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CERCATE ANCORA

LA LEZIONE DI CLAUDIO NAPOLEONI

I SEMINARI DELLA FONDAZIONE

CERCATE ANCORA La lezione di Claudio Napoleoni

Palazzo del Seminario - Sala del Refettorio 27 ottobre 2009

Avvertenza

Questo volume contiene gli atti del Seminario su Claudio Napoleoni, promosso dalla Fondazione della Camera dei deputati e svoltosi il 27 ottobre 2009 alla Sala del Refettorio del Palazzo del Seminario. Alla introduzione del Presidente della Fondazione, Fausto Bertinotti, hanno fatto seguito le relazioni di Riccardo Bellofiore e di Raniero La Valle. Successivamente, introdotti da Mario Tronti, si sono tenuti degli approfondimenti tematici di Alessandro Montebugnoli, Giorgio Ruffolo, Gian Luigi Vaccarino, Silvano Andriani, Giorgio Cremaschi, Vittorio Tranquilli e Carla Ravaioli.

INTRODUZIONE

Fausto BERTINOTTI Presidente della Fondazione della Camera dei deputati

Con questa iniziativa la Fondazione della Camera dei deputati inaugura una nuova serie di attivit, quindi ci scusiamo anticipatamente per eventuali imperfezioni che potranno essere presenti nel nostro lavoro. Teniamo molto a sperimentare questo nuovo corso, che inizia con una riflessione sullattivit intellettuale di Claudio Napoleoni. Napoleoni che molti di voi hanno conosciuto e del quale alcuni sono stati diretti collaboratori stato un pensatore forte, che con la sua ricerca ha segnato lintero corso culturale del dopoguerra italiano. Ha cominciato il suo impegno pubblico fin da giovane, anche attraverso contributi particolarmente acuti nellattivit di collaborazione ai lavori della Costituente, e ha continuato fino alla sua morte. Oltre che nella cultura del Paese, Napoleoni stato presente direttamente nellattivit politica delle istituzioni del Paese, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica. Per usare una definizione antica, si sempre saputo sporcato le mani, dallattivit per i Consigli di Gestione agli interventi sul Bilancio dello Stato. La sua influenza sulla cultura italiana, e in particolare su quella della Sinistra, stata controversa ma assai rilevante. Controversa perch si trattato di un contributo tanto forte quanto originale. Penso pertanto che per la cultura politica e per la politica italiana sarebbe utile interrogarsi ancora sulla lezione di Claudio Napoleoni. La Fondazione della Camera dei deputati ha tutto il titolo per prendere questa iniziativa, dato che Napoleoni stato anche un parlamentare di rilievo.
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In questo momento di crisi della politica e delle istituzioni sarebbe particolarmente interessante interrogarsi su chi ha portato nelle Aule parlamentari un mestiere, una conoscenza specifica, unesperienza tratta dal proprio percorso lavorativo. Claudio Napoleoni ha effettuato un percorso intellettuale di grande rilievo e originalit. Non voglio anticipare le relazioni, ma vorrei solo ricordare il suo impegno quale protagonista della battaglia culturale per la rottura delle chiusure specialistiche, per il superamento dei confini stretti delle discipline. La sua ricerca ha pur tuttavia avuto un centro, leconomia politica, allinterno del quale Napoleoni ha saputo individuare una superficie di contatto con la filosofia e la teologia, quella in cui luomo contemporaneo pu esercitare la sua possibilit di ricerca e di scelta nel percorso della liberazione. Napoleoni credo che anche uno non particolarmente competente come me lo possa dire ha rivoluzionato il modo di pensare leconomia in Italia. Salito in cattedra tardi, gi da giovane non laureato e autodidatta, si era affermato proponendo un punto di vista critico sulleconomia che si pu leggere nel Dizionario di economia politica del 1956, nellinsegnamento alla Svimez e in tutta la ricerca che da quel momento ha sviluppato incessantemente. Un pensatore forte che ha lavorato costantemente su due elementi non facilmente componibili: da un lato la scienza indagata secondo i paradigmi della medesima, messi a confronto con la criticit accumulata nella ricerca; dallaltro, se non lutopia, la speranza. Questo doppio binario, scienza critica e speranza, messe in relazione tra di loro costantemente, stato il portato di uninterrogazione che venuta, a sua volta, da una domanda politica. Richiamando la formula di un uomo a cui stato vicino e con cui ha lungamente collaborato, come Franco Rodano, si pu dire che la politica viene intesa cos nel senso pi alto, quello del trascendimento dellordine delle cose
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esistenti. In altre parole, la rivoluzione: la liberazione dallalienazione e dallo sfruttamento. Alla base c lindividuazione del capitalismo e delleconomia come gli impedimenti storicamente definiti e concreti al libero sviluppo della persona. Oltre al contributo originale allo sviluppo della critica delleconomia, a Napoleoni dobbiamo unindagine costante sul destino delluomo: una ricerca che ruotata intorno al finito non come condanna ma, al contrario, come dimensione possibile della liberazione delluomo. Tocchiamo qui un punto importante della lezione di Claudio Napoleoni. Michele Ranchetti, che lha conosciuto bene, ha voluto individuare il centro della ricerca di Napoleoni nellimpossibilit delluomo di trascendere la storia. Ma proprio da questo orizzonte sorgeva la domanda pi impegnativa, cio se fosse possibile affidare il progetto di superamento della societ attuale alle sole forze delluomo, che in questa stessa societ sono immense. Spero di non essere ora smentito dai relatori, che ne sanno assai pi di me, ma credo che in questo bisogno di andare fino a rivelarne lintimo arcano ci sia anche la ragione dellindagine sulleconomia politica che andata diritta alla teoria del valore. Su questa teoria Claudio Napoleoni ha vissuto fasi diverse di ricerca anche operando delle discontinuit rispetto a sue stesse precedenti costruzioni, ma tenendo sempre fermo il concetto per cui si trattava di esaminare per quella via non una parte delleconomia ma il principio stesso da cui si svolge la scienza. Provare e riprovare. Anche il banco di prova costituito dal pensiero di Sraffa diventer un elemento rilevante nella ricerca di Napoleoni. In questo corpo a corpo mi pare tuttavia che venisse salvato ancora lessenziale della ricerca di Marx e al contempo il bisogno di andare oltre Marx. Richiamando una formula divenuta celebre, possiamo ricordare a questo proposito come per Napoleoni la teoria di Sraffa fosse tecnicamente ineccepibile ma politicamente muta,
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laddove la teoria del valore di Marx potesse essere eccepita tecnicamente ma era in grado di parlare alla societ e alla politica. In questa linea di ricerca si pu scorgere poi come Napoleoni abbia affrontato la teoria dello sviluppo capitalistico con un approccio altrettanto originale e molto stimolante. Il suo partire da Marx e dalla necessit delloltrepassamento di Marx sapeva far i conti con il pensiero neoclassico, la critica del quale salvava un elemento assai rilevante, come il tema della scarsit e dellefficienza. Questa linea di ricerca ha avuto fasi diverse, anche rispetto allindagine del capitalismo. In una prima fase ha indagato la dimensione dellequilibrio come stato normale della vita del capitale. In una fase successiva, invece, lequilibrio e lo squilibrio vengono considerati entrambi normali, facendo cos avanzare unanalisi critica delleconomia, in cui la teoria delle contraddizioni viene ancora rafforzandosi. Nella fase conclusiva della vita e della ricerca di Claudio Napoleoni , il capitalismo considerato incompatibile con la democrazia. Si pensa dunque allora alla necessit di pensare unuscita dalla totalit del capitalismo. E questa totalit che propone nuove vie da esplorare su terreni anche diversi da quelli precedentemente considerati. Oggi siamo di fronte a un mondo radicalmente cambiato rispetto al capitalismo indagato da Napoleoni, cambiato sia in basso, nella composizione sociale del lavoro, lavoro che investito da frammentazione, flessibilit, precariet e smarrimento di senso, sia in alto, nella finanziarizzazione delleconomia, che nel mezzo, nel mutamento degli assetti tecnologici e delle comunicazioni, delle produzioni e del consumo. Ma, a mio avviso, il tema su cui Napoleoni ha incessantemente lavorato, quello del trascendimento dellordine esistente, resta largomento fondamentale della ricerca umana, per la sua liberazione. Alla lezione di Claudio Napoleoni, pertanto, credo che dobbiamo dedicare ancora attenzione e riconoscenza.
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RELAZIONI

Riccardo BELLOFIORE Una lezione, non una eredit. Napoleoni e la politica economica Luomo deve tenere i piedi piantati a terra; ma per salvare la sua identit, deve anche tenere la testa ben alta. Claudio Napoleoni

