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Serie Bianca Feltrinelli

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SERGIO BOLOGNA DARIO BANFI VITA DA FREELANCE


I LAVORATORI DELLA CONOSCENZA E IL LORO FUTURO

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Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in Serie Bianca aprile 2011 Stampa Nuovo Istituto Italiano dArti Grafiche - BG
ISBN 978-88-07-17201-4

www.feltrinellieditore.it Libri in uscita, interviste, reading, commenti e percorsi di lettura. Aggiornamenti quotidiani

razzismobruttastoria.net

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VITA DA FREELANCE

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1. Passaggi

Non mi decisi di andare a Roma perch gli amici che mi sollecitavano a ci mi promettevano maggior guadagno o maggior prestigio [...] il motivo principale e pressoch unico fu che sentivo dire che l i giovani si dedicavano allo studio pi tranquillamente ed erano tenuti calmi da una pi ordinata disciplina coercitiva, cosicch non irrompevano abitualmente da maleducati nellaula di un altro maestro.1

Era un freelance Agostino di Tagaste, maestro di retorica. Lascia la vivace capitale delle province dAfrica, rischiando perfino, per mare avverso, di finire in bocca ai pesci, e va a ficcarsi nella bolgia della capitale di un impero ormai morente. Cercava, come si suol dire, un mercato dove la qualit della domanda fosse migliore e il suo talento ricevesse la stima che si meritava, almeno secondo la sua soggettiva percezione. Ma una situazione ben grama quella che trova, la concorrenza sfrenata, accadono cose tipiche delle situazioni di sovraofferta, la clientela, tutti rampolli di famiglie benestanti, poco raccomandabile.
Dapprima radunavo in casa alcuni allievi, cominciando cos a farmi una certa notoriet. Ben presto mi accorsi che a Roma succedevano cose che in Africa non avevo dovuto subire [...] fui avvertito che molti dei giovani romani, per non dover pagare il maestro, usavano mettersi daccordo e passare improvvisamente a un altro maestro, rivelandosi gente che, per amore del denaro, tradisce la fiducia e disprezza la giustizia.2

Sappiamo com andata a finire: per proteggersi dai rischi di mercato tipici del lavoro autonomo, Agostino cerca un posto pubblico e grazie a Simmaco lo trova a Milano, ma qui comincia unaltra storia.3
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Dovendo scrivere un libro sul lavoro indipendente, non potevamo limitarci alla nostra esperienza personale di freelance, cos siamo andati a curiosare tra ricerche sul campo e racconti di gente come noi, brevi schizzi autobiografici firmati spesso con un nomignolo, come si usa oggi nei blog. Ma nelle citazioni tratte da una delle pi celebri autobiografie di tutti i tempi, scritta sedici secoli fa, gi ci parso di poter riconoscere circostanze che ancora oggi sono determinanti nella condizione lavorativa dei cosiddetti knowledge workers che esercitano lattivit in proprio. Innanzitutto la percezione di un mercato globale nel quale meglio muoversi che star fermi. I maestri sono stati per lungo tempo tra i gruppi professionali con la pi alta mobilit, dice chi ha studiato quel mestiere a fondo nel periodo in cui Agostino lo esercitava.4 Antica quanto la nostra civilt mediterranea labitudine di cambiare citt, cambiare paese, portandosi dietro un patrimonio di conoscenze che necessariamente devono combinare insieme una koin universale e una specializzazione individuale.

Dove vuoi andare?


Nella storia del lavoro proprio il lavoratore indipendente a essere protagonista di quel gesto che dice non mi basta il mercato ristretto dove sono nato; le mie competenze, il mio saper fare, il mio mestiere valgono di pi, trover altrove qualcuno disposto a pagarli meglio e un ambiente che sappia apprezzare il mio talento per quel che vale. E qui entrano in gioco i magneti, i luoghi che attirano le competenze. Per quanto criticabile e superficiale possa essere giudicato Richard Florida, gli va riconosciuto il merito di aver messo la pulce nellorecchio di tanti sindaci: ma perch invece di pensare a una citt che attrae turismo non pensiamo a una citt che attrae talenti?5 Semplice come dinamica, ripetitiva potremmo dire, lesperienza di migrare alla ricerca di condizioni di lavoro migliori, ma non uno studio sui fenomeni migratori il nostro. Il tema che cinteressa un altro, riguarda i confini della mobilit, perch ci che distingue lepoca moderna dalle altre la possibilit di migrare in maniera virtuale caratteristica, questa, che in un certo senso oggi distingue il lavoro intellettuale dal lavoro manuale. difficile per un ingegnere pakistano che viene in Europa a cercar di campare e in genere finisce col guidare il furgone o lavorare in edilizia o star seduto in una portineria non essere fisicamente altrove dal luogo dove nato o dove risiede nel suo paese. Ma se in Europa trova una multinazionale che gli consente di lavorare a distanza gra10

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zie alle sue competenze professionali, pu tornarsene a casa e prestare i suoi servizi collegato in Rete. Il lavoro manuale costretto alla migrazione fisica, il lavoro intellettuale, grazie a Internet, conserva lopzione. Ed da questa condizione di fondo, da questa doppia possibilit di migrare, che potrebbe iniziare un percorso sui problemi del lavoro indipendente. Potr sembrare stravagante, ma a rifletterci un po non cos. Abbiamo gi sfiorato questioni di grande rilevanza: dire mercato globale non dire una banalit, perch a noi interessa relativamente descrivere questo mercato, non sono i confini del mercato loggetto della nostra osservazione, sono i confini della mobilit, che ben altra cosa, perch comprendono sia valori e contenuti oggettivi sia, anzi soprattutto, valori ed elementi soggettivi. la disposizione danimo unita alla padronanza di certe conoscenze a fornire la molla della mobilit ed ora luna ora laltra a poter influire sul tipo di mobilit che si sceglie o si capaci di praticare: se la mobilit fisica, quella che comunemente chiamiamo migrazione, la mobilit virtuale o la mobilit professionale, passare da unoccupazione a unaltra, da una vita di lavoratore dipendente a una vita di lavoratore autonomo. Delle diverse forme di mobilit forse quella che maggiormente ci intriga proprio il paradosso della mobilit sedentaria di Internet, tappeto volante planetario o cubicolo soffocante, chiavistello che ti apre tutte le porte o acefalo curiosare. Ma perch chiamarla migrazione, quando semplicemente una forma di comunicazione? Poich ci priveremmo la vista di aspetti che in una dinamica espositiva tradizionale ci sfuggirebbero. La migrazione fisica si svolge in un contesto socio-economico e geografico dato, quella virtuale costruisce la propria carta geografica, inventa la propria Atlantide a misura dei limiti delle conoscenze del soggetto e delle sue inclinazioni. E come definire il luogo dove il lavoratore indipendente svolge la maggior parte del suo lavoro, davanti a uno schermo, con in mano un mouse? Giacomo Mason, specialista di sistemi Intranet, freelance che ama riflettere sulla sua esperienza quotidiana e cerca spunti nel pensiero filosofico e sociologico di oggi, scrive:
Come se la spazialit, la spazialit geometrica e la spazialit della nostra percezione fosse messa fuori gioco. E allora che cosa fonda il luogo, questo luogo cos preciso che non potremmo mai confonderlo con altri? La Rete innanzitutto uno scenario dazione, ed questa azione che fonda questo luogo inconfondibile. Una spazialit contestuale, legata alla nostra presenza attiva, ineludibile, reale. Questo esserci continuo, questa inclusione necessaria del soggetto fonda questo luogo senza spazio che la Rete, che siamo tutti noi.6 11

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In un libro scritto ormai pi di dieci anni or sono7 avevamo condiviso lopinione di molti studiosi che una delle caratteristiche specifiche del lavoro indipendente, uno dei suoi tratti distintivi rispetto a quello salariato, era data dalla diversit del luogo dove viene esercitato; si parlato di domestication, di commistione tra consuetudini, ritmi e costumi della vita privata e quelli della vita collettiva. Il dove non solo condiziona il tempo di lavoro, lorario lavorativo e il modo in cui viene organizzato (con possibilit di propria scelta nellarticolazione della giornata o con limposizione di ritmi predeterminati), ma anche la presenza o lassenza di dinamiche di socialit, la cui importanza per la storia dellevoluzione delle condizioni di lavoro e per la forma della democrazia occidentale cosa risaputa. E questa forma contemporanea di domesticit dellattivit lavorativa resa possibile proprio dalle nuove tecnologie, il dove del lavoro moderno non scindibile dal personal computer. Home-Office Hell, linferno davere lufficio in casa, titolava tempo fa un po scherzosamente la redattrice di una webzine americana dedicata ai professionisti indipendenti.8
Me ne sono andata dallazienda dovero impiegata per essere pi libera, vendo spazi pubblicitari, adesso sto qui in casa 60-80 ore alla settimana. Vivo nella Bay Area, come faccio a spiegare al mio cliente di Boston che quando mi telefona qui sono le cinque del mattino? Vivo con mia madre, che ha ottantasei anni, a lei piace chiacchierare, entra ed esce dalla mia stanza, mentre sono online, il telefono squilla e il fax vomita fogli di carta.

Le risponde il redattore della pagina delle lettere:


Sai che ti ci vuole per lavorare bene in casa? Una porta che si possa chiudere a chiave innanzitutto, inoltre non dimenticare che lufficio non una mensa, allontana cibi, bevande, distrazioni, togli radio, televisione, videogame, evita il postino, usa caselle postali per la corrispondenza e se vai a pranzo con qualche cliente prenditi un po di tempo per guardare il mondo com fatto e lasciati guardare dal mondo.

Abbandonare il lavoro salariato per ritrovarsi in unaltra prigione. questo uno dei temi che compare di frequente nelle autobiografie o nelle semplici confessioni/sfoghi dei blog. In genere non si torna indietro, non tanto per disamore verso la professione autonoma, ma perch il mercato del lavoro non ti lascia tornare indietro, non sei pi giovane e pensano che se te ne sei andato una volta magari prendi il volo di nuovo, quindi sei con12

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siderato inaffidabile per aziende che pretendono da te soprattutto anima e corpo, e solo in secondordine competenza ed esperienza. La scelta di passare da un rapporto di lavoro dipendente alla cosiddetta libert del professionista autonomo ci sembrava dieci anni fa laspetto pi caratteristico della mobilit allinterno del mondo del lavoro, una scelta che comportava cambiamenti forse pi radicali di quelli che si creano quando si cambia citt o paese di residenza. Trasferirsi da Milano a Berlino lavorando alle dipendenze di due diverse societ, anche cambiando settore ma sempre alle dipendenze, non sembra porre problemi di adattamento maggiori e pi difficilmente superabili di quelli che potrebbe porre la scelta di restare a Milano e mettersi in proprio, lasciando un posto fisso. Quando si passa dal lavoro salariato al lavoro indipendente, cambiano i luoghi e i tempi della vita quotidiana, molti scoprono che si lavora di pi, se non in termini di tempo dedicato fisicamente al lavoro, quantomeno in termini di occupazione della mente, cambia il rapporto con la retribuzione, cambia la logica della retribuzione, una trasformazione antropologica. A confronto, i problemi dadattamento posti dalluso di una lingua straniera in un paese straniero sembrano davvero poca cosa. Il passaggio dal lavoro dipendente al lavoro autonomo comporta un trasferimento di culture, di modi di pensare che si sono cristallizzati nellultimo secolo e mezzo e che ci portiamo dietro come patrimonio di una civilt fordista, di costumi mentali incorporati nelle istituzioni. Lo sguardo che abbiamo rivolto al lavoro autonomo pi di dieci anni fa era radicalmente diverso dal modo in cui la letteratura corrente dipinge il passaggio dal lavoro salariato, non tanto nella retorica del sarai padrone di te stesso quanto nella superficiale opinione secondo cui i problemi del lavoratore autonomo sono problemi di technicality: come si costruisce un business plan, come si fa a calcolare limponibile fiscale, quali sono gli strumenti tecnologici di cui dotare lufficio ecc. A questa visione puramente tecnicistica e pertanto miope, avevamo contrapposto una visione molto pi complessa, accentuando la trasformazione del modo di pensare, dello sguardo sul mondo, che un passaggio dal lavoro salariato a quello indipendente comporta. E quindi abbiamo messo in luce aspetti della vita quotidiana che un professionista indipendente sperimenta ogni giorno sulla sua pelle ma che spesso non riesce a razionalizzare, di cui spesso ha una coscienza confusa o di cui non riesce a spiegarsi la logica. Crediamo di essere stati utili a chi lavora in questo modo e ne abbiamo avuto conferma quando, quasi per caso, siamo venuti in contatto con professionisti che avevano fatto il salto ulteriore, quello pi
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difficile, forse: il salto verso la coalizione, lunione con altri colleghi, per affrontare insieme i problemi, contravvenendo a quella filosofia individualistica e solipsistica che viene venduta a buon mercato da tutta la manualistica sul lavoro autonomo, da tutti i guru-ciarlatani del self management come ricetta del successo e che purtroppo molti ormai hanno accettato come modo giusto di stare al mondo. Questo libro un altro passo avanti in questa direzione controcorrente, vorrebbe chiedere ai giovani innanzitutto vi importa di pi riuscire, avere successo o vivere meglio?. La scelta del lavoro autonomo che molti delle generazioni precedenti hanno compiuto, a partire dalla met degli anni settanta, quando sono nate dal mercato molte nuove professioni e lera informatica ha dotato lindividuo di nuovi, dapprima impensabili, strumenti di lavoro a distanza, stata in massima parte una scelta per vivere meglio, non stato un desiderio generico di maggiore libert ma di maggiore autonomia nellorganizzazione di quella cosa il lavoro che per la grande maggioranza degli uomini consente di sopravvivere e assorbe la quantit pi alta di tempo della loro vita. Quindi, al fondo di quella scelta, di quella disposizione danimo, pi che una confusa aspirazione di libert, cera una filosofia, chiamiamola pure ideologia, libertaria, che creava una specie di ostilit, di diffidenza verso le gerarchie, gli ordini precostituiti. Forse a incentivare quella disposizione danimo, a fornirle un terreno fertile, era stata la diffusa conflittualit che si era sviluppata, in Italia con dimensioni quali nessun altro paese dellOccidente ha conosciuto, allinterno dei rapporti di lavoro dipendente. Sebbene questa conflittualit avesse il suo epicentro nel lavoro manuale, nel lavoro operaio, nellusura fisica del lavoro di fabbrica, il suo impatto sulla mentalit collettiva fu cos forte che ne venne investito in pieno anche il lavoro intellettuale, tanto pi che in alcuni paesi, Stati Uniti e Germania soprattutto, la rivolta degli studenti aveva prodotto la prima lacerazione di quel silenzio che era calato come una cappa di piombo nella societ americana dopo la repressione maccartista, e nella societ tedesca dopo la costruzione del Muro di Berlino. Ma si tratta di mezzo secolo fa, un arco di tempo lungo il quale la memoria delle dinamiche di cui stiamo parlando si consumata pian piano, di cui si sarebbero perse le tracce se non fosse per la musica di allora e in parte per la letteratura. Potranno buttarci sopra pi cemento di quello impiegato a tappare il buco sul fondo del mare della Louisiana ma bastano le parole di una canzone dei Doors o di Nina Simone per segnare un ricordo indelebile di quel periodo. Finch quelle canzoni e le tante altre prodotte dalla straordinaria creativit delle band di
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allora continueranno a essere ascoltate, quel potente soffio libertario non sar mai dimenticato.

Pur di andarsene
Sugli anni sessanta e settanta scesa la damnatio memori delle lite dirigenti delle generazioni successive, che vi si accaniscono tanto pi evidente la loro incapacit di creare un mondo migliore, una societ pi accogliente per coloro ai quali stato detto che un giorno saranno lavoratori della conoscenza. Ventanni fa sarebbe stato difficile immaginare che un giorno in Italia il desiderio di fuga avrebbe assunto le dimensioni di un comportamento generazionale:
Ci che spinge i giovani italiani ad andarsene, anche e soprattutto la stanchezza nei confronti di un sistema sociale, politico e mediatico asfittico e deprimente. [...] In tutta la letteratura sulla cosiddetta fuga dei cervelli poco si parla del fatto che non sono solo i talenti ad andarsene, c una generazione intera di persone, a volte anche non laureate, che sono stanche del proprio paese e semplicemente fanno la valigia, prendono un volo low-cost di sola andata e si trasferiscono altrove [...] non sono solo i cervelli quelli che se ne vanno, al giorno doggi dallItalia se ne stanno andando tutti: laureati, diplomati, stagisti.9

In effetti, fino a poco tempo fa si era parlato di fuga dei cervelli, ora si parla di fuga e basta. Sono, luna e laltra dimensione, cose che sintrecciano strettamente con le possibilit e le modalit di esercizio di unattivit in proprio nel mercato delle competenze. Sono forme molto diverse di mobilit, la prima segue una logica irreversibile, la seconda logiche molto soggettive. Un lavoratore della conoscenza ha come unico patrimonio il proprio capitale umano, se c qualcosa che non funziona nel sistema deputato a produrre questo particolare tipo di bene, procurarsi un capitale adeguato gli coster pi fatica. Un lavoratore della conoscenza campa sulla cessione a titolo oneroso delle sue competenze, un modo burocratico per dire che un freelance, letteralmente un mercenario.10 Se il mercato in cui opera non sa che farsene della competenza in quanto tale, ma chiede alle persone solo spirito di adattamento, flessibilit morale pi che materiale, il nostro knowledge worker per arrivare alla fine del mese sar costretto a cedere una bella fetta di quella libert che ha pensato di guadagnare mettendosi in proprio. In Italia la fuga dei cervelli (o delle cervelle)11 prima e la fuga dei giovani
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come tali poi sembrano dire che sono presenti ambedue le condizioni avverse, quella della difficile formazione di un capitale umano e quella della svalorizzazione della competenza.12 Ma occorre distinguere ci che indizio di una patologia sociale da ci che costituisce una dinamica intrinseca al laboratorio scientifico. Agli inizi del 2000 stato avviato un progetto di ricerca europeo sul brain drain, il report finale uscito nel 2003.13 Risultava gi chiaro allora come il problema non fosse solo italiano, n potesse essere descritto come patologia. Quando si tratta di ricerca scientifica avanzata, sostenibile soltanto con forti investimenti finanziari, la superiorit di certi paesi in determinate tecnologie ne fa dei magneti che attirano cervelli da tutto il mondo. una dinamica selettiva, che produce processi di esclusione ancora pi acuti proprio nei paesi che fungono da magnete.14 Il fatto di essere nato negli Stati Uniti non favorisce un giovane americano che aspira a fare ricerca nei laboratori di punta del suo paese, perch si trova esposto pi di altri alla concorrenza dei migliori cervelli di tutto il mondo. Potrebbe essere altrimenti? Riesce difficile immaginarlo, quando linteresse sottostante quello delle multinazionali o dellapparato militare. Il baccano che si fatto per decenni sulla fuga dei cervelli servito in Italia a chiedere pi soldi per luniversit ma non a migliorarla. Sono rimaste immutate le sue leggi non scritte, che alimentano nepotismi, proteggono con lomert larroganza dei baroni e finiscono per creare il danno sociale pi insidioso, quel tacito instaurarsi della norma di comportamento che dice di piegare la schiena. Cos simpara a piegare anche la propria intelligenza. la produzione programmata di conformismo il danno maggiore, non la fuga dei cervelli, perch da qui nasce la svalorizzazione delle competenze.15 Diverso quando la cosiddetta fuga non riguarda soltanto le posizioni di punta della ricerca ma il personale che dovrebbe costituire il tessuto portante del sistema distruzione superiore. il punto di vista che sembra condividere Maria Carolina Brandi nel libro Portati dal vento,16 dove si tocca uno dei nodi centrali della questione, la sistematica precarizzazione dei rapporti di lavoro, che sta minando alla base il rendimento dei ricercatori/docenti non solo in Italia, ma anche nel paese che ha fatto del modello aziendale postfordista il punto di riferimento delle politiche universitarie e della ricerca: gli Stati Uniti. Ancora una volta si torna al problema del lavoro, strettamente correlato a quello della libert e dellautonomia, ancora una volta lItalia non uneccezione. Quanto pi instabile la condizione del lavoratore intellettuale della ricerca universitaria tanto pi forte la
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sua dipendenza dalla gerarchia e tanto pi alta la possibilit di scelte discrezionali fatte con criteri lontani dal merito. C tuttavia una specificit italiana: se invece di chiedere pi soldi per evitare la fuga dei cervelli il corpo accademico la sua parte pi nobile sintende avesse concentrato la sua battaglia sullaspetto pi importante della questione, e cio sul fatto che la qualit della domanda di lavoro nel nostro paese condizionata dalle scelte di politica industriale e di politica del lavoro, avrebbe colpito maggiormente nel segno, ma avrebbe dovuto anche riconoscere che lorganizzazione del sistema accademico, i corsi di laurea, forse ne avrebbe dovuto tener conto e che meglio sarebbe stato sopprimere molti insegnamenti invece di moltiplicarli e produrre laureati di cui il sistema economico non sa che farsene. Se avesse condotto in maniera concentrata questa battaglia avrebbe dovuto chiedere conto alla lobby confindustriale, proprietaria dei grandi quotidiani, sempre pi dominata dalla rendita finanziaria e immobiliare. Avrebbe, il ceto accademico, assolto alla sua seconda funzione, dopo linsegnamento, che quella di custode dellonest intellettuale e del rigore dellinformazione, godendo del privilegio di poter parlare, protetto dallinamovibilit, e dire come stanno le cose contro la sistematica deformazione e mistificazione operata dai media e da tutti coloro che hanno interesse al mantenimento di una situazione che per troppi giovani si fa insostenibile.17 Si preferito invece fare i corifei del sistema delle imprese, esaltare la flessibilit rivestita di norme e codicilli, senza vedere il suo risvolto sociale, quella precariet in cui rischia di restare intrappolata unintera generazione, secondo i sociologi del lavoro. LIstituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol) ha fornito una stima delle forme di lavoro diverse da quella a tempo indeterminato in Italia, per lanno 2008.18 Su circa 23 milioni di persone occupate, il 15,8 per cento lavorava con contratti di vario tipo (a tempo determinato, interinale, formazione-lavoro, apprendistato, collaborazioni coordinate e continuative, collaborazioni a progetto, tirocini gratuiti, lavoro a chiamata, collaborazioni occasionali), il 6,7 per cento lavorava in maniera indipendente con partita Iva, un altro 1,3 per cento in modo autonomo non classificabile altrimenti e un 9,3 per cento come imprenditore. una stima meno sfocata di quella che propone lIstat con la Rilevazione continua delle forze di lavoro, perch fornisce un ordine di grandezza attendibile sulle dimensioni del lavoro autonomo di seconda generazione: pi di 1,5 milioni di persone alle quali, secondo un criterio di classificazione fondato sui loro obblighi contributivi al sistema pre17

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videnziale, andrebbero aggiunti gli 1,17 milioni di persone con contratti di collaborazione (Co.Co.Co.) e contratti a progetto, oppure, secondo un criterio di classificazione che privilegia il ruolo della competenza, il milione di persone titolari di imprese con uno/due dipendenti.19 Esiste quindi una vasta zona grigia di 2,5-3 milioni di persone che non potr mai essere eliminata del tutto perch costituita da forme di lavoro che transitano facilmente dalla collaborazione a progetto alla partita Iva allattivit con un solo dipendente, tipo lo studio professionale con segretaria e viceversa. Ci troviamo in un mondo del lavoro dove i passaggi non sono leccezione ma la regola e sempre pi questo tipo di mobilit investe anche il lavoro dipendente a tempo indeterminato.20 Dopo aver seguito un gruppo omogeneo di biografie di lavoratori intermittenti presso pubbliche amministrazioni e imprese private, anche Annalisa Murgia, autrice di una delle ricerche pi attente sul lavoro non standard, propone la parola transizione come chiave interpretativa del mondo del lavoro oggi.21 Di passaggio in passaggio qualcuno ce lha fatta, il filone delle storie di successo, di quelli che sono stato fortunato, in evidenza nelle librerie, imperversa nei blog, particolarmente in quelli dedicati ai freelance, ma non il genere che pi cinteressa, almeno in questo libro.

Transiti verso la coalizione


Sociologi o formatori, statistici o giuslavoristi, coloro che per mestiere osservano, indagano, studiano il mondo del lavoro di oggi, sembrano daccordo: la mobilit in tutte le sue forme il transitare da una situazione allaltra, da una condizione allaltra, da una professione allaltra, da un paese allaltro il connotato comune, la forma di esistenza pi diffusa della lavoratrice e del lavoratore moderni. Per riuscire a sopravvivere cos, lumano deve essere flessibile, come suona il titolo di un famoso libro di Sennett.22 Raramente nella storia dellanalisi del lavoro si era giunti a risultati cos convergenti, pur partendo da diverse discipline e da diversi metodi di ricerca. Ma questa singolare convergenza corre il rischio di rivelarsi sterile, se non apre lo sguardo a un nuovo orizzonte. Lanalisi non pu essere fine a se stessa; per saper dire qualcosa a coloro che mettono in gioco la propria esistenza in questa girandola di passaggi, il percorso mentale da intraprendere comincia proprio da quello che nella maggior parte della letteratura disponibile considerato un punto darrivo.
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Una volta assodato che la vita lavorativa oggi una sequenza di passaggi, dobbiamo cercare di capire o, perlomeno, dinterrogarci sul modo in cui questa situazione pu costituire la base di una nuova civilt, ossia di un nuovo sistema di valori, di relazioni e di comportamenti di socialit. Oppure, una volta accertati i danni che una condizione di precariet pu arrecare alla persona, dobbiamo pur cercare di capire quali accorgimenti o quali strategie individuali o collettive le persone, i soggetti intervistati, hanno messo in atto per tutelarsi, per ridurre il danno. Magari non ci hanno nemmeno pensato, magari ci hanno provato e poi rinunciato, ma perch? Incapacit di progettare un futuro e graduale scomparsa dellidea di carriera sono aspetti cruciali, ma non gli unici. Altrettanto rilevante la trasformazione del senso di socialit, perch da questo pu dipendere non solo la capacit o meno dellindividuo di costruirsi delle difese ma il modello di organizzazione sociale nel quale vivremo. Per spiegarci meglio, conviene riprendere il filo del discorso iniziato con la domestication del lavoro autonomo. Immergersi nella solitudine della casa-ufficio significa, da un lato, privarsi della possibilit di un contatto diretto con persone che hanno i medesimi problemi, le medesime aspirazioni, il medesimo modo di vivere; dallaltro, mettersi in una condizione nella quale il contatto con i propri colleghi avviene utilizzando quasi esclusivamente il canale di Internet. Il locus del lavoro ha avuto unimportanza fondamentale nella creazione spontanea di coesione tra persone che si trovavano soggette al medesimo ordine disciplinare. stato possibile sottrarsi a questo ordine, quindi acquisire un maggiore margine di libert, solo insieme con altri, con azioni concertate con altri, coalizzandosi per creare un equilibrio di forze. Quando al luogo unitario della grande fabbrica o del grande ufficio si sostituiscono i mille loci della microimpresa o del lavoro indipendente, il senso immediato di riconoscimento di un proprio simile svanisce; non solo, ma pu svilupparsi un atteggiamento mentale e psicologico per il quale la lavoratrice o il lavoratore credono di acquisire tanto maggiori margini di libert quanto pi individuale il loro percorso e individualistico il loro comportamento. Non si pu parlare di lavoro lasciando da parte il tema della coalizione. Senza coalizione, nel periodo fordista, la forza lavoro non avrebbe mai raggiunto unidentit di classe, senza unidentit come gruppo sociale la classe operaia non avrebbe mai turbato gli equilibri di potere, senza un pericolo permanente di alterazione di questi equilibri non sarebbe mai nata lidea di uno stato sociale, senza un sistema generalizzato di protezione sociale non sarebbe mai na19

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to un modello sociale europeo. Tra il locus del lavoro e un modello di civilt esiste una catena genetica, che passa inevitabilmente per lo stadio della coalizione. Scompare o cambia radicalmente quel luogo, quel dove, e la sequenza sinverte, quel modello di civilt tramonta e ne nasce un altro. Inutile piangerci sopra, andata cos, invece di portare il lutto occupiamoci piuttosto di una fastidiosa eredit che quel modello ci ha lasciato: larchetipo del lavoro a tempo indeterminato.23 questo archetipo a impedire di capire quale nuovo modello di civilt stia nascendo, questo schema mentale a far chiamare atipico, non standard il lavoro normale pi diffuso, su questo frame che si costruita limmagine del precariato. Forse il peso di questo schema mentale che fa trascurare ai ricercatori il tema della coalizione e sequestra il loro interesse condannandolo a occuparsi soltanto delle devianze dallarchetipo. A questo punto per unobiezione potrebbe metterci in imbarazzo. Nel riproporre il tema della coalizione evocando modelli sindacali, non siete anche voi succubi dellarchetipo del lavoro a tempo indeterminato? Organizzazione sindacale, lavoro a tempo indeterminato, modello sociale europeo non sono le pareti di una medesima stanza, i lati di una medesima costruzione? Volete far indossare al lavoro atipico, autonomo, postfordista un vestito che non fatto su misura per lui?

Direzioni sbagliate
Consapevoli di questo rischio, abbiamo costruito una sequenza che non affronta il problema della coalizione partendo dalla storia del sindacalismo operaio o dalle ideologie del socialismo o del comunismo. Ci siamo spostati su un versante diverso e lontano, quello delle ideologie e delle culture che hanno permeato le forme associative della middle class, cos estranee e a volte avverse al modello sindacale. Non la cultura del proletariato ma quella delle lite borghesi che va messa a nudo, se vogliamo capire la direzione che deve prendere oggi una coalizione di lavoratori della conoscenza che svolgono attivit in proprio. Solo in certi momenti eccezionali della loro esistenza i sindacati operai hanno rappresentato effettivamente i colletti bianchi del lavoro dipendente e i freelance delle professioni intellettuali. Ripercorrere la storia del socialismo e del movimento operaio, delle varie correnti che dal ceppo iniziale si sono sviluppate in diverse direzioni, spesso avverse tra loro, non sarebbe servito a nulla per lo scopo principale di que20

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sto libro, che quello di mettere a fuoco il tema della coalizione del lavoro postfordista e in particolare del lavoro autonomo di seconda generazione. Non lideologia che ha creato lidentit di classe tra gli operai quella che ci aiuta a capire la situazione di oggi, ma lideologia che ha creato lidentit borghese, quella che uno degli autori da noi pi citati ha definito il collante della middle class, il professionalismo. A questo tema dedicato il prossimo capitolo. Abbiamo voluto ripercorrere le vicende di un sistema di pensiero che, al pari delle altre ideologie sociali dellOttocento/Novecento, ha avuto i suoi momenti di ascesa e la sua fase di declino, ma non un semplice residuo del passato, ancora unidea di lavoro con molti proseliti, anzi, se ci limitiamo alla situazione italiana, unidea maggioritaria sia presso le professioni riconosciute dallo stato ma questo comprensibile sia presso le professioni non regolamentate, riuscendo a condizionarne i modelli associativi e mettendo unipoteca su contenuti e forme della coalizione e questo meno comprensibile. Poich siamo convinti che questa ideologia sia stata consumata dal tempo e superata dalla nuova organizzazione del lavoro di conoscenza, riteniamo che anche i modelli associativi da essa ispirati non corrispondano alle reali esigenze di tutela dei freelance e portino alla creazione di organizzazioni di rappresentanza dove sono dominanti i processi di esclusione. Invece proprio il vuoto di coalizione e di rappresentanza del lavoro postfordista in generale, e in particolare della componente compresa in quella che abbiamo definito la zona grigia (contratti atipici, partite Iva, imprenditori con un dipendente) a rendere inderogabili forme associative con alto livello dinclusione. Sono queste le considerazioni che ci portano a dare un valore speciale alla comunicazione per collegamento remoto. Internet non soltanto la moneta corrente delle transazioni comunicative, un come e un dove di cui vanno valutati con molta attenzione limiti e opportunit, perch, a seconda che si sappia superare i limiti e approfittare delle opportunit, contenuti e senso della coalizione possono cambiare radicalmente, possono venire a vantaggio dei lavoratori della conoscenza o chiuderli in una trappola. Internet il nuovo locus del lavoro di conoscenza; gli immensi capannoni della fabbrica fordista che racchiudevano e sorvegliavano migliaia di operaie e di operai, luoghi di sofferenza ma anche di solidariet, di unione, di conflitti, sono sostituiti oggi da questo dove percorso da milioni di transiti. Docente di diritto allUniversit di Trento, Riccardo Salomone ha scritto il testo pi recente ed esaustivo sulla posizione delle libere professioni intellettuali nellordinamento giuridico ita21

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liano e sulla ricca e controversa giurisprudenza che a vario titolo si pronunciata sulle competenze dello stato e delle regioni in materia di libere professioni, sulla natura degli ordini e dei collegi, ma soprattutto sui problemi sollevati dalliniziativa comunitaria di liberalizzazione delle professioni e di tutela della concorrenza, sulla quale torneremo in seguito pi estesamente. Lanalisi puntuale di Salomone rileva in continuazione una serie di incongruenze che confermano il nostro giudizio critico nei confronti di certi modelli associativi, in particolare quando vengono indicati come la migliore forma di coalizione delle professioni non regolamentate:
Da oramai pi di un decennio, ordini e collegi attraversano una fase critica, in conseguenza di fattori diversi [...] molte delle funzioni originarie di ordini e collegi si sono perse nel tempo bastino alcuni esempi: la valorizzazione dellappartenenza al gruppo e la promozione della professione, la funzione di addestramento dei pi giovani e lidea di una formazione permanente dei singoli membri oppure si sono trasformate in un ostacolo alloperare in concreto dei principi della tutela e della libert dei singoli, oltre che di una societ aperta. Per paradosso, i tempi a noi pi vicini hanno offerto il dato di una crescente moltiplicazione di albi e di registri, costruiti a misura dei diversi operatori economici, anche in relazione a professioni, per cos dire, lontane dal modello tradizionale. Un dato, questo, che ha costituito un fattore evidente di crisi della categoria, con una sorta di polverizzazione delle attivit professionali in una molteplicit di sottosistemi autoconclusi ai cui margini, oltretutto, le spinte al riconoscimento da parte dello stato aumentano ulteriormente [...] queste vicende pongono bene in luce, oltre al resto, il progressivo scollamento tra libere professioni intellettuali e protezione legale delle stesse attraverso norme e principi di diritto pubblico.24

Le incongruenze nellordinamento giuridico delle professioni intellettuali sono riconducibili non tanto a una carenza dottrinale quanto a una continua erosione di alcuni principi fondamentali dellidea tradizionale di lavoro professionale, dovuta alle trasformazioni del modo di produrre servizi nella societ postfordista. Scegliere di coalizzarsi adottando i modelli associativi prodotti dal professionalismo significa rischiare di restare intrappolati in queste incongruenze, stante la cronica incapacit dello stato italiano di riformare i propri ordinamenti. Se alla fine del percorso tracciato nei prossimi capitoli potremo dichiarare la nostra preferenza per modelli associativi che rientrano nellordine simbolico del sindacato, non sar certo perch siamo vincolati allarchetipo del lavoro a tempo indeterminato, ma al contrario
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perch ragioniamo su una realt del lavoro che ha mandato in frantumi figure idealtipiche e schemi concettuali, lasciando sul terreno una variet di situazioni esistenziali le quali, tuttavia, hanno poche ma ben consistenti cose in comune, anche se gli uni lavorano con partita Iva, gli altri sono collaboratori a progetto e altri ancora sono imprenditori con uno o due dipendenti. Sono due-tre cose essenziali, come previdenza, assistenza, manutenzione e accrescimento del capitale umano, la base su cui si pu costruire una coalizione, come abbiamo cercato di illustrare nel capitolo dedicato alle conseguenze indirette dellattuale crisi e ai carenti sistemi di previdenza e assistenza che non tutelano in alcun modo i nuovi lavoratori autonomi.

Strade a uscita incerta


Ma unorganizzazione sindacale gi esiste, perch rendere le cose difficili e volersi avventurare in modelli associativi separati? I sindacati dei lavoratori in Italia e non solo hanno dimostrato recentemente di volersi prendere a cuore i problemi delle professioni. Perch non aderire a questi richiami e seguire un percorso molto pi lineare, quello della trasformazione del modello europeo di stato sociale in un nuovo tipo di configurazione pi aderente ai bisogni delle nuove figure professionali? Perch non cercare di avere pi peso nei sindacati esistenti in modo da renderli pi attivi sul piano della progettazione di una flexicurity? Sono i sindacati a sedere ai tavoli delle istituzioni europee: come pu pensare un gruppo appena nato, non riconosciuto, di trovare ascolto e di poter influire sulle decisioni? Il terzo capitolo di questo libro dedicato al lavoro subordinato, prendendo a esempio tre paesi, la Germania, gli Stati Uniti e lItalia. La ragione per cui abbiamo ritenuto di dover introdurre un capitolo sul lavoro dipendente in un testo dedicato al lavoro indipendente sta proprio nel giudizio che riteniamo si possa dare del ruolo del sindacato oggi. Negli ultimi ventanni in tutti i paesi il sindacato dei lavoratori ha incontrato grandi difficolt a difendere loccupazione. Questo stato il suo compito primario, arginare lemorragia di posti di lavoro e favorire loccupabilit delle persone. In Italia ci avvenuto difendendo a denti stretti alcuni articoli dello Statuto dei lavoratori, in particolare larticolo 18, ma soprattutto reggendo in piedi, a costo di un salasso dei conti previdenziali, la cassa integrazione, della quale si esteso il campo dapplicazione (Cig in deroga) e al cui interno si prediligono i regimi pi generosi.25 Pi che ammortizzatore sociale
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una forma di finanziamento pubblico allimpresa, visto che senza la cassa integrazione il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe di due-tre punti percentuali superiore. Che cosa hanno concesso in cambio i sindacati? La flessibilit dei rapporti dimpiego, in sostanza i contratti atipici. La coalizione dei lavoratori autonomi, e in particolare dei freelance della creativit e della conoscenza, vuole offrire un terreno dincontro anche ai lavoratori con contratti di collaborazione, figure miste che stanno a met tra la subordinazione e lindipendenza. Come si pu pensare che i loro interessi vengano rappresentati da quelle stesse organizzazioni che hanno autorizzato a piene mani la loro precariet? In effetti, al di l delle dichiarazioni dintenti, al momento attuale nessun sindacato ha ancora sviluppato un metodo specifico di tutela di queste figure sul luogo di lavoro, che sia praticabile senza il ricorso alla magistratura. Oggi un sindacato del precariato non esiste, esistono organizzazioni sindacali di assistenza legale al precariato e di consulenza fiscale, ma non sono state pensate n tecniche di negoziazione n tecniche di pressione. Solo nellarea dei contratti atipici che rientrano nella fattispecie del lavoro subordinato sono state sviluppate azioni di contrattazione di condizioni salariali e di continuit del rapporto di lavoro. Ma quegli 1,17 milioni di persone che, secondo la stima Isfol, nel 2008 lavoravano con contratti di collaborazione non hanno un sindacato che li protegga. Inoltre, se pur vero che gli atipici con attivit lavorativa di tipo subordinato hanno potuto sperimentare azioni sindacali di tutela dei loro interessi, sono stati molto pi frequenti i casi di negoziati che prevedevano lingresso massiccio di contratti atipici in aziende dove di fatto i sindacati hanno autorizzato listituzione di un doppio regime lavorativo, uno riservato al core manpower che gode dei diritti fondamentali e laltro riservato a rapporti di lavoro non standard esclusi da quei diritti e dalle prestazioni a essi collegate. In questo modo i tassi di disoccupazione ufficiali hanno potuto mantenersi contenuti e in certi periodi del nuovo millennio diminuire, ma il prezzo stato quello di creare unarea sempre pi vasta di working poors, come vedremo quando parleremo del caso tedesco. Il problema che abbiamo voluto porre nel terzo capitolo non riguarda la componente non standard del lavoro, riguarda proprio larchetipo del lavoro a tempo indeterminato. qui in sostanza che si rotto ogni argine allintensificazione del lavoro, sia in termini assoluti, come orario di presenza, sia in termini relativi come carico medio di lavoro per dipendente, in particolare nelle mansioni da colletto bianco che richiedono specifiche competenze. Il tutto in un quadro di deterioramento dei rappor24

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ti umani con la gerarchia aziendale. da questi ambiti che il sindacato sparito e compare soltanto, a tratti, quando si tratta di medicalizzare il disagio. Anche se certi diritti fondamentali del lavoratore dipendente in quanto cittadino sono stati mantenuti, sul luogo di lavoro, e in particolare per i colletti bianchi che svolgono mansioni intellettuali, il potere discrezionale del management diventato man mano assoluto, spinto ai limiti della tollerabilit. A eccezione delle pubbliche amministrazioni, ma non sempre. Il sindacato scomparso da questi ambiti della condizione lavorativa sia per una sistematica azione antisindacale del management, sia per sua scelta, sia perch viene tenuto lontano da uno strato di colletti bianchi completamente succube alle direzioni aziendali e terrorizzato dallidea di perdere il lavoro e lo status di ceto medio.26 Pertanto lambiente di lavoro dei knowledge workers del postfordismo con rapporti di lavoro a tempo indeterminato ha gi azzerato il modello sociale fondato sulla contrattazione tra le parti. La stabilit dellimpiego viene pagata con laccettazione di una completa discrezionalit delle scelte manageriali. Si pu dire che sempre stato cos, e in parte vero, ma non si pu negare che il clima nei grandi complessi aziendali sia cambiato e che nei luoghi di lavoro anche pi prestigiosi si sia insinuata la paura. La situazione italiana presenta delle specificit che non si riscontrano altrove; se vero che la tutela dellarticolo 18 contro i licenziamenti ancora tra le pi solide in Europa, va detto che ormai i lavoratori dipendenti che godono di questa copertura sono una minoranza. LItalia che lavora alle dipendenze sta nella piccolo-media impresa, nella microimpresa, dove i rapporti informali quasi sempre sostituiscono i rapporti negoziati tramite sindacato. La vera dbacle sindacale si avuta con gli accordi del luglio 1993, in virt dei quali la contrattazione aziendale quella che per sua specifica funzione interviene sulle forme di organizzazione del lavoro e sulle pratiche di gestione delle risorse umane praticamente scomparsa. Pur essendo in vigore in vari paesi, come Stati Uniti, Germania e Italia, regimi di relazioni industriali completamente diversi, potremmo dire che nel postfordismo la componente del lavoro dipendente rimasta pi scoperta dal punto di vista sindacale stata quella dei lavoratori della conoscenza, che esercitano mansioni paragonabili ai servizi offerti dai freelance delle professioni non regolamentate. Non ha senso quindi che i lavoratori indipendenti si rivolgano ai sindacati esistenti per ottenere tutele che non sono state assicurate nemmeno ai dipendenti a tempo indeterminato. A maggior ragione nella situazione italiana dove, lo vedremo meglio nei capitoli sui problemi previdenziali e sul giusto
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compenso, latteggiamento prevalente nelle organizzazioni sindacali, come Cgil, Cisl e Uil, quello di chiedere un ulteriore aggravio del peso contributivo degli autonomi che operano con partita Iva. Quale operaio si iscriverebbe a un sindacato che gli vuole tagliare la busta paga? Anche sul tema della flexicurity poco credibile che le organizzazioni sindacali esistenti sul piano europeo si muovano in fretta, assumendola come una priorit, perch, in una situazione di drastica riduzione delle risorse pubbliche e di orientamento politico di centrodestra, una riforma dei sistemi di sicurezza sociale potrebbe essere finanziata solo con lo spostamento di risorse dalle prestazioni previste per i lavoratori che costituiscono il maggior numero di iscritti al sindacato ai lavoratori con contratti atipici o autonomi, che non brillano certo per la loro adesione al sindacato. Inoltre, e questo forse il punto pi importante, nessuna riforma di vasta portata viene avviata in una fase di passivit dei soggetti che dovrebbero esserne i beneficiari. Se questi non alzano la voce, se non prendono essi stessi in mano il loro destino, se non sono loro stessi a definire il tipo di esigenze e bisogni che dovrebbero essere tutelati, a determinare i meccanismi di erogazione delle prestazioni, a delineare progetti di autotutela o di sviluppo del capitale umano, a indicare la dannosit di determinate procedure burocratiche e a respingere lingerenza di certi apparati amministrativi, in definitiva a scrivere lagenda della flexicurity, una riforma non vedr mai la luce, o sar lennesimo espediente per ingrossare apparati parassitari.

Pensare a se stessi
Lidea di coalizione che si sta lentamente diffondendo nellarea del lavoro autonomo a elevate competenze specialistiche molto diversa da quella che negli ultimi decenni ha caratterizzato il lavoro dipendente nei suoi rapporti con il sindacato. Anche nella concezione della coalizione c lo stesso desiderio di essere padroni di se stessi che ha determinato la scelta professionale. Non c fiducia nella delega e non c, al fondo, fiducia negli assetti istituzionali della negoziazione per il semplice fatto che il lavoro autonomo non mai entrato nel sistema delle relazioni industriali n nel diritto del lavoro. C infine, come fattore generazionale, la convinzione che non ci sono n ci saranno prestazioni assistenziali e previdenziali pubbliche tali da consentire anche in vecchiaia il mantenimento dello status sociale acquisito con il proprio lavoro indipendente, se non per la capacit o
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meno di aver accantonato risorse private. Sentimento, questo, che avvicina molti lavoratori autonomi alla vasta schiera del precariato e al mondo giovanile in genere. Questo atteggiamento mentale porta il lavoratore autonomo ad avere fiducia solo nelle coalizioni che portano avanti istanze specifiche alla sua attivit lavorativa e ci spiega in parte il persistere della larga adesione ad associazioni professionali che ricalcano il modello delle gilde medievali. Il timore sempre crescente di non poter attingere a prestazioni universali in grado di consentire il mantenimento dello status sociale acquisito induce infine a vedere nella coalizione una forma (forse sarebbe meglio dire una speranza) di mutuo soccorso. Ma su questo piano c un altro aspetto molto importante, che quello dello scambio dinformazioni e di accesso a una rete di contatti che possano trasformarsi in tante occasioni di progetti da offrire sul mercato. La realt associativa anche uno strumento di promozione, termine questo che nellopinione comune viene associato alle campagne di vendita dei supermercati e pertanto considerato con disprezzo, ma che nella vita quotidiana del lavoratore indipendente vuol dire semplicemente attivit per superare il precariato dei lavori intermittenti. Certamente pi difficile riscontrare nel lavoratore indipendente il senso di appartenenza a unorganizzazione mentre molto pi radicata la convinzione che lassociazione devessere essenzialmente un centro di servizi. Anche questi aspetti per non sono caratteristiche innate in una determinata figura del mondo del lavoro, ma propriet del tempo storico in cui ci troviamo, un tempo nel quale lidentit di gruppo si sta consolidando a poco a poco. Nei paesi anglosassoni ormai un dato acquisito che essere un freelance significa essere qualcosa di ben definito e identificabile nello spazio pubblico, con tutto il contorno di orgoglio identitario che questo significa. In Italia siamo agli inizi e prevale lappartenenza alla piccola corporazione piuttosto che allorganizzazione trasversale. Il fare da s quindi pervade tutta lidea di coalizione ed qualcosa di profondamente estraneo alla delega della rappresentanza degli interessi che ha caratterizzato il rapporto tra iscritti e sindacato dei lavoratori tradizionale.27 Anche perch al fondo c una differenza importante: il lavoratore dipendente ha dei parametri per sapere se il suo salario giusto o iniquo sono i parametri offerti dai contratti nazionali e da eventuali norme che fissano per legge un salario minimo di settore. Il salario dunque qualcosa di oggettivo, una grandezza che trova rispondenza in un ordinamento pubblico, gli scostamenti in pi o in meno sono oggetto di conflitto e/o negoziato tra le parti. Per il lavoratore indipendente la sua retribu27

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zione un elemento molto soggettivo perch una grandezza che dipende dalla sua offerta, cio da un suo gesto di mercato che costituente del rapporto con la controparte, ed una grandezza desunta da una serie di variabili che mutano a ogni nuovo rapporto di lavoro e sono costituite dalle diverse voci di costo che il lavoratore autonomo deve imputare alle attivit indispensabili allesercizio della sua professione e del compito specifico che gli viene assegnato. Nel quotare una sua prestazione, il freelance deve saper fare un bilancio di previsione, cio qualcosa di molto diverso dal calcolo di un bisogno esistenziale. La percezione del suo guadagno non ha nulla a che fare con lequilibrio salario/consumo proprio dellamministrazione esistenziale del lavoratore dipendente. Perci se il sindacato del lavoro dipendente ha come suo compito principale quello di governare il salario, lassociazione dei lavoratori autonomi avr tra i suoi scopi principali quello di aiutare il socio a fare previsioni di bilancio possibilmente corrette. Per questo abbiamo inserito un corposo capitolo su quanto farsi pagare. Le cosiddette tariffe di mercato riguardano soltanto una parte delle professioni non regolamentate, e in questi casi lassociazione dovr sorvegliare che non subiscano ribassi, lanciare un allarme quando ci avviene e dovr chiedere ai soci limpegno morale a non praticare comportamenti da dumping. Per il lavoratore dipendente la retribuzione in genere qualcosa di estraneo alla sua volont, risultato di un negoziato tra le parti, che spesso avviene sopra la sua testa, o di un atto dimperio dellazienda. Per il lavoratore autonomo la retribuzione dipende in buona parte da lui stesso (anche se alla fine il committente a dire lultima parola) perch si configura essenzialmente come un fatto relazionale. Fare da s (persino nellambito retributivo) diventa quindi la disposizione danimo fondamentale del lavoratore indipendente. Ci pu portare alla negazione dellidea di coalizzarsi con altri (e purtroppo la letteratura sui freelance dominata da questa versione), lidealtipo del freelance sarebbe quello che riesce a farcela solo con le proprie forze, anzi, pi concentrato sulla propria solitudine, pi il successo gli arride. Noi siamo contrari a queste rappresentazioni convenzionali, le troviamo stucchevoli e insulse, non a caso abbiamo dedicato un capitolo allimmagine del lavoro autonomo che i media sono soliti trasmettere. Pensiamo che sia meglio cambiare registro e cercare di mettere a fuoco piuttosto la condizione esistenziale dei freelance in rapporto al loro contesto tipico di lavoro, che pu essere, certo, anagraficamente, la casa-ufficio, ma dal punto di vista del senso di socialit e della percezione del rischio i due fattori principali di
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spinta verso la coalizione il web. Il rischio lavorativo ha cambiato natura e il freelance il primo ad averlo capito, puntando su sistemi aperti di condivisione del sapere via Internet, dal quale trarre nuovi spunti di crescita personale, ma soprattutto di coalizione e lotta nella rivendicazione sociale di un nuovo spazio di incontro.

I diversi confini del rischio


La prima volta che Gnther Anders, filosofo tedesco di origine ebraica e marito di Hannah Arendt, costretto a emigrare negli Stati Uniti in tempo di guerra, scrisse a Claude Eatherly, pilota di uno dei sette B-29 che parteciparono alla missione dellEnola Gay, chiedendo la ragione per cui avesse scaricato la prima bomba atomica su Hiroshima e da dove avesse tratto forza e motivazione per fare una cosa del genere a un popolo che non aveva mai frequentato sapendo gli effetti che avrebbe prodotto, questi non rispose, sorpreso dalla domanda. Passarono gli anni, ma quando nel corso di unintervista a un giornale chiesero allo stesso pilota che cosa avrebbe potuto rispondere ad Anders, dichiar: Nothing, that was my job.28 Niente, era semplicemente il suo lavoro. Come spiega Umberto Galimberti, che ha ricordato questo aneddoto,
in altre parole si considerava un buon pilota perch sapeva quando e come il bottone doveva essere schiacciato. Ci che gli si richiedeva era soltanto una competenza tecnica. Quello era il suo lavoro, di altro non era responsabile.29

Era quanto richiesto nellesecuzione, sotto comando, di un compito deciso e codificato altrove, da chi ha imposto questo lavoro reso possibile dalla tecnologia e dal pulsante da schiacciare la mattina del 6 agosto 1945. un caso limite, certamente, ma apre uninteressante questione che tocca da vicino la distinzione tra subordinazione e autonomia, portando le tecnologie in primo piano. Galimberti poneva il problema in questi termini:
La parola lavoro, cos carica di considerazioni positive, nellet della tecnica molto pericolosa, perch limita la responsabilit alla buona esecuzione degli ordini senza alcuna considerazione sugli effetti della propria azione.

Il lavoro alle dipendenze stato certamente rivoluzionato dalluso della posta elettronica e delle tecnologie informatiche,
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ma pi in generale dallingresso delle macchine pensanti nella catena di produzione, e ha modificato radicalmente le relazioni di forza tra lavoratori. Oggi c il comando, lazione che prevede una responsabilit e che va oltre le macchine e i capitali, e ci sono i comandi, ovvero quelle strumentazioni principalmente elettroniche, in mano oramai a quasi tutti i lavoratori dellimpresa moderna, per eseguire compiti e costruire il valore in una catena che coinvolge sempre di pi forza lavoro cognitiva e operai dei dati. Qui si nascondono i nuovi Claude Eatherly delle aziende moderne, che alienano la propria individualit per rispondere alle necessit del software dimpresa, per costruire efficaci azioni di marketing digitale, commercio elettronico, finanza virtuale. Levoluzione delle relazioni di forza e la possibilit per il lavoratore di cancellare la propria responsabilit negli anfratti della realt e dei comandi digitali sembrano trovare oggi nuovi spazi, in particolare nel luogo senza frontiere che diventato Internet. Quando la Bnl fu coinvolta nello scandalo della fornitura di armi a Saddam Hussein, chi lavorava in quella banca era colpevole? Evidentemente no. E chi fino a pochi momenti prima della notizia di questo affaire aveva negoziato azioni di quellazienda, magari attraverso il trading online? Anche per loro bisogna dire di no? E quando investiamo soldi in Borsa, siamo responsabili degli scopi finali delle industrie che finanziamo? Oggi siamo portati a dire di no perch la tecnica ci obbliga a occuparci soltanto del rapporto tra investimento e relativo profitto. L finisce la responsabilit. Cos come finisce l, nel pulsante schiacciato, la responsabilit di chi opera senza coscienza sotto comando altrui. Non vi nulla di nuovo rispetto al marxiano antagonismo fra esistenza ed essenza, tra oggettivazione e autoaffermazione, tra libert e necessit, tra individuo e specie. Soltanto che oggi abbiamo i database relazionali, la business intelligence, i call center con archivi di risposte predefinite, i sistemi di picking elettronico dei prezzi sulle scatole di cartone, i brand book con le regole di comunicazione aziendale, le comunicazioni di servizio trasmesse via e-mail, i Kpi (Key Performance Indicator) per misurare i risultati del lavoro digitale. Oggi pi facile cancellare la propria responsabilit personale dietro pulsanti e comandi vocali, e pi in generale costruire catene del valore che, al posto delle presse, degli utensili o dei forni mettono computer, dispositivi mobili, transazioni elettroniche e attraverso questi inventano nuove metafore del lavoro, nuove formule astratte per rimuovere la soggettivit individuale e collettiva e circoscrivere il lavoro a compiti, quasi si trattasse di un semplice mansionario
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privo di responsabilit finali, allinsegna di una completa deresponsabilizzazione di quanto realmente si sta facendo. Claude Eatherly in definitiva fu responsabile delleccidio di Hiroshima, s o no? Come ha spiegato Jacques Derrida alla fine del secolo scorso,30 veramente responsabile soltanto chi risponde delle proprie azioni: per chi lavora sotto comando non si tratta di vera responsabilit poich questa esiste soltanto l dove non vi sono soluzioni predefinite e bisogna inventarle. La responsabilit si esprime con gesti che mettono in chiaro la genesi di una nuova strada, la creano e definiscono una scelta senza ragione. Lopposto la semplice discrezione, la capacit di distinguere tra opzioni, scegliendo la migliore, oppure, come accade nellepoca della tecnica, schiacciando il giusto pulsante. vero, oggi il lavoro sotto comando sempre pi deregolato, affidato in particolare nel settore del terziario a piccoli team interni alle imprese che assumono forme a geometria variabile,31 includendo personale alle dipendenze, lavoratori atipici se non addirittura in staff leasing, ovvero lavoratori che hanno forme contrattuali molto diverse. Le distanze intersoggettive sono minori nellassegnazione dei compiti, affidati direttamente via e-mail, ma nonostante queste metamorfosi lente e graduali il lavoro alle dipendenze mantiene un elemento forte che si radica nel vincolo di subordinazione: la possibilit di rispondere sempre, in termini astratti: Nothing, that is my job!, evitando lo scontro diretto con il problema della responsabilit e del rischio. I pulsanti che si possono schiacciare allinterno di unorganizzazione strutturata, per quanto questa sia disarticolata, sono pur sempre identificabili e codificati nei processi e nel disegno dei ruoli. Tutto questo non accade, invece, nel mondo del freelancing, in cui il lavoratore autonomo non pu mai giustificare le proprie scelte additando qualche ragione di ordine superiore, perch lo ha voluto un capo, un dirigente che ha dato una determinata linea dazione. Sebbene non definisca gli obiettivi, se non quando ha per compito proprio questa attivit, il lavoratore autonomo deve sempre giustificare il contenuto di quanto prodotto e in questo non mai sostituibile a se stesso. Non gioca in un ruolo che possa essere occupato da pedine diverse sulla scacchiera, i piloti degli altri sei B-29, perch il freelance vola quasi sempre in solitaria ed compito suo, senza che qualcuno glielo comandi, centrare il giusto bersaglio nel modo in cui ritiene pi opportuno. Fuor di metafora, chiaro che la cessione delle responsabilit che le relazioni di lavoro autonomo implicano porta inevitabilmente con s anche la cessione esplicita dei rischi, una consegna che
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fa convivere ansia e libert, paura per il futuro, ma discrezionalit rispetto ai mezzi e alla tecnologia da usare e ai pulsanti da schiacciare. Il lavoratore indipendente non ha prospettive di impiego di lungo termine n rigidit nei processi di produzione o gerarchie da rispettare, ma paga con un prezzo molto salato queste libert, assumendosi la piena responsabilit di ci che fa e il rischio legato ai mezzi e ai costi di produzione. La paga con lingresso, volontario o involontario, in un regime flessibile di accumulazione del proprio reddito e alla determinazione non facilmente programmabile di un patrimonio, che non fanno pi capo alla negoziazione collettiva (sindacale) con cui finora la societ occidentale ha cercato di ridistribuire la ricchezza. Il freelance al centro di una metropoli globale, in cui le istituzioni finanziarie spostano agilmente denaro e diritti, le imprese multinazionali delocalizzano produzioni e propriet, oltre al controllo e alle responsabilit, e il modello toyotista di produzione del valore vede nelleccesso di risorse un semplice spreco da tagliare. Il rischio che si assume di operare negli interstizi della produzione moderna accettando come unico luogo di lavoro quello indeterminato della conoscenza. Lalta intensit di lavoro qualificato deve controbilanciare la bassa richiesta di ripetitivit, di lavoro esecutivo e, di conseguenza, di capitale fisso. Al lavoratore autonomo si chiede di trovare il nuovo senza trasformarlo in investimento in conto capitale, ovvero in un prodotto finito da riprodurre in serie o alienare nella sua ripetizione. Questo il rischio principale: confermare il proprio saper fare variando lopera ogni volta, esponendo cio la propria conoscenza alle continue metamorfosi produttive senza poter contare sulla rendita di posizioni che da sole tutelano la certezza di un reddito. Oggi sempre pi chiaro come la tecnologia non sia per nulla estranea a questo processo.

Sostanza tecnologica del vivere


Nelleconomia della conoscenza, il sapere e il lavoro qualificato si incorporano nelle reti informatiche e sono fatti circolare tra network personali o sociali, superando barriere geografiche, scardinando quei sistemi di accumulazione di tipo proprietario che consentono rendite su scala crescente, tipici del modello fordista. La conoscenza si produce con la raccolta di conoscenza e per mezzo di altra conoscenza, diffusa apertamente sempre di pi via web. I sistemi chiusi del sapere, gli ordinamenti che delimitano la conoscenza a quanto raccolto in
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tomi con migliaia di pagine, custoditi gelosamente su scaffali di studi professionali, si scontrano sempre pi con processi informali di condivisione, con depositi di conoscenza distribuiti online, con archivi di informazioni in base ai quali rimodellare la propria preparazione. Il prodotto iniziale, e la materia prima del lavoro cognitivo dei professionisti indipendenti che operano nelleconomia della conoscenza, lelaborazione di queste informazioni e del patrimonio di sapere tacito gi accumulato. Le tecnologie, Internet e oggi tutte le reti sociali che vanno da Twitter a Facebook, passando per i blog personali e i social media, sono i mezzi che consentono di avvicinare la cultura sociale (che include capacit relazionali e saperi condivisi), la conoscenza produttiva e il proprio capitale biografico, ovvero quel bagaglio di esperienze e vissuti che rende unico il soggetto che entra nel gioco della comunicazione sociale. Il web la vera sostanza liquida dove i nuovi lavoratori della conoscenza trovano un habitat plasmabile, opportunit di legami deboli, vetrine dove esporre qualcosa di s, e perfino strumenti liberi e nuovi mercati di scambio, dove portare manodopera anche e soprattutto digitale. Questo lhanno capito i venture capitalist, che vedono nel segmento dei freelance un potenziale enorme sul web. Nel solo primo trimestre del 2010 i primi dieci marketplace dedicati ai freelance hanno investito oltre 60 milioni di dollari, raggiungendo in tre mesi oltre 150.000 utenti iscritti e 50.000 imprese o individui che hanno utilizzato questi siti per reclutare forza lavoro. In testa ci sono Elance e oDesk, con il 70 per cento del fatturato di questi servizi e a seguire portali come Guru.com, nato nel lontano 1998, Freelancer.com, iFreelance.com, vWorker.com (ex RentACoder) o linglese peopleperhour.com. Tutte realt in espansione fortissima, che fatturano fino a 260 milioni di dollari allanno, come nel caso di Elance. In Italia sono appena arrivati neoLancer.it e la tedesca Twago ad affiancare Link2me.it. Qui freelance e imprese cercano accordi, formulano proposte, propongono progetti, in un terreno che ha pi le connotazioni di un mercato rionale, piuttosto disordinato, ma di qualit, che unasettica sala riunioni di una multinazionale. Ma anche senza entrare in questi spazi dove, ricordiamolo, la logica dello scambio include la guerra dei prezzi (al ribasso), un mark-up per il servizio e, come raccontiamo a margine della nostra analisi sul giusto prezzo, anche la riduzione del lavoro a cottimo o il monitoraggio sui tempi desecuzione il web offre una sterminata serie di strumentazioni per il lavoro cognitivo di tipo individuale e di gruppo. Si va dal time management, a dizionari, si33

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stemi di traduzione lessicale, tool gratuiti per la scrittura, il calcolo elettronico, la pubblicazione online, limpaginazione di documenti, la comunicazione integrata, la programmazione, lecommerce e altro ancora.32 Grazie a questi strumenti e in questi nuovi ambienti online di scambio si trova terreno fertile per mettersi in gioco e trovare forme relazionali in linea con la natura stessa dei processi postfordisti, che richiedono tra le caratteristiche principali proprio le conoscenze, la capacit di linguaggio, la fiducia, relazioni spesso informali, lassenza esplicita di gerarchie e regole strette, e la voglia di scommettere sullapprendimento partecipativo. Non un caso che gran parte dei tentativi di sottrarsi al degrado del lavoro dipendente, alla dimensione silenziosa del lavoro presso grandi organizzazioni strutturate, come per esempio la pubblica amministrazione, trovi sfogo proprio nelluso intensivo dei social network o della Rete. Oppure nel ghost working o nelle attivit indipendenti in qualit di moonlighter.33 Il tradimento di Bradley Manning, il soldato che ha passato i file a Julian Assange perch li pubblicasse su WikiLeaks, ha tutti i connotati di una desacralizzazione del ruolo del civil servant, la ribellione del lavoratore sotto comando che da passacarte vuole aprire il sapere al mondo intero, rompendo i vincoli pi stretti e segreti di ogni organizzazione e gerarchia formale. Il degrado trova una riabilitazione nella democrazia elettronica in questo caso, ma pi in generale si pu dire che il postfordismo cerchi nuove strade per mettere in mostra il sapere, la vita personale, cognitiva, affettiva e relazionale dei cittadini e dei lavoratori e sembra trovare nella dimensione della comunicazione digitale un alleato formidabile. La stessa acquisizione di nuovo sapere passa sempre di pi da qui. Consumi culturali, autoapprendimento, attivit di socializzazione, iniziative politiche, nel senso pi ampio del termine, passano dal mondo delle tecnologie. Tutto questo materia prima dei knowledge workers, ed ci che le imprese pi grandi stanno cercando di incorporare con meccanismi di appropriazione che partono dallallargamento delle reti Intranet o dal loro ridisegno in chiave sociale. Per rendere pi snella, modulare, interconnessa limpresa, oggi si tende ad aprire le organizzazioni verso lesterno, ma la vera grande rivoluzione che le tecnologie sembrano avere portato nel mondo del lavoro soprattutto quella per gli individui e la loro capacit di ricomporre reti, coalizioni, gruppi di interessi che prescindono da istituzioni gi organizzate o preesistenti alle attivit sociali via web. tra queste due spinte una individualizzante e orientata a portare allo scoperto il lavoratore nelle sue capacit
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relazionali, ma anche a esporlo a dinamiche di isolato attivismo, e laltra contrapposta, ovvero aggregativa, che ricompone gli interessi e il sapere sociale e le coalizioni che si inserisce il lavoratore professionale autonomo. In Rete trova oggi humus fertile per lapprendimento permanente, la costruzione di una digital identity e di un network professionale e, in definitiva, la sua sopravvivenza nello stesso mercato del lavoro. I LinkedIn, Viadeo e Xing di turno sono soltanto una riduzione codificata: le possibilit e la rapidit di costruire reti superano di gran lunga questi sistemi o i sette gradi di separazione che ci mettono in relazione con chiunque. Oggi se vuoi parlare con Obama, puoi scrivere sul sito della Casa Bianca. A questa accelerazione dei meccanismi di relazione si aggiungano anche due elementi di grande rilievo: la possibilit di trovare direttrici personali per creare e rinforzare la propria conoscenza, non necessariamente allineata ad alcun sapere certificato, ordinistico o professionalistico, e labbassamento dei costi produttivi per chi realizza opere intellettuali in autonomia. Bastano due esempi per chiarire. Oggi uno sviluppatore di siti web pu imparare a programmare in un qualsiasi linguaggio open source con una semplice infarinatura di base che assimila al primo anno di un corso universitario a indirizzo informatico, se non addirittura nelle scuole superiori. Lesperienza certamente ben altra cosa, ma la certificazione di questo sapere non ha bisogno di un albo. Sul versante degli strumenti, poi, le cose sono ancora pi rivoluzionarie. Fino a dieci anni fa la realizzazione di portali informativi complessi doveva basarsi su piattaforme proprietarie del costo di svariate centinaia di migliaia di euro. Oggi le stesse cose si possono fare con sistemi open source gratuiti e alla portata di singoli lavoratori indipendenti. La piattaforma Vignette costava quasi 200.000 dollari: stata spazzata via da Wordpress, Joomla e Drupal, con cui sono fatti l80 per cento dei blog e minisiti al mondo, oggi installati anche da utenti semianalfabeti dal punto di vista informatico. Se si vuol sperimentare un ambiente server in casa, ci sono piattaforme libere da scaricare via web; se si desidera evitare di pagare gli strumenti per ufficio di Microsoft c qualcosa di simile, ma gratuito e se si preferisce non acquistare costosi strumenti software c perfino il torbido mondo del file sharing. Nel bene o nel male, il rischio a cui sono esposti i lavoratori autonomi, come si intuisce, reso meno elevato dalla disponibilit di strumenti e tecnologie condivise, aperte, oppure a basso costo. Almeno sul fronte della produttivit individuale. Lammortamento di questi investimenti non un peso insopportabile che si potevano
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permettere soltanto le imprese orientate al profitto. Se anche un freelance non sa come pagarsi una pensione, non ha certo il problema di crearsi una casella di e-mail per comunicare, cercare informazioni pubbliche, costruirsi un sito dove riportare anche soltanto pochi banali dati personali e professionali. Il passo per uscire dallinvisibilit breve, unopportunit e al tempo stesso una scelta pericolosa secondo vecchie logiche di cooptazione, affiliazione o protezionismo lavorativo. Espone alla molteplicit di relazioni, mostra la vita del lavoratore nel suo complesso e non soltanto nella parte che interessa la domanda. Alcuni recruiter americani dichiarano candidamente di scartare gran parte delle persone preselezionate dopo avere visitato il loro profilo su Facebook. Perch allora mettere online se stessi, portare su un blog il proprio sapere? Affrancarsi da ruoli codificati allinterno di organizzazioni strutturate? Semplice, per guadagnare nuova fiducia e costruire quella soggettivit che possa esprimere al meglio il proprio potenziale biopolitico. Lo racconta molto bene Alberto DOttavi, giornalista professionista che negli ultimi dieci anni ha modificato la sua occupazione, passando per ben due volte da posizioni di lavoro dipendente ad autonomo e che oggi esercita stabilmente la libera professione in maniera indipendente, come consulente, formatore e blogger specializzato sui temi dellinnovazione tecnologica. Lo abbiamo incontrato a The Hub, uno spazio attrezzato per il co-working presente a Milano:
In passato ho svolto attivit di giornalista classico, in redazione, arrivando a fare anche il direttore di testata. Oggi come freelance ho deciso di ampliare lo spettro dazione professionale. Le testate non pagano il lavoro autonomo in maniera dignitosa. Mi sono quindi chiesto che cosa fare del mio sapere accumulato in quindici anni di attivit giornalistica nel settore hi-tech in assenza di un mercato abbastanza ampio per guadagnare in modo adeguato con il mio lavoro. Ho semplicemente continuato a fare quello che sapevo fare, ma mettendo online un prodotto mio, costruendo un profilo pi articolato di consulente e libero professionista. Tutto ci che scrivo diffuso gratuitamente. Oggi alimento una decina tra social network personali e spazi di pubblicazione incrociati, da un blog a profili su Facebook, Friendfeed, Flickr ecc. Mi sono specializzato sui social media e sulla valorizzazione del capitale intellettuale nel mondo IT. Il mio canale Twitter uno dei cinque italiani tra i primi mille al mondo nel segmento hi-tech, seguito da oltre 12.000 follower. Il sito Infoservi.it riceve moltissime visite al giorno, gli iscritti ai feed sono un migliaio e ho oltre 3000 amici su Facebook, con unaudience superiore a molte piccole e medie testate tradizionali. Che cosa guadagno? Autorevolezza e fiducia. Questo mi consente di in36

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contrare moltissime persone in ogni parte del mondo, imprenditori o giovani creativi, scoprire progetti di start-up, avvicinarli e aiutarli in alcuni casi o raccontare semplicemente le loro storie. La presentazione pubblica del mio sapere e lattivit permanente di lavoro giornalistico di scouting del nuovo nel mondo tecnologico e di contemporanea riflessione e incrocio con argomenti di storia dellinnovazione mi ha consentito di trovare uno spazio di insegnamento alla Nuova accademia delle belle arti di Milano e svolgere consulenze per orientare il business di chi opera nel settore e sul web 2.0. A questo ho aggiunto anche un pizzico di intraprendenza, con una start-up, cofondata con un amico e collega, che offre un servizio di social e-commerce. Come blogger ho intervistato liberamente, senza trarne profitto diretto, persone del calibro di Chris Anderson di Wired, David Weinberger di Cluetrain Manifesto, Cory Doctorow di BoingBoing, Tim OReilly, Dan Rose di Facebook, Joi Ito di Creative Commons. Questultimo lo incontrai da vicino, casualmente. Alla fine di un convegno mi invit a pranzo perch vide che ero lunico a dare una prova esibita del mio interesse alle sue parole, scrivendo e facendo live-blogging di ci che raccontava. Ecco, la mia professionalit si basa oggi proprio su questo: elevata specializzazione nei contenuti trattati, informalit, attenzione alle relazioni simpatetiche, curiosit e una costante azione di networking professionale. Alla fine faccio sempre lo stesso mestiere, lo specialista e divulgatore, a volte come giornalista, altre come docente o public speaker, talvolta come consulente.

Per Alberto, come per molti altri lavoratori professionali autonomi, sono questi gli ammortizzatori del rischio che deriva dallautonomia e dallindividualizzazione del lavoro. Invece di replicare il modello delleconomia di scala basata sulla granularit del sapere rivenduto al pezzo (giornalistico), ha costruito un sapere tacito che dimostrasse autorevolezza e capacit produttive di qualit, superando ogni arroccamento nel mondo del professionalismo. Lindividualizzazione, alla quale la decostruzione del sistema fordista lha portato, e il rischio associato sono controbilanciati dallinsieme di pesi e misure derivanti dal network sociale su cui poggia la sua attivit. Alla sperimentazione e allautoapprendimento costante, che nei blogger forma di esibizione e al tempo stesso di archiviazione in un deposito digitale personale del sapere accumulato, affiancata una precisa consapevolezza dei rischi da assumere e una responsabilit che si esercita in prima persona, al di l di ogni rifugio nella delega, nella spersonalizzazione delle scelte o nella mera esecuzione di compiti. Processi, capacit e intenzioni trovano nella tecnologia strumenti che possono rispondere alle esigenze del lavoratore autonomo forse anche meglio di quanto avvenga nelle imprese dove
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ai dipendenti spesso neppure concesso il ruolo di amministratore della macchina su cui lavorano. Insieme al sapere individuale sono forse lunico punto di relativa stabilit intorno al quale ruota la continua modificazione dei percorsi lavorativi dei professionisti indipendenti. Le variabili soggettive, le aspirazioni o le sfide cambiano nel tempo, ma non si modifica altrettanto rapidamente un account di posta elettronica, labitudine a usare software specifici e dispositivi mobili o wired per determinate tipologie di lavorazioni.

Forme di coalizione nella Rete


La precariet, intesa come esposizione al rischio, e linnovazione vanno di pari passo; sembrano due facce della stessa medaglia per quei freelance e consulenti che si orientano alluso di tecnologie come ammortizzatori professionali. Una prassi che la generazione di consulenti nata negli anni ottanta costruiva intorno agli incontri individuali e ai colloqui telefonici. Oggi il web non pone limiti geografici, consente presentazioni ricche (multimediali o estese) di s, portando in superficie gli invisibili ed eliminando molti intermediari. Facilita le pubblicazioni, la ricerca e il match con la domanda ed elimina (in potenza) lisolamento individuale; li aiuta nella raccolta di informazioni che possono servire per muoversi in contesti precisi o per analizzare a distanza nuovi ambienti, opportunit, persone, aziende. Nei sistemi pi evoluti d anche la possibilit di farsi introdurre dai propri amici a terze parti. Per converso espone, per, a nuove tipologie di rischi tecnico-pratici. Ne sono prova, per esempio, i casi di Alessio Troyli, web designer freelance, che si visto clonare il sito personale graphikdesign.it da una societ turca con Internet provider a Houston, che ha letteralmente copiato (con tecnica di mirroring) la presentazione dei servizi e perfino il porftolio clienti di Alessio, e il caso di Arnaldo Funaro, in arte Arnald, vignettista, copywriter e creativo nel mondo delladvertising che dichiara di avere inviato per e-mail alcune proposte alla Cgil per una campagna di sensibilizzazione contro il precariato e che lui, precario, si visto paradossalmente soffiare lidea e la sua realizzazione.34 Propriet intellettuali, contenuti e idee sono fortemente esposti al plagio o allimpiego non autorizzato, magari presso aggregatori o tramite spider per finalit commerciali o altro. Sono, tuttavia, anomalie sistemiche di un modello che per definizione aperto e si espone alla collettivit in primo luogo come metodo per eliminare linvisibilit dei singoli e delle loro nuove coalizio38

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ni. Se vero per il modello proposto da Alberto DOttavi, non escluso che nel trade off tra rischi e opportunit legati alla trasparenza del proprio vissuto professionale non si possa uscire comunque vincenti. Senza rivelare i segreti del mestiere o cadere nella trappola della cessione di lavoro gratuito a imprese profit che gravitano online, il web pu portare considerevole acqua al proprio mulino. Ma torniamo, per un momento, alla genesi del rischio per i freelance. Nellevoluzione dei sistemi produttivi (che impiegano sempre di pi risorse esterne e lavoratori autonomi a progetto) siamo passati in questi decenni da un rischio assunto unilateralmente dallimpresa e da un sistema regolato, basato sulla delega e la decisione, a un nuovo sistema di rischio a responsabilit diffusa. La ripartizione non pi della ricchezza, ma dei rischi: uno dei pochi anticorpi che la societ liquida, come la definisce Bauman, si creata per fare fronte a questo passaggio lapertura verso ambienti di scambio diffusi, aperti, flessibili, ricchi, come appunto la Rete che non incoraggia soltanto lemergere dellindividualit, ma anche di nuove forme di collettivit. Come ricorda Emiliana Armano, siamo passati
dalla fase taylorista-fordista, alla quale corrispondeva la parcellizzazione del lavoro congiunta alla relativa stabilit del posto di lavoro, sino alla fase postfordista, cui corrispondono il rischio diffuso (che pu trasformarsi in precariet e/o innovazione) e la flessibilit lavorativa.35

in questepoca che emergono le professionalit indipendenti e si radicano i meccanismi di social networking.


Mentre nelleconomia moderna limpresa, i sindacati, i mercati, le tecnostrutture di vario genere avevano tentato di amministrare i rischi della vita economica e sociale delle persone, nel neocapitalismo delleconomia globale gli automatismi e le tecnostrutture possono sempre meno esentare le persone dai rischi sociali che rendono incerto il futuro individuale e collettivo. Nella delega del rischio in parte allimpresa (verso il mercato) e in parte al sindacato (per la tutela collettiva) vi era un preciso scambio politico che esentava i lavoratori e i cittadini dal rischio delle conseguenze dei loro comportamenti e dallincombenza della conoscenza e della decisione. Uno scambio tra rischio e potere che ha potuto reggere fino a quando gli automatismi e le istituzioni sono stati in grado di mantenere le promesse.36

Oggi che sempre pi chiaro quanto un freelance sia fuori da queste linee di protezione paradossalmente la scelta di col39

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tivare i legami deboli a dare maggiore forza alle nuove reti di lavoratori indipendenti. Chi ha studiato queste forme di legami sociali37 ritiene giustamente che quelli forti siano determinati dal tempo, dallintensit emotiva, dalla confidenza e dai servizi reciproci. Avere una comune appartenenza lindice di base dei legami forti: le tessere di partito o sindacali, i badge aziendali, le carte per la raccolta punti al supermercato sono soltanto la loro rappresentazione simbolica. Quelli deboli, invece, sono strumentali, neutri dal punto di vista affettivo, meno stabili, precari. In questo contesto la forza data dal numero di quelli che trovano linee di contatto e soprattutto dallinsieme potenziale che possono rappresentare. Nei legami deboli conta la densit ed quanto si esprime al meglio oggi con Internet, dove si costruiscono e disfano gruppi su Facebook con molta rapidit. In rete sono nati e cresciuti il Popolo viola, lOnda studentesca, le iniziative dei No-B day e dellEuroMayDay. Online cominciano ad avere importanza anche in Italia iniziative specifiche nellambito del lavoro, come le reti di Precaria.org o tutte quelle temporanee a supporto di campagne di comunicazione per sensibilizzare lopinione pubblica su crisi specifiche, come quella degli esternalizzati Wind, dellIsola dei cassintegrati, del caso Omnia-Ex Eutelia. Lo stesso si pu dire per il mondo della ricerca, dove i blog di gruppo dei precari che gravitano intorno al sistema universitario hanno costruito una costellazione di centinaia di siti collegati e un dialogo serrato che si pu dire sia davvero espressione di ununit nazionale nella critica ai deficit strutturali degli atenei italiani. Tutti questi sono reticoli di soggetti riuniti sotto una bandiera e istanze comuni, ma che non hanno sedi fisiche, finanziamenti pubblici o protezioni corporative, e non si ritrovano nel mondo della rappresentanza tradizionale. Attraverso la Rete trovano nuovi sostenitori, fan su Facebook, feed reader o follower su Twitter disposti a seguire le loro vicende e appoggiarle. Alle-mail si va sostituendo lentamente il networking basato su tecnologie web. Il luogo di ritrovo di queste collettivit un non-luogo, una rete sociale spesso senza connotazione geografica, ma forte di una intrinseca debolezza. Entrare e uscirne facile: ci che trattiene la densit della comunicazione e degli scambi che si fanno tanto pi intensi e marcati, realmente cogenti, quanto pi si toccano nel vivo le questioni sociali collettive, che sono al contempo strettamente personali. A differenza delle trib digitali chiuse, sviluppate alla fine degli anni novanta e agli inizi degli anni duemila, le comunit di interessi di oggi che diventano spesso vere coalizioni, pronte a scendere in piazza o a mobilitarsi sono aperte e con
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un raggio dazione su canali differenti, affluenti tutti verso un epicentro che rilascia messaggi composti da gruppi a geometria variabile, ma omogenei e con una forte connotazione soggettiva e diretta. Il cosiddetto web 2.0, che ruota intorno alle tecnologie per sviluppare conversazioni e aiutare la condivisione di risorse, ha dato un impulso importante. Emozioni, relazioni, comunicazioni, da una parte, e percorsi, racconti, intenzioni e azioni che costruiscono, dallaltra, lidentit di una coalizione delle persone che vi partecipano trovano nei sistemi di publishing e di networking online soluzioni pi che ottimali per svilupparsi in maniera spontanea. A queste si sommano oggi nuove tecniche di protesta elettronica, che superano i tentativi promossi finora con netstrike o azioni di hacking sociale, e sono impiegate in sostituzione di scioperi o manifestazioni di piazza che in molti casi per i lavoratori autonomi non hanno nessuna ragione pratica o effetto. Nel segmento digitale si stanno affermando almeno tre nuove modalit dazione delle coalizioni web based. La prima la protesta basata sullinvio di messaggi in massa a destinatari scelti per le loro azioni considerate contrarie agli interessi della collettivit. Possono essere politici, sindacalisti, forze dellordine, opinion leader, imprese, multinazionali, banche. Sono vere e proprie campagne per generare un overflow di comunicazione, ovvero inondazioni digitali per portare la voce di tanti in un punto unico fino a farlo intasare per rumore di fondo tecnologico. Possono assumere la forma di messaggi predefiniti da un gruppo ristretto e fatti circolare prima della spedizione, programmata con cura, oppure disordinate azioni individuali. A volte sono semplici petizioni digitali, che richiedono solo limpegno di una firma. La seconda tecnica quella del fact checking, ovvero la scrupolosa verifica dei fatti e delle parole dette o scritte da rappresentanti pubblici, con la finalit di difendere la verit o dimostrare la palese falsit di quanto affermato pubblicamente. Si veda per esempio Factcheck.it creato su iniziativa di Sergio Maistrello: un sito in cui chi riesce a salvare un fatto, salva la verit intera. Pi efficace, tuttavia, la tecnica blame & shame, usata oggi dalle nuove coalizioni digitali, ma nata nel contesto della resistenza alle politiche economiche degli stati sovrani, soprattutto a quelle di multinazionali senza scrupoli, che sfruttano i lavoratori meno tutelati di quelle parti del mondo dove il diritto del lavoro pressoch non esiste. Ne parla estesamente Gay Seidman, sociologo dellUniversit del Wisconsin nel suo Beyond the Boycott38 in riferimento a quanto messo in atto in Guatemala, India, Sudafrica. Nel
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mondo di Internet la tecnica non del tutto differente: si controllano i fatti (factcheck), ma si procede a una successiva campagna per boicottare limmagine pubblica di chi ha sgarrato, per assegnare colpe precise (blame) e generare vergogna (shame) e riprovazione sociale, affinch lirresponsabilit di chi ha attuato azioni contrarie agli interessi delle coalizioni sia messa alla berlina davanti allopinione pubblica. Acta, lAssociazione dei consulenti del terziario avanzato, ha adottato nel 2010 questa tecnica nella campagna online che ha definito Campagna Busta Arancione.39 Per denunciare il mancato invio da parte dellInps della busta che avrebbe dovuto informare i lavoratori italiani sulla propria posizione contributiva con una proiezione sullentit della pensione che avrebbero percepito, ha pubblicato su tutti i suoi canali web (circa una decina) materiali informativi per sensibilizzare lopinione pubblica. Il messaggio veicolato: le amministrazioni pubbliche ci tengono alloscuro per non farci capire che moriremo di fame. Un messaggio forte, comprovato da analisi interne e proiezioni realizzate dal centro studi Acta. Il comunicato stampa stato ripreso dal Corriere della Sera, che ha obbligato il ministro del Lavoro a considerare da vicino la questione. Grazie a questa azione la comunit che gravitava intorno allassociazione si rinforzata. Ogni ripresa del problema stata prontamente ritrasmessa su Facebook, Twitter e su blog personali con una velocit notevole, registrando centinaia di repliche a poche ore dalla diffusione dei fatti blame & shame. Sebbene possano apparire come tecniche che hanno un maggior appeal presso le giovani generazioni, i cosiddetti Millennials o Echo Boomers e i pi recenti Digital Natives, in realt non toccano problemi soltanto giovanili, ma di classe, di soggetti che devono imparare a riconoscersi e dialogare, nel passato e nel presente. La questione previdenziale sollevata da Acta un esempio pratico di un tema che prima ancora che intergenerazionale di tutela della cittadinanza e interessa tutti. Forse sarebbe utile definire coloro i quali decidono di accedere a questi spazi di coalizione come appartenenti a una web class, se non fosse che ogni circoscrizione categoriale in questo ambito sembra tradire una volont di ridurli in termini descrittivi. Come abbiamo detto, la loro forza sta nella debolezza e nella flessibilit, nella libert di entrare e uscire, di non perdere nulla nel cercare la verit dei fatti e reclamare diritti. In questo processo il web un elemento positivo, porta allo scoperto un potenziale di organizzazione, di autotutela e quindi di soggettivit politica. Nella babele di lingue che Internet possiamo imparare a riconoscere i nostri
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simili, stabilire codici didentificazione e parlare in tempo reale reagendo alla quotidianit incessante delle cavolate che vengono pronunciate sul nostro conto. sul web che prenderanno corpo le class action, anche se non formalmente dal punto di vista giuridico, ma socialmente, come attivit di costruzione di coalizioni che pretendono i propri diritti. qui che nascer la cooperazione tra intelligenze, competenze, skill, come costruzione di un sistema di pensiero, sofisticato ma chiaro, intellegibile a tutti, fatto di poche idee centrali, schematiche, tagliate con laccetta, privilegiate ma accessibili. Idee che potranno rafforzarsi con il passaparola, ma che pronunciate faccia a faccia, anche fuori dal web, potranno dare vita a qualcosa di nuovo.

