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Giovanni Robustelli

Gibellina
Laboratorio di sperimentazione sociale

eBook per l'arte


un'iniziativa

2011 eBook per l'Arte Giovanni Robustelli Prima Edizione 2011

Licenza Creative Commons 3.0 Attribuzione - Non commerciale No opere derivate http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/

In copertina Bozzetto di Fausto Melotti per il monumento Contrappunto del 1983 Fotografia di Giovanni Robustelli

I titoli di opere d'arte sottolineati e colorati in blu sono cliccabili: si aprir l'immagine dell'opera (necessaria connessione a internet).

Dedico questo testo al Senatore Ludovico Corrao, al suono delle sue parole piene di passione e di ricordi, che riempirono quella stanza bianca e austera, seduto su una poltrona rossa imponente come un trono in un caldo e lieto pomeriggio di Settembre del 2009, elegante, disponibile e gentile come si conveniva ad un uomo che ha vissuto nell'arte e per la cultura.

Premessa

Non avevo mai dedicato, fino a poco tempo fa, molta attenzione a Gibellina; ne avevo sentito parlare, certo, ma poco e male: una cittadina semi-deserta, dove campeggiano qua e l degli orrori strutturali, incomprensibili e desolanti, almeno secondo il giudizio di parenti ed amici che casualmente vi erano incappati. Sennonch un giorno, durante le lezioni di Arte Contemporanea della specializzazione in storia dellarte alluniversit di Genova, vidi scorrere sul proiettore una diapositiva con limmagine di un grosso cretto in cemento, disteso su una collina del trapanese... dove? A Gibellina. Analizzai a pelle loperazione del cretto come qualcosa di superficiale, dando svogliatamente un giudizio simile a tante altre operazioni di Land Art. Da qui iniziato il mio interesse verso questa sconosciuta cittadina siciliana, forse sfortunata, perch attorniata da una zona troppo intrisa di storia e di cultura come Palermo, Segesta, Mazara del Vallo, Trapani, Selinunte per attirare lattenzione di una rete turistica che mira ad enfatizzare principalmente la patina dei secoli, il fascino del mito, la tradizione e lospitalit gastronomica. Naturalmente, a causa di ci, si capisce il giudizio negativo dei non addetti ai lavori: Gibellina rimane purtroppo fuori da qualsiasi tradizione. Con la storia passata non ha nulla a che vedere: una citt ricostruita nuovamente, dopo un terribile terremoto, non solo senza poter riprendere nulla di quello che era crollato, ma lasciando proprio le macerie sulla collina dove sorgeva per rinascere su un altro posto, pi distante, a valle. Anche se i turisti venissero martellati dai media, giorno e notte, sulla possibilit di visitarla, non troverebbero alberghi per ospitare i loro pullman: a Gibellina si va magari con una multifamiliare, perch le stradine non permettono di raggiungere agevolmente il Grande Cretto di Burri, o la Fondazione delle Orestiadi, che ospita, oltre ad una ricca esposizione di Arte Applicata del Mediterraneo, una delle pi importanti collezioni di Arte Contemporanea del meridione dItalia.

Al massimo si alloggia nei B&B domestici, dove laccoglienza della gente non fa rimpiangere la propria casa. Mi sono recato quindi a Gibellina con lintenzione di occuparmene, conoscerla e scrivere una ricerca su questo importante fenomeno culturale, non avendo per ancora chiara lidea su quale aspetto dover esattamente focalizzare il mio studio. Soltanto dopo aver visto le opere, e la loro storia, ho capito cosa voleva dire quel fenomeno di dialogo e di confronto che si era venuto a creare durante i convegni organizzati negli anni Ottanta a Gibellina, tra le tendopoli, nelle strutture di accoglienza, tra architetti, artisti, letterati o semplici cittadini che avevano voglia di rinascere dalle macerie. A Gibellina esistono dei linguaggi unici, inusuali, che esistono perch sono stati creati l e per quella precisa destinazione o funzionalit. Quante sculture abbiamo mai visto di Rotella? Quante architetture abbiamo mai potuto incontrare di Consagra? E qual lultimo gonfalone disegnato da un artista per una processione (che non sia Antonello da Messina), se non quello di Boetti, Accardi o Isgr? Questi nomi ci sono familiari, fanno parte della pi importante storia culturale del nostro paese (e non solo) degli ultimi decenni, e siamo abituati a conoscerli per altro. Ma a Gibellina sono come rinati, cio si sono immedesimati, hanno sentito, provato e calpestato questa terra per poi rimescolarsi e rinascere per unidea unica, per unutopia che non fosse legata al mercato, al circuito della cultura ufficiale. Come dice Ludovico Corrao, nellintervista che riporto alla fine di questa ricerca, gli artisti e gli architetti invitati a Gibellina per la ricostruzione della citt, si sono recati sul posto, ascoltando e vivendo la realt sociale, culturale e spirituale; si sono espressi per la cultura ma anche per la gente, che oltre allesigenza materiale di un tetto, aveva bisogno di storia, di memoria: questo ci di cui voglio parlare nella mia ricerca, degli interventi in cui lartista riuscito ad immergersi nel sociale, nella necessit immediata di unidea di libert analizzandone soprattutto la riuscita contestuale e storica dellopera. La ricerca sar cos strutturata in una prima parte che esporr le vicende di Gibellina, dal terremoto al periodo di ricostruzione e poi di assestamento, nonch lattuale condizione di Gibellina a ventanni dalla ricostruzione e le realt culturali presenti sul territorio. In que-

sta prima parte si cercher quindi di inquadrare una storia, una premessa al nostro discorso, per contestualizzare meglio lanalisi sui processi creativi degli artisti accorsi allappello di Corrao. La seconda parte della ricerca, che inizia con lesporre i diversi esempi di interventi artistici sparsi per la rete urbana di Gibellina, comprese alcune opere allinterno ormai dei musei (sia quello civico che quello del Granaio della Fondazione Orestiadi), continuer con un approfondimento su tre esperienze in particolare, interessanti soprattutto per lattivit laboratoriale che ha caratterizzato i processi creativi in un dialogo tra artisti e artigiani locali. Laspetto principale della ricerca proprio questultimo tema, il ricontestualizzarsi dellartista non solo dal punto di vista linguistico, ma anche secondo un diverso procedere dal punto di vista progettuale e realizzativo. Gibellina viene studiata quindi come fenomeno sociale, precisamente come laboratorio sociale (per utilizzare unespressione di Achille Bonito Oliva), da cui hanno visto la luce opere inusuali, tasselli unici allinterno di illustri ricerche di altrettanti autori internazionali. La ricerca si chiude con il dialogo avvenuto con Ludovico Corrao durante il mio soggiorno a Gibellina, in cui si percorre uninteressante parabola socio-culturale, dal terremoto alla ricostruzione e in cui affiorano ulteriori spunti per ulteriori ricerche e studi. Un dialogo che oltre a riportare i fatti, ormai studiati e ancora dibattuti in numerosi testi specializzati, rispolvera episodi intimi, della politica e della cultura; una faccia pi genuina e sincera per una storia, quella di Gibellina, che ha dovuto scontrarsi spesso e volentieri con le critiche pi aspre e velenose. Questa ricerca espone quindi un modello culturale, quello di Gibellina, basato sul valore e sullimportanza dellarte, con lo scopo di nobilitare la nuova storia di una comunit o di una societ intera; ne vedremo i risultati che si possono ottenere dalla creativit se si lascia un artista nella libert espressiva pi assoluta, nel rischio sempre latente di creare oasi nel deserto.

Indice

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova Lappello del 1970: un appello di solidariet II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi III. L'artista si mette in gioco IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura Consagra e le architetture Boetti e il Prisenti di San Rocco Paladino e la scenografia per La Sposa di Messina V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina VI. Dialogo con Ludovico Corrao Conclusione Bibliografia

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Il terremoto, cieca forza duna maligna natura, un doppio disastro, fisico e umano. Spazza via in pochi secondi secoli di storia, cultura, civilt. L dove erano focolorai, rifugi per soste e riposo, coaguli di tenerezze, trame damore, dolore, eventi di vita e morte, accumuli di memoria, di colpo si fa il deserto, terreno nudo e vago. E puntualmente spuntano, su questi luoghi azzerati dalla malasorte, dalle selve della violenza e del disumano, dallantistoria dellopportunismo e del cinismo, spuntano i lupi e gli sciacalli. Ma anche il momento, dopo il terremoto, di non perdersi nel mare della disperazione e dellannientamento. il momento di ricominciare a costruire la storia. Ricostruire sulle pietre della consapevolezza e della ragione, e anche, perch no? sulle pietre della bellezza. Niente pi entusiasmante della costruzione di una nuova citt. Vincenzo Consolo1

Consolo V., Il drappo rosso con le spighe doro, in Labirinti anno II n.3, pp.2225, 1989.

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I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

Su Roccatonda, lo sperone roccioso pi prominente nel versante destro della valle del Belice, sorgeva Gibellina, un piccolo villaggio rurale di origine medievale a 400 metri circa di altitudine . Il centro era un agglomerato di case basse fittamente disposte su un pendio molto ripido. Chi, venendo da Partanna, alla svolta dello stradale, in contrada dellex feudo della Carcia, fissa verso oriente lo sguardo, scorge un bel panorama: una larga e pi lunga estensione di fabbricati, come addossati uno sullaltro, che vanno da mezzogiorno sul torrente Gebbia, verso mezzanotte, ove li sormonta il piacevole colle, Mulino del Vento. Cos, nel 1915, lo storico locale, il sacerdote Baldassarre Ingoglia, descriveva la topografia di Gibellina, che presentava un impianto urbano di tipo policentrico sviluppatosi lungo le linee direttrici dei due assi principali. Di questa struttura i ruderi del castello chiaramontano da un lato e la Chiesa Madre dallaltro rappresentavano i poli di riferimento spaziale e i nuclei di agglomerazione della vita cittadina, fulcri generatori di una planimetria che nella sua lenta e naturale espansione non aveva subito nel tempo sostanziali cambiamenti. Ogni corpo edilizio si addossava allaltro con le irregolarit imposte dal pendio del terreno, talvolta collegati da grandi arcate che scavalcavano il tracciato viario. Gli stessi palazzetti patrizi e i complessi ecclesiastici non avevano masse monumentali n prospetti aulici, non essendo isolati o separati dallintrensicabile e minuto ordito delle abitazioni popolari. Del paese contadino tradizionale Gibellina conservava lidentit architettonica, tutta giocata sul rapporto funzionale tra casa e strada, dimensionata luna e laltra sul declivio del suolo e sul passo delluomo e dellanimale. La strada non era che il prolungamento della casa, uno spazio frastagliato da scale esterne e sogli prospicienti, unappendice pubblica dellabitazione privata, uno slargo in cui si risiedeva, si

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lavorava, si intesseva la fitta rete delle relazioni, si conservava e si giocava, pi che non si transitasse fugacemente e semplicemente. Le case, arroccate lungo svolte e pendii, secondo le curve di livello altimetrico, avevano la muratura in pietrame informe o in conci squadrati. Le facciate erano, a volte, imbiancate di calce. Pi spesso nella loro scarna nudit lasciavano in pi punti allo scoperto la tessitura delle pietre di tufo connesse dalla malta di gesso. La povert dei materiali lapidei si associava alle tonalit dellargilla, alla terracotta dei laterizi e dei vari elementi di raccolta, drenaggio e canalizzazione delle acque piovane. Embrici, doccioni e pluviali di creta disegnavano sulle facciate geometrie sobrie. [...] Unaccentuata uniformit caratterizzava la tipologia delle abitazioni, essenzialmente dovuta allomogeneit dei modi di produzione ma anche evidentemente condizionata dalla necessit di utilizzare i materiali naturali di costruzione a disposizione: tufo, canne, gesso. Unit pluricellulari sovrapposte erano aggregate lungo le strade secondo moduli nastriformi, con rampe di scale esterne che rendevano indipendente lingresso alla stalla del piano terra a quello ai locali superiori. A sostenere i soffitti dellinterno era una sapiente orditura di canne tenute insieme da legacci vegetali e rinzaffate di gesso. Il solaio era generalmente destinato a granaio. Focolare e forno, sempre vicini, costituivano il fulcro domestico attorno al quale si articolava la vita quotidiana delle famiglie contadine. La maggior parte delle strade erano strette e piccole, quasi tutte asfaltate quelle in pianura, pavimentate con acciottolati o lastre di pietra quelle costruite in pendio, sulla dorsale della collina. Gradinate e selciati di ghiaia favorivano il passaggio degli animali sui percorsi dove i dislivelli erano pi accentuati. La via principale era una, la strada grande, via Umberto: un asse pi o meno regolare della lunghezza non superiore ai 150 metri, che tagliava il paese in due, secondo la direzione nord sud, separando i quartieri pi antichi, che si addensavano a oriente attorno ai ruderi del castello, da quelli di pi recente costruzione, nelle zone di nuova espansione dellabitato. 12

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[] Cos si presentava il paese quando le scosse di terremoto, nella notte del 15 Gennaio 1968, lo rasero definitivamente al suolo. Era un centro di circa 6.000 abitanti, per lo pi braccianti, mezzadri, piccoli e medi proprietari2. La storia si divorata Gibellina, uno dei centri pi importanti, ma isolati, della Valle del Belice. Il terremoto del 15 Gennaio del 1968 fu provocato da un movimento lungo la faglia del Belice. Almeno quattrocento i morti. Cinque i comuni maggiormente colpiti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, Montevago e Santa Margherita. I primi quattro rasi al suolo. La catastrofe nella notte fra domenica e lunedi. Il ministro Taviani giunto sul posto, oggi arriva il Presidente della Repubblica, si riunir al Consiglio dei Ministri. Gibellina, un paese di 6410 abitanti, stata quasi cancellata dal terremoto; il novanta per cento delle case crollato. uno spettacolo desolante, incredibile. Vista dallelicottero appare colorata di rosa e azzurro. Quando si pi vicini ci si accorge che queste tonalit sono date dai muri interni che, crollate le facciate, sono rimasti in piedi: erano stati tutti dipinti con questi due colori. Nellunica piazza del paese ancora riconoscibile si salvata una costruzione, la sola che, per essere moderna e in cemento armato, ha resistito3. La necessit di un riparo stato il primo problema da risolvere per circa cinquantamila senzatetto del Belice; nei primi mesi la cifra era doppia, poich la totalit degli abitanti, anche con case leggermente lesionate, abitava allaperto. Questo aspetto non era per presente a Gibellina dove le 1980 abitazioni erano tutte distrutte completamente. La prima attivit si diretta a creare dei villaggi di tende, in attesa

Cusumano A., Gibellina nella memoria in Pes. A., Bonifacio T., Gibellina dalla A alla Z, cat. del Museo dArte Contemporanea di Gibellina, Edizioni Comune di Gibellina e Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2003. 3 Furno L., Tra le macerie a Gibelina, in La Stampa, marted 15 Gennaio 1968.

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della costruzione di pi duraturi ricoveri o baracche unifamiliari, dotate di servizi necessari a una pi prolungata permanenza, in previsione del periodo necessario per la ricostruzione definitiva. Gi la scelta delle baraccopoli e lappalto delle opere ha implicato una perdita di tempo e uno spreco di energie e di denaro. A Gibellina la costruzione degli alloggi precari non termin prima del 1971 (ben 3 anni dopo la sciagura); il costo per mq. costruito almeno triplicato, con linserimento di interessi clientelari e mafiosi nel campo dei terreni e degli appalti. I lavori vengono dati prima in appalto e poi in sub-appalti successivi, fino a tre, quattro passaggi, delegando la costruzione dal grosso appaltatore fino a piccoli gruppi di muratori improvvisati. Le aree (prescindendo dagli interessi privati) sono state scelte in due forme principali: o nei pressi delle rovine o a distanza notevole dal centro distrutto. Gibellina fu temporaneamente trasferita in due diversi villaggi: uno pi piccolo, a Santa Maria delle Grazie, a est dei ruderi da cui dista solo un chilometro, mentre laltro a ovest, Rampinzeri, che dista ben sette chilometri. Questultima baraccopoli ospitava la quasi totalit degli abitanti: qui cera anche la sede comunale provvisoria, anche se il villaggio ricadeva nei confini comunali di Santa Ninfa. Nel periodo successivo a quello dei primi soccorsi, ossia nel 1969, inizi un piano di trasferimento e ricostruzione (totale o parziale) dei quattordici comuni maggiormente colpiti. Cos la nuova Gibellina venne ricostruita in contrada Salinella, su di unarea pressoch pianeggiante, a unaltitudine di 220-240 metri. La localit si trova presso la stazione di Salemi e al confine dei territori di Salemi e di Santa Ninfa, ai quali, per la costruzione del centro, venne sottratta una parte dellarea comunale. Si determin cos un exclave contenente il centro principale e la sede comunale, mentre il rimanente del territorio gibellinese sarebbe stato unisola amministrativa. La scelta del sito di Gibellina fi in relazione con la vicinanza dello svincolo autostradale e delle stazioni ferroviarie, a cui si aggiunse la presenza di ampi spazi pianeggianti. Per la nuova Gibellina, in localit Salinella, i lavori sono stati avviati nel 1971 e solo nel 1976 stata portata a termine lurbanizzazio14

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ne primaria. Una delle cause del ritardo (qui come altrove) stata lincertezza sulle soluzioni da adottare: il piano primitivo dallISESS (Istituto per lEdilizia Sociale, uno dei tanti Enti Pubblici operanti nel territorio) prescindeva dalle esigenze della popolazione e calava dallalto un progetto per una conurbazione del Belice in cui si dovevano raggruppare circa 30-40 mila abitanti dei vari centri distrutti. Grazie alle forti manifestazioni di disapprovazione del progetto da parte dei gibellinesi, Gibellina riusc a mantenere la propria identit. La nuova Gibellina, dunque, non il risultato desiderato e voluto da tale piano; al contrario, essa nasce dallincontro appassionato di un gruppo di uomini, coordinati da Ludovico Corrao (eletto Sindaco di Gibellina proprio nellanno seguente al terremoto), i quali intuirono con anticipo che gli antichi modelli crollavano ed era alle porte un terremoto molto pi grande di quello del Belice, con la mobilitazione e lintervento diretto della popolazione, per unelaborazione propria e democratica di base. Lappello del 1970: un appello di solidariet4 Nella notte del 15 gennaio 1968 un terremoto sconvolse la Valle del Belice, al confine della provincia di Palermo, Trapani e Agrigento, distruggendo totalmente sei paesi popolosi e poveri e danneggiandone altri. Le vittime furono 1150 (compresi i morti per mancanza di pronto intervento), 98000 persone rimasero senza casa, 100000 persone con case cadenti. Ci vollero parecchi giorni prima che tutte fossero ricoverate sotto le tende; e parecchi mesi prima che tutte fossero alloggiate in baracche. Gli uomini politici, che a gara si precipitarono sul luogo del disastro, sottraendo ore di pi urgenti e utili servizi ai pochi elicotteri di-

Testo firmato da Sciascia, Guttuso, Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Domiani, Zavoli, Corrao ed altri Sindaci della Valle del Belice e pubblicato e divulgato nel 1970 attraverso tutti i media; recapitato anche individualmente a tutte le personalit di spicco nel mondo della cultura.

