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La Stampa 9 febbraio 2000

Il padre della filosofia ermeneutica entra venerd nel suo secondo secolo: ecco ch e cosa ci ha insegnato

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I maestri pi veri, probabilmente, sono quelli dei quali non riusciamo a dire che cosa abbiamo imparato da loro, pur essendo consapevoli di un enorme debito intel lettuale e umano nei loro confronti. Gadamer - per me, ma penso anche per molti altri - un maestro di questo genere. Gadamer mi ha insegnato, pi che contenuti de terminati, un atteggiamento mentale e, in generale, un modo di essere. La sua es emplare personalit "goethiana" - equilibrata senza rigidezze, aperta al dialogo e a quella che lui ha chiamato "fusione di orizzonti" - si spiega (sul piano teor ico) con il fatto che egli si sente come portato e sorretto da quello che per He gel lo "spirito oggettivo"; se si vuole, dalla storia della cultura, entro la qu ale si muove come nel suo elemento. Probabilmente, questo atteggiamento compless ivo che lo distingue anche dal suo maestro Heidegger. Un atteggiamento che ha ev identemente radici temperamentali (penso all'uomo "di buon carattere" di Nietzsc he). Ma c' ovviamente pi di questo. Mi sembra che un tratto caratteristico della l ettura che Gadamer ha dato della filosofia di Heidegger - quella che Habermas ha chiamato, con molte buone ragioni, la sua urbanizzazione della "provincia heide ggeriana" - sia proprio il fatto di non condividere la concezione che Heidegger ha della storia della metafisica greca. E di conseguenza, anche della storia del l'essere come storia della metafisica e della sua fine. Provo a riassumere: se G adamer, nella sua ontologia ermeneutica, non ha il tono spesso apocalittico di H eidegger, ci dipende sia dalla differenza di temperamento che lo separa dal suo m aestro; sia dal fatto che, anche per questa differenza, Gadamer e resta un "uman ista" - nel senso delle humanae litterae, e anche nel senso metafisico-epocale c he Heidegger stigmatizza nella Lettera sull'umanismo del 1946. Perci non riesce a prendere sul serio l'idea che si debba congedarsi da quella eredit greca classic a, anzitutto platonica, che per Heidegger rappresenta invece uno dei momenti chi ave dell'oblio dell'essere che ha condotto il pensiero metafisico occidentale a identificare l'essere con gli oggetti della conoscenza scientifica e della manip olazione tecnologica. Non solo questo: alla visione di Platone come "responsabil e" dell'oblio dell'essere che cresce nella metafisica occidentale fino a Nietzsc he, corrisponde in Heidegger anche il culto per la parola originaria dei Presocr atici, come se fosse possibile cogliere all'alba del pensiero occidentale una po ssibilit "autentica" che dopo sarebbe stata oscurata e dimenticata proprio dalla storia della verit come oggettivit misurabile. Gadamer non mi sembra mai aver pres o in considerazione una tale posizione di Heidegger - dalla quale del resto anch e a me non pare che si possa ricavare molto. Se ci fosse una verit originaria non -metafisica nei Presocratici, dovremmo pensare che si data, storicamente, una es perienza "diretta" dell'essere - proprio del tipo di quella che la metafisica de lla presenza ha sempre preteso di possedere. Se si data una tale esperienza dire tta, potrebbe ben accadere che si dia di nuovo, magari con l'aiuto di una trasfo rmazione politica epocale - quella appunto che Heidegger sembr riconoscere nel na zismo, almeno in un certo momento della sua vita. Se queste ipotesi non sono cam pate in aria, allora l'atteggiamento di distacco che Gadamer manifesta nei confr onti dello Heidegger interprete dei Greci (specialmente dei Presocratici e di Pl atone) bens espressione della formazione umanistica di Gadamer e del suo compless

ivo atteggiamento, meno tragico e apocalittico, e pi fiducioso nella storia dello spirito oggettivo di quanto non fosse Heidegger. Ma anche un aspetto significat ivo della sua "urbanizzazione" della provincia heideggeriana, che rappresenta un a precisa direzione di sviluppo dell'eredit del maestro. Questa urbanizzazione no n esente da dubbi e problemi. Per e sempio: fino a che punto si deve accettare, come espressione di un "buon temperamento", la presa di distanza di Gadamer risp etto all'idea heideggeriana della storia della metafisica occidentale come oblio dell'essere? Se si segue Gadamer su questa via, sembra che il problema del pens iero di oggi sia solo quello di opporre allo scientismo dominante una mentalit pi aperta all'esperienza di verit delle scienze dello spirito - insomma una filosofi a della cultura che comprenda e diriga la scienza e la tecnica dal punto di vist a del logos inteso come coscienza condivisa della comunit, dialogo, tolleranza, r adicamento nella tradizione. E' possibile, invece, seguire le indicazioni "urban izzanti" di Gadamer senza rinunciare all'ideale heideggeriano di una "svolta" ne lla storia dell'essere che effettivamente realizzi alcuni degli aspetti di quell o che per lui era il, sia pure problematico, oltrepassamento della metafisica? S i tratterebbe insomma, per me, di una urbanizzazione meno conciliante e meno ris pettosa dell'esistente. Di nuovo, potrebbe sembrare solo una questione di temper amento: Gadamer personalit goethiana, grande umanista e dunque anche implicitamen te piuttosto scettico, di contro a Heidegger che resterebbe sempre, nel fondo, u n esistenzialista con inclinazioni al tragicismo, e sempre tentato (come ai temp i dell'adesione al nazismo) di confondere l'oltrepassamento della metafisica con una svolta storico-politica destinata fatalmente a dimenticare la differenza de ll'essere dagli enti e dalla contingenza storica (oltre che la democrazia)? Gada mer sarebbe d'accordo, almeno, nel riconoscere che, per coloro che si sono forma ti sotto la sua guida e sulla base dei testi di Heidegger, non si tratta tanto d i scegliere tra due diversi maestri, ma di trovare una forma di conciliazione e di sintesi. Una specie di "terza via", che potrebbe presentarsi come una non inf edele prosecuzione del pensiero del maestro della "fusione di orizzonti". GIANNI VATTIMO

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