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Napoli 3-4 luglio 2012 GIORNATE DI STUDIO LA MAPPA E IL TERRITORIO Ripensare leducazione fra strada e scuola Contributo di Salvatore

Pirozzi La funzione di autorit: modesti confronti tra educazione in strada e in scuola. A proposito dellesperienza di un progeto PON sulla legalit allIISS G. Caselli

La conversazione feconda solo tra spiriti dediti a consolidare le proprie perple ssit (E. Cioran)

DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA Penso che si dovrebbe sempre ricordare lo sguardo da cui si osserva, se si vuole salvaguardare la natura congetturale delle proprie asserzioni. Ho fatto il maestro di strada per sette anni. Ancora oggi, dopo 14, in forme div erse, lo continuo a fare nei Quartieri Spagnoli, collaborando, spesso come rappre sentante dellAssociazione Maestri di strada, con lAssociazione Quartieri Spagnoli. Di questo lavoro, il lavoro di strada, ho fatto il principale oggetto di rifless ione di un dottorato in politiche pubbliche e argomento principale della mia tes i. Da due anni sono tornato nella scuola normale , nelle classi iniziali del biennio. Insomma, ho fatto un bel giro e spero che il mio contributo conservi un po dello sguardo non sinottico che ho sulla questione. Nessun realismo, nessuna certezza . E se dovessi dire come insegno, o addirittura volessi proporre un modellino, con fesso che sarei in difficolt: tornare a scuola ci che ha messo in discussione alcu ne mie convinzioni agiografiche del maestro di strada. Se prima, dalla strada, ho guardato la scuola normale come un luogo da criticare e pensavo di avere qualche modesta proposta da farle, ora, dalla scuola normale , che continua a sembrarmi uno spazio da riformare, guardo alle mie vecchie prat iche e penso che molte non sono riproducibili, essendo irriducibilmente diversi i contesti. Se non ho una sinossi ho per osservato la strada dalla scuola, la scuola dalla st rada, ho lavorato coi ragazzi ex-clusi e con quelli in-clusi, con quelli fuori c he si voleva riportare dentro e con quelli dentro che si voleva non volassero, a nche se volessero, fuori. E ho osservato i relativi sistemi di autorit, leggendo, questa, come sistema di legami sociali. Parlo dellautorit come di un legame, non di una posizione, e spero di dirlo meglio avanti. Di questi legami, delle loro d iversit contestuali, vorrei discutere. Prima di entrare nel merito, parlerei della strada. LA STRADA, COSA CI HA INSEGNATO Si pu osservare la strada stando dietro il vetro della finestra: i rumori ne vengo no attutiti, i movimenti diventano fantomatici e la strada stessa appare, attrav erso il vetro trasparente, ma saldo e duro, come una entit separata, che pulsi in

un al di l. Oppure si apre la porta: e si esce dallisolamento, ci si immerge in que sta entit, vi si diventa attivi e si partecipa a questo pulsare della vita con tu tti i propri sensi Punto, linea, superficie (Kandinsky 2004, p. 7). Citato in L apprendimento come esperienza estetica. Una comunit di pratiche in az ione, di Lidia Decandia, Franco Angeli 2011. In un convegno sulla strada, che ne sottolinea, come diceva Carla Melazzini, la claustrofobia, ma anche la ricchezza e il campo ineliminabile di pratiche e di acquisizioni di saperi (parlo degli adulti), dalla strada giusto partire. Non tratto qui della strada