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Inquirenti milii in me quaedam uitia apparebant, Seneca, in aperto posita, quae manu prenderem, quaedam obscuriora et in recessu, quaedam

non continua sed ex interuallis redeuntia, quae uel molestissima dixerim, ut hostis uagos et ex occasionibus adsilientis, per quos neutrum licet, nec tamquam in bello paratuin esse nec !R tamquam in pace securum. Illum. tamen habiturn in me maxime deprendo (quare enim non uerum ut medico fatear?), nec bona fide liberatum me eis quae timebam et oderam nec rursus obnoxium; in statu ut non pessimo, ita maxime querulo et moroso positus sum- nec aegroto nec 3 ualeo. Non est quod dicas omniurn uirtutium tenera esse principia, tempore illis duramentum et robur accedere;
1 <SERENvs>

[1] <Sereno*> Ero immerso nell'introspezione,1 Seneca, ed ecco mi apparivano alcuni vizi, messi allo scoperto, tanto che potevo afferrarli con la mano: alcuni pi nascosti e reconditi, altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che definirei addirittura i pi insidiosi, come nemici sparpagliati e pronti ad attaccare al momento opportuno, con i quali non ammessa nessuna delle due tattiche, star pronti come in guerra n tranquilli' come in pace. Tuttavia ho da criticare soprattutto quell'atteggiamento in me (perch infatti non confessarlo proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato in tutta sincerit di quei difetti che temevo e odiavo e di non esserne tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se vero non pessima, pur tuttavia pi che mai lamentevole e uggiosa: non sto n male n bene. Non devi dirm che tutti i comportamenti virtuosi hanno esordi malfermi, e che col tempo essi guadagnano consolidamento e

* Anneo Sereno il dedicatario di almeno due dei dialoghi senecani: De constantia sapientis, De tranquillitate animi. Amico molto pi giovane di Seneca, gli premor, come apprendiamo dal filosofo stesso che ricorda di averlo pianto sconsolatamente in Epistulae ad Lucilium 63, 14 sgg. Secondo la testimonianza di Plinio, Nat. Hist. 22, 96 sgg., che lo cita come capitano dei vigiles di Nerone (vigili del fuoco, con compiti di polizia notturna), la sua morte da attribuire ad avvelenamento da funghi. 1 Il verbo inquirere conosce un uso specifico giudiziario, passato all'italiano nel campo semantico di inchiesta, inquisito ecc.: come mostra anche il resto del discorso, Sereno infatti nell'atteggiamento di chi indaga in se stes 62

so. La particolare condizione di fluttuazione tra la voglia che l'uomo ha di liberarsi dei propri vizi e la sostanziale incapacit di farlo una volta per tutte spesso presente all'attenzione di Seneca anche nelle Lettere a Lucilio: aiutare chi si trova in questa insidiosa quanto comune condizione compito precipuo della filosofia morale, intesa come medicina dell'anima, secondo la fisionomia che soprattutto la scuola stoica si era data, da Crisippo in poi. 2 Laggettivo securus reca nella propria etimologia l'ideale della composi~2ei conflitti interiori: in questo modo che l'insegnamento paneziano zione aveva mitigato la difficolt di raggiungere l'apatia, obiettivo dell'antica Stoa. Seneca accosta il termine securitas a tranquillitas in Epist. 92, 3, chiedendosi Quid est vita beata? Securitas et

perpetua tranquillitas.

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non ignoro etiam quae in speciem la~orant, dignitatem dico et cloquentiae famam et quidquid ad alienum. suffragium uenit, mora conualescere-et quac ueras uires parant et quae ad placendurn fuco quodam subornantur expectant annos donee paulatim colorem diuturnitas ducat -sed ego uereor nc consuetudo, quac rebus adfert constantiam, hoc uitium mihi altius figat: tam malorum. quam bonorum. longa conuersatio amorem induit. 4 Haec animi inter utrumque dubii nec ad recta fortiter nee ad praua uergentis infirmitas qualis sit, non tam semel tibi possum quam per partes ostendere; dicam quac accidant 5 mihi, tu morbo nomen inuenies. Tenet me summus amor parsimoniae, fateor: placet non in ambitionern cubile compositurn, non ex arcula prolata uestis, non ponderibus ac mille tormentis splendere cogentibus expressa, sed 6 domestica et uilis, nec seruata nee sumenda sollicite; placet cibus quem nec parent familiae ncc spectent, non ante multos imperatus dies nec multorum manibus ministratus, sed parabilis facilisque, nihil habens arcessiti pretiosiue, ubilibet non defuturus, nec patrimonio nec corpori grauis, 7 non rediturus qua intrauerit; placet minister incultus et rudis uernula, argentum. graue rustici patris sine ullo

forza; non ignoro nemmeno che anche quelle attivit che indirizzano i loro sforzi a guadagnare immagine, intendo le cariche pubbliche o la fama legata all'abilit oratoria e tutto ci che punta sul favore della gente, si rafforzano con il tempo -sia quelle attivit che forniscono vere forze sia quelle che per guadagnare favore si danno una qualche verniciatura artificiosa aspettano anni, finch a poco a poco la durata faccia assumere colore - ma io temo che la consuetudine, che consolida le cose, mi infigga pi profondamente questo vizio nell'animo: la lunga frequentazione ingenera amore sia per i difetti che per le virt.3 Quale sia la debolezza del rnio animo in bilico tra i due comportamenti, incapace di inclinare con forza verso la retta via o verso quella sbagliata, non posso indicartela tutta insieme bens per parti; ti dir quel che mi accade, tu troverai un nome al mio male.4 Sono preda di un grandissimo amore per la parsimonia, lo confesso: mi piace un letto non preparato per l'ostentazione, una veste non tirata fuori dal forziere, non pressata da pesi e mille strumenti di tortura che la costringono a ostentare una bella piega, ma ordinaria e semplice, non di quelle che si conservano e si tirano fuori con ansia. Mi piace il cibo che non debbano elaborare e sorvegliare stuoli di servi, non ordinato molti giorni prima n servito dalle mani di molti, ma facile a reperirsi e semplice, un cibo che non ha nulla di ricercato o di prezioso, che non verr a mancare da nessuna parte si vada, non oneroso per il patrimonio n per il corpo, tale da non uscire poi per la stessa via dalla quale entrato. Mi piacciono il servo alla buona e lo schiavetto rustico, l'argenteria massiccia ereditata dal padre contadino che non
veras vires... ad placendum ecc.), nucleo tematico particolarmente caro al pensiero del filosofo; l'espressione in speciein laborant ha sapore
sarcastico, indicando la vanit di una fatica volta a conquistare un bene effimero ed estrinseco come il plauso degli altri e in questa accezione il verbo torna variamente nei
41 termini

3 Il concetto che la consuetudine con pratiche virtuose o viziose le rafforzi, variamente

diffuso in letteratura greca e latina, appartiene al patrimonio del sapere popolare-proverbiale, a cui attinge volentieri la precettistica diatribica, quella che appunto ha per destinatario l'uomo comune: si esprimeva cos anche Ovidio nei Remedia amoris, vv. 79-92, ammonendo che il tempo accresce la forza anche all'amore malattia di cui ci si vuole liberare. E da notare anche che il paragrafo linguisticamente e concettualmente costruito sull'opposizione verit-apparenza (in

Dialogi. infinnitas e morbus appartengono all'ambito medico, e insieme ad

speciem
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... ; ad alienum suffragiuni...

altri contribuiscono a rafforzare all'interno della struttura del dialogo la funzione della filosofia come terapia dell'anima.

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nomine artificis, et mensa non uarietate macularum conspicua nec per multas dominorum elegantium successiones ciuitati nota, sed in usum posita, quae nullius conuiuae 8 oculos nec uoluptate moretur nec accendat inuidia. Cum bene ista placuerunt, praestringit animum apparatus alicuius paedagogii, diligentius quam in tralatu uestita et auro culta mancipia et agmen seruorum nitentium, iam domus etiam qua calcatur pretiosa et diuitiis per omnes angulos dissipatis tecta ipsa fulgentia et adsectator comesque patrimoniorurn pereuntium populus; quid perlucentis ad imurn aquas et circurnfluentis ipsa conuiuia, quid epu9 las loquar scaena sua dignas? Circumfudit me ex longo frugalitatis situ uenientem multo splendore luxuria et undique circumsonuit: paulum titubat acies, facilius aduersus illarn aninium quam oculos attollo; recedo itaque non peior sed tristior, nec inter illa friuola. mea tam altus incedo tacitusque morsus subit et dubitatio numquid illa meliora sint. Nihil horum me mutat, nihil tamen non concutit. 10 Placet imperia praeceptorum sequi et in mediam ire rem publicam; placet honores fascisque non scilicet purpura aut uirgis abducturn capessere, sed ut amicis propinquisque et omnibus ciuibus, omnibus deinde mortalibus paratior

reca norni di artigiani, e una tavola che non si fa notare per la variet delle venaturel e che non famosa in citt per il frequente susseguirsi di padroni eleganti, ma che sia improntata alla praticit, tale da non trattenere su di s gli occhi di nessun commensale per il piacere n accenderli di invidia. Pienamente soddisfatto di queste cose, mi attanaglia l'animo il fasto di un collegio di valletti,6 schiavi vestiti e adorni d'oro con pi cura che per una processione solenne e una schiera di servi tirati a lucido, e poi una casa preziosa anche l per dove si cammina e persino i soffitti splendenti di ricchezze sparse per ogni angolo e la folla che fa da seguito e compagnia a patrimoni che vanno in fumo; a che dovrei parlare di profiuvi di acque limpide fino al fondo tutto intorno alle stesse mense, a che di banchetti degni della loro messa in scena?' Il lusso si riversa con uno splendore diffuso intorno a me che vengo dal lungo letargo della mia frugalit e mi risuona intorno da ogni parte: la vista un poco vacilla, contro il lusso levo pi facilmente l'animo che gli occhi; me ne vado dunque non peggiore ma pi triste, e non cos a testa alta tra quelle mie povere cose e un assillo segreto mi prende e il dubbio che quelle altre possano davvero essere migliori. Nulla di queste cose mi cambia, e tuttavia non c' nulla che non mi agiti. Mi piace seguire gli ordini dei miei maestri e dedicarnii alla vita pubblica; n-ti piace riportare onori e trionfi non certo perch attratto dalla porpora e dalle insegne del potere, ma per essere pi sollecito e pi utile agli amici, ai parenti e a tutliberi, ma pi in particolare gli schiavi delle famiglie ricche, destinati a compiti superiori. 7 SUI fasto delle case e soprattutto delle sale da pranzo in et imperiale abbiamo copiosa testimonianza: lo stesso Seneca ne parla pi volte, sempre polemizzando contro lo stravolgimento di prospettiva che porta a sprecare le ricchezze fino al limite estremo di calpestarle, ricoprendo i pavimenti di materiali preziosi (per es. Epist. 94, 71

5 Le mense raffinate erano fatte in legni pregiati, di cui si potevano ammira

re venature particolari (cfr. Seri., De

distinctani venis; ce le descrive diffusamente Plinio in Nat. Hist. 13, 93 sgg., soprattut to 96- 9). Tutto il passo si inserisce nella nota polemica contro il lusso che
rappresentava un filone importante del pensiero antico, greco e latino. Uac cenno al rusticus pater, in particolare, punta su uno dei capisaldi dell'auto rappresentazione in senso tradizionalista del civis Romanus, come erede di una cultura contadina (opposta con orgoglio a quella cittadina) che aveva fat to la grandezza di Roma: inoltre fondamentale per giustificare il possesso, appunto, di un bene di lusso, quale l'argentum, ammesso solo in quanto ere ditario e comunque di qualit solida (grave) e non raffinata (sine... artificis). 6 1 paedagogia erano scuole dove in et imperiale venivano educati giovani

ira 3, 35, 5 mensam... crebris

... ut terrani marmoribus abscondas: non tantum habere tibi liceat, sed calcare divitias). Uallusione ai giochi d'acqua e
soprattutto alla messinscena coglie quello che era diventato l'elemento centrale dei banchetti: la loro spettacolarit. Di ci abbiamo la testimonianza pi significativa nel quadro dipinto da Petronio con la Coena Trimalchionis nel Satyricon.

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utiliorque sim. Promptus [sim positus] sequor Zenona, Cleanthen, Chrysippum, quorum tamen nemo ad rem i i publicam accessit, et nemo non misit. Vbi aliquid animum insolitum arietari percussit, ubi aliquid occurrit aut indignum, ut in orrini uita humana multa sunt, aut parum ex facili fluens, aut multum temporis res non magno aestimandae poposcerunt, ad otium conuertor et, quemadmodum pecoribus fatigatis quoque, uelocior domum gradus est. Placet intra parietes suos uitam coercere: 'nemo ullum auferat diem nihil dignum tanto inpendio redditurus; sibi ipse animus hacreat, se colat, nihil alieni agat, nihil quod ad iudicern spectet; ametur expers publicae priua12 taeque curae tranquillitas.' Sed ubi lectio fortior erexit ammurri et aculeos subdiderunt exempla nobilia, prosilire libet in forum, commodare alteri uocem, alteri operam, etiam si nhil profuturam, tamen conaturam prodesse, alicuius coercere [in foro] superbiam male secundis rebus elati. 13 In studiis puto mehercules melius esse res ipsas intueri et harum causa loqui, ceterum uerba rebus permittere, ut qua duxerint hac inelaborata sequatur oratio: 'quid opus est saeculis duratura componere? Vis tu non id agere ne te posteri taceant? Morti natus es, minus molestiarum habet funus tacitum. Itaque occupandi temporis causa

ti i concittadini, e insomma a tutti gli uomini. Seguo pronto Zenone, Cleante, Crisippo,8 dei quali nessuno fece carriera politica e tuttavia nessuno manc di indirizzarci gli altri. Quando qualcosa colpisce il mio animo non avvezzo a essere urtato, quando mi si presenta qualche situazione spiacevole, come ce ne sono molte nella vita di ognuno, o di quelle che procedono poco agevolmente, oppure occupazioni di non gran conto mi richiedono troppo tempo, mi concedo del tempo per me e, come succede anche ai greggi stanchi, tomo pi velocemente verso casa. Mi piace chiudere la vita tra le sue pareti: Che nessuno ci porti via alcun giomo, dato che non potr renderci nulla che sia degno di tanta perdita; l'animo stia con se stesso, si coltivi, non si dedichi a nulla di estemo, a nulla che attenda il giudizio di altri;9 si cerchi una tranquillit priva di tormenti pubblici e privati. Ma non appena una lettura pi impegnativa mi innalza l'animo e nobili esempi fanno sentire il loro stimolo, mi piace corrermene nel foro, prestare ad uno la mia voce, a un altro il mio aiuto, che, se anche non sar di alcuna utilit, tuttavia cercher di esserlo, colpire l'arToganza di chi ingiustamente insuperbito per il favore delle circostanze. Nella pratica degli studi ritengo, davvero, che sia meglio tener presenti attentamente i contenuti stessi e parlare per questi, per il resto affidare le parole ai contenuti, affinch venga fuori un discorso non artificioso nella direzione in cui essi conducono: 10 Che bisogno c' di creare opere destinate a durare nei secoli? Non vuoi tu cercare piuttosto che i posteri ti passino sotto silenzioP 1 Sei nato per la morte, un funerale silenzioso crea meno fastidi. Cos, scrivi qualcosa con
La teoria dello stile qui esposta da Sereno in forma di problema aperto rifiene nella sostanza i principi in cui Seneca professava di credere: assegnare pi irriportanza ai concetti che agli abbellimenti stilistici quanto il filosofo raccomanda anche a Lucilio (cfr. soprattutto Epist. 40 e 75). I I Anche questo precetto, che Seneca include pi volte nelle sue opere, appartiene al patrimonio del pensiero cinico; noto viceversa che per i Romani l'aspirazione alla gloria rappresentava un ideale pienamente legittimo, in quanto 69
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Sono i padri dello stoicismo. Zenone, nato a Cizio nell'isola di Cipro, e passato ad Atene, vi fond attorno al 301 a.C. la scuola detta Sto poikle (= portico variopinto), dal portico, appunto, sotto il quale si tenevano le lezioni. Cleante di Asso fu allievo e successore di Zenone come caposcuola; a lui successe Crisippo di Soli nella medesima funzione. 9 Il precetto compare in varia forma negli scritti di Seneca, in particolare nelle Lettere a Lucilio: raccogliersi in se stessi presentato come un passo spesso necessario per affrancarsi dalla dipendenza dall'esterno, giudicata assolu8

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in usum tuum, non in pracconium aliquid simplici stilo 14 sciibe: minore labore opus est studentibus in diem.' Rursus ubi se animus cogitationum magnitudine leuauit, ambitiosus in uerba est altiusque ut spirare ita eloqui gestit et ad dignitatem rerum exit oratio; oblitus tum legis pressiorisque iudicii sublimius feror et ore iam non meo. is Ne singula diutius persequar, in omnibus rebus haec me sequitur bonae mentis infirmitas. tCuit ne paulatim defluam uereor, aut, quod est sollicitius, ne semper casuro similis pendeam et plus fortasse sit quam quod ipse peruideo; familiariter enim domestica aspicimus et semper iudicio 16 fauor officit. Puto multos potuissead sapientiam peruenire, nisi putassent se peruenisse, nisi quaedam in se dissimulassent, quaedam opertis oculis transiluissent. Non est enim quod magis aliena <nos> iudices adulatione perire quam nostra. Quis sibi uerum dicere ausus est? Quis non inter laudantium blandientiumque positus greges plurimum 17 tamen sibi ipse adsentatus est? Rogo itaque, si quod habes remedium quo hanc fluctuationem meam sistas, dignum me putes qui tibi tranquillitatem debeam. Non esse periculosos <hos> motus animi nec quicquarn tumultuosi adferentis scio; ut uera tibi similitudine id de quo queror exprimam, non tempestate uexor sed nausea: detrahe ergo quidquid hoc est mali et succurre in conspectu terrarum laboranti.

semplicit per occupare il tempo ad uso personale, non perch si sappia in giro: occorre minor fatica a coloro che si applicano per l'oggi. Ma di nuovo quando l'animo si eleva per la grandezza delle cose che pensa, si fa ambizioso anche nella ricerca delle parole e cerca di respirare e di parlare con maggiore sostenutezza e il discorso che vien fuori si conforma alla grandezza dei concetti; allora, dimentico della regola del mio gusto pi misurato mi faccio trasportare pi in alto parlo con bocca non pi mia. Per non dilungarmi sui singoli aspetti, in tutte le occasioni mi accompagna questa incostanza di senno . ... Il Temo di scivolare gi a poco a poco o, cosa pi preoccupante, di essere sempre in bilico come chi sta per cadere e che la situazione sia forse peggiore di quella che vedo io; infatti guardiamo con bonomia le cose che ci riguardano e la simpatia offusca sempre il giudizio. Penso che molti avrebbero potuto raggiungere la saggezza, se non avessero ritenuto di averla raggiunta, se non si fossero nascosti qualche loro manchevolezza, se non avessero sorvolato su qualcosa chiudendo gli occhi. Infatti non c' ragione di credere che noi andiamo in rovina pi per l'adulazione altrui che per la nostra. Chi che ha mai osato dirsi la verit? Chi che posto tra branchi di elogiatori e lusingatori non si fatto tuttavia egli stesso grandissimo adulatore di S? 13 Ti prego dunque, se hai un qualche rimedio con cui tu possa por fine a questo mio fluttuare, di ritenermi degno di dovere a te la tnia tranquillit. Che non siano pericolosi questi moti dell'animo e che non portino con s nessun vero sconvolgimento lo so; per esprimerti ci di cui mi lamento con una similitudine appropriata, non sono tormentato da una tempesta, ma dal mal di mare: toglin- dunque questo malessere, quale che sia, e vieni in aiuto di un naufrago che ancora tribola gi in vista della terraferma.
Alla pratica dell'adulazione, tristemente tipica della corte imperiale, Seneca fa riferimento anche altrove (cfr. per es. De vita beata 2, 4). Ugualmente, e soprattutto nelle Epistulae, egli ricorda per stigmatizzarlo il vizio dell'autoadulazione, cui l'uomo volentieri indulge, cfr. per es. Epist. 59, 10.
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Il testo dei codici corrotto: cui lezione di A, il manoscritto pi autorevole, che qualcuno cerca di salvare come dativo poetico. Vari i tentativi di emendare la corruttela (quin, itaque, sic), nessuno dei quali sembra pienamente soddisfacente.
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<SENECA> Quacro

mehercules iam. dudum, Serene, ipse tacitus, cui talem. adfectum animi similem putem, nec ulli propius admouerim. exemplo quam eorum qui ex longa et graui ualetudine cxpliciti motiunculis leuibusque inte rim offensis perstringuntur et, cum reliquias effugerunt, suspicionibus tamen inquietantur medicisque iam sani manum porrigunt et omnem calorem corporis sui calumni antur. Horum, Serene, non parum sanum est corpus, sed sanitati parum adsueuit, sicut est quidam tremor etiam tranquilli maris, utique cum ex tempestate requieuit. Opus est itaque non illis durioribus quae iam transcucurri mus, ut alicubi obstes tibi, alicubi irascaris, alicubi instes grains, sed illo quod ultimum uenit, ut fidem tibi habeas et recta ire te uia credas, nihil auocatus transuersis multorurn uestigiis passim discurrentium, quorundam circa ipsam.

