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Newsletter energy - anno 1, numero 3 - luglio/agosto 2010 newsletter energy - anno 2, numero 10 - OTTOBRE/NOVEMBRE 2011

indice
2 news 3 Quale futuro per il nucleare dopo Fukushima?
After Fukushima: what future for nuclear energy? It is often told that the recent nuclear disaster in Japan has jeopardized the Renaissance the sector was enduring after two decades of stagnation. However, even if Germany and Switzerland have decided to phase-out nuclear energy and Italy repealed its recent nuclear project, sectors perspectives are not so bleak. China, Russia, South Korea and other emerging economies will probably more than compensate the nuclear retreat in some OECD countries. Both consumers and the environment may be pleased indeed.

5 ENI in Libia: tutto come prima?


The new role of ENI in Lybia After the fall of Gaddas regime, ENI is rapidly regaining ground in Libya: the Italian corporation has recently resumed oil production in 15 wells near Tripoli and is about to restart the Greenstream pipeline. Little wonder that ENI aspires to be a key player in the country as it was in the recent past. Yet some factors may make it harder now: internal instability, increased uncertainty on the international scene, enterprise of the French competitors, and the decision of opening African energy markets to Russian NOCs. ENIs efforts, however, are unlikely to succeed without an enduring and consistent commitment to Libya by the Italian government.

7 La politica Energetica della Presidenza polacca: tra volontA' di europeismo e


realta' dei fatti
The Polish energy policy during its EU presidency: a swing between Europeanism and reality During its presidency, in the second semester of 2011, Poland has published a program which emphasizes its willingness to play a central role in the future of the European Union. However, in the eld of energy, Warsaws interests seem to be strongly in conict with Brussels positions, particularly in the elds of renewable energy and shale gas. There is therefore the necessity to defend Polands national interests without hindering the European agenda

