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1. Premessa Ho avuto gi diverse occasioni di occuparmi dellopera di Italo Mancini, quasi in ideale dialogo con lui1. Un dialogo in continuit con quello reale, che purtroppo nel mio caso ha avuto una durata relativamente breve2. Mi sono per finora occupato solo di una parte dellopera di Mancini, quella pi laica, giusfilosofica e filosofico-politica, inaugurata da Il pensiero negativo e la nuova destra e sviluppata poi in quei due capisaldi (relativamente misconosciuti) che sono Filosofia della prassi e Lethos dellOccidente. la parte della sua opera che lui stesso definiva la teoria della terra, in armonico rapporto con la teoria del cielo costituita dal complesso dei suoi scritti di ontologia, teologia e filosofia della religione. Certamente, la teoria della terra quella pi consonante con le mie competenze, le discipline che insegno e la mia stessa condizione di laico, nel senso del tutto improprio ma ormai consolidato di non credente che questa parola ha finito per assumere in tempi recenti. Questo pu determinare per un errore di prospettiva. Sebbene il fatto stesso di aver scelto, nel momento della sua piena maturit filosofica, di
1 Debbo rinviare ai miei saggi: Una lettura critica della cultura di destra, in AA.VV., La filosofia politica nel pensiero di Italo Mancini, Quattroventi, Urbino 1994; Pensiero negativo e prassi politica, in Hermeneutica, nuova serie, 1995; Categorie dellantagonismo tragico in Mancini, in Hermeneutica, nuova serie, 2004; Da che parte sta Dio? Rileggendo Con quale comunismo di Italo Mancini, in Religione, secolarizzazione, politica. Studi in onore di Piergiorgio Grassi, a cura di A. Aguti, Morcelliana, Brescia 2009. 2 Ho conosciuto Mancini nellautunno del 1986 e per alcuni anni siamo stati colleghi di facolt, nellallora Magistero urbinate, fino al suo passaggio nella facolt di Giurisprudenza come titolare della cattedra di Filosofia del diritto, dove si sarebbe conclusa la sua carriera accademica e purtroppo, prematuramente, anche la sua vita, nel gennaio 1993. Poco pi di sei anni di frequentazione dunque, per mia sfortuna non particolarmente intensa, anche se ritengo non presuntuoso parlare di amicizia e non solo di colleganza.
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trasferirsi sulla cattedra di filosofia del diritto stia a dimostrare quanto questa dimensione fosse importante per lo stesso Mancini, evidente per che si tratta solo di una parte, e non quantitativamente la maggiore, della sua opera, peraltro interamente sviluppata sotto la luce spesso indiretta ma non per questo meno intensa della teoria del cielo. Mancini, con tutto il rigore che sempre poneva nel non confondere i piani e nella fermezza con cui rivendicava i diritti del pensiero, a cui niente si d ad intendere, e della prassi politica e sociale, i fronti di lotta in cui trova dignit luomo storicamente concreto, che mangia, beve e veste panni3, prima di ogni altra cosa un pensatore religioso, sempre spregiudicato, coraggioso, forse talvolta scomodo, ma certo non sospettabile di orientamenti secolaristici e mai al di fuori dellorizzonte cristiano. un caso che il libro su Dio (molto problematicamente su Dio, forse piuttosto verso Dio, come si cercher di argomentare) sia stato il suo ultimo, ma non certo un caso che labbia scritto4. E chi sente la necessit e la ricchezza di un confronto con la dimensione laica del pensiero di Mancini, non potrebbe senza disonest ignorare che la sua ultima parola stata rivolta verso lAlto. Nel tentativo di dare in qualche modo una compiutezza (certamente limitata e forse anche provvisoria) al mio interesse filosofico per lopera di don Italo, ritengo dunque di non potermi esimere dal dare ascolto a questa parola e di interloquire con essa. Non senza un del tutto consapevole disagio: per me quella parola non pu significare quel che significava per lui, non siamo abitatori della stessa casa. Ma appunto questo il dialogo: dualit irriducibile pur se rispettosa e comunicante. Si consenta dunque a un piccolo pensatore laico di tentare un dialogo con un grande pensatore cristiano, nientemeno che su Dio. Altrimenti quel che finora su Mancini ho tentato di dire sarebbe avvolto da un troppo grande silenzio e avrebbe uneco troppo fortemente distorta, tanto da rischiare di essere solo un equivoco.
3 Sono sue espressioni favorite, continuamente ricorrenti nella sua opera come lo erano nella sua conversazione. 4 Mi riferisco naturalmente a I. Mancini, Frammento su Dio, a cura di A. Aguti, prefazione di G. Ripanti, Morcelliana, Brescia 2000. doveroso un tributo allamico Andrea Aguti, senza la cui cura amorosa e intelligente questultima opera di Mancini non sarebbe oggi fruibile.
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2. Il pensiero totale e linfinito impensabile La distanza, pur incolmabile, decisamente abbreviata per il fatto che Mancini non smette mai di parlare il linguaggio della filosofia, neanche quando si accosta alla soglia dellindicibile. Pur essendolo a pieno titolo, non volle mai identificarsi come teologo, n certo pratic mai il linguaggio della mistica e delledificazione, se non nellambito della sua attivit pastorale. Fu senza dubbio un grande predicatore, e talvolta lo fu per un pubblico pi vasto di quello che pu stare in una chiesa, come nelle sue conversazioni radiofoniche raccolte in Tre follie o nella ripresa divulgativa di alcuni suoi temi filosofici favoriti in Tornino i volti 5. Ma fu sempre molto attento a non confondere i piani ontologici e i registri linguistici, e, parlando da filosofo, fu sempre molto attento a non andare oltre quello che la filosofia pu dire. Consapevole dunque dellinvalicabilit di un confine, e del fatto che la filosofia parla sempre dallal di qua. Parla cio il linguaggio delluomo anche quando parla di Dio, e alla filosofia non dato di incontrare mai, come tale, la parola di Dio. Bens solo la parola Dio, come punto limite del linguaggio, e perci come parola che, soprattutto, tace. Non c dunque da sorprendersi per il fatto che, in questo libro, di Dio, su Dio, si parli pochissimo, ed anzi non se ne dica in buona sostanza nulla. una prova di onest e di rigore: il filosofo come tale non pu parlare di Dio, cio non pu porlo come proprio oggetto. Non sarebbe pi, appunto, Dio. Il linguaggio delluomo pu parlare non di Dio, ma delluomo in quanto parla di Dio o in quanto, pi precisamente, lo nomina. Trovando per in questo nome un orientamento e un punto di vista che consente non certo di vedere Dio, ma di ri-vedere tutto il resto. Come sempre, Mancini molto attento a mettere in chiaro che non si tratta di cercare in Dio il trascendimento obliante di ci che umano, e in particolare delle esigenze umane di liberazione e di riscatto.
Si deve cercare il vero assoluto, quel maxime deus pro nobis, che non sia daltonico e permetta di alleggerire la terra. Un altissimo, di fronte al quale il servo rimanga completamente a bocca asciutta [...] non serve per i fronti di lotta, addirittura pu attizzare il classismo ontologico che peggiore di quello
5 Cfr. I. Mancini, Tre follie, con introduzione e appendice di G. Galeazzi, Citt Aperta Edizioni, Troina (En) 2005, e I. Mancini, Tornino i volti, Marietti, Genova 1989.