3 errantium uiam. Quod desideras autem magnum ct sum mum est deoque uicinum, non concuti. Hanc stabilem animi sedem Graeci 6~jilav uocant, de qua Democrid uolumen egregium est, ego tranquillitatern uoco; nec enim. imitari et transferre uerba ad illorum. formarn necesse est: res ipsa de qua agitur aliquo signanda nomine est, quod 4 appellationis Graecae uim debet habere, non faciem. Ergo quacrimus quomodo animus scmper aequali secundoque

[2] <Seneca> Mi vado chiedendo, perbacco, gi da un po', Sereno - tra me e me -, a che cosa potrei assimilare tale affezione dell'animo, e non saprei avvicinarla di pi a nessun esempio che a quello di quanti, usciti da una malattia lunga e grave, di tanto in tanto sono colpiti da piccoli attacchi di febbre e da episodi di leggero malessere e, quando si sono ormai sottratti alle residue manifestazioni del male, tuttavia si fanno turbare da quelli che giudicano sintomi e, orinai guariti, tendono la mano ai medici e sovrainterpretano ogni rialzo di temperatura. 14 Di costoro, Sereno, non poco sano il corpo, ma troppo poco si abituato alla salute, cos come presente un qualche tremolio anche nella marina tranquilla, specie quando uscita da una tempesta. C' bisogno dunque non di quei provvedimenti pi duri che orinai ci siamo lasciati alle spalle, cio che a volte tu lotti con te stesso, altre monti in collera con te, altre ancora ti incalzi pesantemente, ma di quello che viene da ultimo, che tu abbia fiducia in te stesso e creda di procedere per la strada giusta, non facendotene assolutamente distogliere dalle orme incrociate dei molti che vagano in tutte le direzioni, di alcuni che sbandano proprio ai margini della strada. Quanto a ci di cui senti la mancanza, qualcosa di grande, di eccelso, di vicino a dio, il non essere turbato. Questa stabilit dell'animo, sulla quale c' quel volume egregio di Democrito, 15 i Greci la chiamano ftu~tct, io la chiamo tranquillit; infatti non necessario imitare e traslitterare un termine secondo la forma greca: lo stesso oggetto di cui si tratta va contrassegnato con un nome, che deve avere l'efficacia, non l'aspetto della dizione greca. Dunque noi ci chiediamo in che modo gli stati d'animo possano sesofo atomista che manifest un interesse particolare per i problemi etici: nei frammenti che possediamo leggibile il concetto di eM5u[ta come lo intende Seneca, una forma di equilibrio interiore nel quale il senso della misura s'impone sui turbamenti e le passioni dell'animo. Uequivalenza del termine greco con il latino tranquillitas era gi adombrata in Cicerone (Defin. 5, 23): Democriti autem securitas,

Anche questa nuova immagine tratta dall'ambitc, medico utilizzata variamente da Seneca in altri testi (per es.
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Epist. 72, 6).


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Come anche in alcuni altri casi Seneca cita qui direttamente in greco il termine tecnico filosofico, ma una scelta che egli non sostiene teoricamente, ritenendo anzi che il rispetto del senso di un concetto non debba necessariamente passare per l'ossequio alla dizione della lingua di partenza: per gli stoici, di cui sono noti gli interessi per la riflessione teorica sulla lingua, la parola funziona 72

quae est animi tamquam tranquillitas, quam appellant

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cursu cat propitiusque sibi sit et sua laetus aspiciat et hoc gaudium non interrumpat, sed placido statu. maneat nec attollens se umquarn nec deprimens: id tranquillitas erit. Quomodo ad hanc perueniri possit in uniuersum quaeramus: sumes tu ex publico remedio quantum. uoles. Totum interim uitium in medium protrahendurn est, ex quo agnoscet quisque partem suam; simul tu intelleges quanto minus negotii habeas cum fastidio tui quam ii quos ad professionem speciosarn alligatos et sub ingenti titulo laborantis in sua simulatione pudor magis quam uoluntas tenet. 6 Omnes in eadem causa sunt, et hi qui leuitate uexantur ac taedio adsiduaque mutatione propositi, quibus semper magis placct quod reliquerunt, et illi qui marcent et oscitantur. Adice eos qui non aliter quam quibus difficilis somnus est uersant se et hoc atque illo modo componunt donec quietem lassitudine inueniant: statum uitae suae reformando subinde in eo nouissime manent in quo illos non mutandi odium sed senectus ad nouandum pigra deprendit. Adice et illos qui non constantiae uitio parum lcues sunt sed inertiae, et uiuunt non quomodo uolunt sed 7 quomodo coeperunt. Innumerabiles deinceps proprietates sunt sed unus effectus uitii, sibi displicere. Hoe oritur ab intemperie animi et cupiditatibus timidis aut parum

guire un andamento sempre regolare e favorevole e l'animo sia propizio a se stesso e guardi con contentezza a ci che lo concerne e non interrompa questa felicit, ma rimanga in uno stato di benessere, senza mai esaltarsi o deprimersi: questo costituir la tranquillit. In che modo si possa pervenire ad essa cerchiamolo in generale: tu prenderai dalla medicina comune quanto vorrai. Frattanto va esposto alla vista di tutti il male nella sua interezza, e ciascuno potr riconoscere la parte che sua; tu capirai subito quanto minor imbarazzo costi a te il disprezzo di te stesso rispetto a quanti, legati a una professione di immagine e affaticati dal peso della loro alta dignit ufficiale, sono costretti a recitare una parte dal pudore pi che dalla volont. Tutti si trovano nella stessa condizione, sia quanti sono tormentati dall'incostanza e dal tedio16 e dal continuo mutamento dei propositi, ai quali sempre piace di pi ci che hanno lasciato, sia quelli che si lasciano marcire tra gli sbadigli. Aggiungi quelli che si agitano non diversamente da quanti hanno il sonno difficile e si mettono in questa o in quell'altra posizione finch non trovano pace per stanchezza: cambiando continuamente modo di vivere da ultimo si fermano in quello in cui li sorprende non il fastidio per i cambiamenti ma la vecchiaia restia ai rinnovamenti. Aggiungi anche quelli che sono poco duttili non per colpa della loro fermezza, ma per colpa della loro inerzia, e vivono non come vogliono, ma come hanno cominciato.17 Di qui innumerevoli sono le caratteristiche, ma uno solo l'effetto del male, l'essere scontenti di s. Questo trae origine dall'incostanza dell'animo e da desiPIO... Seneca la impiega anche in De brev. 2, 2 ugualmente in coppia con
marceo (nwrcentes oscitantesque).
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La levitas, semanficamente opposta alla virt stoica della constantia, bersaglio degli attacchi di Seneca anche in De brev. 2, 2 all'intemo di una galleria simile a questa di esempi di instabilit nevrotica (vaga et inconstans et sibi displicens levitas: una volubilit incerta, incostante, insoddisfatta). Taedium a propria volta parola tematica: rimanda infatti a quella lunga tradizione di pensiero che si era occupata del taedium vitae, l'angoscia esistenziale, individuandovi il nocciolo dell'infelicit umana: sono celebri i versi di Lucrezio 3, 1053 sgg. e di Orazio, Epist. 1, 11. Tra le altre, di ascendenza lucreziana l'immagine degli inquieti che sbadigliano: 3, 1065, oscitat extem16

La casistica delle varie forme di irrequietezza interiore, che allontanano l'uomo dalla capacit di vivere pienamente la propria vita seguendo la saggezza, ha caratteristiche di pezzo di repertorio: infatti molto simile al quadro tracciato in De brev. 2, 2 di cui sopra. La presenza di queste parti riconduce al carattere predicatorio originario della filosofia diatribica, che vi doveva fare ricorso proprio perch basata sull'improvvisazione, e dunque pu spiegarsi nei Dialogi di Seneca come portato di questa tradizione. 75

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prosperis, ubi aut non audent quantum concupiscunt aut non consequuntur et in spern toti prominent; semper instables mobilesque sunt, quod necesse est accidere pendentibus. Ad uota sua omni uia tendunt et inhonesta se ac difficilia docent coguntque, et ubi sine praemo labor est, torquet illos inritum dedecus, nec dolent praua se 8 <sed> frustra uoluisse. Tunc illos et paenitentia coepti tenet et incipiendi timor subrepitque illa animi iactatio non inuenientis exitum, quia nec imperare cupiditatibus suis nec obsequi possunt, et cunctatio uitae parum se explicantis et inter destituta uota torpentis animi situs. 9 Quae omnia grauiora sunt, ubi odio infelicitatis operosae ad otium perfugerunt, ad secreta studia, quae pati non potest animus ad ciuilia erectus agendique cupidus et natura inquies, parum scilicet in se solaciorum habens; ideo, detractis oblectationibus quas ipsae occupationes discurrentibus praebent, domurri solitudinem parietes non 10 fert, inuitus aspicit se sibi relictum. Hinc illud est taedium et displicentia sui et nusquam residentis animi uolutatio et otii sui tristis atque aegra patientia, utique ubi causas fateri pudet et tormenta introsus egit uerecundia, in angusto inclusae cupiditates sine exitu se ipsae strangulant; inde maeror marcorque et mille fluctus mentis incertae, quam spes inchoatae suspensam habent, deploratae tristem; inde

deri timidi o poco fortunati, laddove gli uomini o non osano quanto vogliono o non lo ottegono e sono tutti protesi nella speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che inevitabile succeda a chi sta con l'animo in sospeso. Tendono con ogni mezzo al soddisfacimento dei loro desideri, e si addestrano e si costringono a obiettivi disonorevoli d ardui, e quando la loro fatica priva di premio, li tormenta il disonore che non ha dato frutto, n si rammaricano di aver teso a obiettivi ingiusti, ma di averlo fatto invano. Allora li prende sia il pentimento di quello che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro e s'insinua in loro quell'irrequietezza dell'animo che non trova vie d'uscita, poich non possono n dominare i loro desideri n assecondarli, e l'irresolutezza di una vita che non riesce a realizzarsi e l'inerzia dell'animo che s'intorpidisce tra desideri frustrati. E tutto ci risulta pi grave, laddove per il disgusto di una vita infelice piena di impegni si sono rifugiati nell'ozio, nella vita privata, condizione che non pu sopportare un animo teso all'impegno civile e desideroso di agire e per natura insofferente del quieto vivere, che - si capisce - trova in s poco conforto; perci, tolti i piaceri che gli stessi impegni dispensano a chi corre da tutte le parti, non sopporta casa solitudine pareti, a malincuore si guarda abbandonato a se stesso. Di qui quella noia e quel disgusto di s, e l'irrequietezza dell'animo che non trova mai un dove, e la triste e penosa sopportazione del proprio ozio, soprattutto quando si ha ritegno nell'ammetterne le cause e il pudore ha ricacciato dentro le ragioni del tormento, mentre le passioni bloccate in uno spazio angusto si soffocano a vicenda senza trovare sbocchi; di l mestizia abbattimento e mille'8 ondeggiamenti della mente incerta, tenuta in sospeso dalle speranze accarezzate, intristita da quelle abbandonate; di l quello

Mille lezione del codice A, e pu contare sul sostegno dell'allitterazione con maeror e marcor, ragioni pi che sufficienti
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ad accoglierla nel testo: resta tuttavia un margine di dubbio per l'immagine cos ottenuta (mille fiut76

tuazioni) che appare di gusto forse un po' troppo modemo, a fronte di un nesso linguisticamente del tutto affidabile come illefluctus (quella ben nota fluttuazione), che si otterrebbe accogliendo la lezione ille di alcuni codici pi 77

ille adfectus otium suurn detestantium querentiumque nihil ipsos habere quod agant et alienis incrementis inimicissima inuidia. Alit enirri liuorem inflix inertia et omnes destrui cupiunt, quia se non potuere prouchere; il ex hac deinde auersatione alienorum processuum et suorum desperatione obirascens fortunae animus et de sacculo querens et in angulos se retrahens et poenac incubans suae, dum illum taedet sui pigetque. Natura enim humanus animus agilis est et pronus ad motus. Grata omnis illi excitandi se abstrahendique materia est, gratior pessimis quibusque ingeniis quae occupationibus libenter deteruntur; ut ulcera quaedam nocituras manus adpetunt et tactu gaudent et fbedarn corporum scabiem delectat quidquid exasperat, non aliter dixerim his mentibus in quas cupiditates uelut mala ulcera eruperunt uoluptati esse laborem 12 uexationemque. Sunt enim quaedam quae corpus quoque nostrum cum quodarn dolore delectent, ut uersare se et mutare nondum fessum latus et alio atque alio positu uentilari: qualis ille Homericus Achilles est, modo pronus, modo supinus, in uarios habitus se ipse componens, quod proprium aegri est, nihil diu pati et mutationibus ut 13 remediis uti. Inde peregrinationes suscipiuntur uagae et litora pererrantur et modo mari se modo terra experitur semper praesentibus infesta leuitas. 'Nune Campaniam petamus.' Iam delicata fastidio sunt: 'inculta uideantur, Bruttios et Lucaniae saltus persequamun' Aliquid tamen inter deserta arnoeni requiritur, in quo luxuriosi oculi longo

stato d'animo di quanti detestano il loro ozio, lamentano di non aver nulla da fare e la terribile invidia verso i successi altrui. Infatti l'inerzia infelice" alimenta il livore e desiderano che tutti cadano in rovina, perch loro non hanno potuto progredire; quindi da questo avversare i progressi altrui e dal disperare dei propri l'animo passa ad adirarsi contro la sorte e a lamentarsi dello spirito dei tempi e a ritirarsi negli angoli e a covare la propria pena, mentre prova fastidio e disgusto di s. Infatti per natura l'animo umano attivo e portato al movimento. Gli gradita ogni occasione di muoversi e distrarsi, pi gradita a tutti i peggiori soggetti che volentieri si consumano nelle occupazioni; come certe ferite vogliono il contatto con le mani che pure recheranno loro dolore e godono a sentirlo, e la turpe scabbia prova piacere da qualunque cosa la esasperi, non diversamente direi che per queste menti, in cui le passioni sono esplose come una dolorosa ferita, sono motivo di piacere il travaglio e il tormento. Ci sono infatti cose che possono far piacere anche al nostro corpo recandogli un certo dolore, come voltarsi e girare il fianco non ancora stanco e rigirarsi continuamente ora in una posizione ora in un'altra, qual quel famoso Achille descritto da Omero~20 ora prono, ora supino, che assume varie posizioni - il che proprio di un malato: non sopportare nulla a lungo e ricorrere ai cambiamenti come a medicine. Per questo si intraprendono peregrinazioni in lungo e in largo e si attraversano lidi inospitali e ora per mare ora per terra fa prova di s la loro incostanza sempre nemica del presente: Ora andiamo in Campania. Subito i luoghi raffinati21 vengono a noia: Si vada a vedere luoghi selvaggi, visitiamo le balze del Bruzio e della Lucania. Tuttavia in mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di
precisa reminiscenza virgiliana, Aen. 3, 581 jessuni quotiens mutet latuni; pure notevole l'uso del verbo ventilari (rigirarsi contirmamente) che contiene nella radice l'immagine della mutevolezza legata al vento. 21 Laggettivo delicatus nel lessico senecano spesso connotato negativamente. Le spiagge della Campania, tra cui il famoso litorale di Baia, erano tra le pi ricercate del tempo. 79

Il nesso ripreso con variazione pi avanti, a 12, 3, in inquieta inertia: entrambi contengono un'eco dell'oraziana strenua inertia di Epist. 1, 11, 28, passo come questo dedicato alla descrizione delle inquietudini interiori. 20 Il paragone con Achille allude all'episodio omerico di Riade 24, 4 sgg. in cui descritta l'agitazione fisica incontenibile dell'eroe derivante dallo strazio per la morte di Patroclo. Linguisticamente funge da intermediario una
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locorum horrentium. squalore releuentur: 'Tarentumi petatur laudatusque portus et hiberna caeli mitioris et regio uel antiquae satis opulenta turbae.' 'Iarn flectamus cursum ad urbem': nimis diu a plausu et fragore aures uacauerunt, 14 iuuat iani et humano sanguine frui. Aliud ex alio iter suscipitur et spectacula spectaculis mutantur. Vt ait Lucretius, hoc se quisque modo semper fugit. Sed quid prodest, si non effugit? sequitur se ipse et urget 15 grauissimus comes. Itaque scire debemus non locorum uitiurn esse quo laboramus, sed nostrum: infirmi sumus ad omne tolerandum, nec laboris patientes nec uoluPtatis nec nostri nec ullius rei diutius. Hoc quosdarn egit ad mortem, quod proposita saepe mutando in eaderri reuoluebantur et non reliquerant nouitati locum: fastidio esse illis coepit uita et ipse mundus et subit illud tabidarumi deliciarum: 'quousque eadem?' 3 Aduersus hoc taediurn quo auxilio puterni utenduni quaeris. Optumurn erat, ut ait Athenodorus, actione rerum et rei publicae tractatione et officiis ciuilibus se detinere. Narri ut quidani sole atque exercitatione et cura corporis dierni educunt athletisque longe utilissimurn est lacertos suos roburque, cui se uni dicauerunt, maiore temporis

piacevole, in cui gli occhi abituati al lusso possano trovar sollievo dal prolungato spettacolo di squallore dei luoghi aspri: Rechiamoci a Taranto, al suo porto elogiato e al soggiorno invernale di un clima pi mite 22 e a una terra abbastanza ricca anche per la popolazione di un tempo. Ormai volgiamo la rotta verso Roma: troppo a lungo le orecchie sono restate libere dagli applausi e dal chiasso, ormai fa piacere godere della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio dietro l'altro e si alternano spettacoli a spettacoli. Come dice Lucrezio, in questo modo ciascuno fugge sempre se steSSO.23 Ma a che gli serve, se non riesce a sfuggirsi? sempre si segue e si
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incalza da solo, compagno di viaggio insopportabile. Dunque dobbiamo sapere che non dei luoghi la colpa per cui ci tormentiamo, ma nostra:24 siamo incapaci di tollerare tutto, non sopportiamo la fatica n il piacere n noi stessi n nessuna cosa troppo a lungo. Questo ha portato alcuni alla morte, il fatto che spesso cambiando propositi finivano per ritornare ai medesimi e non avevano lasciato spazio alla novit: cominciarono ad esser loro motivo di fastidio la vita e lo stesso mondo e si insinu in loro quel famoso dubbio proprio di una raffinatezza marcescente: fino a quando le stesse cose? [3] Contro questa insofferenza chiedi di quale aiuto io pensi ci si debba servire. Il meglio sarebbe stato, come diceva Atenodoro ~25 tenersi occupati nell'azione e nell'impegno politico e nei doveri civili. Infatti, come alcuni passano la vita all'aria aperta e nell'esercizio e nella cura del corpo e per gli atleti di gran lunga la cosa pi utile nutrire per gran parte del tempo la forza dei loro muscoli, alla quale si sono deEpist. 28, 1 sgg., che contiene la celebre esortazione animum debes mutare, non caelum ecc. 24 Per il principio, cfr. Epist. 17, 12 non est enim in rebus vitium, sed in ipso animo (il male non nelle cose, ma proprio nell'ammo). 25 Si in dubbio sull'identificazione precisa di questo personaggio: c' chi pensa ad Atenodoro di Tarso, discepolo di Posidonio, frequentatore a Roma della corte di Augusto (forse lo stesso che Seneca cita in Epist. 10, 5 come sua 81 fonte); viceversa potrebbe trattarsi dell'omonimo filosofo