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sponibili, promisero tutti limmediata ricostruzione dei paesi distrutti e parve allora che, al di l della provata demagogia e inefficienza della classe al potere, almeno e soltanto sulla promessa di ricostruire gli abitati, si potesse contare. E diciamo soltanto perch altre ne furono fatte: di una ricostruzione economica ella zona, di radicali interventi strutturali ed infrastrutturali, nel contesto di una visione e di una volont che tenesse presente la situazione siciliana nellinsieme, quale il terremoto laveva rivelata agli uomini politici e agli inviati speciali dei giornali del nord e stranieri. Ma passato il momento emotivo e demagogico, passate le elezioni politiche che si ebbero qualche mese dopo, ad altro non si pens che alla costruzione delle baracche, e con molta improvvisazione disordine: come ad un atto di definitiva solidariet, come ad una soluzione finale del problema. Ed in un certo senso lo era: per il costo finanziario delloperazione, che ad unamministrazione pi avveduta e sagace pare sarebbe bastato per ricostruire davvero i paesi, e per gli effetti che le baraccopoli avrebbero avuto su quelle popolazioni, non dissimili da quelli di una vera e propria soluzione finale in cui a una condizione di inedia e promiscuit e agli eventi naturali, particolarmente inclementi in quella zona e in questi ultimi anni, veniva lasciato il compito, pi lungo ma ugualmente sicuro, dell'annientamento psicologico, morale e fisico che i lager nazisti pi direttamente e sbrigativamente esplicavano. Di fronte a questo stato di cose che da due anni si protrae e si aggrava, sentiamo, come uomini e come siciliani, il dovere di rivolgere allopinione pubblica mondiale e, per essa, agli uomini che la rappresentano, linvito di una riunione a Gibellina nella notte tra il 14 e il 15 Gennaio 1970, nel secondo anniversario del terremoto; perch vedano, perch si rendano conto, perch uniscano la loro proposta e denuncia a quella dei cittadini relegati nei lager della Valle del Belice, alla nostra. In un paese e con una classe di potere soltanto sensibile alla retorica, abbiamo bisogno di questa solidariet, forse retorica, anche se vogliamo che alla riunione di Gibellina venga fuori un atto di accusa da

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cui lo Stato Italiano, il Governo, siano chiamati a discolparsi di fronte al mondo civile e ad uscirne. Perch ci sono tanti modi di conculcare la libert, di opprimere, di destituire luomo dal diritto e dalla dignit: e uno di questi modi quello che lo Stato e il Governo della Repubblica Italiana attuano nella Valle del Belice. Sciascia, Guttuso, Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Domiani, Zavoli, Corrao ed altri Sindaci della Valle del Belice Quindi lattuale ricostruzione, risultato di un programma comunque curato dallISES5, ha comportato il trasferimento totale della popolazione nella contrada salinella, in una lieve conca alla confluenza delle principali infrastrutture viarie, dove si estendevano le terre coltivate dai contadini di Gibellina. Dalle Case Di Stefano (lantica famiglia proprietaria dei feudi e attuale sede della Fondazione delle Orestiadi), poste in alto, si ha una vista di insieme della nuova citt, distesa a ventaglio con il tracciato dei viali, mostra il senso geografico della sua recente storia urbana in progress: lestensione della piazze e il taglio delle strade; i nomi di siciliani illustri, scolpiti su cippi di travertino, formano un unico grande libro di storia. Il sistema urbano articolato in due grandi blocchi planimetrici disposti, in linee di massima, in maniera simmetrica rispetto allasse longitudinale est-ovest che intervalla zone residenziali a schiera con attrezzature pubbliche. Le arterie urbane principali e gli spazi di raccordo, cardini della citt, convergono idealmente verso il punto pi alto del colle. Un progetto, quello di urbanizzazione molto lento, travagliato e discusso attraverso i diversi convegni e incontri avvenuti dal Settamta agli anni Ottanta, nelle tendopoli, tra le baracche provvisorie degli abitanti. Si organizzarono anche mostre (come quella della citt frontale di Consagra), proprio dentro le tende, per permettere a tutti di

La ricostruzione inizia con i programmi di trasferimento dellISES del 1968, approvati dieci anni dopo dal comitato tecnico amministrativo del provveditorato alle opere pubbliche, senza alcun piano editoriale di coordinamento.

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interagire con i progetti, con le idee, con quellutopia tanto condannata oggi, ma che ha dato lo spunto e lentusiasmo per la ricostruzione. Dir Corrao, in un suo intervento del 1979 intitolato LArte non superflua, durante un convegno pubblico tenutosi a Gibellina il 15 Gennaio, in cui si discusse sui progetti in attuazione di alcune strutture architettoniche (come quelle di Quaroni, Venezia e altri): [] Il disordinato crescere della nuova citt comporta il rischio della perdita assoluta di identit e potrebbe farla apparire come il quartiere di periferia di una qualsiasi citt. Da ci la necessit di un ancoraggio alle proprie radici storiche e culturali. Il primo problema che ci poniamo quello di recuperare quanto possibile della memoria della vecchia citt distrutta per conservarne non il documento, ma la memoria come fonte alla quale ci si possa richiamare perch luomo e la donna di Gibellina sentano che non sono nati improvvisamente in un deserto, che non vengano dal nulla o da una citt calata dal cielo, senza una loro ragione e senza una loro propria collocazione storica e culturale. [].6 Le decisioni prese da Ludovico Corrao negli anni immediatamente successivi al terremoto risultano caratterizzate da un estremo realismo, da unasciutta consapevolezza delle iniziative possibili e necessarie per interpretare ed indirizzare il sentire della gente di Gibellina senza tradirne attese e nuovi bisogni. Il realismo di Corrao si connetteva ad una tensione allo stesso tempo etica ed estetica; un luogo davvero anomalo (Gibellina) rispetto alla sostanziale anonimia degli altri luoghi del Belice, o delle superfetazioni in puro stile geometra (secondo lirridente ma terribile definizione di Federico Zeri) di innumerevoli paesi e citt, in Sicilia come nel resto dEuropa. Il problema cruciale a Gibellina quello della Citt, affrontando simultaneamente questioni come quelle dellappartenenza ad un luogo e ad una cultura, del progetto, del rapporto con il passato e col futuro. Perch la citt pu rendere liberi, in quanto toglie la nostalgia. Strana verit, ricordata da Consagra in unintervista del 1967: Avendo perduto lani-

Corrao L., Larte non superflua, in Gibellina, ideologia e utopia di La Monica G., ed. La Palma Renzo Mazzone, Palermo 1981, pp. 44-49.

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malit, la vita spontanea, non c altro che la citt come possibilit di riprendere contatti con la naturalezza dentro se stessi. Dentro se stessi che significa? Che tu ti rifletti con tutti i contatti umani che hai. Ora, la citt d il massimo di questi rapporti, la citt ti toglie la nostalgia, assorbe al completo la tua intelligenza, te la sfoga, te la adopera. A tal proposito Giuseppe Frazzetto racconta un importante episodio: Di cosa avrebbero dovuto avere nostalgia, le due bambine che vidi una mattina del 1987 al Museo dArte Contemporanea di Gibellina? In un giorno qualunque, lontano dallufficialit delle inaugurazioni, visitavo una rassegna dedicata a Scialoja: una pittura che quasi tutti definirebbero difficile per i non esperti, priva di dati referenziali, mescolata di polvere di marmo o sabbia. Eppure, quella mattina nel Museo cerano alcuni ragazzi, della Prima o Seconda Media di Gibellina; e sentii due di loro commentare liberamente i quadri. Una, con la goffa grazia dellet, seguiva nellaria, con la mano, le curve delle pennellate. Certo, quei commenti erano ingenui, e mischiati di lingua e di dialetto e di termini inventati o distorti: ma pensai, quella mattina, ed ancora lo penso, che le due bambine manifestavano un senso di appartenenza a quei quadri, una familiarit ed infine una comprensione che probabilmente anche molti miei studenti, e non pochi artisti adulti (per non parlare di qualche sedicente critico) stentano ad avere. Quel genere di familiarit che pu formarsi solo come risultato dun permanere accanto a qualcosa con cui sacquisisce Erfahrung, consuetudine, allenamento, e perfino identificazione ed allora davvero sfumano i confini tra oggetto e soggetto, e le cose con cui ci si misura diventano anche la nostra misura, e della nostra misura. 7 La citt viene ricreata seguendo questa utopia necessaria, ricalcando forse le ideologie illuministe, soprattutto nella volont di accompagnare il cammino di una societ con i lumi dellarte e della cultura del suo tempo.

Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, Ed. Fondazione Orestiadi, Alcamo (Tp) 2007, pag.5.

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In un certo senso Gibellina non si discosta dalla tradizione, dalla storia. La Sicilia annovera tantissimi esempi di ricostruzioni radicali di intere citt, come Grammichele, Avola, importantissimi esempi di citt ideale settecentesca; la pianta urbanistica idealizzata e visibile soltanto da un ipotetico punto di vista sovraumano, dallalto o a volo duccello. Per non parlare di tutta la Val di Noto, completamente distrutta con il terremoto del 1693 e ricostruita secondo lideologia estetica di allora, rifacendola completamente nei palazzi, nelle chiese e nella concezione urbanistica funzionale ai bisogni dellepoca; ma questo non ha sicuramente evitato di regalarci oggi uno dei luoghi pi inusuali del barocco europeo. I giardini di pietra, usando la definizione di Cesare Brandi. Si instaura cos questa fabbrica civica 8 che vedr coinvolti non soltanto gli artisti e gli intellettuali che risposero allappello del 70, ma anche le maestranze artigianali locali e gli stessi cittadini: [] Pagine di luce e frammenti di bellezza creati dagli artisti con i giovani, gli studenti, gli abitanti della citt, dando vita a veri e propri laboratori a partecipazione collettiva [].9 A Gibellina come sono stato attratto io cos diversi artisti sono stati attratti per partecipare e rispondere a quella voglia di oltrepassare le soluzioni pratiche: lestraniante oggetto utile delle necessit impellenti. Pietro Consagra10 La pianta urbana fu chiaramente il primo intervento, ragionato insieme agli ingegneri dellISES, curato principalmente da Marcello Fabbri. Richiama una figura a forma di farfalla, dove al centro troviamo i luoghi e i servizi pubblici e da cui si snodano le residenze dei cittadini. La Monica, nel suo testo Gibellina, Ideologia e Utopia, riconduce lidealizzazione della pianta ai concetti espressi nel libro di Ebe-

Cit. Bonito Oliva. Pes A. - Bonifacio T., Gibellina dalla A alla Z, cat. del Museo dArte Contemporanea di Gibellina, Edizioni Comune di Gibellina e Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2003, pag. 20.
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Consagra P. in Gibellina, Ideologia e utopia, La Monica G., pag. 53.

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nezer Howard, Lidea della citt giardino11, come deduzione di modelli anglosassoni scandinavi, presentando (e non senza qualche punta di dissenso, soprattutto quando cita, come preambolo al discorso, una frase di Le Corbusier: larchitetto un inventore, non un deduttore) evidenti ed eclatanti esempi molto simili alla conformazione gibellinese. La pianta della citt fu poi caratterizzata dagli innumerevoli interventi degli artisti, sia attraverso opere architettoniche sia attraverso sculture che crearono un preciso assetto spaziale: [] le sculture di Gibellina ovviamente non sono decorative; ma soprattutto, non sono preposte come forme da contemplare, piuttosto appaiono tappe duna meditazione che allo stesso tempo vuole essere produzione dello spazio civico. Le sculture tentano (e certo non sempre riescono) di farsi spazio, di avere un luogo, a partire da un luogo e da uno spazio non ancora precisati, e la cui storicizzazione in corso dopera [] 12. In effetti Frazzetto vede bene, attraversando Gibellina si attraversa uno spazio creato da evidenti fulcri che sono proprio le installazioni urbane, le sculture-spazio. Molti artisti interpretarono veramente il gioco della scultura come vettore di ulteriori movimenti da e per il luogo in cui intervenivano: linstallazione scultorea doveva creare dei contesti e degli spazi, anche futuri, che acquistassero dinamicit ed energia dalle opere stesse. La struttura scultorea diviene anche il punto di riferimento: mentre nella vecchia Gibellina le poche grandi strutture, insieme alle fontane e alle piazze diventavano il mezzo di orientamento non solo geografico ma anche civile e storico, nella nuova Gibellina sono gli interventi degli artisti a creare un flusso storico, uno spazio in divenire, un riferimento che non incornicia nulla se non le azioni degli abitanti e il loro naturale divenire. Cos come in un certo senso afferma Marcella Aprile riferendosi alle case di Gibellina: Qui, nel nuovo paese, la casa esaurisce in s tutte le componenti urbane, sia pubbliche che private; lunico ogget-

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G. La Monica, Gibellina, Ideologia e utopia, pag. 10. Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, pag. 18.

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to capace di polarizzare lattenzione degli abitanti. la casa a stabilire le regole del gioco.13 Lattuale aspetto di Gibellina chiaramente levoluzione di un lungo percorso di interventi e progetti che, come abbiamo detto prima, provengono da numerosi convegni e tavole rotonde. La prima urbanizzazione, quella che va dal 1971 al 1975 circa, vede sorgere gi le prime architetture che caratterizzeranno lo skyline della nuova Gibellina come la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni. La struttura viene costruita nella parte pi alta della citt, e funge da elemento culminante, da punto di riferimento spirituale degli abitanti. Un aspetto tradizionale della cultura siciliana viene esposto nelluso delle forme, la sfera e il cubo, che (oltre ad essere intrise di evidenti significati metaforici come la materialit e laere, la razionalit e la fede) riportano alla memoria larchitettura arabo normanna, tanto diffusa nella Sicilia Occidentale e che diventano il simbolo di unione e scambio culturale tra diverse etnie (cos come i presupposti di Gibellina, che vuole diventare una fornace Europea della cultura). Oltre la Chiesa viene costruito laltro fulcro sociale, il Municipio, la sede dello stato. Gli architetti, Alberto Samon, Giuseppe Samon e Vittorio Gregotti, formulano una struttura che risente di un originale linguaggio architettonico riconducibile allarchitettura brutalista, nella versione tutta italiana di quegli anni: un calibrato gioco di pieni e di vuoti, di luci e di ombre rimanda ad unarchitettura che, pur nel suo ruolo di edificio emergente, dichiaratamente si oppone al monumentalismo che loccasione progettuale avrebbe potuto richiedere. Nel 1976 iniziano i lavori del Meeting e del Cimitero Comunale di Pietro Consagra, dove lanno dopo verranno installate le porte e nel 1979 collocata la scultura di Mirko.

13

Oddo M., Gibellina la nuova, Attraverso la citt di transizione, coll. Universale di architettura, a cura di Lorenzo Spagnoli, ed. Testo e Immagine, Chieri (TO) 2003, pag. 29.

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Nel 1978 Nanda Vigo, con la sua Tracce Antropomorfe, realizzer un interessante luogo in cui si mescola il presente con la memoria: unarchitettura a se stante, che crea uno spazio contemplativo ma nello stesso tempo dinamico, che raccoglie in s lazione contemporanea ma anche la materia del ricordo, della storia. Nanda Vigo inserisce nel corpo della struttura elementi architettonici presi nella vecchia Gibellina e ricontestualizzati in una nuova funzionalit commemorativa. Lanno dopo, nel 1979, oltre ad altre numerose installazioni scultoree come quelle di Cappello, Messina e altre soluzioni originali come quella di Emilio Isgr, Gibellina vede nascere il Museo Civico dArte Contemporanea, che raccoglie numerose opere darte contemporanea di importanti nomi della cultura italiana e internazionale e la Chiesa di Ges e Maria di Nanda Vigo, essenziale ma nello stesso tempo costellata da simboli che rispecchiano un lato molto arcaico e tradizionale della religione, come triangoli e quadrati che formano stilizzate icone bibliche come lAlbero della vita. Il 1980 vede a Gibellina la presenza di altre grandi figure intellettuali come Alberto Burri, che realizzer una delle opere pi emblematiche dellarte contemporanea degli ultimi decenni, e Franco Purini con Laura Thermes che con la Casa del Farmacista apriranno la strada ad un progetto architettonico molto sperimentale e aperto allavanguardia contemporanea: LArchitettura eminentemente costruzione. costruzione dellidea, costruzione del progetto, costruzione delledificio, costruzione della citt 14. Unarchitettura che condensa combinazioni generative che si presentano contemporaneamente sia come principi teorici che riguardano loggetto architettonico e lambito insediativo sia come dispositivo formale, capace di essere declinato a varie scale. Nel 1981 sorge a Gibellina la scultura che poi diverr il simbolo della citt, ovvero la Stella di Consagra, lIngresso al Belice. Ed proprio la stella di Consagra che Frazzetto prende come punto di riferimento per iniziare il suo libro, Gibellina, la mano e la stella, argomentando un riferimento romantico alla Stella Polare di Goethe, che

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Purini F., Le opere, gli scritti, la critica, Electa, Milano 2000, pag.101.

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in un suo appunto datato 21 Aprile 1787, racconta di esserne stato illuminato durante una sosta proprio qui, nel trapanese 15. Consagra concepisce la stella come insegna luminosa della citt e della valle intera, e ispirandosi proprio alle luminarie tradizionali montate per le stradine dei paesi durante le feste e le ricorrenze. Nello stesso anno, avviene anche il recupero delle Case Di Stefano che, da un esemplare progetto di Marcella Aprile, Roberto Collov e Fulvio La Rocca, da uno stato di rudere vengono trasformate in uno spazio espositivo, inserendo una serie di soluzioni strutturali l dove la fabbrica era completamente distrutta. Del 1981 il progetto per il centro di Gibellina di Oswald Mathias Ungers. Un altro importante edificio Palazzo Di Lorenzo di Francesco Venezia che, come Nanda Vigo, recupera delle architetture della vecchia Gibellina per fonderle in una nuova concezione spaziale. Il palazzo diventa, attraverso un geniale incastro di piani e spazi, un percorso cronologico che va dalla memoria, dal passato, il cortile con la vecchia facciata recuperata dalla vecchia Gibellina, al presente, verso aperture sulla valle e il paesaggio contemporaneo che muta e si evolve in continuazione, trasformandosi e apparendo sempre nella sua attualit allo spettatore che arriva a conclusione di questo percorso. Al suo interno, le sculture di diversi autori, collocate strategicamente in un rapporto funzionale con larchitettura, caricano ulteriormente il percorso di simboli e suggestioni che fanno parte della tradizione e del mito. Nel 1982 inizia il progetto Il Sistema delle Piazze di Purini e Thermes che verr completato nel 1990, ma mai utilizzato, e nel 1984 il teatro di Consagra, che vedr una costruzione a pi riprese e ad uno stato attuale, a 28 anni di distanza, ancora incompiuto (ma si spera, ormai in via di ultimazione). Nel 1987 sorge la Torre Civica di Mendini, altro simbolo ormai della citt che ne scandisce il tempo e lo spazio oltre a creare un altro punto di riferimento per lorientamento nel nuovo tessuto urbano.

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Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, Ed. Fondazione Orestiadi, Alcamo (Tp) 2007, pag. 7.

