava e io osservavo me stesso; erano sguardi circolari: questo ci rendeva inseparabili. Nasce cos lopinione di s, credo. In parte da se stessi, in parte dal lavoro degli altri. Dal reciproco scrutarsi. Accade spesso che uno parli di te in pubblico, mentre ascoltano individui che neppure ti conoscono, ma che magari conoscerai in seguito, per chiss quali circostanze. Quelli si ricorderanno di quanto sentito sul tuo conto quel giorno, per caso, e lopinione che si formeranno risentir di quelle prime informazioni, neppure verificate, e quando, successivamente,
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questi stessi individui parleranno di te ad altri, le loro espressioni avranno lo stesso colore. Il gioco andr avanti nel tempo e ogni accadimento sar visto sempre alla luce di quelle poche parole iniziali, fino a quando, allimprovviso, arriveranno alle tue orecchie e tu, stordito, ti guarderai allo specchio e ti chiederai: ma io sono cos? E se la giornata non delle migliori magari ci crederai, crederai di essere cos, e quelle primissime parole pronunciate frettolosamente da sconosciuti, finiranno dritte sulla tua lapide. Persino certi amori nascono su queste fondamenta di sabbia cangiante. Una volta, un professore alluniversit, diritto processuale penale, mi disse che riteneva che avessi preso sotto gamba la sua materia. Considerato il mio libretto pieno di blandizie, impegno e coerenza, disse che non era soddisfatto dei tempi delle mie risposte alle sue domande, dei miei toni, delle mie pause esageratamente lunghe; la sua era solo unimpressione, evidente, ma mi attravers per intero come fossi una galleria, lasci tracce di fumo ovunque. Da allora, sto molto attento alle mie pause: le misuro. Da allora, qualunque cosa faccia, mi chiedo sempre se non stia per caso prendendo sotto gamba limpegno richiestomi, e se qualcuno me lo fa notare divento una belva. Un esempio per tutti: la paternit. Quando il medico mi disse che non dovevo ritenermi infertile per il solo fatto di non aver avuto figli in dieci anni di tentativi, e dopo aver fatto trecento esami clinici, tutti costosissimi, tutti ugualmente non significativi ch, fossi stato un metalmeccanico, avrei voluto vedere io che razza di speranza avrei potuto garantire a mia moglie e ai suoi capelli che crescevano a dismisura! , esami pure dolorosi, alcuni dei quali ripetuti due volte per sicurezza, ecco, in quella occasione pensai che dieci anni erano una pausa quantomeno esagerata, che forse stavamo prendendo sottogamba la questione. Io e il medico, intendo. Idee sugli altri, idee su se stessi. Cos nascono gli assassini? Si diceva che il nostro morto era stato un uomo gentile. Cortese. Anche quella era unidea; gramigna nella testa di qualcuno. Un prato da potare. Chi laveva detto? Su cosa si
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fondava questa opinione? Era idea di coloro che lavevano conosciuto davvero, o di quanti lavevano soltanto sfiorato per un brevissimo istante, o di altri che, al massimo, avevano sentito parlare di lui? Era limmagine proiettata da un amante, da un cliente, da un invidioso, o da un passante? Le indagini non si fanno con le idee, perlomeno, non solo con quelle. La verit sembrava un oggetto per pochi, come certe statue sacre sotto la loro antica campana di vetro. Bellissima e fragile. Quella riportata dalla ragazza in cerca di sistemazione, con un figlio sul groppone, per esempio, era una certa idea sul clero, avvalorata da alcuni episodi personali e spiacevoli. Un fatto di sensazioni, di buio dellanima. Solo quello. Sotto il fuoco animoso delle sue dichiarazioni, la Procura che poteva fare? Aprire un fascicolo per violazione di domicilio e, con un po di partecipazione, aprirne uno per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, a carico del prete luciferino. Stop. Una storia appetitosa per la televisione. O per uno che come me doveva impratichirsi. Unombra, non unimmagine reale. Niente di pi. Ombre. Il bello delle ombre che sono s cose importanti, ma puoi anche far finta che non ci siano, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Sono solo una parte del tutto. La verit altro affare. La giustizia poi, che su questa verit doveva fondarsi, sembrava cosa ancora pi estranea al momento: un premio impossibile. La giustizia lequilibrio tra le verit. Dopo un atto cos violento come lassassinio di un uomo, la cui vita sembrava legata a quella di cos tanti altri soggetti e oggetti, poteva davvero credersi ricostituibile un qualche equilibrio? Belle domande mi facevo, e s, ero un campione nel fare domande! E tra le opinioni della gente cercavo di fare rotta. Alla fine le storie di Chi lha visto erano tutte cos: un fascio di opinioni. Buone per la nanna. Nonostante il testimone oculare.

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X CAPITOLO

Tra tutte le mie menzogne, questa la pi divertente: quando ti ho detto che avevo voglia di rivedere la mia patria. Tu sbattevi le palpebre, intenerita, e ti schiarivi la voce per trovare parole comprensive e consolanti. Era valsa la pena raccontarti quella storia. Agota Kristof

Lhai vista? Cosa? La trasmissione che ti ho chiesto di vedere. Lhai vista? Non mi piace quel programma. Lho vista, s. Contento? Hanno telefonato in tanti, sai? Chi? Una ragazza madre per parlare di un prete, e pure un testimone oculare, diciamo oculare. Uno che ha visto qualcosa e che era ben felice di aver visto qualcosa per poterlo raccontare in giro. Il problema che neppure lui sa cosa ha visto veramente. Che ti dicevo? Tu non ti fidare mai di tua moglie, mi raccomando. Lo sapevo che venivano fuori i preti. Qui piove: la primavera non esiste. La ragazza di Chi lha Visto lha visto davvero il prete assassino? No, ma che dici? Ha avuto solo una brutta questione con uno della Curia. Stiamo mettendo a confronto le sue dichiarazioni con quelle di altri personaggi e abbiamo sentito il prete. Sembra una brava persona, a vederlo dico, sembra; lento come una pianura. Ha parlato sempre lui. Ci ha fatto lezione sulla vita e sulla morte. E hai imparato qualcosa? Non credo. E la ragazza?
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Neppure lei. No, dicevo: cosa ha fatto la ragazza? Ha portato da noi il figlio appena nato, mentre il prete ha portato il suo messale o una cosa simile. Un libricino con la copertina nera e il segnalibro di stoffa color crema. E il figlio? Cosa? Come era il figlio? Che domanda come era? Un bambino. Un maschio? S, Angela. Il prelato uno che conta? Svolge incarichi amministrativi. Anzi, fa proprio parte dellufficio amministrativo. Ci devo fare un giro appena posso. Gestisce lintero patrimonio della diocesi, ordina il culto divino, e poi che altro fa? poi, poi lha detto lui ecco! Provvede a un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitando anche opere di apostolato e di carit. Al servizio dei poveri, insomma. Abbiamo verificato: vero. Poveri come la ragazza madre o pi poveri? In senso lato. Tutto questo, se accertato, non prova nulla, comunque. Una certa incoerenza al massimo. La fede come professione e non come vita, se vuoi. Ma poi? Ecco, appunto. Possiede un monolocale in zona, questo documentato, ma non risultano contratti di locazione recenti. Tutto sulla parola. Pare che per stanare la donna dallappartamento le abbia fracassato il bagno a colpi di martello. Interessante il martello! Come era questo martello? Dai racconti della donna, si potrebbe pensare a un martellone, ma anche a uno piccolo, perch no?, se usato con forza Non saltato fuori un martello particolare. Del resto, pure normale che un uomo abbia in casa un martello, tra gli altri arnesi, e magari i chiodi, un paio di cacciaviti, in una cassetta degli attrezzi, che c di strano? E magari pure un ombrello. Anche se un prete?
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S, perch? Non si bagnano i preti? Larma del delitto. Ci vuole una lama! Cerchiamo una lama, non un martello. Non abbiamo fatto una perquisizione, e perch dovremmo?, per il martello? Ma dai! Ma dimmi una cosa: lombrello della vecchia, macchiato di sangue, di che tipo era? Scuro, triste, allinglese, da persona seria? Oppure colorato, eccentrico, da vecchia pazza? Era scuro, non vero? Innegabilmente intonato a un abito scuro. Come era vestito il prete quando lavete incontrato? Di scuro, no? Quindi tutto quadra. Lombrello macchiato di sangue ci riporta al prete. Se per questo c pure una testimonianza oculare. Scura pure quella. Gi, vero. Dimmi, dimmi. Bella testimonianza! Eccome! Del tutto inutile. Cosa ha detto il testimone? Scommetto che ha visto un prete in zona la mattina della tragedia. Come hai fatto? Sei una volpe. Anche qui c da andar cauti, per. Le cose non stanno proprio cos: sono state viste di sfuggita due figure alte e nere, due corvi giganti, svolazzare nei dintorni della vetrina. Solo questo. Erano figure colte con la coda dellocchio, in movimento rapido. E se si trattasse di un difetto visivo del testimone, un gioco di luce? Se non fossero due preti, come si facilmente indotti a credere dalle circostanze, ma due suore o due con limpermeabile nero e lombrello? Ma non ci sono suore nella Curia, al contrario pieno di preti. Ti sbagli, ci passano anche le suore, se per questo. Ma per ora nessuno ha parlato di suore; lasciamo stare le suore. Del resto, le modalit dellassassinio fanno pensare a un uomo, e pure a uno piuttosto robusto. Io conosco certe suore ciccione, che non ti dico. Robuste e capaci di tutto. Martelli, ombrelli, lame. Lasciamo fuori le suore, ti spiace? Va bene? Il bambino piangeva? Quale bambino?
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Quello della ragazza che avete visto in Procura. Piangeva? No, stava con la madre, nel marsupio. Non piangeva per niente. Mica tutti i bambini piangono. Guarda che tutti piangono. E quindi? Questo bambino qui non piangeva. importante il contatto fisico. Per questo non piangeva. Che impressione ti ha fatto? E che impressione mi doveva fare? Non saprei. Ti piaciuto, per esempio? Era carino, tenero, rivoltante, che ne so. Ha mosso qualche corda dentro di te, si svegliata la natura sopita? Parla, e che diamine! Niente urlo di Tarzan, se questo che vuoi sapere. Era carino. Sembrava condizionare le parole della ragazza, quindi importante. Ah, sicuramente pi vitale di Ietta, che invece attraversa un periodo di astenia. Dovresti vederlo: si esprime poco, sembra sempre sul punto di rovesciarti addosso i suoi segreti, i suoi problemi, ma poi si richiude nel silenzio. Come mai? Problemi con la moglie. Forse si separano. Proprio adesso? Come sono le mogli dei magistrati? Come tutte le mogli. Come te. E perch si separano proprio adesso? Oh, fai domande strane tu. S, adesso. Fatti loro. E il figlio? Il figlio resta. Suo figlio ormai grande, non vero? S, grande. Avr ormai i suoi progetti, la sua vita. Quindi Ietta ormai non conta pi per lui. Non lo so. sempre triste la fine di un progetto. Bisogna vedere come era prima che diventasse un adulto. Dipende. Ma perch adesso e non prima? E dai, ti ho detto che non lo so. Non me lha detto. Cose intime. E tu, di, tu invece cosa gli hai detto di te? Di noi?

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XI CAPITOLO

un coltello che vedo qui davanti col manico verso la mia mano? Su fatti afferrare non ti ho preso, ma ti vedo sempre! Sei insensibile al tatto, e non allocchio, visione del destino? William Shakespeare

A questo punto gli ultimi passaggi si fanno pi confusi nella memoria. Un classico: dei libri letti spesso non ricordo la fine. Lo stesso per i film. Memorizzo la sensazione di fastidio o di piacere, ma niente di pi. I particolari mi colpiscono nel momento in cui li incontro; dopo li cancello. Una memoria da orsetto lavatore. Ripulisco con immediatezza e faccio spazio. Anche della mia vita, dallinfanzia alla maturit, ricordo i momenti traumatici, il fulmine, ma non ci che seguito; non il tuono. Dovrei chiedere a un esperto perch nella mia memoria tutto cos confuso. Mi fanno rabbia quelli che ricordano la prima gita fuori porta con mamma e pap, il gusto del gelato. Quelli che ricordano le facce di tutti i compagni delle elementari. Preservo dalla bonifica giusto qualche odore, i colori delle cravatte, oh s, le cravatte s, ne vado pazzo. Anche i gatti che ho accidentalmente spiaccicato sullasfalto con le mie ruote, quelli, pochi, li ricordo. Ora, per lo stesso meccanismo perverso, la storia del mio morto la ricordo perch la voglio ricordare, ma devo concentrarmi per ricostruire i fatti in ordine cronologico e dare un senso alle inquadrature che ho in testa. Il mio morto, dunque. La stampa locale ne parlava ormai con voce sempre pi flebile, perch, diciamolo pure, non fregava pi niente a nessuno. La stampa ha la memoria corta. Prima ti stanno alle calcagna, mastini bavosi, a succhiare il
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nettare direttamente dalla mammella pi gonfia, mentre la fonte, per loro pigrizia, resta nel tempo sempre la stessa, sempre pi asciutta, sempre pi stanca e povera, quella di cui hanno dati certi sui loro pc, sempre la stessa mammella, pur di riportare pedissequamente una notizia qualunque, senza mai unidea autonoma, un guizzo investigativo personale, unanalisi trasversale. Placata la fame, ti dimenticano. Non bello. Parlava ancora di noi solo un giornaletto da due lire, che usciva il pomeriggio e per la distribuzione sul territorio assoldava truppe sfigate di studenti, da appostare sotto i semafori, a respirare smog. Pi qualche extracomunitario fortunato. Gli assunti erano disposti a lanciarsi al volo dentro i finestrini degli automobilisti prossimi allincrocio, pur di vendere una copia. Forse parlavano del nostro Corietti, in carenza di altro materiale. Il giornale riportava, nello spazio riservato alla cronaca, titoli in grassetto del tipo: Nuovo scandalo in via Cardone. La Procura indaga sulla Curia, oppure Lamante delluomo assassinato: intervista esclusiva; o peggio La Procura brancola nel buio. I segreti della citt. Titoli daltri tempi, da film in bianco e nero, come cibi ipercalorici, ma facili da cucinare. Allepoca denotavano un certo coraggio, devo ammetterlo. Ora quello stile assordante e pomposamente vacuo la regola televisiva del pomeriggio. Dentro, le colonne riportavano robaccia ancora pi triste dei titoloni stessi: lacrime di pubblicisti affamati da direttori cinici. Alcuni pezzi non erano male, per, certi ragazzetti alle prime armi avrebbero potuto scrivere romanzi rosa con un certo riscontro di pubblico, secondo me; tutto sommato erano penne audaci, romantiche, ma audaci. Nessun scheletro che parlasse sinceramente da un qualsivoglia armadio, comunque. Se sei morto ieri, domani sarai gi qualcosaltro. La natura lo esige. Lunico cancro reale ancora in circolo, era il tormento vissuto dallamante abbandonato. Infatti, arrivarono sullargomento un paio di lettere anonime. Ne arrivano sempre in Procura. Il prodotto di vecchie macchine da scrivere a inchiostro blu, con le lettere storte. Ci sono ancora in giro quelle resistenti Olivetti; lo giuro: le ho
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viste con i miei occhi. Le missive raccontavano che il morto aveva avuto storie di sesso sudicio. Facevano nomi di luoghi o persone. Con malanimo. In una lettera si raccoglieva una protesta condominiale, conseguente a una lite furibonda, avvenuta proprio nellappartamento del Pace tristo. Avevano tremato i vetri alle finestre, pareva. I condomini, pur non avendo trovato il coraggio di firmare la lettera, chiedevano un intervento urgente della questura. Quella dei condomini allattacco una specie di mania compulsivo ossessiva di gruppo. Insieme potrebbero uccidere. Sono bestie in cattivit, che si scatenano per niente. Molte lettere parlavano delle prostitute, il giro povero, non quello nobile. Raccontavano di aver visto il morto, quando ancora era vivo, a casa delle donnine. Niente di nuovo per noi, a parte una certa esasperata cattiveria che, comunque, dopo un po, non sorprende pi nessuno. In alcuni casi collegavano una delle prostitute in questione a un giro malavitoso di un paese limitrofo, quello legato allofficina di un paesano che rimetteva sul mercato auto rubate, spedendole oltre oceano scomposte in pezzi di piccolo taglio. Verso la Bulgaria, di solito. Fascinazioni collettive. Al capo non andava di fare castelli in aria, non aveva testa. Per di pi quello dellofficina gi era noto in questura: un pesce piccolo, che aveva gi detto tutto quello che cera da dire; noioso come lelenco telefonico. Erano ben altri i sorci da stanare. Del resto, la verit: da quelle lettere non promanava la soluzione al nostro giallo borghese. Erano peggio dei titoli in grassetto. Quello che riuscivamo a percepire leggendole, era solo un gran ansimare alle nostre spalle, cos, nelloscurit condominiale, a volte a tradimento. La citt aveva lasma. Neppure i condomini si salvavano in questa aria malata. Neppure i preti quindi. Ma poi, dico io, non era la citt che doveva darci una soluzione. Troppo facile altrimenti. Tanto meno noi potevamo credere davvero di entrare nella Curia o in un fumoso negozio di oggetti sacri, e trovarci dentro prove agiografiche. In fin dei conti sapevamo bene con chi avevamo a che fare, se pure ci piaceva far fantasie spinte su santi e demoni di tutte le etnie. Perlomeno, a me piaceva.
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Ci sono territori urbani che, come il mio dorigine, al sud, molto al sud, amano spettegolare a voce alta, sbraitano e gesticolano. Terre pazienti, ma rumorose. Che sembrano ingigantire le formiche. Altre invece bisbigliano. Per dirne una, avevo fatto amicizia con un tecnico gi al seminterrato, piani bassi, sotto il livello del mare, zone umide che il sole dimenticava quasi completamente, dentro perimetri fradici; luoghi smossi soltanto dal ritmo blues dello scalpiccio dei ratti. Mi aveva rimesso in forma un pc, quel ragazzone gentile, e ne ero sinceramente grato. Video scrittura, sintende, niente di pi impegnativo. La stampante ancora no, ci voleva pi impegno e conoscenze nellambiente per ottenerne una, perch pareva che il ministero le avesse fornite in numero inferiore rispetto ai pc e al personale in servizio, ch non cessasse mai quel senso latente dinsoddisfazione, di instabilit e inettitudine che contraddistingueva noi della Giustizia. Poi cera la carta, le cartucce, il toner: calibro pesante per lerario. Costavano troppo. Niente stampa, quindi. Per i provvedimenti salvavo sul floppy e poi vagolavo per gli uffici in cerca di comprensione. Dicevo: avevo avvicinato questo giovane laureato in informatica. Parlava poco; pi che altro faceva smorfie con gli zigomi, sbuffava, gli si appannavano gli occhiali per i vapori esalati dal lungo collo da cicogna in zone lacustri e sotterranee. Comunicava per locuzioni alfanumeriche. Timido, lasciava intuire la vasta complessit interiore di un server, e lo sconforto di un bestia acquatica in una boccia. Un cubo di Rubik senza i colori. Linformatica negli uffici giudiziari un lavoro che logora anche il fisico: togliere dalle dita nodose di un operatore quasi sessantenne la sua storica Bic e sostituirla con un mouse, lavoro da titani; lo stesso trasportare monitor per le scale in attesa di certezze, tra le proteste generali, gli sgambetti, i cavi a intreccio tentacolare. Un posto granitico come un tribunale reagisce male alle innovazioni, alle trasformazioni, diffida sempre della modernit. E un computer ancora oggi, da molti visto come cosa moderna, quindi pericolosa, per via della gi citata secolare durata di certe carrie144

re ministeriali, della loro immota certezza. Gli informatici, qunidi, o sono crudeli di natura o masochisti, per resistere. Il ragazzo era confuso, teso, sfiduciato. Davanti a un problema tecnico restava in silenzio: tanto, anche a parlarne, chi ne capirebbe qui dentro di informatica? Si parlava del pi e del meno una mattina. Mi diceva che le lettere del tipo anonimo piovevano a catinelle in ufficio. Era il vomito della cittadinanza che si rovesciava sul Palazzo. Ma frequentemente provenivano dallinterno: la lettera faceva il volo basso e ronzante di una mosca stordita, dalla stanza n.10 a quella n.11, dalla scrivania della contabilit a quella, poco distante, del protocollo. Avevano scritto anche di lui: ignoti asserivano che si portava a casa i pezzi in esubero, che si era riempito lappartamento di articoli di cancelleria appena comprati, in particolare, lanonimo insinuava che il feticista avesse una passione per le penne a inchiostro liquido, che si masturbasse con una boccetta di china, che cadesse praticamente in trance alla vista di un tampone autoinchiostrato. Quelli, gli altri, i vecchi, le grandi bocche del tribunale, volevano gettar fango sulla sua immagine professionale, sullinarrestabile futuro tecnologico degli uffici pubblici, di cui lui si faceva portatore, farlo apparire come un matto visionario, un maniaco. Si difendeva ripetendo che lui non faceva parte dellorganico, che lui era un esterno, e lavorava solo su chiamata, tentando di prendere le distanze da un universo ostile e reazionario. In verit, si raccontava che anni prima un segretario del Consiglio dellOrdine degli Avvocati, che faceva il programmatore a tempo perso, si fosse fatto trovare in casa un arsenale di portatili davanguardia, destinati al personale del tribunale. Calvo e modesto lo descrivono, ma pare fosse un genio del crimine. Nessuno si era accorto di nulla. Quindi cera il precedente. Lo ripresero con le mani nel sacco grazie a una telecamera nascosta vicino la macchinetta del caff. Lo buttarono fuori senza clamore e lui, sei mesi dopo, apr un negozio di camicie da uomo su misura. Del resto, era sempre stato un tipo di buon gusto.
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Indagini. Tutte le indagini hanno un termine, lho detto. A prescindere dagli strumenti che si utilizzano, non si pu andare avanti in una ricerca simile come per una malattia incurabile fino alla morte, oltre la morte. No. Ietta voleva chiudere il fascicolo e guarire; se non cera un nome e qualcosa in cui credere, pazienza. Rimanevano gli ultimi tasselli del quadro astratto da incastrare da qualche parte: il prelato e il testimone oculare. Chiuse queste due finestre windows, Ietta avrebbe detto basta e forse consumato i giorni di ferie che residuavano. Se ne sarebbe andato in vacanza, mare, montagna, collina, lontano dalla fatica. Cos. Gli ultimi passaggi si fanno pi confusi tra i miei ricordi proprio perch vissuti frettolosamente. In affanno. Il prelato dunque. Importa che il prelato si fosse presentato quasi spontaneamente una mattina sul tardi? Secondo me importa. Fu un evento di una certa solennit che raccontai immediatamente ad Angela. Lei aspettava i preti, ne fu felice. La trasmissione era gi andata in onda. Noi lo stavamo cercando, e lui ci precedette di poco. Passo felpato. Si sedette sulla stessa sedia che aveva gi riscaldato la ragazza locataria, la delatrice, e la gonna talare gli si apr come un campanaccio di bronzo brunito, con sotto il pendaglio dei piedi. Dong, dong, don Oreste. tutto nei verbali. Non ho bisogno di inventare nulla per rendere il ricordo pi largo e sonoro. Certi preti suonano da s. Ma prego, prego. Ietta si dichiar subito disponibile ad ascoltarlo. Lavoro, famiglia, vocazione. Ma soprattutto lavoro. La morte nominata solo di striscio. Pi che altro la vita, s, la vita. Agire ora, subito, non domani. Il Vescovo era sopra ogni pensiero, come il faro in punta alla costa pi invisibile. Maneggiava denaro, non cera dubbio. Dio laveva voluto oculato e sempre in pensiero per il futuro della sua Chiesa, e cos lui era diventato. Dio e il vescovo: una ben riuscita forma di collaborazione. Era stato scelto, don Oreste, ne era consapevole e portava la sua croce. Attento alle esigenze crescenti della sua immensa famiglia cristiana, in particolare alle fami146

glie, piccole umili e bisognose del suo territorio. Si produsse in un monologo avveduto, chiuso come un pugno, alla fine del quale ebbe inizio la musica del maestro Ietta. Cambio degli strumenti e delle voci. Sembrava avesse accordato i suoi strumenti al suono severo di un organo. Ne uscivano note conformate, dense, ma penetranti. Si fece raccontare di bilanci e collaboratori, minacciando visite inopportune ma necessarie, presso gli ambienti della Curia. Dal fascicolo tir fuori lelenco dei soggetti coinvolti nella vicenda. Vediamo, vediamo. Sfilarono come pezzi di cera, sotto luce fredda. Conosce tizio? Conosce Caio? E Sempronio, mai visto Sempronio? Come mai nostro caro don Oreste? Perch? E per come? Mi sembra strano. Cerc di forzare lo scrigno di Don Oreste. Ma con rispetto. Ietta era in forma quella mattina. Ci sono malattie dellumore che hanno una variabilit cromatica veramente spiazzante, e lo stillare varianti di Ietta, gran fenice improvvisamente risorta, mi imponeva di prendere appunti e mettere da parte per i tempi bui. Dopo la prima batteria di colpi, Ietta fece il nome della ragazza e il prete sorrise. Che fece quel santuomo davanti a un enorme dito indice puntato sul suo portafogli? Sorrise. E Ietta? Pure. Grandi conoscitori di emozioni, entrambi. Gran bella gara! Il prete chin il capo e in testa gli sallarg una piazza svestita con cinque peli neri come sbandieratori nei giorni del palio. Fece un cenno di assoluzione. Anche lui con i miei stessi vizi: il pericolo del pessimismo e il desiderio del perdono, a braccetto. Ho fatto attenzione al fenomeno. Molti uomini di chiesa sono pessimisti, tanto quanto molti padri magistrati sono ottimisti, e non conta se credenti o no. Ne nascono reazioni simili tra figli e fedeli. Sono dati culturalmente contraddittori, ma antropologicamente riscontrabili. Qualcosa ci univa alla fine: il bisogno di compensare i limiti umani. Comprendo, comprendo la rabbia della poveretta. Non facile la vita per certe ragazze. Aveva cercato di aiutarla, disse, finch era stato possibile; aveva parlato persino con la sua famiglia dorigine, dalla quale la giovane si era voluta allonta147

