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1. INTRODUZIONE 1.1. PREMESSA La Scienza delle Costruzioni la disciplina di base dell'ingegneria strutturale.

. Essa si colloca a valle di quasi tutti gli insegnamenti fondamentali comuni a tutti i corsi di laurea dell'ingegneria e pu esser vista come lo sviluppo, in senso ingegneristico, della meccanica razionale. Infatti la Scienza delle Costruzioni prende le mosse dalla meccanica del continuo con i capitoli riguardanti lo studio della deformazione, dello stato di tensione, dell'equilibrio elastico, ecc. Inoltre riprende, per evidenziarne gli aspetti maggiormente applicativi, alcuni classici argomenti della meccanica razionale quali la statica e la geometria delle masse. Requisito importante, per seguire con profitto queste lezioni, una buona conoscenza dei contenuti dei corsi di Analisi Matematica I e II, di Geometria, di Fisica I, nonch del corso di Meccanica Razionale. Lo scopo principale del corso quello di fornire, con riferimento agli organi resistenti delle costruzioni e delle macchine, gli strumenti per valutare 1. La sicurezza 2. La funzionalit 1. Verificare la sicurezza significa controllare che gli organi resistenti di una costruzione siano in grado di sopportare, per tutta la durata della loro vita, i carichi che su di essi graveranno, senza che si verifichino eventi traumatici quali possono essere il crollo totale o parziale. 2. Verificare la funzionalit significa controllare che la risposta degli organi resistenti ai carichi sia compatibile con un corretto esercizio. Per la prima verifica occorre conoscere lo stato di cimento del materiale con cui realizzato l'organo resistente e confrontarlo con la resistenza dello stesso materiale. La seconda verifica molto spesso si esaurisce controllando che la deformazione dell'organo resistente sia compatibile con le funzioni che esso chiamato a svolgere durante l'esercizio. Frequentemente parleremo di strutture, intendendo con ci riferirci ad un solido avente la funzione di resistere alle azioni cui assoggettato nel corso di tutta la sua vita. Le strutture sono inserite nelle costruzioni ed hanno il compito di riportare al terreno di fondazione, o pi in generale ai vincoli, le azioni cui sono sottoposte. Vedremo che per valutare la sicurezza e la funzionalit di una struttura occorre conoscere: la geometria della struttura il materiale con cui realizzata i vincoli a cui assoggettata i carichi a cui sottoposta Gran parte dei problemi della Scienza delle Costruzioni sono problemi di equilibrio ad iniziare dalla determinazione di tutte le forze agenti su di una data struttura, ivi comprese cio le reazioni offerte dai vincoli che non sono generalmente note. La determinazione delle reazioni vincolari stato oggetto di studio anche nell'ambito della statica dei corpi rigidi dove tuttavia sono risultati evidenti alcuni limiti sui quali ci soffermeremo nel paragrafo che segue. 1.2. TRAVI LABILI, ISOSTATICHE ED IPERSTATICHE Riprendiamo un argomento gi trattato nel corso di meccanica razionale: la statica dei corpi rigidi vincolati. Pi in particolare, con riferimento a quei solidi che per la particolare forma sono denominati travi si vuole evidenziare quali siano i limiti propri della statica dei corpi rigidi. I vincoli che considereremo sono, salvo avviso contrario, bilaterali, indipendenti dal tempo e privi di attrito. Essi, a seconda del numero di gradi di libert che tolgono alla trave cui sono applicati, si classificano in vincoli semplici o composti. I primi tolgono un solo grado di libert i secondi ne tolgono due o pi.

Con riferimento al caso dei moti rigidi piani e quindi alle travi piane, il vincolo semplice o elementare, in altre parole, in grado di togliere un solo grado di libert, costituito da un'asta incernierata alle estremit denominata biella o pendolo (v. Fig. 1.1a), equivalente al carrello (v. Fig.1. 1b).

fig. 1.1a

fig. 1.1b

fig. 1.1c

fig. 1.1d

fig. 1.1e

La cerniera invece un vincolo composto che toglie due gradi di libert (v. Fig. 1.1c) e consente soltanto la rotazione attorno all'asse passante per il suo centro e normale al piano. Il glifo, detto anche incastro scorrevole o bipendolo, (v. Fig. 1.d) parimenti un vincolo doppio che consente una sola traslazione ed infine si cita l'incastro (v. Fig. 1.1e) che un vincolo che non consente alcun movimento e che toglie quindi, nel piano, 3 gradi di libert. I vincoli, per impedire i movimenti, reagiscono con azioni denominate reazioni vincolari. Ad esempio il pendolo in grado di reagire con un forza diretta secondo il suo asse e di qualsiasi intensit, mentre la cerniera in grado di reagire con una forza qualsiasi passante per il centro della stessa cerniera. Nella figura 1.2 sono indicate le reazioni che i vincoli pi comuni sono in grado di esercitare, sempre con riferimento al caso piano.

Fig. 1.2a: V 0, H=M=0

Fig. 1.2b: V 0, H=M=0

Fig. 1.2c: V 0, H 0, M=0

Fig. 1.2d: V 0, M 0, H=0

Fig. 1.2e: V 0, H 0, M 0

Le reazioni vincolari di un corpo rigido soggetto ad assegnate forze attive, sono in genere incognite e devono perci di volta in volta essere determinate imponendo innanzi tutto l'equilibrio di tutte le forze esterne, ossia forze attive e reazioni vincolari. Un primo problema fondamentale che la Scienza delle Costruzioni deve risolvere proprio quello della ricerca delle reazioni vincolari. Per fare ci occorre stabilire, per prima cosa, se i vincoli sono insufficienti, ed in tal caso la struttura labile, ossia cinematicamente indeterminata. L'equilibrio allora impossibile, a meno che non si incontrino particolari sistemi di forze attive; ci significa che non esistono in generale reazioni vincolari in grado di assicurare l'equilibrio e che perci il corpo si metter in movimento. Organismi di questo tipo, detti catene cinematiche o sistemi ipostatici, sono privi di interesse per la Scienza delle Costruzioni, mentre vengono studiati nell'ambito della meccanica applicata alle macchine. Se il numero di vincoli semplici imposti al corpo rigido sono nel numero strettamente necessario per fissarne la posizione nella variet a cui esso appartiene, tre nel piano e sei nello spazio, e se naturalmente tali vincoli sono "ben disposti", ossia sono traducibili in altrettante equazioni indipendenti nelle coordinate dei punti vincolati, allora il problema si dice isocinematico. Le componenti di reazione vincolare incognite corrispondenti alle condizioni di vincolo sono quindi nello stesso numero delle equazioni d'equilibrio dei sistemi rigidi e possono perci essere determinate in modo univoco. E siccome esiste una ed una sola soluzione nelle incognite, le strutture cos vincolate si chiamano isostatiche o staticamente determinate, in quanto bastano le sole equazioni della statica dei sistemi rigidi per la loro risoluzione.

Pu infine capitare che le condizioni di vincolo ed i corrispondenti parametri delle reazioni vincolari siano in numero superiore a quello delle equazioni fornite dalla statica dei corpi rigidi. La struttura, assimilata ad un corpo rigido, si dice allora iperstatica o staticamente indeterminata, perch, in tal caso, esistono infiniti sistemi di reazioni vincolari che rispettano l'equilibrio rigido. Si pu pensare infatti di fissare ad arbitrio le n componenti di reazione vincolare incognite eccedenti il numero delle equazioni disponibili e ricavare corrispondentemente le incognite rimanenti. Il grado di indeterminazione di una struttura misurato dal numero n di condizioni di vincolo eccedenti quello delle equazioni disponibili. Con riferimento ad un insieme di travi, denominato travatura, si possono presentare le seguenti situazioni : Travatura isostatica (con un numero di vincoli semplici pari al grado di libert posseduto) : negli esempi che seguono si giunge ad un'unica soluzione.

Fig. 1.3. - Soluzione grafica

Travatura iperstatica (con un numero di vincoli semplici superiore al grado di libert posseduto). Es:

Fig. 1.5. Soluzione grafica

Fig. 1.6. Soluzione analitica

(3 equazioni e 4 incognite)

Con riferimento alla figura 1.5., si osserva che per ogni arbitraria scelta di si determinano e . Il problema ha allora infinite soluzioni, corrispondenti a queste scelte arbitrarie, si perci in una situazione indeterminata. Con riferimento alla figura 1.6. si osserva che l'equilibrio descritto da un sistema di 3 equazioni algebriche lineari in 4 incognite; il sistema ammette infinite soluzioni. Siamo ancora una volta in una situazione indeterminata. Riepilogando : Nel caso a), ad ogni figura ; arbitrariamente scelto, corrisponde una soluzione come indicato graficamente in

Nel caso b) si hanno 3 equazioni algebriche lineari in 4 incognite. In entrambi i casi la soluzione indeterminata. Esistono soluzioni equilibrate. Il caso delle strutture iperstatiche quello pi frequente nella pratica e per queste l'esperienza dimostra che l'equilibrio risulta ben definito. perci evidente che l'ipotesi di corpo rigido che rende indeterminato questo caso, problema che viceversa ridiventa determinato quando si tenga conto della deformabilit dei corpi. Per questo motivo lo studio della Scienza delle Costruzioni basato sulla meccanica dei solidi deformabili. La conoscenza delle deformazioni poi utile di per s stessa in quanto consente quei riscontri sperimentali che si effettuano in sede di collaudo di una struttura. Le lezioni che seguono si concentreranno essenzialmente su di un unico tipo di struttura : la trave. Lo studio della trave sar tuttavia preceduto dai fondamenti della meccanica dei solidi da cui poi deriver quello della trave stessa. Tale impostazione generale vuole anche costruire il presupposto per affrontare lo studio di altre tipologie strutturali quali le piastre, le lastre, i gusci, le cupole oppure i semispazi e, pi in generale, i solidi tridimensionali. Si tenga infine presente che il corso direttamente propedeutico ai corsi successivi di Tecnica delle Costruzioni, di Geotecnica e di Costruzioni di Macchine. In questa introduzione si spesso parlato di trave. Come gi detto essa un solido di forma allungata, ossia con una dimensione prevalente sulle altre due, che si pu pensare come generato dal movimento di una figura piana il cui baricentro G percorre una linea che sempre ortogonale al piano della stessa figura. La figura piana rappresenta la sezione della trave, mentre la linea descritta da G rappresenta la linea d'asse o pi semplicemente l'asse della trave. Da questa definizione nascono pi classificazioni per la trave a seconda che la sezione si mantenga costante (trave prismatica) oppure vari la sua forma mentre percorre la linea d'asse (trave a sezione variabile). In genere si ammette che la sezione vari con continuit. Inoltre la linea d'asse pu essere una curva sghemba, una curva piana, una retta, ecc. Conseguentemente si avranno travi spaziali, travi curve ( ad es. archi, travi ad anello, travi elicoidali, ecc), travi ad asse rettilineo, ecc. La trave viene rappresentata disegnando semplicemente la sua linea d'asse ed a parte, quando occorre, la sezione. Inoltre, salvo diverso avviso, le azioni si intendono sempre ridotte all'asse della trave. 1.3. UN CENNO SULLE AZIONI ALLE QUALI PU ESSERE ASSOGGETTATA UNA TRAVE Le azioni che possono agire su di una struttura si possono classificare sotto diversi aspetti : IN BASE ALLA LORO DURATA : - PERMANENTI (peso proprio della trave, sovraccarico fisso, ecc) - VARIABILI (sovraccarichi di esercizio) IN BASE ALLA LORO NATURA : - STATICI (masse ferme e masse considerabili tali) - DINAMICI (urti, esplosioni, ecc) IN BASE A COME SONO APPLICATI : - CONCENTRATI (idealmente)

- DISTRIBUITI (su linee, superfici, volumi, ecc) Le azioni, pi in generale, comprendono anche le variazioni termiche ed igrometriche, i cedimenti di vincoli, ecc. Le azioni a cui pi frequentemente ci si riferisce sono forze e coppie, e queste possono essere concentrate o distribuite, e per esse si adotta la seguente rappresentazione :

Fig. 1.7. Azioni di pi frequente impiego

2. ANALISI DELLA DEFORMAZIONE 2.1 SCOPO Abbiamo visto nella Introduzione come l'ipotesi di corpo rigido debba essere rimossa qualora si vogliano studiare le strutture iperstatiche. In generale occorre prendere atto che non esistono in realt corpi rigidi e che pertanto occorre imparare a descrivere la deformazione dei solidi. quello che ci accingiamo a fare in questo capitolo richiamando nozioni in parte gi impartite nei corsi di meccanica dei solidi. 2.2 STUDIO DELLA DEFORMAZIONE Sia la configurazione assunta da un corpo B nell'istante e quella assunta dallo stesso corpo in un successivo istante t. Si osservi che il tempo t interviene soltanto come parametro che ordina la successione delle configurazioni e che consente di chiamare , configurazione iniziale, o di riferimento, e configurazione finale o deformata od attuale. Senza preoccuparsi delle cause che hanno prodotto il movimento, sulle quali si ritorner nel prossimo capitolo, la configurazione pu essere individuata dalla relazione:

Fig. 2.1 (2.1) nella quale r ed r' rappresentano rispettivamente la posizione occupata dalla particella materiale nella configurazione di riferimento e nella configurazione attuale C' (v. Fig. 2.1). La (2.1), che e' la naturale estensione della descrizione del moto di un punto materiale, e' nota come descrizione referenziale o lagrangiana del moto. Sulla (2.1) si fanno le ipotesi di invertibilit e di differenziabilit fino all'ordine necessario.La biunivocit della corrispondenza tra e il requisito matematico che assicura l'assenza di implosioni o di esplosioni (v. Fig. 2.2). Sotto queste ipotesi e' possibile invertire la (2.1):