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Si arriva quindi al 1990 con una delle ultime importanti strutture architettoniche di Purini e Thermes, ovvero Casa Pirello, che chiudono un primo intervento architettonico importante e massiccio nella citt. Oltre a questo breve elenco che riporta gli esempi architettonici pi eclatanti, dobbiamo aggiungere le innumerevoli installazioni scultoreo-spaziali che hanno contribuito, insieme allarchitettura, a determinare lo spazio di Gibellina e la sua coordinazione tra funzionalit e fruizione sociale. I gibellinesi usano le sculture, se ne sono appropriati con quella familiarit ingenua ma profonda che prima citavamo dal libro di Frazzetto. Come dice Purini: Linteresse dellesperimento di Gibellina, tenacemente voluto dal sindaco Ludovico Corrao, sta non tanto nella percentuale statistica di opere per abitante, superiore di gran lunga a quella di qualsiasi altra nuova citt o parte di citt e gi di per s segno di grande civilt urbana, n nellaver messo luna accanto allaltra, e qualche volta luna contro laltra, differenti vicende della ricerca plastica contemporanea in Italia, come in un grande museo en plen air, ma di aver riproposto a scala di un intero insediamento il problema del possibile ruolo dellopera darte nella configurazione dello spaio urbano, riprendendo, evidentemente con alcune visibili ma ineliminabili incertezze, un filo spezzato dalle avanguardie 16.

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La Monica G., Gibellina, Ideologia e utopia, pag. 96.

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uno scenario piuttosto straordinario questo abbozzo di citt abbandonata ai bordi di un villaggio e al margine dei secoli. Ho percorso una met dellemiciclo, salito la gradinata del padiglione centrale, e per un pezzo sono rimasta a contemplare questi edifici costruiti per fini utilitari e che non sono mai serviti a niente.sono solidi, esistono, eppure il fatto di essere abbandonati li trasforma in un simulacro fantastico; di che cosa, non si sa. Simone De Beauvoir17

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De Beauvoir S., Una donna spezzata, ed. Einaudi, Torino 1999.

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II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

Liniziativa di Ludovico Corrao non ha riscosso solo consensi, ma anche una serie di critiche rivolte soprattutto a due aspetti delloperazione: una presunta estraneit delle opere darte e delle architetture alla cultura degli abitanti della citt (secondo questa critica oggetti passivi di una volont pedagogica e contraddittoriamente estetizzante calata dallalto) e una mancata integrazione tra spazi urbani, edifici e opere darte. Sono critiche sulle quali occorre senza dubbio soffermarsi, perch toccano in effetti questioni reali. Franco Purini18 Gibellina si presenta al visitatore come una realt sospesa: una sensazione comune che si prova non appena si entra nel tessuto urbano; anche se si preparati e si conosce bene la sua storia, si rimane ugualmente intimoriti e nello stesso tempo eccitati dal complesso di sculture e strutture inusuali che si incontrano ad ogni traversa, ad ogni piazza. Nonostante si avverta un sentimento laboratoriale, del fare, che traspare dalle installazioni artistiche, esiste un sentimento di inquietudine dato non tanto dallimpatto delle opere sulla persona o sul luogo, pi o meno desolato, ma soprattutto sulla consapevolezza di un mancato divenire. Le opere studiate soprattutto per realizzare eventuali percorsi, probabili vettori non solo di spazi e soluzioni vivibili ma di tutta una societ in via di sviluppo, generano questenergia propulsiva che si sente, ma che ci spinge verso una dinamica sociale e urbana che non riscontriamo. Purtroppo non esiste una risposta diretta alla propulsione spaziale che queste opere si auguravano. Sembra quasi che le opere siano troppe, sprecate, in confronto alla reale necessit degli spazi e della

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Oddo M., Gibellina la nuova, Attraverso la citt di transizione, pag. 6.

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societ stessa; sembra quasi che le sculture siano come grandi attori di un importante cast, ma che il film non sia mai stato girato. C da chiedersi perch, nonostante la citt annoveri importanti interventi artistici, che vanno dallarchitettura alla scultura, ci si senta allinterno di uno spazio povero, inquietante, desolato. Le risposte possono essere tante e si rischia di soggettivare troppo lanalisi, o addirittura si rischia di cadere in una visione troppo breve in confronto a un argomento che deve essere visto in un arco di tempo molto lungo, in quanto parliamo di una citt in via di sviluppo e non di una scultura, per esempio, circoscrivibile e analizzabile nellimmediato. Di sicuro importante riscontrare e dedurre le cause di questo sentimento comune, non solo nella gente comune ma anche tra gli addetti ai lavori. Le cause sono tante ma principalmente possiamo esporre i problemi riguardanti dati fondamentali di una citt (come di unopera darte): gli spazi e i tempi di fruizione. Si possono immaginare per esempio i ritmi di vita, di lavoro o di opportunit sociale, che potevamo trovare nella vecchia Gibellina, e che per forza di cose, in quanto gli abitanti sono rimasti gli stessi, ritroviamo qui: la differenza di queste dinamiche che qui si decontestualizzano; mentre il paesino della vecchia Gibellina, arroccato sulla collina di Roccatonda, poteva giustificare i tempi di una societ prettamente agricola ed esclusa dai ritmi spazio-temporali delle citt e della societ moderna a loro contemporanea, cui questi ritmi sono come paralleli, sospesi nei confronti di un linguaggio imperante, quello delle opere darte contemporanea, un linguaggio che si espone nel nuovo tessuto urbano. Una pianta urbanistica rispecchia la storia, lo sviluppo della societ, delle politiche e di tutto quello che riguarda la memoria di una comunit allinterno di uno spazio e un tempo che la modifica ma che si relaziona lentamente e in modo contestuale ad essa. La citt diventa quindi la parte integrante di una vita, di un modo di rapportarsi e di vedere le cose. Questo naturale scorrere del tempo e dello spazio stato raso al suolo dal terremoto, e qualsiasi tentativo di ripeterlo non esiste pi.

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II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

Se Gibellina fosse stata ricostruita mantenendo gli stessi spazi per accogliere le stesse esigenze dinamiche della popolazione, oggi il problema potrebbe essere indubbiamente differente. Potremmo avere una comunissima citt come se ne vedono a migliaia in tutta Italia, o avremmo una citt simile a Ragusa Ibla; infatti nel capoluogo ragusano il terremoto distrusse interamente la citt medievale di Ibla, ma la differenza consistette nel fatto che, contrariamente a Gibellina, si mantenne lo stesso tessuto urbano ricostruendo sulle rovine dei palazzi medievali le architetture nuove del barocco. Un po come se, a Gibellina, Purini e altri architetti avessero progettato i nuovi palazzi sulle fondamenta delle vecchie abitazioni, mantenendo gli stessi spazi vitali, ma mostrando un aspetto della storia contemporaneo a quello del terremoto. La cosa che provoca desolazione forse proprio questa netta decontestualizzazione tra esigenza e spazio, tra societ e monumento internazionale. Mentre la Chiesa di Quaroni potrebbe rientrare attraverso le sue forme, la sfera e il cubo, in una tradizione figurativa siciliana, come la chiesa di Santa Maria dellAmmiraglio a Palermo, la Torre Civica di Mendini assolutamente altro: un enorme obelisco di cemento che rispecchia le forme, gli spazi e le inquietudini o le certezze di una societ comunque lontana da quella dove sorge. Gli artisti e gli architetti che sono intervenuti a Gibellina sono puntuali testimoni del tempo contemporaneo che si esprimono attraverso un altrettanto puntuale linguaggio artistico. Ma gli artisti provengono da altre realt, da altri punti di vista che manifestano problematiche internazionali, e non strettamente connesse al luogo. La presenza dellarte contemporanea a Gibellina uno squarcio improvviso nella realt intellettuale internazionale, con i suoi pro e i suoi contro: da un punto di vista culturale la citt un incredibile laboratorio di sperimentazione e colloquio tra le diverse esperienze culturali internazionali, dallatro un mondo parallelo alla societ che lo abita; da un lato abbiamo le considerazioni e i dibattiti sullimportanza o meno dellutopia, delleccesso o del superfluo artistico, dallatro la necessit di ritrovarsi da parte della popolazione; se esistono progetti e argomentazioni su come pianificare la nuova realt urbani29

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stica e di conseguenza della societ, dallaltra esiste la possibilit di crescere spontaneamente lungo percorsi fatti di avvenimenti che alloccorrenza del caso e degli avvenimenti si alternano nella storia. Perch c da dire che Gibellina oggi il frutto di decisioni, di pianificazioni a tavolino. La storia quella decisa, non avvenuta per caso. Quando si parla di monumento, si intende nella sua specificit qualcosa che con la sua presenza espone la memoria di una realt storica o di una data scelta. Qui tutto monumento, lintera citt una scelta a priori ed espone di conseguenza una storia decisa, imposta in ogni punto. Col terremoto labitante di Gibellina ha perso nelle case una memoria spaziale, oggettiva, perch ogni struttura crollata, anche se fosse stata ricostruita dovera, mantenendo lo stesso identico aspetto, avrebbe espresso comunque un senso di apparenza, di falso, perdendo quella patina di storia e di ricordi che ogni abitante ne ha intriso le mura; le costruzioni non sarebbero mai state i testimoni della storia, ma delle quinte, dei fantasmi di esse stesse. Il problema quindi non sarebbe stato rifare le case uguali o riproporre Gibellina vecchia, per attuare una condizione morale, etica e culturale pi giusta; la soluzione esatta, forse, si sarebbe potuta trovare applicando una concezione di ripristino degli spazi vitali della vecchia Gibellina, almeno per il centro della nuova citt. Le nuove generazioni non avrebbero avuto difficolt ad ambientarsi o a vivere i nuovi quartieri che si sarebbero sviluppati in periferia. Oggi Gibellina appare come la grande periferia di una qualsiasi citt italiana, perch essendo state realizzate nello stesso periodo, hanno un concetto di sviluppo identico. Strade ampie e scorrevoli, distribuzione dei centri amministrativi e pubblici in spazi funzionali con le case abitative private... Una periferia tollerabile nel momento in cui la si vede in un contesto pi ampio, come escrescenza attuale di una storia, di un vissuto cittadino ormai ben configurato nella comunit che lo abita. La strutturazione urbanistica contemporanea pu apparire pi o meno bella, pi o meno funzionale, ma comunque rispecchia le esigenze della societ contemporanea. La periferia e le sue costruzioni comportano anche le inquietudini, i malesseri e le necessit spesso 30

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troppo povere della societ contemporanea. Sicuramente non sta a noi giudicare, noi che viviamo nel presente e siamo attaccati al passato, alle nostre basi culturali e architettoniche, che comunque, a loro volta, apparivano ai nostri genitori altrettanto nuove come ci appaiono le nostre periferie, dove siamo nati e cresciuti. Quindi Gibellina necessariamente la traccia puntuale della nostra concezione contemporanea, il testimone di una cultura sempre pi massificante, che non conosce luogo o storia locale, ma soltanto problematiche relative ad una storia culturale universale, ideale, funzionale a priori, calata dal cielo allimprovviso, senza guardare le specifiche esigenze. Gli abitanti di Gibellina non hanno accolto tutto questo, ma ne sono stati travolti, come una diga che cede e inonda intere valli; molti sono stati fiduciosi di non annegare ma di poter aggrapparsi a nuove prospettive. Altri hanno preferito abbandonare il paesaggio sommerso da una nuova realt, da un nuovo coinvolgimento non pi locale, ma extraterritoriale, che andava ben oltre i limiti geografici delle colline. Rimane quindi questo importante patrimonio culturale che deve essere vissuto, che sicuramente col tempo sar fruito in maniera pi intensiva, ma con i suoi tempi, quelli che richiedono la formazione di una citt. Le architetture, le installazioni e tutto quel corredo intellettuale che in questi quarantanni ha stabilito le vie di sviluppo della nuova citt, sono il giusto perno per prospettive ben auguranti. Analizzare la situazione da un punto di vista del presente significa soltanto assecondare paradossalmente la vera Utopia, che quella di andare a riproporre la vecchia Gibellina, che non esiste pi, decontestualizzata dal presente e dalle dinamiche culturali contemporanee. Se riusciamo ad accettare la realt urbanistica di Gibellina, possiamo allora poter vedere meglio perch persiste questo senso di inquietudine. Gibellina un paese che ospita poche migliaia di abitanti, appena cinquemila, ed facile passeggiare quindi anche per strade deserte; ma quello che ci aspettiamo anche il turismo che una situazione artistica come questa meriterebbe. Il turismo (e andrebbe bene anche 31

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quello di massa) movimenterebbe il paesaggio urbanistico e nello stesso tempo aiuterebbe in qualche modo a sviluppare leconomia locale. Gibellina merita un riconoscimento turistico, culturale, ma manca completamente da parte degli abitanti la propensione ad un tipo di investimento in questo settore: un atteggiamento che frenerebbe la migrazione verso altre citt per favorire leconomia e lurbanizzazione locale. Le ragioni dellassenza di una rete turistica sono dovute alla mancanza di alberghi, di zone ricettive per numerose comitive, ma soprattutto alla difficolt di rientrare negli itinerari costituiti da centri molto vicini come Selinunte, Segesta, Palermo, Monreale, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, San Vito Lo Capo e altri ancora. Il turismo di Gibellina cosiddetto di nicchia: di addetti ai lavori, di studenti, di ricercatori, di appassionati darte contemporanea o di gente che comunque venuta a conoscenza del fenomeno e che per vero interesse o semplice curiosit si viene a sedere sotto la Torre Civica di Mendini. Gibellina offre per conto suo molte soluzioni culturali: decine e decine di interventi artistici site specific, strutture di importanti architetti contemporanei e un Museo Civico dArte Moderna e Contemporanea. Unofferta molto ricca, ma oggettiva, perch Gibellina fatta ad arte, e comunque particolarmente statica. Il Museo Civico, ad esempio, vede la sua raccolta allestita allinterno di una struttura che avrebbe dovuto accogliere una scuola media, a un piano con spazi funzionali alla vita scolastica ma sicuramente non a un allestimento museale. Questo problema strutturale influisce molto dal punto di vista scientifico e fruitivo. Il Museo assomiglia molto di pi a una raccolta alla rinfusa di opere darte, decontestualizzate da un percorso critico di qualsiasi genere; una sorta di ripostiglio di opere darte. Nonostante tutto, non si pu rimanere impassibili davanti allimportanza delle opere che comunque affiorano dal disordine espositivo: opere di Mimmo Rotella, Boetti, Vedova, Guttuso e una grande aula (la palestra) dedicata alle grandi tele realizzate da Mario Schifano a Gibellina. Un altro deficit del museo consiste nel fatto che difficilmente si allestiscono mostre temporanee, che movimenterebbero lofferta scien32

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tifica e di ricerca culturale. Il problema derivato anche da involontari ostracismi tra la struttura museale e le istituzioni pubbliche pi interessate a investimenti di breve termine. Il Museo Civico di Gibellina ha nella sua collezione darte contemporanea delle enormi potenzialit culturali ed economiche: difficilmente si riesce a visitare un luogo con una cos alta concentrazione di opere darte contemporanea di questa caratura. La politica del Museo dovrebbe basare tutte le forze sulla curatela dellallestimento (visto che unaltra struttura significa parlare solo di utopie), sulla qualit del servizio informativo e su un programma di mostre e collaborazioni con artisti contemporanei come i workshop a tema (come a ricreare una situazione concettuale molto simile ai presupposti collaborativi tra gli artisti e Gibellina nuova). Listituzione che invece riesce in qualche modo a trainare il panorama culturale di Gibellina la Fondazione Orestiadi. LIstituto di Alta Cultura Fondazione Orestiadi Onlus fu costituito nel 1992 con la donazione Corrao, nel tempo arricchita da ulteriori donazioni e acquisizioni e ha proseguito in un certo senso lesperienza culturale iniziata nel 1968 proprio dal Senatore Corrao, con gli artisti chiamati a Gibellina dopo il terremoto. Nella sede della Fondazione Orestiadi, il Baglio Di Stefano (ex struttura baronale e ristrutturato dopo il sisma del 1968 su progetto di Marcella DAprile, Roberto Collov e Teresa La Rocca), sono rappresentati anche la Regione Siciliana, la Provincia Regionale di Trapani e il Comune di Gibellina. Dal 26 Giugno 2000, la Fondazione ha nel palazzo Dar Bach Hamba, nel cuore della medina di Tunisi, un ulteriore spazio in cui svolgere le proprie attivit. Dar Bach Hamba ospita unesposizione permanente improntata alle linee guida del Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina e frequenti iniziative, nellottica di un confronto fra artisti di diverse culture. Il Baglio Di Stefano ospita nella casa baronale il Museo delle Trame Mediterranee, istituito nel 1996 e che raccoglie nelle sue sale costumi, gioielli, tessuti darte, ceramiche e oggetti darte di popoli e culture dellarea mediterranea: Sicilia, Egitto, Tunisia, Palestina, Ma33

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rocco, Spagna, Algeria, Albania e tutte le la nazioni comprese nel bacino. Il direttore del museo, Enzo Fiammetta, descrive cos lesposizione del museo: Il museo/officina lapprodo di anni di ricerche, incontri, dibattiti, studi e seminari promossi dalla Fondazione Orestiadi, ma tuttora unidea guida, unidea limite, la cui forza risiede nel suo carattere transnazionale e interdisciplinare. Il segno e la forma caratterizzano due delle sezioni del percorso espositivo. Nella prima possibile leggere attraverso laccostamento degli oggetti di diversa provenienza e di differenti periodi, levoluzione dei principali motivi decorativi che hanno caratterizzato lo sviluppo dellarte e dellartigianato mediterraneo. I motivi dellarabesco, della scrittura e della pseudo scrittura, delle geometrie intrecciate, rielaborati e diffusi in Occidente dagli arabi, sono utilizzati come elementi per una lettura comparata. Nel confronto tra oggetti di differente provenienza, periodo ed uso, si sono cercati i tratti comuni e i percorsi storico artistici paralleli, con la possibilit di leggerne la permanenza dei motivi decorativi nel tempo e le varianti. La sezione delle forme conserva ceramiche arabe, siciliane e spagnole del XIX secolo, che confrontate con brocche, idrie, vasi preistorici e medievali dichiarano la comune origine e permanenza di modello. La Sicilia sempre stata luogo di incontro di popoli, di sperimentazione di linguaggi. Questa peculiarit ha sempre caratterizzato la sua storia economica e artistica. Sembra a noi che oggi, lattuale situazione, caratterizzata da profonde migrazioni, possa presentare caratteri simili; la Sicilia e lItalia possono tornare a essere luogo di incontro, di passaggio di popoli, di sedimentazione e rielaborazione di elementi Enzo Fiammetta19 Lattivit culturale della fondazione Orestiadi di Gibellina non si risolve soltanto nellesposizione di mostre darte figurativa e arte ap-

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Parole tratte dallintervista ad Enzo Fiammetta durante la mia visita alla fondazione delle Orestiadi nel mese di Settembre 2009.