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sociale. E sarebbe priva di senso la proposta di una trascendenza tra i tempi al posto di quella tra gli enti, visto che la stessa differenza ontologica di Heidegger non risulta trasparente e meno ancora teologica?6
Vero Dio, maxime deus pro nobis, non lassoluto che trascendendoci ci cancella, e neanche lEssere indicibilmente differente la cui presenza assente ci consegna comunque ad una collocazione marginale in unontologia gerarchica. Dio piuttosto il tempo della nostra salvezza. E la nostra presenza bisognosa e sofferente diventa imprescindibile per poterlo pensare. Un Dio che non sia pro nobis non neanche Dio. In un certo senso, Dio ha concettualmente bisogno di noi anche solo per poter essere nominato. Per poter essere nominato come Dio, e non come Essere o Assoluto. una posizione filosofica molto precisa, che non deve essere troppo frettolosamente compresa come posizione immediatamente teologica. Non cio tanto un tentativo di concettualizzare Dio, quanto unopzione riguardo ai modi umani, ai modi razionalmente umani, di nominarlo. Dio, appunto. La parola Dio ha dignit e senso per la filosofia: non deve essere guardata con sospetto o con disprezzo, come un modo improprio, pre-filosofico, non razionalmente fondato di nominare il Sommo Vero. Anzi, la parola Dio non riducibile alla nozione filosofica di Sommo Vero: non dice di meno ma dice di pi. Costituisce la filosofia non solo come sforzo conoscitivo, ma precisamente come orientamento verso la salvezza. Identifica il cuore della filosofia con la dimensione antropologica presa in tutta la sua complessit, mai riducibile a logica o gnoseologia. Orienta verso un al di l delluomo in cui luomo rimane, anzi addirittura un al di l delluomo in cui luomo per la prima volta , in cui ne pensabile la compiutezza. una posizione filosofica a pieno titolo qualificabile come cristiana, anzi pi precisamente come cristologica, perch se Dio non pensabile senza luomo e luomo non pensabile come compiuto se non nel tempo della sua salvezza, allora entrambi non sono pensabili se non come Uomo-Dio. chiaro che si tratta anche di una posizione polemica. Appunto perch si afferma lesigenza filosofica di nominare Dio come Dio, si respingono tutti i tentativi compiuti in filosofia di rendere superfluo
6 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 45. Mancini cita qui E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971, p. 60.
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questo nome sostituendolo con un altro. Due tentativi anzitutto, che segnano peraltro i due vertici raggiunti dalla filosofia (mai Mancini ne sminuisce la grandezza) nel tentare di pensare il pensiero supremo. Il tentativo di Hegel: la Totalit al posto di Dio. E il tentativo di Heidegger: lEssere al posto di Dio. Su Hegel, la posizione di Mancini molto simile a quella di uno degli autori da lui pi citati in questo volume, e non a caso citato pi riguardo a Hegel che riguardo al suo proprio pensiero: Franz Rosenzweig. La fulminante dichiarazione di guerra In philosophos con cui si apre il suo La stella della redenzione7 senza dubbio va letta come In philosophum, avendo in Hegel il suo preciso obiettivo; ma Rosenzweig nello stesso tempo uno degli interpreti pi acuti e originali che Hegel abbia mai avuto8. E molto simile, anche se non identica, in Mancini e in Rosenzweig lidentificazione della dimensione del pensiero hegeliano a cui non si intende rinunciare: Hegel come pensatore che ha dato dignit filosofica allesistenza umana nella sua storicit, nella dimensione non meramente ideale, ma incarnata nel diritto, nel costume e nelle istituzioni, del suo bisogno di vita associata. Per entrambi, Hegel resta definitivamente grande come pensatore politico. Ma importante la differenza: per Rosenzweig, Hegel il pensatore dello Stato, e specificamente dello Stato tedesco, mentre Mancini, con Bloch, enfatizza la fodera rossa del suo pensiero e ne coglie il culmine nel punto limite in cui lesigenza di giustizia si concreta nellandare oltre e contro listituzione, come bisogno vitale assoluto a cui il diritto vigente deve cedere perch non esiste diritto pi grande dellelementare rivendicazione della vita. Hegel come pensatore del Notrecht, e quindi in qualche modo del diritto alla rivoluzione9.
7 Cfr. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, trad. di G. Bonola, Marietti, Genova 2000 (rist. della II ed.). In philosophos lepigrafe dellIntroduzione, ibi, p. 3. 8 Mi riferisco a F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, a cura di R. Bodei, trad. di A.L. Knkler Giavotto e R. Curino Cerrato, Il Mulino, Bologna 1976. 9 Per unampia ed esplicita teorizzazione, su basi strettamente hegeliane, del diritto alla rivoluzione come diritto naturale, cfr. I. Mancini, Filosofia della prassi, Morcelliana, Brescia 1986, pp. 397-476. Proprio questo il tema conclusivo (e risolutivo) del volume. Rinvio in proposito al mio Categorie dellantagonismo tragico in Mancini, cit., pp. 217-222. Non sarebbe erroneo affermare che Frammento su Dio comincia dove finisce Filosofia della prassi, costituendo un ideale dittico con questopera.
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Hegel [...] attraverso uno spregiudicato uso della ragione era arrivato a proclamare contro il diritto formale cio astratto e perci delimitato [...] un diritto superiore [...] [...] e questo lo aveva detto proprio agli studenti. Diritto superiore che nella teoria sul Notrecht arriver fino a porsi come diritto degli eroi, superiore diritto dellidea, e di fronte al furto per motivo di necessit Hegel giunger a dire: lazione illegale, ma sarebbe ingiusto considerare ci come un normale furto. S, luomo ha un diritto a unazione illegale [...]; stanno infatti di fronte da una parte la violazione di una singola esistenza e dallaltra lingiusta violazione dellessenza che vuol dire la persona umana [...]. Tutte ragioni che hanno portato lo Heinrich a dire che c in Hegel un diritto alla rivoluzione [...]10.
Non si deve dubitare della forza durto della ragione, non si pu rinunciare a capire il suo carattere sovversivo, la sua interna fodera rossa, capace di fronti di lotta di fronte alla mala parata dellesistente. Solo con la bruciante ragione pu essere attuato quel programma hegeliano: La prima cosa che qui si deve imparare di stare in piedi, che poi analogo al camminare eretti [...] di Immanuel Kant11. Questo soprattutto Hegel, nella visione di Mancini, pensa delluomo. E questa visione delluomo Mancini continua a farla propria, resta hegeliano sino alla fine. Ma luomo qui solo, il suo bisogno di giustizia resta legato ai fronti di lotta storici con la loro casualit di rapporti di forza. Non c una mano dallalto. Ed anzi, che non ci sia una mano dallalto, che tutto si consumi nella storia, diventa precisamente la suprema verit. LAssoluto nella storia, la Totalit come storia. E qui Mancini, non pi hegeliano, recita il suo De profundis per la dialettica12. La posizione molto chiara: la dialettica hegeliana monca, quello che dovrebbe essere il Tutto solo una parte che da sola non si regge, manca tutta la metafisica e la dialettica non riesce a prenderne il posto, riesce solo a tacerla. E cos manca quella stessa dimensione di cui Hegel ha colto la necessit razionale: manca la prospettiva che consente di pensare che luomo sia salvo.
10 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 60-61. Mancini cita qui la Rechtsphilosophie hegeliana nelledizione Ilting (ma nel testo, per una svista o un refuso, si legge Hilting. Altrove il nome riportato correttamente, p. es. a p. 89). Sul diritto alla rivoluzione, lo stesso Mancini rinvia a Filosofia della prassi. 11 Ibi, cit., p. 61. 12 il titolo del cap. II.
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[...] credo di aver indicato lo spartiacque tra dialettica e metafisica. Da una parte sul versante della dialettica, la totalit, il sacro, lidentit, la mediazione, la salvezza nel solo fare e concepire delluomo, la riconciliazione operata o attraverso il concetto o attraverso la rivoluzione; dallaltro, sul versante della metafisica, linfinito, il Santo, la differenza, il paradosso, la salvezza e la riconciliazione operata non autonomamente ma eteronomicamente (nella sotera lo scandalo della eteronomia il vero status quaestionis), congiungendo al fare delluomo il fare di Dio13.