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news
Per la terza volta consecutiva, l'Agenzia internazionale dellenergia (AIE) ha ridimensionato le stime sui consumi mondiali di greggio nel 2011 e nel 2012. Secondo le previsioni dellagenzia di Parigi, la domanda quest'anno crescer dell'1,1% a 89,23 mln b/g (contro gli 89,28 mln b/g messi in conto nel rapporto precedente); il prossimo anno invece la domanda crescer dell'1,4% a 90,48 mln b/g (contro i 90,69 mln b/g stimati in settembre). LAIE ha specicato che queste revisioni scaturiscono dalle modiche alle previsioni sul PIL mondiale. Daltro canto, anche l'offerta mondiale di greggio diminuita a 88,7 milioni di bl/gg in settembre (meno 0,3 milioni di bl/gg rispetto al mese di agosto), in seguito alle minori forniture dai paesi OPEC. Il greggio OPEC in settembre sceso a 30,15 milioni di barili al giorno, con una produzione nigeriana e saudita pi bassa, parzialmente compensata dalla ripresa dell'output libico. I progressi compiuti negli ultimi mesi dal Consiglio nazionale di transizione (CNT) libico nella lotta per la presa del paese hanno permesso al petrolio libico di tornare sui mercati internazionali. Il segretario generale dell'OPEC, Abdulla el-Badri ha affermato che i Paesi dellOrganizzazione (leggi Arabia Saudita) che avevano alzato la produzione per fronteggiare l'emergenza faranno un passo indietro. Secondo lAIE, la produzione in Libia ha raggiunto i 350.000 b/g nei primi giorni di ottobre e dovrebbe aumentare a 600.000 b/g entro ne anno. Sempre grazie hai progressi bellici del CNT, il 13 ottobre stato possibile rimettere in funzione il gasdotto Greenstream dalla Libia alla Sicilia. Secondo lagenzia di stampa Ansa, il gasdotto trasporter 125.000 mc di gas lora (pari a 3 milioni di metri cubi al giorno) no a ne novembre, salvo poi aumentare gradualmente no a raggiungere la capacit massima della condotta di 28 milioni di mc al giorno. Il commissario Europeo allenergia, Gnther Oettinger, ha reso noto ad ottobre che la realizzazione del gasdotto Nabucco comporter investimenti compresi tra 10 e 14 miliardi di euro, un incremento di pi del 75% rispetto a quanto inizialmente previsto. Oettinger, che ha detto comunque di credere fermamente nel progetto Nabucco, non ha precisato il motivo dellaumento dei costi; tuttavia, alcune fonti industriali attribuiscono tale incremento allinclusione delle bretelle tra Turchia e Paesi fornitori e allaumento del prezzo dei servizi ingegneristici e delle materie prime. Il portavoce del consorzio Nabucco, Christian Dolezal, ha intanto smentito il ritardo nellinaugurazione del gasdotto, ventilato a ne settembre dalla.d. di Omv, Gerhard Roiss, secondo cui le prime consegne di gas slitteranno dal 2017 al 2018. Lavvio resta ssato nel 2017, ha detto Dolezal, aggiungendo per che potremo denire lesatta tempistica soltanto dopo aver rmato il contratto di approvvigionamento dal giacimento azero Shah Deniz-2. Un altro importante sviluppo correlato a Nabucco e alla sicurezza energetica europea riguarda il futuro ruolo del Turkmenistan come potenziale fornitore di gas naturale per il vecchio continente. Secondo lagenzia di stampa Reuters, il primo ministro turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov ha annunciato che un team di specialisti sta lavorando alle basi legali e contrattuali per fornire gas turkmeno allEuropa. Per dare pi peso alle sue affermazioni, Berdymukhamedov ha ricordato che sono gi iniziati i lavori di costruzione delle pipeline che collegher il giacimento di Iolotan (riserve di gas stimate equivalenti a 9 miliardi di barili di petrolio) con il mar Caspio. Si ravviavano le proteste nel Mediterraneo per lassegnazione dei i diritti desplorazione in acque territoriali contese tra pi Stati. Iniziate nellaprile del 2011 con la controversia tra Israele e Libano per i giacimenti Tamar e Leviathan, le dispute sono poi proseguite in settembre, coinvolgendo questa volta Cipro e la Turchia in merito allesplorazione di un giacimento al largo delle coste cipriote. Inne, in ottobre arrivato il turno dellItalia: il ministero dello Sviluppo economico avrebbe protestato vivacemente con il Governo maltese, che lo scorso agosto ha avviato una tornata di assegnazione per lesplorazione O&G in aree del Mar Ionio rivendicate dallItalia. A detta del Financial Times, Roma accusa La Valletta di aver violato lo spirito e la lettera della convenzione Onu sul mare del 1982. Il ministero guidato da Romani avrebbe preparato un provvedimento legislativo per delimitare la zona di interesse economico esclusivo del nostro Paese nello Ionio; tale provvedimento sarebbe stato illustrato alle compagnie petrolifere allinizio del mese dottobre. Il panorama nucleare globale post-Fukushima in pieno mutamento (vedi articolo Rossetto in questa newsletter). In Germania, dopo lannuncio dellabbandono dellatomo entro il 2022, le principali compagnie del paese iniziano ad assecondare la linea dettata dal governo: Siemens ha formalizzato la sua intenzione di chiudere la divisione energia nucleare; RWE, seconda utility del paese, dopo le ingenti perdite dovute alla decisione del phase-out tedesco, sta rivalutando la sua posizione anche sulla partecipazione ai progetti nucleari britannici. E proprio nel Regno Unito, il progetto del governo conservatore guidato da David Cameron di costruire 8 nuove centrali nucleari entro il 2025 ha sollevato molte polemiche: Greenpeace ha fatto causa al ministro dellEnergia Chris Huhne, sostenendo che il piano per la costruzione delle nuovi centrali non stato concertato con gli stakeholder locali. Uscendo dal vecchio continente, le prospettive si fanno pi rosee: la Cina prosegue verso lobbiettivo di istallare 50 GW da nucleare entro il 2015; le imprese giapponesi, nonostante il blocco parziale della produzione nucleare, sono molto attive allestero, dove si sono aggiudicate circa una ventina di commesse per costruire o operare centrali nucleari. Il 4 ottobre lAIE ha pubblicato un report sullutilizzo inappropriato da parte di molti governi di incentivi ai carburanti fossili. Secondo lagenzia parigina, lazzeramento di tali sussidi da parte di paesi sviluppati ed emergenti permetterebbe di aumentare la produzione denergia elettrica da fonti rinnovabili e di abbattere drasticamente il consumo di emissioni inquinanti (vedi Newsletter Energy N.9).

Quale futuro per il nucleare dopo Fukushima?