22 Del clima di Taranto abbiamo testimonianza, per es., anche in Orazio, Carm. 2, 6. 23 t il passo 3, 1068, interno

alla sezione gi citata del poema lucreziano, ma la citazione fatta a memoria contiene un semper che nel testo manca: in letteratura latina quella per noi la prirria formulazione del topos diatribico della instabilit spirituale che si traduce nel frequente cambiamento di luogo. A questo Seneca stesso dedica una trattazione rivolta al discepolo Lucilio in 80

parte nutrire, ita uobis animum ad rerum ciuiliurn certamen parantibus in opere esse [non] longe pulcherrimuni est; nam cum utilem se efficere ciuibus mortalibusque propositum habeat, simul et exercetur et proficit qui in mediis se officiis posuit communia priuataque pro facultate 2 administrans.'Sedquiainhac'inquittaminsanahoniinum ambitione tot caluinniatoribus in deterius recta torquentibus parum tuta simplicitas est et plus futurum semper est quod obstet quam quod succedat, a foro quidem et publico recedenduin est, sed habet ubi se etiam in priuato laxe explicet magnus animus; nec ut leonum animaliumque impetus caucis coercetur, sic hominum, quorum maximae 3 in seducto actiones sunt. Ita tamen delituerit ut, ubicumque otium suum absconderit, prodesse uelit singulis uniuersisque ingenio uoce consilio; nec enim is solus rei publicac prodest qui candidatos extrahit et tuetur reos et de pace belloque censet, sed qui iuuentutem exhortatur, qui in tanta bonorum praeceptorum inopia uirtutem instillat animis, qui ad pecuniam luxuriamque cursu ruentis prensat ac retrabit et, si nihil aliud, certe moratur, in priuato 4 publicum negotiurn agit. An ille plus praestat qui inter peregrinos et ciues aut urbanus praetor adeuntibus adsesso-

dicati totalmente, cos per voi che preparate l'animo alla lotta politica di gran lunga la cosa preferibile darsi all'azione; infatti, avendo il proposito di rendersi utile ai cittadini e agli uomini in generale, si esercita e nello stesso tempo ne trae giovamento chi si immerso nelle occupazioni curando - in base alle sue possibilit - il pubblico e il privato. Ma poich diceva - in questa cos dissennata ambizione degli uomini, in presenza di tanti detrattori che distorcono in peggio le azioni oneste, la sincerit troppo poco sicura ed sempre pi probabile si verifichi un intoppo piuttosto che un successo, necessario ritirarsi dal foro e dalla vita pubblica, ma un animo grande anche in privato ha dove dar ampia prova di s; e per gli uomini non lo stesso che per i leoni e le bestie, la cui forza soffocata dalla cattivit: le loro azioni risultano anzi efficacissime nel ritiro .26 Tuttavia star nascosto cosi che, in qualunque luogo abbia tenuto celato il suo ritiro, voglia giovare ai singoli e alla collettivit con l'intelligenza, la parola, la saggezza; infatti non si rivela utile allo stato soltanto colui che promuove i candidati e difende gli accusati e decide della pace e della guerra, ma anche colui che esorta i giovani, che in tanta carenza di buoni insegnamenti instilla la virt negli animi, che sa bloccare e tirare indietro quelli che si gettano di corsa verso il denaro e il consumo sfrenato e, se non altro, almeno li trattiene, costui in privato svolge un compito di ordine pubblico. Ma fa forse di pi colui che tra i forestieri e i concittadini o in qualit di pretore urban021 a quanricoperto dal praetorperegrinus. Uassistente, o adsessor, una figura che compare, a quanto possiamo ricostruire dalle nostre testimonianze, in et imperiale, sotto Claudio: suo compito era quello di preparare la sentenza che il praetor avrebbe reso poi ufficiale, dandone lettura. Il senso del discorso senecano quello di rivendicare una funzione di primo piano al filosofo, colui che ha la capacit di spiegare l'essenza del diritto (e per estensione della vita), rispetto a chi viceversa non discute ma applica il diritto, cio rispetto al personaggio emblematicamente pubblico del pretore, scelto come esempio per il riconoscimento generalizzato della sua funzione civile: Seneca vuole far capire come chi ragiona sulla vita e cerca di interpretarne il senso svolge una funzione forse meno evidente, ma allo stesso modo (e forse pi) altamente civile. 83

Si affaccia qui l'idea del ritiro nel privato, a cui Seneca approder con piena convinzione teorica e avvicinandosi consapevolmente a posizioni epicuree nelle Epistulae ad Lucilium: nel De tranquillitate (probabile anello di congiunzione nella trilogia dedicata a Sereno tra il De constantia sapientis e il De otio, nel quale la convinzione si radicalizza) l'idea ancora quella di un ritiro che consenta all'uomo di svolgere una funzione attiva sulla collettivit, con l'esortazione e con l'insegnamento, come viene chiarito subito di seguito. 27 Il riferimento alla figura del praetor urbanus che era incaricato di amministrare la giustizia nelle questioni interne alla cittadinanza romana: analogo ruolo per le questioni tra chi aveva la cittadinanza romana e chi no era 82
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ris uerba pronuntiat quam qui quid sit iustitia, quid pietas, quid patientia, quid fortitudo, quid mortis contemptus, quid deorurn intellectus, quam gratuiturn bonum sit bona 5 conscientia? Ergo si tempus in studia conferas quod subduxeris officiis, non deserueris nec munus detrectaueris. Neque enim ille solus militat qui in acie stat ct cornu dextrum lacuumque defendit, sed <et> qui portas tuetur et statione minus periculosa, non otiosa tamen fungitur uigiliasque scruat et armamentario praeest; quae ministeria, quarnuis incruenta sint, in numerurn stipendiorurn ueniunt. 6 Si te ad studia rcuocaucris, omne uitae fastidium effugeris nec noctem fieri optabis taedio lucis, nec tibi grauis cris nee aliis superuacuus; multos in amicitiarn adtrahes adfluetque ad te optumus quisque. Numquarn enim quamuis obscura uirtus latet, sed mittit sui signa: quisquis dignus fuerit 7 uestigiis illarn colliget. Nam si omnem conuersationern tollimus et generi humano renuntiamus uiuimusque in nos tanturn conuersi, sequetur hanc solitudinern omni studio carentern inopia rerurn agendarum: incipiemus aedificia alia ponere, alia subuertere et mare summouere et aquas contra difficultatern locorurn educere et male dispensare 8 tempus quod nobis natura consumendurn dedit. AM parce illo utimur, alii prodige; alii sic inpendimus ut possimus rationem reddere, alii ut nullas habeamus reliquias, qua

ti gli si rivolgono pronuncia le parole di un assistente rispetto a chi dice che cosa sia la giustizia, che cosa il senso del dovere, che cosa la sopportazione, che cosa la forza d'animo, che cosa il disprezzo della morte, che cosa la nozione degli dei, che bene sicuro e incondizionato sia la buona coscienza? Dunque, se convertirai agli studi il tempo che avrai saputo sottrarre ai doveri pubblici, non avrai disertato n ti sarai sottratto al tuo servizio. Infatti non milita soltanto chi sul campo e difende l'ala destra e quella sinistra, ma anche chi sorveglia le porte e si vale di una postazione meno pericolosa, ma non certo oziosa e osserva i turni di guardia e ha la responsabilit dell'arsenale; i quali compiti, bench siano incruenti, sono nel novero dei servizi militari. Se saprai richiamarti agli studi, fuggirai ogni forma di fastidio della vita e
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non desidererai che venga la notte per noia della luce, non sa rai di peso a te stesso n di troppo per gli altri; attrarrai molti nella tua amicizia e tutti i migliori verranno da te. Infatti la virt non resta mai in incognito, per quanto nascosta, ma manda segni di s: chiunque ne sar degno, la recuperer dal le tracce. Infatti se elimmiamo ogni frequentazione degli altri e rinunciamo al genere umano e viviamo concentrati unica mente in noi stessi, far seguito a questo stato di solitudine priva di ogni interesse la mancanza di cose da fare: comince remo a costruire edifici e a distruggeme altri, e a sconvolgere il mare e a condurre corsi d'acqua contro le difficolt dei luo ghi e a distribuire male il tempo che la natura ci ha dato da impiegare.28 Alcuni di noi ne fanno uso con parsimonia, altri con prodigalit; alcuni di noi lo spendono in modo da poter ne rendere conto, altri in modo da non lasciarne alcun resi duo, cosa di cui niente pi vergognoso. Spesso una persona
ciare indietro il mare o viceversa di condurre le acque in luoghi impervi: l'immagine vanta una tradizione letteraria consolidata almeno a partire da Eschilo, che nei Persiani interpreta la sconfitta finale di Serse come punizione di un esempio di tale tracotanza l'aver messo il giogo all'Ellesponto (il ponte di zattere sullo stretto dei 85

28 Anche questo dell'operosit irriflessiva topos diatribico,


pi volte ogget to della polemica senecana. Nel discorso filtra anche, nuovamente, la con danna tradizionale del lusso e della dissennata ricerca 84

re nihil turpius est. Saepe grandis natu senex nullum aliud habet argumentum quo se probet diu uixisse praeter aetatem.' 4 Mihi, carissime Serene, nimis uidetur summisisse temporibus se Athenodorus, nimis cito refugisse. Nec ego negauerim aliquando cedendum, sed sensim, relato gradu et saluis signis, salua militari dignitate: sanctiores tutiores2 que sunt hostibus suis qui in fidem cum. armis ueniunt. Hoc puto uirtuti faciendum studiosoque uirtutis: si pracualebit fortuna et praccidet agendi facultatem, non statim auersus inermique fugiat latebras quaerens, quasi ullus locus sit quo non possit fortuna persequi, sed parcius se inferat officiis et cum dilectu inueniat aliquid in quo utilis ciuitati 3 sit. Militare non licet: honores petat. Priuato uuendum est: sit orator. Silentium. indictum est: tacita aduocatione ciues iuuet. Periculosum etiam ingressu forum. est: in domibus, in spectaculis, in conuiuiis bonum contubernalem, fidelem amicum, temperantem conuiuam agat. Officia 4 ciuis amisit: bominis exerceat. Ideo magno animo nos non unius urbis moenibus clusimus sed in totius orbis com mercium emisimus patriamque nobis mundum professi sumus, ut liceret latiorem uirtuti campum dare. Prae clusum tibi tribunal est et rostris prohiberis aut comitiis: respice post te quantum latissimarum regionum pateat,

molto anziana non ha nessun altro argomento con cui provare di essere vissuta a lungo se non l'et. [41 A me sembra, carissimo Sereno, che Atenodoro si sia piegato troppo ai tempi, si sia ritirato troppo presto. E io non sono qui a escludere che a un certo punto ci si debba ritirare, ma arretrando a poco a poco e con le insegne intatte, salvaguardando l'onore delle armi: risultano pi rispettati e pi sicun quanti si consegnano ai nerrtici con le armi in pugno. Questo ci che penso sia il compito della virt e di uno che ama la virt: se la sorte avr il sopravvento e recider la possibilit di agire, non si dia subito alla fuga volgendo le spalle e gettando le anni, cercando rifugio, quasi che esista davvero un luogo nel quale la sorte non possa raggiungerlo, ma si dedichi agli impegni pubblici con maggiore misura e scelga qualche occupazione in cui possa rendersi utile alla cittadinanza. Non gli permesso prestare servizo militare: si candidi a cariche pubbliche. Deve vivere da privato cittadino: faccia l'oratore. t costretto al silenzio: aiuti i cittadini con una assistenza legale tacita.29 Gli pericoloso anche l'ingresso nel foro: nelle case, agli spettacoli, durante i banchetti faccia il buon compagno, l'amico fidato, il convitato sobrio. Ha perduto gli incarichi del cittadino: svolga quelli dell'uomo. Per questo noi con animo grande non ci siamo voluti chiudere nelle mura di una sola citt, ma ci siamo aperti alla relazione con tutto il mondo e abbiamo affen-nato di avere il mondo come patria, perch fosse possibile offrire alla virt un campo pi vasto.10 Ti precluso il tribunale e ti vietata la frequentazione dei rostri o dei comizi;' I guarda dietro di te che ampia

29 Uadvocatus (o patronus, come regolarmente in et imperiale) svolgeva la


propria funzione legale durante i processi con un vero e proprio patrocinio o semplicemente assistendo l'amico con la presenza fisica, che comunque poteva - in base al prestigio - esercitare una qualche influenza sulla giuria. 30 una rivendicazione del cosmopolitismo stoico, non infrequente negli scritti senecani, che lascia trasparire nella formulazione un certo orgoglio, 86

soprattutto nell'enfasi con cui la prima persona plurale marcata dalla presenza del pronome. 31 Con tribunal si intendeva propriamente il palco spettante ai magistrati, i rostra erano invece le tribune destinate agli oratori e prendevano il nome dai rostri, appesi come trofeo, delle navi nemiche degli Anziati sconfitti nel 338 a.C.; i comitia erano le assemblee del popolo: l'esclusione da questi luoghi e occasioni pubblici vuole significare l'esclusione dalla vita politica nelle sue varie manifestazioni. 87

quantum populorum; numquam ita tibi magna pars 5 obstruetur ut non maior relinquatur. Sed uide ne totum istud tuum uitium sit; non uis enim nisi consul aut prytanis aut ceryx aut sufes administrare rem publicam. Quid si militare nolis nisi imperator aut tribunus? Etiam si alii primam frontem tenebunt, te sors inter triarios posuerit, inde uoce adhortatione exemplo animo milita: praecisis quoque manibus ille in proelio inuenit quod partibus conferat qui 6 stat tamen et clamore iuuat. Tale quiddam facias: si a prima te rei publicae parte fortuna summouerit, stes tamen et clamore iuues et, si quis fauces oppresserit, stes tamen et silentio iuues. Numquam inutilis est opera ciuis boni: auditus uisusque, uultu nutu obstinatione tacita incessuque 7 ipso prodest. Vt salutaria quaedam citra gustum tactumque odore proficiunt, ita uirtus utilitatem etiam ex longinquo et latens fundit. Siue spatiatur et se utitur suo iure, siue precarios habet excessus cogiturque uela contrahere, siue otiosa mutaque est et <in> angusto circumsaepta, siue adaperta, in quocumque habitu est, prodest. Quid tu 8 parum utile putas exemplum bene quiescentis? Longe itaque optimum est miscere otium rebus, quotiens actuosa uita inpedimentis fortuitis aut ciuitatis condicione prohibebitur; numquarn emm usque co interclusa sunt omma ut nulli actioni locus honestac sit.

estensione di vastissime terre e di popoli si apra; non ti sar mai preclusa una parte cos grande che una pi grande non ti sia lasciata. Ma fa' attenzione che tutto questo non sia un tuo difetto; infatti non vuoi amministrare lo stato se non da console o da pritano o da araldo o da suffete.11 Che dire se tu rifiutassi di combattere se non da generale o da tribuno? Anche se altri occuperanno la prima fila, e la sorte ti avr posto fra i triarii~33 combatti dunque con la voce, con l'esortazione, con l'esempio, con il coraggio: anche con le mani tagliate colui che tuttavia resiste e fa opera di sostegno con le grida trova nella battaglia modo di aiutare il suo partito. Fa' qualcosa di sin-file: se la sorte ti allontaner dalla posizione di primo piano nello stato, resisti tuttavia e fa' opera di sostegno con le grida e, se qualcuno ti chiuder la bocca, resisti tuttavia e fa' opera di sostegno col silenzio. Non mai inutile l'opera di un buon cittadino: ascoltato e visto, col volto col cenno con la tacita determinazione e con la stessa andatura aiuta. Come certe cose salutari giovano indipendentemente dal gusto e dal tatto con l'odore, cos la virt dispensa la sua utilit anche da lontano e di nascosto. Sia che possa spaziare e disporre di s a suo piacere, sia che abbia sbocchi incerti e sia costretta a contrarre le vele, sia che si trovi in ozio e muta e circoscritta in spazi ristretti, sia che abbia libert di espandersi, in qualsiasi condizione si trovi, giova. Ritieni forse non abbastanza utile l'esempio di chi vive bene stando appartato? Dunque di gran lunga la cosa migliore mescolare l'ozio alle occupazioni, ogni volta che verr preclusa la vita attiva da impedimenti occasionali o dalla situazione della citt; mai infatti sono a tal segno impedite tutte le possibilit che non ci sia spazio per alcuna azione onesta.