Il De profundis manciniano segue una duplice movenza. Per un verso, la prassi storica hegeliana non ancora abbastanza concreta, meramente pensata e non agita. Per un altro verso, la concretezza storica, pur di importanza essenziale, non basta. Prima si va oltre Hegel con Marx e i marxisti, poi ancora oltre Marx, e il De profundis vale anche per la dialettica sua. Sul primo punto, si pu rimproverare a Hegel di essere stato solo annunciatore delle ascese della societ civile14.
Annunciatore, ma non conciliatore: questo uno dei pi seri motivi per il requiem che gli stato cantato. La riconciliazione solo detta, pensata; ma non resa politica e realizzata. Non vi ha trovato posto il sudore e il sangue degli operai e dei rivoluzionari15.
Sul secondo punto, decisivo il confronto con Lvinas: il pensiero della totalit esclude il pensiero dellinfinito, e la cosa dal punto di vista hegeliano assolutamente necessaria, perch linfinito come tale implica necessariamente limpensato ed anzi limpensabile, e quindi non compatibile con la pretesa che la filosofia possa essere compiuta, e perci vera16. E allopposizione di Lvinas (e di Mancini) fra totalit e infinito, si potrebbe forse aggiungere che anche la totalit compiuta del pensiero solo una frase e non propriamente un pensiero, perch a tutta la storia sin qui svolta manca la dimensione del non ancora, del futuro possibile, e quindi non tutta la storia, e per darla come tale bisogna porre il non ancora come superfluo o meramente ripetitivo, dicendo che questo momento del tempo compie il tempo. Questo pu essere
Ibi, pp. 65-66. Ibi, p. 89. 15 Ibidem. 16 Cfr. sp. ibi, pp. 66-7. Il riferimento a E. Lvinas, Totalit e infinito. Saggio sullesteriorit, Jaca Book, Milano 1971.
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detto altrettanto bene o altrettanto male di qualsiasi momento, ed uno scambio arbitrario di concetti, il tutto sinora col tutto in generale. Si pu sempre dire che la storia finita, ma la storia non se ne accorge mai, e costringe il pensiero della compiutezza allarbitrio insensato di dichiarare come mera apparenza il fatto che vi sia ancora un accadere dopo che tutto dovrebbe essersi compiuto. E qui veramente la filosofia diventa solo partito preso, parola vuota, inflazione narcisistica dellattimo. La totalit non pi pensabile dellinfinito, ed anzi solo quello dellinfinito propriamente un pensiero e non una semplice parola, perch il pensiero dellinfinito restituisce precisamente la dimensione dellaccadere, in cui c sempre un non ancora che diventa adesso, e un nuovo non ancora che adesso vediamo. Resta da considerare, per, se qui ci sia davvero con coerenza stringente un passaggio alla metafisica: su questo si dovr sia pur brevemente tornare. Intanto, c per da registrare che questo tremendo punto debole vale ad ancora maggior ragione per la dialettica marxista, come Mancini puntualmente osserva. Riprendendo un autore che gli caro, Lucien Goldmann, Mancini sottolinea il parallelismo tra marxismo e cristianesimo in quanto entrambe, pur su piani molto diversi, dottrine di redenzione:
In un celebre libro di Lucien Goldmann [...] viene delineata lidentit di struttura della fede cristiana, soprattutto nella lettura che fa Agostino e che sar ripresa da Pascal [...] e della fede marxista. Entrambe scommettono (tema del pari) su un corso lineare della storia; un corso lineare e progressista, che dovr avere un risultato salvifico finale; risultato che nessuna analisi pu mettere in evidenza, perch non si d scienza delle cose future, e non c analisi che tenga per dire che sar proprio cos; risultato quindi che pu essere fatto solo un oggetto di fede, o di natura teologica, legata alla fedelt di Dio alle sue promesse, o come atto della volont che scommette su questo esito e sopra ci fonda lazione rivoluzionaria17.
Non c per solo una differenza di piani ontologici tra le due prospettive di salvezza: c una differenza ancora pi decisiva riguardo al tempo in cui la salvezza si colloca. Nellescatologia religiosa la salvezza davvero alla fine: il tempo storico si conclude e ha inizio leternit. Nellottica di una redenzione sociale, o questa viene indefinitamente
17 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 90-91. Mancini si riferisce a L. Goldmann, Il Dio nascosto. La visione tragica in Pascal e in Racine, Laterza, Bari 1971.
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proiettata nel non ancora dellutopia, oppure una specifica acquisizione storica, una rivoluzione vittoriosa, viene assolutizzata come conquista assoluta, come definitivit non superabile e neppure questionabile, e perci si traduce in unimposizione di potere. Anche in questo caso la salvezza solo frase, e per di pi frase obbligatoria, di fronte a cui non c pi libert:
al posto della cristiana iustitia Dei o dello hegeliano strumento del concetto, qui lattenzione affidata alla forza della rivoluzione, letta ( e sar questo un limite grande, che ha suggerito lattuale requiem anche per il marxismo) nelle democrazie dette del socialismo reale in termini politici, ossia di puro potere senza nessuna realizzazione della riconciliazione promessa18.
A differenza della redenzione cristiana, per cui il tempo non si ancora compiuto e resta possibile la scommessa della fede, per la redenzione marxista la scommessa stata apparentemente vinta, la rivoluzione c stata, si realizzato qualcosa a cui si dato il nome di socialismo, ma ci che andava sotto questo nome stato tale che quella vittoria si rovesciata in sconfitta e la scommessa ha perso la sua credibilit: se quello che si vince, il gioco non merita.
Che lenigma della storia, liberazione dal male e salvezza nella riconciliazione, non sia stato risolto risulta chiaro da quanto abbiamo appena osservato, che la rivoluzione cui era affidato il successo della dialettica invece della pretesa onnilateralit si in realt contratta nellassunzione e gestione del potere, senza reale preoccupazione umanistica, cio in una nuova forma di rivoluzione politica. E quale sia il destino delle rivoluzioni meramente politiche lo ha chiarito e condannato di recente la scuola di Budapest, soprattutto con lindefesso e intelligente lavoro di Agnese Heller, e il cui risultato potrebbe essere fissato in questi termini: una dialettica liberatrice dal male [...] non pu fare i conti soltanto con la rivoluzione di natura politica, perch questa si risolverebbe in un disumano esercizio del potere [...] attraverso lapparato burocratico e quello poliziesco che lo sorregge; quello che davvero produce vita nuova e libert la rivoluzione della vita quotidiana, fin nelle sue radici biologiche [...]19.
I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 94. Ibi, pp. 96-97. Gli autori citati in questa rivendicazione, contro il marxismo ortodosso, dellesigenza di una liberazione non meramente politica ma estesa alla quotidianit sono gnes Heller (Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma 1974, e Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma 1975) e Herbert Marcuse (Saggi sulla liberazione, Einaudi, Torino 1969), ma la prospettiva di fondo, come sempre quando Mancini parla di Marx, blochiana.
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appunto qui, nel marxismo critico che contro listituzionalizzazione autoritaria della rivoluzione nel socialismo reale pone lesigenza della liberazione della quotidianit e del riscatto dellesistenza anche individuale, che avviene pi direttamente lincontro con la prospettiva cristiana, ma emerge anche pi nettamente la reciproca irriducibilit. Mi sembra a questo proposito, anche se nel testo non c una diretta continuit espositiva, che il discorso si completi nella trattazione che Mancini dedica specificamente ai due esponenti di maggior spessore filosofico del marxismo critico, Gyrgy Lukcs ed Ernst Bloch. Il Lukcs preso in considerazione da Mancini quasi esclusivamente quello pre-marxista delle opere giovanili, soprattutto di Lanima e le forme20, ma sono evidentemente le esigenze filosofiche espresse in questa fase della sua produzione a portarlo verso il marxismo e a determinare la peculiare visione che ne ha. Lesigenza fondamentale quella di una pienezza della vita individuale. Questo impone il confronto del singolo con la sua finitudine e con la sua carenza di senso e lo chiama a una sfida radicale, a un tragico sforzo di superamento di s che va inevitabilmente incontro a uno scacco e in esso si consuma, realizzandosi come una sorta di fallimento eroico, come autotrascendimento nellautodistruzione. Il successivo marxismo di Lukcs, si potrebbe aggiungere, sar in non piccola parte una sorta di ascetica rinuncia a se stessi in un compito collettivo di ricostruzione della coscienza al di l dellalienazione borghese in cui le esigenze giovanili tardo-romantiche cercano (non senza equivoci almeno in parte consapevoli) di darsi concretezza storica e oggettivit21. Lukcs del tutto cosciente di sfiorare, nella sua visione del tragico, una dimensione religiosa, ma ne resta al di qua, chiuso in un orgoglioso individualismo che nellopera giovanile assume anche tratti marcatamente elitari.