nare. Eppure una ragazza come lei, nella sua situazione, aveva bisogno di un timone. Altrimenti avrebbe fatto una fine triste. La brutta china, la societ, quelle storie l, insomma. Una ragazza come lei non poteva camminare da sola. La Chiesa avrebbe potuto essere una guida, questo vero, ma a volte pu non bastare. Un padre, ci voleva un padre. Ecco cosa ci voleva. Un padre ottimista o uno pessimista? Questo non fu chiarito. Una ragazzina sola, con un figlio, mentre Dio il solo a guardare. Non va bene, no, non va affatto bene! Meglio un padre. Un padre ottimista o uno pessimista?, continuavo a ripetermi. Non entrammo in dettagli. Intanto lecclesiastico sospirava, rivolto al cielo, mentre la sua voce assumeva un tono baritonale. Aveva sentito il dovere e cercato in tutti i modi di ricondurre la povera ragazza sola verso la sua casa. Non quella di Dio, per, n tanto meno quella dellecclesiastico facoltoso. Unaltra casa, possibilmente. Il baritono assumeva timbri vocali pi sporchi e oscuri passando a parlare di immobili. Dei suoi immobili. Pattin rapido sul tema case e pass ad altro. Neppure il miglior Ietta riusc a trattenerlo. Parlammo della vittima. Brava persona il Corietti! Della sua vita privata il prelato non sapeva nulla. Lo conosceva solo di vista. Il libero arbitrio induce alla riservatezza. Per, brava persona lo stesso! Don Oreste era sempre stato a totale disposizione di quanti avessero avuto bisogno di lui. Ma il Corietti non aveva mai chiesto aiuto, vivendo liberamente la vita donatagli dal buon Dio. delluomo errare, tra leuforia e il terrore, tra la curiosit e il tremito. Sta in questo il bello. Brava persona il Corietti, dunque, persona riservata. Il male esiste. Siede accanto a nostro fratello e non cerca il perdono di Dio. E muoveva queste sue mani lunghe, don Oreste, risucchianti in vortici di dita bianche. Lui che con il male sapeva convivere, lui che era competente in materia, metteva ben in mostra queste sue mani sante. Le dita acrobatiche dello scalpellatore di cessi. Andavano verso il soffitto, in alto, sempre pi in alto, poi, precipitavano inermi verso il pavimento, fino a tuffarsi in grembo al suo gonnellone nero. Il sacerdote parlante sembrava pronto a darlo il perdono, per delega. Perch il perdono spesso una cosa facile, che d
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buoni frutti, con poca fatica. Non sempre, ma a volte s. Io ne sono certo. Per questo mi affascina. La vendetta affatica e non eleva neanche un po, mentre il perdono nobilita. Beati coloro che possono davvero. Aveva ragione don Oreste, da un certo punto di vista: il perdono necessario e salutare. Ma anche un lusso. Del resto, vedevo come era in forma Don Oreste. Pulito, sano e sorridente. Pi piacevole a vedersi di altri derelitti che tendono la mano fuori dalle chiese, per esempio; pi bello pure di certi parroci poveri in canna con la tenda invece del cemento, per celebrarci dentro la messa. Forse la cura vitaminica dellindulgenza funziona davvero. Costosa ma efficace. Bastava guardare il bel reverendo. Questa tipologia di perdono fa pensare a certi trattamenti completi e costosissimi al DiBi Center. Non per tutti. Sembrano facili ma costano sangue. Riflettendoci, era un vero dritto Don Oreste, anche per leleganza schiva e la leggerezza con cui posava la sua scarpa puntuta sui denari della Diocesi. E non solo della Diocesi. Senza lasciare impronte, ma rendendo gloria a Dio. Era cos bello don Oreste che il jazz di Ietta, un fatto dorecchio, gradualmente sintristiva sotto il peso della Bibbia. Perdono? Perdonare un assassino: non era quello che si dice il fine di un magistrato. Almeno credo. Io sono un magistrato e lo dovrei sapere se c un fine. Non quello; lo giuro su mia moglie. Don Oreste parlava di perdono, Ietta no. Nessuno mi ha mai chiesto di perdonare, ne deduco che quello del perdono non un bisogno sociale. Almeno non della grande maggioranza degli uomini. Ma la giustizia? davvero un bisogno? Questa una domanda che mi porta a mio padre, nei suoi pianeti. Quando glielo dissi, che volevo fare il giudice, fu lui a chiedermi perch. Non stupido chiedere perch, ambizioso. Mio padre ambizioso, ambizioso e ottimista. Ed io vorrei essere capace di perdonarlo. Ma questa unaltra storia. Un fine c in questo mestiere e non sempre quello della giustizia, come ci raccontano. Non i soldi, non pi. Piacerebbe a qualcuno crederlo, invece la questione ben pi
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sottile. Ormai un idraulico, un installatore di condizionatori, un falegname, guadagnano molto di pi di quanto guadagni un magistrato con le sue scartoffie. Sono leggi economiche superiori. Bisogni forti da soddisfare. Mani artigiane che ci sovrastano. C per un avanzo di potere immaginario, legato alla parola, che residua e si morde la coda, rischiando di diventare ridicolo: quello che blandisce. C un buco della serratura che si affaccia su grosse fette dumanit, cogliendone frammenti golosi: ecco, quel buco pu apparire come un privilegio. Un buco grande per pochi occhi. C che in strada al sud ti chiamano ancora signor giudice, con il capo pendulo, e a qualcuno piace. Si narra di uomini togati, nelle preture di provincia, che decine di anni fa si facevano fare la barba in udienza o misurare dal sarto completi gessati appena imbastiti, il tutto davanti a cancellieri, segretari, avvocati, tecnici adoranti, che manco il Re Sole con tanto di parruccone polveroso! Altri tempi. Ci sono per alcune donne che ancora oggi ci credono, e con molte di queste si pu fare un sesso semplice e per questo gratificante. Seducente soprattutto per il seduttore. Pure. C il piacere di diventar parte di un gruppo; lo sfizio di essere come quel certo tizio l, ma anche altro, anche diverso, e farsi notare come a Hollywood. Ho pensato: i magistrati sono come gli aviatori. Fanno scena, pur se non usano una divisa. Quindi posso affermare che il fine non economico, come invece accade per la maggior parte degli attuali contesti umani, e se leconomia entra in questa faccenda instabile che la giustizia, lo fa ancora soltanto indirettamente e non per tutti. C, in questo caparbio ambiente di giuristi, ancora un avanzo detica con cui confrontarsi. C la giustizia, infatti. Ecco. Infine c anche la giustizia. Qualcuno fa il giudice per applicare la legge alla lettera, ma non una gran bella cosa, secondo me, anzi, una forma inutile di orgoglio che di solito annoia e delude. Esistono fonti da applicare diverse dalla legge, realt variegate di cui il giudice deve tener conto se vuol fare giustizia. Applicare la legge non pura meccanica, ma piuttosto un momento creativo.
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Adattamento creativo, come quello della giraffa che nei secoli ha allungato il collo fino ai frutti pi belli, sui rami pi in alto. Non totalmente creativo; giusto un po. Ecco perch qualcuno ritiene che il fine sia s applicare, ma anche interpretare; ritrovare cio lo spirito smarrito tra le parole della norma giuridica, per sentirsi pi vicino a Dio. Una cosa ambiziosa, insomma, bench nobile. Non conta la giustizia in s, quindi, ma il progetto e il suo percorso. Vale anche per me. Quello che mi salva il progetto, considerato che ambizioso non lo sono mai veramente stato, e privo pure del coraggio per ammetterlo. Sono costantemente soggetto al ritmo imposto da una qualsivoglia programmazione, senza decidere nulla. Nel mio lavoro, in particolare, mi sento come arlecchino, servitore di due padroni esigenti: la legge e la realt. Lintermediario tra i codici e la societ, con la valigia gonfia di prodotti tecnologici, da vendere per forza, girando di porta in porta. Ecco come mi sento. Un venditore tipo della Folletto spa. un gara anche quella. Spacciare per giustizia il proprio lavoro di piazzista, i propri limiti, le proprie domande. Un imbonitore della giustizia, che tenta di piazzarla tra la gente. Di renderla domestica. Diffonderla. Forse. Un mestiere bellissimo il mio, che va compreso. Assecondato. Un fascicolo processuale andrebbe guardato, nel suo insieme, attraverso quegli occhialini che negli anni Novanta ti davano allingresso dei cinema sperimentali: quelli di plastica dura e colorata che garantiscono la suggestione momentanea di una visione tridimensionale, pur gravandoti scomodamente sul naso. Diritti umani/legge/giustizia: unanalisi tridimensionale, appunto, come ho letto in un libro di un giurista che mi pare si chiamasse Zagrebelsky; s, mi pare si chiamasse cos. Mi era piaciuta limmagine. Lho conservata. Ci possono anche essere delle buone regole, ma se non ci sono uomini buoni a rispettarle che si fa? E poi, sono pi importanti gli uomini o le regole? I singoli uomini? per il singolo che si fa giustizia, ma la verit giudiziaria che ne consegue deve potersi raccontare a tutti. Quindi bisogna mettere in contatto il singolo con la massa. Difficile. La magistratura
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rimane a rilevare ogni contraddizione, a prendere schiaffi in faccia, a vigilare sul coma. Per ora mi basta sapere quale il mio ruolo, il progetto ultimo. Non dico sentirsi superman, ma ci tengo a sapere cosa mi aspetta. Per lavorarci su. I limiti sono una questione che mi interessa, per adeguarli al progetto, per correggerli se il caso. In genere non sono io a scegliere il progetto, ma il progetto a scegliere me; poi, una volta che la scelta stato fatta, per, non mi lascio tregua, vado dritto alla met. La volta di Corietti eravamo partiti da tutto quel sangue e dal verminaio l vicino. Mamma quanto sangue! Il sangue fa il rumore di uno schiaffo in faccia a un uomo distratto: chiede giustizia allistante; non vendetta, ma giustizia, e la giustizia si nasconde nella composizione della contraddizione esistente tra norme e uomo. Ne abbiamo presi di sonori ceffoni. Il fine dunque. Il mio fine? Io volevo trovare lassassino per dire che ne ero stato capace, per capire se si poteva davvero trovare questa benedetta composizione delle avverse esigenze. Una risposta diversa da dare a ogni diverso caso. Mi piace poter dire che sono stato capace; altrimenti sono costretto a starmene zitto. Non dico essere in grado di trovare ogni volta la risposta giusta, ma almeno, una volta, una volta almeno. Niente di pi. Una volta soltanto. Era questo il mio fine. Avevo senso del dovere io! Mi piaceva crederlo e far sapere che possedevo lanima del pubblico impiegato. Adoro i pubblici impiegati, cos ciclici nei gesti. Hanno un modo esatto di essere. Non di certo il pi naturale, eppure esatto. Che la fatica sia il segreto? Intendo: il sudore, le ore sulle carte fino a sfinirti la sera con gli occhi che bruciano e la mascella che sincastra, la sensazione di aver ristrutturato la propria scrivania e di doverlo rifare ogni qual volta la stessa veda correzioni del suo assetto geografico, le rinunce che ti fanno sentire cos puro, il sudore s, proprio quello sul collo, sotto le ascelle, che ti svuota il cervello dopo linvestimento di ore del proprio tempo pericoloso. Questa tecnica. Questa giustizia: come la voce della mamma alla sera. Tecnica e cuore.
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Pure lassassino, avrei voluto che intuisse che noi avevamo senso del dovere, che avevamo quello strano bisogno psichico di sudare, che per questo eravamo gente pericolosa, di cui avere un po di paura. Eccolo il fine, forse. Conquistare la capacit di fare un po di paura. Questa capacit forse incide sulla realt, la modifica nel tempo, la rende accettabile. Lassassino, appunto. Se ci fosse stato qualcuno che lavesse visto in faccia, allora tutto sarebbe stato diverso. Ovvio. Nessun problema in quel caso sulla strada della giustizia. Avremmo fatto festa. Avevamo per le mani un testimone oculare, vero, ma era un bluff, una facezia da marted grasso. Lesatto contrario di quello che ci si poteva aspettare. Un quarantenne, lunga basetta, con lorologio fondo rosa, giacchino di pelle nera con zip ed elastico in vita, avvezzo a bere lunghi caff in tazza fredda, sorseggiandoli con labbra carnose e lucide, ma fredde anchesse, sul marciapiede. Un tipo da via Cardone. Bella strada quella. Un belluomo anche il testimone. Niente da dire. Mi incuriosiscono gli uomini belli perch sono bestie strane. Lastrazione della bellezza, come quella della verit, lancia bagliori ingannevoli, come certe torte ridondanti di panna o lucide di gelatina e frutta, che restano a decorare per mesi le stesse vetrine. Il tipo, labbra carnose, aveva telefonato anche lui in redazione: voleva parlare direttamente con il regista del programma, dopo aver adulato a lungo una delle centraliniste, che, chiss come mai, sono sempre donne. Era pronto a spargere autografi al vento. La centralinista non sera fatta intortare e laveva mandato da noi. Venne in Procura che imbruniva, mentre io mangiavo un gelato. Dal suo passo saltellante e dal modo di tenere solo le dita in tasca, mentre il palmo delle mani fuori, e di masticare un cicca piccolissima con la punta dei denti raggianti, da queste cose dedussi che si aspettava di trovare un pubblico osannante pronto ad accoglierlo. Invece cero solo io. Fu una partita a due. Eravamo il principe azzur153

ro che guardava il ranocchio e il ranocchio che guardava il principe. Splendida gara. Potevo vincere, con un certo impegno. Limpegno una rappresentazione mentale che conosco. Mi distrae dal rischio. un trucco che uso spesso. Ero a mio agio, perch mangiare un gelato a stomaco vuoto mi ricordava casa mia. Mia moglie diceva che quello artigianale equivaleva a un pasto completo; lo diceva tirando un po dentro le guance, a scavarle lievemente, cos da apparire categorica, ch di solito quelli con il viso rubicondo come me difficilmente appaiono autorevoli in materia cibo. Lei affermava con le parole questo principio generale, e con il resto del corpo ammiccava. Mi vedi, vedi come sono tonica, come sono bella: non puoi non credere a quello che dico. Dallinsieme veniva fuori miracolosamente la fatica e il risultato. Sono i miracoli della comunicazione e dellestetica. Lei consigliava il gelato a pranzo, anche in inverno. Io mi corazzavo per resistere: solo panna e cioccolato, cioccolato da mordere in pezzi piccoli, mai pi grandi della dimensione di un chicco di caff, solo cioccolato fondente, che lascia laccento sul labbro, difficile da nascondere. E solo di una certa marca. Quel pomeriggio la panna mi sgocciolava sulla mano da dare al quarantenne informato sui fatti, che mi si par davanti. Il ranocchio baciato. Colpo di fulmine. Lestraneit del giacchino di pelle mi mise leggermente in difficolt allinizio, ma solo per poco. Quindi, dopo il prelato, venne il testimone oculare. Luomo si mosse nellavanzo del giorno con naturalezza, come certi cani addestrati che aspettano il cerchio attraverso cui saltare a collo dritto. Falcate lunghe, pelo lungo che sventola, e fruscio di jeans attillato che sfrigola. Gli uomini belli hanno i piedi grandi di solito. Io ho il 43; infondo, non sono messo cos male. Ben piantato a terra, nonostante poi non sia cos alto. Baricentro stabile. Ma i passi degli uomini belli, nonostante i piedoni, sembra che se li porti dietro la corrente, come carta o foglie secche senza peso. Si allargano sul territorio questi guerrieri, soprattutto se non hanno la fede al
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dito. Padroni dellossigeno. Non lo dico perch mi piacciono, non credo, lo dico perch sono curioso. E anche a causa di una lavatrice. Non voglio divagare, ma questa storia delluomo della lavatrice e di mio padre vale. Mi viene ancora da ridere. Cera non so quale ditta dotto casa che forniva assistenza agli elettrodomestici rotti, una specie di pronto soccorso, uno di quei posti in cui entri e trovi solo scaffalature, una sullaltra, mentre le facce dei pochi commessi compaiono tra un ripiano e laltro. Cos. Mio padre, se era necessario, faceva una telefonata e quelli mandavano qualcuno nel giro di poche ore. Un pomeriggio mia madre doveva uscire. Aveva detto vengono a riparare la lavatrice, state voi in casa. Daccordo, noi, io e mio padre; io studiavo, lui lavorava nella stanza accanto. Il ragazzone suona alla porta. Entra. Un marcantonio con la cintura piena di arnesi. Bello, dico, proprio bello. Non c che aggiungere. Bello. Se ne vanno in terrazza. Dopo un po sento la voce di mio padre scattare verso toni alti, fare una specie di curva, unelisse spezzata da un colpo di forbice, inseguendo una qualche parola, e poi ritornare bassa, cupa come un trombone che chiude il pezzo; per ultimi arrivarono i suoi passi pesanti. Alzo la testa e vedo la sagoma del ragazzone bello che corre come laria in corridoio, apre la porta dingresso e si defila. Mio padre mi si avvicina lentamente, mentre si richiude la cerniera lampo dei pantaloni. Ha un riverbero rosso porpora dentro gli ochhi e sulla fronte, che diventata pi larga e liscia del solito; che abbia passato le mani nei capelli pi volte, sintuisce dalla piega anomala che hanno preso quelli davanti. Il ragazzone messo in fuga era il figlio del proprietario; non era il caso di dir niente al padre. Ma guarda tu che roba. Cose da pazzi. Basta, non si va pi da questa gente, stop, non ne facciamo un dramma. I ragazzi sono cos. Ho buttato un occhio in veranda: la lavatrice era in terra, piegata sul fianco, ferita; la cintura con gli attrezzi era stata dimenticata l vicino. Mio padre lha raccontato a mia madre e lei non si sorpresa affatto. Nessuno si stupiva di nulla quando si trattava di mio padre, della sua sconcertante capa155

cit despugnare territori, di conquistare anche senza volerlo fare, di sedurre, fossero uomini o donne, animali dogni razza e attesa. Ma veniamo a noi. Questuomo bello si era presentato in Procura quasi spontaneamente, su consiglio della telefonista Rai, dunque. Da un paio di giorni cera gente che andava, gente che veniva. Si present allagente di polizia giudiziaria e questo lo scort fino a me. In attesa che Ietta comparisse, lasciai che si presentasse. Dissi chi lei, mi scusi? Sentii me stesso che dicevo chi lei? Ero io che dicevo cos. S, fantastico: chi lei. Non so se mi spiego. Un metodo efficace per allontanare, pur fingendo di ridurre le distanze. Porsi la mia destra, appiccicaticcia di gelato. Era un rappresentante di commercio. Articoli sacri? No, cosmesi. Chiaro. Avrei dovuto intuirlo. Mani lisce, senza anelli; senza cicatrici. Io sedevo al posto del mio procuratore, la cui sedia ballava lievemente come un vecchio molare. Cominciavo a sentirmi al posto giusto e mi venivano fuori parole piene, che rassomigliavano a quelle che diceva il maestro. Ietta, contattato, aveva detto al telefono: Arrivo subito; tu comincia a tastare il terreno. Lho detto: mi adatto facilmente allambiente. Mio padre sarebbe stato fiero di me. Fu continuando a pensare a mio padre che parlai al testimone, cercando di fargli comprendere a pieno il peso che le sue dichiarazioni spontanee avrebbero potuto avere sulla nostra paludosa indagine. Ma non usai laggettivo paludoso, lo pensai soltanto. Forse perch pensavo a mio padre, e perch tale pensiero mi si disegnava automaticamente sulla faccia, in smorfie asimmetriche, il giacchino di pelle sorrise. Tastavo il terreno. Dissi qualcosaltro per migliorare latmosfera, una di quelle parole tecniche che, per sintassi e logica, si appoggiavano bene le une alle altre. Appena un mese dallinizio e gi possedevo le parole che servivano. Ottimo. Ogni mestiere ha le sue parole, sempre le stesse che sincontrano di nuovo ogni giorno, come un vicino di casa in ascensore. Vengono da sole in superficie. Bolle daria quasi solide. Le parole del posto fisso. Fa bene Angela a
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voler lavorare sulle parole, a volte sono capaci da sole di far giustizia nei confronti di chi le sa apprezzare. Accadde in quel momento: la vista di quella bella faccia interrogativa da rappresentante di commercio, la sedia girevole fin troppo usata, e pertanto pi girevole di altre, la ruvidezza della copertina cartonata del fascicolo nelle mie mani, il codice gonfio, ma aperto alla pagina giusta, fu quello che mi fece sentire al centro del bersaglio. Luomo frequentava da tempo la zona dellomicidio. La sua azienda di riferimento aveva la sede amministrativa proprio al civico tredici di via Cardone. Poco lontano dalla libreria della Florio, sua cliente, peraltro. Cipria compatta color deserto e copri occhiaie con sfumature di verde marziano per la vedova, ogni due mesi, di nota marca francese. Chiss perch le ciprie sono sempre francesi. Colpa di certe canzoni. Intorno alle 8 di ogni nuova giornata di lavoro luomo si buttava in quella strada, per un saluto allimprenditore capo e un caff. Chi non lo conosceva? Stava l da anni ormai. La mattina dellomicidio era certo di aver visto qualcosa. Qualcosa? Qualcuno uscire dal negozio. Ma era distratto, purtroppo. Qualcuno. Pensava a quanti litri di benzina mettere in macchina prima di prendere il volo. Qualcuno? Sembravano due. Vestiti di nero. Alti. Quanto alti? Uomini o donne? Entravano? No, uscivano. Preti? Forse, non saprei. Aveva notato un ombrello. Ce nerano tanti di ombrelli quella mattina. Forse. Solo sensazioni, immagini catturate di sbieco e appallottolate come messaggio inutile destinato al cestino. Pazienza: nessun reale colpo di fulmine tra noi. Solo un abbaglio. Intanto Ietta tardava, ma perch tardava? Non tornava in ufficio e fuori si faceva scuro. Il ticchettio del tempo, il solito timer, inserito chirurgicamente nei padiglioni auricolari, scandiva lincertezza. Cera da far partire linterrogatorio formale, subito; da far fruttare la risacca della memoria che ritorna, da me cos crudamente sollecitata. Mi sono detto: forse non il caso, non spetta a me, non da solo, ma magari viene fuori qualcosa e viene fuori proprio adesso e non un minuto pi tardi. Anche qui era un fatto di voglie, sogni,
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bisogni, come ci pare; ne soddisfi uno e ne viene fuori un altro. Alcuni ti rovinano la vita, altri non modificano di un capello. Ma a quella soddisfazione, duri anche un solo istante, tutto tende. Io, il mio gelato, il vento in strada, lassenza di Ietta, larmadio lessicale di Angela. Tutto mi metteva dellumore giusto allazione. Per fortuna sono uno di quei soggetti che sa organizzarsi. Avevo a portata di braccio la penna; se ne trovano cos poche in giro, chiss perch, ma quella volta avevo con me la penna pi scivolosa a disposizione dellamministrazione. Una di quelle con la punta buona, che non catturava i concetti, ma li liberava. Che dove non arrivavo io, ci arrivava lei. Avevo e ho ancora oggi una palpabile fissa per le penne. Ne compravo pacchi scorta da ventiquattro. Sono la coda dei pensieri e io sono un uomo di penna. Elaboro solo se la scrittura viene liscia e odio dover grattare sulla carta in cerca di un fiato stilistico. I tratti isterici senza inchiostro non generano parole, sono la peggiore offesa alla propria creativit. Per carit! Non vengo da una famiglia di panificatori o di marmisti, io. Siamo carta noi, s, siamo di carta. Sposati alle penne. Figurarsi poi in un momento come quello, in cui la carta aveva la possibilit di sostituirsi alla memoria anche solo per unora. Ci voleva una penna, assolutamente. Recuperai la mia e chiesi al bellone se avesse sentito per caso dei rumori provenire dal negozio a quellora della mattina. Presi la penna e anche uno di quei prestampati che avevo gi preparato nellangolo in alto a destra della scrivania. Il colpo in canna. Era l. Chiesi se il negozio, sempre a quella certa ora, gli era sembrato chiuso o aperto. Chiesi se gli era parso buio allinterno. Chiesi pure perch stava sostando davanti al negozio in quel momento; se cera qualcuno con lui, mentre passavano le due figure imprecisate, qualcuno che, come lui, aveva visto o non aveva visto. Cerano solo sagome nella sua memoria? Parlavano queste sagome nere? Se parlavano, cosa dicevano? Quali suoni, quali voci, quali versi. Sono stato letteralmente favoloso. Cera sulla porta il cancelliere. Quello anziano che vestiva maglie con scollo a V di
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lana sottile e marrone, che aveva appena finito di rileggere gli ultimi verbali di udienza della giornata e verificato se cerano altri adempimenti, prima di tornarsene a casa da sua moglie. Selezionato le carte per il giorno dopo e riposte nelle apposite vaschette di plastica. Ci sono sempre raccoglitori ai lati di ogni scrivania, sui mobili ad ante scorrevoli, sui davanzali delle finestre, sui caloriferi, accanto al telefono. Quando prendi servizio in un ufficio amministrativo, il dirigente ti dota subito di un paio di quelle vaschette. Non sono uguali tra loro come potrebbe sembrare: ogni vaschetta svolge una differente funzione, solo chi le usa davvero non fa confusione; come accade per i figli omozigoti. Su ognuna di queste c una strisciolina di carta ricavata ritagliando con le forbici un foglio A4, su ogni strisciolina c scritto qualcosa: EVIDENZA, ATTESA, FAX, UNEP, URGENZE, POSTA. Sono messaggi dodio o damore per il collega o la collega. Sono il senso del giorno che verr e del ciclo delle stagioni. Sono uneredit. Il cancelliere in questione, allestito con rigore il suo futuro prossimo, stava spegnendo le luci delle stanze accanto alla sua e si era persino infilato la giacca. Gli feci segno di entrare. Rispose con due passi riverenti nella mia direzione; non poteva fare diversamente. Povero cristo: saranno state le diciotto e la sua onesta giornata di lavoro sarebbe dovuta terminare da un pezzo. A quel punto avevo il pubblico che desideravo e potevo esibirmi. Semplicemente favoloso. Per stimolare il mio testimone alla competizione, raccontai che qualcunaltro prima di lui aveva parlato di strani rumori giunti fin in strada quel giorno; rumori che avevano indotto questo stesso passante a chiamare i carabinieri. Rumori solo in parte coperti dalle gambe in movimento sul marciapiede, dalle pozzanghere che si svuotavano dalla pioggia, rovesciandola in altri buchi dellasfalto; rumori forse essenziali, intuitivi, ma coperti dallindolenza che il mattino si portava dietro. Quali rumori? Rumore di un corpo che cade, rumore di un corpo che si difende, di un corpo che sbatte, che lotta; di mani, braccia, bocche, di quante bocche? Volevo che lui capisse che questa storia delle sagome e di qualche rumorino
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non era poi chiss quale novit, che ci voleva dellaltro perch la citt lo trasformasse in un eroe. Noi avevamo un disperato bisogno di qualcuno che fosse in grado di distinguere rumore da rumore. Sagoma da sagoma. Che andasse oltre. Oltre. Chiesi comunque notizia dei rumori al nostro testimone oculare, nel presupposto che se era stato in grado di usare gli occhi, forse aveva contestualmente attivato anche le orecchie. Un colpo di genio il mio, che smentiva tutte le scemenze precedenti. Ecco il mio ritmo che veniva alla luce. Ero cos eccitato che sembravo mio padre. Ecco il mio modo. Che luomo bello mi abbia detto ben poco di utile quel giorno, non quel che interessa. O meglio, quello che interessa me. Non fu il suo silenzio fascinoso, ma la mia performance. Ero molto preso da me e in quei trenta minuti, quaranta al massimo, le cose potevano essere considerate perfette, belle come quella faccia da testimone. In realt, il mio morto, nonostante lo sforzo istruttorio, rimase pi morto di prima e i due ectoplasma, immaginati o visti, vagolanti senza meta, non furono sufficienti a dargli degna sepoltura. Per ci fu un fatto interessante, decisamente interessante, che rivelai a Ietta la mattina successiva. S, perch Ietta poi non venne, a causa di un impegno sopravvenuto. Cos disse. Mi dette fiducia. La mattina successiva, con semplicit, precis che in seguito avremmo regolarizzato formalmente il carteggio da inserire nel fascicolo. Questioni di firme, di titolarit di penna, appunto. Minuzie. In cambio gli raccontai ogni cosa senza risparmio, e lui ascolt con linteresse morbido che hanno i buoni maestri quando hanno dormito bene e si sono svegliati in bonaccia. Raccontai che il prestante testimone, sotto il fuoco delle mie prime note personali, modulate in temeraria solitudine, mi aveva fatto capire di conoscere bene le figlie della signora Florio. Le figlie assenti, le figlie in contrasto. Proprio loro. Mi premeva che Ietta lo sapesse. Se le ricordava bene il mio capo quelle fanciulle. Ladone in vena di confidenze aveva detto che, soprattutto la pi pic160