1. Introduzione La riflessione sulla politica economica di Claudio Napoleoni segnata da continuit e rotture. Linterprete deve dunque azzardare una ricostruzione, che non pu essere separata da una valutazione critica che tenga conto della riflessione teorica di Napoleoni nellarco della sua vita, senza perderne lessenziale. Visti i limiti di tempo mi soffermer, prima, sugli anni 60, il periodo della Rivista trimestrale e sugli ultimi interventi del Napoleoni negli anni 80. Metter poi a confronto alcune tesi sulla crisi del Napoleoni dei primi anni 70 con quanto ci suggerisce la crisi dei nostri giorni. Chiuder infine con alcune considerazioni personali. Il punto di vista che presento, vale la pena anticiparlo, va controcorrente. Del pensiero di Napoleoni, in tema di politica economica, viene oggi ricordato soprattutto il tema della lotta alla rendita. La mia tesi un po diversa da quelle prevalenti. In Napoleoni - sempre - la lotta alla rendita non mi pare possa essere disgiunta dallidea che il capitalismo sia destinato alla crisi, ad una crisi sistemica. Le riforme che la sinistra deve perseguire non possono non implicare una drastica rottura politica dellegemonia capitalistica, che a
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sua volta si fondi su un conflitto sociale che rompa le compatibilit esistenti e sia in grado di mettere con le spalle al muro una borghesia recalcitrante. La lotta alla rendita di Napoleoni apre a questo punto, inevitabilmente, a due altri temi massimamente suoi, quello della fuoriuscita dal capitalismo, e quello della liberazione del e dal lavoro.

2. La Rivista Trimestrale Sulle pagine della Rivista Trimestrale, e poi su Settegiorni, Napoleoni riconduce la crisi che allora colpisce leconomia italiana a una compressione del saggio di profitto indotta da una dinamica dei salari pi elevata di quella della produttivit media. Questultima dipende da una gestione del capitale caratterizzata da vaste aree di inefficienza, da sprechi e parassitismi, da una estensione patologica del lavoro improduttivo e della rendita. I salariati non possono accettare quellandamento particolare della produttivit media come termine di riferimento per moderare le proprie rivendicazioni, come voleva la politica dei redditi. Al contrario, per far uscire il sistema dai limiti in cui lo ingabbiano le inefficienze, necessario stimolarlo per il tramite di una continua pressione del salario quale variabile indipendente. Si produce cos linflazione: ma ci significa semplicemente che, facendo fallire lobiettivo della stabilit monetaria, la classe dei salariati pone un problema politico, quello della natura e della struttura del processo economico, dal cui indirizzo essa esclusa. Una tregua salariale pu essere concessa in cambio di una lotta alla rendita che riduca in linea di tendenza il capitalismo concreto al capitalismo puro, dove la struttura di classe si esaurisce nelle due classi fondamentali dei capitalisti e dei salariati. In questa ottica, il conflitto distributivo e la
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conseguente compressione del plusvalore sono lo strumento chiave per obbligare la classe capitalistica a un recupero del profitto, nel medio-lungo termine, a spese della rendita e non del salario. Per comprendere bene questa posizione si deve ricordare che in questa fase Napoleoni ritiene che una economia capitalistica pura, privata di quel consumo improduttivo che proviene dalle aree di rendita, sia destinata al crollo per insufficienza di domanda. Una economia di libero mercato non in grado di sostituire oltre un certo limite gli investimenti ai consumi. Lo sviluppo pu per essere accelerato se leccesso della produzione su una domanda privata insufficiente viene coperto dalla programmazione economica. Una politica pubblica di riforme strutturali che si compendia in una domanda esogena di consumi sociali finali, in grado di orientare il meccanismo economico. La soluzione starebbe, insomma, nel controllo politico della accumulazione e nella gestione proletaria del capitale. Possiamo schematizzare il ragionamento di questo Napoleoni in tre punti: il conflitto salariale che comprime i profitti la forza reale che crea la possibilit di indurre la borghesia a mutare alleanze di classe e a mettere in atto una lotta alla rendita come contropartita di una politica dei redditi; il capitalismo puro cui ci si approssima grazie alla lotta alla rendita peraltro un capitalismo impossibile, che materializza la tendenza al crollo; ci si deve di conseguenza porre il compito di governare politicamente laccumulazione mediante una programmazione che modifichi natura e struttura del processo economico. Al di fuori di questa catena di ragionamento, la lotta alle rendite come mezzo per dar vita ad un capitalismo efficiente e sostenibile un mito: peggio, una illusione.

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3. Quali risposte alle politiche neo-conservatrici? I ventanni e pi che separano queste riflessioni dal 1987 sono stati anni pesanti, in cui alla stagione dei conflitti sociali dei lunghi anni 70 sono seguite la svolta monetarista di Volcker e le politiche neo-conservatrici di Thatcher e Reagan. In quellanno Napoleoni partecipa ad un incontro del CESPE a Roma dedicato proprio al tema Quali risposte alle politiche neoconservatrici?. Nel suo intervento, pur nel diverso contesto, evidente una continuit metodologica e la ricorrenza di temi con le tesi della Trimestrale che ho appena ricordato. Napoleoni ribadisce innanzi tutto una visione conflittualista: importante ripristinare quello che definisce il vincolo interno, cio la spinta sociale sul terreno della distribuzione. Spinta che per ora si incarna non soltanto in un aumento dei salari ma anche in una auspicata, contemporanea, riduzione dellorario di lavoro. Il ripristino del vincolo interno deve essere posto come un obiettivo immediato dalla sinistra, cui bisogna affiancare una politica prudente del cambio. Si pu in questo modo ristabilire, attraverso una operazione politica, una dialettica di classe in una societ che la sta perdendo, perch alcune classi sono state sconfitte e altre hanno vinto. Questa politica sarebbe daltra parte monca se non si prolungasse in una politica di riforme di carattere strutturale. Tra queste vi il risanamento del bilancio pubblico. Ma, aggiunge subito, di questa questione ce ne possiamo appropriare, farne una bandiera solo allinterno di unoperazione pi complessiva che abbia come suo punto di partenza un punto immediatamente mobilitante: quello della ridistribuzione del reddito e del ripristino del vincolo interno perduto. [...] Questo obiettivo pu diventare nostro se le operazioni che si intendono fare mediante il bilancio pubblico sono quelle volte allo spostamento in avanti del vincolo interno. Lintervento sul bilancio
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pubblico deve essere finalizzato a ridurre la dipendenza dallestero, a investire in grandi infrastrutture, a governare il processo di mutamento tecnologico in maniera da aumentare la produttivit. Vi sono anche in questa fase tracce di una teoria della crisi, sia pure diversa da quella degli anni 60. La difficolt ora individuata nel fatto che le dinamiche autonome del capitale conducono a una sorta di implosione del capitale, che per un verso occupa sempre meno lavoratori, per laltro estende la propria presa sullintera societ. Legemonia del processo economicoproduttivo sulla societ fa s che tutti i soggetti vengano, in linea di tendenza, assorbiti e annullati nella logica della cosa: lo stesso lavoro si riduce a rotella di un meccanismo di cui parte sempre meno essenziale. Ci non di meno, quella tendenza non si sarebbe realizzata ancora in modo pieno: esiste s il rischio della catastrofe, cio di una produzione totalizzante di cui lessere umano diviene appendice; ma esiste anche uno scarto tra essere umano e produttore. Il governo della manovra pubblica - la politica economica, dunque deve aiutare a configurare in modo diverso la relazione tra essere umano, produzione, societ. Questo diverso rapporto pu essere anticipato dalla liberazione dal lavoro come condizione di una riconquista di umanit dentro lo stesso lavoro, da un rapporto non di dominio con la natura, dalla fine della divisione del lavoro tra i sessi. Anche questo testo del 1987 pu essere sintetizzato in tre temi: il ripristino conflittuale del vincolo interno sul terreno della distribuzione, opportuno e necessario, deve essere obiettivo primo dellazione politica della sinistra; il capitale ha una immanente tendenza totalitaria, tende alla catastrofe dellessenza umana nel trionfo del soggetto produttore: la crisi si manifesta ora nella distruzione di occupazione e nella frantumazione sociale;
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per rispondere alla distruttivit del capitale e restaurare una dinamica di classe e democratica occorre coniugare limposizione del vincolo interno con una politica che configuri concretamente una fuoriuscita dal capitalismo. Il risanamento finanziario e il miglioramento dellefficienza - la lotta alla rendita, dunque - non sono valori in s, sono semmai parte di una politica economica di pi largo respiro, che deve avere obiettivi al di l di quanto lassetto capitalistico pu tollerare. Le sinistre non possono, senza snaturarsi, porsi come obiettivo di risolvere meglio degli altri i problemi che gli altri si pongono. Devono mutare in maniera radicale prospettive, obiettivi e strumenti, contrapponendo veramente al modello degli altri un altro modello. La stessa impostazione regge lintervento al seminario tra PCI e Sinistra indipendente, in preparazione della convenzione programmatica del PCI, tenutosi l11 gennaio 1988, poi pubblicato in Cercate ancora, a cura di Raniero La Valle, con il titolo Sviluppo o liberazione? Le condizioni per dirsi comunisti.