(2.2)

ottenendo in tal modo la descrizione spaziale od euleriana del moto. Nella (2.2) la variabile indipendente e' la posizione r' occupata dalla particella materiale nella configurazione attuale. Questa descrizione e' usata nella meccanica dei fluidi. Per la ipotesi di biunivocit si impone che, con riferimento alla descrizione referenziale, sia diverso da zero il determinante Jacobiano:

In tutte le considerazioni che seguono si far esclusivo riferimento alla descrizione lagrangiana e non si prender in considerazione, per quanto detto, la variabile tempo, pertanto si avr :

Adottando un riferimento cartesiano ortogonale possono rappresentare nel seguente modo:

, con i versori i, j, k, i vettori r ed r' si (2.3)

Con tali notazioni le precedenti due relazioni si scrivono:

ed il campo di spostamento:

pu essere rappresentato dalle componenti (

) nel riferimento assunto (v. Fig. 2.1):

2.3 LA DEFORMAZIONE NELL'INTORNO INFINITESIMO DI UN PUNTO Con riferimento alla figura 2.3 , ci si propone di studiare come si deforma il generico vettore infinitesimo dl, spiccato dal punto , avente la direzione individuata dal versore n i cui coseni direttori si indicano con

Fig. 2.3 A meno di infinitesimi di ordine superiore al primo si pu quindi scrivere : (2.4) Il punto P estremo del segmento infinitesimo di retta individuato dalla equazione parametrica ( parametro dl ) :

si trasforma, a deformazione avvenuta, nel punto

di coordinate :

che, tenute presenti le (2.4), diviene:

ossia : (2.5) che corrisponde ancora alla equazione parametrica di un segmento infinitesimo di retta. La precedente (2.5) qualora si ponga :

diviene

Questa relazione tra i punti P e P', nell'ipotesi di biunivocit della corrispondenza una "affinit", ovverosia, una corrispondenza che, nell'intorno infinitesimo di , trasforma rette in rette, piani in piani, circonferenze in ellissi, sfere in ellissoidi ; inoltre conserva il parallelismo fra rette e piani ma non l'ortogonalit.

Ha poi la propriet che almeno una terna di direzioni ortogonali conserva, nella trasformazione l'ortogonalit. Come noto dalla geometria si tratta della direzioni principali della trasformazione. possibile quindi affermare che segmenti infinitesimi di retta si trasformano in segmenti infinitesimi di retta. Dalla (2.5) si ottiene : (2.6) E' ora possibile calcolare la metrica dell'elemento deformato mediante: (2.7) da cui, con facili passaggi, si ottiene : (2.8) Si definisce il tensore doppio simmetrico: (2.9)

come tensore delle deformazioni finite o tensore di Almansi. In funzione di tale tensore la (2.8) assume la forma pi compatta: (2.10)

La conoscenza del tensore in ogni punto di consente di effettuare una serie di valutazioni quantitative, come si vedr in dettaglio nei paragrafi seguenti. 2.4 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE LINEARE Con riferimento ad un elemento lineare , preso nella configurazione direttori si definisce coefficiente di dilatazione lineare la quantit: , ed individuato dai coseni

(2.11)

la cui conoscenza ci consente di valutare la variazione di lunghezza interna al corpo nel passaggio dalla configurazione alla . Infatti dalla (2.11) si ottiene immediatamente:

di una qualunque linea

(2.12)

E' facile esprimere il coefficiente

nel caso in cui la direzione dell'elemento coincida con una delle

direzioni coordinate. Infatti riferendosi all'elemento inizialmente parallelo all'asse

(v. Fig. 2.4) si ottiene

Fig. 2.4 (2.13) ricordando la (2.10),nella quale ora i coseni direttori valgono ,si perviene a :

da cui si deduce che (2.14) e quindi: (2.15) Naturalmente per rotazione degli indici si possono ottenere i coefficienti di dilatazione lineare nelle altre due direzioni coordinate e, ruotando il sistema di riferimento, possibile ottenere il coefficiente di dilatazione lineare per una qualunque direzione. 2.5 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE ANGOLARE Presi nella configurazione indeformata due elementi lineari dl, dm formanti un angolo l'angolo formato dagli stessi elementi a deformazione avvenuta, ossia nella configurazione dilatazione angolare la quantit: (2.16) Assumendo due elementi inizialmente paralleli agli assi coordinati dalla quantit: ed , la dilatazione angolare data e, detto , si definisce

(2.17) da cui segue : (2.18) e quindi, con riferimento alla figura 2.5 e ricordando la relazione fra coseni direttori di due direzioni e coseno dell'angolo compreso tra esse, possibile esprimere il mediante: (2.19)

da cui: (2.20) e, ricordando la (2.6), si ha:

(2.21)

e, per la (2.13) (2.22)

Concludendo la dilatazione angolare tra due direzioni inizialmente parallele agli assi punto P, vale:

, uscenti dal

Fig. 2.5 (2.23) ovverosia, in termini di sole componenti del tensore di Almansi:

(2.24)

Per rotazione degli indici possibile ottenere gli scorrimenti angolari 2.6 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE SUPERFICIALE

Siano e due elementi lineari che nella configurazione indeformata individuano l'elemento di area . Siano e i corrispondenti elementi in . Essi individueranno l'elemento di area . Si definisce coefficiente di dilatazione superficiale la quantit:

(2.25)

la cui conoscenza consente di valutare la variazione di area di una qualunque superficie interna al corpo nel passaggio dalla configurazione alla . Infatti dalla (2.25) si ottiene immediatamente: (2.26)

Fig. 2.6

Con riferimento ad un elemento di area inizialmente parallelo al piano coordinato scrivere: (2.27) da cui, ricordando che :

(v. Fig. 2.6) si pu

(2.28)

e che, per i risultati conseguiti nel 2.4., si pu porre :

con facili passaggi, si perviene a:

ovverosia, in termini di componenti del tensore della deformazione: (2.29)

2.7 COEFFICIENTE DI DILATAZIONE CUBICA Con ovvio significato dei simboli, si definisce coefficiente di dilatazione cubica la quantit: (2.30)

dalla cui conoscenza deriva la possibilit di calcolare la variazione di volume subita da una qualunque porzione finita di corpo B mediante: (2.31)

Se la corrispondenza tra

assegnata mediante :

ricordando il significato del determinante Jacobiano, si pu scrivere :

e quindi si ottiene: (2.32) Si vedr nel prossimo paragrafo che sar possibile esprimere anche in termini di .

2.8 UNA RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA DELLA DEFORMAZIONE La deformazione nell'intorno di un punto P suscettibile di una rappresentazione geometrica molto efficace. Infatti si visto che, nella deformazione, l'elemento lineare dl si trasforma nell'elemento ancora lineare dl' e che valgono le :

(2.33) (2.34) che rappresentano la prima, l'equazione di una sfera di centro P e raggio infinitesimo dl nelle variabili infinitesime , e la seconda, nelle stesse variabili, l'equazione di un ellissoide. Si noti che

Sovrapponendo la rappresentazione di (2.33) e (2.34), cio facendo coincidere P con P', si pu avere una delle situazioni indicate in figura 2.7.

Fig. 2.7 L'intersezione della sfera (2.33) con l'ellissoide (2.34) individua il cono: (2.35) E' facile vedere che tale cono divide la stella di elementi lineari intorno a P in due categorie : quella che subisce dilatazioni positive (allungamenti), quella che subisce dilatazioni negative (accorciamenti). Tali due categorie di elementi sono separate dal cono (2.35) che individua gli elementi lineari che non subiscono alcuna dilatazione. Per tale motivo il cono prende il nome di cono degli scorrimenti. E' poi evidente che il cono pu essere reale, come indicato nella figura 2.7a, oppure immaginario come nei casi della figura 2.7b e figura 2.7c. In tali casi le dilatazioni intorno a P saranno tutte positive (v. Fig.2.7b) o tutte negative (v. Fig.2.7c). Si pu ora calcolare la variazione di volume nel passaggio dalla sfera all'ellissoide :

essendo i semiassi dell'ellissoide. Indicando con le dilatazioni principali, ossia quelle degli elementi lineari che andranno a coincidere con i tre semiassi dell'ellissoide che, come noto, sono relativi rispettivamente ad un punto di massimo, di minimo e di stazionariet, per le dilatazioni lineari si avranno le espressioni:

Il coefficiente di dilatazione cubica (2.29) pu quindi essere espresso in termini di dilatazioni principali mediante : (2.36)

2.9 DEFORMAZIONI INFINITESIME Il caso in cui gli spostamenti e le derivate siano delle grandezze molto piccole rispetto alle dimensioni del corpo quello che corrisponde alla situazione tecnicamente pi ricorrente. In tali condizioni si ottengono delle semplificazioni rilevanti. Infatti, potendo considerare come infinitesime del primo ordine le trovate si semplificano nel modo qui di seguito indicato. 2.9.1 Tensore delle deformazioni infinitesime Il tensore (2.9), trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo, si trasforma nel tensore delle deformazioni infinitesime: (2.37) , le espressioni precedentemente

2.9.2 Coefficiente di dilatazione lineare L'espressione (2.15), mediante sviluppo in serie di Mac Laurin, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo, diviene : (2.38)

2.9.3. Coefficiente di dilatazione angolare Dall'espressione (2.23), trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene : (2.39)

2.9.4 Coefficiente di dilatazione superficiale Dall'espressione (2.29), trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene : (2.40) 2.9.5 Coefficiente di dilatazione cubica Dall'espressione: (2.41)

trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo si ottiene : (2.42) Il tensore delle deformazioni infinitesime:

prende cos anche il nome di tensore delle dilatazioni e degli scorrimenti per il significato che assumono le sue componenti :

(2.43)

2.10 CONGRUENZA DELLA DEFORMAZIONE Se la corrispondenza :

ovverosia

tra le configurazioni e il campo di spostamenti

tale da assicurare l'assenza di implosioni o di esplosioni (v. Fig. 2.2), allora

si dice che congruente internamente. Se inoltre rispetta i vincoli cinematici imposti al corpo B sulla sua frontiera allora la deformazione

sar congruente esternamente. Un campo di spostamenti che sia congruente internamente ed esternamente si dice cinematicamente ammissibile oppure, pi semplicemente, congruente. Quando sia assegnata la deformazione mediante una terna di funzioni , continue con le derivate prime e monodrome sempre possibile determinare il tensore delle deformazioni mediante le (2.37) :

Ci si pu chiedere se, assegnate comunque ad arbitrio in V sei funzioni :

pensate come le componenti di un tensore delle deformazioni, sia possibile far loro corrispondere una deformazione effettiva per il corpo B , ossia un campo di spostamenti a cui corrispondano le in accordo con le (2.37). La riposta a tale quesito risiede evidentemente nella possibilit di integrare il sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali : (2.44) E' facile ottenere delle condizioni necessarie di integrabilit per il sistema (2.44), dove ora, per quanto detto, le rappresentano i termini noti, con un procedimento di eliminazione delle dalle (2.44). Infatti dalle (2.44) si ottengono le seguenti relazioni :

e, sottraendo le ultime due dalle prime due si perviene alle seguenti equazioni : (2.45) Le (2.45) sono necessarie per l'esistenza di un campo di spostamenti in grado di individuare una corrispondenza biunivoca tra e . Se il dominio V in cui esse sono definite semplicemente connesso, allora le (2.45) sono anche sufficienti per l'esistenza di un campo di spostamenti da cui si possono far derivare le deformazioni assegnate. In una regione a connessione multipla, ossia con delle cavit, occorrono delle condizioni aggiuntive lungo i bordi delle stesse cavit. Le (2.45) sono state trovate per la prima volta da Saint-Venant e sono note come equazioni esplicite di congruenza o anche come equazioni di Saint-Venant. Se il corpo occupa un volume V semplicemente connesso ed libero nello spazio, allora le (2.45) sono anche sufficienti ad assicurare l'esistenza delle tre funzioni spostamento ad un sol valore. La dimostrazione della sufficienza dovuta a E. Cesaro (1906). Le (2.45) sono formalmente equazioni, riducibili in realt soltanto a sei distinte. La scelta di una

sestupla di equazioni distinte pu esser fatta attribuendo agli indici, ad es., i seguenti valori : i 1 2 3 1 2 3 j 1 2 3 1 2 3 h 2 3 1 2 3 1 k 2 3 1 3 1 2

oppure, contraendo la prima coppia di indici, ponendo cio i=j nella (2.45) : (2.46) e sottintendendo la sommatoria rispetto all'indice ripetuto.

3. LO STATO DI TENSIONE 3.1 INTRODUZIONE La nozione di stato di tensione in un punto interno di un continuo nasce da considerazioni di equilibrio tra azioni e reazioni che interessano due parti dello stesso corpo supposti separati da una superficie ideale. Un esempio elementare , ad es., quello di una trave soggetta a forza normale semplice di trazione, oppure a flessione pura. Ricordando infatti la definizione di caratteristica di sollecitazione, si determina facilmente la risultante delle azioni che, attraverso una qualunque sezione, si trasmettono le due porzioni di trave (v. Fig. 3.1).