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plicata del mediterraneo, ma anche nellorganizzazione di eventi teatrali o musicali. Ogni anno vengono invitati dalla fondazione importanti registi e compagnie di spettacolo per esibirsi a Gibellina. Come scenario viene spesso usato il Teatro del Grande Cretto, ovvero lo spazio attiguo allopera di Alberto Burri o, spesso e volentieri, anche le placche di cemento usate come veri e propri palcoscenici. Il concetto quello di creare un collegamento forte tra la tragedia umana, reale, e quella della finzione, dellidea, del dramma. In occasione degli spettacoli teatrali e musicali vengono allestite di volta in volta scenografie nate dalla collaborazione di altrettanti artisti contemporanei con i registi e gli sceneggiatori. Si vengono a creare in questo modo opere inusuali, emblematiche, che nella maggior parte dei casi rimangono come opere in se, a prescindere dalla loro funzionalit scenica. Cos ad esempio rimane la montagna di sale di Mimmo Paladino (adesso installata nel Baglio Di Stefano e sostituendo il sale ad una colata di cemento bianco), le macchine teatrali di Pomodoro (autore di diverse scenografie a Gibellina), e tutto quel comparto artistico come manifesti, schizzi e progetti che accompagnano le opere teatrali o musicali per diventare poi oggetto di esposizione nel museo della fondazione. Lo sconfinamento e lo scambio, la conferma di un attitudine socratica che trova il proprio valore nel dialogo, lo si ha negli Atelier del Baglio Di Stefano. Atelier risponde a un progetto di sensibilizzazione territoriale sullintera geografia mediterranea, con la possibilit di soggiorno creativo per artisti di diversi paesi a Gibellina, Tunisi o in altri luoghi gestiti dalle Orestiadi. Attraverso gli atelier, lartista ha la possibilit di soggiornare a Gibellina e lavorare a stretto contatto con la terra e i luoghi con cui dovr dialogare; perch il concetto che si vuole focalizzare quello del dialogo tra artista e societ locale, tra le problematiche contemporanee, che vanno dallestetica alla politica, dalla semiotica alla religione, al confronto con i giovani e le generazioni future di Gibellina. La fondazione ospita esplicitamente unofficina non solo culturale e artistica, ma anche sociale. Il processo creativo dellartista subisce e in35

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fluenza il luogo in cui si viene a determinare, contamina e viene contaminato dal genius loci: unampia dialettica tra lantropologia esistenziale dellartista e quella riguardante la geografia del posto. Per una maggiore apertura e un autentico pluralismo culturale non esistono fasce generazionali protette e nemmeno poetiche di artisti privilegiati. Ancora una volta le Orestiadi promuovono unattivit che gioca sul doppio versante della presenza operativa dellartista e la permanenza finale di opere che testimoniano il suo passaggio. Emerge chiaramente un ulteriore valore, quello di un multiculturalismo che ha sempre sostenuto la strategia diffusiva della Fondazione Orestiadi: un ventaglio di stili, tecniche e materiali, portatori tutti di una creativit tesa a cogliere anche lo spirito del nostro tempo. Prevale alla fine un nomadismo culturale che da fertilit alla presenza di opere per nulla statiche, capaci invece di bucare il territorio, aprirlo a sorprendenti corto-circuiti che arricchiscono la conoscenza dellarte e della problematica realt che ci circonda. Ecco un modo di far parlare una lingua universale a unarte contemporanea che, attraverso il processo creativo, trova la possibilit di sviluppare nuove lunghezze donda di conoscenza e una ulteriore speranza per le ultime fasce generazionali di giovani aperti allarte, che sembra rappresentare lunica apertura sul futuro. Achille Bonito Oliva 20 La fondazione delle Orestiadi rimane quindi, oltre a un importante museo darte contemporanea (appunto la donazione Corrao, costellata da importanti e numerose opere di altrettanti artisti moderni e contemporanei e allestita tra il Granaio e il Museo di Arte Applicata) e un importante centro di scambio culturale col Museo delle Trame Mediterranee, anche una interessante officina artistica, unica nel suo genere, che dinamizza il panorama culturale non solo regionale ma anche a livello internazionale. Le opere che vengono create negli atelier, con i laboratori e quindi gli scambi tra artista e luogo, artista e giovani generazioni, sono il frutto di un importante dialogo e di un processo intellettuale molto importante e stimolante; in generale, un

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Oliva A.B., Ateliers, catalogo della Fondazione Orestiadi, Gibellina 2006, pag. 12.

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esempio di museo dinamico e allavanguardia che propone soprattutto il processo creativo vero e proprio, con la possibilit non solo di entrare allinterno delle dinamiche intellettuali che creano loggetto artistico, ma anche di esserne coinvolti nella strutturazione del suo linguaggio. Allo spettatore si d quindi lopportunit di studiare il fenomeno creativo in relazione a un tema e a unidea relativa al luogo, allo spirito geografico in cui si trova e con tutte le problematiche relative, dalletica alla morale, dalla politica alla religione, dallestetica al mito... Gibellina oggi quindi una realt ancora dinamica, sia dal punto di vista critico che da quello artistico vero e proprio. Esiste una situazione artistico-architettonica importante, con altrettante collezioni darte contemporanea, ma soprattutto con un fenomeno dinamico come quella della Fondazione delle Orestiadi, che traina le vicende culturali di Gibellina e di un interessante aspetto dellarte contemporanea, ponendosi come luogo daccoglienza alla sperimentazione e al dialogo.

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[] A Gibelina esiste lunico esempio in Italia in cui larte contemporanea si confronta con la societ. Mentre altrove, fra le opere nei musei si svolge un rapporto istituzionale, qui partecipa direttamente, perch non manda (lartista) il quadro e lo mettiamo, no, lo fa qui, lo realizza qui, ascoltando sentendo, passo per passo, la terra, le persone, gli umori, il teatro[] Ludovico Corrao21

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Tratto dallintervista a Ludovico Corrao in occasione della mia visita alla Fondazione Orestiadi a Gibellina nel mese di Settembre 2009.

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III. L'artista si mette in gioco

III. L'artista si mette in gioco

La ricostruzione di Gibellina stata di per s un fenomeno raro: la possibilit per lamministrazione di pianificare unintera citt, meditando sulla pianta e sulla sua funzionalit, sulla possibilit di avere a disposizione vari intellettuali tra artisti e architetti stata una situazione ideale, una possibilit che ogni singolo attore del panorama culturale ha sempre ipotizzato e sognato. Gibellina ci appare quindi come un progetto aperto, un cantiere in via di sviluppo, con i presupposti lungimiranti che si rivolgono al dialogo tra artista e societ, con un antico rapporto socio-culturale riscoperto e ancora se possibile pi diretto; lidea di Ludovico Corrao stata quella di calare la cultura tra la gente, con tutte le sue problematiche del sociale e per il sociale. Ma a Gibellina un altro fenomeno unico anche quello dellatteggiamento dellartista nei confronti di una problematica linguistica pi attenta ad un effettivo aspetto funzionale dellopera darte. Loggetto artistico per Gibellina non nasce con, allinterno del processo creativo, aspetti riguardanti il mercato o la fruizione dlite, ma secondo esigenze narrative pi generali, pi utopiche, ma paradossalmente pi vicine a una larga schiera di fruitori su pi livelli; in poche parole, lartista si cimenta nella realizzazione di un oggetto che sia di immediato impatto emotivo, linguistico e metaforico, e che riesca ad arrivare a qualsiasi individuo, a prescindere dal bagaglio culturale che esso ha. Non sempre il risultato riesce a soddisfare questa idea, ma perlomeno il prodotto artistico suggerisce sempre questa analisi dellartista attraverso luso di un linguaggio inusuale rispetto al proprio operato tradizionale. Lautore che sviluppa il suo linguaggio artistico e lo divulga attraverso una rete espositiva pi o meno pubblica, ma che rimane prevalentemente esposto in una rete (soprattutto commerciale) che comunque dlite, di un pubblico che gi preparato a ricevere un linguaggio sperimentale pi o meno efficace, si trova a dover creare 39

III. L'artista si mette in gioco

invece a Gibellina un oggetto a priori, che non tenga conto fondamentalmente n del mercato, n di un pubblico privilegiato o interessato. Gli artisti che hanno risposto allappello di solidariet di Corrao & Co. vennero man mano a Gibellina, girando il neo tessuto urbano e scegliendo il punto in cui avrebbero voluto installare il loro intervento artistico. Una scelta basata sicuramente su un proprio bisogno di fondere la funzionalit linguistica di espressione in rapporto allo spazio scelto. Un rapporto, un dialogo tra spazio e linguaggio che permetta lo sviluppo di ulteriori spazi e problematiche estetiche e vettoriali su cui riflettere e ragionare. Per Alberto Burri per esempio, il bisogno fu quello di andare oltre la Gibellina Nuova; prima gli fecero visitare la nuova cittadina, dove gi esistevano importanti installazioni e architetture, come quelle di Quaroni e Consagra, ma decise che l non cera spazio per lui: Qui non ci faccio niente di sicuro. Non riusciva a immedesimare la sua idea in quel luogo. Fu portato allora nella vecchia Gibellina e guardando i ruderi cap come doveva intervenire. La sua idea fu quella che poi lo port a realizzare il Grande Cretto: Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne lidea22. Lopera di Alberto Burri, realizzata in collaborazione con larchitetto Alberto Zanmatti, ancora oggi una delle opere pi grandi al mondo: dodici ettari di cemento che si estende sul vecchio sito distrutto di Gibellina. Le placche di cemento bianco, che si mantengono su un livello non pi alto di due metri, inglobano le masse di detriti ricavati dai ruderi delle case distrutte, simulando con la loro forma la materia dei cretti, le superfici secche, screpolate, come se ne possono trovare in natura o nelle craquelure delle superfici pittoriche. In questo caso, i solchi del Grande Cretto, che dividono le placche di cemento delineandone le sagome, coincidono per buona parte con le vecchie strade di Gibellina.

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Zorzi S., Parola di Burri, ed. Allemandi, 1995.

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III. L'artista si mette in gioco

Una sorta di enorme sudario, in cui allinterno delle placche di cemento riposano i ruderi, le macerie della vecchia Gibellina, percorribile allinterno come un labirinto. innegabile lincredibile impatto emotivo che unopera del genere riesce ad imprimere nello spettatore: chiunque arrivi davanti al Grande Cretto prova una sensazione di profonda inquietudine, di silenzio e di riflessione. Si immersi allinterno della collina, in mezzo al nulla, ma di fronte ad un segno cos imponente che difficilmente lascia indifferenti. Una cosa molto importante di questa operazione artistica di Alberto Burri proprio lunanimit comportamentale nei sui confronti. Nel bene o nel male il Grande Cretto ottiene un importante reazione; sicuramente conseguenza di qualcosa che comunque arriva dai tanti significati etici, morali e linguistici contenuti nellopera. un segno, al di fuori da qualsiasi referenza commerciale o propagandistica: il grande cretto quindi una presa di coscienza dellartista che insegue un livello di comprensione delle cose al di sopra di qualsiasi dinamica estetica. [] esso (il cretto) fuori dal sistema (e dal sistema artistico), dalla certezza di appartenere ad unestetica. Innesca piuttosto la referenza trascendentale dellarte senza immaginarsi nellimbuto polifunzionale della comunicazione svalutando langolazione moderna intesa come estetica e progetto estetico di intervento sul mondo.[] Italo Tomassoni23 Nellambito della sua lunga produzione artistica, Alberto Burri ha ricercato sempre di pi il dialogo tra materia e spazio, ovvero la forma come icona di una concezione spaziale ben definita, o che comunque richiamasse ulteriori problemi relativi al rapporto tra questi due elementi. Una sorta di meditazione profonda sullontologia formale e sui suoi significanti attraverso opere sempre pi grandi, laconiche e austere. Il Grande Cretto, diventa un atto finale, il capolinea se vogliamo di un lungo percorso, un magistrale esempio della ricerca di

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De Simone G., Farina G., Fazzi S., Alberto Burri nel panorama della Land Art internazionale, atti del convegno, Gibellina 9 e 10 Ottobre 1998, Edizioni Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2004, pag. 93.

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III. L'artista si mette in gioco

Alberto Burri. Ma lopera presente sui ruderi di Gibellina un plauso alla sua opera allinterno della societ, dei suoi drammi e della sua stessa spiritualit etica. Una prova finale che si immerge nella realt del caos acquistando un valore artistico universale. Il Grande Cretto non sarebbe quello che se non esistesse sui ruderi di Gibellina. Non a caso il Cretto stato indicato come un culmine dellepoca; il cretto un sudario che normalizza in uno spasmo raggelato la tragedia di un popolo e di una terra, ha scritto Carlo Pirovano, opera quasi insostenibile nella sua secca laconicit. Lopera di Burri offre sicuramente analisi critiche trasversali, come quelle che vanno dalla Land Art (involontariamente sorte e rifiutate dallartista stesso), e quindi il rapporto tra artista e spazio e la modificazione di questultimo come antropologizzazione semantica del luogo, a ingenui riferimenti linguistici con le opere precedenti di Burri, ma Il Grande Cretto non si limita a problematiche autoreferenziali, come opera a se stante, estrapolabile dal luogo, ma anzi il luogo ne determina ulteriori concetti e il suo stesso motivo di essere. Il Grande Cretto, ragionando per assurdo, non potrebbe essere esposto in un museo, in una struttura neutra adibita alla fruizione e allo studio. Le placche del cretto, sudari di una realt materiale, contengono al loro interno la memoria tangibile della storia: i ruderi della vecchia Gibellina. Il colore bianco, della grande superficie in cemento, rispecchia la luce, segno oggettivo del tempo; la luce, a sua volta, rivelando le cose ne incide il tempo, usurandole. I solchi del grande cretto diventano quindi la rivelazione del tempo, della storia, la traccia della memoria. Sono i percorsi del cretto i testimoni della memoria che coincidono con le vere strade della vecchia Gibellina. Le ombre della luce, il labirinto di segni che delineano le placche del grande cretto, decidono il tempo della storia e limpatto monumentale che Burri ha deciso di registrare ai posteri. Cos come la luce e il suo calore attua un processo corrosivo sulla terra (e non a caso molti territori della Sicilia sono caratterizzati da questi fenomeni climatici), che si spacca e si crepa mostrandoci le sue viscere, la sua sedimentazione, la sua storia, Burri decide di presentarci il cretto, ovvero la luce (come presente), simboleggiato dalla su42

III. L'artista si mette in gioco

perficie di cemento bianco (segno di conoscenza culturale dellartista, contenitore consapevole delle rovine, testimonianze a sua volta della tragedia storica), rivela le ombre dei solchi (il passato, il ricordo della tragedia), lentit dellazione temporale sulla materia. La superficie di cemento bianco si spacca mostrando dei solchi che si fermano nel momento in cui coincidono con la larghezza stessa delle vecchie strade di Gibellina, il simbolo della civilizzazione, linee che fanno riemergere i percorsi tangibili di una societ; un labirinto della storia da percorrere non solo mentalmente ma fisicamente. Lazione corrosiva della luce, congelata consapevolmente da Burri col cemento, rivela il tempo di quella memoria, quella di Gibellina. Il Cretto di Burri diventa un monumento emblematico in cui dialogano il tempo e lo spazio, entrambi elementi esposti come icone reali, nella loro veridicit tangibile. La luce reale, che viene esposta dal riflesso bianco del cemento, simbolo del presente, del tempo che continua inesorabile, e levidenziazione del suo negativo, lombra, lusura, il passato che poi la traccia della luce stessa; come a dire che il presente continuo figlio del passato, della memoria. E a cosa serve un monumento se non a ricordare la storia, quello che si decide di conservare di una vecchia civilt da parte di quella contemporanea? Cos il Cretto di Burri si impadronisce, oltre che della luce e, quindi, del tempo, anche dello spazio, quello storico della vecchia Gibellina, in tutta la sua estensione: uno spazio che contempla materialmente quello che stato e che non sar pi. Il cemento non poteva contenere solo una parte delle macerie, perch non avrebbe ottenuto lo stesso principio universale avuto con la luce e il tempo; non avrebbe ottenuto lo stesso dialogo linguistico e semantico tra gli elementi estetici e storici. Esiste quindi una relazione tra spazio e tempo elaborata su pi livelli: ogni elemento che costituisce il grande cretto, dagli effetti della luce, alla dimensione dello spazio su cui si estende, dal colore al contenuto delle placche di cemento, diventa complice di una complessa ma chiara trama di concetti e simboli, metafore o semplici segni monumentali. Il Grande Cretto diventa unopera che ha un contesto ben preciso, una natura e una storia unica; lopera di Burri un punto preciso del43

III. L'artista si mette in gioco

luniverso in cui diverse esperienze e diversi vettori si sono intersecati. Cos come Alberto Burri, altri artisti a Gibellina si sono immedesimati in opere pienamente contestuali o addirittura inusuali al loro linguaggio espressivo comunemente esposto in musei e gallerie. Uno di questi il calabrese Mimmo Rotella, il cui intervento gibellinese ne risulta un valido esempio. Forse si pu accertare come un vanto, per Gibellina, quello di annoverare la grande scultura in pietra di travertino, dipinta ad acrilico, intitolata Omaggio a Tommaso Campanella, come un exploit pi unico che raro da parte dellitalianissimo esponente del Nouveau Realisme. Nel 1987 Mimmo Rotella, famoso gi per la sua ricerca sul concetto di sedimentazione temporale, sul ready made informale, sul gesto che svela la casualit dellazione e della forma stessa, rintracciandola ed esponendola dal caos del contemporaneo, come gli oggetti di comunicazione prettamente commerciale come i manifesti pubblicitari, espone una scultura, spostandosi nettamente da un linguaggio che a priori si argomentava nelle due dimensioni, a una realt materica ben evidente come quella tridimensionale della scultura. Mentre Rotella ci ha abituati ai suoi ready made, ovvero strati di manifesti incorniciati, il cui aspetto formale e cromatico la conseguenza di un gesto che trova, che strappa le sedimentazioni in modo casuale e caotico, qui lui elabora una forma, un monolite circolare che riporta un fregio piatto, scavato. Diventa quindi unoperazione inusuale se si pensa che la concezione artistica di Mimmo Rotella nasce da concezioni informali e cio del libero arbitrio casuale della materia in relazione con lo spazio che la contiene, quando esponeva cio il retro dei manifesti la cui superficie riportava la densit cromatica e fisica della colla che intrappolava materia organica e intonaco dei muri da cui era stato strappato il manifesto. Una casualit scelta che diventa il segno di una consapevolezza del tempo ben definita, un ready made del contemporaneo pi esposto a problematiche classiche e poetiche; un segno che comunque si connota nellazione del levare e dello scoprire. 44

III. L'artista si mette in gioco

Qui Mimmo Rotella toglie, perch si tratta di una scultura nel senso classico, ma la forma del blocco e la forma del bassorilievo una scelta a priori ben studiata: non si espone cio la casualit del ready made trovato. Persino le pennellate di acrilico che colorano la scultura non sono conseguenza di una casualit trovata, ma di un insistente gesto che definisce e materializza definitivamente le superfici del bassorilievo. Sul monolito di travertino, rotondo, di un diametro di circa tre metri con uno spessore di sessanta centimetri, scolpito, attraverso scanalature di superfici piatte, un sole, e tutta la sua superficie dipinta con pennellate puntiformi di colore giallo e pennellate azzurre e ocra bruciata marcano le linee circolari e perimetrali del bassorilievo. Un grande sole giallo, ocra e azzurro, simbolo della Sicilia e del Mediterraneo, che diventa lastro da seguire per unidea, unutopia di citt ideale. Infatti il simbolo astronomico del grande sole un esplicito riferimento allopera filosofica scritta nel 1602 da Tommaso Campanella, La Citt del Sole. Sorge nellalta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della citt; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor dalle radici del monte [] dentro vi sono tutte larti, e linventori loro, e li diversi modi, come susano in diverse regioni del mondo 24. Cos, nelle prime battute del suo testo, il filosofo calabrese descrive la citt ideale che agli occhi di Mimmo Rotella (ed difficile biasimarlo) assomiglia molto a Gibellina, non solo per le realt artistiche che lui trova nella nuova citt, visto che nel 1987 erano state gi installate diverse opere darte e architetture importanti, ma soprattutto per gli intenti cosiddetti utopici portati avanti da Ludovico Corrao e da tutti quelli che hanno aderito alliniziativa culturale. Il testo di Campanella rappresenta il grande fermento culturale, politico e sociale di quegli anni: il risultato concreto di una grande aspirazione al cambiamento, al rinnovamento della societ dellepoca. Gibellina viene affiancata ideologicamente a questa aspirazione di

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Tommaso Campanella, La Citt del Sole, 1602.

