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Se i poeti sono uomini, protesto!

La poesia un concetto che somiglia al viaggio, nel senso di un linguaggio dello spostamento che implica un movimento spirituale ed intellettuale affinch sia possibile un trasferimento di conoscenza. Eppure i poeti non somigliano a viaggiatori, piuttosto hanno un'affinit con i migranti, dato che vivono una lingua che un'esperienza personale frutto dell'abbandono del mondo-lingua che li ha generati. Nella composizione prende cittadinanza un'espressione che sempre straniera nell'esteriorit del territorio pubblico, mentre nell'avventura esistenziale prende corpo un universo che si nutre della speranza di poter rigenerarsi, attraverso un segno preciso e diverso. Ma le parole sono il frutto doloroso di una scelta di libert linguistica ed etica contro le imposizioni della lingua pragmatica, che in un laborioso ed apparente equilibrio ne significano un soggettivo travaglio di trasformazione. La consapevolezza del ritmo, della sonorit, l'interiorit percettiva e culturale cercano un altro luogo. Oppure soffrono l'estraniazione ed il soffocamento della voce individuale, fino all'esplosione stilistica della rappresentazione in un territorio-lingua distante, molto distante. E quindi l'esilio. Autentico, (auto)determinato, cos il poeta mette in discussione la propria e l'altrui identit. I poeti vivono tra noi, ci parlano. Noi ci allontaniamo dalle visioni e dalle utopie per rifugiarci nell'ovviet della logica dominante, dove la razionalit occorre flebile e sottomessa. Baluardi di resistenza al pensiero omologante e preziosi eroi su carta come vengono accettati nella vita quotidiana? Riusciamo a condividere il dolore di questa vita ai margini del paesaggio umano? Arriveremo ad assimilare la fragilit intima dei poeti che ci guardano e restituirne l'energia vitale altrettanto generosamente? Quando i poeti migrano verso di noi, perch non apriamo le porte della nostra coscienza e li abbracciamo fraternamente insieme alle loro parole? Diceva Hasan all'Incontro poetico europeo a Roma nel 2005: Il poeta si trova a
vivere un paradosso: operare lontano dalla propria patria o abbandonare la letteratura? Patria o Arte? Vivere nel proprio paese sotto loppressione, o lasciarlo per un altro in cui forse si verr giudicati per una pelle considerata sporca, in cui diranno che chi viene da una certa parte del mondo deve per forza essere un ladro, o un incivile? Tuttavia lintellettuale esule pu quasi diventare un fenomeno: il poeta diventa una sorta di profeta, come nel caso di Al-Nawab, che vive in Siria ed usa, appunto, il linguaggio profetico Come se il profeta fosse poeta o se il poeta diventasse profeta che predica alla gente e cerca di trasformare in facile il difficile, di aiutare a sopportare il rifiuto della

societ, la provocazione, il maltrattamento. Se vero che la poesia sorse nellanima delluomo dal bisogno di assoluto, per il poeta iracheno, specie se migrante, profugo, assume una valenza mistica, una forza capace di trascendere la finitezza e, se necessario, la banalit del presente. Una poesia protesa a indagare e integrare la Verit; Desidero entrare nel silenzio ancora vivo, recitava Samuel Beckett. [] Ma, in ogni caso, il poeta immigrato come un nomade, come un antico arabo del deserto, in cerca di nuovi pascoli e di nuove acque. Il poeta, addolorato, descrive il proprio abbandono e lamenta la lontananza dallamata terra, ricordando le gioie dellamore perduto, con tutti i pericoli affrontati e le fatiche sopportate. Sempre in cammino per ritrovare fortuna, amore, amicizia, un angolo di affetto .

Insieme ad Hasan, comunque, anch'io protesto.

Protesta

(Hasan Atiya Al Nassar)

Ai tuoi occhi lupeschi la notte protesta. Una fanciulla viene dalle coste dellacqua E dal mare delle ceneri delle citt che non sorridono. I suoi occhi timidezze oppure una camicia grigia. Ma acqua, mare, sale, le spiagge protestano. Tu fuggi nella tenda dei treni tranquilli. Dice la guardia serale, la citt chiuder le porte, ma quando verr Chiara, come gallegger in questo mare tenebroso? Dicono le donne anziane, Chiara non passa lontano dalla costa, perch lei pace nella terra, e guerra con se stessa. I suoi confini vicini, senza confini. Si accosta, si scosta. I suoi pesci volatili scompaiono perch Chiara non ha fari nella notte. I suoi occhi come regni di silenzio, i suoi occhi due primavere senza autunno. Non so se le lacrime conoscano i tuoi occhi,

la tranquillit, pace, silenzio. Tu sei la mia riva che mi getta nel mare unaltra volta, sei canto che non ha paese, sei nebbia triste sui calici dei poeti. Ha scritto il poeta, se Chiara non sorride io torner con la mia valigia a paesi antichi, paese mio, verso sabbie soffocate dal buio verso il buio che copre il nostro viso e la nostra erba verso la camicia grigia verso il sale del mare che dipinge la terra. Verso uno scirocco che ferisce erbe, foglie e si stende verso i fiori del male. Allesilio, allIraq, al mio ritorno; o mai. A Chiara, che sorger dalla finestra della mia casa povera che non sorride, se lei non sorride. Io ritorner, ma dove? La notte atterra tenebrosa, gli occhi del lupo galleggiano nel buio. La notte ferma senza protestare, io lascio i tuoi occhi lupeschi soli.

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