Nicol Rossetto Lincidente nucleare di Fukushima, secondo per gravit solo a quello di Chernobyl del 1986, rappresenta uno dei pi importanti eventi degli ultimi anni per le sue potenziali conseguenze sul futuro dellindustria energetica. La quantit di radioattivit rilasciata e le difcolt incontrate dalle autorit giapponesi prima di riuscire a tornare in pieno controllo della situazione hanno, infatti, evidenziato i grandi rischi che lutilizzo dellenergia nucleare comporta. Il dibattito che ne scaturito a livello mondiale ha portato a rivedere lattitudine sostanzialmente positiva nei confronti del nucleare, che era emersa negli ultimi anni sia tra i governanti che a livello di opinione pubblica, e che aveva portato a ritenere probabile un prossimo Rinascimento del nucleare. Grazie agli sviluppi tecnologici e alle pi stringenti norme in materia di sicurezza, questa era la convinzione, si sarebbe potuto fare un maggiore ricorso al nucleare, riducendo cos sia le emissioni di gas a effetto serra che la dipendenza dalle importazioni dei paesi produttori di idrocarburi. Il nucleare, in sostanza, sarebbe stato unottima fonte di energia no alla completa maturazione delle tecnologie per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, attualmente spesso troppo costose e non sempre afdabili. Lincidente di Fukushima, sebbene abbia coinvolto una centrale dotata di una tecnologia obsoleta e non pi commercializzata, la cui costruzione risale agli anni 70, ha fatto evaporare questa convinzione e ha spinto alcuni governi a cambiare le propria scelte riguardo allatomo e al suo ruolo nel mix energetico. Nel corso di pochi mesi il governo giapponese ha fatto chiudere in via temporanea tutte le proprie centrali nucleari e ne ha ordinato unispezione straordinaria, facendo presagire che in futuro la nazione dovr essere meno dipendente da questa fonte di energia. La Svizzera, dal canto suo, ha scelto di non sostituire le sue attuali centrali e di uscire dal nucleare al termine del loro ciclo vitale nel 2034, mentre la Germania ha deciso di chiudere i reattori pi vecchi e ha pianicato il completo abbandono del nucleare gi entro il 2022. In Italia, inne, la consultazione referendaria di giugno ha stabilito labolizione della legge che solo due anni prima aveva previsto il ritorno dellatomo nel nostro paese. Si noti che non si tratta solo di scelte fatte dai decisori pubblici. Bench le grandi utility europee dellelettricit restino in favore del nucleare e sostengano la sua importanza nel mix energetico dei prossimi decenni (si veda la recente pubblicazione di Eurelectric, Power choices: pathways to carbon-neutral electricity in Europe by 2050), Siemens ha comunicato in settembre la sua scelta di non sviluppare pi la joint venture con Rosatom, grazie alla quale il gigante tedesco della meccanica avrebbe potuto partecipare alla costruzione diretta di nuove centrali nucleari. Il futuro dellindustria nucleare appare quindi a prima vista assai grigio: piuttosto che un Rinascimento, sembrerebbe prospettarsi un nuovo Medio Evo. Tuttavia, se allarghiamo lo sguardo oltre i conni del mondo occidentale, il destino dellindustria nucleare appare tuttaltro che segnato. In un rapporto pubblicato nel mese di giugno dallEconomist Intelligence Unit (EUI) si evidenzia, infatti, che le scelte del Giappone o quelle della Germania sono casi piuttosto isolati, oltre che passibili di uninversione di rotta nei prossimi anni. Sebbene sia probabile che in Occidente la domanda di reattori resti stagnante, molti paesi emergenti sembrano decisamente lanciati sulla strada del nucleare. Cina, Russia, Corea del Sud, India e Brasile prevedono di soddisfare buona parte della loro

