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IL BUIO OLTRE GAZA

NEL SUDAN
COMANDANO
I CLAN di Fatima MAHJAR

La guerra in Dårfûr, che oppone cristiani e musulmani, è il


prodotto di decenni di manipolazioni governative, volte a
fomentare l’odio religioso a usi interni. Dai Mesalit agli Zaôåwa,
dai Biãa ai Ja‘aliyyøn, è la tribù la vera chiave di volta del paese.

1. I L SUDAN È IL PAESE PIÙ GRANDE DEL


continente africano. Per la sua vastità e collocazione geografica, esso include sia
popolazioni arabe che africane. Da un punto di vista etnico, il Sudan può essere
diviso in quattro regioni principali: il Nord, il Sud, il Dårfûr a ovest e l’area orienta-
le. Ognuna di queste zone è dominata da tribù locali con tradizioni, costumi e
idiomi distinti. Per questo motivo, in Sudan esistono correnti di pensiero che pro-
muovono la divisione del paese in quattro Stati indipendenti come soluzione per
mettere fine alle guerre etniche intestine.
Il Nord del Sudan è la parte araba del paese, dove sono situati la capitale,
Khartum, e il governo centrale. Questo, l’esercito e le altre istituzioni politiche so-
no controllate dalla popolazione araba, che ha imposto nell’intero paese il proprio
dominio e la propria lingua.
Il Sud, invece, con capitale Ãubå, è dominato da tribù africane, la più impor-
tante delle quali è quella Dinka. In questa regione, la maggior parte della popola-
zione è di fede cristiana o pagana. L’appartenenza alle singole tribù è di norma se-
gnalata da cicatrici, che vengono incise di solito sul volto dei membri.
Nel 2005, il Sudan Peoples Liberation Movement (Splm) – movimento politico
rappresentativo del Sudan meridionale, all’epoca guidato da John Garang – e il go-
verno centrale del Sudan hanno firmato un accordo di pace (Comprehensive Pea-
ce Agreement, Cpa), ponendo fine a una guerra civile ventennale. L’accordo pre-
vede, fra l’altro, l’autonomia del Sudan meridionale e una rappresentanza politica
dell’Splm presso il governo centrale. Il trattato, inoltre, concede che nel 2011 il Sud
possa andare alle urne per un referendum sull’autodeterminazione.
A ovest, al confine con il Ciad, si trova il Dårfûr. La zona è abitata da tribù afri-
cane e arabe, entrambe di fede musulmana sunnita, costantemente in conflitto fra
loro sin dal febbraio del 2003. Le tribù africane maggioritarie sono i Fur (da cui il 1
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nome Dårfûr, «Terra dei Fur»), i Mesalit e gli Zaôåwa, i cui legami tribali si estendo-
no fino in Ciad. I cosiddetti ribelli africani del Dårfûr confluiscono in due gruppi
armati: il Justice and Equality Movement (Jem) e il Sudan Liberation Movement
(Slm). Dall’altro lato i Ãanjawød, composti in prevalenza da membri della tribù ara-
ba degli Abåla e sostenuti dal governo centrale.
Nella zona orientale, invece, vivono i Biãa, una popolazione autoctona – co-
me i nubiani, stanziati nel Nord – che ha mantenuto non solo una propria lingua e
una propria cultura, ma anche dei tratti somatici specifici. Anche la parte orientale
del paese è stata scenario di conflitti, a causa della mancanza di diritti e della distri-
buzione iniqua dei proventi del petrolio. Diversi movimenti ribelli (Bija Congress e
Free Lions Movement) si sono uniti nel Fronte orientale, guidato da Mûså Muõam-
mad Aõmad, per combattere contro il governo centrale. Il Fronte è stato appoggia-
to dal governo dell’Eritrea. Nel 2006, Asmara decide di cambiare posizione e con-
vince i ribelli a firmare un accordo di pace con il governo sudanese. La pace è
però molto fragile, dato che la popolazione locale continua a sentirsi emarginata.