Fig. 3.1 Se invece siamo interessati a conoscere le azioni che le due porzioni di trave si trasmettono punto per punto, allora si pu procedere nel seguente modo. Si consideri un corpo qualsiasi B, non necessariamente una trave, in equilibrio sotto assegnate azioni esterne e si divida il volume V da esso occupato in due parti e mediante una sezione fatta con un piano individuato dal versore normale n e dal punto P (v. Fig. 3.2). Il versore n viene, per convenzione, orientato verso l'esterno della porzione di corpo rispetto alla quale si esamina l'equilibrio. Poich in generale ciascuna porzione non sar pi in equilibrio, appare evidente che attraverso venivano trasmesse delle azioni, il cui andamento per ora non dato conoscere, ma che il taglio effettuato ha evidentemente annullato. Si supponga che di tali azioni, quelle che interessano l'area generica , contenente il punto P, pensato appartenente alla porzione e ridotte al punto P, siano equivalenti ad una forza e ad una coppia . Si considerino i rapporti:

e si ammetta che esistano finiti i limiti:

Fig. 3.2 Equilibrio del corpo B sezionato con il piano

(3.1)

Al vettore , che ha le dimensioni di una pressione nell'intorno del punto P. Risulta evidente che:

si d il nome di vettore tensione relativo al piano

(3.2) e, per il principio di azione e reazione, che: (3.3) ricordando la convenzione pi sopra adottata per il segno del versore n. Per stato di tensione in un punto interno P di un corpo s'intende l'insieme dei vettori tensione , quando n descrive la stella di piani passanti per P. 3.2 EQUILIBRIO DI UN CONTINUO Le cause che possono deformare i corpi sono molteplici, ci si limita tuttavia a considerare, in quanto pi interessanti nell'ambito dell'ingegneria strutturale, quelle puramente meccaniche, escludendo perci eventuali azioni derivanti da fenomeni di natura termodinamica, chimica, elettrostatica o magnetica. Con questa restrizione, le azioni agenti sul corpo B si possono classificare in due tipi: forze di superficie e forze di massa o di volume. Le prime si suppongono applicate sulla superficie esterna e le seconde si suppongono distribuite con continuit nel volume. 3.2.1 Forze di superficie Le argomentazioni che hanno portato all'introduzione del vettore tensione , consentono ora di riconoscere che la natura delle azioni che due corpi si trasmettono quando entrano in contatto, pu essere descritta in maniera identica all'azione tra due porzioni dello stesso corpo, separati da una superficie ideale. Basta infatti portare il punto P, fin sulla superficie di V nel punto P' ed n fino a coincidere con la normale esterna a in P' . In tal caso il vettore tensione viene a coincidere con la forza superficiale f esercitata dal secondo corpo sul primo. Si ha pertanto: (3.4) La forza esercitata attraverso l'elemento di area superficiale sar perci espressa da: (3.5)

3.2.2 Forze di massa e di volume Le forze di massa, che insorgono tutte le volte che il corpo immerso in un campo di accelerazioni, tipiche quelle gravitazionali, sono proporzionali alle masse delle particelle su cui esse agiscono; con riferimento all'elemento di massa dm ed al campo gravitazionale g, risulta (3.6)

dove g denominato forza di massa, ha il significato di forza per unit di massa. Se (3.7) la densit di massa, allora si pu definire la forza di volume b, ossia la forza agente sull'unit di volume, mediante: (3.8)

3.2.3 Equazioni di equilibrio Sotto l'azione delle forze di volume e di superficie il corpo B sar in equilibrio se sono verificate le seguenti equazioni: (3.9)

(3.10)

Queste due equazioni vettoriali, sei equazioni scalari, sono la naturale estensione ai corpi deformabili delle equazioni cardinali della statica ed esprimono le condizioni necessarie per l'equilibrio del continuo deformato. 3.3 IL TENSORE DEGLI SFORZI Si visto che lo stato di tensione in un punto interno P di un corpo completamente conosciuto quando si sappia determinare il vettore tensione per qualunque n della stella di piani passanti per P. Per raggiungere tale risultato si ripercorre ora il ragionamento classico di Cauchy , riportato nei suoi famosi Exercices de mathmatique (1827). 3.3.1 Le componenti del vettore tensione Il vettore tensione 3.4) in cui pu essere rappresentato in un riferimento cartesiano ortogonale siano i versori relativi ai tre assi : (v. Fig.

fig. 3.4

Fig. 3.4: Vettore della tensione nel riferimento

. (3.11)

ovverosia in un riferimento ortogonale intrinseco all'elemento piano essendo v ed r versori tangenti al piano

costituito da n , v, r (v. Fig. 3.5),

(3.12)

Fig. 3.5: Vettore della tensione nel riferimento n , v ed r. Le componenti tensione normale tensioni tangenziali Si noti che in generale con il simbolo si indica la componente, lungo la direzione b, del vettore tensione relativo all'elemento piano di normale a. Quindi il primo indice individua l'elemento piano ed il secondo indica la direzione della componente. Spesso, e quasi sempre nella letteratura tecnica, le tensioni tangenziali sono indicate con i simboli e . E' immediato verificare che il modulo della tensione tangenziale totale sull'elemento piano data da: (3.13) 3.3.2 L'equilibrio in un punto interno In un punto P generico del corpo B si consideri un tetraedro infinitesimo idealmente isolato all'interno dello stesso mediante tre piani paralleli ai piani coordinati, passanti per il punto considerato, e da un quarto piano avente per normale n e distante dh dal punto P (v. Fig. 3.6). prendono i seguenti nomi :

Fig. 3.6: Tetraedro infinitesimo isolato intorno al punto P. Essendo interessati all'equilibrio del tetraedro cos individuato, si dovranno considerare le azioni che su di esso esercitava il corpo B prima dei tagli. In virt delle ipotesi fatte, si orienteranno le normali alle facce del tetraedro verso l'esterno e di conseguenza le azioni che agiscono sul tetraedro sono:

Per l'equilibrio dovr risultare: (3.14) Ricordando che (3.15) in cui (3.16) la (3.14), dividendo per d luogo a :

(3.17) e, facendo tendere a zero l'altezza del tetraedro, si riduce a: (3.18) La (3.18) dimostra che il vettore tensione su di un generico piano passante per P perfettamente determinato dalla conoscenza dei tre vettori tensione su tre elementi piani mutuamente ortogonali. Questa dimostrazione dovuta a Cauchy. L'equazione (3.18) scritta in componenti diviene:

(3.19)

dove

, componenti dei vettori , sono chiamate componenti speciali di tensione.

In notazione compatta le (3.19) si scrivono nella forma: (3.20) che sintetizza il "teorema di Cauchy" e dove sottintesa la sommatoria, da 1 a 3, rispetto all'indice ripetuto. Dalla (3.20) discende che un'applicazione lineare che al generico vettore n fa corrispondere il vettore . Si tratta di un tensore (del secondo ordine) le cui componenti cartesiane, nel riferimento sono proprio le quantit

(3.21)

Resta quindi dimostrato che, conoscendo le 9 componenti del tensore (3.20), al vettore tensione su un qualunque elemento piano. 3.3.3 Convenzione sui segni delle componenti speciali di tensione

, possibile risalire, mediante le

Per definire una convenzione sui segni delle componenti speciali di tensione si fa riferimento alle giaciture parallele ai piani coordinati del riferimento cartesiano ed in particolare alle facce di un cubo elementare (v. Fig. 3.7).

Fig. 3.7: Componenti speciali di tensione nel riferimento

La convenzione pu essere cos enunciata: con riferimento all'azione esercitata sul cubo elementare dal corpo che sta dalla parte positiva degli assi di riferimento (il versore n coincide di volta in volta con i, j, k), le componenti di sono positive se equiverse con gli assi . Viceversa, se ci si riferisce all'azione esercitata sul cubo elementare dal corpo che sta dalla parte negativa degli assi di riferimento ( il versore n coincide di volta in volta con -i, -j, -k ), le componenti di sono positive se discordi con gli assi .

Si noti che le tensioni normali positive denotano una trazione. 3.3.4 Reciprocit delle tensioni tangenziali Si supponga di isolare all'interno del corpo B, un cubo elementare avente tre facce coincidenti con i piani coordinati del riferimento . Con ragionamento analogo a quello gi fatto nel precedente punto, se ne possono studiare le condizioni di equilibrio applicandogli, oltre alle eventuali forze di volume cui era soggetto all'interno del corpo, anche le forze che, attraverso le sue facce, vi esercitava la parte rimanente. La situazione quella rappresentata nella figura 3.8, dove sono indicate le componenti speciali di tensione nell'ipotesi che siano tutte positive. Ritenendo ammissibile per le funzioni uno sviluppo in serie di Taylor nell'intorno del punto P, supponendo cio che le componenti di tensione siano continue e derivabili in P, passando ad es. dalla faccia , alla sua parallela, distante da essa , le tensioni agenti, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo, saranno:

E' ovvia l'estensione alle altre facce. E' cos possibile risalire alle forze di superficie agenti su tutte le facce del cubo elementare considerato, semplicemente moltiplicando le tensioni per l'elemento di area su cui agiscono. Poich l'intero corpo B in equilibrio, lo sar anche il cubo elementare sotto le azioni sopra considerate. Se ora si impone l'equilibrio alla rotazione intorno ad un qualunque asse, scegliendo qui per comodit l'asse baricentrico parallelo all'asse , si trova che i contributi non nulli portano a scrivere l'equazione:

(3.22)

Dividendo tutto per equazione:

e, trascurando gli infinitesimi rispetto alle quantit finite, si perviene alla (3.23)

che nota come reciprocit delle tensioni tangenziali.

Fig. 3.8

Fig. 3.8: Cubo elementare isolato nel corpo B. E' immediato verificare che, con riferimento alle facce normali agli assi . Si pu perci scrivere : ed , risulta (3.24) Il tensore degli sforzi risulta essere quindi un tensore doppio simmetrico. Tale propriet riduce da 9 a 6 le sue componenti distinte. Nella figura 3.9. illustrato il significato della simmetria con riferimento ad un generico diedro rettangolo. e

Fig. 3.9: Simmetria delle tensioni. 3.4 EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO Con riferimento allo stesso cubo elementare sopra utilizzato per dimostrare la reciprocit delle tensioni tangenziali (v. Fig. 3.9), si vuole ora esprimere l'equilibrio alla traslazione, ad es. nella direzione dell'asse . Si ottiene l'equazione:

(3.25)

dalla quale, con ovvie semplificazioni, si deduce: (3.26) e, per rotazione degli indici: (3.26a)

(3.26b) Si sono cos ottenute le equazioni indefinite di equilibrio note anche come equazioni di Cauchy, le quali esprimono l'equilibrio dei punti interni al corpo B. In notazione compatta queste si possono scrivere nella forma : (3.27) dove, come gi detto, l'indice ripetuto si intende sommato da 1 a 3 ed inoltre il segno "," denota la derivata parziale rispetto alla coordinata individuata dall'indice che segue.

Una dimostrazione delle (3.27) pu essere fatta osservando che, se il corpo B in equilibrio, sar in equilibrio una qualunque regione , delimitata dalla superficie (v. Fig. 3.10).

Fig. 3.10 Devono perci essere soddisfatte le (3.9) :

ovverosia, nel riferimento

che , ricordando le (3.21), divengono :

e, per il teorema della divergenza, danno luogo a :

ossia : Per l'arbitrariet della scelta di V' e per la supposta continuit uniforme della funzione integranda, quest'ultima relazione implica che, in ogni punto del continuo deve risultare :

3.5 EQUAZIONI AI LIMITI La relazione (3.4), riferita al punto P' di V e tenuta presente la (3.18), fornisce:

nella quale

sono i coseni direttori della normale n esterna al contorno del corpo B.

In notazione compatta la precedente espressione si scrive: (3.28) che rappresenta le equazioni ai limiti. Le (3.27) e le (3.28), particolarizzate al continuo in esame,

(3.29)

rappresentano le equazioni di equilibrio per tutti i punti del volume V occupato dal corpo B. Si noter che le equazioni di equilibrio disponibili sono tre mentre le componenti di tensione da determinare in ogni punto del volume V sono le sei . La ricerca dello stato di tensione si presenta quindi come un problema tre volte iperstatico. 3.6 TENSIONE NORMALE E TANGENZIALE Partendo dalla espressione (3.21) delle componenti cartesiane del vettore tensione facile esprimere la tensione normale e la componente tangenziale lungo una direzione v qualsiasi del generico piano (v. Fig. 3.5) individuato dal versore normale n mediante:

(3.30)

In componenti le (3.30) danno luogo alle espressioni:

(3.31)

essendo

i coseni direttori dei versori n e v rispettivamente. al ruotare

Le espressioni (3.31) consentono di esaminare come variano, in un punto P, le componenti del riferimento che porti la terna iniziale nella terna finale . Infatti, posto : (3.32)

per le (3.31), immediato verificare che, ad es., la tensione normale sull'elemento piano di normale k', ossia che ha per normale l'asse , vale: (3.33) e che la tensione tangenziale nella direzione j' , ossia nella direzione dell'asse vale: (3.34) Si pu porre perci porre, in notazione compatta: (3.35) La (3.35) conferma la natura tensoriale di . Del resto il nome di "tensore" stato usato per la prima volta proprio nello studio dello stato di tensione. 3.7 PIANI, DIREZIONI E TENSIONI PRINCIPALI Nella stella di piani intorno al punto P, possibile individuarne alcuni che godono di particolari propriet.