Il valore della prossimit


Quando Internet diventa il canale esclusivo della socialit, i rapporti tra le persone perdono limportante elemento della fisicit che ha caratterizzato i processi di coalizione in passato. Nel lungo termine questo non sempre positivo. La coesione dellepoca fordista infatti passata per ludito di chi ascolta un comizio o per la vista di chi legge un volantino; gli scioperi si sono costruiti sul passaparola. La storia delle coalizioni operaie una storia di sentimenti che saccendono a contatto con altri e si consumano per reciproca combustione, una storia di comportamenti imitativi, di minoranze che trascinano le maggioranze, di dinamiche che funzionano solo con presenze fisiche, in grado di esercitare un controllo reciproco. Nulla di tutto questo resta nella comunicazione a distanza: il comportamento imitativo viene dissolto, il reciproco controllo abolito, la comunicazione spoglia di tutte le cariche di energia che vengono trasmesse dalla prossimit con altri individui. Dalla realt si passati al web, ma dalla Rete importante riallacciare un dialogo che descriva anche il percorso di ritorno. Nel momento in cui si accende di nuovo un senso didentit di gruppo, i rapporti di prossimit ritornano con prepotenza in primo piano come uno strumento ineludibile della coalizione, il contatto fisico con persone che svolgono lo stesso lavoro e hanno gli stessi problemi diventa una necessit esistenziale, come cercheremo di mostrare con esempi concreti nellultimo capitolo. Il rapporto di prossimit diventa un altro dei passaggi che costellano la vita lavorativa, forse pi imprevedibile dei precedenti, senzaltro pi denso, per la ragione che scopriamo esse43

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re quello dove si forma la conoscenza. il momento in cui ci accorgiamo che le competenze specialistiche rappresentano un patrimonio spendibile solo a condizione che sia innervato in una relazione di comunit. Qualcuno lo ha chiamato general intellect, noi pi modestamente lo chiamiamo unattivit di pi persone convergente verso una nuova acquisizione di pensiero.

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2. Da gentiluomini a mercenari Lideologia del professionalismo e la sua crisi

Non esattamente un libriccino il testo che lInternational Labour Office ha dedicato alla figura che limmaginario collettivo associa di pi al professionista di successo: il consulente di direzione. Pubblicato a met degli anni settanta e pi volte aggiornato nei decenni successivi, unopera collettiva alla quale hanno dato il loro contributo personaggi che in seguito sarebbero diventati delle star, come Roland Berger e altri. A un certo momento nel testo spunta la domanda: La consulenza una professione?. La risposta molto significativa:
Noi chiamiamo la consulenza di direzione una professione emergente o una professione in divenire, o unindustria con significative caratteristiche e ambizioni professionali... ma potrebbe non essere cos importante decidere se la consulenza o non una professione, dopo tutto ha dimostrato di poter prosperare anche senza questa decisione... Ancora oggi, anche in ambienti di cultura manageriale molto sofisticata, virtualmente ognuno pu chiamare se stesso o se stessa consulente di direzione dimpresa e offrire servizi alle imprese senza alcun diploma o certificato, senza alcuna licenza, credenziale o registrazione.1

Questo discorso potrebbe essere esteso a tutte le attivit cognitive svolte da persone che si presentano sul mercato come lavoratori indipendenti ma non appartengono alle categorie definite come professioni liberali (medici, avvocati, architetti ecc.). Per costoro sapere se la loro attivit ha diritto a essere definita professione, o se sul loro biglietto da visita possono mettere la parola professionista, potrebbe non essere molto rilevante, come dice lIlo, ci che importa una situazione di mercato favorevole e la disponibilit del committente a pagare bene e in tem45

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pi accettabili. Ma purtroppo non cos, poich dalla met dellOttocento il termine professione si caricato di tali significati simbolici pi o meno identificativi di uno status sociale che non si pu pensare di rigettarlo, senza averne esaminato bene la storia. Inoltre, motivo ancora pi importante per fermarsi a discutere prima di passare oltre, esiste una forte tendenza di molte associazioni di nuove professioni non regolamentate a seguire processi di coalizione e rappresentanza analoghi a quelli delle professioni liberali governate da ordini. Noi riteniamo che questa sia una strada sbagliata da percorrere, il perch ce lo dice la storia stessa del termine professione e i mutamenti che la cultura associata a questa simbologia ha subto nelle diverse fasi della societ industriale moderna.

Alle origini di unideologia


Non ha che limbarazzo della scelta chi vuole analizzare pi da vicino quel costrutto mentale che stato chiamato cultura o ideologia del professionalismo, la letteratura sullargomento ricca e articolata. Noi abbiamo deciso di cominciare da un testo che a met degli anni settanta ha aperto una stagione di dibattiti molto vivaci sul rapporto tra culture e costituzione di ceti sociali, un testo che riproponeva a un livello elevato di considerazione storica gli stimoli provenienti dallinquieta ma vivissima societ di allora: The Culture of Professionalism, di Burton J. Bledstein.2 Nel termine professionalism c lidea di specialismo e potrebbe essere questa la traduzione migliore, considerato che il discorso di Bledstein riguarda in particolare lo specialismo accademico, ossia listituzionalizzazione del sapere in linguaggi gergali, sostanzialmente retorici, che mette in moto comportamenti autoreferenziali e costrizioni sociali (la carriera accademica) ma riguarda anche la nascita e lo sviluppo della professional expertise in generale, cio qualcosa di pi della singola professione, un ruolo sociale riconosciuto ed esercitato molto spesso sotto forma di lavoro indipendente. Bledstein colloca la nascita del professionalismo nella seconda met dellOttocento, quando lAmerica, a suo dire, cercava in tutti i modi di distinguersi dal Vecchio continente, rifiutando la distinzione in classi della societ e costruendo lidentit nazionale sullidea di una societ a classe unica, la middle class, dove non esistessero pi n aristocratici n proletari. La soluzione ingegnosa per venire a capo di questo problema sarebbe stata quella di proporre lideologia meritocratica come criterio di lettura delle differenze sociali, che
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non esisterebbero di per s, come eredit di divisioni secolari trasmesse di generazione in generazione, n come prodotto di un ordine politico architettato per mantenerle tali, ma semplicemente in quanto risultato di una maggiore o minore affermazione dellindividuo secondo le sue doti di abilit e capacit di competere. Veicolo di questa ideologia fu la cultura del professionalismo, una cultura che servita a meraviglia a individui che aspiravano a pensare molto bene di se stessi,3 veicolo potente perch faceva leva non solo sullambizione ma sullinsicurezza delle persone (forse nessun sistema di pensiero puritano mai riuscito ad usare linsicurezza della gente cos come riuscita a farlo la cultura del professionalismo).4 Che lideologia meritocratica e il mito del self made man fossero una componente essenziale dello spirito dellAmerica era un dato acquisito ben prima che Bledstein scrivesse il suo libro, la sua interpretazione per era assai originale non tanto nel riconoscere valore costituente a quella ideologia, quanto nel dare a quella ideologia un corpo, una figura sociale ben individuata, quella dello specialista, del professional. In modo da potersi chiedere, subito dopo, se questa figura non divenisse contraddittoria con quella di una societ a classe unica, perch i professionals si costituiscono inevitabilmente in una lite e quindi finiscono per diventare fedeli pi alle convenzioni del loro linguaggio che alla verit, riuscendo a essere tanto pi influenti, in quanto a loro viene delegata la formazione della classe dirigente, in particolare linsegnamento universitario. Si badi che Bledstein non critica il linguaggio esoterico, critica il linguaggio e la mentalit specialistici. Il suo interesse si rivolge allistituzione formativa di alto grado, come dice chiaramente il sottotitolo, e accenna solamente al problema che interessa a noi, quello delle professioni della conoscenza. Ma dagli studi di brillanti americanisti5 sappiamo che nellepoca di cui lui parla, a cavallo tra Ottocento e Novecento, le grandi corporation americane avevano scoperto lutilit di impiegare conoscenze professionali indipendenti o salariate per migliorare sia la loro immagine allesterno (le public relations), sia i rapporti con il personale (le human relations). Da queste prime esperienze si sviluppa il mercato della consulenza al management, che porta da un lato alla formazione di grandi societ multinazionali, di dimensione pari a quella dei loro clienti, dallaltro alla costituzione di un mercato parallelo di professionisti indipendenti che arricchisce il settore dei servizi alle imprese.6 Sono tre austriaci emigrati negli Usa per sfuggire al nazismo ad aprire nuove strade per la consulenza dimpresa: Peter Drucker nelle teorie del management, Paul Lazarsfeld nel marketing e Edward Bernays, il
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nipote di Freud, nelle pubbliche relazioni. Si sviluppa dagli anni venti, anche in Europa, un mercato di lavoratori della conoscenza (brain workers) che forniscono servizi al mondo dei media, della pubblicit, della cultura di massa, dello spettacolo, per lelaborazione di testi, la creazione di grafica e altro, e sono in gran parte freelance, o integrano con il reddito proveniente da questi servizi quello, insufficiente, che deriva dalle loro vocazioni artistiche o letterarie. La professional expertise diventa una pratica riconosciuta dal modo di produzione fordista e dallambiente metropolitano. Con la grande mobilitazione di risorse del New Deal rooseveltiano la funzione dellesperto viene incorporata nella macchina amministrativa, nelle agenzie governative e acquista, in certe campagne, un valore analogo a quello del social worker, cio a chi deve stabilire il collegamento tra i bisogni oscuri o nascosti o inespressi della societ e lo stato assistenziale. Al tempo stesso, con limmissione sempre pi massiccia di conoscenze tecnico-scientifiche nel mondo della grande impresa e la necessit di rispondere allobsolescenza delle tecniche e delle competenze, comincia a svilupparsi il settore della formazione esercitata al di fuori dellistituzione scolastica pubblica. la prima comparsa di un mercato dei freelance, subito frenato da un lato dalla preferenza delle imprese di allora di internalizzare le competenze (il fordismo la generalizzazione della societ salariata) e dallaltro dallingerenza sempre maggiore dello stato nei processi economici e sociali, che porta alla trasformazione di molti professionisti indipendenti in funzionari pubblici. Il mercato dei freelance torner non a caso ad aprirsi e poi a esplodere negli anni settanta e ottanta in seguito a processi di esternalizzazione e a una graduale ritirata della mano pubblica dallerogazione di servizi.

Pastoie italiane
In Italia andata diversamente. Non qui il caso di ripercorrere il cammino storico del riconoscimento delle professioni nel nostro paese, ma richiamare alla memoria due o tre circostanze che possono offrire spunti di riflessione a un discorso sulle professioni non regolamentate forse non fuori luogo. Nei primi anni del Novecento alcune organizzazioni professionali (per esempio quella dei medici condotti) si erano costituite traendo ispirazione dalle ideologie socialiste e mazziniane e si erano collegate alle Camere del lavoro e al sindacalismo operaio. Ma il movimento operaio nel suo complesso non fu capace di cogliere le
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trasformazioni che avvenivano allinterno del ceto medio, in particolare non colse pur essendo in una posizione privilegiata di osservazione il significato dellemergere delle professioni tecniche in seguito allaffermarsi del taylorismo e del fordismo. Professioni, queste, che si sarebbero sviluppate al servizio delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, a differenza delle professioni liberali tradizionali, focalizzate sui servizi alle persone. Il movimento fascista invece colse con immediatezza questo passaggio.7 Nel 1920 a Milano viene fondata la Confederazione italiana del lavoro intellettuale e nel 1921 a Roma il Sindacato del lavoro intellettuale. Le leggi istitutive di ordini e collegi professionali si susseguono negli anni dal 1923 (architetti, ingegneri) al 1939 (consulenti del lavoro), ma rimane per un certo periodo, nellordinamento corporativo, il segno di unoriginaria impostazione sindacale, di un atteggiamento rivendicativo e negoziale, duro a morire proprio in una professione nuova come quella dellingegnere, che veniva esercitata prevalentemente alle dipendenze dellimpresa (a Milano nel 1935 erano 1530 gli iscritti allalbo e 1346 gli iscritti al sindacato). Il regime fascista avrebbe voluto sostituire integralmente il modello liberale dellautonomia della professione riconosciuta dallo stato con il modello corporativo, che assimila le professioni intellettuali al mondo del lavoro tout court, negando loro uno status particolare. In realt dovette accontentarsi di un compromesso: quando era interesse politico esaltare le scoperte italiane sui prodotti sintetici il fascismo diede riconoscimento alla professione di chimico. Analogamente si comport il governo repubblicano nel 1962, quando, indotto dai successi dellEnte nazionale idrocarburi nella ricerca e nellapprovvigionamento di fonti energetiche, diede il riconoscimento alla professione di geologo. Il rapporto tra professioni tecniche e sviluppo dellinnovazione nel settore manifatturiero stato molto stretto nei percorsi di riconoscimento. Scrive uno dei maggiori studiosi del fenomeno in Italia:
Il caso dellingegneria mostra con chiarezza che le origini delle professioni diverse dalle classiche [...] vanno inquadrate nella profonda trasformazione subita dal capitalismo, levoluzione della divisione del lavoro nelle grandi organizzazioni private e pubbliche crea di continuo nuove occupazioni specializzate, molte delle quali si pongono il traguardo della professionalizzazione.8

LAssociazione nazionale degli ingegneri italiani viene costituita nel 1919, quattro anni dopo si avr sia listituzione dellOrdine degli ingegneri e degli architetti sia la riforma dellistruzione superiore che negher ai diplomati degli istituti tecnici
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laccesso alluniversit , e nel 1933 viene istituito lesame di stato. Ma tutto questo processo si svolge in un quadro di forte crisi occupazionale; la mancanza di lavoro a portare gli ingegneri a costituirsi in gruppo di pressione, mentre per tutto il periodo del fascismo la conflittualit interprofessionale tra ingegneri, architetti, geometri, periti industriali, agrimensori rimane accesa e si allenta solo in parte nel dopoguerra con il boom edilizio degli anni sessanta.9 Anche la storia italiana dimostra che il mercato, inteso come insieme di fattori che trasformano i modi di produzione e gli stili di consumo, decisivo nel condizionare lascesa e il declino delle professioni intellettuali. Secondo le dottrine liberali, il mercato un sistema che si autoregola; come sappiamo invece un sistema che produce distorsioni e disuguaglianze. La conflittualit allinterno delle professioni tecniche si mantenuta elevata anche negli anni sessanta e settanta. bastato liberalizzare gli accessi alluniversit nel 1969 e permettere a periti e geometri di diventare architetti e ingegneri perch si producesse un boom dellofferta e il controllo dellaccesso alla professione, che una delle ragioni degli ordini, diventasse un atto puramente formale. Come se non bastasse, i liberi professionisti indipendenti, quelli che esercitavano attivit di lavoro autonomo, erano messi in difficolt dalla concorrenza esercitata da ingegneri e architetti, salariati delle pubbliche amministrazioni, che a part-time o come secondo lavoro, spesso in nero, firmavano progetti. La situazione sembra sia andata migliorando solo quando si aperto il nuovo mercato delle regioni, ma questo dimostra ancora una volta che la pretesa di possedere una competenza esclusiva forte nei periodi di magra della domanda e si allenta quando c lavoro pi o meno per tutti. un sistema di autodifesa parasindacale, non centra nulla con codici etici e saperi esclusivi. Ma poich il mercato dei servizi professionali dominato dalla domanda, questi sistemi di difesa parasindacale non producono alcun effetto di riequilibrio e trasferiscono allora la loro impotenza nelle dinamiche interne allordine stesso, creando cricche di potere e pratiche di nepotismo di cui sono vittime gli iscritti pi giovani oppure quelli privi di adeguato lignaggio.
Le libere professioni sono in realt un gruppo di occupazioni accomunate essenzialmente da unideologia. Si tratta di unideologia che stata promossa con successo dalle lite che dominano alcune occupazioni particolarmente prestigiose (soprattutto medici e avvocati), si diffusa nelle societ capitalistiche grazie alle sue affinit con lideologia dominante, ed ha mietuto vittime tra gli stessi scienziati sociali.10

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Possiamo condividere o meno questa tesi di Tousijn, ma lesperienza passata delle professioni, che in Italia hanno ottenuto un riconoscimento pubblico e sono organizzate in ordini, sembra dargli ragione. Incapaci di riequilibrare gli alti e bassi della domanda, hanno creato diseguaglianze allinterno della stessa professione e, aspetto non trascurabile, non sono nemmeno riuscite a esercitare una vigilanza sulla qualit della prestazione. LOrdine dei giornalisti riuscito forse a fermare il degrado dellinformazione e lo stile dei media nel nostro paese? Ci ha provato, almeno? Del resto, se non ci riuscita nemmeno la professione pi protetta in assoluto, quella dellinsegnamento universitario, a vigilare sulla qualit del corpo docente, bloccando sistematicamente la pretesa di semianalfabeti a salire in cattedra, come possiamo pensare che ci riescano professioni meno protette? Quando, agli inizi degli anni ottanta, si diffondono le nuove professioni nei servizi alle imprese e alle persone, il modello ordinistico gi mostra ampiamente la corda per coloro ai quali lo stato ha dato un riconoscimento pubblico.
Oggi, come in passato, gli ordini italiani svolgono funzioni burocratiche, si limitano a verificare che i nuovi iscritti siano in regola con la legge e non hanno alcun potere di regolazione degli ingressi, che affidato agli esami di stato. Altrimenti non si spiegherebbe perch proprio le professioni ordinistiche abbiano registrato negli ultimi anni un aumento del numero degli esercenti cos esorbitante.11

Basti pensare agli avvocati: 230.000 in Italia, 15.000 in pi allanno. Lalbo dellOrdine di Milano-citt, aggiornato ad aprile 2010, conta 15.600 iscritti nellelenco ordinario, 3200 abilitati e 1500 praticanti.
Il 35 per cento del reddito della categoria prodotto dal 15 per cento dei legali, i clienti che non pagano, i grandi studi che licenziano, la concorrenza feroce, il caro previdenza aggravato dal fenomeno degli avvocati fantasma iscritti allordine ma che non versano alla Cassa forense.12

Tuttavia il coagulo di interessi che si formato attorno agli ordini riesce ancora a difenderne la funzione. Bench la linea dellUnione europea e dellAutorit antitrust sia stata quella di identificare professioni e imprese, alla fine:

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LUnione europea ha ceduto alle pressioni delle professioni protette annacquando il liberismo puro che aveva contraddistinto i suoi precedenti programmi.13

Pur riconoscendo che le professioni, ormai assimilate alle imprese, sono sottoposte ad una mutazione irreversibile della loro natura e delle loro funzioni,14 una studiosa come Maria Malatesta dimostra di credere ancora alla natura particolare delletica professionale, fonte di quella reputazione che al professionista veniva riconosciuta per la natura sociale del suo lavoro, e cita il caso di medici e avvocati che svolgono in condizioni estreme la loro arte. In realt, ci sembra di poter obiettare, se un medico invece di fare soldi con uno studio avviato a Parigi preferisce rischiare la pelle in zone di guerra con Mdecins sans frontires per una scelta che rientra nella sua visione generale del mondo e dei rapporti politico-sociali, per convinzioni ideologiche o religiose, pi che per fedelt a un codice etico della professione. Il momento in cui gli ordini professionali acquistano rilievo e si pongono ancora come una forza sociale in grado di condizionare lo stato nel periodo dei governi di centrosinistra allo scadere del secondo millennio. Riescono a respingere i propositi governativi di abolirli in nome della liberalizzazione sostenuta dallUnione europea, dimostrando ancora una volta che in momenti di difficolt alcuni strati di ceto medio possono mobilitarsi con successo, ma non riescono a porsi come terza forza tra le rappresentanze sociali di Confindustria e dei tre sindacati Cgil, Cisl e Uil. In realt, da almeno un decennio, anche in Italia, la tematica delle professioni intellettuali converge, come scrive Prandstraller, su quella pi complessa che riguarda i knowledge workers. I professionisti sono una parte, fondamentale ma non esaustiva, dun nuovo ceto composto dalle varie espressioni dei lavoratori della conoscenza.15 Le prime ricerche sui lavoratori della conoscenza che assumono questi parametri di valutazione compaiono in Italia a met degli anni novanta.16 Finalmente si esce dalla palude della sociologia delle professioni, si smette di discettare sulle opinioni delle varie scuole e si torna allosservazione della realt empirica, alle prestazioni concrete del lavoro di conoscenza dentro e fuori le imprese. Le inchieste sul lavoro nelle dot.com, che si moltiplicano negli Stati Uniti fino alla crisi del 2002, in particolare quelle di Andrew Ross, contribuiscono a spazzare via linteresse per le questioni del professionalismo.17 I lavoratori della conoscenza, che si sono formati come multiforme strato
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sociale a partire dagli anni ottanta, sono unaltra cosa. Negli stessi anni si costituisce la Freelancers Union, lorganizzazione di tutela e di rappresentanza dei lavoratori indipendenti, un sindacato finalmente, una forma associativa che non vuole essere diversa da quelle che storicamente sono state le forme di difesa e rappresentanza del lavoro. Ma nella situazione italiana questa semplice idea stenta a farsi largo; anche coloro che ritengono la professione una costruzione intellettuale, come dice Pierre Bourdieu, e non un genere umano, continuano a pensare in termini di associazioni assimilate agli ordini, il cui ruolo, tra laltro, viene messo in discussione dagli stessi che esercitano professioni regolamentate, come si visto di recente in occasione della discussione in Parlamento della riforma della professione forense.18 Che il nostro sia un paese arretrato ogni giorno pi evidente.

Disagio e risveglio dei ceti medi


La giornalista e saggista Barbara Ehrenreich con il suo sito www.unitedprofessionals.org diventata da qualche anno una protagonista del movimento di autodifesa dei lavoratori white collars americani. Dedica i suoi sforzi ai salariati ma in sintonia con le Unions dei professionisti indipendenti.19 Non le si pu negare certo coerenza con la sua attivit precedente; il tema della middle class stato uno dei suoi preferiti sin dagli anni settanta. del 1977 un saggio in due puntate su Radical America, scritto assieme al marito John Ehrenreich, dove abbozza una teoria della formazione di una classe sociale che chiama professional-manageriale, di professionisti manager, che verso la met del secolo scorso sarebbe diventata una componente quantitativamente rilevante della popolazione attiva degli Stati Uniti.20 La sua formazione risalirebbe agli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, la cosiddetta Progressive Era, con la costituzione di una serie di figure professionali nuove, il cui ruolo sarebbe stato quello di assicurare lordine sociale capitalistico attraverso la razionalizzazione sia dei modi di produzione (taylorismo), sia dei sistemi di governance. Sarebbe nata in quel periodo la figura moderna dellesperto, lo stesso sistema universitario si sarebbe adeguato alle nuove esigenze della societ e della produzione, importanti fondazioni private come la Rockefeller e la Carnegie avrebbero promosso lo sviluppo di questa classe, completamente diversa dalla piccola borghesia tradizionale, nella quale gli Ehrenreich includono anche i self em53

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ployed. Fin qui nulla di nuovo, lo schema quello di Richard Hofstadter in The Age of Reform (1955), un classico che ha fornito linterpretazione comunemente accettata della nascita della societ americana del Novecento. L dove i due Ehrenreich introducono una loro lettura originale nel mettere in risalto come negli anni venti questa classe di funzionari del capitale monopolistico abbia cominciato a ribellarsi in nome delle sue etiche professionali, stringendosi attorno alle loro associazioni e rivendicando un diritto a governare la societ intesa come sistema dimpresa e come sistema amministrativo secondo i princpi dellefficienza. Fu unutopia tecnocratica, destinata a restare sconfitta.21 La forma caratteristica di auto-organizzazione della classe professionale-manageriale era la professione. Quali sono i requisiti essenziali perch una professione possa chiamarsi tale, secondo questi autori? Primo, lesistenza di un corpo specializzato di conoscenze, accessibile solo mediante una lunga pratica; secondo, lesistenza di standard etici che includono una dedizione (commitment) allinteresse pubblico; terzo, un senso di autonomia da interferenze esterne alla pratica della professione (solo gli appartenenti alla professione possono dare un giudizio sul valore della prestazione del singolo). Ricostruire la storia di un gruppo sociale significa contribuire a conferirgli identit. Che il lavoratore intellettuale moderno, il tipico knowledge worker di oggi, abbia avuto origine nellepoca del fordismo e del taylorismo un fatto acquisito, che si sia formata allora una consapevolezza di essere una classe invece da escludersi per il motivo che i nostri autori giustamente individuano: lidentit era costruita sulla singola professione, quindi non cera unaspirazione a rappresentarsi come classe omogenea, cera anzi una ricerca di differenziazione per professioni, malgrado gli stili di vita e il senso comune fossero gli stessi. Lidentit si costruiva sulla differenza. Per analogia potremmo pensare alla fase primordiale di costituzione della classe operaia come classe, prima della fase dellindustrial unionism, quando lidentificazione era con il sindacato di mestiere, somigliante ancora alle vecchie corporazioni.

Max Weber e la vocazione professionale


Ma torniamo allo schema interpretativo proposto da Bledstein e allo sviluppo di una cultura, di unideologia della professionalit, che avrebbe conferito nei decenni successivi unidentit sociale e un senso di appartenenza a tanti lavoratori auto54

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nomi. Leggendo quelle pagine, il nostro pensiero non pu non correre subito a un testo che rimane un caposaldo nella storia della riflessione sul concetto di professione: la conferenza di Max Weber del 1917 su Wissenschaft als Beruf.22 Qual il punto di partenza del suo discorso? Proprio un confronto tra il sistema universitario americano e il sistema europeo, tedesco in particolare. Prima di riassumerne brevemente i punti pi interessanti, occorre ricordare che il termine tedesco Beruf contiene un insieme di significati che non sono traducibili con il semplice termine di professione, anche se il modo corrente per definire una libera professione in tedesco Freiberuf. Quando Weber impiega il termine Beruf, pienamente consapevole di usare una parola che vuol dire, oltre a professione, vocazione e, quindi nellanalizzare come avviene che una persona decida di scegliere un percorso professionale, ritiene di dover tener conto di una serie di condizioni morali, in assenza delle quali difficile esercitare la professione: la passione innanzitutto, la dedizione a unidea di progresso (venir superati non solo la sorte di tutti noi ma lo scopo del nostro lavoro, non possiamo lavorare senza sperare che qualcuno vada pi avanti di noi) e linnovazione, lidea che rappresenta qualcosa di nuovo (Einfall). Questultimo punto, non sufficientemente messo in risalto dalle letture e dalle interpretazioni correnti di questo testo, invece di fondamentale importanza perch significa, detto in parole povere, che se una pubblicazione che vuole essere scientifica non contiene nemmeno un frammento di idee nuove, ma semplicemente una rilettura, nei casi migliori, e un rimescolamento, nei casi peggiori, di ci che altri hanno scritto, meglio avrebbe fatto lautore a stare zitto. Significa che se un consulente di direzione, nel raccomandare alcune scelte organizzative al management di unimpresa, si limita a riciclare in unelegante, accattivante, presentazione solo quanto gli stato detto nellintervista con lamministratore delegato, meglio farebbe a cambiar mestiere. Ma il fatto che le condizioni per il corretto esercizio di una professione sono condizioni di carattere morale, di disposizione danimo, pi che condizioni di carattere intellettuale, si misura con un contesto sociale in cui, per dirla sempre con Weber, la scienza entrata in uno stadio di specializzazione che prima era sconosciuto ed in futuro continuer a restare cos e ancora una prestazione professionale definitiva e valida oggi sempre una prestazione specialistica. Il problema del Beruf Weber, per la dimestichezza con gli scritti di Lederer, di altri sociologi dellepoca e di suo fratello Alfred, era perfettamente consapevole della rivoluzione che stava investendo i sistemi di organizzazione del lavoro si com55

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plica nellepoca fordista a causa del sempre maggiore tecnicismo dei prodotti intellettuali, della sempre maggiore specializzazione della produzione accademica, sotto linflusso delle tendenze vincenti che provengono da oltreoceano (Luniversit tedesca si americanizza). Il passaggio non indolore, perch modifica i percorsi di carriera; i primi capoversi della sua conferenza sono dedicati non a caso al modo in cui un giovane entra nel mondo accademico e alle diverse condizioni di lavoro di un Privatdozent tedesco rispetto a quelle di un assistant americano, precario proletaroide il primo, salariato laltro.23 Weber quindi tocca un punto che nel testo di Bledstein costituisce un importante interrogativo: la progressiva tecnicizzazione dei prodotti intellettuali, la sempre maggiore richiesta di specializzazione creano problemi di accesso alle conoscenze da parte della maggioranza dei possibili utenti, innesca una logica di gruppo o di casta che pian piano porta i savants di oggi a parlare linguaggi incomprensibili e a comportarsi come i sacerdoti delle religioni antiche che muovevano le labbra in espressioni che quanto pi erano inaccessibili alla comprensione generale, tanto maggiore autorevolezza conferivano alla casta sacerdotale?24 Pu darsi, forse inevitabile, ma questo interrogativo dimostra come il superamento di queste contraddizioni non possa consistere soltanto in un atteggiamento etico di disponibilit alla comunicazione; la logica dello specialismo talmente costitutiva del lessico da rendere impossibili altri linguaggi. Dunque inevitabile la costituzione di caste? Nel caso di professioni tutelate dallinamovibilit possibile, nel caso di professioni aperte al libero mercato, le logiche sono differenti. Chi aveva letto gli scritti di Weber e conosceva alla perfezione la letteratura austro-marxista degli anni venti era certamente il viennese Peter Drucker, prima di emigrare negli Stati Uniti e di diventare l il fondatore delle teorie del management. Sarebbe un errore infatti credere che Weber e i pensatori sociali di lingua tedesca degli anni venti e trenta non avessero presente il ruolo del Beruf nel libero mercato, sia perch hanno avuto un ruolo storicamente rilevante nel definire le caratteristiche dello spirito imprenditoriale (Unternehmensgeist) sia perch consideravano le inclinazioni morali e la disposizione danimo dello scienziato non diverse da quelle di un operatore commerciale o di un fondatore di unimpresa, come dice esplicitamente Weber nel testo citato. Anche il businessman deve avere passione, deve essere votato al progresso e deve avere inventiva.25

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Business e professione
Lelaborazione di una filosofia della professione nel libero mercato un tipico prodotto del pensiero americano, che conserva dei connotati assolutamente caratteristici. Il primo di questi, strettamente connesso allideologia meritocratica, il concetto di personal career. inconcepibile nel pensiero americano unetica della professione priva di unidea di successo in una competizione senza quartiere con altri professionisti. Qui sta la radicale separazione dalla morale della professione allinterno dellistituzione accademica o da quella espressa dalle regole deontologiche delle libere professioni tradizionali: il medico, lavvocato, larchitetto ecc. Il problema di costruire unetica professionale diversa da quella delle professioni liberali attraversa dunque tutta la storia recente del lavoro di conoscenza svolto in maniera indipendente. Bench listituzione ospedaliera o la professione forense oggi siano organizzate come imprese che competono sul mercato, il successo che si traduce in termini di prestigio sociale e di reddito, insieme alla volont di competere, non viene mai indicato come determinante nella scelta di esercitare la professione di medico o di avvocato; il fondamento etico di queste professioni sta ancora in codici deontologici antichi di secoli. Al tempo stesso naturale che, nel momento in cui si tratta di definire dei parametri che servono a identificare una nuova professione e si delinea la disposizione danimo necessaria a esercitarla con successo, il modello delle professioni liberali si presenta come quello di pi immediata imitazione o ripetizione. Nel 1922 esce il primo numero della Harvard Business Review, e subito uno dei temi dibattuti dalla rivista se il business pu essere pensato come una professione, interrogativo non retorico per chi si appresta a organizzare una scuola di business, evento importante nella storia del sistema universitario americano, del cui futuro promettente sembra si rendano ben conto i primi contributi sul periodico, scritti da docenti della business school. Nel settembre 1923 la prolusione allanno accademico tenuta dal presidente A. Lawrence Lowell esplicita: la scuola stata creata per rispondere alla domanda impellente di considerare il business management come una professione distinta, per la quale necessario un percorso formativo specifico, ununiversit speciale. Larticolo che Lowell trae dalla sua prolusione viene pubblicato con linfelice titolo The Profession of Business, espressione ambigua, mentre il senso del suo discorso era chiarissimo: noi qui vogliamo formare manager, persone destinate a
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occupare posizioni di executive in organizzazioni complesse. Era una lucida giustificazione dellesistenza di ununiversit speciale per manager, non contribuiva per a chiarire meglio che cos una professione, mentre avrebbe potuto sollevare linterrogativo: per formare manager necessaria ununiversit? Nei mesi dopo la crisi del 2008 questi dibattiti risalenti agli anni venti sono riemersi nelle pagine della Harvard Business Review. LAmerica e lintera comunit degli affari erano sotto lo shock provocato dal fallimento di Lehman Brothers e il grande interrogativo che lopinione pubblica si poneva era, con puritana inclinazione, com possibile che si sia arrivati a tanto? Gli uomini dellalta finanza dagli stipendi favolosi non hanno un codice etico al quale devono attenersi, non esiste una deontologia professionale?. No, non esiste, rispondeva un professore sulla Harvard Business Review, perch il management non una professione, se lo fosse le business school non sarebbero universit ma scuole professionali.26 La discussione che si apr allora, e che poi continuata vivace e talvolta concitata sul blog della rivista, ci permette di intravedere che cosa oggi il senso comune delle lite intenda per professione: la professione padronanza/controllo di un set di conoscenze e di competenze ben definito; comporta un obbligo fiduciario nei confronti dellutilizzatore finale del servizio (il singolo professionista deve avere influenza sulle decisioni del cliente); professione quando chi la esercita risponde finanziariamente e legalmente dei suoi errori, quando si in grado di dare una definizione e di esercitare un controllo sulluso del titolo; unattivit merita il diritto di chiamarsi professione solo se alcuni ideali, per esempio quello di dare consigli imparziali, di non arrecare danno o di perseguire il bene migliore, sono infusi nel comportamento delle persone che sono occupate in questa attivit, scrive Joel Podolny, ex rettore della Yale School of Management; una professione per essere tale deve avere un codice etico o un codice di condotta, dice un altro, il manager non ce lha ed giusto che sia cos; la parola professional pu aver avuto un senso centanni fa, scrive un altro ancora, ma oggi il professionista assimilabile a un artigiano, uno che impara un certo set di conoscenze molto tecniche, molto specifiche, per produrre dei risultati ripetibili, la professione un insieme organico di competenze che rende pi semplice la definizione di standard, e ancora queste sono discussioni da professori universitari, a chi volete che interessi il titolo, lo status, la certificazione, il codice etico, oggi si guarda ai risultati e basta!. In effetti riesce veramente difficile capire il senso di campagne per la formulazione di codici etici sostenute at58

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tualmente da associazioni di professionisti non tutelati da ordini. Gi nelle professioni liberali tradizionali il codice etico ha assunto da tempo un valore puramente simbolico (lOrdine dei medici tedesco ha forse espulso tutti i suoi membri coinvolti nelle pratiche di igiene sociale e di sterminio razziale del nazismo?). Che senso ha invocare un codice di comportamento per un professionista quando alle imprese consentito di agire illegalmente con sistematicit? Nellera della globalizzazione esiste forse un unico concetto di legalit in tutto il mondo? Non proprio lesistenza di diversi criteri di legalit a determinare la mobilit del capitale? La ricerca dellimpunit non forse uno dei grandi motori delle delocalizzazioni? Che cosa dovrebbe produrre un codice etico, unautoregolazione del mercato? Chi ha approfondito il problema dal punto di vista storico ci insegna che i codici etici delle professioni sono stati uno strumento mediante il quale una parte del ceto medio ha cercato di recuperare riconoscimento sociale in un periodo in cui si sentiva schiacciato dal ruolo sempre pi importante che il volto anonimo delle grandi corporation assumeva nella societ.27 Era un periodo di forte obsolescenza delle professioni in seguito ai processi dinnovazione accelerati grazie alle consistenti risorse che le grandi imprese investivano nella ricerca. Un caso precoce di obsolescenza della professione fu quello degli ingegneri agli inizi del Novecento. Settantanni dopo sarebbe stato lo stesso con gli informatici, poi il fenomeno si sarebbe generalizzato.
La rapida espansione di etiche professionali dopo la Prima guerra mondiale pu essere attribuita interamente a questioni di status. Non era la complessit delle nuove competenze ad aver reso necessari i codici etici.28

Forse lo stesso fenomeno che si ripete oggi: linsistente richiesta di riconoscimento di albi da parte di certe associazioni delle professioni non ordinistiche, la loro riproposizione delle necessit di codici etici sono un modo per rispondere con una limitazione dellofferta alla crisi di domanda, alla crisi di mercato, alla svalorizzazione delle competenze. Ma una risposta falsa e imbelle, lo vedremo meglio in seguito, dopo che avremo messo a fuoco altri aspetti della condizione del lavoratore della conoscenza indipendente per capire quale sia latteggiamento verso il suo mestiere che gli pu creare minori contraddizioni. Per questo opportuno lasciare da parte per un momento letica e riprendere il discorso sullideologia meritocratica.

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Freelancing
Il successo, dunque, la competizione per il successo. Nel periodo in cui spuntano sul mercato le nuove professioni e chi le esercita non ha unimmediata riconoscibilit sociale, anzi, spesso non ha nemmeno una formazione universitaria specifica per la professione che esercita, due strade si presentano per conferire riconoscibilit al soggetto: la strada delle professioni liberali tradizionali e la strada dellaffermazione economica, della notoriet, del successo, insomma. Percorrere la prima significa entrare in un territorio riservato a potenti corporazioni che, giustamente, si rifiutano di cedere la loro specificit e la loro chiave daccesso al riconoscimento sociale. Un oscuro medico di campagna pur sempre un medico che pu rivendicare per s il medesimo rispetto riservato al direttore della clinica universitaria. Il freelance delle nuove professioni ha difficolt persino a spiegare al figlio che razza di lavoro sia il suo, nessun titolo di studio ha certificato la sua competenza, nessun esame di stato gli ha conferito unautorizzazione pubblica a esercitare il suo mestiere. Come pu essere riconoscibile socialmente? La risposta americana stata la pi pragmatica e forse anche la pi realistica: diventando ricco e famoso. Letica del successo andava a pennello per i freelance delle nuove professioni, cio persone che non potevano dimostrare di essere in possesso di particolari competenze certificate da titoli di studio specifici, che non erano tutelate da barriere allaccesso, completamente in bala del mercato. Letica del successo e lideologia darwiniana a essa associata sidentifica quindi con letica professionale. Non un problema generalizzato di tutte le professioni intellettuali, ma un problema specifico di quelle esercitate in maniera indipendente. Uno specialista salariato, che lavora alle dipendenze di unimpresa, non ha analoghi problemi di riconoscibilit sociale. Innanzitutto un impiegato, e questo basta a definirlo socialmente, la sua competenza certificata dallazienda per cui lavora per il fatto stesso che lo ha assunto per quella mansione e gli offre la possibilit di arricchire le sue conoscenze con lesperienza sul campo, i suoi percorsi di carriera sono ben definiti da regole aziendali (nel periodo in cui nascono le nuove professioni, nella piena maturit del sistema fordista, i percorsi di carriera nelle aziende obbedivano a meccanismi molto rigidi), la sua retribuzione garantita indipendentemente dal livello delle sue prestazioni (in quel periodo storico la retribuzione in base al rendimento era gi cominciata ma per gli impiegati non aveva limportanza che aveva e avreb60

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be avuto in seguito per il lavoro operaio), il suo percorso di carriera incanalato dentro unistituzione. Il rischio del freelance di tuttaltra natura, perci letica del successo anche una specie di eccitante per far apparire il successo come un evento comune, quasi alla portata di tutti, basta volerlo intensamente, basta dedicarvisi anima e corpo. Letica del successo forma un unico agglomerato mentale con letica della competizione; il miraggio del successo lo strumento con cui si rende convincente lidea che il comportamento naturale delluomo sia di natura competitiva, non solo nel mondo del business ma nella vita di ogni giorno. Il passaggio successivo quello pi difficile. Il successo del professionista appartenente alla categoria che abbiamo delineato non segue le stesse dinamiche del successo proprie di un artista, sia esso scrittore, attore di teatro, musicista o altro. Quel tipo di professionista offre un servizio e la logica del servizio ben diversa dalla logica della libera creazione dello spirito. Il successo pertanto dipende sempre da un altro, dal cliente, il quale acquista il servizio come una merce e ragiona, si comporta, giudica in maniera diversa dal fenomeno che viene descritto come il gradimento del pubblico. Innanzitutto, la relazione tra il professionista indipendente e il suo cliente molto personale, inoltre incide sulle fortune o sfortune economiche del cliente, comprese le sue prospettive di carriera. Se a un pubblico lesibizione di un artista non piace, rimpiange solo il costo del biglietto, se a un cliente il professionista offre una prestazione di basso valore o contenente valutazioni errate, il costo per il cliente pu essere elevato. Pertanto letica del successo, che naturale nellartista, deve essere costruita artificialmente per il professionista che eroga dei servizi. E qui la semplice filosofia della competizione ovviamente non sufficiente, entra in gioco laltro fattore determinante: la competenza tecnica specifica, quella che in tedesco propria del Fachmann e in inglese del professional. Fachmann, dice Weber, lopposto di Dilettant; professional, dice Drucker, la competenza lopposto di amateur. Ma com possibile definire quando non esistono sistemi formativi che la certificano? La risposta, ancora una volta, di tipo morale e comportamentale: non chi possiede determinate competenze tecniche a essere un professionista; non il suo sistema di conoscenze specialistiche e la padronanza con cui le utilizza a farne un lavoratore intellettuale indipendente con chance di successo; non la tecnica la sua maestria, ma la capacit di relazione con il cliente, lattenzione che gli dedica, lidentificazione con gli interessi e il successo del cliente. La vera competenza sta qui. Il professionista non deve mai di61

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menticare che il suo mestiere erogare servizi, egli a servizio di qualcuno pur non essendone dipendente. Se nella ricerca del successo il professionista deve assumere un comportamento competitivo e non deve avere alcun riguardo nei confronti dei suoi rivali, nellesercizio della sua prestazione non solo deve avere riguardo per laltro, ma deve identificarsi con il suo cliente al punto da coglierne al volo le esigenze e intuire quali siano quelle di cui inconsapevole. Il vero professionista deve saper conquistare la fiducia del cliente, trustworthiness una delle parole chiave delletica professionale. Occorre prestare attenzione a questo passaggio. Alla radice delletica professionale dei lavoratori intellettuali indipendenti, nel momento in cui era necessario configurare una bozza di codice deontologico, il requisito fondamentale richiesto non aveva natura conoscitivo-intellettuale ma emotivo-comportamentale. La padronanza della tecnica era data per scontata, il semplice percorso formativo non bastava, la tecnica era questione desperienza, il requisito fondamentale per lesercizio della professione era un altro: la disposizione danimo, il vincolo di responsabilit, impliciti nel termine Beruf, che nel linguaggio del professionalismo americano si chiamano commitment.29 Pertanto, quando nei paragrafi precedenti abbiamo parlato di disposizione danimo libertaria nella scelta di praticare una professione indipendente da parte di molte persone negli anni settanta e ottanta, non abbiamo usato un linguaggio spurio, estraneo alletica delle professioni, ma ci siamo attenuti a un filone di pensiero che ha le sue radici nei primi teorici del professionalismo. Analogamente, quando nei paragrafi precedenti abbiamo citato le teorie contemporanee sul biocapitalismo e sul biolavoro, elaborate anche da persone con le quali abbiamo avuto un intenso scambio di idee sulle problematiche del lavoro autonomo, lo abbiamo fatto non solo per un senso di stima e di rispetto per interpretazioni della realt che in gran parte condividiamo, ma perch letica della dedizione totale al lavoro, anima e corpo, intesa come coinvolgimento totale, degli affetti oltre che dellintelletto e della volont, risale a un periodo precedente lattuale fase postfordista e si colloca in maniera specifica allinterno dello sviluppo di un nuovo mercato, quello delle professioni indipendenti a servizio dellimpresa. Ai nuovi professionisti si insegnava che lerogazione di energia emotiva il principale atto della prestazione, precedente e superiore allatto di erogazione di energie fisiche o intellettuali. La dedizione al lavoro e il vincolo morale verso il fruitore della prestazione presuppongono un elevato livello di accettazione della propria con62

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dizione sociale, richiedono un cervello e unanima completamente disponibili al sacrificio di un uso diverso del proprio tempo di vita. In alcune professioni si richiede uno spirito disinteressato. Non cos nella maggior parte delle nuove professioni che, prestate a servizio delle imprese, si lasciano permeare dallo spirito del business e dunque richiedono uno stile di vita dove la carriera, quella che viene chiamata comunemente laffermazione del professionista nel mercato, rappresenta la principale molla dellesistenza. Negli anni ottanta e novanta abbiamo assistito a unaccettazione di massa di questo stile di comportamento. Professionisti indipendenti o salariati, persone soprattutto impegnate nei ruoli della new economy, donne in particolare, orizzonte mentale e stile di consumo da ceto medio produttivo, lower middle class, hanno interpretato come un unico grande coro questa commedia moderna, hanno dedicato la loro vita al lavoro, hanno occupato la loro mente con il problema del lavoro anche fuori orario, spesso hanno sopportato una vita da cani, talvolta sacrificando le loro relazioni personali, coniuge, figli, amici. Il lavoro ha perduto il suo significato di prestazione conto terzi per diventare semplicemente impegno personale, prova di s, specchio della propria identit. Nemmeno i padri pi accaniti del capitalismo, i suoi pi ciechi sostenitori avrebbero immaginato una vittoria simile. La crisi finalmente ha introdotto una crepa, una forte polarizzazione tra chi ha trovato ragione dintensificare la dedizione e chi ha cominciato a guardare con maggior distacco la carriera. Ma le certezze, lunivocit dellorizzonte mentale, si erano incrinate assai prima. Forse proprio in seguito a una maggiore dedizione femminile al lavoro, il senso di distacco maturato pi rapidamente nella percezione di genere e ha preso voce nella letteratura e nella saggistica delle donne, si tradotto in una concezione della vita lavorativa come lopposto di un percorso lineare, come una permanente transizione30 da uno status professionale a un altro, oppure come un doppio s, alla cura delle relazioni personali e al lavoro conto terzi, al vincolo affettivo e familiare e allo sforzo per migliorare la qualit delle prestazioni professionali.31 Corredato da venticinque pagine di bibliografia, il capitolo sulle professioni dellHandbuch fr Soziologie 2010 sottolinea limportanza del pensiero femminista nella demolizione delle ideologie del professionalismo. Tutte le decorazioni appese alla divisa della professione sarebbero state strappate, le ultime ricerche in ambito germanofono parlano di Arbeitskraftunternehmer, di un imprenditore della propria forza lavoro; sparisce ogni riferimento alla professione come attivit comune di un
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gruppo sociale, di un collettivo; rimane solo lindividuo, la sua forza lavoro e il mercato. Lo spartiacque dato dalla crisi del modello fordista, su questa periodizzazione ormai c una convergenza di opinioni.

Consulenti di direzione: flagello o risorsa?


Un esempio di come i problemi della reputazione, del rapporto con il mondo accademico e dellimmagine pubblica del lavoro indipendente si confondano talvolta in maniera inestricabile dato dalla figura del consulente di direzione dimpresa. Non si pu negare che questa sia stata una nuova professione molto diversa da quelle liberali, perch non dotata di percorsi formativi specifici o di competenze esclusive. Bench i suoi inizi si possano collocare nel periodo tra le due guerre mondiali, di fatto dopo il 1945 che ha assunto un ruolo importante e una sempre maggiore visibilit.32 Certi studi fanno risalire la sua diffusione in Europa addirittura al Piano Marshall. Indagini condotte sul caso francese ne rintracciano gli inizi gi prima, e precisamente nelle attivit degli ingegneri delle Grandi scuole, che invece di entrare nella pubblica amministrazione diventano quadri delle imprese private. un caso di studio interessante perch lo sviluppo di quella che stata chiamata consulting industry ha dato luogo alla costituzione di societ di dimensioni multinazionali, ma al tempo stesso ha creato quel particolare tipo di capitale che stato chiamato capitale simbolico, posseduto da persone che godono di una reputazione speciale. unattivit che si articola su due poli estremi, quello della grande organizzazione, quindi del marchio, e quello dellindividuo singolo.33 Tra tutte le attivit professionali, inoltre, quella che poco per volta ha rappresentato lesempio vivente del successo individuale. Quando si pensa a un consulente di direzione, istintivamente vi si associa la figura di qualche guru, di qualche uomo di successo, strapagato, e dunque alla quintessenza del professionalismo. Tanto che spesso la figura del consulente assurge a simbolo delle nuove professioni e del lavoro indipendente tout court. Il capitale simbolico che tale figura detiene le deriva da una doppia fonte di luce, quella del management che ne lutente e quella del mondo universitario, universi che godono del massimo prestigio nella nostra societ. Qualcuno ha parlato di rapporto simbiotico tra il mondo accademico e la consulenza di direzione, sia perch la figura che svolge questo ruolo occupa non di rado ambedue le posizioni, sia perch si verificato spesso uno scambio di tipo
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utilitaristico tra la posizione del docente universitario e quella di chi svolge il ruolo di consigliere di potenti amministratori delegati di grandi aziende. Il consulente procura sponsor alluniversit e luniversit gli garantisce una posizione di prestigio e di inamovibilit. Oppure il docente della business school apre una societ di consulenza e fa da intermediario tra luniversit e limpresa, procurando forza lavoro intellettuale di valore scientifico garantito. In questo caso il manager potr contare forse su consulenze meno costose di quelle delle multinazionali, che devono coprire i costi desercizio. Ma la figura del consulente di direzione presenta anche lati deboli. I risultati del suo lavoro non sono facilmente verificabili, il contenuto delle attivit di consulenza non facilmente codificabile, difficile persino descriverlo. altrettanto difficile controllare se unorganizzazione abbia veramente bisogno di consulenti esterni, e in definitiva la spesa per le consulenze appare quasi un benefit del manager o un suo capriccio personale. Il giudizio sulloperato del consulente e sugli effetti della sua prestazione riservato al manager che lo ha ingaggiato e il manager non sar mai disposto ad ammettere di aver sprecato i soldi dellazienda. Anche in questo caso il rapporto pu essere di tipo simbiotico. Negli anni novanta il mito della consulenza di direzione si andato progressivamente appannando, sono proliferate le voci critiche, c chi ha definito lutilit del consulente di direzione puramente theatrical, funzionale solo a dare spettacolo. Povera di contenuti, priva di idee, della consulenza non rimarrebbe che labilit di una presentazione in Powerpoint. Ma anche nel caso in cui le idee del consulente fossero eccellenti, la loro efficacia sarebbe ben poca, date le resistenze inerziali dellorganizzazione a metterle in pratica. Gli scandali che hanno coinvolto societ di certificazione dei bilanci agli inizi del nuovo millennio hanno ulteriormente scosso la reputazione della professione. In Italia la pessima fama del consulente stata spesso imputata al suo rapporto con la politica e la pubblica amministrazione, tanto che il termine talvolta si confonde con quello di faccendiere. Allestremo opposto troviamo invece chi considera la consulenza di direzione il custode della cultura manageriale. difficile formulare un giudizio equilibrato proprio per il peso esercitato dalla tradizione del professionalismo e per limportanza che al suo interno riveste il capitale simbolico. Le nuove professioni non ci hanno guadagnato dal venir associate allarchetipo del consulente di direzione, che nellimmaginario collettivo un uomo di successo dagli onorari favolosi per prestazioni da ciarlatano. possibile riprendere uno sguardo corretto sulla consulenza spesso strumento di effettivo sup65

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porto nelle scelte strategiche di unimpresa o di una pubblica amministrazione solo spogliandosi completamente da un sistema di pensiero condizionato dallideologia del professionalismo. Il gi citato Manuale della consulenza redatto a met degli anni settanta dellInternational Labour Office di Ginevra, e poi aggiornato pi volte, passa in rassegna varie scuole di pensiero che si sono esercitate a tracciare il profilo del consulente di direzione, ma unidea centrale le accomuna tutte: quella che tra il consulente e il suo cliente, il manager, ci deve essere scambio di conoscenza, interazione, e che ambedue non debbono risparmiare alcuno sforzo affinch il loro rapporto di lavoro diventi unesperienza di apprendimento reciproco. In altri termini, quello del consulente essenzialmente un lavoro di relazione. Quindi la sua competenza viene definita primariamente attraverso i personality traits e le attitudes, solo al terzo e quarto posto vengono knowledge e skills.34 Bench il Manuale consideri lofferta di servizi di consulenza unindustria che deve avere strutture organizzative complesse e alla figura del consulente indipendente dedichi quattro scarse paginette, non c dubbio che il capitale delle grandi societ di consulenza sia rappresentato da individualit e, per quanto possano essere standardizzate le loro procedure, il successo sul mercato dipende dal talento delle singole persone. La clientela ricca. Le grandi imprese, le pubbliche amministrazioni e le risorse generate dallindustria del management consulting sono consistenti, il lavoro di conoscenza e approfondimento che vi si profuso ha finito per creare unaccumulazione di intelligenza che pochi altri settori conoscono. Ogni lavoratore indipendente della conoscenza, qualunque altro mestiere faccia, pu trovare nella sua letteratura considerazioni, esperienze e analisi dalle quali c sempre qualcosa da imparare.

Surrogati didentit
Lideologia del professionalismo, pur sottoposta a critiche demolitorie, dura a morire e si ripresenta con gli stessi abiti consunti e pieni di rattoppi nei periodi di crisi economica, sociale e politica dei ceti che ne sono portatori. Ma oggi, nel periodo postindustriale, c qualcosa di pi che pu spiegare la sua persistenza anche nei momenti di congiuntura favorevole, come sono stati, in Italia, gli anni ottanta e novanta, quelli, per intenderci, che hanno visto il diffondersi delle nuove professioni. Ed singolare che il professionalismo sia tornato in auge mentre proseguiva in maniera accelerata la frammentazione e limplosione dei ceti me66

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di, e si stava affermando quindi una tendenza inversa rispetto a quella che Bledstein e altri hanno osservato nellAmerica mid-victorian. Se allora la cultura del professionalismo aveva cementato le varie componenti della classe unica, nei decenni pi recenti ha potuto riproporsi in un panorama di crescente disgregazione e frammentazione, galleggiando come una sostanza che non si scioglie nella societ liquida di cui parla Zygmunt Bauman. La ragione principale sta forse nella perdita di forza identitaria del lavoro. Un fenomeno cui sono stati dedicati molti studi ma che ciascuno di noi pu osservare nella vita di ogni giorno. Le persone continuano a definirsi attraverso lattivit che svolgono, ma solo per pura convenzione, per ragioni di etichetta quasi, mentre nel loro intimo cercano agganci pi solidi, pi convincenti per caratterizzare la loro personalit. Nella crisi didentit spesso si confondono questi due piani, quello dellidentit come maschera di una commedia che recitiamo tutti quanti e che indossiamo nel balletto dei rapporti superficiali quotidiani, obbligati a rispettare certe convenzioni, e quello dellidentit intesa come configurazione dellunicit della persona. Nella prima forma didentit possiamo recitare o usare le credenziali, nella seconda dobbiamo crederci davvero ed questa che nella societ odierna tende a indebolirsi sempre pi, provocando, per reazione di autodifesa, o la moltiplicazione delle maschere oppure il travestimento. Nella societ italiana dove le scelte di politica industriale hanno portato labbigliamento e la moda a occupare una posizione costituita dellidentit nazionale, la costruzione della personalit attraverso i vestiti e gli accessori ha raggiunto limiti esasperati e ha ridotto intere generazioni di giovani a manichini ambulanti, privi di anima. Non quindi soltanto il lavoro ad aver perduto la sua forza identitaria sia perch un valore sociale in disuso, sia perch la precarizzazione lo ha logorato nei suoi significati esistenziali, ma la formazione della personalit in quanto tale che resa sempre pi difficile e complessa. In un quadro di perenne competizione, allinterno del mondo del lavoro crea identit la carriera, semmai, non la funzione. Chi tagliato fuori da un percorso di carriera rifiuta una definizione di se stesso attraverso il lavoro. Qui sinnesta la forza ideologica del professionalismo. Bench, come abbiamo visto, esso stesso sia stato strutturato secondo curricula istituzionalizzati, conserva una sua presa sullindividuo attraverso la sua componente moralistica e attraverso il richiamo allordine simbolico della competenza esclusiva. Sicch coloro che esercitano una di quelle che sono chiamate professioni intellettuali non solo indossano la maschera del recitare quotidiano, ma ci credono. Non stupisce quin67

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di che le nuove professioni siano state contagiate dallideologia del professionalismo: cercavano una forma di cittadinanza e di riconoscimento per passare dallo stato di outsider a quello di insider, la via breve era quella della vecchia ideologia. Poi si sono accorte che restavano lo stesso fuori dalla porta, ma questa unaltra storia. Vale la pena invece riprendere il discorso della sempre pi difficile formazione della personalit e dellidentit attraverso loccupazione, perch presenta aspetti che sintrecciano fortemente con il problema della coalizione.
Lincertezza odierna un potente fattore di individualizzazione; essa divide anzich unire [...] lidea di interessi comuni diventa sempre pi nebulosa e in definitiva incomprensibile. Paure, ansie e risentimenti sono fatti in modo tale da dover esser sopportati in solitudine, non si sommano, non si coagulano in una causa comune, non possiedono un destinatario naturale. Tutto ci fa dellatteggiamento solidaristico una tattica non pi razionale e suggerisce una strategia di vita del tutto diversa da quella che condusse un tempo alla nascita delle organizzazioni difensive e militanti della classe lavoratrice.35

Questa visione rassegnata di Bauman non del tutto convincente. Linsicurezza non soltanto un prodotto di rapporti di lavoro precari. Qui c il solito retaggio paralizzante del modello del lavoro subordinato, inteso come storicamente stabile. Linsicurezza dovuta alla difficile formazione della personalit, provocata a sua volta dalla crescente invasione di modelli di persona, di comportamento, di pensiero, di espressione, che i media trasmettono in et infantile e adolescenziale. Ogni immagine unipotesi di personalit possibile, spesso le immagini o le parole trasmettono modelli di personalit irraggiungibili. Entrano a fiumi nelle catene dellapprendimento fattori inquinanti, scorie dogni tipo prima che leducazione possa fornire filtri protettivi. Delleducazione qui si parlato solo per i suoi gradi elevati perch il rapporto tra formazione delle conoscenze specializzate e professioni intellettuali vincolante. Le critiche alliperspecializzazione sono cominciate gi prima di Weber ma il problema ormai, ce ne accorgiamo ogni giorno, non quello della difficile comprensione dei linguaggi specialistici e della pretesa di status delle lite professionali, e nemmeno quello della discrasia tra i corsi che luniversit offre e le competenze che il mercato richiede. Il dramma oggi non luniversit specialistica, che bene o male funziona, la gente che non sa parlare e scrivere in italiano. sempre pi incerta e fragile quella che Drucker chia68

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mava lallgemeine Bildung. Si capaci di produrre competenze specialistiche, che possono assumere la veste di identit professionali, ma si sempre meno in grado di produrre personalit, quellinsieme di attitudini che consentono di organizzare le conoscenze e le passioni, i saperi e le emozioni, in un ordine mentale che permette allindividuo di controllare, filtrare e incanalare il flusso di eventi informativi che gli piovono addosso, ma soprattutto gli consentono di agire su percorsi che lui stesso si scelto. Questa la condizione, la possiamo chiamare dote o talento, di cui necessita il lavoratore indipendente delle nuove professioni, la capacit di muoversi su tutti i terreni, ma anche di navigare o di volare, di transitare da un mercato della competenza a un altro, da un sistema di relazioni a un altro. Non ha bisogno di unidentit professionale, ha bisogno di una personalit che gli conferisca sicurezza e quindi disponibilit al rischio, pu tranquillamente disfarsi dellideologia del professionalismo (deve sapere cos per). Non un paradosso affermare che per un nostro lavoratore della conoscenza freelance padroneggiare la lingua italiana scritta e parlata il requisito pi importante, perch significa che ha unidea di base di cosa siano il tempo e lo spazio, cio ha introiettato la storia e la geografia. Significa che sa esprimersi in maniera chiara e in maniera ambigua, ha unidea di cosa siano le relazioni sociali, di dove si possa essere schietti e frontali e di dove conviene stare in guardia. Litaliano una lingua che offre meravigliose risorse di ambiguit, non a caso il nostro il paese del trasformismo, delle leggi che vogliono dire una cosa e il suo opposto. Ma lambiguit anche finezza, come una musica che procede per quarti di tono, e quando il punto dove si vuole arrivare chiaro, lambiguit diventa solo un mimetismo per poter arrivare l dove altri potrebbero impedirti di arrivare o potrebbero aspettarti. un modo per preparare la sorpresa del pensiero originale. Tradurre allgemeine Bildung con cultura generale restrittivo, il termine intende la conoscenza dei fondamentali, in modo da distinguere lessenziale dal superfluo, in un quadro mentale dove i riferimenti di tempo e le gerarchie dei dati sono chiari e i linguaggi degli insiemi di informazioni riconoscibili. Italiano, storia e geografia: sembra una battuta di snobismo intellettuale, ma com possibile formare una personalit senza sapere come si legge un libro di storia, senza saper riconoscere la dinamica e la genesi della condizione in cui si vive? Farsi spiegare passivamente da altri quello che sei o com nato il mondo in cui vivi come accettare che padre e madre vengano conferiti dufficio. Solo una forte personalit produce frammenti didee originali, offre al mercato quella che comunemen69

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te si chiama innovazione. Questo il campo non esclusivo ma specifico dei lavoratori della conoscenza indipendenti.

Personalit e scrittura
Ma che significa scrivere in italiano? Maestri di questa pratica ci hanno permesso di entrare nel loro laboratorio e di osservare da vicino certi arnesi del mestiere. Certo, si trattava in gran parte di arte letteraria, ma la redazione di testi di riflessione o di esposizione per loro non mai stato esercizio diverso; per quanto riguarda la qualit della scrittura, gli ostacoli e i problemi restano gli stessi. Sono le sorgenti dellespressione il grande mistero. Un giorno Luigi Meneghello, alla domanda su quale fosse per lui il rapporto tra dialetto e lingua nella scrittura e se ritenesse che il dialetto fosse un patrimonio espressivo in via di estinzione, cos rispondeva:
Per me ha senso lassioma che morendo una lingua muore una cultura, ma certamente vero anche lopposto, cio che il mondo artigiano e contadino stato estinto dagli sviluppi della nostra societ, della nostra civilt: ed ovvio che mantenere vivo il dialetto al di fuori della societ che lo parlava, lo nutriva, non avrebbe senso. Quanto lunghi saranno i tempi perch il dialetto scompaia del tutto questo resta da vedersi. Ma si pu presumere che prima di scomparire il dialetto potr influenzare anche profondamente lo sviluppo dellitaliano letterario; attraverso i meccanismi non troppo diversi dai trasporti che vi ho illustrato.36

Lindustrializzazione, il fordismo avevano portato alla svalorizzazione di un patrimonio linguistico che troppo spesso litaliano letterario aveva ignorato, se non represso. Rispondendo al suo interlocutore nel 1986, Meneghello non immaginava che, dieci anni dopo, il progresso della civilt avrebbe avvicinato il rischio di una seconda estinzione, quella delle lingue in quanto tali. Il postfordismo e luso delle tecniche comunicative a distanza potranno portare a questa scomparsa? Il modo di scrivere allistante, rispondere allistante, lintroduzione di stilemi e grafemi privi di un suono, leggibili attraverso una linguistica senza fonologia, la perdita del malinteso, come dice Gargani citando Baudelaire,37 la minaccia di una comunicazione che, giunta ai livelli estremi di connettivit tra soggetti, diventi mutismo sono temi che appassionano i filosofi dal momento in cui si instaurato il dominio di Internet. Sono i problemi ai quali maggiormente sensibile chi ogni giorno lavora con il web e ne
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riconosce le insidie; non sono problemi riservati ai filosofi ma normalit per i lavoratori della conoscenza. Le lingue, del resto, tra i vari segni della civilt sono state quelle pi esposte alla minaccia di repressione, di interdizione. Quante volte una lingua stata salvata! Oggi questa minaccia ha cambiato tattica: ci che uccide le lingue e le culture a esse associate non il divieto di parlarle o scriverle, il potere monopolistico di un idioma. Ma proprio questo a esaltarne il prezioso retaggio. Italiano, storia e geografia non solo per rendere solido un capitale umano, si diceva, ma per formare una personalit, un carattere. Insistiamo: non si tratta di luoghi comuni o di snobismi provocatori, qui si vogliono rivisitare tematiche alla base dellideologia del professionalismo che ritroviamo negli scritti dei suoi padri fondatori, come, ancora una volta con acutezza, ci insegna Bledstein. Uno dei princpi fondamentali, come abbiamo ricordato in precedenza, era la dedizione, la spinta etica al bene pubblico, considerata forse pi importante della competenza specialistica. Ma ben presto si disse che prima ancora era indispensabile il character, il segno distintivo, la somma di qualit che distinguono un individuo dallaltro e che potrebbe essere proprio quel che abbiamo chiamato personalit. Giustamente Bledstein osserva che questo carattere era s inteso come immagine di se stesso, fiducia in se stesso, disposizione danimo dellindividuo ad affrontare tutte le situazioni, ma solo allinterno dei parametri della carriera: devi avere character nel quadro dei career patterns. Il termine career in origine indica la pista di gara: il carattere, quindi, sin dalle origini del professionalismo moderno, allude a una personalit competitiva. Character: avere una personalit. Corre veloce il pensiero al libro di Richard Sennett, Luomo flessibile, che ha avuto tanta eco, anche in Italia. Il suo sottotitolo, nelledizione originale, suonava The Corrosion of Character, per dire il deterioramento della personalit provocato dalla condizione di perenne instabilit del lavoratore moderno. Nel nostro discorso si vuol andare oltre, la difficile formazione di una personalit generata da qualcosa di pi complesso del precariato lavorativo o dellincertezza professionale, ci sembra che abbia piuttosto a che fare con la percezione del mondo e con ladattamento allambiente esterno. Il modo di produzione postfordista e la globalizzazione hanno creato una nuova antropologia umana, la diffusione dellinformatica e lutilizzo del personal computer hanno introdotto nuovi parametri epistemologici, modificando radicalmente le dinamiche dellapprendimento e quindi del passaggio dallo stato infantile allo stato adulto. Linformatica ha consentito a giovanissimi di padro71

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neggiare i linguaggi e le tecniche, mettendoli in grado di trasformarsi, per esempio, in hacker capaci di creare grosse difficolt o addirittura paralizzare sofisticati sistemi di apparati militari. Nessuno ha insegnato loro come si fa, lo hanno imparato da soli. La rivoluzione del computer segna uno spartiacque nella storia perch ha posto fine al sistema millenario delle civilt umane che prevedevano in parallelo alla crescita naturale delluomo un progresso graduale di apprendimento. Let scolare era una fase ben precisa della crescita fisiologica. Lhacker bambino il simbolo di questo passaggio di civilt. Senza un percorso di apprendimento, senza una scuola, gi irrompe con potenza devastante nel mondo degli adulti, un mondo che quanto pi computerizzato tanto pi sembra accessibile a chi non ha compiuto o non ha bisogno di compiere un curriculum di formazione. Se la principale capacit di adattamento allambiente esterno data dalla conoscenza dei linguaggi informatici, e tutta la cultura della formazione generale risulta obsoleta, o semplicemente non utile a consentire la sopravvivenza dellindividuo, chiaro che la stessa nozione di personalit individuale acquista un nuovo significato. Forse quella nozione di personalit che abbiamo prima delineato appartiene anchessa al mondo di ieri. La corrosione, il deterioramento della personalit provocati dallinstabilit lavorativa si chiamano cos perch lo sguardo di Sennett, come il nostro, datato? Ha forse bisogno di conoscere la storia lhacker bambino? No di certo, ma non ha bisogno nemmeno di relazioni. Il suo mondo l, dentro lo schermo e lui non lo riconosce attraverso la carta geografica ma mediante il linguaggio dei simboli. I casi clinici di ragazzi che stanno tutto il giorno chiusi in stanza davanti al computer dovrebbero farci capire che landroide dietro langolo. Ma non detto che finisca cos; solo un atteggiamento di sciocco snobismo parla con apparente rassegnazione di barbarie incombente. Tutti i sistemi totalizzanti tendono a ridurre lumanit a un insieme di corpi senzanima, senza personalit, il capitalismo per primo e il biocapitalismo quasi ci riesce.38 Il problema sta nel rifiuto di subire, di sottomettersi, leterno problema della libert dellindividuo. Qui sta il senso del discorso sulla coalizione. Ma la libert non scindibile dalla conoscenza, pertanto laffermazione che linformatica ha creato una diversa epistemologia significa che ha modificato i parametri del processo conoscitivo liberandolo in parte dalla dipendenza dellinsegnamento, del lavaggio del cervello, e dalla dipendenza dei procacciatori/manipolatori dinformazioni, aprendo lo spazio a unautonomia dellindividuo, seppur parziale e in permanente ten72

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sione. Parlando il linguaggio dei simboli ha ridotto lo scarto tra la parola e i suoi effetti, il gesto e i suoi riflessi. Ha abbassato la statura dellautorit, le ha tolto il piedestallo, contribuendo in questo senso alla de-professionalizzazione.

Le nuove non-professioni
La nascita e lo sviluppo delle nuove professioni avvengono proprio nel periodo in cui questo passaggio di civilt comincia a compiersi. Non hanno un percorso di formazione precostituito, non possiedono conoscenze alle quali corrisponde un ambito di giurisdizione ben definito, vivono di relazioni pi che di competenze, la loro autorit sancita dal mercato non dalle credenziali, a loro non servono i paludamenti del professionalismo, anzi sono dimpaccio. Ma il termine generico di nuove professioni ne comprende anche alcune antiche, esercitate in maniera nuova o, per meglio dire, svolte in contesti di mercato talmente diversi da quelli che in origine le aveva viste nascere, da poter essere considerate nuove. la forma sociale dellesercizio a fare la differenza, non la specializzazione. Qualcuno ha detto: non sono professioni e chi le esercita non ha il diritto di chiamarsi professionista. Con malcelato disprezzo ne parla uno che pure stato un impietoso testimone della decadenza della professione medica negli Stati Uniti:
Specialisti che in realt sono dei meri tecnici [...] servono i loro padroni come freelance o hired guns (tanto per usare sia il termine antico che quello moderno per dire mercenario), le loro lealt si collocano sullo stesso piano di quelli che li pagano. Accettano le scelte dei propri padroni e li servono lealmente come meglio possono. Alla luce delle loro conoscenze specialistiche questi servants possono consigliare ai loro padroni di qualificare o modificare le loro scelte ma non pretendono di avere il diritto di essere loro a scegliere per i propri padroni, di essere indipendenti da quelli o addirittura di violare i loro desideri. Ma proprio questa lindipendenza che il professionalismo reclama per s.39

Forse qualcuno potrebbe sentirsi offeso a essere definito un mercenario, ma la frase rispecchia semplicemente la mentalit elitaria, latteggiamento di esclusione sociale, caratteristici della cultura del professionalismo, su questo concordano tutti i grandi studiosi del fenomeno: lo stesso Freidson, Abbott, Magali Larson e altri. Chi ha scelto il lavoro autonomo delle nuove professioni negli anni settanta, non solo in Italia, lo ha fatto invece
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portandosi dietro una mentalit opposta, quella dellegualitarismo. I neue Selbstndige tedeschi erano fortemente influenzati dalle culture e dalle pratiche alternative, da orientamenti anticapitalistici, da un desiderio di fuga dalle citt per immigrare in zone rurali. Spesso un informatico sceglie la carriera del freelance dopo aver fatto unesperienza di hacker. Come ci ricorda Manuel Castells, forse il maggiore teorico della societ dellinformazione, della network society, il termine hacker non indica un sabotatore, ma una persona che rifiuta il sistema proprietario, che considera la condivisione della conoscenza e dellesperienza il valore pi elevato, il principio etico al quale deve tenere fede linformatico che vive del proprio lavoro. un atteggiamento opposto a quello della competenza esclusiva, proprio dellideologia elitaria del professionalismo. Grazie a questo atteggiamento anarchico-libertario si sviluppato Internet. In virt di una mentalit che lopposto di quella del professionalismo nato il computer.
Il personal computer stato uninvenzione casuale della controcultura informatica e lo sviluppo migliore del software lo si avuto con i sistemi open source, che sono stati prodotti al di fuori del mondo delle grandi imprese, nelle universit e nelle iniziative lanciate da freelance.40

Lideologia del professionalismo conservatrice, non stimola linnovazione. Il lavoratore della conoscenza moderno ha orizzonti pi vasti, pi aperti di quelli della professione. Taglia corto Keith Macdonald in un testo del 1995: La conoscenza unopportunit per procurarsi un reddito, scrive.41 Se siamo daccordo con lui, una perdita di tempo interessarsi alla disputa se il lavoratore autonomo con partita Iva sia un professionista o meno, abbia o meno il diritto di presentare queste credenziali. di secondaria importanza decidere se considerarlo un mercenario o un gentiluomo. Rimettiamo i piedi per terra, torniamo alla sua condizione sociale, a quella che gi trentanni fa era stata messa a nudo da chi aveva colto sul nascere il passaggio di civilt.42 Era evidente dalla fine degli anni settanta che la tendenza fosse quella definita da Magali Sarfatti Larson: la proletarizzazione dei laureati.43 Ragionando al giorno doggi, per, la constatazione che il fenomeno dellimpoverimento del lavoro intellettuale si verificato effettivamente, come era stato previsto trentanni fa, non basta. Una tendenza storica non mai lineare, si afferma per contraddizioni e ripiegamenti, si manifesta per varianti che ne arricchiscono la complessit. Ragionando
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oggi, vale la pena di mettere in rilievo come le persone abbiano cercato di resistervi o con artifici di sopravvivenza o, soprattutto, con una progressivamente maggiore capacit di amministrazione delle proprie conoscenze e un passaggio da forme di vita puramente individualistiche a trame di relazioni che funzionano sia da strumenti di protezione sia da proposta di nuovi servizi. Il mercato per il lavoratore autonomo in parte quello che lui stesso riesce a creare, a inventare, a inventarsi. Ma se cos , se la forma mercato indissolubile dal riconoscimento sociale, significa anche che una delle cause della mancanza di reazione allimpoverimento della middle class pu essere dovuta al fatto che esercitare unattivit di elevata reputazione o visibilit offre una compensazione alle paghe da fame o agli onorari vergognosi. Forse questa la vera trappola che ingabbia i lavoratori indipendenti: essere vincolati ai valori del riconoscimento sociale tanto quanto la classe operaia stata vincolata ai valori del consumismo. Occorre dunque disattivare una serie di trappole ideologiche se si vuole inaugurare un percorso di coalizione. Ha ragione Federico Chicchi, che ha studiato a fondo il problema dellidentit in rapporto al lavoro, a scrivere:
Sembra svolgere una funzione rilevante, la diffusione di una cultura del lavoro che fa della performance individuale e della capacit di competere efficacemente sui mercati emergenti degli elementi imprescindibili dellalto riconoscimento sociale. Il lavoro diventa fonte di attribuzione di elevato status quando visto come attivit rischiosa, creativa e di responsabilit. Latteggiamento che tende ad attribuire rispetto e stima a chi accetta di intraprendere percorsi professionali rischiosi e non istituzionalmente protetti, sembra far parte di una pi generale cultura del rischio tipica dei contesti economici postfordisti [...] la cultura del rischio cio una cultura individualistica, meritocratica che attribuisce valore sociale allattore che agisce senza pianificare nei dettagli la sua strategia, che aggredisce il mercato piuttosto che subirne gli effetti, che affronta con risolutezza ed autonomia le condizioni dincertezza e variabilit della societ postfordista. [...] Il saper rischiare, quindi, diventa il principale criterio di valorizzazione sociale del postfordismo. Rischiare significa, infatti, stare dentro, non rischiare significa stare inesorabilmente fuori.44

Ma questa ancora una volta, come in Bauman o in Sennett, solo una faccia della medaglia, una visione che rischia di rimanere circoscritta dentro la forma mercato. Il rischio vero non quello di affrontare il mercato. Il rischio vero pensare altri75

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menti, rifiutare la mentalit corrente, limitazione delle pratiche del leader di mercato. Il rischio vero innovare, dotarsi di un bagaglio conoscitivo sui generis. C un bellissimo termine tedesco, Querdenker, uno che pensa di traverso, e dunque che si mette di traverso. Linnovazione pu consistere proprio nel saper ridurre limprevedibilit dellazione rischiosa. Il rischio del lavoratore cognitivo che esercita unattivit indipendente deve essere sempre un rischio calcolato, non pu essere mai assoluto, un salto nel vuoto, una scommessa; deve contenere in s un criterio di relazione. Non si pensa altrimenti per rompere il legame con il committente ma per vincolarlo a condizioni pi favorevoli, non si pensa altrimenti per stare peggio ma per sentirsi maggiormente padrone di un rapporto di lavoro, per quanto asimmetrico possa essere il rapporto di forza economico. Per calcolare un rischio basta il proprio talento, ma per tutelarsi dal rischio c solo la coalizione con i propri simili.

Conoscenza tacita
Qualche anno fa, in un saggio sulla rivista dellAssociazione medica americana, due autori, Epstein e Hundert, rilevavano in maniera molto convincente che la competenza professionale si definisce pi come conoscenza tacita che come conoscenza esplicita.45 Riprendendo le tesi di Michael Polanyi,46 scrivevano:
La conoscenza tacita quel qualcosa che conosciamo ma non sappiamo spiegare bene, che comprende le regole informali delleuristica, lintuizione e il contesto in cui si colloca latto della conoscenza.

La competenza un abito mentale, proseguivano, riferendosi in particolare alla pratica medica. Ma questa idea, competence is a habit,47 possiamo riprenderla e applicarla a tutte le professioni, in particolare a quelle nuove, che sono in parte prive di una certificazione fornita da un percorso di studi o da un titolo di studio specifico e prive di regolamentazioni per laccesso. La frase che spesso viene ripetuta in questi casi, la competenza una questione di esperienza, oppure solo praticando un certo mestiere lo si impara, descrive con troppa superficialit il complesso formarsi in un professionista delle conoscenze che gli consentono di esercitare il mestiere. Il concetto di conoscenza tacita invece va molto pi a fondo, perch indica quellinsieme di elementi teorici, emotivi, esperienziali, tecnici, morali, comportamentali, relazionali che rendono non
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formalizzabile, non riproducibile, e quindi difficilmente trasmissibile, una competenza. la forma propria del segreto del mestiere nel lavoro di conoscenza professionale moderno. La conoscenza tacita una forma di sviluppo dellidentit, di crescita della personalit che si prolunga tutta la vita, il vero lifelong learning, ma presuppone un abito mentale e una disposizione danimo particolari, cio prontezza ad assorbire elementi di conoscenza, curiosit e una fondamentale umilt di fronte alle cose e alle persone. Nelluniverso dei lavoratori della conoscenza allignano, e oggi purtroppo proliferano, tipi umani e abiti mentali con un atteggiamento esattamente opposto, quelli che ritengono la conoscenza e la competenza un processo unidirezionale, che credono il loro processo di apprendimento concluso con latto formale del titolo di studio e dellaccreditamento allesercizio della professione e quindi hanno una relazione con gli altri, con gli utenti dei loro servizi, puramente gerarchica. Perch sono queste le persone prive di conoscenza tacita? Perch nel loro stile di comportamento la conoscenza deve essere sempre un attrezzo esibito, agitato davanti allinterlocutore come un bastone davanti al cane, strumento di sottomissione. Questa la ragione per cui larroganza del knowledge worker si accompagna sempre allignoranza: connaturata a un abito mentale che rifiuta la conoscenza tacita possibile tecnicamente solo con losservazione attenta e curiosa dellaltro, affettivamente solo con un fondo di adolescenziale freschezza. Il moltiplicarsi di tipi umani caratterizzati da questo abito mentale nella societ della conoscenza contemporanea causa ed effetto della svalorizzazione della competenza. Essi rappresentano la dimostrazione al contrario che lassioma la competenza un abito mentale corrisponde al vero. Cos come la conoscenza tacita quel qualcosa che sappiamo ma non siamo in grado di spiegare, cos il fenomeno del dilagare di tipi umani e di abiti mentali dove arroganza, presunzione e ignoranza/incompetenza vanno a braccetto, difficile da descrivere con il linguaggio della disciplina sociologica. Non esistono ricerche empiriche, casi di studio, su questo fenomeno che incontriamo ogni giorno e che forma una delle componenti essenziali di invivibilit dellItalia di oggi. Se dovessimo effettuare su Internet una ricerca di letteratura sullargomento, che parola-chiave potremmo inserire nella ricerca? Eppure ogni lettore di questo libro ne avr incontrati di simili tipi umani e forse avr notato anche lui che sono in pericoloso aumento. Ne vengono messi in gioco sia la reputazione sociale del lavoro cognitivo sia il valore di mercato delle competenze. Ne viene umiliata la dignit del linguag77

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gio, della scrittura. ancora Meneghello a descriverne lo stile e a renderceli inconfondibili:


Ci che dava noia non era loscurit, ma la falsa oscurit, la finzione del difficile, del raffinato, dellinsolito, del profondo. Mi sentivo offeso in uno dei miei sentimenti pi intimi. Mi pareva che praticare quel tipo di prosa abitualmente e per mestiere (come alcuni facevano) non sia un modo disonesto di scrivere, ma un modo disonesto di vivere, [...] per la gente di cui parlo, pareva che valesse la regola: meno hai da dire, pi banale e miserevole la roba che hai da dire, e pi devi cercare di rendere oscuro, contorto, allusivo, involuto il modo in cui la dici.48

Se la competenza questione di abito mentale, il valore del titolo di studio o di altri certificati di accreditamento viene ridimensionato e torniamo al tema che abbiamo gi toccato: professionalit e attitudine morale sono inscindibili. La domanda se siano pi importanti il commitment o la competenza tecnica non ha senso, perch la competenza essa stessa in gran parte una questione di tipo relazionale, di modalit di comportamento verso terzi. anche una questione di forma del pensiero, di struttura della percezione, che non pu essere codificata in tecniche di apprendimento, anzi, potremmo definire la conoscenza tacita come quella che non possibile formalizzare in precetti formativi, in percorsi di educazione, quindi conferisce allindividuo limpronta di soggetto unico e irripetibile, al professionista limpronta di chi in grado di dare quel servizio che nessun altro sa dare. Si torna sempre al problema che aveva assillato Weber e che continuer a perseguitare coloro che in futuro si interesseranno a questo tema: la standardizzazione delle procedure e dei contenuti delle discipline, necessarie a far funzionare ununiversit di massa, non vanno proprio in direzione opposta? Trasformare la competenza in tecnica riproducibile non un modo per uccidere quella progressione verso lunicit di cui si appena parlato? Lalta formazione non serve oggi proprio a formare linguaggi di comunit professionali separate ma estese orizzontalmente su tutto il pianeta? Nella comunit finanziaria, dove si parla ovunque lo stesso linguaggio, si presentano i problemi nello stesso modo, non luniformit il requisito della massima professionalit? Pi si riflette su questi problemi, pi ci si convince che il lavoro di conoscenza moderno vive allinterno di queste opposte forze, in una permanente tensione tra conoscenza tacita e procedure formalizzate. Ma non v dubbio che la prima rappresenta un vantaggio competitivo per il lavoratore indipendente e le altre sono dobbligo in una professione esercitata allinterno di una
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grande azienda. Da qualunque punto di vista si confrontino, si scoprono sempre differenze sostanziali tra lavoro salariato e lavoro indipendente.