4. Una lezione, non una eredit E passato un altro ventennio, non meno pesante. Ad un primo periodo, dopo il 1980, di bassa crescita segnata da politiche monetarie restrittive e da una disoccupazione di massa seguito, soprattutto dalla met degli anni 90 e sino alla crisi dei subprime, un periodo di crescita instabile e di piena sottooccupazione precaria. Una seconda fase del neo-liberismo, caratterizzata da un inedito e paradossale keynesismo privatizzato: trainato dalle bolle azionaria e immobiliare, e politicamente governato essenzialmente per il tramite di una politica monetaria espansiva. Il lavoratore traumatizzato (grazie al quale il
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pieno impiego non si traduceva in aumento del salario) stato affiancato dal risparmiatore in fase maniacale (per il tramite delle speculazioni dei money manager di quei fondi istituzionali a cui le famiglie sono state costrette ad affidare i loro risparmi). Questultimo, in forza della valorizzazione fittizia del proprio patrimonio, ha potuto a questo punto mutarsi nel consumatore indebitato che spende in eccesso al reddito disponibile (per necessit, oltre che grazie alle alchimie delle innovazioni finanziarie). Sino al crollo del neo-liberismo tutto apparso andare nel migliore dei mondi possibile. Complice, si deve dire, la totale illusoriet, e dunque inefficacia, di quella alternativa social-liberista che sognava di regolare e ammansire questa strana bestia che era il nuovo capitalismo globalizzato. A questo punto lo sgonfiamento della bolla, la paralisi della finanza e della banca, il crollo della domanda - accelerato dalla fase depressiva del risparmiatore e dal rapido declino del consumo negli Stati Uniti - hanno mostrato anche ai ciechi che si era al termine della corsa e che un preteso sganciamento dal capitalismo anglosassone era del tutto ingannevole. Cosa seguir difficile dire, ma certo siamo ad un capolinea. Ad una cesura drammatica, che ha visto profilarsi il rischio del ripetersi della Grande Crisi. Un vero e proprio spartiacque, quale lo sono stati anche gli anni 70. Tanto la crescita basata sul consumo indebitato e i grandi squilibri globali, quanto la crisi finanziaria e i suoi devastanti effetti reali, sono segnati da novit autentiche, che si tratta di comprendere. Anche per questo nessuno, credo, pu rivendicare la riflessione di Napoleoni come una eredit. E semmai, una lezione con cui confrontarsi liberamente, senza perderne la verit interna. Il riferimento alla crisi odierna, e al suo parallelo con le grandi rotture del secolo scorso (gli anni 30 e gli anni 70), significativo anche per poter ragionare di quale attualit un pensiero come quello di Napoleoni mantenga, e di dove e come esso ci sfidi ad una elaborazione autonoma. La crisi del 200721

09 ha visto infatti riemergere posizioni marxiste dogmatiche e keynesiane volgari. Le difficolt dellaccumulazione capitalistica vengono ricondotte, dagli uni, alla classica caduta tendenziale del saggio del profitto per aumento della composizione organica e, dagli altri (che magari si travestono da marxisti), ad un sottoconsumo da bassi salari. In entrambi i casi, a ragione o a torto, si rimanda per spiegare la crisi di oggi agli anni 60 o agli anni 80, in una ottica stagnazionistica. Vanno invece comprese le diverse e peculiari forme dellaccumulazione e della regolazione capitalistiche, dando conto tanto della loro ascesa quanto del loro crollo: le nuove vesti dello sviluppo e della crisi del capitale.

5. Napoleoni e le lezioni sulla crisi Proprio su questo punto sono di grande utilit le lezioni di Napoleoni sulla teoria marxiana della crisi a Torino, nei primi anni 70. Napoleoni proponeva allora una ripresa dellispirazione marxiana non solo sul terreno filosofico (lalienazione) ma anche su quello strettamente economico (lo sfruttamento). Se nelle lezioni di storia delle dottrine economiche ci avveniva attraverso la rilettura delle grandi opere economiche di Marx, nelle lezioni di politica economica e finanziaria questo avveniva proprio affrontando il tema della crisi, nel marxismo e nel keynesismo. Napoleoni legge in modo originale la crisi in Marx. La caduta tendenziale del saggio di profitto per lui una meta-teoria delle crisi. E proprio la controtendenza allaumento della composizione organica e alla caduta tendenziale del saggio di profitto - controtendenza che si sostanzia in un progresso tecnico e organizzativo che svalorizza capitale costante e variabile, e spinge verso lalto il saggio di plusvalore - a determinare le condizioni che
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portano ad una insufficienza sistematica di domanda effettiva. La risposta keynesiana alla crisi degli anni 30 determina il pieno impiego grazie, non soltanto alla banca centrale come prestatrice di ultima istanza, ma anche e soprattutto ad un intervento statale di sostegno alla domanda generica di merci (anzi, in primo luogo militare), e si accompagna ad un gonfiamento delle spese improduttive. Si accentua cos la dipendenza dello sviluppo capitalistico da una estrazione di plusvalore secondo un saggio di sfruttamento crescente nellarea che produce (plus)valore. E per questo che il vincolo interno come lo configura il Napoleoni di queste lezioni - il conflitto dei lavoratori non solo sul salario, ma anche e soprattutto sullestrazione di lavoro vivo - determina negli anni 70 una nuova forma della crisi sistemica del capitale. Una crisi questa volta nel cuore stesso del processo di valorizzazione, nellantagonismo allinterno dei processi di produzione. In queste stesse lezioni Napoleoni prende in considerazione le tesi di Baran e Sweezy nel Capitale monopolistico. Si tratta di un aspetto che qui ci interessa particolarmente. Napoleoni ritiene che la tesi dei due marxisti americani secondo cui, con il passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello monopolistico, la caduta del saggio di profitto sarebbe stata sostituita da una tendenza del sovrappi ad aumentare sia sostanzialmente corretta. Di pi, contrariamente a quanto solitamente si ritiene, la considera compatibile con la teoria del valore-lavoro. Nel mondo dominato dagli oligopoli, laumento delle dimensioni dimpresa consente di adottare nuove tecnologie e nuovi metodi di organizzazione del lavoro che accelerano labbattimento dei costi unitari, mentre la possibilit di fissare i prezzi fa s che il salario reale non sopravanzi gli incrementi di produttivit, sino alle lotte di fine anni 60. Laumento del plusvalore relativo che cos si configura potrebbe creare una difficolt dal lato del realizzo. La spesa per investimenti e per il consumo viene per integrata dalla domanda che proviene dallo spreco, come sostengono
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appunto Baran e Sweezy. Rendita e profitto, improduttivit e accumulazione da un certo punto in poi si sostengono a vicenda: non si pu avere luno senza laltra. La crisi del fordismo-keynesismo deriva dagli aumenti del valore di scambio della forza-lavoro e dal controllo sul valore duso della medesima da parte dei lavoratori. E soltanto questo conflitto, per Napoleoni, che rende insostenibile limproduttivit, e il prelievo sul plusvalore delle aree di rendita. E pu imporre uno sbocco politico che trascenda gli equilibri capitalistici. Siamo ancora una volta nellorizzonte di ragionamento che lega ruolo della rendita, crisi, e fuoriuscita dal capitalismo - pur nella diversit dei singoli snodi del ragionamento.