2. La popolazione che domina il Sudan settentrionale è araba e di fede musul-


mana. La capitale Khartum («proboscide», poiché è dove il fiume Nilo, che l’attra-
versa, prende la forma di una proboscide d’elefante) è la sede del governo e delle
istituzioni politiche del paese. Il Nord è controllato prevalentemente da due tribù:
gli Šayqiyya e i Ja‘aliyyøn. Gli Šayqiyya sono originari dell’attuale Sud dell’Iraq. La
regione del Sudan da essi occupata ha per capitale Maråwø e si estende da al-Dib-
ba ad Abû Õåmid. I Ja‘aliyyøn, invece, sono collocati nella regione che da Atbara si
estende fino alla capitale Khartum.
Gli Šayqiyya occupano posti chiave nel governo. Il capo dell’intelligence e
della sicurezza nazionale, il generale Âalåõ ‘Abd Allåh Gōš, il vicepresidente, ‘Alø
‘Uñmån ¡åhå e il ministro delle Finanze, ‘Awaî al-Ãåz appartengono tutti alla tribù
Šayqiyya. Sulla carta, ‘Alø ‘Uñmån ¡åhå è il secondo vicepresidente, mentre, in virtù
degli accordi del 2005, il primo vicepresidente è il leader del Splm, Salva Kiir. Nei
fatti, però, ‘Alø ‘Uñmån ¡åhå detiene maggior potere decisionale di Kiir. Alla tribù
dei Ja‘aliyyøn appartiene il presidente del Sudan, ‘Umar al-Bašør, al potere dal gol-
pe del 1989.
Gli Šayqiyya sono conosciuti per essere dei guerrieri e hanno acquisito presti-
gio all’interno della società sudanese per essersi opposti, verso la fine del XIX se-
colo, all’aggressione ottomana. Un’opposizione che, comunque, si rivelò vana: il
Sudan, infatti, è rimasto sotto il dominio ottomano fino al 1914.
Gli Šayqiyya sono, inoltre, tra le tribù con la più alta percentuale di persone
istruite. I maggiori intellettuali del paese, come al-¡ayyib Âåliõ (scrittore laico i cui
racconti sono stati tradotti in più di venti lingue) e ‘Abd al-Œåliq Maõãûb (noto co-
me il «Berlinguer sudanese» e leader storico del Partito comunista, ucciso dal regi-
me nel 1971), appartengono a questa tribù.
I Ja‘aliyyøn, dediti in gran parte alla coltivazione della terra, sono legati etnica-
2 mente agli Šayqiyya, ed entrambe le tribù affermano di discendere dallo zio del
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profeta Maometto, ‘Abbås. Difficile stabilire quale delle due tribù sia la più nume-
rosa, sebbene ciascuno vanti un primato numerico sull’altra.
Nel Nord del paese non vivono soltanto tribù arabe, ma anche i nubiani, che
si dividono fra l’Egitto meridionale e il Sudan. I nubiani sono una popolazione au-
toctona, la cui regione fu governata per circa quattro secoli (dal 1500 al 1100 a.C.)
dagli egizi, presso i quali era nota come «paese dei Kusti», terra dalla quale prove-
nivano spezie, legname prezioso, avorio e schiavi. I nubiani in Sudan sentono di
avere un’identità distinta dal resto del paese. Hanno, inoltre, una loro lingua e una
loro cultura.

3. In Sudan, la cultura tribale è parte integrante della società: lo spirito tribale


domina il paese e influenza i rapporti interpersonali. Chi appartiene a una tribù
minore, infatti, sente di dover portare rispetto a un membro di una tribù più im-
portante. Ogni sudanese ha un forte senso d’appartenenza alla propria tribù, che si
traduce in favoritismi e clientelismi. A livello politico, ad esempio, il capo dell’in-
telligence, Âalåõ ‘Abd Allåh Gōš, si è circondato di uomini di sua fiducia, apparte-
nenti alla propria tribù, quella degli Šayqiyya.
In passato, le tribù del Nord non mostravano un particolare attaccamento alla
propria «arabità»; piuttosto, la loro identità era di tipo clanico. La situazione cambia
nel 1983, quando inizia la seconda guerra civile del paese, che ha causato più di
due milioni di morti fra i civili. In quell’anno, infatti, nasce il Sudan Peoples Libera-
tion Army (Spla), braccio armato del Sudan Peoples Liberation Movement (Splm),
guidato dal leggendario leader John Garang, di fede cristiana e appartenente alla
tribù africana dei Dinka. In quel frangente, presidente del Sudan era il generale
Ãa‘far Numayrø, di origine nubiana, che verrà deposto pochi anni dopo. Egli aveva
intrapreso una campagna di islamizzazione e dichiarato lo stato d’emergenza, im-
ponendo la šarø‘a (legge islamica) al paese.
All’origine della guerra, però, non vi fu tanto la questione islamica, bensì una
miscela esplosiva, nel Sud, di emarginazione sociale della popolazione locale,
mancanza di investimenti, assenza di servizi di base e iniqua distribuzione dei pro-
venti del petrolio, di cui laregione è ricca. Quest’insieme di fattori sfociò in un con-
flitto sanguinoso, che vedeva l’Splm sostenuto da Etiopia, Uganda ed Eritrea.
I regimi che si susseguono a Khartum cominciano, pertanto, una sistematica
campagna di delegittimazione dei ribelli e delle motivazioni alla base della lotta
per l’autodeterminazione del Sud. Il governo centrale inizia a sostenere che l’Splm
non stia combattendo contro il regime, ma contro gli arabi, trasformando il conflit-
to in una lotta etnica fra arabi del Nord e africani del Sud. Il governo, in altri termi-
ni, strumentalizza abilmente lo spirito tribale del paese, rinverdendo l’«arabità» del-
le tribù del Nord per occultare la realtà di dispotismo, corruzione e discriminazio-
ne all’origine dei conflitti etnici. Il regime attuale di Bašør non fa eccezione: esso si
rifiuta di fare concessioni alle zone emarginate del paese, nonostante la crescente
domanda di democrazia proveniente dalla stessa inteligencija nel Nord. Il governo
centrale preferisce continuare a presentare la guerra come uno scontro tra «loro» 3
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(gli africani) e «noi» (gli arabi), con i primi intenzionati a espungere i secondi dalla
vita sociale e politica del paese.
Il revival dell’arabità, sponsorizzato dal governo di Khartum, ha così portato
la popolazione del Sudan settentrionale a sviluppare, enfatizzandola, la propria
identità araba, a differenza di altri paesi del Nordafrica o del Golfo, in cui le nuo-
ve generazioni, dopo il fallimento del panarabismo, sono alla ricerca di un’iden-
tità nazionale.
Il conflitto tra Nord e Sud termina soltanto nel 2005, con la firma del Cpa. Nei
fatti, però, gli scontri continuano. Nel 2005, pochi mesi dopo la firma dell’accordo,
lo stesso Garang – fresco della nomina a vicepresidente del Sudan – rimane ucci-
so, ufficialmente in un incidente di elicottero. A succedergli è il citato Salva Kiir,
personalità di gran lunga meno carismatica.