Il titolo di pritano, che poteva indicare genericamente chi ricopriva una magistratura superiore, aveva avuto un significato particolare nella Grecia arcaica e poi nell'Atene di Clistene, dove indicava uno dei rappresentanti della sezione speciale della Boul incaricata di preparare l'ordine del giorno. Gli araldi, gi presenti in epoca omerica come aiutanti dei re, conservarono
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anche in seguito in Grecia molto della loro originaria importanza, assistendo i magistrati nelle assemblee e nei tribunali. Quanto ai suffeti, essi erano i due magistrati supremi, di incarico annuale, di Cartagine. 33 Erano i soldati veterani, schierati in campo in terza fila, dietro gli hastati e 89

5 Numquid potes inuenire urbem miseriorem quam Atheniensium. fuit, cum illam triginta tyranni diuellerent? Mille trecentos ciues, optimum quenique, occiderant nec finem ideo faciebant, sed inritabat se ipsa saeuitia. In qua ciuitate erat Areos pagos, religiosissimum iudicium, in qua senatus populusque senatu similis, coibat cotidie carnificurn triste collegium et infelix curia tyrannis angustabatur: poteratne illa ciuitas conquiescere in qua tot tyranni crant quot <satis> satellites essent? Ne spes quidem ulla recipiendae libertatis animis poterat offerri, nec ulli remedio locus apparebat contra tantam uim malorum; unde enim miserae 2 ciuitati tot Harmodios? Socrates tamen in medio crat et lugentis patres consolabatur et desperantis de re publica, exhortabatur et diuitibus opes suas metuentibus exprobrabat seram periculosae auaritiae paenitentiam et imitari uolentibus magnum circumferebat exemplar, cum inter 3 triginta dominos fiber incederet. Hunc tamen Athenae ipsac in carcere occiderunt, et qui tuto insultauerat agmini tyrannorum, cius libertatem libertas non tulit: licet scias et in adflicta re publica esse occasionem sapienti uiro ad se proferendum et in florend ac beata f pecuniamt inuidiam, 4 mUle alia inertia uitia regnare. Vtcumque ergo se res publica dabit, utcumque fortuna permittet, ita aut ex-

[51 Puoi forse trovare una citt pi infelice di quanto lo fu quella degli Ateniesi, quando la dilaniavano i trenta tiranni?34 Avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non per questo si fermavano, ma era la stessa crudelt che si fomentava da sola. Nella citt in cui si trovava l'Areopago~31 il
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sacro dei tribunali, nella quale si trovavano un senato e un popolo simile al senato, si raccoglieva ogni giorno un tristo collegio di carnefici e la curia infelice si faceva stretta per i tiranni che la affollavano: avrebbe forse potuto vivere in tranquillit quella citt in cui c'erano tanti tiranni quanti avrebbero potuto essere gli sgherri? Non si poteva presentare agli ammi nemmeno un barlume di speranza di riacquistare la libert, n si profilava spazio ad alcun rimedio contro tanta violenza di mali; da dove infatti recuperare tanti Armodii36 per la povera citt? Eppure c'era Socrate e consolava i senatori affranti, esortava quanti disperavano della repubblica, ai ricchi che temevano a causa delle loro ricchezze rimproverava il tardivo pentimento di una cupidigia foriera di pericolo e a quanti erano desiderosi di imitarlo andava portando un grande esempio, col suo incedere libero fra i trenta dominatori. Tuttavia quest'uomo la stessa Atene lo uccise in carcere, e la Libert non toller la libert di colui che aveva sfidato la schiera compatta dei tiranni: sappi pure che anche in uno stato oppresso c' la possibilit per un uomo saggio di nianifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano la sfrontatezza37 l'invidia e mille altri vizi che rendono inerti. Dunque, comunque si presenter la repubblica, comunque lo permetter la sorte,
pi tirannica, avendo ucciso Ipparco, uno dei figli del tiranno Pisistrato, e provocato la fuga dell'altro, Ippia (510 a.C.), liberando cos la citt da una dominazione violenta e ingiusta. 37 Il testo dei codici corrotto: l'emendazione accolta dai pi quella, del Lipsio, di petulantiam (sfrontatezza) in luogo del trdito pecuniam, con cui si farebbe riferimento a un vizio ricordato anche in altre opere senecane, come opposto alla saggezza. Resta naturalmente un margine di dubbio: accanto a un sostantivo che non pu comunque essere pecunia, a me sembra che il senso dei testo renderebbe opportuna anche una specificazione temporale del tipo saepe, o altre simili, per meglio contestualizzare l'opposizione. 91

Nella lunga contesa per l'egemonia politica tra Sparta e Atene, questa la fase pi nefasta per Atene, seguita alla sconfitta nella battaglia di Egospotami (404 a.C.), e alla conseguente resa agli Spartani: emanazione della linea politica imposta da questi sulla grande rivale sconfitta, da sempre simbolo di un sistema di governo aperto rispetto alla rigidit del modello oligarchico spartano, la dominazione dei trenta tiranni fu segnata da una sequela di atrocit e violenze senza precedenti, che ne provocarono in breve la caduta. 35 Era l'antico tribunale ateniese competente dei processi per reati di empiet e che fungeva da suprema corte costituzionale. 36 Armodio ed Ari stogitone erano diventati un modello della ribellione anti34

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plicabimus nos aut contrahemus, utique mouebimus nec alligati metti torpebimus. Immo ille uir fuerit qui periculis undique imminentibus, armis circa et catenis frementibus, non adliserit uirtutem nec absconderit; non est enim. 5 seruare se obruere. <Vere>, ut opinor, Curius Dentatus aiebat malle esse se mortuum quam uiuere: ultimum malorum est e uiuorum numero exire antequam moriaris. Sed faciendum erit, si in rei publicae tempus minus tractabile incideris, ut plus otio ac litteris uindices, nec aliter quam in periculosa nauigatione subinde portum petas, nec expectes donec res te dimittant sed ab illis te ipse diiungas. 6 Inspicere autem debebimus primum. nosmet ipsos, deinde ea quae adgrediemur negotia, deinde cos quorum causa aut cum quibus. 2 Ante omnia necesse est se ipsum aestimare, quia fere plus nobis uidemur posse quam possumus: alius eloquentiac fiducia prolabitur, alius patrimonio suo plus imperauit quam ferre posset, alius infirmum corpus laborioso pressit officio. Quorundam parum idonea est ucrecundia rebus ciuilibus, quae firmam frontem desiderant; quorundam contumacia non facit ad aulam; quidam non habent irani in potestate et illos ad temeraria uerba quaelibet indignatio effert; quidam urbanitatem nesciunt continere nec periculosis abstinent salibus: omnibus his utilior negotio quies est; ferox inpatiensque natura inritamenta nociturae libertatis euitet.

Aestimanda sunt deinde ipsa quae adgredimur, et uires

cos o esplicheremo le nostre possibilit o le contrarremo, in ogni modo ci muoveremo e non ci intorpidiremo paralizzati nel timore. Anzi, sar davvero un uomo colui che, mentre incombono pericoli da tutte le parti, mentre intorno fremono armi e catene, non infranger la virt n la occulter; nascondersi infatti non significa salvarsi. A buon diritto, a quel che penso, Curio Dentatoll diceva di preferire la morte alla vita: l'estremo dei mali uscire dal novero dei vivi prima di morire. Ma, se ti sarai imbattuto in un periodo meno agevole della vita politica, dovrai fare in modo di rivendicare pi spazio per l'ozio e gli studi letterari, e da dirigerti immediatamente verso il porto non diversamente che in una navigazione pericolosa, non aspettando che sia la situazione ad allontanarti ma facendo in modo da separarti tu da essa, di tua volont. [6] Dovremo poi osservare attentamente dapprima noi stessi, poi i compiti che intendiamo intraprendere, poi coloro per i quali o con i quali intendiamo farlo. Prima di tutto necessario che uno valuti se stesso, perch a noi sembra di potere quasi pi di quello che possiamo: uno cade in rovina per fiducia nell'eloquenza, un altro ha chiesto al suo patrimonio pi di quanto potesse sostenere, un altro ha schiacciato il suo corpo debole con un compito gravoso. Il riserbo di alcuni poco si addice alla politica, che richiede sicurezza di atteggiamenti; la fierezza di altri non si corif alla vi~ ta di corte; alcuni non sanno governare la collera e una qualsiasi occasione di indignazione li trascina a parole temerarie; alcuni non sanno trattenere l'ironia e non si astengono da pericolose battute salaci: a tutti costoro la vita ritirata pi utile delle occupazioni pubbliche; una natura indomita e ribelle eviti le sollecitazioni di una franchezza destinata a nuocerle. In secondo luogo occorre valutare i compiti che intrapren-

Grande modello eroico della tradizione romana, Curio Dentato, che aveva iniziato la propria carriera politica come homo novus, il console che con una vittoria decisiva pose fine alle guerre coi Sanniti nel 290 a.C. e che sconfisse Pirro a Malevento-Berevento nel 275 a.C.
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nostrae cum rebus quas temptaturi sumus comparandac. Debet enim semper plus esse uirium in actore quam in opere: necesse est opprimant onera quae ferente maiora 4 sunt. Quaedam praeterea non tara magna sunt negotia quam fecunda multumque negotiorum ferunt: et haee refugienda sunt ex quibus noua occupatio multiplexque nascetur, nec accedendum co unde liber regressus non sit; iis admouenda manus est quorum finem aut facere aut certe sperare possis, relinquenda quae latius actu procedunt nec ubi proposueris desinunt. 7 Hominum utique dlectus habendus est, an digni sint quibus partem uitae nostrae inpendamus, an ad illos temporis nostri iactura perueniat; quidam enim ultro officia 2 nobis nostra inputant. Athenodorus ait ne ad cenam quidem se iturum ad cum qui sibi nil pro hoc debiturus sit. Puto intellegis multo minus ad cos iturum qui cum amicorum officiis paria mensa faciunt, qui fericula pro congiariis numerant, quasi in alienum honorem intemperantes sint: deme illis testes spectatoresque, non delectabit popina secreta. *Considerandum est utrum natura tua agendis rebus an otioso studio contemplationique aptior sit, et eo inclinandum quo te uis ingenii feret: Isocrates Ephorum. iniccta manu. a foro subduxit, utiliorem componendis monumentis historiarum ratus. Male enim respondent coacta ingenia; reluctante natura inritus labor est.* 3 Nihil tamen aeque oblectauerit animum quam amicitia fidelis et dulcis. Quantum bonum est ubi praeparata sunt pectora in quae tuto secretum omne descendat, quorum conscientiam minus quam tuam timeas, quorum sermo

diamo, e confrontare le nostre forze con le imprese che vogliamo tentare. Infatti devono esserci sempre pi forze nell'esecutore che nell'opera: inevitabile che schiaccino i pesi che sono maggiori di chi li sostiene. Inoltre alcuni compiti non sono tanto pesanti in s quanto fecondi e recano con s molti altri compiti: sono da evitare anche questi, dai quali scaturir un nuovo e multiforme impegno, e non bisogna accostarsi a un compito dal quale non sia facile ritirarsi; bisogna mettere mano a quelle faccende cui si pu porre una fine o di cui si pu almeno sperarla, tralasciare quelle che si spingono sempre pi in l con l'azione e non finiscono l dove ci si era proposti. [71 Bisogna comunque scegliere i destinatari, se sono degni che noi dedichiamo loro una parte della nostra vita, o se sono toccati dal sacrificio del nostro tempo; alcuni infatti ci ascrivono di loro iniziativa i nostri doveri. Atenodoro dice che non andrebbe nemmeno a cena da chi per questo non si sentisse per nulla in debito con lui. Comprendi - penso - che si recherebbe tanto meno da coloro che si sdebitano dei favori degli amici con un pranzo, che contano le portate come fossero donativi, quasi che fossero smodati in onore degli altri: togli a costoro testimoni e spettatori, non piacer loro gozzovigliare in segretezza. Devi riflettere 39 se la tua natura sia pi adatta all'attivit o a un ritiro dedito agli studi, e devi volgerti l dove ti condurranno le capacit del tuo ingegno: Isocrate port via dal foro con le sue stesse mani Eforo, giudicandolo pi idoneo a stilare memorie storiche. Infatti daranno cattiva risposta gli ingegni forzati; la fatica vana, se la natura vi rilutta. Nulla tuttavia delizier tanto l'animo quanto un'amicizia fedele e dolce. Che bene prezioso l'esistenza di cuori preparati ad accogliere in sicurezza ogni segreto, la cui coscienza tu debba temere meno della tua, le cui parole allevino

Il passo che inizia qui e termina a fine paragrafo con le parole labor est non sembra avere una collocazione appropriata a questo punto
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to sul testo, come il trasporlo tra le parole Ante omnia e necesse est se ipsum aestimare di 6, 2, o dopo pressit officio nello stesso 6, 2. Nessuna immune da costi, n tale da farli accettare senza ripensamenti. C' anche chi ritiene che il passo possa riprodurre una nota a margine poi 95

sollicitudinem leniat, sententia consilium expediat, hilaritas tristitiam dissipet, conspectus ipse delectet! Quos scilicct uacuos, quantum fieri poterit, a cupiditatibus eligemus; serpunt enim uitia et in proximum quenique transiliunt et 4 contactu nocent. Itaque ut [quod] in pestilentia curandum est ne correptis iam corporibus et morbo fiagrantibus adsideamus, quia pericula trahemus adflatuque ipso laborabimus, ita in amicorum legendis ingeniis dabimus operam ut quam minime inquinatos adsumamus: initium morbi est aegris sana miscere. Nec hoc praeceperim tibi, ut neminern nisi sapientem sequaris aut adtrahas. Vbi enim. istum inuenies quem tot saeculis quaerimus? Pro optimo 5 sit minime malus. Vix tibi esset facultas dilectus felicioris, si inter Platonas et Xenophontas et illum Socratici fetus prouentum bonos quaereres, aut si tibi potestas Catoniariae fieret aetatis, quae plerosque dignos tulit qui Catonis saeculo nascerentur (sicut multos peiores quam umquarn alias maximorumque molitores scelerum; utraque enim turba opus erat ut Cato posset intellegi: habere debuit et bonos quibus se adprobaret et malos in quibus uirn suam experiretur): nunc ucro in tanta bonorum egestate 6 minus fastidiosa fiat electio. Praecipue tamen uitentur tristes et omnia deplorantes, quibus nulla non causa in querellas piacet. Constet illi licet fides et beniuolentia, tranquillitati tamen inimicus est comes perturbatus et omnia gemens.

l'ansia, il cui parere renda pi facile una decisione, la cui contentezza dissipi la tristezza, la cui stessa vista faccia piacere! Questi li sceglieremo naturalmente liberi, per quanto sar possibile, da passioni; infatti i vizi serpeggiano e si trasmettono a chiunque sia pi vicino e nuocciono per contatto. Dunque, come in una pestilenza occorre badare a non sedersi accanto a chi gi stato aggredito ed divorato dal male, perch ne trarremo pericolo e lo stesso respiro ci far ammalare, cos nello scegliere gli amici faremo in modo di prendere quelli il meno possibile contaminati: l'inizio della malattia mescolare sano e malato. N vorrei consigliarti di non seguire o attrarre a te nessuno che non sia saggio. Dove troverai infatti costui che cerchiamo da tante generazioni? Valga per ottimo il meno cattivo.4o Difficilmente avresti la possibilit di una scelta pi felice, se tu cercassi i buoni tra i Platoni e i Senofonti e quella generazione di discepoli di Socrate, o se tu avessi la possibilit di scegliere nell'et catoniana, che vide numerosi uomini degni di nascere nella generazione di Catone41 (cos come molti peggiori di quelli mai nati in nessun'altra e promotori dei pi gravi crimini; infatti c'era bisogno dell'una e dell'altra schiera perch potesse essere compreso Catone: egli doveva avere sia i buoni da cui farsi approvare, sia i cattivi in mezzo ai quali far prova della sua forza): ora invece in tanta povert di buoni la scelta deve essere meno selettiva. Tuttavia si evitino soprattutto quanti sono malcontenti e si lagnano di tutto, per i quali non c' un solo motivo che non sia buono per lamentarsi. Se anche abbia fedelt e benevolenza accertate, tuttavia nernico della tranquillit un compagno profondamente turbato e che geme di tutto.

Il concetto della rarit del vero saggio, presente anche altrove in Seneca, sconfina nel territorio del sapere popolare: un passo vicino a questo in Orazio, Serm. 1, 3, 68 sgg. Nam vitiis nemo sine nascitur,- optimus ille est,1 qui minimis urgetur (Nessuno infatti nasce senza difetti; il migliore colui che afflitto dai pi piccoli). 41 Si tratta naturalmente di Marco Porcio Catone, pronipote del Censore, uo40

mo politico di spicco dell'ultima repubblica: fu detto l'Uticense perch mor suicida ad Utica nel 46 a.C. per sfuggire a ritorsioni dei cesariani, e divenne modello di martirio per la libert antitirannica. Per gli stoici egli era l'esempio per eccellenza del sapiens, che sa opporre alle crudeli forme di schiavit che la vita infligge all'uomo l'affermazione tragica della propria superiore indipendenza. 97

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8 Transeamus ad patrimonia, maximam humanarum aerimmarum. materiam; nam si omnia alia quibus angimur compares, mortes aegrotationes metus desideria dolorum laboruinque patientiam, cum iis quae nobis mala pecunia a nostra exhibet, haec pars multuni praegrauabit. Itaque cogitanduin est quanto leuior dolor sit non habere quam perdere: et intellegemus paupertati eo minorem tormentorum quo minorem damnorum esse materiam. Erras enim si putas animosius detrimenta diuites ferre: maximis 3 minimisque corporibus par est dolor uulneris. Bion eleganter ait non minus molestum esse caluis quam comatis pilos uelli. Idem scias licet de pauperibus locupletibusque, par illis esse tormentum; utrique enim pecunia sua obliaesit nec sine sensu reuell potest. Tolerabilius autem est, ut dixi, faciliusque non adquirere quam amittere, ideoque laetiores uidebis quos numquam fortuna respexit quam quos 4 deseruit. Vidit hoc Diogenes, uir ingentis animi, et effecit ne quid sibi eripi posset. Tu istud paupertatem inopiam egestatem uoca, quod uoles ignominiosurn securitati nomen npone: putabo hunc non esse felicem, si quem milii aliuni inueneris cui nihil pereat. Aut ego fallor aut regnum est inter auaros circumscriptores latrones plagiarios unum 5 esse cui noceri non possit. Si quis de felicitate Diogenis dubitat, potest idem dubitare et de deorum inmortalium

[8] Veniamo ai patrimoni, massimo motivo delle preoccupazioni umane; infatti, se confronti tutte gli altri mali per i quali ci angustiamo, morti, malattie, timori, rimpianti, sopportazione di dolori e fatiche, con quei mali che ci procura il nostro denaro, questa parte sar molto pi gravosa. Dunque, dobbiamo pensare quanto pi lieve dolore sia non avere che perdere: e comprenderemo che la povert ha tanto meno materia di sofferenze quanto minore ne ha di danni. Sei in errore infatti se ritieni che i ricchi sopportino le perdite con animo pi saldo: il dolore di una ferita uguale per i corpi pi grandi e per quelli pi piccoli. Bione42 disse con eleganza che farsi strappare i capelli non meno doloroso per i calvi che per chi calvo non . Puoi ritenere la stessa cosa per quanto riguarda i poveri e i ricchi, il loro tormento uguale; ad entrambi infatti il loro denaro sta attaccato n pu esser loro strappato senza che lo sentano. Inoltre pi sopportabile, come ho detto, e pi facile non acquistare che perdere, e perci vedrai pi felici coloro che mai la fortuna si voltata a guardare di quelli che ha abbandonato. Se ne avvide Diogene~43 uomo di grande animo, e fece in modo che nulla potesse essergli tolto. Tu chiama questo povert, miseria, indigenza, da' alla mancanza di preoccupazioni quel nome vergognoso che vorrai: penser che costui non sia felice, se mi saprai trovare qualcun altro che non perda nulla. 0 io mi sbaglio o essere re significa, tra avidi, circonventori, ladri, ricettatori di schiavi, essere il solo a cui non si possa nuocere. Se qualcuno mette in dubbio la felicit di Diogene, pu allo stesso modo dubitare anche della condizione degli dei immortali, se vivano poco
mente essenziale e duramente ascetico nella ricerca puntigliosa dell' autosufficienza. Per questo ci sono pervenuti numerosissimi aneddoti su di lui, che ce lo mostrano particolarmente sarcastico nei confronti della stoltezza degli uomini, bersaglio di molte delle sue frecce pungenti. Lesempio scelto da Seneca per introdurre il tema della felicit insita nella povert, tema a sua volta derivante dal motivo gi cinico e comunque tipico del sapere popolare che la ricchezza la prima fonte delle ansie dell'uomo. Va ricordato che per gli stoici la povert di per s non n un bene n un male: appartiene cio alla loro categoria degli indifferenti (tcpopa). 99

Bione di Boristene, filosofo cinico vissuto nel III sec. a.C., era considerato gi dagli antichi uno dei padri della diatriba. Sappiamo che i suoi insegnamenti affidati a prediche si trovavano anche in raccolte scritte. Era noto per il particolare piglio polemico, per la critica pungente contenuta nei suoi discorsi. La testimonianza di autori di morale quali Orazio e Seneca ci assicura della forza che il suo modello dovette esercitare nella cultura antica. 43 Diogene di Sinope, altro illustre rappresentante del cinismo, visse nel IV sec. a.C. ad Atene, poi a Cori rito. Il tratto che ha consacrato pi di tutti il personaggio alla storia l'ostentazione polemica di un modo di vita assoluta42