6. Conclusioni E chiaro in che senso lanalisi di Napoleoni datata, ma chiaro anche in che senso essa stimolante, a fronte dello sviluppo capitalistico degli anni 90 e dellinizio del terzo millennio, come a fronte della crisi che ne originata. Napoleoni non ha il tempo per vedere dispiegarsi per intero i caratteri spesso originali della risposta capitalistica alla crisi. Da un lato, la frantumazione del lavoro: precarizzazione nel mercato e nel processo di lavoro, concorrenza aggressiva dei global player e sovracapacit, centralizzazione senza concentrazione, imprese modulari articolate reticolarmente, catene transnazionali della produzione, delocalizzazioni e in-house-outsourcing, lavoro migrante, e cos via. Dallaltro lato, la finanziarizzazione: favorita da globalizzazione dei capitali, cambi flessibili e incertezza, prende la forma di un capitalismo dei fondi istituzionali che determina una inflazione del prezzo delle attivit e fa esplodere il debito privato, e in particolare il debito al consumo. La finanziarizzazione, a sua volta, accelera la decostruzione del
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lavoro per mille vie, e incide potentemente sui processi reali di valorizzazione. Si approfondisce lo sfruttamento nei luoghi di lavoro, con una simbiosi di estrazione di plusvalore relativo e assoluto. La crisi che ne sarebbe potuta conseguire stata a lungo posposta grazie a politiche monetarie di grande attivismo (la banca centrale come prestatrice di prima istanza), che hanno innescato a ripetizione bolle speculative nei mercati finanziari o sugli immobili. La crescita del valore delle attivit ha spinto verso lalto la domanda interna nellarea del capitalismo anglosassone grazie al consumo indebitato, consentendo ad altre aree (tra cui parti significative del nostro apparato produttivo) di praticare politiche neo-mercantiliste, che consentivano di crescere grazie al traino delle esportazioni nette. E dunque grazie ad una vera e propria sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito che si potuta sostenere la domanda effettiva a dispetto della compressione dei salari. Il mondo del lavoro veniva consegnato allinsicurezza e alla frammentazione e, su di lei si scaricavano rischi e margini di aggiustamento. Tutto questo non pu che essere fuori dallorizzonte di Napoleoni, per ragioni storiche e anche per ragioni teoriche. Eppure, a ben vedere, conferma la verit interna della sua posizione, e costituisce il prolungamento del suo discorso sulla teoria della crisi. Lo sviluppo del capitalismo neo-mercantilista e la crescita delleconomia reale globale del cosiddetto neoliberismo sono stati legati a filo doppio alle armi di distruzione di massa della finanza perversa. Anche questo nuovo volto della rendita ha mostrato di essere, ad un tempo, contraddittorio e funzionale allaccumulazione. Il capitale ha confermato la sua tendenza totalitaria a includere il lavoro nelle sue varie forme, senza peraltro riuscire a ridurre lo spreco. Tutto ci ha inevitabilmente dato vita a un meccanismo non solo instabile ma anche insostenibile, facendo riemergere in forme nuove la tendenza alla crisi sistemica del capitale. Una uscita da sinistra pu darsi solo se, anche qui seguendo la lezione di
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Napoleoni (di tutto Napoleoni), si d di nuovo voce ad un punto di vista autonomo del lavoro; e se ci si appoggia a, e si prolunga in, uno sbocco politico che metta in primo piano la ridefinizione strutturale del modello di economia e di societ. Certo, contrariamente a quel che pensava Napoleoni, questo intervento qualitativo, questo nuovo modello, pare potersi affermarsi solo per il tramite di politiche di spesa pubblica in disavanzo, finanziate monetariamente. Rimane vero per che non ci si pu limitare ad una impossibile replica del vecchio keynesismo della espansione generica, non finalizzata, della domanda effettiva, che darebbe luogo ad una crescita pi che ad un autentico sviluppo, non risolvendo al fondo nessuna delle contraddizioni che ci hanno portato a questo nuovo bivio storico. A ben vedere, prima inclusi dal neoliberismo e poi messi a rischio dalla sua crisi, sono stati, e sono, non soltanto il consumo e il risparmio. Sono stati anche, e sono, in un elenco tutto meno che esaustivo, abitazioni, istruzione, pensioni, sanit, lavoro di cura. Prosegue intanto labbattimento del salario e la dilatazione del tempo di lavoro, laggressione al corpo e alla vita dei lavoratori, sino alla spoliazione della stessa natura. In una parola, in gioco sono ormai le condizioni di esistenza e riproduzione degli esseri umani nella loro integralit. Per questo la nuova crisi sistemica ci squaderna davanti lesigenza, ma anche il compito, della socializzazione della banca e della finanza, dellinvestimento, delloccupazione, per provvedere diversamente ai bisogni sociali. Non per un impulso volontaristico, ma guardando a come stanno davvero le cose. Basta vedere quello che sono state costrette a fare, dallalto, le politiche economiche capitalistiche negli ultimi due anni: la banca centrale come prestatore di unica istanza, la nazionalizzazione di fatto della finanza, lesplosione della spesa pubblica in deficit (sino al molto parlare di un nuovo New Deal), il sostegno alloccupazione. Col rischio concreto che luscita da queste misure ci sprofondi di nuovo nel baratro. Intanto la
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sinistra non stata in grado di imporre un vincolo sociale o di disegnare una alternativa di societ: n basta (anche se non guasta) un po di redistribuzione o un po di sostegno temporaneo alleconomia. Non si pu navigare a vista. Il nodo rimane quello a cui approdava sempre il discorso di Napoleoni. Riconoscere le compatibilit capitalistiche, operare per una loro rottura, intervenire politicamente sulla natura e la struttura del processo economico: sulla base di una spinta e di un vincolo sociale, e a partire da una ridefinizione qualitativa e non solo quantitativo della spesa pubblica. Mettere in questione cosa e come si produce, andando al di l di quanto lassetto capitalistico della societ pu dare.