Autorit, autorevolezza
Ma nel lavoro di conoscenza si pone un problema in pi di quello del riconoscimento o della reputazione sociale, un problema pi sottile e pi intrigante, quello dellautorevolezza. Qui le parole chiave successo, competizione, dedizione non aiutano certo ad affrontare correttamente il problema. Potremmo dire che lautorevolezza si distingue dallautorit perch un riconoscimento sociale ottenuto al di fuori di meccanismi di potere, mentre lautorit in parte sinonimo di potere. Una persona autorevole quando il suo pensiero e il modo in cui riesce a esprimerlo acquistano rispetto e prestigio presso una comunit, lautorevolezza la pura essenza di una superiorit intellettuale che non tenta mai di sopraffare altre opinioni ma vuole illuminare problematiche collettive i cui risvolti restano oscuri ai pi, per sua natura un servizio alla collettivit, svincolato da necessit economiche, ambizioni di potere, interessi ideologici. Per Weber la scienza come insegnamento un processo ascendente lungo i tre gradini della conoscenza tecnica, del metodo di pensiero, della chiarezza. Lautorevolezza ha sempre una componente di rivelazione, disvelamento; un riconoscimento da parte della comunit che certe manifestazioni del pensiero sono illuminanti, e dunque benefiche alla comunit medesima, che ricambia con il rispetto coloro da cui provengono questi bagliori di luce. Il personaggio autorevole uno che aiuta gli altri a comprendere meglio se stessi e il mondo che li circonda, quanto maggiore il disinteresse con cui dispensa la sua opera di chiarificazione, tanto maggiore il prestigio e la credibilit di cui gode. Una persona autorevole difficilmente ha ottenuto il prestigio di cui gode tramite il successo e il denaro, non viene mai associata a qualcuno che compete sul mercato in maniera spietata per ottenere il prestigio di cui gode. Al tempo stesso, per, lautorevolezza non sidentifica con lautorit morale, in quanto pu essere riferita a conoscenze tecniche, cio a una specializzazione, quindi a una professione. Il pensiero delle donne si esercitato in modo brillante sul problema dellautorevolezza. Il processo attraverso il quale si cercato di mercificare lautorevolezza unaltra cosa ancora. Da sempre il potere, lautorit (Obrigkeit) hanno cercato di imporre una forma di autorevolezza. Oggi lo sono la notoriet,
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la fama, la visibilit, oggi si cerca di far diventare autorevole anche un presentatore televisivo e le dinamiche sociali per cui questa manipolazione riesce fanno parte dei fenomeni pi comuni della societ di massa. Per questo importante restituire al termine autorevolezza il suo significato di rivelazione, di illuminazione, e riservare il riconoscimento di autorevolezza a processi di pensiero complessi, propri del lavoro intellettuale svolto come professione. Perch abbiamo introdotto il tema dellautorevolezza? Perch ci sembra presentare qualche discrasia rispetto alla filosofia meritocratica. Anche se oggi in Italia, nella misera condizione in cui caduto questo paese, sinvoca a ogni pi sospinto la meritocrazia come regola sociale capace di riportare la moralit e lordine l dove imperano corruzione e disordine, non ci sentiamo di affermare che una societ meritocratica il migliore dei mondi possibili. Per la semplice ragione che la meritocrazia presuppone la selezione e la selezione presuppone la competizione, quindi, in ultima analisi, una societ meritocratica una societ dove la parola competition scritta a lettere cubitali allingresso di ogni cittadina e di ogni villaggio. La societ meritocratica una societ di mercato, ma dopo quanto accaduto nellultimo decennio difficile credere che il mercato sia capace di autoregolarsi; quindi una societ meritocratica dovrebbe essere dotata di regole e di dettagliate procedure di selezione che le rendono operative. Le regole per presuppongono dei regolatori perch siano rispettate, ma se la meritocrazia deve essere un principio universale che governa anche i microprocessi sociali sarebbe necessaria unintera popolazione di regolatori indipendenti e salariati. Pertanto la societ meritocratica una banale utopia, auspicarne lavvento come invocare lapparizione della Madonna. Non solo nellItalia di oggi, ma anche negli Usa e nella Germania anni venti. sempre il grande Weber, nello scritto che abbiamo pi volte citato, a chiedersi: una volta che verranno introdotti i sistemi americani di valutazione nelle nostre universit, quali saranno i criteri ispiratori della selezione? La risposta : il caso (hasard).49 Queste parole suonano profetiche se pensiamo a ci che accade oggi sui luoghi di lavoro, dove proprio la banalizzazione dei princpi meritocratici, la loro riduzione a sistemi di valutazione ridicoli e arbitrari che pretendono di saper calcolare esattamente la prestazione del singolo e automaticamente il corrispettivo in termini di retribuzione e di riconoscimento di carriera a governare le politiche del personale. proprio la feticizzazione della societ meritocratica che i lavoratori dipendenti si trovano a subire. La mercificazione dellauto80

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revolezza va nella stessa direzione, ma proprio per questo dobbiamo restituire a questa parola la dignit che le spetta. Il fatto che lautorevolezza oggi abbia assunto la maschera caricaturale del guru ci dovrebbe indurre a prospettarci modelli di ben altra levatura. Ai giovani professionisti del lavoro intellettuale vorremmo raccomandare di perseguire il raggiungimento di una condizione di autorevolezza, invece di perseguire obiettivi di successo e notoriet. Eppure, forse non ce n bisogno, con i tempi che corrono letica del successo ha perduto di credibilit. Ma alle origini, nel periodo di formazione delletica del professional, salariato o freelance che fosse, e in particolare nel periodo che precede la Grande depressione del 1929, cos come negli anni ottanta e novanta, limmagine del mercato che veniva trasmessa sembrava tale da considerare il successo un obiettivo alla portata di tutti.

Transitare, spostarsi, scavalcare confini


Letica professionale di cui abbiamo parlato finora riguarda in generale il lavoratore intellettuale indipendente; le professioni per sono tante e ciascuna ha bisogno di un proprio codice identificativo per costituire quella comunit in cui il singolo professionista si riconosce. Che la genesi di questi procedimenti sia da rintracciare negli statuti delle gilde e delle corporazioni medievali non vi dubbio, si dimentica spesso per che del duplice scopo al quale dovevano servire quegli statuti conservare i segreti del mestiere e stabilire barriere allaccesso, il primo si completamente vanificato nelle professioni intellettuali di oggi e il secondo si reso molto difficile da perseguire perch non esistono percorsi formativi specifici e la tipologia di nuove professioni si arricchisce continuamente di nuove figure, stimolate dal continuo processo di innovazione, dalla insistente specializzazione e dalla globalizzazione dei mercati. Stabilire oggi barriere allaccesso in un mondo dove la mobilit del lavoro intellettuale teoricamente non ha confini, davvero ridicolo oltre che inefficiente. Una corporazione di web designer italiani pu impedire a un web designer lituano che lavora a distanza sul nostro mercato di esercitare la professione? Sembra improbabile. A che pu servire dunque unassociazione professionale? Pu esercitare azione di lobbying presso la pubblica amministrazione e il governo perch siano garantite risorse o introdotte normative adatte a rendere meno gravoso lesercizio della professione o per consentirle di operare in un ambiente pi favorevole, pu garantire ai soci un
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aggiornamento professionale permanente e pu dare una definizione della professione medesima. Lepoca che stiamo vivendo, anche per i professionisti indipendenti, non pi lepoca dei sindacati di mestiere ma lepoca dellindustrial unionism, non pi il tempo dellassociazione dei pubblicitari, dei consulenti, dei traduttori ecc., ma lepoca delle organizzazioni trasversali, che affrontano i problemi comuni a tutti i lavoratori autonomi della conoscenza. Pochi si sono esercitati sul tema delle professioni quanto il prolifico professor Andrew Abbott. Il suo libro del 1988 The System of Professions. An Essay on the Division of Expert Labor un classico. Conferma, a noi pare, molte delle argomentazioni che finora abbiamo tentato di esporre ed particolarmente prezioso perch, a differenza degli autori finora chiamati in causa, prende in considerazione non solo le professioni liberali e le professioni per le quali esiste uno specifico percorso formativo ma anche la galassia delle nuove professioni emerse negli anni settanta e ottanta. Per Abbott il requisito fondamentale perch una professione sia tale quello di saper stabilire la sua giurisdizione, cio lambito specifico di sua competenza. Ma a differenza di chi prima di lui lo aveva gi individuato come un criterio distintivo traendone la conclusione che compito di un organismo di tutela della professione deve essere quello di difendere il suo perimetro di competenza, Abbott giustamente sottolinea che se c qualcosa che distingue lepoca attuale dalle altre il continuo sconfinamento delle professioni negli ambiti di competenza altrui, come effetto dei processi di innovazione richiesti dal mercato. Da qui deriva il sistema delle professioni, un tessuto allinterno del quale ci sono continui aggiustamenti, continue ridefinizioni delle diverse giurisdizioni. Questa provvisoriet dei confini di competenza non solo non dannosa, ma anche auspicabile; la mobilit interprofessionale un fattore dinamico di progresso. Abbott quindi rovescia completamente la prospettiva di chi ritiene che i confini della professione debbano essere continuamente posti sotto sorveglianza e, per esempio, si debbano escogitare soprattutto sistemi per controllare gli accessi. Il mondo, il mercato cambiano, si muovono e il professionista si muove di conseguenza, pu partire dallesercizio di una professione e poi passare a unaltra. Oppure, caso molto pi frequente, parte da una professione, da una specializzazione, che poi si arricchisce di nuovi contenuti tali da renderla una professione diversa:
La struttura sociale delle professioni non mai fissa, [...] la loro natura quella di una costante suddivisione sotto la pressione della 82

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domanda di mercato, della specializzazione e della competizione interprofessionale.50

Le professioni, insomma, subiscono una continua trasformazione al loro interno e questo offre al professionista pi opportunit di sopravvivere e di avere successo, di inventarsi nuovi servizi o un inedito modo per erogarli. Non solo, ma uno dei fenomeni pi evidenti cui stiamo assistendo quello del cumulo di diverse competenze professionali in una persona sola. Devi saper fare molte pi cose di quelle che ti chiedeva il mercato quando hai cominciato a esercitare, ventanni fa. Non questa una frase che abbiamo sentito migliaia di volte pronunciata da un freelance? Il sistema delle professioni di Abbott un sistema interdipendente, tanto pi efficiente quanto pi elastico, la miopia quella di chi invece vuole farne un sistema di rigidit. Ammesso che si vogliano difendere queste rigidit, e che sia giusto che ogni professione difenda con i denti la sua giurisdizione, chi riesce a farlo in maniera effettiva, cio facendo ricorso a vie legali (perch altro metodo efficiente non c)? Soltanto una professione organizzata sotto ununica associazione a livello nazionale, soltanto una situazione di monopolio consente unefficace difesa della giurisdizione. Non il caso delle professioni non tutelate da ordini, le quali si distinguono (purtroppo) per unestrema frammentazione della rappresentanza. Abbott per non ritiene che la giurisdizione debba essere abbandonata alle forze del mercato e alle sue spinte e controspinte, anzi. Una professione tanto forte (tanto pi un professionista sicuro di s) quanto maggiore la sua capacit di controllare una giurisdizione che si suppone si sia ormai dissolta; non solo, ma tanto pi viva (tanto pi un professionista competitivo) quanto pi riesce a incorporare nel suo set di conoscenze specifiche, altre conoscenze proprie di altre professioni. Un altro elemento dinteresse nellanalisi di Abbott luso del termine expert labor, perch molto pi preciso del termine che spesso noi usiamo di lavoro professionale di conoscenza. In particolare, il termine restituisce il senso di una condizione generalizzata e specifica dellattivit umana e non allude a uno status sociale. In effetti, a pronunciare le parole medico, avvocato, architetto, siamo inconsapevolmente portati a pensare a una condizione di status sociale, non solo a una specializzazione professionale; si sedimentato nei decenni il senso comune che queste professioni, e altre di tipo tradizionale, siano sinonimo di middle class. Lavoro di expertise suona invece come un lavoro, un lavoro di tanti; se serve a raggiungere o a mantenere uno status da ceto medio, tutto da vedere.
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Uno status sociale in perenne equilibrio


Siamo arrivati a un punto importante del nostro discorso, il rapporto tra lavoro professionale e status sociale. Ed qui che dobbiamo rovesciare completamente sia il discorso di Bledstein sia il discorso degli Ehrenreich, versione 1977 (e magari recuperare quello di Barbara Ehrenreich, versione 2010). In questi autori, e in tutta la letteratura sociologica del Novecento, i professionals siano essi indipendenti o salariati sono considerati lossatura del ceto medio, il suo zoccolo duro. Il tema di fondo della ricerca sociologica stato quello della costituzione in classi di diversi strati della popolazione. Oggi il tema principale la dissoluzione delle classi e in particolare della classe che ha dato limpronta allo stile di vita occidentale, la middle class. In mezzo c stata la colata di studi sul superamento del concetto di classe, sulla sua inapplicabilit alla realt di oggi, caratterizzata da stili di vita uniformi che attraversano gruppi sociali con redditi molto differenti, sulla frammentazione della societ in gruppi e sottogruppi, sulla complessit del presente, sulleccessiva semplificazione delle teorie che suddividono la societ in classi e, in definitiva, sul fatto che il marxismo superato. Corollario dobbligo di queste teorie: la tesi che la classe operaia finita, defunta (ma per crepare deve prima essere esistita, no?). Di fronte a queste analisi che ci conducono per i meandri di microprocessi sociali dinteresse, certo, ma cos tortuosi che alla fine non riusciamo pi a capire in che citt ci troviamo, a noi pare che la dissoluzione di una condizione di status che costituisce lessenza dellOccidente sia un macroprocesso di cui lanalisi sociologica e il comportamento civile possono tener conto senza disonore. La rilevanza epocale di questo macrofenomeno forse non ancora giunta alla coscienza di tutti, e uno dei punti dosservazione migliori per valutarne le dimensioni proprio quello delle professioni, in particolare delle professioni liberali tradizionali. Si sa che lexpert labor esercitato da un freelance delle nuove professioni sottoposto ai rischi del mercato e pertanto non pu garantire a priori il raggiungimento, la conservazione o la perdita di un determinato status sociale. La professione liberale esercitata in forma indipendente, perch viene in genere trasmessa per via ereditaria o perch ritenuta nel senso comune un mercato protetto, classificata come attivit di scarse variazioni nella fortuna e nella sfortuna. Non pi cos, anche per le ragioni che Abbott stesso adduce con il termine di divisione del lavoro di expertise,
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attribuendo al termine divisione lo stesso senso con il quale viene usato nella letteratura marxista, ossia di una ripartizione di compiti che costitutiva di una struttura gerarchica (an upper, truly professional group and a lower, subordinate one).51 Argomento questo da non sottovalutare, perch la tesi comunemente accettata invece che la ragione fondamentale del disagio occupazionale delle professioni liberali, e quindi la discesa di molti giovani medici, avvocati e architetti nel limbo della precariet e della povert, sarebbe dovuta esclusivamente a un eccesso dofferta, per cui ancora una volta il toccasana sarebbe il controllo degli accessi, regolamentando le iscrizioni universitarie. Ma gi cos, in molti paesi, eppure non sufficiente a riequilibrare lofferta a causa di regolamentazioni diverse sul numero chiuso in paesi che formano un unico mercato (per esempio Germania e Austria), dunque le ragioni di un processo di declassamento termine di uso comune nelle agenzie di lavoro interinale devono essere diverse e pi complesse. Ha fatto scalpore qualche anno fa una trasmissione alla televisione tedesca dove si vedevano fior di giovani medici assiepare di venerd la sala dattesa dei voli Ryanair per andare a passare un weekend di orari massacranti di servizio in Inghilterra in modo da poter sbarcare il lunario. C chi la butta sul ridere come il blog www.studioillegale.com che descrive le peripezie quotidiane di un giovane avvocato a Milano nel 2010 per poter sopravvivere. La ricerca Specula Lombardia ha evidenziato che tra i laureati in architettura se la cavano meglio quelli con laurea triennale, almeno possono fare i rappresentanti di mobilifici, con la specialistica sarebbero considerati overeducated.52 La divisione del lavoro di expertise tra uno strato di professionisti con redditi che consentono un tenore di vita da ceto medio e uno strato proletarizzato, che in parte lavora alle dipendenze e su commissione per i primi, un dato strutturale inerente le logiche della professione; ci che cambiato oggi il periodo che intercorre tra una condizione di subordinazione, il lower group di cui parla Abbott, e una condizione che consente al soggetto lappartenenza allupper group, periodo che diventa cos lungo da indurre molti o a cambiare professione oppure a rinunciare alla professione per la quale si abilitati dal titolo di studio. Ma se la crisi e limplosione del ceto medio ormai sono un dato di fatto che non richiede molte prove statistiche per essere accettato, oscure rimangono le conseguenze di questa crisi, in particolare per quanto riguarda il senso comune. Il termine middle class infatti stato usato come connotato di stili di vita e di mentalit co85

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muni a gruppi sociali che avevano livelli di reddito estremamente differenziati, quindi nellaffrontare il tema della crisi della middle class il peggioramento delle condizioni economiche di determinate attivit, statisticamente dimostrabile, pu essere considerato elemento secondario rispetto a fattori di carattere culturale e comportamentale tendenti a riprodurre stili di vita difficilmente compatibili con il reddito effettivo.53 Come ci ricordava Ferruccio Gambino in un saggio di ventanni fa, dagli anni trenta che si parla di crisi della middle class in America e in questo lasso di tempo la stessa definizione di middle class come categoria sociologica cambiata, perch sono cambiati sia la composizione interna e il ruolo sociale di quellaggregato della popolazione, sia i criteri di valutazione. Da uniniziale caratterizzazione come ceto proprietario si passati a unidentificazione con il ruolo svolto allinterno del lavoro salariato (gli impiegati, i white collars); da un criterio di valutazione che teneva conto dello status si passati a uno che privilegiava il reddito. Se in modo ricorrente si parlato di crisi, non significa banalmente che la middle class segua i cicli delloccupazione come qualunque altro gruppo della popolazione attiva, ma che ogni crisi ha le sue peculiarit perch ciascuna di esse colpisce un aggregato sociale al quale si attribuisce lo stesso nome, ma che al suo interno profondamente mutato.54 La classe media della cui implosione stiamo parlando non quella del secondo dopoguerra o degli anni trenta, la classe della debt economy, come dice Marco Revelli, la cui morale di fondo dominata dallo standard di consumo. Il comune denominatore lo stile di consumo, non il reddito: la middle class composta da quelli che vogliono appartenervi, non da quelli che vi appartengono. In America la middle class che oggi sta franando quella che si costituita con le carte di credito, non con il lavoro sicuro. Questo ha comportato una vera e propria rivoluzione nel modello daccumulazione del capitalismo perch sulla spinta dellindebitamento individuale che si costruita la finanziarizzazione delleconomia. Il profitto ottenuto mediante lavoro produttivo e investimento in capitale e conoscenza diventato una risorsa secondaria daccumulazione rispetto alla rendita ottenuta prendendo a prestito denaro a basso tasso dinteresse e comprando titoli a elevato rendimento. Abbiamo molte evidenze statistiche sullimpoverimento o sulla stagnazione dei redditi del lavoro dipendente, molte meno sullandamento dei redditi di quello indipendente, ma quel poco che abbiamo ci dice che la fascia di coloro i cui redditi sono rimasti
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stabili o sono cresciuti sempre pi distanziato dalla media, come se nel lavoro indipendente si fosse riprodotto il fenomeno dellassottigliamento della fascia centrale di persone e la forma a clessidra avesse ricalcato quella dei redditi da lavoro in generale. Ma per entrare nel merito dellimplosione della middle class pi delle statistiche conta il vissuto delle persone. Come emerge dalle testimonianze dirette.

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3. Il lungo degrado del lavoro subordinato

Una Cina in Europa


Il lavoro indipendente, come tutte le altre componenti della forza lavoro, deve fare i conti con le condizioni generali di contesto economico e sociale, che a loro volta sono determinate dalle scelte di politica economica degli stati, in particolare da quelli che si presentano di volta in volta come gli stati dominanti. Per decenni, nel secondo dopoguerra, in Occidente questa funzione di egemonia stata svolta dagli Stati Uniti; oggi la potenza americana si molto appannata, anche se in Europa continua ovviamente a farsi sentire. Nellarea delleuro il paese che negli ultimi anni ha assunto un ruolo di assoluto rilievo, dal punto di vista economico e in gran parte politico , la Germania. un fatto risaputo, si potr dire, certo, ma il modo in cui si sta muovendo negli ultimi anni sul fronte del lavoro non altrettanto di comune conoscenza. Uno studio del gruppo bancario svizzero Ubs cos descrive il modello tedesco:
Leconomia tedesca, largamente improntata allexport, domina lUnione monetaria europea (Ume). Le iniziative della Germania finalizzate ad aumentare la competitivit dei prezzi allesportazione costringono gli altri membri dellUme a una reazione deflazionistica e impongono loro di cercare di emulare il modello tedesco oppure di arrischiare la costituzione di grossi deficit nei loro conti esteri. [...] La soluzione tedesca una svalutazione reale. La svalutazione del tasso di cambio nominale riduce i prezzi di esportazione dei paesi e la capacit delle famiglie interne di acquistare beni e servizi allestero. La svalutazione reale ottiene lo stesso risultato tagliando direttamente i prezzi e i salari interni. 88

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Per questa ragione anche detta politica deflazionistica e spesso accompagnata da riforme del mercato del lavoro e strutturali di altro tipo, al fine di promuovere la competitivit di un paese. La Germania, che ha adottato questa politica nei primi anni duemila, ora insiste affinch si attui una dose di svalutazione reale per i paesi Ume indebitati.1

I dati pi eloquenti, che confermano questa analisi, vengono proprio dal mercato del lavoro. Luglio 2010, lIstituto lavoro e qualificazione (Iaq) dellUniversit di Duisburg presenta il suo rapporto annuale sul fenomeno dei bassi salari.2 I risultati non si discostano molto da quelli delle indagini precedenti, presto dimenticati, ma veder riproposti certi numeri scatena unondata di reazioni per cui nessun organo di stampa di una certa rilevanza pu fare a meno di riportare la notizia sulle prime pagine, sia nelle edizioni cartacee sia in quelle online. Decine di siti specializzati nel mercato del lavoro, o in generale nei problemi delloccupazione, riprendono e rilanciano la notizia, costringendo rappresentanti del governo, del Parlamento, del mondo dellimpresa e del sindacato a prendere posizione. La notizia che pi di 6 milioni e mezzo di tedeschi percepiscono un salario da fame, eufemisticamente chiamato Niedriglohn: sono il 20,7 per cento degli occupati, un quinto della forza lavoro, il 70 per cento sono donne, il 7,7 per cento di cui laureati. In Francia i percettori di salari a livello di povert sarebbero l11,1 per cento, in Danimarca l8,5 per cento. Certo, vi sono compresi i lavori a tempo parziale e i cosiddetti Minijobs, ma il 44,7 per cento costituito da persone che lavorano a tempo pieno. In pratica, quanto guadagnano? I ricercatori hanno fatto distinzione tra i Lnder dellEst e quelli dellOvest, perch noto che le regioni della ex Ddr sono territori dove le retribuzioni sono mediamente inferiori. I Niedriglhne sono 9,50 euro lora allOvest e 6,87 euro lora allEst, lordi. Ma una buona percentuale di questo esercito di 6 milioni e mezzo di persone guadagna meno di 6 euro lora lordi. Quali sono le ragioni che hanno portato a questa situazione nel paese considerato la locomotiva dEuropa? E ancora: questo il motivo per il quale leconomia tedesca cresce (soprattutto in termini di esportazioni)? Il dito puntato sulle scelte compiute dal cancelliere Schrder nel 2002, con la famosa riforma del mercato del lavoro che ha preso il nome dal manager che ne ha tracciato le linee essenziali: Hartz IV. La Frankfurter Rundschau, uno dei quotidiani pi attenti ai problemi del lavoro, pubblica una breve inchiesta sugli esiti di quella riforma, che in quel momento era al-

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lesame dei giudici della Corte costituzionale e intasava di ricorsi i tribunali civili.3 Secondo i ricercatori dello Iaq i provvedimenti pi nefasti di quella riforma riguardavano la deregolamentazione del lavoro interinale (Leiharbeit): era stato abolito il periodo massimo di utilizzo di un lavoratore interinale, era stato abrogato il divieto di riassumere lo stesso lavoratore interinale da parte dellazienda che lo aveva occupato; erano state concesse nuove competenze alle societ di lavoro interinale, come la possibilit di assumere direttamente una persona, di licenziarla e di riassumerla.4 Introdotto come strumento a disposizione delle imprese per affrontare i picchi di lavoro, il lavoro temporaneo diventato in breve tempo uno strumento strutturale di politica del personale. Sul sito del quotidiano di Francoforte si scatenano le testimonianze, significative quelle di alcuni ingegneri: il lavoro interinale allinizio sarebbe stato visto con favore, perch consentiva di fare diverse esperienze vagabondando da unimpresa allaltra, permetteva di tastare le diversit, di capire i diversi climi aziendali. Oggi guardato con diffidenza: retribuzioni anche di mille euro mensili inferiori a quelle del lavoratore stabile con identica mansione; nessuna tutela contro il licenziamento, ostilit da parte del consiglio sindacale interno (Betriebsrat) perch visto in concorrenza con gli iscritti, che sono tutti lavoratori stabili, straordinari non pagati, contratti poco chiari, possibilit di essere spostati su mansioni inferiori pur lavorando da quattro anni per la stessa azienda senza essere assunti e cos via. Si sono moltiplicate le agenzie di lavoro temporaneo con una specializzazione in forza lavoro qualificata: ingegneri, per la maggior parte, che vengono prestati (geliehen5) allindustria dellauto, delle macchine utensili, allindustria biomedica, alle costruzioni navali, allindustria aeronautica e spaziale. Ormai un posto di lavoro su tre, di quelli che vengono dichiarati, unoccupazione temporanea, dichiara alla stampa il presidente dellAgenzia federale del lavoro.6 In realt, era stata una scelta dei governi di ogni colore degli ultimi anni, ben chiara. Schrder, come ricordava il quotidiano di Francoforte, si era vantato in sede internazionale, agli incontri del G8, di aver creato un settore di bassi salari, cio un mercato del lavoro parallelo. Diceva di averlo dovuto fare per rallentare o disincentivare le delocalizzazioni, in accordo con i sindacati, per impostare il modello di sviluppo tedesco a somiglianza di quello cinese: bassi salari e alte esportazioni, domanda interna stagnante, domanda estera in forte crescita. Agli inizi del 2009, secondo le statistiche del Wto, la Germania era il primo esportatore mondiale, nellagosto di quellanno sareb90

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be stata superata dalla Cina, ma avrebbe mantenuto in seguito la seconda posizione. Sullonda delle reazioni suscitate dallo studio dello Iaq, il sito Querschsse metteva in rete una serie di tabelle che dimostravano ampiamente come gli obiettivi perseguiti dai governi tedeschi avessero ottenuto ci che volevano: con un valore delle esportazioni di 804 miliardi di euro nel 2009, la Germania sembrava percorrere una via solitaria tra gli stati europei, lo scarto rispetto al valore delle esportazioni degli altri paesi, Francia e Gran Bretagna compresi, era ormai incolmabile.7 Scriveva il 28 luglio 2010 una persona al forum online della Frankfurter Rundschau:
Sono stato lavoratore interinale anchio, ma questa volta lultima. Ogni settimana dalle 45 alle 60 ore di lavoro molto intenso in unazienda organizzata ancora secondo vecchi standard gerarchici, dove il fatto di ricavarci qualcosa un problema secondario, importante tenere la bocca chiusa. Circondato da colleghi divorati dalla paura, intriganti, che non hanno mai sentito parlare di solidariet o troppo inetti per capire il significato di quella parola, non cera nessun apprezzamento, nessun riconoscimento per il mio lavoro, bench non avessi commesso il minimo sgarro n fatto errori che potevano costare del denaro. Allora non ce lho fatta pi a tenere la bocca chiusa e mi sono rivolto allagenzia di lavoro interinale che mi aveva procurato quel posto e mi dava la paga, per esporre i miei problemi e magari perch mi trovasse un posto diverso. Siamo qui per questo, per risolvere i suoi problemi, mi hanno detto. Invece da quel momento si sono dati da fare solo per cercare qualcuno che mi sostituisse. Perso il lavoro, per sei mesi il mio corpo si rifiutato di fare qualunque attivit. No, non si pu accettare di fare qualunque cosa pur di lavorare, non si pu sempre andare avanti cos solo perch alcuni politici privi di cervello hanno voluto che la Germania funzionasse in questo modo, adesso mi far mantenere dallo stato finch non mi trovo un lavoro decente. Ho un diploma conseguito con buoni voti, ho portato a termine gli studi, ho unesperienza professionale. Nessun funzionario pubblico occupato a cercarmi un lavoro e dura fin che dura.

Sullonda del dibattito sviluppatosi attorno allo studio Iaq, i redattori di Querschsse sono andati a vedere anche com messo il tedesco medio, che vive del suo lavoro; hanno preso in considerazione linsieme dei salari e degli stipendi, depurandoli del tasso dinflazione, ricavato dallindice dei prezzi al consumo. Nel 2000 la retribuzione media era di 16.217 euro allanno, crescer nel 2001 per poi diminuire e risalire di nuovo nel 2004 a 16.471 euro. Da allora in continuo calo fino a toccare nel 2009 i 15.815
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euro allanno, pari a 1317,91 euro mensili. In questo stesso periodo le esportazioni tedesche hanno una crescita che non ha paragoni con Francia, Irlanda, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo. Ancora pi marcato il surplus commerciale, mentre ristagna pi degli altri paesi la domanda interna. Il risultato che il governo Schrder intendeva ottenere stato quindi in gran parte raggiunto: creare un mercato parallelo delloccupazione caratterizzato da instabilit dei rapporti di lavoro e bassi salari, porre in tal modo un freno alle delocalizzazioni, mantenere una forte competitivit del prodotto tedesco sui mercati internazionali e accumulare riserve in grado di finanziare lo stato assistenziale (e di intervenire a salvataggio del mondo bancario dissestato dalla crisi, ma questo non era stato previsto). Come al solito, le politiche di deregolamentazione del lavoro ottengono risultati sul piano delloccupazione, della crescita e della competitivit delle imprese, ma rischiano di non reggere sul piano della tenuta politica e sociale, prima o dopo i conti con la quota di popolazione meno favorita si devono fare. La sconfitta della socialdemocrazia nelle elezioni che hanno portato al secondo mandato di Angela Merkel, insieme allaffermazione dei liberali, stata interpretata dalla capziosit della grande stampa come segno che la deregolamentazione era stata troppo timida, che la Germania doveva liberarsi del fardello del suo stato sociale, insomma che doveva virare a destra ancora di pi e che la cancelliera stessa avrebbe dovuto lasciare da parte certe sue inclinazioni da cristiana sociale educata nella Germania comunista, per assomigliare un po di pi al grande modello politico del secondo Novecento: Margaret Thatcher. In realt se c qualcosa che stato fatto pagare prima ai socialdemocratici e poi sempre di pi alla Cdu stato proprio il modello Schrder, altrimenti non si spiegherebbe il successo della Linke. Quando si lavora tutto il giorno e non si riesce a sbarcare il lunario,8 quando i salari sono tali da disincentivare lattivit e preferire lassistenza pubblica, quando i lavoratori stabili si sentono minacciati dallavanzata implacabile dei precari, quando si crea insicurezza anche nei cosiddetti garantiti, quando il clima sul luogo di lavoro si fa pi teso e il disagio, lo scontento cercano bersagli su cui sfogare la propria impotenza, lelettorato diventa una specie di pedana mobile sulla quale anche il politico pi esperto di equilibrismi rischia di cadere. Scrive un camionista salariato al blog di Ard Tagesschau:
Mi ha preso un colpo quando sono andato a vedere quanto guadagno, per stare 14-15 ore al giorno dietro un volante mi becco 6 eu92

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ro lordi lora! In Olanda guadagnerei il doppio. Dovremmo una buona volta fermarci tutti quanti e allora si vedrebbe che cosa rappresentiamo noi per leconomia. In tre giorni le fabbriche dellauto si dovrebbero fermare, gli scaffali dei supermercati sarebbero vuoti e i distributori di benzina a secco. Ma purtroppo quando si lancia unidea del genere nemmeno il 2 per cento di noi daccordo. E quindi continuer a piegare la testa per 6 euro lordi lora e a chiedermi come diavolo faccio a pagare laffitto. Non mi rimane come alternativa che farmi mantenere dallo stato. questo che volete da noi camionisti?

Il meccanismo sul quale doveva reggersi il modello Schrder, ossia la separazione tra il mercato del lavoro primario e quello a bassi salari, saltato con la crisi. Il mercato inizialmente parallelo ha rotto gli argini e ormai invade lintera domanda occupazionale. Lintermediazione pubblica dei Jobcenters e quella privata delle Leiharbeitsfirmen in una fase di debolezza contrattuale e sociale dellofferta di lavoro diventano rapidamente lunica piazza sulla quale si scambiano posti di lavoro, le agenzie interinali ne occupano il centro, con le bancarelle pi eleganti e ben fornite, le agenzie pubbliche stanno ai margini e finiscono per diventare un bazar dei disperati. A questo punto dove sta il mercato del lavoro primario? Sullo stesso forum, Baba scrive:
Finch ci saranno societ di lavoro interinale ci saranno bassi salari. Fino a due settimane fa ho lavorato per una di queste societ nel distretto di Bblingen, un lavoro di tre settimane, mi hanno licenziata perch mi sono rotta una mano. Ho chiesto di essere pagata ma mi hanno detto che ero in prova! Divertente vero?

Le fa eco uno che si firma Minischlumpf:


Finch ci sar in giro gente che dice meglio guadagnare 4,30 euro lordi che non lavorare o ancora meglio 3,75 lordi che stare sulle spalle dello stato in questo paese non cambier NIENTE. Se sei disoccupato e prendi il sussidio di Alg 1 sei fregato perch scendi di grado in percentuale, qualunque lavoro tu sia disposto ad accettare. Se prendi il sussidio di Alg 2 sei costretto ad accettare qualunque lavoro ti venga proposto e se ti rifiuti subisci delle sanzioni e ti mettono addosso il marchio di fannullone furbetto. Del resto, la nostra Agenzia federale del lavoro considera immorali i salari dai 3 euro in gi.9

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Gli risponde un certo Herr Jeh:


S, ma dipende dal singolo Jobcenter se prendere o meno provvedimenti in caso si trovino situazioni da 3 euro lora. Limportante per loro risparmiare. [...] Se qualcuno queste informazioni se le procura da solo e va a denunciare casi del genere al suo Jobcenter, si sente messo sotto accusa perch nellaccettare una proposta di lavoro si devono mettere in conto possibili declassamenti economici. Declassato a che cosa? A 2,43 euro lordi lora, per 42 ore settimanali pagate 35 su tre turni? Ma c di peggio. Nel mio giro di conoscenze ormai consolidata da un paio danni la pratica dei tirocini gratuiti come occupazione a tempo pieno.

Conclude un certo Links2 3 4:


Quello che dice lo studio Iaq non nulla di nuovo. [...] Un sano ceto medio ormai non esiste quasi pi. [...] Il dato di fondo che il dumping salariale incoraggiato dallo stato. [...] Ci vuole un salario minimo fissato per legge.

Tutto vero e forse peggio, se si legge il documento che la Confederazione dei sindacati (Deutscher Gewerkschaftsbund, Dgb) aveva reso pubblico un anno prima, nellagosto 2009. Un bel documento, quattordici pagine senza fronzoli.10 Dopo aver ricordato che la riforma del 2004 prevedeva salario uguale per lavoratori fissi e interinali, ricorda la serie di passaggi che hanno portato negli anni successivi a poter aggirare questa norma. In particolare la possibilit per le imprese di stringere accordi specifici con le societ di lavoro interinale, le quali hanno in carico i lavoratori che prestano alle aziende, li pagano, versano (o dovrebbero versare) loro i contributi, pagano le tasse. La differenza tra quanto prendono queste societ dal committente e quanto si mette in tasca il lavoratore in media di 2,5/2 a 1. Se un lavoratore interinale viene dalla disoccupazione e ha ricevuto il sussidio, il suo salario per le prime sei settimane pu essere diminuito del 9,5 per cento, con il risultato che, essendo moltissimi occupati per periodi inferiori ai tre mesi, devono ricorrere di nuovo ai sussidi. Il lavoro interinale era stato concepito come una strada per transitare i disoccupati percettori di sussidi a unoccupazione stabile, invece ha creato unaltra sacca di sussidiati (il 12,6 per cento di quelli impiegati a tempo pieno, nel 2009). Il lavoro interinale viene impiegato massicciamente nei settori manifatturieri caratterizzati da alti salari e forte presenza sindacale, molto meno nel commercio e nella ristorazione. In questo modo il Dgb stima che il salario medio de94

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gli interinali sia in media inferiore del 29 per cento rispetto ai lavoratori stabili, ma con punte anche del 50 per cento e oltre. Nelle imprese manifatturiere pi importanti, invece, gli interinali rimangono anche pi di un anno ma sono pagati in base a un contatore delle ore in cui vengono effettivamente occupati, secondo accordi tra limpresa e lagenzia che presta il lavoratore, tali per cui questultimo al tempo stesso disponibile per lungo periodo ma pagato a singhiozzo. Poco per volta le grandi imprese dove lincidenza del lavoro interinale tocca anche punte del 50 per cento hanno cominciato esse stesse a costituire societ per il prestito di lavoro con lautorizzazione a operare sul mercato dallAgenzia federale del lavoro (Baa). Uno dei punti pi critici del sistema, secondo il Dgb, linsufficiente controllo che questa agenzia esercita sulla correttezza delloperato di queste societ in generale, sulleffettivo versamento dei contributi dei lavoratori per esempio. La grande maggioranza dei lavoratori interinali appartiene alla manodopera generica, solo il 3 per cento ha uneducazione superiore. Vengono inseriti in mansioni inferiori a quelle previste, non vengono formati e non vengono assunti a tempo indeterminato. A tentare di arginare la situazione si sono mossi lIg Metall e il sindacato dei media Ver.di., costringendo alcune imprese dei rispettivi settori a un uso pi corretto del lavoro interinale, anche mediante un controllo esercitato dal consiglio di fabbrica. A conclusione, il Dgb chiede in sostanza due cose: un intervento legislativo forte che ponga rimedio a una situazione in cui sono intrappolati pi di un milione di lavoratori in settori strategici, come lauto, e che la Baa eserciti controlli pi severi sulla giungla delle societ di lavoro interinali. Pi che a un salario minimo il Dgb pensa a un coinvolgimento obbligatorio del sindacato negli accordi tra chi affitta e chi presta lavoro.

Voci dallinterno
Nellanno della crisi un folto gruppo di ricercatori tedeschi, austriaci e svizzeri si messo a intervistare lavoratori appartenenti a diversi settori, in maggioranza dipendenti, alcuni con funzioni manageriali, altri con ruoli di quadri intermedi. Ne uscita una cinquantina di testimonianze autobiografiche di un certo interesse.11 Pochi sono i casi di lavoratori di grandi aziende, la maggior parte appartiene a imprese medie, pochi sono i giovani, si tratta perlopi di persone di mezza et o vicine alla pensione, una buona percentuale vive in paesi di campagna, con ancora
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qualche radice nei lavori agricoli. Una delle sensazioni pi condivise quella dellaumento dellintensit del lavoro e di una maggiore pressione psicologica, tanto maggiore quanto pi il lavoratore sale di grado. Per questo laspirazione che pi frequentemente viene espressa quella di poter presto andare in pensione, alcuni per avere finalmente riposo o finalmente una vita, altri perch diffusa loscura sensazione che un giorno o laltro il modello sociale europeo possa crollare e i diritti che quel modello garantiva possano essere cancellati. Non traspare n una situazione di aperta arroganza del management n una condizione salariale particolarmente insoddisfacente, anche se si denuncia spesso una stagnazione dei redditi a fronte di un aumento del costo della vita. Il sentimento che la grande maggioranza esprime sono fortunato ad avere ancora un lavoro e quindi il sistema dei desideri e delle aspirazioni subisce una sorta di amputazione, difficilmente attribuibile a un innato senso teutonico dellordine. Le critiche maggiori allorganizzazione del lavoro vengono da settori come listruzione e la sanit. Le deontologie professionali dellinsegnante e del medico, la convinzione di esercitare una missione fondamentale per la societ, quella di formare dei giovani e di salvare delle vite, sarebbero mortificate e svalorizzate dalla svolta efficientistica, che queste istituzioni hanno subto negli anni ottanta e che ha legittimato uno stile di gestione ossessionato dalla valutazione delle performance e dal risparmio dei costi. Mestieri dove competenze professionali e doti umane dovrebbero formare un tuttuno e alimentarsi a vicenda vengono immiseriti da unorganizzazione per obiettivi mutuata da aziende commerciali o da fabbriche di viti e bulloni. Sembra di cogliere una notevole differenza tra la narrazione fatta da un lavoratore dipendente e quella di un lavoratore autonomo. Mentre il lavoratore dipendente nellamputazione delle aspirazioni perde anche la curiosit per il mondo che gli sta attorno e ne rileva solo gli ostacoli e le trappole da cui guardarsi, per sua necessit il lavoratore indipendente deve conoscere e capire tendenze e cambiamenti del mercato o, meglio, dei mercati. Insomma, vive a contatto con una maggiore complessit, dalla quale non rifugge ma affronta a viso aperto perch il solo modo con cui riesce a campare. Per quanto limitato sia questo campione, conferma tuttavia che la condizione del lavoratore in Germania una condizione di ansia ma non di aperta insoddisfazione. Persino le storie di persone che hanno vissuto sempre alla giornata non sono improntate alla disperata rassegnazione. Il complesso dispositivo di sussidi di sopravvivenza consente scelte di vita che in Italia sarebbero impensabili.
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La forza del sistema tedesco, a differenza di molti altri paesi occidentali, risiede ancora nel settore industriale, nella manifattura organizzata secondo schemi fordisti di grande fabbrica. La flessibilit allitaliana, ottenuta mediante la miniaturizzazione dellimpresa, non praticabile per la tipologia di prodotti a elevato contenuto tecnologico, che richiedono elevati investimenti di sviluppo, in cui la Germania specializzata. Al tempo stesso, un sistema che poggia sulle esportazioni tanto pi consolidato quanto pi in grado di disporre di unorganizzazione di servizi di logistica ad alto livello. Le risorse pubbliche che la Germania ha destinato alla logistica hanno portato le societ tedesche ai vertici mondiali. Unesportazione accompagnata da servizi logistici di alto livello un doppio vantaggio: combina un doppio processo di valorizzazione, quello relativo al prodotto esportato e quello relativo ai servizi di trasporto e logistica prestati.

Permane la centralit del lavoro subordinato


Nel 2009 la popolazione attiva in Germania era di 43,4 milioni di persone, i salariati erano 35,9 milioni, gli autonomi (collaboratori familiari inclusi) 4,4 milioni, i disoccupati registrati 3,4 milioni ma solo 27,4 milioni erano gli occupati iscritti obbligatoriamente alla previdenza sociale. Il lavoro autonomo ha quindi unincidenza molto minore che in Italia, poco superiore al 10 per cento della popolazione attiva. Loccupazione indipendente ha segnato in realt una crescita continua dal 1995 al 2007, poi ha cominciato a diminuire, ma nella sua componente di prima generazione. Nel 2009, di questi 4,4 milioni di persone 1,2 milioni erano occupati nelle professioni intellettuali tradizionali e nuove, 740.000 i freelance, gli altri 472.000 con almeno un dipendente. A differenza del lavoro autonomo in generale, le professioni hanno continuato a crescere anche dopo il 2007.12 Il gruppo pi numeroso appartiene al settore delleducazione/formazione, seguito da ingegneri, medici, avvocati e consulenti legali, consulenti dimpresa (86.000), arti applicate (75.000), giornalisti (67.000). Dal 2000 al 2009 lincremento pi forte stato quello dei creativi, che include i giornalisti (+61,4 per cento), seguito dagli addetti alla formazione, che include anche traduttori e interpreti (+57 per cento), e dai consulenti (+27,8 per cento), mentre stabili o in lieve crescita sono le professioni della sanit e gli ingegneri. Gli informatici non hanno una loro specifica classificazione. La crisi ha colpito duramente. Nel 2009
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su 728.318 cancellazioni dimpresa, 582.527 erano di ditte individuali, di cui 62.989 appartenenti alle professioni tecniche e alle libere professioni, le quali si trovavano in quanto settore al terzo posto, dopo il commercio e ledilizia, nelle difficolt di pagamento e nelle procedure dinsolvenza. Studi approfonditi sulloccupazione indipendente non vengono pi svolti dallUfficio federale di statistica dal 2005, ma gli ultimi avevano messo in luce come lattivit indipendente tendesse a diventare sempre pi unattivit parziale, parallela magari a unattivit salariata, un comportamento avvertibile pi negli uomini che nelle donne. Una delle ipotesi per spiegare questo fenomeno era lintroduzione di misure dincoraggiamento alla costituzione di imprese individuali contenute nel programma Hartz IV, quello che aveva lanciato il grottesco slogan: Diventate una Io Spa (Ich AG), e nelle sue successive modificazioni, in particolare quella del primo agosto 2006, che istituiva il cosiddetto Grndungszuschuss, traducibile come sussidio di start-up.13 Ehi, scoppiati, chi mi sa dire che cos un business plan? Non sarai mica matto a lasciarti convincere a diventare autonomo! Fatti mantenere dallo stato! Una volta i soldi per fare unimpresa me li tiravano dietro, adesso prova tu a convincere il funzionario dellAgenzia del lavoro che la tua idea funziona. Ho dovuto riempire tanti di quei moduli e sapergli dire quanto avrei fatturato nei prossimi tre mesi, nei prossimi sei, ma che ne so io? Ci mettevano l su dei banchi di scuola, io che avevo perso il posto come segretaria, loperaio specializzato a cui avevano chiuso lazienda, il giovane con sussidio di disoccupazione che non aveva mai lavorato e ci dicevano: Su, fatevi venire unidea, la mettiamo gi per bene, poi fate un bel dpliant e lo distribuite sabato mattina al mercato, i clienti bisogna andarseli a cercare!. Questi erano i corsi di formazione per fare impresa. Se non fosse tragica la situazione che emerge da tanti blog e forum dove gli aspiranti autonomi si scambiano sfoghi e talvolta, anzi spesso, trovano il consiglio giusto (lascia stare, ci ho gi provato io, non funziona, oppure c una rete interessante, mettiti in contatto oppure se ti va diventiamo soci, con gli uffici e le burocrazie ci so fare oppure lo sai che esiste il regime minimo, non devi pagare lIva) ci sarebbe veramente da divertirsi a immaginare unumanit che vagola da un centro di orientamento allaltro per capire come diavolo si fa un business plan.14 Il sussidio dincoraggiamento erogato in due fasi e ne hanno diritto comunque persone che ricevono un sussidio
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di disoccupazione o persone coinvolte in programmi di politiche attive del lavoro. Per la prima fase, che dura nove mesi, sono 300 euro aggiuntivi al sussidio, poi, se si dimostra che lattivit iniziata ha una sua consistenza economica, altri 300 per sei mesi pi i sussidi. Esistono varie istituzioni che vagliano il progetto e in un certo senso ne certificano la validit, ma in realt a contare nelle decisioni il funzionario dellAgenzia del lavoro che segue il caso individuale. Sicch la tensione imprenditoriale si scarica tutta nei problemi relazionali con la burocrazia. Non sono cos fallimentari invece altre iniziative, in particolare quelle, sostenute anche da fondi europei, rivolte solo alle donne.15 Le esportazioni tedesche hanno continuato a volare per tutta la prima met del 2010, con valori superiori agli 80 miliardi al mese. Ad agosto il numero di percettori di sussidi del sistema Hartz IV era poco pi di 4,96 milioni di persone, di cui 324.000 lavoravano a tempo pieno. Se si aggiungono pi di 1,83 milioni di figli delle famiglie disagiate, si arriva alla cifra di 6,79 milioni di sussidi erogati a sostegno del reddito. Un mese prima, a luglio, il governo aveva aumentato di 5 euro i sussidi base mensili, portandoli da 359 a 364 euro.
Wow, vi potrete permettere tre palle di gelato a testa alle Arcade di Potsdamer Platz, una volta al mese, ironizzava il sito Querschsse. Questo aumento ci costa 360 milioni di euro lanno, tuonava Die Welt, non la crisi finanziaria la nostra rovina ma lo stato sociale!

Dopo il periodo in cui la spinta verso il lavoro indipendente era scaturita dalle culture alternative, dopo una breve stagione nella quale lo spirito di autoimprenditorialit sembrava riprendersi nelle regioni della Germania dellEst, uscite da quarantanni di sistema comunista, il mercato si stabilizzato su un modello di lavoro subordinato che poggia su un doppio pilastro: la difesa della grande fabbrica e la difesa di un sistema assistenziale universale. Finch esiste ancora limpresa manifatturiera specializzata in tecnologie medio-alte, la tendenza a esternalizzare le professionalit tecniche molto contenuta oppure porta anchessa alla creazione di societ di servizi che assumono la forma di impresa medio-grande. Da questo punto di vista il caso della logistica esemplare. Viene quindi a essere limitato il bacino di forza lavoro indipendente del settore servizi alle imprese, che rappresenta il segmento pi ricco di lavoro autonomo. Il sistema di diritti universali allassistenza pensato per impedire luscita della forza lavoro dalloccupazione dipen99

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dente, per non incentivare in maniera sostanziale i disoccupati o i sotto-occupati a scegliere una vita da freelance (dovrebbero tentare la fortuna nel settore povero del lavoro autonomo). Ciononostante gli autonomi di seconda generazione, come si visto, sono cresciuti fortemente negli ultimi anni in cifra assoluta, favoriti da un sistema dintegrazione del reddito accessibile anche a loro. Infine, il ruolo svolto dalle societ di lavoro interinale e la normativa che ne regola il funzionamento contribuiscono a consolidare la forma salariata di lavoro. Che cosa dimostra dunque il caso tedesco e perch si ritenuto opportuno riflettere su di esso? Dimostra che lassetto economico-produttivo di un paese e il grado di copertura dellassistenza sociale possono incidere fortemente sul tipo di occupazione prevalente. Il fenomeno del lavoro indipendente troppo spesso viene correlato a fattori puramente soggettivi, alla diffusione o meno di una cultura delliniziativa personale. Certamente, come si visto nei capitoli precedenti, la disposizione danimo conta in un certo tipo di scelte ma essa stessa fortemente influenzata dallambiente. Le scelte che la Germania ha compiuto dopo lunificazione hanno offerto ai cittadini prima di tutto lombrello del lavoro salariato, inteso come forma di cittadinanza meno esposta ai rischi. Quindici anni dopo, consolidata la riunificazione, ricostruita linfrastruttura di base nelle regioni dellEst, iniziato il sistematico smantellamento di alcune sicurezze del lavoro salariato, fino a giungere alla situazione attuale, dove un quinto della popolazione non lo considera pi un rifugio sicuro ma lanticamera della povert. Alla fine del 2010, per, la campagna aperta dallIstituto di Duisburg contro i Niedriglhne ha dato i suoi frutti: la Corte di giustizia del lavoro (Bundesarbeitsgericht) ha dichiarato nulli gli accordi sottoscritti tra i sindacati cristiani e le societ di lavoro interinale, il trattamento degli interinali deve essere identico a quello dei lavoratori a tempo indeterminato, salvo diverse disposizioni dei contratti nazionali. Il sindacato dei servizi Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft (sigla Ver.di.) ha preannunciato due campagne di massa per il 2011: fissazione per legge di salari minimi di settore e non solo paga eguale per gli interinali, e, come in Francia, una specie di premio insicurezza pari al 10 per cento.16

Mental recession
Quando apparve, nel 2001, in unAmerica sotto shock per gli attentati dell11 settembre, il libro di Jill Andresky Fraser, White100

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Collar Sweatshop, non ci fecero caso in molti. Lincubo del terrorismo serviva a distrarre lopinione pubblica dai problemi dei white collars allinterno delle grandi corporation verso la fine degli anni novanta.17 Fraser non era una sconosciuta, era una giornalista finanziaria nota ai grandi media e ai manager delle multinazionali, ambienti con i quali aveva dunque una certa dimestichezza. Proprio per questo sera accorta che gli impiegati di questi colossi, come Intel, Ibm, Citigroup, e in particolare i quadri intermedi, i cosiddetti middle managers, facevano una vita da cani, non tanto e non solo per i carichi di lavoro e la tensione cui erano sottoposti da una competizione con i colleghi creata sistematicamente, non tanto e non solo per gli stipendi stagnanti, ma soprattutto per le umiliazioni cui venivano continuamente sottoposti da uno stile aziendale di gestione del personale che era esattamente lopposto di quel che si legge negli scritti dei guru del management. Il carattere scioccante del libro di Fraser non stava nei numeri quanto nelle testimonianze dirette che aveva raccolto in cinque anni dinterviste e di navigazione per blog e forum di tutti i tipi. Ne usciva un quadro desolante di umiliazioni subite passivamente, di ambienti di lavoro volutamente disagiati, scomodi perfino nellarredamento, di arroganza senza limiti di amministratori delegati, come Andy Grove di Intel, autore di un libro dal titolo Only the Paranoid Survive. Di ritmi di lavoro che fanno dire a una donna con responsabilit di quadro intermedio:
Aspetto lora di treno che mi riporta a casa per rispondere ad alcune telefonate dei clienti, grazie a Dio c un lungo tunnel dove non c campo, l sotto ho qualche minuto di relax.

Fraser ebbe qualche mese di notoriet ma il libro non fu accolto molto bene, troppo triste vedersi riproposta la propria miseria e troppo deboli, come avevano notato alcuni recensori, le proposte per uscire da una situazione ormai compromessa. Malgrado lautrice alla fine del libro raccontasse di azioni riuscite di autodifesa mediante campagne via Internet o tramite ricorsi ai tribunali, anche lei sembrava scettica sullipotesi che i white collars americani trovassero forme di auto-organizzazione sindacale, meno che mai di adesione a sindacati gi esistenti. Terminato il libro, Fraser continuava la sua battaglia aprendo il sito www.EconoWhiner.com, Surviving and Thriving in Tough Times,18 finch fu costretta a chiuderlo nel novembre 2009, per difficolt dovute alla nuova crisi ed esaurimento di energie fisiche. Scrive nella pagina di commiato dai suoi visitatori:
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In effetti era convincimento generale che il progressivo indebolimento delleconomia ci stava uccidendo, quando ormai avevamo gi quasi esaurito le energie psichiche e i pi elementari meccanismi di sopravvivenza, in una fase storica nella quale la stessa nozione di competenza professionale richiesta stava diventando anacronistica. Ci siamo chiesti allora dove eravamo e ci siamo accorti che non eravamo soli. Perci abbiamo voluto creare una comunit online, nella quale le persone potessero trovare un legame tra di loro, condividere la loro rabbia e la loro confusione, scambiandosi idee e supporto emotivo. Voi avete risposto, non eravamo soli.19

Per quanto parziale, questa testimonianza ci dice come fosse incompleta la narrazione sullo scoppio della bolla informatica del 2001-2002, quando la nostra attenzione venne concentrata esclusivamente sui fallimenti delle giovani aziende dot.com, sulle migliaia di specialisti del computer messi sul lastrico, dimenticando che negli anni novanta in America si era consumata una tragedia maggiore, quella dellumiliazione dei white collars delle grandi corporation o almeno di una gran parte di essi o, per dirla con lazzeccato titolo della Fraser, del deterioramento del lavoro (dipendente e di conoscenza, va sottolineato). Deterioramento morale, civile, umano, una vera e propria mental recession, per riprendere lesergo del sito della Fraser, che citava lespressione di un senatore americano. Da questa situazione nasce in parte lattrattiva per il lavoro indipendente. La pi nota webzine dedicata agli independent professionals (IP) non si fa sfuggire loccasione e recensisce il libro della Fraser con queste battute:
Vi stupite come mai i vostri amici schiavi salariati (wage-slaves) ce la facciano a reggere londata di fusioni, di riduzione del personale, di ritmi di lavoro pazzeschi, di abolizione dei benefit, di lingua bie triforcuta delle corporation? Bene, non vi meravigliate pi, Jill Andresky Fraser ha passato cinque anni a documentare il fatto che vivere nei cubicoli degli uffici lascia molto a desiderare, ma molto! [...] Certo, se voi siete professionisti indipendenti, lo status del professionista salariato non vi deve preoccupare assai (curioso, la Fraser considera il lavoro autonomo niente di pi che unalternativa ansiogena e radicalmente instabile al lavoro dipendente). Questo libro vi ricorda quanto siete stati fortunati a lasciarvi alle spalle il mestiere di white collar! E per quelli che ancora stanno l indecisi sulla soglia dellimpiego in unazienda pu essere una spinta a scegliere definitivamente la libert della professione.20

Unaltra testimonianza che port il grande pubblico a conoscenza delle condizioni di certo lavoro occasionale dequalificato

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fu fornita nellanno dell11 settembre dalluscita del libro di Barbara Ehrenreich, Nickel and Dimed. On (not) Getting by in America.21 La giornalista aveva deciso di camuffarsi e di provare lei stessa a essere assunta per mansioni di cameriera o donna delle pulizie, con paghe orarie sui 6 dollari lora, spostandosi da un lavoro allaltro e da uno stato allaltro. Lesperimento era cominciato nel 1998, subito dopo la riforma dellassistenza che aveva costretto milioni di americani, soprattutto madri sole con figli, a non poter pi optare tra un sussidio e un salario. Aiutata anche dalle sue virt istrioniche, come lei stessa le chiama, lautrice riesce a offrire una testimonianza vivissima, amara e ironica, del mondo dei lavori servili, da quello di commessa in un supermercato a cameriera di un ristorante a donna delle pulizie per la catena The Maids Home Cleaning Company. Il testo si chiude invocando la rivolta:
Come mai nessuno si prende la briga di mettere insieme tutte queste notizie per denunciare che siamo in stato di emergenza? [...] Quando le madri sole e povere potevano scegliere di non lavorare e di usare invece i servizi sociali, la borghesia tendeva a giudicarle con una certa severit, se non con disprezzo. [...] Ma adesso che lo stato ha cancellato gran parte delle elemosine come giudicarle? [...] quando una donna per esempio mangia poco e male in modo che noi possiamo mangiare meglio e a meno, quella donna ha compiuto un grande sacrificio per noi, ci ha fatto dono di una parte delle sue capacit, della sua salute e della sua vita. I poveri che lavorano (working poors), come vengono benevolmente definiti, sono in realt i grandi benefattori della nostra societ. [...] Un giorno (non saprei proprio prevedere quando) i poveri che lavorano si stuferanno di ricevere cos poco in cambio e pretenderanno di essere pagati per ci che valgono. Quel giorno, la rabbia esploder e assisteremo a scioperi e distruzioni. Ma non sar la fine del mondo e, dopo, staremo meglio tutti quanti.22

Ma pi significativo del clima di disincanto che regna negli Stati Uniti alla fine degli anni novanta forse il libro di Jeff Schmidt, The Disciplined Minds sui metodi dinsegnamento nelle universit, somiglianti pi a un lavaggio del cervello che a una trasmissione del sapere.23 Il disciplinamento subto alluniversit viene trasferito sul luogo di lavoro e contribuisce ad accrescere il senso della gerarchia, laccettazione di umiliazioni, il conformismo, la totale mancanza di solidariet con i colleghi. In realt, il passaggio pi complesso. La qualit dellinsegnamento dipende dal modello daffari che si affermato nelluniverso dellistruzione superiore americana (rapidamente diffusosi altrove),

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un modello trainato dalle politiche di marketing, che sono riuscite a rendere credibile presso gli utenti una nuova immagine dellinvestimento in formazione, unimmagine strettamente legata a percorsi di carriera che avrebbero potuto permettere agevolmente il pagamento del debito contratto con le banche per poter frequentare luniversit. Le drammatiche testimonianze che oggi si raccolgono su Internet di persone finite nella trappola dellovereducation ci suggeriscono limpressione che lapproccio alla formazione superiore si relazioni nellinconscio sempre meno con una fase della vita dedicata alla trasformazione della mente e sempre pi con un periodo di attesa in anticamera del primo colloquio dassunzione.24 Quindi il rapporto con la qualit dellinsegnamento non critico-problematico, il rapporto con un marchio, con un logo. Sembra diffusa una cieca fiducia nelle promesse di carriera dei corsi, dei master e di tutte quelle diavolerie che il sistema universitario ha inventato per fare cassa. Il sistema della formazione un grande supermercato, la variet negli scaffali aumenta e con essa il disorientamento dellutente, sembra non esserci una seppur vaga idea che i rapporti di lavoro sono rapporti di potere, tra individuo e organizzazioni, e che lunico modo di affrontarli tessere relazioni. Concluso un percorso di studi, non si trova nulla, malgrado le migliaia di CV spediti nelletere, si riprende un nuovo percorso, una nuova laurea, un nuovo master, ancora nulla e a trentanni rimane solo il debito contratto ancora da pagare. Il lavoro indipendente rimane meno intrappolato nellovereducation, evita alle persone di convincersi che una loro caratteristica psicosomatica. La formazione universitaria negli Stati Uniti semplicemente un canale inesauribile della debt economy, e probabilmente il partito che volesse proporre una moratoria degli student loans avrebbe immediato successo. Il modello daffari delluniversit americana segue la stessa logica che ha governato lo sviluppo dellindustria informatica e che ha portato alla formazione e allo scoppio della bolla dot.com. I criteri per valutare unazienda prendevano come punto di riferimento un numero di possibili utenti del messaggio o del servizio che lazienda offriva su Internet, la cui consistenza e velocit di espansione erano del tutto immaginari. Si trattava di velocit virale. Che cosa questa consistenza e velocit di espansione del parco clienti producesse in termini di margine o se il margine cambiasse in relazione al numero di clienti oppure no, erano domande che linvestitore non si poneva in questa seconda grande corsa alloro della California. Internet ha introdotto nella razionalit dellinvestitore una serie di elementi puramente immaginari che hanno trovato il loro corrispettivo
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nei derivati; la dimensione del virtuale ha soppiantato quella del reale. Il venture capitalist che ha investito nelle aziende di Internet era uguale a quello che investiva nei derivati. Quando lindice Nasdaq comincia a precipitare dopo aver raggiunto e superato i 5000 punti nel marzo 2000, risale brevemente, poi imbocca la strada che lo porter nel 2002 ai suoi minimi storici, le speranze affidate a quella che era stata ormai accreditata come la professione del futuro e che aveva spinto una massa consistente di persone a scegliere computer science come corso di laurea, vanno in frantumi. Sia nel lavoro dipendente sia in quello di freelance, o meglio, nei molti ibridi che le due forme di occupazione avevano sperimentato nel modello organizzativo delle dot.com. Da questo punto di vista il periodo che precede la bolla IT segna un capitolo decisivo nella storia del lavoro. La forma di lavoro individuale che si costituisce allora la prima forma nuova che si afferma nella storia dellindustrialismo dopo quella delloperaio alla catena. Bene o male, fino a quel momento limpiegato era rimasto limpiegato, lambiente di lavoro di un colletto bianco, il suo stile di vita quotidiano non era cambiato sostanzialmente dalla fine dellOttocento. Le professioni tecniche avevano subto un profondo cambiamento, lasciando immutata per la netta separazione tra lavoratore indipendente e salariato. Linformatico, indipendente o salariato, sembra essere qualcosa di diverso, un no-collar, secondo la felice definizione di Andrew Ross. un momento davvero di svolta della civilt contemporanea, gli Stati Uniti sono il crocevia di questo che appare come un terremoto con diversi epicentri e onde che si scontrano in uno spazio abbastanza circoscritto. In quegli anni, 2001-2002, gli Stati Uniti perdono, forse per sempre, la loro posizione egemonica: il momento in cui si persa la percezione del valore del capitale dunque si perde anche il senso del capitale umano. Se mettiamo insieme il progressivo degrado del clima interno alle aziende, che porta a una svalutazione del lavoro subordinato in quanto tale, limprovvisa disoccupazione di massa degli informatici e la rottura delle barriere inferiori delle retribuzioni, ci troviamo di fronte a una situazione che ci appare, dal punto di vista del lavoro, pi sconvolgente di quella prodotta dalla crisi dellottobre 2008, offuscata soltanto, negli anni successivi, dalla grande cortina fumogena del terrorismo e delle guerre. Tra laltro proprio in questo periodo di mental recession, come giustamente lha chiamata la Fraser, che si costituisce quella che sar la sacca degli ultrastudiati. Ma anche il periodo in cui si costituiscono
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le iniziative di coalizione pi innovative, la Freelancers Union una di queste. Lultima grande inchiesta giornalistica sulle condizioni di lavoro negli Stati Uniti uscita nel periodo che segue la crisi finanziaria del 2008, con unopinione pubblica scossa dalle informazioni riguardanti i redditi favolosi dei signori di Wall Street, cio dallaspetto meno drammatico della crisi.25 Sul muso di questa opinione pubblica filistea, lautore, Steven Greenhouse, sbatte una quantit impressionante di dati e di testimonianze sulla vita dei lavoratori in America, soprattutto quelli con le mansioni pi servili e degradate, immigrati per lo pi, spesso illegali, ma anche di certi gruppi di white collars. Greenhouse un labor reporter, uno degli ultimi rimasti. Il tema lavoro si progressivamente eclissato dai palinsesti televisivi e dalle pagine dei grandi quotidiani, anzi, stato progressivamente espulso. Docenti universitari e ricercatori possono continuare a sfornare le loro ricerche accurate, psicologi, giuristi, cineasti, romanzieri possono andare a fondo nei recessi peggiori della condizione lavorativa, limportante che il tema scompaia dallagenda politica e mediatica. Il modello di Greenhouse Nickel and Dimed di Barbara Ehrenreich, in sostanza egli non fa che aggiornare i numeri prodotti dalle inchieste di fine anni novanta. Pi che le cifre in s, a contare la dinamica. LAmerica del secondo millennio ha assorbito una quantit notevole di forza lavoro, in particolare di immigrati e di donne; i salari medi al netto dellinflazione sono di poco superiori a quelli del 1979, i salari medi maschili nettamente inferiori; aumentata la componente di salari da fame, quindi si ingrossata la fascia di popolazione sotto la soglia di povert. Lassistenza sanitaria, per chi ne gode, stata taglieggiata e i fondi pensione (si pensi in particolare a quelli delle compagnie aeree) spesso brutalmente tagliati, straordinari non pagati e ore lavorate non riconosciute, il tempo medio di lavoro il pi lungo tra gli altri paesi industrializzati:
Ad aggravare il modo in cui si spreme la gente la diffusione di quel fenomeno chiamato job creep che consiste nella progressiva invasione del tempo libero. Portiamo a termine dei report sul computer di casa lavorando fino alle undici di sera, leggiamo la posta elettronica dellufficio nei weekend, usiamo i nostri cellulari e Blackberry per rispondere alle richieste del capo mentre siamo in vacanza.26

Sono dinamiche cui abbiamo fatto labitudine, si rimane scossi di pi dal racconto delle esperienze vissute. Ma nel testo di Greenhouse c anche un riferimento al movimento sindacale dopo la rottura nellAfl Cio con luscita della Service Employee
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International Union (Seiu), dei Teamsters, degli United Food and Commercial Workers, dei lavoratori degli hotel e la costituzione, dopo questa scelta, della nuova confederazione Change to Win. Figura carismatica e presidente della Seiu per quattordici anni stato Andy Stern, che riuscito a portare il suo sindacato ad avere il maggior numero di iscritti oggi negli Stati Uniti, 2,2 milioni di persone, il 50 per cento delle quali provenienti dal settore della sanit. stato una figura chiave per lelezione di Obama e per la sua riforma sanitaria, fa parte oggi della Commissione per la riforma della fiscalit e nellaprile 2010 ha lasciato la presidenza del sindacato a una donna, Mary Kay Henry, un ricambio che a qualcuno puzzava di bruciato. Alle elezioni di novembre del 2010 la Seiu riuscita a far eleggere ventisei dei suoi candidati, per la maggior parte indipendenti e democratici, ma anche un gruppo di repubblicani.27 La Seiu una novit nel panorama sindacale americano ma al tempo stesso sta nel segno della continuit, patriottica, parla ancora di sogno americano, addotta tattiche collaudate (per esempio quella di prendere di mira unazienda simbolo dello sfruttamento e di martellare per anni su quella), si appoggia ai democratici. La novit sta nellaver organizzato massicciamente i lavoratori immigrati, come dice Greenhouse, che non sapevano nemmeno una parola dinglese. Il 10 per cento degli iscritti ispanico, il gruppo etnico che cresce pi rapidamente. La Seiu anche il secondo sindacato nel settore del pubblico impiego. La sua cultura ancora tradizionale considera freelance, lavoratori temporanei, occasionali, precari, come un insieme unico. Non pu essere definito un sindacato di base, anzi, proprio Greenhouse ne critica la gestione verticistica. Episodi di corruzione sono stati accertati nella sua organizzazione e nel settembre 2010 si diffusa la notizia che Stern era indagato dallFbi. Contro di lui, frequentatore abituale della Casa Bianca, si sono scatenati certi blogger che lo definiscono il nuovo Jimmy Hoffa. Ma accuse di comportamenti da racket, di repressione violenta degli oppositori interni, di impiego di fondi del sindacato per investire nella propriet di cliniche e case di riposo, di organizzare vere e proprie spedizioni per interrompere assemblee di sindacati concorrenti (come la Nurses Union della California) erano state rivolte a Stern gi nel 2008 da parte di personaggi di rilievo come Ralph Nader.28 Insomma, sembra che nel sindacalismo del lavoro dipendente la storia sia destinata a ripetersi e che certi vizi facciano parte del suo Dna. Per capire cosa sta succedendo alla base, forse meglio seguire la rete che sta attorno a riviste come Labor Notes, che continuano la tradizione del marxismo operaista anni settanta. Alla conferenza tenuta
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nellaprile 2010 le testimonianze su episodi di sciopero e resistenza nel settore degli alberghi e della ristorazione sembrano rendere limmagine di unAmerica diversa, gli eredi degli anarcosindacalisti dellInternational Workers of the World (Iww) oggi mettono sotto pressione la catena di caff Starbucks. Nel campo delleditoria e del giornalismo, freelance e lavoratori occasionali sostituiscono i giornalisti professionisti, i labor reporters sembrerebbero una categoria estinta. Bisogna piantar casini sembra lo slogan della rivista che si definisce organo dei troublemakers. Anche in questo caso, sono reti informali che si riproducono nel segno della continuit con gli anni settanta, senza alcun salto di qualit nel pensiero, come se il paradigma del lavoro salariato avesse esercitato un blocco mentale anche nelle visioni conflittuali e antagoniste del capitalismo. Tra i libri che contano, che vanno pi a fondo dei reportage giornalistici, e sinseriscono in quello che pu essere considerato il pi interessante percorso di esplorazione dei cambiamenti nel modo di lavorare e nel modo di pensare di chi lavora, Nice Work If You Can Get It di Andrew Ross certamente il pi convincente.29 un libro destinato a diventare un classico sul tema del precariato; riprende tematiche proprie del movimento italiano per un reddito di cittadinanza ed ancora una volta un testo preparato da una precedente analisi impietosa dellambiente universitario americano, scritta da Ross assieme ai suoi studenti della Nyu, dopo un loro sciopero. Luniversit uccide se stessa, consegnandosi nelle mani di finanziatori e di cacciatori di finanziamenti, si preoccupa solo della sua conservazione, non del servizio che dovrebbe offrire agli studenti e alla societ.30

Il paese tranquillo
A met settembre 2010, sul sito dellIstat si poteva leggere una sintesi della prima indagine condotta dallIstituto nazionale sul disagio nei luoghi di lavoro.31 Largomento ha acquisito sempre maggiore rilevanza da quando, ventanni fa, lo psicologo svedese Heinz Leymann diede un nome a un fenomeno che probabilmente sempre esistito ma ha assunto, dalla fine degli anni settanta, con linizio della crisi del fordismo, dimensioni stimate attorno al 2-3 per cento della forza lavoro dei paesi sviluppati, quindi milioni di persone. Il fenomeno, conosciuto come mobbing, ha potuto essere individuato quando alcuni psicologi hanno scoperto che persone considerate affette da forti disturbi psichici, talvolta classificate paranoiche e costrette a sottoporsi a tratta108

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menti psichiatrici, si trovavano in quello stato perch avevano subto vessazioni, umiliazioni e maltrattamenti morali sul luogo di lavoro da parte di colleghi o loro superiori. Dai primi saggi di Leymann a oggi la letteratura sullargomento diventata imponente, merita per ricordare qualche frase dei suoi scritti di allora, cos chiari e pieni di passione:
Il terrore psicologico o mobbing nella vita lavorativa significa comunicazione ostile e immorale diretta in maniera sistematica da una o pi persone in genere contro un individuo singolo. Ci sono casi in cui il mobbing reciproco, finch uno dei due cede e diventa succube. Queste azioni vengono compiute con grande frequenza (in genere ogni giorno) e per un periodo di tempo continuato (almeno per sei mesi), ed proprio la loro frequenza e durata a produrre uno stato di miseria psichica, psicosomatica e sociale. [...] Il lavoro di ricerca che abbiamo svolto finora si concentrato sulla concettualizzazione del fenomeno e sulla sua localizzazione allinterno della societ, compito non facile perch finora era rimasto ben occultato.32

Uno degli aspetti della ricerca di Leymann e del suo gruppo aveva riguardato lesame retrospettivo di alcuni casi di suicidio. Lesempio cui faceva riferimento nellarticolo citato invece era quello di Leif, un operaio danese assunto presso unazienda siderurgica svedese, che era stato fatto oggetto di scherno continuato da parte dei colleghi per la sua pronuncia con inflessioni danesi, si era trovato progressivamente isolato, affidato a mansioni inferiori e infine costretto a licenziarsi in condizioni psichiche tali da non essere pi in grado di riprendere un altro lavoro. Leymann morto dopo aver fondato un Centro di riferimento mondiale per questo tipo di fenomeno sociale, un portale dove convergono i risultati delle ricerche, gli episodi di cronaca, le iniziative legislative relative al mobbing. Chi avesse visitato il sito al momento in cui venivano resi pubblici i risultati dellindagine Istat, vi avrebbe trovato un elenco di trentadue casi di mobbing, ciascuno documentato, tutti provenienti dallambiente universitario.33 Al termine mobbing gli studiosi in seguito hanno preferito lespressione adult bullying at workplace, considerando lestrema variet di forme in cui il fenomeno si manifesta: per esempio non con provocazioni aperte ma con il silenzio, non rispondendo alle domande della vittima, ignorandola come se non esistesse fisicamente, o simili. Da questa fenomenologia pi articolata, che richiede metodi dindagine particolari e interventi specifici, di natura sia giuridica sia terapeutica, nato il Workplace Bullying Institute (www. workplacebullying.org). La rete di istituzioni che si occupano di questi temi e che cercano di argi109

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nare la frana della qualit del lavoro impressionante, a livello europeo, a cominciare dallAgenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro,34 che, tra laltro, conduce periodicamente unindagine presso le aziende al fine di monitorare sia la situazione di fatto sia le politiche di controllo.35 Nel nostro paese, dove esiste una tradizione di medicina del lavoro che risale agli anni settanta, radicata nelle lotte per la salute degli operai della chimica e di altri settori, queste istituzioni sono forse pi articolate che altrove. Sul sito dellIstituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) si legge:
Il mobbing esplode in Italia alla fine degli anni novanta. In realt segnali di attenzione cerano stati anche prima: la ricerca che lIspesl aveva condotto con la Clinica del lavoro di Milano, gli studi di Harald Ege, fino ad una proposta di legge, un paio di articoli stringati, che prevedeva per il mobber sanzioni penali. Ma tutto era passato sotto silenzio, finch i media non si sono appropriati del fenomeno e il mobbing diventato patrimonio della gente. A quel punto si sono attivati tutti gli stakeholders, come mai prima di allora si era visto nei confronti di una sindrome organizzativa. Sono sorti i primi centri dascolto e le associazioni tra mobbizzati; si sono attivati i sindacati e le istituzioni. Le aziende sanitarie e le universit, sul modello della Clinica del lavoro Luigi Devoto, hanno costituito centri clinici antimobbing, piccole isole sparse lungo il territorio nazionale.

Eppure tutte queste iniziative servono solo a tamponare una situazione che tende ad aggravarsi, soprattutto nelle fasce di et dai trentacinque ai quarantaquattro anni, quelle che denunciano i maggiori danni psichici a causa soprattutto delleccessivo carico di lavoro, in particolare nella categoria dei colletti bianchi.36 Il problema dunque non il mobbing in quanto tale, fenomeno che si manifesta come aggressione alla persona singola, ma il sistema di gestione del personale in generale, in particolare la condizione frustrante di migliaia di giovani ultrastudiati che accettano mansioni inadeguate, e per di pi per periodi brevi. Yves Clot, psicologo al Conservatoire des art et mtiers di Parigi, dichiara:
Non sono i lavoratori a essere troppo inadeguati, fragili, da curare. il lavoro e il modo in cui organizzato che vanno curati. Un modo gretto, meschino che spinge un numero sempre crescente di colletti bianchi a sopportare un lavoro ni fait ni faire. Molta capacit, molta voglia dimpegnarsi viene dispersa, le risorse psicologiche e sociali dei salariati vengono buttate via, le loro energie perdute allinterno di unorganizzazione che non sa cosa farsene.37

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Questi spunti ci consentono una riflessione. Il mobbing un fenomeno delle societ avanzate, esister certamente anche l dove c sfruttamento minorile e condizioni di vita bestiali, ma tipico di societ dove esistono salari elevati, una legislazione sociale avanzata, un movimento sindacale riconosciuto, organizzazioni dimpresa con forti investimenti in risorse umane, societ democratiche dove c libert di stampa e di sciopero. Eppure ha potuto crescere sotto traccia, proliferare nel silenzio, pur essendo un fenomeno palese, visibile, pubblico. un fenomeno proprio del lavoro dipendente, salariato, cio del lavoro che possiede in Occidente le maggiori garanzie e la maggiore protezione sociale. Non solo la malvagit dei singoli a schiacciare le vittime, ma la sanzione dellorganizzazione; nei casi in cui il lavoratore oggetto di vessazioni ha cercato di portare in tribunale lazienda, mai la controparte ha ammesso di avere una qualche responsabilit, attribuendo sempre la colpa alla vittima, che ne trae un maggiore e ancora pi acuto senso di frustrazione e dingiustizia. Lorganizzazione aziendale, che dovrebbe essere un sistema protettivo, diventa doppiamente oppressiva e distruttrice, la giustizia resa da un tribunale non riuscir mai a ripagare la vittima, lazienda che rappresenta per lui la collettivit, non il tribunale. Questo fenomeno, pur palese, stato ignorato per anni, well hidden come dice Leymann. Ma quante cose del lavoro oggi restano ignorate, quanti silenzi si protraggono sulla vita lavorativa quotidiana? Da quando la paura e la mancanza di solidariet hanno preso piede nelle aziende e lindividualismo diventato costume, quale solco ha cominciato ad aprirsi tra un lavoro decente e il lavoro reale? Il mobbing sembra crescere quanto pi elevato lambiente di lavoro, quanto pi intenso il contenuto di lavoro intellettuale erogato, quanto migliore la reputazione dellistituzione. Laccenno alla problematica del mobbing ci serve solo per dire che la reputazione del lavoro dipendente, salariato, allinterno di una grande organizzazione aziendale, fortemente diminuita con il postfordismo e ci si tradotto in maggiore attrattiva per il lavoro autonomo, oltre che in maggiore tolleranza per il lavoro precario. Ma la condizione lavorativa oggi ha ancora una sua parte buia, che nasconde un lento degrado, tanto pi acuto quanto maggiori sono lomert e la paura, la distanza del sindacato dalla realt e la diffidenza del lavoratore per il sindacato. Il dato pi preoccupante dellindagine svolta dallIstat non tanto lincidenza percentuale dei casi di vessazioni o demansionamenti dichiarati dal campione di lavoratori intervistati sulluniverso del lavoro salariato (7,2 per cento ma con unincidenza molto inferiore di danni di carattere psi111

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chico), quanto il fatto che l88 per cento di coloro che sono stati oggetto di vessazioni non hanno ritenuto di dover ricorrere al sindacato. Come se, mettendo di mezzo lorganizzazione sindacale, le cose diventassero pi complicate e rischiose. Il senso di solitudine e di abbandono, la mancanza di fiducia in strutture deputate alla tutela del lavoro, non pu essere ricondotta solo a determinate scelte e comportamenti del sindacato. una cultura diffusa, la mentalit dellidiozia individualista, della presunzione che da soli, mentre gli altri non ci guardano, possiamo cavarcela, lideologia dello zombi quotidiano, orecchie tappate dagli auricolari, che non vede, non sente, non parla, come le scimmiette di Berlino, eppure cos prossimo a chi magari esercita quella professione che ti fa stare dietro una cattedra. larco che unisce questi due estremi a racchiudere la civilt occidentale oggi, in questo arco che si colloca il degrado del lavoro dipendente, il legame tra i due estremi il problema vero, non gli estremi in quanto tali. Ma il mobbing la parte infetta di un corpo malato, il problema politico, sociale, di rapporti di classe, anzi lattenzione rivolta al mobbing pu essere una trappola, un modo per medicalizzare forme di oppressione sociale e di volgare sfruttamento del lavoro cognitivo e manuale. Crescono, si specializzano, si perfezionano, si dilatano strutture e istituzioni e iniziative sul disagio nei luoghi di lavoro, eppure la situazione non sembra migliorare. Man mano che il problema assume maggiore rilevanza aumentano le risorse per discuterne, nascono settori del sapere, settori delle politiche sociali specializzati, un linguaggio specialistico, e sinnesca la tipica dinamica autoreferenziale di qualcosa che cresce su se stesso in maniera del tutto indipendente da quello per cui nato, si autosostiene e continua per la sua strada registrando il peggioramento con sempre maggiori dettagli, ma impotente a fermarlo. Secondo alcune indagini il mobbing in declino, le forme di molestia sessuale hanno trovato una forte sanzione nella societ, gli aspetti estremi del disagio, quelli che meglio si prestano a un intervento terapeutico o penale, sono in regressione, ma sono le classiche, eterne, relazioni industriali a tendere sempre pi a diventare unilaterali e puramente disciplinari.38 E cos sar finch i lavoratori salariati non troveranno forme di resistenza e autotutela, finch la gente non alzer la testa, solo allora la presenza di tante istituzioni di sostegno potr servire a qualcosa. Finch il lavoro dipendente resta passivo o sceglie il suicidio disperato invece di ribellarsi, non c speranza di democrazia in un paese.39 Gli accordi sindacali del luglio 1993 hanno garantito tregua
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salariale e, di fatto, spento le lotte operaie (chi andato dopo la crisi del 2008 a parlare con gli operai delle fabbriche occupate o presidiate dai lavoratori, ha trovato fabbriche che non scioperavano da sedici anni).40 Leonello Tronti un economista del lavoro che ha dato un contributo determinante a tradurre in cifre e a concettualizzare la svolta del 1992-1993, a mettere a nudo la via solitaria che lItalia ha imboccato allora verso una produttivit del lavoro negativa, proprio dal momento in cui si spenta la conflittualit sui luoghi di lavoro.41 cambiata la struttura tecnica dellimpresa, lo stile di management, il lavoro diventato sempre pi instabile e provvisorio, ma qui che la democrazia sostanziale muore e si perdono, cio diventano impossibili da esercitare tecnicamente, anche libert civili come il diritto di sciopero, sebbene nessuno lo abbia tolto dalla carta costituzionale. sul rapporto di lavoro che luomo perde la sua dignit; si accetta come normale e persino lodevole che giovani, soprattutto laureati, lavorino per mesi gratuitamente in cosiddetti tirocini con la speranza di essere assunti (ma perch mai se ci sono altri mille pronti a prendere il loro posto gratis?). La grande speranza diventa allora la legge, la magistratura, e i rapporti di lavoro vengono configurati come rapporti giuridici, lasimmetria tra impresa e salariato viene affidata al riequilibrio di un demiurgo. Il precariato non si supera con cause di lavoro o con arbitrati, n con provvedimenti amministrativi che possono avere effetto eventualmente nella pubblica amministrazione, ma non nellimpresa privata. Come si possa riuscire a invertire la tendenza al degrado dei rapporti di lavoro salariato rimane un problema aperto. Quali siano le nuove tecniche di autotutela e di negoziato con le gerarchie aziendali resta un interrogativo. Operaie e operai analfabeti, che vivevano in condizioni miserabili, sono riusciti a dare una risposta nellOttocento, perch non dovrebbero riuscirci milioni di giovani scolarizzati, overeducated?