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III. L'artista si mette in gioco

cambiamento, di rinnovamento, di prospettive verso nuovi presupposti culturali e sociali. Ulteriore elemento concettuale che Mimmo Rotella esprime attraverso il riferimento allopera di Tommaso Campanella anche la rivalsa culturale, politica e sociale di cui il testo si fece carico e per cui lo steso filosofo fu condannato a morte e incarcerato a vita; pochi mesi prima della stesura del libro, Campanella organizz una congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo, allabolizione della propriet, allinstaurazione di una democrazia di tipo comunistico e teocratico, proprio come esposta nelle pagine della Citt del Sole e sostanzialmente molto simile alla storia delle lotte contadine di Gibellina, dalla liberazione del latifondo e delle propriet baronali. Lomaggio a Tommaso Campanella diventa quindi la stessa Gibellina vista come idea utopica concretizzata, la nuova citt siciliana che per Rotella si candida come potenziale esempio reale della filosofia del Metafisico. Anche in questo caso, come in quello di Burri, Rotella crea unopera darte specifica, spiegabile soltanto in quel determinato contesto geografico, culturale e politico, come il risultato di diverse somme avvenute tra formulazioni concettuali, filosofiche ed esperienze individuali lontane nella storia e nei secoli, che coincidono, collimano e sfociano a Gibellina, per diventare punti fermi, unici, isolati, di un linguaggio universale e, appunto, utopico. Mimmo Rotella si sente di dare il suo contributo attraverso uno studio linguistico e poetico che non ha mai espresso nella sua opera e che ritiene necessario in quel luogo, in quella condizione sociale, per esprimere puntualmente un ennesimo prodotto della cultura, necessit etica e morale e mai superficialmente utopica. Un altro esempio importante dato dalla scultura urbana, lAratro, di Arnaldo Pomodoro, posizionata vicino la Chiesa Madre di Quaroni: un grande aratro di dodici metri di lunghezza per unaltezza massima di sei metri e quattro di larghezza, realizzata in tre materiali diversi, rame, ferro e tufo. Sullo sfondo della scultura un campo arato che si perde in lontananza, sicuramente elemento involontariamente scenografico ma comunque scelto dallartista. 46

III. L'artista si mette in gioco

Una scultura archetipica, che si sviluppa su forme estremamente stilizzate ed essenziali, che si liberano di tutti gli orpelli superficiali per mostrare la propria evidente funzionalit strutturale e concettuale, che richiama alla mente continui rimandi con associazioni semantiche e linguistiche che qui a Gibellina trovano radici profonde e coincidenze storiche molto importanti. Come prima lettura esiste infatti un evidente richiamo alla storia economica e sociale dei gibellinesi, allagricoltura, e quindi alle origini, alla memoria. Laratro come monumento di una societ basata sui ritmi e sulle esigenze della terra, sugli avvicendamenti delle stagioni, che diventa icona della memoria di una popolazione, delle sue origini e, se vogliamo, delle loro tradizioni. Nel processo di stilizzazione ed esposizione monumentale dellaratro si crea di conseguenza unargomentazione metaforica e semantica della pratica agricola. Laratro diventa il simbolo dellintelligenza umana, della conoscenza che modifica la terra, la natura, intervenendo nel cosmo della casualit per adoperarla alle proprie esigenze e necessit. Laratro come simbolo di modificazione e conoscenza del mondo e quindi come simbolo di cultura. Non a caso coltura e cultura sono come sinonimi che hanno la stessa genesi linguistica. Laratro diventa quindi la figura in cui si rispecchia la voglia di Gibellina, quella di ritornare al lavoro sui campi, quelli della societ, attraverso un essenziale strumento di ricerca e di conoscenza. Una forma costituita da elementi simbolo dellindustria, dellartigianato e dellarchitettura; il ferro, il rame e il tufo, sono elementi che richiamano anche la terra in cui sorge la scultura, in quanto i materiali, cos come tutti quelli usati dagli altri artisti per le loro opere, sono autoctoni, provengono dalle diverse parti della Sicilia. Sono anche gli stessi materiali che caratterizzando le opere archeologiche che popolano la regione del trapanese. Infine, la scultura rivendica la memoria delle continue lotte per la propriet terriera da parte dei contadini di Gibellina, diventando monumento delle rivolte antifeudali, proprio in quelle pianure su cui si installa adesso lopera di Pomodoro.

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III. L'artista si mette in gioco

Ma la scultura di Arnaldo Pomodoro anchesso un unicum nella sua produzione artistica. Forme figurative ma essenziali come laratro di Gibellina si ritrovano soltanto in alcune scenografie curate dallartista. A Gibellina Pomodoro ha realizzato unopera di sicuro impatto sociale, in cui convergono la storia economica, culturale e politica. A differenza di Burri e Rotella, che presentano un lavoro che ha a che fare maggiormente con una referenza etica ed estetica universale, Pomodoro insiste prettamente sulla memoria sociale limitandosi, diciamo cos, a presentare un monumento della storia. Non avrebbe potuto presentare con la stessa austerit e presenza le sue solite architetture astratte: qui la scultura si immedesima nel contesto geografico e dialoga con lo spazio circostante come se fosse un elemento scenografico o semantico dellopera stessa, una voluta protuberanza vettoriale. Nomi come quelli di Alberto Burri, Mimmo Rotella e Arnaldo Pomodoro, sono gli esempi pi eclatanti tra i molti altri artisti che hanno deciso di mettersi in gioco a Gibellina, di abbandonarsi al luogo per sperimentare altro, qualcosa che non avesse riferimento con le strutture sociali ed economiche in cui il loro linguaggio si articolava in modo funzionale; gli artisti hanno ascoltato diverse necessit espressive, assorbendo completamente la storia della citt, della terra che avrebbe ospitato le loro opere. Da questo atteggiamento sono nate sculture e architetture che suggeriscono nuovi strumenti per Gibellina, che ne manifestano lidea non solo con il linguaggio ma anche attraverso i materiali stessi con cui sono costituite, elementi della terra che le ospitano e testimoni di una risorsa che ha sempre accompagnato gli avvicendamenti culturali di Gibellina e della Sicilia tutta. Gibellina come fornace di atteggiamenti culturali unici e isolati non solo dal punto di vista degli artisti, architetti e intellettuali, ma anche in relazione al panorama artistico in generale, che permette di rivalutare il linguaggio di un autore in chiave sociale. A capo di tutti i discorsi sulla crisi dellarte e sul problema di confronto tra cultura e societ, utopia ed esigenza, Gibellina diventa un evidente esempio in cui gli intellettuali si sono slacciati dallo studio di 48

III. L'artista si mette in gioco

problematiche artistiche, autoreferenziali, per lavorare su linguaggi universali, diretti ad un pubblico che esige unicona, unidea su cui riflettere.

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A Gibellina come sono stato attratto io cos diversi artisti sono stati attratti per partecipare e rispondere a quella voglia di oltrepassare le soluzioni pratiche: lestraniante oggetto utile delle necessit impellenti. Pietro Consagra25

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Consagra P. in Gibellina, Ideologia e utopia, La Monica G., pag. 53.

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IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

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Gibellina stata loccasione propizia per inventarsi nuove prospettive, per ricostruire identit perdute, per ridare unetica pi vicina alle esperienze contemporanee, sicure del passato e prossime alla novit. Gli intellettuali hanno seguito un atteggiamento puro, a priori da qualsiasi coinvolgimento funzionale al mercato: ogni progetto stato la conseguenza di unidea universale della cultura, che nonostante tutto guardava al territorio e alla sua tradizione. Ha ipotizzato unesigenza culturale della gente, di una Gibellina che doveva muovere i primi passi affacciandosi sulle realt linguistiche contemporanee. Gli autori si sono mossi quindi attraverso mondi inesplorati, che hanno permesso di sperimentare e sperimentarsi in condizioni assolutamente inusuali. La meta funzionale di ogni progetto ha cos dovuto tener conto di molti aspetti, soprattutto sociali, che hanno influito sullaspetto finale di ogni oggetto. La forma e la sua struttura, il linguaggio semantico e concettuale, laderenza al luogo e alla tradizione della gente. Un atteggiamento che ha auspicato il meglio, unutopia sociale perfetta, comandata da idee e ritmi astratti e che ha comportato sicuramente aspetti negativi quanto positivi. Tra gli aspetti positivi troviamo sicuramente soluzioni artistiche che hanno fatto riflettere, e tuttora lo fanno, sul panorama pi generale del mondo culturale, sulle figure che ne sono state coinvolte e sullidea di citt ideale come problema socio-culturale che si dimostrata di non facile attuazione e interpretazione. La storia fatta per di fatti, e quello che ci rimane in contrada Salinella un problema presente, reale, esistente a prescindere da qualsiasi considerazione che si argomenti da ideali probabilit o ipotetici sviluppi. Gibellina e il suo sublime contenuto, nellaccezione settecentesca del termine estetico, esiste ed una realt artistico architettonica da affrontare criticamente, tenendo presente del futuro e dei possibili sviluppi. 51

IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

Gli aspetti negativi posso riscontrarsi nella sottovalutazione da parte dei progettisti e degli artisti di soppiantare completamente un contesto spaziale per un altro, pi vicino sicuramente alle esperienze della citt che a quelle di una piccola comunit. Sicuramente Gibellina ha esposto un fenomeno importante, che rimane latente in qualsiasi operazione effettuata nella cittadina che quella dellofficina sociale, per riprendere unespressione di Achille Bonito Oliva, ma che si dimostra lampante studiando le opere e il loro processo creativo. Un concetto che ha fatto s che esistesse Gibellina e che continua ancora oggi a rinnovarsi e riapplicarsi negli Ateliers della Fondazione Orestiadi. Gli artisti hanno lavorato a Gibellina e vivendo il contesto hanno creato opere uniche, come unico stato il loro linguaggio, riadattato e riformulato in base alla condizione che si ponevano in quel determinato luogo. Il processo creativo non lo stato da meno, coinvolgendo non solo i materiali autoctoni, ma anche le maestranze e gli aiuti degli abitanti locali. Ogni opera frutto di una collaborazione intensa che nasce da uno spirito comune, sociale. Come ci ricorda Ludovico Corrao in numerosi interventi, Gibellina proprio nata da un confronto continuo non solo fra intellettuali ma anche con la stessa gente, tra le tendopoli, con le mostre e i convegni allestiti allinterno dei rifugi temporanei, costruendo quellidea di Utopia, di morale e di etica. Nascono cos numerose opere che riescono per questo a emanare un forte impatto emotivo che coinvolge tutti a prescindere dallesperienza culturale soggettiva; vengono create delle opere darte che rimarranno punti luminosi di costellazioni lontane, di sistemi creativi rari e irripetibili. Si rigenera quel rapporto collaborativo tra artista e istituzione, tra funzionalit comunicativa ed esigenza culturale e stilistica. In questo modo vengono alla luce importanti esempi di opere darte e architetture per la religione e la spiritualit dei fedeli, per eventi culturali e di spettacolo e per luoghi pubblici e amministrativi.

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IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

Oggetti che creano uno spazio sociale e che si rapportano come punto di riferimento culturale e demagogico di una societ. impensabile negare la funzione dello stile linguistico e della sua idea di spazio e di tempo sulla gente, sul suo modo di pensare e di agire. Mai come a Gibellina c stata fra la gente una cos importante presenza di diversi linguaggi stilistici, soprattutto per lalta concentrazione di opere e per limportanza data a queste ultime in relazione alle esigenze materiali degli abitanti. Corrao ha preferito far rinascere Gibellina da uno spazio artisticamente valido, fondare un fulcro estetico, che potesse dare le fondamenta morali, culturali ed etiche ad unintera societ; un impegno difficile, azzardato, ma sicuramente prolifico di suggerimenti, strumenti e ricchezze. Consagra e le architetture Pietro Consagra, nel 1976, vide iniziare a Gibellina i lavori di costruzione del Meeting, la concretizzazione delle sue idee spaziali in quella prima architettura. Proveniente da un lungo percorso di ricerca, costellato da numerosi riconoscimenti, lartista siciliano nato a pochi chilometri di distanza da Gibellina, a Mazara del Vallo, nel 1920. Lavor tra Roma e Milano e fu fondatore nel 1947, insieme ad altri importanti protagonisti dellastrattismo e costruttivismo italiano (come Turcato, Accardi, Sanfilippo e altri), del gruppo e rivista Forma1. Ebbe la possibilit di provare con mano, a Gibellina, quelle idee cosiddette utopistiche che avevano caratterizzato il testo della Citt Frontale, scritto anni prima nel 1969; il testo in cui redige le condizioni favorevoli per vivere in una citt costruita attraverso architetture fatte a misura duomo, che rispecchino lunicit dellindividuo dimostrandosi esse stesse inusuali, fuori dagli schemi precisi e standardizzanti del senso comune. Ogni architettura deve essere vista frontalmente, mostrando un solo punto di vista, esaltando lunicit che corrisponde ad una purezza ideale della forma. Lo spessore diventa soltanto funzionale allabi-

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IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

tabilit di queste forme astratte, matematicamente equilibrate in un proprio assetto universale. Uno spessore architettonico che permette di avere unulteriore superficie plastica, liscia, che instaura nello spazio un netto confine tra interno ed esterno senza incastri o geometrie macchinose. Una linea netta tra involucro e contenitore, tra vuoto e pieno. Nella maggior parte delle architetture Consagra ricerca la trasparenza delledificio, soprattutto della facciata, come massimo assottigliamento della forma, per raggiungere un sottilissimo confine che esiste tra linvolucro della forma, il suo equilibrio strutturale, e lesterno, il vuoto inteso come contenitore della forma. Edifici che si muovono indipendentemente dallaltro, creando cos una citt di sculture, di forme che si bilanciano in modo proprio, secondo equilibri di un microcosmo unico, ma che combacia con lequilibrio pi generale dellintero universo. Una citt creata da architetture che accolgono lesigenza unica, soggettiva, di chi le abita o pi semplicemente in armonia con il bisogno spaziale allinterno di una forma. Il Meeting risponde a queste idee. Ledificio a nastro proietta sui due fronti paralleli il suo schema trasparente. La facciata viene articolata in modo tale da risultare leggera, senza una struttura precisa, ma riportando soltanto le forme piene, in muratura, contrapposte a quelle ricavate dai vuoti e coperte con superfici di vetro. Una sorta di grande scultura fluida, che richiama ovviamente limpronta formale di Consagra, che assume una densit, uno spessore misurabile, equivalente scientemente alla necessit spaziale, funzionale alla destinazione della scultura edificio. Linterno ha una sua spazialit fluida che fa sentire nellinsieme da qualsiasi punto ci si trovi Consagra26 []gli elementi plastici dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni delluomo, a contatto con gli ingranaggi di questa societ dove sono necessarie volont, forza, ottimismo, semplicit, chiarezza[], ed in queste parole di Consagra, riprese da Maurizio Calvesi in un suo articolo sul Corriere della Sera del 1973, che si riesce a sintetizza-

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Consagra P. in Gibellina, Ideologia e utopia, La Monica G., pag. 54.

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re lidea dellartista siciliano nel dare vigore alle forme come puro strumento di analisi immediata, genuina, delle cose. La ricerca di un equilibrio vano, fine a se stesso, ma che rende lidea di una concezione di equilibrio e della sua continua ricerca. Consagra rifiuta lastrattismo di ripiego, quello che continua a desumere le sue forme attraverso una riduzione schematica della realt naturale o meccanica: lastrattismo di derivazione cubista o futurista. Egli vuol basare invece il suo lavoro sulla possibilit di uscire dalle forme oggetto per suggerire, per comunicare delle idee attraverso la materia della scultura Mario De Micheli27 Pietro Consagra fu entusiasta del progetto, e si sent in dovere di dover dare una necessit impellente alla societ. Dalle sue parole, espresse nel convegno tenuto a Gibellina nel 1981, si avverte la paura per la gente di doversi accontentarsi di un tetto e tralasciare il bisogno di una dignit culturale: []Lattrazione irresistibile oltre la necessit impellenti, verso il superfluo, il lusso, la smaniosa presenza dellarte con tutta la sua enorme carica di palpitazioni, foghe e travagli, tra il divertimento plastico e il coinvolgimento dellincomprensibile che supera fuoco, acque, foreste e deserti come il mitico mamma drago che insegue chi non raggiunger mai.[] La presenza dellarte esalta tutti allo stesso modo, sposta qualsiasi fatica dalla banalit e quella voglia si afferma come un diritto. Se gli artisti non fossero stati chiamati per precedere quel terribile necessario impellente della casa, le voglie sarebbero state soffocate come peccati, neutralizzate da sensi di colpa. Per Consagra Gibellina fu quindi un importante banco di prova. Con lui collaborarono anche larchitetto Zanmatti, lo stesso che aiut Burri nellimpresa del Grande Cretto, lingegnere Valenzi e larchitetto Bianchi. Pietro Consagra vide quindi la possibilit per una societ di poter riscattare la propria storia, la propria dignit, attraverso unarchitettura che rispecchiasse la propria unicit, il proprio equilibrio con la

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M. De Micheli, Scultura italiana del dopoguerra, ed. Schwarz, Milano, 1958.