20 Mancini cita pi volte G. Lukcs, Lanima e le forme, Sugar, Milano 1972 (il vol. comprende anche Teoria del romanzo). Fondamentale per lui linfluenza del giovane Lukcs sul marxismo cristianizzato (lo potremmo definire pascaliano) di Lucien Goldmann: cfr. I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 130-134. 21 Il testo estremo, che giunge fino a un ascetico sacrificium intellectus nellottica di una fede interamente secolarizzata, quasi oggettivazione di quel continuo vagheggiamento del suicidio intorno a cui ruota lopera giovanile, senza dubbio La distruzione della ragione. Cfr. G. Lukcs, La distruzione della ragione, a cura di E. Matassi, Mimesis, Milano 2011 (2 voll.).
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Differenza, anima, tragedia e anche, con termine evangelico, povert di spirito [...] se non si realizzano [...] devono condurre a prendere atto che si falliti, si dei falliti, e che il suicidio lunico rimedio. Questo dominio della differenza [...] dunque unavventura solitaria, e deve mettere in conto il suo scacco, come indica la tragedia, lattesa del miracolo, la stessa genialit. Mi limito [...] a un testo del 1911: Come nella filosofia dellarte sarebbe lecita solo lesistenza del genio, allo stesso modo nella vita sarebbe permessa solo lesistenza di coloro che sono dotati della grazia della bont. Tutti gli altri possono benissimo essere sacrificati o autosacrificarsi nel suicidio22.
Ben pi nelle corde di Mancini, anzi tra gli autori a lui pi cari, senza dubbio Ernst Bloch, il cui cammino, in parte anche biograficamente prossimo a quello di Lukcs, segue per certi versi una movenza antitetica. Se in Lukcs lesigenza di una pienezza di senso dellesistenza individuale porta ad una visione redentiva della lotta di classe e del marxismo, in Bloch la costante reinterpretazione del marxismo nellottica del radicalismo religioso delle sette, del Christusimpuls di Thomas Mntzer, lo porta sino alle soglie della trascendenza. La liberazione sociale non basta, la sete di pienezza che si esprime nello spirito utopico infinita, nella prospettiva dellinfinito che luomo deve affermarsi, fino a darsi il compito di sostituire Dio, quel Dio che, come ogni principio dautorit, deve essere negato. Lultimo Dio per Bloch sar luomo, che ha capito che pu esserlo e sta lottando per esserlo23. Mai in tutta la storia del marxismo, pur essendo quello di Bloch un marxismo consapevolmente in rivolta anche contro gran parte della propria storia, si giunti cos esplicitamente al riconoscimento della sua natura di religione secolarizzata, sino a sfiorare, e pi che sfiorare, la dimensione religiosa in senso proprio. Luomo pienamente redento ed emancipato Uomo-Dio. E questo postula, kantianamente, che luomo debba avere la possibilit di percorrere un cammino infinito, che non sia prigioniero dei limiti dellesistenza corporea. In Bloch si afferma come esigenza ultima di liberazione, senza la quale anzi la liberazione stessa sarebbe vanificata, lesigenza della metempsicosi24. Difficile dare torto a Mancini, quando rileva la debolezza di questa
22 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 126-127. Mancini cita qui G. Lukcs, Sulla povert di spirito. Scritti (1907-1918), a cura di P. Pullega, Cappelli, Bologna 1981. 23 Ibi, cit., p. 165. 24 Cfr. ibi, pp. 176-178.
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posizione: qui si riconoscono i limiti e linsufficienza di ogni progetto di liberazione meramente mondano, ma lapertura al transmondano velleitaria, chiusa in una egoit autoreferenziale e bloccata. Come traspare chiaramente dallimmagine novalisiana, cara a Bloch, della dea di Sais: liniziato che, giunto sino allimmagine della dea, osa alzarne il velo, scopre come realt ultima se stesso25. Lo scacco della dialettica hegelo-marxista, che si consuma soprattutto nelle estreme propaggini del marxismo critico con la sua tardiva riscoperta dellutopia, per ben lungi dallessere un mero fallimento, tale da vanificare il lungo percorso che vi ha portato. Al contrario, unimportantissima acquisizione di conoscenza, che conduce su una soglia decisiva. Nel rivendicare il diritto di un discorso filosofico su Dio, infatti, non si tratta di riproporre vecchie metafisiche: quel che conta non che la filosofia possa risolvere il problema di Dio in quanto problema di conoscenza, cosa che non pi credibile. Si tratta piuttosto di sottolineare come la filosofia contemporanea, dopo aver tentato in tutti i modi di eluderlo e di superarlo, ritorni a porre il problema Dio come proprio legittimo problema, precisamente come il punto cruciale del problema che la filosofia per se stessa: il problema del suo senso e del suo limite. Proprio la corrente filosofica che pi di tutte si sforzata di negare il limite pensando la totalit come compimento del pensiero autocosciente o come conclusione vittoriosa di un processo di liberazione, deve alla fine fare i conti non solo con limplosione del suo progetto di totalit storicamente realizzata, ma con lirriducibilit a un progetto di liberazione collettiva del senso dellesistenza individuale. Luomo si ritrova di fronte alla sua finitudine, faccia a faccia con quel problema della morte a cui, in philosophos, Rosenzweig ha dedicato pagine mirabili, tali da scardinare una volta per sempre ogni pretesa di totalit meramente umana26. Certo, questo non dimostra nulla su Dio, ma conduce inesorabilmente allalternativa tra lassenza o la fragilit del senso e lo sforzo quanto meno di sperare in un senso dallAlto.
25 Cfr. ibi, pp. 166-169. Il riferimento a F. Novalis, Die Lehrlinge zu Sais, Reclam, Stuttgart 1963 (tr. it. in Opere, a cura di G. Cusatelli, Guanda, Milano 1982), e a E. Bloch, Spirito dellutopia, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 262. Cfr. anche I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 188-189. 26 Cfr. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pp. 3-5.
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3. Un Dio ci pu salvare? Bisogna purtroppo rinunciare in partenza a dar conto con qualche speranza di adeguatezza del lungo capitolo che Mancini dedica al confronto con Heidegger: le pagine pi alte ed impegnate che abbia mai dedicato ad un filosofo che, senza amarlo ma rispettandolo, riprende continuamente in molte sue opere. Per fortuna lo stesso Mancini offre una sintesi mirabilmente chiara del problema principale, sintetizzando a propria volta linterpretazione antinichilistica e liberante che Vattimo ha dato di Heidegger:
Il fondo della tesi questo [...]: Heidegger ha preso congedo [...] dalla metafisica intesa come teoria dellessere (che cos stato condotto al suo tramonto) che regge il mondo di Dio e quello dellanima; ma, anche nella memoria di questi segni alti della vita occidentale, quasi per una forma di pietas [...] ripresenta sotto-voce [...] o con la voce dei poeti e con i segni pi liberi e disparati qualcosa che non priva luomo del donner penser a quei segni, anche se non c pi un corpus di dottrine vincolanti e normative [...]. Quello che resta dopo il crollo difficile pronunciarlo o gridarlo a voce alta, non di natura concettuale, ma ci sono mille sussurri e inequivoci segni e si tratta di una svolta del destino, ossia della storia segnata da un disegno, ma non provvidenziale, gravido di futuro. Il nichilismo non sta qui di casa. Detto semplicemente cos, il resto dellultrametafisica (superamento della metafisica, in altre parole) rimane generico e non discrimina davvero sulla rinuncia allateismo. Il punctum stantis vel cadentis lo si raggiungerebbe con una ulteriore e molto precisa e molto nostra domanda: se a quel resto pu essere dato il nome di Dio27.