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4. Dove non c la notizia

Potr sembrare una tautologia, ma perch il lavoro autonomo possa parlare di s ed emergere nella dialettica sociale necessario che gli sia data la parola e concesso di presentarsi e discutere correttamente in uno spazio pubblico. nellagor che si decide dellequit e della giustizia secondo una misura che in democrazia non altro che un compromesso tra gli interessi presenti. Conta esserci, perlomeno. Per anni, tuttavia, la narrazione pi divulgativa sul mondo dei freelance e del lavoro autonomo, ovvero quella giornalistica, ha prodotto unicamente sentieri interrotti e chiuso le porte sia per ragioni che attengono la sostanza dei fatti, incapace di metterla a nudo, sia per un mostruoso conflitto di interessi che anima il mercato delle notizie e lo inquina nei suoi processi di produzione. Non ci riferiamo alle propriet editoriali e alle loro commistioni con la politica o al nepotismo imperante, per quanto sia utile percorrere anche questa direzione, ma allirrisolta e malcelata conflittualit che contrappone oggi i giornalisti embedded allabnorme platea di outsider, collaboratori di vario genere che hanno silenziosamente superato per numero gli stessi dipendenti presenti nelle redazioni dItalia,1 giornalisti, questi, protetti da contratti blindati e privilegi che faticano a scomparire anche dopo la scossa portata da Internet e dagli user generated contents. Il racconto pubblico sul mondo del lavoro e delle sue trasformazioni passato da qui: giornali, radio e tv. Fuori dalle accademie, la societ italiana nellultimo mezzo secolo ha condiviso lo spazio della comunicazione pubblica quasi unicamente attraverso questi canali, trovando soltanto nellultimo decennio un diverso fronte in Internet e una reale frammentazione delle fonti. Negli ultimi decenni non realmente cambiato nulla neppure nei modelli di occupazione della
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forza lavoro giornalistica: la pi grande trasformazione interna risale agli anni settanta, quando avvenuta la progressiva sostituzione dei sistemi di prestampa con le tecnologie elettroniche2 e sono scomparsi man mano i linotipisti. Oggi ci sono le redazioni web in cui stanno migrando in molti: sembra una rivoluzione, in realt soltanto un cambio di pelle di redattori e deskisti. Poi ci sono i freelance, ma questa tutta unaltra storia.

Il silenzio dellinformazione sul lavoro autonomo


Iniziamo da qui e osserviamo in parallelo come il lavoro autonomo sia stato affrontato sulle pagine dei giornali per anni e come sia emersa lindipendenza del giornalismo freelance in Italia, se mai davvero si emancipato, come peraltro avvenuto nei paesi di lingua anglosassone. da questo doppio punto di vista che a nostro avviso si potr comprendere come linformazione non abbia per niente aiutato lItalia a costruire un mercato del lavoro migliore, pi inclusivo e aperto alle scelte di chi vuole affrontare da solo le sue sfide come lavoratore indipendente. Se vero, come ricorda Amartya Sen assumendo come indici del progresso e del potenziale di un paese le capabilities individuali,3 che la libert di stampa e degli stessi giornalisti determina le opportunit e il funzionamento di persone e societ, altrettanto vero che la chiusura di una classe intellettuale come quella giornalistica nei limiti di una coorte molto ben strutturata nel segmento del lavoro salariato non abbia potuto che rappresentare un freno allemergere delle capacit e ai meriti dei singoli in un particolare settore. Ma ancora pi grave laver stemperato ogni voce e ogni racconto sul mondo del lavoro indipendente, determinando verso quale direzione dovessero crescere la stabilit e il benessere, e indirettamente quali fossero le politiche del lavoro da mettere sotto osservazione e promuovere. C un nesso strettissimo tra questo silenzio dellinformazione sul tema del lavoro professionale autonomo, durato decenni, e le condizioni attuali di lavoro di giornalisti freelance, consulenti, creativi, programmatori indipendenti e altri professionisti autonomi. La rimozione di quanto avveniva nel ventre del mercato giornalistico diventata modello dinformazione: il modo di interpretare le collaborazioni dei freelance ha rappresentato una premessa implicita della filosofia con cui affrontare gli stessi temi del lavoro, in particolare di quello indipendente. Come si usa dire nella politica dimpresa, la scelta di governance, decisione pratica di governo e amministrazione del lavoro, diventata approccio teorico al mondo degli outsider. Nel115

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le banche i dipendenti hanno servizi finanziari agevolati; nel settore assicurativo si offrono polizze molto vantaggiose ai lavoratori delle societ che le emettono o ai promotori indipendenti; nel mondo giornalistico, per converso, si sempre praticato il silenzio sul mondo del lavoro autonomo in misura uguale alla riduzione dei diritti dei collaboratori, con laggravante di una giustificazione teorica piuttosto singolare, condivisa senza troppe difficolt. qui, proprio in questo mondo, che si radica la convinzione che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia e senza clamore perch intaccherebbe unidea di professione da non mettere in discussione nel suo insieme. Il risultato? Niente informazione sulla scarsa professionalit di chi scrive o sul precariato che attanaglia migliaia di giovani aspiranti. Non sono i giornalisti a dover raccontare le storie dei giornalisti stessi, si dice, tranne ovviamente quando accade un fatto irreparabile e di cronaca, la morte di un collaboratore senza contratto, per esempio, al quale successivamente intitolare premi. Non sta bene parlarsi addosso, perch al lettore non interessano gli affari di bottega si dice , con il risultato che il sottobosco del mercato del lavoro giornalistico, rigorosamente taciuto al pubblico, diventato oramai una selva oscura, dove si trova veramente di tutto.4 utile scoprire gli effetti conseguenti queste pratiche censorie,tralasciando per ora le infinite battaglie di piccole dimensioni. Evitare di raccontare il fenomeno del giornalismo freelance un ambito che si sviluppato in Italia secondo logiche che non trovano eguali nel mondo occidentale non del tutto distante e distinto dalla pervicace disattenzione nei confronti del segmento del lavoro autonomo tout court. La parte ha superato lintero e la forza dirompente che questo tema esercita sulle logiche di una professione in crisi ha finito per dissimulare il contesto pi ampio in cui leggere e perfino risolvere il conflitto tra insider e outsider. Perch mettere allo scoperto le diseguaglianze che coinvolgono direttamente o indirettamente proprio chi le descrive? Avete mai letto su Il Giornale di Sardegna la notizia che i suoi giornalisti hanno protestato perch pagati soltanto 5,16 euro lordi per notizia scritta,5 spese incluse?

Senza voce collettiva il lavoratore, da solo, diventa merce


Questo conflitto non riguarda soltanto la propriet che detiene il controllo sul capitale, gli asset produttivi, le merci o i servizi nel segmento delleditoria, ma gli stessi intermediari che ingaggiano forza lavoro indipendente, ovvero i lavoratori salariati.
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Avviene dentro e fuori dal mondo delleditoria: manager che gestiscono budget aziendali per le attivit di comunicazione, societ di brokeraggio di formatori o traduttori, redazioni che pagano giovani aspiranti giornalisti con false illusioni, dirigenti del settore pubblico che fanno progettare a esperti indipendenti le proprie politiche. Sono rappresentazioni differenti di relazioni di forza del tutto simili, peccato che nel mondo del giornalismo ne vada di mezzo proprio il racconto pubblico di questo fenomeno. E chi se non il mondo dellinformazione deve tradurre situazioni e temi complessi come le relazioni industriali? Non compito dellaccademia, ma di chi per mestiere fa il volgarizzatore. E non un caso, di conseguenza, che la cultura del lavoro indipendente sia cos scarsa in Italia e sia rimessa quasi esclusivamente a logiche di convenienza e di business, non a una dottrina politica o sociale, a una paideia del lavoro che nasce tra le mura domestiche e vive di un rinforzo prima nella scuola e poi nello spazio di confronto pubblico rappresentato dal mondo dellinformazione. Al contrario, la volont di trovare una soluzione equa di relazione tra le parti, tra forza lavoro indipendente e committenti, avviene unicamente quando c linteresse a ingaggiare i migliori al minor prezzo, ovvero quando lofferta supera la domanda per qualit e occorre trovare una via duscita a questa anomalia. Non accade nella routine, nella quotidianit di una prestazione, ma nelleccezionalit. Quando si vuole cio comperare al miglior prezzo una risorsa giudicata indispensabile, non per uneducazione ad acquisire risorse e a lavorare in maniera naturale con i consulenti esterni, ma per questioni di bilancio. Le pi elementari regole di compensation sono messe in campo soltanto per avere maggiori chance di trattenere i pi bravi e guadagnare la loro fiducia. Per tenersi stretti cio quelli buoni. Fin qui pu apparire una normale dinamica che regola mercati aperti. In gioco, per, non c soltanto il sapere e il saper fare di un lavoratore autonomo, consulente o freelance, ci sono anche le relazioni di forza, la catena di controllori e soggetti capaci di emendare gli accordi tra le parti. Quasi tutte le questioni di natura contrattuale che intervengono nella regolazione di una committenza scavalcano e subentrano spesso al contenuto professionale espresso, ovvero alla qualit che un lavoratore indipendente in grado di offrire, per lasciare spazio a problemi di costo che passano il vaglio dei controller e dei direttori amministrativi prima ancora di quello dei responsabili delle risorse umane. In altre parole, si andato consolidando nel tempo un sistema di relazioni tra imprese e freelance che arriva a definire i contenuti del rapporto di lavoro soltanto se conviene in termini di risultato. Al117

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limpresa, ovviamente. E questa logica stata accettata o forzatamente imposta agli stessi lavoratori che amministrano a livello produttivo i budget di spesa. Dentro il sistema capitalistico il lavoratore autonomo diventato un fornitore prima ancora di essere un soggetto che opera sul mercato come forza lavoro. Alla pari di acquisti in stock per materie prime, alluso di utility come la corrente elettrica e Internet o allamministrazione di beni mobili, le imprese hanno fatto finire consulenti e collaboratori nellarchivio elettronico per il controllo delle spese legate ai generici fornitori, semplici numeri dentro database Sap o Siebel. Questo accade soprattutto nelle grandi realt, dove c uno stretto controllo finanziario e fanno da padrone la mannaia del budget e la regola che se lo spendi correttamente te lo vedrai ritornare pi cospicuo, ma se lo investi male ti sar tagliato e forse ti sar tolto anche il lavoro. I buyer, i direttori di divisione, e chiunque abbia in mano soldi da spendere per ingaggiare risorse esterne senza che queste finiscano nella contabilit generale, ma rimangano nel conto economico di singole porzioni darea produttiva dentro le imprese, accettano implicitamente di ridurre il lavoro indipendente a merce di scarso valore,6 rinunciando in questo modo a rendere quello del lavoro un luogo in cui fare confluire diritti e doveri equivalenti e universali. Il committente individuale, ovvero la persona che tratta con il consulente o con il freelance, che ne segue il lavoro e lo valuta, scioglie il nodo della parit tra lavoratori, facendosi in primo luogo interprete della logica dellimpresa, abbandonando cos un terreno di incontro per condividere capabilities prima ancora che diritti. La distanza pi marcata quanto pi i lavoratori dipendenti rinunciano alla qualit e alla ricerca dei migliori, cercando di scalare soltanto sui costi, come quei buyer professionisti che devono trattare sulle tariffe telefoniche o sul prezzo del rame, sulla locazione finanziaria di computer o sulle auto aziendali.

Freelance, meno diritti e pi costi desercizio


Il sistema delle imprese, in generale, ha limitato i suoi sforzi nel mantenere in regola le spese per la remunerazione dei lavoratori iscritti in uno stato patrimoniale che deve seguire dinamiche di rivalutazione salariale obbligatorie, a seguito di accordi quadro nazionali. Ha rinunciato, invece, a innescare un dialogo per la costruzione di un sistema di protezione universalistica che realizzasse una vera mobilit sociale dei lavoratori e non garantisse soltanto quella che curiosamente porta lo stesso nome, mo118

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bilit, ma che lanticamera del licenziamento. Nel linguaggio marxista si direbbe che i capitalisti hanno solo definito correttamente i loro obiettivi: trasformare i costi fissi in variabili, per amministrarli pi agilmente e lavorare sui margini. Oggi diremmo che, facendo fuoriuscire la manodopera dalle relazioni industriali, si guadagnata la possibilit di interpretarne i bisogni a piacere. Il sistema dimpresa postfordista, dal canto suo, ha spalleggiato politiche per la realizzazione di atterraggi morbidi (non a caso chiamati ammortizzatori) in caso di espulsioni di manodopera o iniziative per fare leverage sulla forza lavoro esterna in modo da alleviare gli indebitamenti o abbassare i costi desercizio, ma non ha mai assunto responsabilit per interpretare in maniera allargata il tema della mobilit sociale dei lavoratori. Neppure al suo interno ha favorito la diffusione di una cultura delle relazioni con il segmento dei lavoratori indipendenti. Avete mai sentito parlare di coaching o di formazione personalizzata per chi usa loutsourcing? Avete mai incontrato un consulente chiamato da unimpresa per comprendere e lavorare al meglio con il mondo dei freelance? Per i lavoratori autonomi il generale disinteresse del mondo dellimpresa per la costruzione di sistemi di protezione universalistica ha comportato non solo lesclusione da certi diritti, ma laumento dei costi desercizio della professione. Tra le innumerevoli incombenze pratiche e burocratiche, il freelance deve farsi carico dellonere di evangelizzare e trovare parole, modi e faticosi spazi di dialogo, per raccontare agli altri di s e del proprio lavoro, cercando innanzitutto di farsi capire. E qui entra in gioco la stampa. Raccontare di s un costo, un dispendio di energie supplementare quando non si dispone complessivamente di un sistema equilibrato di informazione che aiuta un paese a rappresentare se stesso. Per i pi esperti un habitus, ovvero una prassi acquisita, quasi implicita, ma per chi inizia la vita da freelance un macigno che, affrontato con le sole forze individuali appare subito difficile, tralasciato in favore di urgenze pi immediate, come la necessit di dare continuit al proprio reddito, indebolendo cos nel lungo termine la tenuta stessa della propria capacit negoziale e la propria identit. In sistemi economici dove la frammentazione del lavoro e le dinamiche postfordiste hanno manifestato tutta la loro forza, per esempio nel mondo del terziario avanzato, emerge ciononostante una nuova via duscita che svincola il singolo dallonere di una prova ripetuta della propria identit professionale: lopportunit di stringere coalizioni, di unirsi, come avveniva per i lavoratori salariati nella fase costitutiva dei primi sindacati, per utilizzare
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una voce comune. Perch associarsi ha anche questo obiettivo: alleviare i costi desercizio nellaffrontare insieme lazione costitutiva di una voce collettiva, in modo da supplire quella mancante nel mainstream dei media.

Il sindacato non-sindacato dei giornalisti freelance


A questo proposito molto interessante il caso che ha coinvolto i lavoratori freelance del settore giornalistico, una vicenda che rappresenta un primo esperimento di coalizione nel tentativo di sfondare il tetto del sindacalismo tradizionale e inaugurare nuovi sistemi di rappresentanza di base. Tutto inizi una dozzina di anni fa. Gi a partire dalla fine degli anni novanta incominciarono infatti a smuoversi le acque tra le fila delle correnti interne al sindacato unico dei giornalisti, la Fnsi Federazione nazionale della stampa italiana. Nel 1999 dopo una scissione di Quarto Potere nacque il gruppo Senza Bavaglio, indipendente rispetto a tutti gli schieramenti politici e alle tradizionali correnti delle organizzazioni di categoria. I fondatori erano sia giornalisti contrattualizzati sia freelance, senza distinzioni. Tra questi ultimi i creatori di Penne Sciolte, un movimento dopinione indipendente, nato a Milano nel 1997 per difendere la dignit della libera professione del giornalismo. Scelsero di adottare come sistema di comunicazione una mailing list e una piattaforma Internet per le attivit di groupware, raccogliendo in breve tempo 20.000 iscritti! Dal 2003 organizzano annualmente convegni nazionali. Durante il Secondo congresso nazionale svolto a Breuil-Cervinia nel luglio 2004 resero pubblico il loro manifesto. Attaccarono frontalmente il sindacato, affermando che la gestione delle organizzazioni dei giornalisti poco democratica e irrispettosa delle diverse opinioni. Lamentarono il fatto che i metodi fossero troppo vicini a quelli della politica italiana, con poca trasparenza e poco dibattito, e che le conclusioni e le direttive fossero predeterminate da piccole consorterie. Si legge nel manifesto:
Alcuni dirigenti occupano il posto da decenni, non hanno pi alcun contatto con la realt giornalistica, con le redazioni, con il mondo variegato di chi stato espulso dai processi produttivi, con le nuove tecnologie mediatiche, con i freelance che vengono corteggiati perch rappresentano un serbatoio di voti spesso disgregato in una lotta fra poveri.7

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Al contrario, il movimento Senza Bavaglio vuole portare equit e, oltre alle rivendicazioni classiche di tutela mutuate dal lavoro salariato, propone nuove istanze come questa: Il lavoro autonomo dei giornalisti va equiparato dal punto di vista economico a quello dei giornalisti contrattualizzati. Lequiparazione economica la tutela della dignit dei colleghi freelance. un principio fondante del movimento e su questo punto si apre unintera stagione di conflitti per la rappresentanza del lavoro giornalistico indipendente. A livello economico, Senza Bavaglio centra il bersaglio8 e questo consente al movimento di raccogliere le simpatie di molti freelance. Sono gli anni tra il 2003 e il 2007, in cui si assiste a un colpo di coda della new economy, le redazioni usano la falce per far fuori i dipendenti e controbilanciano le espulsioni con collaborazioni a basso costo. La riduzione delle spese pubblicitarie mette in ginocchio numerose testate e i tagli sui costi arrivano diretti al portafoglio dei freelance. Nel 2005 lInpgi Istituto nazionale dei giornalisti italiani pubblica i dati sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Ne esce un quadro impressionante, una specie di ziggurat, per la forma che assume la conformazione della struttura retributiva per classi. Mentre nel settore privato il mercato italiano distribuisce retribuzioni secondo uno schema piramidale, che vede in cima quadri e dirigenti (insieme costituiscono il 10 per cento dei lavoratori), il mondo del giornalismo conta circa 8000 addetti nella fascia retributiva degli impiegati, 5700 in quella dei quadri e 4700 in quella dei dirigenti. Manca la base. Gli operai della conoscenza9 sono fuori dal segmento del lavoro salariato. un unicum in Italia, che ha tutti i tratti di unuscita reale della forza lavoro dal capitale, come sostiene Toni Negri.10 Questo giustifica le richieste di equit promosse dai movimenti esterni al sindacalismo tradizionale, oramai legato esclusivamente al lavoro dipendente, e motiva i suoi esponenti a considerare legittima lidea di rappresentare chi nei fatti sta allinterno di un mercato, contribuisce alla sua forza e ne determina le sorti, anche se sprovvisto di un regolare contratto di lavoro dipendente. Emerge cio lidea che si possa essere portavoce di chi si relaziona con committenti tradizionali anche senza forme contrattuali afferenti al contratto nazionale di categoria. Una bestemmia per il sindacato, che incomincia a osteggiare il nuovo movimento. Nel 2004, tuttavia, viene strappata al Congresso unitario della Fnsi, che si tiene a Saint-Vincent, la mozione che impegna la dirigenza sindacale a fare entrare un rappresentante dei freelance in giunta. La dirigenza sindacale, per, negli anni a seguire disattende limpegno, accampando la scusa che sarebbe inammissibile portare un rappresentante eletto dai
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freelance se questo proposto da un movimento che non rispecchia i canoni formali della rappresentanza sindacale. I lavoratori autonomi non demordono e compiono anche latto formale di passare da organismo di base dei freelance allUnione sindacale dei giornalisti freelance (Usgf), costituita il 19 giugno 2009, che in pochi mesi raccoglie oltre 500 iscritti. Nel frattempo (e siamo negli anni 2005-2009) il rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico si blocca. il momento buono per sperimentare le rivendicazioni di base dei lavoratori autonomi. Tra quelle portate sui tavoli della contrattazione arrivano tre richieste dei lavoratori autonomi: essere pagati secondo un tariffario approvato, ma mai entrato in vigore e poi beffardamente cancellato dalla legge Bersani; essere pagati anche se i lavori non sono poi utilizzati (per motivi indipendenti dal freelance e dalla qualit degli articoli e dei servizi prodotti); vedere tutelata la paternit delle idee, delle opere e la loro fattura, avvisando i freelance delle variazioni introdotte nel lavoro consegnato alle redazioni. Tre punti ragionevoli, in fin dei conti. Dopo dieci anni di battaglie, il muro del sindacato blocca ogni rivendicazione. La poltrona promessa al rappresentante del mondo dei freelance non mai stata attribuita. La maggioranza dei lavoratori del settore viene esclusa dai sistemi tradizionali di rappresentanza. Pare assurdo, ma continuano ad avere un notevole peso, invece, i rappresentanti dei pensionati, di chi cio non ha pi alcun rapporto di lavoro con il mondo editoriale. Il contratto alla fine viene controfirmato dalle parti sociali, ma ogni elemento migliorativo della condizione dei freelance viene stralciato. La Fnsi decide di approntare allora la costituzione di consulte regionali per studiare come affrontare il problema dei freelance, in barba a un movimento gi vivo e costituito, moltiplicando in puro stile sindacale le sole poltrone interne. La paura di vedere sostituita unintera classe sindacale da nuove forme di rappresentanza, peraltro portavoce di singole voci numericamente pi consistenti della controparte storicamente gi rappresentata dal sindacato, ha fatto tremare le gambe alla Fnsi, che non ha mollato deleghe, poltrone e, in definitiva, voti e soldi di bilancio. La vicenda ancora in corso ed un caso unico in Italia, che si strutturato in modo cos lineare per ragioni di un relativo contenimento dellambito professionale e del settore economico interessato, ma ha una portata nazionale quale esperimento di una lotta inedita per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori autonomi nel confronto di un mercato centrato unicamente sul modello di lavoro salariato. I due elementi di maggior interesse rimangono, sul versante negativo, la battaglia di retroguardia del
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sindacato, impermeabile a ogni rinnovamento e, sul versante positivo, lo spirito con cui lUsgf ha affrontato le sue rivendicazioni. I freelance infatti hanno sostenuto in maniera bipartisan che ogni passo avanti incontro alle loro esigenze avrebbe portato vantaggi per gli stessi lavoratori contrattualizzati, perch in generale avrebbe aiutato a rendere il mercato del lavoro pi stabile e meno soggetto alle politiche di flessibilizzazione. Da parte opposta si assistito, invece, alluso strumentale del lavoro autonomo come valore da difendere. La sua bandiera stata issata persino in tv, in prima serata, dal comitato di redazione che aveva firmato un comunicato per giustificare davanti agli italiani uno sciopero del Tg1 che si era svolto nel periodo del mancato rinnovo del contratto nazionale. Alla fine del percorso negoziale, tuttavia, ogni vessillo marchiato con il simbolo dei freelance stato cestinato senza vergogna. La vicenda piuttosto singolare perch evidenzia il legame tra i due aspetti della situazione: la possibilit di rivendicare azioni concrete per migliorare la situazione collettiva del mondo dei lavoratori autonomi e lapproccio di chi controlla le informazioni su questi temi. Dove i diritti vengono negati o formano oggetto di promesse mai mantenute proprio il luogo nel quale si confeziona oggi la narrazione del lavoro autonomo: nel mondo del giornalismo.

Linformazione come autoregolazione di interessi di parte


Uno dei nodi cruciali del lavoro intellettuale autonomo resta perci quello della voce collettiva, raccolta e replicata, commentata ed eventualmente emendata, che stenta oggi a essere ascoltata affinch se ne dia notizia allopinione pubblica. qui che si gioca gran parte della spartizione del potere, non soltanto mediatico. Quando questo sistema va in black-out e si preferisce il silenzio, si aprono le porte della negoziazione individuale, dellindebolimento del singolo consulente e del freelance e il rischio di una sua riduzione a merce di scarso valore. La prassi dellinformazione nel lasciare poco spazio al professionista autonomo accresce il disinteresse parallelo degli analisti, dei sindacati e della politica, orientati tutti nel puntare in termini di comunicazione di massa verso i sistemi complessi di organizzazione del lavoro, verso le problematiche delle grandi imprese e dei lavoratori con posto fisso, una platea di soggetti che domani garantir ai propri benefattori una fiducia equivalente alla durata della stabilit del proprio lavoro. Lunit minima, lindividuo, invece scomparsa per anni come oggetto di rappresentazione
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ed ritrovata soltanto quando diventa lespressione del caso limite, lesempio di distorsioni o disequilibri dei sistemi produttivi che mettono nellangolo: il cassaintegrato che si arrampica sulla gru; limprenditore che si toglie la vita in silenzio; il lavoratore licenziato in et adulta che preferisce linattivit allumiliazione di ricominciare da zero; il padre di famiglia che deve pagare le bollette con 800 euro al mese di cassa integrazione. Tutte storie raccolte, per esempio, dagli inviati di Michele Santoro, con la finalit precisa di misurare il cono dombra di una crisi che sembrerebbe toccare soltanto gli operai e il lavoro dipendente. Perfino le vicende cos drammatiche dei licenziamenti collettivi di questi anni di crisi hanno oscurato i nomi e i cognomi, per dare voce alle storie personali soltanto in maniera paradigmatica, come rappresentanti di un lavoro salariato in frantumi e di fatto coprendo il potenziale del singolo, la sua forza di mettere ancora in gioco la propria vita lavorativa come persona che possiede un bagaglio unico di conoscenze e competenze. La deliberata volont di non lasciare spazio al mondo dellautonomia ha messo in postille e note a margine il mondo dei freelance, degli indipendenti o dei liberi professionisti che hanno sempre rappresentato per media e sindacati, per legislatori del lavoro e governanti locali lingovernabile. Li hanno guardati e giudicati con la lente di una destra che dovrebbe accelerare la spinta liberista, ma paradossalmente afferma un protezionismo corporativo delle professioni liberali, o con la lente di una sinistra pronta a scandalizzarsi per la condizione di precari senza diritti ma appiattita su una politica sindacale che di fatto tutela solo una certa parte del lavoro dipendente. In realt, la dinamica di questo pendolo sta esaurendo pian piano la sua forza, a partire da quando il mondo dei professionisti autonomi ha cominciato ad acquisire una maggiore coscienza della propria indipendenza. I forzati della partita Iva che si sono stancati con il tempo di non poter governare la forza centripeta che li ha allontanati appunto dal lavoro dipendente e i numerosissimi esperti di tecnologie informatiche e Internet che lavorano da soli, a distanza, si sono creati coalizioni di base con i moderni sistemi di networking, prima ancora che nel mondo reale. I creativi del mondo del design, della comunicazione e della moda hanno compreso prima e meglio di altri la metamorfosi degenerativa dello stesso linguaggio del potere e le dinamiche con cui si costruisce unimmagine pubblica. Tutti questi lavoratori indipendenti sono abituati oramai a considerare la politica e il sindacalismo come attivit di mera autoregolazione dei propri privilegi. Non si legge di una destra italiana che non in grado di difendere pi neppure il sistema
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dimpresa o le liberalizzazioni, mentre sul fronte opposto non si legge di una sinistra che ha mostrato tutta la sua debolezza nel portare la bandiera del precariato, senza saperne rovesciare le sorti. Che cosa resta allora nella narrazione delle storie dei lavoratori che hanno perso pregiudiziali politiche sul modo con cui interpretare il loro disagio in un paese che, visto dalla parte dei neoliberisti, non ha un vero mercato delle risorse umane, e da quella dei progressisti non ospiter pi alcuna rivoluzione?

I freelance? Per la stampa soltanto Untermenschen


Linformazione pubblica ancora persiste nello stereotipo del precariato disorganizzato, del singolo stritolato dal sistema, dellimprenditore con le mani legate, che non riesce a licenziare i dipendenti che ha sposato come una moglie, del povero disperato costretto ad aprire la partita Iva. Ma tra concubine e poligamia, tra disperazione e sfruttamento, chi ha invece una posizione forte sul mercato come indipendente continua a spaventare il mondo dei media e perfino gli analisti pi accreditati. La parola lavoro autonomo nel Rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010 rilasciato dal Cnel ha soltanto due occorrenze in 335 pagine.11 Fino allesplosione conclamata della crisi, che in Italia ha iniziato a mietere posti di lavoro seriamente a partire dallottobre del 2008, nelle narrazioni giornalistiche e tematiche sul mondo del lavoro lo spazio dedicato ai professionisti autonomi era ininfluente. Poche righe, mal curate. Poi qualcosa cambiato, sulla scia di unespressa volont del Corriere della Sera di dare voce ai piccoli, alla generazione di produttori e professionisti che, nelle dinamiche dei grandi numeri e nelle manovre politiche che vanno a caccia di consenso, sono sempre rimasti invisibili. Con questo termine si sono voluti indicare quei lavoratori che appartengono al variegato mondo di chi non ha alcun paracadute nei tempi difficili delleconomia in crisi e di cui non ha scritto nessuno sui giornali o parlato in tv. Invisibili allo stato, ma anche ai media. Alla serie di articoli che Dario Di Vico e Isidoro Trovato, sul quotidiano di via Solferino, hanno dedicato al mondo delle partite Iva, alla parasubordinazione, ai piccoli imprenditori e alle reti di piccoli produttori, hanno fatto seguito anche altre testate, da la Repubblica, che ha dedicato il numero del Venerd dell11 giugno 2010 alle partite Iva, parlando addirittura di invasione di finte partite Iva; al manifesto, che piuttosto sorprendentemente ha dedicato un numero del primo maggio di Alias, allegato al quotidiano, al popolo delle partite Iva, definendoli precari con
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la giacca. Ha sorpreso tanta attenzione al problema. Figure lavorative descritte nel Codice civile da oltre quarantanni prendono finalmente la parola proprio nel periodo pi difficile delleconomia italiana. Nello speciale curato dal quotidiano del gruppo LEspresso, Riccardo Staglian affonda il coltello nel sistema, definendo le partite Iva addirittura Untermenschen dal punto di vista sindacale perch senza rappresentanza n diritti. Mescola impropriamente lavoro intellettuale e addetti del settore delledilizia, commercianti e bibliotecari. Un pasticcio, dove la morale, suffragata da unindagine Isfol12 di ben quattro anni prima, che lItalia sta abusando della formula della partita Iva per nascondere lavoro irregolare. Lo fanno, per, anche la Rai (che ogni anno paga 380.000 partite Iva) e i grandi gruppi editoriali. LItalia invasa dalle finte partite Iva per i giornali. Come una diga che non contiene pi acqua, viene inondata da sottouomini, o meglio ominicchi, come direbbe Tot, pria del lavoro. La via duscita? Non si sa. Massimo Giannini rincara la dose, ma mette le carte allo scoperto. Il suo intervento ha la stessa forza di un lemma in un vocabolario, un vero capolavoro per comprendere la cultura pi diffusa sul lavoro autonomo. Si legge nel servizio:
C stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui evocare il mitico popolo delle partite Iva significava una cosa molto precisa. In senso marxiano una vera classe: la silenziosa piccola borghesia produttiva, costituita da lavoratori autonomi, imprenditori e artigiani, che ha fatto un pezzo di miracolo italiano. In senso geografico, una vera nazione: la laboriosa macroregione padana, che ha dato alla Lega radici territoriali e al berlusconismo consensi elettorali. Oggi quel tempo non c pi. Il popolo delle partite Iva ha cambiato pelle. Non si certo estinto. Si piuttosto stinto dentro un meticciato nel quale il vecchio padroncino convive con il nuovo dipendente. il mercato del lavoro, bellezza direbbe lincrollabile liberista, sorvolando sui devastanti effetti sociali, culturali ed economici di questa metamorfosi. Dietro la cortina di fumo delle false partite Iva, quella che sta nascendo una generazione di venticinque-trentacinquenni, costretti a dimettersi dalle rispettive aziende, e dunque non pi lavoratori subordinati regolarmente assunti, ma obbligati a continuare a prestare la loro opera, esattamente come prima, con contratti a tempo parziale e determinato, e dunque da lavoratori para-subordinati.13

La lettura chiara. I lavoratori autonomi non sono pi una classe che porta il marchio della destra e della Lega, ma sono poveracci, precari costretti al lavoro irregolare. Ibridi, meticci, lavoratori transgenici. La colpa di questa metamorfosi delle imprese, del sindacato e della politica, non del sistema produttivo
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che si sta modificando, allargando e contemporaneamente, per le professionalit pi legate al lavoro cognitivo, destrutturando su reti invisibili e linee di comando pi blande. Poich la sinistra non riesce pi a classificarli come borghesi ed evasori, difesi dalla Lega o dalla cultura berlusconiana, ora sono il brutto anatroccolo del lavoro dipendente. Un salto quantico impressionante, che non ha fondamento proprio perch non guarda correttamente alla storia del lavoro autonomo di seconda generazione. Nessuno nega la presenza in Italia di lavoratori che esercitano attivit con partita Iva quando dovrebbero avere un contratto di lavoro dipendente, ma da qui a sostenere che la metamorfosi soltanto devastante non fa che riportare rovinosamente la questione del lavoro indipendente nellalveo del precariato. Mossa intelligente per chi deve conservare principalmente regole e potere nellambito della negoziazione politica, sociale e sindacale, ma che non rispetta la natura del lavoro autonomo e le nuove forme di coalizione che si vanno formando in questi anni per rappresentare le reali istanze delle partite Iva. Il danno dimmagine evidente. Considerando soltanto i fattori decostruttivi si corre il rischio di deprimere il lavoratore, portandolo a livello di Untermensch. La lettura che sposta senza soluzioni di continuit una classe intera dal benessere borghese al problema della fine del mese ha pi i connotati di una volont performativa di imporre un modello interpretativo che di un lavoro di sintesi. Un po come avvenuto negli anni 2001-2005 quando entrata nel linguaggio corrente la contrapposizione tra flessibilit e precariet, pi per ragioni legate alla necessit di aprire lo spazio dialettico con cui si sarebbero potute confrontare parti avverse che per reali motivi linguistici o teorici. Allora e ancora oggi nessuno ha mai fatto notare, per esempio, che precario il contrario di stabile e che flessibile lopposto di rigido, indisponibile e che molto banalmente le due famiglie di problemi si radicano su questioni del tutto diverse. Scrive Benedetto Vecchi aprendo il bel numero del primo maggio dellinserto Alias del manifesto dedicato ai lavoratori professionali autonomi:
NellItalia berlusconiana gli indipendenti sono un esercito in espansione, perch luscita dalla crisi economica e dalla disoccupazione passa attraverso la crescita degli autonomi. La precariet, in quanto norma dominante, ha infatti nel lavoro autonomo la strada maestra per legittimarla come unica possibilit di restare sul mercato del lavoro. Cos, per molti giovani, la discesa nellinferno della disciplina del lavoro salariato prevede tappe che alternano contratti a tempo determinato a consulenze pagate, molti mesi dopo, una miseria. Nel frattempo la cancellazione del welfare state procede a rit127

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mi serrati mentre lesercito degli indipendenti non si sente rappresentato da nessuno. La sinistra li guarda con sospetto, la destra li corteggia, ma aumenta le tasse che negano ogni possibile futuro: tutto in nome di un feroce darwinismo sociale che ha premiato nelle ultime elezioni la Lega Nord.14

una lettura che non si discosta molto dalla precedente e pone purtroppo ancora una volta gli autonomi, come categoria unica, indifferenziata, in un limbo verso la precariet e in una posizione di sofferta conflittualit, non di libera scelta. Come si vede, il focus dedicato al lavoro professionale autonomo ha riportato a galla i paradigmi consolidati a sinistra, che hanno sempre visto i lavoratori autonomi come dipendenti mancati, buttati fuori dallimpresa oppure sfruttati a loro insaputa. Storie di lavoratori messi sotto la lente dosservazione del precariato, che vanno riportate nel loro alveo naturale, quello delle relazioni di lavoro dipendente, secondo le pi classiche posizioni rivendicative proposte dalla Cgil. C qualcosa di ineluttabile, darwinistico, ma deformante in questo processo mentale che governa la rappresentazione del lavoro autonomo nel giornalismo di sinistra, e c chi raccoglie il malcontento, ovvero la Lega. C la precariet e c una sua declinazione specifica, che si chiama lavoro autonomo, che raccoglie apolidi senza protezioni n protettori. Untermenschen, appunto. C anche chi ha provato a superare questa rappresentazione, risultando forse ancora meno appropriato nella sua lettura. Per Roberto Mania, di Repubblica, si tratta di capitalismo individuale in recessione e lavoro di serie B, ma pur sempre precariet di lusso,15 perch precario non solo il lavoro poco qualificato e a basso salario. Lavoro professionale s, ma da poveracci. O come scrive il manifesto, si pu essere precari, ma con la giacca. Vero, ma il resto? Possibile che ci si fermi unicamente alla differenza con il lavoro dipendente? A unequivalenza mancata, ai difetti nel confronto con gli bermenschen o, peggio ancora, alla riduzione dellautonomia come formula mediocre di capitalismo individuale? A ben guardare, una rappresentazione di questo genere giova in primo luogo a chi fa del modello del lavoratore contrattualizzato, con posto fisso a tempo indeterminato, lunico possibile, e non soltanto svuota di senso ogni formula alternativa, ma cuce addosso a chi contraddice tale ipotesi il vestito della cattiva coscienza. In realt, per, in questi anni avvenuto il contrario: gran parte delle voci raccolte e amplificate sui media sono state selezionate da chi ha voluto cercare la riprova dello sfruttamento del lavoro irregolare proprio tra i lavoratori della conoscenza, costretti ad
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aprire una partita Iva per rimanere sul mercato. Dalla retorica sui call center si passati, in tempo di crisi, a quella sulle false partite Iva.

Il cambio di rotta arriva dal Corriere della Sera


Se da una parte, purtroppo, non si trovano narrazioni fuori da questi schemi, vero anche che per molti lavoratori autonomi la strada aperta dal Corriere della Sera, e poi replicata da altri, nel cercare di approfondire i temi del lavoro indipendente particolarmente esposto ai venti della crisi, stata recepita positivamente. Nella lunga serie di articoli firmati da Dario Di Vico sul Corriere della Sera a partire dallaprile 2009 e dedicati al lavoro autonomo, e che a nostro avviso costituiscono una delle rappresentazioni giornalistiche pi corrette del mondo del lavoro autonomo in Italia, ricorre spesso lidea che la formula pi utilizzata per mantenere viva la propria posizione sul mercato del lavoro in un periodo di crisi sia la partita Iva, non la disponibilit ad accettare contratti a progetto o a svolgere attivit di temporary manager o lavori a chiamata. Sebbene non sia espressamente indicata dal giornalista, la ragione sta a nostro avviso nella natura proattiva di questa formula, ovvero nella possibilit di inquadrare la propria attivit nel segmento del lavoro autonomo liberandosi dal vincolo di una dipendenza stretta dal committente come unica persona che pu tenere a galla il lavoratore. Avere una partita Iva rappresenta uno spazio di manovra aperto anche a differenti committenze, allinterno del quale si pu immaginare di strutturare azioni di rilancio della propria attivit che comprendono anche investimenti. Questi costi sono spesso legati alla riqualificazione professionale, alla formazione, al marketing o allacquisto di beni strumentali. Inquadrati in un contesto fiscale come consente di fare la partita Iva diventano spese da affrontare pi accettabili, anche soltanto da un punto di vista psicologico. difficile trovare lavoratori autonomi soltanto con contratti a progetto disposti a sostenere investimenti per migliorare la propria posizione lavorativa, hanno invece un atteggiamento pi passivo. Non dunque per unimposizione del mondo dellimpresa che in periodi di crisi si rinforza la formula del lavoro con partita Iva, bens per le opportunit che questa offre di affrontare pi apertamente la condizione di reinserimento nel mercato come lavoratore autonomo costretto ad autogestirsi spese, investimenti, offerta e produzione. Parlare di lavoro autonomo, pur con approssimazione,
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meglio del silenzio durato decenni, ha pensato qualcuno, ma c voluta una fase di recessione economica per raccontare un fenomeno che era gi stato identificato chiaramente da oltre quindici anni.16 Ma quali sentieri narrativi tracciano realmente queste aperture dei grandi giornali? Come abbiamo detto, non tutto pu essere raccontato, proprio perch nel seno del mondo del giornalismo che si annida una delle contraddizioni pi palesi sul rapporto tra insider e outsider. Ci che manca nei racconti pi divulgativi di questi anni sui media di conseguenza la componente risolutiva, ovvero il conflitto, unica via di uscita per ovviare alle difficolt del lavoro autonomo. Se vero che molte storie rappresentano casi limite, la soluzione offerta al grande pubblico quella di ricondurre lattivit esercitata con partita Iva nellalveo del posto fisso, premio irraggiungibile, ma utopos unico del diritto del lavoro. Il fuoriuscito dallimpresa deve fare in qualche modo un buy-back del proprio status ed difficile che siano presentate alternative, o almeno che questo avvenga nelle pagine di un giornale.

I lavoratori autonomi che si raccontano sul web


Pi flessibile e aperta , invece, la Rete, dove la libert nel presentare se stessi e la propria storia maggiore, esiste lanonimato e il self publishing realmente alla portata di tutti. Qualche limite in realt c ancora. Mentre in ambiente anglosassone esistono veri e propri portali per freelance e i blog personali in materia sono moltissimi, soprattutto di lavoratori nel segmento del web design, del copywriting e della consulenza in ambito risorse umane, finanza e marketing, in Italia questi territori tematici esistono, ma non presentano quasi mai elementi di autovalutazione, riflessione sulla condizione di lavoro o le problematiche politiche del mondo freelance. Le due raccolte pi estese di esperienze sul mondo dellautonomia sono rappresentate purtroppo ancora una volta da soggetti che nel loro approccio nutrono sostanziali pregiudizi sulla formula dellindipendenza. Sono da una parte il blog di Beppe Grillo e dallaltra il sito di Repubblica.it. Dalla prima esperienza di racconto diretto via web nato il testo Schiavi moderni,17 che ha mescolato tutte le forme considerate precarie, comprese alcune vicende di consulenti che denunciano pi che altro problemi di pagamento o fiscali. Questo testo mostra nella sua struttura e nella capacit critica che emersa successivamente nelle presentazioni e citazioni in occasioni pubbliche da parte di Beppe Grillo la scar130

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sa preparazione del cosiddetto popolo dei grillini in tema di lavoro. A una generica e comunque motivata denuncia di condizioni oramai inaccettabili di precariato sociale non mai seguita una precisa analisi delle ragioni e delle soluzioni possibili. Quanto raccontato in Schiavi moderni vero, reale, concreto e drammatico, ma le ragioni che determinano le terribili storie riportate non si possono ricondurre direttamente alla legge Biagi, come denunciato dallo stesso Beppe Grillo, che in occasione di un articolo scritto sul Corriere della Sera da Pietro Ichino18 se la prende addirittura con il giuslavorista. Le storie raccontate sono soltanto marginalmente condizionate dal decreto legislativo 276 del 2003. Questa legge, tuttavia, diventata un totem per i grillini e un simbolo contro cui inveire. In realt, lobiettivo secondario, forse pi importante del primo (la critica allevoluzione del mercato del lavoro), la creazione di una nuova coalizione di cittadini che non accettasse pi la condizione del precariato. Il modello aggregativo promosso da Beppe Grillo non riesce per ad andare oltre la denuncia ed destinato a fallire nella definizione di nuove proposte politiche legate al mondo del lavoro. Potrebbe avere grande fortuna su due fronti: nella denuncia capillare e nello snidamento di situazioni e persone che operano illegalmente rispetto alle pi elementari regole di convivenza e della normativa sui rapporti di lavoro; nel confronto con le politiche locali e iperlocali. Il popolo dei grillini potrebbe realmente aprire una nuova strada di denuncia sociale, cos come sta facendo sui temi dellambiente, della legalit e dellenergia, e di dialogo dei cittadini con gli enti locali, ma destinato a fallire nel proporre alternative ai modelli di sistema, ovvero alle politiche nazionali, poich manca di una visione politica realmente alternativa che dia slancio alla mobilit sociale, alla riqualificazione della domanda o alla ridefinizione dellintero sistema di welfare. Un altro forum che va preso in considerazione Generazione perduta,19 collazione davvero unica in Italia di storie individuali dove ciascun utente pu riportare in presa diretta, personalmente e via Internet, la propria avventura lavorativa in tempo di crisi. In questo spazio web creato dal gruppo LEspresso si trovano storie di ogni genere, che ciascun autore classifica con etichette predefinite: posizione, et (fino a trentaquattro anni) o reddito. Facile, dunque, estrarre le vicende di chi si dichiara lavoratore autonomo, anche se in realt i margini per tracciare un autoritratto esaustivo sono un po stretti.20 Tra le pagine di Repubblica.it si potevano leggere nellottobre 2010 oltre 160 racconti di autonomia lavorativa, che uniscono giovani avvocati, de131

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signer, architetti, giornalisti freelance, creativi, formatori e perfino medici (come un oculista che esercita presso lOspedale Maggiore di Bologna con partita Iva). Prevale la denuncia, come ovvio allinterno di un servizio che vuole dare spazio alle voci perdute. Si trovano storie di discontinuit, sfruttamento, iterazione infinita di contratti a termine, pagamenti tardivi e inadeguati, sistemi di ricompensa superficiali, percorsi professionali senza stabilit anche per chi esercita in autonomia, irregolarit spinte. I pi tartassati dal mercato sembrano essere due categorie: alcuni lavoratori che esercitano professioni ordinistiche, in particolare architetti e avvocati, che transitano senza speranza in studi associati o piccole societ, e gli ex dipendenti che cercano di riottenere quello che avevano prima di uscire dalle imprese, ma nel contesto del lavoro autonomo. In questo caso, pi che mai, si ritrova il disorientamento di chi non ha mai guardato oltre la finestra del proprio ufficio e si aggrappa al passato come unica via duscita. C anche chi in un ufficio non c mai entrato e fa fatica a trovare una bussola per orientarsi. Geologi, archeologi, giornalisti, musicisti, documentaristi, tecnici del suono, designer, consulenti della pubblica amministrazione e molte altre attivit rappresentano un arcipelago di situazioni differenti, accomunate da almeno due condizioni caratteristiche: la disparit di trattamento rispetto a quanto avviene in altri paesi dEuropa (compresa la Bulgaria, scrive qualcuno); e la difficile e imperfetta interpretazione del ruolo di lavoratore autonomo in Italia dovuta a una scarsa chiarezza dei limiti che lo circoscrivono e delle opportunit che offre.

Nuove identit in cerca dautore (e giornalisti capaci di ascoltarle)


Il dipartimento di Scienze relazionali G. Iacono dellUniversit di Napoli Federico II, sotto la guida della professoressa Laura Aleni Sestito, docente di Psicologia dello sviluppo, ha analizzato lintero repertorio di storie, scavando nelle profondit del disagio. Il problema pi marcato, viene detto, quello identitario:
I giovani, chiamati a operare in un contesto molto complesso, solo in piccola parte mostrano di avere capacit di controllo sulla realt interna ed esterna e di percepire se stessi come protagonisti rispetto alle esperienze di adattamento alla realt lavorativa. La sensazione che oggi, alle prese con una societ pi instabile, ci sia 132

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bisogno di un capitale di identit maggiore di quanto fosse necessario in passato. Dopo avere individuato una scelta, ci si deve assumere le responsabilit dellidentificarsi con le cose che si sono scelte e di assumersele come personale traiettoria di sviluppo. Quanto pi la societ diventa complessa, tanto pi difficile assolvere a questi compiti.21

Ed ancora pi complesso in assenza di una narrazione collettiva del lavoro che includa come elemento fondante quello del lavoro professionale autonomo. Lorientamento di tipo informativo che si ottiene da un giornale a larga diffusione rischia di essere disorientante. Lo stesso avviene a partire dagli ambienti scolastici. Perch? Vi focalizzate sui sintomi e ignorate le cause, afferma nel forum Generazione perduta un lavoratore autonomo emigrato nel Regno Unito.22 Altri se la prendono direttamente e senza mezzi termini con i giornalisti. Dichiara un formatore della provincia di Bergamo:
Lavorando quasi tutti i giorni porto a casa 1000-1200 euro al mese al lordo, spese incluse. Ho tirato un sospiro di sollievo quando mi sono reso conto che anchio avevo qualche santo in paradiso, quando ho letto le parole di Massimo Giannini: nellItalia di oggi soffrono i dipendenti e gode chi si nasconde dietro a una partita Iva.23

Fa seguito Danilo da Bologna, trentaquattro anni, consulente della pubblica amministrazione: Veniamo tacciati di evasione, cosa che nel mio caso falso in quanto lavoro per progetti finanziati dal pubblico.24 Spesso emerge addirittura il contrario, come raccontano due giovanissimi produttori di video e installazioni interattive che sono stanchi delle richieste di sorvolare sulle fatture:
Inizialmente lavoravamo in casa, per limitare al massimo le spese, poi per cercare pi clienti abbiamo deciso di prendere in affitto un piccolo fondo in condivisione con altri ragazzi, e con il piccolo giro lavorativo che ci siamo costruiti, riusciamo a pagare gli affitti e a non dover chiedere soldi ai genitori, ma in tasca non resta mai nulla per potersi levare qualche sfizio o per fare un investimento. Siamo fortunati rispetto a tanti miei coetanei che passano da uno stage a un altro, senza trovare un posto sicuro. Ci che infastidisce di pi che i clienti, pur di spendere il meno possibile, chiedono di fare il lavoro in nero, contrattando anche su 20 euro di differenza, non curandosi del fatto che tu impieghi giornate intere per fare un lavoro al meglio. A loro interessa unicamente spendere poco. Il lavoro in nero assolutamente contro133

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producente per tutti, e lo stato dovrebbe attivarsi e fare qualcosa per limitare questo problema.25

Parole mai lette sul giornale di Confindustria o qualsiasi altra testata. bastato aprire un forum dei lavoratori autonomi per scoprire aspetti del tutto inediti che sfatano decenni di pregiudizi. Cos come possibile trovare storie positive anche l dove per definizione si vuole percorrere in termini narrativi ancora una volta sentieri interrotti. Ne la riprova questa storia:
Sono laureata in Lingue. Al primo anno della scuola specialistica ho cominciato a leggere in Rete e scopro il mondo dei traduttori freelance. Studio, imparo, acquisto software e prendo certificazioni. Cominciano ad arrivare le prime risposte ai curriculum inviati. I clienti aumentano. Contemporaneamente, faccio un master e comincio a insegnare inglese in un istituto professionale. Oggi, lavoro da casa con il pc, ho clienti che mi inviano lavoro costante e questanno arriver a fatturare 50.000 euro, met dei quali finiranno nelle casse dello stato. Una pressione fiscale assurda, per servizi scadenti. Tutto questo da sola, ma lavorando anche 14 ore al giorno, weekend compresi. Sono fortunata, perch posso propormi al mondo, i miei clienti sono ovunque e faccio un lavoro che adoro. Il lavoro autonomo precario per definizione: oggi i clienti ti chiamano e domani non si fanno pi sentire, ma mi sento lavorativamente soddisfatta, sono riuscita a crearmi uno spazio e lho fatto da sola. Se non mi fossi creata questa possibilit, sarei sicuramente andata allestero.26

Quando la parola passa al lavoratore, non filtrata secondo paradigmi e pregiudizi, emerge il vissuto e lapproccio critico pi genuino. Come traspare, per esempio, dallintervento di un giovane lavoratore autonomo di Lecce, laureato in Scienze politiche con un master in Scienze del lavoro, che lamenta una diffusa mancanza di punti di riferimento e informazioni che aiutino giovani e meno giovani a costruire un percorso professionale.
La generazione X ci chiamavano negli anni novanta. Un caso sociologico di cui a molti di noi sfuggiva ancora il significato preciso. Lavremmo capito bene nel decennio successivo. Quella variabile indicava una condizione di incertezza che nulla di buono lasciava presagire. Una generazione destinata, per la prima volta, a stare peggio di quelle precedenti. Economicamente, psicologicamente, moralmente. Valori di riferimento: la tv generalista, i reality, laperitivo, lo stage. Ledonismo cinico degli anni ottanta insieme a forme di sfruttamento anteguerra.27

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Un rischio che corrono in primo luogo proprio quei lavoratori che devono raccontare il nostro tempo, ovvero i giornalisti. Denuncia un freelance di Venezia:
Va ricordato che il 70 per cento delle notizie che compaiono sui quotidiani locali scritta da collaboratori, che lavorano 7 giorni su 7, senza alcun rimborso spese, diritto, e con il rischio di essere cacciati fuori da un giorno allaltro. Il tutto per meno di 8 euro ad articolo, che magari ha richiesto unintera giornata di lavoro.28

E che cosa resta nel setaccio, nelle narrazioni di oggi, tra le righe di un giornale e i frame di un servizio tv quando si parla di lavoro autonomo, se i primi a pagarne le conseguenze sono proprio loro, gli autori di queste storie? Rimane un grande punto interrogativo, la domanda generalizzata del lavoro autonomo rivolta a chi deve dargli voce. Resta la necessaria volont di trovare una via duscita per potere contare. Che sia dentro o fuori dal mondo della comunicazione tradizionale perch il racconto, come ricorda la Sestito,
svela qualcosa che altrimenti sarebbe inaccessibile anche allautore ed anche un modo di agganciarsi a una collettivit e a un contesto.29

lambiente condiviso e la comunanza di una condizione che vanno raccontate, possibilmente a microfoni aperti. In questo manca un cambio di passo proprio nel momento di maggiore attenzione mai prestato al mondo delle partite Iva, quando la crisi morde e la decostruzione del sistema produttivo industriale e le dinamiche del postfordismo mostrano la loro natura pi viva, rimettendo al centro delle trasformazioni il tema irrisolto del lavoro professionale autonomo. Insieme alla speranza che qualcosa cambi nel racconto del lavoro, evidente la necessit di richiamare la forza di nuove coalizioni, ma altrettanto palese il rischio che in mancanza di aperture di nuovi spazi ci si affidi alle poche voci finora ascoltate. Scrive ingenuamente una giovane lavoratrice indipendente di Salerno, sempre nel forum Generazione perduta:
Io chiedo alla redazione di Repubblica di coalizzarsi con altri giornali e di portare avanti questa battaglia per noi tutti, per favore. C gente che studia, punta sulla propria autonomia economica, mentale, sulle proprie potenzialit e sente che non basta perch troppo poco si pensa a questa generazione di persone capaci. Non sappiamo pi che cosa fare, noi comuni mortali. Per favore, preferisco sup-

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plicare voi che un politico, [...] accantonate le competizioni tra giornali, unitevi per noi, fate un po di giornalismo realistico. Per favore! Grazie.

Il primo appello, come si pu intuire, fuori bersaglio. Le coalizioni non nascono nel mondo dei media, ma tra lavoratori. La seconda richiesta, invece, di raccontare correttamente il mondo del lavoro oggi lo specchio di un disagio che dura oramai da troppi anni.

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5. Precari e autonomi nelleconomia dellevento

Domanda: Il lavoratore autonomo un precario?. Risposta: No. Il lavoratore autonomo vive una condizione di precariet ma non assimilabile ai precari. Poich non un passaggio cos evidente, proviamo a fare un passo indietro di quasi novantanni e riprendiamo in mano il vecchio Weber. Il filosofo utilizza il termine prekr per definire un ruolo universitario di ricercatore in attesa della stabilizzazione. Anzi, un ruolo di docente, il Privatdozent, che in realt era impegnato sia nella didattica sia nella ricerca ed era considerato dal professore ordinario una specie di sua propriet. Unimmagine calzante con la realt di oggi, strettamente collegata a una figura dellimpiego pubblico, con una prospettiva di carriera definita da norme e usi riconosciuti dallo stato. E qui il paragone con il presente finisce, ma resta valido il fatto che il termine usato da Weber indica un figura la cui definizione dipende dal punto in cui si trova allinterno di un percorso di carriera predeterminato, dal quale pu uscire solo rinunciando alla professione o allattivit che si scelta come fonte di sopravvivenza. una figura di transizione verso uno status definito. Oggi il termine precario indica una figura di transizione verso uno status indefinito, con un orizzonte su diversi sbocchi possibili, uno dei quali pu essere il lavoro autonomo, ma per la grande maggioranza dei soggetti il lavoro dipendente, mentre per un numero sempre crescente di persone un susseguirsi di contratti a termine, di collaborazioni, di stage non pagati ecc. La radicale differenza tra il precario e il lavoratore autonomo che il primo tende a uscire dalla sua condizione mentre il lavoratore autonomo tende a consolidarla. Il lavoro indipendente, in particolare quello che abbiamo chiamato di seconda generazione, non segue dinamiche molto diverse da quelle del lavoro subor137

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dinato. Se negli ultimi dieci-quindici anni le forme di contratti atipici si sono moltiplicate e hanno cominciato a crescere rapidamente nellambito del lavoro salariato, non deve meravigliare se anche nella scelta del lavoro indipendente le persone abbiano cominciato a praticare forme non standard. Se i contratti atipici collocano il soggetto in una specie di limbo tra occupazione, disoccupazione, precariet, non c da meravigliarsi se questo stesso soggetto aggiunge a queste forme di esistenza dimezzata anche il lavoro indipendente, essendo unopportunit in pi per sopravvivere. Le biografie di lavoro ormai sono biografie spezzate, di transizione continua da uno status allaltro. La richiesta di essere riconosciuto come lavoratore indipendente, per la quale in molti paesi basta semplicemente avere un numero discrizione (la nostra partita Iva) che identifica il soggetto nellemissione della richiesta di pagamento della sua prestazione, pu essere fatta non come scelta di vita ma come misura prudenziale, di riserva. Per la signora Y o il signor X, scaduto un contratto a tempo determinato, concluso un avviamento tramite lagenzia di lavoro interinale, pu aprirsi un periodo dove trovano una committenza con la quale stabilire un rapporto di lavoro indipendente. Oppure, viceversa, cominciano a prestare consulenze a qualche cliente, poi capita un lavoro a tempo determinato e magari di quei clienti ne mantengono uno solo, lavorando anche la notte o nei fine settimana, si conclude il loro periodo di lavoro a termine presso una ditta e, non trovando altro, rispolverano la loro partita Iva cercando di recuperare i vecchi clienti cui offrivano consulenza. In sostanza si assiste al moltiplicarsi di doppie figure di atipici/autonomi. Il punto importante come riconoscerle e nominarle. La cultura dominante li tratta da lavoratori incompleti (atipici) e falsi autonomi, ibridi da confinare nelluniverso dellanomalia, finti come salariati e finti come freelance. Invece sono maledettamente veri e rappresentano la maggior parte della popolazione in alcune fasce det, anzi nella fascia det sulla quale si appoggia il futuro di un paese e di una societ. E sono maledettamente veri anche i soldi che versano alle casse dello stato per avere in cambio un pugno di mosche. Per questo universo di lavoro insicuro, instabile, alcune correnti politiche e sindacali invocano la cosiddetta stabilizzazione collettiva. una classica rivendicazione per ottenere un consenso facile ma effimero. Che la grande maggioranza delle persone preferisca una situazione di stabilit lavorativa e di continuit di reddito incontestabile, che sia un obiettivo praticabile dopo pi di ventanni di sistematica destrutturazione del lavoro
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e della produzione suscita pi di un dubbio. Perch ingannare gli altri e ingannare se stessi, allora? La stabilizzazione attuata mediante un atto dimperio amministrativo potrebbe interessare soltanto il settore pubblico e allinterno di questo soltanto alcune categorie di lavoratori, secondo una scala di priorit e dei parametri che dovrebbero essere applicabili universalmente. Ma difficile immaginare che il settore privato possa modificare le sue politiche di reclutamento in seguito a una norma legislativa; si dovrebbe per intanto uscire dallUnione europea, dato che il nostro paese ha firmato un trattato nel quale la libert di mercato il principio fondamentale. Si legga il documento congedato dalla Commissione affari sociali del Parlamento europeo sui lavori atipici: lastricato di buone intenzioni, prende finalmente atto della situazione preoccupante della qualit del lavoro in Europa, ma se si tiene presente la macchinosit e la lentezza dei processi decisionali a livello europeo, prima che questo documento (nellipotesi migliore) produca una direttiva che venga recepita dai paesi membri, e che dalla genericit delle buone intenzioni si passi a norme applicative nazionali, il mercato del lavoro ha tempo di degradarsi per altri due-tre anni.1 Ha ragione quindi Maurizio del Conte, docente di Diritto del lavoro allUniversit Bocconi, il quale, commentando una ricerca della Camera di commercio di Milano e degli atenei lombardi, in cui si dimostrava la grande difficolt dei laureati a trovare unoccupazione adeguata in quello che considerato uno dei mercati del lavoro pi ricchi dItalia, invocava lo stop della produzione legislativa in materia di lavoro, giunta ormai a una tale complessit da risultare totalmente inefficace nel modificare la situazione migliorandola (a peggiorarla invece ci riesce). Ingannano quelli che parlano di stabilizzazione collettiva, non perch la rivendicazione sia sbagliata ma perch la soluzione legislativa ormai impercorribile. O il lavoro, di qualunque tipo, si coalizza e fa sentire la propria voce imponendo un negoziato o non c via duscita. E poich le forme di coalizione non possono riprodurre quelle del lavoro a tempo indeterminato di ieri e certe forme di negoziato sono impraticabili in quanto azioni collettive, si deve ripartire da zero, cio dallorganizzazione tecnica dellentit che rappresenta la domanda di lavoro, per evitare di ripetere luoghi comuni per inerzia di pensiero sindacale. Per questo ci sembrato utile introdurre alcune testimonianze su un settore nel quale lesistenza stessa dellimpresa temporanea, intermittente. Non unorganizzazione stabile quella che si serve di forza lavoro flessibile, unorganizzazione instabile che non pu che richiedere forza lavoro intermittente,
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che pu offrire solo occupazioni di breve durata. Qui il precariato strutturale: non una politica di reclutamento spregiudicata, n una bad practice. Non solo, una forma organizzativa dimpresa che va a genio al professionista indipendente; , si potrebbe dire, il suo habitat naturale. Per chi lavora a progetto, ed abituato a essere retribuito a corpo, assumere commesse da unorganizzazione stabile o da una instabile non cambia molto. In questo campo, dove la gestione di progetti complessi richiede molta pi attivit relazionale che attivit creativa, il problema principale sono i tempi di pagamento e sotto questo profilo pu capitare che laffidabilit di un ente pubblico sia inferiore a quella di un privato. Ultimo, ma non per ordine dimportanza, motivo per guardare con interesse a questo settore, che produce introiti per le amministrazioni locali e per certi enti statali senza fare ricorso a manovre fiscali. Pertanto, date le difficolt di bilancio di questi enti, destinato a crescere. Dobbiamo quindi abituarci a ragionare su orizzonti che hanno margini dinstabilit molto pi ampi e pensare che non tutti gli effetti prodotti da settori economici dove lattivit limitata nel tempo sono negativi.

Lorganizzazione del lavoro nelleconomia degli eventi


Il lavoratore precario impegnato in mansioni che richiedono un certo grado di scolarizzazione e di educazione superiore e il professionista con partita Iva hanno mentalit profondamente differenti e spesso progetti di vita diversi. Si assomigliano solo nel senso che n luno n laltro hanno percorsi di carriera (career patterns) definiti, ma nella vita di ogni giorno, in particolare allinterno di certi mercati del lavoro specifici, si ritrovano gomito a gomito. Uno di questi mercati rappresentato da un settore che ormai viene considerato una forza trainante del futuro nei grandi agglomerati urbani dei paesi di prima industrializzazione. quello che si usa contrassegnare con lespressione economia dellevento, dove per evento sintende genericamente una manifestazione aperta al pubblico di breve durata. Convergono in questo settore, sin dai tempi antichi, diversi rami di attivit, dallo sport (giochi olimpici) al commercio (fiere) alla cultura (festival) allindustria (esposizioni universali). Ma laccezione in cui si usa oggi il termine evento pi che al contenuto si riferisce alla modalit di esecuzione e dunque alla brevit di una manifestazione pubblica. Ci sono citt la cui immagine nel mondo legata a un solo evento (per esempio Siena e il suo Palio) e citt do140

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ve lorganizzazione di eventi rappresenta uno dei motori delleconomia locale, come Milano. Gli eventi, come settore di business, sono stati analizzati sotto il profilo del significato simbolico, per la loro capacit di creare nuovi mercati e nuovi stili di consumo, per il loro fondamentale apporto al turismo, per il nuovo modo di concepire la cultura. Nessun interesse sembra aver suscitato negli osservatori la particolare caratteristica occupazionale che una citt ad alta densit di eventi presenta. Come si lavora nelleconomia dellevento? Se dovessimo chiedere a una persona di media cultura come si lavora in miniera forse avremmo risposte pi precise che se le chiedessimo come si lavora per una mostra darte. facilmente intuibile che leconomia dellevento crea un mercato del lavoro di precariet strutturale. Lorganizzazione necessaria alla realizzazione di una manifestazione pubblica concentrata nel tempo costituita in genere da un nucleo molto ristretto di forza lavoro stabile, da una forza lavoro occasionale che viene impiegata nel periodo limitato in cui levento ha luogo e da una forza lavoro indefinita a disposizione dei fornitori di servizi di cui levento necessita per la sua realizzazione. un mercato del lavoro a fisarmonica, ma nelle citt dove la densit di eventi molto elevata assume la funzione di volano che genera centinaia o migliaia di occasioni di lavoro, offrendo a certe imprese specializzate nella fornitura di servizi si pensi a quelle dellallestimento un mercato di proporzioni cos vaste da saturare le loro risorse. Il problema quindi non tanto di domanda di lavoro ma semmai di liquidit perch, paradossalmente, pi concentrato nel tempo il lavoro, pi il committente ritarda i pagamenti o addirittura non paga affatto un fornitore o un collaboratore o un consulente, dei quali forse non avr pi bisogno, senza contare quelle entit responsabili del contratto che nascono e muoiono con levento, praticando una politica del chi s visto, s visto. Quindi un settore ad alto rischio, che fa leva sugli aspetti di reputazione sociale o di semplice convivenza e convivialit per far accettare alla forza lavoro occasionale, in genere molto giovane e scolarizzata, compensi da miseria. Poich le cattive pratiche vi sono diffuse, acquista rapidamente prestigio e considerazione lorganizzazione che garantisce correttezza e celerit dei pagamenti. un settore questo dove il ruolo della pubblica amministrazione e dei governi locali invasivo, sia in senso buono, come finanziatori, sia in senso negativo, in termini di vincoli burocratici ai quali viene sottoposto ogni evento che utilizza spazi pubblici o destinati a uso pubblico. Gli eventi quindi rappresentano non solo un notevole investimento per i comuni ma anche una fonte di introiti di una certa rilevan141

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za; levento pu rappresentare una forma di servizio al cittadino, pu essere usato come politica dei circenses destinata a far dimenticare il caos del traffico e luso selvaggio del territorio urbano, rappresenta uno strumento di marketing territoriale e un modo di far cassa, ma anche una maniera per tenere in vita istituzioni che hanno costi di gestione elevati, come i musei.2 Se nel periodo fordista il tipico evento su cui poteva contare Milano aveva natura commerciale, le fiere (alle quali andrebbero assimilate al giorno doggi le sfilate di moda o altre manifestazioni per promuovere un prodotto), nel periodo postfordista levento tipico quello di natura culturale (mostre, concerti, spettacoli, proiezioni), quindi la forza lavoro occasionale pi richiesta ha uneducazione superiore e linsieme viene fatto rientrare in quel grande calderone battezzato economia della creativit.3

Arte
Come si analizzano i modelli occupazionali delleconomia degli eventi? Lapproccio pi semplice ci parso quello che si usava cinquantanni fa per analizzare la condizione di fabbrica: incontrare una persona che lavora nel settore da diversi anni, intende continuare a farlo, conosce lambiente, svolge una mansione importante del ciclo produttivo, ne ha una visione dinsieme, e farsi raccontare in cosa consiste il suo lavoro. Cos come una volta lincontro con un operaio di una certa anzianit lavorativa, impegnato in attivit sindacali, conoscitore del ciclo produttivo per la qualifica acquisita o la mansione svolta, permetteva di conoscere lorganizzazione seriale di fabbrica, il suo assetto tecnologico e le strutture gerarchiche elementi tra loro strettamente connessi , allo stesso modo oggi necessario cogliere nel racconto tutti gli aspetti relazionali che consentano di avere un quadro del sistema a rete tipico delle produzioni postfordiste. Lorganico della grande fabbrica sostituito dai diversi gironi di forza lavoro che ruotano attorno a un evento, il carico di lavoro non pi espresso in quantit orarie ma deve essere estrapolato dal racconto, il gesto lavorativo, il movimento fisico in rapporto alla macchina, sostituito dal problema da risolvere, cio da unentit che non si pu misurare in termini di tempo e di spazio. La narrazione elenca i problemi da affrontare, non descrive le modalit di soluzione, ogni problema contiene in s un carico di lavoro relazionale destinato a rimanere indefinito nel racconto. Ambienti di lavoro totalmente differenti richiedono stili di narrazione molto diversi, il problema non sta nel formato della
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narrazione ma nella capacit di lettura dellanalista. Il testimone privilegiato deve darci in mano il filo dArianna, se saremo bravi non ci perderemo nel labirinto. Corrado Anselmi un architetto specializzato nella progettazione di allestimenti temporanei e stabili per mostre darte, ha uno studio a Milano dove viene affiancato da alcuni giovani collaboratori. I suoi committenti sono societ private che gestiscono lorganizzazione di mostre darte, e anche enti pubblici come gallerie darte o musei, statali o comunali, che decidono di gestire direttamente levento con il personale proprio, supportato da alcune figure professionali esterne. Anche se si tratta di istituzioni pubbliche, alla fine la committenza privata, perch n lo stato n i comuni sono pi in grado di gestire i grandi complessi museali. Si affermata quindi, sulla base di procedure di gara a evidenza pubblica, una pratica di outsourcing per cui lintera gestione affidata a terzi, per quanto riguarda sia lofferta espositiva permanente sia le mostre temporanee.4
Le dinamiche di acquisizione dei clienti, per un libero professionista come me, seguono i canali informali del passaparola, un cliente che si trovato soddisfatto del mio lavoro lo dice allaltro e cos via.

Il progetto architettonico parte dalla sequenza delle opere, cos com stata concepita dal curatore scientifico della mostra. Il progettista deve fare i conti subito con il limite fisico dello spazio in cui viene organizzata lesposizione; talvolta la stessa mostra si sposta da un luogo allaltro, in spazi completamente differenti, quindi necessario ri-progettare lallestimento e pu capitare che il progettista proponga al curatore di articolare diversamente la narrazione, seguendo un altro percorso espositivo. I tempi di consegna dei progetti sono molto variabili: il limite minimo sono un paio di mesi, un progetto comodo e complesso di norma richiede sei mesi, dallordine al giorno dellinaugurazione.
In che consiste il mio lavoro? Debbo capire le opere, capire se ci sono tutte le condizioni per realizzare la mostra in termini di sicurezza, gestibilit degli spazi per come si offrono (evitando di accatastare le opere una sullaltra), debbo riuscire a immaginare la percezione finale, quindi un lavoro architettonico di scelta dei colori, dei supporti, dei materiali e dellilluminazione. Ho bisogno talvolta del supporto di un collega per lilluminazione e anche di quello di un grafico per la resa migliore di tutto lapparato didascalico-informativo e anche delle immagini usate nellallestimento. Altre volte lo stesso ente che ospita la mostra ad avere propri tec143

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nici, cos come pu capitare che la societ fornitrice dellimpianto di illuminazione decida di svolgere il ruolo di sponsor tecnico. Importante il rapporto con il curatore, con il quale il dialogo continuo e varia a seconda delle caratteristiche della persona; se uno storico, uno studioso puro, avr maggiori rigidit nella definizione dellarticolazione espositiva, mentre se uno con esperienza di problemi espositivi sar pi disposto a una maggiore fantasia nella narrazione, qualora i limiti fisici dello spazio costituiscano un vincolo. Poi lidea architettonica deve essere tramutata in qualcosa di esecutivo, occorre preparare un progetto grafico e un capitolato nel quale saper dire gli ordini di grandezza della fornitura per ottenere tramite gara il miglior costo dellopera. Le ditte che dovranno partecipare alla gara molto spesso vengono proposte da me, oppure la societ di gestione ricorre a dei suoi fornitori abituali, e in genere si chiedono tre preventivi. Sovente il committente non ti dice quanto vuole spendere, ma aspetta la tua valutazione e sei tu quindi che rischi di presentare un costo pi alto delle aspettative. Poich parametri oggettivi non esistono, il modo migliore per trattare quello di presentare unidea molto convincente, affinch la committenza sia disponibile al raggiungimento dellidea proposta. Per fare questo molto importante la maniera in cui il progetto viene reso accattivante. a quel punto che si rivelano i limiti di budget, o ci sta o non ci sta. Per starci, quando il budget insufficiente, ci sono tre vie duscita: chiedere ribassi alle ditte, rimodulare il progetto o cercare di avere qualche fondo in pi per coprire i costi imprevisti (per esempio entra un partner tecnico oppure un altro ente decide di partecipare pagando una parte dellallestimento che poi prevede di utilizzare in altre mostre), insomma sinnesca un meccanismo di ingegnerizzazione del costo. Superati questi ostacoli si passa finalmente al contratto, le ditte in genere sarebbero abituate a chiedere un anticipo, lo stesso il professionista, ma oggi risulta molto difficile da ottenere, e le ditte o i professionisti sono pagati a 90/120 giorni quando va bene, con ritardi che spesso superano i 180 giorni; avere conoscenza del referente la base fondamentale, non c contratto che tenga; siccome non si vuole mai arrivare a un contenzioso, questa situazione di grande precariet si affronta e si supera solo con un buon rapporto con il committente; spetta a me anche il compito di seguire lavanzamento dei lavori in cantiere con la responsabilit formale che la cosa vada a buon fine; seguo tutte le fasi delegando alcuni ruoli ai miei assistenti; i fornitori riconoscono la mia autorit, che mi conferita dal committente gestore, che poi quello che li paga; altre volte, quando ci sono sponsorizzazioni o relazioni particolari con qualche soggetto, il gestore che controlla direttamente e io faccio solo il curatore estetico, mi assumo solo la direzione artistica; sono queste le situazioni pi comode perch il gestore a essere responsabile del cantiere e io ho solo la responsabilit della riuscita dellidea. Alla fine laspetto pi propriamente creativo impegna dal 2 al 5 per cento del lavoro, tutto il resto sono capacit relazionali e organizzative.

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Il valore degli oggetti esposti e gli alti costi (si pensi alle assicurazioni) che una mostra darte importante richiede, hanno determinato una situazione di mercato di oligopolio, dominato da pochi grandi gruppi in grado di aggiudicarsi le gare indette dagli enti pubblici. La domanda espressa da musei e altre istituzioni permanenti, che nelle mostre temporanee trovano ormai una fonte di finanziamento dei costi fissi, oppure da gallerie darte e altre istituzioni private che arricchiscono il loro calendario con eventi temporanei, oppure da iniziative private che finanziano direttamente levento o lo propongono a un comune in co-finanziamento.5 Per certe citt minori o comuni di provincia una grande mostra darte della durata di due-tre mesi pu rappresentare un investimento con ricadute positive sul piano dellimmagine e dunque anche dei flussi turistici. I gruppi che oggi controllano il mercato fanno capo ambedue a case editrici specializzate in libri darte, Mondadori Electa e Skira, in permanente competizione. Mondadori Electa ha recentemente stretto unalleanza con un gigante come la Runion des muses nationaux, che nel paese doltralpe gode di una situazione di quasi monopolio. Terzo gruppo di rilevante presenza Civita, nato su impulso del banchiere romano Gianfranco Imperatori come progetto pubblico di conservazione e restauro di Civita di Bagnoregio e poi diventato via via un sistema integrato di servizi molto articolato, con sempre maggiore presenza dei privati, mediante la fusione con il gruppo Abete e lacquisizione della societ Opera che gestisce la Galleria degli Uffizi.6 Nel 1991 viene costituita lassociazione Civita alla quale aderiscono circa centottanta societ italiane e straniere e un centro studi. Civita ha avuto il merito di porre la questione della conservazione e della valorizzazione del patrimonio artistico e archeologico in una visione globale e moderna, sottolineando limportanza di un approccio imprenditoriale ma senza cadere nellesaltazione acritica della privatizzazione a tutti i costi. Preziosi in tal senso i suoi rapporti annuali e in particolare, ai fini del nostro discorso, quello del 2007 sulle figure professionali del settore e sullo stato della formazione specialistica in Italia.7 Interessante anche una delle ultime ricerche relativa allimpegno delle imprese nel sostenere la promozione e la valorizzazione dei beni artistici e culturali: l85 per cento delle imprese del campione intervistato sceglie come investimento dimmagine levento temporaneo, solo un 4 per cento finanzia restauri.8 Visitando il sito della Runion des muses nationaux (www. rmn.fr), si comprende come queste societ di gestione abbiano acquisito e sviluppato tutte le tecniche di promozione, di marke145

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ting, di servizi post-vendita, normalmente applicate dalle multinazionali di prodotti di largo consumo. Un museo come il Louvre una macchina che macina servizi con un giro daffari da suscitare invidia in qualunque grande marca. Le gare dappalto chiedono alla societ di gestione di curare il prestito, lallestimento, la biglietteria, la libreria, il catalogo, la promozione. Gli introiti derivanti da queste attivit rimangono alla societ di gestione che paga allente pubblico un affitto. Non tutti i luoghi darte pubblici rappresentano un boccone appetibile per le societ di gestione, alcuni hanno un numero di visitatori molto elevato, altri no; invalso allora luso di tener conto, nellaggiudicazione di una gara, della disponibilit della societ ad accollarsi anche lonere di gestire unistituzione che stenta a sopravvivere per scarsit di visitatori. La stessa societ di gestione pu talvolta incaricarsi di produrre una mostra, assumendosi il rischio dimpresa, provvede dunque a firmare il contratto con il curatore scientifico, a gestire tutti i prestiti, tutti i rapporti con le assicurazioni e tutti i contratti con i fornitori, a organizzare il trasporto, il montaggio, a realizzare il manufatto architettonico ed eventuali oggetti che la mostra richiede (in certi casi il proprietario pu esigere che le sue opere vengano esposte rinchiuse in vetrine blindate costruite su misura), deve pensare al rapporto con gli autori dei testi, alle ricerche storiche o iconografiche, al prestito delle foto, e infine alla pubblicazione del catalogo. I cataloghi possono fare la differenza; se ormai lo standard di una mostra temporanea di 100.000 visitatori per arrivare a coprire i costi, la vendita di 30-40.000 copie del catalogo pu portare un utile consistente. Anche nel caso in cui il gestore ottenga dei finanziamenti da parte dellente che pu avergli commissionato liniziativa, suo il compito di cercare gli sponsor, che possono essere anche sponsor tecnici, per esempio le assicurazioni, i trasporti o le luci.
Il cliente vuole da me un prezzo chiuso, devo saper prevedere quanto tempo dedicher a quel progetto, quali costi dovr sopportare per collaboratori, disegni, copie, viaggi. Se il mio calcolo sbagliato vado in perdita. Lallestimento incide sui costi della produzione di una mostra in proporzione molto variabile. La parte illuminotecnica una voce significativa ma non preponderante, tranne nel caso in cui lallestimento sia fatto di sole luci, e spesso si possono riciclare materiali esistenti, oppure i musei hanno impianti luci preesistenti; lallestimento ha tempi strettissimi, si realizza in pochi giorni lavorando di continuo, senza orario, per stare nei tempi dati dai prestatori e dal museo ospitante, e il numero di operai necessario varia moltissimo, da quattro a venti; in genere si lavora dodici ore al gior146

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no, ma in prossimit dellinaugurazione si fanno anche straordinari notturni che non vengono riconosciuti come straordinari, perch sono opere a corpo; spesso il problema delle ditte fornitrici, poich non riescono a garantirsi tempi di pagamento sicuri, quello di assicurarsi liquidit tramite fidi bancari; certe volte fanno grossi sconti sulla base di una promessa di pagamenti rapidi che poi non avvengono: nel 2009 molti di questi allestitori si sono visti dimezzare il fido, con ordini di grandezza di 25-30.000 euro lanno di interessi; le ditte specializzate in allestimenti sono in origine delle falegnamerie, ma sempre pi spesso appaiono sul mercato societ che si specializzano in organizzazione di eventi, le quali assumono il ruolo di main contractor e provvedono a tutto: trasporti, materiali speciali da procurare in poco tempo, impianti, strutture metalliche particolari con manodopera specializzata per montarle ecc.; sono societ di servizi, dotate di strutture, professionalit, geometri, architetti, ingegneri e debbono essere in grado di prendere in mano un progetto e di portarlo a termine, utilizzando ovviamente dei subfornitori; sono in grande quello che sono nello specifico le societ di gestione di stand e di fiere, quelle che montano e smontano gli stessi stand o debbono costruirne di nuovi per una nuova location; per sfilate di moda o eventi che durano una serata, lallestimento ha lo stesso tempo di vita, una serata e poi si butta via oppure si usano materiali prefabbricati, perch in realt non un manufatto architettonico ma il canale di un messaggio.

