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LIBRO
Il libro del collega Addona indaga il campo della sensibilit, che sta avendo nuovo spazio nella riflessione contemporanea. Penso al recentissimo libro di Jean Clair, Breve trattato delle sensazioni, Diabasis. Lo studioso francese scrive: In fondo non si pu dire nulla della sensazione se non ch essa ci colma. Ci d cio una pienezza esistenziale. Condivido pienamente la necessit di coniugare di nuovo sensibilit e ragione, per dirla con Giuseppe. Daltronde la grande filosofia novecentesca (penso alla scuola fenomenologica e, soprattutto, allanalitica esistenziale di Heidegger) ha scelto proprio questa strada per liberare il pensiero dalle secche di una razionalit divenuta (cito Morin) razionalizzazione, insterilitasi proprio nellautosufficienza della sua dimensione eidetica. In particolare questo incontro nuziale dovrebbe essere un imperativo per chi, come noi, a contatto con giovani in cui il mondo sensoriale ed emozionale assolutamente centrale. Spesso dimentichiamo che i giovani che ogni giorno incrociamo nelle nostre aule danno un peso centrale in quella fase della vita alle sensazioni e alle emozioni. Il nostro lavoro dovrebbe sempre partire da questo assunto. Quanto peso si d alle emozioni nella vita scolastica? possibile pensare una scuola in cui ragione, sensibilit ed emotivit vengano educate parimenti? Il logocentrismo non un limite strutturale della scuola, primo elemento da mettere in discussione per uneventuale autoriforma della scuola che mai come in questi mesi allordine del giorno? E noi insegnanti di filosofia, eredi e (almeno per quanto mi riguarda) traditori della pretesa di costruire una geometria delle passioni, non dovremmo essere in prima fila in questo movimento che, rompendo gli steccati disciplinari, ridoni alleducazione unintegralit umana che ha smarrito nella selva degli specialismi, per cui il corpo vive staccato dalla mente (pensiamo alle nostre aule), le emozioni dalla razionalit? Giuseppe nel suo libro dischiude prospettive interessanti in relazione a temi come lelevazione etica delluomo, lamicizia, lamore. Perch la nostra scuola, al di l di vuoti documenti compilati stancamente ad inizio anno, non si pone mai lobiettivo ambizioso (ma anche lunico sensato) di
essere prima di ogni specialismo educazione del cuore? Riprendo questa suggestiva espressione da un libro che ho meditato a lungo nel corso di questanno. Si tratta de Lospite inquietante. Il nichilismo e i giovani di Umberto Galimberti. Il cuore ci che nellet evolutiva dischiude alla vita. Il sapere che noi trasmettiamo non dovrebbe mai comprimere questa forza, ma porsi al servizio di essa per consentirle unespressione pi articolata. Se il sapere diventa lo scopo e il profitto il metro per misurarlo, la scuola fallisce. Galimberti mette, giustamente, sotto accusa, una scuola che vuole tirarsi fuori dai problemi connessi ai processi di crescita e si rifugia nella presunta oggettivit del trattamento profitto/giudizio, perch non vuole sporcarsi le mani con soggettivit complesse e caotiche quale quelle degli adolescenti. Dunque, allanalfabetismo emotivo dei giovani bisogna rispondere con una grande investimento nelleducazione emotiva, come compito primario della scuola. Noi non insegniamo Platone, Aristotele, Cartesio, Manzoni o Leopardi, ma anche eventualmente attraverso alcuni loro testi educhiamo cuori giovani che si dischiudono alla vita. La scuola deve tornare ad essere vita vivente, non sepolcro, non teca morta di pagine senza sangue, come quella evocata da Ermanno Olmi nel suo ultimo capolavoro. Per questo ciascuno di noi tenuto a coniugare di nuovo, in una tessitura complessa, che riguardi prima di tutto la propria esistenza e, dunque, il proprio sapere, ambiti tradizionalmente giustapposti ma incomunicanti: sapere scientifico e sapere umanistico, anima e corpo, umano e divino, sensibilit e ragione. E quindi a celebrare il funerale di questo lungo equivoco chiamato filosofia.