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Raniero La VALLE Napoleoni e la Sinistra Non solo la milizia politica, ma tutta la ricerca e linsegnamento di Claudio Napoleoni si sono svolti nel quadro della Sinistra. E ci perch, come disse a un nostro convegno di Bozze 86 a Cortona, egli aveva cominciato ad occuparsi di politica nel momento in cui aveva cominciato a ragionare; ed aggiunse: Io non avrei in vita mia affrontato mai una questione teoretica se non fossi stato spinto a farlo da un interesse politico; ho affrontato le questioni teoriche solo perch mi consentivano di capire meglio la politica. E spiegava che questa forza che ha avuto la politica come luogo in cui stare e da cui parlare, naturalmente derivata dal fatto che la politica era concepita come lo strumento di una liberazione. In un momento in cui non si sa pi che cosa significa la Sinistra, e perfino la parola sembra sconveniente, mi sembra una buona definizione questa, secondo cui la Sinistra una politica concepita come strumento di liberazione. per questa ragione che anche lapproccio ermeneutico e critico di Napoleoni al marxismo si confrontava con lobiettivo della liberazione. E naturalmente anche i suoi rapporti politici con le forze della Sinistra erano strumentali alla liberazione e comportavano la risposta ai problemi teorici che condizionavano la liberazione. In questo quadro si ponevano i suoi rapporti col Partito comunista e i rapporti con i cattolici, che sono i due punti su cui vorrei limitare il mio intervento. Per quanto riguarda il Partito comunista, il problema su cui Napoleoni lo chiamava a giudizio era quello dellalienazione. Nella sua capacit di affrontare
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e di dare una risposta alla realt dellalienazione nella societ di oggi, secondo Claudio Napoleoni stava o cadeva il Partito comunista. Ma questo voleva dire sul piano teorico comprendere lalienazione anche oltre Marx, cio non solo come una piaga specifica della societ capitalistica, ma in modo pi radicale come soggezione delluomo alla cosa, che era stata la caratteristica negativa di tutto il corso storico fino ad ora. Perci al Partito comunista che nel 1988 preparava la sua conferenza programmatica, Napoleoni chiedeva di assumere il problema delle nuove alienazioni in una societ frantumata, che cosa ben diversa diceva rispondendo a Michele Salvati che rendere pi efficiente tale societ; perch queste nuove alienazioni per le quali luomo moderno incluso dentro meccanismi pubblici e privati che ne espropriano lautonomia, lo privano di soggettivit, ne fanno lelemento di una macchina e lo ambientano in una natura in via di distruzione, non sono che lo svelarsi, aggravato in ragione dello sviluppo della societ attuale, di quella vecchia cosa, di quella alienazione connessa ai meccanismi di produzione e di mercato, che il marxismo aveva gi analizzato e che il Partito comunista avrebbe fatto male a dimenticare. Riconoscere e riscattare queste alienazioni significava uscire dal capitalismo. Fu questo lultimo intervento politico di Napoleoni, che si concludeva con una interrogazione profetica, piantata proprio l, nel cuore di Botteghe Oscure: altrimenti perch continuare a chiamarsi comunisti? E infatti ben presto, ma quando ormai Napoleoni non cera pi, hanno cessato di chiamarsi comunisti. E le alienazioni sono ancora l. Riguardo ai cattolici il problema teorico che angustiava Napoleoni era ancora pi grave. Luomo pu salvarsi da solo? C una via duscita puramente politica dalla societ di dominio e di guerra, come ormai chiamavamo la societ tecnologica e opulenta, pronta alla guerra nucleare? Unuscita puramente politica voleva dire una liberazione che non chiamasse in causa la dimensione religiosa, che fosse laica nel senso radicale
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moderno del come se Dio non ci fosse. Napoleoni si scontra con questo problema discutendo con Franco Rodano, che aveva teorizzato come questa uscita politica fosse possibile, sostenendo la tesi dellautosufficienza e della bont del finito. Napoleoni non pi sicuro di questo, gli sembra che lo scarto tra la catastroficit della crisi storica e le risorse messe in campo dalluomo sia incolmabile, gli sembra che neanche la cultura cattolica, a meno di non cadere nellerrore rimproverato a Rodano di una separazione semipelagiana tra natura e grazia, abbia risposte a questo problema, e comincia a chiedersi, riecheggiando la domanda di Heidegger, se solo un Dio ci possa salvare. Lidea che solo un Dio ci possa salvare nella cultura cattolica tradizionale nota a Claudio Napoleoni, voleva dire una surrogazione di Dio alloperare delluomo, il quale sarebbe stato non sufficiente a se stesso perch guastato, fin dal principio, dal peccato originale; e voleva dire non solo aprirsi allazione di Dio nella dimensione personale e privata, ma attendersi e anche preparare un intervento diretto di Dio nella storia, una sua seconda venuta, dato che la prima cera gi stata. Perch questo intervento era necessario? Napoleoni attribuiva al peccato originale e alla conseguente perdita della relazione con Dio, la rottura del rapporto tra due dimensioni essenziali delluomo, il lavoro e la contemplazione (la schol, come la chiamavano i Greci); a seguito di questa rottura che il lavoro diventa doloroso e faticoso, col sudore della fronte; esso non realizza pi la somiglianza delluomo con Dio, non pu pi essere determinato in modo veramente umano, e perci diventa alienato. Era lintegrit delluomo che era venuta meno e perci era storicamente molto difficile ristabilire larmonia tra il lavoro e la totalit delluomo, tra il lavoro e il Sabato, come si esprimeva Napoleoni. Coinvolgendo nel suo discorso questi contenuti Napoleoni mostrava che non cera niente di banale in questo suo richiamo ai temi religiosi, che erano assunti in uno spessore essenzialmente antropologico.
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Tuttavia questa posizione di Claudio Napoleoni non poteva non inquietare i suoi amici laici, politici ed accademici, e infatti nei discorsi su di lui, successivi alla sua morte, questa tematica sar coperta da un imbarazzato silenzio. Avventurarsi su questo terreno voleva dire infatti, secondo i suoi critici, ricadere nel religioso e quindi nella non laicit. Una critica ancora pi forte era che la posizione di Napoleoni si prestasse a una lettura pseudo-apocalittica: questo infatti che gli verr contestato dal filosofo Francesco Totaro in un convegno su Napoleoni tenutosi nel 1992 al Centro Studi ecumenici di Sotto il Monte. Secondo Totaro una cattiva Apocalisse quella che elimina la trascendenza mettendola in un nesso di incastro oggettivo con la storia, facendone una garanzia oggettiva della storia, un elemento che interviene oggettivamente nella storia senza soluzioni di continuit con la storia stessa; mentre la vera Apocalisse sarebbe quella che rivela la positivit della storia solo alla fine, oltre la storia stessa. chiaro per che una liberazione al di l del tempo non poteva bastare a Claudio Napoleoni, perch lui aveva bisogno di pensare a un trascendimento dellesistente dentro la storia, una salvezza non oltre, ma dentro la storia. Questo, che spero di aver riferito fedelmente, lo status quaestionis del dilemma lasciato aperto da Claudio Napoleoni. Per parte mia io credo che oggi si potrebbe dare una risposta positiva al problema posto dal filosofo torinese, senza cadere n in una posizione pseudoapocalittica, n in un vulnus alla laicit propria della societ moderna. Anzi per la verit io credo che una risposta era stata gi data ed era disponibile gi allora, ma non era possibile coglierla. E questa risposta era stata data dal Concilio Vaticano II attraverso una profonda rivisitazione della tradizione cattolica fatta dai Padri conciliari: solo che negli anni 80, quando Napoleoni poneva queste questioni, il Concilio giaceva inerte nella Chiesa, e
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nessuno gli chiedeva risposte. Oggi per c una situazione nuova: perch il Concilio stato oggetto di un esplicito tentativo di rimozione nella Chiesa, attraverso diversi atti di restaurazione, tra cui il ripristino della liturgia latina preconciliare, la revoca vaticana del nome di Chiese alle Chiese protestanti e riformate, la riammissione nella comunit cattolica dei vescovi scismatici di Lefebvre. Ci ha provocato una vibrante reazione nella Chiesa, anche di interi episcopati, a cominciare da quello tedesco; il Concilio, che era in stand by, si riacceso e ha mostrato di resistere; e nella riscoperta del Concilio abbiamo potuto scoprire cose che non avevamo visto prima; e queste cose scoperte sono proprio quelle che possono dare risposte alle questioni poste da Napoleoni. Anche il Concilio infatti si era occupato della salvezza, che era la cosa che assillava Napoleoni, e si era posto il problema antropologico della capacit delluomo di operare per la salvezza storica, fuori da ogni apocalisse. E come risponde? Anzitutto il Concilio cambia il punto di vista. Nulla pi come prima. Nuova dice il Concilio - la strada su cui lumanit si messa da poco. Troppe cose sono mutate, nel ruolo della scienza, nella tecnica, nella indagine storica, nella percezione del futuro, nelle nuove possibilit di controllo della realt offerte dal progresso delle scienze biologiche, psicologiche e sociali, per pensare che tutto possa ancora essere iscritto in un ordine statico, mentre incalza lincremento demografico e unico diventa il destino della umana societ. Cos il genere umano - dice la Costituzione pastorale del Concilio - passa da una concezione piuttosto statica dellordine delle cose, a una concezione pi dinamica ed evolutiva. Ci favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove. In queste analisi nuove si fa luce unantropologia positiva, che da molti
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fu accusata di essere troppo ottimistica; ma in realt questo ottimismo non dipendeva affatto da una deviazione pelagiana o semipelagiana, come temeva Napoleoni, ma dipendeva da una rilettura radicale del rapporto di Dio con lumanit. Lidea che il Concilio ha di questo rapporto che, senza bisogno di ulteriori interventi straordinari da parte di Dio, la vita delluomo intrecciata con la vita divina, e lo fin dallinizio della storia umana; e mai venuto meno un sodalizio di Dio con luomo a causa di una rottura originaria per la quale luomo sarebbe stato allontanato da lui. Il peccato c stato, ma il naturale corso della vita umana sulla terra, compreso il lavoro, il sudore, la sessualit, i parti, il potere, lo Stato, non sono poena peccati, la pena del peccato, come una certa tradizione aveva sempre ripetuto leggendo in tal modo i primi capitoli della Genesi. Non per il peccato che si lavora col sudore della fronte, o si partorisce con fatica, o si impresso negli esseri umani il desiderio sessuale. la condizione creaturale delluomo. E il Concilio di conseguenza si astiene dal dire che a causa del peccato c stata una cacciata delluomo da parte di Dio, che lo avrebbe ripudiato, messo fuori del giardino, con due cherubini a impedirne il ritorno. Dio non ha cacciato nessuno, e nemmeno ha abbandonato luomo: lo dice la Costituzione dogmatica Lumen Gentium: gli uomini caduti in Adamo, Dio non li abbandon (non dereliquit eos), ma sempre prest loro gli aiuti per salvarsi; e cos altri testi del Concilio. Dunque, per mettere mano alla salvezza storica, non c bisogno di aspettare una seconda venuta, che invece riservata alla fine della storia. Ci che gi avvenuto, come in altro luogo dice il Concilio, che per stabilire la pace, cio la comunione profonda degli uomini con Dio e tra loro, Dio decise (decrevit) di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro (Ad Gentes, 3). Sicch, mentre siamo in una situazione in cui in pericolo il futuro del
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mondo, il Concilio (Gaudium et Spes, n. 15-17) persuaso che luomo pu farcela, nella misura in cui vengano suscitati uomini pi saggi; anzi deve farcela perch Dio ha messo luomo in mano al suo consiglio (Sir. 15,14). interessante che il Concilio traduca in questo modo positivo unespressione biblica - del Siracide - che la versione della CEI traduce come se si trattasse di una punizione: Dio lasci luomo in balia del suo proprio volere, che come dire in balia di se stesso. Invece qui c la consacrazione della libert e dellautonomia umana: Dio ha messo luomo in mano al suo consiglio, come giustamente corregge il Concilio; e questo riguarda gli uomini come tali, prima di ogni loro distinzione, sicch linvestimento che la Chiesa del Concilio fa sugli uomini e sulle donne a cui si rivolge, non riguarda una particolare schiera di eletti, di membri di Chiese, e nemmeno solo i credenti, ma tutti; perch con lincarnazione il Figlio di Dio si unito in certo modo ad ogni uomo, vale a dire che lunione tra lumano e il divino che cos si realizzata riguarda tutti gli uomini e lumanit tutta intera, come dice la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno. Perci il Concilio riconosce le vie di Dio presenti anche nelle altre religioni, apre il dialogo con lIslam, con lebraismo, linduismo e gli altri modi di vivere e di credere, e fa cadere la vecchia idea esclusivista secondo la quale solo nella Chiesa ci sarebbe salvezza. Ed anche riguardo al lavoro, che col peccato sarebbe divenuto incapace di rappresentare la somiglianza con Dio, e quindi sarebbe condannato ad essere lavoro alienato, dice il Concilio che attraverso di esso la persona imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volont, sicch il lavoro stesso pensato come ci con cui luomo pu collaborare attivamente al completamento della divina creazione e anche associarsi allopera stessa redentiva di Cristo. Dunque ci che emerge da questa nuova comprensione della fede che grazie al Concilio oggi possibile, che per realizzare il suo fine, e perci
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anche la salvezza storica del mondo, non c alcun bisogno che luomo esca dal mondo umano per passare la mano a quello divino, perch nel divino egli c gi; e tutto ci che luomo fa laicamente, secolarmente, politicamente, giusto o sbagliato, buono o cattivo, lo fa allinterno di questa economia di unit nella distinzione tra il divino e lumano; pertanto tutto ci che umano non ha bisogno di essere ulteriormente sacralizzato, clericalizzato, conteso o strappato al mondo divino, ma nella condizione laica, secolare e comune, di cui le Chiese stesse, come pezzi di mondo partecipano, che si svolge la grande avventura umana di liberazione, di salvezza, di unit, di giustizia e di pace che i profeti descrivevano come lavanzare del regno di Dio sulla terra, pur in mezzo a un cos pauroso intreccio di mali; quella liberazione che era lassillo di Napoleoni e lintera ragione del suo fare scienza e del suo fare politica, ma che era anche ci che laicamente aveva praticato, pur nel dubbio che unimpresa puramente umana fosse sufficiente. Dopo questa rielaborazione della fede fatta dal Concilio, la domanda di Heidegger, e quindi di Napoleoni, se solo un Dio ci pu salvare, non si potrebbe pi porre in questo modo; perch il gesto salvifico di Dio sta nel rapporto fin dallorigine stabilito con luomo, non interrotto dal peccato; da allora Dio non salva da solo, ma sempre attraverso le mani, la mente, il cuore e lopera delluomo; e ricorda ancora il Concilio che non Dio a fare le cose, ma, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono (G. et S. 36). Qui sta la laicit; luomo opera, le cose sono quello che sono. Se invece Dio a operare e a fare ogni cosa, la laicit si perde, ma anche il cristianesimo, e la Chiesa viene autorizzata a impossessarsi di questo Dio e a proporsi come unica vera autorit, sua vicaria, sulla terra. stata questa la tragedia del secondo millennio cristiano, da cui solo col Concilio siamo usciti (ed per questo che a prima del Concilio molti vorrebbero tornare). Ma stato anche
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il dramma della modernit, che per uscirne ha dovuto ricorrere alla formula del come se Dio non ci fosse. Questa formula probabilistica a mio parere deve essere abbandonata. Si pu benissimo pensare che Dio non ci sia, ma allora non c alcun bisogno di fingere che non ci sia ci che non . Ma se si pensa che Dio ci sia, non c alcun bisogno di toglierlo alla vista per renderlo innocuo, perch se Dio si unito in certo modo ad ogni uomo, luomo ad avere le chiavi di questa unione, e daltra parte attraverso lazione delluomo che pu manifestarsi loperare di Dio. a partire da questa rilettura della fede che si potrebbero riformulare i termini della laicit, e che linterrogazione di Claudio Napoleoni potrebbe trovare adeguata risposta.