Quel che non appare evidente nelleconomia dellevento la forte componente artigianal-industriale, il lavoro operaio di alta specializzazione, in genere ben retribuito, con ritmi di lavoro molto intensi e una struttura della retribuzione non rapportata n al tempo di lavoro n alla produttivit, alla dipendenza di imprese dalle dimensioni molto modeste con permanenti problemi di liquidit. Il settore dellallestimento la versione effimera dellimpiantistica, un ciclo composto, non va dimenticato, da due fasi, quella del montaggio e quella del disallestimento. Un altro aspetto di grande interesse riguarda i trasporti in sicurezza. Le mostre temporanee utilizzano opere darte prestate da musei di tutto il mondo. C quindi un flusso continuo di opere e oggetti darte che vanno e vengono sotto la regia di societ specializzate che dichiarano dimpiegare le tecnologie pi sofisticate di identificazione in radiofrequenza, di tracciabilit delloggetto per via satellitare e cos via. Dispongono di centri di stoccaggio e di transito specializzati, che garantiscono alle opere adeguate condizioni di temperatura, umidit, illuminazione ecc. Provengono in genere dal settore della contract logistics, possono essere i dipartimenti specializzati in trasporto di opere darte di grandi multinazionali del settore, presenti con filiali in tutto il mondo oppure so147

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ciet di media grandezza, come litaliana Arteria, che di recente ha inaugurato a Malpensa il primo caveau aeroportuale dEuropa per opere darte. Quindi con leconomia dellevento Milano ha mantenuto in parte il suo retroterra industriale; voler intendere questo settore solo come produzione intellettuale di beni immateriali una visione incompleta. Volendolo raffigurare come un meccanismo cibernetico, questo settore non si presenta come una grande ruota dentata che ne mette in moto tante pi piccole, ma come una piccola ruota in movimento continuo che provoca la rotazione di tante grandi ruote per intervalli brevi. Il core manpower che produce levento si limita a poche persone a tempo pieno, che fanno girare una macchina capace di suscitare una domanda di centinaia di occasioni dimpiego. Non possiamo pi chiamarli posti di lavoro, sono occupazioni di breve o brevissima durata distribuite su tre fasce di lavoratori: alte professionalit, che svolgono le funzioni chiave; forza lavoro precaria, che svolge funzioni ausiliarie per un breve periodo e forza lavoro industriale con qualifiche tecniche. Anche se a queste fasce corrispondono in genere la libera professione, i vari contratti a tempo determinato o occupazioni senza contratto e il lavoro dipendente, quindi in sostanza tutte le tre principali tipologie di rapporto di lavoro, compresa la funzione imprenditoriale, ci che le accomuna unorganizzazione nella quale la nozione di tempo di lavoro esplosa in frantumi. Lorario di lavoro, la giornata di lavoro, sia in quanto parametri della struttura retributiva sia in quanto scansione dei tempi di vita, non esistono pi. Altrettanto si pu dire per la nozione di luogo di lavoro. Leconomia dellevento pu essere considerata da questo punto di vista la quintessenza del postfordismo, a maggior ragione se la si osserva dal punto di vista del fruitore, del pubblico, un aspetto che finora non abbiamo toccato perch cinteressa di pi il processo produttivo dellevento che la partecipazione allevento stesso. Il pubblico assolve alle prescrizioni di consumo del ceto medio, partecipa consumando e sviluppa una percezione tutta particolare della citt, vive per met come residente, preso dai problemi quotidiani delluniverso metropolitano, e per met come ospite di spazi artificiali.

Musica
MITO SettembreMusica un festival nato alla fine degli anni settanta a Torino con il nome SettembreMusica, che nel 2007 si ingrandito ed esteso allarea metropolitana di Milano. Questo festival bicefalo, pur avendo un unico comitato di coordinamen-

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to, presieduto da Francesco Micheli, e ununica direzione artistica, ha una doppia regia dal punto di vista sia organizzativo sia amministrativo.9 Qui parleremo solo della sua componente milanese, che al suo quarto anno di vita, nel 2010, ha organizzato nellarco di tre settimane pi di 200 manifestazioni con 2000 artisti, superando i 96.000 spettatori, con una saturazione dei posti disponibili del 97 per cento e con 91 concerti a pagamento che hanno fatto il tutto esaurito (la met dei concerti gratuita).10 Lo staff milanese composto da sette persone che lavorano per lintero arco dellanno (il segretario generale/coordinatore artistico, coadiuvato da un assistente, i responsabili dellorganizzazione, della comunicazione e della produzione, e un assistente per lorganizzazione interna). Da marzo a ottobre lo staff si arricchisce di due professionalit, una per la biglietteria e una per la promozione. A giugno cominciano ad arrivare i rinforzi, ossia il personale ausiliario che lavorer fino alla conclusione degli spettacoli (in genere tra il 20 e il 25 settembre), una trentina di persone il cui rapporto di lavoro regolato da contratti di collaborazione a progetto o con partita Iva; verranno assegnate ai vari responsabili di funzione e lavoreranno sotto il loro coordinamento. Si tratta in genere di giovani tra i venticinque e i trentanni che desiderano affermarsi nel settore dellorganizzazione di eventi, e che hanno gi qualche esperienza maturata in campo musicale. Qualche giorno prima dellinaugurazione e fino alla conclusione del festival si aggiunge il personale di servizio e di assistenza (autisti e addetti allaccoglienza degli artisti, per esempio). In definitiva si ha un ristretto gruppo con contratti di lavoro annuali, il gruppo pi nutrito con contratti di quattro mesi e un altro gruppo ristretto con contratti della durata di un mese; nel periodo di lavoro pi intenso si raggiunge un numero di una quarantina di persone. A ogni concerto sono presenti degli incaricati del settore produzione (catering, logistica, accoglienza), comunicazione (ufficio stampa, programmi di sala), biglietteria e promozione, coordinati da un direttore di produzione, in totale una decina di persone chiaramente identificabili dagli artisti e dal pubblico (badge o divisa). Lavorare nel mondo della musica classica significa trovarsi di fronte a una situazione spaccata in due: da un lato ci sono le grandi istituzioni teatrali o le scuole pubbliche statali (medie e conservatori), che prevedono rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato o rapporti di lavoro a termine ma sempre regolati da contratti nazionali di categoria. Dallaltro quello che c naviga nella precariet pi assoluta e sfiora talvolta lillegalit.
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Spesso chi tiene le redini di queste iniziative fa affidamento sulla passione dei collaboratori per la musica, sul coinvolgimento intellettuale ed emotivo del singolo o forse pensa allancestrale percezione del musicante (e di chi con il suo lavoro fa in modo che esso possa esibirsi) come un vagabondo che vive di offerte spontanee. MITO SettembreMusica certamente un esempio positivo di come il lavoro potrebbe essere organizzato. Con un contributo al budget che si aggira intorno al 50 per cento, i due comuni di Torino e di Milano sono impegnati in prima persona nella realizzazione di MITO SettembreMusica. Come si detto, la gestione amministrativa e organizzativa del festival separata: a Milano stata istituita lAssociazione per il Festival internazionale della musica di Milano e a Torino la Fondazione per le attivit musicali: sono in sostanza il braccio operativo delle due amministrazioni comunali e rappresentano di fatto il soggetto attuatore della manifestazione, la cui direzione artistica affidata a Enzo Restagno. La realizzazione di un festival di questa tipologia in due citt consente di avere una condivisione di costi e una razionalizzazione degli stessi. Per esempio, a unorchestra che deve spostarsi, magari dagli Stati Uniti, offrire due o pi concerti invece di uno gi un vantaggio poich, per consuetudine, la replica di un concerto prevede un cachet dimezzato; quindi si hanno maggiori margini a livello di trattativa per il compenso artistico e il costo dei viaggi internazionali sar suddiviso tra due entit. Cambiando settore, altri vantaggi possono derivare dal concentrare la stampa dei programmi generali e dei programmi di sala in ununica tipografia, affidando molto lavoro a un unico fornitore che potr offrire prezzi pi vantaggiosi. Un fattore importante nella riuscita della manifestazione milanese stato quello di poter contare sul know how, sullesperienza e sui rapporti consolidati del SettembreMusica torinese, in modo da poter funzionare a Milano a pieno regime e in autonomia gi dalla prima edizione, agevolati dal fatto che il formato della manifestazione lo stesso: grande musica sinfonica classica, nuove proposte della musica contemporanea e focus sulla musica di un paese. Nellimpianto del festival, un ruolo importante lo hanno le istituzioni culturali delle due citt, che sono state coinvolte con il loro patrimonio di esperienze e di conoscenze. Infatti nella realizzazione del festival ci sono contatti importanti con le altre istituzioni milanesi, come il Teatro alla Scala, la Filarmonica della Scala, il Piccolo Teatro, la Triennale, il Conservatorio, I pomeriggi musicali, i musei, le chiese ecc. Il festival ha sempre dato grande importanza al coinvolgimento della citt,
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soprattutto per diffondere la musica darte, come definita da Maurizio Pollini, e raggiungere un nuovo pubblico; per esempio il concerto della Filarmonica della Scala stato organizzato presso il Palasharp, una delle sedi milanesi pi capienti, dando la possibilit di ascoltare la grande musica sinfonica eseguita da unorchestra di alto profilo artistico con un biglietto dingresso a 5 euro. Nel 2010 stato rappresentato un nuovo lavoro di Giorgio Battistelli, Sconcerto, in collaborazione con il Piccolo Teatro, il Teatro San Carlo e i Teatri Uniti di Napoli, frutto di questa politica di collaborazione tra enti culturali. Nelle edizioni del 2009 e 2010 alla programmazione normale si aggiunta una parte fringe, ossia manifestazioni gratuite che si tengono nelle strade, nei parchi, nelle stazioni della metropolitana. Forse per analogia con il Festival di Edimburgo, lidea che la citt debba essere invasa dalla musica, occupando spazi non deputati oppure risvegliando tradizioni musicali dimenticate, come i concerti bandistici al gazebo dei Giardini di Porta Venezia. Il risultato stato che nel 2010 sono state toccate 80 sedi. Sono inoltre da considerare le problematiche che pongono le richieste tecniche, dal permesso per il camion che deve scaricare gli strumenti al noleggio degli strumenti, dalle cose apparentemente pi banali come lacqua nei camerini alle prenotazioni alberghiere, ai service luci e amplificazioni. Lavorare in un teatro o per la stagione sinfonica di unorchestra che hanno programmazioni annuali molto diverso, limpostazione organizzativa ha ben poco a vedere con quella di un festival concentrato in un breve periodo di tempo, dove si deve lavorare molto in anticipo e programmare tutto nei minimi dettagli. I concerti cominciano a settembre, dopo un mese, agosto, durante il quale a Milano tutto chiuso, dalle ditte di fornitura alle sale. La biglietteria uno dei servizi pi delicati, gestisce gli incassi, viene quindi realizzata con una societ di servizi specializzata, dotata di software proprietari e di sistemi a rete. Le presenze a Milano sono tra le 70 e le 80.000. Fa capo alla biglietteria inoltre un info point che fornisce informazioni non solo sulla vendita dei biglietti ma anche sui programmi dei concerti. Uno dei problemi delicati nellorganizzazione di un festival internazionale di musica quello degli adempimenti amministrativi, in particolare nei confronti di due enti, lEnpals e la Siae. bastato che le pratiche Enpals, fino a tre anni fa obbligatoriamente sbrigate allo sportello rispettando gli orari di lavoro dellente, potessero essere fatte online, che il lavoro di unassociazione impegnata nellorganizzazione di centinaia di eventi con151

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centrati nellarco di tre settimane ne subisse una notevole semplificazione, dal momento che la cosiddetta agibilit Enpals deve essere ottenuta obbligatoriamente prima dellinizio del concerto. Ma anche il problema delle autorizzazioni e dei permessi non di secondaria importanza, le normative che regolano gli spazi adibiti a uso di pubblico spettacolo si applicano anche a quelli che di norma non ospitano spettacoli o concerti. Nelle sale da concerto normali c lagibilit per fare manifestazioni pubbliche ma per gli spazi dedicati ad altre attivit, per esempio mostre darte, occorre chiedere la licenza per fare un concerto, prevedere quindi un piano di sicurezza, avere un responsabile sicurezza, chiamare i vigili del fuoco. Per allestimenti pi complessi occorrono le certificazioni sui materiali usati; anche per semplici modifiche nellattrezzatura normale di una sala, per esempio collocare sedie sulla pista da ballo di una discoteca, necessaria unautorizzazione, per collocare un totem su un marciapiede ci vuole un permesso.

Magnete Milano
Economia della temporaneit la chiama qualcuno che ci sta dentro fino al collo. Si potrebbe analizzare lo sviluppo dellimmobiliare a Milano anche da questo punto di vista e provare a calcolare la percentuale dedicata agli spazi per eventi temporanei sul totale delle volumetrie che vengono messe in vendita o affittate a usi commerciali. Il caso del quartiere che si dato il marchio zona Tortona rappresenta uno spaccato interessante sulle diverse origini e le varie tipologie di spazi architettonici pensati in funzione di eventi. Territorio occupato per circa ottantanni da industrie, vero e proprio polo della prima e della seconda industrializzazione, il quartiere ha rappresentato per un certo periodo un esempio riuscito di trasformazione da modi di produzione fordisti ad attivit della new economy mediante il riutilizzo di spazi esistenti, senza alterazioni del tessuto urbano, senza cancellare le tracce del suo passato industriale. Gli interventi che hanno segnato questo passaggio, la creazione del cosiddetto Superstudio negli edifici della Compagnia generale di elettricit e la costituzione della Fondazione Arnaldo Pomodoro negli edifici dellantica fabbrica di turbine Riva Calzoni sinseriscono nel filone delleconomia della temporaneit, il Superstudio per scelta programmatica ed esclusiva, la Fondazione Pomodoro come integrazione della sua attivit permanente. Queste due iniziative, partite ambedue da privati, hanno creato un effetto magnete
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attirando nella zona grandi marchi della moda, dal gruppo Armani a Ermenegildo Zegna, a Della Valle, che hanno aperto spazi per show-room in grado di ospitare eventi come sfilate di moda, presentazioni di prodotti e simili. Laccoppiata moda-design costitutiva dellimmagine di Milano nel mondo. Facendo leva su questa grande forza simbolica, una volta allanno, in contemporanea con il Salone del Mobile, quindi con una tradizionale occasione fieristica, nel quartiere brandizzato come zona Tortona si tiene una delle manifestazioni pi originali delleconomia della temporaneit, il cosiddetto Fuorisalone. La particolarit di questo evento espositivo di oggetti o di idee di design la sua pervasivit urbana, nel senso che non soltanto i luoghi deputati ne sono coinvolti, ma anche spazi che ospitano durante lanno attivit commerciali di tuttaltra natura e persino abitazioni private e uffici. Lelettrauto sgombera la sua officina e per una settimana laffitta a un gruppo di giovani designer olandesi, la microimpresa sgombera il garage dove tiene il furgone e lo affitta a designer giapponesi, larchitetto che ha lo studio sul fronte strada al pianterreno trasloca per una settimana, il negozio di oggettistica un po volgare lascia libero il locale a unesposizione di mobili in cartapesta. Persino piccole officine meccaniche proprietarie dei muri hanno preferito chiudere lattivit e affittare lo spazio per eventi. Leconomia della temporaneit diventa per una settimana quella di un intero quartiere. Ma non ci sono solo giovani designer in cerca di gloria che affittano uno spazio e magari ci dormono dentro nei sacchi a pelo, ci sono anche le grandi marche, Yamaha con i suoi strumenti elettronici, Swarovski con i suoi lustrini e i suoi cristalli, Persol con i suoi occhiali e via dicendo. Cinquanta-sessantamila visitatori, per met provenienti dallestero e in particolare dal Giappone e dalla Cina, invadono per una settimana le strade e i cortili del quartiere, lasciando alla notte sul selciato uno strato di dpliant, stampati vari, materiali promozionali. Il giorno prima dellinaugurazione e quello successivo alla chiusura le strade sono invase dai mezzi degli allestitori, pesanti Tir con semirimorchio o furgoni di tutte le portate; in un evento che si svolge in spazi non deputati la loro abilit di fare e disfare in ventiquattrore raggiunge livelli di virtuosismo.11 Levento, tutti gli eventi degni di questo nome, sono bolle di sapone occupazionali dove il precariato la fa da padrone ma anche il lavoro professionale indipendente si trova a suo agio. Sotto il profilo dei soggetti direttamente coinvolti, ma anche dal punto di vista della fruizione, leconomia della temporaneit sembra costruita su misura per queste figure. In fondo, la cosa di cui il
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giovane che vive di lavori occasionali, a termine, al confine tra lentertainment e il mondo dei media, della pubblicit, della moda sente il maggior bisogno sono le occasioni dincontro, perch pu trovare unoccupazione, pu arricchire il suo sistema di relazioni, pu apprendere qualcosa o semplicemente pu passare un paio dore in compagnia. Leconomia della temporaneit risponde a questo bisogno di relazioni sociali destrutturate, tipico della sindrome individualista contemporanea. I giovani stranieri che vengono a Milano pare apprezzino particolarmente questa forma di movida che sintreccia tra un finto vernissage e un altro, e in effetti la sua funzione inclusiva non di secondaria importanza. La giostra della temporaneit sia un ammortizzatore di frustrazioni sia un dispensatore dinformazioni. A un livello pi selettivo lo stesso discorso vale per il libero professionista. Se teniamo conto che il lavoro relazionale impegna il 90 per cento delle sue energie, possiamo considerare il tempo dedicato alleconomia della temporaneit come tempo di lavoro e gli spazi dove i rituali della temporaneit vengono celebrati veri e propri luoghi di lavoro. Pertanto del tutto fuorviante classificare la fruizione di certe occasioni dincontro come mondanit, gli eventi ci insegnano i teorici del biocapitalismo sono luoghi di lavoro per un certo tipo di precariato e di attivit svolte in modo autonomo. Nel quadro del sempre maggiore rilievo che leconomia degli eventi temporanei assume a Milano, non ci deve meravigliare se luoghi come la Triennale diventano un punto di riferimento simbolico, una specie di segno di riconoscimento dellidentit cittadina, come il Duomo o la Scala.

Identit e coalizione
Il termine precario che prima indicava una posizione contrattuale nel mercato del lavoro oggi indica unappartenenza sociale. Dei due ordini simbolici, quello del precario e quello dellindipendente, il primo ha acquisito una forza maggiore e ha ottenuto una riconoscibilit che il lavoro autonomo ancora si sogna. Per due ragioni. I precari hanno prodotto protesta. Lunico modo con il quale il lavoro pu farsi ascoltare, ma non da oggi, la protesta, nelle forme riconosciute dello sciopero o delle manifestazioni pubbliche preparate da campagne di informazione e di opinione sulla stampa e su Internet. I lavoratori autonomi, pur avendo alcune categorie le stesse se non maggiori ragioni per protestare, non lo hanno fatto, sono rimasti chiusi in casa a reprimere le loro frustrazioni oppure hanno scelto il vicolo cieco del
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professionalismo, cio qualcosa che non li porter mai a rappresentare un soggetto sociale. La seconda ragione per la quale i precari hanno maggiore riconoscibilit riconducibile al fatto che la cultura dominante li ha assimilati in parte giustamente al lavoro dipendente, e tutto ci che si relaziona al lavoro dipendente, com noto, pu essere comunicato pi facilmente allo spazio pubblico, dove trova, se non simpatia, almeno comprensione. Il lavoro autonomo oggi ancora ignorato dalla cultura dominante, se ne ignorano le caratteristiche anche pi elementari, malgrado rappresenti pi di un quarto della forza lavoro attiva in Italia. I precari sono riusciti a farsi percepire come precariato, come una classe sociale in grado anche di parlare una lingua comune, seppur elementare, mentre gli autonomi non ci sono ancora riusciti o non hanno ancora capito di doverci riuscire. Tanto maggiore il potere di un gruppo sociale quanto minore la distanza tra il modo in cui viene rappresentato/raccontato e il suo vero volto, la sua vera voce. Se da questo punto di vista il lavoro autonomo debolissimo, anche per il precariato la situazione non del tutto facile. Il precariato un sistema di desideri pi che uno status sociale: c chi vorrebbe entrare nel lavoro dipendente secondo un preciso percorso di carriera in un settore in cui ha scelto di investire la sua esistenza, chi vorrebbe entrare nel lavoro dipendente in qualsivoglia luogo pur di uscire dalla condizione di precario, c chi attenua il desiderio sino al punto di rassegnarsi a essere precario per tutta la vita, chi desidera il precariato permanente perch non vuole investire la sua esistenza in un percorso lavorativo. E poi tutte le sfumature tra queste posizioni, i cambiamenti didea e di mentalit, la reazione ad agenti esterni o a nuove normative ecc., per cui il consistente soggetto sociale si stempera in una nebulosa. Il lavoro autonomo non ha queste ramificazioni del desiderio, una scelta che una volta compiuta costituisce stimolo a starci dentro il meglio possibile. Il precario tende ad attribuire prevalentemente ad agenti esterni la sua condizione, lindipendente a disposizioni dellio. Il precario d la colpa agli altri, lindipendente a se stesso. Il precario non si attribuisce meriti se riesce a migliorare la sua posizione, parla solo di fortuna, lindipendente se ne attribuisce troppi di meriti, parla molto di successo. Sono due mentalit differenti o addirittura opposte, due visioni del mondo diverse, due sistemi morali divergenti. Tuttavia, anche ai precari capita di sentirsi definire da terzi, estranei al loro mondo, che non condividono affatto i loro interessi, anzi, vivono del loro sfruttamento, traggono risorse da quelle che vengono estorte ai precari medesimi. Si pensi alla per155

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vicacia con la quale si continua a definire il precario con regime fiscale analogo a quello degli autonomi, non un falso precario ma un falso autonomo. Se il precario (collaboratore a progetto) viene spinto ad aprire la partita Iva, il problema che si presenta per lui dato dal fatto che si trova di colpo a dover versare contributi che prima erano versati dal datore di lavoro o committente, quindi si trova con lo stesso lavoro di prima, con la stessa instabilit e incertezza, ma con meno soldi in tasca. Il problema non se lui sia un finto o un vero autonomo, il problema che lui sta peggio e ha bisogno quindi di unorganizzazione, di una coalizione che lo sostenga. Invece cosa trova? Dei saccenti che ripetono: Sono ancora aumentati i finti autonomi, e si fregano le mani, come se si fossero messi in tasca qualcosa. E in effetti ci hanno guadagnato. Le risorse che le cosiddette finte partita Iva gettano nel calderone pubblico prima di tutto non sono affatto finte ma sono soldi veri; in secondo luogo vanno a beneficio di altre categorie, non certo a quella del precariato. N a lui/lei n al lavoratore autonomo in generale tornano indietro sotto forma di servizi i soldi che hanno versato allo stato. pi probabile che queste risorse vadano a mantenere il regime previdenziale di chi dispensa definizioni e sembra indifferente al fatto che il precario (ex Co.Co.Pro. passato alla partita Iva) stia peggio. In genere i dispensatori di definizioni invocano a gran voce un aumento dei contributi che le partite Iva dovrebbero versare allo stato, quindi in definitiva si agitano per farle stare ancora peggio. I cosiddetti finti autonomi dovrebbero guardarsi da coloro che cos li definiscono sulla base di narrazioni sociologiche superficiali, perch in genere sono gli stessi che con le loro elucubrazioni di politica sociale contribuiscono a peggiorare sia la condizione dei collaboratori passati alla partita Iva, sia quella dei professionisti indipendenti. Invece troppo spesso accade il contrario, che gli ex Co.Co.Co. si accodano, gratificati dallessere trattenuti ancora nellordine simbolico del lavoro dipendente e, invece di unirsi ai lavoratori autonomi per una migliore politica previdenziale e fiscale, preferiscono intrupparsi con quelli che non possono portare loro altro che danno. Le distanze tendono a rimpicciolirsi e le diversit ad attenuarsi quando i soggetti in gioco non sono i precari in generale ma il precariato intellettuale da un lato e i lavoratori indipendenti delle nuove professioni dallaltro, non il lavoro autonomo in generale. Lobiettivo di lotta comune pi chiaro, pi facilmente percepibile, e al tempo stesso il bersaglio pi grosso, quello che smuove interessi pi consistenti e richiede quindi una disponibilit a scontrarsi con rendite di posizione e interessi
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generali dello stato ben protetti e pronti a reagire, quello che riguarda i versamenti obbligatori allIstituto di previdenza. qui che le due categorie che non appartengono al lavoro dipendente possono toccare con mano la natura discriminatoria della normativa previdenziale in Italia. qui che possono verificare la loro collocazione in una fascia di cittadini di serie B, qui che subiscono lazione predatoria di uno stato che dovrebbe tutelarli e, per colmo di arroganza, li depreda non mediante pratiche oblique che tolgono con una mano quel che sottraggono con laltra, ma proprio attraverso lo strumento deputato alla tutela. Perch di fronte a una cos evidente, sfacciata iniquit, non si sviluppa in Italia una protesta di massa? Si pu parlare dimmaturit, di generico menefreghismo, dignoranza? Certo, c tutto questo e il particolare che immaturit, menefreghismo e ignoranza allignino presso ceti colti, presso il cosiddetto precariato cognitivo e presso le nuove professioni intellettuali non fa onore. Ma questo atteggiamento viene condizionato e in un certo senso incoraggiato dal comportamento delle principali sigle sindacali e in particolare dai loro vertici, i quali, invece di smascherare e combattere unevidente ingiustizia sociale, premono perch questa diventi ancora pi ingiusta e larroganza con cui lo stato discrimina diventi vera e propria provocazione. Per quanto i discorsi e i comportamenti dei vertici sindacali trovino poco ascolto presso il precariato intellettuale, condizionano fortemente la percezione collettiva in materia di lavoro e da qui indirettamente anche il mondo dei precari, con o senza partita Iva. Le associazioni di professionisti, daltro canto, in particolare quelle che si battono per rinverdire la vecchia ideologia del professionalismo e per riprodurre nelluniverso delle nuove professioni gli schemi e gli ordinamenti di quelle tradizionali, chiedendo riconoscimento allo stato e legittimazione pubblica del loro ruolo di regolatori del mercato, sono state sempre ambigue sul terreno delle politiche previdenziali o addirittura se ne sono disinteressate apertamente, cercando una sempre maggiore convergenza con i vertici sindacali e con le istituzioni. Coronamento di questo percorso: lassemblea che si tenuta a Roma, con il patrocinio della Presidenza della Repubblica, il 22 ottobre 2010. Ma su questo torneremo in seguito. Proprio lo stesso giorno lAssociazione consulenti terziario avanzato (Acta) lanciava da Milano il suo Manifesto del lavoro autonomo di seconda generazione. La scelta della data non era casuale, il gesto di contrapporsi a una politica associativa fallimentare e contraria agli interessi del lavoro cognitivo indipendente, era voluta. Nessuno poteva ignorare che oramai cerano
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due strade per arrivare a una coalizione: quella ancora impastoiata nella cultura della competenza esclusiva, dei codici etici ormai divorati dal mercato, dellossequio alle burocrazie amministrative e sindacali, e quella della semplice, cristallina, difesa e tutela degli interessi di chi si coalizza, principio etico fondamentale di qualunque forma associativa che intenda perseguire scopi sindacali. Non si tratta di due tattiche differenti, si tratta di due posizioni di principio contrapposte, culturalmente e politicamente divergenti.

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6. Lavorare a che prezzo?

Tra le numerose ontologie possibili sul mondo del lavoro professionale autonomo c un aspetto che stenta a entrare nella lente dingrandimento anche dei pi attenti lettori del fenomeno: la questione dei compensi, il quantum che accompagna la qualit delle prestazioni di lavoro, ovvero la misura e il prezzo dellopera e del tempo impiegato per produrla. Difficile imbattersi in una seria analisi che metta a nudo quanto sia giusta oggi la paga dei freelance o le ragioni che ne determinano il valore. La prassi, la letteratura e gli articoli di giornale sono concentrati su altro, sugli stipendi, sulla contrattazione di primo o secondo livello, sul potere dei salari o sulle dinamiche che legano carriera e stipendi, perch con queste analisi si guadagna attenzione e consenso, soprattutto nella rappresentanza politica e sindacale, e ci si presenta come esperti di quanto avviene nelle tasche degli italiani. Poco o nulla trapela sui compensi dei lavoratori intellettuali autonomi, anche perch le fonti che si citano quando si parla del valore economico del lavoro sono quasi sempre le stesse: le rilevazioni Istat sugli andamenti dei salari, i rinnovi contrattuali, le scelte di compensation interne alle imprese e alcuni benchmark retributivi realizzati da Hay Group, Watson Wyatt, OD&M Consulting e altre societ specializzate.1 Mentre sappiamo con certezza se linflazione aggredisce i salari e chi sono i pi o i meno pagati in azienda, non c statistica ufficiale sul reddito medio di un programmatore freelance o sul compenso di un formatore perch sono quotazioni che non interessano n chi fa progettazione di politiche pubbliche n i direttori delle risorse umane. Al massimo riguardano nicchie e settori specialistici. Il risultato? Da una parte la forte deregolamentazione dei compensi per il lavoro professionale, dallaltra unassenza piuttosto sconfor159

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tante di studi e valutazioni di sintesi che facilitino il compito al legislatore nel prendere decisioni di rilevanza sociale o che aiutino la politica e il mondo della ricerca a comprendere meglio le condizioni del lavoro di milioni di cittadini.

Avvicinarsi al tema del compenso per via descrittiva


Quanto vale oggi in Italia il lavoro intellettuale e cognitivo? Come fare fronte alla questione dei prezzi o da dove partire per circoscrivere il valore economico del lavoro autonomo? Che cosa distingue il dumping, lo sfruttamento, il giusto compenso? cos deleterio lavorare gratis pur di lavorare? Senza affrontare a viso aperto questi nodi difficile approntare una vera critica delle relazioni tra imprese e professionisti indipendenti o discutere di reale mobilit sociale e valore della conoscenza. Lerosione del potere dacquisto dei salari, peraltro stagnanti da almeno quindici anni, e i tagli ai compensi professionali sono piuttosto evidenti. Il lavoro si deteriora con il passare del tempo e guadagnano di pi gli investitori di Borsa e chi punta sulle rendite finanziarie o patrimoniali, certamente meno tassate e preservate da governi di destra come fossero riserve auree intoccabili. Per i lavoratori autonomi il problema ancora pi complesso: manca una fonte autorevole di tipo statistico o altro che fotografi ci che sta accadendo oggi in Italia o in Europa e lo certifichi. Non c alcun monitoraggio istituzionale sui loro redditi, nessun sindacato chiede di saperlo. Come entrare allora nel cuore del problema? Senza valori aggregati da cui partire, la via pi semplice quella di raccogliere le testimonianze dei singoli, studiare i meccanismi specifici di quotazione cos come sono messi in atto dalle famiglie professionali che popolano lo spazio del lavoro autonomo e derivarne modelli interpretativi. Un tentativo del genere fu approntato in occasione di alcuni seminari promossi da Acta Associazione consulenti del terziario avanzato.2 Proviamo a ripercorrere il discorso, questa volta ampliandolo, a partire da una constatazione che riguarda la legge. Uno dei pochi punti saldi che la normativa italiana pone su questo argomento, ovvero lindicazione del Codice civile sulla misura di un compenso che deve essere adeguata allimportanza dellopera e al decoro della professione3 , purtroppo lascia oggi il tempo che trova. sistematicamente scavalcata. Non lo dimostrano soltanto i miseri compensi offerti in molti casi dalle imprese ai freelance, ma lo stesso comportamento di chi per primo do160

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vrebbe rispettare le regole, ovvero la pubblica amministrazione. Dal ministero del Turismo ai tribunali le vicende che interessano per esempio i traduttori e gli interpreti sono preoccupanti. Ha tenuto banco nel febbraio del 2010 la notizia che il ministero del Turismo cercasse traduttori per localizzare in inglese, francese, tedesco e spagnolo il sito www.italia.it, il portale che avrebbe dovuto rappresentare il nostro paese agli occhi di possibili visitatori stranieri. Cartelle da 2600 battute, fuori standard, furono quotate ufficialmente 9 euro lordi, con pagamento a 90 giorni. un prezzo molto basso, ma si deve pensare alla quantit e alla continuit del lavoro, si lesse nellannuncio pubblicato su Internet subito cancellato per la veemente protesta scatenata in Rete e finita poi con uninterrogazione parlamentare. Pare assurdo, ma neppure nelle aule di giustizia si pu parlare di giusto compenso. Come stato riportato nel corso del sessantesimo anniversario di Aiti, Associazione italiana traduttori e interpreti, le tariffe per chi lavora nei tribunali sono ferme dal 1980 e pari a 14,68 euro lordi per la prima vacazione (equivalente a 2 ore di lavoro) e 8,15 euro per ciascuna delle successive, pagate peraltro dopo anni di attesa. Compensi inferiori alle tariffe medie di operai extracomunitari che lavorano in nero nel settore delledilizia a Milano.4 Uneccezione? Niente affatto. Il dumping molto spesso dentro le maglie dello stato che per primo omette controlli su appalti o dimentica di uniformare al costo della vita quanto offerto ai collaboratori. Nel settore privato come in quello pubblico non esistono regole uniche o normative per stabilire a priori il giusto compenso di un lavoro intellettuale o indipendente. Ci sono al massimo buone e cattive pratiche, forse qualche modello, ma poco pi. Ciascun professionista si trova in una posizione unica sul mercato e sembra proprio che lastrazione o il tentativo di isolare sistemi condivisi di quotazione tradisca quasi sempre le attese. Si possono invece raccogliere esperienze, abbozzare modelli e riunire le informazioni condivise che animano le comunit professionali. Il mondo dellinformatica, della formazione o delle traduzioni, per esempio, ha codificato e trasmette le proprie regole con il semplice passaparola: in questi settori c uniformit anche rispetto a quanto adottato dai committenti e non complesso risalire alla struttura di un compenso. Per altre professioni le cose sono pi complicate perch esiste una maggiore libert nelluso dei parametri unitari di costo: un designer non vende le sue opere al metro cubo e neppure un consulente nel settore energetico si fa pagare i consigli a seconda della lunghezza dei documenti prodotti. Al di l
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delle differenze c una questione piuttosto delicata che riguarda tutti. il cosiddetto total reward, ovvero il modo con cui si valuta la paga complessiva e linsieme di tutti gli elementi economici e non solo monetari che formano la ricompensa per il lavoro prestato. Quale premio si attende un lavoratore indipendente, una figura abituata alle sfide, che ama la contaminazione dei saperi, fare esperienze e soprattutto mette passione in ci che fa? Che cosa lo soddisfa veramente, soltanto i soldi? Nel costo del lavoro non c soltanto la componente retributiva, ma molto di pi.

La soddisfazione delle parti non basta


Possiamo dire che il prezzo di una consulenza sia sempre il frutto di un bilanciato meccanismo di valutazione di almeno tre elementi: 1) il valore di unattivit espressa in tempo impiegato o riferito alle competenze messe in campo (lato che riguarda il prestatore dopera); 2) il valore che si misura attraverso i benefici che le imprese maturano nellimmediato o, molto pi spesso, nel corso del tempo (lato che interessa il committente); 3) la forza tra le parti in gioco. Il giusto mix di questi fattori determina una corretta quotazione del lavoro del professionista. Viste le disparit delle forze in campo indubbio, per, che il punto pi critico sia il terzo, lequilibrio tra le parti, e che non basti sostenere come rispose un professionista del mondo della pubblicit alla domanda su quale fosse il giusto compenso nellambito del lavoro creativo che il prezzo giusto sia soltanto quello che rende soddisfatte entrambe le parti.5 Il total reward pi complesso e articolato: la definizione di giusto in quanto accettabile in una negoziazione tra due attori non equivalenti per forza contrattuale un buon punto di partenza,6 ma non sufficiente per definire quanto vale davvero un lavoro, perch esclude elementi pur minimi di diritto, uguali per tutti, a tutela delle parti pi deboli. Questo modo di vedere la questione descrive al massimo quanto si riesce a portare a casa, a strappare al cliente, ma giusto non equivalente ad accettabile anche perch nel mondo del lavoro autonomo non sussistono mai la libert di trattare ad armi pari e una concorrenza davvero aperta. La stessa definizione di soddisfazione, implicita nel ragionamento, non per nulla scontata. Nellambito del lavoro dipendente identifica classi di valori ben determinati,7 vantaggi e beni offerti nel sistema complessivo di ricompense e che lo sviluppo moderno delle imprese ha ben articolato, pesando ele162

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menti individuali e organizzativi, di carriera e personali. Ma nel contesto del lavoro autonomo di quali benefici si tratta? Non certo di piani di carriera, auto o cellulari aziendali, vicinanza al luogo di lavoro, buon rapporto con il capo ecc. Il professionista pu puntare s alla ricchezza, ma ci che lo distingue sono skills, knowledge e soprattutto elementi pi intimi, legati al sapere tacito, al suo specifico character e alla possibilit di esercitare unattivit liberamente. Per il freelance i benefici si regolano allinterno della vita personale e del suo rapporto con il mercato e la societ civile, dove le sfide e i rischi sono pi ampi e variabili rispetto a quelli di chi accetta vincoli di subordinazione e gode della protezione di un contesto organizzativo strutturato, oltre che di una normativa consolidata, forte e di un welfare migliore. Il contesto di un consulente composto dallhome-office, dalla societ e dalla propria nicchia di mercato, un insieme di mondi che non hanno soluzioni di continuit. Qui ogni equilibrio temporaneo, ogni soddisfazione personale e momento di libert hanno regole che si devono confrontare sempre con la vita e con i (pochi) diritti di cittadinanza di cui si gode, oltre che con i princpi professionali e la passione che mantengono vivo il proprio lavoro. Nel bilanciare esperienze e opportunit, sforzi e risultati, un traduttore non vende i servizi allo stesso modo di un designer; un programmatore segue percorsi del tutto diversi da un art director o da un formatore. Nel total reward di un lavoratore autonomo ci sono fattori relazionali e motivazionali molto personali, attese individuali uniche che rendono le singole posizioni ed esperienze di lavoro indipendenti e al tempo stesso riservate.

Massimi e minimi, tra paradossi e privilegi


Mentre non possibile nella contrattazione di un salario individuale, il compenso di un lavoratore intellettuale autonomo pu oscillare tra compensi estremi che vanno da un massimo di 438.000 euro lora, come pare abbia chiesto un Tony Blair conferenziere freelance,8 alle attivit gratuite e pro bono. La cosa pu stupire, ma noto che pi un compenso si avvicina a zero, pi elevata sar la possibilit di trovare unoccupazione. Un freelance ha perci maggiori libert, ma anche occasioni di farsi male con le proprie mani o applicare prezzi da capogiro, definendo in maniera elastica quali elementi sommare in quella che definisce ricompensa. Pu muoversi con flessibilit tra sottocosto e sovrapprezzo e imbattersi perfino in una curiosa contraddi163

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zione, almeno in Italia: non incontra regole di stop loss, ma redditi presunti da dichiarare, questi s. Niente salari minimi nazionali (presenti nel 90 per cento dei paesi al mondo, ma non in Italia) che potrebbero fornire limiti invalicabili in pejus nella contrattazione di un lavoro su base oraria, ma guai a superare determinati fatturati annui fissati con cura dallo stato attraverso gli studi di settore. Questo significa che le famiglie professionali sprovviste di tariffari forti e ben rispettati9 possono vedersi azzerare le proprie quotazioni sul mercato senza battere ciglio e per di pi devono fare i conti con redditi presunti. Molti lavoratori indipendenti, consigliati dal commercialista e propensi a evitare contenziosi con il fisco, cercano in ogni modo di rientrare nei parametri reddituali fissati dagli studi di settore per evitare di finire nel vortice della burocrazia e sprecare tempo in dispute contro lAgenzia delle entrate.10 Loscillazione tra massimi e minimi avviene cos tra paradossi e privilegi e quando gli affari vanno davvero male non ci si pu avvalere di norme a tutela del proprio reddito. Al contrario, se unispezione dellAgenzia delle entrate lo richiede, occorre dimostrare il motivo per cui non si arriva alla fine del mese.

I tariffari sono la soluzione?


Per alcuni lavoratori autonomi c una strada che mette potenzialmente in salvo da questi estremi almeno nella corsa al ribasso, ed il tradizionale tariffario alla maniera degli ordini professionali. Per molto tempo le tariffe minime hanno rappresentato un ombrello sotto il quale ripararsi e accreditare comunque una certa professionalit, ma difficile stabilire quanto fossero realmente adeguate alle prestazioni. Dal punto di vista economico sono lequivalente convenzionale del certificato professionale nellambito del sapere. Sono cio quotazioni che precedono le prestazioni, garantite ex ante da un certificatore pubblico, il cui potere sanzionatorio o disciplinare per andato scemando negli anni. Medici, avvocati e notai, avvalendosi dellideologia professionale, non espongono le competenze e il sapere alle quotazioni di mercato, ma le codificano con regole proprie per salvaguardare riconoscimenti economici di base e istituire una classe retributiva minima da attribuire ai meriti, secondo quel principio di meritocrazia che sottintende soltanto in maniera fittizia una competition. Ora, non per nulla chiaro il motivo per cui una visita specialistica da un fisiatra arrivi a costare 160 euro per un controllo che dura soltanto venti minuti. Basta fare due conti per
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capire come queste cifre portino a ricavi potenziali di quasi 4000 euro al giorno per questo medico. Come quantificare lesatta conoscenza e il valore dellazione di tamburellare il martelletto sul mio ginocchio? La risposta fornita dagli ordini semplice: occorre fidarsi del sistema di certificazione delle competenze. Le credenziali degli ordini e i titoli di studio che rendono oggettivo il sapere giustificano la definizione di queste tariffe. Fine della discussione. una motivazione senza ragioni, che si radica in una cultura del professionalism che abbiamo criticato nel secondo capitolo, ma che ha retto anche grazie a una debolezza intrinseca del mercato che rappresentato in Italia, in prevalenza, da privati cittadini deboli nellacquisto di servizi e senza nessuna possibilit di rivalsa. Che cosa accadrebbe se dovessero davvero confrontarsi con un mercato aperto, dove i privati fossero in grado di ribellarsi per costi esorbitanti di prestazioni di chi sulla carta, secondo una genesi delle professioni liberali, doveva essere al servizio dei cittadini? Oppure che cosa succederebbe se questo mercato dei singoli venisse filtrato e intermediato per intero da imprese di brokeraggio del lavoro professionale, come avviene per esempio nel mondo della formazione o della ricerca in ambito pubblico? Per i giornalisti il sistema delle tariffe andato presto in frantumi, anzi non mai decollato, proprio perch hanno come committenti soltanto imprese editoriali. Il meccanismo ha protetto per negli anni gran parte delle professioni liberali, evitando di mettere in crisi il sapere (presunto o oggettivo) da loro rappresentato. Chi mai riuscito a pagare un notaio o un medico a ore? Non difficile intuire come mai il decreto Bersani non abbia cambiato molto. Le economie dei servizi in capo alle professioni ordinistiche permangono chiuse: sono la struttura stessa e la genesi costitutiva del professionalismo a esigerlo. La cultura della tariffa, il corporativismo e il riconoscimento formale del sapere sopravvivono nei fatti e non si pu certo parlare di mercati guidati dalla domanda come avviene per chi lavora esclusivamente con le imprese e la pubblica amministrazione. Questo significa che la libert di dare valore al sapere non si pu introdurre ex lege e che lapplicazione dei tariffari dentro e fuori dagli ordinamenti avviene dove si riesce a controllare un mercato dal lato dellofferta. Lunica possibile inversione di rotta eventualmente praticabile in quei contesti dove il diritto pubblico a prevalere su quello commerciale. I tariffari formali definiti da chi svolge una professione e dai suoi rappresentanti potrebbero per questo avere un senso nella pubblica amministrazione, per definire insieme alle associazioni di ogni tipo che raccolgono i lavoratori della conoscenza eventuali linee guida sui
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limiti invalicabili di quanto viene considerato dumping sociale, almeno nel lavoro commissionato dallo stato.

Vendere lavoro autonomo ai lavoratori dipendenti, quando il monopsonio di tipo psicologico


Da dove partire, dunque, per valutare il giusto compenso di una consulenza? Andiamo per gradi e vediamo come si costruisce un prezzo. La prima cosa che fa un lavoratore autonomo quando deve formulare un preventivo alzare il telefono e chiedere consiglio a persone che operano nel suo stesso campo. A prima vista pu apparire unesplicita violazione del pi normale principio di concorrenza (non fare sapere ai competitor il tuo posizionamento sui prezzi), ma in realt una prassi comune tra freelance. La cerchia di amici il primo ambito di consultazione per stabilire i benchmark. Tu quanto chiederesti per...? si domanda in giro. I professionisti con esperienza, tuttavia, fanno qualcosa di meglio: chiedono direttamente al cliente quale sia il budget a disposizione. Questa strada molto pi efficace della prima, e dimostra implicitamente, nel caso di lavoro intellettuale autonomo, fuori dal formalismo di un tariffario, quanto la priorit nella contrattazione sui prezzi sia determinata dalla domanda. Conta di pi sapere che cosa pensano i clienti anche per una seconda ragione. Un investimento fatto sulla consulenza esterna produce molto spesso una significativa discrepanza tra il suo valore economico e liscrizione dei risultati ottenuti nello stato patrimoniale di unimpresa o disparit del tutto imprevedibili tra spesa corrente e valore intrinseco di alcuni asset aziendali. Si pensi alla quotazione del brand aziendale che viene indicata nello stato patrimoniale di unimpresa e al reale costo per la sua produzione. Sono dinamiche aleatorie, ma c almeno un punto fermo irriducibile: ci che viene acquisito da un consulente iscritto a bilancio da qualche parte. Ogni budget delle varie aree produttive segue logiche precise, percorsi di autorizzazione e scritture contabili determinate. Chi vende un servizio a unimpresa deve accettare di conseguenza buona parte delle sue regole di quotazione del valore perch limpresa a tenere i cordoni della borsa, o meglio, perch sono i suoi buyer, i suoi controller, i suoi responsabili di divisione e i suoi amministrativi e (soltanto in ultima battuta, purtroppo) i suoi manager di medio livello, che acquisiscono la manodopera esterna. Sono loro a determinare la bont di una spesa e le regole di governo interno a instradare i costi, fissando tetti di spesa per loutsourcing e determinando i
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margini operativi. Nelle imprese in cui pi marcata la propensione a creare valore attraverso processi finanziari rispetto a quelli industriali, ovvero l dove prevale la logica del profitto su quella dellinvestimento (una dinamica piuttosto diffusa e non estranea alle ragioni della crisi odierna), il consulente si trova di fronte a un muro e per spuntare buone quotazioni deve mettere in atto strategie molto ricercate di negoziazione. Pi forte il peso posto da unimpresa sulla governance dei costi, pi complesso sar evitare lappiattimento dei prezzi. Un livellamento che accade nelle grandi imprese, in particolare in quelle soggette alla pianificazione dei budget o alla rendicontazione trimestrale dei profitti, e comincia a farsi strada anche nelle medie e piccole aziende o nella pubblica amministrazione, dove si cerca di ridurre i costi del lavoro mediante limpiego di lavoro a termine e autonomo per ovviare ai limiti imposti dai tagli sulla spesa. Le regole piacciono, soprattutto ai controller, ma non da sottovalutare un fattore psicologico. Chi sono gli acquirenti che si rivolgono ai lavoratori indipendenti? Persone che hanno un lavoro alle dipendenze e che per interpretare i valori economici hanno una maggiore predisposizione a usare regole interne, comprese quelle relative alla remunerazione, unabitudine accompagnata purtroppo da una diffusa impreparazione in materia di costi del lavoro autonomo. Questo mix di consuetudini, cultura aziendalista e deficit informativi ha portato a uninteressante conseguenza, che dimostreremo tra breve: laffermazione progressiva di modelli retributivi tipici del mondo del lavoro dipendente anche allesterno per i compensi offerti ai freelance. Lestensione cio delle politiche retributive interne fuori dai vincoli di subordinazione.

Il modello di prezzo basato sulle equivalenze tra in e out


Proviamo a seguire una linea di raccordo tra insider e outsider, per capire di che cosa si tratta. Chi opera in azienda parte dal modello pi semplice a lui pi vicino per replicare verso lesterno la quotazione di una risorsa. Non accade sempre, ma sembra essere una naturale predisposizione e ne offriremo alcune prove. Per esempio, la domanda pi tipica che si pone chi fuoriesce da unimpresa nel riproporre la sua manodopera sul mercato : Quale dovrebbe essere una giusta fattura mensile come consulente per arrivare a ottenere ci che prima si percepiva in qualit di dipendente?.11 evidentemente una domanda posta in termini astratti, ma un quesito piuttosto comune tra fi167

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gure in uscita dal mercato del lavoro dipendente, che nasconde lincapacit di immaginare qualcosa di diverso e di pi rispetto a uno status lavorativo che consenta di produrre e ottenere un reddito incardinato unicamente sulla componente retributiva (salario) calcolata in primo luogo su parametri temporali. Questo un approccio a un tempo inevitabile e sbagliato, ma assai diffuso poich fornisce risposte valide soltanto per alcune situazioni. Se veramente volessimo rispondere alla domanda A quale prezzo occorre rivendere i servizi a unazienda perch la vita lavorativa sia in equilibrio con il costo del lavoro, i diritti e le prestazioni di un lavoratore medio che opera sul mercato?, dovremmo porre un freelance alla pari di un dipendente, entrando in competizione con i suoi costi e usando i parametri con cui solitamente si leggono le dinamiche retributive allinterno di unimpresa. un esperimento che potremmo anche fare perch, in fondo, stiamo parlando dello stesso mercato del lavoro. Chi obietta che tra retribuzioni da lavoro dipendente e autonomo non vi sia correlazione alcuna pu facilmente ricredersi leggendo lo studio di Todd Gabe, Kristen Colby e Kathleen Bell,12 dove si mette in evidenza la relazione che esiste tra stipendi aziendali medi e tasso di diffusione geografica di professionalit creative, in gran parte rappresentate da professionisti indipendenti. L dove cresce il numero di queste figure aumenta anche il livello retributivo medio dei lavoratori dipendenti. Curioso no? Proviamo allora a verificare fin dove si arriva con questa logica, normalizzando le condizioni retributive dei lavoratori indipendenti sulla base di regole che riguardano 15 milioni di persone in Italia. Diciamo pretestuosamente che il freelance che dobbiamo retribuire per il suo lavoro: 1) svolge attivit (a grandi linee) assimilabili a quelle svolte in azienda in aree funzionali che richiedono le medesime conoscenze, ovvero che non sia uno specialista di nicchia assente nella maggior parte delle imprese come potrebbero essere, per esempio, un avvocato di diritto fallimentare, un esperto di compliance per i mercati extraeuropei, un designer specializzato nellimmagine coordinata e figure del genere; 2) propone servizi mantenendo un prezzo simile a quello applicato al costo del lavoro di un dipendente che svolge le stesse attivit in azienda; 3) desidera avere una vita normale con weekend di riposo, festivit, malattia retribuita e via discorrendo, compreso un accumulo di liquidit, come trattamento di fine rapporto, e il pagamento di tasse e previdenza come accade in azienda. Tutto questo rende il lavoro standard, non atipico. un escamotage che ci serve per costruire un percorso euristico, arrivando a identificare costi lordi equiparabi168

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li. evidente che poi i valori netti che ne derivano per dipendenti e freelance siano diversi, ma in questo momento proviamo ad adottare il punto di vista di unimpresa. In ultimo immaginiamo che in questa situazione tutti i costi di produzione siano deducibili e la bottiglia del tempo del consulente sia piena, ovvero lavori full-time. In altre parole, stiamo costruendo una posizione Full-Time Equivalent (Fte). Poste queste premesse, facciamo due conti, prendendo dati sulle retribuzioni lorde e medie degli italiani, come pubblicate nellXI Rapporto sulle retribuzioni degli italiani 2010,13 dove si dichiara che in Italia, per il 2009 e nel settore privato, lo stipendio medio di un impiegato fu pari a 26.151 euro lordi, quello di un quadro a 51.804 euro lordi e di un dirigente a 104.342 euro lordi. Da questi, con un semplice foglio di calcolo,14 si possono ricavare i costi aziendali, per esempio, per il settore industria: un impiegato costa a unimpresa mediamente 168 euro lordi al giorno, un quadro 332 euro e un dirigente 669 euro. Tali valori comprendono tutti i costi che una societ deve affrontare per pagare un lavoratore. Ora, la questione semplice: questo modello trasferibile fuori dalle imprese? C qualcuno, nel segmento del lavoro indipendente, che si avvicina a questa rappresentazione? Sicuramente possono essere paragonati i lavoratori che hanno basse spese di produzione, se non addirittura nulle, oppure chi ha posizioni di rendita, ovvero attivit ben avviate e rinnovate in maniera automatica, perch basate su una posizione clientelare o su una fiducia molto radicata (questo abbassa i costi di gestione, in particolare quelli commerciali). Perch siano equiparabili sono necessari due presupposti: 1) che il lavoro sia scomponibile efficacemente in giornate e ore equivalenti, che possano essere retribuite allo stesso modo; 2) che il lavoratore possa svolgere mansioni ben codificate e ripetibili, riferite soltanto alle proprie competenze principali. In particolare, questultimo requisito piuttosto significativo, perch la sua presenza vorrebbe dire per un freelance essere libero di svolgere soltanto il suo lavoro, tralasciando attivit che in aziende sono presidiate da altri (per esempio il calcolo della busta paga) e che nel lavoro indipendente deve comunque svolgere da solo (per mantenere un parallelo, lamministrazione corrisponde al tempo perso dal commercialista, nel produrre fatture e soprattutto nel farsele pagare dai clienti). Ma tutto ci accade realmente? Pu un freelance liberarsi delle attivit accessorie? Come ingranaggi che trovano posizione fisica e temporale ben definita, questo modello va bene per quei lavoratori che hanno un ruolo preciso e intervengono nella produzione secondo
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unit temporali definite e compiti assegnati. Il fattore chiave il tempo e il parametro principale intorno a cui ruota il compenso il costo orario (o a giornata). Per effettuare comparazioni si possono trovare con grande facilit quotazioni di mercato per professioni lavorative subordinate, confrontando stipendi anche a seconda del contesto geografico, dellet, del sesso, del settore e della dimensione dimpresa elementi non trattabili, ma che determinano le condizioni stesse per la negoziazione dei compensi. In questo modo piuttosto semplice identificare benchmark retributivi per professioni e categorie di inquadramento. Tale approccio pone il compenso del consulente in relazione ai costi al lordo di tasse, imposte o contributi, e non considera eventuali discrepanze tra mondo del lavoro dipendente e quello autonomo sotto il profilo degli oneri fiscali e contributivi. Semplicemente mette in relazione i valori ricchi di un compenso, prima ancora di spogliarlo di tutto quanto sia dovuto allo stato. Vediamo fin dove sia possibile spingere il parallelismo.

Reductio ad Ral, fenomeno a larga diffusione


Quando si compra e si vende, nel sistema dimpresa e nel lavoro autonomo si considerano quasi sempre i valori totali che vengono sborsati o incassati. piuttosto rara la capacit di calcolo esatto di un valore netto percepito, soprattutto tra freelance, visto che nella definizione del reddito complessivo intervengono gli ammortamenti; differenti tasse che vanno oltre le semplici ritenute dacconto messe in fattura; contributi di anticipo sugli anni a venire; Irap; spese non rimborsate e altri fattori spesso imprevedibili. Allo stesso modo insolito trovare lavoratori alle dipendenze che sappiano quanto torna in tasca a un freelance a fronte di un compenso lordo assegnato. In alcuni contesti produttivi, tra i quali per esempio linformatica o la progettazione elettronica, i consulenti valutano in anticipo il tipo di richieste e, sulla base del tempo che presumono di impiegare, immaginano un compenso netto che vorrebbero ricavare. Da questa base deducono poi ipotesi di costi lordi. Questo avviene perch semplice scomporre la lavorazione per unit di tempo, ma che cosa dovrebbe fare un creativo al quale chiesto di inventare un nuovo marchio per il prodotto pi innovativo della multinazionale pi nota al mondo? Si attribuisce a Pablo Picasso la dichiarazione secondo la quale ci vogliono settantanni per imparare a fare unopera darte in soli cinque minuti. E dunque come ci si dovrebbe comporta170

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re nella sua quotazione? Come si pu intuire non soltanto una questione di tempo. La corrispondenza finora stabilita tra costo orario lordo e lavoro autonomo ha dunque una reale applicabilit? E se anche fosse possibile, un lavoratore intellettuale autonomo in grado di imporre queste tariffe? Una recente analisi svolta dalla societ OD&M Consulting15 mostra unevidenza di grandissimo interesse. Nello studio si mettono a confronto i valori annui lordi delle retribuzioni percepite dai lavoratori dipendenti e i fatturati dei consulenti che svolgono un lavoro assimilabile dal punto di vista del contenuto e delle attivit svolte. Si confrontano cio le retribuzioni medie di figure che hanno un contenuto lavorativo del tutto equiparabile e che operano dentro e fuori dalle imprese.16 Secondo lo studio, un account executive junior arrivava nel 2008 a percepire una retribuzione media lorda di 25.811 euro in azienda e a guadagnare 26.500 euro lordi come consulente; un analista programmatore 23.100 euro nel primo caso e 22.000 euro nel secondo; un senior consultant 45.800 euro come dipendente e 48.000 come autonomo; un webmaster 24.200 euro in azienda e 24.500 euro da solo; un project manager 48.500 euro dentro unimpresa e 43.000 euro come freelance. Questi sono soltanto alcuni esempi, la lista comunque molto estesa e si possono trarre alcune conclusioni. Guardando nel dettaglio i dati retributivi si nota come lequiparazione finora ipotizzata tra costo lordo aziendale di un dipendente (inclusivo di tutti i parametri per rendere la vita lavorativa normale) e dimensioni medie delle retribuzioni dei lavoratori freelance non regge la realt dei fatti. Il mercato ama prediligere invece un secondo parallelismo: quello con la Retribuzione annua lorda (Ral) del lavoratore dipendente, non tanto con il suo costo lordo aziendale. In altre parole, la comprensione che si ha del consulente di un dipendente esterno, non di un soggetto che ha costi propri e regole di calcolo del costo del lavoro significativamente differenti, molto pi simili a quelli di unimpresa o perlomeno estesi rispetto alla Ral. Semplificando, la maggior parte dei lavoratori indipendenti ottiene dal mercato ci che viene offerto a un lavoratore dipendente quando va a trattare un impiego e discute del suo stipendio lordo, non della spesa aziendale. Cos sembra accadere nel reddito percepito dai freelance. Non una regola fissa, ma piuttosto diffusa, che possiamo definire come una reductio ad Ral, ovvero una riduzione del valore trattato alla retribuzione annua lorda. Lo studio di OD&M Consulting consente di affermare che in questa equiparazione il vantaggio non sempre dei lavoratori dipendenti: vi sono professionalit che hanno mag171

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giori opportunit retributive (secondo questo standard di paragone) fuori dalle imprese. I massimi scostamenti a favore dei lavoratori dipendenti si hanno invece l dove ci sono retribuzioni variabili pi elevate, come per le figure commerciali oppure dove si tratta di figure numericamente limitate nel contesto organizzativo e che dunque, se assunte, svolgerebbero una funzione molto qualificata come quelle di responsabile dei sistemi informativi, strategy analyst, art director, ricercatore ecc. Unevidenza importante riguarda anche il falso mito della qualit del lavoro espresso dai freelance, che non paiono proprio essere soltanto giovani alle prime armi, precari che si muovono senza ordine nel mercato o lavoratori sfrattati dalle imprese. Al contrario il lavoro autonomo ha unabbondanza di profili equiparabili allinquadramento aziendale di quadro e sono possibili comparazioni anche con i livelli dirigenziali. Nonostante questa simmetria, la fluttuazione delle retribuzioni del lavoro autonomo comunque molto pi elevata di quella del lavoro salariato, non essendoci vincoli sulle retribuzioni di base o adeguamenti automatici allandamento dellinflazione. Tutto sommato sono valori simili e limpressione che il mercato abbia stabilito per un gran numero di professionalit una sorta di equivalenza tra retribuzioni annue lorde dei consulenti (fatturato annuo) e Ral di figure omologhe che operano in azienda. Nel bene o nel male, questo vuole dire anche che per figure come grafici, webmaster, account executive, project manager ecc. ci sono tetti retributivi invisibili, difficilmente superabili. Quanto tempo sia necessario per raggiungere questo livello non dato sapere, ma chiaro che la disponibilit delle imprese e ladeguamento progressivo dei freelance portano in molti casi i compensi verso una stabilit intorno a questi parametri. Fin qui, si pu dire, la voce del mercato. Questa equivalenza, tuttavia, inesatta dal punto di vista formale. A unanalisi ulteriore si pu facilmente comprendere come nasconda almeno due costi: 1) quelli previdenziali e assistenziali a carico degli autonomi, che per esempio in azienda o nei contratti a progetto ripartita tra lavoratore e impresa (da qui lo scarto tra costi dimpresa e retribuzioni lorde); 2) lammortamento dei costi fissi, ovvero del capitale investito in strumenti o in processi di produzione. I costi di gestione, in altre parole, chi li ripaga? Con quali soldi devo pagare il computer, labbonamento a Internet o il commercialista?

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Il lavoro autonomo come i mutui subprime?


Lequit lorda fittizia di cui abbiamo discusso finora un indice importante dei problemi di valutazione del lavoro autonomo poich rivela quanta parte del rischio economico e di ammortamento dei costi aziendali siano riversati sulle attivit del freelance. Ragioniamo su questo punto. Di quale rischio si tratta veramente quando viene spostato sulle spalle di un freelance? Le partite Iva, per esempio, sono imprese soltanto per unetichetta di tipo burocratico,17 non dispongono cio di capitali, persone o strumenti in misura maggiore di quelli necessari per il lavoro individuale, come peraltro identificato pi volte anche dalla Corte di Cassazione Sezione tributaria18 nei casi di contenzioso tra Agenzia delle entrate e lavoratori autonomi sulla necessit di pagare lIrap, una tassa prevista appunto per le imprese, ma non applicabile ai lavoratori indipendenti. Questi non hanno cio uno scheletro sufficientemente robusto per supportare elevati investimenti e le rispettive quote di ammortamento. Quale capitale andrebbe perso in un loro ipotetico fallimento? Nessuno, di fatto. Il rischio spostato di conseguenza su una capitalizzazione futura che non trover mai un concreto rendimento e unattuazione. una logica contraddittoria: gli autonomi non hanno modo di accumulare patrimoni, essendo tassati sul lavoro. Non possono immobilizzare ricavi e perdite in non-societ, per questo ogni elemento aggiunto che ricade genericamente sotto la voce costo di gestione non fa altro che intaccare i compensi, erodendo i margini e abbassando i valori netti. Sotto questo profilo, la questione del compenso una chiave davvero fondamentale per la lettura dei fenomeni di trasformazione del mercato: il risparmio per le imprese che si riversa in tasse sul lavoro autonomo suona molto come un espediente per non capitalizzare investimenti e riversare sul costo del lavoro altrui, meglio se di soggetti poco tutelati da sistemi di protezione sociale, i propri rischi, mutuando la natura finanziaria del rischio dimpresa in problema di fiscalit individuale per i singoli. Un po come accaduto nel caso dei mutui subprime, allorigine della crisi attuale, ma traslato sulla forza lavoro. Una buona simulazione dei costi che un lavoratore autonomo deve sostenere stata eseguita correttamente da Romano Calvo in uno studio, presentato nel 2008 durante il convegno Il rapporto tra pubblica amministrazione e professionisti autonomi,19 che ha messo in luce quali oneri siano lasciati in gestione al lavoratore indipendente, in particolare nel confronto con un sistema fiscale disomogeneo rispetto a quello del lavoro dipendente
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e a sistemi di deduzione e detrazione fiscale non equivalenti, che alla fine fanno pesare ancora di pi i costi di gestione sul consulente. Per il freelance questo sbilanciamento sui costi non soltanto un danno, ma anche una beffa: oltre a vedere riconosciuto un compenso equivalente alla Ral di un dipendente, consentendo cos alle imprese di scalare sui costi aziendali, si trova ad affrontare oneri fiscali e contributivi pi pesanti. La vera sfida delle partite Iva di seconda generazione perci oggi quella di rispondere con unadeguata politica dei prezzi a questo cono dombra che i committenti fanno finta di non vedere per interesse e per calcolo, o semplicemente perch mai reso esplicito in fase di contrattazione tra le parti. La sistematica rimozione dei costi nascosti (soprattutto dei costi sociali, in particolare delle quote di spesa riservata allassistenza e alla previdenza), sempre in chiaro per il lavoro dipendente, ma invisibili nel lavoro autonomo, diventa un aggravio pesantissimo per chi opera da solo sul mercato. sensazione comune tra i freelance che proprio su questo punto irrisolto si giochi oggi la continuit professionale e la quotazione delle competenze.

Alla previdenza ci penser la provvidenza (personale)


Si prenda, per esempio, il tema della previdenza, un argomento tra i pi problematici per chi lavora come consulente: quanti sanno che in Italia un lavoratore indipendente senza cassa professionale versa il 26,72 per cento del suo reddito alla gestione separata dellInps? Chi ha contratti a progetto ha una copertura da parte del committente dei due terzi delle quote da versare allIstituto di previdenza, ma chi fattura con partita Iva e non un artigiano, un commerciante o non iscritto a ordini professionali ha sulle spalle lintero costo, scalato dai valori lordi pattuiti. Lo stesso lavoro dipendente, con cui si finora fatto un confronto diretto, non ha certamente nella retribuzione annua lorda un costo previdenziale del 33 per cento come sbandierato da chi contesta gli elevati tassi di questa parte di imposizioni. Il valore del 33 per cento riferito al costo aziendale, non alla retribuzione lorda! E se vera lequivalenza con la Ral in cui il mercato, gli imprenditori e i confini della negoziazione rinchiudono il lavoro autonomo, corretto dire allora che su questo tipo di lavoro grava il pi pesante macigno di oneri contributivi mai pensati in Italia. I professionisti senza albo versano contributi del 26,72 per cento, mentre per artigiani e commercianti siamo a
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quota 20 per cento circa. I professionisti con cassa privata pagano il 12-14 per cento, mentre i dipendenti solo formalmente hanno aliquote pi alte: secondo uno studio del Cerm,20 se si utilizzasse la stessa base di calcolo dei professionisti della gestione separata, la loro aliquota scenderebbe dal 30-33 per cento a circa il 24 per cento. Quando nel lontano 1996 venne istituita la gestione separata, i costi previdenziali erano fissati al 10 per cento del fatturato, poi laliquota ha iniziato a lievitare per fare fronte ad alcuni deficit dello stato che nulla hanno a che fare con i conti della gestione separata. Per esempio, con il Protocollo sul welfare varato durante lultimo governo Prodi dal ministro del Lavoro Cesare Damiano, linnalzamento progressivo delle aliquote previdenziali dei lavoratori autonomi fu programmato con la finalit di coprire la spesa per la riduzione del cosiddetto scalone dei lavoratori dipendenti che andranno in pensione nei prossimi anni. Oltre a questo, la gestione separata contribuisce a sanare i deficit di altre casse private finite in rosso e confluite nel tempo in quella pubblica. Nonostante la palese ingiustizia c chi sostiene che queste aliquote si debbano ulteriormente alzare per creare un deterrente alluso improprio del lavoro autonomo che scoraggerebbe gli imprenditori nel reclutare falsi dipendenti con partita Iva. Questa la posizione pi o meno dichiarata oggi dai maggiori sindacati italiani e di qualche esponente politico di sinistra. La posizione pi chiara a questo proposito quella della Cisl che nel documento FeLSA Cisl Obiettivi e politiche per una rappresentanza nel lavoro autonomo, parasubordinato e somministrato, del giugno 2010, propose senza pudore di avvicinare i versamenti contributivi a quelli dei lavoratori dipendenti,21 innalzando anche limplementazione della quota di versamento contributivo, portandola all1 per cento con la finalit di destinare questi soldi a un fondo gestito dalla stessa FeLSA Cisl. Lidea era di creare un gruzzolo da gestire per trattare i problemi dei freelance di cui per la Cisl fino a quel momento non si era mai occupata! Il problema per questo: alzare i contributi un buon deterrente per chi vuole usare le partite Iva per tagliare il costo del lavoro? Aiuta davvero i freelance? La risposta no, perch c chi sceglie di lavorare in maniera indipendente e non desidera un lavoro subordinato o, per il tipo di professione che svolge, non integrabile stabilmente nel sistema dimpresa (si pensi per esempio a un traduttore). Inoltre, ogni innalzamento del costo del lavoro si riversa direttamente sulle spalle dei consulenti, riducendo di fatto i compensi netti. La posizione dei sindacati fa acqua da tutte le parti e non tiene conto del potere negoziale del singo175

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lo che si vedrebbe aumentare le quote da versare allo stato senza avere la forza di imporle ai suoi committenti. Il risultato? Un ulteriore impoverimento del lavoro indipendente in nome di una regola astratta quanto inutile di scoraggiamento alluso improprio del lavoro autonomo.

Il secondo modello: lequiparazione tra imprese, ovvero una falsa speranza


Proviamo a fare un passo avanti e cerchiamo di capire se esiste un modo, e chi lo applica, per uscire da questo stretto vicolo cieco, che ha come premessa lequiparazione tra costi del lavoro di famiglie differenti (dipendenti e autonomi) e come esito laggravio dei costi del lavoro indipendente. In alcuni ambiti professionali, in particolare nel mondo della consulenza indipendente made in UK, tra account manager o figure del mondo IT, si trovano spesso modelli di costruzione dei prezzi per le prestazioni professionali che riportano il giusto equilibrio sul tema dei costi e delle spese. In Italia questo approccio ha trovato unampia diffusione tra i consulenti che lavorano a stretto contatto con figure dirigenziali o con le multinazionali, pi abituate alla valutazione generale dei costi di produzione. Lidea di fondo riportare allo scoperto i costi nascosti nei processi di produzione affinch siano ripagati dal committente e non assorbiti nel lavoro del consulente. Stiamo parlando, per esempio, del tempo speso nel trovare nuovi clienti (azione commerciale); per sistemare la contabilit (attivit amministrativa); per presentare se stessi in pubblico (pubblicit) e nelle relazioni sociali e di networking (relazioni pubbliche); oppure nella formazione e nellaggiornamento (lifelong learning). Sono attivit note al lavoratore autonomo, che non affronta quotidianamente soltanto limpegno legato alla produzione vera e propria, ma deve gestire un insieme articolato di compiti e iniziative collaterali che gli consentano di proseguire lattivit nel suo complesso. Questa parte di lavoro, che le imprese faticano a pagare quando scelgono loutsourcing, pu tranquillamente rientrare in fattura se ben calibrata, riportando le voci che nel mondo anglosassone vengono definite overheads,22 ovvero costi operativi. Questo elemento entra in quota percentuale rispetto al normale costo del lavoro e lo si aggiunge al preventivo offerto al committente. Per calcolarlo23 si sommano le quote di tempo dedicate allamministrazione del business (fatturazioni, pagamenti), i tempi di viaggio, le attivit commerciali e di marketing, la stesura di offerte,
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i momenti di autoformazione ecc. un dispendio di energie che pu arrivare a occupare fino al 40 per cento del tempo complessivo, e poi lo si ammortizza nel costo generale del proprio lavoro. Questo espediente consente di andare oltre il costo orario di svolgimento dellattivit principale, rivendendo una professionalit nel suo complesso. un modello completamente differente dal precedente: questo significa che mentre per un ipotetico lavoratore autonomo assimilabile a un dipendente con Ral da 50.000 euro lordi allanno si arrivava a determinare costi giornalieri di 320 euro, un calcolo di questo tipo ammortizza gli overheads e consente di inserire anche i profitti. Se, per esempio, si ipotizzano questi ultimi al 10 per cento e i costi operativi al 35-40 per cento del proprio tempo si arriva per la stessa attivit a costi orari di 70 euro lordi. Webworkerdaily.com, una delle pi note community online di web designer freelance, sugger una tecnica di calcolo dei costi molto simile, ma pi immediata. Consigli di spezzare il lavoro da svolgere in microunit da quattro o otto ore, calcolando i costi senza overheads per queste fasi di lavoro e poi moltiplicare per 2,5 il valore, per includere imprevisti, il costo di start-up dei progetti, di relazione con il cliente, stesura dei preventivi, finalizzazione del lavoro ecc. Quando questi schemi furono pubblicati su Internet in Italia, la reazione dei freelance fu immediata, quasi una rivolta contro un sistema considerato buono sulla carta, ma dannatamente impossibile da realizzare nella concretezza di ogni giorno. Il commento pi significativo fu di Federico Fasce:
Ho provato a definire le mie tariffe nel modo consigliato, incontrando diversi problemi. In primis: sembrano sempre troppo alte! Se vado da un potenziale cliente (e mi capitato anche con grandi multinazionali) e chiedo una cifra che mi permetta di vivere degnamente di quello che faccio, le risposte sono immancabilmente negative. Sembra sempre che chieda troppo. Ma se scendo con i prezzi, lavorare per me non pi conveniente. Questo per dire che concordo sul fatto che nel nostro tipo di lavoro la grande difficolt sia quella di quotarsi. Ma temo che nel lavoro invisibile che fa chi si relaziona con la conoscenza (io mi occupo di progettazione e interaction design) sia difficile fare passare il concetto che quello che facciamo ha una rilevanza economica. E allora ci si accontenta di poco. Ma non si riesce a vivere, al massimo si sopravvive.24

Niente di pi chiaro nella valutazione contrapposta tra le parti che negoziano: al committente sembra troppo, al prestatore dopera scendere sotto queste valutazioni non conviene. Da una parte c un giudizio mediato da altre logiche, evidentemente quel177

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le interne. Dallaltra la certezza di dover accettare compromessi e prezzi sottocosto. Un altro commentatore aggiunse:
Sic! Sono anchio arrivato a questa fase della mia vita. Devo ammettere di trovare molto utili questi suggerimenti anche se purtroppo un tantino impraticabili in questa fetente penisola.25

Che cosa significa? In primo luogo che le condizioni reali di mercato si avvicinano di pi al primo modello interpretativo dei compensi e che, sebbene formalmente corretto, il tentativo di includere i costi operativi per non svalutare il proprio lavoro difficilmente applicabile fuori da unimpresa. Si badi bene: fuori da unimpresa. Chi ha dimestichezza con la pianificazione dei budget in azienda sa che non si utilizzano regole diverse sugli overheads, ma sono la norma per fare business. Il modello aziendale pi diffuso per la stesura di preventivi di moltiplicare per 3 il costo del personale impiegato, aggiungendo i costi e le spese di produzione (materia prima, viaggi ecc.). Le multinazionali della consulenza usano questi pesi: costo del lavoro al 33 per cento, overhead pi profitti al 66 per cento. Limpresa rivende cio il lavoro con uno staff to fee del 66 per cento per coprire i costi interni di personale amministrativo, dirigenti o responsabili IT ecc. che non entrano nel gioco della produzione diretta. Questo il rapporto tra costi e ricavi che le imprese profit considerano ideale e la bravura dei project manager in azienda sta proprio nel rispetto di queste percentuali di mark-up. Tutto ci significa, per, che limpresa moderna usa regole differenti per acquistare la consulenza e per rivenderla, mettendo su un gradino pi basso i lavoratori autonomi che, non avendo la forza per trattare condizioni, non riescono a superare i limiti stabiliti da unequivalenza fittizia (peraltro gi difficile da ottenere) con le retribuzioni lorde. Tecnicamente chiedere meno rispetto a quanto si calcolato essere un onorario decente significa guadagnare meno. In pratica si intacca lentamente la quotazione pi generale di una professione, creando un effetto leva verso il basso. Si finisce per depauperare entrambi i lati dellofferta, quello economico e la qualit delle prestazioni. Ne parla un altro freelance, commentando online questi modelli:
Per un anno ho fatto preventivi da cristiano ovvero con i costi ben calcolati sulle ore di lavoro ecc., ma mi hanno tagliato sistematicamente fuori. Ho ottenuto un 100 per cento di offerte non accettate. Il bello che ci mettevo anche tre giorni (analisi ecc.) per stendere lofferta. Lanno dopo ho iniziato a fare preventivi casualmente e a voce, cos ho ripreso a lavorare. Almeno incassavo qualcosa. A ogni 178

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nuova offerta aggiungevo un +10 per cento rispetto alla precedente e adesso (fine anno) iniziano di nuovo a bocciarmi le proposte. Perch i clienti hanno sempre una decina di offerte in mano, alle quali aggiungono il fattore emotivo che non sempre fa scegliere lofferta pi vantaggiosa. Se tra le dieci c poi qualche bastardo che il lavoro vuole regalarlo, be non c storia.26

Molti trascurano il fatto che quando si abbassa lasticella che segna il proprio valore di mercato la si fa scendere per tutte le persone che svolgono lo stesso mestiere. Mentre nel lavoro dipendente sono i contratti nazionali a definire questi limiti, nel segmento del lavoro autonomo sono i singoli professionisti a dovere interpretare un doppio ruolo, individuale e collettivo insieme. A chi obietta che pur sempre una dinamica di tipo concorrenziale, che il mercato, bellezza!, si pu facilmente rispondere che in questo meccanismo di impoverimento delle professioni non si pi in competizione con altri lavoratori indipendenti, bens con il costo del lavoro dipendente che non pu certamente essere abbattuto in una lotta ad armi pari. In questo sistema c la scure dellimpresa e i costi incomprimibili del lavoro dipendente da una parte, e la necessit di tenere alti i compensi dei freelance dallaltra.

Quanto vale sapere da quale parte girare una vite?


Appena usciti dalluniversit o da unimpresa senza avere esperienza di lavoro autonomo (quasi) comprensibile che si cerchino valori di riferimento e, in mancanza di altro, si accettino, o si cerchi di riprodurre, quelli delle imprese, ma dopo anni di consulenza le cose cambiano. Aumenta la consapevolezza che per sopravvivere sia necessario non svendere il proprio talento e non deprezzare la qualit di ci che si offre. vero, non esiste salario minimo n per un lavoratore dipendente n per un freelance e, insieme alla Grecia, siamo gli unici paesi in Europa a non avere definito un reddito minimo che fissi la soglia ufficiale della povert, ma non per questo la corsa al ribasso deve azzerare la competizione, lasciando praterie aperte alla svalutazione delle competenze. Al contrario neppure i rimedi dallalto, come proposto erroneamente da molte parti sociali, in primis dai sindacati, sono efficaci. Non linnalzamento ex lege del costo del lavoro autonomo a dare una sveglia al sistema dimpresa e neppure la definizione politica di piani contro la precariet economica.

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Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2008 Walter Veltroni promise, per esempio, lintroduzione di una normativa che definisse genericamente un salario minimo contro la precariet del lavoro in Italia, parlando di 1000 euro netti al mese per chi ha un impiego full-time. Prendendo come termine di paragone un contratto dellindustria, questo valore corrisponde a un costo aziendale di circa 24.000 euro lordi lanno e nellequiparazione con il lavoro autonomo questo significa che un freelance, attivo per il 70 per cento del suo tempo nelle fasi di produzione con overhead del 40 per cento, che cercasse di ottenere profitti del 10 per cento, non dovrebbe scendere sotto il minimo di 27 euro lordi lora. Questa la tariffa proposta dal mondo politico contro la precariet dei freelance, ma questa la soluzione migliore? Finora abbiamo valutato il tempo (ore, giorni) come parametro portante su cui incardinare il costo del lavoro dei freelance, ma corretto? Ci sono ambiti e modi di integrare attivit di consulenza allinterno dei processi aziendali che superano di fatto questo approccio, dove il denaro non serve a ripagare il tempo, ma ricompensa il valore espresso. Dallonorario per le ore lavorate si passa al compenso per la qualit, i meriti, le doti espresse, le abilit e le conoscenze individuali, oltre alla capacit di portare risultati o guidare e motivare i cambiamenti. Si pensi al lavoro di un creativo che in pochi minuti disegna una soluzione formidabile, inventa un logo o cambia limmagine di unimpresa su Internet; a un formatore che deve motivare i rivenditori delle concessionarie Fiat, per migliorare il fatturato complessivo del gruppo in tempo di crisi; oppure a un tecnico che interviene per sbloccare in pochi istanti un server di Poste italiane fermo da giorni. Il tempo impiegato realmente riducibile a pochi istanti, poche ore o alcuni giorni daula? E quello speso per arrivare a fornire prestazioni di questo genere come si calcola? Su questo tema circola da tempo nel mondo delle tecnologie un aneddoto che vale la pena di riportare:
Un giorno un responsabile IT non sapeva pi che pesci pigliare: la Rete della sua azienda aveva smesso di funzionare bloccando il lavoro di parecchie persone. Il suo telefono era diventato rovente poich tutti i dipartimenti lo mettevano sotto pressione, per non parlare delle ire dellamministratore delegato. Dopo aver dato fondo alle sue conoscenze e a quelle del suo team, si decide a convocare con urgenza un consulente e affidarsi a lui. Il consulente prende subito a cuore il problema, viene accompagnato nel locale server e analizza la situazione. In pochi minuti individua il componente difettoso ed estratto un piccolo cacciavite dal taschino... zic! effettua una rotazione di mezzo giro su una vite. Ecco fatto, dice. Potete conti180

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nuare a lavorare ora. La settimana successiva il responsabile IT si vede recapitare la fattura recante questa descrizione: Intervento per sblocco rete informatica: 1000. Sorpreso per limporto oltremodo elevato visto il piccolo intervento, contatta subito il consulente lamentandosi. Il consulente ammette un errore nella fattura e promette di inviarne una corretta. Poco dopo arriva la fattura cos rivista: Rotazione di mezzo giro di una vite: 1. Conoscenza della vite su cui operare: 999.27

Questo un esempio classico di come sia possibile interpretare il ruolo del consulente svincolando la propria attivit dal semplice fattore tempo ed un approccio tipico di figure che prestano servizi legati alla creativit, al mondo degli eventi o dellimmagine, al marketing e a tutte quelle attivit che hanno un forte impatto in termini di risultati presunti, derivanti appunto dallintervento del consulente. Possono riguardare la fiscalit, il miglioramento delle relazioni delle imprese con i mercati, la conformit alle leggi, la sicurezza, la reputazione e pi in generale linnovazione di prodotto e di servizio. In pratica, la possibilit di uscire dallequivalenza stretta tra tempo e remunerazione avviene l dove possibile introdurre la nozione di valore e soprattutto di durata, ovvero dove ci siano il differimento dei risultati o alcune previsioni sui benefici attesi e basati su un lavoro cognitivo che non ha una tangibilit immediata, scomponibile o facilmente quantificabile. Una traduzione, una fotografia, un libro impaginato, un disegno Cad non fanno parte di questo tipo di opere. Si prestano al discorso, al contrario, i servizi di consulenza pi generali, la definizione di strategie, la valutazione di rischi, lanalisi di opportunit, la creazione di immagini e reputazione e cos via. In alternativa questo approccio trova spazio quando si guarda ai servizi o alle opere dellingegno nel loro progetto complessivo. Per fare un esempio, se si guarda alla qualit di un testo scritto, al di l della lunghezza misurata con il numero delle battute, ci sono tutte le premesse per andare oltre le quantit e potere ragionare su un valore che si diluisce nel tempo, portando benefici a committente e autore nel corso del tempo e non soltanto nellimmediato in base alle ore lavorate o alle quantit prodotte.