Fra questi, i pi interessanti sono i piani per i quali il vettore tensione risulta parallelo alla normale n al medesimo piano e, di conseguenza, sui quali la tensione tangenziale nulla. Questi piani sono detti piani principali e le direzioni normali da essi individuate sono dette direzioni principali. Se n una direzione principale vuol dire che, per la definizione sopra data, si pu porre : (3.36) in cui il modulo di e, con notazione ormai consueta e ricordando la (3.21) : (3.37) da cui, ricordando il significato del simbolo di Kronecker , si perviene a :

ossia (3.38) Si cos pervenuti ad un sistema omogeneo di 3 equazioni nelle 3 incognite , le quali, per essere dei coseni direttori, non possono essere tutti nulli e di conseguenza ci porta ad escludere la soluzione banale e dovr perci risultare soddisfatta la condizione:

che, scritta esplicitamente, fornisce: (3.39) che l'equazione caratteristica del tensore . Si tratta, come noto, di un'equazione di terzo grado in , che, introdotta da Lagrange, conosciuta anche col nome di equazione secolare, possiede sempre radici reali , che rappresentano le tensioni principali. Se si sviluppa la (3.39) si ottiene la forma esplicita dell'equazione caratteristica del tensore (3.40) in cui :

(3.41)

sono, rispettivamente, gli invarianti di primo, secondo e terzo ordine. 3.7.1 Ricerca delle Direzioni Principali

Sostituendo, una alla volta, le tensioni principali direttori che individuano le 3 direzioni principali e cio:

, in (3.38), si ottengono 3 terne di coseni

Si dimostra facilmente che le 3 direzioni principali formano una terna ortogonale. Inoltre si vede subito che: - se le 3 radici di (3.39) sono distinte la terna principale sar univocamente determinata; - se si hanno due radici coincidenti risulteranno indeterminate le due direzioni principali nel piano ortogonale alla terza direzione; - se tutte le radici coincidono rimangono indeterminate tutte e tre le direzioni principali. Di conseguenza ogni direzione principale e ci significa che su qualunque elemento piano si esercita la stessa tensione, sempre diretta secondo n, come accade nei fluidi perfetti (principio di Pascal). 3.7.2 Propriet di Estremo delle Tensioni Principali Una strada alternativa per la ricerca delle tensioni principali , discende dalla circostanza che, tra tutte le componenti di tensione, quelle principali godono di una propriet di estremo. Infatti se interpretiamo la legge di trasformazione delle componenti del tensore dei coseni direttori e se ricordiamo la condizione di ortogonalit: la condizione di stazionariet per la funzione (3.35) come funzione

pu ricondursi ad un problema di stazionariet libero per la (3.42)

in cui rappresenta un opportuno moltiplicatore di Lagrange. Supposte verificate tutte le condizioni di continuit richieste, la condizione di estremo facilmente ottenuta annullando le derivate della rispetto agli supposti indipendenti e rispetto al moltiplicatore . Si ottiene: (3.43)

(3.44)

E' immediato osservare che la (3.43) coincide con la (3.38), mentre la (3.44) esprime la condizione di ortogonalit. In particolare i 3 valori tensioni principali che rendono stazionaria la . coincidono con le 3

Delle 3 tensioni principali una massima, una minima ed una semplicemente stazionaria. Di solito le 3 tensioni principali vengono ordinate nel seguente modo: 3.8 STATI DI TENSIONE MONO, BI E TRI-ASSIALI

Gli stati di tensione possono essere classificati in base al numero di tensioni principali uguali a zero. Pi precisamente uno stato di tensione si definisce monoassiale, biassiale oppure triassiale a seconda che vi siano due, una, oppure nessuna tensione principale uguale a zero. evidente che tale classificazione discende immediatamente dall'esame dei coefficienti dell'equazione secolare : (3.45) senza che sia necessario risolverla. Infatti facile verificare che : se se 0 lo stato di tensione triassiale ; =0 e 0 , lo stato di tensione biassiale ; =0 e =0 e 0, lo stato di tensione monoassiale.

e infine se

Si pu infine osservare che nel caso monoassiale il vettore tensione relativo a qualunque elemento piano risulta sempre parallelo ad una medesima direzione, mentre nel caso biassiale risulta appartenente sempre ad una medesimo piano, che prende il nome di piano delle tensioni. Se in tutti i punti di un solido i piani delle tensioni sono paralleli ad una medesima giacitura, si dir che il solido soggetto ad uno stato piano di tensione. 3.9 LINEE ISOSTATICHE Escludendo i casi di indeterminazione ricordati al paragrafo 3.7.1. , in ogni punto del continuo si individua una terna di direzioni principali relativa ad altrettanti piani principali sui quali agiscono soltanto tensioni normali. In generale da punto a punto del continuo la terna sar diversamente orientata. E' cos possibile individuare tre famiglie di curve inviluppo delle tre direzioni principali in ogni punto che sono dette linee isostatiche. Ne discende che, lungo le direzioni individuate dalle linee isostatiche, si hanno, per definizione, soltanto tensioni normali e la materia risulta perci semplicemente tesa o compressa. Se si potesse concentrare la materia che costituisce il continuo lungo le linee isostatiche si realizzerebbe una specie di tessuto fibroso sollecitato esclusivamente da trazioni o da compressioni, senza tensioni tangenziali che di solito, impegnano il materiale in modo pi sfavorevole.

Fig. 3.11: Trabecole ossee: "disposizione ottimale della materia". In natura esistono esempi interessanti di strutture nelle quali la materia proprio disposta lungo le linee isostatiche. Ad esempio il tessuto spugnoso che costituisce le ossa (trabecole ossee) presenta un'architettura tutt'altro che casuale; essa infatti conformata all'andamento delle linee isostatiche corrispondenti alla

sollecitazione prevalente a cui sono assoggettate (v. Fig. 3.11). A ci va indubbiamente attribuita la notevole resistenza da esse posseduta in rapporto al peso di materiale che le costituisce. Anche nel campo dell'ingegneria strutturale vi sono alcune importanti applicazioni nelle quali, disponendo la materia il pi possibile lungo le traiettorie isostatiche, si cerca di realizzare quanto la natura fa spontaneamente: individuazione di schemi reticolari all'interno di strutture complesse, forme particolari di gusci che richiamano quelle di alcuni animali, disposizione della armature all'interno delle strutture in cemento armato. 3.10 DEVIATORE DI TENSIONE Il tensore delle tensioni, come tutti i tensori del secondo ordine, pu essere scomposto additivamente in due parti, rispettivamente denominate parte sferica e parte deviatorica nel seguente modo: (3.46)

dove

, per definizione, tale che .

Risulta pertanto :

(3.47)

da cui :

ossia

la media delle tensioni normali.

Dalle (3.46) si deduce immediatamente: (3.48) che, in forma esplicita, si pu scrivere:

(3.49)

da cui, essendo , si deduce che le direzioni principali del deviatore coincidono con quelle del tensore, mentre facile verificare, che i valori principali di sono dati da: (3.50) Inoltre, con facili passaggi, si perviene ai seguenti valori per gli invarianti secondo e terzo del deviatore:

(3.51) (3.52) ed alle loro espressioni in termini di componenti principali: (3.53) (3.54)

3.11 RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI TENSIONE Lo stato di tensione, in quanto individuato da un tensore doppio simmetrico, suscettibile di alcune rappresentazioni geometriche fra le quali presenta un particolare interesse applicativo quella introdotta da Otto Mohr, che ora ci si accinge a descrivere, con riferimento agli elementi piani appartenenti ad un medesimo fascio di sostegno una qualsiasi retta (v. Fig. 3.12). Il generico piano di questo fascio individuato dall'angolo f che n forma con l'asse .

Fig. 3.12. - Fascio di piani di sostegno . Se sono i coseni direttori di n sussistono le seguenti relazioni :

Se si sceglie il versore tangente v , individuato dai coseni direttori d'assi ortogonali (n , v) sia sovrapponibile agli assi del riferimento

, in maniera che la coppia , facile verificare che:

Con tali posizioni, le componenti normali e tangenziali del vettore tensione su

, ricordando le formule

(3.31), risultano:

da cui (3.55)

Inoltre

da cui : (3.56)

3.11.1 Costruzione grafica della circonferenza di Mohr E' facile provare che le espressioni trovate nel paragrafo precedente per parametriche di una circonferenza nel piano . e per sono le equazioni

Infatti, eliminando il parametro f dalle (3.55) e (3.56), si perviene all'equazione: (3.57)

che nel, riferimento da:

, appunto l'equazione di una circonferenza di centro C e raggio R , dati

(3.58)

Questa circonferenza nota come circonferenza di Mohr ed il piano sinteticamente indicato con . Si ricorda che nel linguaggio tecnico tangenziale.

viene pi

sinonimo di tensione normale, mentre lo di tensione

La costruzione di questo cerchio nel piano (s,t) immediata (v. Fig. 3.13). Basta infatti riportare sull'asse delle ascisse s i punti rappresentativi di e sull'asse delle ordinate t il punto rappresentativo di ed eseguire la costruzione indicata nella stessa figura. Ricordando che le espressioni (3.55) e (3.56) sono la versione parametrica della circonferenza (3.57), si pu affermare che il punto rappresentativo delle componenti descrive una circonferenza al variare di da 0 a 2 . Si stabilita cos una corrispondenza tra gli elementi piani del fascio di sostegno ed i punti della circonferenza di Mohr. Per dimostrare che questa corrispondenza biunivoca, basta far vedere che il generico punto S della circonferenza di Mohr, individuato mandando dal punto , detto polo della rappresentazione, la parallela alla traccia del piano ha proprio come coordinate . Infatti, moltiplicando l'espressione (3.55) di per cos f e la (3.56) di per sin f si ottiene:

Fig. 3.13:Costruzione del cerchio di Mohr.

e, sottraendo membro a membro e dividendo il risultato per cos f, si perviene all'espressione: (3.59) la quale dimostra, come si pu dedurre dalla figura 3.13, che le coordinate di S sono proprio la tensione normale e tangenziale dell'elemento piano .

3.11.2 Circonferenze principali di Mohr E' importante osservare, a questo punto, che se la direzione principale, ed in tal caso la indichiamo con z,la tensione tangenziale la tensione tangenziale totale su ; il fascio di piani si chiamer fascio principale e la circonferenza di Mohr associata prende il nome di circonferenza principale relativa alla direzione principale z. E' facile ora, dopo aver costruito la circonferenza principale associata alla direzione z, con gli elementi base , individuare le altre due direzioni principali ( ) e le relative tensioni principali e . (v. Fig. 3.14) per individuare i per ottenere le Basta infatti proiettare dal polo della rappresentazione P i punti piani principali e quindi le direzioni principali e misurare le ascisse espressioni delle tensioni principali:

(3.60)

Inoltre, annullando l'espressione (3.56) di dall'angolo dato da:

si trova che la direzione principale individuata

(3.61)

Le tensioni tangenziali massime, rappresentate dai punti

(v. Fig. 3.15), valgono:

(3.62)

e gli elementi piani su cui agiscono sono individuati dall'angolo:

(3.63)

Fig. 3.14: Tensione normale e tensione tangenziale sul piano di Mohr. che ottenuto imponendo, nella (3.55), a il valore

e risolvendo quindi rispetto a f. Si noti che questi piani, su cui la t massima e minima, risultano ruotati di (p/4) rispetto ai piani principali. Resta infine del tutto evidente che quanto detto per il fascio principale di sostegno z pu ripetersi identicamente per gli altri due fasci principali relativi alle altre due direzioni ed h. Si giunge cos al tracciamento delle tre circonferenze principali di Mohr, che risultano mutuamente tangenti (Fig. 3.16). Da questa si pu anche constatare che, se le tensioni principale vengono ordinate nel seguente modo:

Fig. 3.15

allora la

ha l'espressione: (3.64)

Fig. 3.16: Circonferenze principali di Mohr

4. IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI 4.1 INTRODUZIONE Fino ad ora si condotto lo studio del problema della deformazione e di quello della tensione per un corpo continuo giungendo alla formulazione di importanti relazioni, che sono le equazioni di congruenza, per il primo, e le equazioni indefinite di equilibrio e le equazioni ai limiti per il secondo. In entrambi i casi si giunti a tali risultati considerando i due problemi indipendentemente l'uno dall'altro. Utilizzando le equazioni ottenute fino ad ora, si possono ottenere alcune relazioni formali che, pur non rappresentando nulla di concettualmente nuovo rispetto alle equazioni sopra ricordate, forniscono uno strumento analitico molto potente per affrontare una gran quantit di problemi diversi. Tali relazioni hanno quindi un notevole interesse e sono di assoluta generalit essendo valide per qualsiasi continuo deformabile a prescindere dalle sue propriet fisiche. 4.2 IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI Nello studio del problema della deformazione sono state scritte le equazioni di congruenza che, per un generico sistema di spostamenti e deformazioni infinitesimi, assumono la forma: (4.1)

Fig. 4.1 Mentre lo studio dello stato di tensione ha portato alle equazioni di equilibrio: (4.2) (4.3) Abbiamo anche mostrato che .