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APPROFONDIMENTI TEMATICI

Presiede e introduce Mario TRONTI

Vorrei partire e assumere la definizione che il presidente Bertinotti dava della persona di Napoleoni: un pensatore forte. Che cos un pensiero forte? un pensiero vero, un pensiero che parte da uno specialismo disciplinare. E Napoleoni lo possedeva magistralmente. Napoleoni d a questo pensiero una finalit che non solo teorica, ma anche pratica. Egli cerca di strumentare il proprio pensiero per un cambiamento delle cose che, secondo me, immaginava in grande. Ci troviamo di fronte a un economista politico nel senso marxiano della parola, che tratta alla pari altri problemi. Un economista filosofo, che si sporge anche su problemi di carattere teologico, soprattutto nellultima fase della sua vita. Nel discorso sulleconomia politica del 1985 troviamo, infatti, una sezione particolare dedicata a Marx ma anche alla filosofia del soggetto. Uneconomia, quindi, che si impianta dentro un pensiero che vuole capire il complesso della societ di fronte a cui si trova. In una conversazione con Aldo Garzia e altri gli viene domandato il perch di questo discorso sulleconomia politica, che era stato discusso in ambito accademico ma non era stato discusso affatto in ambito politico. La risposta di Napoleoni molto chiara: nella Sinistra non c pi labitudine a raggrupparsi per grandi idee, grandi problemi, grandi impostazioni. Era il 1987. A sconfitta della Sinistra in parte gi avvenuta, Napoleoni osserva che si era in un periodo di vuoto, nel senso che non era ancora stato fatto un tentativo per capire le motivazioni per cui vigeva un moderatismo politico e culturale dominante.
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Da allora questa forma di moderatismo cresciuta e ha quasi occupato lintero campo della Sinistra; e questo uno dei motivi dellattuale crisi della Sinistra. Che cos dunque il moderatismo se non un rimpicciolire i problemi? La rinuncia al pensare in grande? La lezione di Napoleoni consiste in questa forma di attualit. Egli chiede allo studioso di uscire dalla propria disciplina per impegnarsi a dare una visione complessiva della societ. Lo studioso di politica deve uscire dalla politologia, cos come il giurista deve fare uno sforzo per uscire dalla pura scienza del diritto e il filosofo deve uscire dalla logica astratta. E questo deve essere fatto possedendo la propria disciplina fino in fondo. Vi sono due concetti fondamentali del pensiero di Napoleoni, molto intrecciati tra loro: il concetto di liberazione e, contrapposto e connesso a questo, il concetto di separazione, di separatezza. Lintero pensiero, anche economico-politico, di Napoleoni rivolto alla separazione del lavoratore dalle condizioni oggettive della produzione, natura e mezzi di produzione, e alluniversale dipendenza degli individui da un meccanismo impersonale, il mercato, che si reso indipendente e che a loro si contrappone. Ricomporre lunit perduta dentro la lunga storia del capitalismo lindicazione della cultura complessiva di una Sinistra erede del movimento operaio, che attuale. Separazione e liberazione, nel senso di libert dalla separatezza, da quelle forme nuove di alienazione che seguono i grandi processi di innovazione della produzione, del mercato, del consumo capitalistico. Gi allora Napoleoni vede la necessit di questo processo, ma non ne vede la praticabilit. E la sua grande attualit nel dire: Io vedo nella storia contemporanea un abisso tra possibilit e realizzazione. Badate che si riferisce alla storia contemporanea, non al breve periodo.
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Il rapporto tra possibilit e realizzazione un grande tema culturale e strategico della Sinistra, che non pu essere risolto una volta per tutte ma che deve essere riproposto nella contingenza e anche oggi come tema politico generale. Napoleoni invita i comunisti di allora a farsi carico di questo problema, e dice: Non dovete cercare un altro modello di sviluppo, ma il modello di unaltra cosa. Questo aspetto molto importante per Napoleoni e se i comunisti non lo mettono in pratica, allora tanto vale che si cambino nome. Vorrei accennare a un ultimo punto di grande attualit del pensiero di Napoleoni. Non ci si pu definire comunisti senza certi trascendimenti. Si tratta di un trascendimento storico di una forma sociale, di una forma politica. A mio avviso, in unottica di politica-trascendenza, la condizione di crisi della politica di oggi va ricercata in un elemento interno alla crisi stessa. Penso a una possibile fuoriuscita da quella crisi dei fondamenti della politica moderna che oggi scontiamo e che ricaduta in gran parte sulla Sinistra e sul movimento operaio. La Sinistra ne ha risentito molto di pi delle altre parti politiche proprio perch era una forza di grande trasformazione. Ritornare a occuparci del pensiero dei fondamenti della politica dunque ripropone il grande tema della politica-trascendimento ovvero della politicatrascendenza.