crescente domanda di energia grazie alla ssione nucleare: lEUI stima che nel 2020 solo per questi paesi vi sar una maggiore potenza nucleare installata pari a 88 GW (si tratta di un incremento di circa il 150% rispetto alla potenza installata attualmente). A ci si aggiunga che anche alcuni governi occidentali, pur avendo condotto nei mesi scorsi alcune indagini sulla sicurezza del settore al ne di tranquillizzare lopinione pubblica, hanno confermato i loro precedenti piani di sviluppo. E il caso, ad esempio, del Regno Unito, che ha ribadito la volont di sostituire nei prossimi anni tutti i suoi vecchi reattori nucleari con altri di pi moderni. In Francia, addirittura, sono solo i Verdi e alcuni esponenti socialisti a sollevare la questione, mentre tutte le altre maggiori forze politiche restano convinte della necessit di non abbandonare la scelta fatta negli anni 60 e 70 a favore del nucleare. In sostanza, concludono gli autori dellEUI, il ridimensionamento del settore in alcuni paesi come la Germania, anche qualora dovesse essere confermato, sar pi che compensato da una crescita sostenuta altrove, in particolare nei paesi emergenti. Questa prospettiva sembra essere condivisa dallAgenzia Internazionale dellEnergia (AIE), che in vista della pubblicazione annuale del World Energy Outlook, ha cominciato ad elaborare un low-nuclear case scenario. Tale previsione si basa sullipotesi ragionevole che a seguito del disastro di Fukushima e della riessione politica da esso indotta, il peso del nucleare diminuisca nei prossimi anni, specialmente per un suo declino nelle economie avanzate, dove molti reattori saranno o spenti in anticipo o non sostituiti al termine della loro vita utile. In particolare, lAIE ipotizza che la nuova capacit installata sar solo la met di quella prevista nel new policy scenario (si tratta dello scenario che si realizzerebbe qualora i governi rispettassero gli accordi di Copenhagen del 2009) e che nel 2035 il nucleare fornir solo il 10% dellelettricit mondiale, contro il 13,5% attuale. La quota mancante, a detta dellagenzia parigina, sar soddisfatta da un maggiore ricorso al carbone, al gas e alle rinnovabili, nella misura di 1/3 ciascuno (a causa dei differenziali di costo non infatti ragionevole che il gap sia interamente ricoperto dalle rinnovabili).

In questo contesto, le conseguenze principali sarebbero due. Da un lato, diventerebbe quasi impossibile raggiungere gli obiettivi climatici previsti dallaccordo di Copenhagen, poich il maggiore ricorso al gas e al carbone farebbe aumentare le emissioni di CO2 del settore energetico del 30% circa. Dallaltro lato, ridurre luso del nucleare creerebbe tensioni sul lato della domanda di elettricit e di combustibili fossili, portando probabilmente ad aumentare il loro prezzo e il grado di dipendenza di molti paesi dalle esportazioni di stati come la Russia o lAlgeria, con inevitabili ripercussioni in termini di sicurezza. Tra le incognite che potrebbero confermare o smentire questo scenario vi sono la capacit di sviluppare le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, il conseguimento di una maggiore efcienza energetica anche tramite leliminazione dei sussidi al consumo di idrocarburi e lo sfruttamento delle ampie riserve di gas non convenzionale recentemente scoperte.

Al di l dei dettagli, che molto dipendono dalle ipotesi fatte, le indagine che lAIE sta conducendo suggeriscono che il nucleare non pu e non dovrebbe essere abbandonato. Consapevoli che nessuna fonte di energia in grado di soddisfare contemporaneamente i tre requisiti della sicurezza, della sostenibilit e della competitivit, evidente che i governi non dovrebbero farsi condizionare dalle emozioni suscitate dal disastro giapponese e dovrebbero preservare, nel mix energetico dei loro paesi, uno spazio per lenergia nucleare, almeno no a quando le nuove tecnologie verdi non saranno mature.

ENI in Libia: tutto come prima?