Un campo di spostamenti e deformazioni infinitesimi che soddisfa gli eventuali vincoli cinematici esterni e le (4.1) detto congruente, mentre un campo di forze e tensioni che soddisfa (4.2) e (4.3) detto equilibrato. Moltiplicando la (4.2) per il campo di spostamenti ed integrando sul volume V si ottiene : (4.4)

Con riferimento alla identit :

ed al teorema della divergenza :

si perviene alla seguente uguaglianza: (4.5)

Partendo dalla scomposizione del gradiente di spostamento : (4.6)

per la congruenza (4.1) si pu scrivere :

mentre facile riconoscere che :

il tensore anti-simmetrico della rotazione infinitesima. Alla luce di queste posizioni, la (4.4), avuto riguardo alla (4.5), e ricordando che il prodotto di un tensore simmetrico per uno emisimmetrico nullo, si perviene alla relazione : (4.7) che rappresenta l'equazione dei lavori virtuali. Il primo membro della (4.7) il lavoro che la forze esterne o compiono in corrispondenza del campo di spostamenti , del tutto indipendente dalle medesime forze esterne e che perci prende il nome di lavoro virtuale esterno :

Il secondo membro della (4.7) rappresenta il lavoro che le tensioni compiono in corrispondenza delle deformazioni , anch'esse del tutto indipendenti dalle medesime e che perci prende il nome di lavoro virtuale interno. Infatti , se si suppone di associare ad un assegnato campo di tensioni , un campo di deformazioni indipendente immediato verificare, con riferimento alla faccia in figura 4.2 che : per la dilatazione lungo la direzione la forza che viene compiuto , ossia e quindi, se lo spostamento ; , il lavoro

per lo scorrimento tra gli assi

la forza

, lo spostamento vale:

e quindi il lavoro sar:

Fig. 4.2 Per estensione resta provato che l'espressione

a secondo membro della (4.7) rappresenta proprio il lavoro che le e che perci prende il nome di lavoro virtuale interno : Si pu quindi enunciare il seguente teorema :

compiono in corrispondenza delle

Dato un continuo deformabile V sul quale siano assegnati un campo di spostamenti e deformazioni infinitesimi qualsiasi purch congruente ed un campo di forze e tensioni qualsiasi purch equilibrate, allora vale l'uguaglianza : (4.8) Questa uguaglianza, nonostante sia stata dimostrata, spesso nota come principio dei lavori virtuali. Se il corpo continuo rigido si ha che e quindi la relazione precedente si scrive semplicemente

L'equazione (4.7) anche nota come principio degli spostamenti virtuali o come principio dei lavori virtuali nella forma diretta quando si considera un sistema di spostamenti e deformazioni virtuale; mentre invece quando si considera il sistema di forze e tensioni come virtuali la (4.7) nota come principio delle forze virtuali, ovverosia come principio dei lavori virtuali nella forma inversa . 4.3 RELAZIONI TRA EQUILIBRIO, CONGRUENZA E LAVORI VIRTUALI Si pu dimostrare che se, con riferimento al solido di figura 4.1., due delle seguenti proposizioni sono vere, la terza anch'essa vera:

- "il campo di spostamenti e deformazioni congruente" - "il campo di forze e tensioni equilibrato" - "il principio dei lavori virtuali verificato" Si gi dimostrato nel paragrafo precedente che le prime due affermazioni (congruenza ed equilibrio) portano alla formulazione del teorema dei lavori virtuali. Si dimostrer ora che: 1 ) [P.L.V. + Congruenza] Si gi visto che vale la : [Equilibrio]

e quindi, per sostituzione nell'espressione (4.7) del principio dei lavori virtuali, si ha :

e, per l'identit (4.6) si ha :

Quest'ultima si pu scrivere : (4.9) Ora, per l'arbitrariet con cui si possono scegliere i campi di spostamento, pur nel rispetto della congruenza, discende che, affinch la relazione precedente sia vera, sotto ipotesi di continuit per le funzioni integrande, necessario che l'argomento di ciascun integrale sia nullo: Si ottengono cos proprio le condizioni di equilibrio (4.2), (4.3) e la simmetria del tensore della tensione. 2 ) [P.L.V. + Equilibrio] Dal P.L.V. : [Congruenza]

che, per l'equilibrio, assume la forma :

e l'identit (4.5) si riduce a :

per la (4.6), diviene :

Per la simmetria di

si ottiene :

Per l'arbitrariet del campo di tensioni, purch equilibrato, dovr necessariamente essere che il risultato cercato.

5. IL SOLIDO ELASTICO ED I TEOREMI ENERGETICI


5.1 INTRODUZIONE
Da quanto discusso fino ad ora si comprende che il problema matematico tipico della meccanica dei solidi cos impostato : DATI : V = Volume occupato dal solido = forze di volume assegnate in V Condizioni al contorno : forze assegnate sulla porzione di superficie spostamenti assegnati sulla porzione di superficie

TROVARE in ogni punto di

i campi di spostamenti, deformazioni e tensioni :

(5.1)

che siano soluzione del seguente problema al contorno : Equilibrio

(5.2)

Congruenza (5.3)

Come si vede, a fronte di 9 equazioni differenziali alle derivate parziali, occorre determinare le 15 funzioni incognite (5.1). In alcuni casi particolari il numero delle funzioni incognite da determinare si riduce tanto da consentire la risoluzione del problema (5.2),(5.3). Si tratta dei problemi cos detti

staticamente determinati, mutuando il linguaggio della statica dei corpi rigidi. In generale per il problema non si pu risolvere se non si tiene conto della particolare natura materiale del solido. In altri termini, mentre le equazioni (5.2) e (5.3) valgono in ogni continuo a prescindere dal particolare materiale di cui costituito, per poter risolvere problemi concreti occorre descrivere il comportamento dei singoli materiali attraverso opportune relazioni che siano in grado di individuare le classi di processi che ciascuno di essi in grado di compiere. Tali relazioni prendono il nome di equazioni costitutive e, nella formulazione pi semplice, legano il tensore della tensione con quello della deformazione : (5.4) Le (5.4), che in generale sono non-lineari, rappresentano la pi generale relazione per descrivere il comportamento di un materiale elastico, il quale perci caratterizzato dalla propriet che la generica componente di tensione determinata dal valore che assumono tutte le componenti di deformazione. Si noti che per un materiale elastico non ha alcuna influenza la storia deformativa subita dal materiale prima che esso venga sottoposto alla nostra osservazione. Particolare importanza riveste per le applicazioni nell'ingegneria il caso in cui le equazioni costitutive (5.4) siano lineari, ossia quando sia possibile scrivere le (5.4) nella forma : (5.5) essendo C una applicazione lineare che trasforma lo spazio dei tensori in quello dei tensori ossia, lo spazio dei tensori del secondo ordine in se stesso ; C quindi un tensore del 4 ordine. La (5.5), se passiamo dalla notazione assoluta, alle componenti con riferimento ad una base ortonormale , diviene : (5.6) La (5.6) una generalizzazione della famosa legge di R. Hooke il quale nel 1676 diede il primo contributo in tema di equazioni costitutive. Egli condens le sue esperienze sulle molle di orologi nella relazione di proporzionalit ( ut tensio sic vis ) :

Questa relazione, che oggi pu apparire del tutto scontata, ha avuto una notevole importanza metodologica in quanto dimostr la possibilit di misurare la forza, ossia la tensione, attraverso misure di spostamenti, ossia di deformazioni. Inoltre prov l'invarianza della legge costitutiva rispetto al sistema di riferimento. La (5.6) descrive pertanto il comportamento di un materiale elastico lineare, e deve la sua estesa fortuna alla circostanza che quasi tutti i materiali da costruzione, se poco sollecitati, sono riconducibili ad essa. Essa tuttavia pur sempre la descrizione di un materiale ideale che non esiste a rigore in natura ed in tal senso sarebbe pi corretto parlare di stato elastico anzich di solido elastico o di materiale elastico.

5.2 IL SOLIDO ELASTICO LINEARE


Abbiamo visto nel precedente paragrafo che il solido o, per meglio dire, lo stato elastico lineare, descritto dalla relazione di proporzionalit, generalizzazione della legge di Hooke, (5.7) in cui sono le componenti, in un riferimento ortonormale, di un tensore del 4 ordine, detto tensore d'elasticit. Sviluppando la (5.7) con riferimento ad es. ad una particolare componente di , si ottiene :

Essendo un tensore del 4 ordine, le componenti di C sono effettivamente distinte si riducono per a 36 per la simmetria di ciascuno solo sei componenti distinte.

ed

. Le componenti che, come noto, presentano

I coefficienti non dipendono dalla deformazione ma, eventualmente, dalla posizione della particella materiale. Quando ci accade si parler di materiali eterogenei. Quando viceversa le non dipendono dal punto diremo che il materiale omogeneo, le componenti sono quindi in tal caso delle costanti per tutto il corpo. Anche il comportamento pi semplice, ossia quello elastico lineare, implica quindi la conoscenza di ben 36 costanti materiali che sono evidentemente difficili da valutare soprattutto quando si pensi che ci pu esser fatto solo sperimentalmente. Il numero di tali costanti tuttavia si riduce quando il materiale presenta particolari propriet di simmetria nella risposta, ossia delle simmetrie nel suo comportamento. Questa eventualit, che si verifica nella maggior parte dei casi di interesse tecnico, verr analizzata in maniera pi approfondita nel paragrafo seguente.

5.2.1 Propriet di simmetria nella risposta di un materiale


Al fine di descrivere eventuali simmetrie nella risposta di un materiale si vuole ora studiare (v. Fig. 5.1) quello che accade nell'intorno infinitesimo di un punto individuato dal vettore posizione nel riferimento cartesiano . in un punto a distanza infinitesima da . Si

Si supponga di applicare un campo di spostamenti consideri poi il punto individuato da :

(5.8) essendo un tensore ortogonale, ed il campo di spostamenti tensore ortogonale : legato ad dallo stesso

(5.9)

Fig. 5.1 In sostanza, il vettore e il campo di spostamenti non sono altro che il vettore ed il campo di spostamenti , ruotati di . In generale la risposta del materiale nel punto diversa nelle due direzioni considerate; se per il materiale presenta delle simmetrie potremmo avere la stessa risposta.

facile verificare, ricordando la regola di derivazione delle funzioni composte, che : (5.10) in cui denota il gradiente. Se nella (5.10) consideriamo solo la parte simmetrica, che come noto coincide con il tensore delle deformazioni, si perviene a : (5.11) Resta cos provato che ed descrivono la stessa deformazione in .

Ora se una trasformazione di simmetria per il materiale (ossia se il materiale presenta la stessa risposta nelle due direzioni) si pu affermare che e rappresentano lo stesso stato di tensione e quindi deve valere la (5.12) da cui :

e quindi : (5.13) che rappresenta quindi la condizione necessaria affinch sia una trasformazione di simmetria. Si pu dimostrare che le trasformazioni di simmetria costituiscono un gruppo G e che se allora anche ; inoltre il prodotto di due trasformazioni di simmetria ancora una trasformazione di simmetria (quindi il tensore , di componenti in un riferimento ortonormale verifica la condizione ). Indicando con O il gruppo dei tensori ortogonali si parla di solido elastico lineare isotropo se : questo corrisponde al massimo grado di simmetria in quanto per ogni trasformazione ortogonale (per ogni rotazione) valida la (5.13) e quindi il comportamento del materiale lo stesso per qualsiasi direzione; nel caso in cui questo non sia verificato il materiale si dice anisotropo. Il gruppo G presenta infiniti sottogruppi ma stato dimostrato (Coleman & Noll) che 12 sottogruppi propri sono in grado di descrivere tutti i materiali che presentano simmetrie e che 11 di questi descrivono tutte le classi di cristalli note. Hanno un grande rilievo particolari classi di materiali anisotropi:

i materiali elastico lineari trasversalmente isotropi per i quali la relazione (5.13) valida quando
appartiene al sottogruppo proprio un angolo che generato dal tensore unitario I e da una rotazione di

j attorno ad una direzione e;


appartiene al che generato delle riflessioni rispetto a tre piani ortogonali di

i materiali elastico lineari ortotropi per i quali la relazione (5.13) valida quando
sottogruppo proprio normali

i, j, k.

Passando dalle condizioni di assenza di simmetria, alla ortotropia, alla isotropia trasversale per arrivare alla isotropia il numero delle costanti indipendenti necessarie a descrivere il comportamento elastico lineare si riduce rispettivamente da 36 a 9, a 5 per finire a 2.