cola, passava molto spesso dal negozio della madre, molto pi spesso di quanto ci avesse raccontato. Ci restava a lungo. Molto a lungo. Stazionava per ore sulla porta dingresso, a reggere lo stipite, con il volto tuffato in nuvole basse, a cercare gente e mangiarsi le unghie, oppure seduta in cima a una scaletta di legno accostata alla libreria, con le ginocchia nude tra le braccia. A volte riceveva amici o amiche variopinti almeno quanto lei. Strano. Perch aveva mentito? Cosa voleva allontanare: la madre o lattivit della stessa? Persone o luoghi? Perch voleva tenerci lontani. Mi resi conto che in questa vicenda cerano poche menzogne. O perlomeno noi eravamo stati in grado di scoprirne solo poche. Male, molto male. In campo penale le bugie servono. Dove c la bugia di solito sannida la soluzione al giallo. Altrimenti come si fa? Che altro abbiamo da usare se non le menzogne? Non siamo abituati a lavorare con la verit, ma solo a desiderarla; non siamo capaci di usarla, capirla, metabolizzarla. La verit deve essere un punto lontano, lontanissimo, invisibile, non il pane di ogni giorno. Deve essere faticosa e lontana, specie se da manipolare, da adattare. Da correggere. Che palle: qui erano stati tutti cos fastidiosamente sinceri. Avevano pure trattenuto il dolore in nostra presenza per non disturbare troppo. Cos sembrava. Avevamo solo qualche debole, ipotetico movente, e di solito, un movente da solo non fa un assassino. Pochissime bugie, giusto un paio e pure cedevoli. Come questa delle figlie, arrivata quando ormai ci eravamo arresi allordalia della sincerit e del dolore. La figlia era lunica bugiarda, in uno contesto di luridi santi senza pudore. E allora? Potevamo appropriarci della ragazzina e delle sue bugie, farne uno strumento giudiziario? Potevamo mandare qualcuno davanti alla scuola della ragazzina, a far da mastino, la bocca bavosa e affamata, a ringhiare se qualcuno osava avvicinarsi allesca? Mandare un investigatore, uno psicologo, una pedagogista, un mago, per sbirciare allinterno del suo diario segreto? Esposi le mie idee zoppicando, ma pieno di passione. Il mio capo appena sveglio, con ancora il cappotto sulle
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spalle e, dietro le spalle, il suo autista, il fedele Agrimi, mi ascoltava. E no, non mi toccare la ragazzina, ti prego, Nicola mio! La farfalla viola tatuata, la stessa che svolazzava innocente nei primissimi verbali, aveva mosso le ali a sorpresa. Una farfalla che, invece di andare dritta a scuola con lo zainetto, si fermava in strada o al negozio, dentro la noia dei chierichetti a recitar novene? Detta cos, la storia non era credibile. La mia idea non piacque a Ietta, vero, ma secondo me era lui a sbagliare questa volta. Si doveva inventare una diversa spiegazione che allontanasse tutto il sangue che ancora avevamo negli occhi. Utilizzare queste nuove bugie. Succulente. Perch per me era fuori discussione che questa farfalla dovesse essere utilizzata nel processo, in qualche modo. Immediatamente. Se la ragazza frequentava il negozio, allora conosceva anche il Corietti. Se conosceva il Corietti, forse conosceva le stesse persone che conosceva lui. Non aveva negato di conoscerlo, vero, ma aveva detto di averlo visto poche volte. Interrogata, aveva messo fuori quelle labbra tirate e dritte come uno stiletto orizzontale, quello che ti sbattono in faccia le ragazzine quando non hanno voglia. Era conosciuta anche dal giordano farmacista e, se conosceva lo straniero, forse conosceva anche la moglie dello straniero. Dico forse. E il loro giro. Conosceva le loro parabole di volo pi usuali? Quelle pi proibite? Voli, non novene. Dico voli. Potevamo escludere niente? No: le bugie a questo servono. Ad accendere le fantasie pi ardite. A solleticare, e far s che qualcuno si gratti. Finalmente. Rileggemmo le dichiarazioni della farfalla, due o tre volte, quasi in coro. Io e Ietta. Ietta e io. Venne fuori che la farfalla frequentava sempre la stessa palestra e, al sabato, la stessa discoteca. I suoi sembravano i percorsi di chi non ama le novit. Percorsi che stonavano con la sua immagine trasgressiva. Casa, scuola, negozio, palestra. Una volta a settimana la discoteca. E poi di nuovo casa, scuola, negozio, palestra. Dove stava la trasgressione? Poi si sa: i ragazzini fanno presto a dire trasgressione. Ci fermammo sullidea della discoteca. Si trattava di una ragazzina. Anche la discoteca, dico io, cosa c
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di meno trasgressivo di una discoteca? Palle di Natale dello stesso colore allo stesso ramo sintetico. Non era il caso di stupirsi. Dimore identiche per soggetti simili. Non vedo in questo alcun deragliamento rispetto a un principio generale: spassarsela con poco impegno. Io odio ballare. Fatti miei. Mai potuto tollerare certi corpi sbattuti sullo scoglio e sconce membra strappate che fanno viaggi distonici intorno al tronco. Sono polipi, soltanto polipi prossimi alla morte. Nulla contro la fisica e le sue leggi in senso stretto, ma n la fisica, n tanto meno la musica, entrano in questo affare, solo apparentemente liberatorio. So di non essere allaltezza e di non potere in alcun modo apparire gradevole agli occhi; quindi, mi astengo con alterigia. Non cosa per me, ballare. Quando si tratta di ammettere che non sono capace, non voglio testimoni. Ad ogni modo, ossessioni a parte, una volta accaduta una vicenda davvero singolare, durante la festa di un collega, che aveva ottenuto il tanto atteso trasferimento. Un quarantenne dal cervello frizzante, che sognava il salto nella magistratura amministrativa e che leggeva riviste giuridiche dalla mattina alla sera, per sentirsi ancora in gara, dilapidando intere buste paga in abbonamenti annuali rinnovabili, non detraibili dalle tasse. Questo collega si era fatto tatuare unaquila in un sito di pelle segreto, regolarmente coperto da giacca e cravatta in orario di servizio, e portava un girocollo dargento con ciondoli sempre diversi, raffiguranti altre bestie. Tutta questa allegra ma reticente scompostezza, era dovuta al resistere di una fidanzata improbabile ormai da venti anni, donna ragno che parlava di se stessa in terza persona definendosi creativa del bronzo. In altre parole, faceva collanine, infilava perline, insomma, in una bottega color lavanda nel centro storico della citt, tra candele profumate doppio. Il mio collega voleva salutare lufficio con un gesto di cui restasse memoria e scelse di ferirci le orecchie con una indimenticabile nottata disco, con lausilio di un gruppo locale, che pompava dal vivo. Non accaduto molto tempo fa. storia recente. Allinizio, tutto come al solito: camicia fresca e dopobarba,
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qualche stretta di mano, noia a mille, ma energica, sopra le righe, i tavoli con le tovaglie di raso e i fiori congelati al centro, la moglie di tizio, la compagna di caio, gente giovane sia chiaro, non cariatidi, salvo qualcuna; le collanine di bronzo ogni tanto a disturbare, i soliti confronti tra tizio, caio e sempronio; il procuratore che raccontava di altre serate simili e altri che parlavano di politica poco discosti. Angela aveva eletto la moglie di un amico con tre figli guida spirituale della serata, mentre lumidit le stava arricciando i capelli. Dopo cena era previsto che si passasse in un altro ambiente, con i bicchieri ancora colmi in mano. Si doveva migrare per forza, ondeggiare con eleganza verso altre tovaglie; inutile fare resistenza. L, tre facce da musicisti, su un piccolo palco, ci aspettavano per attaccare la spina del basso. Erano decenni, lo giuro, interi decenni che non mollavo il freno, che non sperimentavo un ancheggio, uno svolazzo domero. Si chiama paura del ridicolo. Avessi avuto cinquanta anni, invece. Ero anticipatario. Ma hanno cominciato con le canzonette, mio malgrado; quelle che non ho mai ballato in passato, nemmeno quando avrei dovuto, nemmeno nei chiassosi, artificiali anni Ottanta. Certe canzonette, porca miseria, che se le risenti a tradimento, provocano la stessa esaltazione di una banconota ripescata per caso nella tasca di un paio di pantaloni dimenticati al cambio di stagione. Rimeni le dita nella fodera interna, tasti, tiri fuori, guardi. E sei un uomo euforico. Cominci ad accarezzare quella gentile banconota, che ha disegnato una piccola iperbole nella tua esistenza; ti senti ricco sfondato solo per aver infilato in quel buco le tue magiche dita. Cosa vuoi che conti se il pezzo da dieci o da venti o da cento? Se da cento meglio, certo, ma leffetto sarebbe comunque identico. S, mi rendo conto, difficile che ci si dimentichi un pezzo da cento in tasca, ma facciamo conto che accada. solo un esempio. Leffetto dirompente. Ci sono ancora le canzonette, ci sono ancora io. Gi questa sembra una coincidenza emozionante. Quello che non stato fatto prima, pu essere fatto adesso. Una nuova possibilit. Una nuova fertilit. Bella la parola fertilit. Anche a volersi fermare alle banconote.
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Ci siamo ancora tutti, io e la musica, il respiro del futuro. Grandioso. ancora tutto possibile. Spendere, spendere subito. Spendere tutto. E ho ballato. Angela si avvicinata a me e, nel fracasso, mi ha gridato nellorecchio che, parlando con la madre plurima, si era sentita vecchia e in ritardo; anche tu, mica solo io, dico vecchi tutti e due, noi due. Aspetta, ho pensato, aspetta, moglie mia! Dammi tempo; ci vuole tempo per certe cose. Stavo ballando, mica noccioline. Ehi, ma mi hai visto? Hai visto che vado facendo? Va, bella mia, va, non mi interrompere ch sono concentrato. Rideva, non era affranta. Forse aveva bevuto qualcosa. Lei. Aveva delle gocce di perla in mezzo agli occhi, che si diluivano al fard con un effetto creta, mentre con le mani si reggeva il collo, quasi si fosse svegliata da poco. Il risveglio della musica. Poi cominci a ballare vicino a me, cos come ha sempre fatto da quando la conosco, muovendo appena i piedi, ma molto di pi le mani e il busto, simile a una piovra smilza. Discreta, con occhi bassi e brevi sorrisi destinati ai volti noti sparsi in giro per la sala. Non si accorgeva che cero io vicino a lei? Quellindividuo che le si dimenava accanto, ero proprio io, luomo che aveva scelto. Invece di sedermi stanco, come in altre occasioni simili, mi aveva colto un nuovo delirio. A quella vista, un tipo che conoscevo appena mi ha preso per il braccio. Vieni. Quello non sapeva che io non ballavo per convinzione, ma per raptus, che avrei potuto irritarmi, credo, anche senza motivo. Non sapeva di essere in pericolo. Dove andiamo? Da quella parte.Vengo. Stavamo accalcati come insetti sullo zucchero. Mi ha portato in una vera mischia: un mare le cui onde subivano lo stesso movimento; ridicolo, ma non troppo. Un movimento al quale era inevitabile credere. La musica non era male. Devo aver preso a sudare fin dentro gli occhi, perch a un certo punto la realt diventata liquida, gelatinosa, il che consentiva alla mia respirazione ribollente, al limite dellangina, di non prendere il sopravvento sulla musica. Non ho pensato, neppure per un attimo, di poter morire, no, ho pensato
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solo che sarebbe durato ancora per poco. Ho pensato che adesso il progetto era: resistere. Ho continuato a ballare, come in attesa di ordini superiori. Ho scoperto di ricordare passi pluriarticolati niente male. Ho sentito un fiato lunghissimo unirmi alla vita degli altri. salito il volume anche dentro, sempre pi su, sempre pi forte. Ho verificato che anche il cuore un muscolo e sa ballare. Mi sono sfinito i motoneuroni. Dopo dieci minuti di questo martello, invece di rallentare, sono diventato una furia. Sempre pi bestiale, unito allumanit tutta. Finalmente in armonia con luniverso. Mi sentivo in grado di formulare pensieri tipo non ho paura. Avere trenta anni non una tragedia. Questo pensavo perso nei miei liquidi corporei. Poi ho preso a guardare quelli delle collanine, il gruppo alternativo che era al seguito della fidanzata del festeggiato. Erano vicinissimi a noi magistrati. Ci sfidavano con gli occhi e certe risatine di fiele. Erano loro i veri razzisti. Io ballavo meglio di loro. Quanti anni avranno avuto? Con tutti quei capelli? Venticinque? Ventisette? E allora? Che merito c? Guardate come ballo, collanine belle, venuto fuori indenne dagli anni Ottanta e con ancora questa energia. Guardate e imparate. Andavo su e gi sulle ginocchia, come fossero carrucole. Un conto alzare le mani verso lalto, usarle come bandiere e sventolare, gesto banale; altra cosa giocare di ginocchia, scomparire alla vista inghiottito dal branco inferocito e poi avere la forza muscolare di riemergere, su e gi. Senza pi nessuna vergogna. A destra e sinistra. Quando usi le ginocchia, e pure il bacino, vuol dire che oramai sei libero. Significa controllo del corpo. Controllo assoluto! Parlare di giovinezza a quel punto era riduttivo. La giovinezza non esiste. Esiste solo il desiderio. E il controllo del desiderio. Allultimo, ho smesso addirittura di pensare. Mi sono tolto prima la cravatta, poi anche la giacca, infine le scarpe e sono salito su un tavolo. Ad un certo momento, una specie di capellone con un dolcevita nero si avvicinato e, sghignazzando, mentre mi dimenavo, mi ha aperto la camicia con un colpo netto che ha fatto saltare via tutti i bottoni. Per questo lho legata in vita con un nodo Saint Tropez.
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E cos che mi ha visto mia moglie, rientrando in sala dopo essere stata un po in veranda a guardare le vecchie stelle. Svettavo in cima al tavolo con intorno le mani osannanti di tutta la magistratura locale, collanine comprese, cera pure qualcuno della cancelleria. Le ho fatto un cenno e lei ha letto il labiale: non sono ubriaco. Lunica persona in sala nei confronti della quale provavo una sottile vergogna, era proprio la mia Angela: per un paio di ore le era stato estraneo. Mi aveva smarrito. Non mi piace, perch non ci sono abituato; labitudine un valore e fa parte del progetto. Lestraneit invece non fa parte di alcun progetto. Daccordo le novit, i cambiamenti, ma non amo far passi indietro. Lestraneit un segnale di incostanza che mi mette in allarme. Siamo tornati a casa a notte fonda e anche quello era una novit per me. Non mi piace la notte perch mente. Di notte laria punge i vestiti, inganna le forme, ci sono rumori talmente morbidi e diffusi da non essere riconoscibili; di notte anche lasfalto fa rumore, pur sembrando di gomma. In macchina lei continuava a scrutarmi, ma nascondeva gli sguardi, ne conteneva la durata e lintensit. Ridacchiava. Toccava le cose in giro, gli oggetti di sempre, regolava la ventola del caldo/freddo e ridacchiava. Non ero ubriaco, ma lei rideva lo stesso. Dopo, ci fu chi parl della mia prestazione per giorni, ma nessuno disse che mi ero reso ridicolo. Questo non fu rilevato da nessuno. Al contrario. Forse ero un ballerino accettabile, pur senza saperlo, anche senza esercizio; forse ero stato una rivelazione. Perch no? Del resto, accanto a me aveva ballato per ore anche un consigliere di Magistratura Indipendente con le tempie brizzolate ed era scattato lagonismo di sempre. Lagonismo del calcio, lagonismo delle bracciate stile libero al mare, lagonismo della bella figura, della cravatta contro la collanina; lagonismo del figlio unico di un grande padre. Lagonismo per forza. E su quel vegliardo avevo vinto facile. Una storia che credevo di aver dimenticato, questa qui, ma, cazzo, come suonavano bene quei tre musicisti. Era stata tutta colpa loro. E dei Village People. O degli Spandau. Forse. Ricordo una tromba. Una grande tromba. Manco fossero le
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sirene a cantare per me. Tutto cambia se di mezzo c una tromba. raro trovare una buona tromba in giro. Quella sera cera una tromba che evocava altre citt. LAmerica. Limprobabile America. Tutta colpa di quel suono tiepido che ti svuotava e ti riempiva daltra umana sostanza, come una buca fatta nella sabbia a mani nude. Stracolma di necessarie bugie e nettare. Invece, per la nostra farfalla viola, era diverso: la discoteca, secondo me, era un fatto di abitudine e certezze. Non uno scarto improvviso in un vicolo cieco; piuttosto, la strada pi facile. Quella di tutti. Quella percorsa da masnade di coetanei, con danni circoscrivibili. Certo, non potevo fare confronti utili, ero incompetente, ma restava lobbligo morale di comprendere qualcosa di pi circa le bugie della figlia della signora Florio. Ma non toccatemi la fanciulla. Il capo era platealmente infastidito dallimprevista evoluzione dellindagine. Non si poteva mettere una bambina sulla bocca della Procura senza altri elementi probatori. Lo diceva da padre. Calma, quando si parla di minori. Se in processo compaiono i minori, la procedura cambia registro. Per scongiurare danni aggiunti. Si voleva astenere. Si voleva tirare indietro. Cera stata pure unaltra lettera anonima, una delle tante, arrivata alcuni giorni prima, a cui non avevamo dato importanza l per l, ma che adesso ci dava i brividi. Attenti al porco con cui se la faceva il Corietti. Ci sono pure in mezzo i ragazzini. Cera scritto a penna. Piano con i ragazzini. Non si pu sollevare un polverone, solo per ambizione. Se fosse stata mia figlia? Non ho figlie. In questa materia la riflessione libera non conta granch, stando a quanto si racconta in giro. Conta solo lesperienza. Almeno, questo che dicono i padri, orgogliosi del loro bagaglio di conoscenza specifica, e non credo che desiderino intenzionalmente affermare il falso. Perch mai dovrebbero mentire? Cosa c da nascondere sui figli? C da fidarsi. Ad ogni buon conto, se avessi prole o potessi comunque scegliere che tipo di prole
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avere, una figlia che vorrei. Lho detto ad Angela: vorrei una femmina. Daccordo, i figli. Cosa cambia un figlio quando c? Sapre un abisso tra chi sa e chi non sa. Ma potr dire la mia anchio, cos da osservatore, o devo obbligatoriamente rimanere in silenzio e aspettare? Sembra che chi non ha figli non conti un tubo nella societ. Che la mia sia una colpa anagrafica che non riesco a farmi perdonare. Angela non mi perdona, infatti. Angela non vuole farmi riflettere. Angela, credo, vuole solo aspettare e che anchio aspetti: ha smesso da mesi di usare le sue solite parole propiziatorie. Tipo Utero (la pi intuitiva), Episiotomia, Gestazionale, Epoca anamnestica, Diametro parietale, Follicolo (perch ha un bel suono rotolante); parole cos. Prima le masticava come chewingum. Di recente con le spalle fa cenni silenziosi dincredulit. Ha messo il silenzio tra lei e la mia colpa. Dei figli si tende a salvaguardare il futuro, come se questo fosse una loro esclusiva. Il loro futuro sembra un dato certo, inattaccabile. Soltanto il loro. Del resto, cosa aveva fatto la signora Florio quando le avevamo chiesto della figlia? Aveva negato categoricamente, ribadito pi e pi volte, con toni crescenti, che sua figlia al negozio non ci veniva mai, che lei doveva pensare a studiare. A cosa doveva pensare quindi questa figlia? Al futuro, appunto! Non esiste altro per un genitore. Il presente non conta. Il futuro una placenta sempre ricolma. Per la gente come me il futuro sembra un lusso, una sciocchezza. Una fantasia inutile. Dopo una certa et, il futuro si trasforma in un ipotesi; prima un diritto, poi unidea instabile. Ma se hai figli, un futuro per cui lavorare ti resta comunque; se non ce li hai, che fai, chi sei? Non hai futuro. Sei unimmagine destinata a oscurarsi gradualmente. No, cos non va bene, non va affatto bene, secondo me. Devo dirlo ad Angela che cos non va. Mia moglie pensa ancora alla sua placenta vuota? Ha maturato pensieri che ritiene inutile tradurre in parole. Ce ne
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stiamo ciascuno nel proprio disavanzo di tempo a far calcoli che equivalgono a zero, a cui nessuno aggiunge alcun riporto. Insomma, ce ne stiamo da mesi zitti, zitti sullargomento. Estraneit. Temporanea, per, s, assolutamente temporanea. Io credo. Devo solo organizzarmi. Sono certo si tratti solo di un problema di tipo organizzativo. Non ho dubbi. Non pu che essere cos. Certo, certissimo. Per lei deve essere come avere un borsone piccolo, ma estensibile, di pelle specchiante e cedevole, vitale, che potrebbe miracolosamente contenere il bagaglio necessario per qualsiasi tipo di viaggio. E non partire. Viaggi oltremodo avventurosi in testa, ma non partire. Sentirsi in ritardo e non partire. E dire che io mi consideravo un tecnico in fatto di valigie; come farle, come conservarle, come svuotarle. Ma non so come riempire la valigia della mia Angela; non so come gestire una mancata partenza o un rinvio. Per questo oggi gradirei molto sapere qualcosa di pi in fatto di figli e valigie, cos da elaborare una nuova strategia. Diventare un esperto, un nonpadre che ha un suo convincimento. Vorrei sapere esattamente perch desideriamo mettere al mondo figli. Fare un progetto a riguardo. Prima che diventi troppo tardi. Lomicidio del Corietti non mi stato daiuto. Pi o meno tutti desideriamo avere figli. Perch?, mi domando io. Lo desiderano di pi le donne, dicono. Bene. Perch? Oggi vorrei averne uno anchio, e anche se non sono una donna. Come mai? Per il mio solito desiderio di essere capace, di conoscere, di adattare la realt a me stesso? Forse. Non sono stati i figli di qualcuno a far nascere questo bisogno. Non si tratta di semplice emulazione. Noi, i senza figli, rappresentiamo la degenerazione di un principio sociale, e siamo sempre di pi, cresciamo numericamente in diretta esponenzialit con il nostro desiderare, e allora? Come mai questa stessa degenerazione non ci aiuta a capire qualcosa di pi del principio stesso, come mai non ci avvicina alla verit? Deve essere per via di tutto questo silenzio. Di una certa vergogna. Di qualche depistaggio massmediatico. Dieci anni fa sentivo la necessit che, in quella immobile incertezza che vivevamo in coppia, qualcuno mi indicasse la
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soglia, che poi avrei fatto vedere anche ad Angela. Avrei usato un dito. Le avrei detto Fermati qui. Quella sei tu, siamo noi, e lei si sarebbe fermata, credo. Lavrei detto allora, lo direi anche adesso. Mi ci vorrebbe un maestro. Un altro. Ecco cosa ci vorrebbe. Un maestro in mancate partenze. Ora, consequenziale il quesito: che diritto avevamo noi di infangare, cancellare il profumo innocente e sanguigno di una placenta altrui? Nessuno. Aveva ragione il mio amico Ietta, il cui psichiatra aveva trasformato in un gigante con i piedi dargilla. Cosa potevamo scoprire al pi? Che la fanciulla tatuata era unassassina? Non credo proprio. Che conosceva lassassino? Possibile. Che era lei, a quindici anni appena compiuti, con tanto di candeline rosa, lorigine del male? Non di certo listigatrice, se mai una vittima, e poi? Che avremmo fatto? Lavremmo consolata noi, da buoni padri? Avremmo assicurato protezione a lei e sua sorella? Bella balla il lieto fine. Non ero io il capo, per fortuna. Il capo aveva un figlio, peraltro, e parlava quindi da un punto di osservazione privilegiato. Il figlio per se lo teneva ben nascosto. Il suo era un controcanto appena percepibile. Ne parlava poco, per lasciarlo crescere tranquillo, diceva lui, ma in realt era che non sapeva da quale punto della terra cantava suo figlio. Non sapeva come, dove e per chi. Non parlava di futuro, perch era di cattivo umore e scaramantico. Non credo che non parlare dei propri figli aiuti i genitori. Bisogna farlo, secondo me. fondamentale creare delle pause e poi condividerle. Le pause tra una poppata e laltra, tra un rimprovero e un bagnetto, tra un divieto e un regalo. Mi pare. Pause di riposo e riflessione. Pause daltro. Le pause sono la parte pi vera di noi, e quelle pause vanno riempite parlando di noi, dei nostri figli, se ci sono, di quello che insomma sta intorno alle pause. Invece Ietta taceva. Ci facevamo entrambi degli scrupoli pensando ai denti sporgenti e alla vestaglia informe di quella ragazzina sfiorita. Come era questa ragazzina? Mi era stata tatuata in testa cos come era venuta fuori
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dalla descrizione fattane dai caramba la mattina dellomicidio. Una ragazzina gracile, ma apparentemente robusta nello spirito. Una specie di uovo bollito. Col guscio dipinto a mano. Ad ogni modo, certi scrupoli non mi impedivano di sentirmi costantemente accanto lafflato gelido di quel primo cadavere; un monito tetro. Figli ancora nessuno, ma cadaveri adesso s. Possedevo un cadavere, anche quella era una degenerazione di un principio generale: la vita. Era quasi come avere il morto accanto nel letto, a ingombrarne la met vuota, ogni notte. Mi sarebbe piaciuto spedire in busta chiusa al tribunale il nome di un assassino pronto per la condanna. E chiudere cos. Sarebbe stato un grande inizio per me: condannare un uomo; magari raccontare in giro quale essere mostruoso avevamo incastrato. Il mio mostro, il peggiore di tutti, sfruttava i percorsi delle farfalle in volo. Che colpo sarebbe stato! Come mi sarei sentito leggero. Leggero e perdonato come certe mattine sotto gli occhi di Angela, al risveglio, di domenica. Solo lei mi guardava cos, mi voleva, e sapeva chi ero; cosa guardava e cosa aveva gi guardato coincidevano, e quella coincidenza mi nettava e mi toglieva peso. Avevamo qualche certezza. In fondo. Non posso farne a meno. Ho bisogno di un ricordo felice. Il mio futuro da solo non mi basta. Non ho placente gonfie, io.

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XII CAPITOLO

Ad ogni modo, pur lasciando da parte il periodo prenatale, la mia lotta col padre mi sembra quanto mai varia e lunga da poter essere argomento di una storia Giuseppe Berto

Ormai troppo tardi, Angela. Che cavolo vuol dire: troppo tardi? Lo volete chiudere contro ignoti con tutti gli elementi che avete? Ma che roba, siete delle pecore. Non si pu cos. Non abbiamo niente di veramente significativo. Solo elementi che tra loro non E allora? Lintuito dellinvestigatore dov finito? E la bambina? E scusa, dai! Lo dovete fare almeno per lei. Appunto. Cosa appunto? Lo sai. Noi donne la vediamo in modo diverso. Noi donne la vogliamo davvero la verit. Non ci spaventa. un pensiero che fa troppo schifo? Non cancellatelo. Non so, partite dalla discoteca, ecco, per esempio. Oppure chiedete alla madre o andate in palestra. Cera pure unaltra donna che frequentava la palestra con assiduit in questa storia, chi era? S, la moglie del morto. Mi pare. Non vero che era lei? Ecco, fate qualcosa. Tipo questo. S, vero: la moglie del Corietti. Ecco. Ma guarda te. La palestra proprio la stessa. Abbiamo fatto dei controlli. E quindi? Niente. la palestra pi attrezzata del quartiere; frequentata da un pozzo di gente. E quindi? Niente. Ci andavano la moglie della vittima, la moglie
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dellamante e la figlia della proprietaria del negozio. E quindi?? Pure il farmacista? Il musulmano non fa ginnastica. La moglie? Tanto meno. Devi vedere che fianchi. No, evidentemente la moglie preferisce un altro genere di movimento. E i preti? Smettila! Non deve essere facile crescere senza un padre. Non credi? Un po come quella ragazza, quella che venuta da voi a parlare male della pretaglia locale. Quella l. Anche quella sola come un cane. No? Pu servire un padre. Non si discute che pu servire. Lo stesso dicasi per la figlia della Florio. Mi pare ovvio. Dipende dalle madri pure. Cio, ci sono padri inutili quando le madri bastano. Ci sono madri che addirittura avanzano, se per questo. Non mi far fare questi discorsi stupidi! Si resta sempre un po zoppi comunque, se non c un padre o qualcuno che ne rivesta il ruolo. Si zoppica. Vediamo, aveva un fidanzato? La ragazzina, intendo. Ce laveva o no una storiella? normale avere una storiella a quellet. Se non ce laveva vuol dire che cera nellaria qualcosa di strano. Secondo me. Trovate gli amici. Avete individuato amici pericolosi? Figure losche? E dai! Ma vi devo dire tutto io? Niente, solo compagni di scuola. I preti non li frequentava. Cera un gruppetto, due amiche fisse, nientaltro. Ah, dimenticavo, abbiamo risentito di nuovo il Pace. Per lennesima volta. Non ti dico lo strazio. Io, se Ietta lo convoca ancora, mi do malato. Quando morto il padre della bambina con la farfalla? Circa sei anni fa. Gli anni peggiori in solitudine. E tu la vorresti una femmina? Piccola, per, me la devi fare piccola. Da come ne parli, sembra che mi vuoi portare a casa una diciottenne. Eh, ti piacerebbe eh? Magari come una di quelle utili anche a mandare avanti il tuo solitario appartamento.
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Come? Non hai detto che stai cercando una donna delle pulizie? Ah, s, non ti ho detto che me ne ha trovata una la moglie di Ietta? S. Una signora che prima andava a casa loro. Adesso viene da me. Parla quanto una predica, ma brava. venuta gi tre volte. Ha eliminato covoni di polvere. Viene la mattina: parla e lava tazze, cambia le lenzuola, lava quello che ho usato per giocare a calcio, spazza; le solite cose, insomma. Alza le persiane che, fosse per me, le lascerei sempre tirate gi, per non far fatica. Tanto piove e non c mai una sorpresa che sia una. Le lascio i soldi sul tavolo della cucina. Cerco di non rispondere alle domande che fa. Ma ne fa tante. Cavolo! Mi ha pure portato il vino che fa il marito in campagna. Che ne sa lei che non mi piace. Non mi andava di rifiutare. Diciotto, venti anni? Sessanta. Le ho fatto pure il duplicato delle chiavi di casa. Comunque dicevo unaltra cosa. Dicevo Vorresti un maschio o una femmina? Non fa differenza. Non vero. Una femmina, allora. Perch? Per esserne geloso. Perverso. Lo sai come sono. Non mi fare domande, allora. Io pensavo che volessi una femmina per non rischiare di riprodurre con un figlio maschio il tuo rapporto con pap. Perch? Che c di male nel rapporto con mio padre? Ah, s? Te lo dico unaltra volta. A proposito: sabato siamo a pranzo da lui. Eccolo qui. Pranzo di famiglia? Lui sa qualcosa del caso che state portando avanti? No, non credo. Se tu non hai detto niente non lo sa; ch da me, certo, non ha saputo niente. E ai nipotini? Qualcuno in famiglia ha mai accennato ai
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nipotini? O si parler solo di politica e di piante sempre verdi a casa tua? No, non gli ho raccontato niente. Perch non ho lassassino. Che glielo dico a fare se non ho lassassino? E lo stesso vale per i figli. Mamma mia, quanto sei figlio! Mi sembra di dovergli dei risultati. Solo questo. Che destino che ti sei scelto! Dovremmo frequentare di pi gli amici. Per distrarti dai tuoi obblighi. Quali amici? Appunto, quali? Coppie, coppie di amici. Per fare cosa? Per frequentarsi. Dici? Dico, dico. E di che parliamo con questa gente? Di quello che facciamo. Magari ripeschiamo qualche vecchia conoscenza e la rinverdiamo. Ma poi diventa un legame Perch adesso invece a cosa sei legato? A niente. S? Povero te. A te. Ecco. E al tuo bisogno di risultati certi. Dici? Gli amici? Dici? E se poi entriamo in competizione? E se cominciamo a confrontarci e a deprimerci? No, no. No. Cio? La casa, i figli. Io ce lho, tu non ce lhai Le comitive, sai com, no? Sei pazzo. No, guarda: sempre cos tra amici. Ma che ne sai tu? Io mica voglio una comitiva. Parlo di persone, io. Con cui confrontarmi. Eh, che ne so, che ne so. Si fa presto a dire persone. Quali persone? Ti farebbe bene confrontarti, invece. Tu dici?
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Ma smettila! Senti un po: la testimonianza oculare sembra interessante. Dovevate torchiare a dovere il tizio. Se quello venuto a trovarvi perch ha delle cose in testa, cose da buttare fuori. Non potete far finta di niente. Non faccio finta. Non lo faccio mai. Il superficiale quello l, mica io. Parlava di due lunghe figure nere. E basta. Che come dire niente di niente. Come la paura e basta. E che ce ne facciamo di due ombre? Siamo pieni di idee, possibilit, opinioni, sensazioni. Tutta materia che non porta a nulla. La verit secondo me unaltra cosa. E cosa la verit? per quella che mi tormento. Magari se approfondite Io ho approfondito. Senti, basta, eh? Una storia incerta di ragazzine e uomini neri? Questo quello che credete di aver fatto venir fuori? Siete sicuri? Cos. Raccontami meglio del Pace. come se mancasse un collegamento. Non mi convince: ci deve essere qualcosa di pi. Guarda, io proprio non so cosa dirti. Manca qualcosa. Ma, scusami, a te non sembra che in questa storia manchi qualcosa? Il lavoro il tuo, per carit, non voglio dire niente, ma secondo me manca qualcosa. Ecco, infatti. Che palle! E poi perch dici sempre il Pace, oppure il Ietta. Il Tizio, il Caio. Sembri scemo. Perch parli cos? Non ti riconosco Cerco di comprendere il lessico di questa citt. E ci riesci?

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XIII CAPITOLO

Enid sent che niente poteva pi uccidere le sue speranze, niente. Aveva 75 anni e intendeva cambiare alcune cose della sua vita. Jonathan Franzen