dal punto di vista delle sue negativit, che forse fin troppo stato detto. N di una sua interpretazione romantica, come luogo di libert, che pure andrebbe trattato. Al mio sguardo professionale giusto aggiungere una nota biografica. Sono nato in un basso, ma in una famiglia che per dieci anni ha rinunciato a molto per accum ulare il danaro sufficiente a mandarmi in una scuola privata: non voleva, pur vi vendo sulla strada, che io diventassi un ragazzo di strada; ma io invidiavo i ra gazzi che ci vivevano e giocavano e forse quella invidia un po me la porto appres so e mi ha condizionato in un atteggiamento positivo verso la strada, in unottica appunto un po romantica. Non parlo di questo, n far alcuna digressione sociologica; parlo della strada come di un ambiente dapprendimento degli adulti, degli operatori, e in particolare di che cosa ci ha insegnato sullautorit, che dovrebbe restare irriducibile acquisizi one istituzionale. Quali sono i legami di autorit e di potere che si creano gi nel contatto, in strad a il pi elle volte, con i beneficiari? Tutto, credo, nasce dal fatto che abbiamo imparato a cambiare i nomi con cui, i stituzionalmente, vengono classificate le persone. Le pratiche istituzionali, ancora oggi e soprattutto oggi, nominano i beneficiar i a partire da ci che non sono, attraverso un meccanismo di negativizzazione: dis persi, esclusi, analfabeti, incapaci, inadatti, incivili, non buoni ecc. ovvio c he questo processo di nominazione delle persone per quello che non sono per la l oro difettivit rispetto al target previsto, alle risorse, agli strumenti cognitiv i degli adulti -stabilisce un sistema di autorit, attraverso il linguaggio, monop olizzante. Credo sia intuitivo quel che accade. Forse va solo sottolineato che d ietro le retoriche dellattivazione, questa pratica di autorit consegna i beneficia ri, i recipient, alla pi sottomessa passivit; oppure al mercanteggiamento, tipico dello stigma, della propria identit in cambio di un riconoscimento sociale e quin di dei previsti sussidi (penso a La patente di Pirandello). La commedia - nel se nso dantesco - di Insegnare al principe di Danimarca ci consegna anche immagini di questa umanit. Lesperienza e la potenza del lavoro di strada non chiedetemi quali ne siano gli s trumenti da trasferire ci hanno portati a stravolgere le pratiche linguistiche, le modalit comunicative, lapproccio cognitivo - ancora dominante - in cui la soluz ione viene prima del problema, capovolgendole totalmente: profezie che si auto a vverano, cos come spesso il nome attribuito ai ragazzi aiuta a avverarne il desti no. Hanno trasformato i legami dellautorit tra noi, unistituzione, e loro, i ragaz zi e le famiglie. In che senso abbiamo cambiato i nomi dati alle persone? Siamo passati dalle etic hette al nome proprio. Seguo le suggestioni di Sennet, Autorit , un libro nato nel 77 (!), che ho letto n ella traduzione del 2006, e della introduzione di Ota De Leonardis. Un libro che mi consente di rileggere le pratiche dei maestri di strada in una cornice allor a non pensata, quella dellautorit. Una parentesi metodologica: una bibliografia non un repertorio, una banca dati, ma un dialogo; una messa alla prova della sua capacit di farci rileggere le stori e in una cornice di secondo livello, una sorta di ritorno spaesato nel nostro pa ese dorigine.