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statu. an parum beate degant quod illis nec praedia nec horti sint nec alieno colono rura pretiosa nec grande in foro fenus. Non te Pudet, quisquis diuitiis adstupes? Respice agedum mundum: nudos uidebis deos, omnia dantis, nihil habentis. Hune tu pauperem putas an dis inmortali6 bus similem qui se fortuitis omnibus exuit? Feliciorem tu Demetrium. Pompeianum uocas, quem non puduit locupletiorem esse Pompeio? Numerus illi cotidie seruorum uelut imperatori exercitus referebatur, cui iam dudurn 7 diuitiae esse debuerant duo uicarii et cella laxior. At Diogeni seruus unicus fugit nec eurn reducere, cum monstraretur, tanti putauit. 'Turpe est' inquit 'Manen sine Diogene posse uiuere, Diogenen sine Mane non posse.' Videtur mihi dixisse: 'age tuurn negotium, fortuna, nihil apud Diogenen iam tui est: fugit mihi seruus, immo liber abii.' 8 Familia petit uestiarium uictumque, tot uentres auidissimorum animalium tuendi sunt, emenda uestis et custodiendae rapacissimae manus et flentium detestantiunique ministeriis utendum: quanto ille felicior qui riihil ulli debct 9 nisi cui facillime negat, sibi! Sed quoniam non est nobis tantum roboris, angustanda certe sunt patrimonia, ut mmus ad iniurias fortunae simus expositi. Habiliora sunt corpora in bello quae in arma sua contrahi possunt quam quae superfunduntur et undique magnitudo sua uulneribus

felicemente per il fatto che non hanno n poderi n giardini n campi resi preziosi dal lavoro di coloni mercenari n grandi proventi dall'usura. Non ti vergogni di ammutofire, chiunque tu sia, davanti alle ricchezze? Guarda dunque l'universo: vedrai gli dei nudi, che dispensano tutte le cose, non possedendone nessuna. Giudichi tu povero o simile agli dei immortali chi si spogliato di tutti i beni legati alla sorte? Chiami forse pi felice Demetrio Pompeiano,44 che non si vergogn di essere pi ricco di Pompeo? A lui, per il quale gi avrebbero dovuto costituire ricchezze due schiavi vicari e una cella un po' pi grande, ogni giorno veniva rifatto l'elenco degli schiavi come a un generale quello delle truppe. A Diogene invece scapp via l'unico schiavo ed egli non ritenne cosa cos importante riportarlo indietro, mentre gli veniva mostrato. t vergognoso disse che Mane possa vivere senza Diogene, e Diogene senza Mane non possa. Mi sembra che abbia detto: Occupati dei tuoi affari, fortuna, ormai da Diogene non c' pi nulla di tuo: mi scappato lo schiavo, anzi me ne sono andato io, libero. 41 La servit chiede il vestiario e il vitto, occorre prendersi cura di tanti ventri di animali avidissimi, bisogna comprare la veste e sorvegliare mani rapacissime, e utilizzare i servigi di gente che piange e maledice: quanto pi felice colui che non deve nulla a nessuno, se non a chi pu rifiutare nel modo pi facile, a se stesso !46 Ma dal momento che non abbiamo tanta forza, almeno dobbiamo limitare i patrimoni, per esser meno esposti ai capricci della sorte. Sono pi adatti alla guerra i corpi che possono rannicchiarsi al riparo delle loro armi di quelli sovrabbondanti e che la loro stessa grandezza ha esposto da ogni parte

44 Liberto di Pompeo, proveniente da Gadara: la sua

raffigurazione fa pensare al modello principe della categoria dei liberti arricchiti, e cio al personaggio di Trimalchione nel Satyricon di Petronio: in particolare, l'elenco degli schiavi di propriet simile a quello delle truppe davanti a un generale ri-

chiama l'elenco dei beni di propriet che viene ostentatamente pronunciato davanti a Trimalchione in Sat. 53. 45 Aneddoto riportato da Diogene Laerzio 6, 55. 46 Soprattutto grazie alla collocazione del riflessivo in fine 101

obiecit: optimus pecuniac modus est qui nec in paupertatem cadit nec procul a paupertate discedit. 9 Placebit autem hacc nobis mensura, si prius parsimonia placuerit, sine qua nec ullae opes sufficiunt, nec ullae non satis patent, praesertim. cum in uicino remedium sit et possit ipsa paupertas in diuitias se aduocata frugalitate 2 conuertere. Adsuescamus a nobis remouere pomparn et usus reruni, non ornamenta metiri. Cibus famem domet, potio sitim, libido qua necesse est fluat; discamus membris nostris inniti, cultuin uictumque non ad noua exempla componere, sed ut maiorum mores suadent; discamus continentiam augerc, luxuriarn coercere, gloriam temperare, iracundiam lenire, paupertatem aequis oculis aspicere, frugalitatem colere tetiam si mulos pudebit ei plust, desideriis naturalibus paruo parata remedia adhibere, spes effrenatas et animuni in futura imminentem uelut sub uinculis habere, id agere ut diuitias a nobis potius quam 3 a fortuna petamus. Non potest umquarn tanta uarietas et iniquitas casuurn ita depelli ut non multuni procellarum inruat magna armamenta pandentibus; cogendae in artum res sunt ut tela in uanum. cadant, ideoque exilia interim. calamitatesque in remedium cessere et leuioribus incommodis grauiora sanata sunt. Vbi parum audit praccepta animus nec curari mollius potest, quidni consulatur ei, si pauper-

alle ferite: la migliore misura del denaro quella che n precipita in povert n si allontana molto dalla povert. [9] E a noi piacer questa misura, se prima ci sar piaciuta la parsimonia, senza la quale non ci sono ricchezze bastanti e con la quale invece tutte sono abbastanza estese~47 tanto pi che il rimedio vicino e la stessa povert pu, chiamata in aiuto la frugalit, tramutarsi in ricchezza. Abituiamoci a rimuovere da noi lo sfarzo e a misurare l'utilit, non gli ornamenti delle cose. Il cibo domi la fame, le bevande la sete, il piacere sia libero di espandersi entro i limiti necessari;48 iMpariamo a sostenerci sulle nostre membra, ad atteggiare il modo di vivere e le abitudini alimentari non alle nuove mode, ma come suggeriscono le tradizioni; impariamo ad aumentare la continenza, a contenere il lusso, a moderare la sete di gloria, a mitigare l'irascibilit, a guardare la povert con obiettivit, a coltivare la frugalit anche se molti se ne vergogneranno~49 ad apprestare per i desideri naturali rimedi preparati con poco, a tenere come in catene le speranze smodate e l'animo che si protende verso il futuro, a fare in modo di chiedere la ricchezza a noi piuttosto che alla sorte. Tanta variet e ingiustizia di accidenti non pu mai essere allontanata cos che molte tempeste non irrompano su chi dispiega vele ampie; bisogna restringere le nostre sostanze affinch gli strali della sorte cadano nel vuoto, e in questo modo talora gli esili e le calarnit si sono mutati in rimedi e i danni pi gravi sono stati sanati da quelli pi lievi. Laddove l'animo d poco ascolto ai consigli e non pu essere curato in modo pi dolce,

47 Si tratta di un passo controverso, che ha impegnato gli esegeti nella ricerca di dotare
di senso un testo dalla tradizione peraltro priva di varianti significative. La via pi convincente (Castiglioni) sembra quella di pensare che il testo condensi due concetti posti in antitesi tra loro grazie al tratto della assenza/presenza della parsimonia: su questa via, alcuni editori integrano un cum illa (cio con la parsimonia) nel secondo membro dell'antitesi. 48 Attraverso l'esempio di come controllare i tre bisogni fondamentali indicati si riconferma l'utilit della norma del vivere secondo natura, principio in qualche misura condiviso da tutte le scuole di pensiero postsocratiche attive a Roma. Per Seneca, si pu risalire all'insegnamento di Zenone e Cleante, 102

ma occorre ricordare anche Epicuro, il cui pensiero a questo proposito citato dallo stesso Seneca in forma di massima in Epist. 4, 10 Magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas (t una grande ricchezza una povert che si adegui alla legge della natura). 49 La lezione del codice A etiam si mulos pudebit ci plus, e non d senso. Alcuni editori espungono il segmento (tra essi Castiglioni nel 1960, e Reynolds si dice incline a questa soluzione), altri intervengono con congetture. La pi verosin-le tra queste appare quella risalente a Rossbach (accolta da Castiglioni nel 1968), etiam si multos pudebit eius, che ho seguito nella traduzione, scostandomi dal testo di Reynolds.

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tas et ignominia et rerum cuersio adhibetur, malo malum opponitur? Adsuescamus ergo cenare posse sine populo et seruis paucioribus seruire et uestes parare in quod inuentae sunt et habitare contractius. Non in cursu tantum circique certamine, sed in his spatiis uitae interius flectenduin est. 4 Studiorum quoque quae liberalissima inpensa est tam diu rationem habet quam diu modum. Quo innumerabiles libros et bybliothecas, quarum dominus uix tota uita indices perlegit? onerat discentem turba, non instruit, multoque satius est paucis te auctoribus tradere quani 5 errare per multos. Quadraginta milia librorum Alexandriae arserunt; pulcherrimum regiae opulentiac momimentuni alius laudauerit, sicut T. Liuius, qui elegantiac reguni curaeque egregiuni id opus ait fuisse: non fuit elegantia illud aut cura, sed studiosa luxuria, immo ne studiosa quidem, quoniam non in studium sed in spectaculuni comparaucrant, sicut plerisque ignaris etiam pueriliuni litterarum libri non studiorum instrumenta sed cenationum ornamenta sunt. Paretur itaque librorum quantum satis 6 sit, nihil in apparatum. 'Honestius' inquis 'hoc se inpensae quam in Corinthia pictasque tabulas effuderint.' Vitiosurn

non si provvede forse al suo bene, ricorrendo alla povert e alla privazione degli onori e al rovescio di fortuna, opponendo male a male? Abituiamoci dunque a essere capaci di cenare senza una folla e ad adattarci a un numero minore di servi e a farci apprestare vesti per lo scopo per cui sono state inventate e ad abitare in spazi p ristretti. Non soltanto nelle corse e nelle gare del circo, ma in questi spazi della vita occorre serrare il giro. Anche la spesa pi grandiosa per gli studi conserva un senso finch conserva una misura. A che scopo innumerevoli libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a stento arriva a leggere per intero i cataloghi? La massa di libri grava sulle spalle di chi deve imparare, non lo istruisce, ed molto meglio che tu ti affidi a pochi autori piuttosto che tu vada vagando attraverso molti.50 Ad Alessandria andarono in fiamme quarantamila libri;" altri loderebbe il magnifico monumento di opulenza regale, come Tito Livio, che ne parla come di un'opera insigne di stile e buona amministrazione dei re: non fu un fatto di stile o di buona amministrazione quello, ma un'esibizione di lusso per gli studi, anzi non per gli studi, dal momento che l'avevano apprestata non per lo studio ma per l'apparenza, cos come per molti ignari anche di sillabari per l'infanzia i libri non rappresentano strumenti di studio ma omamento delle sale da pranzo. Dunque ci si procurino libri nella quantit necessaria, non per rappresentanza. Pi dignitosamente dici tu i soldi se ne andranno per questo che per bronzi di Corinto52 e quadri. Ci che

50 Sul principio Senecatoma varie volte, specialmente nelle

Epistulae ad Lucilium (per es. 2, 3 distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis, quantum habueris, satis est habere, quantuni legas (la grande

quantit dei libri soffoca; dunque, poich non puoi leggere quanto avrai accumulato, sufficiente che tu abbia quanto effettivamente leggi). 51 L'episodio legato a una rappresaglia di Cesare ai danni della citt che era stata teatro di un'insurrezione contro di lui (48-7 a.C.): il fuoco appiccato alle navi che stringevano in assedio Cesare nel palazzo si sarebbe propagato a dei 104

Cassio Dione e Orosio, ed era presumibilmente gi in Livio: in questo caso non corrisponderebbe all'incendio di tutta la biblioteca dei Tolemei. Altri autori parlano invece di centinaia di migliaia di libri (quattrocentomila o settecentomila), che corrisponderebbero all'intero patrimonio librario del Museo. 52 Vasellame e statue in bronzo di Corinto godevano di grande prestigio nella Rorna imperiale anche come genere d'antiquariato, essendo cessata da tempo la loro produzione: Svetonio ci testimonia che Augusto aveva per essi una particolare passione, che gli procur un giomo anche una battuta irridente sull'iscrizione posta sotto una sua statua (Aug. 70: Pater argentarius, 105

est ubique quod nimium est. Quid habes cur ignoscas homini armaria <e> citro atque ebore captanti, corpora conquirenti aut ignotorum auctorum aut inprobatorum et inter tot milia librorum oscitanti, cui uoluminum. suorum 7 frontes maxime placent titulique? Apud desidiosissimos ergo uidebis quidquid orationum historiarumque est, tecto tenus exstructa loculamenta; iam enim inter balnearia et thermas bybliotheca quoque ut necessarium domus ornamentum expolitur. Ignoscerem plane, si studiorum nimia cupidine erraretur: nunc ista conquisita, cum imaginibus suis discripta [et] sacrorum opera ingeniorum in speciem et cultuni parietum comparantur. 10 At in aliquod genus uitae difficile incidisti et tibi ignoranti uel publica fortuna uel priuata laqueum inpegit quem nee soluere possis nec rumpere: cogita compeditos primo aegre ferre onera et inpedimenta crurum; deinde, ubi non indignari illa sed pati proposuerunt, necessitas fortiter ferre docct, consuetudo facile. Inuenies in quolibet genere uitae oblectamenta et remissiones et uoluptates, si uolueris 2 mala putare leuia potius quam inuidiosa facere. Nullo melius nomine de nobis natura meruit, quae, cum sciret quibus aerumnis nasceremur, calamitatium mollimentum consuetudinem inuenit, cito in familiaritatem grauissima adducens. Nemo duraret, si rerum aduersarum candem 3 umi adsiduitas haberet quam primus ictus. Omnes cum fortuna copulati sumus: aliorum aurea catena est, laxa, aliorum arta et sordida, sed quid refert? eadem. custodia uniuersos circumdedit alligatique sunt etiam qui alliga uerunt , nisi forte tu leuiorem in sinistra catenam putas. Alium honores, alium opes uinciunt; quosdarn nobilitas,

troppo sbagliato ovunque. Che motivo hai di giustificare un uomo che si procura librerie fatte di legno di cedro e di avorio, che va in cerca di raccolte di autori o ignoti o screditati e tra tante migliaia di libri sbadiglia, a cui dei suoi volumi piacciono soprattutto i frontespizi e i titoli? Dunque, a casa dei pi pigri vedrai tutte le orazioni e le opere storiografiche che esistono, scaffali che arrivano fino al soffitto; ormai infatti tra i bagni e le terme si tiene lustra anche la biblioteca come un ornamento necessario della casa. E lo potrei giustificare, certo, se si sbagliasse per troppa passione per gli studi: ora codeste opere di sacri ingegni ricercate e suddivise con i loro ritratti vengono procurate per abbellire e decorare le pareti. [10] Ma tu ti sei imbattuto in un tipo di vita difficile e la fortuna pubblica o la tua personale ti ha imposto a tua insaputa un laccio che non sei in grado di sciogliere n di rompere: pensa che gli schiavi in ceppi in un primo tempo mal sopportano i pesi e gli impedimenti delle gambe; quindi, una volta che si sono proposti di non indignarsi per essi, ma di sopportarli, la necesC

sit insegna loro a sopportarli con fermezza, l'abitudine con docilit. In qualsiasi genere di vita troverai divertimenti, distensioni e piaceri, se vorrai giudicare lievi i mali piuttosto di renderteli odiosi. A nessun titolo ci tratt meglio la natura che per questo: sapendo per quali sofferenze nasciamo, trov come lenimento delle disgrazie l'assuefazione, ponendoci subito in familiarit con le sventure pi gravi. Nessuno potrebbe resistere, se la continuit delle avversit conservasse la stessa violenza del primo colpo. Tutti siamo legati alla fortuna: la catena degli uni d'oro, lenta, quella di altri stretta e spregevole, ma che importa? La medesima custodia ha stretto tutti e si trovano legati anche quelli che hanno legato, a meno che tu non ritenga pi leggera una catena nella sinistra.-" Uno lo tengono avvinto gli onori, un altro il patrimonio; alcuni sono schiacciati dalla
Allusione al fatto che prigioniero e guardia erano legati da un'unica catena, che passava attomo al polso destro dell'uno e a quello sinistro dell'altro, come ammanettati.
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quosdarn humilitas premit; quibusdarn aliena supra caput imperia sunt, quibusdam sua; quosdam exilia uno loco tenent, quosdam sacerdotia: ominis uita seruitiurri est. 4 Adsuescendurn est itaque condicioni suae et quam minimum de illa querendum et quidquid habet circa se commodi adprendendum: nihil tam acerbum. est in quo non aequus animus solacium inueniat. Exiguae saepe arcae in multos usus discribentis arte patuerunt et quamuis angusturn pedem dispositio fecit habitabilem. Adhibe rationern difficultatibus: possunt et dura molliri et angusta laxari et 5 grauia scite ferentis minus premere. Non sunt praeterea cupiditates in longinqua mittendae, sed in uicinum illii egredi permittamus, quoniam includi ex toto noia patiuntur. Relictis iis quae aut non possunt fieri aut difficulter possunt, prope posita speique nostrae adludentia sequamur, sed sciamus omnia aeque leuia esse, extrinsecus diuersas facies habentia, introrsus pariter uana. Nec inuideamus altius stantibus: quae excelsa uidebantur praerupta sunt. 6 Illi rursus quos sors iniqua in ancipiti posuif tutiores erunt superbiam detrabendo rebus per se superbis et fortunam suam quam maxime poterunt in planum deferendo. Multi quidem sunt quibus necessario haerendum sit in fastigio suo, ex quo non possunt nisi cadendo descendere, sed hoc ipsum testentur maximurn onus suum esse quod aliis graues esse cogantur, nec subleuatos se sed suffixos; iustitia mansuetudine humanitate, larga et benigna manu

nobilt, alcuni dalla condizione umile; alcuni sono soggiogati dall'altrui potere, alcuni dal loro proprio; alcuni li confina in un unico luogo l'esilio, alcuni la carica religiosa:54 ogni vita una schiavit. Occorre dunque assuefarsi alla propria condizione e lamentarsi il meno possibile di essa e afferrare tutto ci di buono che ha intorno a s: non c' nulla di cos aspro in cui un animo obiettivo non sappia trovare un conforto. Spesso aree esigue si sogliono aprire a molti utilizzi per l'abilit di chi le dispone e una disposizione accorta suole rendere abitabile anche il pi piccolo spazio. Usa la ragione di fronte alle difficolt: le durezze possono addolcirsi, le strettoie allentarsi, le situazioni gravi opprimere di meno chi le sopporta con accortezza. 1 desideri non vanno indirizzati a obiettivi lontani, ma dobbiamo permettere loro uno sbocco vicino, dal momento che non sopportano di essere del tutto bloccati. Abbandonati quegli obiettivi che o non possono realizzarsi o lo possono con difficolt, perseguiamo mete situate vicino e che arridono alla nostra speranza, ma manteniamo la consapevolezza che tutte sono ugualmente inconsistenti, e all'esterno hanno aspetto diverso, mentre all'intemo sono parimenti vane. E non invidiamo quelli che stanno pi in alto: quelle che sembravano vette si sono rivelate dirupi. Per converso quelli che una sorte contraria ha posto in situazione incerta saranno maggiormente sicuri togliendo superbia a cose superbe di per s e cercando di portare il pi possibile in piano la loro situazione. Ci sono molti che per necessit devono tenersi attaccati al loro rango, dal quale non possono scendere se non cadendone, ma attestano che proprio questo il loro maggior onere, il fatto che sono costretti a essere di peso ad altri, e che non sono stati messi su un piedistallo ma ci sono stati inchiodati;" con giustizia, mitezza, benevolenza, con mano prodiga e generosa dovrebbero appre-

C'erano sacerdoti che, per esempio, non potevano lasciare la citt durante la notte (iflamines Diales), ma c'erano anche le Vestal che subivano per tutta la vita una condizione di segregazione. 55 Il pensiero che ricoprire una posizione di primo piano spesso si carica del
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peso di una condanna ricorre pi volte in Seneca, e condensa verosimilmen te il senso dell'esperienza autobiografica. Sufflxos varrebbe propriamente crocefissi, secondo una forma di supplizio comunemente inflitta in et imperiale. 109