Il cottimo digitale, dannazione moderna del lavoro cognitivo


Questa logica pu determinare due esiti: da una parte pu generare moderni e sofisticati sistemi per pagare il lavoro indipendente a cottimo, dove non pi il tempo, ma sono altre misure
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a fare da parametro ufficiale per la remunerazione; dallaltra permette al lavoro autonomo di esprimersi in maniera pi genuina, agganciando sistemi premianti che pagano in anticipo i benefici attesi (oppure realmente ottenuti nel tempo) sulla base del valore espresso, remunerando cio valori intangibili creati ex novo. La prima strada ha avuto uno sviluppo esponenziale, guidato recentemente dalle tecnologie informatiche che consentono oggi di allargare a dismisura la distanza tra committente e prestatore dopera e di ridurre contemporaneamente gli spazi per le trattative se non addirittura i diritti del lavoratore intellettuale autonomo. In molti casi si arrivati a vere e proprie forme di digital piecework, basate su interazioni di tipo elettronico, che cancellano persone, tempo e competenze, rinforzando la vecchia formula della retribuzione per pezzo lavorato, questa volta, per, nel contesto del lavoro intellettuale e non pi in fabbrica. Questa metamorfosi ha investito i processi di produzione di testi, grafica, video e registrazioni, e riguarda per esempio chi scrive post per i blog o per i portali di nanopublishing, o si occupa di opere di scrittura retribuite per numero esatto di righe o traduzioni ricompensate in base al numero di battute. Sono tutti lavori basati su forti interazioni a distanza, che non prevedono una durata precisa, n quantit minime di pezzi o rimborsi di spese e hanno in genere retribuzioni bassissime, fino a 8 euro lordi lora.28 Testimone di questa evoluzione per esempio il portale oDesk che sta registrando un grandissimo successo in Rete tra i freelance di tutto il mondo. Il sito si propone come un moderno broker di lavoro che intermedia la manodopera di freelance con le richieste delle imprese, operando grazie a un evoluto sistema web di gestione della domanda e dellofferta, facendole incontrare. Mette a disposizione spazi per presentare un portfolio di lavori, referenze e altri servizi. Fin qui nulla di nuovo. Gli aspetti rivoluzionari sono due: 1) limpiego di un importante fondo di garanzia per pagare il lavoro intermediato; 2) un sistema di tracking delle ore lavorate, per dimostrare al committente che il prestatore dopera rimasto realmente connesso al computer una volta avremmo detto al lavoro, come se fosse uno spazio fisico reale per svolgere il lavoro assegnato. Il fondo finanziario offre la certezza del payroll, del pagamento, e consente di evitare scocciature, come recita la prima voce del Manifesto29 di oDesk. Questa garanzia diventata una delle chiavi del successo del servizio. Il sistema, tuttavia, ricostruisce in Rete un tipo di controllo e di intermediazione del lavoro che poco hanno a che fare con lautonomia, giocando in maniera equivoca su uno dei nodi pi complessi del freelancing, ovvero la scarsa forza nella contratta182

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zione collettiva. oDesk si fa garante del compenso (facendo comunque mark-up sullintermediazione), ma pone un prezzo molto salato da pagare perch riporta il lavoro autonomo nellalveo di unit orarie o porzioni, mettendolo in relazione al digital piecework quantificabile e controllabile via Internet. Il modello pone da una parte la certezza del reddito (decurtato delle spese di oDesk), dallaltra la libert del freelance, e cerca di costruire unartificiale riconoscibilit collettiva sotto il cappello di garanzie finanziarie, ma sacrifica per questo lautonomia attraverso strumenti che instradano il lavoro e consentono un suo controllo a distanza in puro stile da Grande Fratello. In pratica, riporta elementi del lavoro subordinato nel contesto dellautonomia, garantendo un solo diritto, quello di essere pagati, e introducendo una nuovissima forma di cottimo digitale. Questo dovrebbe suonare come un campanello dallarme soprattutto per chi oggi sta lavorando in Italia e in Europa nel comprendere quando un lavoratore autonomo possa definirsi economicamente dipendente, perch pone chiaramente il problema della contaminazione di culture lavorative differenti, proponendo vantaggi finanziari al costo di diritti lavorativi e snatura in questo modo il lavoro indipendente, a partire dalla sua radice pi profonda che la libert del commitment verso i clienti. Ci che appare evidente nel caso di oDesk la scelta di fare leva in maniera forte sul tema dei compensi affinch cresca la comunit dei collaboratori e il senso di appartenenza al mondo dei freelance. Il compenso la chiave della coalizione ed una scelta che sembra avere davvero un grande successo in Internet. La conferma arriva da molte altre iniziative simili che si stanno moltiplicando in Rete. In Italia, per esempio, approdato Twago, un servizio ideato da una societ berlinese che consente di pubblicare progetti e cercare esperti in grado di completarli. La pubblicit diffusa allo Smau 2010, la fiera dellinformatica, suonava cos: Grande idea, ma budget ristretto? Lavora con freelance!. Sul sito la cosa si fa ancora pi chiara e si suggerisce alle imprese di usare il servizio per abbassare i costi fino al 70 per cento:
Proprio nella crisi economica molte imprese sono costrette a ridurre in modo significativo i loro costi cercando comunque di mantenere un egual livello qualitativo. Twago sostiene le aziende e i liberi professionisti dando loro la possibilit di delocalizzare alcuni processi aziendali o di realizzare determinati progetti affidandoli a ditte esterne. Questa flessibilit permette un forte risparmio di costo e pu cos evitare la riduzione di posti di lavoro interni allazienda.30 183

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La ricetta chiara. Per abbassare i costi mantenendo un eguale livello qualitativo, come si fa? Si prende il lavoratore in azienda, lo si invita a lavorare da solo e gli si affida lo stesso lavoro scalando sui costi. Si legge ancora sul sito:
Twago aiuta a mettere al sicuro i posti di lavoro attuali e a crearne di nuovi facendo in modo che persone altamente qualificate, ma senza lavoro, si possano rendere autonome in modo semplice ed economico.31

Chi intermedia questa semplicit guadagna dei fees sui compensi liquidati obbligatoriamente attraverso lo stesso sito, alla stregua di quanto avviene con un normale merchant di e-commerce, come se il lavoro fosse realmente merce. In cambio propone unallettante ricetta per il lavoro del freelance che mescola ingredienti eterogenei: un aiuto nei processi di networking, un appoggio nel presentare e incrociare le opportunit di lavoro; una spinta nellintercettare budget, con la garanzia di ricevere un compenso se si ottiene il lavoro; labbassamento dei costi aziendali. Riporta per in gioco il fattore tempo, scomponendolo per unit lavorate, e la formula del cottimo. Queste forme di digital piecework si stanno ben radicando l dove esiste una componente granulare di lavoro, per esempio legata alla scrittura, alla creazione di componenti grafiche minime o ad attivit di breve intensit o di programmazione informatica. Linterazione digitale tra committente e prestatore dopera tende cos a nascondere il tempo reale e complessivo di lavoro o la qualit. Ci che conta la quantit, misurata in parti intere. Un esempio interessante la ricerca di mistery clients, ovvero di finti clienti che fanno valutazioni sui servizi (figure classiche, per esempio, nel mondo della ristorazione), ma da impiegare in ambito web per testare i servizi di e-commerce. Retribuzione? Da 15 a 20 euro per incarico.32 Tempo di lavorazione o qualit richieste? Imprecisate. Purtroppo non esistono ampi margini di trattativa nelle forme di cottimo. In molti casi purtroppo non contano le specializzazioni, gli anni di consumata esperienza o il talento: in questo tipo di produzioni, interpretate secondo parametri quantitativi, il prezzo si pu alzare soltanto in presenza di fattori esterni al processo produttivo come la notoriet di una firma, luso di taluni software di lavorazione, la disponibilit o la forte capacit di arrivare al risultato. Sono forme di compenso ancora in evoluzione, ma chiaro fin da subito che limitano ogni possibilit di crescita o la libert di sperimentare, oltre a rimuovere pericolosamente diritti fondamentali come quello al riposo, alla malattia e ovviamente a una giusta remunerazione.
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Oltre il tempo, la ricompensa della qualit


Per fortuna quando si scardina la centralit del fattore tempo ci sono altre vie duscita. Accade nei casi in cui si riesce ad agganciare la ricompensa, e dunque il lavoro svolto, ai risultati ottenuti o a quelli presunti e attesi, pagati in anticipo sulla base della fiducia riposta nel consulente e di una cultura di business che accetta il rischio sullinvestimento. Mentre la retribuzione per risultati ottenuti realmente (pay per result) prende quasi sempre la forma delle provvigioni calcolate sulla base di differenti Key Performance Indicator (per esempio, il venduto, lincasso, il numero di clienti acquisiti, i rinnovi di contratto effettivamente raggiunti ecc.) oppure sulle royalty legate alla vendita di singoli manufatti, opere dellingegno, progetti o brevetti, la seconda via quella della retribuzione pura del valore e dei risultati attesi pi difficile da identificare e quantificare economicamente. In questi casi la ricompensa sempre vincolata ad alcuni elementi forti della consulenza: la conoscenza specialistica; il trasferimento di vantaggi; gli elementi qualitativi della produzione; la possibilit di moltiplicare il valore di alcuni asset aziendali ecc. A giudizio di chi scrive negli anfratti di questo modello di ricompensa che si gioca il futuro del lavoro professionale autonomo in Italia. Per essere concreti, stiamo parlando di chi offre consulenza relativa a beni intangibili, esperti in tutti gli ambiti di conformit (al diritto ecc.), specialisti di comunicazione, art director, pubblicitari, ricercatori ecc. Per queste figure, che sono svincolate dalla mera produzione in serie,33 la formulazione di un prezzo si basa su elementi variabili e unici, difficilmente circoscrivibili in precise regole per la misurazione dei risultati.34 Il tipo di intervento richiesto non scomponibile o rivendibile al pezzo, ma incide in maniera significativa sul valore intrinseco di un asset aziendale. Che cosa significa? Mentre il mero costo che il consulente rappresenta per limpresa iscritto in un conto economico e ci che viene prodotto e acquisito dallimpresa fissato nel tempo nel suo stato patrimoniale, esiste un terzo elemento che rappresenta lambito in cui si fissa ed esprime al meglio lintervento del consulente ed il valore intrinseco, difficilmente riportabile nelle colonne di bilancio indicate. Il valore intrinseco e intangibile quel tipo di quotazione che unimpresa raggiunge quando la si considera dallesterno come societ che ha un potenziale, magari da mettere sul mercato quando si quota o si vende a nuovi proprietari. Questo valore non corrisponde n alla somma delle spese fatte n al patrimonio accumulato, ma un valore aggiunto. Lattivit del consulente che opera a questo li185

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vello interviene in momenti della produzione (comunicazione dimpresa, ricerca, progettazione, innovazione, management ecc.) che hanno una difficile collocazione economica in termini di spesa erogata. In quale parte del bilancio si iscrive, per esempio, il sapere acquisito da un direttore generale dopo avere fatto un media training? Queste forme di consulenza si concretizzano talvolta in un semplice trasferimento di know how o in azioni di promozione, innovazione e comunicazione che non hanno esito immediato. Quanto vale uscire sulla copertina di Panorama o sulla prima pagina del Corriere della Sera e quanto deve essere retribuito il consulente che ottiene questo risultato di immagine per il suo committente? E chi indirizza il business del cliente in maniera corretta? I risultati sono equiparabili al tempo messo a disposizione dal lavoratore intellettuale autonomo?

Pagare il risultato del freelance con retribuzioni variabili


Questo tipo di consulenza si concentra sul valore e sulle attese35 e viene remunerato con un sistema premiante svincolato dal tempo esecutivo di lavoro. In ambito aziendale c una forma di compensation simile ed la retribuzione variabile associata a incentivi e premi di risultato. Fuori dagli accordi di base, questi elementi di uno stipendio sono definiti a livello aziendale spesso per gruppi, ma molto frequentemente in maniera individuale, come se il lavoratore dipendente fosse un consulente interno, e sono collegati a risultati ottenuti. Uninterpretazione pi ristretta di matrice sindacale associa il variabile quasi esclusivamente agli straordinari, erogati in prevalenza agli operai. In realt un elemento molto pi complesso, che per figure come impiegati, quadri e dirigenti serve oggi a ripartire i benefici che unimpresa matura nel tempo. I metodi sono il profit sharing, il gain sharing, le stock options, i premi di gruppo, i premi di risultato, gli incentivi individuali e tutte quelle forme di bonus associate a variabili non economiche come il rispetto dei tempi, limpegno profuso, la posizione, la leadership ecc. Nella filosofia dellimpresa moderna e postfordista questa leva pensata per motivare i lavoratori in occasione di impegni straordinari, magari in tempo di crisi o al contrario nei momenti di grande domanda. Mentre per le stock options riservate ai top manager ha generato incredibili distorsioni retributive, nelle forme pi diffuse tra middle manager e impiegati il variabile ha rappresentato lunica vera novit che ha consentito negli ultimi ventanni di rendere pi flessibile il salario.36 Il discorso ci interessa per la vicinanza
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con le professioni indipendenti retribuite per la qualit del lavoro e non secondo paghe orarie. Alcune dinamiche sono le stesse, ma avvengono fuori dallimpresa, in particolare dove la consulenza interviene per accelerare processi, migliorare la qualit dei servizi, introdurre innovazione e nuova conoscenza. In questi casi la retribuzione collegata ai tempi di lavoro si basa sulle attese di guadagno o al contrario, in alcuni contesti molto tecnici come la finanza e linformation technology, sulle mancate perdite. Si pensi, per esempio, alla presenza in azienda di un marchio debole, poco riconoscibile sul mercato, oppure alladozione di tecnologie informatiche insicure per la protezione dei dati aziendali. Nel primo caso lintervento di un consulente capace di migliorare il brand aziendale produrr risultati legati allawareness, difficilmente quantificabile oggi, ma presumibilmente fonte di guadagni in futuro. Nel secondo lazione di un consulente in grado di riportare a livelli accettabili i rischi informatici evita di incorrere in perdite compromettenti, non si sa di quale misura, derivanti magari da attacchi hacker o dal fermo dei sistemi. Pi alta la posta, in questa specie di scommessa per ottenere nuovo valore intrinseco associato a determinati asset aziendali, pi la consulenza riesce a operare in deroga rispetto a semplici compensi basati sul tempo impiegato. Si scardina cio limpianto con cui si tende a comparare lavoratori interni e consulenti indipendenti, abbandonando ogni logica derivata con cui si pone il tempo-lavoro in diretta concorrenza. Si badi bene: il tempo non rimosso, ma procrastinato. Il punto cruciale di questa tipologia di quotazione la comprensione del periodo di tempo richiesto affinch limpresa raccolga i benefici sperati.

Mandare in frantumi il lavoro per fare buy-back sulla paga del consulente
Dietro a tutte queste strategie sul costo, c da chiedersi per se le imprese italiane siano davvero in grado di valutare lapporto della consulenza. A questo proposito basta una semplice fotografia sullimpiego delle figure pi richieste, ovvero gli ingegneri, per capire quale sia il livello di preparazione. Il Rapporto Istat 200637 sul nostro paese mise in evidenza un fatto: le imprese italiane chiedevano al 14 per cento degli assunti in ambito tecnicoingegneristico il possesso della laurea in ingegneria, anche quando non era necessaria, mentre al 7,1 per cento non la si chiedeva, al contrario, quando era necessaria. Complessivamente pi di un quinto delle imprese non aveva alcuna idea di quale tipo di
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lavoratore stesse portando in azienda. Scrive online Larsen, grafico freelance, commentando sul blog Humanitech.it uno dei modelli di retribuzione per il lavoro autonomo fin qui descritti:
Il problema nel mio settore ma credo accada in qualsiasi settore che abbia a che fare con la realizzazione di un bene immateriale che il cliente non ha la pi pallida idea di cosa stia comprando finch non lo vede. Per fare un parallelo con il mondo dellauto come se un cliente entrasse in una concessionaria e dicesse: Vorrei qualcosa con pi di tre ruote e un motore e in fretta, grazie!.38

Per giudicare lapporto del freelance diventa essenziale che un committente abbia una cultura adeguata al sapere circolante e alle sue forme pi innovative. Per pagarlo il giusto, invece, sono necessari il rispetto delle posizioni negoziali e un corretto equilibrio nel farsi carico dei rischi. Questultimo punto il pi delicato. Se vero infatti che in molti casi si arrivati alla riduzione del compenso dei freelance alla Ral di un suo omologo in azienda, la tendenza dellimpresa e pi in generale del sistema capitalistico, portato a ridurre ciecamente i costi di produzione per elevare i profitti, di applicare questa logica anche ai consulenti che intervengono sul valore, forfetizzando il loro contributo e cercando di utilizzare ancora una volta costi orari, anche quando non esistono omologie. una riduzione pericolosa che manda in frantumi leconomia della conoscenza perch ingabbia lalta professionalit in meccanismi derivati dalla cultura retributiva toyotista, salariale e forfetizzata, senza riconoscerne il valore e soprattutto la sua incidenza sui processi futuri. Svuota lapporto specifico per rendere routinario un intervento straordinario che avviene una tantum, in profondit, e lo classifica nella normale gestione dimpresa quando al contrario proprio perch il sistema dellorganizzazione aziendale non basta che si ricorre al lavoro professionale autonomo. sufficiente un esempio per chiarire questo punto. Il consulente di cui si raccontato laneddoto sulla parcella di 1000 euro rischia oggi lestinzione. Ci racconta Antonio De Giovanni, professionista indipendente che opera proprio a livello di assistenza sui server delle imprese:
Vengo chiamato con urgenza quando si verificano blocchi improvvisi o difficolt nel routing dei dati sulle reti informatiche. Oggi questa conoscenza pagata a ore, anche se salviamo investimenti del valore di milioni di euro. Siamo assimilati a tecnici interni, anche se nessuno in grado di fare quello che facciamo noi, e pagati sempre allo stesso modo. Facciamo risparmiare soldi a chi ne avrebbe persi moltissimi magari in servizi di e-commerce per i quali serve 188

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tenere sempre in attivit un sito web. La formula pi diffusa di compilare un rapportino che descriva il tipo di lavoro e il tempo impiegato da indicare poi in fattura. I compensi offerti? Mediamente intorno ai 70 euro lora pi Iva. Chi impone tariffe diverse per questi interventi? Soltanto altre imprese. Una mia uscita uguale a quella di un tecnico Ibm non retribuita neppure lontanamente allo stesso modo.

Capita spesso che un committente non capisca del tutto le capacit del consulente e faccia valutazioni pi per differenza e offerte parallele, mettendo in competizione autonomi tra di loro, oppure confronti in e out, interni ed esterni alle imprese, o peggio li consideri alle proprie dipendenze, come avviene in gran parte delle situazioni di irregolarit legata alluso improprio delle collaborazioni. La stessa dinamica di degrado si verifica nellambito della formazione, dove laccumulo di conoscenze, la rielaborazione e il trasferimento alle imprese forse pi evidente. Complice un settore pubblico appiattito sempre di pi sulla formazione di basso livello, standardizzata e spesso generica, oggi quella aziendale, pi tecnica e verticale, ha portato i consulenti a dover quotare il proprio lavoro a ore. Nel migliore dei casi (non sempre) sono retribuite anche le fasi di progettazione, ma si pu incappare in cifre inferiori a 20 euro lorde lora, prezzi vicini a quanto offerto a chi d ripetizioni di matematica agli studenti del liceo. vero che un lavoro sottopagato non va mai accettato, e a questo dovrebbe pensarci un freelance, ma quale idea di sviluppo ha un imprenditore che fa leva su questi parametri per rilanciare il suo business? Inoltre, pagare poco o comunque in misura non adeguata non equivale soltanto a svalutare il contributo fornito in termini di contenuto, ma modifica la natura stessa del lavoro autonomo, rendendolo routinario, scomponibile in unit di lavoro, riducibile e dunque governabile, ordinabile, o meglio subordinabile. Forse questa la tendenza del futuro: fare rientrare dalla finestra le figure che si sono fatte uscire dalla porta e pagare art director, formatori, temporary manager, copywriter, ricercatori per quanto fanno come se fossero persone che operano in unimpresa, applicando regole comprensibili, derivate da sistemi retributivi interni, meglio se su base oraria per quantit o singoli pezzi. Questo si chiama per frantumare il lavoro. Senza unadeguata cultura dimpresa, legata al rischio e alla scommessa sul futuro, indubbio che il tempo procrastinato, che d forma alla corretta interpretazione dei benefici derivanti dalla consulenza, e plasma lidea di premio associato, scompare in un presente continuo, bloccato sulla tariffa, sul salario, sulla quota base di una retribuzione. Ogni elemento di variabilit viene in189

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terpretato a priori e addio valore intrinseco, tutto rientra nel processo di produzione e lautonomia diventa unetichetta formale. Questa logica non altro che un maldestro tentativo del sistema dimpresa di fare buy-back sui premi di risultato, ovvero su quegli elementi di retribuzione variabile che oggi sono lunica forma per dare dinamicit alle retribuzioni e premiare il merito. Quando la logica del premio trasferita allesterno, il rischio pi grave di trovarsi di fronte a chi vuole recuperare proprio questo elemento di costo per appiattirlo su forme pi o meno marcate di equivalenza con le retribuzioni di base o con quelle lorde, facendo fare un passo indietro al consulente, e pi in generale alla qualit del lavoro.

Il rischio mio, ma lo gestisci tu


Nella cultura freelance lestemporaneit, lurgenza e la casualit di un lavoro tendono spesso a essere quotate di pi poich devono coprire il rischio di una rapida perdita di opportunit. La continuit o la discontinuit del lavoro e la garanzia o meno di ottenere un successivo ingaggio sono variabili che determinano il prezzo delle prestazioni rispetto a medie che solitamente si prendono come standard personali. Questo avviene sul fronte dellofferta, ma dal punto di vista dellimpresa c la tendenza sempre pi marcata nelle singole negoziazioni con i lavoratori autonomi a cancellare tale elemento. La flessibilit generale, gli strumenti oggi basati su Internet e, in alcuni ambiti, la stessa abbondanza di manodopera intellettuale, permettono alla domanda di trovare rapidamente risposte alle richieste. La conseguenza che nel gioco del prendere o lasciare, proposto dalle imprese, non pi possibile fare valere considerazioni minime sui tempi di lavorazione e talvolta neanche trovare spazio per presentare con le dovute cautele il valore messo in campo. Questo non solo incide sui costi, ma allarga sempre di pi le maglie che definiscono linizio reale di un rapporto di consulenza. Per un senior il percorso di ingaggio gi parte attiva del lavoro di consulenza poich inizia a guidare il cliente gi nelle fasi interlocutorie. I pi giovani investono al contrario molto su questa fase senza badare se sia realmente cost effective. A questo si aggiunga laffermazione di Internet che ha accelerato il tutto e rimarcato una differenza oggi evidente tra consulenti anziani, nati professionalmente nel corso degli anni ottanta e novanta, e le nuove generazioni digital native. Ma vanno fatti pagare o meno i primi consigli messi sul tavolo, magari per presentarsi? Chi non sa rispondere diventa facile pre190

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da di quelle imprese che tengono nel limbo il lavoratore, mantenendo un approccio morbido alla consulenza, non definendo fin da subito i termini contrattuali, per cercare di orientarsi e capire come muoversi addirittura senza il consulente! La tendenza a considerare normale unurgenza, ovvero routinario qualcosa di straordinario, e a farsi dare direzioni dal consulente prima di affidargli un incarico, sono indici spontanei di una deresponsabilizzazione diffusa nei confronti del rischio e nellinvestimento corretto e pianificato su risorse esterne. un fenomeno endemico, che si accentuato con laffermarsi della nozione di flessibilit. Questo vale per il ricorso a figure capaci di portare innovazione e consulenza top-down, ma anche per dinamiche che riguardano limpiego di risorse poco qualificate, nelluso indiscriminato, per esempio, di tirocini formativi (stage)39 come se fossero reali contratti dinserimento. Non soltanto una questione di costi, ma di scorretta interpretazione della responsabilit dimpresa e incapacit di pianificare il futuro, dando il giusto peso al tempo nel suo rapporto con il lavoro.

La nascita della Jackpot Economy


Il passaggio da unazione considerata promozionale alla fornitura reale di servizi sempre stato piuttosto chiaro nel mondo della consulenza eppure anche su questo fronte le cose stanno cambiando. Grazie soprattutto a quella centrifuga che Internet, il mercato cerca sempre di pi di acquisire prodotti e servizi come se fossero prove curriculari. In questa direzione si pu leggere la diffusione virale dei processi di ingaggio basati sul crowdsourcing via web, dove lesperienza addirittura un elemento superfluo della trattativa. Di che cosa stiamo parlando? Il crowdsourcing la ricerca di fornitori attraverso sistemi di recruiting e assegnazione delle commesse basati su tecnologie web: unazienda o unistituzione richiedono lo sviluppo di un progetto, un servizio o un prodotto a un insieme distribuito di persone non gi organizzate, che rispondono online alla domanda di collaborazione fornendo una soluzione gi articolata e spesso costruendola come se si fosse in gara. Al termine soltanto un freelance o un team acquisir lingaggio e verr pagato per ci che ha realizzato a sue spese e a suo rischio. Inizialmente il crowdsourcing indicava il lavoro di volontari, attivi nelle comunit che realizzano prodotti o servizi open source, ma diventato con il tempo sinonimo di un modello di ricerca libera di fornitori e per i freelance una possibilit per offrire i propri servizi su un mercato
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globale. In questo contesto fortemente competitivo, aperto e rischioso, trovano per ora spazio richieste nellambito della creativit, della scrittura, del design e dello sviluppo di servizi tecnologici. Non escluso, tuttavia, che si espanda a macchia dolio anche ad altri settori. Scrive Dilva Giannelli, art director con un passato in azienda e oggi indipendente:
Chiunque anche eventuali minorenni di cui sono responsabili solo i genitori pu partecipare a gare e concorsi creando il suo lavoro, che pu essere scelto dal committente, detto anche sponsor, votato o commentato da altri. Se il committente daccordo, il lavoro migliore vince un premio in danaro da cui dovranno essere detratte tutte le tasse ed eventuali costi. [...] La partecipazione a questo tipo di gare, per esempio nellambito della comunicazione pubblicitaria, fino a poco tempo fa era appannaggio soltanto di agenzie, perch fare gare non consisteva soltanto nel produrre uneventuale linea strategica e preventivi come accade in ogni altro ambito lavorativo ma nel produrre idee, cio produrre lavoro vero, gratuitamente. La partecipazione alle gare stata una delle cause della deprofessionalizzazione nellambito della creativit pubblicitaria, oggi in caduta libera.40

E aggiungiamo noi, la volont di intercettare fornitori senza discriminazioni di alcun genere sta svuotando il valore del lavoro, aprendo la strada del dumping sociale. Continua Dilva Giannelli:
Per il committente davvero una meraviglia: poter scegliere tra migliaia forse milioni di progetti architettonici fatti e finiti, pronti per essere edificati, progetti che possono essere rielaborati, modificati, spezzettati, riciclati... sai la soddisfazione? Ah gi, forse, per gli architetti la soddisfazione sar un po pi limitata, non si garantisce alcuna certezza di reddito, nel sito non ci sar la loro firma, s, vero, siamo nel mondo della flessibilit e dellinsicurezza, per, vuoi mettere la modernit?41

La conseguenza diretta di queste ricercate forme di buy-back con cui le imprese recuperano le componenti pi flessibili della retribuzione di un freelance la progressiva, lenta e graduale metamorfosi dei sistemi di trust e di rischio con cui si guarda ai risultati di lungo termine, e il rovesciamento delle logiche di investimento verso percorsi di finanziarizzazione del lavoro. In questo contesto il futuro non pi il momento naturale in cui attendersi risultati guidati dagli interventi del consulente, ma il tempo in cui sar, al contrario, il freelance a dover riporre le sue speranze per ottenere il giusto riconoscimento, farsi pa192

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gare, vincere un premio di risultato o suddividere come dice Andrew Ross, professore del dipartimento di Social and Cultural Analysis della New York University un jackpot.42 Senza forza negoziale, individuale e collettiva, la professionalit del freelance rischia di essere travolta da un vero appiattimento verso produzioni a cottimo e riduzioni dei compensi a regole aziendali, verso gare pagate ex post o forme di ribasso senza limiti, lasciandolo allo scoperto e solo, in un campo globale che non ha pi frontiere n lingue, dove ci si deve confrontare addirittura con chi offre collaborazione gratuitamente,43 ovvero con una platea sempre pi numerosa e agguerrita di freelance che scelgono questa strada per iniziare, per disperazione, perch forse non hanno pi nulla da perdere o ritengono di poter portare a casa qualcosa, magari in un secondo momento, in un futuro, appunto, che non ha pi una vera forma o come si dice non pi quello di una volta.

Il lavoro gratuito, meglio di nessun lavoro?


In molti pensano che mantenere vivi i contatti con determinati ambienti produttivi sia comunque meglio di niente e questa non soltanto una sconsolata battuta che si ascolta nellinformalit dei racconti sulle esperienze di lavoro, ma attraversa dibattiti molto pi seri relativi alla costruzione di un mondo del lavoro pi flessibile: si pensi allo slogan lanciato nel 1999 da Bill Clinton Un lavoro qualsiasi meglio di nessun lavoro, ripreso poi da Antonio Fazio, ex governatore di Bankitalia, e da Emma Bonino, oppure la convinzione che Nessun lavoro cos duro come non lavorare, slogan stampato sui manifesti dellUfficio di coordinamento federale delle iniziative per i disoccupati in Germania nel 1998.44 Di recente anche il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha ricordato, in particolare ai giovani neolaureati, che in periodo di crisi necessario rimboccarsi le maniche e accettare qualsiasi lavoro invece di aspettare un mestiere attinente al percorso di studio intrapreso. Ma perch uno dovrebbe cestinare il sapere acquisito e passare da scienze della formazione a fare lartigiano? Ti dicono che serve per migliorare le tue competenze e acquisire nuove conoscenze, per fare esperienze internazionali o fruire di momenti di formazione. In altri casi semplicemente per la possibilit di esserci, partecipare, comparire come lavoratore invece di non esserci. Dopo la caduta del Muro di Berlino e lallargamento dei mercati con la globalizzazione meglio qualcosa, anche poco, invece di farsi inghiottire e
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sparire dal mondo del lavoro. Eppure gli scoraggiati aumentano, dice lIstat. Basta leggere le sue rilevazioni degli ultimi dieci anni sulle forze lavoro in Italia. Il fatto che tutto questo ha a che fare con la progressiva e silenziosa rimozione del compenso economico dalla trattativa e la sua sostituzione con altra merce di scambio. La Francia non trova pi tirocinanti disposti a sorvegliare gratuitamente la fauna delle coste della Bretagna in estate. Ma che cosa si aspettano dai diplomati quando lo stesso paesaggio si pu vedere oggi da una webcam mentre si googleggia o chatta su Facebook da casa? Il problema rispetto al lavoro autonomo un po pi serio e si pone quando nellindecisione personale di chi non sa se accettare questo trade off tra ricevere una remunerazione e farsi un curriculum si intromette la malafede di chi offre il valore dellesperienza come pura ricompensa. Il giusto compenso? Il fatto di lavorare! La tentazione di accettare coglie soprattutto chi in fase di transizione e vede lopportunit come una porta di ingresso verso ulteriori sviluppi senza accorgersi che pu infilarsi in una gabbia. Questo perch la posizione da lavoro autonomo non prevede affatto linserimento in una stabile e pur minima organizzazione imprenditoriale45 e non quasi mai il viatico per successivi ingaggi. In pi ci si mette il fattore tecnologico e la possibilit di lavorare a distanza, che alimentano a dismisura queste opportunit: si va dalla collaborazione partecipativa alle iniziative web based per arrivare a tutti quei lavori in cui la ricompensa offerta al freelance equivale alla sola possibilit di essere visibile in Rete. In un clima di degrado progressivo del lavoro gli imbonitori digitali hanno facile gioco nel rivendere il fatto di essere un collaboratore come opportunit tout court, more than zero. Questo davvero il punto pi basso nella costruzione di un prezzo e di una relazione professionale, perch viene completamente annullata la trattativa e si chiede lavoro gratuito in cambio di fiducia. Quando si entra in questa spirale, molti freelance fanno ricorso a risorse individuali attraverso le quali ammortizzare trattative unilaterali e non negoziabili. Per tenere duro, si dice. C chi decide di operare sottocosto, o gratuitamente, sostenuto da condizioni familiari favorevoli, una casa di propriet, un compagno o una compagna con un lavoro stabile, oppure grazie a investimenti personali e strumenti gi acquistati. una forma di riequilibrio possibile, vero, ma sbilanciata sotto il profilo economico perch legata a posizioni di rendita e asset personali svincolati dalle attivit professionali. Espone vita e investimenti individuali alla merc di committenti, mode, filosofie del lavoro che esaltano la gratuit senza mostrarne i rischi.
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Se il lavoro un sogno che non si avvera allora svegliati


Uno dei pi attenti critici di questa tendenza si rivelato negli ultimi anni Andrew Ross, che non ha lesinato stoccate ai sistemi che promuovono la libera attivit e sono basati sulle nuove forme di digital labour.46 Quella che avrebbe dovuto diventare per Jeremy Rifkin una liberazione dal peso del lavoro manuale47 non porta alla fine del lavoro, ma si sta trasformando per Ross in un incubo vivente, sempre presente, un percorso indeterminato, quasi una lotteria per chi vuole fare ingresso nel mondo del lavoro soltanto attraverso la stretta porta delle interazioni digitali. Guardando al ristretto segmento del publishing americano, dove andato perso negli ultimi dieci anni il 36 per cento dei posti di lavoro, Andrew Ross dichiara:
Pu essere considerata plausibile lidea che molto del lavoro che si generato nel gap tra vecchi e nuovi strumenti sia stato trasferito negli interstizi delleconomia degli utenti che prevale sul web: considerare la questione della corrosione delle retribuzioni del lavoro professionale solo met del problema, ma proprio ci che i tecnolibertari negano nel descrivere le meraviglie del self publishing e della liberazione dai vincoli degli editori. La cosa pi interessante che il materiale prodotto dalla social economy online sempre pi materiale per motori e sistemi di speculazione e profitto.48

Nel mondo del lavoro freelance il premio lautonomia, ma la trappola l che aspetta e si chiama downgrading, ribasso o dumping, giocati sul filo di lana con il lavoro gratuito o la promozione individuale che non arriva a produrre reddito. Dice Ross, parlando di Internet, ma il discorso potrebbe tranquillamente essere esteso a molti altri ambiti:
Chi ha sempre visto il cyberspazio come paradiso di libert notoriamente cieco nei confronti dellimpatto che questo ha avuto sui tagli dei costi nel mercato del lavoro.49

Inutile negare, il potenziale per scardinare il modello tradizionale di organizzazione del lavoro elevatissimo, cos come sempre pi diffusa lidea di poter costituire mercati del gratuito ed economie alternative di ogni sorta. Ma c qualcosa che non funziona perch, come dice Andrew Ross,
i vecchi media sono chiaramente allineati con letica neoliberale della Jackpot Economy che chiede a tutti di partecipare a un gioco che per remunera soltanto pochi.50

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Molte di queste situazioni spingono in un angolo chi svolge attivit cognitiva e intellettuale in proprio, costringendolo a trovare opportunit dove si mascherano iniziative dimpresa. Sul blog Humanitech.it qualcuno volle prendere le distanze da queste forme di jackpot economy, pur facendone parte, e disse: Io lavoro gratis, ma per qualcosa, non per qualcuno!.51 Ecco, il rischio pi alto di nascondere nella dinamica di piccolo cabotaggio o nelle scelte individuali valori pi complessi e collettivi, di inghiottirli in silenzio sperando in un futuro migliore. giusto ricordare per che i rapporti di forza, tra capitale e forza lavoro direbbe chi usa ancora questo linguaggio, sono oggi ridimensionati e alcuni meccanismi cercano di farli sparire, spalmando sul singolo il rischio ed eliminando la remunerazione di un premio che viene differito in un futuro imprecisato, e non sempre, come dovrebbe accadere nella consulenza professionale, in un futuro previsto e anticipato in un compenso adeguato. Questo cortocircuito tra futuro imprevisto e rischio dimpresa che dovrebbe, ma non si assume la responsabilit di remunerare risultati attesi, oggi del tutto evidente in alcune dinamiche legate al lavoro gratuito via Internet, in particolare di chi si fa promotore di user generated content o, come scrive Carlo Formenti,52 svolge unattivit di prosumer, un po produttore un po consumatore. Diventa esplicito l dove la gratuit si mescola allapparente mancanza di finalit economiche. Spiega Formenti:
Uno dei capisaldi della critica marxiana delleconomia politica consiste nel puntualizzare che non esiste qualcosa come il valore del lavoro (pur essendo la sorgente di ogni valore economico, il lavoro in quanto creatore di valori duso, ricambio organico fra uomo e natura, non ha valore di scambio): esiste, se mai, un valore della forza lavoro, cio delle capacit lavorative socialmente prodotte, convertite in merce e dunque spendibili su ci che impropriamente definiamo mercato del lavoro. Una distinzione concettuale che rischia di perdere senso nel contesto delleconomia di Rete, dove, a creare valore, non pi solo o prevalentemente lattivit lavorativa di produttori riconosciuti come tali e ingaggiati in una relazione formale di scambio con le imprese capitalistiche, bens la cooperazione spontanea e gratuita fra comunit di utenti/consumatori impegnati in progetti spesso (apparentemente) privi di finalit economiche.53

Leconomia della conoscenza mantiene un livello sotto traccia che sta evolvendo verso forme di suddivisione del valore e di capitalismo distribuito, dove non vi per condivisione del capitale o della ricchezza, ma soltanto del rischio. Andrew Ross, citando Mario Tronti, lo chiama social factory,54 un socialismo
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cooperativo di nuova generazione, una forma di partecipazione libera al mondo del lavoro e della produzione intellettuale che nasconde per laccumulo di un jackpot e di risorse economiche riscattabili soltanto da pochi. Alle spalle di questo fenomeno c un fatto importante: i mezzi di produzione, oggi le tecnologie digitali, hanno consentito di abbattere considerevolmente i costi di produzione, scardinando poteri e vincoli, alimentando una spinta libertaria verso nuove forme di creazione intellettuale e un capitalismo cognitivo che ha trovato proprio in questi ultimi anni una giustificazione teorica forte, ovvero lidea di poter dare vita a uneconomia nuova, che potesse finalmente essere guidata dalla felicit,55 e trovasse il suo coronamento nel dono e nella gratuit, nelloffrire cio qualcosa allo spazio sociale, come contributo personale.56

Donare il tempo, ma quando un contributo professionale che cosa accade?


Niente di pi indovinato per definire nuovi spazi per le collaborazioni gratuite, professionali o meno, poco importa. La giustificazione teorica a sostegno di tutto questo ha trovato nel mondo dei blog italiani una grandissima e incondizionata adesione. Il Saggio sul dono di Marcel Mauss57 stato per lungo tempo il testo pi citato da chi ha visto nellaffermazione della gratuit su Internet la strada per uneconomia di nuova generazione aperta, libera, determinata dalla societ e svincolata da centri di potere o interessi economici, un modo nuovo di abitare nelle comunit digitali,58 per regolare meglio gli scambi interni alle digital social factories, trib dove la moneta assente. Mentre questa filosofia ha avuto e continua ad avere unimportante risonanza positiva nei contesti no profit, nelle manifestazioni personali di libero pensiero o nello sviluppo di comunit open source, le cose sono pi delicate quando si intacca leconomia produttiva, il mondo cio dei mestieri e il lavoro professionale autonomo che si relaziona alle imprese e al mondo dei profitti. La linea di confine con il lavoro gratuito viene assottigliata moltissimo e proprio su questo carro hanno iniziato a salire numerose imprese, soprattutto quelle web oriented. Basta citare lesempio dellitalianissima esperienza di Blogosfere.it che part in sordina nel 2005 come un aggregatore di blog sul quale ci si poteva proporre liberamente e scrivere in qualit di esperti senza avere la certezza di un compenso assimilabile a quello di un normale giornalista. Poco dopo il servizio arriv a una quota197

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zione di 2,5 milioni, venne incorporato nel gruppo Il Sole 24 Ore e successivamente ceduto a Populis, network italiano di blog, in una delle pi clamorose operazioni di speculazione finanziaria di un sistema soltanto apparentemente considerabile una vera social factory.59 Al di l dei casi concreti, interessante ricordare come la critica pi radicale mossa alle teorie di Mauss avvenne prima ancora che nascesse la grande avventura di Internet. Si tratta del lavoro che Jacques Derrida raccolse nel saggio Donner le temps60 e che ci pu aiutare a capire come affrontare la questione del tempo, del suo valore e del differimento nel circolo delleconomia. Scrive il filosofo francese:
Oltre ai valori di legge, casa, distribuzione e spartizione, leconomia implica lidea di scambio, di circolazione e ritorno. loikonomia. Scambio circolare di beni, prodotti, opere, segni monetari. La legge delleconomia il ritorno al punto di partenza, allorigine, alla casa.61

Alle homepage, diremmo oggi. Per Marcel Mauss il dono nella sua gratuit restituisce miracolosamente sempre qualcosa, ma non era chiaro allantropologo quale forza nella cosa donata facesse s che il donatario la ricambiasse. A questa domanda risponde Jacques Derrida:
Il dono, se ce n, si rapporterebbe senza dubbio alleconomia. Non si pu trattare del dono senza trattare di questo rapporto con leconomia, ed ovvio, perfino con leconomia monetaria.62

E qual il nesso con leconomia? Il tempo, ovvero il valore del tempo e la sua interpretazione rispetto al modo in cui avviene lo scambio di beni o di forza lavoro. Precisa ancora meglio il filosofo francese:
Il dono non dono, non dona che nella misura in cui dona il tempo. Il dono, rispetto a ogni altra operazione di scambio, dona il tempo e chiede il tempo, perch la cosa donata non sia restituita immediatamente.63

Tempo, dono ed economia si legano in maniera indissolubile e non eliminano il nesso con la moneta neppure quando viene apertamente dichiarato che lo scambio gratuito: ci che intacca oggi la qualit del lavoro, mandandolo in frantumi, lidea che il dono del tempo possa avere un differimento infinito, come se fosse una liberazione, o al contrario che sia un puro affare di chi presta la propria opera, che deve vedersela da solo, al
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di l di quanto accade nel suo rapporto immediato con i committenti. Sostengono Adam Arvidsson, Giannino Malossi e Serpica Naro, avvicinando questa lettura anche al mondo del design e della moda:
La tendenza verso lindividualizzazione del lavoro immateriale sembra una caratteristica della fase neoliberale del capitalismo dellinformazione.64

E non sbagliano, perch quando si viene pagati soltanto con lopportunit di utilizzare i mezzi di produzione o con la pura partecipazione alla costruzione di brand altrui, come se fosse un evento fuori da ogni contesto economico, il rischio sul piano individuale altissimo. Si afferma lidea che la rivalutazione dei contributi professionali possa avvenire in un prossimo futuro, ma non oggi, e che il lavoro si debba fornire gratuitamente per una ragione individuale, personale, per migliorare il valore di qualcosa a cui forse, non detto, potremmo accedere pi in l. A ben guardare questa non altro che una versione utopica del banale sistema aziendale di remunerazione differita al momento in cui si entra in possesso dei risultati, ovvero una formula vuota di gain sharing o profit sharing che ci esclude dalla condivisione fino a data da destinarsi. il punto limite, da non oltrepassare poich lassunzione intera del rischio un onere insostenibile per un freelance: svaluta sia le proprie opere sia la propria attivit. Alla fine, Marcel Mauss il suo Saggio sul dono non lo regal agli editori. E poi che cosa resta da offrire e da donare al termine del lavoro gratuito?

C una risposta nella nostra Costituzione?


Linversione delle forme di rischio, che scivolano dal mondo delle imprese ai lavoratori autonomi, o la svalutazione della consulenza, remunerata a cottimo, e infine il degrado del lavoro gratuito non sono certamente questioni individuali. Lesaltante rush libertario dellinformazione generata dagli utenti sul web soltanto il pi evidente esempio di uno spostamento generalizzato delle dinamiche del lavoro dal produttore al consumatore, dallimpresa al lavoratore e in molti casi, con la crisi delleconomia, dal sistema imprenditoriale incardinato su una forza lavoro che ha costi non comprimibili verso il lavoro professionale autonomo. Tutto questo, come dice Andrew Ross, just another transfer of work from more regulated kinds of labor market,65 lennesimo tentativo di sottrarsi alle forme pi regolate di lavo199

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ro. Non soltanto da quello subordinato, come indicano oggi sindacati, politica o stampa, ma pi in generale una deriva che sottrae qualit al lavoro, intaccando la correttezza delle relazioni e la dignit dei lavoratori. C un filo diretto tra lavoro sottopagato o gratuito e questo transfer, che il pi delle volte inganna, facendoci credere che impegnandosi con dedizione che possiamo salvaguardare in futuro altre occasioni. In realt un circolo vizioso, che fa di overwork, underpayment e sacrificial labour nuove norme non scritte contro le quali larma dello sciopero oramai una forma spuntata di lotta. E allora quali nuove coalizioni sono in grado di resistere e combattere? Come non lasciare che il lavoro professionale autonomo sia manovrato a piacere, impropriamente e verso una svalutazione e un ribasso senza ritorno? A nostro avviso le coalizioni non sono e non devono essere semplici organizzazioni, ma prima di tutto il risultato di un atteggiamento soggettivo tra le persone affinch si associno con altri e rivendichino i propri diritti. E cercando una risposta a partire dal diritto ci venuto listinto di leggere la nostra Costituzione. Abbiamo trovato queste parole nellarticolo 36:
Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantit e qualit del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a s e alla famiglia unesistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non pu rinunziarvi.

In chiusura del nostro discorso sul giusto compenso non resta che chiederci se la nostra Carta costituzionale indichi qualche via duscita o lasci il mondo del lavoro autonomo allo scoperto. Concordare un riposo con i clienti o avere delle ferie forse non sono dovuti, ma la proporzionalit della retribuzione alla quantit e soprattutto alla qualit sono diritti invalicabili, costitutivi anche e soprattutto del lavoro indipendente. Ebbene, che fine hanno fatto? Nel tempo sono diventati applicabili soltanto al lavoro subordinato. Perch? Scrive Pietro Ichino in una relazione tenuta nellaprile del 2010 allAccademia dei Lincei proprio su questo tema:
Fino alla met degli anni novanta la dottrina quasi unanime cos come ancora allinizio del nuovo secolo la giurisprudenza (Cassazione n. 13941/2000) ha teorizzato la coincidenza pressoch perfetta dei confini del campo di applicazione dellarticolo 36 con larea del (solo) lavoro subordinato.66

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La norma nacque nellAssemblea costituente dalla convergenza tra le istanze di parte socialista e comunista e quelle dei democristiani progressisti, portatori della lettura pi incisiva e interventista della dottrina sociale cattolica, ovvero da due correnti di pensiero che pi di ogni altra, intorno alla met del secolo scorso, attribuirono un ruolo rilevante allo stato e alla coalizione sindacale nella determinazione e nellincremento degli standard di trattamento dei lavoratori. Era unepoca senza partite Iva, finte o vere che fossero, e soltanto con la regolazione dei contratti a progetto. Dopo quasi cinquantanni cambiato qualcosa:
Nellultimo quindicennio venuta invece progressivamente diffondendosi, fino a potersi considerare oggi maggioritaria, la consapevolezza dellimpossibilit logica di escludere drasticamente e indiscriminatamente dalla protezione costituzionale tutti i rapporti di collaborazione autonoma a carattere continuativo.67

Il postfordismo bussa alle porte del diritto e lunica apertura possibile pare essere quella nei confronti dei collaboratori autonomi. Il riferimento alla legge Biagi esplicito,68 ma una strada che non ci convince. Separare i lavori svolti con continuit per uno stesso committente dallopera prestata per diversi clienti introduce un punto discriminante che non aggiusta le carenze della nostra Costituzione. Divide piuttosto il lavoro autonomo in due invece di ricomporre la sua forza e la sua diversit da quello subordinato. Nel lungo discorso di Ichino sul giusto compenso, allAccademia dei Lincei, ci sono per almeno quattro elementi utili per affrontare la questione. Il primo il richiamo alla genesi di quanto enunciato dallarticolo 36 della Costituzione. Gi nel 1928, si dice, lOrganizzazione internazionale del lavoro, con la convenzione n. 26, dichiar i princpi secondo i quali il legislatore fosse obbligato: 1) a fissare minimi retributivi laddove i salari il riferimento era allora solo al lavoro subordinato fossero eccezionalmente bassi; 2) linderogabilit in pejus di questi compensi. Ora, se si vuole tenere fede a questi princpi fondanti della nostra cultura del lavoro, la stessa che ci ha portato al modello sociale europeo, perch non impegnarsi a trovare forme equiparative degli elementi economici almeno l dove i contenuti professionali sono equivalenti, onde evitare che la deroga in peggio sia messa in atto dalle imprese proprio nellimpiego di lavoratori indipendenti? Nella grande citt del lavoro autonomo, per, non soltanto nei quartieri alti dei Co.Co.Pro. Se volessimo tornare a quanto enunciato dallIlo, non sarebbe del tutto errato che al201

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meno lo stato adottasse al suo interno minimi retributivi per progetti assegnati ai collaboratori autonomi, che li tutelassero da compensi eccessivamente bassi in modo da indurre (senza obbligare per legge, cosa impossibile da ottenere) comportamenti virtuosi anche nel mercato privato. Il secondo elemento riguarda invece lo scambio tra sicurezza nella continuit lavorativa e retribuzione. Nel lavoro subordinato, scrive Ichino,
il datore mediante il contratto si accolla entro un limite determinato il rischio degli impedimenti sopravvenuti e il lavoratore paga la copertura cos acquisita con un premio assicurativo implicito, percependo una retribuzione inferiore rispetto a quella altrimenti ottenibile. Per avere unidea dellentit di questo premio implicito basti considerare la differenza di compenso, secondo gli standard correnti, tra lora di lavoro di un artigiano falegname, o di un antennista, o di un ragioniere, e lora di lavoro di un dipendente qualificato che svolga esattamente le stesse mansioni. Un dipendente ha, per cos dire, acquistato la sicurezza della continuit del proprio reddito in cambio di una riduzione del reddito stesso, ma tutto quanto egli riceve compresa quella sicurezza il corrispettivo della sua prestazione lavorativa, globalmente considerata ex ante come soggetta al rischio di determinate sospensioni. Appare evidente che nella valutazione del trattamento economico del lavoratore alla stregua del principio di giusta retribuzione deve tenersi conto anche del contenuto assicurativo del rapporto di lavoro.69

In altre parole, il posto fisso ha una busta paga alleggerita dei rischi in carico al datore. Chi non accetta questo compromesso pagato di pi, dice Ichino. In verit lesempio proposto non si pu estendere al lavoro professionale autonomo che come abbiamo visto retribuito meno di quanto avvenga in azienda. Lerrore pi vistoso di valutazione sta proprio qui. Sulla carta un freelance dovrebbe percepire un premio molto pi elevato perch si accolla rischi non ceduti al committente, ma in pratica limpresa abbassa la spesa e insieme il rischio economico, cercando in ogni modo di fare buy-back a basso costo dei valori esternalizzati. Continua il giuslavorista:
La ripartizione di questi rischi tra datore e prestatore di lavoro avviene per mezzo della combinazione tra due disposizioni contrattuali: quella concernente lestensione e lintensit della tutela contro il recesso unilaterale del datore e quella concernente il grado di sensibilit del trattamento retributivo al risultato, sia esso individuato nella quantit del prodotto o nellutile conseguito. Alla collocazione di ciascun rischio in capo al datore corrisponde unutilit per il prestatore, in termini di maggiore sicurezza del reddito; il che 202

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comporta nel rapporto di lavoro contrattato dalle parti un costo implicitamente o esplicitamente pagato dal prestatore stesso in termini di minore retribuzione.70

Questo il punto pi delicato perch sia in termini di rischio dimpresa rispetto ai risultati presunti derivanti dal ricorso a una consulenza sia rispetto al rischio relativo allavere una posizione di lavoro individuale sul mercato, che significa affrontare in autonomia discontinuit di ogni genere (malattia, ricerca di committenze, promozione personale, obsolescenza del sapere ecc.) non vi un premio adeguato, ma soltanto una forte esposizione del freelance. In particolare, e questo il terzo punto, la sproporzione avviene in una determinata componente retributiva che quella cosiddetta sociale. Nel lavoro subordinato infatti la nozione di retribuzione mette insieme due prestazioni concettualmente distinte: una di natura corrispettiva, che unisce biunivocamente il lavoro effettivamente prestato e la proporzionalit del compenso, e una di natura sociale, appunto, che tutela il lavoratore nei suoi diritti fondamentali o di cittadinanza, riconducibili al principio costituzionale della sufficienza indicato nellarticolo 38 della Costituzione.71 Nel rapporto di lavoro autonomo tutto (o quasi) al contrario in carico al lavoratore che deve scorporare parti della retribuzione lorda per provvedere a questi diritti per poi affidarsi ai servizi comunque ampiamente insufficienti dello stato. Perch non estendere al committente quote di ammortamento di questi diritti del lavoratore, per esempio ampliando lo spettro della cosiddetta rivalsa o della ripartizione degli oneri contributivi? O altrimenti perch non incidere sullimposizione fiscale fino a determinati tetti di reddito sotto i livelli del lavoro standard? Finch ci sar unequiparazione fittizia tra insider e outsider, senza questa componente di equit, i diritti di cittadinanza saranno sempre declassati per gli autonomi. Come superare lo scoglio? Qui arriva il quarto e ultimo punto.

Lavoratori, non merce


A nostro avviso necessario portare questi lavoratori nelle maglie del diritto del lavoro, sottraendoli alla pura esposizione verso il diritto commerciale. I freelance non sono merce, non sono imprenditori o capitalisti, non hanno capannoni, non sono imprese o ditte, sono lavoratori. Per questo crediamo vada riconsiderata una delle pi radicate convinzioni del diritto del lavoro italiano e della cultura sociale del nostro paese. Scrive il giuslavorista:
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Autonomi e dipendenti rientrano nella nozione di lavoro a cui si riferisce larticolo 35 della Costituzione. Ma questa nozione assai pi ampia dellarea cui si estende il principio della giusta retribuzione: a tutti gli effetti lavoro protetto dallarticolo 35 anche quello dellimprenditore, inteso nellampio significato del termine fatto proprio dallordinamento comunitario, comprensivo del libero professionista, destinato normalmente a operare in un mercato concorrenziale in posizione di indipendenza effettiva nei confronti dei propri clienti o committenti. Anche limprenditore, beninteso, pu soffrire di conseguenze dannose di distorsioni del mercato; ma la correzione di queste distorsioni va ricondotta al principio di protezione della concorrenza e non a quello della giusta retribuzione di cui allarticolo 36.72

Qui sta il nodo: il passaggio per i freelance dallambito del lavoro a quello della semplice concorrenza tra imprese. La loro equiparazione alle aziende un falso storico, abnorme e deleterio. Nei fatti e nelle valutazioni oggettive delle imprese questo non avviene, inutile dire il contrario anche nel formalismo del diritto. Come si pu pensare di delegare questioni di relazione economica di questo tipo allAntitrust? O immaginare di porre il tema del giusto compenso sotto il profilo della concorrenza sleale tra una multinazionale e un lavoratore autonomo? Hanno forse lo stesso peso, le stesse risorse, la stessa voce? Nella definizione delle priorit, di ci che dovrebbe stare erga omnes, crediamo vada posta la tutela generale del lavoratore inteso come persona e cittadino, una difesa che intervenga in maniera indipendente dalla natura del suo lavoro. Finch non avviene questo salto, non in avanti, ma indietro, che riporti freelance, professionisti autonomi e consulenti nellalveo dei diritti universali di cittadinanza, sar il mercatismo a dominare sulle teste di questi lavoratori sempre pi esposti a riduzioni, svalutazioni e rischi.

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7. Gli outsider del welfare state

Le crisi silenziose fanno pi danni di una devastante rovina sotto gli occhi di tutti. Possono protrarsi pi a lungo e senza che siano prese le giuste contromisure, a partire dal semplice avviso ai naviganti che stanno affondando. Nel nostro paese non abbiamo assistito a processioni di dipendenti o manager licenziati che abbandonano in massa e in silenzio, in pieno centro di una grande citt, con i propri effetti personali in una scatola, gli uffici di banche o assicurazioni. Non abbiamo realmente assistito alla rappresentazione fisica di una crisi nella sua dimensione pi ampia. I nostri brutti quartieri ai margini delle citt non hanno new towns deserte, costruite in serie, con prefabbricati a basso costo, e abbandonate poi a se stesse, rimaste sfitte e vuote. La desertificazione prodotta dalla crisi in Italia ha intaccato altri territori rimasti allo scoperto e privi di protezioni, ha bussato prima e con maggiore frequenza alla porta del lavoro non tutelato, atipico e autonomo, composto da figure che non godono di rappresentanza e dunque escluse dalle stanze del potere, dai media e dallo stato sociale.

Lapartheid sociale che emerge con la crisi


Nelle dieci fasi di recessione che dal 1948 al 2010 hanno investito leconomia occidentale, soltanto la pi recente ha visto ventiquattro mesi ininterrotti di riduzione dei posti di lavoro. Nonostante questo, la crisi pi profonda che il mercato del lavoro abbia maturato nellultimo dopoguerra non sembra avere raggiunto lopinione pubblica e destato grande allarme sociale. Perch? Il livello delloccupazione ha fatto un passo indietro di set205

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te anni. Le richieste di sussidi e il ricorso alla cassa integrazione sono schizzati alle stelle: nella sola provincia di Milano tra il 2007 e il 2009 sono quintuplicate. Economisti, governo e parti sociali sono comunque concordi: il sistema di welfare sembra avere tenuto. Ma che cosa significa con precisione? Quali lavoratori vivono una crisi morbida e chi ha veramente subto la recessione? E perch questo avvenuto e presumibilmente avverr anche per le prossime fasi di difficolt economica? Le risorse pubbliche stanziate nella XVI legislatura italiana per fronteggiare la crisi occupazionale ammontano a 13 miliardi di euro, in gran parte, per, a carico delle regioni che per fare cassa hanno stornato ampie quote di risorse destinate alla formazione e provenienti dal Fondo sociale europeo. Sono somme ingenti, cifre monstre, amministrate nel delicato risiko della crisi direttamente da governo, amministrazioni locali e sindacati, attori che giocano un ruolo di primo piano in una partita politica e dimmagine senza precedenti, che consente di salvare posti di lavoro, aziende e famiglie dalla bancarotta. Quale potere pi grande mai stato concesso a chi interviene nelle politiche per il lavoro? I beneficiari di questa pioggia di euro sono stati principalmente i lavoratori dipendenti di grandi imprese e (con deroga) di piccole societ, ovvero chi presta servizio l dove il licenziamento un iter complesso. I riflettori sono stati puntati l. Da una parte impiegati e operai hanno occupato imprese, bloccato cancelli, manifestato sul tetto degli stabilimenti. Dallaltra una platea di lavoratori atipici, consulenti con partita Iva, collaboratori e, in molti casi, anche liberi professionisti sono stati costretti ad approntare in silenzio atterraggi di fortuna. Soli, senza nessun supporto o protezione sociale, visto che il nostro welfare non prevede alcun ammortizzatore: la perdita secca di reddito arrivata immediatamente e senza preavviso. Nel mese di maggio del 2009 il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, parl senza mezzi termini di una platea di 1,6 milioni di lavoratori che sarebbero rimasti senza sostegno in caso di perdita del lavoro.1 Otto mesi prima, criticando il disegno di legge per lestensione dei contratti a termine, anche Pietro Ichino parl di un progressivo consolidamento di un regime di apartheid tra protetti e non protetti. Questo modello del mercato del lavoro duale, dichiar il senatore del Pd, genera oggi posizioni di rendita da una parte, dallaltra situazioni di precariet di lunga durata, per ragioni che hanno poco o nulla a che vedere con il merito delle persone interessate.2 Il 75 per cento di chi perse unoccupazione nel primo anno di crisi fin proprio in questo ghetto. Carlo DellAringa in un intervento al Palazzo del lavoro di Milano3 fotograf nel 2009
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la situazione individuando da una parte un blocco granitico e quasi monolitico di soggetti interessati da uno Statuto del lavoro, sistemi di protezione sociale forte e diritti acquisiti che tutelano le famiglie e garantiscono sicurezza, malattia e previdenza, e dallaltra un variegato mondo di outsider che si fanno carico della flessibilit senza avere alcuna protezione e maturano posizioni previdenziali del tutto inadeguate ad affrontare il futuro. Tra questi ci sono certamente i lavoratori professionali autonomi. un discrimine che si sta delineando attraverso una delicatissima battaglia politica e sociale che negli anni ha visto una revisione profonda di molti istituti legislativi e contrattuali, diritti e politiche di welfare anche locali, e si radicato nel tessuto sociale grazie a dinamiche di polarizzazione interna al mercato del lavoro che pone oggi tra gli outsider principalmente le donne, i giovani e giovanissimi (in particolare i laureati), i lavoratori autonomi di seconda generazione e tutti i nuovi disoccupati. Soggetti che potenzialmente potrebbero ritrovare ragioni comuni per una nuova lotta sociale. Le rivendicazioni e il malessere mostrato nel dicembre 2010 durante la pacifica occupazione dei monumenti del paese da parte degli studenti italiani contro la riforma delluniversit non sono del tutto separati dalle urgenze che mettono in difficolt i lavoratori intellettuali autonomi o di tutti quei soggetti abbandonati dal welfare state e dalle politiche di sviluppo. Il cuore della protesta allora come oggi non era sulle misure di contrasto ai baronati o sulle modifiche dei consigli di amministrazione degli atenei, ma sulla totale assenza di capitoli di spesa per incentivare lo sviluppo del sapere dal basso, per assistere le fasi di transizione verso il lavoro, immaginare un futuro centrato sul valore della conoscenza e creare uno spazio di vita e unattivit professionale sostenibile, anche nei momenti di fragilit economica.

Flexicurity, chi lha vista?


La dialettica che separa in e out, tutelati e lavoratori vulnerabili, neolaureati portatori di nuove conoscenze e raccomandati che scambiano un posto di lavoro con un voto politico il vero campo di battaglia politica oggi. Per qualcuno questo contrasto una sfida collettiva da giocare in supporto a gruppi sociali posti in una condizione forzata di ritardo rispetto a una piena valorizzazione del loro potenziale, come sostiene per esempio Angela Padrone nella Sfida degli outsider,4 ma non si coglie in pieno il problema. Non soltanto una questione di dare tempo al
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tempo e trovare pure misure di incentivazione. Vi sono ragioni forse pi stringenti, maglie che nel nostro sistema definiscono una contrapposizione forte tra condizioni lavorative oggettivamente differenti, le cui opportunit sono circoscritte da limiti legislativi, fiscali e contributivi. La decostruzione e frammentazione del mercato del lavoro operate sia dalla destra sia dalla sinistra italiane negli ultimi ventanni maturate con la legge Treu e la riforma Dini fino alla revisione dei contratti a termine, passando dalla legge Biagi hanno inseguito la falsa illusione di poter rendere tipiche o aggiustare le forme di lavoro ancora sfuggenti o grigie, se non addirittura confinate nel sommerso, rispondendo al contempo alle necessit delle imprese di disporre di formule flessibili di lavoro (rispetto ai contratti a tempo indeterminato) per affrontare la discontinuit della domanda. Ci che avvenuto in realt stata una progressiva riduzione delle tutele tipiche del lavoro dipendente e la conseguente lotta sociale e sindacale per vedere riconosciuto al nuovo qualcosa di vecchio, e garantire uguale sicurezza nella flessibilit (flexicurity), tralasciando del tutto il margine pi lontano, eterogeneo per natura, che il lavoro professionale autonomo. In questo percorso tuttora aperto, e battuto implicitamente da ogni schieramento politico senza soluzione di continuit, il nodo del lavoro professionale autonomo sistematicamente rimosso perch pone lattuale dialettica flessibilit-precariet fuori asse e ne scardina le ipocrisie di fondo. Rappresentato nella sua partecipazione al mercato del lavoro dal cosiddetto popolo delle partite Iva il mondo dei freelance e dei consulenti , fa oggi emergere criticit e contraddizioni, ponendo in primo piano la necessit di ripensare i sistemi di welfare secondo logiche universalistiche, magari associate a diritti forti di cittadinanza, come peraltro avviene gi in gran parte dEuropa. opinione comune che questo darebbe vita a meccanismi di reale mobilit, garantendo protezione ed equit nei confronti di ogni lavoratore in maniera indipendente dal tipo di relazione che costruisce con i suoi committenti e non metterebbe pi i lavoratori su due piani, con il vantaggio non indifferente come ripete spesso anche Andrea Fumagalli5 di sottrarre anche il lavoro dipendente al ricatto cui sottoposto, derivante dalla perdita delloccupazione standard e dei diritti sociali a esso associati. Oggi, per, tutto ci non soltanto non accade, ma non sarebbe neppure possibile. Rinunciando a unanalisi granulare, si pu dire che il sistema italiano sia suddiviso in tre categorie di lavoratori: i dipendenti a tempo indeterminato, quelli a termine e il mondo del lavoro autonomo. Tralasciando la moltiplicazione de208

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gli intermediari che oggi possono fare le veci del datore di lavoro finale attraverso contratti di somministrazione, appalto ecc. arrivando fino alle cooperative oggi vere e proprie agenzie interinali low cost , appare evidente come la disputa politica e sociale si sia sempre giocata nel contrapporre il lavoro a tempo indeterminato con quello a termine, senza per approfondire la natura di questultimo e tantomeno vagliare le potenzialit reali dellautonomia, per tradizione associata soltanto a commercianti, artigiani e liberi professionisti, e mai a lavoratori indipendenti in generale. La cultura del lavoro oggi maschera tutto questo: la pervicace volont dei governi di centrodestra nellallargare le maglie del lavoro dipendente a termine ha sostanzialmente nascosto la presenza sempre pi forte, consapevole, organizzata, e oggi anche piuttosto agguerrita, di lavoratori che hanno sposato radicalmente la filosofia del lavoro indipendente rinunciando del tutto a essere sussunti nel mondo del lavoro salariato. Si pensi, per esempio, a quanto accaduto intorno ai Co.Co.Co., progressivamente eliminati. Con che cosa sono stati sostituiti? Con contratti a progetto, considerati erroneamente dal mondo dei manager aziendali delle risorse umane (e ancor peggio spesso anche tra i consulenti del lavoro) come una forma depotenziata di rapporto di lavoro subordinato, piuttosto che come in realt da un punto di vista del diritto del lavoro come un contratto di lavoro autonomo. La revisione delle relazioni di lavoro centrate su progetti a termine stata normata correttamente: la legge Biagi obbliga allassunzione a tempo indeterminato qualora non siano rispettate le indicazioni sui contratti a progetto, ma questa revisione non ha saputo tracciare discontinuit col passato, prima di tutto nella cultura del lavoro, mantenendo per i contratti a progetto e cos per il lavoro autonomo lambigua valenza di un vincolo tra imprenditori e pseudodipendenti, ovvero datori di lavoro e impiegati di serie B. Ogni riforma della legislazione sembra nascondere la precisa volont di sottrarre al lavoro indipendente di tipo professionale la possibilit di raggiungere una piena emancipazione e consapevolezza, facendo s che il vincolo con il capitale e il salario non venga mai rescisso. I pregiudizi sulle collaborazioni, intese come relazioni di dipendenza, sopravvivono nei fatti: neppure il tentativo di condonare queste irregolarit, come ha cercato di fare lesecutivo di centrosinistra nel 2007, servito a molto. Le imprese continuano ad avere interesse a impiegare risorse qualificate su progetti interni come se fossero propri dipendenti, ma pagandoli meno. Gli stessi sindacati, che intervengono nel dibattito sul lavoro irregolare, hanno uguale interesse a riportare il variegato mondo degli outsider nel segmento
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dei mancati dipendenti per rinforzare cos la propria linea di difesa del lavoro subordinato. In realt tra gli interstizi di un falso bipolarismo che vuole i lavoratori a tempo indeterminato come dipendenti di serie A e tutti gli altri come dipendenti mancati e di serie B, c unanomalia sistemica che fa crollare lintero impianto logico con cui si affrontano oggi le riforme. Il mondo delle partite Iva un segmento scomodo, difficilmente circoscrivibile, di mercato del lavoro, che non nasce con lo smantellamento del lavoro subordinato, ma preesiste da decenni.

Lavoratori autonomi senza tetto n legge


In tempo di crisi come scrisse Dario Di Vico sul Corriere della Sera in una serie di approfondimenti che a partire da settembre 2009 il maggiore quotidiano italiano ha voluto intelligentemente dedicare al problema avere una partita Iva sembra addirittura lunico modo di rimanere ancorati e iscritti formalmente al mondo del lavoro. Forse perch il modo pi semplice, come dimostra il fatto che il Codice civile ponga proprio la partizione tra subordinazione e autonomia prima di ogni altra fattispecie di relazione lavorativa. Se non sei dentro unimpresa, non resta che la formula pi libera e aperta di partecipazione al mondo del lavoro, ovvero lindipendenza, e quale sia questo tipo di lavoratore oggi non pi un mistero. In Italia le analisi di chi scrive o di Federico Butera, Enzo Rullani, Gian Paolo Prandstraller o Angelo Deiana sul capitalismo intellettuale, il postfordismo e il knowledge working, e gli studi di Aldo Bonomi, che chiama questi lavoratori capitalisti molecolari, hanno colto bene le trasformazioni della societ postfordista e descritto abbondantemente questo popolo nato in seno al terziario avanzato, ponendolo correttamente nella seconda generazione di partite Iva, dopo artigiani e commercianti. Alla fine degli anni novanta il quadro teorico era abbondantemente delineato e ancora, dopo dieci anni, Emiliana Armano ha saputo produrre unottima sintesi di queste rappresentazioni,6 inserendole nel contesto pi ampio del lavoro della conoscenza, in un quadro che raccoglie e integra contributi descrittivi seguendo quel filo che unisce Peter Drucker a Richard Sennett, Manuel Castells a Christian Marazzi. Nella ricomposizione fenomenologica del lavoratore autonomo che opera in Italia non si sottolinea per mai abbastanza quella componente di materialit spuria che condiziona scelte e prassi, e lempirismo legislativo tipico del nostro paese che determina la condizione di vita e di lavoro di freelance in una difficile lotta
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giorno per giorno contro fisco e previdenza, o per farsi pagare o riconoscere il giusto compenso da parte dei committenti. Il segno dellesclusione e dellapartheid di queste figure si ritrova proprio nei diritti e nei doveri imposti dal nostro ordinamento, pensato principalmente per lavoratori dipendenti e imprenditori, ma non per chi non n luno n laltro. Il lavoratore autonomo, scrive Sergio Bevilacqua,
si assume oggi uno scambio che il dipendente non intende assumersi: garantisce flessibilit socialmente ed economicamente utile in cambio di autonomia. La pesantezza dellonere che il professionista paga per la propria autonomia in grado di scoraggiare la maggior parte della popolazione attiva sul mercato del lavoro.7

Questo significa in termini pratici un impegno senza disattenzione, un commitment che il lavoratore autonomo non deve esercitare soltanto verso i propri clienti, ma anche nei propri confronti per non perdere il passo e dare continuit e sicurezza a ci che fa. Limpegno di cui parla Bevilacqua nasce dalla necessit di operare da soli sul mercato senza tempi certi di impiego o di pagamento, dovendo amministrare ogni attivit: una fiscalit per nulla immediata; la ricerca di clienti; la promozione di se stessi; la formulazione di offerte; investimenti negli strumenti adeguati e soprattutto una formazione continua che pone la propria conoscenza ai livelli pi alti richiesti dai committenti. Avere una partita Iva oggi equivale a porsi sul mercato in termini forti come lavoratori autonomi ed esercitare attivit senza una rappresentanza riconosciuta, coperture dei sistemi di welfare e servizi. La stessa relazione di prestazione dopera esclude (tranne in rari casi) trattamenti di fine rapporto, bonus o incentivi. Chi ha il coraggio di affrontare tutto questo? Un lavoratore con partita Iva poi di fatto fiscalmente equiparato a unimpresa, per esempio nellobbligo del pagamento dellIrap, ma non ha le medesime possibilit legate a detrazioni e oneri deducibili. Ha una posizione ibrida che non concede chance per ottenere crediti formativi, assegnati solitamente ai lavoratori in difficolt, n di partecipare a bandi di finanziamento, riservati, al contrario, alle imprese. Non spetta, inoltre, a questi lavoratori copertura assistenziale per la malattia non ospedalizzata. I diritti legati alla maternit sono assai ridotti e non previsto sussidio di disoccupazione alcuno, fatta eccezione per una risicata famiglia di collaboratori che operano in regime di monocommittenza e rispondono a specifici requisiti (reddito, continuit di prestazione ecc.). Si badi bene: questa rara concessione, che a ogni modo garantisce un supporto economico comunque indecoroso, fu pensata dal mi211

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nistro Cesare Damiano e poi sostenuta da Maurizio Sacconi per estendere forme di ammortizzazione tipica del lavoro salariato al mondo degli autonomi, ma tradisce chiaramente il maggiore pregiudizio sul lavoro atipico, ovvero che debba essere ricondotto nellalveo di quello subordinato. Una reale ristrutturazione su base universalistica delle norme sugli ammortizzatori sociali avrebbe dovuto essere condotta in parallelo alla scrittura della legge Biagi. Liter fu svincolato dalla stessa con il disegno di legge 848-bis, ma non venne mai portata a termine. Si proceduto cos a flessibilizzare il mercato tralasciando la revisione degli istituti di protezione sociale. Una semplice dimenticanza? O piuttosto il disegno politico di mantenere inalterato quel monolite granitico italiano che consente a governo e sindacati di spartirsi i miliardi di euro stanziati ogni anno per fronteggiare le crisi aziendali? In quale misura si giocano calcolo e incapacit di innovare? Ogni tentativo di mettere mano ai sistemi di flexicurity procede oggi in Italia per piccoli balzelli, come nel disegno ricorsivo di un frattale, ovvero cesellando con cura forme gi definite in principio e toccando microelementi del tutto ininfluenti sullassetto generale. Le promesse di revisione si susseguono senza soluzione di continuit nellalternanza degli schieramenti al punto che per il centrodestra la riforma degli ammortizzatori diventata oramai un impegno equivalente alla riformulazione del conflitto di interessi per la sinistra: una vana speranza. Ultimo segnale in questa direzione sono le indicazioni contenute nel Collegato lavoro di fine 2010, dove si spostata in avanti di altri due anni questa responsabilit da assegnare a un governo fantasma, ancora ignoto. Soltanto un anno prima, il 21 dicembre 2009, il ministro del Lavoro Sacconi promise
unindennit di disoccupazione su base generalizzata e un secondo strumento integrativo rivolto a conservare il rapporto di lavoro quando dovessero ridursi il volume della produzione e delle ore lavorate.8

Propaganda pura.

Quando la previdenza a strozzare il lavoro


La stessa filosofia ha guidato per anni la riforma del sistema previdenziale. In questo caso, per, la contraddizione esplosa, maturando nei confronti degli autonomi tutti i segni del danno, se non addirittura della beffa. Il peso che devono sopportare ora i lavoratori freelance non iscritti a un ordine professionale enor212

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me. Ne parla Antonella Gallino, lavoratrice del settore della comunicazione ed editoriale, in relazione alle scadenze di pagamento di fine anno, che descrive cos:
passato da poco il 30 novembre, innominabile data-boia: coincide infatti con la scadenza del versamento del secondo acconto perentorio, non rateizzabile di tasse e contributi. E che contributi! Per i professionisti non ordinistici siamo giunti, si sa, al 26,72 per cento. Un drenaggio insostenibile dal punto di vista del prelievo subto, ancorch insufficiente alla costruzione di un congruo montante contributivo bench, forse, qualche alternativa di gestione ci sarebbe, se non altro privatistica. Per non parlare, al presente, della controparte di servizi sociali che ci vengono riconosciuti... No comment.9

Il disappunto totale e lo stato visto nel ruolo di un boia che recide prima di ogni cosa la speranza. Ma come si arrivati a queste valutazioni, peraltro ampiamente condivise tra il popolo delle partite Iva? Per capire facciamo un passo indietro a partire dalla nascita della gestione separata nel 1996, ricordando una legge maturata qualche mese prima10 in seno al governo Dini e firmata dallallora ministro del Lavoro Tiziano Treu, che istitu la regola per tutti i lavoratori autonomi senza un albo professionale di versare le proprie quote contributive in questa cassa. Come ricordavamo in precedenza, appena nato questo obbligo pesava soltanto per un decimo del fatturato, al punto che dopo quattro anni qualcuno gi chiamava questa categoria di lavoratori il popolo del 10 per cento.11 Inizialmente era previsto un adeguamento progressivo allaliquota di artigiani e commercianti (19 per cento), in corsa, per, gli obiettivi cambiarono: il target guarda caso diventato quello dei lavoratori subordinati (33 per cento). Il legislatore ha immaginato di poter cos scoraggiare il ricorso al lavoro atipico, senza tener conto, per, di chi lautonomia la desidera e pi in generale il fatto che questi aumenti fossero pagati comunque dalla parte pi debole, ovvero i lavoratori indipendenti, non dalle imprese. Nel 2004 la quota pass al 17,4 per cento. Il ministro Cesare Damiano decise poi un innalzamento fino al 26,81 per cento entro il 2011. In quattordici anni la crescita dei contributi per la gestione separata Inps stata del 260 per cento. Pian piano stata eliminata anche la parte di contribuzione figurativa, aumentando cos il peso della previdenza a carico delle partite Iva. Proiezioni pubblicate dal Corriere della Sera12 a fine 2010 parlavano di pensioni pari al 36 per cento dellultimo reddito per i collaboratori e al 45 per cento per i dipendenti, contro il 70-80 per cen213

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to finora considerato normale e necessario al mantenimento di una vita decente. Linnalzamento dei contributi dei consulenti e freelance alla gestione separata potrebbe far aumentare di qualche punto il grado di copertura pensionistica, ma saremmo comunque ben lontani da quel 70-80 per cento. Per arrivare a tale risultato dovrebbero raddoppiare, superando il 50 per cento! Ipotesi chiaramente insostenibile, persino per il sindacato. La riforma pensionistica introdotta dal governo Dini che rende il sistema contributivo e non pi retributivo, poich viene agganciato alla rivalutazione di un montante accumulato durante tutto larco della vita lavorativa e non alle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro risulta sempre pi iniqua e inadeguata con il passare del tempo e ancora di pi per i lavoratori autonomi, per almeno due motivi: lassenza di una copertura pensionistica nelle situazioni di non lavoro; la mancata remunerazione del montante accumulato, a causa di una rivalutazione ancorata allandamento del Pil, notoriamente non brillante, che difficilmente riuscir a garantire il mantenimento del potere dacquisto. Il risparmio depositato obbligatoriamente nei sistemi previdenziali pubblici non potr assicurare alcuna rendita. Se poi si considera che molti lavoratori, a causa di redditi bassi e discontinui, potranno avere una pensione non superiore a quella sociale, evidente che viene meno ogni incentivo alla contribuzione previdenziale, se non addirittura il principio legale di previdenza a cura dello stato. Pi di un quarto del reddito individuale viene cos bruciato in un sistema che non offre prospettive. In cambio questi lavoratori ricevono poco o nulla dallInps, spingendoli sempre pi ai margini dello stato sociale. Si pensi, per esempio, che la stessa invalidit, nellambito del lavoro autonomo, non sufficiente per entrare tra le categorie protette alle quali sono riservati posti per concorsi pubblici. Per accedere a queste liste di disabili occorre prima essere disoccupati, chiudere la partita Iva e avere redditi comunque inferiori a 4000 euro lanno. Scrive a questo proposito Andrea Facco, disegnatore Cad indipendente, con uninvalidit del 60 per cento dovuta a handicap motori:
Mi spiegate perch io lavoratore autonomo con invalidit non possa appartenere alla lista di lavoratori disabili? Perch devo smettere di lavorare, per tornare a lavorare in un lavoro pi consono? Non sarebbe stato meglio mettere tutti i disabili nella lista delle fasce protette e poi eventualmente dare una via preferenziale ai disoccupati dando loro per esempio un punteggio pi alto, in modo che le aziende comunque possano scegliere chi assumere e chi no? Capisco che

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i disoccupati abbiano diritto di lavorare, ma non tutti i disoccupati sono adatti per tutti i lavori richiesti, oltre al fatto che dipende dalla disabilit. Finch lavoro non potr mai inserirmi nelle fasce protette. Altra cosa assurda porre i limiti di reddito a circa 8000 per i dipendenti e 4000 per gli autonomi, per entrare nella lista delle fasce protette. Qui, scommetto, c lo zampino del sindacato. Chiedo: noi autonomi vi facciamo cos schifo? Dove sta leguaglianza tra cittadini e lavoratori?13

Per i freelance esistono meccanismi di tutela della maternit, ma molto farraginosi; i congedi parentali sono soltanto per le donne che hanno contratti a progetto; non sono previsti i sussidi di disoccupazione, come gi detto, e la malattia domiciliare pagata soltanto ai collaboratori a progetto 19,11 euro al giorno, ma per averli devono fare salti mortali contro la burocrazia. E mentre per il lavoro dipendente parte del Tfr pu essere convertito in un piano privato di previdenza (il cosiddetto secondo pilastro), alle partite Iva manca uno spazio di manovra di questo tipo, per immaginare nuove forme di protezione, magari mutualistiche, collettive, come nacquero in passato in seno al lavoro dipendente. Vi ricordate le colonie estive per i figli dei dipendenti delle Ferrovie dello stato (oggi in completo dissesto)?

Meglio lignoranza del sommovimento sociale?


Provvedere ad accantonamenti che proteggano i lavoratori autonomi nelle situazioni di disoccupazione un obiettivo pressoch irrealizzabile, cos come impossibile avere proiezioni sul proprio futuro pensionistico. I governi di destra e di sinistra almeno in questo si sono dimostrati essere daccordo: non eccedere in trasparenza sul welfare previsto per i lavoratori professionali autonomi e chi rientra nel sistema contributivo. Nel 2009 il ministro Sacconi annunci in pi occasioni che entro il 2010 lInps avrebbe mandato a ogni contribuente una busta arancione con un estratto conto sullo stato dei suoi pagamenti previdenziali. Sullesempio della Svezia, ogni italiano avrebbe conosciuto le proiezioni riguardo alla pensione che pu aspettarsi a fine carriera. Un anno dopo lInps ha smentito la promessa: nessuna busta, nessuna informazione. Si pu rimanere in mezzo al guado senza sapere che cosa c dallaltra parte del fiume, senza contare le complesse dinamiche di svalutazione diretta del valore economico del lavoro intellettuale in Italia, sulle quali ci siamo soffermati nel capitolo dedicato al giusto compenso dei lavoratori indipendenti. Siamo di fronte a un oggettivo sistema di
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sperequazione sociale che in molti casi mette in ginocchio il lavoro professionale autonomo senza garantire nulla in termini di servizi sociali. Questa interpretazione ha paradossalmente trovato conferma il 5 ottobre 2010 per voce dello stesso presidente dellInps Antonio Mastrapasqua durante un convegno dal titolo Gli scenari del welfare. Tra nuovi bisogni e voglia di futuro. La voglia, per, lha subito fatta passare con queste parole:
Noi ancora non forniamo la simulazione della pensione perch non riteniamo di poter dare improvvisamente a tutti i cittadini uninformazione se non c prima una confidenza, una cultura. Cio, se io oggi riuscissi a dare, ed impossibile, a un lavoratore a progetto al terzo anno la simulazione della pensione, ci sarebbe forse un sommovimento sociale in Italia, ma non dovuto a una carenza del pubblico: dovuto a una non capacit delle persone di saper leggere il proprio futuro attraverso la previdenza.