Lautorit un legame sociale asimmetrico, una forza che circola tra le persone vinco landole e dando forma ai legami sociali Autorit un vincolo tra il forte e il debo le, una relazione asimmetrica che entrambi, non soltanto il forte, contribuiscon o a produrre, alimentare e, eventualmente, a cambiare; autorit non una cosa che q ualcuno ha e qualcun altro non ha: essenzialmente una relazione tra persone (p. XI). Se il legame sociale instaurato dallautorit, dal potere istituzionale, come accenn ato, finalizzato, o comunque la produce, alla passivizzazione, questo legame si costruisce lungo due direttrici: il paternalismo e la retorica dellautonomia. La logica del paternalismo una logica panottica: penso a tutto io, poich tu sei debo le; e soprattutto si regge su legami di riconoscenza, cosa opposta al riconoscim ento, di appartenenza come propriet. Pi interessante analizzare i legami che nascono allinterno della cornice, oggi ege mone, dellautonomia. Essa nasconde dentro di s la violenza del disconoscimento, de l disconoscimento del bisogno di legami, nella consapevolezza di una relazione a simmetrica. Lautonomia postula un soggetto capace di fare da solo e colpevolizzat o se non si attiva, e quindi responsabile egli stesso della propria incapacit e d el proprio fallimento. Che cosa successo invece nelle pratiche di strada? Un incontro antropologico, di ciamo abitualmente. Ma cosa significa? In questa disposizione, che chiamerei della curiosit, il destinatario o beneficia rio sottratto, si sottrae, alla sua etichettatura (il targeting) e diventa un lo cutore, uno che parla di se stesso. Il paradigma dellinformazione cede il posto a quello dellinterlocuzione. Sembra banale, ma il riconoscimento dello status di l ocutore, puoi parlare tu di te stesso e puoi farlo indipendentemente dal mio ori zzonte dattesa e dal mio pre-giudizio, fonda la dignit dellaltro. Non questo, in un discorso sullautorit, che preme sottolineare, ma: quali sono i legami dautorit, qua li, insomma, anche i bisogni di autorit che emergono? Il mito dellautonomia vorrebbe distruggere le dissimmetrie e affermare, finalment e, luguaglianza universalistica. Il legame dellinterlocuzione invece un legame asi mmetrico, riconosce le differenze di potere tra i soggetti e fonda su questa asi mmetria la potenza del proprio legame. Del resto, una delle prime letture che circolarono questo non lo si dice mai, ma a Chance si leggeva molto fu Watzlawick e la pragmatica della comunicazione um ana. Forse non ne comprendemmo la potenza. Scegliamo in modo del tutto arbitrario di cominciare il nostro discorso con quest a ipotesi: la persona P d la definizione di s a O. P pu farlo in diversi modi ma [] il prototipo della sua comunicazione sar: ecco com e mi vedo. La comunicazione umana consente tre possibili reazioni da parte di O alla defini zione che P ha dato di s e si aspetta ansiosamente che chi entra in relazione man di un segnale di risposta: ecco come ti vedo, che potr tranquillizzarci o inquiet arci ma aiuter comunque a mettere in relazione con linterlocutore: la conferma (anchio ti vedo come tu mi vedi), che una forma di rassicurazione e di rinforzo che coopera positivamente allaccrescimento della consapevolezza di s e allo sviluppo dellecologia della comunicazione; il rifiuto, ma il rifiuto presuppone il riconoscimento, sia pure limitato, di q uanto si rifiuta e quindi esso non nega necessariamente la realt dellautogiudizio; la disconferma Se fosse realizzabile non ci sarebbe pena pi diabolica di quella d i concedere a un individuo la libert assoluta dei suoi atti in una societ in cui n essuno si accorga di lui (D. Laing) La disconferma il sintomo di una relazione patologica, non si occupa pi della ver it o della falsit, ma piuttosto nega la realt del soggetto Mentre il rifiuto significa hai torto, la disconferma significa: tu non esisti. Scartata la disconferma, qual era limmagine di s che ci veniva proposta come si ve devano -, e che nella scuola standard non riesce quasi mai a trovare uno spazio? Pur rifiutando le classificazioni, propongo due tipologie: un quadro della soff