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praeparent multa ad secundos casus praesidia, quorum spe securius pendeant. Nihil tamen aeque nos ab his animi fluctibus uindicaucrit quam semper aliquem incrementis terminum figere, nec fortunae arbitrium desinendi dare, sed ipsos multo quidem citra [exempla hortentur] consistere; sic et aliquae cupiditates animum acuent et finitac non in inmensum incertumque producent. 1 Ad inperfectos et mediocres et male sanos hic meus sermo pertinet, non ad sapientem. Huic non timide nec pedetemptim ambulandum est; tanta enim fiducia sui est ut obuiam fortunae ire non dubitet nec umquam loco ill cessurus sit. Nec habet ubi illam timeat, quia non mancipia tantum possessionesque et dignitatem sed corpus quoque suurn et oculos et manum et quidquid cariorem uitam facit seque ipsum inter precaria numerat uiuitque ut commo2 datus sibi et reposcentibus sine tristitia redditurus. Nec ideo uilis est sibi quia scit se suurn non esse, sed omnia tam diligenter faciet, tam circurnspecte quam religiosus homo sanctusque solet tueri fidei conunissa. Quandoque autem reddere iubebitur, non queretur cum fortuna sed dicet: 3 'gratias ago pro co quod possedi habuique. Magna quidem res tuas mercede colui, sed quia ita imperas, do, cedo gratus libensque. Si quid habere me tui uolueris etiamnunc, seruabo; si aliud placet, ego uero factum signaturrique argentum, domum familiamque meam reddo, restituo.' Appellauerit natura quae prior nobis credidit, et huic dicemus: 'recipe animurn meliorem quam dedisti; non

stare molte difese per i momenti favorevoli, alla speranza nei quali potrebbero attaccarsi con pi sicurezza. Nulla tuttavia ci sapr mettere al riparo da queste fluttuazioni dell'animo quanto fissare sempre un qualche termine ai nostri successi, e non concedere alla sorte l'arbitrio di smettere, ma fermarci noi stessi decisamente molto al di qua; in questo modo sia alcuni desideri stimoleranno l'animo sia, delimitati, non spingeranno verso l'infinito e l'incerto.56 [11] Questa mia chiacchierata si rivolge a uomini imperfetti, deboli e non ragionevoli, non a chi possiede la saggezza. Costui non deve camminare con incertezza n a piccoli passi; infatti ha tanta fiducia in s che non esita ad andare incontro alla sorte e non dovr mai cederle il passo. N ha ragione di temerla, perch non solo gli schiavi e i possedimenti e la posizione ma anche il suo corpo e gli occhi e la mano e tutto ci che rende pi cara la vita e persino se stesso annovera tra i beni fuggevoli e vive come se fosse stato affidato a se stesso in concessione e disposto a restituirsi senza malumore a chi lo reclamasse. E non per questo si ritiene poco importante - perch sa di non appartenersi - ma svolger tutti i suoi compiti con tanta diligenza, con tanta attenzione quanto un uomo coscienzioso e responsabile solito tutelare le cose rimesse alla sua coscienza. 57 E quando poi gli sar ingiunto di restituirle, non si lamenter con la sorte ma dir: Sono grato di ci che ho posseduto e ho avuto in uso. Ho curato le tue cose con grande profitto, ma poich cos stabilisci, ecco che te le do, cedo, grato e volentieri. Se vorrai che io tenga ancora ora qualcosa di tuo, lo conserver; se decidi diversamente, io allora argenteria, denaro, casa, servit ti rendo, ti restituisco.18 Poniamo che la natura reclarni le cose che per prima ci aveva affidato: noi le diremo: Riprenditi un animo migliore di 58 Nel contraddittorio con la natura il lessico impiegato attinge alla

56 Il pensiero, di derivazione aristotelica (Eth. Nic. 1, 2, 1) come

mostrano anche precise corrispondenze formali tra i due passi, potrebbe essere stato mediato da Seneca il Vecchio (Suas. 1, 9). 57 Gli aggettivi religiosus e sanctus e il sostantivofides entrano in un unico campo di significazione, dotato di una precisa identit letteraria, oltre che culturale, almeno a partire da Catullo. 110

formularit giuridica (le coppie in raddoppiamento enfatico del concetto do, cedo, reddo, restituo): il sapiens, proprio dalla sua consapevolezza delle leggi della natura, trova la forza di resistere agli attacchi di essa, con una dignit che a noi ricorda Leopardi.

tergiuersor nec refugio; paratum habes a uolente quod non 4 sentienti dedisti: aufer.' Reuerti unde ueneris quid graue est? male uiuet quisquis nesciet bene mori. Huic itaque primum rei pretium detrahendum est et spiritus inter uilia numerandus. Gladiatores, ut ait Cicero, inuisos habemus, si omni modo uitam inpetrare cupiunt; fauemus, si contemptum cius prae se ferunt. Idem euenire nobis scias; 5 saepe cnirn causa moriendi est timide mori. Fortuna illa, quae ludos sibi facit, 'quo' inquit 'te reseruem, malum et trepidum animal? Eo magis conuulneraberis et confodieris, quia nescis praebere iugulum; at tu et uiues diutius et morieris expeditius qui ferrum non subducta ceruice nec 6 manibus oppositis sed animose recipis.' Qui mortem timebit nihil umquarn pro homine uiuo faciet; at qui sciet hoc sibi cum conciperetur statim condictum, uiuet ad formulam et simul illud quoque codem animi robore praestabit, ne quid ex ns quae eueniunt subitum sit. Quidquid enim [si] fieri potest quasi futurum. sit prospiciendo malorum omnium impetus molliet, qui ad pracparatos expectantesque nihil adferunt noui, securis et beata tantum sperantibus graues 7 ueniunt. Morbus est, captiuitas ruina ignis: nihil horum repentinum est; sciebarn in quam tumultuosurn me contuber nium natura clusisset. Totiens in uicinia mea conclamatum est; totiens praeter limen inmaturas exequias fax cereusque

quello che mi hai dato; non sto a tergiversare o a rifiutarmi; ho pronto da darti spontaneamente ci che tu mi desti mentre ne ero inconsapevole: prenditelo. Che c' di grave a tornare da dove sei venuto? destinato a vivere male chi non sapr morire bene. Dunque occorre prima di tutto togliere valore a questa cosa e considerare la vita tra le cose di poco conto.19 Come dice Cicerone, ci sono insopportabili i gladiatori, se vogliono in ogni modo impetrare la grazia della vita; li applaudiamo, se ostentano il disprezzo di essa. Sappi che anche a noi accade la stessa cosa; spesso infatti causa di morte la paura di morire. Proprio la sorte, che ama scherzare, dice: A che scopo dovrei risparirtiarti, animale meschino e tremebondo? Tarito pi profondamente ti farai ferire e trapassare, perch non te la senti di porgere la gola; tu invece vivrai pi a lungo e morirai in maniera pi rapida, tu che aspetti la spada non sottraendo il collo n mettendo davanti le mani, ma con coraggio. Chi avr paura della morte non far mai nulla da uomo che vive; invece chi sapr che questa condizione stata stabilita subito nel momento in cui egli stato concepito, vivr secondo i patti e contemporaneamente con la stessa forza d'animo si prodigher, perch nulla delle cose che accadono sia improvvisa. Infatti guardando a tutto ci che pu avvenire come se fosse sul punto di realizzarsi, sapr attenuare la forza di tutte le disgrazie, che non portano niente di sorprendente a chi vi si preparato e se le aspetta, mentre giungono con tutto il loro peso su chi si sente sicuro e spera solo nelle cose favorevoli. Si tratta di una malattia, della prigionia, di un crollo, di un incendio: nulla di ci improvviso; sapevo in che albergo tumultuoso la natura mi aveva chiuso. Tante volte si sono levate grida di dolore nelle mie vicinanze; tante volte torce e ceri hanno preceduto oltre la soglia esequie immature; spesso

Essendo la morte posta dagli stoici tra gli indifferentia, anche la paura di essa va ridimensionata, e il modo pi semplice per farlo di ridimensionare prima di tutto il valore della vita: sul concetto Seneca torna anche nelle Epi59

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stulae.

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praccessit; saepe a latere ruentis aedificii fragor sonuit; multos ex iis quos forum curia sermo mecurn contraxerat nox abstulit et tiunctas sodalium. manus copulatast interscidit: mirer ad me aliquando pericula accessisse quac circa me semper errauerint? Magna pars hominum est 8 quac nauigatura de tempestate non cogitat. Numquam me in bona re mali pudebit auctoris. Publilius, tragicis comicisque uchementior ingeniis quotiens mimicas ineptias et uerba ad summam caueam spectantia reliquit, inter multa alia coturno, non tanturn sipario, fortiora et hoc ait: cuiuis potest accidere quod cuiquam potest. cuiuis potest accidere quod cuiquam potcst. Hoc si quis in medullas demiserit et omnia aliena mala, quorum ingens cotidie copia est, sic aspexerit tamquam liberum illis et ad se iter sit, multo ante se armabit quam petatur; sero animus ad periculorum patientiam post pericula instruitur. 'Non putaui hoc futurum' et 'umquam tu hoc cuenturum credidisses?' Quare autem non? Quae sunt diuitiae quas non egestas et fames et mendicitas a tergo sequatur? Quae dignitas cuius non praetextam et augurale et lora patricia sordes comitentur et exprobratio

mi risuonato accanto il fragore di un edificio che crollava; molti tra quelli che il foro la curia la conversazione aveva messo in relazione con me una notte li ha portati via ... 60: Mi dovrei meravigliare che una buona volta siano toccati a me i pericoli che mi sono sempre girati attorno? C' una grande parte dell'umanit che mentre si accinge a navigare non pensa alla tempesta. lo non mi vergogner mai di citare un cattivo autore in un caso felice. PubliliOl pi vigoroso dei talenti tragici e comici ogni volta che ha rinunciato alle sue buffonerie da mimo e alle parole dirette alle ultime file del pubblico, tra molte altre frasi di tono pi elevato di quello tragico, non solo di quello del mimo, disse anche questo: a chiunque pu capitare ci che pu capitare a qualcuno. Chi si sar impresso questo principio nel profondo dell'animo e guarder tutte le disgrazie altrui, delle quali tutti i giorni c' grande abbondanza, cos come se esse avessero la strada spianata anche verso di lui, si anner molto prima di venire assalito; troppo tardi si prepara l'animo a sopportare i pericoli dopo che questi si sono presentati. Non pensavo che sarebbe successo e avresti mai pensato tu che questo sarebbe accaduto? E perch no? Quali sono quelle ricchezze che non possono essere seguite da vicino dalla miseria e dalla fame e dall'indigenza?62 Quale carica pubblica di cui la toga pretesta, il bastone da augure e le cinghie patrizie non siano accompagnate dalla veste n-serabile, dal marchio del disonodia, e valeva metonimicamente per indicare il genere teatrale stesso, spesso in opposizione al soccus, la calzatura degli attori di commedia. 62 Il motivo dei rovesci di fortuna - che ben si comprende dovesse appartenere al bagaglio della filosofia diatribica, dove aveva dato origine a una topica molto ampia - conosceva anche uno sviluppo specificamente romano all'interno della tragedia, dunque del genere letterario di registro convenzionalmente pi alto. In questo ambito si innestava nella pi generale riflessione sul ruolo e le sorti del firanno, che com' noto rappresentava un nucleo tematico di grande rilievo nelle tragedie di Seneca, che sono per noi il documento pi significativo (poich l'unico non pervenutoci in frammenti) di tutto il teatro tragico in lingua latina. 115

60 Il testo corrotto, e il Reynolds rinuncia a congetture: volendo salvare

l'immagine delle strette di mani violentemente separate, occorre ipotizzare un soggetto, come Aa morte. 61 t Publilio Siro, autore di mimi vissuto nel I sec. a.C., vale a dire in un'epoca in cui la grande stagione del teatro romano era ormai finita e il pubblico trovava nel mimo e nelle farse buffonesche la forma di intrattenimento corrente. Seneca mostra un atteggiamento aperto nei confronti di questo autore, che critica per certi effetti di comicit grossolana, ma da cui si sente libero di estrarre sentenze che giudica efficaci, polemicamente contrapponendole all'artificio enfatico che doveva ormai contrassegnare molta della produzione tragica. Il cothurnus era la calzatura alta, tipica degli attori di trage114

notac et mille maculae et extrema contemptio? Quod regnum est cui non parata sit ruina et proculcatio et dominus et carnifex? Nec magnis ista interuallis diuisa, sed horac io momentum interest inter solium et aliena genua. Scito ergo omnern condicionern uersabilem esse et quidquid in ullurn incurrit posse in te quoque incurrere. Locuples es: numquid diuitior Pompeio? Cui cum Gaius, uetus cognatus, hospes nouus, aperuisset Caesaris domum ut suam cluderet, defuit panis, aqua. Cum tot flumina possideret in suo orientia, in suo cadentia, mendicauit stilicidia; fame ac siti periit in palatio cognati, dum illi heres publicum funus i i esurienti locat. Honoribus summis functus es: numquid aut tam magnis aut tam insperatis aut tam uniuersis quam Seianus? Quo die illum senatus deduxerat populus in frusta diuisit; in quern quidquid congeri poterat di hominesque contulerant, ex co nihil superfuit quod carnifex x2 traheret. Rex es: non ad Croesurn te mittam, qui rogurn suum et accendi uiuus et extingui uidit, factus non regno tantum, etiam morti suae superstes, non ad Iugurtham,

re61 e da mille macchie fino all'estremo disprezzo? Quale regno c' al quale non siano gi preparati la rovina e l'annientamento e l'oppressore e il boia? N queste cose sono separate da lunghi intervalli di tempo, ma intercorre un momento solo tra il trono e l'omaggio alle ginocchia altrui. Sappi dunque che ogni condizione rovesciabile e tutto ci che si abbatte su qualcuno pu abbattersi anche su di te. Sei ricco: forse pi ricco di Pompeo?64 Eppure a lui, quando Gaio, parente da tempo, ospite nuovo, ebbe aperto la casa di Cesare per chiudere la sua~65 mancarono il pane e l'acqua. Pur possedendo molti fiumi che nascevano sul suo territorio, che vi sfociavano, and mendicando qualche goccia d'acqua; mor di fame e di sete nel palazzo del parente, mentre a lui che soffriva la fame l'crede appaltava esequie pubbliche. Hai ricoperto le pi alte cariche onorifiche: forse tanto alte o tanto insperate o tanto totalizzanti quanto quelle di Seiano?66 Il giorno che il senato lo aveva scortato il popolo lo fece a pezzi; di colui sul quale gli dei e gli uomini avevano accumulato quanto era possibile accumulare, non rimase nulla che il carnefice potesse strappare. Sei re: non ti rimander a Creso,11 che dovette vedere da vivo il proprio rogo e accendersi e spegnersi, fatto superstite non solo al proprio regno, ma anche alla propria morte, non a Giugurta~68 che il popolo romano pot contem155 Domus ha qui la doppia valenza di casa materiale, residenza, e <~famiglia, stirpe, dinastia: Caligola, cio, sarebbe voluto diventare l'erede dei beni di Pompeo. 66 Sul personaggio di Seiano, prefetto del pretorio e poi di fatto plenipotenziario dell'imperatore Tiberio, soprattutto a partire dal ritiro di questi a Capri, possediamo un ritratto dettagliatamente infonnato e indimenticabile per caratterizzazione psicologica nelle pagine degli Annali di Tacito a lui dedicate (specie dal libro IV in poi). 67 L'episodio - avvenuto a seguito della sconfitta patita dai Lidi, di cui Creso era re, nel 546 a.C. ad opera di Ciro, re dei Persiani - risale a Erodoto 1, 86. 68 La guerra contro il re di Numidia Giugurta si protrasse con alteme vicende propriamente dal 111 al 109 a.C., ma fu preceduta da vari episodi di conflittualit anche negli anni precedenti: Seneca parla di 117 un anno solo perch nella topica retorizzata dei rovesci di fortuna occorre mettere in rilievo il rapido avvicendarsi delle sorti. Con spectavit si alluder allo

63 La toga pretesta, propria dei magistrati e dei giovani

nobili fino al raggiungirnento dell'et virile, era ornata da fregi di porpora; le cinghie alludono al tipo di calzari proprio dei senatori (da cui l'espressione idiomatica cambiarsi i calzari come segno dell'ammissione al rango senatorio): essi erano muniti appunto di cinghie in pelle che si legavano a met polpaccio. Con sordes si intendono verosimilmente le vesti dimesse imposte dal lutto (ma c' un caso in Sen., De ira 1, 2, 1 ove reorum... sordes indica la veste nera di chi era accusato), mentre l'exprobratio notae rappresenta il provvedimento di cancellazione dal novero dei senatori che seguiva la nota censoria. 64 Il personaggio un Sesto Pompeo, discendente di Pompeo Magno e imparentato con l'imperatore Caligola (Gaio) attraverso la nonna materna, che a sua volta era stata zia di Augusto. L'episodio a cui qui si allude, non altrove testimoniato, rientra nell'ampia aneddotica 116

quem populus Romanus intra annum quam. timucrat spectauit: Ptolemaeum Afficae regem, Armeniae Mithridaten inter Gaianas custodias uidimus; alter in exilium missus est, alter ut meliore fide mitteretur optabat. In tanta rerum susum ac deosum euntium uersatione si non quidquid fieri potest pro futuro habes, das in te uires rebus aduersis, quas infregit quisquis prior uidit. 12 Proximum ab his crit ne aut in superuacuis aut ex superuacuo laboremus, id est ne quae aut non possumus consequi concupiscamus aut adepti uanitatem cupidita tium nostrarum sero post multum sudorem intellegamus, id est ne aut labor inritus sit sine effectu aut effectus labore indignus; fere enim ex his tristitia sequitur, si aut non 2 successit aut successus pudet. Circumcidenda concursatio, qualis est magnac parti hominum domos et theatra et fora pererrantium: alienis se negotiis offerunt, semper aliquid agentibus similes. Horum si aliquem exeuntem e domo interrogaucris 'quo tu? quid cogitas?' respondebit tibi 'non mehercules scio; sed aliquos uidebo, aliquid agam.' 3 Sine proposito uagantur quaerentes negotia nec quae de stinaucrunt agunt sed in quae incucurrerunt; inconsultus illis uanusque cursus est, qualis formicis per arbusta repen tibus, quae in summum cacumen et inde in imum inanes aguntur: his plerique similem uitam agunt, quorum noq

plare a spettacolo entro l'anno in cui ne aveva avuto paura: vedemmo Tolemeo re dell'Africa~69 Mitridate re dell'Armenia70 tra le guardie di Gaio; l'uno venne mandato in esilio, l'altro si augurava di esservi mandato con migliore garanzia. In tanto profondo sconvolgimento di situazioni che volgono in alto e in basso, se non consideri come destinato a succedere tutto ci che pu succedere, dai forza contro te stesso alle avversit, che sogliono essere sconfitte da chi le vede prima. [12] Principio derivante da questi sar che non ci tormentiamo in preoccupazioni superflue o che derivano dal superfluo, cio o che non desideriamo le cose che non possiamo ottenere o che ottenuto quel che volevamo non comprendiamo troppo tardi dopo molta fatica la vanit dei nostri desideri, cio che non sprechiamo fatica vana senza risultato o che il risultato non sia degno della fatica; infatti da queste cose per lo pi scaturisce tristezza, se non c' stato successo o se ci si vergogna del successo ottenuto. Bisogna limitare l'andare in giro di qua e di l, che proprio di gran parte degli uomini che vagano per case per teatri e per fori: si offrono di occuparsi degli affari degli altri, sembra che abbiano sempre qualcosa da fare. Se chiederai a qualcuno di questi mentre esce di casa: Dove vai? che pensi?, ti risponder: Non lo so, per Ercole; ma vedr qualcuno, far qualcosa. Vanno vagando senza un proposito cercando occupazioni e non fanno le cose che avevano deciso ma quelle in cui si sono imbattuti; insensata e vana la loro corsa, quale quella delle formiche che si arrampicano su per gli alberi, che vanno su fino alla cima e poi di nuovo gi in basso senza frutto: in modo simile a queste conducono la loro vita molte persone, per le quali non senza motivo qualcuno parlerebbe di inoperosit
tenne prigioniero, e fu rimandato in patria da Claudio: qui, durante conflitti di potere di natura anche dinastica, malgrado in un primo tempo riuscisse ad avere la meglio sulle opposizioni interne, venne tradito dal prefetto della guarnigione romana e assassinato (Tacito, Ann. 11, 8-9 e 12, 44-47: nel cap. 47 si allude alla rovina di lui come ad un esempio di rovescio di fortuna -fortunae commutatio - di cui molti avevano compassione).