Tommaso Milani Napoleone Bonaparte sostenne, con un detto rimasto celebre, che la politica di un Paese iscritta nella sua geograa. Nella visione dellimperatore francese, un nucleo di durevoli interessi nazionali costringerebbe gli attori a scelte strategiche di lungo periodo, legando tra loro i destini dei popoli al di l delle vicissitudini storiche e dei mutevoli assetti istituzionali. Sembra essere questo il caso di Italia e Libia, le cui relazioni in campo energetico avviate oltre cinquantanni fa paiono nuovamente stringersi, dopo la brusca interruzione avvenuta in estate. A luglio, nel pieno della sommossa contro Muammar Ghedda, lallora primo ministro Baghdadi Mahmudi aveva infatti reso nota la cessazione denitiva dei rapporti con ENI, una ritorsione contro lItalia e il suo coinvolgimento nelloperazione militare internazionale a sostegno dei ribelli. Con la presa di Tripoli e lo scioglimento del governo in carica da parte del Consiglio Nazionale Transitorio (Cnt), il veto venuto a cadere e il cane a sei zampe ha potuto intensicare gli sforzi per riprendere la produzione di petrolio e gas naturale che soddisfacevano, prima dello scoppio del conitto, rispettivamente il 12,3% e il 23,3% del fabbisogno energetico italiano. Lo scorso 27 settembre, ENI operando tramite Mellitah Oil & Gas, una joint-venture realizzata con la libica Noc ha riaperto i 15 pozzi del giacimento di Abu-Attifeel, in Cirenaica, che garantisce una produzione di 31.900 barili al giorno, peraltro destinata ad aumentare. Il pieno recupero del ruolo svolto da ENI in Libia passa ora dal ripristino delle infrastrutture: da un lato, la completa riattivazione delle rafnerie (Zawiya, Tobruk, Ras Lanuf); dallaltro, la riapertura di Greenstream, il gasdotto che collega Mellitah a Gela e pu trasportare fra gli 8 e i 9 miliardi di metri cubi di gas lanno. Dagli ambienti ENI trapela un cauto ottimismo: entro il mese di ottobre o, secondo il chairman di Mellitah Oil & Gas Najimi Karim, la ne di novembre, la compagnia italiana stima di riacquistare la piena operativit. Nelle parole di Scaroni, intervistato da Repubblica (26 settembre): I nostri contratti sono garantiti, siamo stati i primi a tornare a Bengasi e poi a Tripoli. La nostra conoscenza del sottosuolo e i 3000 dipendenti locali ci rendono collaboratori indispensabili. Tutto bene, dunque? In verit, al netto delle dichiarazioni di facciata, almeno quattro fattori potrebbero rendere la posizione di ENI pi precaria di quanto lo fosse nellera gheddaana. Il primo linstabilit interna. Bench alla dissoluzione del regime del Colonnello non siano seguite sanguinose rappresaglie, non certo che il Cnt riesca a dar vita a un governo coeso e duraturo. Nelle ultime settimane le divergenze fra ribelli cirenaici, miliziani islamisti, berberi ed ex lealisti sembrano essersi acuite e la stesura di una nuova Costituzione appare un lontano traguardo. Uno smembramento della Libia avrebbe forti ripercussioni su ENI, che da tempo investe massicciamente nellintero Paese. Il secondo la uidit dello scenario internazionale. I ripetuti attentati in territorio tunisino al gasdotto Transmed e lembargo petrolifero contro la Siria, pienamente in vigore da met novembre, potrebbero accrescere in modo signicato la dipendenza italiana dalle forniture libiche e indurre la controparte a scaricare maggiori oneri su ENI in nome della discontinuit col passato regime, in linea con quanto probabilmente accadr al Trattato di Amicizia italo-libica, di cui si prevede la rinegoziazione. Il terzo lattivismo francese. La compagnia transalpina Total prover ad incrementare la quota, inferiore al 3%, che gi detiene nella produzione libica, sfruttando il credito di cui gode Sarkozy, il leader europeo che con maggior risolutezza ha sposato e militarmente sostenuto la causa del Cnt. Se ENI continua a beneciare di un forte vantaggio comparato, il dinamismo dell'imprenditoria francese non va sottovalutato. Lo dimostrano le recenti dichiarazioni del presidente della Camera di Commercio Italafrica Centrale, Alfredo Cestaro, che ha lamentato la passivit della diplomazia italiana e denunciato il rischio di una emarginazione delle piccole e medie imprese nella nuova Libia, rimpiazzate da omologhe francesi e inglesi. Il quarto lingresso di operatori russi nel mercato nordafricano, favorito da ENI ma avversato dagli Stati Uniti. La scelta di cedere a Gazprom met dei propri diritti di sfruttamento pari al 33% sul giacimento Elephant, nei pressi di Tripoli, testimonia la volont del cane a sei zampe di guardare ad Est, confermata dalle trattative in corso con Rosneft per lo sviluppo congiunto del giacimento Val Shatskogo, sul Mar Nero. Per placare lamministrazione americana, da tempo insofferente al bilateralismo italo-russo, oltre che per ridurre i rischi dimpresa, ENI ha accettato di coinvolgere la francese Edf e la tedesca Basf (entrambe col 15% delle quote) in South Stream, la pipeline che dovrebbe trasportare gas russo in Grecia, Italia e Austria a partire dal 2015. Non tuttavia certo che una simile mossa basti a rassicurare gli Usa, che continueranno a svolgere un ruolo di supervisione nella ricostruzione post-Ghedda e potrebbero esercitare nuove pressioni sulla compagnia italiana.