In realt le domande sono almeno due: se Dio qui (anche quando Heidegger stesso usa questa parola) significhi ancora qualcosa, e se qui davvero si apra una prospettiva di senso ultrametafisica e liberatoria. Il confronto continua, mediato da Pareyson, Edith Stein (la cui autorevolezza come interprete di quello Heidegger che conosceva benissimo anche come persona energicamente rivendicata da Mancini), Karl Lwith, e ben presto le cose non sembrano stare affatto come argomenta Vattimo. Il punto decisivo la morte come essenza del Dasein.
27 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 192. Il riferimento a G. Vattimo, Dialettica, differenza, pensiero debole, in G. Vattimo - P.A. Rovatti (eds.), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 12-28.
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Questa volta non la si elude come mera apparenza di fronte alla totalit dispiegata dellIdea (o come irrilevanza di fronte alla grandezza creativa della Rivoluzione): vi si resta ben fermi davanti. Ma come davanti allorizzonte ultimo. In Dio e solo in Dio essenza ed esistenza coincidono, sosteneva la metafisica tomistica; ma per Heidegger, afferma Edith Stein, questo accade nelluomo. nel Dasein che essenza ed esistenza coincidono, e dunque la morte la sostanza delluomo:
lerrore e la hbris di Heidegger stato quello di aver fatto coincidere nelluomo lessenza con lesistenza. Sono qui, e il mio esistere tutto qui. Lesistenza mi appartiene per il fatto di esserci. Non debbo nulla a nessuno. Nessuno mi ha fatto28.
Questo potrebbe richiamare la nietzschiana innocenza del divenire, osserva Mancini, ma Karl Lwith ne ha colto la conseguenza spaventosa: che il solo possibile trascendimento della finitudine del singolo lidentificazione del Dasein come esistenza tedesca, e a questo punto l essere-per-la-morte assume ben altro significato29. E qui non si tratta di ripetere leterna e forse infruttuosa (anche se tuttaltro che immotivata) polemica sul nazismo di Heidegger: si tratta precisamente di comprendere che ne , di fronte allessenzialit della morte, della possibilit di una salvezza per luomo. La possibilit di una salvezza propriamente filosofica, come pienezza del sapere e dellautocoscienza, inibita dalla definitiva ripulsa della metafisica. Non si d un pensiero dellEssere, e certo nella prospettiva dellEssere heideggeriano nulla sarebbe meno appropriato che unidea di riconciliazione o redenzione: la differenza ontologica non consente altro se non il definitivo soffermarsi delluomo nella propria finitudine, e il fatto che questa abbia una dimensione destinale non le attribuisce alcuna progettualit salvifica. Alluomo non dato altro possesso che quello del suo limite, e la sola possibilit di trascendere qui lindividuo sta nellassunzione del Da-sein come Mitsein, che per appunto la messa in comune del limite e lassunzione di un essere-per-la-morte collettivo, cosa ben pi inquietante di quel
28 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 202. Il riferimento a E. Stein, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, a cura di A. Brancaforte, Edizioni di Biblioteca Filosofica, Catania 1979. 29 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 202. Il riferimento a K. Lwith, la mia vita in Germania, prima e dopo il 1933, a cura di E. Grillo, Il Saggiatore, Milano 1988.
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che sarebbe un nazismo meramente ideologico dovuto a sfortunate contingenze storiche e biografiche. Daltra parte la prospettiva della fede, su cui pure lo Heidegger maturo scrive pagine profonde e cariche di evidente nostalgia, coerentemente e rigorosamente posta come estranea e inconciliabile con la filosofia. Non si d dunque in nessun modo un pensiero della salvezza, neanche di una salvezza meramente storica e mondana. Certo, resta la strada dellallusione poetica, del sottile crinale al confine dellindicibile su cui il linguaggio dei poeti si colloca. E da questa parola sembra risonare qualcosa di pi alto, originale e fondativo della metafisica, qualcosa che si presta ad essere qualificato come sacro e sembra persino autorizzare la parola Dio, ma secondo una linea ben pi enigmatica e oracolare che rivelativa30. Profezia parola greca, e per Heidegger lo in un senso molto pregnante, e soprattutto in un senso fortemente escludente lorizzonte biblico-cristiano, come ben nota Mancini. In Heidegger,
detto e motivato il no al cristianesimo e al Dio onto-teo-logico che lo regge. Dio morto non il valore teologico del nuovo inizio ma quel Dio su cui poggia il pensiero e la civilt dellOccidente con la sua rovinosa avventura tecnologica. Continuare a credere in questo Dio come credere in una parvenza di Dio (Schein-Gott). [...] Lattenzione degli anni Venti al cristianesimo paradossale ora del tutto scomparsa e con essa lintero mondo ebraico-cristiano. Compresi i profeti, che non avrebbero detto la parola che fonda il sacro, ma presentato il dio come sicura garanzia di salvezza nella beatitudine ultraterrena [...]. Heidegger riconosce una profeticit della parola, ma non di quella biblica, bens di quella greca; i primi apparterrebbero alla categoria degli indovini, mentre solo i secondi sono profeti in senso essenziale31.
Questo si riverbera sul brano fin troppo noto e probabilmente sopravvalutato e forzato verso significati indebiti della celebre intervista a Der Spiegel, col suo Ormai solo un Dio ci pu salvare32. Non solo
30 Debbo rinviare in proposito al mio saggio Enigma, segreto, mistero: tre forme della (non) conoscenza, in AA.VV., Gli arconti di questo mondo. Gnosi, politica e diritto, Ed. Universit di Trieste, Trieste 2000. 31 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 257-8. I riferimenti heideggeriani riguardano (oltre al Nietzsche, in un brano qui omesso), La poesia di Hlderlin, a cura di L. Amoroso, Adelphi, Milano 1988. 32 M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci pu salvare, a cura di A. Marini, Guanda, Parma 1987, p. 136. Mancini cita il brano in Frammento su Dio, cit., p. 276, proprio a conclusione del capitolo su Heidegger.
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e non tanto nel senso che la salvezza non comunque garantita perch potrebbe non esserci nessun Dio, ma perch potrebbe non essere nella natura di quel Dio (forse con la minuscola) il salvarci, ed a noi comunque richiesta la disponibilit anche a non salvarci, ma a tramontare nella catastrofe, al cospetto del Dio assente33. 4. Il Dio dei doppi pensieri A Mancini non dispiace impostare le sue opere secondo una classica bipartizione tra pars destruens e pars construens34. Qui, potremmo dire, termina la pars destruens di Frammento su Dio. Resta da vedere se vi sia per una pars construens. Perch se c non certo facilmente e comodamente consolatoria, ed anzi, pi che in una soluzione del problema, consiste in una sua riproposizione da un punto di vista variato, che ne mantiene linsolubilit mutandone il senso. Prima di addentrarvisi per quanto possibile, bisogna per considerare bene il punto a cui siamo giunti. Cio che la filosofia contemporanea ha bisogno di Dio. Non nel senso che Dio sia la parola che vale come soluzione dei suoi problemi, tanto meno nel senso che Dio possa tornare ad essere oggetto della sua conoscenza, qualcosa che la filosofia pu dimostrare. Nel senso, piuttosto, che il percorso storico della filosofia otto-novecentesca conduce ad un punto limite dove si pone oggettivamente lesigenza di una scelta, uno dei cui possibili termini non sarebbe espresso in tutta la sua pregnanza e in tutta la sua difficolt se non si usasse la parola Dio. il problema del senso ultimo di fronte allimpossibilit di esaurire il mondo nel pensiero o di trasformare radicalmente il mondo secondo un progetto di liberazione meramente umano, e di fronte alla consapevolezza dellessenzialit del morire e dellimpossibilit di conciliarsi con la morte, che una delle acquisizioni pi forti e caratteristiche del pensiero (non solo strettamente filosofico) della contemporaneit35.