5.2.2 Il solido elastico lineare isotropo


Si pu dimostrare che per un solido elastico lineare isotropo valgono le seguenti 3 propriet: a) ad una dilatazione uniforme corrisponde uno stato di tensione sferico :

b) ad una deformazione che sia uno scorrimento puro corrisponde uno stato di tensione tangenziale puro (sono nulle le tensioni normali)

c) ad una deformazione deviatorica (a traccia nulla) corrisponde uno stato di tensione anch'esso deviatorico

Si dimostra che le tre propriet sopra evidenziate sono anche condizioni necessarie e sufficienti affinch il solido elastico lineare sia isotropo. Infatti, basandosi sulle stesse tre propriet ora possibile dimostrare che un solido elastico lineare isotropo se e solo se il suo legame costitutivo espresso dalla : (5.14) che viene anche indicata come equazione di Lam (1852) e dove il numero delle componenti del tensore di elasticit che definiscono il comportamento del materiale si ridotto alle sole due (prima e seconda costante di Lam). Per dimostrare la sufficienza della (5.14) si pu scrivere per ogni tensore ortogonale :

ma, se si osserva che:

si ha :

che la condizione di isotropia di un materiale (5.14) stante l'arbitrariet di

. nelle due

La (5.14) rappresenta anche la condizione necessaria, infatti, scomponendo il tensore parti sferica e deviatorica, si ha

da cui, ricordando le propriet a) e c) viste in precedenza, deriva che

e, se si pone :

si ha :

che conclude la dimostrazione. L'equazione costitutiva (5.14) pu anche essere invertita per esprimere essa si ottiene immediatamente in funzione di . Infatti da

e da questa, considerando che

si ottiene la relazione inversa cercata : (5.15)

dove si assume

5.2.3 Significato fisico delle principali costanti elastiche


a) Si visto che, se lo stato di deformazione in un punto uno scorrimento puro :

il corrispondente stato di tensione di tipo tangenziale puro :

con espressa da :

dove lo scorrimento (dilatazione angolare) e prende, per il significato che cos assume, il nome di modulo di elasticit tangenziale ed ha le dimensioni di una tensione. Nella letteratura tecnica tale modulo indicato con G. b) Se invece lo stato di deformazione in un punto una dilatazione uniforme :

lo stato di tensione corrispondente di tipo idrostatico

in cui facile vedere che :

dove

K prende il nome di modulo di elasticit cubica ed ha le dimensioni di una tensione.

c) Si consideri ora lo stato di tensione monoassiale :

Utilizzando le equazioni costitutive nella forma (5.15) immediato verificare che le uniche componenti di deformazione non nulle sono : (a )

(b )

Se si introduce il modulo di elasticit normale, o modulo di Young

E, dato da :
(5.16)

l'equazione (a) diventa :

che esprime la dilatazione lineare nella direzione longitudinale in pieno accordo con la legge di Hooke . La costante E, che ha le dimensioni di una tensione, deve essere positiva ( E > 0 ) perch a trazioni (tensioni positive) corrispondano allungamenti. Si definisce infine il coefficiente di Poisson o coefficiente di dilatazione trasversale mediante : (5.17)

in cui l'ultima uguaglianza una immediata conseguenza delle (b) e da cui discende :

e quindi il tensore della deformazione corrispondente allo statodi tensione monoassiale in esame si riduce a :

facile provare che, in termini delle costanti

E, , la (5.15) diviene :
(5.18)

con

Lo stato di tensione monoassiale considerato quello che si determina in ogni punto di un'asta rettilinea soggetta a forza normale di trazione. Il caso sperimentale di riferimento potrebbe essere il seguente (v. Fig.5.2): un'asta di lunghezza l, in seguito all'applicazione di una forza normale N nella direzione dell'asse si deforma variando la sua lunghezza di ; l'area di base, inizialmente di superficie A, subisce una variazione :

Fig. 5.2 Si possono quindi determinare sperimentalmente le grandezze :

e quindi ottenere il valore di

E mediante :

E' immediato trovare anche una relazione tra rapporto :

E, , . Si consideri infatti, partendo dalla (5.16), il

da cui, ricordando l'espressione (5.17), si giunge immediatamente a: (5.19)

che la relazione cercata. Delle cinque costanti elastiche che si sono definite ( k, , , E, ) E e sono quelle di pi facile determinazione sperimentale per cui verranno pi spesso utilizzate nel seguito. Nella tabella seguente vengono indicati i valori di

E e per alcuni materiali. E


0,10 - 0,15 0,30

Calcestruzzi Acciaio

25 - 40 GPa 206 GPa

Alluminio Rame

70 GPa 120 GPa

0,36 0,35

In ultimo, ricordando che per un solido elastico lineare isotropo sono solamente due le costanti indipendenti necessarie a descrivere il legame costitutivo, si raccolgono nella seguente tabella le relazioni tra le varie costanti elastiche fino ad ora introdotte. COSTANTI

K,

,E

,E

K E

5.3 SOLIDO ELASTICO SECONDO GREEN


Il problema della determinazione del numero dei parametri necessari a descrivere il comportamento di un materiale, in particolare di un solido elastico lineare, gener una disputa durata diversi decenni. Navier e Cauchy basarono i loro studi sulla teoria molecolare che, come osserv Poisson, portava alla determinazione di un valore costante del coefficiente di contrazione trasversale ( = 0.25), indipendentemente dal materiale. Si doveva ammettere quindi, seguendo quella teoria, che il comportamento del materiale potesse essere descritto da una sola costante. Esperienze successive sviluppate da ricercatori inglesi e tedeschi portarono alla determinazione di valori di diversi da 0.25 per materiali metallici quali acciaio e ottone, suggerendo di abbandonare definitivamente la teoria molecolare. Un contributo fondamentale al problema venne nel 1839 da G. Green (1793-1841) che, modificando tutta l'impostazione del problema, dimostr come, per descrivere il comportamento di un solido elastico, lineare, omogeneo e isotropo, siano necessarie due costanti. L'ipotesi di elasticit, gi introdotta in precedenza, comporta l'esistenza di uno stato naturale prefissato a partire dal quale il solido si pu deformare sotto l'azione di forze e al quale ritorna quando ne viene liberato, indipendentemente dalle modalit seguite nell'applicare e nel togliere le forze stesse. Il comportamento a cui si fa riferimento quello tipico di sistemi a trasformazioni completamente reversibili per i quali l'energia spesa nella deformazione viene integralmente restituita in accordo con il principio di conservazione dell'energia. Partendo da questa ipotesi, i concetti generali sull'energia potenziale, gi introdotti in quel periodo da Laplace, portarono Green ad ammettere l'esistenza di una funzione di stato dipendente solo dagli estremi della trasformazione e non dal percorso seguito. Le propriet meccaniche di un materiale elastico possono quindi essere descritte da uno scalare , chiamato energia potenziale elastica per unit di volume, ovvero densit di energia di deformazione, funzione solo delle grandezze che definiscono lo stato naturale e da quelle che determinano la deformazione.

5.3.1 Energia potenziale elastica


Sia una curva parametrica nello spazio delle deformazioni che descriva la "storia" della deformazione nell'intorno infinitesimo di un punto P del continuo e che si possa esprimere

analiticamente mediante: (a) essendo il parametro e con .

Possiamo dire che la curva (a) rappresenta un processo di deformazione che ha inizio in A e termina in B (v. figura). Supponiamo che la linea di deformazione sia continua e regolare, eventualmente a tratti, e che ad essa corrisponda, nello spazio delle tensioni, il processo tensionale Ne consegue che il lavoro (interno) di deformazione compiuto, per unit di volume, lungo esprimere mediante : (5.20) si pu

In generale, senza ipotesi sulla natura del solido, il valore di gli estremi

dipende dal percorso seguito fra ,

A e B. L'ipotesi di elasticit, come gi accennato, port Green ad ammettere l'esistenza di

una funzione potenziale per l'energia di deformazione elastica, o anche densit di energia , per modo che l'incremento di lavoro dato proprio dal differenziale totale della (5.21) dalla quale, per l'indipendenza delle , si ricava la (5.22)

dove, nella derivazione,

deve essere considerata funzione delle nove componenti della

deformazione senza tenere conto della simmetria di . La (5.22) la relazione cercata che lega tensioni e deformazioni e cio l'equazione costitutiva del materiale. Si mostra facilmente che, utilizzando la funzione densit di energia sopra definita, il lavoro di deformazione indipendente dal percorso seguito nella deformazione ed solo funzione degli estremi della trasformazione. Esprimendo la tensione nei termini della (5.22) si ha infatti

(5.23)

Se si considera il seguente sviluppo (5.24)

si pu affermare che il termine differenziale totale di una funzione

, essendo la differenza di due differenziali, rappresenta il detta energia potenziale elastica complementare o

densit di energia complementare, introdotta per la prima volta da Castigliano nel 1875. Dalla (5.25) con l'ipotesi di indipendenza delle nove componenti , si ottiene (5.26) che rappresenta l'inversione delle (5.22).

5.3.2 Esistenza di una densit di energia potenziale elastica


Si gi avuto modo di vedere che lo stato elastico lineare descritto dalla relazione (5.7) :

in cui

il tensore d'elasticit.

Si dimostra ora che le seguenti tre proposizioni sono equivalenti: a) il lavoro che si compie in un processo di deformazione descritto da una curva chiusa b) il tensore di elasticit nullo.

C simmetrico

c) la densit di energia espressa dalla (5.27)

se si assume come stato naturale quello a deformazione nulla e che, in questo stato, ci sia assenza di tensioni, ossia le autotensioni siano nulle.

a)

b) implica che il tensore di elasticit

Il lavoro nullo lungo una curva chiusa :

C simmetrico cio

Si considerino due tensori simmetrici qualunque

A e B e la curva chiusa :

si ha allora che :

Considerato anche che :

segue che la funzione integranda (5.20) ha la seguente espressione:

Integrando e introducendo l'ipotesi a)

, si ha :

da cui discende :

che per l'arbitrariet di

dimostra la simmetria di

C.

b)

c)

Se il tensore di elasticit

C simmetrico allora la densit di energia espressa dalla (5.27):

Dalle equazioni costitutive per lo stato elastico lineare si ha :

da cui per l'ipotesi di simmetria di

C, si ottiene :

e, in virt delle (5.22) :

Questa relazione, per il teorema di Schwartz, garantisce la continuit delle derivate parziali miste di ; ci sono quindi le condizioni per lo sviluppo in serie di Mac-Laurin della funzione arrestato ai termini del 2 ordine, fornisce : che,

dove

l'energia potenziale elastica per

mentre il termine :

rappresenta lo stato di tensione in assenza di deformazione e prende il nome di autotensione. Nell'ipotesi di assenza di autotensioni, , la densit di energia quindi espressa dalla (5.27) :

a meno di una costante additiva, inessenziale interessano le derivate di .

, che pu supporsi nulla. Si noti che a noi

c)

a)

Se la densit di energia esiste ed in particolare espressa dalla (5.27) allora il lavoro lungo una curva chiusa nullo. La dimostrazione di questa asserzione banale se si utilizza l'espressione (5.23) per il calcolo del lavoro.

Un solido elastico lineare per cui valga l'ipotesi di Green si dice solido iperelastico o di Green altrimenti viene detto solido di Cauchy. Nel solido iperelastico la simmetria del tensore di elasticit porta alla riduzione del numero delle costanti necessarie a descrivere la legge costitutiva del materiale: le costanti elastiche effettivamente indipendenti (distinte) passano da 36 a 21. Se

C invertibile e si pone

si pu scrivere :

dove

K ancora un tensore simmetrico e quindi si pu definire la densit di energia complementare :


(5.28)

Attraverso delle semplici sostituzioni si pu dimostrare che : (5.29) infatti :

Se, ad esempio, si riconsidera la prova di trazione del paragrafo 5.2.3 la densit di energia :

che rappresentata dall'area colorata in figura 5.3 :

Fig. 5.3

5.3.3 Isotropia ed iperelasticit


Si visto che il legame costitutivo di un solido elastico lineare isotropo espresso dalla (5.14) che, scritta in componenti, d luogo a : (5.30) dove rappresenta l'invariante primo del tensore della deformazione.

Si pu ora dimostrare che il tensore d'elasticit espresso dalla (5.30) simmetrico, ossia che il solido elastico lineare isotropo iperelastico. Infatti con riferimento ad una generica coppia di tensori doppi simmetrici A e B si ha :

e quindi :

che dimostra la simmetria di

C data l'arbitrariet dei tensori doppi simmetrici A e B.

facile ora calcolare la densit di energia potenziale elastica mediante la (5.27) :

(5.31)

5.3.4 Iperelasticit e disuguaglianze a priori sulle costanti elastiche


La forma quadratica per l'energia potenziale elastica espressa dalla (5.27) deve essere definita positiva in quanto rappresenta l'energia necessaria per deformare il solido. Sfruttando questa propriet possibile dedurre alcune limitazioni sulle costanti elastiche. Infatti la densit di energia di deformazione scritta nel caso isotropo (paragrafo 5.3.2) e facendo uso della scomposizione di nella parte deviatorica ed in quella sferica :

d luogo alla seguente espressione :

che deve risultare positiva per qualunque disequazione diventa :

. Pertanto se assumiamo

la precedente

(a) mentre, se si considera una dilatazione uniforme, si ha (b) Riconsiderando poi lo stato di tensione monoassiale (prova di trazione) del paragrafo 5.2.3, la densit di energia vale :

da cui si ritrova la condizione (c) Ricordando ora le espressioni di

E e in funzione di e

e osservando che

e che perci si pu scrivere

in virt delle (a), (b) e (c) risulta che devono essere verificate le limitazioni ossia (5.33)

che rappresentano i limiti teorici per il coefficiente di Poisson Se si ricorda per il tensore della deformazione :

corrispondente allo stato di tensione monoassiale (prova di trazione) del paragrafo 5.2.3,

si osserva che almeno nei materiali da costruzione risulta :

da cui si deduce, per il coefficiente di Poisson I limiti pratici di n risultano perci :

, il limite inferiore, fisicamente accettabile, > 0.

Si osserva infine che il valore limite possibile invertire la (5.18).

= 0,5 non pu essere raggiunto. In tal caso infatti non sarebbe

5.4 IL PROBLEMA DELL'EQUILIBRIO ELASTICO LINEARE


Con riferimento al solido elastico-lineare che inizialmente occupa il volume - il tensore elasticit - le forze di volume - le forze di superficie su su

V siano dati :

- gli spostamenti di superficie

sono parti complementari della superficie che racchiude il volume V. La soluzione del problema dell'equilibrio elastico consiste nel determinare, in corrispondenza dei dati assegnati, per ogni punto x di V, lo spostamento u, la deformazione , la tensione tali che risultino soddisfatte le seguenti equazioni :

Equazioni di congruenza
(5.35)

Equazioni costitutive
(5.36) Equazioni indefinite di equilibrio (Cauchy) (5.37) Condizioni al contorno : (5.38)

(5.39) Si tratta quindi di risolvere un problema al contorno di tipo lineare misto, dacch le equazioni sono lineari e le condizioni al contorno riguardano sia le forze sia gli spostamenti. Risultano poi interessanti i due casi particolari, e , in cui rispettivamente il problema ricondotto alle sole forze (non sono assegnati gli spostamenti) ed ai soli spostamenti (non sono assegnate le forze); nei prossimi due paragrafi esprimeremo le equazioni date rispettivamente in termini di sole componenti di spostamento e di sole tensioni. Si noti che le forze di volume e le forze di superficie sono assegnate sulla configurazione iniziale V del solido, mentre l'equilibrio sotto queste forze raggiunto nella configurazione deformata. Poich per gli spostamenti sono, per ipotesi, piccoli, l'errore che si introduce con questa approssimazione da ritenersi trascurabile. Del resto, a proposito delle equazioni costitutive : si deve a rigore sottolineare una certa inconsistenza. Infatti nella definizione del tensore di deformazione stato assunto che le componenti di spostamento sono funzioni delle coordinate del solido nella configurazione iniziale indeformata. Viceversa nella definizione del tensore degli sforzi si fatto riferimento alla configurazione

equilibrata e quindi alle coordinate Naturalmente se gli spostamenti

del solido nella configurazione deformata. e le derivate sono piccoli allora i valori e

differiscono di una quantit trascurabile. Per avere un'idea della approssimazione operata si pu osservare che, posto : si ha :

e perci, l'approssimazione :

significa ritenere trascurabili le derivate dello spostamento rispetto all'unit.