Alla fine mi ero convinto che nei luoghi, nello spazio fisico, nelle molecole, avremmo potuto rinvenire lultima illuminazione. Lultima occasione. Era un giorno che tirava un vento folle, se non ricordo male. Lultimo prima della rinuncia. La finestra senza tende nella stanza di Ietta si affacciava su un vicolo sottile e scuro come linterno di una canna di fucile, tutto ugualmente grigio, pi simile alla tromba di un ascensore piuttosto che a pezzi di cielo e muri e strada, sfiorati dallaria umida che precipitava verso il basso. Negli angoli si ammassavano resse di foglie. Si sollevavano come risate stropicciate in mulinelli. Era un vento che rimaneva intrappolato nelle strade, senza altra via di fuga, suonava dentro uno strano clarino, facendo il verso delle civette. Strappava i cappotti dalle spalle. E i cappelli, se non trattenuti con le mani. Forse pioveva; non era facile capire se pioveva o no: in quella citt era sempre tutto fradicio come dopo una spruzzata. Nel centro abitato, come in una sintetica location, andavi a sbattere ogni mattina contro sipari opachi che non erano vera pioggia, ma qualcosa di simile. E sopra ogni cosa il vento. Cos rumoroso e scomodo, lo ricordo benissimo quella mattina, come un impiccio materiale ai pensieri. Ietta disse e gli scappava il mento dalla faccia, parlando che erano pronti gli esami del RIS. Avevano lavorato per
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giorni sul luogo dellomicidio, ma i risultati facevano piangere tutti, tecnici e curiosi. Ietta ci aveva dato una sguardo veloce, pagine e pagine, ma quello che contava era nelle ultime quattro righe. I luoghi. Dal luogo si sarebbe dovuta cogliere la psicologia dellomicida. I suoi ultimi pensieri cavalcanti e scossi prima di impazzire; gli ultimi gesti. Invece. Perfetto, un silenzio perfetto era descritto in quelle quattro righe e non in modo sintetico. Cosa ci avevano raccontato i luoghi circa questa vicenda? Poco. La Libreria, via Cardone, la Farmacia, la Palestra, la Curia, la Casa dappuntamento, la Procura. Pi fondali, da sostituire di continuo per i frequenti cambi di scena. Sullalbum sembrava mancare la figurina pi importante. Ma quale era? Mancava qualcosa, assentiva la mia geniale Angela e, cavolo, anche a voler far finta di nulla, quella donna l, benedetta lei, finiva sempre per aver ragione. Il dove importante. Non per niente, io e mia moglie allepoca, cercavamo casa. Volevamo acquistarla e cambiare il nostro dove. Borghesemente, diventare proprietari di un immobile a uso abitativo e darci in pasto allICI e ai suoi mille commercialisti. Nella nostra traversata matrimoniale avevamo abitato numerosi appartamenti. Niente di nostro: solo contratti di locazione soggetti alla volubilit Istat. Non che fosse vitale. I figli nascono ovunque. Infatti. Non era per i figli che volevamo comprare una casa; quella del nido, gli uccelli e le pagliuzze, uninvenzione. Una delle tante in materia. Al contrario, semmai, volevamo figli per la stessa patologia per cui bramavamo un tetto: porre fine alla nostra austera precariet. Eravamo formiche, solo formiche. Che fanno le formiche senza un formicaio? Dove le sistemano le loro molliche? Troppe molliche, comunque, tonnellate di molliche, da rimanerci schiacciati e ugualmente affamati. Ci eravamo appesantiti di rimasugli inutili, pur in assenza di scelte definitive. Nessuna delle nostre scelte lo era stata davvero fino ad allora. Io credo. Il provvisorio sedimentava senza pazienza qua e l. Angela, che si lamentava rumorosamente
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del disordine e della polvere, in verit non faceva nulla per cambiare la situazione. Tanto siamo qui ancora per poco, diceva, lanciandosi in pasto alle sue allergie. Era un precario dimorare di coppia, il nostro, enormemente stabile, ormai. Nonostante tutto, qualche anno fa, la casa labbiamo comprata davvero. In comunione dei beni, perch siamo scaramantici. Il trasloco delle nostre montagne di provvisoriet, per, ci costato una fortuna. Angela mi aveva minacciato di morte se non avessi partecipato nel corpo quanto nello spirito alle grandi manovre. Ho sentito di mariti che sono usciti per andare al lavoro una mattina, e alla sera sono rientrati nel nuovo appartamento gi in ordine. Storie di casalinghe anni Cinquanta. Noi invece traslocammo subito dopo unestate gonfia di scirocco e sabbia, e io presi quattro giorni di ferie. Non fu unimpresa facile, ma rivelatrice. La cosa peggiore fu svuotare lo sgabuzzino. Se si tratta di una sistemazione abitativa provvisoria, lo si intuisce da come tenuto lo sgabuzzino; se tutto un rinviare, accatastare, un perdere e ritrovare, allora puoi essere certo di trovarti in una casa in affitto. La nostra casa oggi soprattutto un corridoio. Una striscia su cui poggiano diversi stati danimo, onde di diversa altezza, odori di arrosto o bagno schiuma; le voci del telegiornale o labbaiare del nostro cane. Una grossa testa bitorzoluta, di nervi e sangue, che cambia la parrucca. Solitudini diversificate solo dal passo. Era tanto tempo fa. Una sera, ormai il contratto con il venditore era stato perfezionato in ogni minuzia e si aspettava solo che fossero completati gli ultimi lavori di ristrutturazione per il nostro trasferimento, una sera, dicevo, Angela era andata a chiudere le finestre nella nuova casa perch sembrava dover scoppiare un temporale da un momento allaltro e non volevamo allagare tutto. Era stata sua lidea, non mia. Era sempre preoccupata per lo stato della sua futura casa. Ci passava di continuo davanti in macchina, per vedere se era tutto regolare. Mi faceva fare gli appostamenti in incognito, con occhiali da sole e baffoni neri. Quella volta qualcosa and
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storto: torn a casa tardi che era un fantasma zuppo. Aveva i capelli incollati alla faccia e le dita che vibravano. Non so cosa avesse visto nella casa di nostra propriet ancora vuota, entrando da sola nel buio, nel silenzio, in un tratto di tempo ancora inutilizzato. Parlava di odori che non cerano, che mancavano, ed era scioccata da questa abnorme assenza dodore. Le avevo detto che pericoloso sottoporsi senza controllo a certe visioni future. Che troppo desiderare alla fine pu essere dannoso. Ha risposto netta che non sarebbe mai andata a vivere l. Che quel futuro notturno e umido non le interessava affatto, anzi, ne era terrorizzata. Quella era una gravidanza che non voleva. Adesso non mi va di far della facile psicoanalisi: la famiglia dorigine, infanzia, i traumi che restano incatenati ai luoghi, e ai luoghi che contengono altri luoghi come scatole cinesi. Ad ogni modo, abbiamo fatto il trasloco come previsto dopo qualche giorno dal temporale. E buonanotte. Non avevo bisogno di spiegare a Ietta il mio pensiero legato ai luoghi. Lui gi lo conosceva; era anche lui un proprietario immobiliare. Era parte delluniverso composto da agenzie immobiliari, notai, banche, uffici catastali, negozi darredamento, armadi, donne delle pulizie e altri temporali. Per questo anche lui voleva tornare negli spazi fisici dellindagine. Al pi presto. Riandammo. Gli accertamenti tecnici avevano sintetizzato alcune chiavi di lettura. Le impronte. Una quantit imprecisata di impronte, oh quante, ma non ancora attribuibili ad alcuno. Niente sangue straniero. Nessun altro reperto. Nulla da approfondire tecnicamente con una superperizia, con superperiti per supermorti ammazzati. Deduzioni: il morto si era dissanguato, lassassino invece era stato solo ferito. Era possibile, per quanto improbabile. Le impronte pi recenti erano sul telefono, sul primo cassetto di un mobile in ciliegio che raccoglieva documenti contabili, e sulla cassa. Si trattava di impronte diverse tra loro, appartenenti ad almeno tre diversi individui. La circostanza poteva significare alcune cose:
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1) Lassassino non era solo, e questo, in qualche modo, confermava il miraggio delle due figure alte e nere in prossimit del negozio, sfuggite al racconto sonnolento del nostro unico testimone oculare. 2) Pi di una persona era passata dalla libreria quella mattina, ma questo non significava che si trattasse dellassassino; le impronte potevano essere l da giorni e quindi scarsamente interessanti. Bisognava vedere con i nostri occhi. Eravamo frastornati da vagoni di carta da leggere, mentre quello di cui anche noi avevamo davvero bisogno, era toccare gli oggetti. Di fare esperienza tattile. Ogni cassetto era stato vuotato e i documenti visionati pagina per pagina; tra questi erano stati trovati due scontrini della farmacia risalenti a un mese prima. Il telefono era muto dentro a un involucro di plastica. In pensione anche quello. Avevano fatto ordine. Gli altri, con noi. Attenzione: la mattina prima dellomicidio nessuno aveva usato quel telefono. Tabulati lindi. Lultima telefonata risaliva al pomeriggio precedente. Si trattava dello squillo della vittima al suo amico del cuore. Prima di quella, intorno allora di chiusura per il pranzo, era stata fatta una telefonata dalla proprietaria del negozio alle sue figlie. Lunga. Non cera modo di conoscerne il contenuto purtroppo, e fissare lapparecchio telefonico, nella speranza che parlasse, non serviva a nulla. In un angolo, sul fianco di un mobile in legno scuro con le ante serrate, nonostante la tempesta, cera ancora un gancio a pressione; uno di quelli di plastica bianca che lumido stacca inesorabile. A quel gancio restava appeso un grembiule nero, uno tipo bidello del libro Cuore. Forse lindossava la vittima quando vestiva i panni da commesso, non per la mattina dellomicidio. Non ce lo aveva indosso quella mattina. Curiosando nelle tasche, avevano beccato una bustina di un noto analgesico tutta stropicciata. Di certo gi scaduta. Di nuovo. Ancora il mal di testa? Il filo rosso. Come per la vecchia pazza. Forse quel poveraccio soffriva di cefalea, considerato anche gli scontrini della farmacia, allinterno della quale chiss quante volte aveva messo piede. Il dolore era arrivato ben prima della morte. Il filo rosso era quel dolore
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specifico? Idea mica tanto originale, a dire il vero. Meglio quello, che nessun filo, per. Esistenze segnate dal mal di testa. Teste malate. Teste da curare. Che altro? Ricordai che anche la vecchia lamentava lo stesso problema, e chiss quante altre esistenze intorno a noi, obbligate alla somatizzazione della fatica e del disagio. Luomo proprio nato per soffrire! Alcuni uomini in particolare. Noi, dal canto nostro, dopo vagoni di carta, ci recammo sul posto. Dopo un giro nel puzzo marcio del negozio, che di sacro aveva ormai solo la considerazione del trapasso e la nebbia soffice dellincomunicabilit, decidemmo di andare a fare un giro nei locali della Curia. Strano andarsene in giro in una tomba. Ti vengono in mente pensieri assurdi, e non puoi scambiarli con altri pi azzurri. Il senso della vita, il senso della morte, filosofie di questa natura per uomini semplici. Pensieri che non riuscivo a trasformare in concetti o colori. Solo disgusto infecondo. Andammo, comunque. Avevamo deciso di arrivare alla Curia passando per il corridoio interno alla libreria. Pi suggestivo, pi vicino al crimine. Almeno cos ci faceva piacere credere. Non cerano cicche in terra sfuggite ai Ris, io guardavo anche per potermi prendere al soddisfazione di dire che quei ganzi si erano sbagliati, invece niente; non cerano fogli di carta con confessioni nascoste in qualche anfratto e poi dimenticate. Peccato. La luce era solo quella che filtrava dalle vetrine, poich la corrente era stata staccata. Per il forte vento, le foglie secche sfuggite ai marciapiedi, si erano infilate negli angoli allinterno dei corridoi in composizioni darte povera. Provammo a percorrere il passaggio lentamente. Nessuna traccia di sangue; anche chinandomi a guardare pi da vicino, niente. Sui muri solo il tempo e la muffa, ne conseguiva che, o lassassino, uno o pi di uno, non era passato attraverso quel budello umido e angusto, oppure era riuscito a non sanguinare proprio l, grazie a una garza, un cerotto, forse un tampone acquistati in farmacia. Cera, infatti, una farmacia in zona per lacquisto di certi articoli essenziali al crimine. Guardare era il vecchio metodo. Guardavamo per terra, ai
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lati, sul soffitto. Neppure un capello. Un assassino calvo o impomatato, con una cuffia in testa come un panettiere o con un cappello? I preti spesso hanno capelli di propilene, come quelli di Big Gim, incorporati alla scatola cranica, quasi fossero dinchiostro. Il nostro Pace innamorato, invece, aveva una zazzera scura, sguisciante e umida, che segnava la linea curva delle orecchie e poi le vene del collo, fino a insinuarsi dentro il maglione. E il giordano poi? Sulla sua testa dasfalto lucido, immobile, contenuta ai lati da una qualche pomata grassa, cerano solo linee rette, regolari, rigide, larghe ma sicure; ci potevano circolare i tir. Per quanto ci si muovesse con lentezza, era come stare con entrambi i piedi nudi dentro un grosso bidet, mentre lacqua scorreva verso la fogna. Veloce. Irriverente, ma inevitabile. Cera pendenza e ghiaccio, e noi, senza volont, acceleravamo la fuga dei passi. Tenni per me lansia che ne scaturiva. Era un corridoio buio con alcune sedie di paglia poggiate contro il muro. Proseguimmo sempre pi lesti, in fila indiana, scortati dai caramba. Di rado i caramba che incontri durante unindagine, giorno dopo giorno, restano sempre gli stessi; questione di turni. A parte la divisa, che invece sempre la stessa, le facce cambiano. Per il Sergente Garzia, cera da fare per un discorso a parte, per la sua operosit sudaticcia, tanto di cappello. Quello, se poteva, cera sempre. Chiss come davvero si chiamava quel cicisbeo sferico: proprio non me lo ricordo. Il maresciallo, dicevo, ci veniva a trovare di continuo, sospetto a causa di una sorta di rapimento professionale nei confronti delleloquio di Ietta capo e della sua mite rudezza. I caramba che il comando ci mandava di volta in volta, invece, erano diversi, ma sempre in due, proprio come nelle barzellette, pagati per seguirci ovunque. Soprattutto in quellangusto passaggio segreto. Noi avanti, loro dietro. Alla fine del corridoio, una porta stretta e bassa, in stile fine ottocento, tra muri spessi un metro. Eccola. Chiusa. Tentativo fallito. Forse il varco era stato richiuso dallinterno dopo linizio delle indagini. Nessun problema. In Curia si arrivava comunque, volendo, anche senza appuntamento. Cera sempre lingresso principale da prendere in considera184

zione. La grande porta che dava sulla strada principale. Tornammo indietro. Per la propriet commutativa, i caramba davanti, noi dietro. Una volta fuori, di nuovo la strada. Attraversammo il grande portone di ferro, proprio mentre ne uscivano due monache vestite color avio, pronte a decollare, seguite da una decina di bimbetti a quadretti. Dieci cavallette e due giraffe. Dentro si sviluppava un cortile superiore a ogni sospetto, non immaginavamo tanto spazio, la superficie era enorme e cotonata ai lati dai riccioli gonfi di un portico romanico. Ad intermittenza, tra una colonna e laltra, spuntava il lembo nero di qualche abito clericale, rapido. Sulla porta ci chiesero chi eravamo e citare la Procura funzion da grimaldello. Chiedemmo di don Oreste, anche se non era lui che cercavamo. Avevamo bisogno di un nome. Qualsiasi nome, purch dellambiente. Facemmo un nome rotondo come si fa negli uffici pubblici, per evitare la fila. Non cercavamo luomo, ma il suo abitare. Guarda, guarda, non distrarti. Mi esortava il capo, sottovoce, con una faccia rischiarata da una giornata che sembrava stranamente primaverile. Allimprovviso, dopo tutto quel vento. A sorprenderci, a renderci pi lievi. Forse per il contrasto tra il cunicolo e il cielo, Ietta pareva un ragazzino in gita. Don Oreste ci accolse tra i suoi tendaggi vellutati, scivolando sul parquet, manco avesse ai piedi le pattine di lana della brava massaia. Guarda, oh, ragazzo, guarda, continuava a ripetere il capo. Gli arredi venivano da via Cardone, dal negozio maledetto, non cera alcun dubbio: i quadri, i calici, i distributori dostie e indulgenze. Stile inconfondibile. Il luogo era vivo come unala di pollo nel suo consomm caldo. Fu il prelato a chiederci per primo notizie fresche sullindagine. Premuroso, non c che dire. Parl per primo, vestendo di porpora il nostro imbarazzo. Niente di nuovo signor giudice? Poi fece un commento carico di opportuna piet circa le difficolt del nostro mestiere. Un lungo, comodo, inutile commento, alla fine del quale, il cicerone si offr come volon185

tario per un giro a contenuto socio-culturale. Era come camminare sui cirri. Nessun rumore di corpi. Bello il posto e questo era importante. Per chi apprezza il genere. Se un luogo sceglie di essere piacevole c un motivo, c una necessit da soddisfare. Ges sempre stato fotogenico, per esempio. O perlomeno cos stato pensato, per piacere a molti. Sarebbe stato facile fare battute sul diavolo e lacqua santa, ma Ietta continuava a guardare senza fermarsi, girando la testa di qua e di l come fanno i bambini. Non solo gli occhi, no, lui sbatteva la testa a destra e a manca. Avesse trovato la porta di uno sgabuzzino, anche la tenda di un confessionale, si sarebbe infilato dentro senza pensarci un secondo, a cavar ragni. Il segugio. Si teneva le mani volontariamente ammanettate dietro la schiena, tanto strette da sembrare gobbo per lo sforzo, e cercava, cercava. Cercava facce di poco conto, facce comuni di uomini o donne magari intravisti altrove; facce da libreria, facce da via Cardone. Chiss che cavolo cercava, benedetto uomo, ch tanto, gira e volta, sincrociavano solo facce di chiesa, bastoni ricurvi, vecchiaie che resistevano perch battevano ancora le carte, lezioni nere come lavagne, da cui tutto deve essere subito lavato via. Messaggi statici. Sembravano cani, cani a muso basso. Anche noi sembravamo cani, di razza diversa per. Segugi. Eravamo perfetti; quasi della loro stessa altezza, nei diversi ruoli. Un canile silenzioso. Noi e loro. Cos eravamo perch cos volevamo essere; almeno per un ultimo giorno di caccia. Poi Ietta vide il gabbiotto del centralino. Cerano suoni, voci umane l dentro. Fece una domanda al centralinista, che non era un prete. Quello disse che aveva parlato molte volte con il negozio accanto; aveva il numero in rubrica, infatti. Disse di aver parlato alcune volte anche con il Corietti, per esigenze della Curia; si ricordava benissimo il canto telefonico dellusignolo. I centralinisti si ricordano le voci, chiaro. Le figure circolanti nel covo dei preti potevano pure essere volutamente opache, ma le voci descritte dal centralinista erano vero cristallo. Meno male. Poi questo era pure uno di quei centralinisti ciechi che lavorano per particolari agevolazioni di legge. E
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pure fantasioso, nel suo dare al suono una valenza superiore. Quasi visionario, mi si passi laggettivo. Il massimo. Pensava fosse molto giovane questo povero Corietti, con quella sua voce soave, che ammaliava. Tra le sue visioni cera lidea di un puttino biondo che viveva nel suo stesso quartiere. Lavevano fatto secco al puttino, per, gli dicemmo. Non laveva mai conosciuto di persona; solo sentito pi volte al telefono: un attimo di freschezza ogni volta, prima di passare la linea ad altri. Qui la Curia vescovile, uffici amministrativi, un attimo prego Ma era un problema mettersi in contatto con quel negozio. La linea era sempre occupata, soprattutto nelle prime ore della giornata. Sempre occupata? S, sosteneva che fosse difficilissimo comunicare con la libreria per fare un ordine qualunque. Era il Corietti a usare cos tanto il telefono? Ma con chi parlava il Corietti? Vita privata intensa, quindi. Deduzione ovvia: pochi clienti, ma tante telefonate. Eppure la mattina del delitto non cera stata alcuna telefonata. Se era abitudine della vittima fare la telefonata del prolungato buongiorno al suo amato, come mai non laveva fatto quella mattina, prima di morire? Lultima telefonata non si nega al condannato a morte. Non ne aveva avuto il tempo o, forse, il suo amato era venuto a trovarlo di persona? Non per risparmiare sulla bolletta, presumo. Forse aveva mentito il Pace. Forse. Cercammo di fissare nella memoria le lampade spente di quei corridoi, lodore di cero sciolto, le sedie con la grande spalliera, i tappeti color topo, i divani glabri, duri come ammonizioni, la sala dattesa come un festino di parrocchia, divenuto improvvisamente di portata internazionale, gli occhiali scuri del centralinista e il portiere di colore; la fontana asciutta sotto il portico al momento dei saluti, e andammo via. Non era stato vano lo sforzo, tant che ancora adesso ho tutto in mente. E comunque il lavoro fatica. bene saperlo. Forse per questo apparivo stanco al mio maestro, e guardandomi, anchegli si stancava, per leffetto specchio della didattica. Stanchi entrambi. In un primo momento avrei voluto essere
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fortemente collaborativo, ma invece, a tradimento, stranito dal nuovo, cominciavo a sentirmi terribilmente stanco. E non riuscivo a fingere di non esserlo. Anchio come il mio amico Ietta. Le nostre due immagini si sovrapponevano e nessuna prendeva il sopravvento. Fiacche anche le idee. Le pi originali, prima messe da parte, ora erano infilate in un sacco alla rinfusa. Ho presente i bussolotti di legno numerati per la tombola di Natale, stretti con un laccio nel sacchetto, da tirar fuori secondo la fortuna, a conferma dellesistenza stessa della fortuna. Cos. Ci sentivamo pure un po in colpa. Non so come mai. Forse, per natura, o magari per educazione, dopo una gita a casa di Dio, si ha sempre un po voglia di buone azioni. Di redimersi. Forse non vale per gli tutti gli uomini, forse vale solo per alcuni uomini, tipo quelli come me, abituati a godere della sicurezza di alcuni precisi modelli da imitare. Ecco: i modelli tradizionali cominciavano a scarseggiare. Pativo le differenze. Nella mia citt, per esempio, nei luoghi assolati di sempre, avrei camminato per ore senza soffrire, come fanno i gatti, sulla punta di certi amichevoli precipizi, con quattro unghiate da rocciatore. Avrei rintracciato in qualcosa di certo il mio abituale scompiglio meridionale e messo ordine con soli due gesti, sempre gli stessi. Avrei scelto, tra le cogitazioni del momento, quella pi sana, e sarebbe stata sovrana indiscussa tra le altre possibili; questa stessa avrebbe impartito ordini e tenuto tutti gli altri pensieri in fila, come soldati in rassegna. Sarei stato meglio. Fuori sede, invece, regnava un ordine superiore, cosmico e ignoto, difficile anche da riprodurre e mi veniva una gran voglia di sbadigliare. E di sbagliare. Mi trascinava altrove, mi distraeva, mi molestava. Non rintracciavo un codice. Colpa della citt. Cera da dire, per, che pur nella sua rigida insipienza, la citt che mi ospitava occasionalmente riusciva anche a divertirmi. Lamministrazione curava il verde, funzionava, s funzionava, e io la sera sul tardi, a volte, me ne andavo per parchi, tra
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uccelli strani, cominciando a meditare sullacquisto di un cane. Nel dopo cena solitario, neppure fosse stato un bicchierino damaro per digerire, mi passavo tra i denti lidea sapida di un nuovo progetto. Senza troppe pretese. Avevo fatto amicizia con uomini barbuti con cane al seguito, rigorosamente in pensione. Era unamicizia che avevo voluto, nata non spontaneamente, ma per caponaggine. Imparavo a riconoscere e apprezzare certe categorie nuove. Le barbe soprattutto. Gli uomini con la barba sono spesso uomini interessanti. Se fossi rimasto pi a lungo in quei posti, chiss quante cose avrei messo in ordine, chiss. Peccato non abitasse in quella citt novella, una persona veramente importante per me, a parte Ietta sintende, ma Ietta era un passaggio e quindi di importanza limitata nel tempo. Se ti accade qualcosa di terribile o bellissimo utile avere una persona importante a cui telefonare. Comunque, le barbe erano divertenti. I parchi della citt erano pieni di uomini con la barba e cani. Anche Ietta aveva un cane. Se un magistrato non ha troppi fascicoli sul proprio ruolo, pu anche occuparsi di un cane; a tratti di una moglie, per ripetizione di un figlio e di un cane, che comunque richiedono livelli di guardia diversificati. Funziona cos: se un magistrato riesce a ricordare il cognome delle parti da chiamare nelludienza del giorno dopo; se, in altre parole, riesce a ricordare, anche solo vagamente, loggetto delle cause messe al ruolo del giorno, allora vuol dire che ha ancora un minimo di speranza di fare davvero il suo mestiere. Che ha ancora in mano la gestione del suo tempo e pu anche permettersi di comprare la palla di gomma al proprio cane, da usare la domenica mattina. Se i suoi fascicoli, invece, cominciano a diventare cataste anonime, solo numeri e date e polvere e articoli di legge, provocando angoscia e disgusto, ma nessun ricordo lucido, allora vuol dire che sta facendo il mestiere di un altro, qualcosa di pi vicino allattivit di un contabile o di un archivista. Adesso, sono passati anni da quei tempi tra le palme che figliano nei giardini interclusi della mia sudicia citt del sud, lavoro secondo questa seconda ipotesi. Carta e controversie a carrettate ogni mattina, dalle mie parti, oggi, e nessuno che
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sia soddisfatto. Questa la sacrosanta verit, senza fronzoli di cortesia! Il cane, in memoria del passato, per, me lo sono comprato lo stesso, una volta tornato a lavorare nella mia citt in ristrutturazione, con il permesso di mia moglie e della sua sopraggiunta allergia. Adesso sono i parchi del nord, con il loro sguardo lindo allorizzonte, che mi mancano, e quegli alberi saldi, messi in perfetto ordine, che non hanno bisogno di far ombra. Dopo la visita pastorale, camminammo per qualche minuto sui marciapiedi che si inseguivano a breve distanza luno dallaltro, tagliati a fette dalle strisce pedonali e da quelle gialle dei parcheggi riservati e dalle griglie per le biciclette. Era pieno di ruote. Rigorosamente distinte lune dalle altre. Dopo il vento, a sorpresa, una bava di sole. Agrimi, lautista, ci camminava davanti e la sua ombra finalmente era ricomparsa per terra e sui muri che costeggiavamo. La scolorita sagoma di un autista solerte, prodotta da un astro insulso, si stagliava sopra di noi come quella di un gigante a tre teste, perdendo il confine sui bordi. Che strana ombra produce un sole affaticato. Ho fatto caso: le ombre hanno un significato per chi abituato a tenere gli occhi bassi, per quanti, come me, fanno attenzione a non inciampare. Nella mia citt natale non si usava il cappello fino a qualche anno fa. Anche con il sole. I cappelli li portavano soltanto le persone sopra i sessanta. Senza, quando qualcuno salutava un amico da lontano, si sporgeva in avanti, muoveva appena la mano e poi era costretto a metterla sugli occhi a visiera, per non essere scortese. Se era rivolto a oriente. Altrove ci sono abitudini differenti. Nella mia citt lunica cosa importante era scegliere con cura il lato della strada su cui passeggiare. Quando mi muovevo a piedi con Angela, lei intervallava i suoi pensieri a un rituale andiamo allombra. Perlomeno fino a qualche anno fa; adesso il cielo del sud si come spostato altrove: lascia passare lacqua come un secchio bucato.
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Hai fretta? Mi chiese il capo. No, non avevo fretta. Sarei dovuto ritornare a casa solo nel tardo pomeriggio di quel venerd, perch Angela mi aspettava per una sua visita dermatologica. Quali che fossero i miei impegni, voleva che fossi presente, che sentissi anchio tutto quello che il medico aveva da dirle. Quello di fare fronte unico davanti alla medicina, era simile al suo bisogno che mi addormentassi sempre dopo di lei, che lei potesse sentirmi sempre vigile accanto a s, allerta. Per la medesima ansia i responsi medici dovevano essere ricevuti in compagnia, per condividere il panico, la sorpresa. Altrimenti a chi racconti che quel medico un imbecille, e che andrai di corsa a consultarne un altro? In quei giorni, la tormentavano delle misteriose chiazze vinaccia intorno al naso, come un trucco circense, tipo il naso rosso a palla dei clown. Questa indesiderata begonia sbocciava soprattutto al risveglio, prima di ogni altro infingimento chimico. Per questo la mia Angela lasciava andare le dita senza guinzaglio sempre pi spesso, i polpastrelli come biglie a rotolare, sempre in prossimit del viso in sospettosa attesa. Si nascondeva con le mani i lineamenti, se era in pubblico. Come gli sdentati che nascondono la bocca se hanno perso la dentiera, con le mani, con i capelli, con smorfie nuove, con sorrisi paralizzati. Non avevo fretta, diciamo che dovevo garantire la mia presenza a casa entro le 19. Avevo ancora un po di tempo. Finiamo il giro? Si era deciso finalmente: Ietta voleva andare a far visita alle prostitute, nella periferia polposa che dava cibo ai cani randagi. Il dessert. Facciamo presto, non ti preoccupare: solo unocchiata e poi sei libero. In macchina si faceva prima. Era meglio muoversi in macchina. Noi non guidavamo; noi dietro. Tanto cera Agrimi che usciva dal traffico come un treno da una galleria, pur restando spalmato sul coprisedile in rafia, che tiene fresco, nel suo veicolo abusato, senza segreti, rilassato, senza contrarre neppure ununghia. Un ausiliario addetto allautoveicolo non bada mai a quali pieghe anomale pu prendere la giacca
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buona, pur restando seduto per ore. Al massimo allunga il collo come un pellicano se sente che tira. Parla guardando il cliente nello specchietto retrovisore. Ha spesso la cifosi e cammina a piedi con lo stesso dondolio accumulato nelle ore in cui stato seduto in auto. Guida pianissimo per prassi, non rischia, non passa mai con il rosso e intervalla brevi parole e raucedine da silenzio, a veloci scalate di marcia. Non impreca. In verit, i conducenti dei veicoli di Stato non passano cos tanto del loro prezioso tempo sul mezzo assegnato, come si potrebbe pensare. Alcuni fanno anche qualche fotocopia in ufficio, altri la mattina comprano i quotidiani al capo e poi li leggono, altri portano i figli del capo a scuola o la moglie del capo dal parrucchiere, oppure restano a guardare un vecchio televisore in bianco e nero nel gabbiotto destinato alla portineria, altri sono addetti ai fax urgenti, alle comunicazioni in genere, manco fossero piccioni viaggiatori. Ma Agrimi era un uomo speciale. Uno stradario ambulante che non sbagliava un colpo. Uno di cuore, che sembrava aver incollato la sua giacca lisa a quella sinistra del capo. Non lo perdeva di vista. Aveva conformato persino la sua andatura e modificato la convergenza. Ci port lontano dallincenso e dallo zolfo, dando gas verso la periferia, perch era l che stavano le donne che cercavamo. Colse perfettamente lumore da fuggiasco del suo capo, e quindi punt alla meta come un rapace. Un bianco mantello di case basse fiancheggiava la campagna, mescolandosi al giallo dellerba, gi divenuta adusta e dura. Tra quelle abitazioni cera la casa che cercavamo. Le donne ci accolsero su un divanetto fiorato. Erano solo in due, ma ad abitare lappartamento erano in realt in tre; la pi giovane frequentava dei corsi di lingue per studenti lavoratori e non era in casa. Tanto le prostitute, solitamente, hanno impegni professionali pi consistenti la sera. Poteva permettersi delle divagazioni nellattesa del buio. sempre stato cos. Il sesso cerca la notte, credo io. Non parlammo di sospetti. Chiedemmo se avevano rivisto il Pace di recente. Risposero di no, senza mentire; del resto anche i nostri agenti, eclissati nel fango della campagna lava192

ta dalle incessanti piogge, non lavevano visto passare da quelle parti. Dopo il fattaccio, il Pace, infatti, per tristezza o per vergogna, non era pi andato a trovare le sue amiche. Erano due donne diverse, unite dalla scelta dellarredamento di casa. Il soggiorno in cui ci accolsero era povero, disseminati ovunque tappetini con intrecci di strisce colorate di stoffa, tipo nylon, a raccogliere briciole e scarpe. Una coppia di cardellini svernava in una gabbia aperta. Tanto non volano, stanno dentro e non volano; pure a volare via che possono trovare? Loro lo sanno che qui si sta bene. Abbastanza bene. Il pi scontato tra i simbolismi per donne concrete. Cera una gran luce in casa. Invenzione assoluta dopo il grigio parrocchiale. Dalle finestre salzava unonda di luminosit pomeridiana e polvere, non trattenuta dalle tende, che frangeva i vetri e stordiva i cardellini. Non erano truccate, ma avevano entrambe delle gran chiome variopinte, inconsapevoli cavie di estetisti del capello in vena di miracoli. Ai colori delle teste attecchiva tutta quella luce invadente e i bulbi diventavano gioielli tenuti insieme da fermagli improbabili: matite smozzicate, pinze a forma di pescecane con la bocca aperta, fiori di carta e mollette da bucato. Creativit a basso prezzo. Raccontarono che il Corietti, negli ultimi mesi, quelli prima di morire, si era fatto vedere ben poco. Parlando, dirigevano allunisono il naso verso lalto, in segno di orgoglioso disappunto, l dove si faceva pi prepotente lodore di cucinato proveniente dalla finestra accanto. Da qualche tempo aveva preso a diradare le sue visite. Non veniva, n da solo n in compagnia. Non veniva e basta. Chiesi se ritenevano che, in questo allontanamento, potesse aver avuto un ruolo il Pace e loro risposero di no: il ragazzo faceva solo quello che il Corietti gli diceva di fare. Secondo loro, il fidanzato non era un problema per nessuno. Aveva la volont di un beb. S, ogni tanto faceva qualche capriccio, era vero, ma erano affari che lamante sapeva contenere facilmente e indirizzare a suo piacimento. Piccole gelosie, che non preoccupano nessuno. Secondo le ragazze il Corietti si era allontanato semplicemente per stanchezza, perch gli uomini si stancano prima o poi,
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e cercano altri giri di cui vantarsi. Gli uomini non hanno resistenza. Gli uomini. Ci sedemmo tutti intorno allo stesso tavolo, a guardare la tovaglia di plastica gialla, con stampe di papere e coccodrilli. I raggi di luce prepotente trapassavano la faccia delle due e ne rivelavano uno spessore differente. La pi in carne aveva in volto una trama spessa come garza, con piccole punture di spillo, laltra, invece, era livida e trasparente come velina. Notai sul terrazzino, oltre i vetri, uno stenditoio di plastica che sfoggiava pigramente alcune mutandine di pizzo rosa; notai lo stenditoio e contestualmente mi accorsi del mio involontario tentativo di sedurle. Facevo pause ammiccanti. Non troppo, un poco, ma era evidente che cercavo di conquistarle. Per rendere latmosfera in qualche modo pi familiare. Ietta chiese da quanto tempo vivevano in quellappartamento e come mai avessero scelto proprio quella sistemazione. Tre camere e servizi al terzo piano. Case popolari. Le scale daccesso condominiali erano scoperte, cos che la pioggia gonfiava gli scalini e li rendeva pi scivolosi del sapone. La casa era appartenuta a unanziana signora in origine. Te la ricordi quella, prima che le venisse un colpo di notte, nel sonno? Diceva luna allaltra. Andiamo per ordine. Allinizio, in quella casa ci viveva una signora con la sua badante. La badante, italianissima, presentata alla vecchia da una parente, era proprio la terza ragazza della casa, quella che non era presente alla nostra conversazione perch impegnata altrove. Dovrebbe essere qui a momenti, cosa cavolo combina quella non sappiamo. Era stata impegnata a badare allanziana proprietaria per quasi tre anni, poi quella era schiattata e con lei era venuto meno il lavoro e la compagnia. Ma non la casa. Per fortuna cera stato il testamento olografo a far da salvagente, documento con cui lanziana, in guerra con il mondo, aveva lasciato tutto alla sua parrocchia. Spilli e avemarie. Tutto. Con una sola condizione che la Chiesa aveva rispettato: laffittuaria dellappartamento al terzo piano doveva rimanere la giovane badante dai capelli colorati. Questultima aveva cercato delle amiche, e si erano ritrovate in tre ad abitare quei metri quadrati per una cifra
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simbolica, che veniva versata alla Curia ogni tre mesi. Da un paio di anni, non di pi. Ancora la chiesa! La Curia e il mercato immobiliare: che strano, frequente accostamento. Corietti sapeva tutto; era al corrente anche del ruolo che aveva la Chiesa in questa societ di mutuo affare. Conosceva lambiente, lui. La Chiesa quindi centrava, di striscio, forse, ma centrava anche in questo caso. Larcaica storia della mela e del serpente. Roba trita e ritrita, per carit. La ragazza, ormai rimasta sola nella casa della vecchia, doveva pur trovare di che sfamarsi, trovare compagnia ai suoi inevitabili sogni (ch si sogna ovunque, in via Cardone come nei quartieri popolari) e qualcuno con cui dividere le spese. Erano arrivati, cos, amiche e amanti di vario genere a soccorrerla. Naturalmente, scivolando dalle mutande di cotone a quelle di pizzo, sbattute dal vento dellantica provincia clericale. Nel bel mezzo di spifferi da sermone, appena smorzati. Delle buone amiche posso essere comode quanto un materasso. Quindi le amiche, poi anche il resto. Un po di uomini. Non uno, ma tanti. I soldi, pure. Ben vengano soldi e amiche. E uomini. La ragazza si era data un cadenza armonica; un ordine mentale: tutte le mattine, tranne il gioved, faceva la fisioterapista presso un centro di riabilitazione motoria (cinesi, magnetoterapia e qualche massaggio), il pomeriggio, solo i giorni pari, cerano i corsi di lingue; il gioved mattina, giorno libero, dal parrucchiere. Tutte le sere, tranne la domenica, marchette. Questo era lultimo luogo della nostra indagine: avevamo tre vani pi servizi da visitare. Ad ogni volto di donna il suo giusto regno. La cucina era abitabile e sfogava i suoi odori sul piccolo balcone assolato. Nella stessa cucina abitabile ceravamo fermati a chiacchierare, aspettando che si ricomponesse il trio muliebre. Il Corietti, quando era ancora in vita, veniva il venerd sera e portava una vaschetta di gelato: nocciola e bacio, con le nocciole rigorosamente intere, introducendosi in casa con grandi falcate da ballerino e facendo battute ardite sulla necessit di una dose giornaliera di baci al velluto. A volte passava anche di domenica, ma senza gelato. Era diven195