Cfr. ibidem. La cosa particolarmente marcata nellopera che considero unideale gemella di questa, cio Filosofia della prassi. 35 Lautore che in questo momento (un momento che dura da molti anni) mi pi caro, Elias Canetti, tutto riconducibile allunico pensiero che la morte inaccettabile e non c dignit umana e libert se non nel rifiutare ogni compromesso con lei; e questo secondo una prospettiva rigorosamente non religiosa (anche se tuttaltro che priva di un forte interesse per la religione). Rinvio in proposito al mio La morte felice. Osservazioni sulla dinamica della massa aperta, in
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Questo problema non si pu dare in alcun modo per risolto, e neppure come risolvibile in termini filosofici (e meno ancora scientifici). Non per questo per cessa di essere un problema da affrontare, perch affrontarlo non comunque indifferente ma apre una prospettiva, offre una chance, produce un orizzonte di discorso. Un discorso paradossale, su ci che non dicibile, dunque un discorso meramente allusivo, simbolico, ossimorico, precisamente perch pone come possibile apertura ci che si d come chiusura, come limite. Del resto non si potrebbe parlare di limite se non parlando di un oltre che per non ci dato, se no non vi sarebbe limite ma possesso di totalit, e invece lo sperimentiamo inequivocabilmente che non c pienezza, non c scioglimento finale, non c possibilit di acquietarsi nel tutto qui. Non possiamo sottrarci al silenzio facondo, alla presenza assente, allacutezza folle dellossimoro36, al doppio pensiero che afferma ci che nega e dice il suo non dire. La natura ci conduce alla soglia del metanaturale? E la storia alla soglia del metastorico? questa la domanda, impossibile quanto necessaria.
Primo: esiste oppure no una possibilit di caricare la rappresentazione della natura [...] e di caricare la rappresentazione della storia di tensioni e di latenze che fanno cenno a forme di oltre (di met) che potremmo raccogliere nella forma della profezia, [...] nella produzione teologica, non come studio, ma appunto come krygma, come quando ci si rif ad un profeta. Secondo: quali forme concettuali o espressive pu assumere questa traslazione dalluno allaltro di questi mondi, e se dovesse risultare che qui il concetto un paradiso perduto e non si va oltre lo statuto del simbolo con tutte le forme metaforiche che lo sorreggono, non significa questo che il discorso teologico un vero ossimoro simbolico, di cui si tratta di stabilire i modi e le forme?37
Si comprenda bene qual il preciso termine della questione: non se la teologia parli su Dio (questo pu essere escluso a priori: se Dio sta nel linguaggio umano, se Dio concetto, allora non ha senso nominarlo come Dio, non di lui che stiamo parlando), ma se la teologia sia almeno allusivamente parola di Dio, se in essa sia Dio a parlare.
AA.VV:, Leggere Canetti. Massa e poterecinquantanni dopo, a cura di L. Alfieri e A. De Simone, Morlacchi, Perugia 2011, pp. 115-48. 36 Acuto-ottuso, ma anche acuto-folle sono i due sensi letterali di ossimoro. 37 I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 280.
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Nel senso di una teologia dogmatica o scientifica, nessun teologo pu essere detto profeta: si sta solo operando una confessione di fede, indicando quale esperienza religiosa si sta normativamente assumendo come verit38. La teologia simbolica, invece, lunica di cui si possa sperare che ecceda il concetto e abbia a che fare con la cosa stessa, necessariamente, in ambito cristiano, rivelativa, biblica, kerygmatica.
Teologia ha dunque il valore di un genitivo soggettivo, logo che arriva da Dio, e non oggettivo, logo che parla di Dio. Nulla che riguardi una teoria di Dio o esperienze religiose, ma proprio il farsi storico, incarnato e simbolico del logo o verbo di Dio. Teologi sono i produttori della rivelazione, a cominciare da Dio [...]39.
Il punto difficile e dolente, che la parola che potrebbe essere di Dio, e che eventualmente afferma anche di esserlo, non reca in s alcuna evidenza indubitabile di tale sua origine. comunque parola espressa in linguaggio umano, custodita e tramandata da uomini, da uomini interpretata. Quale sia il suo valore, dipende da uomini deciderlo. questa la costitutiva debolezza della teologia, ma anche, Mancini non esita a dirlo, la debolezza di Dio. Qui risiede per anche loggettivit della sua presenza, lineluttabilit di confrontarsi con uno spazio di allusivit e di rimando che allinterno dellesperienza umana indubbiamente si apre. Seguendo Edith Stein, sono tre le vie che consentono alla teologia simbolica lavventura di costruire un percorso verso Dio: la conoscenza naturale di Dio, quella attraverso la fede, quella infine dellesperienza mistica40. La prima via non pi percorribile nel senso tomistico dellevidenza razionale di un creatore onnipotente e buono del mondo, ma solo sotto il profilo dellirriducibilit della natura a quanto di essa conoscono le scienze, della sua perdurante misteriosit, del suo margine insormontabile di incomprensibilit che sembra rinviare a un altrove e darne una qualche intuizione. Non la natura-oggetto, ma la natura che ci sorprende, che ci emoziona e ci sollecita interiormente a darci il senso oscuro ma irresistibile di un altrove.
Ibi, p. 282. Ibi, p. 283. 40 Ibi, p. 296. Il riferimento a E. Stein, Vie della conoscenza di Dio, a cura di C. Bettinelli, Edizioni Messaggero, Padova 1983.
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Intesa in questo modo pieno, che ricco di vita e di anima, dominio del concetto, ma di quello pieno del turgore della intuizione a tutto arco, la natura risulta un misterioso simbolo o sistema di simboli, e di essi ostende la naturale capacit di traslazione. Vivente metafora con la percezione sicura della legge causale e della sua incapacit di accendere i fuochi trascendenti, la natura ha in germe lo status della teologia simbolica, senza nessuno strazio logico, ma solo con lonest del riconoscimento della presenza non amputata, quale risulta dalla libera osservazione e dalla concentrazione che sappia seguire i cerchi sempre pi ampi disegnati dallonda che la muove41.