In altre parole non lo stato ad avere progettato un modello inadeguato, ma la mancanza di cultura a creare disagio nel lavoratore e la sua pensione da fame in futuro. Ma colpa degli autonomi che sono incapaci di accettare un sistema che non assicura una quiescenza dignitosa e viene meno a ogni principio di solidariet? No. il modello previdenziale italiano che non restituisce in proporzione a quanto prende e manca di equit. Non un caso che lente della pubblica amministrazione centrale che fa man bassa di lavoratori interinali (con il record di circa 2000 alla fine del 2010), senza porsi problemi di stabilizzazione, sia proprio lInps. Laffermazione di Antonio Mastrapasqua, che pare fuori dal mondo, in realt ha confermato la volont esplicita di tenere nellignoranza i contribuenti sulle pensioni che riceveranno: un atto di deliberato sovvertimento dei princpi pi elementari di governo democratico delle istituzioni, a partire dallobbligo legato alla trasparenza amministrativa. Queste affermazioni scandalose hanno ribadito anche il processo di lento degrado del lavoro in Italia. Con il Protocollo sul welfare, firmato tra laltro da tutti i sindacati, finalizzato allabolizione del cosiddetto scalone, si giunse perfino al paradosso: gran parte dei 10 miliardi di euro utili alloperazione furono pagati con linnalzamento dei contributi per parasubordinati e autonomi. I soldi chiesti agli outsider servirono per pagare la quiescenza di lavoratori dipendenti. In cambio di quale miglioramento delle coperture per lassistenza individuale? Nessuna. Il mercato unico del lavoro, supportato da un sistema di welfare forte, che non sia centrato unicamente sulla spesa pensionistica e favorisca soltanto il lavoratore dipendente
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a tempo indeterminato, ma sia incardinato su tutele legate alla cittadinanza o perlomeno estese agli outsider, davvero ancora lontano a venire. una formula vuota, plasmabile a piacere. Con unaggravante, che soltanto una tradizione come quella italiana capace di esprimere: in questo contesto neppure il buon viso possibile. Chi oggi salta un pagamento Inps entra in un circolo dantesco. Spiega la questione Alfonso Miceli, formatore:
Negli anni ho registrato alti e bassi di reddito, con balzi in gi o in su del 50 per cento o del 100 per cento e una forte discontinuit nei pagamenti. Per esempio, molte aziende regolano i conti a dicembre con la chiusura della contabilit annuale: a settembre e ottobre sono cos pi lenti, mentre in molti casi a luglio e ad agosto si ferma tutto... Risultato? Alcuni pagamenti delle rate Inps del 2009 sono saltati. Ricordo soltanto che bastano 30.000 euro lordi per dover pagare circa 8000 euro di previdenza, dei quali circa 1500 euro tra agosto e dicembre, in periodi appunto dove regna la discontinuit dei pagamenti da parte dei clienti. Ma che cosa accade se saltate un pagamento Inps? Ecco la risposta: vi viene data una multa del 75 per cento dellimporto; le multe sono soldi persi, non vanno a integrare il vostro montante contributivo (ovvero la vostra pensione); prima di prendere la multa non si pu ottenere una dilazione dei pagamenti, dopo la multa si pu. Considerando il fatto che la previdenza dovrebbe essere qualcosa che permette al lavoratore di vivere meglio e di garantirsi un futuro, cosa succede quando questa diventa il principale ostacolo alla sussistenza nel presente e, soprattutto, non pi conveniente dal punto di vista economico? in linea con i princpi di costituzionalit del nostro ordinamento giuridico? Ho molti dubbi. LInps non una tassa, ma un fondo in cui io verso parte del mio patrimonio per garantirmi un servizio e, in nome del principio di solidariet, anche agli altri cittadini. Non dovrebbe mettermi in difficolt, bens aiutarmi. Troppo semplice come lettura del problema?14

Le ipotesi in campo per la riforma del welfare


In realt la questione non per nulla semplice, e lo dimostra la clamorosa dichiarazione della Corte di Cassazione sulla natura dei contributi alla gestione separata Inps, definiti
una tassa aggiuntiva su determinati tipi di reddito [...] per fare cassa e costituire un deterrente economico allabuso di tali forme di lavoro.15

Si paga come gli svedesi per un welfare da Texas e le cose andranno peggiorando ancora verso lobiettivo dichiarato da tutti,
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Partito democratico in testa, di equiparare il lavoro professionale autonomo a quello dipendente.16 Destra e sinistra sembrano volere distrarre la propria attenzione, rimuovendo ogni responsabilit politica verso gli outsider, cos in bella vista da diventare invisibili. Le contromisure a questo stato di degrado arrivano da iniziative che non entrano mai in agenda politica: sono depositate in alcuni casi in Parlamento, ma non sono mai calendarizzate discussioni di primo piano. Da destra, per esempio, si pensato di mettere mano allo Statuto dei lavoratori, una legge pensata e voluta da Gino Giugni che risale al 1970 e pur mantenendo alcuni spunti di attualit, opinione di molti che dovrebbe essere aggiornata. Tra questi il ministro Maurizio Sacconi e i sindacati, ma dal lavoro congiunto di almeno un anno, dalla montagna si pu proprio dire che abbiano partorito un topolino. Uno striminzito documento di poche pagine con cui le parti sociali si impegnano in un lungo progetto a venire di riforma dello Statuto. La bozza della Delega al governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori contiene un obiettivo piuttosto singolare, almeno dal punto di vista semantico, ovvero lidentificazione di un
nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale monocommittenza.17

Questa la geniale mossa rivoluzionaria. Luniversalit applicata cio a casi specifici! La volont di fondo distinguere allinterno del mondo dei lavoratori autonomi quelli in monocommittenza, ovvero chi ottiene il proprio reddito in prevalenza da un solo committente e che dovrebbe essere considerato economicamente dipendente e dunque socialmente ed economicamente debole. Per questi e soltanto per questi potrebbe nascere in futuro un sistema di tutele da far pagare alle imprese. Ancora non chiaro se si tratta di un punto su cui fare leva per nuove estensioni del diritto o un punto di arresto, ovvero una semplice concessione per tappare qualche buco, ma il disegno bipartisan appare chiaro: per fare entrare nel diritto del lavoro standard, e di conseguenza nellanticamera delle tutele, i freelance e il lavoro intellettuale indipendente, i giuristi ritengono necessario aggiungere alla definizione di lavoratore autonomo la precisazione di economicamente dipendente. La fonte di ispirazione lo Statuto del lavoro autonomo spagnolo, redatto nel 2007, dove si legge:
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Il capitolo III riconosce e disciplina la figura del lavoratore autonomo economicamente dipendente. Tale regolamentazione risponde alla necessit di fornire una copertura giuridica a una realt sociale: lesistenza di una categoria di lavoratori autonomi che, nonostante la loro autonomia funzionale, svolgono la loro attivit con una forte e quasi esclusiva dipendenza economica dallimprenditore o dal cliente che usufruisce dei loro servizi. La legge contempla il presupposto in cui questo imprenditore sia il suo cliente principale e da questi provenga almeno il 75 per cento degli introiti del lavoratore.18

Questa novit entrata di recente nella giurisprudenza ha influenzato anche alcune proposte italiane di Statuto del lavoro autonomo, formulate per esempio da alcuni consiglieri leghisti della regione Veneto nellottobre 200919 o dal senatore Tiziano Treu20 che ha immaginato un importante progetto di riforma. A differenza di questi due statuti, la bozza di delega del ministro Sacconi restringe per larea della dipendenza economica alle sole collaborazioni a progetto. In questa interpretazione i diritti universali, cos facilmente invocati, e la loro applicabilit esprimono una chiara contraddizione: ci che dovrebbe essere di tutti i lavoratori applicato ai soli lavoratori dipendenti e ai Co.Co.Pro., in un maldestro tentativo politico di tenere insieme concetti opposti che rivela pi lapproccio discriminatorio delle politiche per il lavoro nei confronti del mondo degli autonomi tout court che una chiara linea riformista. Anche Pietro Ichino cade in questa trappola teorica nel suo progetto di riforma complessiva del mercato del lavoro proposta con il disegno di legge 1873 che interviene direttamente nella modifica del Codice civile e intende superare lipertrofia del sistema protettivo e il dualismo del sistema italiano.21 Sebbene il testo sia poco centrato sul mondo dellautonomia, vi sono almeno due elementi di interesse: 1) la volont di introdurre come criterio distintivo del lavoro intellettuale e professionale autonomo la prevalenza del valore del lavoro personale rispetto a quello del capitale utilizzato nellattivit economica, separando definitivamente impresa e lavoro indipendente; 2) lidea di introdurre diritti di protezione sociale anche in questo segmento di mercato del lavoro. Anche in questo caso, tuttavia, la limitazione riguarderebbe chi economicamente dipendente, con retribuzioni annue non superiori a 40.000 euro derivanti da un solo committente almeno per i due terzi del reddito. Questo impianto porterebbe modifiche nello stesso articolo 2222 dellattuale Codice civile, dove c il cuore della definizione di lavoro professionale autonomo, introducendo una sostanziale modifica per distinguere la fattispecie di soggetti economicamente dipendenti a
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cui spetterebbero diritti aggiuntivi, simili a quelli dei lavoratori dipendenti. Il risultato? Che un ricercatore al quale viene commissionato uno studio del valore di 39.000 euro lanno vedrebbe riconosciute malattia e altre indennit, mentre un webmaster che confeziona tre siti in un anno per tre clienti differenti, guadagnando lo stesso reddito, non avrebbe questi diritti. da considerare un primo passo, un allargamento dei princpi di inclusione sociale? O lennesima inconsapevole formula per separare fattispecie e cercare di inquadrarle, ma cos facendo creare nuovi elementi di discrimine e di esclusione sociale? Di altra natura , per esempio, il disegno realizzato da Tiziano Treu, che cerca di colmare con il suo Statuto dei lavori autonomi le lacune che esistono sotto il profilo del supporto allo sviluppo e alla stabilit del lavoro autonomo. Si legge nellintroduzione al disegno pensato da Treu:
Del tutto in ombra rimasto il variegato mondo dei lavori autonomi e delle professioni, con un ritardo storico del tutto ingiustificato a fronte della crescente importanza dei lavori svolti in autonomia nelleconomia moderna, e in particolare nella nostra, ma anche del ruolo ad esso assegnato dalla Costituzione del 1948. La Carta fondamentale, infatti, non solo valorizza espressamente liniziativa imprenditoriale (articolo 41), ma stabilisce che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme (articolo 35, primo comma). Il senso e lampiezza di questultima norma costituzionale sono stati oscurati da una lettura e da una pratica prevalentemente concentrate sul lavoro subordinato. Questo orientamento, se era comprensibile in un contesto industriale cosiddetto fordista basato sul lavoro dipendente della grande fabbrica, al quale si indirizzato lo Statuto dei lavoratori del 1970, appare oggi riduttivo. Le trasformazioni succedutesi da allora esigono infatti di allargare la sfera di attenzione del legislatore al mondo dei lavori autonomi e delle professioni.22

Pi che un rinforzo delle protezioni sociali in caso di perdita di reddito, per il senatore Treu occorre aggredire questioni che frenano pi che altro lo sviluppo. Per questo sarebbero opportuni, secondo il senatore del Pd: interventi per favorire una competitivit basata sulla qualit e sulla stabilit del lavoro e non sulla sua intensificazione esasperata o sulla mera riduzione dei costi; maggiori investimenti in formazione continua, innovazione e sicurezza; lutilizzo diffuso delle nuove tecnologie; laccesso e la tutela del credito e alle leggi incentivanti; la possibilit di partecipare ad appalti pubblici; la semplificazione delle procedure; la certezza dei termini di pagamento; laiuto a sviluppare forme di previdenza e assistenza integrative, anche in forme mutualistiche. Tutte ottime indicazioni, alle quali per si accompagna220

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no proposte che rimettono in pista logiche classiche di equiparazione con le imprese (a partire dal pagamento dellIrap) e proteggono le lobby nel segmento della formazione continua e dellaccreditamento per lo svolgimento e lincentivazione delle professioni. A questo si aggiunga la convinzione costante nellequiparare il costo del lavoro degli autonomi a quello dipendente sotto il profilo previdenziale e si pu intuire come tutto questo sia inteso a completare un disegno che nel 1996 lo stesso Treu mise in campo, senza prevedere per le attuali diseguaglianze e sperequazioni sociali. Il fatto sostanziale, a ogni modo, al di l dei dettagli fuori posto che questo tipo di interventi non riesce a mettere piede in Parlamento per unaperta discussione e si blocca nei mille rimpalli tra commissioni. Sono proposte buone, forse, ma nei fatti restano soltanto il sintomo di un malessere e la contemporanea dimostrazione che senza una spinta dal basso o una piena convinzione della classe politica si cerca di cambiare tutto per non modificare nulla. Una strada differente praticata invece da anni dal Colap, associazione che raccoglie altre associazioni di lavoratori senza albo professionale, che punta, attraverso una linea diretta con il Cnel, che ha il potere di promuovere anche disegni di legge in Parlamento, al riconoscimento pubblico delle professioni non regolamentate al fine di creare casse previdenziali separate, cos come avvenuto per i professionisti con albo. Difficilmente si arriver alla definizione di norme di diritto pubblico per attivit cos dinamiche e varie, ma un corollario di questo approccio, ovvero la segmentazione della gestione separata tra chi ha partita Iva e gli altri, piace ad alcune parti sociali, come Cna-Assoprofessioni, che vedono lennesima opportunit per segmentare e correggere i problemi legati al sistema previdenziale. Senza contare il risvolto corporativo legato alle autorizzazioni a esercitare nuove professioni, affidate a nuovi certificatori che potranno cos ufficialmente ambire a intercettare ufficialmente soldi pubblici per erogare corsi e pagare laute parcelle a responsabili di nuovi ordini che tutelino la deontologia dei propri iscritti. Per chi come noi si schierato contro il professionalismo questa strada davvero poco indicata, soprattutto in vista di un reale sviluppo del lavoratore autonomo e della necessit di muoversi in maniera trasversale tra saperi, mondi professionali, geografie, territori e tradizioni culturali. Pi organica, invece, sotto il profilo degli obiettivi di tutela di lungo periodo, la proposta di Giuliano Cazzola, deputato Pdl, primo firmatario della proposta di legge 129923 del giugno 2008, di riformare il sistema previdenziale attuale basato sulla logica del contributivo per sostituirlo con un
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modello ibrido che offra garanzie di base per pensioni minime ed elementi di maggiorazione basati su integrazioni personali, ovvero un riconoscimento di una pensione di base, finanziata dalla fiscalit generale di natura tendenzialmente universalistica e da una pensione contributiva. Il progetto di Cazzola mette in campo una livella che potrebbe addirittura unificare tutte le professioni ordinistiche sotto il profilo della gestione previdenziale, e portare le aliquote per tutti gli altri, autonomi e dipendenti, al 24 per cento. Un disegno che va a muso duro anche contro il sistema delle corporazioni e che, forse anche per questo, non trova spazio in un Parlamento costituito per oltre il 30 per cento da avvocati, giornalisti, ingegneri e altri professionisti.

Le vecchie forme di rappresentanza, una palla al piede


Come si intuisce, tutte queste linee di riforma hanno buoni spunti, ma mancano di una visione organica sul mondo del lavoro autonomo che non si deve soltanto alloggettiva difficolt di unificazione della materia, sostanzialmente abbandonata a se stessa negli anni, ma anche alla mancanza di reali interlocutori sotto il profilo della rappresentanza, che non fossero portatori di interessi di parte. Chi dovrebbe tutelare il diritto universale dei lavoratori se ciascuno ritaglia la sua parte di diritti? Tra flexicurity nordeuropea e mercatismo puro, il modello sociale italiano non sta certo nel mezzo, ma fuori asse. Il nostro paese ha deciso di affidare la rappresentanza in tema di lavoro a parti sociali che vivono grazie agli interessi dei loro sostenitori e che non perseguono obiettivi di equit generale, leliminazione di discriminazioni o lestensione di diritti che dovrebbero essere universali. Lunico rimedio intravisto finora per sanare questi disequilibri tra forze la volont di rovesciare le sorti dei deboli o dei giovani, o dei soggetti ai margini dello stato sociale, attraverso un approccio legislativo e giuslavoristico che per ha mostrato da almeno un ventennio il suo pi forte limite strutturale, ovvero lincapacit di semplificare, eliminare le barriere, scorporare le fattispecie, allargare davvero le maglie del welfare nostrano. I vecchi apparati concettuali non bastano pi e neppure lidea di aggiustare il cerchio con colpi di legge, e la botte con falsi accordi tra parti sociali nate e cresciute in silenzio a fianco di una discriminazione oggi palese tra lavoratori di serie A e serie B. E anche se qualcosa sta cambiando in Italia, il lavoro autonomo resta sempre sottorappresentato. Artigiani, commercianti e piccole imprese si sono messi insieme di recente in una cordata uni222

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ca, Rete Imprese Italia; la Confindustria subisce minacce dallinterno, per esempio da un Marchionne che ventila lidea di tornare alla contrattazione ad personam; la Cgil rischia di perdere la Fiom; la destra politica si inventata lUgl, mentre Cobas e Cub si rafforzano e gli ordini professionali rischiano di essere cancellati dalle norme europee. il momento di cambiare passo. Scrive Romano Calvo a questo proposito:
Le partite Iva, fuori da queste associazioni, sono state tra le prime a essersi accorte della inadeguatezza e per molti aspetti della dannosit del vecchio sistema di rappresentanza. Guardando alle mosse che ciascuna di queste parti sociali ha messo in campo dopo lo scoppio della crisi del 2008 si ha la chiara consapevolezza della loro irrilevanza, dellincapacit di spostare di un millimetro il baricentro della politica economica e fiscale del governo. Soltanto due cose hanno messo tutti daccordo: gli ammortizzatori sociali e la bilateralit. Con i primi credono di aver messo un tappo alla crisi, con la seconda hanno garantito la sopravvivenza per le proprie strutture. E i lavoratori autonomi, che si misurano ogni giorno con i problemi delleuro, toccano con mano i danni della globalizzazione, sentono sulla propria pelle la pressione fiscale pi elevata al mondo, subiscono il crollo della domanda, lo smantellamento del welfare state e la mancanza di una indicazione politica sul come uscire da questa crisi. Quello che pi di ogni altra cosa sembra mostrare la recessione economica di questi anni la necessit di ridisegnare il sistema della rappresentanza del lavoro. Le varie Cna, Confcommercio e Confindustria (oltre a Cgil, Cisl, Uil e ordini professionali) sono una palla al piede, una tassa in pi da pagare per ricevere servizi n meglio n peggio di ci che offre il mercato. Lincapacit delle categorie di fornire rappresentanza e direzione politica al lavoro autonomo si aggiunge alla ben nota autoreferenzialit dei partiti politici. Perci inevitabile che nascano altre forme di aggregazione degli interessi e di rappresentanza politica del mondo del lavoro, auspicabilmente pi efficaci delle attuali.24

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8. Voltare pagina, coalizzarsi

Sono decine, se non centinaia, i siti dedicati o gestiti direttamente da professionisti indipendenti, dove chi voglia divertirsi ad analizzare la struttura del racconto di una vita di lavoro pu scegliere tra centinaia di autoritratti. Qualcuno, in America, invece di ai pi (IP, independent professional) preferisce chiamarsi solo-worker, che a un orecchio italiano rende meglio lidea. Impressiona tuttavia, di queste storie di vita, come sia forte la convinzione che lordine delle cose nel quale lindividuo collocato non sia qualcosa di esterno o di oggettivo, superiore alla sua volont, ma sia riconducibile interamente alle facolt, al saper fare, al grado di adattamento, dellindividuo. Come se il mondo esterno non esistesse con una propria dinamica ma esistesse solo lio capace o incapace di superare le difficolt che il mondo esterno gli oppone. Ho freddo non perch ci sono venti gradi sotto zero, ma perch non ho pensato a coprirmi abbastanza oppure non ho maglioni a sufficienza. un atteggiamento che si riscontra soprattutto nei siti del Nordamerica, una filosofia che fa parte da sempre della cultura e del costume americani ma con lo sviluppo del lavoro autonomo ha assunto una dimensione e una connotazione paradossale, il lavoro intellettuale esercitato in maniera indipendente, da freelance, ha dato unimpronta pi totalizzante al tradizionale individualismo americano, come se la narrazione di una vita da freelance avesse acquistato il valore di archetipo per un ritratto delluomo moderno, figlio del postfordismo. Si creato pertanto un formato della narrazione, uno standard, che imprigiona e pietrifica certi valori. Il corpo dellindividuo, i suoi sentimenti, le sue emozioni, la sua sessualit, le sue conoscenze, i suoi handicap, i suoi talenti naturali, le sue fobie, le sue nevrosi, le ventiquattro ore a disposizione della sua
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giornata, sono il sistema delle risorse dalla cui corretta gestione dipende la possibilit o meno di sopravvivenza. Lo hanno chiamato biolavoro e biocapitalismo, corpo (e anima) come capitale fisso. Nessuno ha mai pensato di realizzare un software per la gestione ottimale di questo sistema, lai pi, il professionista indipendente, sarrangia ancora, in maniera artigianale, a spremere sino allultima goccia le sue risorse individuali. Ci hanno provato in tanti a mettere gi un vademecum per insegnare a gestire il patrimonio delle risorse individuali, ma nelle narrazioni poi non c traccia che di questi consigli si sia fatto tesoro. Nelle narrazioni lai pi non si chiede quasi mai se altri possano aiutarlo o se, mutate le condizioni esterne, si possa vivere meglio. Ma le cose stanno cambiando, si comincia a voltare pagina, gli ai pi hanno iniziato a ribellarsi agli stereotipi che avevano contribuito loro stessi a tracciare. In certi casi, come nel loro sindacato americano, sembrano addirittura gli apripista di un nuovo sistema di sicurezza sociale. Vale la pena chiedersi se la mobilit sedentaria di Internet coniugata con il lavoro solitario del freelance non possa creare un bisogno di socialit tutto diverso da quello del lavoro salariato. Perch dare per scontato che la socialit non possa andar daccordo con il postfordismo? Non c soltanto la socialit del Novecento, espressa dal lavoro salariato attraverso forme di coalizione e di tutela degli interessi, dei diritti e dei contratti collettivi, non c soltanto il vuoto desolante lasciato dalla crisi di quelle forme di coalizione, un vuoto che ha permesso il consolidarsi di democrazie pilotate dai sistemi di comunicazione di massa. Non c solo legoismo individualista allorizzonte. La socialit intesa come condivisione di esperienze e di desideri, di domande e di risposte, non scomparsa del tutto, non pu essere scomparsa. Per quanto devastante possa essere stato lo sviluppo del gene individualista nel lavoratore, la socialit un bisogno insopprimibile ed alla ricerca delle tracce della ricostituzione di una socialit nuova che questo libro deve anche la sua origine. Per trovare le tracce di unevoluzione in questo senso occorre tuttavia scrollarsi di dosso gli schemi entro i quali abbiamo inquadrato le dinamiche di socializzazione del lavoro dipendente, da quelli che ci riportano al luogo fisico del lavoro (dove le persone sono costrette a stare assieme) a quelli che si ricollegano a unidea morale o politica di solidariet. Al tempo stesso non possiamo pretendere che questi schemi vengano cancellati del tutto, perch sono stati assimilati dalla mentalit di generazioni che con il sistema fordista poco hanno avuto a che fare.

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Anche se per anni ho lavorato per degli studi di architettura come Foster&Partners mi sono sempre detto: Un giorno diventer freelance e questo giorno arrivato nellagosto del 2009. Ho pensato di lavorare da casa ma poi mi sono accorto che avevo bisogno di una situazione per andare a lavorare. Cerano un sacco di studi di architettura con spazi eccedenti che cercano di affittare a terzi ma io desideravo lavorare con gente diversa e il co-working risponde a queste mie esigenze. Ho la tendenza a essere molto disciplinato e ad andare in ufficio quattro giorni la settimana, con delle eccezioni per le riunioni, gli incontri. Attualmente lavoro in Kazakistan e sto mettendo in piedi una rete di freelance in modo da poter sviluppare, collaborando insieme, progetti di pi ampio respiro. Ma bellissimo avere una base. Quando ero alle dipendenze non avevo mai bisogno di spiegare che lavoro facessi, parlavo solo con altri architetti, ma da freelance debbo pensare a come descrivo me stesso e a come mi presento sul mercato.1

La base di cui parla il giovane architetto thecube, uno spazio di co-working situato a Londra in Commercial Street, ai bordi della City, vicino a Spitalfields, che riscuote successo non solo per la sua localizzazione prestigiosa ma perch non vincola lutente a unaffiliazione, e c ovviamente tutto quanto per lavorare in Rete. Dice il fondatore di thecube:
Mettere insieme un paio di scrivanie nello stesso spazio non coworking, potete farlo benissimo anche in uno Starbucks; offriamo un pacchetto flessibile di affiliazione, senza contratti o quote associative. Che usino lo spazio unora alla settimana o tutto il giorno, i soci sono incoraggiati a lasciarsi coinvolgere negli eventi che organizziamo, discussioni creative, brain training o pranzi per creare contatti.

Non dunque un luogo per cercare clienti ma per cercare il contatto con altri freelance, si cerca la sinergia delle conoscenze e dei rispettivi sistemi di relazione, si cerca la possibilit di comunicare speranze e affanni.
Nel passato ho lavorato a casa, ma era troppo solitario, preferisco stare in un ufficio, penso che sia molto pi sano e stimoli maggiormente la creativit, ho provato ad affittare spazi in comune con altri freelance ma nemmeno ci si conosceva tra di noi, [...] qui sei incoraggiato a intessere relazioni e questo crea unatmosfera pi sana.

Ma le modalit duso dello spazio non sono tutte uguali; dopo un lungo periodo allinterno di grandi societ, un consulente ha deciso di mettersi in proprio.
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Ho cominciato a lavorare da casa ma mi sono presto accorto che ero meno produttivo. Ho trovato che uno spazio di co-working crei una rottura tra casa e lavoro. Bench io sia uno che usa thecube per lintera giornata, non partecipo alle iniziative comunitarie ma penso che sia unopportunit in pi per dei giovani poter avere a disposizione spazi come questo.

La domestication del lavoro indipendente comincia dunque a mostrare la corda. Osservando le prime esperienze di coworking sarebbe troppo superficiale trarne la conclusione che lessere umano ha bisogno di un ufficio per lavorare, cio di uno spazio separato dalla vita privata, le dinamiche sono pi complesse. A mostrare la corda piuttosto unidea del fare rete soltanto in modo remoto e virtuale, collegandosi agli altri via Internet. C di nuovo il bisogno di un contatto fisico, di un rapporto umano e c sicuramente unesigenza di trovare diversi strumenti per affrontare la crisi di mercato, meno individualistici. Il desiderio di comunit strumentale, certo, quando mai stato fine a se stesso? Il lavoro indipendente comincia a imparare il modo di sfuggire alle trappole che la sua condizione strutturalmente gli tende sul cammino. Indizi che il lavoro indipendente cominci finalmente a capire che pi importante vivere meglio che produrre, ne troviamo qua e l. Non un caso che questi indizi siano rintracciabili in due capitali produttrici di tendenze: New York e Berlino. Co-Working. Independent Workers Unite un video che chiunque pu guardarsi su YouTube.2 Quello che interessante e significativo, e che si riscontra in numerose altre testimonianze, la mentalit con la quale i tre giovani intervistati hanno progettato e realizzato lo spazio di co-working. Al centro della loro iniziativa c lidea di community, cio unidea che contiene i valori del reciproco sostegno, mediante condivisione di informazioni e di esperienze, i valori della sussidiariet rispetto a un ambiente, un mondo, un sistema urbano sempre pi avari di spazi collettivi e di occasioni di socialit, lidea che la socialit stessa possa essere intermittente, non ancorata a vincoli organizzativi. Sottostante c anche unidea di efficienza e di imprenditorialit: lavorare insieme (non soltanto accanto, ignorandosi a vicenda) un modo per star meglio ma anche per produrre meglio. A segnare chiaramente da quale parte stanno quei giovani la loro dichiarazione di simpatia con la teoria e la pratica dellopen source. Lo stesso titolo del video (Independent Workers Unite) dovrebbe ricordare qualcosa a chi ha ancora un minimo di orecchio per le narrazioni del movimento operaio.

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Non avevamo alcuna esperienza di gestione di spazi, non avevamo unidea precisa, ma il desiderio di realizzare qualcosa che sentivamo dentro, con impazienza.

Il bellissimo termine impiegato in questo contesto, impazienza, mette a fuoco in maniera precisa quellatteggiamento mentale e quella disposizione dello spirito che sono proprie di chi fa cose magari piccole ma nuove. Mettere su un ambiente di co-working non certo unidea nuova: la novit sta nel crearlo sotto la spinta di un desiderio sottostante, che scaturisce da certi valori o da certi bisogni. Nel primo caso basta un immobiliarista con un po di fiuto, nel secondo ci vuole qualcuno che abbia elaborato dentro di s una serie di convinzioni, non si chieda come andr a finire, sia solo impaziente di vedere se, realizzando quello che confusamente ha in testa, vivr meglio lui e far qualcosa di utile per gli altri. Non un caso che i vari link che conducono a questo video hanno origine dal sito della Freelancers Union. Poi ci si pu sbizzarrire a navigare per siti e video sugli spazi di co-working americani, da Baltimora al Minnesota, da San Francisco al Massachusetts e scoprire che ormai questa una nicchia dellimmobiliare che si muove anche su reti multinazionali, ma questo non significa che le esperienze con maggiore carica libertaria siano irrilevanti, significa che possono correre lungo uno dei tanti rivoli del capitale, del mercato, quindi durare pi a lungo, non essere semplicemente esperienze esemplari, che certe volte scadono nella superbia di chi si considera unavanguardia e finiscono per crearsi un ghetto da sole. Quel che occorre aver chiaro per, nelle esperienze di New York o di Berlino, la condizione dellutenza. Non si tratta tanto di strappare il freelance dallufficio in casa, magari lappartamento dei genitori, ma dal coffee shop e c qualcuno, un po pi colto, che ricollega labitudine dei lavoratori della conoscenza di mettersi con il proprio portatile al tavolino di un caff con la tradizione bohmienne dellOttocento, primo Novecento, dove musiche famose, scritture celebri, disegni che oggi si ammirano nei musei di tutto il mondo sono sbocciati appunto tra i tavoli di un caff di Parigi o di Vienna o di Zurigo. Sono nati cos anche alcuni software innovativi.

Berlino
Dicono di essere stati rifiutati da quattordici editori, ai quali avevano presentato il manoscritto, gli autori di Wir nennen es
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Arbeit. Die digitale Boheme, poi, una volta uscito, diventato un successo, varie edizioni, un audiobook e unedizione tascabile.3 Certe volte pi che lidea un termine, unespressione originale, a veicolare modi di pensare o di vedere le cose. Bohme digitale aveva tutti i numeri per diventare una di queste espressioni e non poteva che nascere a Berlino, lunica grande citt europea che presta accoglienza agli squattrinati e consente loro di guardarsi attorno e magari di riuscire a iniziare unattivit indipendente o occasionale senza umiliazioni. Perch una citt che non ha costruito la sua immagine sulla squallida spensieratezza della movida, perch la capitale europea pi vicina alla grande trasformazione del continente ex comunista, perch ha imposto uno stile di vita sostanzialmente meno vincolato alla forma, alle apparenze, perch anche guadagnare poco con contratti occasionali pi tollerabile l dove laffitto non ti porta via i tre quarti del reddito e perch lupper middle class dei professionisti arrivati non ha larroganza che mostra altrove insomma lopposto di una citt italiana. Citt di valori intangibili e di sensazioni impalpabili, povera ma sexy, come lha definita il popolare sindaco gay, probabilmente tra le metropoli europee quella dove la storia contemporanea, la pi dimenticata, non ridotta a business museografico ma continua a vivere. Per quanto tempo ancora? Alcune contraddizioni, o, meglio, incompatibilit, prima o dopo esplodono, lo stile postmoderno e commerciale finir per affermarsi anche sulle rive della Sprea.4 Si dimentica spesso che Berlino deve questo suo stile di citt che non si mette in vetrina e dove il consumismo non esercita una dittatura assoluta, al retaggio della Ddr e allo stile di vita e di modi di pensare che quel regime aveva lasciato in una popolazione che non aveva percepito il comunismo come una dittatura imposta dallesterno. Berlino stata una citt di sottoproletariato e di fame per i primi trentanni del Novecento, poi di austerit paranoica del nazismo e dopo ancora di austerit puritana del comunismo, una citt che dal 1933 al 1989, per pi di mezzo secolo, ha visto molti abitanti vestiti allo stesso modo. Il mito del lusso vive ancora da emarginato, in ghetti separati, non come a Milano unideologia pervasiva, che penetra anche nei palazzoni senza fogne. Eppure proprio questo retaggio della Ddr che oggi rende inconciliabili certi modi di pensare e di percepire il lavoro. Bohme digitale nato allinterno di uno spazio di co-working, tra giovani lavoratori della conoscenza, abituati a stare al caff Oberholz di Rosenthaler Platz con il computer, tecnici del multimediale, informatici, pi che artisti. Mentre i loro antenati di bohme potevano barattare un quadro con i pranzi di una settimana e magari trovavano loste che
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aveva occhio per la pittura, quelli di oggi non hanno nulla da lasciare in cambio al cameriere, che uno come loro, solo che il computer lo ha lasciato a casa. I due autori volevano mettere laccento
su un mondo del lavoro fatto ormai solo di individui isolati, sulle tecnologie digitali che esercitano un condizionamento pesante degli spazi dazione dellindividuo, su forme non gerarchiche di mettersi in rete e di cooperare.

Cera forse una voluta forzatura nel demolire limmagine rassicurante del lavoro dipendente a tempo pieno e nellesaltare la libert vigilata del freelance. Il libro era un piccolo vademecum sulla possibilit di lavorare e di mantenersi con servizi e progetti elaborati in comune tramite Internet. Indirettamente influenzati dal circuito cyberpunk del Chaos Computer Club, attivo sin dal 1981, e da scrittori e pubblicisti multimediali come Peter Glaser, i due autori avevano alle spalle lesperienza della Zentrale Intelligenz Agentur (Zia), una piattaforma per lelaborazione di progetti o, come suonava una sua presentazione, la Zia trasforma ossessioni intellettuali in ben torniti formati di progetti culturali nei settori: informazione, controinformazione, costruzione dimmaginari e di mimetismi, controllo e comando sulla comunicazione, tecnologia, radio, sport, notizie. una forma di associazione tra professionisti che operano in conto proprio ma si consorziano su singoli progetti. Sascha Lobo, uno dei due autori, dopo aver lavorato in agenzie di pubblicit, ne ha creata con altri una propria che vende pubblicit sul web e ne procura ai blogger. Lambiente dal quale provengono queste iniziative e dal quale traggono parte della loro filosofia di vita quello degli artisti, dei pubblicisti, degli autori o dei tecnici multimediali, della musica rock, quel settore dai contorni imprecisi che sta tra la cultura, la comunicazione, levento, la provocazione, una cultura profondamente radicata nelle tradizioni di anarchia urbana berlinese e tedesca in generale, con tecniche collaudate di sopravvivenza ma comunque impraticabili senza un sistema di sussidi pubblici articolato e complesso, con ruolo di ammortizzatore, di cui potersi servire in situazioni di indigenza. Percepito per, pi che come un benefico strumento assistenziale, come un vincolo burocratico e unipoteca disciplinare da cui liberarsi appena possibile, a costo di vivere alla giornata.5 Innestata su questa filosofia della sopravvivenza una fin quasi esagerata e totalizzante identificazione con luniverso digitale, ma sempre dalla parte di coloro che lo concepiscono come condivisione e quindi acerrimi
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nemici di ogni tentativo di regolamentazione. Ultimo esempio la campagna contro la legge sui diritti commerciali degli editori che mettono in Rete prodotti liberamente accessibili utilizzati da terzi a scopo di lucro.6 Lidea della bohme digitale non piaciuta, perch troppo liberista, a tutta quella parte della subcultura berlinese tributaria dei modi di pensare socialisti e fortemente ancorata a unidea di lavoro sicuro e di sussidi di disoccupazione. Quella cultura molto pi favorevole alla filosofia di vita del precario, del jobber, che a quella del lavoratore indipendente, imprenditore di se stesso; disposta piuttosto ad agire come corrente autonoma del sindacato dei servizi per un lavoro regolamentato nel multimediale. Lidea della bohme digitale quindi non ha dato frutti sul piano associativo del lavoro indipendente, ha creato per un circuito di sedi di co-working (hallenprojekt.de) ed stata stimolo per la costruzione di nuove reti. Il co-working non la soluzione, afferma Julia Seliger, redattrice della Tageszeitung, il quotidiano di Berlino che ha condotto uninchiesta sui Digital-Nomaden.7
Si pu benissimo lavorare in autodeterminazione come dipendenti, esser pagati tutti allo stesso modo e condividere i progetti, discuterli tutti assieme, come si fa nella nostra redazione, essere iscritti a un sindacato che ti rappresenta e tutela.

Insomma, smettiamola di contrapporre unimmagine rosea del lavoro indipendente a unimmagine nera di quello subordinato. Giustissimo, sta di fatto per che molti hanno scelto tra le due condizioni e non sempre, anzi, spesso la scelta del lavoro indipendente viene giudicata positiva. Alla domanda dei giornalisti della Taz se gli intervistati avessero pensato alla pensione, la riposta stata: La pensione? Ma perch, noi avremo una pensione?.

Un grande sindacato e i lavoratori autonomi


Il sindacato dei servizi Ver.di. conta 2,3 milioni di iscritti, rappresenta il settore pubblico ma anche tutto il settore media, televisione, editoria, IT, comunicazione. oggi il sindacato di maggiore impatto sulla realt tedesca. In alcune citt con forte presenza di studi radiotelevisivi, case editrici, agenzie di pubblicit, produttori di software, come Amburgo, Ver.di. una presenza importante; nel settore della logistica, che vede in attivit nella regione anseatica circa 6000 imprese, un interlocutore temibile. Bisogna darle atto che sin dallinizio si posta il problema se organizzare o meno gli indipendenti e ha fatto pressione in tal sen231

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so sulla Confederazione (Dgb). Le parole del suo segretario generale Frank Bsirske allatto di costituzione del sindacato, nel 2001, erano promettenti:
Dobbiamo essere il sindacato delle nuove forme di lavoro, di quelli che lavorano a termine, in maniera intermittente, degli interinali e delle lavoratrici part-time, il sindacato dei disoccupati e anche il sindacato degli autonomi, vorrei che fossimo il loro sindacato, fintanto che non diventano essi stessi datori di lavoro.

Le difficolt a far accettare ai rappresentanti dei lavoratori dipendenti lidea che un freelance possa aspirare ad avere le loro stesse tutele sindacali non sono state poche e non sono ancora superate. La commissione alla quale affidato il compito di portare avanti le rivendicazioni degli autonomi non ha trovato sempre ascolto allinterno del sindacato e il fatto che negli anni dopo il 2004 le fuoriuscite abbiano superato le nuove iscrizioni sta a dimostrare che i possibili utenti del servizio sindacale sono rimasti delusi.8 Il 2004 lanno della grande riforma dello stato sociale e avvengono cose strane, agli autonomi viene finalmente riconosciuto il diritto allassicurazione contro la disoccupazione e poi subito dopo viene tolto. Proprio questi dietrofront del governo rosso-verde mettono a nudo la situazione anomala dei lavoratori autonomi e la loro emarginazione da uno stato sociale che considerato uno dei pi inclusivi dEuropa. Il lavoro di elaborazione di una piattaforma specifica viene commissionato dal sindacato al noto Centro per le politiche sociali dellUniversit di Brema, che dagli anni settanta rappresenta la fonte pi autorevole in materia di proposte di politiche contro la povert. Nel maggio 2009 viene redatto un documento con le linee guida per gli autonomi.9 un momento cruciale nella storia dei rapporti tra stato e nuove forme di lavoro. I nuovi progetti di legge del governo introducono un concetto peraltro ben conosciuto in Italia dai lavoratori autonomi: alle categorie del lavoro intermittente lo stato apre le porte dei sistemi di sicurezza sociale ma solo in qualit di contribuente, non come percettore di servizi. Nel progetto di legge del governo Merkel veniva esteso lobbligo per gli autonomi (per esempio giornalisti freelance) e i lavoratori intermittenti, di avere copertura sanitaria presso il sistema pubblico o presso casse private, ma il godimento del diritto di ricevere il Krankengeld, il rimborso per il mancato reddito dovuto a malattia, scattava solo alla settima settimana.

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Unassurdit. Bismarck lo aveva introdotto nel 1883 con il principio che il diritto al rimborso scatta dopo il terzo giorno di malattia e da allora rimasto cos,

ricordava il sindacato e chiedeva inoltre che lammontare del contributo dovesse tener conto del reddito effettivo e non essere parametrato su indici di reddito presunto; per i percettori di sussidi di povert le somme da versare, secondo la norma, avrebbero dovuto essere tali da portar via un terzo del sussidio. Limpostazione governativa era tanto pi incoerente se si pensa che la riforma del 2004 aveva indotto tanti percettori di sussidi di povert, come si visto in precedenza, a mettersi in proprio. Per di pi venivano ridotte al minimo le prestazioni di cassa malattia, come quella degli artisti, che rappresentavano per certe categorie un sistema di tutele abbastanza efficiente. Inoltre venivano gravemente ridotte le forme di sostegno alle donne in maternit. Il congresso del Dgb del maggio 2010 non poteva ignorare la drammatica situazione di almeno un terzo degli esercenti attivit professionali in proprio destinati a restare senza una pensione, e veniva quindi votata una risoluzione che chiedeva al governo di affrontare questo problema. Secondo le stime del sindacato, sono pi di 2 milioni le persone che rischiano lindigenza in vecchiaia (Altersarmut) perch lavorano come indipendenti. E se il governo dovesse decidere per i versamenti obbligatori nella misura richiesta ai dipendenti, cio pari a un quinto del reddito, la maggioranza di queste persone non sarebbe in grado di effettuarli. Si propone quindi lapertura anche agli autonomi del sistema previdenziale generale con necessit di un finanziamento solidale, lestensione anche agli autonomi della possibilit di finanziare una pensione integrativa prevista dal sistema obbligatorio (Riester Rente),10 la loro inclusione laddove possibile in sistemi pensionistici aziendali. Attualmente Ver.di. dichiara circa 30.000 iscritti appartenenti alle diverse categorie di freelance; nelle controversie riguardanti i contratti collettivi di settori nei quali la presenza di professionisti indipendenti consistente, dallIT ai media, dai giornali al cinema, cerca anche di tener conto della condizione di questi ultimi, chiedendo per esempio unequa distribuzione dei versamenti previdenziali volontari tra committente e freelance.11 A differenza dei documenti dei sindacati italiani, le prese di posizione del Referat Selbstndige di Ver.di. riguardanti lassicurazione sanitaria, i trattamenti pensionistici, le indennit di disoccupazione, dimostrano una conoscenza approfondita delle problematiche del lavoro autonomo e non discriminano tra lavoratori indipendenti che riescono a malapena
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ad arrivare a fine mese e quelli a reddito dignitoso, n si baloccano nella distinzione tra false e vere partite Iva. Lazione di Ver.di. sarebbe particolarmente preziosa perch il sindacato dispone di una conoscenza approfondita della complicatissima legislazione sui sistemi di sicurezza sociale, resa ancora pi ostica dal fatto che certe norme vengono ritirate o modificate pochi anni o mesi o giorni dopo essere state emanate e soprattutto dal fatto che un impianto legislativo pensato per il lavoro dipendente o trascura completamente il lavoro autonomo oppure gli impone regole assurde e controproducenti. La maggioranza dei lavoratori indipendenti ha una conoscenza superficiale di queste norme, la gestione di questi problemi viene affidata al commercialista. Uno degli strumenti pi efficaci di Ver.di. per attirare iscritti il servizio di consulenza del sito www.mediafon.net su questioni fiscali, previdenziali, su forme contrattuali, su onorari e pagamenti, sulla formazione, su contatti con altri indipendenti. Ma il successo di un sindacato dipende anche dai risultati che riesce a portare a casa, in mancanza di questi, gli iscritti calano e la fiducia degli interessati anche.12

Nomadi sul serio


In America la mobilit fisica sempre stata un segno caratteristico del modo di vivere. Un gruppo particolare di freelance quello dei cosiddetti location independents, che hanno adottato come stile di vita e di lavoro il nomadismo. Se la scelta di lasciare il posto fisso in azienda costringe spesso alla prigione domestica della casa-ufficio, loro non ci stanno, se lo scopo della scelta la libert, loro fanno un passo ulteriore, rinunciano a una residenza, cambiando luogo ogni giorno, e di tanto in tanto portandosi dietro casa e ufficio.
Mio marito un creatore/designer di database e programmi per iPhone e iPad, io scrivo per il mercato dei viaggi e per la scuola, [...] abbiamo passato due anni a consultare elenchi di possibili contatti, a studiare tutte le eventualit, prima di deciderci a rompere con la vita normale e a diventare una famiglia che vive e lavora ovunque. Non stato semplice, con quattro bambini, ma limportante il volerlo fare, in maniera irrevocabile, invece di vivere giorno per giorno, la vita merita di essere vissuta, tempus fugit.

Il sito http://locationindependent.com, dov apparsa questa testimonianza, offre una molteplicit di servizi, di supporti e di suggerimenti agli aspiranti membri della trib ed molto ap234

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prezzato dai potenti dellindustria produttrice di strumenti per comunicare e lavorare a distanza, i professionisti itineranti possono diventare i migliori test per nuovi prodotti e servizi; lavorare da nomade pu comportare dei vantaggi, chiss che non si diventi testimonial di qualche grosso gruppo. Se poi la roulotte o il camper si trasformano anchessi in prigioni itineranti troppo presto per dirlo, per ora la moda sfrutta londa ascendente; si tratta ancora di persone che affrontano lavventura con entusiasmo, spesso proprio per strappare i bambini alla vita pesante della citt o per consentire a un membro della famiglia che andato in pensione di godersi un po la vita; per ora almeno dalle voci raccolte su Internet sembra gente dotata di competenze elevate, con clientela affidabile o con un reddito minimo garantito. Non appartengono certo al genere degli hobos della Grande depressione, n agli anarchici radicali della Repubblica di Weimar che distruggevano i documenti didentit per non essere rintracciati, sorvegliati. Si sviluppano piuttosto tra i location independents curiose dinamiche, proprie del ceto medio, di riconoscimento sociale, di reputazione.
Purtroppo molti credono che siamo sempre in vacanza, ci invidiano e dicono che possiamo permettercelo perch siamo ricchi! Non siamo affatto ricchi, viviamo del nostro lavoro e ci portiamo dietro malgrado tutto una buone dose di workaholism.

I principali problemi sono di ordine tecnico-organizzativo, litinerario del professionista nomade deve seguire i territori dove i collegamenti Internet siano assicurati, nei luoghi dove non c campo rischia la fine del beduino cui hanno avvelenato i pozzi. Nella popolosa, urbanizzata, gentrificata Europa sarebbe difficile farlo a quel modo, ma di gente che si sottrae al luogo dove per anni ha vissuto, compiuto gli studi e cerca un altro sistema di vita, in Italia soprattutto, sembra essercene sempre di pi.

New York: unidea di sindacalismo per i nostri tempi


Littler Mendelson il pi grande studio di avvocati specializzati in controversie di lavoro degli Stati Uniti, con una cinquantina di uffici sparsi in tutte le maggiori aree metropolitane. Rappresenta e difende gli interessi degli imprenditori. Nellaprile del 2009 ha presentato un rapporto sulla forza lavoro emergente.13 Rifacendosi a uno studio del Mit degli anni novanta, prevede che alluscita dalla recessione la domanda di lavoro sar costituita per il 50 per cento da alternative labour arrangements, cio
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da forme di contratto non standard e da lavoratori autonomi. Il termine impiegato nelle statistiche, per questi ultimi, self employed; il Rapporto Littler preferisce independent contractor, equivalente a quello che nelluso comune viene chiamato freelance o free agent.14 Quando il lavoratore autonomo rientra nellambito dei lavoratori della conoscenza si usa independent professional. Il Rapporto Littler molto interessante perch, accanto a scenari assai familiari per noi, come quello della prefigurazione di imprese a rete con un ristretto numero di dipendenti fissi e un numero molto pi ampio di fornitori di servizi ingaggiati sulla base di progetti specifici per il tempo necessario alla realizzazione del progetto stesso (project-based workforce), insiste sul possibile (e auspicabile, secondo loro) cambiamento dellimmagine pubblica e del prestigio sociale dei lavoratori autonomi. Perch lamministrazione, considerata la loro maggiore rilevanza nella composizione della forza lavoro, sar incline a concedere loro facilitazioni e incentivi in considerazione soprattutto del loro maggiore peso come contribuenti.15 Lo scopo del Rapporto per quello di fornire agli imprenditori un orientamento sulle questioni legali sollevate dallimpiego massiccio di forza lavoro temporanea o di prestatori dopera a progetto. Da un lato Littler raccomanda vivamente limpiego massiccio di questa forza lavoro per poter ridurre i costi e avere maggiore flessibilit, dallaltro ammonisce gli imprenditori sul pericolo che i lavoratori autonomi, diventando sempre pi preziosi in quanto la loro specializzazione sar soprattutto sui professional skills piuttosto che sulle abilit manuali, e acquisendo maggior prestigio sociale, potrebbero diventare dei temibili avversari nelle controversie di lavoro, anche senza unorganizzazione sindacale alle spalle. Littler quindi rivolge una serie di raccomandazioni agli imprenditori affinch si possano tutelare da questa maggiore forza contrattuale degli independents, in particolare per quanto riguarda due questioni di grande rilevanza: la propriet intellettuale dei prodotti del lavoro del consulente esterno deve restare in tutto e per tutto allimpresa; i consulenti esterni ingaggiati per progetti limitati nel tempo debbono essere esclusi dai piani di pensionamento e non debbono gravare minimamente sullimpresa per prestazioni di carattere sociale; se lo stato vorr estendere a loro determinati benefici, per esempio nel campo dei sussidi di disoccupazione, lo faccia, ma limportante che limpresa possa trovare un sostanziale beneficio economico nellimpiego di forza lavoro temporanea rispetto al costo rappresentato dalla forza lavoro stabile. Confortato dai dati provenienti dalle agenzie di lavoro interinale, il Rapporto prevedeva un balzo nelloccupazione di
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contingent work ai primi sintomi di ripresa che, secondo le sue previsioni, si sarebbe dovuta verificare nel corso del 2010. Cos non stato, solo negli ultimi mesi dellanno leconomia statunitense ha dato segnali di risveglio e pertanto la grande trasformazione nella composizione della forza lavoro sar tutta da vedere. Di alcune tendenze si avuta certezza per gi negli anni precedenti e in particolare di quella che un sempre maggiore numero di professionals si rivolge agli intermediari del lavoro, fenomeno che abbiamo visto nel terzo capitolo gi manifestarsi in Germania per quanto riguarda gli ingegneri. I dati degli analisti del lavoro interinale, staffing industry analysts, sembrano indicare che dallinizio della crisi coloro che lavorano in proprio nei servizi a elevato contenuto di conoscenza hanno avuto difficolt a trovare occasioni di lavoro e per questo si rivolgono in misura massiccia alle agenzie. Purtroppo anche lefficiente Bureau of Labor Statistics (Bls) ha delle difficolt a stimare lentit del lavoro autonomo e atipico. Lultima indagine specifica del 2005, quando il numero di independent contractors veniva stimato in 10,3 milioni, pari al 7,4 per cento degli occupati.16 Il pi recente comunicato del Bls che abbiamo potuto consultare, rilasciato il 7 gennaio 2011, riportava il dato di 10 milioni self employed unincorporated e di 5,3 milioni incorporated al giugno 2010, con unincidenza complessiva sulloccupazione totale pari al 10,7 per cento.17 Secondo le stime del Bls che traggono origine dalla Current Population Survey, lincidenza del lavoro autonomo non agricolo sul totale rimasta pi o meno la stessa negli ultimi dieci anni.18 aumentata decisamente la quota di incorporated, cio di persone che decidono di dare alla propria attivit una personalit giuridica per ragioni fiscali e di minor rischio, per esempio nella forma di societ a responsabilit limitata (Llc), che raggiungono anche la dimensione di 20 dipendenti, ma tra gli incorporated possono esserci anche ditte individuali. Gli unincorporated sono invece persone che svolgono attivit autonoma in maniera occasionale. La crisi ha inciso fortemente soprattutto nel settore delle costruzioni, con tassi di disoccupazione superiori alla media, ma subito dopo ha colpito i servizi professionali. Nei confronti di genere i maschi sono in maggioranza e, sul piano etnico, i bianchi prevalgono sugli altri gruppi (afroamericani, ispanici, asiatici). Lorganizzazione sindacale dei lavoratori indipendenti, la Freelancers Union (FU), accusa da tempo le autorit preposte alla rilevazione statistica di gravi imprecisioni, di disomogeneit nei criteri di classificazione utilizzati e di sostanziale disinteresse per questo settore della forza lavoro. A causa di queste ineffi237

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cienze, lincidenza della popolazione dei self employed, dei lavoratori temporanei e di quelli con contratti atipici sul totale degli occupati sarebbe largamente sottostimata. Il sindacato parla addirittura di un terzo delloccupazione totale, qualcosa come 42 milioni di persone, sposando le previsioni degli avvocati di parte padronale. Losservatore esterno rimane disorientato da simili discrepanze, molto probabilmente le stime della FU si fondano su proiezioni della situazione di New York, dove lindagine condotta dallo State Comptroller nel 2007 aveva accertato che dal 1975 in poi i due terzi dei nuovi posti di lavoro nella Grande Mela erano stati occupati da persone classificabili come indipendenti. Se questa crescita era stata determinata anche dalle professioni collegate allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla fiorente industria dellintrattenimento e dello spettacolo, il vero e proprio balzo era avvenuto nei servizi alla persona. Come in Italia si sono diffuse a macchia dolio le badanti, cos nella citt di New York dal 1997 al 2004 il numero delle persone addette alla cura dei bambini che lavoravano come self employed, in sostituzione di asili nido e di scuole materne insufficienti, era quintuplicato (da 11.085 a 49.393). Se lassociazione sindacale che riunisce i freelance, la Freelancers Union (FU), passata in pochi anni da 10.000 iscritti a 150.000, ci dovuto in massima parte a tre ordini di ragioni: essere nata come fenomeno metropolitano newyorkese e aver acquisito subito una visibilit locale ma al tempo stesso nazionale; avere impostato la sua campagna di reclutamento e sensibilizzazione sul problema dellassistenza sanitaria; aver concepito sin dallinizio la sua attivit come quella di una union, di un sindacato, che non disdegna il richiamo alla simbologia del movimento operaio militante. Sulla FU si scritto molto e la sua fondatrice Sara Horowitz diventata un personaggio di fama internazionale.19 Puntando sin dallinizio sul tema pi sentito da parte dei lavoratori autonomi di seconda generazione americani, quello dellassistenza sanitaria, la FU riuscita finalmente a offrire qualcosa di concreto ai suoi soci, costituendo nel 2009 la propria compagnia di assicurazione, la Freelancers Insurance Company (Fic), con il contributo di 17 milioni di dollari erogato dalle Fondazioni Ford, Rockefeller e Robert Wood Johnson. Attualmente la Fic opera soltanto nello stato di New York, che stato il primo a riconoscere la deducibilit fiscale dei premi pagati a questa nuova compagnia. Le campagne di sensibilizzazione e le azioni di lobbying della FU sono condotte con molta abilit e con stile prettamente americano, dove, per essere convincente, un messaggio deve portare dei numeri. Sappiamo quanto superficiale e truffaldina pos238

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sa essere questa tecnica ma sta di fatto che un qualunque messaggio riguardante una situazione sociale viene ripreso dai media solo se dietro ha i numeri di una survey. Nel 2005-2006, sapendo quanto sensibile sia lamministrazione cittadina di New York sui temi dellattrazione dei talenti (Florida insegna), FU aveva condotto uninchiesta presso i freelance del settore creativo, scrittori, artisti, scenografi, grafici, designer, pubblicitari, autori di testi e di realizzazioni per la radio, la televisione, il cinema ecc., da cui risultava che questi talenti stavano fuggendo da New York per dirigersi verso altre aree metropolitane, come Minneapolis/St. Paul o Portland, nellOregon, perch il costo della vita a New York era diventato insopportabile e i servizi pubblici cari e inefficienti.20 Ogni fine danno la FU lancia una nuova indagine online sulla condizione dei suoi affiliati, lultima disponibile quella che riguarda lanno della grande crisi, il 2009, pubblicata nel corso del 2010, a cura di Sara Horowitz, Althea Erickson e Gabrielle Wuolo.21 Le tremila risposte hanno rivelato la difficile situazione di chi lavora in proprio in un periodo di crisi senza poter godere di alcuna forma di protezione sociale. LAmerican Recovery and Reinvestment Act (Arra), il pacchetto di misure di stimolo alleconomia che il presidente Obama ha firmato nel febbraio 2009, nella parte dedicata ai provvedimenti per i settori della popolazione pi vulnerabili, comprendente anche un innalzamento e unestensione dei sussidi di disoccupazione, ha lasciato fuori i lavoratori indipendenti, limitando i benefici per costoro solo ai provvedimenti di sgravio fiscale. Misure significative di compensazione a livello di singolo stato federale non erano state ancora introdotte.22 L81 per cento degli intervistati aveva subto forti diminuzioni di reddito, dovute in parte alla mancanza di commesse ma in larga parte anche ai mancati pagamenti o ai pagamenti ridotti o assai ritardati da parte dei committenti. Sorprendente il fatto che solo il 33 per cento dichiara di lavorare abitualmente sulla base di contratti scritti, a New York City addirittura il 27 per cento. Come hanno fatto a cavarsela? In maggioranza attingendo a riserve tenute per queste eventualit o comunque a risparmi, il 37 per cento appoggiandosi alla carta di credito, una parte ha venduto la macchina, altri hanno rinunciato al mutuo per la casa, un 5 per cento ricorso allassistenza per i poveri. Let media degli intervistati era di quarantacinque anni, in maggioranza donne, un dato che in parte si spiega con il fatto che dal 2007 in poi circa il 40 per cento di coloro che iniziano unattivit in proprio non lo fa per scelta ma perch ha perduto il posto di lavoro come dipendente. Entrate da poco sul mercato e ancora disorientate dalla nuova situazione, sono le persone pi bisognose di un sostegno da parte di unorganizza239

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zione di categoria. Un certo numero di intervistati aveva dichiarato di non avere i soldi o di aver dovuto rinunciare al pagamento dellassicurazione sanitaria privata. Una coppia di lavoratori indipendenti da circa venticinque anni del New Hampshire dichiarava che laumento dei premi per lassicurazione sanitaria privata aveva portato lincidenza di questa spesa al 27 per cento del loro reddito familiare, costringendoli a rinunciare alle vacanze e agli accantonamenti per la pensione. Queste cifre sono state abilmente utilizzate dalla FU sia per aprire una campagna in favore dellestensione del sussidio di disoccupazione anche alle categorie rappresentate dal sindacato, sia per promuovere la sua formula assicurativa. Le assicurazioni private sono in genere costituite da un venture capital che pretende un ritorno dellinvestimento anche del 30 per cento. La Fic chiede che alle societ con scopi sociali venga assicurato capitale a basso costo, chiede inoltre che i premi possano essere deducibili interamente dalle tasse e che sia consentito anche agli indipendenti di formare dei risk pools. Per quanto riguarda invece i sussidi di disoccupazione la FU non ritiene che il sistema vigente possa andar bene per gli indipendenti, data la natura estremamente volatile della loro attivit. Perci suggerisce listituzione di un sistema parallelo creato apposta per questo universo del lavoro mediante una forma di accantonamento alimentato dal gettito fiscale degli indipendenti, alle cui risorse essi possano ricorrere in caso di bisogno. Per quanto riguarda le prestazioni previdenziali, secondo la FU i continui tagli operati dalle aziende sui piani di pensionamento e sui benefit dei dipendenti stanno erodendo un sistema di previdenza sociale basato sul rapporto di lavoro subordinato, quindi lintera impalcatura della sicurezza sociale dovr essere ripensata in ogni caso. Gli indipendenti devono poter disporre di assicurazioni sanitarie che si possano portare dietro da una commessa allaltra, le loro coperture assicurative devono essere portable and affordable. Dal 2001 la FU ha consentito ai suoi soci di godere di forti sconti di gruppo presso alcune assicurazioni private, con le quali ha firmato delle convenzioni; la sua compagnia di assicurazioni, l dove opera, dichiara di procurare agli utenti risparmi anche del 75 per cento sui livelli di mercato dei premi. Si finanzia indebitandosi a basso costo e ripagando il debito con la raccolta dei premi, agisce quindi sul mercato e finora dichiara di rinunciare a una partecipazione di enti pubblici, il suo polmone risiede evidentemente nelle iniziative di charity dei privati. Basta guardare su YouTube il video Getting It Done. 15 Years of Writing the New Rules for the New Workforce. Chi ha seguito sin dalla nascita lorganizzazione avverte che negli ultimi tempi
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il suo messaggio diventato molto pi ambizioso e visionario. Dicono di voler costruire the next social security net, non soltanto per i freelance ma per la nuova forza lavoro emergente, per tutti i flessibili. Dicono di voler stimolare un altro New Deal e non a caso hanno cominciato a comporre la loro galleria di santi patroni, di ispiratori, di precursori. Sidney Hillman licona alla quale si rivolgono, ebreo lituano nato nel 1887, destinato dalla famiglia a diventare rabbino racconta il suo biografo Steve Fraser ma divenuto ben presto militante del Bund, unorganizzazione clandestina ebraica che aderiva al movimento rivoluzionario russo. Incarcerato per la sua attivit di agitatore, poi liberato, sfugge allondata di repressioni e pogrom seguita alla rivoluzione del 1905 riparando in Inghilterra e da qui negli Stati Uniti, prima a New York e poi a Chicago, dove trova impiego nellindustria dellabbigliamento.23 Nel 1910 scoppia uno sciopero nelle industrie del settore che coinvolge circa 45.000 addetti, in maggioranza donne, che sono alla testa del movimento, tra le quali spicca Bessie Abramowitz, che diventer sua moglie. Gli scioperanti rifiutano la direzione del sindacato aderente allAfl (American Federation of Labor) e gli accordi che ha sottoscritto, i dissidenti fondano lAmalgamated Clothing Workers of America, di cui Hillman sar lindiscusso leader sino alla morte, che lo coglie relativamente giovane, allet di cinquantanove anni. Considerato una delle figure pi significative del sindacalismo americano tra le due guerre, in particolare per il suo ruolo nella costituzione del Cio (Congress of Industrial Organization), rinuncia ben presto alle azioni radicali e sin dagli anni della Prima guerra mondiale imprime al suo sindacato uno stile di collaborazione aperta con gli imprenditori disposti a riconoscere lautorit della sua organizzazione; per far questo deve combattere le forti correnti interne anarco-sindacaliste. Accetta moderazione salariale e pace sociale, in cambio chiede agli imprenditori di non abbandonarsi a una concorrenza distruttiva e a rinunciare a pratiche antisindacali, assumendo guardie private o assoldando crumiri durante gli scioperi. Riesce in questo modo, da un lato, a emarginare il vecchio sindacato dellAfl e, dallaltro, a entrare anche in aziende che avevano fino a quel momento tenuto il sindacato fuori dalla porta. Ricoprir ruoli di grande importanza sotto lamministrazione Roosevelt come membro del Labor Advisory Board e del National Industrial Recovery Board, collaborando alla stesura del National Labor Relations Act. La ragione per la quale la Freelancers Union trova nella sua figura un ispiratore dovuta per al fatto che Hillman fu il promotore della prima cooperativa di abitazioni per lavoratori, nel Bronx, e
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della prima banca operaia.24 In questo contesto la fondatrice di FU non ha mai nascosto il suo interesse per il movimento cooperativo italiano. Infatti, la forma previdenziale-assistenziale che sembra essere considerata dalla FU lunica in grado di reggere i tempi, vista la crisi della finanza pubblica, quella di unimpresa sociale, capace di stare sul mercato, di autofinanziarsi, votata unicamente a dare prestazioni sociali agli utenti (a self sustaining way to help people). Una cosa ben diversa da come gli europei simmaginano la flexicurity, perch non , non deve essere, un sistema pubblico, destinato a essere gestito dal partito pi forte o dai partiti in pi o meno stretta concertazione con le vecchie rappresentanze degli interessi, deve essere in tutto e per tutto una forma privata di autogestione. La FU non avrebbe potuto rendere credibile questa ipotesi, realizzata con la fondazione della Freelancer Insurance Company, se non avesse potuto godere del sostegno e dei finanziamenti della New York State Health Foundation, del New York City Investment Fund, ma sopratutto di una lunga lista di fondazioni private, dimostrando in questo una notevole capacit di trovare quattrini.25 Il sindacato propone oggi un Freelancer Retirement Plan, una forma di risparmio assicurativo che possa sostituirsi ai piani di pensionamento aziendali, riservati solo ai dipendenti, ai programmi governativi sempre pi poveri di risorse e alle proposte dei broker privati sempre pi care e con prestazioni sempre pi insoddisfacenti. Un altro esempio al quale la FU intende ispirarsi quello della ShoreBank, uniniziativa creata una trentina danni fa per offrire alla comunit povera di Chicago una banca disposta a dare prestiti a un tasso dinteresse molto basso. Da questa esperienza, che ha visto tra i fondatori alcuni attivisti della comunit afroamericana pi radicale, ha preso avvio il movimento della finanza sociale che ha costruito la cultura e le tecniche del microcredito in diversi paesi poveri del mondo, continuando per a operare e a estendere lattivit in diverse citt degli Stati Uniti, in particolare, dopo la crisi dei mutui, proprio nel settore dei finanziamenti per labitazione. Purtroppo questa banca stata chiusa dalla Federal Insurance Deposit Corporation nellagosto del 2010 per le perdite accumulate, dando loccasione alla FU di mettere sul suo sito un commento molto amaro sul differente trattamento che lamministrazione Obama ha riservato a quelle considerate troppo grandi per fallire rispetto a quelle che dovrebbero essere considerate too good to fail.26 La prima volta che la FU si schierata dal punto di vista politico stata in occasione delle elezioni municipali di New York del 2009. In vista delle elezioni del 2 novembre 2010 la Horowitz ha rivolto un esplicito appello per uni242

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re le forze a quelle del Working Families Party (Wfp) nellappoggiare candidati disposti a impegnarsi sulle questioni basilari dellassistenza sanitaria, del pagamento dei giorni di malattia, della riduzione degli affitti, del sostegno al trasporto pubblico, dei salari minimi fissati per legge in grado di strappare alla povert chi ha un lavoro, del finanziamento pubblico delle spese elettorali, della ristrutturazione di un milione di abitazioni cittadine in modo da risparmiare energia per mantenerne la temperatura interna. Il Wfp dichiara che i suoi 140.000 voti sono stati decisivi per sconfiggere il candidato repubblicano al ruolo di State Comptroller. Lo slogan del partito pu far sorridere (Were fighting to bring back the American Dream) ma se si pensa che i temi del vivere decentemente vengono trascurati dai maggiori partiti e dalla stampa, oscillanti tra ricette per risollevare leconomia e metodi per vincere il terrorismo, uno sguardo concentrato esclusivamente sui problemi della gente che lavora non poi cos banale. Sara Horowitz e Dan Cantor, executive director rispettivamente della FU e del WFP, hanno tenuto dei comizi insieme, il WFP appoggiava la proposta di legge di FU per un intervento pubblico contro i committenti che non pagano (deadbeat client bill). Vogliamo mettere insieme la disparata popolazione dei freelance, toglierli dallisolamento e farli diventare partecipi di una comunit. Una delle battaglie pi popolari, ma anche pi difficili, appunto quella contro i committenti che non pagano. Un passo avanti stato compiuto facendo approvare una modifica alla normativa sul lavoro dello stato di New York secondo la quale il dipartimento del Lavoro pu aprire unindagine sulle societ morose nei confronti degli independent contractors, se necessario pu portarle davanti alle corti, assumendosi le spese legali, senza escludere la possibilit di anticipare le somme delle fatture non pagate. Naturalmente solo in presenza di impegni scritti, ed questo un modo anche per frenare luso di impegni soltanto verbali, molto diffusi a New York nel settore dei media e dello spettacolo. Unaltra modalit quella di lanciare una campagna di smascheramento pubblica, ma le difficolt possono venire in primis dagli stessi freelance, timorosi di esporsi, come ha dimostrato la controversia con una societ di produzione di famose serie televisive. A una lettera di protesta e di ammonimento del sindacato la societ rispondeva dicendo bellamente che non pagava perch non aveva i soldi, la nuova ragione sociale avrebbe probabilmente potuto disporre delle risorse per i pagamenti. A un controllo non risultava alcuna richiesta di fallimento della societ. Una socia della FU coglieva loccasione per raccontare di aver mandato una energica protesta per una fattura non pagata
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a una certa societ, di aver ricevuto pochi giorni dopo un assegno, che si era rivelato per fraudulent. Al danno si aggiunge talvolta anche la beffa. La sola possibilit quella di sensibilizzare lopinione pubblica e le autorit affinch si metta in moto un processo che promuova unazione repressiva efficace. Un altro metodo di cui ha discusso la FU quello di istituire un proprio organismo di recupero crediti. La scarsa efficacia dimostrata anche da quella che pu essere considerata lorganizzazione sindacale degli indipendenti pi combattiva a livello mondiale sta a dimostrare come il problema dei mancati pagamenti sia oggi per questa categoria di lavoratori ancora pi acuto della mancanza di protezioni sociali (mettendo in conto il tempo e i soldi che vengono impiegati per sollecitare il pagamento). Sulle tecniche di sensibilizzazione e di reclutamento della FU si potrebbe insistere a lungo, lattenzione che essi dedicano al loro sito, la frequenza con cui ne cambiano il layout, indice dellimportanza attribuita allo strumento del web. Per un certo periodo il sito ha funzionato anche come strumento di promozione di singoli soci, che presentavano se stessi e le loro competenze. Il layout attuale invece pi scarno, pi chiaro e concentrato sui temi essenziali. Una campagna di cui la FU pu andare fiera quella contro il pagamento della Ubt (unincorporated business tax), qualcosa di simile alla nostra Irap. Quando questa tassa nata, negli anni settanta, New York era a pezzi, scrive la Horowitz, cerano pochi freelance in giro, quelli che sono nati dopo ci sono cascati dentro, una tassa che non ha nulla a che vedere con un freelance, perch si viene tassati due volte, una prima volta come reddito individuale e una seconda come reddito dimpresa, nel 2008 i freelance hanno lasciato allerario 162 milioni di dollari di Ubt. La battaglia contro questa tassa stata condotta con successo a New York e poich, come abbiamo visto dalle statistiche ufficiali, su 15 milioni di self employed due terzi sono unincorporated, ha prodotto un certo seguito al sindacato.

Londra, Westminster Hall


Un approccio completamente diverso quello del Professional Contractors Group (Pcg) britannico. Ci avevano invitato a partecipare al loro evento annuale, il National Freelancers Day, avendo trovato lindirizzo della nostra associazione per caso su Internet. Si erano dati convegno nelledificio del Parlamento affacciato sul Tamigi, al quale si accede dopo aver superato controlli molto rigidi e aver attraversato limmensa medievale West244

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minster Hall. Il luogo non era stato scelto a caso, scopo dellevento quello di fare lobbying presso la politica, di far capire che il lavoro indipendente un fattore importante delloccupazione e delleconomia. Sono molto diversi dagli americani perch la loro base sociale diversa, si tratta di consulenti con anni di attivit alle spalle ben inseriti in mercati molto remunerativi come quelli della ricerca energetica, dei servizi informatici e finanziari, dellindustria farmaceutica e delle utilities. Culturalmente conservatori o vicini ai liberali, contano circa 20.000 iscritti che pagano quote sufficientemente elevate da permettere il mantenimento di uno staff permanente di persone che si dedicano a tempo pieno allattivit dellorganizzazione. Unindagine presso gli iscritti, condotta nel 2010, aveva appurato che il 96 per cento aveva scelto la formula della societ a responsabilit limitata (Ltd) pur essendo per l84 per cento ditte individuali e per il 12 per cento con un dipendente o, meglio, con un altro percettore di reddito derivante dallattivit della societ. Questa scelta si spiega con il regime fiscale, che consente di tassare non il fatturato ma il reddito che il soggetto assegna a se stesso come remunerazione dellattivit, quasi fosse un salariato, detraendo le spese. A differenza dellItalia, dove le vessazioni dellAgenzia delle entrate si manifestano in multe e sanzioni di cui anche il commercialista non sa spiegarsi certe volte lorigine, in Gran Bretagna pu capitare che gli agenti del fisco (Her Majestys Revenue and Customs, Hmrc) piombino nella casa-ufficio del professionista e chiedano, per esempio, di controllare i records delle telefonate degli ultimi due anni; sicch successo a un povero socio Pcg di vedersi affibbiare una multa tale da metterlo in difficolt, dellordine di migliaia di sterline, per aver effettuato una telefonata privata di un paio di sterline, in mezzo a migliaia di telefonate per lavoro, e averla inserita tra le spese detraibili. In casi come questi Pcg assicura assistenza legale ai soci. Non c da stupirsi quindi se lassociazione nata nel maggio 1999 a seguito di una campagna e di una successiva azione legale contro un provvedimento fiscale iniquo, noto con la sigla IR35. Di cosa si tratta? Del solito approccio inquisitorio delle autorit che pretendono in questo modo di frenare lutilizzo di lavoratori autonomi come mimetismo di un rapporto di lavoro subordinato. Ovviamente il regime fiscale del rapporto di lavoro autonomo favorevole allimpresa e in parte al contractor stesso, ma gli uffici di Sua Maest invece di prendersela con le imprese si sono accaniti contro centinaia di consulenti, infliggendo a taluni multe tali da rovinarli e scatenando una serie di controversie di lavoro, che continuano tuttora. Lultima in ordine di tempo, di cui d notizia il si245

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to di Pcg il 20 gennaio 2011, si conclusa con la vittoria di un loro socio in quanto la Corte non ha riconosciuto nel contratto di consulenza che questi aveva sottoscritto con Airbus gli estremi della mutual obligation, propria invece del rapporto di lavoro subordinato. Siamo pronti a pagare di pi in cambio di una semplificazione della legislazione fiscale, dichiara il servizio di consulenza e informazione online www.freelancesupermarket.com. Finire sotto le grinfie dellIR35 come farsi mordere dal proprio rottweiler! Se qualcuno volesse analizzare lenorme differenza tra la cultura e lapproccio della FU newyorkese e quelli del Pcg dal punto di vista sociologico, potrebbe scoprire delle cose di grande interesse, che gli permetterebbero di guardare dentro la complessit di quellaggregato che chiamiamo ceto medio e la sua crisi. La base sociale di Pcg rappresentata da consulenti di grandi aziende (67 per cento) e di enti pubblici o societ che lavorano per il mercato pubblico (29 per cento) con contratti di lunga durata o di medio-breve durata rinnovabili. Il contratto diventa spesso la garanzia sulla quale ottengono il mutuo per acquistare sia labitazione-ufficio (dove il consulente in realt risiede un tempo inferiore a quello che spende viaggiando in continuazione per ragioni di lavoro) sia degli immobili che rappresentano linvestimento necessario a procurarsi una specie di pensione con i proventi dellaffitto, quando non saranno pi in grado di lavorare. Possedere degli immobili come risparmio assicurativo proprio di una particolare categoria del ceto medio e non soltanto nel mondo occidentale e gli independent contractors vi appartengono. La crisi dei mutui ha prodotto quindi effetti devastanti su coloro che ancora non erano riusciti a pagare la prima casa o a finire di pagare limmobile destinato a essere affittato a terzi. Le banche si sono trovate senza liquidit, i broker si sono trovati con una drastica limitazione di schemi dinvestimento che erano autorizzati a proporre, gli indipendenti si sono trovati con clienti che non rinnovavano i contratti o che li rinegoziavano al ribasso. La crisi, se ha consentito a questi consulenti di sopravvivere, ha strappato a molti di loro la possibilit di una pensione, come dire, immobiliare, a taluni, i pi sfortunati, ha portato via anche la casa-ufficio. Le norme fiscali della IR35, dichiarando migliaia di contratti insufficienti a provare che il rapporto di lavoro non un rapporto di subordinazione, hanno avuto effetti forse ancora pi devastanti della crisi sulla condizione dei contractors. Gli iscritti alla FU americana invece appartengono in maggioranza alla fascia bassa del freelancing, che cerca a fatica di sbarcare il lunario e spesso lavora su accordi ver246

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bali. Per i britannici laspetto fondamentale invece il contratto scritto, in quanto la prova del loro essere in regola con il regime fiscale previsto dallIR35. Questo spiega anche la scelta di costituirsi come entit legale dimpresa, che non attribuibile a un desiderio di appartenere allordine simbolico dellimprenditore ma alla necessit di tutelarsi nei confronti del fisco, quando il tipo di rapporto prevalente quello con uno o due soli grossi committenti.27 Nel numero di settembre 2010 della loro rivista Freelancing Matters, John Brazier, il managing director di Pcg, esplicita il modus operandi dellassociazione:
Quando ho assunto questo incarico, nel settembre 2007, lassociazione andava bene ma era necessario trovare un nuovo posizionamento strategico. Verso linterno, dovevamo superare un rapporto con i soci che fosse solo di utilizzo di un servizio dinformazione e di consulenza. Dovevamo riuscire a coinvolgerli attivamente, considerarli una risorsa importante di capitale umano da investire nellassociazione. Abbiamo moltiplicato gli eventi organizzati per i soci, le occasioni dincontro diretto, i seminari, le serate conviviali. Verso lesterno abbiamo iniziato a tessere rapporti con associazioni professionali come la nostra su obiettivi strategici comuni, a essere presenti allinterno di organismi rappresentativi del business, a fare un lobbying pi stretto nei confronti dei partiti e dei legislatori in genere per fare sentire la nostra opinione su questioni fiscali e normative che interessano tutti i freelance. Per fare tutto questo abbiamo dovuto rafforzare lo staff permanente. Poich la legislazione sul lavoro ormai la decide lUnione europea che socialist and protectionist abbiamo preso liniziativa di aprire unantenna a Bruxelles per farla diventare anche punto di riferimento e di confronto con altre associazioni di lavoratori indipendenti di altri paesi, come il Pzo olandese. Se lavoriamo bene, tra qualche anno faremo un grande meeting europeo di tutti gli indipendenti e riusciremo a costituire una terza forza, finiremo di essere sbattuti tra gli imprenditori e i lavoratori subordinati.

Cos nato lEuropean Forum of Independent Professionals, un coordinamento che muove i primi passi e ha gi fatto sentire la sua voce presso la Commissione occupazione e affari sociali del Parlamento europeo in occasione del Rapporto sul lavoro atipico. Grazie anche allinteresse che la vicepresidente, la deputata inglese Elisabeth (Liz) Lynne, sembra avere per la condizione del lavoro indipendente in virt dellopera di sensibilizzazione che Pcg conduce in Inghilterra. Sono presenti anche associazioni italiane, ci siamo anche noi di Acta. La leadership ora chiaramente britannica, il gruppo pi strutturato; difficolt po247

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tranno sorgere per la grande disomogeneit dei partecipanti, che vanno dallassociazione di mestiere (per esempio i traduttori) alle associazioni-ombrello che raccolgono una grande variet di organismi. Sorprendente tuttavia, pur nella diversit delle culture di base, in certi casi agli antipodi, la sussistenza non solo di un sentire comune, ci che abbiamo chiamato unantropologia specifica, ma di una grande omogeneit di statuti di cittadinanza nei diversi paesi. Il primo segnale incoraggiante, vuol dire che si possono formare linguaggi e un sistema di pensiero comuni, presupposto indispensabile per la nascita di un movimento in grado di smuovere le cose. Il secondo segnale invece preoccupante, perch vuol dire che le lite dirigenti europee, quarantanni dopo lavvento del sistema postfordista, non se ne sono ancora accorte. E questo la dice lunga sul loro rapporto con la societ reale e con il lavoro.

Parigi e dintorni
Le associazioni dei professionisti indipendenti, Sicfor-Fcf (Sindacato dei consulenti e dei formatori indipendenti Federazione dei consulenti in formazione), Apotrad (Associazione dei professionisti dei mestieri della traduzione) e Freelance in Europa annunciano la creazione del Coordinamento delle associazioni dei professionisti indipendenti delle arti liberali (Capil). Il Coordinamento ha come obiettivo quello di promuovere il lavoro indipendente in Francia e in Europa e di difendere gli interessi comuni dei professionisti che lo esercitano. La definizione di questi professionisti secondo il Codice del lavoro, L8221-6-1, la seguente: Chi opera in forma indipendente offrendo prestazioni intellettuali e stabilisce lui stesso le proprie condizioni di lavoro in accordo con i suoi clienti e porta a termine la sua missione senza rapporto di subordinazione nei loro confronti. Non sono n agricoltori, n artigiani, n professioni liberali regolamentate dallo stato, esercitano tutte le professioni che fino a ieri venivano svolte da lavoratori salariati: ingegneri, consulenti, traduttori, grafici, formatori, informatici, comunicatori ecc. utilizzando tutte le ragioni sociali disponibili e consentite, attivit in proprio, imprese individuali, societ di autori (Agessa, Maison des Artistes) e anche sotto forma di assimilati a salariati (nel giornalismo, nel reportage fotografico). LInsee censisce circa 300.000 professionisti indipendenti delle arti liberali; da quando, nel 1999, stata inserita questa categoria nelle Indagini annuali sullimpresa, il loro numero ha segnato una crescita media annua del 7 per cento, a questo ritmo saranno pi di un milione nel 2030.

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Non esiste al giorno doggi alcuna struttura ufficiale che li rappresenti tutti. Le camere consolari, gli ordini, i collegi, rappresentano delle professioni ben definite e, tra le liberali, quelle regolamentate. Il Coordinamento fa appello ai pubblici poteri per far sapere che esiste, affinch ne tengano conto allinterno del Coordinamento nazionale di concertazione delle professioni liberali (Cncpl), che in questo momento sta elaborando una definizione positiva delle professioni liberali.

Questo comunicato apparso sul numero 500 della pubblicazione online CyberGazette. Le Journal des Freelances il 10 gennaio 2011. Ci vuole una bella costanza per arrivare a 500 numeri di una pubblicazione, gestita praticamente da una persona, Michel Paysant, con qualche collaboratore. Precisa Paysant:
Questo coordinamento una prima tappa in vista della creazione di una struttura permanente, vi aderiscono solo associazioni, unioni o sindacati dei lavoratori della conoscenza indipendenti. Partecipa al Forum europeo dei professionisti indipendenti (Efip) che riunisce strutture di diversi paesi europei e ha come scopo quello di promuovere e difendere il lavoro indipendente in Europa (http://www. independents-forum.eu/).

Abbiamo conosciuto Michel agli inizi degli anni novanta e ciascuno di noi aveva gi da prima il pallino di organizzare in qualche modo i nuovi lavoratori autonomi che incontravamo ogni giorno nella nostra attivit lavorativa. Erano in genere persone di mezza et con esperienze aziendali alle spalle, una buona conoscenza delle tecniche di management, una rete di relazioni che si erano procurati durante la loro vita aziendale. In parte usciti per loro scelta dalle aziende dove avevano accumulato il know how che si preparavano a vendere sul mercato a prezzi tali da giustificare la loro decisione di mettersi in proprio, in parte espulsi nelle ricorrenti fasi di ristrutturazione per fusioni, acquisizioni, scorpori ecc. Era un periodo doro per queste figure e lidea di organizzarsi era molto lontana dalla loro sensibilit. Un sindacato? Ma per far che? Lidea stessa di creare unidentit di gruppo li lasciava indifferenti. Il nostro stesso pallino era piuttosto il retaggio di esperienze di movimento degli anni sessanta e primi anni settanta, che avevano creato in noi un mind set specifico, completamente sgombro da orpelli ideologici o da schemi dottrinari (come vuole invece la vulgata su quella generazione), ma tale da aver sviluppato una specie di sesto senso per i futuribili. Facevamo parte, quelli del palli-

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no, della fascia medio-alta della consulenza professionale, quindi il problema dellorganizzazione non veniva avvertito n come una riproposizione di vecchi schemi rivoluzionari n come uno strumento di soccorso a persone in difficolt. Riportando alla mente incontri e discorsi di quel tempo, ci che ci rimasto pi impresso la sensazione piacevole e sorprendente di scoprire che la disposizione danimo delle persone con il nostro mestiere era la stessa, in Italia, in Gran Bretagna, in Germania, dovunque avessimo loccasione di incontrare colleghi con i quali si trovava il tempo di fare due chiacchiere confidenziali sul nostro vissuto di lavoro. Cominci a radicarsi in noi la convinzione che lindipendente, lautonomo, proprio un nuovo tipo umano o, comunque, un tipo con caratteristiche molto simili in tutti i suoi esemplari. Quindi, prima di organizzare una coalizione, cera da studiare e dare volto a una nuova antropologia umana. Infatti il processo evolutivo avrebbe dovuto aspettare almeno altri dieci anni per passare dalle conversazioni tra individui ossessionati dai medesimi pallini alliniziativa, pressoch simultanea in diversi paesi, di alcuni gruppi di lavoratrici e lavoratori autonomi per la creazione di associazioni di categoria. In mezzo si erano verificati due fenomeni, che avevano contribuito a cambiare la composizione interna e il contesto del lavoro indipendente: la moltiplicazione di queste figure nella fascia medio-bassa e bassa del mercato e la crisi delle dot.com. Iniziava un periodo di difficolt per il mondo occidentale che sarebbe sfociato nella crisi del 2008, il momento aureo della consulenza indipendente era finito, i pi fortunati si erano ritirati, cessando lattivit o riducendola al minimo, chi era stato costretto a continuare a lavorare vedeva diminuire a vista docchio i suoi redditi annuali e cominciava a chiedersi come avrebbe vissuto in vecchiaia. Mettendo insieme i dati dellInsee, Michel Paysant, in una presentazione del settembre 2010 al Forum europeo dei professionisti indipendenti (Efip), aveva scoperto che dal 1999 al 2007 la crescita dei lavoratori intellettuali delle professioni non regolamentate al servizio delle imprese era stata dell80 per cento e il loro reddito medio annuo nel 2007 era stato di circa 33.500 euro lordi. Chi per ragioni anagrafiche ha potuto attraversare gli ultimi ventanni lavorando in questo ambiente, continua a restare sconcertato di fronte alla stolida insipienza delle classi dirigenti di questa povera Europa, che ancora non sono riuscite a rendersi conto di cosa sta accadendo nel mondo del lavoro. Con irresponsabilit
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e leggerezza stata portata avanti una politica dincoraggiamento a fare impresa, piccola, minuscola, sgangherata, pur di farla, cos, tanto per abbassare il numero dei disoccupati, senza chiedersi con quale contesto di mercato si sarebbero scontrati questi microimprenditori/lavoratori autonomi. Sono stati forniti incentivi insufficienti, capitali di start-up ridicoli, non stato previsto alcun sistema creditizio favorevole e in genere stato aggravato il carico fiscale. Ricorda, quel che successo, la riforma agraria in Italia, quando sono state date in propriet terre difficili da coltivare a contadini senza mezzi e senza capitali, costringendo poi la maggioranza a emigrare. In Francia esiste unAgenzia per la creazione di imprese, lApce, che sembra corrispondere allidea che noi italiani abbiamo dellefficienza della macchina pubblica doltralpe. Il 1 gennaio 2009 entrata in vigore la legge sullimpresa individuale (auto-entrepreneur), integrata nel dicembre 2010 con la legge sullimpresa individuale a responsabilit limitata.28 I due testi hanno almeno il merito di aver definito con chiarezza quali sono i regimi fiscali e assicurativi nei quali rientrano coloro che scelgono di lavorare in proprio adottando una figura giuridica, proteggono gli autoimprenditori da certi rischi e pongono un limite allavidit delle banche, che non dovrebbero poter esigere a garanzia di un prestito beni personali che non rientrano tra i mezzi pertinenti lattivit economica del debitore.29 In ogni caso evidente lo sforzo di far rientrare questo universo delloccupazione nellordine simbolico dellimpresa e non nellordine del lavoro, con il risultato che persino quelli del pallino a volte rischiano di avere le idee confuse in proposito.