erenza urbana molto pi complesso delle categorie a priori che avevamo in testa (c i che non sei, la tua difettivit); la capacit di esprimere, comunque, una opzione d i libert. E di ci bisognerebbe parlare. Che cosa intendo dire con questo sostantivo tanto impegnativo? Entrambe queste categorie hanno a che fare con unesperienza per noi fondamentale, quella che viene definita la voice , che non semplicemente la voce, ma la protest a, la dissidenza dalla proposta che viene portata e dalla sua intrinseca etichet tatura. La voce il momento e lo spazio della presa di parola. Ho provato a definire lincontro antropologico come fondato sullincontro interlocut orio, ossia sul riconoscimento reciproco della dignit dei locutori (tralascio di trattare gli incontri con gli agiti e coi silenzi estremi, di cui pure ci siamo fatti carico in un percorso che portasse alla spazio della parola e che non lo s pazio del CIC o il tempo a esso dedicato, ma una struttura comunicativa che attr aversa tutte le pratiche e gli spazi). Essere interlocutori significa superare l a distinzione dei ruoli tra chi porta uninformazione e chi deve riceverla; signif ica riconoscere uguale dignit a entrambi, uguale significativit in quanto si d voce e a se stessi; che siamo di fronte a un parlarsi, dove la costruzione di senso prodotta dalla sua dimensione dialogica e quindi aperta. Espressioni come: ma ch i si? ma chi ti manda? ma che vuoi? non sono un disturbo nella comunicazione, ma la domanda di partenza di un percorso di riconoscimento. Lattivazione, insomma, n asce dalla voice e dentro una relazione che ne consente e legittima la possibili t. Questa voice il primo momento della presentazione di s, il momento in cui un indi viduo d informazioni di s, fuori dagli stereotipi classificatori. E cosa centra la sofferenza urbana? Perch una manifestazione della voice e quindi un varco di libert? C una splendida intervista a Ota de Leonardis, rintracciabile su You tube, che sp iega la dimensione politica della sofferenza. La sofferenza ineludibilmente sogg ettiva, meno ambigua della categoria del disagio, spesso ridotto a disturbo soci ale e quindi a materia da trattare da parte di esperti di troppo (espressione di Illich). La sofferenza lesperienza soggettiva di un individuo, il diritto del so fferente di parlate lui, e non gli esperti, della sua sofferenza. lui che la nom ina. lutente che diventa protagonista. il diretto interessato che con la sua voic e ha voce in capitolo per qualificarla. Detto in termini un po gergali, il nome c he il soggetto d della sua sofferenza la prima base informativa per una politica che dovrebbe riguardarlo. In un seminario che si svolge al San Ferdinando non pu mancare De Filippo; la sce na di Natale in casa Cupiello esemplare per la rappresentazione della voce. Luca: (indica il presepio, ammiccando): - Te piace, eh? Te piace! Tommasino: No. - B, certo adesso abbozzato, non si pu dare un giudizio, giusto ... (indicando un altro punto del presepe) Qua faccio il laghetto e dalla montagna faccio lacqua v era. - Gi, lacqua vera! - S, lacqua vera. Metto linteroclisemo dietro, apro la chiavetta e scende lacqua. Te piace, eh? - No - questione che tu vuoi fare il giovane moderno ti vuoi sentire superiore. Come s i pu dire: non mi piace, se quello non finito ancora? Ma pure quando finito non mi piace E allora vattnne, in casa mia non ti voglio. Ma guarda un poco, quello non mi piace, mi deve piacere per forza? E allora vattnne, in casa mia non ti voglio. Ma il presepe non mi piace E vattnne, perch in questa casa si fanno i presepi. Al di l di giudizi morali e colpevolizzanti - Tommasino lavativo, non vuole costr uirsi un futuro Tommasino in realt ha tutto il diritto di rifiutare lofferta. Ness uno lo ha interpellato su quale potrebbe essere una scelta che per lui avesse va lore, nessuno gli ha dato la possibilit di esporre le sue basi informative, cosa sa lui di se stesso, su cui costruire un progetto.