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Alessandro MONTEBUGNOLI Lotta alla rendita

1. Confesso che, quando mi stato proposto di intervenire sullaspetto del pensiero di Napoleoni racchiuso nel titolo lotta alla rendita, sono rimasto un po deluso. Nel pensiero di Napoleoni, come sostiene Bellofiore, questo tema si sempre collocato allinterno di una critica del capitalismo che non ha mai avuto come punto di approdo definitivo, come obiettivo finale, un adeguamento del capitalismo al suo concetto, che non prevede rendite perch in questo stesso concetto si annida una contraddizione insuperabile, la quale, tra laltro, d conto del compromesso con la rendita che il capitalismo ha realizzato nel corso del suo sviluppo storico. E per proprio la determinazione di questa contraddizione (e prima ancora, del concetto in cui si annida) laspetto pi interessante, il cuore del pensiero di Napoleoni, al quale, spesso, mi capita di tornare e del quale, soprattutto, ho voglia di ragionare. 2. Poi, per, ci ho pensato meglio, e sono arrivato alla conclusione che il tema della lotta alla rendita un po allargato presenta uno specifico motivo di interesse proprio dal punto di vista che soprattutto mi interessa: una critica del capitalismo formulata in modo sufficiente, e per efficace, sostenibile. 3. Com noto, largomento occupa una posizione particolarmente rilevante nel pensiero di Napoleoni durante gli anni 60. Richiamo per cenni velocissimi i termini della questione. (i) Il conflitto salariale come forza positiva che comprime i profitti e, con ci, crea le condizioni affinch la borghesia cambi spalla al suo fucile, muti le proprie alleanze di classe, ovvero
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sostenga la lotta alle rendite come contropartita di una politica dei redditi; (ii) i problemi che in questo modo si aprono sul fronte della domanda aggregata, sia in ragione del contenimento della dinamica salariale sia proprio per il venir meno del consumo improduttivo dei rentier, del quale, malthusianamente, il capitalismo ha sempre avuto bisogno (appunto per problemi di domanda); (iii) la possibilit, a questo punto, di chiudere il cerchio per via politica, ovvero con un utilizzo della domanda pubblica che garantisca alle imprese un quadro di agibilit e al tempo stesso orienti la loro attivit a fini sociali (i consumi collettivi), determinando presso i lavoratori condizioni di consenso nei confronti della politica dei redditi. Il che, in termini teorici generali, significa ristabilire il primato del valore duso sul valore di scambio e, appunto per questo, configura una strategia di fuoriuscita dal capitalismo. 4. Ora, vale la pena di rilevare un punto che pure di per s evidente (e del resto, in Napoleoni, senzaltro esplicito). In tutto ci, il capitalismo il capitalismo in quanto tale, il capitalismo puro, che si lasciato alle spalle il compromesso con la rendita viene accredito della capacit di imporre al processo economico una norma di rigore, di efficienza, di produttivit, della quale, altrettanto visibilmente, Napoleoni ritiene che non si possa fare a meno. E che daltra parte fa tuttuno con il senso positivo delluscita dalla dimensione del privilegio, costitutiva del mondo signorile (per dire lo spessore del tema, che in effetti andrebbe trattato proprio sullo sfondo dellintera riflessione intorno al passaggio dal sistema signorile al capitalismo, con tutte le sue implicazioni filosofiche). La stessa idea di ordinare le dinamiche del mercato e le attivit di impresa a fini stabiliti in sede politica implica senzaltro lapprezzamento che ho appena detto; anzi, si pu aggiungere che proprio in quanto incarna astratte ragioni di efficienza il capitalismo suscettibile di ricevere fini che non sono stabiliti nel quadro dei suoi medesimi rapporti; e di pi, ha bisogno di un tale punto di riferimento esterno.
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5. Successivamente, Napoleoni ha criticato lidea che il mercato capitalistico possa servire fini diversi da quelli iscritti nella sua propria logica. E su questo sul rifiuto di una visione strumentale del mercato in generale, al di l dei termini della polemica con la Rivista Trimestrale, ha molte ragioni. Conosco poche idee pi ingenue di quella che il mercato sia un mezzo: il mercato, marxianamente, una forma delle relazioni sociali, che condiziona fino in fondo i contenuti che prendono corpo nel suo ambito. Nondimeno, Napoleoni non mani venuto meno alla convinzione (i) che il processo economico abbia bisogno di una sua propria legge, che ne garantisca lefficienza; e (ii) che una legge di tal genere allo stato degli atti, per quanto siamo in grado di vedere debba essere rinvenuta nel portato storico del capitalismo. Soprattutto, degno di nota il fatto che non venuto meno a questa convinzione (in particolare al punto (ii)) neppure nellultimo periodo della sua attivit, quando la critica del capitalismo si radicalizzata in chiave heideggeriana, assumendo tinte assai pi forti di quelle degli anni 60. Fino al punto di sostenere, nel periodo in questione, che non si tratta affatto di sostituire il mercato con unaltra cosa (cos in un articolo su Bozze), o di uscire dal capitalismo (cos nello scambio di battute riferito da Gorz), bens di far gestire bene dal mercato la produzione materiale e per, al tempo stesso, di affermare nella massima misura possibile un oltre del mercato, ovvero di allargare, nella massima misura possibile, la differenza tra capitalismo e societ. 6. Ecco, su queste formulazioni, nelle quali si assesta il pensiero dellultimo Napoleoni, che vorrei lavorare un poco nei cinque minuti che mi restano. E siccome sono cinque minuti, lo faccio per punti, telegraficamente, a met tra un accertamento della posizione di Napoleoni e quello che, a mio avviso, se ne pu ricavare. Primo. Come abbiamo appena visto, Napoleoni ritiene che occorra
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ragionare su due dominii diversi: sul dominio delleconomico (della produzione materiale, della produzione di cose), che resta affidato al mercato, alla mediazione del denaro, alla razionalit incarnata dal capitalismo; e su un dominio di tuttaltro genere, di rapporti non mercificati. Secondo. In questo quadro, per Napoleoni, il mercato resta un luogo di rapporti estraniati, consegnati alla competizione, allinimicizia tra gli uomini (Bozze); il capitalismo resta il luogo della soggettivit capovolta (lo scambio di battute), dove gli uomini, proprio in quanto si concepiscono essenzialmente come produttori, si riducono, essi stessi, allo stato di prodotti (del sistema, della tecnica: qui interviene Heidegger). Perci, appunto, bisogna che loltre del mercato la differenza tra capitalismo e societ sia oggetto del massimo ampliamento possibile. Terzo. Lordine dei rapporti capitalistici acquista cos il carattere di una dura necessit, di un male necessario, il cui schietto riconoscimento, per, forma parte integrante della prospettiva che viene a delinearsi e la sottrae a un esito utopistico. Di una situazione in cui gli uomini fanno tutte due le cose, cio stanno dentro e fuori del processo produttivo in senso stretto, si possono positivamente determinare le condizioni di realizzazione, le quali, anzi, marxianamente e keynesianamente, sono iscritte nella dinamica delle forze produttive (il tema della riduzione del tempo di lavoro, collegato allimpatto delle tecnologie digitali, e altri). Ora, anchio penso che si debba lavorare centralmente sulla differenza tra capitalismo e societ, che il mercato vada messo a posto, che siano mature le condizioni per abbandonare lidea di una centralit del lavoro produttivo, cio remunerato, che non a caso, ormai, si manifesta nel suo contrario, in una centralit delle preoccupazioni legate al lavoro. Su tutto ci mi sento molto vicino alle posizioni dellultimo Napoleoni diciamo che in pratica sostengo le stesse cose. Solo che a me non sembra affatto che per
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sostenere queste cose vi sia bisogno di concepire il mercato capitalistico e il lavoro produttivo come luoghi di inevitabile negazione dellumano, e che anzi, a concepirli in questo modo e tuttavia a volerli conservare, si arrivi a una posizione internamente insostenibile. Qui, allontologia di stampo heideggheriano che ha tanto influenzato lultimo Napoleoni contrapporrei unantropologia (e una fenomenologia dellagire sociale) che verte sulla variet delle esperienze di riconoscimento intersoggettivo richieste dalla formazione pratica dellidentit di ogni uomo e di ogni donna (Honneth); e tra queste proprio non mi sentirei di escludere il peculiare riconoscimento come altro generalizzato che ha luogo sul mercato e nella sfera delle attivit produttive (e che storicamente, di nuovo, ha molto a che vedere con luscita dal mondo signorile, che forma lo sfondo pi impegnativo della riflessione sulla rendita). Salvo aggiungere subito che le stesse ragioni che mi inducono a contemplare positivamente questa forma di riconoscimento la stessa idea dellaltro generalizzato, alla quale non credo si possa rinunciare mi fanno avvertire acutamente quanta parte della vita umana ne resti fuori, e anche quanta tensione esista con altre forme di riconoscimento, certamente non meno essenziali (a partire proprio da quella inversa, dallaltro concreto, riconosciuto e confermato nella sua irripetibile identit personale). Perci, appunto, il mercato deve stare al suo posto; e in senso pi determinato si tratta di riconoscere le sue intrinseche tendenze colonizzatrici, oggi pi che mai dispiegate, e per di rappresentarsi lattualit del compito di allargare gli spazi dei rapporti non mercificati. Ma questa conclusione riposa sulla parzialit delle sue ragioni, del suo codice relazionale, piuttosto che su un dato di negativit intrinseca, che oltretutto, come accennavo, nel quadro delineato da Napoleoni comporta una contraddizione: dopotutto, se un male necessario, viene il sospetto che non sia proprio, soltanto, un male. E cos, tra laltro, il tema della lotta alla rendita acquista un senso pi schiettamente
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positivo, come condizione dellaffermazione di un valore, per quanto parziale, piuttosto che come momento interno di una vicenda ancora tutta segnata dal marchio dellalienazione. Dicevo di una critica del capitalismo formulata in modo sufficiente, e per efficace, sostenibile. Ecco, a me sembra che una posizione pi comprensiva di quella dellultimo Napoleoni, nel senso che ho cercato di dire, sia teoricamente pi solida e anche politicamente pi spendibile, senza perdere nulla dellidea che occorre, precisamente, lavorare sulla differenza tra capitalismo e societ, e senza neppure che questa idea perda la carica di radicalit meglio: loriginale sapore di radicalit e di ragionevolezza che la contraddistingue.