5.4.1 Il problema elastostatico in termini di spostamenti


Per giungere alle equazioni del problema elastico in termini di spostamenti , si sostituisce alla tensione, nell'equazione indefinita di equilibrio (5.37), la sua espressione proveniente dall'equazione costitutiva (5.36), si ottiene cos :

sfruttando anche l'equazione di congruenza e notando che :

si ottiene :

Osservando che ,

e che inoltre

essendo l'operatore di Laplace, si ottiene la formulazione del problema elastostatico in termini di soli spostamenti : (5.40) Le tre equazioni cos ottenute sono note come equazioni di Navier (Louis Marie Henri ) (1827). Alle equazioni di Navier occorre associare le corrispondenti condizioni al contorno costituite solo dalle (5.39), nel caso di , oppure da queste insieme alle (5.41) nel caso pi generale del problema misto.

Integrando il sistema di equazioni differenziali si arriva alla soluzione in termini di spostamenti dai quali facile ottenere sia il tensore della deformazione che quello della tensione. Derivando le (5.40) rispetto alla variabile e quindi si ottiene:

in quanto: . Proseguendo, si pu scrivere (5.42) che, ove risulti:

ed ammettendo

, diventa (5.43a)

e, se si ricorda che

, anche (5.43b)

Resta cos provato che gli invarianti

quando

, sono funzioni armoniche.

5.4.2 Il problema elastostatico in termini di tensioni


Si parte dalle equazioni esplicite di congruenza (a) per arrivare, in modo concettualmente analogo a quanto visto nel paragrafo precedente, alle equazioni del problema elastostatico in termini di sole componenti di tensione. Sostituendo infatti nelle (a) alle deformazioni la loro espressione data dall'equazione di legame nella forma (5.18)

si ottengono le seguenti equazioni :

Come gi osservato, di tali 81 equazioni solamente 6 sono indipendenti. Un modo per ottenerle consiste nel contrarre la prima coppia di indici (ponendo i = j ) pervenendo cos, dopo avere ordinato i termini, a

o anche (5.44)

avendo utilizzato le seguenti uguaglianze

Fin qui si tenuto conto delle equazioni di congruenza e di quelle costitutive; ora facile controllare che le (5.44) possono essere ulteriormente semplificate utilizzando le equazioni di equilibrio scritte per le coppie di indici i,h ed i,k come qui di seguito riportate :

Queste derivate rispettivamente rispetto a

k ed h, si traducono nelle :

che, sostituite nelle (5.44) e poi riordinando, portano alle :

(5.45)

Ricordando poi : e che, per la (5.42) si pu scrivere :

da cui :

e quindi, ricordando le relazioni tra costanti elastiche, con facili passaggi si trova :

Sostituendo quest'ultimo risultato nella (5.45) si ottengono le equazioni di Beltrami, Donati, Michell : (5.46)

nella loro forma generale e che, nel caso particolare di forze di volume costanti, si semplificano nelle : (5.47) Le equazioni (5.47) sono quelle che verranno maggiormente utilizzate in quanto le forze di volume, quando non sono costanti o assumibili tali, in molti casi possono essere considerate come forze di superficie. La liceit di questa assunzione, che il rigore analitico vorrebbe negata, per dimostrata dalle applicazioni tecniche. Le (5.46) scritte per esteso divengono :

Per determinare lo stato di tensione in un corpo elastico occorre pertanto risolvere il sistema di equazioni (5.46) soggette alle condizioni al contorno (5.38).

5.5 I TEOREMI CLASSICI DELLA ELASTICIT LINEARE


Al paragrafo 5.4. abbiamo visto che la soluzione di un problema elastostatico implica la soluzione di un problema al contorno lineare misto, definito in un dominio V nel quale siano assegnati il tensore elasticit , le forze di volume , le forze di superficie su e gli spostamenti di superficie su .

sono tale che che racchiude il volume V.

ossia sono parti complementari della superficie

Risolvere il problema elastostatico significa determinare, in corrispondenza dei dati assegnati, per ogni punto x di V, lo spostamento u, la deformazione , la tensione tale che risultino soddisfatte le equazioni (5.35), (5.36), (5.37), (5.38), (5.39), che ora scriviamo per semplicit qui di seguito in notazione assoluta : Equazioni di congruenza Equazioni costitutive Equazioni di equilibrio Condizioni sulle forze Condizioni sugli spostamenti Come casi particolari abbiamo : -Problema agli spostamenti : quando vuoto e le condizioni al contorno si riducono a : in in in

V V V

-Problema alle forze : quando

vuoto e le condizioni al contorno si riducono a :

Per il problema cos impostato possibile dimostrare alcune propriet generali delle soluzioni, senza che ci richieda la preventiva soluzione delle equazioni. Si tratta di : 1) 2) 3) 4) 5) Principio di sovrapposizione degli effetti Teorema di Clapeyron (o del lavoro di deformazione) Teorema di unicit (o teorema di Kirchhoff) Teorema di Betti (o principio di reciprocit) Teorema di Maxwell

5.5.1 Principio di sovrapposizione degli effetti


Diciamo che un campo di spostamenti, deformazioni e tensioni definiti in

V costituiscono

uno stato elastico se, oltre ad essere sufficientemente regolari (ammissibili), soddisfano le equazioni :

inoltre :

Come si vede allo stato elastico forze

cos definito restano associate le forze di volume

e le

agenti su tutta la superficie che racchiude V. Si pu quindi dire che definito in V.

sono le forze

esterne associate allo stato elastico

Il principio di sovrapposizione degli effetti, ovverosia il principio di sovrapposizione degli stati elastici, pu essere dimostrato considerando due distinti stati elastici e le corrispondenti forze esterne :

se

sono due scalari, allora :

uno stato elastico a cui corrispondono le forze esterne

come si verifica facilmente attraverso la sostituzione delle grandezze nelle equazioni di equilibrio, congruenza e legame. E' importante notare che il principio di sovrapposizione degli effetti non applicabile a qualsiasi grandezza; occorre fare attenzione, ad esempio, nel ricorrervi quando si opera con l'energia di deformazione. Infatti, ricordando l'espressione (5.27) della densit di energia elastica, possiamo definire l'energia elastica totale posseduta dal corpo che occupa il volume V mediante

(5.48) Se ora la deformazione porre ottenuta come somma di due deformazioni , talch si possa

, il lavoro di deformazione alla fine risulta

che, sfruttando la simmetria del tensore

C , diventa :
(5.49)

La relazione cos trovata prova che per l'energia elastica effetti.

non vale la sovrapposizione degli

Se si raddoppia la deformazione non detto quindi che raddoppi anche l'energia di deformazione: occorre tenere conto del "termine di accoppiamento tra i due stati di deformazione" che proprio l'integrale che compare nella (5.49). Esiste solo un caso in cui vale il principio di sovrapposizione degli effetti per la energia elastica e cio quello in cui gli stati di deformazione sono tra loro energeticamente ortogonali come accade, ad esempio, quando i due tensori della deformazione sono uno deviatorico e l'altro sferico. I tal caso infatti il termine di accoppiamento nullo. In conclusione possiamo enunciare il principio di sovrapposizione degli effetti nel seguente modo : applicando contemporaneamente ad uno corpo elastico lineare pi sistemi di forze, si producono spostamenti , deformazioni e tensioni uguali alla somma di quelle prodotte separatamente da ciascun sistema di forze" o anche, in altre parole, ad una combinazione lineare di stati elastici si associa una combinazione lineare delle corrispondenti forze".

5.5.2 Teorema di Clapeyron (o del lavoro di deformazione)


Abbiamo visto che il lavoro interno per unit di volume in un processo di deformazione con , che abbiamo chiamato lavoro specifico, , dato dalla (5.20) :

Partendo da questa espressione facile esprimere il lavoro di deformazione che si compie quando il solido di volume V viene sottoposto ad un processo di deformazione conseguente all'applicazione di forze esterne mediante :

Ammettendo l'esistenza di una densit di energia di deformazione

, possiamo scrivere (5.23) :

essendo

. Supponendo ora che il processo di deformazione abbia inizio in concluda quando lavoro di deformazione (deformazione finale) e che sia diviene : (stato indeformato) e si , la precedente espressione del

(a)

In queste uguaglianze si fatto uso delle (5.48) e (5.30). rappresenta quindi il lavoro necessario per deformare un solido elastico dallo stato naturale ad un certo stato finale individuato dal tensore di deformazione ovviamente compiuto dalle forze esterne applicate al solido. . Questo lavoro

Avendo implicitamente supposto che il processo di deformazione a cui sottoposto il solido puramente meccanico, ossia che tutto il lavoro delle forze esterne si trasformi in energia di deformazione, possiamo scrivere il bilancio energetico : (b) Questo bilancio presuppone che le forze esterne siano applicate "staticamente" ossia in maniera tale che si possano escludere effetti dinamici che, a causa degli inevitabili smorzamenti provocherebbero una dissipazione di energia. Consideriamo ora un corpo elastico che occupi il volume V , in equilibrio sotto le . Siano gli spostamenti, le deformazioni e le tensioni corrispondenti alla soluzione dell'equilibrio elastico. Proprio con riferimento al sistema di forze e tensioni certamente equilibrato :

ed al sistema di spostamenti e deformazioni certamente congruente : si scrive l'equazione dei lavori virtuali :

Il secondo membro esprime, per la a), il doppio del lavoro di deformazione scrivere :

, e per la b) possiamo

essendo

il lavoro delle forze esterne.

Risulta cos immediata l'enunciazione del teorema di Clapeyron (Paolo Emilio) (1852):

(5.50)

"Il lavoro compiuto dal sistema di forze applicate ad un corpo elastico lineare uguale alla met del lavoro che le forze stesse compirebbero se agissero fin dall'inizio con la loro intensit finale". ovvio che il risultato acquisito riferito ai solidi elastici dotati di energia di deformazione (solidi iperelastici). Un semplice esempio di applicazione del teorema di Clapeyron rappresentato nella figura seguente

Nel diagramma P-u riportata la relazione di proporzionalit carico - freccia. Da questo diagramma discende immediatamente che il lavoro compiuto da P per deformare la trave rappresentato dall'area tratteggiata. Si noti che il carico raggiunge il suo valore finale P solo quando la freccia ha raggiunto il suo valore finale u.

5.5.3 Teorema di Kirchhoff (o teorema di unicit) (1859)


La dimostrazione di questo teorema viene condotta per assurdo. Supponiamo infatti che alle medesime forze esterne cinematici assegnati su assegnate rispettivamente in

V e su

ed ai medesimi vincoli

corrispondano due distinte soluzioni:

allora le funzioni :

(a)

la differenza tra le due soluzioni, per il principio di sovrapposizione degli effetti, deve essere la soluzione corrispondente a dati omogenei, ossia :

(b)

Il teorema di Clapeyron (5.50), applicato alla soluzione differenza a) e b) fornisce :

e cio si annulla il lavoro di deformazione: l'unico caso che permette tale circostanza, essendo la densit di energia per ipotesi, una funzione quadratica definita positiva, la condizione , vale a dire

da cui discende immediatamente :

Per quanto attiene agli spostamenti, noto che essi sono determinati a meno di eventuali moti rigidi del solido ; ovverosia alla deformazione corrisponder il campo di spostamenti :

essendo

un campo di spostamenti rigidi

. Se il solido sufficientemente vincolato su e quindi :

in maniera tale da impedire moti rigidi, avremo

Resta cos provata l'unicit della soluzione del problema misto elastostatico.

5.5.4 Teorema di Betti (o teorema di reciprocit)


Sia la soluzione del problema elastostatico, in un solido iperelastico di volume V, corrispondente al sistema di forze equilibrate e quella relativa a anch'esse equilibrate. Il principio dei lavori virtuali scritto associando al primo sistema di forze e tensioni il sistema di spostamenti e deformazioni del secondo (a) mentre se si associa al secondo sistema di forze e tensioni il sistema di spostamenti e deformazioni del primo si ha (b) entrambi validi in quanto i due sistemi di forze e i due di spostamento rispettano equilibrio e congruenza per essere soluzioni del problema elastostatico. La simmetria del tensore

C assicura che

e quindi sono uguali i secondi membri da a) e b) e per conseguenza dovranno esserlo anche i primi :

(5.51)

Questa equazione esprime il teorema di Betti (1872), noto anche come I Teorema di Reciprocit per cui il lavoro che un sistema di forze equilibrate (a) compie per effetto degli spostamenti causati da un secondo sistema di forze anch'esse equilibrate (b), coincide con il lavoro del sistema di forze (b) per effetto degli spostamenti dovuti al sistema di forze (a), cio

I due termini della (5.51) prendono anche il nome di lavoro mutuo (o indiretto). Se supponiamo di applicare il sistema di forze (b) quando il solido ha gi raggiunto l'equilibrio sotto il sistema di forze (a), evidente che il lavoro delle forze (a) proprio espresso dal primo membro della (5.51) in quanto queste hanno gi raggiunto la loro intensit finale quando si producono gli spostamenti corrispondenti al secondo sistema di forze. Si pu quindi enunciare il teorema di Betti nel seguente modo : "il lavoro eseguito dalle forze (a) durante l'applicazione delle forze (b) uguale al lavoro che le forze (b) compiono durante l'applicazione delle forze (a)". Vale la pena di annotare che le deformazioni prodotte dalle forze esterne si sovrappongono a quelle eventuali proprie dello stato naturale (coazioni) senza ricevere alcuna influenza e pertanto il teorema di Betti mantiene la sua validit anche in presenza di coazioni.