Riportiamo tutto ci al tema dellautorit: quale legame si stabilisce, in questa rela zione, tra istituzioni e diretti interessati? in questa relazione che non il pat ernalismo panottico, n tantomeno il legame negato dellautonomia? Potrebbe mai esse re un rapporto paritario o senza autorit? un legame di potere, certo, mapotrebbe l a voice emergere senza una mediazione, lasciata sola in balia del mito dellautono mia e del ricatto del paternalismo? Ho parlato della disposizione alla curiosit (penso che non si tratti di una dispo sizione individuale, ma di una disposizione organizzativa e cognitiva che la pre senza della strada ha imposto); ripartendo da questa disposizione, che mi pare p i significativa delle retoriche dellascolto attivo, in che senso pu esserci unautori t, un legame, dentro la curiosit? Solo dalla curiosit nasce la cura, che a me pare espressione pi ricca di presa in carico, troppo carica, lespressione, di moralismo e di paternalismo. La cura un legame sociale, un potere, unautorit fondata sullasimmetria della forza e, contempo raneamente, sul riconoscimento della legittimit di questa forza. Nelle ideologie paternalistiche c una promessa di cura e di educazione, ma viene n egata proprio la loro qualit essenziale: che le attenzioni di una persona faccian o crescere pi forte laltra. Le forme dominanti dellautorit, sono, nella nostra vita, distruttive;sono prive de lla capacit di prendersi cura, e la cura, lamore che provvede agli altri, un bisog no umano fondamentale quanto il cibo o il sessoNessun uomo, anche se animato da b uone intenzioni, pu prendersi cura di unaltra persona come se la cura fosse una me rce. (Sennet, 75-76). Nella societ moderna, uno dei problemi pi taciuti il rapporto tra lesser sottoposti al dominio e lessere oggetti di cura. (id. 164) Una relazione di cura pu nascere solo se viene legittimata lautorit, intesa come mo do di definire, dal lato del debole e dal lato del forte, le differenze di forza. Mentre nel paternalismo la cura non negoziabile - e nelle relazioni improntate a l mito dellautonomia neanche: la vergogna impone la negazione del bisogno di un a ltro - in una relazione di cura la cura negoziabile. E lo a partire dal riconosc imento della dignit locutoria dei soggetti e dellassunzione della legittimit della loro voice come la prima manifestazione e la prima base informativa su se stessi . Curare laltro significa relazionarmi a lui come irriducibile a me, irriducibile a llorizzonte nel quale vorrei inserirlo, al nome che vorrei attribuirgli, non pote r sfuggire allaleatoriet della reciproca scoperta. Significa uscire dal linguaggio impersonale della burocrazia, far parlare in prima persona, rifiutarsi alla rid uzione degli individui a classi. ORIENTAMENTO Ci di cui cerco di parlare, in fin dei conti, non altro che lorientamento, sottrat to alla duplice ideologia del mismatching e delle attitudini (in entrambi i casi il percorso prederminato da presunti punti cardinali esterni); e riportato al s uo etimo, orior, curare per far nascere. Una cosa che ha a che fare con la scuol a. Solo che le pratiche del socratismo un po semplicistico delle-ducazione, come t irar fuori, ci riconsegnano a una concezione individualistica e non sociale e in terazionale della costruzione di una persona, a una forma di paternalismo. Qual , anche qui, il tipo di autorit necessaria, il legame che si crea? Se vero che tutto nasce dalla manifestazione della voice come prima espressione della propria aspirazione (inevitabile citare limportante libro di Appadurai, Le aspirazioni nutrono la democrazia e il suo sempre pi esteso uso, che contribuisce a rinnovare il dibattito sui diritti e la democrazia) questo non significa immag inarsi un percorso edenico e antiautoritario. Anzi. proprio laspirazione, intesa come capacit - capability primaria di un individuo libero di progettare su se stess o che ha bisogno di una relazione autorevole di accompagnamento. Perch laspirazion