4. La guerra civile del 1983-2005 non è stato l’unico conflitto che ha insangui-
nato il Sudan. Nel corso degli anni, il paese ha visto succedersi rivoluzioni, guerre
e colpi di Stato. Nell’ottobre del 1964, la popolazione insorge contro il regime del
generale Ibråhøm ‘Abbûd, chiedendone la destituzione. Nell’aprile del 1985, i su-
danesi si ribellano al generale Numayrø, chiedendo l’instaurazione di un regime
democratico. Nel frattempo, nel paese si succedono vari colpi di Stato: l’ultimo ri-
sale al 1989 e vede l’ascesa al potere dell’attuale presidente, Bašør.
Il colpo di Stato del 1989 fu orchestrato da Õasan al-Turåbø, proveniente da
una tribù araba del Nord ed eminenza grigia del paese, contro il governo del pri-
mo ministro Âådiq al-Mahdø, cognato dello stesso Turåbø. All’epoca, quest’ultimo
aveva fra i suoi seguaci Œalil Ibråhøm, attuale leader del movimento ribelle Justice
and Equality (Jem). Œalil proviene dal Dårfûr, è di fede musulmana e appartiene
alla tribù africana degli Zaôåwa, che si estende fino in Ciad e dalla quale proviene
anche il presidente del Ciad, Idriss Deby, il quale, difatti, sostiene Œalil.
Dopo il colpo di Stato, Œalil è nominato ministro dell’Educazione nel Sud del
Sudan e ben presto ottiene il soprannome di «emiro dei muãåhødøn». Infatti, dal
Dårfûr organizza degli squadroni per combattere contro l’Splm di Garang e la po-
polazione del Sud, anch’essa africana ma di fede cristiana e pagana.
Nel 1999, Turåbø cerca di prendere il sopravvento nel governo e, come porta-
voce del parlamento, promuove una legge per limitare i poteri del presidente.
Bašør, in risposta, scioglie il parlamento e rimuove Turåbø dalla leadership del Na-
tional Congress Party, il partito presidenziale. Con mossa scaltra, Turåbø cerca allo-
ra un’alleanza con l’Splm contro Bašør. A quel punto (siamo nel 2001) il presidente
lo arresta, con l’accusa di tramare un colpo di Stato. Œalil, rimasto fedele a Turåbø,
decide di prendere le distanze dal governo di Bašør e, tornato in Dårfûr, diventa il
leader del Jem, circondandosi di militanti islamisti zaôåwa e di seguaci di Turåbø.
Nello stesso periodo in Dårfûr nasce un nuovo gruppo, il Sudan Liberation
Army (Sla), guidato da Minni Minawi, leader zaôåwa e da ‘Abd al-Waõød Muõam-
mad Nûr, appartenente alla tribù dei Fur. Il conflitto in Dårfûr esplode nel 2003,
4 quando il Jem e lo Sla lanciano un attacco contro il governo centrale. Il regime de-
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cide così di rafforzare le milizie ãanjawød, formate da arabi del Dårfûr. Nel 2006,
Minawi e Nûr si dividono, dopo la firma degli accordi di pace di Abuja. Nûr, che
vive a Parigi, decide di non firmarli, mentre Minawi accetta il trattato e diventa
consigliere speciale del presidente sudanese.
A tutt’oggi, la popolazione del Dårfûr, sia africana che araba, vive quella che
l’Onu ha definito la «tragedia umanitaria del secolo». Nella regione manca qual-
siasi tipo di investimento nel campo dello sviluppo economico, dell’istruzione,
della sanità. La popolazione resta vittima di un regime che preferisce la violenza
al dialogo e degli stessi movimenti ribelli, i cui leader sono spesso più impegnati
in lotte di potere che a difendere i diritti della gente in nome della quale dicono
di combattere.

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