69 Si tratta del Tolerneo figlio del re Giuba Il e di Cleopatra Selene, figlia di


Marco Antonio: della sua uccisione ordinata da Caligola, dopo che egli stes so lo aveva invitato a Roma, ci informa Svetonio, Cal. 35 (cfr. anche Dione Cassio 59, 25, 1). 70 Mitridate d'Armenia venne chiamato a Roma da Caligola, che poi lo trat-

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4 innierito quis inquietam inertiam dixerit. Quorundam quasi ad incendium currentium miscreberis: usque eo inpellunt obuios et se aliosque praccipitant, cum interim cucurrerunt aut salutaturi aliquem non resalutaturuni aut fumis ignoti hominis prosecuturi aut ad iudicium saepe litigantis aut ad sponsalia saepe nubentis et lecticam adsectati quibusdam locis etiam tulerunt; dein domum cum superuacua redeuntes lassitudine iurant nescire se ipsos quare exierint, ubi fucrint, postero die erraturi per cadem 5 illa uestigia. Omnis itaque labor aliquo referatur, aliquo respiciat. Non industria inquietos sed insanos falsae rerum imagines agitant; nam ne illi quidem sine aliqua spe mouentur: proritat illos alicuius rei species, cuius uanitatem capta 6 mens non coarguit. Eodem modo unumquemque ex his qui ad augendam turbam exeunt inanes et lcues causac per urbem circumducunt; nihilque habentem in quod laboret lux orta expellit et, cum multorum frustra liminibus inlisus nomenculatores persalutauit, a multis exclusus neminern ex omnibus difficilius domi quam se conuenit. 7 Ex hoc malo dependet illud taeterrimum uitium, auscultatio et publicorum secretorumque inquisitio et multarum rerum scientia quae nec tuto narrantur nec tuto audiuntur. 13 Hoc secutum puto Democritum ita coepisse: 'qui tranquille uolet uiuere nec priuatim agat multa nec publice', ad superuacua scilicct referentem. Nam si necessaria sunt,

inquieta." Commisererai alcuni quasi che stessero correndo verso un incendio: tanto spingono quelli che si parano loro davanti e travolgono s e altri, mentre sono corsi o a salutare qualcuno che non ricambier il loro saluto o a seguire il funerale di un uomo ignoto o al processo di uno che spesso in contesa o alle nozze di una che si sposa spesso e, dopo aver seguito la lettiga, in alcuni luoghi l'hanno persino portata; quindi, tornando a casa con la loro stanchezza inutile, giurano che non sanno loro stessi perch sono usciti, dove siano stati, gi pronti il giorno dopo a girovagare su quegli stessi passi. Dunque ogni fatica deve riferirsi a qualche scopo, deve riguardare qualche scopo. Non l'operosit che li agita rendendoli inquieti, ma sono le false immagini delle cose che li agitano come pazzi; infatti nemmeno i pazzi si muovono senza una qualche speranza: li attrae l'aspetto di una cosa, la cui inconsistenza la mente, presa nel suo delirio, non riuscita a cogliere. Allo stesso modo ognuno di costoro che escono senza scopo per ingrandire la folla viene condotto in giro qua e l da motivi futili; non avendo niente a cui applicarsi, il sorgere della luce lo caccia fuori e, dopo che, calcate invano le soglie di molti, ha salutato i nomenclatori, da molti lasciato fuori, a casa non si incontra con nessuno, tra tutti, con pi difficolt che con se stesso. Da questo male deriva quel vizio tristissimo, l'origliare e il curiosare tra gli affari pubblici e privati e il venire a conoscenza di molte cose che n si raccontano n si ascoltano senza rischi.72 [13] lo penso che seguendo quest'idea Democrito abbia iniziato cos: Chi intender vivere nella tranquillit non faccia molte cose n privatamente n pubblicamente~73 chiaramente riferendosi alle cose superflue. Infatti, se sono necessa-

71 Per la iunetura inquieta inertia cfr. sopra, n. 19. Uintero passo rielabora-

zione del topos diatribico della levitas come opposto della tranquillitas, la meta del saggio: la descrizione caricaturale degli affaccendati, che consumano affannosamente il loro tempo in quelle che per Seneca sono le futilit della vita sociale, ha molti tratti comuni con De brev. 14, 3-5. 72 L'accenno riflette la realt della vita nella Roma imperiale, dove sapere troppo poteva rappresentare un rischio concreto per l'incolumit personale. 120

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Sarebbe suggestivo che questo fosse davvero l'inizio del rIep d~u~tiag di Democrito, anche se non detto che dietro ita coepisse debba esserci un' informazione tecnica sull'inizio del trattato. La citazione senecana comunque molto vicina alla letteralit del testo di un frammento di Democrito, il B 3 D.K., che poi prosegue con l'affermare la necessit di non assumersi compiti superiori alle proprie forze, concetto anche altrove fatto proprio da Seneca. 121

et priuatim et publice non tantuni multa sed innumerabilia agenda sunt; ubi uero nulluni officiuni sollemne nos citat, 2 inhibendae actiones. Nam qui multa agit saepc fortunac pote.statern sui facit, quani tutissimuni est raro experiri, ceterum semper de illa cogitare et nihil sibi de fide cius promittere 'nauigabo, nisi si quid inciderit' et 'praetor fiam, nisi si quid obstiterit' et 'negotiatio mihi respondebit, msi si quid interuenerit'. Hoc est quare sapienti nihil contra opinionem dicamus accidere: non fflum casibus hominum excerpimus sed erroribus nec illi omnia ut uoluit cedunt, sed ut cogitauit; in primis autem cogitauit aliquid posse propositis suis resistere. Necesse est autem leuius ad animum peruenire destitutae cupiditatis dolorem cui successum non utique promiseris. 14 Faciles etiani nos facere debemus, ne nimis destinatis rebus indulgeamus, transeamusque in ca in quae nos casus deduxerit nec mutationeni aut consili aut status pertimescamus, dummodo nos leuitas, inimicissimurn quieti uitium, non excipiat. Nam et pertinacia necesse est anxia et misera sit, cui fortuna saepe aliquid extorquet, et leuitas multo grauior misquani se continens. Vtrumque infestum est tranquillitati, et nihil mutare posse et nihil !a pati. Vtique animus ab omnibus externis in se reuocandus est: sibi confidat, se gaudeat, sua suspiciat, recedat quan tum potest ab alienis et se sibi adplicet, danma non sentiat, 3 etiani aduersa benigne interpretetur. Nuntiato naufragio

rie, si devono fare sia privatamente che pubblicamente non solo molte ma innumerevoli cose, ma laddove nessun compito importante ci spinga, va saputo contenere l'agire. Infatti chi fa molte cose spesso d potere su di s alla sorte, che norma del tutto sicura sperimentare di rado, mentre per il resto occorre sempre riflettere su di essa e non ripromettersi nulla sulla sua affidabilit: Navigher, a meno che non capiti qualche incidente e Diventer pretore, a meno che non si frapponga un qualche ostacolo e Mi riuscir l'affare, a meno che non intervenga qualcosa. Questo il motivo per cui diremmo che all'uomo saggio non accade niente di inaspettato: non lo abbiamo esentato dalle vicende umane, ma dagli errori, n a lui capitano tutte le cose come le ha volute, ma come le ha pensate; e prima di tutto egli ha pensato che qualcosa potesse far resistenza ai suoi propositi. t poi d'obbligo che il dolore di un piacere deluso arrivi in forma attenuata all'animo al quale non stata promessa comunque la riuscita. [14] Dobbiamo anche rendere noi stessi disponibili a non indulgere a un'eccessiva programmazione delle cose, a rivolgerci a quelle nelle quali ci avr fatto imbattere il caso e a non temere n un cambiamento di programma n di condizione, a patto che non finiamo preda della volubilit, difetto nemicissimo della quiete interiore. Infatti sia inevitabile che l'eccessivo attaccamento sia fonte di ansie e di infelicit, poich spesso la sorte gli strappa qualcosa, sia molto pi grave la volubilit che non sa contenersi in nessun luogo. Uuno e l'altro difetto sono nocivi per la tranquillit, non poter mutare nulla e non sopportare nulla. In ogni modo l'animo va richiamato da tutte le sollecitazioni esterne a se stesso: si affidi a se stesso, gioisca di s, rivolga lo sguardo a se stesso, si ritiri quanto pu dalle cose degli altri e si applichi a s, non patisca i danni, interpreti favorevolmente anche le avversit.74 Alla 74 t l'ideale dell'autrkeia del saggio, che per Seneca si traduce nel rag-

giungimento di una sostanziale autosufficienza interiore, in cui il rifugiarsi in s diventa condizione talvolta necessaria al perfezionarnento interiore.

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Zenon noster, cum omnia sua audiret submersa, 'iubet' inquit 'me fortuna expeditius philosophari.' Minabatur Theodoro philosopho tyrannus mortem et quidem insepul tam: 'habes' inquit 'cur tibi placeas, hemina sangunis in tua potestate est; nam quod ad sepulturam pertinet, o te ineptum, si putas mea interesse supra terram an infra 4 putrescam.' Canus lulius, uir in primis magnus, cuius admirationi ne hoc quidem obstat quod nostro sacculo natus est, cum Gaio diu altercatus, postquam abeunti Phalaris ille dixit 'ne forte inepta spe tibi blandiaris, duci 5 te ussi', 'gratias' inquit 'ago, optime princeps.' Quid sen serit dubito; multa enim mihi occurrunt. Contumeliosus esse uoluit et ostendere quanta crudelitas esset in qua mors beneficium erat? An exprobrauit illi cotidianam de mentiam?-agebant enim gratias et quorum liberi occisi et quorum bona ablata erant. An tamquarn libertatem libenter accepit? Quidquid est, magno animo respondit. 6 Dicet aliquis 'potuit post hoc iubere illum Gaius uiucre.' Non timuit hoc Canus; nota erat Gai in talibus imperiis fides. Credisne illum decem medios usque ad supplicium dies sne ulla sollicitudine exegisse? Verisinffle non est quae

notizia del naufragio il nostro Zenone ~75 venendo a sapere che erano andati sommersi tutti i suoi averi, disse: La fortuna mi impone di dedicanni pi agevolmente alla filosofia. Un tiranno minacciava di morte il filosofo Teodoro76 e per di pi di negargli la sepoltura: questi gli disse: Hai di che compiacerti con te stesso, in tuo potere un mezzo litro di sangue; infatti per quanto riguarda la sepoltura, povero te se pensi che mi interessi l'imputridire sopra o sotto terra. Giulio Cano ~77 uomo tra i primi per grandezza, all'ammirazione del quale non si oppone neppure il fatto di essere nato nel nostro secolo, avendo a lungo discusso con Gaio, dopo che quel famoso Falaride gli disse, mentre se ne andava: Perch per caso tu non ti faccia allettare da una vana speranza, ho dato ordine che tu sia accompagnato al supplizio, rispose: Ti ringrazio, ottimo principe. Non so che cosa abbia pensato; infatti mi vengono in mente molte ipotesi. Volle essere offensivo e mostrare quanto grande fosse la crudelt in cui la morte rappresentava un beneficio? Oppure gli rimprover la follia quotidiana? - infatti rendevano grazie sia coloro i cui figli erano stati uccisi, sia coloro i cui beni erano stati portati via. 0 accolse l'annuncio volentieri come se si trattasse della libert? Qualsiasi sia la soluzione, diede una risposta coraggiosa. Qualcuno dir: Dopo questo, Gaio avrebbe potuto dare ordine che fosse lasciato in vita. Cano non ebbe paura di questo; era nota la affidabilit di Gaio in tali ordini. Credi forse che egli abbia trascorso i dieci giorni che mancavano al supplizio senza alcuna occupazione? t incredibile che cosa riusc a dipiet e il bando dalla citt di Atene, che lo costrinse a ritornare a Cirene dove fond una scuola di filosofia. L'episodio qui ricordato si trova anche in Cicerone (Tusc. 1, 102) e il tiranno di cui si parla Lisimaco. 77 L'episodio, che ha un'ampiezza inusuale rispetto alla funzione di exemplum, entra a far parte di una tipologia di racconto che si diffonde in et imperiale, quella della morte eroica (spesso per suicidio) di uomini illustri, che trovavano nella filosofia stoica il miglior conforto alla loro estrema resistenza al potere tirannico. Gaio naturalmente Caligola, che viene assimilato al ben noto tiranno Falaride di 125

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qualificare i filosofi stoici, indipendentemente dal grado di adesione all'ortodossia della dottrina. Nell'episodio cui si allude (riportato anche da Diogene Laerzio, 7, 4 sg.), il naufragio quello di una nave da carico che trasportava merce in cui il filosofo aveva investito il suo denaro. 76 t Teodoro di Cirene, detto l'Ateo, contemporaneo di Socrate: fu per un certo tempo ad Atene dove fece conoscere la scuola cirenaica e godette del 124

Noster aggettivo che Seneca utilizza volentieri per

uir ille dixerit, quae fecerit, quam in tranquillo fuerit. 7 Ludebat latrunculis, cum centurio agmen periturorum trahens illum quoque excitari iuberet. Vocatus numerauit calculos et sodali suo 'uide' inquit 'ne post mortem meam mentiaris te uicisse'; tum annuens centurioni 'testis' inquit ceris uno me antecedere.' Lusisse tu Canum illa tabula 8 putas? inlusit. Tristes erant amici talem amissuri uirum: 'quid maesti' inquit 'estis? Vos quaeritis an inniortales animac sint: ego iam sciam.' Nec desiit ucritatem in ipso 9 fine scrutari et ex morte sua quaestionern habere. Prosequebatur illum philosophus suus nec iam procul erat tumulus in quo Caesari deo nostro fiebat cotidianum sacrum: is 'quid,' inquit 'Cane, nunc cogitas? aut quae tibi mens est?' 'Obscruare' inquit Canus 'proposui illo uelocissimo momento an sensurus sit animus exire se', promisitque, si quid explorasset, circumiturum amicos et indicaturum io quis esset animarum status. Ecce in media temPestate tranquillitas, ecce animus aeternitate dignus, qui fatum suum in argumentum ueri uocat, qui in ultimo illo gradu positus exeuntem animam percontatur nec usque ad mortem tantum sed aliquid etiam ex ipsa morte discit: nemo diutius philosophatus est. Non raptim relinquetur magnus uir et cum cura dicendus: dabimus te in onmem memoriam, clarissimum caput, Gaianae cladis magna portio. 15 Sed nihil prodest priuatae tristitiac causas abiecisse; occupat enim nonnumquam odium generis humani. Cum cogitaucris quam sit rara simplicitas et quam ignota in nocentia et uix umquam nisi cum expedit fides et occurrit tot scelerum felicium turba et libidinis lucra danmaque pariter inuisa et ambitio usque eo iam se suis non continens

re quell'uomo, che cosa riusc a fare, quanto tranquillamente sia vissuto. Giocava a dama, mentre il centurione che trascinava la schiera dei condannati a morte gli ordin di seguirlo. Chiamato, cont i sassolini e al suo compagno disse: Bada dopo la mia morte di non mentire, dicendo che hai vinto; poi, facendo segno al centurione, disse: Sarai testimone che vincevo io di una mossa. Pensi tu che Cano con quella scacchiera abbia davvero giocato? Si prese gioco. Erano tristi gli amici che sapevano di perdere un tale amico: Perch siete tristi? disse. Voi vi chiedete se le anime siano immortali: io lo sapr tra poco. E non smise di scrutare la verit nemmeno alla fine e di fare della sua morte un argomento di discussione. Lo accompagnava il suo filosofo e ormai non era lontano il tumulo sul quale tutti i giorni si svolgeva un sacrificio in onore del nostro dio Cesare: egli disse: Che pensi ora, Cano? o che intenzione hai? Mi sono proposto, disse Cano, di osservare in quel momento fuggevole se l'animo avr la sensazione di uscir fuori e promise, se avesse sperimentato qualcosa, che avrebbe fatto il giro degli amici e avrebbe loro indicato quale fosse lo stato delle anime. Ecco la tranquillit nel mezzo della tempesta, ecco l'animo degno dell'etemit, che chiama la sua morte a testimonianza del vero, che collocato su quell'ultimo fatale gradino interroga la sua anima mentre questa esce dal corpo e si mette a imparare non solo fino alla morte ma qualcosa anche dalla stessa morte: nessuno ha filosofato pi a lungo. Non dimenticheremo frettolosamente un grand'uomo e ne dovremo parlare con cura: ti consegneremo alla memoria di tutti i tempi, o uomo insigne, tu parte cos importante della strage di Gaio. [15] Ma non giova per nulla rimuovere le cause del dolore privato; infatti ci prende talvolta l'odio per il genere umano. Quando avrai pensato quanto sia rara la franchezza e quanto sconosciuta l'innocenza e come la 1 ealt non si trovi se non quando conviene, e vengono in mente la massa di tanti crimini felici e guadagni e perdite derivanti dal piacere parimenti insopportabili, e l'ambizione che ormai fino a tal punto non si 127

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terminis ut per turpitudinem. splendeat, agitur animus in noctem et uclut cuersis uirtutibus, quas nec sperare licet 2 nec habere prodest, tenebrae oboriuntur. In hoc itaque flectendi sumus, ut omnia uulgi uitia non inuisa nobis sed ridicula uideantur et Democritum potius imitemur quam Heracltum. Hic enim, quotiens in publicum processerat, flebat, ille ridebat, huic omnia quae agimus miseriae, illi ineptiae udebantur. Elcuanda ergo omnia et facili animo ferenda: humanius est deridere uitam quam deplorare. 3 Adice quod de humano quoque genere melius meretur qui ridet illud quam qui luget: ille ci spei bonae aliquid relinquit, hic autem stulte deflet quae corrigi posse desperat; et uniuersa contemplanti maioris animi est qui risum non tenet quam qui lacrimas, quando lenissimurn adfectum animi mouet et nihil magnum, nihil seuerum, ne miserum 4 quidem ex tanto paratu putat. Singula propter quae laeti ac tristes sumus sibi quisque proponat et sciet uerum esse quod Bion dixit, omnia hominum. negotia simillima initiis esse nec uitam illoruin magis sanctani aut seucrain esse 5 quam conceptum, <in nihilum redigi ex> nihilo natos. Sed satius est publicos mores et humana uitia placide accipere nec in risum nec in lacrimas excidentem; nain alienis malis torqueri aeterna miseria est, alienis delectari malis uoluptas inhumana, sicut illa inutilis humanitas fiere, quia aliquis 6 filium. efferat, et frontem. suam fingere. In suis quoque malis ita gerere se oportet ut dolori tantum des quantum <natura>

contiene nei suoi limiti che splende attraverso la vergogna, l'animo spinto nella notte e come fossero stati sconvolti i valori, che n lecito sperare n conviene avere, spuntano le tenebre. A questo dunque dobbiamo rivolgerci, a che tutti i vizi della gente ci sembrino non odiosi ma ridicoli ed ad imitare piuttosto Democrito che Eraclito. Costui infatti, ogni volta che era stato in pubblico piangeva, quello invece rideva, a costui tutto ci che facciamo sembravano disgrazie, a quello sciocchezze. Occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e sopportarla con animo indulgente: pi degno di un uomo ridere della vita che piangeme. Aggiungi che acquista meriti maggiori per il genere umano chi ride piuttosto che chi piange: quello lascia ad esso una qualche speranza, costui invece piange stoltamente delle cose che dispera possano essere corrette; e per chi contempla le cose nel loro insieme di animo pi forte chi non trattiene il riso di chi non trattiene le lacrime, dal momento che suscita un'emozione piacevolissima e in mezzo a tanto apparato non ritiene nulla grande, nulla serio, nemmeno misero. Ciascuno si ponga davanti agli occhi ad una ad una le cose per le quali siamo lieti e tristi e sapr che vero ci che disse Bione~78 che tutte le cose che riguardano gli uomini sono del tutto simili a inizi e che la loro vita non e pi sacra o seria del loro concepimento, e che nati dal nulla sono ricondotti al nulla.79 Ma meglio accettare le abitudini comuni e i difetti umani serenamente senza cadere n nel riso n nelle lacrime; infatti tormentarsi per le disgrazie altrui significa infelicit infinita, provar piacere delle disgrazie altrui un piacere disumano, cos come quell'inutile atto di compassione che piangere perch qualcuno porta a seppellire il figlio, e adattare a questa circostanza la propria espressione. Anche nelle proprie disgrazie occorre comportarsi in modo da concedere al dolore solo quanto la natura rivariamente emendato dagli editori: contro la linea di chi espunge del tutto le parole nichilo natus, come interpolazione, Reynolds segue la via dell'integrazione.