e, che Appadurai definisce un navigational tool, uno strumento per navigare, uno strumento, quindi, per orientarsi, laspirazione, che non una partenogenesi o una macchina celibe, si nutre dellincontro con i vincoli e quindi anche con i fallim enti e le riconversioni. una costruzione sociale del s, che ha bisogno di un acco mpagnamento asimmetrico, di una cura. Lautorit allora, come ci ricorda Sennet rico rdandocene letimologia, si rivela come ci che ha a che fare con augeo, laccrescimento delle persone. Provo a leggere tutto ci ricorrendo a un altro testo, Cosa resta del padre? di M assimo Recalcati. Anche qui si tratta di metterlo alla prova per ri-leggere meg lio le nostre pratiche, non di addentrarsi in territori accademici (Lacan e simi li). Lautorit di cui parliamo un limite, un divieto che viene posto allonnipotenza adolescenziale, se magari siamo stati capaci di limitare anche la nostra perdura nte, senile adolescenzialit. Bisogna essere riconosciuti come autorit affinch il di vieto funzioni. Non mi interessa, sarei anche banale, fare un sunto della tesi di Recalcati, ma: se viviamo in unepoca di evaporazione del padre edipico e castr ante, che proprio grazie al divieto della Legge consentiva la nascita del deside rio e del progetto, possibili solo incontrando altri letero e concependoli non c ome simili ma come confine a se stesso, come incontro e fonte di progetto, su co sa si fonda oggi lautorit e la conseguente capacit di imporre divieti e legge? Come si tengono insieme il divieto e il desiderio? LA SCUOLA NORMALE Se nella strada e nelle relazioni educative che in essa si costruiscono c una fort e tensione centripeta intorno al soggetto, in una rete di legami molto deboli, c osa avviene nella scuola normale, dove centripeta listituzione? E come funziona l a legge in un mondo delegittimato? Dove si fonda lautorit quando il cielo, dice Re calcati citando Sartre e leggendo cos La strada di Mc Charty, sopra le nostre tes te vuoto e non pi stellato? Se torniamo a guardare la luna dalla terra, dobbiamo chiederci: come si fa a cos truire una cultura e una autorit che abbiano a che fare con la punizione in un mo ndo impunito? Limpunit credo che sia il terreno di una perniciosa alleanza pedagogica tra allievi e adulti, un reciproco rispecchiamento; e penso che spesso listituzione abbia pau ra della relazione e spesso risponde con la sua banalizzazione, anche sul piano dei contenuti disciplinari, a questa paura di perdere, non solo di perdere i rag azzi, scambiando la banalizzazione con il senso, la significativit dellapprendere. Penso che abbiamo il dovere di porci domande paradossali, che solo un approccio radicale, parente al nichilismo, ci aiuta a capire cosa si dovrebbe fare, e quin di mi prendo la responsabilit di dire il mio paradosso. Nella scuola in atto un g rande progetto inclusivo; ma quello che alcune culture dominanti allesterno della scuola stanno importando nella scuola. Sia ben chiaro: ovvio che alla base di t utto c la responsabilit adulta e che da l bisogna partire, ma proprio per questo il fenomeno non pu esser esorcizzato. Linguaggio, gesti, valori, etologie fino a poc o fa aliene alla scuola ora la permeano. A me viene in mente la storia dei roman i che volevano conquistare i greci e da questi furono invece conquistati. La collusione dellimpunit dilaga; lomogeneit adolescenziale e la complicit tra sessan tenni e diciottenni pure; il consumismo compulsivo, il discorso del capitalista, come dice Recalcati, idem. Che fare? Alla base, credo di aver capito, c il guasto che ha prodotto la cultura della fami liarit, che sempre pi mi appare la coperta corta della paura. La scuola non pu esse re familiare, ma ospitale semmai; nel senso che deve mantenere dei confini, segn are i suoi territori e accogliere, come in un grande rito di passaggio con le su e iniziazioni, i ragazzi che entrano. Solo la differenza e il suo riconoscimento consentono un incontro antropologico e la curiosit. Come vi pu essere educazione e quindi formazione se limperativo che orienta il dis corso sociale si intona perversamente come un perch no? (in cui ogni cosa possibi