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Lo scenario libico appare pertanto in rapida evoluzione e gli equilibri ancora incerti. ENI, forte di unattivit pluridecennale nel Paese, di una tecnologia competitiva di un management qualicato, ha pi di una carta da giocare, ma lesito della partita non scontato, soprattutto in assenza di unazione continuativa ed energica in politica estera che il governo di Roma al momento non pare in grado di esercitare. Perch se vero, per tornare alla sentenza napoleonica, che la geograa a imporre la politica, altrettanto vero che il successo di questultima dipende in denitiva dalla sagacia e dalla lungimiranza di coloro che la praticano.

La politica Energetica della Presidenza polacca: tra volonta' di europeismo e realta' dei fatti
Antonio G. Luzzi Il 1 luglio scorso la Polonia ha assunto, per la prima volta nella sua storia, la Presidenza del Consiglio europeo. Il ruolo di coordinatore e di agenda setter, pur sviluppandosi in concerto con gli altri membri della troika, Danimarca e Cipro e nonostante il Trattato di Lisbona abbia ridotto linuenza di questa funzione, rimane un occasione importante per dare visibilit e rilievo ai singoli stati membri. Cos stato per la precedente Presidenza ungherese - guidata da un governo di conservatori nazional-populisti - la quale ha voluto a tutti i costi dimostrare che lappartenenza allUnione europea fosse solo uno strumento per rispondere ai suoi interessi nazionali. In questo senso, la posizione della Polonia percorre per un altro sentiero. La Polonia vuole infatti mettere in evidenza il suo ruolo passato nel processo di democratizzazione dellEuropa orientale e ci che ora diventata: una democrazia matura, uneconomia in forte crescita che ha abbracciato i valori europei ed europeisti, con lambizione di porsi come paese tra i pi inuenti a livello sub-regionale vedi il Gruppo di Visegrad cos come a livello comunitario. A questo legame tra passato e presente, Varsavia attribuisce molta importanza: non a caso il logo ufciale riprende il celeberrimo simbolo di Solidarnosc, essendo entrambi concepiti dallo stesso artista. Il programma della presidenza polacca presenta dunque unimpronta europeista senza dimenticare per le priorit nazionali: lUnione anche e soprattutto uno strumento per fare leva su alcune scelte strategiche difcilmente attuabili a livello nazionale. Questa dicotomia particolarmente viva nelle scelte di politica energetica: ad una solidariet comunitaria rispondono necessit nazionali spesso inconciliabili. La questione energetica riveste un ruolo importante in Europa, sia sul piano interno che esterno, e la Polonia, date le sue posizioni, vorrebbe giocare un ruolo chiave nei futuri assetti della politica energetica europea . In un momento in cui si ribadisce in modo sempre pi preponderante la necessit di intrattenere dei buoni rapporti di vicinato con i paesi produttori di energia e di coordinare gli sforzi a livello europeo per una politica energetica comune che possa parlare con una voce pi autorevole a livello globale allineandosi al Trattato di Lisbona. Nel capitolo dedicato allenergia, il testo di strategia della presidenza polacca si limita ad elencare i punti importanti sui quali lavorare e fare avanzare i lavori dellUnione: un maggiore coordinamento per costruire una politica energetica europea; una strategia di lungo termine che ponga degli obiettivi al 2050; progredire nel negoziato del pacchetto sulle infrastrutture e sullefcienza energetica; continuare i negoziati del Regolamento per lintegrit e la trasparenza del mercato energetico e del nuovo accordo Energy Star con gli Stati Uniti. Sul Piano esterno il documento della presidenza si limita ad sostenere un maggiore dialogo con lesterno e un pi importante dialogo globale. La sequenza di obiettivi e di buoni propositi naturalmente in linea con lavanzamento dellintegrazione in questo settore e con laccrescimento del ruolo dellUnione in un mercato come quello energetico, ancora troppo dettato da interessi nazionali poco lungimiranti. Tuttavia, limitandosi ad elencare obiettivi gi presenti da tempo nellagenda Ue, la Polonia non d nessun impulso particolare, limitandosi a ricoprire il ruolo di honest broker assicurare lordinaria amministrazione senza intralciare i negoziati in corso tra gli stati membri -. Su questa linea e sulla base di ci sembra che la Polonia possa dare un impulso importante in questo senso. La realt viaggia per su binari diversi ed necessario comprendere che dietro i buoni propositi diplomatici esistono ragioni profonde strettamente legate alla posizione e alleffettiva realt della situazione energetica polacca. Nelle proprie scelte, il governo del Primo ministro Tusk non pu allontanarsi dalle posizioni nazionali. In primo luogo, la posizione geopolitica della Polonia a dettare questi elementi. La Polonia deve fare i conti con i suoi vicini immediati Russia e Germania alleati nel progetto Nordstream che taglierebbe Varsavia fuori dai giochi. Proprio per questo motivo Varsavia guarda verso sud e si spesa per dare ossigeno ai difcili negoziati tra Turkmenistan ed Azerbaijan, una possibile ultima chance per evitare il fallimento di Nabucco da cui dovrebbe partire una pipeline che attraverso la Slovacchia raggiungerebbe la Repubblica dei Voivodati. Il secondo ostacolo insito nella natura e nella composizione delle risorse energetiche polacche e che causa un apparentemente insanabile conitto con le volont dellUnione europea di porsi come protagonista su scala globale nella lotta ai cambiamenti climatici. Il mix energetico polacco ha una divisione ben precisa, composta quasi al 60% da carbone, il 25% da lignite , il 2% di gas e quasi il 6% idroelettrico. Questa composizione conigge con gli obiettivi UE del 2020 e con una posizione ambientalista ed a favore delle rinnovabili. La Polonia si troverebbe dunque in una posizione difcile anche in vista del prossimo UN Climate Change Summit previsto per Novembre a Durban. Lultimo nodo al pettine, strettamente legato al mix energetico polacco ed alla politica ambientale europea quello dello Shale gas. La Polonia intende proporre il suo ruolo guida nella promozione di questo tipo di energia nellUE. Essi sostengono infatti lidea che lo Shale gas potrebbe giocare un ruolo fondamentale nellabbassamento generale dei prezzi energetici e nella dipendenza di energia dellUE. Pur non essendo chiaro quanto daranno priorit a questo argomento, gli ambientalisti sono pronti a scendere sul piede di guerra poich considerano questenergia fossile rischiosa per la salute e per il rischio inquinamento delle falde acquifere e per le potenziali emissioni di CO2. La volont di integrazione in Europa spesso collide con le posizioni dei singoli stati membri. La questione energetica nel programma della presidenza polacca non costituisce un eccezione. I Polacchi vogliono s mostrare di essere entrati a pieno titolo tra i paesi di maggiore inuenza sul piano europeo, ma devono fare i conti con la realt della loro situazione energetica. Ci vorr tempo per larmonizzazione e per conciliare integrazione, aspettative di integrazione e interessi nazionali.