78 Su Bione cfr. sopra, n. 42: di questo detto non abbiamo altre testimonianze. 79 Il testo del codice A (conceptum.
nichilo natus. sed.) corrotto ed stato

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poscit, non quantum consuetudo; plerique enim lacrimas fundunt ut ostendant et totiens siccos oculos habent quotiens spectator defuit, turpe iudicantes non fiere cum omnes faciant: adeo penitus hoc se malum fixit, ex aliena opinione pendere, ut in simulationent etiam res simplicissima, dolor, ueniat. 16 Sequitur pars quae solet non innierito contristare et in sollicitudinem adducere. Vbi bonorum exitus mali sunt, ubi Socrates cogitur in carcere mori, Rutilius in exilio uiuere. Pompeius et Cicero clientibus suis praebere ceruicem, Cato ille, uirtutiurn uiua imago, incumbens gladio simul de se ac de re publica palam facere, necesse est torqueri tam iniqua praemia fortunam persoluere; et quid sibi quisque tunc speret, cum uideat pessima optimos pati? 2 Quid ergo est? Vide quomodo quisque illorum tulerit et, si fortes ferunt, ipsorum illos animo desidera, si muliebriter et ignaue perierunt, nihil perit: aut digni sunt quorum uirtus tibi placeat, aut indigni quon= desideretur ignauia. Quid enim est turpius quani si maximi uiri 3 timidos fortiter moriendo faciunt? Laudemus totiens dignum laudibus et dicamus: 'tanto fortior, tanto felicior! Omnes effugisti casus, liuorem, morbum; existi ex custodia; non tu dignus mala fortuna dis uisus es, sed indignus in queni iam aliquid fortuna posset.' Subducentibus uero se et in ipsa morte ad uitam respectantibus manus inicen4 dae sunt. Neminem flebo laetum, neminem fientem: We

chiede, non quanto le convenzioni; molti infatti versano lacrime per ostentazione e hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca il pubblico, poich giudicano vergognoso non piangere quando lo fanno tutti: tanto profondamente si consolidato questo vizio, quello di dipendere dall'opinione altrui, che diventa finzione anche un sentimento tra i pi naturali, il dolore. [16] Segue la parte che non senza motivo suole rattristare e mettere in ansia. Laddove la sorte dei buoni cattiva, laddove Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutili080 a vivere in esilio, Pompeo e Cicerone a offrire il collo ai loro clienti, e proprio Catone, ritratto vivente della virt, gettandosi sulla spada, a rendere chiaro il destino suo e della repubblica, inevitabile tormentarsi per il fatto che la sorte paga compensi tanto iniqui; e allora che cosa potrebbe sperare ognuno per s, vedendo che i migliori subiscono il peggio? Che significa dunque? Guarda come ciascuno di loro abbia saputo sopportare e, se furono forti, impara a rimpiangerli con il loro stesso animo, se morirono con la debolezza di una donna, non and perso nulla: o sono degni della tua ammirazione per la loro virt, o sono indegni del tuo rimpianto per la loro ignavia. Che c' infatti di pi vergognoso che se gli uomini pi grandi morendo con coraggio rendono gli altri vili? Lodiamo chi degno tante volte di lodi e diciamo: Tanto pi sei forte, tanto pi sei felice! Sei scampato a ogni disgrazia, all'invidia, alla malattia; sei uscito di prigione; tu non sei apparso agli dei degno di una cattiva sorte, ma indegno di essere ormai soggetto a un qualche colpo della sorte. Bisogna invece costringere coloro che cercano di sottrarsi e in punto di morte si voltano a guardare la vita. Non pianger nessuno che lieto, nessuno che piange: quello mi ha terso di sua iniziati-

80 Il personaggio di Flublio Rutilio Rufo, politico e filosofo

stoico, presen te varie volte nelle opere di Seneca, come modello romano di virt e di eroi 130

arrimmistrazione dei cavalieri durante il proconsolato in Asia Minore gli cost un processo nel 93 a.C. e la pena dell'esilio, sotto l'accusa falsa di aver commesso intrighi politici. Richiamato in patria da Silla, rifiut il ritorno, e a Smime, dove da ultimo si era ritirato, scrisse una autobiografia. 131

lacrimas meas ipse abstersit, hic suis lacrimis effecit ne ullis dignus sit. Ego Herculem fleam quod uiuus uritur, aut Reguluni quod tot clauis configitur, aut Catonern quod uulnera <uuInerat> sua? Omnes isti leui temporis inpensa inuenerunt quomodo aeterni flerent, et ad inniortalitateni moriendo uenerunt. 17 Est et illa sollicitudinum non mediocris materia, si te anxie componas nec ullis simpliciter ostendas, qualis multorum uita est, ficta, ostentationi parata; torquet enirn adsidua obseruatio sui et deprendi aliter ac solet metuit. Nec umquam cura soluimur, ubi totiens nos aestimari putamus quotiens aspici; nam et multa incidunt quae inuitos denudent et, ut bene cedat tanta sui diligentia, non tamen iucunda uita aut secura est semper sub persona uiuentium. 2 At ffia quantum habet uoluptatis sincera et per se inornata simplicitas, nihil obtendens moribus suis! Subit tamen et haec uita contemptus periculum, si omnia omnibus patent; sunt enim qui fastidiant quidquid propius adicrunt. Sed nec uirtuti periculum est ne admota oculis reuilescat et satius est simplicitate contemni quam perpetua simulatione torqueri. Modum tamen rei adhibeamus: multum interest, simpliciter uiuas an neglegenter. 3 Multuin et in se recedendum est; conuersatio enim dis similium bene composita disturbat et renouat adfectus et

va le lacrime, questo con le sue lacrime si reso indegno di alcuna altra. lo dovrei piangere Ercole, per il fatto che viene bruciato vivo, o Regolo perch trafitto da tanti chiodi, o Catone, perch ferisce81 le sue ferite? Tutti costoro trovarono col sacrificio di un breve spazio di tempo in che modo diventare eterni, e con la morte pervennero all'immortalit. [17] Anche quella materia non trascurabile di inquietudini, se tu ti affatichi a darti una posa e non ti mostri a nessuno nella tua schiettezza, cos come fanno molti, la cui vita finta e costruita per l'esibizione; infatti fonte di tormento la continua osservazione di se stessi, e alimenta il timore di essere scoperti diversi da come si soliti presentarsi. N mai ci liberiamo dall'ansiet, se pensiamo di essere giudicati ogni volta che siamo guardati; infatti, da una parte accadono molte cose che contro la nostra volont ci mettono a nudo, dall'altra, per quanto abbia successo tanta cura di s, tuttavia non piacevole o sicura una vita che si nasconde sempre sotto la maschera. Al contrario, quanto piacere possiede quella schiettezza sincera e di per s priva di ornamenti, che non si serve di nulla per coprire la propria indole! Tuttavia, anche questa vita va incontro al pericolo del disprezzo, se tutto scoperto a tutti; ci sono infatti persone che provano fastidio per tutto ci a cui si sono potute accostare troppo da vicino. Ma per la virt non c' il pericolo di avvilirsi se posta sotto gli occhi ed meglio essere disprezzati per la schiettezza che tormentati da una continua finzione. Usiamo tuttavia misura nella cosa: c' molta differenza tra il vivere con semplicit o con trascuratezza. OccorTe sapersi ritirare molto anche in s; infatti la frequentazione di persone dissimili turba il buon equilibrio raggiunto, rinnova le emozioni ed esaspera ci che nell'animo

Leggendo vulnerat, l'assenza nel codice A del verbo necessario alla frase si spiegherebbe bene come caduta per aplografia, dopo vulnera: c' chi preferisce iterat, rinnova (sostenuto dalla lezione di un manoscritto poco autorevole).
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quidquid inbecillum in animo nec percuraturn est exulcerat. Miscenda tamen ista et alternanda sunt, solitudo et frequentia: illa nobis faciet hominum desiderium, haec nostri, et erit altera alterius remedium; odium turbae sanabit solitudo, taedium solitudinis turba. 4 Nec in eadern intentione aequaliter retinenda mens est, sed ad iocos deuocanda. Cum puerulis Socrates ludere non erubescebat et Cato uino laxabat animum curis publicis fatigaturn et Scipio triumphale illud ac militare corpus mouebat ad numeros, non molliter se infringens, ut minc mos est etiam incessu ipso ultra muliebrem. mollitiarn fluentibus, sed ut antiqui illi uiri solebant inter lusurn ac festa tempora uirilem. in modum tripudiare, non facturi detri5 mentum, etiam si ab hostibus suis spectarentur. Danda cst animis remissio: meliores acrioresquc requicti surgent. Vt fertilibus agris non est impcrandum--cito enim illos exhauriet numquam intermissa fecunditas-ita animorum. impetus adsiduus labor franget, uires recipient paulum resoluti ct remissi; nascitur ex adsiduitate laborum. animorurn 6 licbetatio quaedam ct languor. Nec ad hoc tanta hominum. cupiditas tenderet, nisi naturalern quandam uoluptatern haberet lusus iocusque; quorum frequens usus omne animis pondus onmenique uim eripict; nam et sommis rcfectioni necessarius est, hunc tamen semper si them noctemque continues, mors erit. Multum interest, remittas aliquid an 7 soluas. Legum conditores festos instituerunt dies, ut ad

ancora debole e non pienamente guarito. Tuttavia queste condizioni vanno mescolate e alternate, la solitudine e la compagnia: quella generer in noi nostalgia degli uomini, questa di noi stessi, e l'una sar rimedio dell'altra; la solitudine guarir l'insofferenza della folla, la folla la noia della solitudine. Nemmeno bisogna tenere la mente uniformemente nella stessa applicazione, ma occorre richiamarla agli svaghi. Socrate non si vergognava di giocare coi fanciulli, Catone rilassava col vino l'animo provato dalle fatiche politiche" e Scipione 83 muoveva a tempo di musica quel corpo avvezzo ai trionfi e alle fatiche di guerra, non snervandosi in mollezze, come ora abitudine di quanti ondeggiano persino nell'andatura superando la mollezza fermiiinca, ma come quegli antichi uomini erano soliti tra lo svago e i giorni di festa danzare in modo virile, non andando incontro a una perdita di dignit, anche qualora venissero guardati dai loro nemici. Occorre concedere una pausa agli animi: riposati, rinasceranno migliori e pi combattivi. Come non si deve essere impositivi coi campi fertili - infatti una produttivit mai interrotta li esaurir in fretta - cosi una fatica continua indebolir gli slanci degli animi, e questi riacquisteranno le forze se per un po' risparmiati e lasciati a riposo; dal protrarsi delle fatiche nascono un certo qual torpore e un infiacchimento degli animi. E a ci non tenderebbe un tanto grande desiderio degli uomini, se lo svago e il gioco non possedessero un certo naturale piacere; per il ricorso frequente a questi toglier ogni gravit e ogni forza dagli animi; infatti, anche il sonno necessario a ridare forze, tuttavia qualora tu lo continui giorno e notte, diventer la morte. C' molta differenza tra l'allentare una tensione e dissolverla del tutto. 1 legislatori istituirono i giorni festivi, perch gli uon-ni fossero costretti pubblica-

Lo testimonia anche Orazio, Carm. 3, 21, Il sg. narratur et prisci Ca tonis 1 saepe mero caluisse virtus (si narra che anche la virt del vecchio Catone spesso si riscaldasse col vino). 83 L esempio del grande vincitore di Annibale permette a Seneca di introdur92

re una nota moralistico-polemica contro l'effeminatezza dei costumi suoi contemporanei, non rara nei suoi scritti e ben inserita nel filone moralistico della cultura antica che aveva un bersaglio d'elezione nella vita dedita al lusso e alle mollezze. 135

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hilaritatem homines publice cogerentur, tamquam necessarium laboribus interponentes temperamentum; et magni,' ut dixi, uiri quidam sibi menstruas certis diebus ferias dabant, quidam nullum non diem inter otium et curas diuidebant. Qualem Pollionem Asinium oratorem magnum meminimus, quem nulla res ultra decumam retinuit; ne epistulas quidem post cam horam legebat, ne quid nouae curae nasceretur, sed totius diei lassitudinem duabus illis horis ponebat. Quidam medio die interiunxerunt et in postmeridianas horas aliquid leuioris operae distulerunt. Maiores quoque nostri nouam relationein post horam decumam in senatu fieri uetabant. Miles uigilias diuidit, et nox 8 immunis est ab expeditione redeuntium. Indulgendum est animo danduinque subinde otium quod alimenti ac uirium loco sit. Et in ambulationibus apertis uagandum, ut caelo libero et multo spiritu augeat attollatque se animus; aliquando uectatio iterque et mutata regio uigorem dabunt conuictusque et liberalior potio. Non numquam et usque ad ebrietatent ueniendum, non ut mergat nos sed ut deprimat; eluit enim curas et ab imo animum mouet et ut morbis quibusdam ita tristitiae medetur, Liberque non ob licentiam linguae dictus est [inuentor uini] sed quia liberat seruitio curarum animum et adserit uegetatque et auda9 ciorem. in omnis conatus facit. Sed ut libertatis ita uini salubris moderatio est. Solonem Arcesilanque indulsisse

mente a divertirsi, come interponendo la necessaria moderazione alle fatiche; e come ho detto alcuni grandi uomini si concedevano in determinati giorni feste mensili, alcuni non c'era giorno che non dividessero tra l'ozio e gli impegni. Tra questi ricordiamo il grande oratore Asinio Pollione~84 che soleva non farsi trattenere da nessuna occupazione oltre l'ora decima;81 non leggeva nemmeno le lettere dopo quell'ora, perch non gliene derivasse una qualche nuova preoccupazione, ma si liberava della stanchezza di tutta una giornata in quelle due ore. Alcuni sogliono fare pausa a met della giornata e rimandare alle ore pomeridiane una qualche occupazione pi leggera. Anche i nostri antenati vietavano che in see

nato ci fosse una nuova mozione oltre l'ora decima. I soldati si dividono i tumi di guardia, e la notte libera dalla ronda per coloro che ritornano da una spedizione. Bisogna essere indulgenti con l'animo e concedergli ripetutamente il riposo che funga da alimento e forze. Bisogna fare anche passeggiate all'aperto, affinch l'animo si arricchisca e si innalzi grazie all'apertura degli orizzonti e all'abbondanza di aria pura da inspirare; talvolta un viaggio o un cammino e il cambiare luoghi e le cene e le bevute pi generose daranno energia. Talvolta opportuno arrivare anche fino all'ebbrezza, non perch ci sommerga, ma perch abbia effetto tranquillante; infatti dissolve gli affanni e muove l'animo dal profondo e come cura alcune malattie cos anche la tristezza, e Libero non detto cos per la libert di parola ma perch libera l'animo dalla schiavit delle preoccupazioni86 e gli d indipendenza e forza e lo rende pi audace verso ogni impresa. Ma nella libert come nel vino salutare la moderazione. Si crede che Solone e Arcesilaoll abbiano accondisceso al vino, a Catone
1Jetimologia qui proposta non ha valore scientifico, ma quella che pi si attaglia alle necessit del contesto: insomma un esempio di paraetimologia, secondo un'abitudine degli stoici. 87 Il fondatore della Nuova Accadernia, vissuto all'incirca tra il 315 e il 241/40 a.C. Sostenne una linea di pensiero polenticamente diretta contro la teoria dogmatica della 137 conoscenza sostenuta dagli stoici.
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2 il celebre intellettuale e uomo politico di et augustea, noto come oratore, storico, poeta, nonch amico e raffinato critico letterario di Virgilio. Fond la prima biblioteca pubblica di Roma nel 40 a.C. Uaneddotica lo ricordava come un uomo morigerato e temperante. 85 Secondo il computo degli antichi, le quattro del pomeriggio. 136
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uino credunt, Catoni ebrietas obiecta est: facilius efficiet, quisquis obiecit [et], crimen honestum quain turpern Catonem. Sed nec saepe faciendum est, ne animus malam consuetudineni ducat, et aliquando tamen in exultationem libertatenique extraliendus tristisque sobrietas remouenda io paulisper. Nam siue Graeco poetae credimus 'aliquando et insanire iucundum est', siue Platoni Trustra poeticas fores compos sui pepulit', siue Aristoteli 'nullum magnuin ingenium sine mixtura dementiae fuit': non potest grande i i aliquid et super ceteros loqui nisi mota mens. Cum uulgaria et solita contempsit instinctuque sacro surrexit excelsior, tunc demum aliquid cecinit grandius ore mortali. Non potest sublime quicquain et in arduo positum contingere quam diu apud se est: desciscat oportet a solito et efferatur et mordeat frenos et rectorem rapiat suurn eoque ferat quo per se timuisset escendere. 12 Habes, Serene carissime, quae possint tranquillitatem tueri, quae restituere, quae subrepentibus uitiis resistant; illud tamen scito, nihil horum satis esse ualidum rem inbecillam seruantibus, nisi intenta et adsidua cura circumit ammum labentem.

fu rinfacciata l'ebbrezza: chiunque gliela rinfacci, potr rendere pi facilmente onesto un vizio che turpe Catone. Ma non bisogna farlo nemmeno spesso, in modo che l'animo non prenda una cattiva abitudine, e tuttavia talvolta occorre spingerlo all'esultanza e alla libert, e la triste sobriet va per un po' abbandonata. Infatti sia che diamo retta al poeta greco:" Talvolta piacevole anche fare follie, sia a Platone: Invano chi padrone di s bussa alla porta della poesia, sia ad Ari stotele: Non ci fu nessun grande ingegno senza un pizzico di follia: non pu esprimere qualcosa di grande e superiore agli altri se non una mente eccitata. Una volta che ha disprezzato le cose usuali e comuni e per divina ispirazione si elevata pi in alto, allora infine suole cantare qualcosa di pi grande delle capacit umane. Non pu attingere qualcosa di sublime e di elevato finch rimane in s:" necessario si stacchi dal consueto e scarti verso l'alto e morda i freni e trascini il suo auriga e lo conduca l dove da solo avrebbe avuto paura di salire. Tu hai, carissimo Sereno, i mezzi che possono difendere la tranquillit, che possono restituirla, che resistono ai mali striscianti; sappi tuttavia che nessuno di loro sufficientemente efficace per coloro che salvaguardano una situazione di debolezza, a meno che una cura sollecita e assidua non circondi l'animo vacillante.

U identificazione incerta: si pensato ad Omero, ai poeti lirici Alceo o Anacreonte, all'autore di commedie Cratino. t probabile che Seneca attingesse le sentenze che riporta in sequenza a qualche florilegio. 89 Tutto il pensiero si avvicina a una concezione dell'arte come prodotto dell'
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entusiasmo dell'animo, una concezione piuttosto lontana dal razionalismo stoico: ma probabile che ci rappresenti un ampliamento della citazione di Platone ed Aristotele, pi che testimoniare un'adesione diretta di Seneca a teorie irrazionalistiche. 139

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