tato uno di famiglia, non un cliente, e portava con s gente nuova e fidata. Non credere, dottore, abbiamo fatto tutto da sole; in sicurezza per, scegliendo noi, solo noi, quello che cera da scegliere. Hai capito, dottore: scegliendo. Ce ne sono tanti che fanno i nostri stessi affari in questa citt. Si lavora bene. Noi per non siamo mogli di avvocati, architetti, medici; non giochiamo, noi. Da noi ci vengono persone semplici, che hanno pure i bisogni loro. Ci sono giri diversi, lo sai dottore, andate a vedere la sera del venerd al Grand Hotel del centro. Tra le due, quella pi in carne e pi ciarliera, sembrava la pi arrabbiata. Capendolo, rivolsi i miei sorrisi pi tecnici allaltra. Pensai pure che potesse arrivare persino a innamorarsi di me, e del mio stile di giovane investigatore retribuito dallo Stato, giovane uomo aperto, navigato, consapevole delle verit del vivere. Pensavo che se lavessi conquistata, sarebbe stato pi agevole laccesso alla verit. S, so come vanno queste cose, chiaro, s, chiaro. Non so dire per quale meccanismo quelle due donne me le sono immaginate nude, sedute in triade sul loro sof, unimmagine di botticelliana mollezza. Non mi capita mica con tutte le donne che incontro, lo giuro. durato solo un istante; poi il sof ritornato vuoto. Quindi, in altre parole: cerano due opzioni sessuali cittadine, e il Corietti si era trovato nel mezzo. Lui non aveva scelto il giro dellarabo e della sua consorte, il giro dei professionisti Burberrys nei grandi alberghi. Non lo aveva scelto o forse era stato costretto a tenersene lontano, ad accontentarsi delle tre schampiste con le mutande di pizzo. Potevano essere stati proprio certi desideri ambiziosi, sorti al primo brizzolarsi delle tempie, a causarne la morte violenta. Oppure il suo affacciarsi sul mercato immobiliare, benevolmente gestito dai preti. Oppure laver creduto che fosse facile catturare farfalle col retino, come la vispa adolescente tatuata. Mutande, appartamenti o farfalle? I luoghi del piacere e del bisogno si erano allargati davanti alle nostre paranoie pomeridiane di fine indagine. Quelle ragazze variopinte facevano sembrare tutto orrendamente semplice. Una presenza, un gettone: semplice e interessante.
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Mi spiego meglio. Mi avevano colpito due cose essenzialmente: il sorriso schiaffeggiato solo da un lato dalla sorprendente canicola, e gli occhi vizzi tenuti aperti con difficolt delle due amiche. La normalit che non mi aspettavo. Anche il modo con cui avevano parlato dellamica, momentaneamente assente, era stato illuminante; avevano descritto la terza donna come si fa con il proprio vate, con semplicit maestosa. Amiche credo. La marchetta consente quindi amicizia? Non so davvero. Ora, che c di cos atroce nella marchetta? Io non ci vedo nulla di male; cos, detto in astratto, sempre che non si tratti, nel caso specifico, di mia moglie o mia figlia. Sempre che non si ravvisi costrizione o bieco sfruttamento. Tra il lecito e lillecito: cosa sta nel mezzo? Limmorale? Lincerto? Lacritico? Questa amicizia tra donne non aveva in s nulla di apparentemente violento o incerto. La casa pareva normale, la vita normale. Il sesso sembrava necessario. Del resto, il sesso risponde a un bisogno primario; i clienti non mancano mai. Perch non farne un bene di consumo? Funziona: per le prostitute, come per i conciatori di pelle per scarpe. Nessuno se ne va in giro scalzo, infatti. No, non ci trovo niente di male nel sesso a pagamento, se fatto per libera scelta. Libera per davvero. Questa s che la vera scommessa. La libert quando si tratta di sesso. Ci crederei se potessi crederci. Anche solo per un attimo, ammettiamo che ci possa essere libert per qualcuno. Bene, dico io! C davvero qualcuno che miracolosamente sceglie qualcosa a questo mondo, che lo fa davvero? Finalmente, dico io. I problemi, semmai, riguardano la giostra di cavalli scossi e schiumosi che girano intorno allaffare. Su quelli sappunta il giudizio. Perch qualcuno si dovrebbe sentire offeso da questo talento? Chi lo offre o chi lo riceve? Chi lo sfrutta? Sono gli sfruttatori il problema, chiaro. E la libert. Io sono parte di una coppia: non posso rispondere, dunque. Ho altri regolamenti a cui attenermi. Diciamolo, nelle coppie molto diverso. Le coppie non sono roba di corpi. Macch. In alcune c un preciso sinallag197

ma che passa dritto per il sesso, ma va oltre. La coppia un affare rischioso: essere in due nel tempo come essere in tanti. Non uno solo, ma due, e poi mille, per i mille cambiamenti di una vita. Vuoi mettere la differenza? Vuoi mettere la dipendenza? Vuoi mettere limmensit del molteplice che si moltiplica e confonde? Vuoi mettere? la condivisione il vero ostacolo, i codici di condivisione sopra ogni altra cosa. Ci sono sempre clausole contrattuali, lunghissime clausole, spesso il portato genetico di altri contratti precedenti. Clausole spesso non note ai contraenti o, peggio, aggiunte a matita in calce senza avvertimento. Pu funzionare? Non saprei. Ci vorrebbe pi libert, per tutti. Meno desideri inespressi e pi libert. Gran bella idea! Ma che con la coppia non centra nulla. Nella coppia non c libert, ma destrezza. Quel piccolo appartamento imbevuto dun forte odore di Mastrolindo, non faceva pensare a onde anomale di sperma agglutinato, vomitato sui cuscini con federa di lino o a mammelle addomesticate nel pianto, o a sangue verginale versato nella violenza. Larredo era una dichiarazione dintenti. Niente di cos perverso o complicato. Normale, appunto. Non ne ho bisogno per ora, ma se mai dovessi averne, mi affaccerei alla porta di un appartamento come questo, chiedendo una prestazione. Non come un poeta maledetto, ma da pubblico impiegato. Con normalit. La normalit del gettone di presenza, come ho detto. Credo che lo farei, non fosse altro per capire. Dovessi averne bisogno un giorno. Per un uomo pi facile accettare cose di sesso come queste; che sia perch per tradizione secolare fruiamo della prestazione e quindi la riteniamo un diritto acquisito? Non so cosa ne penserebbe Angela, considerato che le donne spesso non comprendono le donne. Non credo che lei possa accettare lidea del sesso a pagamento, veramente libero in un libero mercato. Suona falso come uno slogan elettorale. Mi crederebbe un romantico idiota. Non riuscirebbe mai a considerare il sesso una merce lieve e trasferibile. Non credo. Non crederebbe mai a una fantasia maschile come questa. Non mi crederebbe se pure le giurassi che cos. Magari ha ragione
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lei. Per non vale: lei sillude di conoscere le donne per il solo fatto di esserlo, di avere uno specchio, ma non so quando possa averle davvero conosciute, le donne dico, dal momento che appena pu, davanti a un essere del suo stesso sesso, scappa. Non ascolta, perch ritiene di aver gi ascoltato. Poi, per, se qualcuno si azzarda a dire qualcosa sul tema, soprattutto se a sentenziare un uomo, lei scatta come una molla; parte in quarta, il mio avvocato, nella difesa strenua delle meraviglie del gentil sesso, delle loro infinite risorse, dellintelletto, dei crediti, delle grazie, dei sacrifici delle donne tutte. Investita del ruolo per nascita e storia. Senza riserve, spara con il bazuca, non si limita a una battutina di quieto disappunto, no, sincazza davvero, urla e strepita, per essere certa di non dover tornare poi sullargomento. Si premura di fare assoluta chiarezza sul punto scabroso una volta per tutte, come avesse compreso di essere stata investita, solo lei e non altre paladine, di questo compito ingrato: difendere tutte le donne del mondo. Spara forte, cos che non ci sia contrattacco, ma solo sbalordimento. Spara una volta sola, per lei e per tutte le altre. Ma poich una volta sola non le basta mai, dopo spara ancora. Poi, fatto il suo dovere, pretende che ogni altra donna taccia, che non rompano le balle le altre galline, mentre lei si riposa. Curioso fenomeno umano il neofemminismo. Angela non si trucca, non mette tacchi, niente profumi, niente perle al collo; non si accanisce contro la sua cellulite come fosse un parente odioso. Anzi, ne parla con rispetto. Certe volte non sembra nemmeno una donna. Per parla delle donne, se le capita. Ma cos non vale. Crede di essere meglio delle altre, secondo me, e non cosa buona. Credono tutte cos, sotto sotto. Vale la pena che mi soffermi un attimo sul tema: le figlie dEva. La difficolt non nostra; celata nei rapporti tra donne, sotterrata sotto le lenzuola materne. Gli uomini ne restano fuori, ai margini. Come se il mondo fosse ancora e sempre diviso in due fazioni avverse. Io la vedo cos. Angela non daccordo. E poich il mio progetto di vita generale
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comprende una grande attenzione agli ostacoli, meglio stare allerta. Per fortuna tra uomini ogni relazione pi piana, niente onde, solo collegamenti diretti, immediati, giusto qualche tiro a sproposito, una specie di partita a ping-pong. Mentre invece per le donne, la vita una ricetta strapiena di ingredienti, spesso da tenere segreti. Non sempre il risultato finale piacevole al palato, ma deve restare un segreto. Non capisco perch, ma cos. Ho sentito donne rivelare ricette portentose per la preparazione di piatti esclusivi, tacendone in malafede un solo ingrediente fondamentale. Prendo le distanze da certi trucchi. Una coperta bollente, le donne, anche le pi affascinanti. Asfissianti. Soprattutto quelle che non lavorano. Non potrei vivere accanto a una casalinga, per esempio. Quelle sono sempre in guerra con qualcuno, di solito altre donne parimenti armate. Stanno ritornando di moda, le casalinghe. Pericolosissime. Mi imbarazza il debito del loro mestolo, che smuove laria domestica. Dio ci tuteli dalle donne infelici, come da quelle troppo felici o che si credono tali, comunque. Dio ci salvi da tutte, compresa la vecchia pazza, la vedova proprietaria della libreria o la culona della farmacia, ma non da Angela; per forza: lei unaltra storia. Con quegli occhi da nuvola rubati chiss dove. Il complimento non mio, purtroppo, ma di un geometra. Questo gentleman in ciabatte se ne venne fuori con la frase da manuale mentre stava rifacendo i bagni della nostra nuova casa, dirigendone i lavori. Signora, dove li hai rubati quegli occhi? Aveva detto a mia moglie, appena sveglia, che faceva finta di niente. Con tutto il rispetto dottore, mi permetto, aveva detto a me, mentre bevevo un caff amaro. Gli operai in casa sono un grosso problema, uninvasione primitiva. E primitivo sono anchio. facile parlare di crisi di coppia. Facile. Che ci vuole: crisi e sei libero. Una commedia americana, una sintesi per la tv. Ma finiamola! Non noi. Non io. Non Angela. La fortuna non centra. Io odio il concetto di Caso, che la gente debole utilizza a vanve200

ra per ammorbidire lesito di certi voli verso il basso. La Societ? Macch. Balle. Qui si tratta di lavoro. E duro. O le cose uno le vuole o non le vuole. Altro che storie. Altro che giovinezza. Ecco. Gli occhi di mia moglie, da ladra: guai a guardarli troppo a lungo, guai a non guardarli troppo a lungo. un fatto di tempi e misura. Bisogna farci la mano con Angela. Bisogna misurarsi con lei. questo il mio lavoro, adesso. Non prendo nessun progetto sotto gamba. Sono andato troppo avanti per tornare indietro. Mi sono spinto troppo oltre per arrivare a capire, ora, che non siamo capaci. Noi, quelli della mia generazione intendo, incapaci. di questa incapacit latente che dobbiamo aver paura. Da questa idea dobbiamo tenerci lontano. Non potevamo disturbare oltre la quieta siesta delle signorine. La lampadina sul prospetto frontale dellimmobile era spenta. Fredda con i suoi rivestimenti in metallo, se ne stava sulla porta dingresso, non si poteva non notarla anche se spenta. Aveva la stessa forza di un rumore improvviso. Ma noi non potevamo restare. Del resto tutto quel sole allimprovviso dopo le lastre di vetro plumbeo che riflettevano grigio, grigio, grigio, solo grigio, era sembrato giusto un regalo. Piccolo breve regalo per povera gente. Ci congedammo. Sentiamo di nuovo il Pace a questo punto, che dici? Unaltra volta soltanto e poi basta. Per forza. Le loro telefonate, leventuale incontro con la vittima la mattina del delitto, ma poi basta davvero. Il grande capo se ne volle andare; io non riuscii a far innamorare di me nessuna delle due graziose giovinette, credo. Quindi scendemmo rapidi le scale scoperte, dopo aver dato un ultimo sguardo ai quieti cardellini. Nessun messaggio per nessuno. Arrivammo in citt in un fulmine. In tutta onest, non era solo Agrimi a essere miracoloso; era una questione di strade. Le strade del nord sono diverse da quelle del sud. Parliamone allora. Delle strade del sud, intendo. Parliamone, perch nella vita di un individuo, di una citt intera, le strade non sono cosa da niente. Le strade sono vita,
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oltre che strumento. Qui dove vivo ora, con mia moglie, per fortuna c il telefono, c il web, c un cavolo di fax, c pure la televisione, ma non ci sono strade percorribili in un tempo ragionevole; che non paia un viaggio alla Verne, insomma. I pendolari sono in agonia. Siamo carichi di assicurazioni sulla vita e lapidi di marmo con foto e rose finte sul ciglio delle provinciali, dopo calamitose curve a gomito. Le ultime curve prima dei saluti finali. Ieri, per dirne una, in un angolo di strada bianco di pietrisco, cerano un paio di manifesti funebri con la scritta in grassetto al centro: CIAO DARIO. Poi uno striscione, poco pi in l, riportava in stampatello lestrema idiozia: NON CHIEDIAMOCI PERCH. No, chiediamocelo invece! Sembra un piano preciso e diabolico: tenerci lontani, tenerci immobili. Strade impossibili, dimenticate, raramente sfregiate da uomini in arancio, autostrade gratuite, con lavori sempre in corso, ma prive di segnaletica, un solo aeroporto, pi simile a una pista per le biglie di vetro, con un solo volo e una sola compagnia a disposizione, a prezzi sbalorditivi. Solo il clima ci aiuta, o perlomeno ci aiutava in passato, ma nessuno se ne accorge quasi pi, eccetto i rilevatori elettronici della velocit con i loro occhi cinici. Occhi, paletta e divisa: ecco lunico rimedio consentito. Quelli sono degli aggeggi demoniaci. Li vedi sbucare allimprovviso dai cancelli di inquietanti ville private, i cui proprietari si vendono al nemico per chiss quali tornaconti. Emergono come mostri marini, da finti cespugli di ginestra, alla fine di rettilinei noiosissimi, che invogliano alla volata o al sonno, e costringono alla frenata fumante. Pericolosissima. Solo tra i guidatori residua ancora un briciolo di solidariet, non di certo da parte dellamministrazione pubblica, che invece pensa solo a riempire le casse con multe strepitose e che alla sicurezza costante del cittadino preferisce lagguato occasionale, ben pi redditizio. Tra automobilisti ci si avvisa a colpi di abbaglianti. Il resto terrore e preghiera. Tutto appare ancor pi difficile in estate. Ho fatto uno studio accurato sui vacanzieri immobilizzati. Ogni altro luogo
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lontano da qui, per questo la lontananza ci atterrisce. Ammazzeresti pur di ridurre le distanze. Sulle strade non si sono pi nemmeno le nigeriane, che si sono rotte di non veder passare un ombra duomo. Non viaggia pi nessuno e chi lo fa (o per scappare o per lavoro o perch non del posto), non pu conservare di certo il pene eretto cos a lungo. un fatto chimico: lo stress ferisce gli ormoni; leternit li uccide. Non ho dubbi, qualcuno tenta deliberatamente di impedirci di comunicare, di riprodurci. Tenta lisolamento. Ha paura di noi. Mi feci accompagnare a casa per poter ripartire subito dopo. Al rientro in ufficio, dopo aver trascorso un fine settimana lento come un lago, con la mia Angela, trovai che Ietta aveva gi ascoltato il Pace, come aveva minacciato di fare in precedenza. Per lennesima volta, e tutto da solo. Mi fece leggere lultimo verbale. Le ultime domande, il fuoco incrociato rivolto a una larva duomo, ormai annientato dallisolamento sociale, dal disprezzo muliebre e, non ultimo, dallastinenza forzata, miravano a svelare definitivamente lesistenza di eventuali legami tra il ragazzo e il farmacista (e lombrello, mio dio quellombrello!). O, eventalmente, tra il ragazzo e la Curia. Ietta voleva ritornare sul concetto donnine, giacch era una fatto fresco, e poi chiudere bottega. Cos aveva proceduto. Lultima spiaggia, lultimo conato investigativo del gran capo, ormai spossato dalla solitudine. Al chiudersi di una giornata di lavoro, il capo mi chiedeva Cosa fai stasera? Qualunque cosa rispondessi, faceva segno di s con il mento, spingeva avanti il braccio destro a bloccarmi, laltra mano ancora in tasca, come non fosse capace di sostenere tutta la verit e poi strizzava locchio in segno di complicit. Spossato ma non asciutto. Mi chiedeva spesso di fargli delle sintesi, di sostituirlo in questo. Sintesi delle parole su carta; sintesi delle impressioni del capo in cerca di salvezza. Dunque, vediamo cosa altro posso ricordare di quellultimo interrogatorio dellamante.
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1) Il Pace conosceva il farmacista straniero perch tempo prima gli aveva consigliato un analgesico molto efficace contro il mal di testa di cui soffriva. Avevano fatto una lunga chiacchierata sul tema. Ed era cos venuto fuori, anche questa volta, il mal di testa. Figurarsi. Una vera epidemia. Questo spiegava in parte la presenza di quella confezione nella tasca del grembiule della vittima. Era un rimedio al suo amore. Inspiegabile il ridondare dellemicrania. Corna? Senso di colpa? Smemoratezza? Tutto il disprezzo del mondo a pesare pi di un macigno sulla testa di qualcuno? Si amavano e si preoccupavano ciascuno della salute dellaltro, come giusto che sia, e poi, noto, lemicrania non fa bene allamore e va curata, ch non diventi una scusa. Quindi il giordano aveva allontanato il dolore, cio aveva fatto solo il suo mestiere, perch qualcuno gli aveva chiesto aiuto. Il dolore era nelle cose e forse era enorme. Il farmacista aveva avuto a che fare con questo dolore terrifico, ma teneva la bocca chiusa. 2) Il Pace diceva di non essere il proprietario dellombrello, n lui, n la vittima, forse la signora Florio, forse lei, aveva detto distrattamente. 3) Il Pace escludeva categoricamente qualsiasi contatto con la chiesa. Era ateo, miscredente, bestemmiatore, uno sporco traditore, un imbecille, un vile, un immorale. Ne disse di tutti i colori, odiandosi profondamente, nel pi contrito dei pentimenti. Nella citt che mi ospitava credere in Dio non era necessario. A casa mia, invece, ci sono altre necessit e una di queste ancora Dio. Cosa voglia dire essere credenti davanti a un omicidio, tuttavia, resta un enigma. Dalle mie parti impera Padre Pio: lui la risorsa fondamentale, lui la soluzione; una necessit per molti. Il grande mediatore. Di recente ho ascoltato una cimice allinterno dellautovettura di uno spacciatore che da mesi tenevo sotto controllo. Luomo era appena passato indenne da un posto di blocco. Era in macchina con un collega dallaccento duro e metallico come un trapano e commentava la fortuna del momento. Quello stato P a d re Pio. Lo diceva senzombra di dubbio. Era una vera
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professione di fede. Il mestiere non conta, quando si uomini devoti. Il Pace aveva fatto mettere a verbale tutte le sue adolescenziali attese sul futuro, percepite in senso vago, come un sogno fatto dopo aver bevuto, eppure spaventosamente necessarie. Gli omosessuali sono gli unici che dopo i trentacinque anni possono permettersi di conservare la fresca ingenuit delladolescenza. Nessuno pu farlo, se non loro. Oltre ogni sforzo fisico. La loro unadolescenza insidiosa perch permanente. Bellissima e truce. Bolla dabbandono in cui un essere umano riesce ad amarsi, a preservarsi, a rendersi leggero, solo finch crede di essere il prediletto, lindispensabile. Basta uno spillo, e diventa merda secca tra le altre. Il Pace cercava di continuare a desiderare qualcosa, nonostante tutto quello che era successo, ma non doveva essergli facile. E poi, se un poveruomo non fa almeno quello, sperare cio, allora gi bello che morto. Stava cercando un nuovo lavoro in una di quelle catene di supermercati, che facevano periodicamente selezione di personale. Metteva passi titubanti uno davanti allaltro. Per ora in prova tre mesi al banco latticini e poi chiss. Nellagenzia postale presso cui aveva fatto vigilanza fino ad allora, per conto di una ditta privata, non era pi ritornato da quel d fatale. Dopo una settimana, lavevano buttato fuori con una lettera per niente comprensiva, che il Pace aveva letto a salti, solo le prime dieci righe, e subito dopo dimenticato sul lavandino a raccogliere schizzi di dentifricio al fluoro. Era rimasta l per giorni, senza che nessuno trovasse la forza darchiviarla altrove. Doveva ricominciare. Anche il peggiore dei giorni vede il suo tramonto, diceva Shakespeare; lo aveva intuito anche lui in fondo alla sua notte, e quindi deve essere vero. Doveva ricominciare con le sue sole forze, sotto una gragnola di giudizi altrui. La solitudine gli si era poggiata addosso come fosse pellicola domopack: era ormai buono per il frigo. Il terrore e la sconfitta, confinati come un pipistrello che sbatte le ali, dentro la sua gola. Senza cibo; un palato privo di buon sapore. E
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un buio diverso che veniva dal basso, dai piedi, saliva svelto nella confusione, nel frastuono. Gli uomini socialmente condannati a rimaner soli, quandanche ancora capaci di deboli attese, si riconoscono lontano un miglio; come tartarughe passano dallacqua alla terra. Cominciano a non farsi la barba, a non lavarsi i capelli, mettono sempre la stessa maglietta, lo stesso guscio, anzi, probabilmente non lo tolgono mai, si lussano le spalle entrando e uscendo da coperte aggrovigliate, in letti su cui dormono un sonno leggero e pieno di buche profonde. Hanno tutti lo stesso odore di tappezzeria scollata, di carapace muschiato o brodo freddo, e questo marchio olfattivo, con il tempo, diventa sempre pi invadente. Solo il pipistrello rinchiuso in gola pu vederci chiaro. Se ne incontrano tanti in strada di uomini cos. Dopo qualche mese, perdono anche la vergogna e chiedono sigarette in giro, mimandone il gesto con due dita davanti alla bocca. La quotidiana cefalea rimane tra le sopracciglia come una ruga. Fissa. Non pi una malattia, ma una qualit dellessere. Lunica cosa certa. Eppure, ricordavo che il giorno del nostro primo incontro il Pace aveva la camicia sotto il maglione, il primo bottone sbottonato: quella piccolezza che sa ancora di dignit, di vita, appena sotto la giugulare, dove ancora batte, batte, batte il ritmo della normalit. Forse come Angela. Un po come Angela, oggi. Dio mio. Anche Angela da mesi cammina per casa come una lupa. Spettinata. Io lo sento che mi osserva; ci deve essere uno, uno solo, tra i suoi tanti pensieri, che la spinge verso il basso, che le serra le caviglie. E le incenerisce le parole prima che arrivino in superficie. Cerca qualcuno da acchiappare, che assomigli a un ladro, che abbia lo stesso tipo di colpe. Cerca qualcuno o qualcosa, non so. Come ai piedi di un albero enorme pieno di rami: scava scava scava, sotto le radici, per trovare lorigine della sua delusione. Due giorni fa camminava, si fermata di botto, si girata verso di me, che le guardavo le spalle come un guardiano, e
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ha detto: che guardi, non c niente di nuovo. Era Angela, non il Pace vedovo, no, era la mia Angela. Penso al Pace e a lei: queste due visioni inespressive, ma occorrenti, messe luna dinanzi allaltra mi fanno aver paura della morte. Le mando via. Sfarfallano e si sollevano verso lalto facilmente, come soffioni davanti a una finestra spalancata, senza peso. Angela poi ritorna, ed la donna di un giorno diverso, quella degli inizi, quella nota a me, quella che voglio vedere. La sola faccia che sono capace di vedere, frutto di allucinazioni artistiche dovute alla giovinezza. A mio modesto avviso, quel ragazzo, innamorato e perso, che avrebbe dovuto essere tra i maggiori indiziati per omicidio, non sembrava affatto un assassino. Neanche lui. Nessunaltro pi di lui, comunque. Perch pericolosi apparivano gli ambienti, certi modi di vivere e perdersi, i luoghi visitati, annusati in poche ore di vera riflessione, la loro indolenza, ma non gli uomini che li abitavano. Eppure, sul provvedimento conclusivo delle indagini, il sostituto procuratore ci doveva scrivere un nome, al pi due nomi, e non la piazza centrale, il quartiere, magari la via arricchita dal numero civico. Persone, non oggetti. Non stati danimo. Non si poteva punire la provincia e la sua vita sommersa. Non le opinioni, le ossessioni. Non le manie, le perversioni. Neppure le delusioni. Neppure il silenzio. Che inadeguatezza! Una vera mazzata per le abitudini di Ietta. E per il mio ossessivo bisogno di certezze. Un nuovo giorno deludente. Cera che, dopo la lusinga del sole del giorno prima, aveva ricominciato a piovere e Ietta doveva portare a spasso il suo cane, cos come aveva raccomandato il veterinario durante lultima visita di controllo, al fine di preservarne, con un po di movimento, leleganza e lo scatto delle linee. Se si fosse separato dalla moglie, al capo sarebbe toccata, senza alcun dubbio, la piena responsabilit dellanimale e della sua forma fisica. Avrebbe ereditato il peso della bestia e la sua imperdonabile bellezza. Si stava preparando a quel momento, faceva pratica. Il Dalmata era sfuggito a Crudelia. Ora toccava a lui. Di quello poteva essere certo.
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Portarlo a zampettare nel fango, giorno dopo giorno, per, senza altre ragioni, se non la bellezza, non era per niente un pensiero allettante. Meglio scegliere un cane brutto, quindi. Quandanche dovesse prendere chili in eccesso, per lindolenza del padrone, o il pelo diventargli duro come quello di un cinghiale, a causa di inconsapevoli sviste alimentari, nessuno se ne accorgerebbe, nessun animalista si sentirebbe in pena. Pi prudente organizzarsi in modo tale da aver poco da perdere. Nonostante ci, anchio ho preso per me un cane bellissimo e ne sono diventato schiavo amorevole. Anni dopo la morte del Corietti. Una bestia statuaria dai guaiti melodiosi e dallintelligenza quasi umana. Pigrissimo ed elegante. Per anni non ho fatto che parlare del mio pastore tedesco. Assediati dai miei racconti, tutti fingevano interesse. Alcuni dicevano che lo stavo sostituendo al figlio che ancora non avevamo, ma non era questo il punto. Affermazione scontata, direi. Avete mai provato a far entrare nella vostra casa qualcosa di bello, di pi bello di voi, di invincibilmente bello? E diventarne custode? Un cane, un quadro, una moglie, un padre, avete mai provato? La bellezza impone degli obblighi, sempre; i figli non centrano. O meglio, vale anche per i figli, chiaro, ma sono realt diverse. Ogni bellezza unica a suo modo. Dopo il suo secondo compleanno, ho intrapreso una lunga e deludente ricerca della compagna ideale per laccoppiamento. Avendo scelto un maschio per orgoglio, nessuna femmina risultava alla sua altezza. Del mio cane apprezzavo le pupille frenetiche, lassolutezza degli sguardi. E lalito, persino lodore del suo alito appestante. Mi facevo lappare i piedi dalla sua lingua enormemente ruvida e poi li annusavo estasiato: odori, solo odori, non parole, perch cera uno scambio, ma di una tale completezza, da non potersi esprimere verbalmente. La bestia, per ricambiare, riempiva i divani di Angela di zampate. Lho fatto accoppiare due volte e, in entrambi i casi, la femmina prescelta ha dato alla luce un solo esemplare, privandomi del piacere di dover decidere come sistemare i cuc208

cioli. Davvero pigrissimo, il mio cane. Risparmiava le sue energie e amava surriscaldarsi le zampe davanti alle lingue tremule del camino. Voleva solo me. Si faceva mettere il guinzaglio per una passeggiata solo se ero io a infilarlo al suo collo, pelosa ciambella dai colori digradanti. Non aveva altri bisogni, se non me. Inglese nello stile anche quando faceva i capricci. La bellezza ti frega. Anche quando non pi per casa, continui a vederla, a desiderarla, a intuirla ovunque. Ed comunque colpa tua quando se ne va, perch la bellezza non ha responsabilit. La bellezza sempre innocente. Il mio cane si spento serenamente, ormai prossimo alla vecchiaia, quando era ancora di una grazia disarmante. Si spento di notte, pago di tutta la mia dedizione, con il muso piantato nella gramigna del giardino su cui aveva sempre vissuto. Il naso gli si asciugato ed morto. A guardarlo steso lateralmente, come nel sonno, sembrava dello stesso vigore di sempre. Seppellirlo con lapide e foto sarebbe stato pi che giusto. Impossibile per. Nessuno si occupa di seppellire i cani, salvo che non siano morti in strada. Neppure a voler pagare: nessuno ti aiuta a scavare una fossa tanto profonda da cancellarne ogni memoria. Esistono surreali prescrizioni comunali a riguardo. Per questa ragione chiesi a un conoscente di far finta che fosse morto in strada, e farne un mucchietto di cenere. Ho scavato con entrambe le mani. Ho fatto da me. Persino Angela ha scavato un po; lei che si era sempre dichiarata convinta che un cane non potesse sostituire un figlio. Infatti, dico io. Lui era un cane. Ma che vuol dire? amore e nasce dal bisogno, proprio come tutti gli altri tipi di amore. Che cosa c di terribile o riprovevole in questo? Ietta voleva fare i suoi paragoni. Lui amava questi giochi mentali. Era uno di quei tipi che in spiaggia fanno il cruciverba. Ha un approccio scientifico. Non quanto me, vero, per ha anche lui bisogno di certezze elementari. La giustizia spesso costituita da piccole cose, piccoli risultati. Cos compar il Pace a un cane domestico, ed escluse la sua colpevolezza. Non si sa mai: a volte le similitudini risultano utili alle indagini.
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Il Pace, quindi, per Ietta, era simile a un cane di razza che, allontanato dal padrone, comincia a perdere il pelo a ciuffi. Non si ammazza un buon padrone, ma forse ci si libera di uno cattivo. Non so. Un cane non ammezzerebbe mai il suo padrone, il capo branco; fosse anche il demonio, lui non lo capirebbe. Che padrone era il Corietti? Quanto e come entrava lamore in questo crimine? Quanto lamore, il corpo, listinto, e quanto locchio intransigente delle quattro mura che circondavano la citt? Non lo sapevamo. Ietta, quellultimo giorno di indagine ufficiale, lasci prima del solito lufficio. Aveva quella faccia smarrita che lascia sfuggire pezzi di pensiero che si attaccano alle cose, alle finestre; frammenti che fanno credere a formulazioni logiche complesse, mentre sono solo il ripetersi ossessivo di una serie di fotogrammi insignificanti. La moglie crudele, il figlio taciturno, il cane che ingrassava, lo straordinario di Agrimi, la pioggia. Frammenti di Ietta. And via come fosse una forma di protesta, scese le scale quasi senza salutare, coi pensieri che premevano fin sotto le labbra e le assottigliavano di rabbia e forzo da contenimento. Usc e, nonostante piovesse, port al parco il suo Dalmata. Un fatto privato. Senza autista pertanto, ma con il suo cappello calcato forte sulla fronte. Il cappello in s non pareva un fatto singolare. Tutti in strada avevano il cappello, ma nessuno, mi raccont, aveva un Dalmata al guinzaglio quel giorno di pioggerella senza cura.