un punto da prendere molto sul serio, in disparte dalle correnti mitologie sulla natura che consentono la comoda ma indebita rinuncia a coglierne la non solo perdurante, ma crescente misteriosit. facile pensare alla natura come campo dominato dalle scienze con continui e sicuri progressi di conoscenza e di utilizzazioni tecnologiche, dove si tratterebbe solo di usare prudenza e oculatezza di gestione per non sperperarne le risorse ed evitare la devastazione dellambiente. Ma la natura non ambiente, se non nelle marginali propaggini che ci riguardano pi da vicino. alterit radicale, trascendenza tuttaltro che metafisica, realt indubitabile ma irriducibile alla percezione e al pensiero. singolare la facilit con cui si dimentica che per trovarsi di fronte a tutta limmensit del problema della trascendenza non occorre porsi il problema di Dio, basta affacciarsi alla finestra e guardare il mondo l fuori, con tutta la terribilit infinita insita in questo fuori. Proprio le scienze con le loro straordinarie acquisizioni di sapere non fanno che accentuare questa terribilit insondabile di ci che ci pi prossimo, di ci che lo spazio immediato della nostra pi elementare sopravvivenza. Non ancora entrato nel senso comune che la nostra la prima epoca storica priva di una cosmologia ben definita e condivisa. Quel che la scienza ci dice oggi delluniverso che la quasi totalit della materia che lo compone ci del tutto ignota; che esso sembra aver avuto unorigine che possiamo abbastanza bene collocare nel tempo e nello spazio (due dimensioni che a certi livelli non si distinguono pi), ma di cui non possiamo dire se lorigine prima (luniverso potrebbe aver avuto origine pi volte, forse infinite volte) e rispetto a cui impossibile anche solo porre un problema di causalit (creazione dal nulla da
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parte di nessuno per nessun motivo, potrebbe essere il modo pi proprio di esprimere in termini semplici la visione oggi prevalente della cosmogenesi); che esso avr sicuramente una fine, ma non sembra ancora possibile decidere se avverr per implosione o per dispersione infinita. Pi o meno, un cosmo che si dissolve esplodendo (o implodendo). E riguardo alla materia, pi se ne approfondiscono le strutture infinitesimali, meno questa stessa parola sembra avere senso. Non ci sono atomi nel senso antico e preciso del termine, la materia non sembra avere costituenti elementari indivisibili, forse fatta di stringhe vibranti in uno spazio-tempo a undici dimensioni... Chi ironizza sulle astrattezze nebulose della metafisica dovrebbe informarsi meglio sulla fisica. Lidea del tutto qui comodo e rassicurante in cui quel che non sappiamo oggi lo sapremo domani e in cui i guasti che facciamo oggi saranno sicuramente rimediati domani sta alla visione propriamente scientifica della natura esattamente come le fiabe per bambini stanno alla realt della vita (anzi, sono semmai le fiabe ad essere meno infantili). Luniverso come la scienza davanguardia lo percepisce (per quel poco che pu percepirne) meraviglioso e terribile come non stato mai. Il Dio orologiaio-giardiniere-architetto ben ordinato e assai ragionevole che con cura molto borghese ci costruisce intorno un mondo saggio e morale fatto apposta per noi sembra definitivamente fuori discussione. Una teologia della natura ha forse ancora pi diritti oggi di quanti ne avesse al tempo di Tommaso, ma di quale Dio ci parla la natura, se ci parla di Dio?42 Nella fede, certamente Dio parla, indubitabile. La vita di chi ha fede obiettivamente diversa, e non c nulla da contestare sul fatto che a questa differenza si dia il nome di Dio. Solo che questo nome acquista il senso che pu avere allinterno di quellesperienza, con i suoi contenuti storici, dottrinali e istituzionali, e con gli inevitabili limiti personali di ciascuno. Dio non mai oggettivo, neanche per chi ci crede. Non mai garantito, non possesso di nessuno, pu tornare ad essere infinitamente lontano anche per chi lha sentito infinitamente vicino. La luce
42 William Blake si chiedeva quale mano terribile avesse forgiato la fearful symmetry della tigre, e se la stessa mano avesse creato anche lagnello. Oggi la tigre blakiana si pu considerare elevata a infinito. What dread hand and what dread feet? Eppure in qualche modo anche lagnello viene da qui. Cfr. W. Blake, The Tyger, in Opere, a cura di R. Sanese, con testo a fronte, Guanda, Parma 1984, pp. 274-277.
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superiore, dice la Stein, unelevazione istantanea e passeggera al di sopra dello stato ordinario; anche i santi come Teresa di Lisieux, commenta Mancini, conoscono la notte oscura di fede e il venir meno di ogni appiglio di sensatezza come per unesplosione di non senso e di niente43. Non del resto scontato che ci che viene chiamato fede sia una forte esperienza interiore di senso che induce coerentemente a comportamenti radicali. Senza con questo smettere di essere unesperienza umana degna di rispetto, la parola fede esprime molto spesso soprattutto unappartenenza, indica una comunit storica di riferimento con quello che essa pu avere di protettivo e di costrittivo, ed possibile che questa parola venga pronunciata con tanta pi enfasi quanto pi questappartenenza vissuta con insoddisfazione, senza adesione intima e senza effetti profondi sulle scelte di vita. Resta lesperienza mistica, e non c dubbio che per chi la vive sia la dimensione decisiva. la condizione di chi non ha bisogno di credere perch sa, di chi ha sperimentato il venir meno di una distanza che in s sarebbe infinita, di chi si trovato faccia a faccia. Il problema che questesperienza incomunicabile per definizione. Che vi sia, comunque un dato importante, ma cosa sia non giudicabile dallesterno. Certo, per chi percepisce leffetto che essa pu avere su chi afferma di viverla, risulta difficile ricondurla al delirio, allillusione o alla frode: si sente qui unesperienza umana del tutto diversa. Ma appunto, unesperienza umana. Incontrare chi ha incontrato Dio, non incontrare Dio. Ma anche chi ha incontrato Dio non lo ha a disposizione, non lo porta con s. Non c mai possesso, neanche in questo caso44. Le vie che portano a Dio, dunque, portano a qualcosa che legittimo chiamare Dio, ma che resta pur sempre un oggetto continuamente mancato, trovato e perduto, posseduto mai. La forza di Dio anche la sua debolezza. C una parola per dirlo, che lossimoro per eccellenza, dunque la suprema parola teologica: la parola doxa45. una parola che nel lessico filosofico greco ha sempre un significato negativo o almeno limitante: lopinione contrapposta alla conoscenza, il mero credere che non giunge al sapere, ci che comune e volgare in contrasto con leccellenza
I. Mancini, Frammento su Dio, cit., p. 300. Cfr. ibi, pp. 300-302. 45 Cfr. ibi, tutto il cap. VII, pp. 303-348.
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della nesis o dellepistme. Nel greco dei Settanta cambia completamente di significato, perch traduce lebraico kabod, che sebbene di senso controverso e non univoco allude piuttosto alla manifestazione visibile dellinvisibile, a ci che di prodigioso si accompagna alla presenza divina: ci che da Dio senza essere Dio, si potrebbe dire. Nel latino della Vulgata, diventa gloria. Come parola teologica, opportuno mantenere entrambi gli estremi del senso: la manifestazione di Dio che non ne d alcuna conoscenza, la suprema evidenza che non supera minimamente il dubbio, la trasparenza che non solleva affatto il velo. Per tentare una sintesi: la verit suprema non pu darsi se non in un opinare, in un credere. Per estremizzare: la capacit delluomo di credere indispensabile perch Dio sia. Del resto, il vero estremo della doxa la cristologia. Dio esiste in quanto uomo, e in quanto uomo in croce. Lossimoro pi vertiginoso che mente umana possa concepire, e solo questestremo dellassurdo pu offrirci un indizio che non sia umana la mente che lo ha concepito. Non c via duscita dal paradosso, e nessuna possibilit che il paradosso sia risolto in quieta verit razionale, in certezza argomentativa:
la questione dellassicurazione per la parola di Dio che sia di Dio non esiste, ma esiste solo il paradosso evangelico: Beatus est, qui non fuerit scandalizatus in me (Mt 24,10), perch non c nessuno intermediatore che autentichi la parola, ma tutto avviene in essa e solo in essa [...]. Tutta, dunque, questione delle orecchie e degli occhi, il fortissimo di Dio veramente debole46.
Tutta questione di avere orecchie per sentire e occhi per vedere, la gloria di Dio dipende dalluomo, spetta alluomo dare o negare gloria a Dio. Tutto avviene nella parola: nella parola rivolta alluomo che dice di essere di Dio senza che nulla garantisca questo suo dire, e nella parola delluomo a Dio, perch parlare a Dio lunico modo appropriato di parlare di lui. La parola in qualche modo risolutiva la preghiera. Che non un faute de mieux, una soluzione debole, un accontentarsi, una sorta di ultima trincea prima della resa. Lambizione di Mancini qui forte, quella di porre la preghiera come parola di verit, lontana dalla mera edificazione come dalla speranza impotente, quindi come parola filosofica, che segna la massima possibile prossimit del pensiero al
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proprio oggetto, quindi anche il confine del pensiero e la soglia di ci che lo trascende.