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IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

natura e i suoi elementi. Un progetto, quello della Citt Utopica, come la Citt del Sole di Campanella, che trovava riscontro negli auspici culturali di Gibellina voluti non solo da Corrao, ma dalla sua popolazione stessa. Oltre che nei confronti della comunit gibellinese e del suo futuro, Consagra si espresse anche nei confronti di unarchitettura che in quegli anni reput in decadenza, soprattutto nei risultati e nelle proposte esposte alla Biennale di Venezia di quegli anni, con il tema delle facciate, povero spettacolo del postmoderno. Oltre al Meeting Consagra realizz a Gibellina tantissime installazioni scultoree come le Porte del Cimitero, la Citt di Tebe, ma soprattutto la Stella, ovvero lIngresso al Belice, una scultura frontale, uninsegna alta 26 metri in acciaio inox che sovrasta la strada di ingresso alla citt. La Stella funge cos come elemento simbolico della citt frontale, in cui la forma visibile sui due lati ha uno spessore che richiama quello delle architetture progettate dallo stesso artista. Una stella come una porta di citt, richiama le luminarie delle feste di paese e indica da lontano la citt dellutopia, il luogo in cui si riparte dallarte, dalla cultura. Architettura dellapparizione che, attraverso la sua marcata frontalit, diventa emblema visivo e testimonianza dellatto fondativo anche per chi, distrattamente e ad alta velocit, attraversa il territorio servendosi dellautostrada. La sua materialit, infatti, martellata dalla luce del sole, risplende nella collina e risponde sonoramente; essa diventa anticipazione della sfera pura della chiesa madre di Quaroni. La Stella come simbolo monumentale di ricostruzione nella frontalit del rapporto tra luomo e lopera. Per aiutare la realizzazione della Stella furono prodotte duecento paia di orecchini in oro, che riportavano la stessa forma della scultura, e venduti a chiunque volesse contribuirne economicamente alla costruzione. Infine rimane il teatro come architettura della citt frontale. Purtroppo la struttura ancora in via di realizzazione ed difficile riuscire a trarne ancora delle conclusioni. Sicuramente possiamo dedurre il suo impatto nella citt, che da teatro diventa esso stesso quinta prospettica del lungo corso principale. Il teatro situato infatti vicino la 56

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chiesa di Quaroni nella parte pi alta della citt, come ulteriore elemento della societ di Gibellina insieme alla chiesa e al municipio. Il rapporto di Consagra con Gibellina diventa quindi molto duro, netto, inseguendo unidea di ricostruzione attraverso ulteriori idee gi impostate e riadattate al contesto, ma sicuramente non come esempio rimasticato e forzato in un determinato luogo geografico, in quanto lidea quella di adattare comunque una forma in un dialogo continuo con la funzione abitativa richiesta e al contesto culturale preciso. Consagra crea cos delle sculture abitabili, dei simboli di modernit, di utopia culturale, che segnano incredibilmente il paesaggio naturale (con la Stella) e quello urbano con le architetture, che non si discostano molto dalle installazioni plastiche distribuite per Gibellina. Il Meeting e il Teatro sono segni che creano importanti vettori spaziali su larga scala, che determinano profondamente lo slancio urbano circostante. Sono architetture ideali che provengono dallalto, da una considerazione a priori dellartista e da unincredibile coincidenza di avvenimenti che ha fatto si che lutopica Citt Frontale vedesse dei suoi frammenti proprio a Gibellina, in quel luogo in cui di utopie si continua a parlarne ancora oggi. Boetti e il Prisenti di San Rocco [] Ho visto di recente a Gibellina, esposto nel nuovo municipio, una preziosa reliquia di quella che si chiama civilt contadina: un lunghissimo drappo di seta color porpora, ricamato a grappoli duva e spighe doro, un drappo che si portava in processione durante le feste religiose. Quella seta rossa e quei grappoli e spighe doro diventano ora simbolo della rinascita dal sangue e dalla sofferenza. Simbolo di cultura, darmonia e di pace. Simbolo, ma forse anche indicazione: nel terremoto, nel malessere della nostra civilt detta industriale, in cui siamo minacciati da disastri, da massacri, non pi della natura,

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ma della storia, in quella dimensione luomo forse pu ancora ritrovarsi, riconoscersi ancora uomo umano, uomo civile. []28. A Gibellina viene festeggiato, il 16 Agosto di ogni anno, il patrono san Rocco. Per loccasione sfila in processione, insieme alleffige del santo, la bella giovent di Gibellina, reggendo un lungo drappo ricamato, il Prisenti29. Negli anni in cui i festeggiamenti del santo coincisero con la ricostruzione di Gibellina e con il via vai dei tanti artisti che ne contribuivano con le loro opere, si cre un prevedibile contagio della cultura contemporanea con la tradizione popolare folkloristica. Accadde che diversi artisti si succedettero nella realizzazione di un prisenti, ognuno con uno stile proprio, affrontando tematiche diverse e animando una cultura antica e religiosa attraverso un linguaggio semantico moderno, innovativo. A questo interessantissimo esperimento parteciparono artisti come Carla Accardi (1987), Renata Boero (1992), Sami Burhan (1986), Giuseppe Santomaso (1988), Carlo Ciussi (1990), e tanti altri artisti come Pietro Consagra e Alighiero Boetti. Proprio Alighiero Boetti realizz un lunghissimo Prisenti nel 1985 , largo due metri e dieci centimetri e lungo dieci metri e ottanta centimetri. Loperazione di Boetti diventa forse la pi probabile nel contesto della sua opera. Lartista torinese, nato nel 1940, diverr, dopo la prima mostra avvenuta alla galleria Stein di Torino nel 1967, uno dei rappresentanti dellarte povera italiana insieme a Mario Merz, Jannis Kounellis, Anselmo, Pier Paolo Calzolari e molti altri. Le sue opere pi famose rientreranno proprio nella sfera delle tele ricamate, e soprattutto attraverso liconografia di planisferi che rappresentano le nazioni attraverso i colori della propria bandiera. Quando Boetti nel 1985 progetta il suo prisenti, il suo gonfalone processionale, non fa altro che prolungare il suo famoso linguaggio in

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Testimonianza di Vincenzo Consolo in Gibellina Utopia e Realt, di Nicola Cattedra, ed. Artemide, Roma, 1993. 29 Nel link, i prisenti si trovano alla pagina 2 / 4.

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un contesto che deve dialogare con un sentimento spirituale e sociale. Realizza cos un drappo diviso nella sua lunghezza sostanzialmente in due colori, il rosso e il verde, incorniciato da una scritta che riporta da un lato REALIZZATO DALLA COOPERATIVA ARTIGIANALE PROMOZIONE DELLA DONNA SICILIA GIBELLINA e dallaltro lato ALIGHIERO BOETTI PER SAN ROCCO A GIBELLINA 16 AGOSTO MILLENOVECENTO OTTANTACINQUE. Allaltezza dei due capi del drappo sono ricamati due quadrati con inscritte le lettere della parola Gibellina, tutte in bianco e nero. Al centro del drappo un cerchio con al centro la sagoma della Sicilia colorata con le tre strisce verde, bianco e rosso della bandiera italiana e con un bottoncino applicato proprio sul punto in cui sorge Gibellina. Intorno al cerchio centrale sono ricamate delle sagome colorate di delfini, tra il centro e i capi del drappo delle sagome di cammelli e attorno ai quarati delle sagome di scimmiette. Sopra i cammelli gruppi di tre sagome che riportano le forme slanciate delle gazzelle. Come riporta una delle due scritte a stampatello del drappo, il prisenti fu realizzato da una cooperativa di ricamatrici di Gibellina; come in altre occasioni, in cui lartista veniva a Gibellina per poi farsi aiutare dalle maestranze locali durante la realizzazione dellopera, anche in questo caso Boetti delega le ricamatrici a realizzare il gonfalone. Un aspetto molto interessante, soprattutto dal punto di vista della formazione sociale, in cui si viene a creare un diretto confronto tra artigianato e linguaggio artistico. Sicuramente laspetto creativo delle opere darte a Gibellina stato un altro elemento fondamentale di ricostruzione etica della comunit: la presenza dellartista e le sue indicazioni per le varie procedure nelliter creativo dellopera, hanno reso possibile uno scambio di esperienze culturali altrimenti impossibile. Non si tratta di una normale procedura di routine, per esempio tra scultore e azienda lapidea o tra pittore e incisore calcografico: qui lartista ha coinvolto la gente, gli artigiani, in un discorso partecipato, in uno studio collettivo per trovare le soluzioni formali, tecniche e soprattutto sulle condizioni funzionali al contesto delloggetto artistico. Boetti ha studiato il valore simbolico del drappo processionale, ha studiato la realt sociale e culturale di Gibellina, ne ha previsto le sue funzioni culturali e spirituali, producendo infine un oggetto linguisti59

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co familiare al suo bagaglio semantico e concettuale, ma attinente e immerso in una realt ben precisa e geograficamente collocata. Nel drappo si riconosce infatti il legame della Sicilia e di Gibellina non solo con le sorti italiane, visto che la sagoma della Sicilia rivendica nei suoi colori unidentit nazionale, ma anche con il Mediterraneo e soprattutto con i paesi nordafricani. Le sagome dei delfini che attorniano la coroncina azzurra, la striscia delle correnti che gira attorno alla Sicilia, sono il simbolo di quellesperienza che si vive quando si arriva dal mare verso le coste siciliane. I cammelli sono il simbolo del viaggio, della resistenza ma anche lanimale del deserto e quindi di quelle terre come Tunisi, il Marocco e tutte quelle nazioni con cui ancora oggi si hanno non solo rapporti commerciali ma anche relativi alle tradizioni e alla cultura. Tra gli introvabili scritti e documenti sul Prisenti di Boetti riporto queste parole scritte da Fulvio Abbate: Ha ritagliato nel raso le icone e le lettere da comporre poi sul presente per San Rocco, disponendole nel campo dellarazzo troncato di rosso e di verde. Al centro, posta in verticale, la Sicilia quasi ruba allAfrica le sembianze. I delfini le tengono compagnia assieme a una carovana di cammelli e una gazzella che spicca il salto come marchio di chiss quale air line. Chi ha detto che laraldica ormai scienza desueta? A guardar bene larazzo di Alighiero sembra proprio di no. Certo non serve a segnalare la testa di alcuna battaglia ma utilissimo nel mobilitare lo stupore ludico della festa. Anche perch possiede tutto ci che ogni persona, almeno una volta, ha sognato di travasare dalla propria fantasia sul rigore geometrico delle bandiere. Nel senso pi immediato lopera che Alighiero ha realizzato a Gibellina tutta qui. Assieme al piccolo bestiario contrappunto figurale passeggia o naviga di recente nei suoi rompicapi di artista, nelle sue mappe e in ogni altro quesito da lui posto ai codici del linguaggio. Larazzo, il presente anche grazie allaiuto delle ricamatrici gibellinesi il 15 agosto del 1985 ha attraversato quasi ogni via della citt, come stendardo che segna il compimento dellevento eccezionale, cos come in antropologia definita la festa. Ma io, tra le possibili risonanze esistenziali, penso anche alle bandiere in cima a un edificio ancora fresco di calce. Luogo annuale della devozione religiosa il rito 60

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del presente in Sicilia giunto attraverso la cultura dellIslam, dove un drappo di tela verde copre le tombe dei suoi custodi. Ne ha avuto sentore Alighiero, decidendo cos di capovolgere la forma dellisola? probabile. Una volta ha scritto: In quel mese le immagini erano milioni. Oggi forse qualche centinaio. Poi rimarr solo questa copia sbiadita di un tempo coloratissimo. Forse, fidando in questa profezia intellettuale, ha deciso che nel presente di San Rocco andasse coltivato il sentimento di un tempo milionario di colori e destini30. Lopera di Boetti pu essere considerata come testimone e simbolo di un confronto multirazziale, tra aspetti religiosi e politici del mediterraneo e di una sembianza tradizionale come causa di una radicata esperienza di avvicendamenti storici e culturali; tutto in un contesto religioso che nei suoi propositi e riti va oltre il semplice luogo geografico. Il presente come idea di una sacra realt culturale, come bandiera di libert creativa e, quindi, di speranza. Paladino e la scenografia per La Sposa di Messina Gibellina diventa anche promotrice non solo di esperimenti di arte figurativa e di architettura, ma anche di importanti rappresentazioni teatrali, molte volte di aria sperimentale, (come le Orestea di Emilio Isgr, da cui prenderanno il nome il festival teatrale e la fondazione di Corrao), interpellando importanti registi italiani e stranieri. Buona parte delle manifestazioni teatrali verranno rappresentate sulle superfici del Grande Cretto di Burri, come simbolo della drammaticit classica che continua ad avvicendarsi nei tempi nelle terre di Sicilia, come fenomeno del caos e delle forze mitiche, ma soprattutto come rinascita culturale collegata alla memoria del passato.

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F. Abbate in, Alighiero e Boetti per San Rocco a Gibellina, 1985, ed. del Museo dArte Contemporanea, Gibellina, 1985.

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Nei vari testi teatrali rappresentati alle Orestiadi hanno partecipato anche inediti scenografi dellarte figurativa come Arnaldo Pomodoro, nelle scenografie per La passione di Cleopatra di Ahmad Shawqi, Regia di Cherif nel 1989, nella Villa Eumnidi di Emilio Isgr, da Eschilo, del 1983 con la regia di Filippo Crivelli, o la memorabile Agamnnuni, sempre di Isgr, presentata nel 1983 e di cui uno degli elementi scenici (la ruota con le lettere geroglifiche dellartista) poi diventato un simbolo ridondante di Gibellina. Tra le varie scenografie, quella di Mimmo Paladino sicuramente lopera che verr individuata maggiormente in modo emblematico tanto da essere riproposta, anche senza il contesto dellopera teatrale, ed esposta nel 1995 in Piazza Plebiscito a Napoli in occasione di una sua mostra. Il linguaggio di Paladino usufruisce con disinvoltura di medium pittorici, grafici e scultorei, medium che l'artista riesce a fondere nei suoi progetti scenografici. Un linguaggio che si oppone ad ogni interpretazione simbolica e narrativa: Lo spazio una circostanza non determinante. Le dimensioni di un tavolino possono esser sufficienti a provocare tensioni e strategie degne del pi vasto affresco Mimmo Paladino Nel 1990 Gibellina diventa quindi la prima occasione di confronto con il teatro per Mimmo Paladino, che viene chiamato per la scenografia de La sposa di Messina di Schiller per la regia di Elio De Capitani (rappresentata al festival Orestiadi); per questa occasione lartista realizza una scultura ambientata, una grande montagna di sale dalla quale emergono trenta forme di cavalli di legno, illuminata dalla luce naturale della luna, alle pendici della quale si svolge la maggior parte del dramma, mettendo in scena la compenetrazione tra scultura e testo teatrale in un giardino Zen. Il modo diretto con cui Paldino espone i simboli primordiali, vividi nel paesaggio e nella cultura siciliana, si rafforza maggiormente esplicitando in modo eclatante una parte cruciale del testo teatrale de La Sposa di Messina: [] E non si stende come piet 62

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il sale a nascondere dei nostri corpi lorrore, e a ricordare la bellezza della battaglia gli agili destrieri poggiati e sommersi e sollevati neri del fuoco della battaglia e del terrore bruciati dallardore dei cavalieri neri sui fianchi bianchi della montagna. Quanti eravamo, un attimo ancora, che inizia almeno la battaglia che non sia solo fuoco e acqua incendio e gelo, foresta e lago, che non sia solo fuga e paura. Eppure noi gi ora sappiamo quel che non saremo, dopo la morte, che ora, vivi, vediamo nascosti ad altri sguardi che noi non sapremo, non resta il fuoco della battaglia nel suo recinto perfetto e nessun silenzio nessun ammonimento, sulla tua giostra tragica 63

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torneremo a salire, sui tuoi cavalli affaticati e stanchi, per affondare ancora nel nostro stesso annientamento, dove lammonimento della bianca montagna nessuno ti liberer dei tuoi cavalli imprigionati di ghiaccio n il sale coprir il grasso fiato bestiale della morte. []. La scenografia diventa quindi uno spazio in cui il testo interagisce continuamente, si esprime attraverso elementi diretti, concreti, anche se apparentemente simbolici, significanti di parole cruciali che riescono ad esprimersi in un linguaggio comprensibile a tutti. La montagna si presta non solo ad una lettura allegorica, ma anche a rappresentare una memoria infantile: la tomba precoce di due ragazzi che, per dei cavalli arabi, hanno innestato una lotta fatale. Concepita per una notte di luna piena, la scena scultura diviene lideale sfondo di una fiaba romantica, grazie alla figurativit ingenua, semplice, che riunisce in se una grafia elementare della natura (come ci ha abituati Paladino con la sua dialettica); ci appare come un impraticabile cocuzzolo centrale di un finto giardino zen. La montagna di sale, come simbolo di morte o di conservazione della vita, in cui affondano o riemergono i cavalli neri, in un continuo gioco ambiguo tra vita e morte, si erge sulla collina della vecchia Gibellina, su quella citt che deve la sua radice alla parola araba gibel, montagna. Ritorna cos lo spirito del luogo, la contaminazione del contesto geografico, storico e culturale: la monagna di sale, emblema 64

IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

ricorrente nelle saline della vicina trapani, del biancore delle coste siciliane, nella calce delle architetture mediterranee, nella montagna contenuta nel nome della stessa Gibellina; i cavalli neri, il cavallo, simbolo arcaico della Sicilia, presente nella mitologia del mediterraneo e simbolo della tradizione araba in Sicilia, e di nuovo il richiamo alla genesi araba del nome di Gibellina. Coincidenze storiche e culturali, in operazioni che trovano di nuovo lesclusiva a Gibellina. Una scenografia ambiente, una scultura a se stante, che diventa essa stessa dramma; tutta la terra circostante la scenografia, che per essere annerita viene bruciata, creando un ulteriore contrasto tra bianco e nero, contrasto esposto su pi livelli (nel dramma, nella cultura siciliana, in una poetica pi generale di vita e di morte), crea un ulteriore segno drammatico che si ricollega al concetto di aridit e di morte presente nel sale della montagna, ma che riconduce ulteriormente al contesto del luogo, perch la terra arida e bruciata richiama le campagne estive siciliane. La montagna di sale di Paladino si trova oggi installata nel Baglio Di Stefano, sede della Fondazione Orestiadi, sostituendo al sale il cemento bianco. Insieme alla scultura-ambiente, Paladino realizz anche numerosi esempi per il manifesto dellopera teatrale 31, anchessi esposti nel Granaio, struttura che accoglie la maggior parte della collezione Corrao, della Fondazione Orestiadi. Ancora oggi la Fondazione Orestiadi combina importanti esprimenti di interazione tra le diverse arti, cercando di coinvolgere il pubblico in unesperienza multiculturale, non solo come spettatori, ma anche nelle operazioni di costruzione, allestimento e interpretazione stessa; in molte rappresentazioni teatrali infatti, vengono coinvolti preferibilmente gli abitanti di Gibellina, dai bambini agli adulti, facendo vivere in prima persona lesperienza culturale e sociale dellarte, facendo respirare e declamare dal basso, dalle fondamenta della citt, che la popolazione, lidea di Gibellina, lutopia della cultura.

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Nel link, i manifesti si Paladino si trovano alla pagina 6 / 10.

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V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina

V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina 1972 Chiesa Madre di Ludovico Quaroni e Luisa Anversa, Municipio di Alberto Samon, Giuseppe Samon e Vittorio Gregotti. 1974 Senza Titolo di Giuseppe Spagnulo. 1976 Meeting, cimitero, di Pietro Consagra. 1978 Tracce antropomorfe di Nanda Vigo. 1979 Museo civico darte contemporanea, Tensioni di Salvatore Messina, La freccia indica lombra di una freccia di Emilio Isgr, Ritmi spaziali di Carmelo Cappello, Impronta di Turi Simeti, Senza titolo di Mirko, Chiesa di Ges e Maria e centro sociale di Nanda Vigo. 1980 Senza titolo di Moncada, Casa del farmacista di Franco Purini e Laura Thermes, Tavolo dellalleanza Igino Legnaghi, Per Gibellina di Mauro Staccioli, Il grande Cretto di Alberto Burri. 1981 Casa Di Stefano e il suo progetto di recupero effettuato da Marcella Aprile, Roberto Collov e Teresa la Rocca, La Stella-ingresso al Belice di Consagra, Palazzo Di Lorenzo di Francesco Venezia, Progetto per il centro di Gibellina di Oswald Mathias Ungers.