le) che rende insensata ogni esperienza del limite? Come si pu introdurre la funz ione virtuosa del limite funzione che assegna un senso possibile alla rinuncia e c he rende possibile lunione di Legge e desiderio se tutto tende a sospingere verso lapologia cinica del consumo e dellappagamento senza differimenti?... La difficolt in cui versa ogni discorso educativo doppia: per un verso difficolt a assumere con responsabilit la differenza generazionale introducendo il potere si mbolico dellinterdizione; per un altro difficolt a trasmettere il desiderio da un a generazione allaltra; difficolt di dare testimonianza di dare testimonianza di c osa significa desiderare. (Recalcati, pp. 104-105) Non ci sarebbe bisogno di orientamento senza spaesamento, senza lansia del perder si e un po dangoscia del fallimento (in un mondo in cui invece ci precluso e ci co nsegna alla vergogna, allo scuorno). Un adulto significativo, unistituzione signifi cativa, come dicevamo a Chance, sono allora necessari in questo viaggio degli ad olescenti; un adulto a cui sia riconosciuta una asimmetria di potere. Educare, a llora, significa aiutare a parlare di questo bisogno. Vattene dal tuo paese, dalla tua patria E dalla casa di tuo padre Verso il paese che io ti indicher. la citazione di Recalcati dal libro di Genesi, la chiamata di Dio a Abramo affin ch si distacchi dalla prossimit della propria famiglia. Questo taglio simbolico un taglio importante per intraprendere un viaggio pi lungo. Penso che c una irriducibilit tra lo sguardo di chi vede il mondo a partire dal fuor i dei dispersi, i drop out e quello di chi lo vede da dentro, dove si tratta di non f ar evadere chi dentro e non fuori. Penso che quando ero fuori non capivo la nece ssit di questo presidio della regola. Passo gran parte del mio tempo a presidiare laula, a imporre il regolamento, a fa r rispettare le regole, a far rimpinzare i portfoli, anche di magre pagine, a co mbattere limpunit e la collusione, a difendere un po di persistenza delle decisioni prese. chiaro che la regola ha dentro di s il rischio di uneducazione omologante. Noi dob biamo guardare alle regole dal punto di vista dei diritti dei ragazzi: un diritt o perch solo lesistenza di una regola consente la resilienza, il prender forma. Se come generazione, forse, ci siamo crogiolati nella mistica dellinsegnante amato, oggi forse dobbiamo dismettere il narcisismo e accollarci lonere di diventare, u nespressione di Recalcati, odioamati. Non la collusione la strada del riconoscime nto della nostra autorit, ma la nostra pesantezza. Solo la pesantezza degli adult i consentir ai ragazzi di ereditare i padri usandoli e non copiandoli, infine imp arando a farne a meno e diventando essi stessi padri. Non ci sono certezze. Il rischio di cadere in un disciplinamento senza apprendim ento forte e forse corriamo il rischio di seguire le scorciatoie dellesemplarit e della predica. La strada che suggerisce Recalcati, come ho detto su, diversa, qu ella della testimonianza. il padre de La strada, che in un mondo senza futuro, quasi senza sole, continua a camminare proteggendo il figlio. Non ha pi un dio al le spalle, non ha ricette n buone pratiche a cui appellarsi. Testimonia la sua ca pacit di prendersi cura del ragazzo e di camminare verso un progetto, andare vers o il fuoco, testimoniare dellavvenire come una possibilit che emerge in mezzo a mi lle vincoli. La cura, la testimonianza hanno dentro di s la singolarit: la testimo nianza non un protocollo e la sua forza, la sua autorit, i legami che costruisce sono legami dentro la vita di tutti i giorni. Cosa pu significare, per degli adulti, essere testimoni oggi a scuola? Cosa pu sig nificare essere testimoni di speranza per una generazione al tramonto? Forse il momento di porci il quesito - davanti a una giovent lasciata sola di fro nte allangoscia della caducit, occultata dal mito e dallangoscia davvero distruttiv a di essere sempre perfetti di come si possa essere testimoni nel tramonto, di c ome sia possibile essere testimoni di una vita in cui, anche nel crepuscolo, si continui a avere cura di se stessi, a desiderare al di fuori dellonnipotenza e de

ntro il limite.

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