Milano
Pu essere descritto, questo strano connubio tra una metropoli e una parrocchia, come un aggregato di sistemi, sottosistemi e non-sistemi. Cos complesso che le generalizzazioni rischiano il flop. Da decenni ormai nessuna penna curiosa, indagatrice, spregiudicata, appassionata ne scrive pi. Nessun Bianciardi, nessun Montaldi da quarantanni appare allorizzonte, neanche nessun Jannacci.30 Ma in realt non questione di scrittura, roba di sociologia potremmo dire, anzi di pi, lassenza di un pensiero che non pu vivere senza avere un fondamento nella complessit di soggetti collettivi, saranno le tute blu (bianche quelle della Pirelli di un tempo), saranno gli immigrati. Ne251

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gli ultimi decenni lunica eccezione il pensiero delle donne. Di sicuro Milano ha prodotto in quantit corifei del glamour, pifferai del fashion, che ne hanno confezionato limmagine e, a dire il vero, sono stati bravi, il marketing ha funzionato bene. Di certo Milano ha un governo, una presenza articolata, potente, abilmente soft, che lascia pochi pori liberi di respirare nel suo tessuto, ci elle, dice la sigla. Ma Milano anche la prima grande protagonista dellindustrialismo ad aver elaborato il lutto del fordismo, labito nero della vedovanza lo ha messo presto nel cassetto, non porta nemmeno la fascia nera al braccio come Genova o Torino. Doveva per forza nascere a Milano unassociazione dei lavoratori autonomi al passo coi tempi, perch gi tante esistevano (o vegetavano) da anni, ma Acta (Associazione consulenti del terziario avanzato) ci sembra onestamente in linea, in sintonia, con quanto abbiamo visto nascere e svilupparsi a New York, a Londra, a Berlino, a Parigi. Eppure il contesto sociale ed economico nel nostro paese soltanto parzialmente simile a quello francese, britannico o americano in cui maturata la forza delle coalizioni di cui abbiamo discusso. Da una parte, con il postfordismo, si fanno strada in egual modo le dinamiche decostruttive dei sistemi dimpresa e lemergere del lavoro cognitivo e indipendente. Dallaltra, tuttavia, vi sono differenze piuttosto marcate che riguardano in particolare la composizione del tessuto imprenditoriale, costruito in prevalenza dai piccoli, e la presenza di tradizioni ordinistiche che insieme a commercianti e artigiani hanno per anni impropriamente rappresentato nellopinione pubblica del nostro paese il bacino unico del lavoro autonomo. Acta ha saputo ritagliarsi il giusto spazio, dando voce e corretta rappresentazione di quel mondo del lavoro professionale indipendente che non ha legami con gli albi e non si riconosce nel segmento degli artigiani o dei commercianti. Lintuizione iniziale, che risale al 2004, semplice: raccogliere diversi professionisti senza distinzioni per unirli in una coalizione che mettesse in primo piano le questioni di equit e di giustizia rispetto ai diritti di cittadinanza e allo stato sociale, oltre che al mercato del lavoro e nei confronti delle imprese. Prima ancora di guardare al contenuto lavorativo espresso, Acta raduna i lavoratori di ogni settore che esercitano con partita Iva, svolgono attivit di consulenza come freelance e indipendenti, e vivono quotidianamente problemi del tutto simili: un fisco vessatorio, una previdenza senza garanzie, difficolt nei pagamenti, dumping sociale e un sostanziale abbandono sul fronte delle po252

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litiche di sviluppo. Fare da soli non basta pi ai suoi iscritti, la distanza dalle tradizionali forme politiche e sindacali di rappresentanza cos marcata che sorge quasi spontaneo per chi vi opera mettere a fattor comune tempo, idee e soldi. Nellorganizzazione interna Acta trova alcune spinte aggregative che si concretizzano in tre attivit distinte: analisi e proposte sul fronte delle politiche pubbliche, azione coordinata di comunicazione, costituzione di servizi specifici per freelance. Sono tre componenti forti della consulenza: la lettura critica del capitalismo intellettuale, in particolare di ci che viene definito legislativamente nei contesti politici e istituzionali; la necessit di parlare, divulgare, aggregare; e infine la volont di rispondere alle esigenze di mutualismo e servizio. Sul primo fronte Acta produce una certa quantit di analisi, commenti e proposte che riguardano fisco, previdenza e assistenza, confrontandosi criticamente con proposte legislative legate a nomi come Pietro Ichino, Giuliano Cazzola, Tiziano Treu, di cui abbiamo parlato pi estesamente in chiusura del precedente capitolo, confrontandosi attivamente anche con il sindacato. Nel maggio del 2009 presentava pubblicamente anche una proposta specifica per la maternit universale e la tutela pensionistica di chi deve affiancare al proprio lavoro anche unattivit di cura.31 Sul fronte della comunicazione, dopo alcuni anni di attesa, Acta sposa in pieno la filosofia del social networking. La sua community digitale, che ruota intorno al sito istituzionale (www.actainrete.it), trova spazio per fare coalizione anche su Facebook, Twitter, Friendfeed e LinkedIn. I materiali Acta circolano su numerosi social media, da Flickr a YouTube, da Scribd a Del.icio.us. Il battage arriva presto sugli organi di stampa e Acta guadagna anche le prime pagine dei giornali, a partire dal Corriere della Sera.32 Lazione di comunicazione e informazione passa per anche per canali indiretti. Lo sforzo di collegamento con altre associazioni trova un importante sbocco con la Rete, una sorta di coordinamento leggero, nato nel corso del 2009, che raccoglie altre undici realt associative trasversali e interprofessionali.33 Sul fronte dei servizi invece Acta riesce con pochi mezzi a mettere in piedi, sulla base della collaborazione di volontari, convenzioni, giornate di formazione, uno spazio di co-working e servizi di consulenza personalizzata su fisco e previdenza. Ma ci che pi di ogni altra cosa aiuta Acta nella sua graduale crescita la sua ferma battaglia sui temi sociali, a partire dalle sperequazioni che riguardano il sistema pensionistico e lassistenza. Al deficit di rappresentanza Acta contrappone, prima ancora che rappresentanti,
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diverse e pi realistiche rappresentazioni del lavoro, con la ferma convinzione che il lavoro autonomo sia un valore da difendere. Abbandona il formalismo del mondo sindacale, le logiche di connivenza, la voglia di accaparrarsi poltrone. Ci che denuncia pubblico, prima di tutto via Internet, dove c spazio per raccogliere soprattutto commenti e racconti in presa diretta. Il 1 dicembre 2009 alcuni soci occupano simbolicamente lo scalone interno della Triennale di Milano, per protestare contro una proposta di emendamento alla legge finanziaria che chiede di innalzare le aliquote previdenziali dei professionisti autonomi. Il presidio del luogo simbolo della Milano creativa prende la forma di un happening: finte sacche di sangue sono attaccate al braccio di lavoratrici e lavoratori autonomi a simboleggiare le troppe sanguisughe in giro che vogliono attaccarsi a chi lavora in proprio. Da l a pochi giorni il Parlamento ritira lemendamento alla finanziaria e Acta intasca il successo. Il messaggio pi forte per rilanciare la necessit di unirsi arriva a fine 2010, quando Acta diffonde il Manifesto dei lavoratori autonomi, scritto in collaborazione tra i soci.34 Lobiettivo principale di tracciare un ritratto aggiornato della condizione del lavoro indipendente di seconda generazione, offrendo alluniverso del lavoro e allopinione pubblica un programma per il riconoscimento del valore del lavoro professionale e cognitivo in genere. Insieme al testo, Acta progetta anche il suo lancio a livello nazionale, rimettendo piede l dove un anno prima era entrata con forme di protesta. Il 12 gennaio 2011 si ripresenta in Triennale e mette in scena uno spettacolo autofinanziato, sotto la direzione della regista argentina Marcela Serli. Alcuni soci si prestano al mestiere dattore per interpretare se stessi e leggere brani del Manifesto. Prendendo spunto anche dal bellissimo post sul sito di un socio romano, Giacomo Mason,35 ai lavoratori autonomi si sbatte in faccia una cruda verit: non aspettarsi la solidariet di nessuno perch non si d solidariet ai fantasmi, agli invisibili. Dunque non resta che unirsi, come dice il vecchio adagio, prendere in mano i propri destini, perch i diritti dei freelance sono quelli di tutti i lavoratori, perch la protezione delle singole professioni non basta e occorre unire i lavoratori, non dividerli, perch le partite Iva non hanno diritto a nessun ammortizzatore sociale e i loro contributi Inps finanziano gli ammortizzatori di altre categorie. Per Acta indispensabile scrollarsi di dosso la falsa immagine di evasori, finti dipendenti, invisibili. Leconomia, come hanno recitato in Triennale i professionisti di Acta, ha bisogno di queste figure: pi robusti di254

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ventano, pi forti saranno tutti i lavoratori, anche i dipendenti, perch si tratta di lotta contro la concorrenza al ribasso ed equit nei pagamenti. Da soli i lavoratori freelance finiscono sbatacchiati tra grandi imprese e lavoratori subordinati, tra lobby politiche e sindacali. Insieme potranno forse contare di pi. Sembrer strano, ma in questo mondo di linguaggi crittati e di comunicazioni remote, scoprire parole antiche, sentirle suonare convincenti, un piacere, un divertimento. Acta ha posto anche il problema di come pronunciarle.

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Note

1. Passaggi
Agostino dIppona, Le Confessioni, Edizioni Paoline, Milano 2002, p. 98. Ivi, p. 105. 3 A quellepoca poteva capitare di peggio agli insegnanti nel mercato privato, come quel tale, poi dichiarato santo, che fu trafitto a morte dagli allievi a colpi di stilo, cfr. Robert A. Kaster, Guardians of Language. The Grammarian and Society in Late Antiquity, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1988, paperback 1997. 4 Ibid. 5 Richard Florida, Cities and the Creative Class, Routledge, New York 2005; vedi anche The Economic Geography of Talent, in Annals of the Association of American Geographers, settembre 2002, pp. 743-755. 6 www.intranetmanagement.it, nel commento a un libro di Pier Cesare Rivoltella. 7 Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, a cura di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli, Feltrinelli, Milano 1997. 8 www.1099.com, The Webzine for Independent Professionals. 9 Intervista a cura di Matteo Sanfilippo, del 14 giugno 2010, sul blog di Claudia Cucchiarato www.vivoaltrove.it, che trae il nome dal titolo del libro pubblicato dallautrice presso Bruno Mondadori nel 2010. Utile come reportage, il libro della Cucchiarato purtroppo sembra dar credito alla teoria che tutta colpa della generazione anni sessanta, una teoria che viene espressa in maniera molto pi radicale da testi come What Did the Baby Boomers Ever Do for Us? di Francis Beckett (Biteback Publishing, London 2010), un guazzabuglio di mistificazioni e falsit sulle cause della condizione lavorativa e sociale oggi. 10 I professionisti non iscritti ad albi sono liberi di scegliere se regolamentare il rapporto secondo le norme sul contratto dopera o le norme sul contratto dopera intellettuale, cfr. Riccardo Salomone, Le libere professioni intellettuali, vol. 55 del Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico delleconomia, diretto da Francesco Galgano, Cedam, Padova 2010, pp. 146 ss.
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11 La generazione delle venticinquenni-trentacinquenni, figlie di donne acculturate che in tempi diversi hanno svolto la loro carriera in Italia, cercano sbocchi professionali coerenti con i loro studi, e non li trovano in Italia, ma li rinvengono con maggiore facilit allestero. [...] Evviva la fuga delle cervelle, e le mamme si preparino anchesse a visitare le proprie figlie allestero [...]. E perch no anche la fuga delle mamme delle cervelle, per segnalare che qualcosa deve cambiare nel nostro paese... scrive la psicologa Antonietta Cacciani in una lettera a postaingioco@libreriadelledonne.it 12 Ma non si tratta solo di giovani, come scrive sul blog www.vivoaltrove.it una persona che ha costituito nel 2002 unassociazione di volontariato per over quaranta che hanno perso il lavoro: Non sono solo i giovani che vorrebbero andarsene, ho molti casi di persone mature, di quarantacinquenni o cinquantenni che continuano a pensare che sarebbe meglio andare via. 13 The Brain-Drain, Emigration Flows for Qualified Scientists. Il caso italiano, curato da Maria Carolina Brandi e Sveva Avveduto dellIstituto di ricerca sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, nella Sezione 4 della ricerca. 14 Cfr. sulla situazione universitaria negli Stati Uniti i contributi di Andrew Ross e di alcuni suoi studenti della New York University in The University Against Itself: The Nyu Strike and the Future of the Academic Workplace, Temple University Press, New York 2007. 15 Si verifica un doppio processo, che soffoca lidea di libert individuale: la competenza viene percepita come un handicap, non come una risorsa, nella pratica quotidiana viene gestita in maniera prudente e timorosa, successivamente viene sempre pi isolata e separata dalla consistenza morale. Nella prima fase sottoposta a unazione inconscia di mutilazione, nella seconda si atrofizza lentamente. Ne parliamo in maniera pi chiara ed estesa nel prossimo capitolo. 16 Sottotitolo Il nuovo mercato del lavoro scientifico, Odradek, Roma 2006. 17 Non ci vuole molto per esercitare questa funzione: con tutti i limiti, uniniziativa come quella del sito www.lavoce.info risponde a tali esigenze e crea una dinamica per cui altri gruppi di docenti e di giornalisti onesti si mettono sulla stessa lunghezza donda (Sbilanciamoci.com, nelMerito.com, noiseFromAmeriKa.org ecc.) sviluppando unatmosfera culturale con un po di senso radical, il minimo che si pu chiedere a una democrazia borghese. 18 Si tratta della ricerca biennale Isfol Plus, cfr. Gianni Corsetti, Emiliano Mandrone, Il lavoro: tra forma e sostanza. Una lettura delloccupazione non standard in Italia, in Economia e Lavoro, n. 2, 2010, pp. 71-97. I dati del 2010 saranno disponibili nella primavera-estate del 2011. 19 Importanti a questo proposito i contributi di Orsola Razzolini, assegnista di ricerca dellUniversit Bocconi che ha gi ottenuto significativi riconoscimenti internazionali, sulla legittimit di considerare lavoro autonomo anche quello di un professionista con una struttura organizzativa minima. Cfr. I confini del diritto del lavoro nella sua evoluzione storica: unintroduzione, in Annali di storia dellimpresa, n. 18, 2007, pp. 431 ss. e la voce Lavoro autonomo organizzato, in Marcello Pedrazzoli (a cura di), Lessico giuslavoristico. Impresa, vol. 2, Bononia University Press, Bologna (in corso di stampa).

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20 Elena Fabrizi, Rinaldo Evangelista, Linstabilit dei nuovi lavori. Unanalisi dei percorsi lavorativi, in Economia e Lavoro, 2010, n. 2, pp. 24-46. 21 Annalisa Murgia, Dalla precariet lavorativa alla precariet sociale. Biografie in transito tra lavoro e non lavoro, Odoya, Bologna 2010. 22 Richard Sennett, Luomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano 1999. 23 Nel capitolo 5 mostriamo uno dei tanti esempi dincongruenza di questo archetipo con la realt quotidiana. 24 Riccardo Salomone, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 68. 25 Nel 2010 sono stati autorizzati 1203 milioni di ore, di cui 341,8 milioni di Cig ordinaria, 488,8 milioni di Cig straordinaria (aumentata del 126,4 per cento rispetto al 2009) e 373 milioni di Cig in deroga (aumentata del 206,5 per cento rispetto al 2009). Le ore effettivamente utilizzate sono state poco al di sotto del 50 per cento (fonte Inps). 26 Lesito del referendum alla Fiat Mirafiori sul piano Marchionne stato molto eloquente in tal senso: mentre tra gli operai lo scarto tra i no e i s stato di soli 9 voti, tra i colletti bianchi i s hanno raccolto il 95,5 per cento di consensi. 27 Da questo punto di vista limpostazione data da alcune componenti del movimento delle donne estremamente significativa, non solo per il rifiuto di appartenenza che non sia il legame di genere ma per il superamento dellidea di rappresentanza come istituto al quale conferire una delega. A partire da questi presupposti pu iniziare un ragionamento sul senso del lavoro, cfr. il documento Immagina che il lavoro. Un manifesto del lavoro delle donne e degli uomini scritto da donne e rivolto a tutte e tutti perch il discorso della parit fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta pi, presentato il 24 ottobre 2009 a cura della Libreria delle Donne di Milano. 28 Gnther Anders, Claude Eatherly, Burning Conscience: The Case of the Hiroshima Pilot, Claude Eatherly, Told in His Letters to Gnther Anders, Weidenfeld and Nicolson, New York-London 1961. 29 Questo racconto fu presentato durante il convegno internazionale Psiche, Affetti e Tecnica organizzato da Coirag e tenutosi a Milano l8-9-10 giugno 2007. 30 Jacques Derrida, Donare la morte, Jaca Book, Milano 2002. 31 Cfr. Armanda Kidd Damarin, La produzione e le occupazioni flessibili, in Sviluppo e Organizzazione, Croa, Centro di ricerca sullorganizzazione aziendale, Universit Bocconi, Milano, n. 223, settembre-ottobre 2007. 32 Cfr. Dario Banfi, Liberi Professionisti Digitali, Apogeo, Milano 2006. 33 Cfr. Dario Banfi, Moonlighter, ghost worker e lAltro lavoro, Humanitech.it, 13 gennaio 2010. 34 La campagna Cgil Giovani non pi disposti a tutto, lanciata attraverso il sito www.nonpiu.it a met novembre del 2010 secondo Arnaldo Funaro fu ideata in nuce da lui gi un anno prima. A riprova indica i materiali da lui realizzati e visibili sul sito Blog Guerrilla (http://www.bloguerrilla.it/ 2009/05/28/siamo-tutti-diversamente-occupati/). 35 Emiliana Armano, Precariet e innovazione nel postfordismo. Una ricerca qualitativa sui lavoratori della conoscenza a Torino, Odoya, Bologna 2010, p. 32.

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Ibid. Mark Granovetter, La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori, Napoli 1998. 38 Gay W. Seidman, Beyond the Boycott: Labor Rights, Human Rights, and Transnational Activism, American Sociological Associations Rose Series in Sociology, Russell Sage Foundation, New York 2007. 39 Per ricostruire la vicenda nella sua genesi e negli sviluppi si leggano sul sito di Acta (www.actainrete.it) questi articoli: La lettera scomparsa: Acta denuncia le politiche Inps!, 3 maggio 2010; Pensioni: Meglio lignoranza del sommovimento sociale?, 6 ottobre 2010; Acta risponde a Paolo Attivissimo, 27 ottobre 2010; Unaltra incauta dichiarazione di Mastrapasqua, 22 dicembre 2010.
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2. Da gentiluomini a mercenari. Lideologia del professionalismo e la sua crisi


1 International Labour Office (Ilo), Management Consulting. A Guide to the Profession, a cura di Milan Kubr, Geneva 20024, p. 131. 2 Burton J. Bledstein, The Culture of Professionalism. The Middle Class and the Development of Higher Education in America, W.W. Norton & Co., New York 1976. 3 Ivi, p. 81. 4 Ivi, p. 101. 5 Fernando Fasce, La democrazia degli affari: comunicazione aziendale e discorso pubblico negli Stati Uniti, 1900-1940, Carocci, Roma 2000. 6 Matthias Kipping, The Consultancy Business in Historical and Comparative Perspective, Oxford University Press, Oxford 1999; Matthias Kipping, Lars Engwall (a cura di), Management Consulting. Emergence and Dynamics of a Knowledge Industry, Oxford University Press, Oxford 2002. 7 Marco Soresina, Professioni e liberi professionisti in Italia dallUnit alla Repubblica, in Quaderni di Storia, maggio 2003. La letteratura riguardante la storia delle professioni in Italia , tranne pochissime eccezioni, dedicata esclusivamente alle professioni regolamentate. Qui abbiamo preso in considerazione, oltre alle riflessioni di carattere storico-metodologico che valgono per tutti i discorsi sul professionalismo, soltanto le analisi dedicate alle professioni tecniche (pp. 165-201), perch la loro evoluzione strettamente legata a quella dellimpresa e le nuove professioni non regolamentate in genere appartengono al settore dei servizi alle imprese. Con maggiore approfondimento e completezza se ne occupata pi di recente Maria Malatesta, Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni nellEuropa contemporanea, Einaudi, Torino 2006. Il capitolo dedicato agli ingegneri il quarto, Ingegneri ed lite, pp. 199-244. Alla bibliografia contenuta in questo volume si rimanda per ulteriori riferimenti. 8 Willem Tousijn, Tra Stato e mercato: le libere professioni in Italia in una prospettiva storico-evolutiva, in Willem Tousijn (a cura di), Le libere professioni in Italia, il Mulino, Bologna 1987, p. 28. 9 Il problema della disoccupazione dei tecnici caratterizz tutto il pe-

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riodo tra le due guerre, Fabio Bugarini, Ingegneri, architetti, geometri. La lunga marcia delle professioni tecniche, in Willem Tousijn (a cura di), Le libere professioni in Italia, cit., p. 323. 10 Willem Tousijn, (a cura di), Le libere professioni in Italia, cit., pp. 1415. 11 Maria Malatesta, Professionisti e gentiluomini, cit., p. 349. 12 Luigi Ferrarella, Milano ha 20 mila avvocati (la met di tutta la Francia), in Corriere della Sera, 16 settembre 2010. 13 Maria Malatesta, Professionisti e gentiluomini, cit., p. 349. 14 Ivi, p. 353. 15 Gian Paolo Prandstraller, Professionisti e knowledge workers. Il caso italiano, in Economia e Lavoro, n. 2, 2003, pp. 23-30; vedi anche a cura dello stesso autore, Le nuove professioni nel terziario. Ricerca sul professionalismo degli Anni 80, Franco Angeli, Milano 1994 (4a edizione). 16 Federico Butera, Enrico Donati, Ruggero Cesaria, I lavoratori della conoscenza. Quadri, middle manager e alte professionalit tra professione e organizzazione, Franco Angeli, Milano 1997. 17 Andrew Ross, No Collar. The Humane Workplace and its Hidden Costs, Basic Books, New York 2003. Cfr. anche Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, Derive&Approdi, Roma 2007, pp. 108-136. 18 Cfr. Pietro Ichino, Libere professioni in libert vigilata su www.lavoce.info, 26 ottobre 2010, e i commenti dei lettori; vedi anche il sito www.pietroichino.it 19 Nella homepage del sito si legge: I professionals americani hanno da tempo perduto la loro sicurezza del posto di lavoro e il loro status da ceto medio, che si sono conquistati con gli studi universitari e con il duro lavoro. Oggi, nella situazione economica attuale stiamo perdendo i nostri impieghi, le nostre assicurazioni sanitarie e talvolta le nostre case. Ma abbiamo ancora le nostre competenze e possiamo usarle per lottare per costruire una rete di protezione decente e uneconomia equa. Aderisci a United Professionals per costruire un sistema di mutuo soccorso, per far pressione in favore di una riforma sanitaria e di sussidi di disoccupazione adeguati e per realizzare uneconomia che abbia riguardo per le nostre competenze invece di sprecarle e gettarle nella spazzatura. 20 John e Barbara Ehrenreich, The Professional-managerial Class, in Radical America, vol. 11, nn. 1 e 3, 1977. I due autori negli anni precedenti si erano occupati dellorganizzazione del sistema medico-sanitario americano e delle diverse figure professionali in esso operanti. 21 Sulle ideologie e utopie tecnocratiche cfr. Sergio Bologna, I lavoratori della conoscenza fuori e dentro limpresa, in Annali di storia dellimpresa, n. 17, 2006. 22 La conferenza di Weber stata pubblicata la prima volta nel 1919 (Wissenschaft als Beruf, in Geistige Arbeit als Beruf. Vier Vortrge vor dem Freistudentischen Bund, Duncker & Humblot, Mnchen 1919) e poi riprodotta nelledizione dei suoi scritti sulla scienza (Gesammelte Aufstze zur Wissenschaftslehre, J.C.B. Mohr, Tbingen 1922, pp. 524-555; 2a edizione a cura di J. Winckelmann, 1951, pp. 566-597; 2a ed. e successive pp. 528-613). Le traduzioni sono di Sergio Bologna dalla raccolta Max Weber, Schriften 18941922, Krner, Stuttgart 2002. 23 In Germania il giovane dipendente dal direttore dIstituto quanto

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un impiegato in fabbrica, perch il direttore dIstituto in piena buona fede convinto che lIstituto sia roba sua e si comporta di conseguenza, quindi /il giovane si trova spesso a condurre unesistenza precaria quanto un qualunque proletaroide, in Wissenschaft als Beruf, cit., p. 477; Weber uno dei primi a usare il termine prekr presente nelluso della lingua tedesca gi agli inizi del Novecento ed interessante che lo utilizzi riferendosi ai giovani che aspirano a una carriera accademica. 24 Il pericolo di una scienza incomprensibile non largomento della critica di Weber, che molto pi preoccupato della possibile sottovalutazione delle caratteristiche morali nella professione a causa del progressivo affermarsi del tecnicismo; tutta lultima parte del testo invece dedicata alla condanna dei docenti che utilizzano lautorit della cattedra per diffondere le loro idee politiche. 25 Un commerciante o un grande industriale senza fantasia commerciale, cio senza delle idee, delle idee geniali, rimane per tutta la vita un uomo che nel migliore dei casi un esecutore o un impiegato tecnico, non sar mai capace di creare qualcosa di nuovo dal punto di vista organizzativo. Nel lavoro scientifico la Eingebung non svolge affatto un ruolo diverso da quello che esercita sul piano della gestione di problemi pratici da parte del moderno imprenditore anche se la corporazione degli scienziati simmagina tuttaltro, Max Weber, Wissenschaft als Beruf, cit., p. 484. 26 Richard Barker, The Big Idea: No, Management is not a Profession, Harvard Business Review, luglio-agosto 2010. 27 Andrew Abbott, Professional Ethics, in The American Journal of Sociology, vol. 88, n. 5, marzo 1983, pp. 855-885; allinizio del Novecento gli appartenenti a tutte le professioni subirono un declino di status, [...] la diffusione di codici etici professionali stata un modo per rivendicare uno status perduto, [...] il fenomeno culturale e sociale del professionalismo ha difeso la classe media dal nuovo mondo capitalistico della grande impresa conferendo onore, dignit e sicurezza allindividuo indipendentemente dallimpiego salariato, p. 865. 28 Ivi, p. 881. 29 Mettono in risalto limportanza di questi concetti nella teoria delle professioni di Weber anche gli autori del capitolo 9 del manuale di sociologia pubblicato nel 2010 dal Vs-Verlag: Handbuch Arbeitssoziologie, 2010, Teil C, Alma Demsky von der Hagen e G. Gnther Voss, Beruf und Profession, pp. 751-803). 30 Annalisa Murgia, Dalla precariet lavorativa alla precariet sociale, cit. 31 Immagina che il lavoro, in Sottosopra, ottobre 2009, a cura della Libreria delle Donne di Milano. Sul tema della sovrapposizione tra tempo di lavoro e tempo di vita, produzione e riproduzione, e sulle possibilit di tradire la dedizione assoluta al lavoro si legga anche Cristina Morini, Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Ombre Corte, Verona 2010. 32 Matthias Kipping, Lars Engwall (a cura di), Management Consulting, cit.. 33 Sul caso italiano cfr. la tesi di Cristina Crucini, The Management Consultancy Business in Italy: Evolution, Structure and Operation, p. 326, pre-

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sentata allUniversit di Reading nellottobre 2004. Ringraziamo Matthias Kipping per avercene fatta avere una copia. 34 Ilo, Management Consulting, cit., p. 801. 35 Zygmunt Bauman, La societ individualizzata, il Mulino, Bologna 2002, pp. 35-36. 36 Luigi Meneghello, Jura. Ricerche sulla natura delle forme scritte, Rizzoli, Milano 2003, pp. 119-120. 37 Intervista riportata su www.intranetmanagement.it, il sito di Giacomo Mason. 38 Andrea Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo, Carocci, Roma 2008; Christian Marazzi, Il comunismo del capitale. Biocapitalismo, finanziarizzazione delleconomia e appropriazioni del comune, Ombre Corte, Verona 2010; Cristina Morini, Per amore o per forza, cit. 39 Eliot Freidson, Professionalism. The Third Logic, Blackwell, London 2000, p. 122 (tr. it. Professionalismo, la terza logica, Dedalo, Bari 2002). 40 Manuel Castells (a cura di), The Network Society, a Cross Cultural Perspective, Edward Elgar, Northampton, Mass., 2004. 41 Keith Macdonald, The Sociology of Professions, Sage, London 1995. 42 Charles R. Derber (a cura di), Professionals as Workers. Mental Labour in Advanced Capitalism, C.K. Hall, Boston 1982. 43 Magali Sarfatti Larson, Proletarianization and Educated Labor, in Theory and Society, vol. 9, n. 1, gennaio 1980, pp. 131-175. 44 Federico Chicchi, Lavoro flessibile e pluralizzazione degli ambiti di riconoscimento sociale, in Identit e appartenenza nella societ della globalizzazione. Consumi, lavoro, territorio, a cura di Egeria Di Nallo, Paolo Guidicini, Michele La Rosa, Franco Angeli, Milano 2004, pp. 118-119. 45 Ronald M. Epstein, Edward M. Hundert, Defining and Assessing Professional Competence, in Journal of American Medical Association, vol. 287, n. 2, gennaio 2002, pp. 226-235. 46 Michael Polanyi, The Logic of Tacit Inference, in Knowing and Being: Essays, a cura di M. Greene, University of Chicago Press, Chicago 1969, pp. 123-158. 47 il titolo di un intervento di David C. Leach sullo stesso numero del Journal of American Medical Association. 48 Luigi Meneghello, Jura, cit., pp. 103-104. 49 Max Weber, Wissenschaft als Beruf, cit. 50 Andrew Abbott, The System of Professions. An Essay on the Division of Expert Labor, University of Chicago Press, Chicago 1988, p. 84. 51 Ivi, p. 128. 52 Specula Lombardia, Il lavoro dei laureati in tempo di crisi, giugno 2010, p. 165. 53 Cfr. Marco Revelli, Poveri, noi, Einaudi, Torino 2010. 54 Ferruccio Gambino, La classe media come categoria della normalit nella sociologia statunitense, in Tensioni e tendenze nellAmerica di Reagan, a cura di E. Pace, Cedam, Padova 1989, pp. 63-87.

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3. Il lungo degrado del lavoro subordinato


Ubs Research Focus, Il futuro delleuro, agosto 2010. Sono considerati bassi salari, secondo la definizione proposta dallOcse, i salari che stanno al di sotto dei due terzi del salario medio, cfr. Thorsten Kalina, Claudia Weinkopf, Niedriglohnbeschftigung 2008: Stagnation auf hohem Niveau Lohnspektrum franst nach unten aus, Institut Arbeit und Qualifikation (Iaq), Universitt Duisburg-Essen. Lo studio non si effettua su uninchiesta diretta ma sui dati dellindagine permanente socio-economica del Deutsches Institut fr Wirtschaftsforschung (Diw). Lo studio Iaq giunto al suo terzo anno consecutivo. 3 Titolo del servizio Der Volltreffer von Schrder (Schrder ha fatto centro), in Frankfurter Rundschau, 2 agosto 2010. 4 Nel termine tedesco Leiharbeitsfirmen non vi il concetto di agenzia ma di impresa vera e propria, non una struttura di servizio dintermediazione ma unazienda il cui prodotto la fornitura di manodopera. Non si tratta di problemi terminologici, ma di sostanza, infatti quelle che per noi sono agenzie dintermediazione in Germania hanno competenze e obblighi di datori di lavoro veri e propri. 5 Da cui il termine Leiharbeiter. 6 Unsoziale Leiharbeit, in Frankfurter Rundschau, 2 agosto 2010. 7 www.wirtschaftquerschuss.blogspot.com 8 Markus Breitscheidel, Arm durch Arbeit. Ein Undercover-Bericht, Ullstein, Berlin 2010. 9 Alg sta per Arbeitslosengeld (sussidio di disoccupazione). 10 Bundesvorstand, Leiharbeit in Deutschland. Fnf Jahre nach der Deregulierung, Deutscher Gewerkschaftsbund, Berlin, agosto 2009. 11 Franz Schultheis, Berthold Vogel, Michael Gemperle (a cura di), Ein halbes Leben. Biografische Zeugnisse aus einer Arbeitswelt im Umbruch, Uvk Verlagsgesellschaft, Konstanz 2010. 12 I dati sono tratti da Statistisches Jahrbuch 2010, tab. 3.10. Le cifre delloccupazione indipendente sono accertate fino al 2005, poi si tratta di medie annuali rilevate dallUfficio federale di statistica, quindi pu darsi che per il 2009 siano sovrastimati, cfr. www.destatis.de 13 Statistisches Bundesamt, Qualitt der Arbeit, 2010, p. 42. 14 Tra i tanti, uno dei siti pi vivaci www.chefduzen.de, il forum degli sfruttati. 15 Un esempio interessante quello che fa capo al sito www.grnderinnen agentur.de 16 Das wird nicht gut gehen, intervista con il segretario generale del sindacato Frank Bsirske, in Berliner Zeitung, 19 dicembre 2010. 17 Jill Andresky Fraser, White-Collar Sweatshop. The Deterioration of Work and Its Reward in Corporate America, W.W. Norton, New York 2001. 18 Lo slogan del sito era tratto da Secrets of Self-Employment. Surviving and Thriving on the Ups and Downs of Being Your Own Boss, un libro che la coppia di autori, Sarah e Paul Edwards, aveva pubblicato riprendendo un loro testo uscito nel 1991. 19 Jill Andresky Fraser, Not with a Bang (but with a Cauliflower), www.Econo Whiner.com, 4 novembre 2009.
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20 Americas White Collar Workers May Be Even Worse off than Their BlueCollar Brethren, su www.1099.com, The Magazine for Independent Professionals. 21 Barbara Ehrenreich, Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel paese pi ricco del mondo, Feltrinelli, Milano 2004. 22 Ivi, p. 153. 23 Jeff Schmidt, The Disciplined Minds. A Critical Look at Salaried Professionals and the Soul-Battering System that Shapes Their Lives, Rowman & Littlefield, Lanham (MD) 2000. 24 Cfr. per esempio i dialoghi della sezione Our Stories (Overeducated My Story) su www.unitedprofessionals.com 25 Steven Greenhouse, The Big Squeeze: Tough Times for the American Worker, Anchor Books, New York 2009. 26 Ivi, p. 7. 27 www.seiu.org 28 Ralph Nader, Andy Sterns Rackets, 23 aprile 2008, su www.counterpunch.org 29 Andrew Ross, Nice Work If You Can Get It: Life and Labor in Precarious Times, New York University Press, New York 2009. 30 Monika Krause et al. (a cura di), The University Against Itself: The Nyu Strike and the Future of the Academic Workplace, cit. 31 Istat, Il disagio nelle relazioni lavorative. Anni 2008-2009, www.istat.it, 15 settembre 2010. 32 Heinz Leymann, Mobbing and Psychological Terror at Workplaces, in Violence and Victims, n. 5, 1990, pp. 119-126. 33 http://www.mobbingportal.com/casesofmobbing.html 34 http://osha.europa.eu. Per le problematiche psicosociali nato un nuovo portale nellottobre del 2010, The European Network for Mental Health Promotion (www.mentalhealthpromotion.net). 35 European Survey of Enterprises on New and Emerging Risks (Esener), la pi recente del giugno 2010; non prende in considerazione le imprese con meno di 10 dipendenti, n i settori agricoltura, pesca e foreste. 36 Il ritmo di lavoro stressante, siamo nella societ dei turni di 24 ore e a rimetterci la salute mentale; questo fenomeno ormai rappresenta unemergenza sociale. Basti pensare che una persona su quattro attraversa, almeno una volta nella vita, un episodio di depressione importante, che richiederebbe lintervento del medico, Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento Medicina del lavoro dellIspesl (www.italiachiamaitalia.net, 18 febbraio 2010). 37 www.eurometis.org. Yves Clot autore del libro Le travail cur. Pour en finir avec les risques psychosociaux, La Dcouverte, Paris 2010. 38 La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nella sua ultima survey ha constatato che un numero minore di lavoratori ha la sensazione che la sua salute e sicurezza sia a rischio a causa del lavoro, in Changes over Time. First Findings from the Fifth European Working Condition Survey, novembre 2010. 39 Per uno stato dellarte delliniziativa sindacale sui danni psichici da stress cfr. Gino Rubini, Come viene valutato e gestito lo stress da lavoro, in Inchiesta, luglio-settembre 2010, pp. 13-17.

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Matteo Gaddi, Lotte operaie nella crisi, Edizioni Punto Rosso, Milano

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41 The Italian Productivity Slowdown: The Role of the Bargaining Model, in International Journal of Manpower, vol. 31, n. 7.

4. Dove non c la notizia


1 Cfr. Inpgi Comunicazione, anno XXVII, nn. 5-6, maggio-giugno 2010, pp. 8 e 11. Al 31 dicembre 2009 risultano iscritti alla gestione separata dellInpgi Istituto di previdenza dei giornalisti italiani ben 30.194 giornalisti freelance e collaboratori, mentre nella gestione ordinaria, che raccoglie i lavoratori con contratti di lavoro dipendente, gli iscritti risultano 18.567. Questo rapporto quasi doppio tra insider e outsider rappresenta uno dei contesti pi interessanti e meno studiati per quanto riguarda le trasformazioni delleconomia postfordista nella determinazione di un mercato del lavoro e di un settore produttivo in cui prevalgono i lavoratori autonomi su quelli dipendenti. 2 Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a Internet, il Mulino, Bologna 2006. 3 Amartya Sen, Tenore di vita. Tra benessere e libert, Marsilio, Venezia 1993. 4 Renzo Santelli (a cura di) Libro bianco sul lavoro nero. Storie di violazioni e soprusi nel mondo dellinformazione, Centro di documentazione giornalistica, Roma 2006. Cos scrive Mario Fiorella, magistrato del Lavoro, nellIntroduzione: La situazione del settore dellinformazione tale che pu essere paragonata soltanto a quelle pi marginali del mercato del lavoro, alcuni settori dellagricoltura e delledilizia, dove le regole sono sistematicamente eluse e si fa ricorso a manodopera precaria, facilmente ricattabile e appetibile perch pu sostituire quei lavoratori in grado di fare valere i propri diritti con altri che non ne hanno la forza o la possibilit. Precariato, lavoro nero, compensi irrisori, sfruttamento del volontariato di chi aspira a intraprendere la carriera giornalistica, ma non trova le condizioni per svolgere un regolare praticantato, insicurezza e mortificazione della dignit professionale sono la regola non soltanto nelle piccole realt editoriali. 5 Ivi, p. 66. 6 Luciano Gallino, Il lavoro non una merce. Contro la flessibilit, Laterza, Roma-Bari 2007. interessante come Luciano Gallino identifichi la mercificazione del lavoro soltanto in alcune formule di contratti oramai tipizzati, come il lavoro a chiamata e lo staff leasing, e attribuisca alla legislazione un ruolo chiave in questo. Scrive lautore: Il lavoro in affitto rappresenta il culmine della separazione del lavoro dalla persona del lavoratore che lo effettua. [...] Il lavoratore viene assunto da una determinata impresa, detta fornitrice, o somministratrice, dopodich da questa viene fisicamente spedito presso unaltra impresa, ma lavora nella sede e per conto di unaltra. Il contratto tra impresa somministratrice e quella utilizzatrice un mero contratto commerciale, analogo a quelli che regolano la cessione dun qualsiasi tipo di merce. La rappresentazione corretta, ma incomple-

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ta. Lanalisi non approfondisce infatti due aspetti: la contiguit tra lavoro autonomo e formule contrattuali cosiddette flessibili, come il lavoro a progetto, dove in uguale misura prevale la ratio del diritto commerciale su quella del diritto del lavoro e lesistenza di condizioni di lavoro che non subiscono le dinamiche della precariet, ma sono soggette ugualmente alla logica del minor costo. Per allargare lorizzonte critico basta analizzare la struttura dei conti economici delle imprese per notare come e dove sono registrate queste speciali tipologie di merci. I collaboratori sono contabilizzati tra i costi variabili fuori dallo stato patrimoniale di unimpresa. Tra questi non ci sono solo interi staff in leasing, ma anche consulenti e collaboratori per i quali non prevista alcuna attivit di rendicontazione contributiva, ovvero legata alla previdenza sociale e al sistema di welfare italiano. Con loro le imprese hanno vincoli unicamente sul fronte del fisco e rappresentano appunto soltanto una spesa da mettere a bilancio e detrarre dal reddito dimpresa, come avviene per materie prime e servizi. 7 Manifesto programmatico, www.senzabavaglio.info 8 Nel 2007 lIfj International Federation of Journalists (www.ifj.org) ha condotto unindagine sui compensi dei freelance. In Italia il rapporto tra le retribuzioni lorde dei contrattualizzati e quelle dei lavoratori indipendenti di 10 a 3,4. 9 Vedi lampio servizio dedicato a questo tema in Alfabeta 2, n. 2, settembre 2010, p. 27, dove lespressione Operai della conoscenza d il titolo allintervento di Sergio Bologna. 10 Michael Hardt, Antonio Negri, Moltitudine, Rizzoli, Milano 2004. Con il radicamento nel tessuto sociale del precariato siamo di fronte sostiene Negri alla possibilit che tra forza lavoro e capitale non ci siano pi legami predeterminati poich si scoglie il nodo del lavoro sotto comando. Questo ancora pi vero quando interviene nella produzione del valore ci che Marx chiamava capitale variabile e che oggi assume la forma della conoscenza e del sapere che occorrono per la realizzazione di prodotti intangibili. Queste le parole di Toni Negri durante la conferenza A ruota libera del 20 novembre 2007 a Milano: Chiedersi se la produttivit sociale o economica non ha pi senso. Si parla della stessa cosa. Esercitare unattivit, vivere o lavorare lo stesso. Siamo in unepoca in cui finita la specificit determinata del lavoro sotto comando. Il lavoro per Marx era una parte del capitale, una quota variabile, ma occorre fare un passo avanti. Oggi il capitale variabile si staccato dal capitale. La forza lavoro si staccata dal capitale! Lautorit, derivante dalla metafora dello stato nazione, crollata. lelemento biopolitico del lavoro che conta e che va riscattato. La forza lavoro, in quanto si precarizza e si distende nel tempo, non pi sotto comando: diventa attivit in cui ci che vale e determina valore il fluire continuo di energia e di vita. I nuovi beni delle nazioni non sono pi i capitali generati da una classe operaia che produce, ma sono i linguaggi, le esperienze di consumo, la circolazione di beni materiali e soprattutto immateriali. Alla fine il lavoro legato al tempo determinato o indeterminato soltanto salario. Il lavoro ha subto una rottura di orizzonti temporali e spaziali ed eliminato limiti geografici. La lotta del precariato assume di conseguenza la forma di una rete comune e si apre alla dimensione mondiale. Il lavo-

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ro, vero, diventato creativo, ma non solo. Anzi, forse meglio dire che sia creativo sempre. Ha rotto i limiti che lo facevano stare allinterno del capitale. Meglio ancora: la forza lavoro che si separata dal capitale (Dario Banfi, Precari, forza lavoro fuoriuscita dal Capitale?, Humanitech.it, 23 novembre 2007). 11 Tra le varie inesattezze contenute nel Rapporto del Cnel interessante notare come a p. 154 si confronti il rischio di disoccupazione/inattivit (calcolato in base alle trasformazioni della posizione lavorativa) delle diverse tipologie professionali. I professionisti sembrerebbero avere il pi basso rischio di diventare disoccupati o inattivi: nel 2009 risulta disoccupato o inattivo solo il 3,2 per cento di coloro che nel 2008 erano occupati (al secondo posto gli imprenditori con il 3,9 per cento, quindi i dirigenti con il 4,4 per cento, allultimo posto i collaboratori con il 17,1 per cento). Questo confronto tuttavia ingannevole. Il passaggio da uno status di occupato a uno di disoccupato chiaro per un dipendente o per un collaboratore, dove definito da un licenziamento o dal decadere di un contratto. Molto meno chiaro per un professionista (e pi in generale per un lavoratore autonomo), che pu continuare a tenere aperta la partita Iva anche se il fatturato crollato. Leffetto della crisi non visibile dai dati sulla disoccupazione e neppure da quelli sul tempo lavorato, perch si lavora pi che mai: diminuiscono gli incarichi e gli importi degli incarichi, aumentano i progetti, i preventivi presentati, le azioni di marketing e di ricerca di nuovi lavori e nuovi clienti, limpegno sulla formazione e laggiornamento. Leffetto della crisi al contrario visibile sul fatturato e sugli incassi (ritardati). 12 Emiliano Mandrone, La riclassificazione del lavoro tra occupazione standard e atipica: lindagine Isfol Plus 2006, Collana Studi Isfol, n. 2008/1, Roma, marzo 2008. 13 Massimo Giannini, Metamorfosi di una classe: da artefici del boom padano a reietti, in il Venerd di Repubblica, 11 giugno 2010, p. 20. 14 Alias il manifesto, 1 maggio 2010, p. 1. 15 Roberto Mania, Da manager a consulente, La mia precariet di lusso, Repubblica.it, 9 marzo 2009. 16 Sergio Bologna, Andrea Fumagalli (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione, cit. 17 Beppe Grillo, Schiavi moderni. Il precario nellItalia delle meraviglie, Casaleggio Associati, Milano 2007. 18 Pietro Ichino, Falsificazioni pericolose, in Corriere della Sera, 15 agosto 2007. 19 Cfr. http://racconta.repubblica.it/generazione-perduta/ 20 La voce Retribuzione mensile netta attuale per i lavoratori autonomi non ha senso, essendo privi di salario, ma in molti inseriscono comunque dati per questo campo. 21 Federico Pace, Psicologia della generazione perduta: i giovani dallet indefinita, Repubblica.it, 20 luglio 2010. 22 Forum Generazione perduta, Intervento n. 202. 23 Cfr. Intervento n. 210. 24 Cfr. Intervento n. 198. 25 Cfr. Intervento n. 176.

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Cfr. Intervento n. 186. Cfr. Intervento n. 123. 28 Cfr. Intervento n. 122. 29 Federico Pace, Psicologia della generazione perduta, cit.

5. Precari e autonomi nelleconomia dellevento


European Parliament, Committee on Employment and Social Affairs, Report on Atypical Contracts, Secured Professional Paths, Flexicurity and New Forms of Social Dialogue, 26 giugno 2010. Ecco un passaggio significativo: Sollecita gli stati membri [...] a sviluppare normative riguardanti il lavoro che salvaguardino effettivamente i diritti dei lavoratori occupati in forme atipiche di lavoro, garantendo loro un trattamento eguale a quello dei lavoratori regolari a tempo pieno sulla base dei pi elevati standard di protezione sociale. 2 Cfr. Il Giornale dellArte, varie annate. 3 Camera di commercio di Milano, Servizio studi e supporto strategico, Un approfondimento sullindustria culturale, a cura di Federica Flamminio, 19 novembre 2009; le filiere prese in considerazione erano: pubblicit; editoria; attivit dello spettacolo, intrattenimento e divertimento; attivit fotografiche; produzioni e distribuzioni cinematografiche e di video; organizzazione di fiere, esposizioni e convegni; telecomunicazioni; design e styling; ricerca e sviluppo; attivit radiotelevisive; attivit ricreative; istruzione universitaria e post-universitaria; attivit di agenzie di stampa; attivit di biblioteche, archivi, musei e altre attivit culturali. 4 Ministero per i Beni e le attivit culturali, Unioncamere, Il sistema economico integrato dei beni culturali, giugno 2009, consultabile sul sito del Mibac. La ricerca, condotta dallIstituto Tagliacarne, assegna alle imprese specializzate nella gestione dei beni culturali una quota assai marginale del volume daffari; la parte del leone la fanno le imprese di costruzione impegnate nella riqualificazione del patrimonio architettonico. 5 Fabio Donato, Anna Maria Visser Travagli, Il Museo oltre la crisi. Dialogo fra museologia e management, Electa, Milano 2010. 6 Opera si trovata al centro di una controversia di lavoro nel dicembre 2010 che riguardava 350 addetti alla Galleria degli Uffizi. Le gare per lappalto della gestione di un museo spesso non prevedono la clausola sociale, che impegna il vincitore della gara a garantire i posti di lavoro esistenti. 7 Daniele Jalla, I nuovi scenari delle professioni museali, in La formazione vale un patrimonio. Beni culturali, saperi, occupazione, Rapporto annuale Civita 2007, a cura di Paolo Galluzzi e Pietro A. Valentino, Giunti, Milano 2007. 8 Il valore della cultura. Ricerca sugli investimenti delle imprese italiane in cultura, 10 dicembre 2010, consultabile sul sito http://www.civita.it/ studi_e_progetti/centro_studi_gianfranco_imperatori/indagini_e_ricerche 9 Limpatto del Festival MITO SettembreMusica a Milano. Il profilo del pubblico e le ricadute sulla citt, Centro di ricerca Art, Science and Knowledge,
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Universit Bocconi, a cura di Severino Salvemini, Ilaria Morganti, Massimiliano Nuccio, Alessandro Rubini, Skira, Milano 2008. 10 Ispo, Conoscenza e apprezzamento del Festival MITO. Sondaggio Ispo su un campione di cittadini milanesi e su un campione di assidui frequentatori dei concerti. Sintesi dei risultati, a cura di Renato Mannheimer, http://www.prima online.it 11 Sergio Bologna, Antonio Costa, Pier Paolo Poggio, Dalla classe operaia alla creative class, Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 2009, con allegato il dvd del documentario Oltre il ponte di Sabina Bologna sulla trasformazione della zona Tortona a Milano.

6. Lavorare a che prezzo?


1 A differenza di Istat, le indagini condotte da queste societ riguardano le retribuzioni reali composte da elementi contrattuali di base e variabili legati alla contrattazione aziendale o individuale e includono premi occasionali, straordinari e premi di produzioni o benefit. 2 Dario Banfi, Come farsi pagare. Modelli di costruzione del prezzo e cultura dimpresa nella relazione con il consulente, white paper presentato nel ciclo dincontri Lavorare a che prezzo? e scaricabile dal sito www.acta inrete.it 3 Codice civile, articolo 2233. 4 Si veda quanto riportato nellarticolo di Rita Querz, Scandalo del lavoro: operai della Romania a 5 euro lora, in Corriere della Sera, 11 settembre 2008. 5 Dario Banfi, Come farsi pagare il giusto? I metodi per quantificare il valore di tempo e talento, JOB 24 online, Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2008. 6 Vedi Robert M. Solow, Il mercato del lavoro come istituzione sociale, il Mulino, Bologna 1990, dove si descrive il mercato del lavoro come istituzione sociale il cui funzionamento dipende da quanto viene reciprocamente riconosciuto come accettabile dalle parti in causa. Per noi il punto controverso non sul fatto che questo accada nei fatti, ma sulla diversa comprensione di accettabile in un sistema sbilanciato di forze e sulle regole che lo definiscono. 7 OD&M Consulting, Rapporto Job Satisfaction, Bergamo 2007. 8 Blair, oratore da 7300 euro al minuto, Corriere.it, 5 aprile 2009. 9 Prima del decreto Bersani esistevano gi categorie professionali per le quali i tariffari non hanno mai avuto alcun effetto concreto: tra queste gli architetti, i geometri e i giornalisti freelance. 10 Recentemente stato ribadito da alcune sentenze della Corte suprema di Cassazione a sezioni unite, depositate il 18 dicembre 2008, che gli Studi di settore sono da considerarsi soltanto una elaborazione statistica, il cui frutto una ipotesi probabilistica che, per quanto seriamente approssimata, pu solo costituire una presunzione semplice, non tenendo conto della specifica posizione del singolo contribuente. Questa indicazione rende esplicita una stortura evidente del sistema fiscale italiano. Le attivit dellAgenzia delle entrate che si avvalgono di questi strumenti soltanto per fina-

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lit ispettive hanno finito per costruire impropriamente una norma de facto, trasformando unelaborazione statistica in una regola da rispettare. 11 Questa richiesta fu rivolta espressamente a uno degli autori sul blog Humanitech.it da parte di un dirigente che voleva uscire dalla sua impresa per iniziare unattivit come consulente esterno. 12 Todd Gabe, Kristen Colby e Kathleen Bell, The Effects of Workforce Creativity on Earnings in U.S. Countries, in Agricultural and Resource Economics Review, vol. 36, n. 1, Narea, New York 2007. 13 OD&M Consulting, XI Rapporto sulle retribuzioni degli italiani 2010, Bergamo 2010. Vedi anche Unioncamere, OD&M Consulting, Domanda di lavoro e retribuzioni nelle imprese italiane Rapporto 2010, Roma 2010. 14 Dario Banfi, Come farsi pagare, cit., p. 4. 15 Lia Cigarini, Christian Marazzi, Klaus Neundlinger, Dario Banfi, Luca Romano, Sergio Bologna, Condizioni e identit del lavoro professionale. Riflessioni sul saggio di Sergio Bologna Ceti medi senza futuro?, Derive & Approdi, Roma 2008, p. 36 e Dario Banfi, Raccontarsi come lavoratori, Humanitech.it, 16 aprile 2008. 16 Il confronto fatto soltanto sulla base di profili lavorativi equiparabili per contenuto professionale. Non dato sapere quale sia il tempo di lavoro speso complessivamente nellattivit professionale. 17 Si veda lo sviluppo di queste tesi in Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, cit. 18 Suprema Corte di Cassazione Sezione tributaria, Sentenze nn. 21122, 21123 e 21124/10. 19 Romano Calvo, Il rapporto tra pubblica amministrazione e professionisti autonomi, Actainrete.it, 2008. 20 Fabio Pammolli e Nicola C. Salerno, Le pensioni degli iscritti alla gestione separata dellInps. Quattro proposte per Acta per modifiche al DDL recepente il Protocollo governo-sindacati, Cerm Competitivit, Regolazione, Mercati, Editoriale Cerm 18/2007, Roma. 21 A conferma di questa tesi si pu leggere la lettera pubblica scritta nel mese di ottobre 2010 da Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl, secondo il quale importante continuare a lavorare per migliorare la situazione esistente. Scrive il dirigente Cisl: A questo proposito vorrei ricordare che grazie al protocollo del 23 luglio 2007, poi trasposto nella legge 247/2007, sono stati aumentati i contributi previdenziali dei collaboratori a progetto (portandoli in un triennio fino al 26 per cento), nonch migliorate le prestazioni sociali a carico dei parasubordinati (finanziate dal contributo aggiuntivo dello 0,72 per cento). Da sempre, la Cisl impegnata a ridurre la forbice contributiva che attualmente separa il lavoro parasubordinato da quello dipendente. Una forbice che, oltre a determinare minori tutele previdenziali per i lavoratori parasubordinati, contribuisce a realizzare un improprio utilizzo delle tipologie contrattuali a progetto. La precariet non si riduce con le chiacchiere o i proclami ma rafforzando loccupabilit dei lavoratori, e migliorando le tutele delle tipologie di rapporto di lavoro pi flessibili. 22 Non un caso che questo modello sia molto diffuso tra gli informatici: loverhead nel linguaggio dellinformation technology una risorsa ac-

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cessoria non strettamente necessaria impiegata nei processori di memoria dei personal computer. 23 Per una valutazione pi tecnica del calcolo dei costi orari si veda Ilise Benun, Peleg Top, What Should I Charge? Smart Pricing Strategies for Designers, paper presentato il 15 novembre 2007 durante un webinar di Marketing-Mentor.com e scaricabile liberamente da questo sito. 24 Vedi i commenti a Dario Banfi, Farsi pagare come freelance, Humanitech.it, 19 marzo 2008. 25 Ibid. 26 Vedi i commenti a Dario Banfi, Preventivi per il lavoro autonomo, Humanitech.it, 15 novembre 2007. 27 Ascanio Orlandini, Il valore della conoscenza (o della consulenza?): una parabola vera, JobTalk, IlSole24Ore.com, 13 giugno 2009. 28 Fabrizio Buratto, Creativi vs idraulici: si pu retribuire la cultura 8 euro lora?, JobTalk, IlSole24Ore.com, 1 novembre 2008. 29 The oDesk Manifesto for Online Work, www.odesk.com 30 Twago aiuta nella crisi economica, www.twago.com/it/static/ what_twago 31 Ibid. 32 Nuovi lavori: il mistery shopper, www.acchiappasogni.info, 9 giugno 2009. 33 utile ricordare che per alcune professioni esiste un duplice registro produttivo: uno legato allaspetto di ideazione, consulenza e creazione ex novo, laltro associato alla produzione di elementi ripetitivi, prodotti in serie, oggetti che hanno quantit precise. Un esempio: lideazione e impaginazione di una pubblicazione di tipo aziendale. Solitamente i grafici professionisti e art director quotano in diversa maniera lo studio grafico (layout ecc.) e limpaginazione del prodotto editoriale. Mentre nella prima fase si punta sul tipo di quotazione che stiamo descrivendo, la seconda parte di lavoro, pi ripetitiva, ha costi pi strutturati, legati al tempo impiegato e alle quantit. 34 particolarmente difficile trovare imprese che applicano sistemi precisi di calcolo relativi al ritorno degli investimenti (Roi) sulla spesa in consulenza. Ancora pi raro trovare chi sperimenta modelli per il Roi sulla costruzione o il rinforzo di asset intangibili. 35 Le prestazioni di lavoro autonomo sono regolate dal Codice civile (che tratta agli artt. 2222-2228, titolo III del libro V, il tema del lavoro autonomo e agli artt. 2229-2238, titolo III, capo II, le professioni intellettuali) che stabilisce che la misura del compenso deve essere adeguata allimportanza dellopera e al decoro della professione e non lo vincola in maniera stretta ai risultati. Il tentativo di impiegare modelli del tipo pay per result come per esempio sta crescendo tra professionisti del mondo legale, avvocati ecc. frutto di accordi specifici che devono trovare lesplicita approvazione delle parti, come per esempio avviene nel mondo delle reti di vendita indiretta e nei contratti che fissano provvigioni. 36 alquanto singolare come i tentativi pubblici di spingere sui salari di produttivit (si vedano la Risoluzione del 17 agosto 2010, n. 83/E e la Circolare del 27 settembre 2010, n. 47/E dellAgenzia delle entrate), so-

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stanzialmente detassandoli, per dare flessibilit alla produzione e far rialzare la testa alle imprese in tempo di crisi, siano nati come formule per pagare il lavoro degli operai e finiti per remunerare figure di livello medio-alto, le uniche a quanto pare in grado di assorbire la flessibilit retributiva. I circa 60 milioni di euro lanno messi dal governo italiano tra il 2008 e il 2011 per detassare (al 10 per cento) gli straordinari secondo un principio che nei confronti del lavoro autonomo si pu definire semplicemente discriminatorio sono stati spesi dalle imprese soltanto in minima parte. Un vero flop, che ha fatto dirottare i soldi stanziati sulle forme di retribuzione variabile, bonus e premi, oggi assegnati in prevalenza a quadri e dirigenti. 37 Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2006, www.istat.it 38 Vedi i commenti a Dario Banfi, Il tre per due del lavoro autonomo, Humanitech.it, 8 aprile 2008. 39 Eleonora Voltolina, La repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare, Laterza, Roma-Bari 2010. 40 Dilva Giannelli, Lera del crowdsourcing, il lavoro a lotteria nellera 2.0, Generazione pro pro, Corriere.it, 17 febbraio 2010. 41 Ibid. 42 Su questo argomento si legga lintervento On the Digital Labour Question tenuto da Andrew Ross il 29 settembre 2009 al Vera List Center for Art and Politics di The New School (NY). La trascrizione del 16 ottobre 2009 rintracciabile nellarchivio di mailing delliDC, la List of the Institute for Distributed Creativity, sul sito mailman.thing.net nel messaggio inviato dallo stesso Andrew Ross in data 2 novembre 2009. 43 Darrell Etherington, Giving It Away: The Impact of Free Labour, Webworkerdaily.com, 18 febbraio 2009 e Dario Banfi, Del lavorare gratis, Humanitech.it, 19 febbraio 2009. 44 Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, Derive&Approdi, Roma 2003, p. 10. 45 La sentenza 10629.09 dell8 maggio 2009 della Suprema corte di cassazione Sezione lavoro spiega la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo, definendo la subordinazione una disponibilit del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, e al conseguente inserimento del lavoratore nellorganizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti allattivit di impresa. In questa lunga sentenza si ricorda che la subordinazione pu ritenersi sussistente anche in assenza del vincolo di soggezione al potere direttivo del datore di lavoro e in presenza, viceversa, dellassunzione per contratto, da parte del prestatore, dellobbligo di porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuit secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dellimpresa. In altre parole lesistenza del vincolo di subordinazione va concretamente apprezzata con riguardo alla specificit dellincarico conferito secondo criteri distintivi (cosiddetti sussidiari) che separano luna e laltra forma di lavoro. Questi elementi sono: 1) la continuit e la durata del rapporto; 2) le mo-

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dalit di erogazione del compenso; 3) la regolamentazione dellorario di lavoro; 4) la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti); 5) la sussistenza di un effettivo potere di auto-organizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. 46 Andrew Ross, Nice Work If You Can Get It, cit. 47 Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, Dalai, Milano 1996. 48 Andrew Ross, On the Digital Labour Question, cit. 49 Ibid. 50 Ibid. 51 Vedi i commenti a Dario Banfi, Del lavorare gratis, cit. 52 Carlo Formenti, Lavorare senza saperlo: il capolavoro del capitale, in Alfabeta2, n. 2, settembre 2010, p. 35 (vedi nota 9, p. 269). 53 Carlo Formenti, Dati personali o forza lavoro?, Alfabeta2.it, 24 luglio 2010. 54 Andrew Ross, Nice Work If You Can Get It, cit. 55 Luca De Biase, Economia della felicit. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre, Feltrinelli, Milano 2007. 56 Yochai Benkler, La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libert, Universit Bocconi, Milano 2007. 57 Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle societ arcaiche, Einaudi, Torino 2002. 58 Sergio Maistrello, La parte abitata della Rete, Tecniche Nuove, Milano 2007. 59 Cos Luca Conti, Blogosfere vale 2,5 milioni di euro, Pandemia.info, 22 novembre 2007: Dal prospetto informativo relativo alla quotazione in borsa del gruppo Il Sole 24 Ore, a pagina 531, si leggono i termini dellaccordo tra Il Sole 24 Ore e Blogosfere intercorso il 27 luglio 2007. In tale data Il Sole 24 Ore rilev il 30 per cento della societ di blog per una somma non precisata. Oggi sappiamo che quel 30 per cento stato rilevato con un aumento di capitale per 771.000 euro, attribuendo quindi a Blogosfere un valore di 2,5 milioni di euro circa. Il fatturato 2006 di Blogosfere stato di 33.600 euro. Tra i commenti al post si legge: In realt, da bilancio 2006 depositato da Blogosfere Srl (scaricabile da chiunque) sono indicati costi della produzione per 165.000 euro circa e ricavi per 33.000 euro circa (25.000 dei quali, come specificato, provenienti da Google Adsense). Per una perdita di oltre 130.000 euro. Di fatto, stando a questo bilancio, stata fatta una valutazione di 75 volte il fatturato 2006. 60 Jacques Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa, Cortina, Milano 1996. 61 Ivi, p. 8. 62 Ibid. 63 Ibid. 64 Adam Arvidsson, Giannino Malossi, Serpica Naro, Lavoro che passione!, in Alfabeta2, n. 2, settembre 2010. 65 Andrew Ross, On the Digital Labour Question, cit. 66 Pietro Ichino, La nozione di giusta retribuzione nellarticolo 36 della

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Costituzione, relazione tenuta al convegno promosso dallAccademia dei Lincei, Roma, 22-23 aprile 2010, Pietroichino.it, 23 aprile 2010. 67 Ivi, p. 23. 68 Ibid. Si legge: Questo nuovo orientamento dottrinale ha fatto seguito a una importante svolta legislativa: lart. 63 della legge Biagi d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276 in riferimento al contratto di lavoro (autonomo) a progetto, stabilisce che il compenso [...] deve essere proporzionato alla quantit e qualit del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto; e il comma 772 dellarticolo 1 della legge n. 296/2006 precisa in proposito che in ogni caso, i compensi corrisposti ai lavoratori a progetto devono [...] tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalit, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento. 69 Ivi, p. 19. 70 Ibid. 71 Costituzione della Repubblica italiana, articolo 38, comma 2: I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidit e vecchiaia, disoccupazione involontaria. 72 Pietro Ichino, La nozione di giusta retribuzione, cit., p. 22.

7. Gli outsider del welfare state


1 Mario Draghi, Considerazioni finali sul 2008, www.bancaditalia.it, Roma, 29 maggio 2009. 2 Pietro Ichino, Scenari di riforma del mercato del lavoro italiano, relazione introduttiva al seminario organizzato a Bertinoro dalla Fondazione Scuola di politica il 4 settembre 2008, www.pietroichino.it/?p=312 3 Intervento tenuto allevento Domanda di lavoro e retribuzioni nelle imprese italiane, Milano, Palazzo del lavoro, 12 novembre 2009. 4 Angela Padrone, La sfida degli outsider, Marsilio, Padova 2009. 5 Cfr. Andrea Fumagalli, 10 tesi sul reddito di cittadinanza, www.ecn. org/andrea.fumagalli/10tesi.htm, 1998. 6 Emiliana Armano, Precariet e innovazione nel posfordismo, cit. 7 Sergio Bevilacqua, Il popolo delle partite Iva, in AA.VV., Sinistra senza sinistra, Feltrinelli, Milano 2008. 8 Mario Sensini, Sacconi: cambieremo anche gli ammortizzatori sociali, in Corriere della Sera, 21 dicembre 2009. 9 Antonella Gallino, La prossima volta cercate di nascere dipendenti, Actainrete.it, 3 dicembre 2010. 10 Legge 8 agosto 1995, n. 335 Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, Supplemento alla Gazzetta Ufficiale, n. 190 del 16 agosto 1995. 11 Giovanna Altieri, Mimmo Carrieri, Il popolo del 10 per cento. Il boom del lavoro atipico, Donzelli, Roma 2000. 12 Enrico Marro, Le minipensioni dei parasubordinati avranno appena il 36 per cento del reddito, Corriere.it, 28 ottobre 2010.

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13 A cura di della redazione Acta, Linvalidit non basta per essere categoria protetta, soprattutto se sei autonomo, Actainrete.it, 1 novembre 2010. 14 Alfonso Miceli, Che cosa accade se si salta un pagamento Inps?, Actainrete.it, 19 luglio 2010. 15 Cass. Civ. SSUU, 3240/10. 16 Una singolare eccezione nel quadro dei partiti di centrosinistra rappresentata dal disegno di legge 1540 del 29 aprile 2009 presentato da Pietro Ichino che parla espressamente di una stabilizzazione delle aliquote previdenziali per i lavoratori professionali autonomi al 20 per cento. 17 Bozza di Delega al governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori, www.governo.it, 2010. 18 Estatuto del trabajo autnomo, 2007, traduzione italiana di Elsa Orellana, Adele Oliveri, Silvia Rondani, Progetto di Legge dello Statuto del Lavoro Autonomo, Actainrete.it, 2010. 19 La proposta di Legge regionale della regione Veneto Statuto regionale del lavoro autonomo fu presentata il 2 ottobre 2009, ma bocciata un anno dopo per la mancanza di copertura economica. 20 Disegno di legge n. 2145 diniziativa dei senatori Treu et al. comunicato alla Presidenza del Senato il 29 aprile 2010 Statuto dei lavori autonomi. Delega al governo in materia di semplificazione degli adempimenti, pagamenti, garanzie del credito e tutela della maternit. 21 Disegno di legge Codice dei rapporti di lavoro. Modifiche agli articoli 2087-2134 del Codice Civile, n. 1873, Senato della Repubblica, XVI Legislatura, comunicato alla Presidenza l11 novembre 2009. 22 Disegno di legge n. 2145, cit. 23 La proposta di legge 1299 del 16 giugno 2008, Delega al governo per il completamento della riforma del sistema previdenziale mediante la revisione dei requisiti e del metodo di calcolo dei trattamenti di pensione, il riordino degli enti pubblici previdenziali e lo sviluppo delle forme pensionistiche complementari. 24 Romano Calvo, Chi rappresenta i lavoratori autonomi nella crisi?, Actainrete.it, 22 dicembre 2010.

8. Voltare pagina, coalizzarsi


Freelancing Matters una pubblicazione mensile, organo del Professional Contractors Group (Pcg), lAssociazione di lavoratori indipendenti britannica che conta circa 20.000 membri, in gran parte professionisti del settore informatico e della ricerca energetica; le interviste qui parzialmente riprodotte sono pubblicate sul numero di settembre 2010. 2 http://www.youtube.com/watch?v=YeJR3biNW94, cfr. anche www.blog. coworking.info, www.coworking.pbwiki.com, www.groups.google. com/group/ coworking 3 Holm Friebe, Sascha Lobo, Wir nennen es Arbeit. Die digitale Boheme oder: intelligentes Leben jenseits der Festanstellung, Heyne, Mnchen 2006. 4 Medienboard Berlin Brandenburg, Kreativwirtschaft in der Hauptstadtregion. Medien, IT, Kommunikation, 2009, brochure sulla consistenza dellim1

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presa nel settore delleconomia della creativit, dove il tono completamente diverso, postmoderno e da marketing territoriale. 5 Jrn Morisse, Rasmus Engler, Wovon lebst du eigentlich? Vom berleben in prekren Zeiten, Piper, Mnchen 2007. 6 Igel, Initiative gegen das Leistungsschutzrecht, lanciata dallomonimo sito nel dicembre 2010. 7 Taz-Reportage: die Digital-Nomaden, su YouTube. 8 Bericht ber Selbstndigenarbeit in Ver.di. April 2007-Mrz 2007. 9 Forderungen der Ver.di. Bundeskommission Selbstndige zur sozialen Sicherung von Solo-Selbstndige, Berlin, maggio 2009. 10 un sistema che non gode di buona fama; si tratta di un contributo volontario sotto forma di sottoscrizione di un contratto assicurativo che gode di un finanziamento pubblico; ma stato dimostrato che serve pi che altro a incanalare i soldi pubblici verso le casse delle societ assicuratrici; il godimento del contributo statale si avrebbe solo raggiungendo la bella et di novantatr anni. 11 Il termine freelance stato tradotto in tedesco con Freie. 12 Non abbiamo elementi sufficienti per analizzare anche la situazione a Vienna e in Austria, dove le problematiche sono analoghe ma le esperienze organizzative ancora incerte. La fonte pi interessante, perch molto vicina alle nostre riflessioni, che ha condiviso sin dallinizio, quella di Klaus Neundlinger, Die Performance der Wissensarbeit, Nausner&Nausner, GrazWien 2010, in particolare le pp. 78-139 e 142-221. Cfr. inoltre i suoi due interventi in italiano in Lia Cigarini et al., Condizioni e identit nel lavoro professionale, Derive&Approdi, Roma 2007, pp. 16-30. 13 The Littler Report, The Emerging New Workforce. Employment and Labor-Law Solutions for Contract Workers, Temporaries and Flex-Workers, aprile 2009, disponibile sul sito www.littler.com 14 In realt independent contractor e freelance non sono intercambiabili, il primo termine viene usato per indicare un professionista che ha un rapporto con una societ nel quadro di un processo di esternalizzazione, freelance invece indica una condizione lavorativa pi volatile e instabile. Il primo si usa di pi per professioni tecniche, per il lavoro esperto per grandi aziende, il secondo si usa di pi per professioni dellambito creativo. Tuttavia il Pcg britannico, che si presenta come unassociazione di independent contractors chiama il suo magazine Freelancing Matters e organizza annualmente il Freelancers Day. 15 Quando il paese uscir dalla devastante recessione e un numero sempre maggiore di appartenenti alla generazione Y (quelli nati tra il 1977 e il 2002) si affaccer al mercato del lavoro, lo stigma associato alla parola consulente subir una drastica riduzione, [...] man mano che lindustriosa generazione dei Baby Boomers andr in pensione, cominceremo a vedere un numero crescente di appartenenti alla generazione Y rivolgersi di preferenza ai lavori di consulenza a part-time, The Littler Report, cit., p. 5. 16 US Department of Labor, Bls, Contingent and Alternative Employment Arrangements, February 2005, News, 27 luglio 2005. I contractors venivano indicati come bianchi, acculturati, sopra i trentacinque anni e in prevalenza maschi, l86 per cento dichiarava di preferire il lavoro autonomo a quello subordinato.

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17 Bls, Household Data. Table A-9. Selected Employment Indicators. (www.bls.gov/cps/empsit_changes_table_a9_2011.htm). Erano rispettivamente 10,79 milioni e 5,316 milioni nel giugno 2009. Nel commento Employment from the Bls Household and Payroll Surveys: Summary of Recent Trends, stessa data, si mettevano in luce alcune difficolt a stimare sia il numero degli independent contractors, che spesso qualificavano se stessi nelle risposte ai questionari come salariati, sia il numero dei multiple jobholders (in totale 6,9 milioni), che svolgevano attivit di lavoro autonomo come occupazione secondaria. 18 Steven F. Hipple, Self Employment in the United States, in Monthly Labor Review, settembre 2010, pp. 17-32. Contributo fondamentale per capire i problemi della classificazione e della rilevazione statistica, riporta le serie storiche pi aggiornate. 19 Cfr. Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, cit., pp. 38 ss. 20 Creative Workers Count, su www.workingtoday.org 21 Sara Horowitz, Althea Erickson, Gabrielle Wuolo, Independent, Innovative and Unprotected: How the Old Safety Net is Failing Americas New Workforce, sul sito www.freelancersunion.org 22 Solo lo stato di New York ha riconosciuto ai venditori (sales representatives) il diritto di accedere alle prestazioni previste per i dipendenti delle aziende per cui lavorano come independent contractors. 23 Steve Fraser, Labor Will Rule: Sidney Hillman and the Rise of American Labor, Free Press, New York 1991 (Cornell University Press 1993). 24 Il nonno di Sara Horowitz stato vicepresidente dellInternational Ladies Garment Workers Union (Ilgwu) di New York, un sindacato il cui leader, Dubisky, ha costituito assieme a Hillman lAmerican Labor Party negli anni trenta. 25 Ford Foundation, John D. e Catherine T. MacArthur Foundation, J.P. Morgan Chase Foundation, New York Community Trust, United Hospital Fund, Rockefeller Family Fund, The Robert Wood Johnson Foundation, The Rockefeller Foundation, The Prudential Foundation, Ira W. De Camp Foundation e altre. 26 Amarezza che si riscontra nei commenti di molte associazioni e iniziative sociali, dovuta al fatto che alcune delle figure di punta della ShoreBank hanno fatto parte dellentourage di Hillary Clinton e che la stessa moglie di Obama, Michelle, viene dal quartiere di Chicago dove la banca ha mosso i primi passi. Con il concorso dei principali gruppi bancari e di molte fondazioni, la ShoreBank rinata sotto il nome di Urban Partnership Bank con un diverso management ma formalmente con la medesima missione. Una parte dellopinione pubblica ha accusato Obama invece di aver voluto mantenere in piedi la sua banca preferita, anche quando perdeva troppi soldi. Alla fine di agosto 2010 erano ben 118 le banche regionali chiuse dautorit o fallite. 27 Il contratto in genere suddiviso in due parti, la prima (commercial provision) che deve contenere la descrizione pi dettagliata possibile delle modalit secondo le quali si svolger il lavoro, preferibilmente con un paragrafo specifico per ogni singolo compito, dove il consulente oltre a veder definiti compensi e tempi di pagamento, dovrebbe tutelarsi in particolare dal-

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le maggiori richieste che avvengono in corso dopera in maniera informale, senza essere esplicitate come tali. La seconda parte del contratto (legal background) quella che si applica a tutti i contratti e stabilisce diritti/doveri delle parti in una serie di circostanze ricorrenti o potenziali (per esempio in caso di rimpiazzo per malattia). 28 Cfr. il documento dellApce del dicembre 2010 dove sono illustrate le differenze tra le due normative, su www.apce.fr. In sostanza chi dirige unimpresa non pi responsabile in toto degli eventuali debiti accumulati dallattivit della medesima ma pu costituire un capitale di rischio, inoltre pu optare tra limposizione fiscale sul reddito e quella sulle societ. 29 Nel caso in cui il lavoratore indipendente utilizzi come ufficio la casa di propriet non chiaro come si risolva il problema. 30 In compenso c ancora, o di nuovo, chi ha conservato uno sguardo amorevole e critico sui luoghi e i contesti sociali, come Marina Spada, nel cinema, o Gabriele Basilico nella fotografia, poi c il Teatro della Cooperativa, s, ci sono tante altre cose, produzioni multimediali, ma qui volevamo parlare soprattutto di scrittura-inchiesta, di storia vivente, di prodotti da libreria che ti aprono gli occhi. 31 Marina Piazza, Anna M. Ponzellini, Anna Soru, Et pensionabile delle donne e riconoscimento del lavoro di cura: la nostra proposta, Actainrete.it 32 Cfr. Dario Di Vico, Partite Iva, il welfare negato dei lavoratori invisibili, in Corriere della Sera, 4 maggio 2010, oppure Dario Di Vico, Partite Iva: lalleanza del lavoro autonomo, in Corriere della Sera, 11 gennaio 2011. 33 La somma degli iscritti dichiarati da queste associazioni dellordine di 16.000. 34 Il Manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione si pu leggere per intero sul sito www.actainrete.it tra le pagine dellarea istituzionale (Chi siamo). 35 Giacomo Mason, Sei un lavoratore autonomo e devi solo morire, www.intranetmanagement.it, 18 ottobre 2010.

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Indice

1. Passaggi
Dove vuoi andare?, 10; Pur di andarsene, 15; Transiti verso la coalizione, 18; Direzioni sbagliate, 20; Strade a uscita incerta, 23; Pensare a se stessi, 26; I diversi confini del rischio, 29; Sostanza tecnologica del vivere, 32; Forme di coalizione nella Rete, 38; Il valore della prossimit, 43

45

2. Da gentiluomini a mercenari. Lideologia del professionalismo e la sua crisi


Alle origini di unideologia, 46; Pastoie italiane, 48; Disagio e risveglio dei ceti medi, 53; Max Weber e la vocazione professionale, 54; Business e professione, 57; Freelancing, 60; Consulenti di direzione: flagello o risorsa?, 64; Surrogati didentit, 66; Personalit e scrittura, 70; Le nuove non-professioni, 73; Conoscenza tacita, 76; Autorit, autorevolezza, 79; Transitare, spostarsi, scavalcare confini, 81; Uno status sociale in perenne equilibrio, 84

88

3. Il lungo degrado del lavoro subordinato


Una Cina in Europa, 88; Voci dallinterno, 95; Permane la centralit del lavoro subordinato, 97; Mental recession, 100; Il paese tranquillo, 108

114

4. Dove non c la notizia


Il silenzio dellinformazione sul lavoro autonomo, 115; Senza

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voce collettiva il lavoratore, da solo, diventa merce, 116; Freelance, meno diritti e pi costi desercizio, 118; Il sindacato nonsindacato dei giornalisti freelance, 120; Linformazione come autoregolazione di interessi di parte, 123; I freelance? Per la stampa soltanto Untermenschen, 125; Il cambio di rotta arriva dal Corriere della Sera, 129; I lavoratori autonomi che si raccontano sul web, 130; Nuove identit in cerca dautore (e giornalisti capaci di ascoltarle), 132

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5. Precari e autonomi nelleconomia dellevento


Lorganizzazione del lavoro nelleconomia degli eventi, 140; Arte, 142; Musica, 148; Magnete Milano, 152; Identit e coalizione, 154

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6. Lavorare a che prezzo?


Avvicinarsi al tema del compenso per via descrittiva, 160; La soddisfazione delle parti non basta, 162; Massimi e minimi, tra paradossi e privilegi, 163; I tariffari sono la soluzione?, 164; Vendere lavoro autonomo ai lavoratori dipendenti, quando il monopsonio di tipo psicologico, 166; Il modello di prezzo basato sulle equivalenze tra in e out, 167; Reductio ad Ral, fenomeno a larga diffusione, 170; Il lavoro autonomo come i mutui subprime? , 173; Alla previdenza ci penser la provvidenza (personale), 174; Il secondo modello: lequiparazione tra imprese, ovvero una falsa speranza, 176; Quanto vale sapere da quale parte girare una vite?, 179; Il cottimo digitale, dannazione moderna del lavoro cognitivo, 181; Oltre il tempo, la ricompensa della qualit, 185; Pagare il risultato del freelance con retribuzioni variabili, 186; Mandare in frantumi il lavoro per fare buy-back sulla paga del consulente, 187; Il rischio mio, ma lo gestisci tu, 190; La nascita della Jackpot Economy, 191; Il lavoro gratuito, meglio di nessun lavoro?, 193; Se il lavoro un sogno che non si avvera allora svegliati, 195; Donare il tempo, ma quando un contributo professionale che cosa accade?, 197; C una risposta nella nostra Costituzione?, 199; Lavoratori, non merce, 203

205

7. Gli outsider del welfare state


Lapartheid sociale che emerge con la crisi, 205; Flexicurity, chi lha vista?, 207; Lavoratori autonomi senza tetto n legge, 210; Quando la previdenza a strozzare il lavoro, 212; Meglio

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lignoranza del sommovimento sociale?, 215; Le ipotesi in campo per la riforma del welfare, 217; Le vecchie forme di rappresentanza, una palla al piede, 222

224

8. Voltare pagina, coalizzarsi


Berlino, 228; Un grande sindacato e i lavoratori autonomi, 231; Nomadi sul serio, 234; New York: unidea di sindacalismo per i nostri tempi, 235; Londra, Westminster Hall, 244; Parigi e dintorni, 248; Milano, 251

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Note

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