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V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina

1982 Il Sistema delle piazze di franco Purini e Laura Thermes, Frequenza donde di Carlo Ciussi. 1983 Labirinto di Nino Franchina, Contrappunto di Fausto Melotti. 1984 Teatro Consagra, Sequenze di Fausto Melotti. 1985 Giardino Segreto 1 di Francesco Venezia. 1986 Fontana di Cascella, Aratro di Arnaldo Pomodoro, Sacrario ai caduti di Giuseppe Uncini. 1987 Una piazza per Gibellina e Doppia spirale di Paolo Schiavocampo, Ellittica e Meridiana di Ettore Colla, Omaggio a Tommaso campanella di Mimmo Rotella, Torre Civica di Alessandro Mendini. 1988 De Oedipus Rex-la citt di Tebe di Consagra, Tris di Consagra. 1989 Senza Titolo di Carla Accardi, Il tempo del sole di Mimmo di Cesare. 1990 Grande Area 85 di Marcello De Filippo, Casa Pirrello di Franco Purini e Laura Thermes, Senza Titolo di Milton Machado.

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V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina

1991 Completamento del centro citt di Pierluigi Nicolin con Giuseppe Marinoni. 1992 Giardino segreto 2 di Francesco Venezia con opere di Mimmo Rotella e Daniel Spoerri, LInfinito della memoria di Costas Varotsos, Scultura sdraiata di Salvatore Cuschera, Montagna di sale di Mimmo Paladino. 1996 Portale di ingresso allOrto Botanico di Consagra, Qalat-le rotte del cielo Medhat Shafik. 2001 Lo spazio della parola di Marco Nereo Rotelli. 2002 Meteoriti della memoria di Alfonso Leto.

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VI. Dialogo con Ludovico Corrao

VI. Dialogo con Ludovico Corrao

Il seguente testo riporta la trascrizione del dialogo avvenuto tra l'autore e il Senatore Ludovico Corrao alla Fondazione Orestiadi, durante il mio soggiorno di studio a Gibellina, nel mese di Settembre 2009. Robustelli: Cos Gibellina? Corrao: A Gibellina esiste lunico esempio in Italia in cui larte contemporanea si confronta con la societ. Mentre altrove, fra le opere nei musei si svolge un rapporto istituzionale, qui partecipa direttamente, perch (l'artista) non manda il quadro e noi lo mettiamo... no, lo fa qui, lo realizza qui, ascoltando sentendo, passo per passo, della terra, delle persone, gli umori, il teatro R.: Infatti una cosa straordinaria era il concetto (ne parlavo prima con la guida allinterno del Granaio), come per esempio lopera di Alighiero Boetti (Corrao: Esatto!) sia assolutamente immersa in una funzionalit storica, culturale, spirituale, cos come Pomodoro per il teatro; cio, non sono soltanto opere importanti dal punto di vista concettuale, ma proprio (a me piace usare la parola funzionalit, in quanto un oggetto che serva semplicemente a qualcosa) un qualcosa che non si conclude nellautoreferenzialit. C: Larte non decorativa qui, inquietante e inquieta essa stessa, come inquieto il mondo in cui questarte si sviluppata in quel periodo, nel 68. Una frase molto bella di Consagra dice: larte non dimentica a Gibellina il diritto a fantasticare, quindi larte, lutopia diciamo, va oltre il pretesto delluso immediato, del manufatto... ha una carica, una spinta progettuale che pu essere fantastica, utopica, emotiva o emozionale, per cui se parti dal presupposto che luomo ha bisogno anche di questo aspetto il ruolo dellarte diventa altro, che questa spinta. Ma larte oggi cosa ? 69

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R: Esattamente, questo un nodo importantissimo C: Fra laltro oggi pu essere un prodotto del mercato o un generatore di mercato R: Ricordo di aver parlato tempo fa a riguardo con alcuni colleghi del mondo accademico su alcuni aspetti dellarte contemporanea, come quello del mercato e quindi delle gallerie e del loro stretto rapporto con gli artisti, o sul tipo di committenza; ad esempio si diceva se esistono ancora chiese che deleghino agli artisti la realizzazione di pale daltare che poi serviranno alla pratica votiva dei fedeli, piuttosto che amministrazioni che commissionano opere contestuali alle strutture urbanistiche di una citt. Si veniva a capo che oggi moto difficile per un artista immedesimarsi in ulteriori linguaggi che possano essere contestuali ad un tipo di funzionalit ben precisa o estranea comunque agli ambienti che ospitano normalmente le sue creazioni. Qui invece successo e continua a succedere C: fino allaltro ieri, che abbiamo fatto una processione, nel vecchio centro della citt, portando in giro una Madonna di cartapesta, con le tecniche antiche dei paesi poveri, che non avevano il bronzo perch costava molto; oggi invece credo che costi di pi la cartapesta, perch il processo di lavorazione cos complicato e i costi sono cos alti (perch prima la creta, poi il gesso, la cartadue mesi di lavoro!) per creare quella madonnina con quel bambino, che uno dice con lartista portala in fonderia e con centomila euro hai risolto tutto ma per dire, no? (ridacchiando sul paradosso) C questa commistione, per cui larte non che servita alla religione, o alla religiosit del popolo, no? Ma il popolo ha bisogno di simboli alti, e allora lartista si presta (si presta un termine usurato), SEGUE questa spinta che viene dallanimo popolare di avere unutopia, di avere un mito, di avere qualcosa, no? come le edicole votive sacre, che ci sono lungo le strade di campagna, che gi furono portate dai Fenici queste cose, poi riprese dai Romani, e poi riprese dai Cristiani si capisce come cappelle votive nelle strade, 70

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che noi ripiglieremo qui, dove, appunto, lartista contemporaneo che ricrea questa tradizione e si riallaccia a qualche motivo profondo di cui la gente sente il bisogno nel cammino, che non soltanto il cammino della fede ma il cammino della vita, verso un destino che non sai qual , quindi avere ogni tanto un punto di appoggio, di luce, di riflessione, dove accendi una candela che ti sostiene per il resto del viaggio... di cui poi resta misterioso comunque sempre il fine, come il fine della vita. Questo molto importante. R: Assolutamente C: E, ripeto, lentusiasmo degli artisti chiamati, non in coesione con principi estetici o principi di corrente qua, no! Qua, ecco, se vogliamo creare un concetto di selezione, il concetto quello della solidariet, e quindi dellartista impegnato nella solidariet verso una popolazione che vuole risorgere e verso una citt che deve essere rifondata con un ordine nuovo. In una zona dove, non essendoci proprio nulla, perch erano terre salmastre queste (la chiamavano Salinellae non produceva pure nulla) si andava a fondare una citt, quindi senza storia, senza memoria, senza nullaltro che il bisogno di avere un tetto e avere un lavoro. Un passaggio cos profondo, che lascia un vuoto e ancora si sente indubbiamente, doveva comportare una stratificazione storica che vi era in ogni citt per il passare dei secoli. Quindi larte doveva assumere la funzione della stratificazione della memoria storica, e non cera altro strumento per ricreare, diciamo, lo spirito di una citt, che non poteva essere affidato solo al costruttore o allarchitetto, ben poca cosa... troppo facile fare delle case, dare un tetto alla gente senza casa. Lartista quindi, chiamato da un appello, di Sciascia, mio, e di altri intellettuali, come Carlo Levi, Zevi, Damiano Damiani, e altri, (R: che lista !), viene a cogliere linvito; cos si spiega anche unattrazione direi quasi magnetica di tanti artisti che non avevano certo bisogno di Gibellina per diventare celebri, no? E che sapevano che per tutto quello che realizzavano qui, non che davano forza al loro mercato! Per nulla! tutto fuori scala (ridacchia), non che venivano con i loro quadretti che poi andavano a vendere, con il loro gallerista che li 71

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sosteneva! Impegnavano tutto se stesso, tutta la loro forza, tutta la loro visione del mondo, e tutte le loro inquietudini, e tutte le loro domande, non dando una risposta ma lasciando libera la risposta. E quindi la selezione era di questo tipo: viene Beuys e viene facilmente (tutti dicevano impossibile che Beuys venga!); viene Burri e tutti dicevano: impossibile, un uomo cos burbero, cos alieno, cos distaccatotu sei pazzo a dirgli di venire non ho avuto il tempo di dirglielo che si precipitato! R: li ha invitati Lei? C: Beh s! Poi mi sono rivolto ad alcuni di loro e molti, i pi importanti, mi hanno risposto in senso positivo. Altri invece cercavano laffaruzzo, come Emilio Vedova, per essere chiari no? Che voleva cento milioniNo guardi, non il nostro caso, dico, Ma io, Ma lei importantissimo, per carit, non lo metto in dubbio, ma io non devo comprare le sue opere, quindi non mi interessa; se lei vuole partecipare cio a dire purch lei non si senta escluso. E pur partendo io da una mia posizione politica legata alla sinistra, diciamo (e quindi anche Guttuso che fece quel grande gruppo), mi feci forte delle ragioni del rinnovamento anche dellarte sia pure in senso marxista sociale, ma di libert; quindi si form un gruppo prevalente. A parte che tanti di questi artisti erano siciliani: da Carla Accardi a Pietro Consagra, al marito di Carla, Partanna, molti altri, come lo stesso Turcato, che era solidale con tutti questi, Schifano che era figlio di tradizioni siciliane, perch suo padre era di Trapani, e lui segu il padre in Libia come restauratore (il padre era restauratore e lui da bambino seguiva queste cose), quindi conosceva la Sicilia dunque il richiamo ha agito sulla loro psiche anzitutto, e sul loro bisogno di mostrare un punto di funzione dellarte, al di l dei bla bla, di tutte le storie, le discussioni. Quindi non larte per larte, per se stessa, ma larte come espressione di un sogno, appunto come diceva Consagra: Perch a Torino si possono fare i monumenti con i Re a cavallo e in Sicilia non pu venire nemmeno un pelo di quel cavallo, per cui si grida subito allo scandalo perch ai contadini dai un pelo del cavallo di Umberto o di Vittorio Emanuele? 72

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Ed uno scandalo qua in Sicilia! Una negazione della tradizione tutt'altro! Questa non era solo una terra desolata, era abbattuta da mille sentimenti di disperazione e povert, ma era anche una terra su cui erano passate, e quindi nella memoria radicate, civilt diverse del mondo: dagli Elimi, che si trovavano proprio in questa collina qui di fronte (ancora non hanno fatto delle ricerche archeologiche vere, ma in campagna si notano pezzi di terrecotte, di vasi noi nel museo ne abbiamo una piccola raccolta), e quindi dagli Elimi, che sono gli antesignani dei troiani venuti dopo la disfatta di Troia (torna sempre questo legame con la disgrazia della guerra, non solo del terremoto), quindi Enea che poi fonda Erice, che co-fonda Segesta, dove gi cerano delle colonie di indoeuropei chiamati Elimi che gi si erano insediati qua, prima ancora dei greci, in tutta questa fascia: una storia complessa. Non una storia di una citt, di una identit legata a un periodo, periodo che soltanto una parentesi di tutti i millenni, a cominciare dal periodo storico della feudalit, dei Naselli, dei Conti di Modica, di tanti altrino? Quello fu un periodo in cui gli Spagnoli dettero la terra su cui bonificare. Ma era un popolo nomade esso stesso, appunto perch erano nient'altro che gli Elimi giunti qua, poi gli arabi che si erano insediati (il nome stesso della citt arabo: gebel, che significa collina), per cui c un avvicendamento tale di culture che non pu non lasciare segmenti. E noi labbiamo visto, provato e sentito questo avvicendamento, quando abbiamo rappresentato lOrestea di Serakis, in greco classico antico: la gente era emozionata come se capisse le parole, perch nel loro inconscio riaffioravano questi ritmi affidati alla parola, ma pi che la parola erano i ritmi; lo stesso con le Troiane, fatte da quel grande regista poi morto giovanissimo, Thierry Salmon, fatte in greco. La gente piangeva e si commuoveva come se fosse la lingua di oggi! Poi la stessa Orestea di Emilio Isgr, in parte tradotta in siciliano andato a trovare tutti i detti, i modi di figurare e di parlare degli antichi greci ancora vivi nel linguaggio comune della gente, come, che so, il proverbio Lu voi nun poti parlari, che dichiara proprio una lingua nostra, e proviene da Eschilo questa cosa, no? E in sicilia-

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no esiste proprio il proverbio che dice questo. Tanto vero che Eschilo sepolto proprio qua, in Sicilia, a due passi (a Gela). Quindi non che noi abbiamo rotto chiss quale incantesimo o abbiamo sradicato una civilt per imporre larte contemporanea: larte si sempre imposta da s, nel contemporaneo; perch anche larte barocca delle chiese povere di questa nostra zona, evidentemente, che cosa rifletteva? Rifletteva unideologia, mentre larte di oggi non riflette nessuna ideologia! frantumata in qualche modo come frantumata la societ. Mentre il potere unico fa risorgere Noto, la Val di Noto e quindi tutto il Ragusano, ma un potere unico, oggi il potere unico viene contestato, non c pi, e quindi c la molteplicit dei linguaggi, la confusione, la babele dei linguaggi. Allora quando mi dicono a Gibellina: non si capisce perch non c armonia ma che armonia vai cercando? la societ che si esprime in modo non armonico, linquietitudine essa stessa bellezza e in qualche modo creatrice o precorritrice di una nuova armonia. Questo il punto fondamentale! Scialoja, che viene qui chiamato a fare i teatro con i bambini, disegna i costumi, fa il Ratto di Proserpina, e cos via, sempre una ricerca dei miti del Mediterraneo che erano profondamente radicati con un linguaggio comprensibile anche oggi: perch non fai la finzione della lingua antica di Siracusa? Perch una finzione, perch non corrisponde pi al rapporto tra il teatro e le persone, vive come lopera delle marionette in Sicilia oggi un fatto turistico, mentre prima era un fatto che accalorava la gente, tant che in certi teatrini del nostro paese il Gano di Maganza veniva sparato perch tradiva, si immedesimavano tanto si entusiasmavano E allora inutile che oggi si proponga il greco classico pi o meno rivisitato (gesticola come a imitare pose tragiche del teatro greco) ma che cazzo dici? Bisogna tentare questa via rischiosa, pericolosa per quanto si voglia, della continuit dinamica, ecco! Non una continuit statica! Un dinamismo che portato al cambiamento dei fatti, della storia, della societ. Lidentit di un popolo una somma di caratteri che si sono andati accumulando, di esperienze che si sono andate accumulando; in questo senso larte contemporanea la pi adatta, la pi proficua per creare, per fare emergere il cuore delle persone. 74

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R: Il modo e le parole che ha usato per descrivere i suoi intenti, rispecchiano Gibellina, questa concezione C: Certo, anche se non tutti i cinquemila abitanti di Gibellina possono essere naturalmente al di dentro di tutto il movimento, per come sempre ci sono delle avanguardie, ma qui c stato invece un movimento popolare, nel senso della costruzione, perch? Per dire, Gibellina era un paese di contadini e poveri culturalmente anche nella coltivazione perch al di l del grano, del maggese, non cera niente. Quindi non cera il vigneto, non cerano ulivi nulla! Erano soltanto dei poveri sciagurati, sfruttati indegnamente. Ebbene, questi contadini, attraverso questo stimolo di energia, si trasformano in braccianti edili e costruiscono le loro case, nonostante nessuno abbia mai fatto il muratore, e con la presenza degli artisti diventano artigiani: tutte le opere che voi vedete sono realizzate da artigiani locali, con materiali della Sicilia evidentemente, come lopera di Unicini con la pietra lavica di Catania, o lopera di Consagra con il travertino di Alcamo, o le altre opere con il tufo delle zone qua vicine, di Mazara, di Burgio, e cos via. Quindi c stato un rimpasto e naturalmente una trasformazione antropologica, che non dettata dalla notte al giorno, ha i suoi tempi di maturazione, di appropriazione che va venendo lentamente, anche inconsapevolmente, su cui oggi si innescano anche i fenomeni economici non dimentichiamolo! Perch se a Gibellina, dove non cera nessuna attivit economica, sorgono tre o quattro cantine di grande valore e di grande capacit di esportazione ad altissimi livelli, tant che uno ha voluto la nostra sigla Orestiadi e fare il vino Orestiadi e vende benissimo, sono tre aziende di vino fantastiche c unazienda che fa formaggi ed esporta in tutto il mondo, compresa lAmerica, c unazienda che fa dolci ed esporta in tutto il mondo con grande successo;,c una fattoria zootecnica, un allevamento di pi di quarantamila suini, che era impensabile prima! C una zona artigiana, e un artigianato prima non esisteva. Noi abbiamo costruito con il progetto di Hungers, e qui la funzione dellarchitettura moderna, questo stile di capannoni per cui al di l 75

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della grossa confusione che c nelle altre periferie, ognuno fa il capannone a uso suo, noi abbiamo dato degli spazi necessari ma con un ordine pre-designato ma lasciando allinterno grande libert di muoversi ognuno come vuole; nasce qui una cooperativa di ceramisti; nasce una cooperativa fondata da donne, di ricamatrici che basano i decori sui disegni dei grandi maestri, tra cui anche il lavoro di Boetti, ma anche tutti gli altri drappi che riprendono lantica tradizione araba, quando in processione andavano alla Mecca, portando un drappo ricamato, da mettere sulla pietra nera della tomba, e quindi si portavano appresso al santo questi drappi (prisenti) sui cavalli, dalla giovent pi bella maschile e femminile della citt, e sfilavano con queste cose e il Santo dietro. Ecco come larte reinterpreta questi sentimenti, d loro respiro, futuro, sostegno in qualche modo; naturalmente tutto questo collide con quelli che del mondo contadino hanno una visione statica, per controllarlo, per dominarlo, e da ci deriva il grande attacco violento che fu fatto da alcuni dirigenti politici dellopposizione, nellamministrazione di allora, con dei manifesti: LA FOLLIA DELIRANTE DI CORRAO, capisci! Oggi per sono tutti orgogliosi! Devo dire una cosa, e cio che la popolazione comprese profondamente: infatti quando Burri, dopo tante situazioni (perch lui aveva un pudore, era scontroso), fin col dirmi quello che voleva fare, ebbi un attimo di terrore. Lui mi disse: Che fa, non le piace lidea?, No, no, no, io gi la vedo! Solo che ho un problema grosso, anzi due problemi grossi davanti: il primo, di capire nel sentimento della gente come viene accolta sta cosa; il secondo, della entit finanziaria dellintervento, perch mica una cosa da poco! Lui come tutti gli artisti: Ma no! Ma l bastano qualche volontario, un po di cemento, (R: un po di cemento!!!), e poi non bisogna fare delle cose di chiss quale entit! Come nelle strade no? Come nelle zone dove c il rischio di frane, con queste reti di metallo che tengono e poi sopra passarci un po di calce, na parola (ride)! E poi siamo andati insieme con lui dallarchitetto, che ci ha aiutato a costruire qualcosa che corrispondesse al suo desiderio, al suo bisogno. E ripeto una lotta che era secolare qui a Gibellina, una lotta per la conquista della terra; quindi non fu un azzardo quello di passare dalla vecchia citt nella nuova zona, 76

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perch nella nuova zona cerano stati gi insediamenti di diverse decine di famiglie per la lazione della riforma agraria degli anni Cinquanta, dove furono costruiti i borghi rurali. Dunque cera gi un inserimento, era naturale che la gente si spostasse qui. Ch la citt nasce per qualche ragione, e la ragione innanzitutto il lavoro, perch dove c il lavoro c la tua citt; ma se il tuo lavoro qui e non nelle montagne, dove non c niente da coltivare ? Lottanta per cento della propriet nella vallata, nel vecchio paese non si trovava neanche il venti per cento dellagricoltura diciamo, al massimo lagricoltura da pascolo, non quella produttiva evidentemente. Affrontare anche, nella scelta di tutta la zona, il problema dellinsediamento preciso, ponendo come obiettivo la distruzione del feudo; qui siamo nella zona del feudo dei baroni De Stefano, che a loro volta erano scomparsi per via dei sistemi nuovi e per via soprattutto della classica azione della mafia, che era stata la spalla come custode fedele del sistema feudale, ma che poi se ne era impossessata e poi aveva levato tutto. Quindi questa era diventata propriet dei Salvo Corleo di Salemi. Allora la battaglia della ricostruzione si innesta su una causa di inizio principalmente; anche perch lottanta percento di propriet delle case di Gibellina, i genitori le intestavano alle figlie e non agli uomini. Agli uomini davano il carretto e il mulo, quando lavevano, ma alla donna la casa. Quindi il motore della ricostruzione, della rifondazione della citt, la mia forza per realizzare il progetto sono state le donne. Avevano linteresse di rifarsi una casa loro, di tornare ad essere le proprietarie della casa. un po la concezione africana: il marito serve per fare i figli alla fine, poi se ne pu anche andare hai capito ma la casa mia! Quindi in queste battaglie ho avuto le donne in prima fila; cera il movimento socialista, ma innesc anche il movimento dei cattolici popolari di Sturzo, dellimmediato dopo guerra del 18, e il prete per, evidentemente, per murare e contrapporsi ai socialisti, fond il movimento delle cooperative cattoliche per occupare con lui i feudi. E ci riusc, ma ci riusc a spese della pelle! Perch lo ammazzarono per la strada, larciprete della citt, e ti parlo di un popolo definito ultra religioso!