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XIV CAPITOLO

ed ecco perch non creder mai pi in nessuna delle cose che pensi, per non parlare di quelle che dici. Richard Yates

Stava malissimo. Ah, se lo vedevi, oh, dico: malissimo! Poveraccio. Dice Ietta che latteggiamento del ragazzo gli faceva pensare a quello di un cane. Niente di originale, mi pare. Non ha grande fantasia questo tuo giudice, mi pare. Per vero. S, daccordo. La solita storia del cane bastonato. Mi sembra unimmagine banale. Banale o no, cos. Cane per dire cane, cos per schematizzare! Non hai detto che c pure quella storia della casa delle prostitute che appartiene alla chiesa? un fatto curioso. Molto pi interessante dei cani, mi pare. Che ci fa la chiesa con tutte queste propriet? Quante case! E il giro di prostitute? Non ci vedi una contraddizione? Hai detto che avete fatto un giro in Curia, mi pare? In effetti vero: ci sono troppe case in questa storia. E quindi? Quindi? Dico, quindi che fate? Abbiamo assunto informazioni da qualche personaggio secondario. Cos. Magari venivano fuori fatti piccanti che il clero voleva tenere nascosti. Che ne sappiamo noi. Lo sappiamo? No. Ci abbiamo provato, ma non servito a niente. Non sto neppure a dirti.
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Niente? La citt in cui lavori chiusa a chiave. Ma secondo te quale la verit? Ti sei fatta unidea? A chiave, a chiave. Ce lhai un idea, s o no? E le case? Non mi hai detto nulla delle case. Prima tu dimmi delle case, poi ti dico io. Lascia perdere per un attimo. Ma importante, invece. Daccordo, ma non ci sono elementi per ora; per le case intendo. Dammi la tua idea sullomicidio piuttosto, dai! Ma non dici sempre che le opinioni non servono a niente? Secondo me, sono i preti i veri responsabili; e te lho detto sin dallinizio. Ma a che serve con te? Perch hai quel tono? Quale tono? Hai qualcosa? Niente. Che vuoi? Perch hai quel tono? Di cosa cavolo parli adesso? Quel tono sbrigativo. Forse ho sonno. Ho sonno. pure tardi, no? Telefoni sempre cos tardi la sera. E comunque parlavo dei preti. Va bene, i preti, e il fine passionale dove lo metti? Bella per la storia tra la vittima e quel povero disgraziato! Bella? Non mica detto che quello tra il morto e il Pace fosse amore. Si fa presto a dire amore. Magari era solo sesso e pure violento. Che ne sai? Il sesso spesso violento. Non mi pare. Dici? Mah! Quindi lamore non centra, secondo te. Non ho detto questo. Non ho parlato di amore, io. Siete voi che dovreste sapere come stanno le cose. Se amore. E se era amore cosa cambia? Perch uno che ama non pu uccidere? Tu che ne dici? Io credo che sia successo qualcosa di grave tra i due, qualcosa che non siete riusciti a scoprire per ora. Ma di molto, molto, molto grave.
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Chiaro: mica si ammazza per quisquiglie. Deve essere di sicuro un fatto grave. Alle volte S, alle volte Trentotto coltellate? Non dimenticare le modalit dellomicidio, cara mia. Quelli sono gli unici fatti sicuri. Che citt di merda! La citt? Queste cose accadono ovunque. Hai sentito, i giornali, quanti omicidi irrisolti? Che centra la citt? In ogni caso, te la sei scelta tu, la citt. Ma non mi fare dire sempre le stesse cose. Hanno trucidato un uomo e la gente qui ne parla quasi come di un accadimento quotidiano. Bellambiente! Ma io non lo sapevo, quando sono venuto qui, che era cos. E, tra le altre cose, mi rode ancora il fatto dellombrello sporco di sangue. A te non ti rode? Che hanno detto di preciso le analisi? Niente DNA. Siamo senza. Non stato identificato. Nessuna impronta sullombrello, e la moglie del Pace ha confermato che larnese non loro. Potrebbe essere dellassassino, ma non Tu pensi che la soluzione stia nellombrello? Sai la cosa strana? Un rilievo ematico del piffero! Scusa, questo mago del crimine riesce a non lasciare un solo globulo rosso sul luogo del delitto, e poi intinge la punta del suo ombrello direttamente in unarteria? Scusa, non ha senso. Se il sangue sullombrello non del morto e non di nessunaltro dei soggetti noti, allora di chi ? Come mai si trova sullombrello? Sia chiaro: non abbiamo il DNA di tutte le persone che abbiamo ascoltato. Non che la Procura possa obbligare allesame tutti quelli che passano. Abbiamo chiesto alla citt, vero. La citt dice e non dice. E noi l, a cercare di Come dappertutto, credo. Forse. Perci. Niente. Facciamo unipotesi di ricostruzione dei fatti. Proviamo, vuoi? Giochiamo. un gioco, dai!
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Gioco? Gioca! Hai bisogno di me? Ho bisogno. Dunque: il Corietti un uomo intelligente, troppo per il genere di vita che fa. Comincia a sentir serpeggiare intorno ai suoi fianchi un lieve, ma fastidioso senso di insoddisfazione. Frequentando le tre giovani e intraprendenti amiche di periferia, scopre lesistenza di giri pi importanti, che fanno soldi a palate, giri di signore bene che si tuffano in letti gonfi di banconote, e vorrebbe unirsi al gruppo. Non riesce a essere nientaltro che quello che , e ci soffre. Non vuole pi essere un frocio qualunque, con il suo grembiulino. Gli pesa terribilmente la marginalit in cui vive. Che fare? Non so come, scopre che alcuni personaggi appartenenti al clero guidano il ritmo della danza dionisiaca; sono burattinai che agiscono da qualche nuvoletta, lass. Perde il controllo. Vuole agire. Vittima dei suoi stessi desideri. Per commette un errore. Tipo dice qualcosa di troppo, magari ne parla con le persone sbagliate, ricatta qualcuno, magari, e di conseguenza si abbatte su di lui la pi furiosa delle ire divine. Un giorno che piove. Lassassino, probabilmente di fede cattolica, dopo aver eliminato lo scomodo testimone, scopre di essersi ferito mentre aveva in mano lombrello, che lo impicciava non poco, e cos decide di liberarsene in strada, prima di riuscire a rintanarsi al coperto, forse sotto una tovaglia daltare o forse altrove. Vai a sapere dove. Va bene, questa la prima. Altra ipotesi: il Corietti si innamora di un prete bello e aitante; medita con lui la fuga in Australia e labbandono dellabito talare. Svelato il piano, il Pace si ingelosisce, si sente ferito a morte mentre preda di una delle sue emicranie. Assassina brutalmente luomo che ama, magari non c premeditazione, succede per errore, si scaglia contro il suo amantepadrone senza controllo; lo fa praticamente a pezzi, uccide lamante, cio luomo che lo ha liberato dalla prigionia del pregiudizio sociale, magari facendosi aiutare da un complice, ma, nella fuga, dimentica lombrello sporco fuori dal negozio.
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Interessante. E se lo prende la vecchia. Cosa? Lombrello. Uhm lombrello, s. Vieni venerd? il compleanno di pap. Evvai! Festeggiamenti di famiglia sul prato. E se non ci venissi? Se non vengo, tuo padre diventa una bestia e non ti parla per settimane. Con me non si altera perch sono una donna; con te che si imbestialisce. Non bella questa differenza? Tra me e te. Quindi festa di famiglia sul prato? Tanto per cambiare. Io non ci vengo questa volta. Non abbiamo altro da fare. Perch non si pu, visto che non abbiamo altro da fare? E chi lo dice che non abbiamo altro? Si potrebbe tentare di fare un figlio. Per esempio. Ma bello mio, tu, proprio, eh? Niente? Sul letto si potrebbe, invece che sul prato di pap! Ci inventiamo una scusa, se non vuoi rendere pubblica la faccenda. A tuo padre faremo capire con diplomazia che dopo i trentanni pu pure capitare. Normale. Al limite, gli chiedi brutalmente: lo vuoi un nipotino? Allora zitto e collabora. Devo chiedergli quanto ci dar per lacquisto di casa. Dobbiamo comprare casa? Prima o poi. Lavevamo detto, ti sei dimenticata? Io lavoro gratis e dovrei pensare a una casa? Non so da che parte del letto dovr dormire nei prossimi dieci anni e dovrei pensare a comprare casa? Ma fammi il piacere! In che senso, il letto? Se ci sei tu, io dormo a destra, se non ci sei, dormo a sinistra. Non ti sei accorto? E cosa cambia? Cambia, bello, cambia. Viviamo realt differenti, evidentemente. Avevamo detto che la casa importante. Questo non mai stato in discussione. Non mi pare proprio in discussione la casa. E dobbiamo chiedere un finanziamento proprio questo
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fine settimana? Non si pu aspettare un mese? Un anno? Ma che centra? Intanto preparo il terreno. Un nipotino farebbe tutto da solo, senza il bisogno di feste sul prato. Cosa gli regaliamo a tuo padre? Se non gli possiamo regalare un nipotino, per ora, gli regaliamo una cravatta? Un bambino o una cravatta? La cravatta decisamente meglio. Secondo me tu pensi che sia meglio una cravatta. Non vero? Tanto, a lui piace farsi comprare i vestiti da coloro che lo venerano. A proposito: vorrei una giacca di pelle. E quindi? La devi scegliere tu. Regalami un fichissimo giubbino di pelle nera per quando ritorner a lavorare a casa. Ma mi spieghi per favore cosa centra? Perch i vestiti li scelgono le donne. Ha ragione mio padre su questo punto. Ti misurano, te li mettono addosso e ti ammirano. Se labito lo sceglie una donna pi bello. Ti sta meglio. Non so come, ma cos. S, so scegliere i vestiti. Lo so fare. Infatti. Ma nudo unaltra cosa. Ma intanto un giubbino di pelle lo voglio, lo stesso. Non mi freghi. Voglio fare una visita dal ginecologo, ch mi sento nervosa. Dobbiamo parlarne. Mi faccio vedere unaltra volta. Mi accompagni? Tu sai trattare con i medici. Come dici? Polso e cortesia? C il tempo, adesso. Allora posso dire a mio padre che andiamo? Sei morboso. Allora? Individua nuovi obiettivi, ti prego. S, ma andiamo da mio padre? Ti prego. Io ti prego. Solo se trovi lassassino in tempo. Non credo. Guarda, non credo proprio. Polso e cortesia. Smettila di sfottere.
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XV CAPITOLO

Ma non successe nulla. Il cielo non cade per cos poco. Sarebbe caduto mi chiedo, se avessi reso a Kurtz la giustizia che gli spettava. Ma non potevo. Non potevo dirglielo. Sarebbe stato troppo tenebroso davvero troppo tenebroso Joseph Conrad

Adesso sono qui: davanti a un semaforo. Sul sedile del passeggero c un faldone. Se inclino verso destra, in basso lo specchietto retrovisore, posso vederlo svettare. Contiene ventisette fascicoli dudienza, da preparare, il cui contenuto non ricordo per niente. Sono come brutti romanzetti. Mi pare ci sia, tra le altre, una questione legata a debiti contratti per gioco. E non sono neppure tutti quelli messi a ruolo per oggi. Rosso, il semaforo. qui che penso a quel primo omicidio, dieci anni fa; a quella citt e a quella giubba di pelle taglia 48, che connota sfarzosamente lestetica di quegli anni. Penso, mentre ho i muscoli a riposo. Un piccione, che se ne sbatte del traffico, mi tuba tra le ruote e ho la certezza matematica che, pur sgommando, non lo ammezzerei. Penso, posto che il rosso dura un tempo infinito e vuoto. Metto la cintura di sicurezza pieno di vigili la mattina che mi strattona la cravatta e mi lascia una strana secchezza in gola, oltre a un mattiniero e irrefrenabile bisogno di zuccheri. Penso a quando cera Ietta con me. Lavoro molto pi oggi di allora. E si tratta di un lavoro di stoffa grezza, che pizzica. Sembra unaltra vita. Un tempo prebellico di cui mi piace parlare; s, mi piace un sacco, e pi passa il tempo pi mi piace. Un tempo verde, in cui anche Angela, come me, stava mettendo in piedi i pezzi di qualcosa che ancora non cera e ci dedicava tempo e cervello. Ed era molto simile allamore la sensazione di lavorare insieme verso
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una certa direzione. Era il tempo in cui si imparava a cucinare e si pensava davvero di poter scegliere cosa diventare. Una vita in prova, prima che incominciasse quella vera; quella in cui, quando suonava il postino, non portava solo bollette. Quellintervallo temporale, quella specie di ricreazione con la merenda, con foto ricordo; senza i denti davanti come alle elementari. Il tempo in cui tutte le affermazioni sono ugualmente degne di rispetto; in cui ogni evento riconducibile a uno schema commentabile. Intermezzo caduco in cui la verit c, ma si sta bucando la suola delle scarpe a forza di far su e gi. A furia di correggersi e sbagliare. In totale sincerit, nulla mai stato cos vicino alla verit per me, nulla mai pi di quellindagine sgangherata sullomicidio del signor Corietti, appunto. Nulla. Precisamente la verit su quellomicidio la sentii raccontare qualche giorno dopo la chiusura delle indagini, e non usciva dalla bocca del sostituto procuratore. No. Era un discorso biascicante e scazonte, cupo pi di un testamento. Era la verit della vecchia dei santini. Cosa ne era stato della storia del Corietti? Alla fine avevamo chiuso contro ignoti. Archiviazione lucida, come la lama ripulita di unarma. La stessa lama che non avevamo trovato, che baluginava alla faccia nostra chiss dove e per chi. Avevamo messo il fascicolo al suo posto, tolti i mille post it gialli che ne appesantivano la copertina, e riposto in un armadio in ordine alfabetico. Finito. Noi avevamo chiuso, ma la vecchia era ancora in giro, pallottola vagante a beccare giusto me. Ci incontrammo. Come sempre, gli elementi scenici erano quelli dellanticamera dellinferno: ampia scalinata, strada laterale, strisce pedonali appena rifatte, cemento grigio, superfici verticali riflettenti, a volte catrame, a volte lastroni di vetro, vapori bollenti e sinistri cigolii che venivano fuori dalle grate di aerazione sullasfalto. Il Palazzo di Giustizia. Eccola la vecchia venire avanti, piano. Comica, accelerata, bianco e nero. Memoria balorda la mia, che dei mesi di lavo218

ro in quel palazzo, mi lascia, come un marchio tra gli occhi, il movimento nautico di una vecchia pazza, che striscia lungo la strada con dietro il corteo di una gonna a balze, sporca. Io uscivo, mentre lei era gi ai piedi della scalinata. Un tizio della sicurezza la teneva sotto controllo, con lo sguardo mobile e la bocca contratta dal freddo. Mi sono frapposto, interrompendo il raggio laser che passava dagli occhi della vecchia a quelli della guardia giurata, giusto per qualche secondo. Mi sono frapposto tra la verit del tipo, che faceva tediosamente il suo lavoro, e quella della vecchia, che blaterava qualcosa a voce alta, gesticolando. Non so come, ma finisco sempre in mezzo a questi traffici. Anzi, lo so perch: le parole attirano pure me. Se qualcuno dice qualcosa, io ascolto, sempre. Infatti. Mi feci pi vicino anche per vedere se la donna, nella sua follia, riusciva a riconoscere il mio viso. Neppure mi guard. Sfrecciavano le ventiquattrore scamosciate e le scarpe marroni sugli scalini. Sono veloci gli avvocati; se ti passano accanto fanno vento anche se non hanno udienza. Veloci sono i saluti con cenni di mano. Veloci i parcheggi. Veloci anche i verbali che scrivono in udienza. Alcuni. Lei niente. Non sembrava viva tra gli altri, eppure parlava. Sciorinava senza pubblico. Eccome se parlava, anche se lenta. Urlava che il sangue trovato sullombrello non era il suo. La giustizia non aveva fatto il suo corso. Il sangue, il sangue. Ancora e ancora la tragedia delle macchie, che avevano alterato la sua quotidiana percezione della realt. Un segnale rosso di sangue ancora fresco, senza croste. Nessuno, nessun cane mi vuole vicino. Tutti, a suo credere, sapevano che era malata e, quel che peggio, avevano scoperto che Dio esisteva. Con il suo sacrificio involontario, sera smarrito il tradizionale piacere di un atto di fede, puro e cieco. Lei aveva fornito prove inconfutabili. In barba a SantAgostino, era lei la prova vivente dellesistenza di Dio. La prova era lombrello. Semplicemente un ombrello. Tutti potevano finalmente credere senza fatica e averne giustamente paura. In strada, frenate stridule coprivano il gracidare della vec219

chia. Voci che si accavallavano, dentro pezzi di conversazioni. Un vigile fischiava, bucando il corpo molle della donna con una scarica elettrica, tra strane pieghe e fasce muscolari evidentemente ancora in uso, per quanto sconosciute. Braccia, gambe, zoccoli. Lui fischiava e lei si agitava. Era come presa da tiranti. Aperta e tesa. Stava sopra lo strepito degli uccelli, sopra lo stridore di freni dauto che tentavano di travolgere lavvocatura o uno dei tanti magistrati scomodi. Stava sopra tutto e tutti. Cercava di galleggiare. Mentre il vigile, poco in l, vigilava su ogni cosa; non solo sullincrocio. Camminava a scatti, inciampando ripetutamente nella sua stessa rovina. I tiranti tiravano in diverse direzioni. Io assistevo come davanti a una diretta televisiva. State lontani, se non volete morire. Guardate, gi mi sono caduti tutti i denti, e domani mi cadranno le unghie e poi la pelle. State lontani ch sono infetta. colpa di questa citt di assassini. Questo Tribunale non serve a niente. Non ci pu salvare. Non aveva santini tra le mani. Non pi. Le mani erano vuote. Palmo in su a ricevere. Lombrello aveva preso il posto dei santini e, dopo, il nulla il posto dellombrello. Distruggiamo questo edificio che non serve pi. Dio ci ha puniti. Mettete una bomba o appiccate un incendio. Subito, subito. Non ricordo bene, ma se la vecchia, dalla sommit dei suoi anni gi spesi e dal suo margine, conosceva la realt dellHIV, allora voleva dire che HIV cera. Cera davvero. Erano quelli i tempi. LAfrica. E poi, da lontano, tutte le pesti si rassomigliano. Mentre assistevo al disfarsi di un corpo in preda a sanguinose invasioni di virus letali, me ne stavo zitto, con il piede destro su uno scalino e quello sinistro sullo scalino appena pi in alto, statuario e ridicolo. Non faceva differenza alcuna che a pochi metri ci fosse il mio ufficio. Mi sentivo strano. Fuori posto. Strano e impreparato. Non cera stata ancora alcuna duplicazione genetica. Ero ancora lo stesso identico uomo sia in ufficio che in famiglia. Quindi, il fatto che fossi vicino al mio ufficio, non mi rendeva pi forte, non mi coraz220