5.5.5 Teorema di Maxwell


Nel caso particolare in cui i due sistemi di forze (a) e (b) considerati nel paragrafo precedente sono ridotti a due sole forze concentrate e applicate rispettivamente nei punti A e B, il teorema di Betti si riduce a :

in cui con direzione di

e si sono indicati rispettivamente lo spostamento di A prodotto da lungo la e lo spostamento di B prodotto da lungo la direzione di (v. Fig.5.4).

Fig.5.4 Assumendo ed indicando con e le direzioni di e si ha allora (5.52) che rappresenta il teorema di Maxwell (1864): "lo spostamento di un punto A, valutato in una direzione arbitraria , provocato da una forza unitaria agente in un punto B secondo una qualsiasi direzione , uguale allo spostamento di B, valutato nella direzione , provocato da una forza unitaria agente in A secondo la direzione ". Applicando il teorema di Maxwell ad una trave in cui A e B siano due punti qualsiasi del suo asse (v. Fig.5.5) ed e coincidono con j versore dell'asse y, si ha :

Nella figura 5.5 sono indicati gli assi della trave nella configurazione iniziale rettilinea e nella configurazione deformata, nota come linea elastica.

Fig. 5.5 E' quindi immediata conseguenza che gli spostamenti prodotti da una forza unitaria viaggiante sulla trave in una determinata sezione A, si possono leggere direttamente sulla

linea elastica prodotta dalla

, ossia da una forza unitaria applicata proprio nella sezione .

A.

Per tale motivo la linea elastica in a) coincide con la linea di influenza dello spostamento

E' facile dimostrare che il teorema di Maxwell continua a valere se si considerano coppie e rotazioni in luogo di forze e spostamenti.

5.6 PRINCIPI VARIAZIONALI 5.6.1 Principio di stazionariet per l'energia potenziale


In questo e nel successivo punto si vuole caratterizzare, con due classici principi di minimo, la soluzione dei problemi di equilibrio elastico lineare impostati nel paragrafo 5.4. in forma differenziale. Si tratta del principio della minima energia potenziale e della minima energia complementare. Attraverso di essi si apre la strada per la ricerca di soluzioni numeriche dei problemi al contorno misti dell'elastostatica. Incominciamo col dimostrare due principi di stazionariet. Sia dato un solido elastico lineare con tensore elasticit - le forze di volume - le forze di superficie su su nel volume V,

C simmetrico ed assegnate

- gli spostamenti di superficie

Come gi assunto in 5.4., volume V.

siano parti complementari della superficie

che racchiude il

Siano [ , ] un campo di spostamenti e deformazioni congruenti definiti in V. Risultano pertanto soddisfatte le equazioni di congruenza (5.35) e le condizioni al contorno (5.39) : (5.35) (5.39) Inoltre al campo di deformazione resta associato, attraverso il tensore di elasticit tensione dato dalla relazione : (5.6) Il campo s = [ , , ] che soddisfa oltre alla congruenza anche l'equazione costitutiva (5.6) viene chiamato stato elastico cinematicamente ammissibile. Con queste premesse e supponendo inoltre che le forze esterne siano conservative, possiamo definire il seguente funzionale :

C il campo di

(5.53)

dove

sono rispettivamente l'energia di deformazione, il potenziale dei carichi.


prende il nome di "energia potenziale" e, come si evince dalla definizione

Il funzionale

(5.53), espresso come somma dell'energia di deformazione e del potenziale delle forze esterne, supposte conservative. La variazione prima di pu essere espressa mediante : (5.54) dove e sono variazioni del campo congruente [ , ] sul quale definito il funzionale perci geometricamente ammissibili nel senso che sono soddisfatte le relazioni : (a) (b) Sviluppando l'espressione di si ottiene :

Je

(5.55)

In virt della (5.49), per un solido elastico lineare di Green, si pu scrivere :

e, assumendo di poter trascurare il termine posto si perviene a

, in quanto infinitesimo del secondo ordine e,

Sostituendo l'espressione cos ottenuta nella (5.55), sviluppando e semplificando le operazioni ivi contenute si giunge a : (5.56)

Appare cos evidente che la condizione di stazionariet per l'energia potenziale (5.57) coincide con il principio dei lavori virtuali :

scritto per il campo di spostamenti e deformazioni congruente.

, che, per le ipotesi fatte certamente

Segue pertanto che dovr risultare verificato l'equilibrio, ossia :

Si pu quindi affermare che nella classe delle funzioni congruenti (5.35) e (5.39) il funzionale energia potenziale Stazionariet). risulta stazionario in corrispondenza della soluzione (Primo Principio di

5.6.2 Principio di stazionariet per l'energia complementare


Il ragionamento seguito fino a questo punto a partire dalla definizione del funzionale J per un campo di spostamenti e deformazioni congruente, pu, parallelamente, condursi per un funzionale K definito su campi di forze e tensioni equilibrati. Sia dato un solido elastico lineare con tensore elasticit - le forze di volume nel volume V, - le forze di superficie su su

C simmetrico ed assegnate

- gli spostamenti di superficie

Siano [ , , ] un campo forze e tensioni equilibrato per modo che risultano soddisfatte le equazioni di equilibrio (5.37) e le condizioni al contorno (5.38) :

Possiamo definire il funzionale "energia complementare" : (5.58)

dove le

date da su

(*)

sono le reazioni vincolari. La variazione prima di pu essere espressa mediante :

dove [

] sono variazioni del campo equilibrato [

] sul quale definito il funzionale

K e perci staticamente ammissibili, ovvero equilibrate nel senso che sono soddisfatte le relazioni : (**)

facile provare che, sviluppando l'espressione di

K si perviene a :

Appare cos evidente che la condizione di stazionariet per l'energia complementare

coincide con il principio dei lavori virtuali :

scritto per il campo di forze e tensioni [

] che, per le ipotesi fatte, certamente equilibrato.

Segue pertanto che dovr risultare verificata la congruenza, ossia :

Si pu quindi affermare che "nella classe delle forze e tensioni equilibrate il funzionale stazionario in corrispondenza della soluzione".

K risulta

5.7. PRINCIPI DI MINIMO 5.7.1. Principio della minima energia potenziale


Abbiamo visto che in corrispondenza di uno stato elastico [ energia potenziale: ] possibile definire il funzionale

(5.53)

purch lo stato

=[

] sia cinematicamente ammissibile. oltre ad essere simmetrico sia anche definito positivo.

Supporremo poi che il tensore di elasticit Detto

A l'insieme di tutti gli stati cinematicamente ammissibili si pu dimostrare il seguente teorema: A soluzione del problema misto enunciato nel paragrafo 5.4, allora

Principio della minima energia potenziale Se

= min ovverosia < per = a meno di moti rigidi. '= immediato verificare che

dove l'uguaglianza vale solo se

Dimostrazione: Per lo stato cinematicamente ammissibile

in

(a) (b) (c)

Inoltre in virt della (5.49) si pu scrivere : = e quindi = + = + +

e di conseguenza, per il funzionale energia potenziale (5.53) si pu parimenti scrivere

(d)

Per le (a) e (c) i campi [ ] sono congruenti, mentre, se soluzione del problema misto former insieme con bi ed un sistema di forze e tensioni equilibrate; risulta in tal caso verificata l'equazione dei lavori virtuali per i campi [ ]e[ , bi , ] :

(e) la (d) di conseguenza si riduce a:

(f) dove la disuguaglianza segue immediatamente dall'ipotesi che il tensore di elasticit positivo. Dalla (f) segue immediatamente che sia definito

ossia:

dove l'uguaglianza vale solo quando

= 0.

Possiamo dire che di tutti gli spostamenti che soddisfano le assegnate condizioni al contorno quelli che soddisfano anche le equazioni di equilibrio implicano un minimo assoluto per l'energia potenziale; in altre parole possiamo anche dire che la differenza

tra l'energia di deformazione ed il lavoro fatto dalle forze esterne (di volume e di superficie) assegnate assume, in corrispondenza della soluzione, il valore pi piccolo di quello associato ad un

qualunque stato cinematicamente ammissibile. Come corollario del principio di minimo ora dimostrato scende il teorema di unicit gi dimostrato al paragrafo 5.5.3. (Teorema di Kirchhoff). Infatti, se e sono due soluzioni, il principio ci assicura che :

di conseguenza dovr risultare :

potendo cos concludere che

differiscono al pi per un moto rigido.

5.7.2 Principio della minima energia complementare


Si dimostra ora un teorema di minimo basato sui campi di tensione staticamente ammissibili, ossia i campi che soddisfano l'equilibrio e le equazioni ai limiti :

Sia A l'insieme di tutti i campi di tensione staticamente ammissibili e definiamo su "energia complementare" (5.58)

A il funzionale

gi introdotto nel paragrafo 5.6.2.. Si pu dimostrare il seguente teorema: Principio della minima energia complementare Se

A un campo di tensione soluzione del problema misto enunciato nel paragrafo 5.4., allora

dove l'uguaglianza vale solo se Dimostrazione. Sia [

] la soluzione del problema misto e sia

un qualsiasi campo di tensione

appartenente ad

A . immediato verificare che, per il campo

risulta : in su (a) (b)

su (c) facile provare che anche per l'energia elastica complementare, la cui densit stata definita con la (5.28), (5.59)

sussiste la relazione analoga alla (5.49) (5.60) e, di conseguenza (d) Poich il campo [ ], in virt delle (a) e (c) equilibrato, mentre il campo di spostamenti e deformazioni ed in quanto supposti effettivi sono certamente congruenti, risulta verificata l'equazione dei lavori virtuali (e) per cui la (d) si riduce a : (5.61) dove la disuguaglianza segue dall'ipotesi che l'inverso del tensore di elasticit positivo. Dalla (5.61) segue immediatamente che , dove l'uguaglianza vale solo quando ossia quando . (c.v.d.) Possiamo quindi dire che di tutti i campi staticamente ammissibili, quello che risolve il problema elastostatico misto rende minima la differenza tra l'energia elastica complementare ed il lavoro compiuto dalle reazioni vincolari per gli spostamenti assegnati. Nel caso in cui gli spostamenti imposti su sono nulli (vincoli perfetti), l'espressione del funzionale "energia complementare" (5.58) si riduce a sia definito

e di conseguenza il principio della minima energia complementare equivale ad un principio di minimo per l'energia elastica complementare (5.59), ovvero, ricordando la (5.29), dell'energia potenziale elastica .

Sotto questa forma esso prende il nome di Teorema di Menabrea e si pu enunciare nel seguente modo : tra tutti i campi staticamente ammissibili, quello che risolve il problema misto, in presenza di vincoli perfetti ( = 0 su ), rende minima l'energia elastica complementare.

5.7.3 Teorema di Castigliano


Se applichiamo i risultati ottenuti nei due paragrafi precedenti al caso in cui le forze esterne si riducano a sole forze concentrate diviene : (5.62) (caso tipico delle travi), il funzionale (5.53)

Se inoltre possibile esprimere la (5.62) in termini di soli spostamenti, ossia se possibile porre (5.63) il primo principio di stazionariet (5.57) diviene : (5.64) che si pu anche scrivere

Per l'arbitrariet di essere

(purch congruenti) devono risultare nulli tutti i coefficienti, e pertanto deve

(5.65) che rappresenta il primo teorema di Castigliano. Sempre con riferimento al caso in cui le forze esterne si riducano a sole forze concentrate funzionale energia complementare (5.58) diviene : il

(5.66)

da cui, se possibile esprimere

in funzione dei soli carichi applicati, si perviene a (5.67)

e, da questa, per il secondo principio di stazionariet [v. paragrafo 5.6.2.], si perviene a : (5.68) In questo caso l 'arbitrariet di , purch equilibrato, porta alla condizione (5.69) che esprime il secondo teorema di Castigliano (o teorema di Castigliano). L 'utilit di questi due teoremi pu essere evidenziata facendo ricorso a un esempio molto semplice ma che pu essere facilmente esteso a casi pi complessi. Si consideri una molla di costante elastica

k per cui sia valida l'equazione costitutiva

P=ku
dove u lo spostamento provocato dall'applicazione del carico concentrato P.

Per il teorema di Clapeyron, l'energia di deformazione in termini di spostamenti

u vale :

ed in termini di forze

P vale :

Dal primo teorema di Castigliano si trova immediatamente che

Dal secondo teorema di Castigliano si trova immediatamente che

Infine pu essere interessante notare l'analogia tra il primo ed il secondo teorema di Castigliano e le espressioni (5.22) e (5.26), rispettivamente, delle tensioni e delle deformazioni in termini di energia di deformazione e di energia complementare di deformazione:

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