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CREDiTS
COSE` ECESA? La disponibilit di forniture energetiche rappresenta una condizione sine-qua-non per ogni tipo di societ complessa e la loro sicurezza da sempre una delle priorit di governi e istituzioni politiche. Negli ultimi anni, la crescente dipendenza dei tradizionali consumatori occidentali da forniture esterne e lintegrazione nel sistema produttivo globale di economie emergenti assetate di benessere e risorse hanno creato forti pressioni sul sistema di produzione, distribuzione e consumo di energia a livello globale. Tali pressioni rappresentano una delle questioni decisive del ventunesimo secolo: nellattuale contesto di espansione economica e demograca sar infatti estremamente complesso garantire approvvigionamenti sicuri e competitivi senza scatenare conitti per il controllo di risorse scarse o danneggiare irrimediabilmente gli equilibri ambientali del pianeta. Ci ha portato le questioni energetiche al centro delle relazioni internazionali contemporanee e la loro comprensione divenuta fondamentale per una corretta interpretazione delle dinamiche politiche globali. Da questa idea nasce lo European Center for Energy Security Analysis (ECESA). Fondato nel febbraio 2010 come parte di Equilibri.net, think tank dedito allo studio e all'analisi degli eventi e delle dinamiche internazionali, ECESA un osservatorio indipendente che pu fare afdamento su un'estesa rete di studiosi, analisti e professionisti nel campo delle relazioni internazionali e che si avvale della collaborazione del mondo dell'universit, della ricerca e dellindustria. Cercando di superare schemi predeniti e paradigmi disciplinari, ECESA si propone di promuovere e divulgare analisi libere da pregiudizi ideologici o logiche partigiane che favoriscano la diffusione di una consapevolezza circa le dimensioni politiche ed economiche delle questioni energetiche contemporanee. Il lavoro di ECESA si articola attorno a quattro direttici principali, la cui comprensione e integrazione necessaria ad una corretta interpretazione degli affari energetici e per la formulazione di politiche adeguate. Paesi produttori. Linevitabile dipendenza da importazioni rende lo studio delle complesse dinamiche interne ai paesi produttori, spesso instabili o apertamente ostili, un fattore fondamentale che vani sogni dindipendenza energetica non potranno eliminare. Industria. Pur rappresentando una componente decisiva nel funzionamento delle societ, il settore energetico dominato da grandi attori industriali, il cui know-how tecnico e nanziario rappresenta un'insostituibile risorsa per soddisfare i fabbisogni energetici a livelli globale. Processi di decision-making. Dalle normative a livello locale alle pletoriche conferenze dellUNFCC, passando per le autorit nazionali e le direttive della Commissione Europea, lenergia un settore in cui regole e leggi svolgono un ruolo decisivo. Sviluppi tecnologici. Spesso ignorati da analisti e decisori per poca lungimiranza e oggettiva complessit, essi hanno pi volte rivoluzionato le questioni energetiche e il loro ruolo sar sicuramente decisivo nellaffrontare le sde del futuro.