zava. Ero ancora un uomo e basta. Ero cos a quei tempi: senza fantasie professionali. Quelle sono venute dopo. Gia, luomo pubblico dett le sue leggi solo pi tardi. Alla fine delluditorato, per la precisione. Allinizio ero io, sempre io e basta; imprescindibile. Ridicolo. Solo dopo qualche tempo mi accorsi degli altri. Del mio ruolo tra gli altri, intendo. Allora ho aguzzato i sensi. Quando entravano in aula alcuni colleghi, per esempio, suonava una musichetta tipo avvio delle trasmissione, un jingle autorevole con i titoli di testa, per fare chiarezza. Non sono stupido: lavevo percepito che la suola di cuoio di alcuni colleghi, di buona fattura italiana (di buona fattura sia la suola che i colleghi), suonava rumorosamente sul pavimento, a volerlo. Sempre pi rumorosamente. Il tip-tap del magistrato. Avevo notato che il fascicolo andava tenuto tra le mani secondo specifiche modalit: la presa energica di chi lha posseduto; di chi vuole conservalo, tutelarlo da assalti esterni. Il fascicolo, infatti, pu essere posseduto carnalmente se si allaltezza del suo contenuto e, dopo lamplesso, diventa senza segreti. Posseduto, ma rispettato. Non sgualcito. Non solo. Non era soltanto un fatto di portamento e scarpe, ma che anche le guance delluomo pubblico andavano impostate, oltre che rasate. Magari profumate, ma senza esagerare; con odori percepibili al pi dallassistente in udienza, qualora si fosse posto vicino vicino al suo giudice. Ci sono magistrati al sapore di pino dalta montagna, quelli al gusto di tabacco, quelli verdi al gusto di muschio e lavanda, quelli che sanno di fragola; in genere questultimi hanno figli piccoli e un solo bagnoschiuma in casa. Altri che, invece, cambiano sempre profumazione e non si lasciano intrappolare. Lievi e impalpabili. Oppure quelli che mettono la polvere inodore, tipo talco mentolato, persino dentro le scarpe e intorno al calzino. Non si vogliono far catturare dai nasi. Avevo visto, annusato, scrutato e capito. Allora mi sono dato un look anchio, che non rappresentava, non sia mai, un vero schieramento: niente a che vedere con la politica o con
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le scelte giudiziarie; niente di particolarmente eccentrico. Lho fatto per serenit. Ho preso una cadenza linguistica asciutta e grave. Tra le altre possibili. Ho fabbricato qualcosa anchio, ho messo in evidenza quello che cera, cos da sentir dire in ufficio: no, il dottore non porta le cravatte se non ha udienza, no il giudice non beve il caff freddo, lui solo con ghiaccio e non dopo le 15. Perch lostentazione garbata delle proprie manie o delle proprie passioni, non reato, anzi, necessaria, aiuta lidentificazione con il gruppo e, nello stesso tempo, lemersione dallo stesso; come il rinnovo della patente: obbligatorio e periodico. Far sapere da subito chi sei, importante. La foto sulla patente, dai diciotto anni in su, sempre la stessa. Si rinnova o si accerta limmutata idoneit fisica, ma la foto resta quella originaria. Per la foto ci deve essere sempre: chiara, stentorea, nitida. Se sanno chi sono e si tranquillizzano, posso cambiare in silenzio, avevo pensato. Ne ho avute di conferme in questo senso. Ai tempi del Corietti, tutto ci non mi era ancora cos chiaro. Davanti alla vecchia matta, quindi, ben prima di aver scelto il mio modo, trattenevo la solita postura casuale. Ero incerto, perch incerti erano gli altri intorno. Come veniva, veniva. Rassomigliavo ora a tizio, ora a caio. Non avevo studiato il mio caso. Un praticante senza responsabilit e con identit in transito. Stavamo, la vecchia e io, nel traffico, che se ne fregava bellamente delle sue certezze e delle mie domande. Niente da aggiungere a questo. La vecchia credeva di essere malata e con lei il mondo, che mescolava ai fatti di chiesa e di Dio, quelli del sangue, del sesso e del malaffare. Credeva di essere stata scelta a caso tra i puri, per rappresentare in terra il martirio di tutte le anime innocenti. Ecco perch non portava pi con s le immagini dei santi, per la generale redenzione. Era un inutile peso ormai: era lei lagnello sacrificale. Diventata, per investitura divina, licona del martirio, bestemmiava contro il marito e i figli che, abbandonandola, avevano creato il vuoto pneumatico in citt. La citt era diventata per lei come
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la pancia del lupo riempita di pietre e ricucita. Stava per andare a fondo. La sua malattia, enorme, visibile, obesa, vendicava il morto e svelava il male. Tutto il male esistente. Prima della fine. Non sentivo proprio ogni sua parola, a essere sincero. Troppi rumori differenti. La sua vocetta stridula dentro limpazzimento del traffico dellora di punta, veniva rapinata delle parole migliori. La strada masticava lavvincente sermone e restituiva ben poco. Non capivo un accidente, diciamolo, pur sforzandomi. I froci, i froci, berciava lei, ma nessuno si accorgeva di nulla. La citt era avvezza alla follia. Bench quel momento fosse importante e in qualche modo irripetibile, bench quello strazio urlante fosse lunica verit possibile, lunica passata vicino a me, lunica disponibile, proprio l, ai miei piedi, e lunica che in quei mesi di lavoro non fosse mai mutata, dal primo giorno allultimo, nessuno faceva silenzio. A parte me, sintende. Lassurda Cassandra non sapeva che le indagini erano state chiuse davvero, comunque. Senza assassino. Provai limpulso irrefrenabile, da bambino crudele, di dirle: basta, tutto finito, fiato sprecato, chiudila quella boccaccia, tra un po non ne parler pi nessuno, nessuno si ricorder n di te, n di me, che vale? Dimentichiamo ogni cosa. Quello che stato stato e via dicendo. Ma non lo feci. No. Chiss che cosa avrebbe detto a quel punto, se lavessi fatto. Mi avrebbe preso a morsi, magari. Ma ai pazzi non si dice mai la verit e io non so il perch. Forse perch non ne hanno bisogno. La follia dellira? Discutiamone. Mi arrabbiavo in passato, ma erano occasioni eccezionali, da raccontare. Solo in quelle rare circostanze mia moglie mi mentiva; in tutte le altre era ed di una sincerit avventata e terapeutica, da far paura. Una terapia utile spesso solo a lei. Sincera come lacqua, ma se mi fumava il cervello, allora, cambiava sguardo e aspettava che scampasse, divagando. Da tanto tempo non accade pi. Quante volte mi sar
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accaduto in tutto? Un paio, forse tre? Non di pi. Adesso ho imparato delle tecniche specifiche di dilazione e spostamento della rabbia, roba mia. Segretissima. Per, ne avrei di ricordi sullira di mia moglie o su quella di mio padre. Loro ne hanno avute tante di esplosioni di questo genere. E anche adesso. Come a mettersi sulla faccia il fegato, mostrarlo mentre macera, e poi urla e strepiti, spettacolari, finch la voce si appanna e la saliva si prosciuga. E se c un piatto frangibile nei dintorni, peggio per lui. Diventano mostri, loro, ributtanti e banali mostri. In vetrina per farsi guardare. Possono farlo perch, tutto sommato, si amano tanto da poterlo tollerare. Lo sbrego degli altri sembra una cosa normale; vicenda da esseri umani, secondo vecchie regole, fatali. Persino bello da guardare, commovente come il circo. Lo possono fare perch sono certi che passer, certi che finir, certi di non diventare pazzi davvero. Altrimenti non lo farebbero e cercherebbero nascondigli o cure. Come faccio io. Quando capitato a me, in passato, sempre stata una faccenda cupa, oltre i confini. Me ne ricordo soltanto due di storie cos. Oggi diverso, dicevo, oggi me ne sto per i fatti miei: un po prevenuto, guardingo, con le fasce muscolari del collo in tensione perenne, quasi con una gruccia infilata sotto la camicia. Difficilmente mi rilasso, di rado sono attraversato da picchi verso lalto o verso il basso. Panorama mediamente piatto, ma in allarme. Angela dice che, quando accade, mi trasformo fisicamente: occhi statici che sembrano sotto anestesia locale per intervento sulla retina, rigidit degli arti, sguardo velato, pupilla dilatata, senza pi una ruga sulla faccia, praticamente ringiovanito, unghie viola smerigliato, tremito evidente, labbra bagnate e gonfie. Questa stata la descrizione fatta da Angela per celebrare il mostro nero di quelle due incazzature storiche. La prima volta. Avevo appena preso a frequentare Angela con una certa assiduit, e si era andati sulla punta dello stivale a vedere il mare. Dalle mie parti, quando ti innamoravi, scivolavi verso il
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mare quasi senza accorgertene; la provinciale, senza tagliare per i paesi, ti si infilava sotto le ruote durante i primi approcci. Parlavi di te, ascoltavi e guidavi, e a volte, se la cosa stava andando bene, mettevi unaudiocassetta nello stereo estraibile, che poi eri costretto a portare in giro con te, grande come una scatola di Ore Liete; tenevi lo sterzo languidamente solo con la sinistra, mentre laltra mano approcciava gradualmente, mostrando tutta la sua significativa urgenza. Si veniva richiamati da luoghi pi luminosi e ventilati per dare sfoggio alleloquio tenuto in caldo in inverno. Le parole venivano fuori facili, e pure i silenzi erano pi pregni se guardavi fisso lorizzonte grigioazzurro, fuso alla roccia. Tipo Spinoza: scogliera a perdifiato, con quei picchi di salite e discese da capogiro, che la letteratura ci ruba. il Senso, lEterno, il Destino che lo impone. Eravamo saliti fino in cima con il fuoristrada prestatomi da un amico. Era voluto venire per forza pure lui, lamico. Cos eravamo andati. Spento il motore, con lo sguardo immerso nella grande tavolozza, presi gli zaini e raggiunto uno scoglio qualsiasi, scomodo e puntuto, i sandali avevano preso a spossarsi. Mentre la terra continuava a chiamarci. Cera da salire, da sgambettare come gallinelle, da indicare, descrivere, apprezzare, e noi, piegati in avanti per bilanciare il peso, parlavamo luno alle spalle dellaltro, intenti nella marcia in fila indiana. Angela, in quellistante, rappresentava tutte le donne possibili: un concetto astruso di cui sapevo ancora poco. Era venuta insieme a me su quello scoglio aguzzo, non con lamico e il suo fuoristrada; almeno cos credevo. Ne conseguiva che tutte le smancerie nei confronti dellamico, vuoi la mia acqua da bere? Conosci il posto? Che lavoro fai? erano totalmente superflue, oltre che impreviste. Mi pungeva principalmente che lei rimanesse leggermente indietro, a fiancheggiare lamico nella salita; che mi guardasse poco e che poco ridesse delle mie battute a fiato mozzato. Feriva il mio amor proprio soprattutto il fatto che Angela non comprendesse. Che non guardasse lorizzonte, ma altri particolari. Mentre parlavo, usavo un tono sempre pi alto, quasi urlavo cos che lei potesse sentire. Parlavo inutilmente, lei non sentiva, non capiva.
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Afono io o sorda lei. Mi infastidiva sudare cos tanto, esibire quella corona scura nellincavo delle ascelle. Bere e sudare, bere e poi di nuovo sudare, come un cammello, quel mezzo litro che il paesaggio riscaldava nello zaino. Ho sempre sudato molto nei momenti di particolare impegno. Liquidi fisiologici incomprensibili per la mia donna in prova. In pi soffrivo fisicamente, davvero soffrivo: mi si sforacchiavano i piedi nelle ciabatte gommate. Era evidente: avevo scelto male le scarpe da indossare, e forse non solo quelle. Mi aspettavo di dare di pi, davanti a quella che si annunciava come la donna della mia vita. Delusione. Il cielo non mi aiutava e Angela non mostrava la minima solidariet nei miei confronti, anzi, cambiava idea ogni secondo, e le mie proposte, circa il senso da dare allallegra scampagnata, non la entusiasmavano n poco, n punto. E allora: boom! Fuoco dagli occhi rivolto al cielo, proprio nellangolo pi ameno della costa, allorch il cielo sembrava un lenzuolo pulito. Unira panoramica che sconvolse Angela e, credo, la fece innamorare perdutamente di me. Una folgorazione che la fece saltare di un metro pi in l. Leggendolo con il senno di poi, posso giudicare quello sdegno come un impulso egoistico dissennato, ma inspiegabilmente efficace. La seconda volta. Al cinema davano un film dessai, come ogni marted sera. Angela e io, da qualche mese, si faceva sul serio. Si andava al cinema per spaccare in due tronconi la settimana condivisa e renderla pi elastica. Lei, laureatasi con anticipo, aveva cominciato a far pratica nello studio legale dellavvocato che aveva rappresentato sua madre nella separazione da suo padre. Uno bravo, che le faceva fare copie dei verbali dudienza e anticipare di tasca propria i diritti di cancelleria per i ricorsi da depositare. La separazione tra i suoi genitori era stata consensuale, ma sapientemente pilotata dallavvocato. Lui la considerava un successo, tuttavia non ne parlava mai con Angela, la cui linea cerebrale irrequieta poteva considerarsene lutile frutto. Lavvocato conservava il fascicolo materno in un suo cassetto inaccessibile, ch sono cose riservate. Aveva paura, quello, di scoprire i suoi trucchetti tecnici,
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almeno quanto Angela aveva paura di lasciarsi andare alla felicit, e poi magari essere costretta a confessarlo ai suoi genitori, che vivevano ancora in una statica penombra. Io, intanto, vittima di unimpazienza cronica, studiavo per il concorso in magistratura, prima ancora di avere discusso la tesi, e gi compravo Il posto, Il disoccupato, Lavoro oggi. Sono sempre stato uno di quelli che anticipava i compiti del luned durante il fine settimana. Non so aspettare. Un bicchiere dacqua lo bevo subito fino allultima goccia, anche se non ho sete in quel momento, perch, prima o poi, la sete verr. Compravo i quotidiani locali, anche per vedere cosa davano al cinema il marted. Il marted, dicevo, cera il cineforum. Angela, a dieta gi da allora, cenava con una confezione media di popcorn, rigorosamente senza sale. Sciamavano cicalando studenti e post lauream impegnati in ottimistiche specializzazioni, verso le poltrone di velluto, a spettacolo gi iniziato, nel buio della sala, tra le sagome scure. Noi con loro. Oramai, se si sovrapponevano le nostre mani sul bracciolo, non cerano pi n stupore n palpiti. Avevo elaborato le mie migliori fantasie riguardo il nostro rapporto, elaborato piani, cominciato a costruire quella sacrosanta intimit di chi divide la stessa cella. Mi piaceva un sacco. Eravamo intimi e capitava anche che, goduria somma, si trascorressero intere mezzore in silenzio. Poi, dopo il film, ti veniva voglia di chiedere come stato?, ed era davvero importante saperlo. Quella sera avevo scelto il film giusto. Non avevo commesso errori. A lei piacevano le storie. Daccordo la fotografia, i piani, i sapienti campi lunghi e quelli corti, ma soprattutto cercava le storie, da raccontare il giorno dopo. Possibilmente storie intense, non brevi; anche tre ricche ore di pellicola. Se un po tristi, meglio, ch non si ridesse troppo in sala e a vanvera. Non erano tutti uguali i marted, sondavo prima di scegliere il film, per capire se era una giornata da sanare con una lacrima o con una risata. Era da preferire comunque un regista italiano, magari di quelli giovani e con la barbetta da intellettuale; al limite un francese, mai un americano. Che un film non doveva servire a farle sospirare ecco, sono altrove, ma
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dove cavolo mi trovo e che ci faccio qui? Al contrario, il fine era riuscire a farle sussurrare siamo tutti nello stesso luogo, io sono proprio spiccicata alla protagonista del film. Quindi meglio un regista italiano, decisamente. Alla fine della serata quello che contava era che lei sentisse che quel regista le era stato amico e complice, avendo saputo spiegarmi adeguatamente chi era. Chi era Angela. Facendole fare anche bella figura. Il film le serviva per comunicare con me. Quella sera: lacrime. Con il suo avvocato, infatti, cerano stati dei problemi, non ricordo, e lei doveva farmi capire quali e di chi era la responsabilit. Essendo anche un po raffreddata, voleva farmi capire che era gi di tono, senza dirmelo direttamente, per non sentirsi troppo fragile; in sintesi voleva che capissi da solo. Magari con una buona regia a sostenermi. Quindi meglio le lacrime, senza dubbio alcuno. Gi pregustavo leffetto morbido delle lacrime sullumore di Angela, come una birra rossa media. A conferma del progressivo consolidarsi del rapporto, le osservavo i capelli che non aveva lavato; le ciocche ricadenti ai lati, in stille opache, come bollettini meteorologici. Che meraviglia riconoscerli al tatto marginalmente unti, come il tavolo su cui si mangia. Non aveva lavato i capelli per me. Laveva fatto per completezza. Per tenerezza. Il lavoro di mesi, produceva finalmente i suoi guadagni. Di silenzio, relax e spazzola. Intimi, veramente intimi. Nellanticamera, sui divani, mentre scorrevano i titoli di coda dello spettacolo precedente e si sentivano gli echi smorzati di una colonna sonora tristissima, che preannunciava cinematografiche catastrofi, incontrammo un mio vecchio compagno di scuola. Era quella la catastrofe preannunciata. La sua faccia abbronzata mi colp come un pestone. Gaio, ilare, volle che gli presentassi Angela. Era avvenuto molte altre volte in passato, quando, anche con colpi bassi, era riuscito ad accaparrarsi lattenzione delle donne che erano con me. Perch era un vanesio svuotato come un cofanetto Sperlari. Diventava avvocato, andava a lavorare in un grande studio associato nella capitale, diventava esperto di diritto
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commerciale, imparava linglese e lo spagnolo; tutto questo aveva raccontato ad Angela in due minuti, usando limperfetto, il verbo del divenire, della continuit, dellinevitabilit. Come avesse ancora sedici anni, quel bastardo! La sua faccia era un tradimento che si ripeteva; uno slogan imposto violentemente al ritmo dei miei marted sera, proprio quando tentavo di diventare adulto. Mi sono sentito di nuovo basso, e ci avevo messo anni per arrivare a non sentirmi pi tale, nonostante la natura remasse contro. Mi sentivo basso e scomodo sul divano concavo del cinema. Quando lavevo visto assaltarci, per tirarmi su da quel diavolo di un divano ammazza-fidanzati e reagire in un qualche modo, avevo annaspato per qualche secondo con i piedi nellaria, cercando un appiglio qualunque, senza sapere chi tra i presenti poteva averlo notato. Basso. Non era colpa dei divani scomodi. Lo so. Mi sono sentito quello che ero: 1,65, massimo 1,67; che non certo 1,83 o 1,86. Ad un certo punto non si pu pi giocare con le emozioni o con le sviste ottiche. Io ero basso, lui alto: come a sedici anni. Come con tutte le ragazze delluniverso e con tutte le tipologie di futuro ipotizzabile. Niente di nuovo. Uno ci mette anni per elaborare fantasie diverse e poi basta un divano. Ma il peggio stava negli occhi di Angela. Il peggio era che Angela cedeva. Avevo lavorato per mesi perch lei alla fine giungesse a non lavarsi i capelli per me, perch li frenasse, cos come erano, in cima alla testa con un laccio di vecchio cuoio nero. Eppure. Forse questo suo scivolamento imprevisto era dovuto allignoranza. Lei non sapeva chi era in realt quelluomo. Non sapeva quanto era crudele e pericoloso. Daccordo, ma si tratta di cose che non racconti a una donna, soprattutto allinizio. Non che quando decidi di frequentare una ragazza, lavverti che, se vuole restarti accanto in serenit, pu fare quello che vuole, tranne dare confidenza a Tizio o Caio, nome e cognome, non deve neppure guardarli in faccia, quelli, perch ti brucia; non che le fai lesame dammissione con lelenco di tutte le cose da non fare o non dire. C un limite anche al desiderio di completezza allinterno di una coppia, e che diamine!
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Cos, non avendo altra alternativa, mi sono trasformato di nuovo in una belva senza tana. Quella fin qui descritta non solo gelosia, per. Potrebbe sembrare, lo ammetto, a una prima analisi; di certo un po superficiale. Ma non cos. restare fuori dalle cose che contano che non mi piace. Sentirmi incapace, lontano, incompreso, smarrito come un ombrello, appunto: proprio non lo tollero. Che mi si privi di quel poco di fortuna che mi sono sudato, mi fa imbestialire. Voglio esserci anchio. Al meglio. Ho paura che non accada. Quello, il mio amico, parlava del regista del film, brillante come uno zircone. Quella, la mia donna, rideva. Sembrava ci fosse unintesa. Per questo Angela, che di tutte le mie debolezze non era ancora a conoscenza, assistette alla mia seconda sfuriata, inerme, ma questa volta con minor sorpresa. Alla fine, credo, mi abbia ancora pi profondamente amato, quasi fossi uno di quei suoi contorti film datmosfera, le cui immagini pi forti ti restano nel cervello invecchiando, imbevendo ogni sinapsi, e ci che ti capita dopo, richiama gli stessi fotogrammi, solo un po rallentati. Questi gli unici ricordi coscienti dellira. S, qualche successivo squilibro da bilancia inceppata, qualcosa di simile a un tic al labbro o al sopracciglio, ma non autentica rabbia. Non pi. Per fortuna. Non sta bene dare spettacolo, pure se funziona. Quando e se avr limpressione che la passione di Angela subisca un rallentamento, in futuro, forse tirer fuori dal mio archivio quegli storici occhi di brace e li rimetter in attivit per unaltra breve, fulminante replica dautore. La vecchia, invece, era totalmente fuori. Era ben altra cosa. Non aveva altre dimensioni da abitare se non quella della follia, lontana come era anche dal suo quartiere abituale e in evidente disagio urbano, oltre che psichico. Era l per denunciare la sua sofferenza, ma non sapeva dove conducessero le strade che percorreva. Non si pu rivelare nulla se non si conosce un percorso da fare, rifare, indicare. Era uscita in strada senza le chiavi di casa. Autodistruttiva. Solo gli altri vecchi la notavano. Qualcuno tra questi,
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pochi, addirittura rallentava, con la busta della spesa in mano, o sollevava il cappello per capire. Per gli altri, invece, non esisteva. Soggiornava nel frastuono da citt senza dar fastidio. La vecchiaia non fa parte della vita che si muove ed pi attenta alle piccole cose, se riesce a vederle. Solo i vecchi guardano i vecchi. Mi capitato, al massimo, di notare qualche vecchio bacucco contemplare i giovani o gli adulti maturi, ma ancora belli da guardare. Mentre i giovani mai. Non guardano i vecchi. Ne sono anzi disgustati. Quelle palpebre ammollate come tende di vecchio teatro, quelle pelli come percorsi saltabeccanti di grilli, quelle bocche flosce, bucate, mancanti e crespe come portoni abbattuti, troppi peli bianchi e duri come avanzi di roghi. Veramente disgustosi. Un vecchio non ti disgusta solo se, per parentela o caso, riesci, guardandolo, a ricordare che faccia aveva cento anni prima. Hanno una loro estetica tutta commemorativa. Per questo i giovani non guardano i vecchi: non se li ricordano. Non ricordano loro e non hanno ancora cominciato a ricordare neppure se stessi. Si possono fabbricare volontariamente ricordi non ancora maturi? Forse, non so. C qualche caso particolare, lo fa qualche scellerato, lamante di racconti dellorrore; a volte, se necessario, lo fanno i fotografi di professione o gli scrittori, per dovere di cronaca, magari per venire incontro alla cronaca stessa, quando troppo noiosa. La mia vecchia non era per una vecchia qualunque. La mia vecchia pazza era stata scelta da Dio, quasi che Dio elegga tra i poveracci i suoi ambasciatori, per una forma di compensazione. Scelta per svelare il mistero dellomicidio. Colpa mia forse: ho unimmaginazione romantica. Quella diceva che il sangue dellassassino era entrato dentro di lei, il sangue dei froci, appunto. Dopo la sua morte, tutti avrebbero potuto conoscerne la vera identit, aprendole in due la pancia gonfia daria. Di quelloceano di sconcezze, il traffico se ne trascinava lontano almeno la met, e lei rimaneva come un burattino orrendo con i fili non ancora recisi. Sprecata. Era la prima volta che mi capitava. Normalmente, quando mi trovavo in quella zona, ero sempre preso da pensieri dufficio, dai miei casi, e nulla mi distraeva. Io, e il resto delluni231

verso, ci facevamo ognuno i fatti nostri. In altre circostanze, se non mi fossi sentito in attesa, bisognoso di ricordi prima della partenza, forse, non lavrei notata. Ma, quella mattina, avevamo messo a posto il fascicolo del Corietti: dattiloscritto, pubblicato, depositato, espulso. Era una mattina in cui dovevo ascoltare per scegliere. Era una mattina di bilanci, tonda ma deprimente, e la vecchia aveva un suo strambo megafono a risuonare tutto per me. Perci la notai. Le indagini non avevano portato a nulla; alla fine avevamo deciso per una richiesta di archiviazione e nessun altro giudice, dopo di noi, avrebbe avuto qualcosa su cui decidere. N avrebbe protestato di certo. Finiva cos. Lelaborazione della nostra incertezza non era riuscita ad andare oltre quel pacco di cellulosa, salvata al macero. La colpa era delle regole, non nostra. Detto cos sembrava fin troppo scontato. Ebbene s, c un rigore giuridico, delle regole di gioco da rispettare, anche quando non si compreso un tubo di tutta la faccenda; anzi soprattutto in questo caso. Le regole ci avevano impedito di arrivare alla verit. Ch di Verit si trattava. Di questo. Eravamo rimasti senza unoscena verit o unufficiale menzogna. Le regole ci avevano buttato fuori dalla partita, perch non avevamo saputo farle fruttare. Anche se si sta perdendo, se si hanno in mano solo quattro carte da niente, le regole non possono essere infrante. Si gioca con pochi strumenti e la verit che intuisci, se la intuisci, la devi modellare, limare, adattare allo spazio ridotto offerto dalle regole processuali, senza violarle. Questa la parte pi difficile. Lo diceva anche il maestro Ietta, che forse non era stato proprio esplicito sul punto, ma la direzione dei suoi gesti, il senso che prendevano le sue spalle piegandosi, il bianco smunto della sua agenda, era di questo che parlava. Come era questo mestiere? Era un po come far entrare unanguria in una buca da golf. Una questione di formine sulla spiaggia. Non so quali altri esempi fare, insomma, un gioco da bambini, sincero ma di fantasia.
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I fatti rappresentano la sabbia di grana fine, cio una materia vasta, ma informe; la norma giuridica, invece, rappresentata dalla formina da sovrapporre alla sabbia, per modellarla. Il numero dei granelli non neppure confrontabile con quello delle formine a disposizione. Sono grandezze non equiparabili. Ne viene fuori la stella marina, la tartaruga, la torre merlata, una qualche verit giuridica visibile, tangibile, comprensibile, solo se sei stato bravo e attento. Sei hai bagnato la sabbia al punto giusto, n troppo n poco. Lo sanno anche i bambini. Esistono tonnellate di formine giuridiche, ma mai in numero sufficiente da contenere tutta la sabbia da cui siamo quotidianamente sommersi. Da l lumana fatica. Siamo nati per soffrire. Per misurare, contenere, compensare. Ci sono verit di tutti i tipi, se pure con lo stesso fine: bilanciare. Prove, ci voglio prove, ch la verit fantasticata non esiste in un processo. La formina senza la sabbia che vale? A far finta di stare sulla spiaggia a Natale? Inutile e fa freddo. La stessa vanit assilla la sabbia senza la formina. La sabbia non si trattiene: scorre e lascia tra le dita uno sgradevole prurito. Questo il gioco: senza prove si ritorna al VIA o si paga pegno. Restava questo buco. Enorme. La morte. Non ci entravano le nostre angurie, per quanto succose e vivaci; non ci entravano il sacerdote affarista, il farmacista ambiguo, lamante addolorato e le donnine allegre, nemmeno le muscolose mogli ingannate, non entrava la commerciante sola e le sue bambine abbandonate. Non potevano infilarsi le ossessioni della ragazza sfrattata, n servivano le pi astruse testimonianze oculari. Neppure lombrello. Frutta fuori misura, buona per essere urlata al mercato del venerd. Per tutte queste ragioni notai la vecchia, quando la partita era gi stata chiusa per rinuncia. La vecchia era quello che restava in cassa, fatti i conti di chiusura. Urlava. Sbraitava il danno aggiuntivo che non avevamo saputo limitare durante lo sforzo interpretativo della realt. Cerano, in quel contesto giudiziario, errori accettati, ritardi consentiti, sprechi tollerati. Oltre questi, si elevava la
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pigrizia, il rimprovero, immoralit o, al peggio, la segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura. Quel surplus terrorizzava Ietta. Se la vecchia era andata fuori di testa era colpa nostra? Avevamo causato noi quel danno altrimenti evitabile? Ma no, che centravamo noi? La vecchia era gi fuori di suo. Al pi e senza volerlo, avevamo acuito una sintomatologia gi esistente. Non eravamo una cura, noi, per nessuno, n ci aspettavamo di esserlo. Almeno credo. Qualche dubbio cera, lo ammetto, e nel dubbio la notai. Poi rimasi devotamente ad ascoltare il suo bollettino di guerra. Ascoltando, la risarcivo comunque. Non si sa mai. Aggiravo qualche senso di colpa. Tutti condannati al contagio e alla morte, diceva lei. Creperemo per colpa dei giudici. Lei la prima, poi gli altri. E infatti, quando un bisogno vitale come quello della giustizia resta insoddisfatto, ti nasce in testa lidea della morte. Non dico sciocchezze: cos che accade. Che me ne faccio io di questa stramba sagoma sulle scale, pensavo. A quel punto, quasi cadendo allindietro, per il conato finale, la donna url che lombrello di Dio, quello che svelava il mistero, le era stato rubato dal giudice. Mi fece sobbalzare. Quale giudice? Quella parlava di me, la belva in abito da sera parlava proprio di me. Poi con le mani che si aprivano come rami senza frutti, tacque. Rimase immobile, come fulminata, cos che il suo silenzio e il mio sguardo cominciarono a scazzottare. Ferma lei, presi a muovermi io, a far scivolare le scarpe a disagio, a strofinarne la suola ripulendola senza zerbino. Accadde in quel preciso momento. Accade un fatto strano e preciso. Sulle vene delle vecchie mani le si pos una farfalla viola. Comp una fantasia acrobatica sulla matassa sprimacciata dei capelli cenere e si pos. Niente di nuovo. La farfalla faceva quello che sapeva fare e, si sa, i rami secchi sono un ausilio al volo. Un trampolino di lancio sincero. Era solo una piccola farfalla viola che si pos. Niente di anomalo. Volava e si ferm, come tutte. Ma era viola. Non era di un altro colore: era viola.
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In fondo era maggio, un maggio orrendo, cos che lempireo della citt cercava di dimenticarlo. Ogni cosa era indotta a disimparare il tempo, tranne le farfalle. E io che credevo che i tribunali fossero il posto giusto per certe faccende. Ed io che mi sentivo al sicuro l dentro. Forse dentro, ma non sulle scale. Sulle scale cerano onde sonore di pura metafisica, in aperto contrasto con qualsivoglia verit materiale. Avevamo camminato in tondo, il buono e lallievo, per mesi, ma era quello che eravamo chiamati a fare. Circuiti interpretativi. Almeno cento volte lo stesso percorso mentale. Non era stato un errore a frenarci, io credo. Era unaltra la spiegazione. Sono una persona ostinata: i tribunali, nonostante tutto, restano per me il posto della verit. Pensiamoci. Non ci sono altri posti di ricerca onesta e romantica. Secondo me. Non voglio fare pubblicit. Verit. Giustizia. Sofismi tecnico-giuridici. Sono roba soltanto nostra. Ma ci sono dei limiti, chiaro. Un atto di violenza cos efferato potr essere mai essere ricondotto allequilibrio originario, grazie alla parola di uomini in toga, dentro unaula di tribunale? Forse no, ma dovevamo provarci. Cosa sono le aule dudienza? Una specie di cannocchiale puntato, ma non sempre del tutto a fuoco. Non del tutto a fuoco, ma lobiettivo resta utilizzare le parole e le azioni, creare nessi, mettere ordine. L dentro molto pi che altrove. E non c altro posto simile, mi pare. Non in chiesa, non in casa, non nelle scuole, non in piazza; nelle piazze ci sono solo i piccioni a scacazzare su ogni superficie e le parole sono solo marmellata che fa croste. Nei tribunali ancora diverso. I tribunali si portano ancora addosso alcune vistose stimmate, ma ci sono rimasti solo loro. Altrove nessuno si aspetta verit o giustizia; si hanno di queste pretese solo nei tribunali. Lultima occasione per tanti. Si sappia una volta per tutte: le parole del diritto sembrano finte, ma unallucinazione acustica, un maquillage ben riuscito. Vengono messe in un certo ordine, aggiornate periodicamente, ripetute armonicamente, fatte tacere per decenni e poi ritirate fuori allimprovviso come un vecchio
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quadro sotto il crollo di un castello. Sono state pensate per far paura, per sembrare diverse dalle altre, perch controllino il caos o lo provochino. Ma sono vere, respirano. Noi non eravamo stati capaci di mettere ordine fra le parole usate. Questa competizione che si serve della grammatica e del vocabolario, mi ricorda le paure pi segrete di Angela e certe sue perversioni. Angela, infatti, mi racconta spesso delle volte che aspettava chiusa in camera che si esaurissero le parole a casa sua. Le parole degli altri. I suoi genitori se ne dicevano di tutti i colori, ma tra quelle comuni, cerano due categorie di parole specifiche: quelle azzardate e quelle salutari; partorite entrambe dai bisbigli. Lei se ne stava a origliare, pregando a occhi strizzati che non venisse detta quella certa parola, non dirlo, non dirlo, sperava; non dite adesso quelle parole. Erano sempre quelle due o tre, quelle che scatenavano reazioni a catena, sempre le stesse: falsit, preconcetto, dipendenza, non erano parole univoche, avevano peso solo in un certo contesto, erano la sua soggettiva Hiroshima da divano. Altre volte supplicava dillo ora ti prego, dillo subito, e sperava che venissero pronunciate proprio quelle che placavano, che allontanavano altri suoni, che liberavano, tipo equivoco, logorio, pazienza. Non interessava la sostanza del pensiero, che pur rimaneva invariata, non potendo in alcun modo mutare la sua casa nelle sue pietre; per Angela contavano solo le parole da usare per controllare il dolore. Si mangiava le dita perch lei era lunica in casa a saperle usare. Gli altri no, ne facevano un uso sconsiderato, crudele, mettevano le une contro le altre. Le parole non sono un fatto marginale, lho detto. Sono vive. Negli anni ha smesso di usare con i suoi famigliari parole tipo allegria, carnevale. Nasconde la gioia, le volte che ce lha tra le mani. Non la tollererebbero. Non voglio apparire catastrofico, per carit, la genetica paterna si ribellerebbe, ma questo il lavoro che faccio: cercare la verit lavorando sulle parole della gente, e rendervi
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giustizia. Se non la trovo, ho fallito. Non si bara, tanto poi si finisce sui giornali. Nonostante la legge, il suo processo elefantiaco, non avevamo potuto usare n capire quali erano le parole giuste. N usarle, n scriverle in sentenza. Perch, infatti, le parole giuste devono essere scritte, altrimenti non vale. Non basta la voce. N basta un uomo solo. Un uomo da solo non ce la farebbe mai. Non un solo giudice, ma molti e diversi. E non solo giudici. C molto di pi di un uomo in gara, lo giuro. Mi metto una giacca onesta per spingere su questacceleratore e alle volte mi stanco come un ciuco e mi si rivolta lo stomaco, ma questo il mestiere che faccio. La giacca sembra nuova? un inganno. Carta e corpi umani, come per i cartapestai. Se non questo, che cosa allora? Di per s la legge scritta non serve a niente. insufficiente, boriosa, impotente. Nelle stanze dei tribunali, dietro paranze dalluminio, ci sono individui che vigilano su questinsufficienza, controllano sui monitor il battito cardiaco lento e affaticato del legislatore. A volte ne dichiarano il decesso. Amen. A volte il recupero. Amen. Ci sono stanze pi grandi di quelle dei praticanti che somigliano a reparti ospedalieri davanguardia, specializzati nella sperimentazione estrema. Ho sempre creduto che certi ambienti fossero quelli giusti per far trovare pace agli assassinati. Non ho ancora cambiato idea. Il mio un diritto mite: n pessimista n ottimista. Il diritto dellostinazione e della fantasia. Il diritto del cartapestaio. Una discreta cartapesta. Discreta e netta. Nessuna altra stoffa. La mano, lacqua, la carta di giornale stropicciato e vecchio, cauterizzano una ferita. E posso dirlo in giro. Anche adesso, per esempio, davanti a questo biblico semaforo rosso, ai piedi di un incrocio contorto come un pitone che dorme, frantumato in rivoli stradali laterali frequentatissimi, impicciato da autoarticolati che hanno perso la strada, con il verde che non scatta mai, anche adesso vado verso la verit o il suo desiderio. Magari poi in ascensore incontro un tipo che odio e mi distraggo, nuotando in un versamento improvviso di bile, assolutamente soggettivo, assolu237