Preghiera, dunque, veritativa, al servizio della verit [...]. Si pensi: il massimo della filosofia, nel suo portento metafisico, quello di poter parlare di Dio: il minimo della teologia, il suo abbic, il poter parlare con Dio. La preghiera si porrebbe dunque come lo spartiacque fra mondo naturale e mondo soprannaturale47.
Perch la parola a Dio sia ancora parola filosofica, che indispensabile per dire di pi su Dio, per fare un decisivo passo avanti nella conoscenza di ci a cui si d questo nome, viene spiegato subito dopo con insuperabile chiarezza ed efficacia. Parlando a Dio, si dice la cosa pi importante che si possa dire di lui, si giunge al contenuto essenziale della nozione che se ne pu avere: si dice cio che Dio non solo lOggetto supremo del pensiero, ma qualcuno che ascolta.
Il Dio di cui si parla potrebbe essere inaccessibile, tutto preso dal circolo della sua vita, senza nessun cenno a un rapporto dialogico con noi, e tale era il Dio di Aristotele, obbligato, dalla logica della sovranit, a non poter pensare altro dal suo pensiero, per non svilirsi; per poter parlare con Dio si esige una autorizzazione di grazia, un dono, una misericordia, una rivelazione di paternit e di ascolto, che la metafisica non osa imporre, e che solo per altra via ci viene reso noto48.
Ma filosofica, la parola della preghiera, anche e forse ancora di pi per quello che dice delluomo. Ne dice lincompiutezza e lo stato di bisogno, ma gli attribuisce nello stesso tempo il diritto di essere ascoltato, e se non quello di essere soccorso almeno quello di sperarlo, e persino il diritto di contestare, di chiedere ragione, di pretendere la spiegazione dellinspiegabile, come Giobbe49. La preghiera pone luomo a diretto confronto con linfinito, come colui che pu interrogare linfinito nellaspettativa che linfinito gli risponda. Ed dunque la pi forte possibile affermazione della dignit umana, tuttaltro che umiliazione o sottomissione. Ancora una volta siamo nella direzione dellUomo-Dio, nella dimensione di un incontro che la massima espressione veritatiIbi, p. 351. Ibi, pp. 351-352. 49 Su Giobbe, cfr. ibi, pp. 323-325.
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va di entrambi. Dio non Dio che per luomo, e luomo pienamente tale quando sta al cospetto di Dio e persino si confonde con lui. Tanto che c ancora una dimensione teologica genuina nella totale riduzione antropologica che della religione fa Feuerbach, proprio perch qui si dice qualcosa di pi vero rispetto a tutte le teologie della sottomissione e dellabbandono creaturale50. Tanto che merita attenzione la tesi di Simone Weil, che la preghiera pi autentica possa consistere nel lavoro delloperaio51. Con la preghiera perci si dice, su Dio e sulluomo insieme, la parola pi vera. Precisamente perch questa parola dice che uomo e Dio sono insieme. 5. Conclusione inconclusiva: bagliori delloltrechiusura In che cosa si pu, si deve consentire, sul piano strettamente filosofico, con quanto, sperando di averlo sufficientemente compreso, si cercato di esporre? Che non , non pu n deve essere, tutto qui. Il mondo non rinchiuso e imprigionato in quel che ora il presente, lesistenza non lessenza, nulla compiuto, nulla precluso. Questo persino evidente. Solo un estremo narcisismo potrebbe portarci a pensare che noi siamo e possediamo qualcosa di compiuto, che il nostro essere e il nostro fare sia tutto ci che deve essere e tutto ci che pu essere fatto. C sempre un dopo, c sempre un altro, c sempre un altrove, c sempre un nuovo. La totalit falsa, linfinito vero, tutto si pu dire dellEssere tranne che sia, la tautologia non necessit logica ma menzogna, il pensiero si trova costantemente sulla soglia dellimpensato, altrimenti non pensiero ma chiacchiera fatua. Linfinito la nostra dimensione, l che abitiamo, e non sperimentiamo altro in tutta la nostra vita. Quindi non una dimensione sopra di noi. Non c un sopra di noi, c solo un non ancora. Ma linfinito anche eterno? Forse in s, non per noi. Questo non ci riguarda, qui non lo incontriamo. E possiamo dargli un nome, chia50 Cfr. ibi, pp. 355-358. Sulla genuinit teologica di Feuerbach, Mancini riprende il saggio di Karl Barth, Ludwig Feuerbach, in K. Barth, Antologia, Bompiani, Milano 1964. 51 Sorprende alquanto la pur rispettosa diffidenza che Mancini manifesta verso questa tesi, strana ed estranea, a cui pure dedica ampio spazio. Sembra che non ne percepisca la dimensione costitutivamente cristiana, profondamente radicata ad esempio nella tradizione monastica e nella teologia della Genesi. Ma potrebbe esserci la preoccupazione che questo porti ad una visione troppo quietistica della condizione operaia. Cfr. I. Mancini, Frammento su Dio, cit., pp. 378-383.
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marlo Dio? Certo che possiamo, lo facciamo da millenni, non c altro nome che sia pi carico di forza simbolica. Di sviluppi concettuali. Di risonanze emotive. Non possiamo cancellare questo nome dalla storia, fa parte di noi. Questo nome dice davvero qualcosa di ci a cui si riferisce? Ovviamente no, neppure se esiste. Non esprime nessun sapere. Non designa un oggetto. Non ha cogenza logica. Indica per un orientamento, la pi potente espressione di senso che sia possibile. Possiamo come filosofi, dovremmo evitare di oggettivarlo, e dovremmo sapere specie se siamo filosofi che non possiamo presentarlo come una soluzione a nulla. Dio la massima domanda, non per niente una risposta. Ma in definitiva ogni domandare si raccoglie in questo nome. Almeno in occidente: altrove c un diverso domandare, altrettanto legittimo. Ma non il nostro. E questa domanda riguarda anche chi non potrebbe, senza mentire, darle un senso religioso che lo coinvolga personalmente? Anche chi non potrebbe, con questo nome, esprimere una fede che gli sia propria? Ovviamente s, in quanto si tratta di un domandare e non di un rispondere. E non vero che domandando si gi anticipata la risposta: purtroppo non cos semplice. E cosa si ottiene domandando, se non c risposta? Il non doversi arrendere al qui e ora, il non doversi accontentare del proprio tempo e di se stessi, il tendere le proprie catene finch si spezzano o ci spezzano anzich abituarsi a trovarle comode. Per usare una bella parola di don Italo, si ottengono i bagliori delloltrechiusura. E qui bisogna fermarsi: una sola parola in pi sarebbe impudica o menzognera. ABSTRACT Lautore, da un punto di vista laico, propone una lettura dellopera postuma di Italo Mancini, Frammento su Dio, (2000). Il saggio mostra come Mancini rifiuti lassorbimento della questione Dio nei concetti limite in cui la filosofia contemporanea ha cercato di sussumere la dimensione religiosa: la dialettica hegeliana dellAssoluto, anche nella versione interamente ricondotta allo storico e al sociale che ne ha dato il marxismo, e lontologia antimetafisica di Heidegger. Inoltre mette in luce come Mancini rifiuti qualsiasi ipotesi di ritorno alla teologia ra-
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zionale. Dio non oggetto di conoscenza, ma soggetto di un messaggio di salvezza che ha luomo come necessario destinatario e interlocutore. La filosofia pu orientarsi a lui come prospettiva di senso mai esaurita e mai dimostrata, grazie a un pensiero necessariamente incompiuto, aperto al simbolo e allossimoro (la dialettica dei doppi pensieri) che trova il momento culminante nellinvocazione della preghiera.
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