CHI E` ECESA?
Laurea Triennale in Relazioni Internazionali presso lUniversit di Pavia, ha studiato allIEP de Bordeaux e si sta specializzando alla School of International Studies di Trento. Ha collaborato con lItalian Center for Turkish Studies, con Equilibri. net e con Geopolitica.info, nonch con lAmbascita Italiana in Marocco.

Matteo Monti - Coordinatore ECESA

Federico Formentini - Gruppo dAnalisi ECESA

Laureato in Scienze Giuridiche allUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzando in Studi Europei ed Internazionali presso la School of International Studies di Trento, ha frequentato corsi di specializzazione sull'industria degli idrocarburi presso l'Azerbaijan Diplomatic Academy ed ha collaborato con le trading companies VartegEnergy e Trans-Oil S.A. entrambe con sede a Ginevra. Per ECESA si occupa di geopolitica energetica dellAsia Centrale.

Tommaso Milani - Gruppo dAnalisi ECESA

Laurea in Scienze Politiche presso la LUISS Guido Carli di Roma, attualmente specializzando in Studi Europei e Internazionali presso la School of International Studies di Trento. Ha frequentato corsi presso lIstituto di Studi di Politica Internazionale (I.S.P.I.), area European Affairs, e lAlta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (A.S.E.R.I) di Milano.

Antonio G. Luzzi - Gruppo dAnalisi ECESA

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali allUniversit Roma Tre, con esperienze allUniversit di Liegi in Belgio. In seguito, ha conseguito il Master in Studi Europei presso il Collegio dEuropa di Bruges, promozione Marco Aurelio, con una tesi sulla Politica Energetica dellUe nel Mediterraneo. Esperto di politica estera dellUnione europea e delle politiche di vicinato, tra le sue aree dinteresse gurano le questioni mediorientali contemporanee, la sicurezza internazionale e le dinamiche della diplomazia multilaterale. Dopo aver lavorato al Parlamento europeo, collabora attualmente presso il Segretariato Generale dellInterpol a Lione, dove si occupa di terrorismo internazionale. Collabora con ECESA-Equilibri dallottobre 2010.

Mirko Palmesi - Gruppo dAnalisi ECESA

Iscritto ad un programma di dottorato presso l'Universita' McGill di Montreal con una tesi sulle politiche energetiche nel campo dei biocarburanti nei paesi BRIC. Attualmente lavora come Analyst - CSR strategy presso la CSR Agency for extractive industries del Ministero degli Esteri Canadese. Dal 2008 al 2010, ha partecipato al programma Junior Professional Ofcer (JPO) presso l'Agenzia Internazionale dell'Energia, Divisione paesi non membri (Africa sub sahariana e Asia Centrale). Durante la sua carriera professionale ed universitaria, ha partecipato in varie conferenze internazionali in Asia, Europa, Africa e Nord America.

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