tamente di parte, spingendo la verit a perdersi in troppi desideri, e divento crudele e vuoto. Eppure resta il fatto che, dal luned al venerd, vado verso la verit di tutti. Ricamo un vestito di carta addosso agli uomini, come si fa con i pupi di Natale a Napoli. E sono soggetto alla carta e ai suoi limiti. Per mestiere riempio i vuoti. Le buche. Si parla tanto di certezza della carta e del diritto. Ti dicono: la formina questa, la sabbia quella, mettiamo insieme i numeri, facciamo la somma, o dentro o fuori, nessun artificio, nessuna manualit. Certezza: ne sono piene le dottrine di questa certezza facile; la chiamano ancora cos i colti, o i pigri. Certezza. Ma anche quelli, i puri, quando il caso, esigono vestiti su misura. Dicono: noi non dobbiamo adattare la realt alla forma. Rigidi, tutti dun pezzo. Dobbiamo solo prendere le misure, non garantire risultati, dicono. Usare la legge cos come . Basta. Facile a dirsi. E allora, dunque, che ci faccio io oggi con il pensiero della vecchia che mi rimasto in tasca? Non voglio restare per sempre ad attorcinarmi intorno a un metro rigido da geometra. Cos addestro locchio e la bocca a quanto c da vedere e raccontare. E raccontando le cose, le comprendo meglio. Consumo litri e litri di benzina e, se non posso evitarlo, ripenso a mio padre. Vado e cerco di scegliere un punto di vista, sperando di non cambiare idea troppo spesso. Cambiare idea? Sia chiaro: non sono mica stupido. Mi accorgo che tutto tende al cambiamento: io, la mia casa, Angela, i figli che ancora non ho, i codici, le mani della gente. Ecco perch mi piacciono i cambiamenti; per preparami a questi esami che ho fatto pratica. Anche nei palazzi di giustizia le cose cambiano, lentamente ma cambiano. Anche le biblioteche dei Tribunali cambiano. Cambiano anche gli impianti di climatizzazione. Anche la durata delle udienze e le rivendicazioni sindacali cambiano. Le sedie dietro le scrivanie adesso sono ergonomiche e rispettano i reni dei dipendenti. Novit motivate. La vecchiaia dura a lungo perch comincia quando
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sei giovane, e ha tempo per cambiare; comincia ora, svegliarsi, presto svegliarsi! gi tutto cominciato, non sono ammessi ritardi! E se lesistenza, come variazione stabile, deve essere una pena, mi sono scelto Angela da sposare e il matrimonio come misura sostitutiva. Ci tengo. Tuttavia, se potessi non cambiare mai, forse non cambierei. Se mi fosse dato scegliere. Minor fatica, minori rischi. Non ho fortuna io, forse la fortuna, come laltezza, salta una generazione. Mio padre pi alto di me di almeno dieci centimetri. Infatti, non ho fortuna e non sono alto. Mi viene da dire che forse sarebbe pi facile se nulla cambiasse mai; s, magari potrei sostenere a lungo questo smodato elogio della pigrizia, in nome della coerenza, della forza di carattere o di altre scempiaggini simili. Potrei. Perch uno, quando uomo, e ha sviluppato una certa abitudine alle parole, pu sostenere quello che vuole, argomentarlo, ch poche sono le tesi davvero insostenibili. Io stesso a volte sostengo con ardore una tesi e il giorno dopo, candidamente, me ne dimentico, facendomi latore appassionato di altre voci, di altre posizioni, opposte alle prime, ma con rinnovato sincero entusiasmo. Non che abbia davvero cambiato idea, piuttosto, unidea non c mai stata; mi sono semplicemente dimenticato di quanto affermato poco prima. In realt non cos importante affermare una cosa o non affermarla; mi andava e basta. Ero tra amici e mi andava cos; in quel momento specifico Tizio mi era pi simpatico di Caio e ne ho sposato la filosofia. Stop. Tesi. Antitesi. Che vale? Ma quale forza di carattere, quale coerenza, quale noiosa certezza! La realt ci contraddice sempre. Il tempo passa. Non mi resta pi neppure lumore a cui aggrapparmi, come fosse una guida alpina di lunga esperienza. Il metabolismo non pi quello di una volta; i muscoli cedono e le cose cambiano. Persino Angela. un fatto. Le cose cambiano perch devono cambiare, non si tratta di scegliere. Limmobilit non n ragionevole n naturale. Poich desidero che il mondo pensi di me che sono un uomo ragionevole, cerco di apprezzare le novit e
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cambiare idea senza dolore. Nonostante la pigrizia che certi giorni sale come nebbia. Perch il diritto non dovrebbe seguire la stessa altalena e ritmo? La fissit che certezza ? Resta, giusto, il fatto triste che i numeri sono numeri e che quando hai fretta, troppi fascicoli sulla scrivania, troppi uomini tra le mani, finisci per imboccare la strada pi facile: quella dei numeri, per la quale uno sempre e solo uguale a uno. Non c nulla da spiegare o da capire. Ci vuole molto pi impegno a sostenere che uno sia uguale a uno. Il corsivo costa pi fatica, a lavorarci su. Per la matematica pura basta una firma in calce. Cos le domande della gente ti restano sotto le scarpe o sopra lo zerbino di casa al rientro. Ma che certezza la fissit dei numeri e dei calcolatori? La certezza della propria stanchezza o di un fallimento. Ecco cosa . Io non so sbagliare. Mio padre non me lo ha insegnato. Non ho mai fatto pratica su questo segno grafico. Anche Ietta, dieci anni fa, pure lui, poveraccio, mica mi ha detto abbiamo sbagliato, cos che capissi e imparassi. No, lui ha illustrato, giustificato, compensato. Sorriso. Tutto qui. Ma sono anni che sfoglio fascicoli, con poche foto dentro, e non posso proprio credere che sia tutto qui. Dieci anni fa languria non andata in buca, va bene, non avevamo niente per riempirci una misera buca da golf e dirci soddisfatti. Dieci anni fa non accaduto, ma magari domani, chiss. Non mi arrendo. Guido un motore a lenta ripresa, che non mio, ma che posso ancora imparare a usare. Ci sar ancora qualcuno disposto a educarmi. La legge esiste, pu, per il fatto di esistere. Il resto sembra destinato a venire e a salvarci prima o poi. Quando quella mattina mi arriv sulla fronte lassenza forte dellombrello della vecchia, mi venne voglia di tornarmene a casa. Quello urlato dalla vecchia era il primo rimprovero ufficiale che ricevevo sul lavoro. Il primo in assoluto. Fece piuttosto
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male. Un morto = il buio escatologico; non era un risultato utile. Zero punti. Reazione? Dopo il primo insuccesso, mi venne voglia di casa. Immediatamente, come accade ai bambini a scuola. Non era un desiderio intempestivo. Da l a poco, infatti, avrei dovuto scegliere la sede della mia prima destinazione con funzioni piene. Posizione in graduatoria medio bassa, la mia, ma volevo tornare a casa a tutti i costi. Ai luoghi dellidentit. Avrei venduto mia madre pur di non dovermi sottoporre ad altre prove lontano da casa. Se non poteva essere proprio casa mia, che almeno fosse il pi vicino possibile. Casa, casa, casa. Per la prima volta, dopo i consigli da avventuriero di mio padre. Casa. Non avrei mai voluto deludere mio padre, vero. Il suo occhiale rosa lo rendeva pi vulnerabile dinanzi laltrui disagio. Se mi vedeva un po gi di tono, scuoteva la sua faccia piacente e rasata. Proprio non capisco cosa ti manchi. Hai tutto quello che serve a essere felice. Mica sbagliava, dal suo punto di vista. Gli era noto solo il meglio. Il mio unico modello di riferimento era il mio vanto e, in ugual misura, il mio terrore. Strana la vita. Da mio padre ero attratto per sangue, ma, nello stesso tempo, allontanato per indole. Lui era laereo atterrato morbidamente in orario, io quello che riscalda i motori in pista in una giornata perturbata. Scherzo del destino e della genetica: ero il topolino segretamente partorito dalla montagna. Io basso, lui alto. Lui la norma, io leccezione. Facevamo e facciamo come dimenticarlo? lo stesso mestiere e questo non aiuta. Magistrati. Angurie per entrambi. Non volevo tradire nessuno. In attesa di rivoluzionarie scoperte scientifiche in materia, continuavo a considerare le attenzioni generose di mio padre con avvedutezza e a osservarlo mentre continuava a vivere, dentro quella sua solita aura, senza nessuna percezione del tormento delluniverso intero. Pur cercando di tenermene a distanza di sicurezza, da quellaura ero sfiorato, trafitto. Un topo allombra della sua montagna. Mai detto niente di tutto questo a mio padre; mai. Lo giuro su mia moglie che, invece, sa tutto. Era il possibile disinganno di mio padre a impensierirmi, non la sua allegria. Come possibile? Il mondo non perfetto
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come credevo? Ho fatto male i miei calcoli? Non posso crederci. Qualcuno ha sbagliato e questo qualcuno potrebbe essere il mio unico figlio. Ahim! Avrebbe detto cos. E se fosse diventato vecchio allimprovviso per colpa mia? Per la mia incapacit di intervenire, di gestire la realt? Vedere un padre, lessere pi miracoloso che luniverso abbia creato, da sempre risplendente deuforia e coraggio, ridurre la sua naturale quota di luminosit, un grande dolore per un figlio. Per, io non ero come lui e, se non lo ero, allora dovevo essere qualcosaltro. Essere comunque. Magari senza arrecargli danno. Cambiare dignitosamente il quadro appeso nel salotto e scegliere altri soggetti accettabili. Buon marito, buon giudice, buon padre, buon uomo. Identit variabili. Contro questa inquietudine, tornare a casa poteva essere un toccasana. Anche se non ero come lui, tornare in patria sembrava perfetto. Il minor guasto. Portai Angela con me a Roma il giorno della grande scelta, giusto qualche mese dopo la scenata della vecchia dei santini. Lei interruppe, solo per tre giorni, il suo tessere quei cento metri di tela di protesta. Volo Itaca-Roma, con soggiorno in Hotel quattro stelle, a spese dello Stato. A Campo dei Fiori. Chi se lo dimentica? In aereo cerano dei colleghi di Bolzano che imprecavano contro i numerosi uditori che scalavano le graduatorie, passando in vetta, falsando a tradimento i risultati degli orali, grazie ai punti aggiuntivi benignamente offerti da mogli e mariti inamovibili, figli bisognosi come pulcini, e patologie, le pi svariate, di zii, cugini; nipoti, tutte circostanze ben tutelate dalla legge 104. Noi due, tra gli altri passeggeri, facevamo finta di essere in luna di miele e di fare altri mestieri; il veterinario e lastronauta. Cercavamo di non tradirci con tecnicismi lessicali da giuristi in volo. Durante il viaggio, leggemmo narrativa devasione, per puro depistaggio. Era cos che avveniva: si andava in un grande albergo, freddo e porcellanato come una cella frigorifera, che in genere ospitava congressi di portata internazionale, l ci attende242

vano un palco con la commissione schierata, una sala gremita di targhette nominative; microfoni, bottiglie di acqua minerale, fidanzate granfighe, qualche moglie, padri e madri orgogliosamente anziani, spalmati in sala o nei corridoi. Credo sia ancora cos, magari solo mutata la scelta dellalbergo ospitante. Mi sembra di rivedere tutto: scorrendo la graduatoria ufficiale, resa pubblica assieme ai posti da coprire, il presidente scandisce nome e cognome; per scongiurare imbarazzanti omonimie. Il nominato si affretta fino al palco, si arrampica lungo il microfono come un ramarro sul ramo e fa lo spelling, pronuncia piano la sede che ha scelto, o crede di aver scelto, per il suo futuro lavorativo. Fa la sua scelta infernale, perch definitiva, mentre nelle orecchie si porta ancora leco degli ultimi consigli; dellultimo corpo a corpo con le aspirazioni di famiglia, con i propri traumi infantili, con i ricordi di scuola guida, con lallergia al polline, con la musica rock da ascoltare in macchina, col sorriso agognato da secoli dalla sua famiglia con altri sette fratelli disoccupati, fai i conti con lultimo documentario sulla Patagonia o sul lago Titicaca; con tutti i dicono che. Alla fine inventa una citt che non esiste. Ridisegna lo stivale. Lo ripopola, meticciandone i dialetti. Cos emerge la geografia della sua verit. Una nuova formina. Io non ero impreparato. Con Angela avevamo predisposto una nostra selezione di luoghi possibili, di citt visibili e vivibili, per precauzione, e perch un amico con pi esperienza ci aveva consigliato in questi termini. Avevamo litigato per giorni e comprato uno stradario. Le sedi fattibili erano trecentosessantasei, ma di queste solo dodici erano davvero desiderabili. La Sicilia era una di questultime. Tutti i magistrati prima o poi pensano alla Sicilia. Anche quelli siciliani, perch gli schiamazzi del mito arrivano dappertutto con gli stessi decibel. I magistrati, se sono delusi, annoiati, eccentrici, pensano alla Sicilia. Si immaginano con una vanga in mano e la pistola nellaltra, furtivi nella notte, su strade asciutte, da un portone allaltro, in auto blindate, sagome irradianti ardimento. Accade, forse, solo perch non hanno ancora sentito parlare della vita in Calabria e delle sue strade. Comunque
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accade. La Sicilia dei pensieri una sorta di assolata legione straniera, in bianco e nero, alla maniera dei film di Stanlio e Olio. Ora, io non ho mai desiderato cercare unestranea verit insulare, no, mai pensato una cosa del genere; resta il fatto che ho ricevuto anchio un paio di cartoline dalla Sicilia e le ho apprezzate. Il sud mi attrae per affinit. Se non fosse uscita fuori la carta del ritorno, la Sicilia sarebbe diventata vicinissima. Ad un certo punto, un viaggio vale laltro. Se non poteva essere casa, ogni altra sede avrebbe imposto comunque un viaggio. Ma questo un pensiero vecchio di dieci anni. Allinizio tutti i cambiamenti sembrano possibili, in quanto creduti brevi, transeunti. Allinizio si brama la mutazione genetica. Soltanto pi tardi si comprende quanto pu durare veramente il Viaggio. Potevo affrontare anche la Sicilia dieci anni fa. Cos credevo io. Sarebbe stato un disastro ancora sanabile dieci anni fa. questo che fa la giovinezza. La morte aveva avuto un merito comunque. Il Corietti era stato capace di mettermi il freno. Solo lui e solo in parte. Se non fosse stato per quella storia del Corietti pugnalato, chiss ora dove sarei; chiss davanti a quale semaforo. Ah, s, certo: chiss cosa avrei fatto io, se la vecchia non mi avesse messo paura. stata solo colpa sua, colpa del senso di vuoto che lascia lassenza di verit. Colpa delle vertigini. Se non avessi incontrato il sangue del Corietti, forse oggi sarei siciliano e perfetto. Angela pu anche continuare a dire che non vero, che sono io quello instabile, quello incerto, il parolaio, ma io so che colpa della vecchia. Uno certe cose le sente. Dove sarei adesso? Angela non lo sa. Io s. Viceversa, sono a pochi chilometri da casa. Per arrivare in ufficio, prendo lauto dal garage, non un autobus, ma lauto con limpianto di condizionamento. Considerato che, nella mia citt, non si possono aprire i finestrini in estate. Percorro dieci chilometri, scelgo uno tra i parcheggi a me riservati e salgo tre piani in ascensore. Ho tempo per pensare. Uno o due pensieri, non di pi, e nemmeno troppo complessi.
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In fondo, accettare un lavoro in una citt piuttosto che in unaltra, non come fare una vacanza. Significa condannarsi a operare in modo schizofrenico. stato meglio tornare, quindi. Giocare a golf con mazze, angurie e buche, ma in casa propria. Scegliendo un solo modo di essere e fallire. Una volta Angela mi disse che la parte migliore del viaggio il ritorno. Lei capace di queste sintesi. E quando ci riesce, sembra illuminarsi di luce divina. Meravigliosa e saggia. Crederle salutare. Che parli di corpo e parole, che metta un confine tra la fantasia e la materia, non conta; crederle necessario. Guardarla quasi rigenerante. Sono ritornato come E.T., senza altri termini di paragone se non la testa di Angela, i suoi bulbi piliferi senza requie, il suo modo di formulare i pensieri a sezioni logiche molteplici, ma ben distaccate. Sono tornato e mi sono persino commosso. Con Angela che faceva il tifo, chiaro, per me e per un ipotetico embrione. Sono tornato perch avevo capito pure unaltra questione: cera stanchezza nellaria, invece daltri profumi casalinghi. Sallargava una crepa. Lo sentivo che cera qualcosa che scricchiolava sotto le mie scarpe, diffondendo un suono infausto, se pure lontano. Era il suono che fanno i letti vuoti, cigolando sinistramente. Come quelli posati su soppalchi, che paiono stabili, di legno e metallo, ma gemono anche sotto un peso da niente. Sanno di tarlo. Angela diceva che le mancava il mio corpo, ma non in senso biblico: le mancava vedere il mio corpo che riempiva gli spazi di ordinaria quotidianit. Il bagno, il corridoio, la veranda, il letto. Vedermi muovere, deglutire, tagliarmi le unghie o leggere in bagno. Si stava organizzando per combattere questa assenza, cercando altre dimensioni che riempissero quegli spazi cavi. Si era appassionata alla narrativa America Anni Sessanta e annichiliva volontariamente ogni mio programma, cambiando idea di continuo. Il sabato, nel tepore delle coperte, lei era larga, sempre pi larga, sgomitava. Aveva il sonno solitario delle vergini, reagiva al contatto, mugugnava sorpresa, allargava le gambe come il quattro di mazze. Dovevo spiegarmi, dire chi ero, per poterle toccare i fianchi. Poi, divenuta finalmente cosciente,
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sceglieva lei. Non lo aveva riempito daltri uomini, non ancora, per fortuna, non ancora, ma quella lacuna di corpi e il bisogno di dare una misura alla sua vita senza di me, mi imbarazzava non poco. Era quello il suono che percepivo, una sorta di marameo alle mie spalle. Fastidioso e confuso. Come a essere in continuo ritardo sulla partitura. Per sentirlo con pi chiarezza e magari azzerarlo, dovevo assolutamente prendere subito lautostrada che, a fatica, mi avrebbe ricondotto a casa, nel mio mondo imperfetto. Mi immaginavo ad attendermi un abbraccio lungo, al sapore di mandarino, a Natale, una stretta di braccia che recasse leco di elementi remoti e primitivi. Che mescolasse pelle e sudore e sogni. Un abbraccio ibrido, ma riconoscibile. Un abbraccio che dicesse lavevo detto io! Quello della conferma, del eccoti qui, guarda come sei diventato in tutto questo tempo. Volevo rendere conto di me a qualcuno. Dovevo tornare per riempire un abbraccio di quel poco di me. Nel microcosmo di casa mia, a maggio gi estate, a prescindere dalla moderna scienza meteorologica e dalle nuove divise dei colonnelli dellaeronautica e, solo in nome di questassunto, le farfalle in volo, a maggio, sono molte di pi di una. Si spostano a frotte. Dalle mie parti, lestate un ricordo vicinissimo: solo il freddo intenso aumenta le distanze tra una memoria e laltra, ma dura un attimo. A maggio ci si spoglia. A casa mia, a maggio non vola bassa solo una farfalla, ma molte, moltissime, e appaiono quasi tutte uguali, a parte i colori; da non farci caso. Ovunque farfalle, proprio in quelle stesse ore del giorno in cui, in altre citt, non visibile nessun volo simile. Solo qui tante farfalle. A giugno, nellafa, il numero si riduce di poco. In genere sulla sabbia, tra le dune e i gigli selvatici, puoi individuarle in coppia, bianche o gialle, in danza sincronica, vicine tra loro; le puoi vedere insinuarsi tra viso e viso, quando sulle spiagge, intorno allora di pranzo, arrivano le commesse a prendere il primo segno del costume intorno al collo. Le commesse dalle 14.30 alle 16.30; dopo si rientra al negozio. A luglio ci sono le falene, gi pi grigie, ma rapidissime e stupide, a coprire le luci troppo forti.
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Sono le farfalle a rendere una citt diversa da unaltra. Ogni stagione diversa dallaltra, ogni ora diversa dallaltra. Nella citt in cui avevo iniziato, avevo notato una sola farfalla, una soltanto in cos tanti mesi; per questo aveva colpito il mio cuore. Una farfalla viola. Solo andando via mi ero reso conto di quanto fossi stato lontano dalla mia casa, dalla mia vita; quanto stessi dimenticando, perdendo. Una citt non vale unaltra, cos come una farfalla non solo un insetto. Ho sempre amato i dettagli e le differenze, vero, quelle stesse differenze che possono a volte colmare lo spazio immenso, spesso invisibile, che si frappone fra gli eventi importanti di una vita. Mi piace lidea di essere un giudice entomologo. Sfido chiunque a negare quanto sia pi facile riconoscere gli insetti in casa propria. Quella farfalla viola, quel tatuaggio sulla nuca di unadolescente, mi rimasto in testa. Quella una differenza che forse non ho saputo cogliere in tempo. Non meno di quella della vecchia, che mi rimprover aspramente e mi rimprovera ancora. Adesso che sono qui posso ricordare e distinguere le farfalle che volano nella nebbia, da quelle che bruciano al sole. Ma non posso fare nientaltro, ormai. E, per fortuna, ho anche perso sette chili. Sono pi lieve anchio. Non ho altro da compensare se non quella ciccia. Nessun altra fatica, nessun altro merito da riconoscere. Nientaltro, n io, n Angela. Chiss se ci riuscito anche Ietta. Se ha recuperato angoli di volo libero o se ha appesantito la corsa. Se ha colto le differenze. Le scelte giudiziarie e quelle matrimoniali a scacchiera. Vorrei rivederlo prima o poi. Sette chili di inservibile e fuorviante leggerezza non sono mica pochi. Verde. Allimprovviso lincrocio libero, per me e per il vigile di competenza, che agita i guanti bianchi nella mia direzione e pare avere ben pi di dieci dita. Mi ero distratto, ma adesso, finalmente, posso andare.

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XVI CAPITOLO

Penelope, svegliati cara figliola, per vedere cogli stessi tuoi occhi quello che ogni giorno desideri. Odisseo arrivato ed in casa. Anche se tardi, tornato ed ha ucciso i proci superbi che la sua casa infestavano, ne mangiavano i beni. E opprimevano il figlio. Omero

Sai a cosa stavo pensando, Nicola? Cosa? Alla ragazza. Quale? La figlia, quella un po strana, con il tatuaggio strano; la figlia pi piccola. Che ci pensi a fare? Tanto le indagini sono chiuse. Ci abbiamo lavorato un sacco. Adesso basta. No, dicevo cos per dire. Che fa la ragazza? Si sono trasferite: madre e figlie. E tu sei stanco? Abbastanza. Non dovrei secondo te? Non normale, per. Non tu, dico loro. Dopo anni, non normale ricominciare; non ha mica ventanni quella madre. Come campa con due figlie? Il lavoro, la scuola? C da dire che ha preso una bella travata la signora, mi pare. Con buone probabilit il negozio non rendeva pi come prima. I cattolici a volte sono molto superstiziosi. Avr perso chiss quanti clienti. Ha chiuso e basta. Se ne sono andate in unaltra citt. Ma in fondo Certo! Bella pubblicit per il negozio un morto ammazzato! Non credo che il fatturato, dopo il fattaccio, sia cresciuto per morbosit. Per quel tipo di commercio tutto dipende dai rapporti con la Curia. Magari, in unaltra citt, una citt
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con un cuore meno marcio. Magari altrove cera la disponibilit di un parente e ne hanno approfittato. Pu essere, no? Forse la Chiesa lha punita. Non so. Secondo me non riusciva pi a vivere nei luoghi di sempre. Tutto qui. Ma le ragazze a quella et non si vogliono trasferire. Come lo sai? Lo so. Sei tu che non sai niente dei giovani. Per te dovrebbero pulirsi le suole, per bene, prima di entrare in societ! I giovani? Che cavolo vuol dire? Usa le parole quando hanno un significato preciso, per cortesia. Quelli molto pi giovani di te, intendo dire. Gli adolescenti, quindi. Io questa ragazza non lho nemmeno vista in faccia, Ietta non ha voluto. Non voleva turbare n la ragazza, n la sua coscienza. Non sappiamo chi era veramente. Perch? Perch il capo non voleva rischiare di metterla in mezzo inutilmente e farle del male. Chiaro, no? Non siamo mica macchine. Non ha ancora deciso se segnalare la questione al tribunale per i minorenni. Non sa. Fatti suoi, ormai. Forse Pure se Cosa? Giovani una bella parola. S, la usi poco. Lo sai, io questa ragazza non lho mai vista. Ho solo ascoltato le descrizioni di altri. Cosa ne so? Immagino solo che non poteva essere lei la causa di tutto. No? Perch non provate a leggere i diari? Non abbiamo pensato ai diari. La madre aveva un alibi di ferro. Non abbiamo sentito il bisogno di ricorrere ai diari. Non i diari della madre, ma quelli della figlia. E chi ti assicura che una quindicenne con i capelli verdi e i tatuaggi avesse un diario? Nessuno scrive pi il diario. Ti risulta che il genere diario esista ancora? Secondo me, non avete battuto tutte le strade. Quali sarebbero queste ipotetiche strade? Il terzo luogo. Tu hai vissuto nel terzo luogo? Io ho vissuto
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nel mio terzo luogo, quello che custodiva tutti i miei segreti. Cio? Da dove esce questa teoria? Il luogo in cui un adolescente solo con se stesso; il terzo luogo, eh? Hai presente? Il giovane se ne sta solo con le regole che ha deciso autonomamente, insieme ai suoi simili, unico responsabile, unico giudice, che si confronta con se stesso. Ecco, si confronta. Non sai, eh? Il campetto della partita a calcio, per esempio? Perfetto! Quello! Non la scuola, non la famiglia, in cui le regole sono imposte. Parlo del luogo in cui si da soli. L, dovevate andare. Nel terzo luogo? Conosci lindirizzo preciso? Dico sul serio. Quindi anche davanti alla tv. Anche. La discoteca? Non lo so, forse. Ci siete andati? Non proprio. Comunque io non mi sento affatto vecchio. Sia chiaro. Giusto per chiarire. Non avete fatto giustizia. Questo il punto, caro mio. Ci penser il tribunale per i minori. Il caso chiuso per noi. Non venuto fuori niente. Capita, no? Lo dici sempre anche tu, leggendo i giornali. Non colpa mia. Qualcosa si inceppato. Non siamo i primi, noi. E adesso deve essere per forza colpa nostra, ci deve essere per forza un capro se non si potuto non si potuto. E basta. Forse non sei entrato veramente dentro il caso. Non ti sei immedesimato abbastanza. Che ne so, forse dovevi sentirti lassassinato; come se fossi lui. Se io fossi stato il Corietti, sarei rimasto vergine. Vedi? Avevo ragione. Nonostante lesperienza maturata, non vi siete fatti investire a pieno dal caso. Avevate delle resistenze mentali. Lesperienza da sola non basta. Tutti parlano dellesperienza come fosse chiss quale rimedio. Cazzate. Dipende dai casi. come il tizio che, con gli occhi chiusi, tocca una zampa di elefante e pensa subito di essere in Africa. Mica detto che si trovi davvero in Africa; mica detto che aver fatto espe250

rienza serva davvero a tirarti fuori dai guai. Mica che la pratica risolve tutto. E poi, io non ho mica finito di far pratica. Per limmedesimazione, la passione, aiuta. E che ne so io? Appunto. Niente pi di cos. Siete rimasti asettici. Eppure io mi sono sentito molto coinvolto in questo omicidio. Ma il morto non stato sufficiente Come? Non ti servito, cio. Doveva servirmi? E che, quello mica morto per fare un favore a me. Be, per, poteva essere una buona occasione per te, no? E perch? Per migliorare, no? Secondo me tu hai pensato che potesse esserlo e poi sei rimasto deluso. O no? Hai pensato: ecco questo il mio risultato vero, concreto. Ma invece. Uffa! Sei nervoso. Comunque, te lho detto, il caso chiuso e io me ne torno a casa. E non lo faccio per stanchezza. Lo fai perch hai paura dei froci? Ti fa paura la loro chiarezza? Angela, basta! Ehi, e che ho detto mai? Stavo scherzando. Torno e basta. Hai deciso? S, a casa credo di poter lavorare meglio, con una migliore percezione della realt. Poi il codice da applicare, comunque, sempre quello. Qui o l. Lhai detto a Ietta che te ne vai? S, ha risposto che lo aveva capito. un po depresso, ma non stupido. Non depresso per colpa mia, comunque. Io non centro nulla. Ha detto che, secondo lui, questo non il lavoro giusto per me, che io ho altri talenti da assecondare. Parlava cos, in generale. S? Quali?
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Parlare, insegnare, ricercare; cose cos. Luniversit, per esempio. Mi piace laspetto scientifico della realt. Ietta dice che non posso sprecare queste attitudini. Cos mi ha detto. Ti piace luniversit? Mi piace. Perch non mi deve piacere? Ti piace farti notare, semmai. Come tuo padre. No, scusami, chiariamo: mi piace avere un ruolo, pur restando nellombra. Davvero, invece, tu credi che io voglia solo apparire? Davvero questo che pensi, davvero? Non possibile. Dimmi, dimmi. Ma se me ne sto sempre da parte; se non forzo mai la mano. Non possibile! Questa me la devi spiegare. Calma. Eh, adesso te ne vieni fuori con questa storia. Non sei egocentrico, ma finisci per apparirlo; non so neppure come fai, ma cos. Parli di te, pensi a te, costruisci e smonti, come se fossi un collaudatore Lego. Certe volte sei proprio strano! Strano? Hai bisogno di essere ovunque. Poi fai confusione, pasticci vari, e senti lesigenza di ricucire. Ma ti piaccio cos? Ho turbato la tua vanit, evviva! Ietta dice che faccio bene a tornare. Io lo vorrei capire se faccio bene. Tu cosa pensi? Attento. A casa pi difficile restare nellombra. Qui ti conoscono tutti, ti romperanno le scatole dalla mattina alla sera. Tutti ti chiederanno piaceri, ti supplicheranno di fare dichiarazioni a favore o contro qualcosa. Ci sono le vecchie amicizie da controllare, arginare. Io, pure, ti costringer a riprodurti, e avrai cos meno tempo per studiare e lavorare. Meglio i froci, tutto sommato. Tanto devo tornare per forza, altrimenti tu Lhai capito, allora. un business il nostro. Non sono un cretino. Allora non fare finta di avere una scelta, per cortesia. Comunque, in fondo, hai fatto una buona esperienza. Peccato, nessun atto di giustizia, ma tanti bei provvedimenti in stampone. Cavolo. Solo alcuni dei provvedimenti sono in prestampato e poi sono io a collazionarli, sempre.
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Che importa? Prestampati o no, hai creato qualcosa di tuo. Questo fa la differenza. Hai creato un tuo universo da esportare in moduli. Mica tutti! Hai chiesto ai tuoi colleghi se anche loro lhanno fatto? Lo fanno tutti. E quindi? Quindi faccio bene a tornare? Certo, tanto ogni giudice che arriva in una nuova sede, i suoi bravi stamponi se li vuole creare da solo; mica si fida di quelli precostituiti da altri prima di lui. O sbaglio? Non sbagli. Conosco la magistratura, oramai. I miei polli. Che ci vuoi fare. Allora torno? S, anche se io ti dar il tormento. Non puoi approfittarti cos di un povero uomo confuso; di un avversario praticamente a terra. Nessuna tregua. Siamo una societ: lo sai o no? Comunque ho deciso. Anche se poi niente esclude che fra qualche anno mi ritorni la voglia di cambiare, che mi ritorni un attacco di noia e chieda il trasferimento. Tu allora mi seguirai e basta. Chi pu sapere come sar il nostro futuro. Chiss cosa saremo fra dieci anni. Non parlo di sfere magiche, ma di psicosi maschili. Sei un esperto in materia. Insomma, che faccio? Sei pedante. Ecco quello che sei. Pedante. Cio? Guarda che se torni a lavorare lo scopriranno tutti; se ti esponi cos, come stai facendo, lo capiranno tutti. Cosa capiranno? Quanto sei ossessionato da te stesso, dal concetto di fallibilit. Allora non torno? Ti devi sempre lasciare aperta una possibilit, eh? Devi sempre avere sotto controllo la rosa delle opzioni possibili? Non sai rinunciare, tu.
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Torno. Se per poi decido di partire, di nuovo e poi di nuovo, tu devi venire con me e non si discute. Partire? Altra sede, intendo. Per cambiare. Io, con un figlio? Ti sego le gambe semmai. Non la citt che mi fa cambiare. Io devo aspettare. Ti sbagli su questo. No, non mi sbaglio. Anche se non ho figli, non mi serve una citt. E se mi viene voglia di ripartire? Resisti, ti controlli, come faccio io, come facciamo noi donne. Voi donne non vi controllate affatto. Noi donne? Non so, mi sembra cos. Un fatto naturale. Noi donne? Troppo facile. La natura non esiste. E perch lo dici con questo astio? Io non ho mai distinto luniverso maschile da quello femminile. Lo sai che per me sono tutte cretinate. Bugiardo. Lhai fatto, lhai fatto. Eccome se lhai fatto, e lo fai ancora. Daccordo. Vedremo. Vorr dire che in futuro mi prender delle pause, comunque, a conferma. Da chi? Da tutto. Vada per la pausa. Come vuoi. Ti far credere che ti stai prendendo delle pause. Mi pu bastare, per ora. Torno, quindi? Ancora con questa storia?? Non sei soddisfatto di te, di noi? Hai il tono di quello che si aspettava altro. Consolati pensando che la parte migliore di un viaggio il ritorno. E chi lo dice? Io e qualcun altro. Qualcuno che sapeva come essere felici? Forse. Va bene, se lo dici tu, ci credo. Mi pu bastare. Per ora. Torno. S, torna. Sapere dove ritornare gi qualcosa.
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Ringraziamenti finali Diciamolo: questa pagina un fatto duomini. Sono qui dopo una lunga camminata fatta in mezzo ai miei maschi letterari, ai miei maestri di tutte le et, di tutte le invenzioni. Erano secoli che volevo ringraziarli tutti, uno per uno. Non citer i cognomi: ciascuno si riconoscer, gli altri immagineranno. Questa storia mi stata raccontata la prima volta una domenica dinverno a pranzo da Alcide, da allora lui non ha mai pi smesso di raccontarla, convinto che io da sola non potessi farlo in modo completo, e io non ho pi smesso di ascoltarlo. Grazie a lui. Questa storia, divenuta un plot, lha letta per la prima volta Luigi e ha detto dai, provaci, prenditi il tempo che ti serve. Grazie a lui. Questa storia lha letta poi anche Michele e ha detto tu scriverai di certo qualcosa di buono, sei sulla strada giusta, io sono seriamente interessato alle cose che scrivi. Grazie a lui. Dopo ha letto Stefano e ha detto io ci farei un libro, non sarebbe un rischio, non cambierei una parola. Grazie a lui. Questa storia, insieme a molte altre, sono state lette qualche mese dopo da Livio e ha detto tu mi sorprendi sempre. Grazie a lui. Poi stata la volta di Rossano il quale ha subito detto m a n d a re, mandare, non si discute: ti do un po di indirizzi, e poi ha cominciato a sfornare titoli a vagonate, primo tra questi quello pi audace, pi inquietante, divenuto poi quello definitivo. Grazie a lui. Mentirei per se dicessi che non ci sono state donne a guidare le sorti di questa vicenda. Senza le donne nulla nasce davvero, si sa. Grazie ai sogni senza limiti di mia madre Ada, grazie alla fiducia di Ornella quando era libraia, allispirazione nata dagli occhi parlanti di Caterina e allentusiasmo concreto e stabile di Silvia. Ora che mi sono tolta la soddisfazione, metto il punto con autentica serenit.

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Stampa Arti Grafiche Stibu Urbania, febbraio 2007

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