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R: Quando gli artisti iniziarono ad operare, ai loro progetti, la gente come rispondeva? C: Beh intanto c il classico stato danimo di grande ospitalit della gente, verso lo straniero o comunque verso laltro che viene, e poi perch vi era stato tutto il movimento dei giovani volontari, che avevano aiutato la gente qui, dallindomani del terremoto. Che avevano fatto i graffiti nelle baracche, col gruppo degli uccelli di Roma, degli architetti che avevano costruito la casa del popolo dipingendo tutte le scene delle lotte dei fasci siciliani gli spettacoli teatrali fatti da Dario Fo qui, nelle baracche, o la mostra di Consagra sulla citt frontale fatta nelle baracche, dove ogni sera si discuteva di questi progetti, della citt sognata, della terra promessa in definitiva. Quattordici anni di vita chiamiamola vita, nelle baracche, quattordici anni di lotte, di maturazione e di approfondimento di idee per i concetti di come doveva essere la citt. R: Aveva pure lei casa nella vecchia Gibellina? C: Mai! Io non ho avuto nulla, io non possiedo nulla! A tutti dicevo: Io in qualsiasi momento non ho neanche bisogno di fare una valigia, non ho niente qua. R: Ha iniziato a fare il sindaco in un momento complicatissimo (C: non ne parliamo), tutto in salita no? C: senza mezzi, perch amministrava tutto lo stato, quindi anche quando si parla di errori. E vabb, mi potrei associare anche io alla critica degli errori, ma i piani chi li faceva? I comuni non avevano nemmeno il potere di rilasciare le licenze di edilizia normale; tutto nelle mani dellispettorato delle zone terremotate: sia i piani di trasferimento, sia i piani cosiddetti di fabbricazione, che corrispondevano un po ai piani regolatori, sia tutte le altre attivit, come la costruzione delle scuole tutti con tecnici organizzati dallispettorato delle zone terremotate (che poi affidarono il compito allISESS). Come sorge Gibellina diversamente dagli altri paesi? Per il semplice motivo 78

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che il discorso era sempre lo stesso: Se avete qualche ingegnere da raccomandare, Io non ne conosco e anche quando, mi rifiuto; fa schifo questa domanda che voi mi fate, ma che discorsi sono?. Intanto quale competenza si poteva avere? A parte io che, bene o male, ero semi-analfabeta, tutti gli altri sindaci che preparazione avevano? Alcuni erano stati eletti contadini, perch conosciuti dal partito come puoi pretendere che questi diano una qualsiasi opinion su un progetto edilizio allora dico, se dovete fare delle scelte architettoniche, urbanistiche o altro, affidatevi alla sapienza dellespressione del mondo contemporaneo, di tutto ci che il mondo contemporaneo esprime, del rinnovamento nellarchitettura e nellurbanistica. Quindi i nomi di Quaroni, di Samon, abbiamo invitato Vigo, Hungers e tutte le universit di tutta Europa, con i loro studenti venuti qua per un mese, a studiare come modificare i piani proposti. chiaro che sorta una contraddizione tra una forma di piano e quello che poi avvenuto successivamente, ma non potevamo pensare di abbattere tutto quello che aveva fatto lISESS e ricostruire dopo un secondo terremoto a Gibellina. Quindi abbiamo scelto la via della modifica, lenta, profonda, che avviasse il processo. Del resto una citt non si crea in dieci anni, quindici queste critiche mi fanno ridere insomma R: Per magari cera il rischio che tutta la popolazione di Gibellina si perdesse in comuni vicini. C: E c stato! Infatti la cosa pi difficile era richiamare tutti questi dispersi. Perch non avevano avuto nessuna guida dove andare. Vennero fatte delle tendopoli, prima fatte dallesercito poi dai carabinieri, anche nei paesi vicini; quindi gente sparpagliata a Castelvetrano, Campobello, Mazara con tende terrificanti. Il problema pi grosso era dare fiducia alla gente che poteva trovare nel terremoto loccasione di scappare per sempre e non tornare pi. Quindi invogliarli a ritornare, cio a farsi forza con la tenacia propria del contadino siciliano. Io ricordo la prima festa del primo maggio celebrata l, sulle rovine di Gibellina, che li richiam tutti e li impegn tutti a riprendere la 79

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vita l. Questi sono i fatti che mi interessano di pi; poi la critica allarchitetto, questo non mi piace la rifondazione di una citt una cosa cos complessa che non pu essere affidata agli architetti bravini R: Quando gli artisti iniziarono a realizzare le loro opere, che opinione aveva la politica del momento? C: La politica del momento come maggioranza era nelle nostre mani. Per quindici anni sono stato sindaco io. Ma anche lopposizione era minima. La popolazione era per tutta coinvolta; nei grandi spettacoli teatrali cerano pi di seicento cittadini di Gibellina che facevano parte del teatro: le costumiste, le bande musicali, gli artigiani nata una categoria di artigiani che hanno ripetuto lesempio mirabile delle officine artigiane del Rinascimento italiano, quando lartista e lartigiano realizzavano insieme lopera e comunicavano; infatti stiamo realizzando una pubblicazione, spero di averla a gennaio, sul rapporto tra artisti e artigiani locali. R: Questa una cosa molto interessante! C: Perch c stata una scuola molto importante. Poi il resto riuscito o non riuscito, si pu criticare, per carit di Dio, ma io non sono interamente soddisfatto di quello che c. Non sono soddisfatto perch soprattutto il progetto non ancora completo! Dopo quaranta anni, come voi vedete, il centro sociale in aria questo di Consagra bellissimo perch unisce la vecchia citt con la nuova, fa da ponte, col Sistema delle piazze di Purini, con la chiesa di Quaroni (la chiesa di Quaroni finalmente ad Ottobre lavremo in consegna, ma adesso il problema come arredarla dentro con lo stile di come si commenta). R: Chiamerete giustamente artisti contemporanei per allestire la chiesa di Quaroni? C: Certo! Ma anche, per dire, la Via Crucis, e ne abbiamo parlato col Vescovo che fortunatamente daccordo, un Vescovo intelligente, 80

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non che ci saranno i quattordici quadretti dove la gente si inginocchiava e passava da una stazione allaltra, ma facciamo un grande trittico dove si mettono i simboli della Via Crucis e l tu hai la memoria, i ricordi un fatto, diciamo, visivo. Il problema della religione linvisibile, che sia visibile allanimo. R: Ma anche perch larte contemporanea, rispecchiando un tempo e uno spazio nostro, deve avere un linguaggio che lo rappresenta. C: Con tutti gli errori e gli orrori dellarte contemporanea! Questo il tempo (batte le mani), cosa vuoi? Sbagliato o giusto che sia, architettura, arte eccetera, il prodotto della nostra societ lincertezza, della crisi, dei fallimenti, della politica, del 68 tutto! E per qualcosa rimasto! E poi germinano le cose, lentamente. R: Di cosa non rimasto esattamente soddisfatto? C: Ma anzitutto la mancanza di previsione da parte dello stato del sistema idrico: come fai a pensare di ricostruire quattordici paesi senza pensare alla dotazione dellacqua? R: Davvero? C: Tutti senzacqua! R: Ma quindi vengono le autobotti a rifornire di acqua gli abitanti? C: No, c la diga, poi si rompono le tubature e lacqua si perde nel tragitto, poi non piove e lacqua non sufficiente una cosa indegna, primo! Secondo: la mancanza di un progetto, quello s di vera riforma, di vera rivoluzione, della scuola. In questi paesi al di l della scuola media non c niente; poi devi andare a Castelvetrano o a Salemi per studiare agli istituti di perito aziendale, come se qua fosse pieno di aziende. Quindi ai ragazzi questo titolo serve da posteggio, e basta! I pi bravi hanno infatti scelto la via delluniversit, con facolt

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anche molto impegnative (scienze biologiche), ragazzi veramente con uno stimolo dentro che si espresso in mille modi diversi.

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Conclusione

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Gibellina adesso una realt, esiste nelle sue strutture architettoniche e nelle sue numerose opere darte contemporanea. uno spazio che si avviato con tutte le sue problematiche di tipo etico e culturale. Gibellina nata da un pensiero utopico, dallidea di volere a tutti i costi un riscatto storico da parte della popolazione. Con il terremoto si perso tutto, le case, la storia, la memoria, abbandonando unintera comunit a un destino comune, come la conurbazione con altri piccoli comuni limitrofi, o la semplice riedificazione di un piccolo centro di case popolari. Gibellina, grazie alle tanto criticate iniziative di Corrao e degli intellettuali accorsi alla sua idea, adesso un centro in cui discutere, su cui confrontarsi. Non ha una storia antecedente alla sua creazione, ma ha unidea da sviluppare, un concetto da portare avanti, soprattutto dalle generazioni future. Cos come le sculture e le architetture hanno creato situazioni concettuali, spaziali e culturali, per aprire piste verso ulteriori sviluppi, non solo urbanistici, cos laria che si respira a Gibellina suscita uninconscia voglia di fare, di dialogare con quegli spazi che aspettano un confronto, o almeno una riflessione. Gibellina non uno spazio passivo. Semmai un centro che aspetta la stessa voglia di fare degli intellettuali: una citt che accoglie la cultura e tute le sue sperimentazioni, a prescindere dal mercato e dalle convenzioni a sua volta consequenziali. Gibellina rispecchia non solo lo stato culturale di un determinato periodo storico, quello che ne costitu, a partire dalla fine degli anni Settanta fino a buona parte degli anni Novanta, il centro urbano, ma anche lattuale e continuo avvicendamento dei fenomeni culturali contemporanei, sociali e politici. Criticare Gibellina vuol dire non capire le dinamiche che hanno portato alla sua nascita, al suo sviluppo; significa non tener conto dei possibili destini a cui vanno incontro simili situazioni disastrose, pensando poi che le amministrazioni avrebbero potuto tenere doc83

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chio il coinvolgimento di grandi interpreti della cultura contemporanea. A Gibellina avvenuto questo: un sindaco che nel nulla ha preferito creare qualcosa, che facesse discutere, ma auspicando dialoghi pi costruttivi e meno rivolti a pesanti critiche sullutopia o su altri discorsi di uguale estrazione teorica. Gibellina il simbolo dellutopia, negli intenti e nella sua pianificazione urbana e culturale, ma diventata qualcosa di tangibile, di possibile. Un fenomeno culturale unico, che ha portato alla realizzazione di importanti esiti artistici, inusuali e irripetibili. Non criticabile lo spirito di Ludovico Corrao che al di l degli ideali etici, di esaltazione della cultura e del genio contemporaneo, ha sicuramente creato i presupposti per una potenziale attivit economica, rivolta al turismo e alla promozione. Gli stessi abitanti si sono affacciati sulle nuove realt imprenditoriali, buttandosi su nuove possibilit lavorative che non fossero strettamente riconnesse allagricoltura. Ma allora questa perfezione di Gibellina con questo suo aspetto cos gioioso della cultura e della sperimentazione felice, perch non si riscontra? Perch riesce a dare adito alla critica pi feroce nei confronti dellutopia, dello spreco, degli equivoci etici e morali? Perch quando si entra Gibellina si viene colpiti da un sentimento di straniamento, di inquietudine? Perch aleggia nella citt un presentimento quasi mafiogeno come ipotesi deduttiva sulloperato, conseguenza di pesanti luoghi comuni che affiorano in modo fastidiosamente scontato (solo perch il tutto avvenuto in Sicilia)? Le risposte sono molte, e complesse, come del resto rispecchiano nella loro complessit la non facile impresa di ricostruire una citt (cosa che non accade tutti i giorni). Penso che sia giusto analizzare ogni intervento a Gibellina in modo approfondito, analitico, cercando di sentirne la storia e le motivazioni, evitando di aggredire lintero paesaggio della citt afferrandolo in un unico discorso critico, come pluri-risultato di un unico farneticamento concettuale. A Gibellina avvenuto proprio il contrario: il risultato unico, la conseguenza di un insieme di idee e concetti espressi da pi intellettuali. Grazie alle varie storie artistiche, ai vari linguaggi espressi nella citt, Gibellina appare come il simbolo di unidea unica, quella di issare la cultura come bandiera di una nuova storia, di una nuova memoria. Analizza84

Conclusione

re Gibellina in questo modo, approfondendo singolarmente ogni fenomeno creativo, aiuta a vederne la bellezza etica ed estetica, a capire lidea a cui aspira la citt e, forse, i sintomi che invece eventualmente non ne permettono la riuscita. Indubbiamente manca qualcosa a Gibellina. Manca la politica imprenditoriale che esiste al nord e che per motivi misteriosi continuano a persistere in modo fiorente solo in quel contesto geografico. Sono convinto che Gibellina in Lombardia sarebbe gi un incredibile laboratorio artistico, dove ogni abitazione sarebbe il sogno per qualsiasi giovane intellettuale. A Gibellina mancano le strutture ricettive, limprenditoria basata sul turismo a tutti i livelli, da quello di massa a quello gi esistente delite. Manca una vera e forte propaganda critica, pubblicitaria, propositiva e martellante sotto ogni aspetto. Nessuno conosce Gibellina: nota solo gli addetti ai lavori e a un ristretto pubblico di lite. Ci sar un motivo. Sono sicuro che come ogni forma di arte contemporanea Gibellina diventa ostica nel farsi piacere: non stiamo parlando dei templi greci di Agrigento che esercitano il loro fascino di storia malgrado il turista non conosca una virgola sulla cultura greca. Con questo esempio non sto giustificando il fatto di muoversi secondo le esigenze mediocri del turista di massa, ma espongo una causa determinante che allontana Gibellina della rete turistica della Sicilia occidentale. Bisogna fare i conti con una citt che suo malgrado non riuscita ancora a pubblicizzarsi nel modo migliore. Un rimprovero va anche alla Fondazione Orestiadi che, nonostante faccia cose estremamente interessanti e coinvolgenti, ponendosi a tutti gli effetti come ente culturalmente trainante della citt, non riesce a dare una risonanza almeno nazionale in occasione del lungo programma del festival da lei organizzato (e nonostante tutto, richiama centinaia di spettatori ogni anno, a confermare un interesse concreto da parte degli esperti e della gente assiduamente presente alle iniziative culturali di un certo spessore). L assenza turistica quindi un elemento che sicuramente influisce sul sentimento desolante della citt e sulle prospettive economiche e sociali, nonch di urbanizzazione e prosperit della comunit stessa. 85

Conclusione

Un altro elemento criticabile di Gibellina il contrasto tra ritmi sociali e spazi architettonici, tra esigenze abitative e piano urbanistico ideale. Nella ricerca abbiamo potuto evidenziare, negli esempi, come in effetti la popolazione di Gibellina ha dovuto rimettere in discussione i propri atteggiamenti nei confronti dello spazio urbano: strade larghe che sostituiscono i vicoli medievali, architetture a pi piani che rimpiazzano le abitazioni contadine in pietra, la piccola piazza con la chiesa che viene dimenticata a scapito di sistemi urbanistici tali da accogliere una popolazione molto pi numerosa di quella effettiva. Una comunit che vede le proprie esigenze vitali e spaziali decontestualizzate da una Gibellina che, nonostante si dimostri come un puntuale esempio della cultura architettonica e urbanistica contemporanea, non la rispecchia. Un contrasto tra esigenza e possibilit che si evince dalle strade quasi sempre vuote, dalle case sempre chiuse e dai pochi negozi; dalle architetture e dalle sculture poco vissute e a volte semi abbandonate, ma abbandonate non sono se non apparentemente. Lunico errore che forse si pu dedurre dalle concezioni degli artisti e degli architetti stato obbligare la vita dei gibellinesi in spazi che non rispecchiavano troppo le loro abitudini vitali, abitative, spaziali. Il tutto sarebbe dovuto diventare pi a misura duomo, a misura di popolazione. Risalta troppo il contrasto tra una citt da quarantamila abitanti e una comunit effettiva di quattromila individui; vediamo un regime pari solo al dieci per cento delle sue potenzialit. Gibellina quindi una realt che deve essere ancora scoperta del tutto, anche se forse non si riuscir mai a farlo: ancora questa citt si presta a sperimentazioni, a proposte culturali sempre pi affascinanti, ardue, internazionali. Gibellina ancora un centro di sperimentazione, di dialogo e di confronto; unoasi non solo nella Sicilia Occidentale, ma in quasi tutta lItalia e forse in Europa. A Gibellina vengono ancora gli artisti, invitati a collaborare nel produrre oggetti di storia, di idea, icone di libert e di espressione; ancora arrivano artisti a produrre opere urbane in un continuo arricchimento dello spazio non solo fisico, urbano, ma anche spirituale. Gibellina quindi la realt in cui chi ama la cultura vorrebbe vivere. 86

Conclusione

Gibellina un fatto, unutopia reale, e bisogna accettarla nei suoi pro e nei suoi contro se vogliamo che questa realt culturalmente ideale si perpetui nel tempo e abbia la sua giusta risonanza, nella societ e nel tempo. La citt del sole che ancora sogna unidea e la insegue quotidianamente nellarte.

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