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Giorgio RUFFOLO Qualit dello sviluppo

Nel personaggio di Claudio Napoleoni impossibile separare il lavoro teorico dallimpegno politico. Come ha ricordato Raniero La Valle, lo diceva lui stesso: Non avrei mai affrontato una questione teoretica, se non fossi stato spinto a farlo da un interesse politico. E aggiungeva subito dopo ci che intendeva per politica: lo strumento di una liberazione. Vorrei limitarmi a una breve riflessione sul tema centrale della politica, intesa in senso alto, come strumento di liberazione. Vi anche un senso pragmatico e concreto, importantissimo e rispettabilissimo, della politica, quale scienza del potere. La politica in senso alto lo strumento del quale lumanit si serve per affermare la sua superiorit su tutte le altre specie: il potere di trasformare il mondo. Lo si pu usare in due modi: per trasformare la natura o per trasformare se stessi. Nel primo modo attraverso la sua storia, brevissima se confrontata con quella di tante altre specie, lessere umano ha scelto di usare la sua capacit di lavoro e la sua intelligenza non solo per ricavare una sua nicchia nella natura, ma per trasformare la natura attraverso la tecnica che esso ha prodigiosamente sviluppato, combinando alcune risorse per produrne altre per il proprio uso. Per mobilitare queste risorse ha usato dapprima la rapina a vantaggio dei pi forti, poi sempre pi efficacemente lo scambio, dando a quelle risorse un valore. Ha inventato, quindi, leconomia del comando e leconomia dello scambio, trasformando le risorse in merci scambiabili. Dapprima questa mercificazione ha investito i beni dellordinario consumo, poi i fattori produttivi, il lavoro, la terra e gli attrezzi tecnici. In una parola, i capitali. Cos leconomia diventata una
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partita giocata da chi disponeva di quei fattori, inevitabilmente vinta dai capitalisti che disponevano del fattore chiave. Indiscutibile era il nesso tra capitalismo e ricchezza reale, anche se discutibilissimo era il modo in cui essa era distribuita tra i percettori e quello in cui era ripartita tra i vari usi, privati e sociali. E formidabile era il nesso tra capitalismo e potenza delleconomia, giunta ai giorni nostri a livelli elevatissimi. Oggi quel nesso non pi cos indiscutibile: c unenorme sproporzione tra il capitalismo finanziario, misurato dal volume complessivo dei titoli in circolazione, e la ricchezza reale, misurata, sia pure in modo assai discutibile, dal prodotto interno lordo. Questo iato trova la sua origine nel peccato originale, denunciato da Polani, della mercificazione della moneta; nellaver attribuito a unistituzione, quale appunto la moneta, la natura di una merce; nellaver affiancato alle sue due funzioni regolative, di unit di conto e di mezzo di pagamento, quella di riserva di valore, di ricchezza da accumulare. Laccumulazione attraverso il debito diventato un carattere distintivo del nuovo capitalismo finanziario. Leconomista Marc Bloch ha ravvisato nella procrastinazione dei debiti la caratteristica specifica del capitalismo attuale. Il capitalismo, secondo Bloch, il regime nel quale i debiti non si pagano mai. Il concetto pu essere espresso con limmagine delle onde che si accavallano luna sullaltra in prossimit della riva. Il nostro Tot, senza saperlo, aveva rappresentato questo processo, in forma meno poetica ma altrettanto convincente, in un suo famoso sketch, in cui il cameriere dice a Tot: Voi mi avete detto che mi avreste pagato domani. Risponde Tot: Lo confermo, ti pagher domani e il cameriere ribatte: Ma domani oggi. Infine Tot: Giovanotto, non scherziamo. Oggi oggi, domani domani. Forse proprio in questa successione di domani che le onde che si accavallano restano tali e che la forza che spinge il capitalismo oltre il suo presente in una mercatizzazione del tempo fa riscontro alla mercatizzazione dello
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spazio rappresentata dalla globalizzazione. Penso alla sua formidabile forza espansiva, ma anche alla sua fatale fragilit: fatalmente viene il momento in cui le onde si infrangono sulla riva, il momento dei creditori che non stanno pi al gioco, e il gioco stesso si interrompe. Allora, come dice Galbraith, gli sciocchi sono privati del loro denaro ma anche i lavoratori del proprio lavoro. Non proprio cos che cominciata lultima crisi? Se Claudio Napoleoni fosse qui, sarei tentato di porgli due domande. La prima: i due processi che caratterizzano lattuale condizione delleconomia, da una parte lemergenza delle scarsit ecologiche e dallaltra le secche della finanziarizzazione, non ripropongono lutopia concreta? Concreta perch inevitabile dello stato stazionario, privo di accumulazione. Seconda domanda: conseguentemente non si pone il problema di una svolta radicale nella politica? La liberazione che Napoleoni pone come scopo della politica pu essere perseguita in due modi: la modificazione della natura o la modificazione delluomo. Di fronte alle due impasse che ci sovrastano, non ritenete sia giunto il momento di passare dalla prima di queste strategie alla seconda?

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Gian Luigi VACCARINO La politica economica in Italia Nelle considerazioni che seguono mi ricollego in particolare agli interventi di Montebugnoli e Ruffolo, con cui mi trovo maggiormente in sintonia. Nella sua relazione Riccardo Bellofiore ha dato grande spazio alla riflessione di Claudio Napoleoni sulla lotta alle rendite. Concordo con lui che per la politica economica italiana questo rimane un tema importantissimo, e trovo anche politicamente molto significativo e positivo che la sinistra radicale, (presente in forze in questa iniziativa seminariale) approdi alla problematica delle rendite (nel senso di Napoleoni), e anzi la assuma come terreno proprio di una politica economica di sinistra, cosa che in passato mi pare- non sempre avvenuto. Si vedano a questo proposito le tensioni che caratterizzarono i due governi di coalizione presieduti da Romano Prodi. Tuttavia la riflessione di Napoleoni che trovo oggi pi attuale e stimolante non quella sulla lotta alle rendite, che da tempo a mio avviso- fa parte del bagaglio culturale della parte maggioritaria della sinistra, quella che si usa denominare sinistra riformista. La La rivista Trimestrale di Napoleoni e Franco Rodano, come si ricorder, gi nei primi anni sessanta proponeva alla sinistra di allora e in particolare al Partito comunista (Togliatti vivente) di spostare la sua attenzione dalla lotta anticapitalistica contro il profitto alla lotta contro le rendite, e lo faceva per giunta a partire da una critica di fondo molto seria alla teoria marxiana del plusvalore come base del profitto capitalistico (oltre che della rendita, naturalmente). Si tratta di questioni vecchie pi di mezzo secolo, e per quanto riguarda la teoria marxiana, vecchie di pi di un secolo. La principale differenza, rispetto ad allora,
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che oggi per la sinistra riformista la lotta alle rendite si basa essenzialmente sulle liberalizzazioni, cio sullampliamento del ruolo e delle funzioni del mercato (che da intendersi ovviamente, tengo a precisare, come mercato regolato: sia in termini macroeconomici, sia microeconomici, per evitarne i fallimenti, come usano chiamarli gli economisti). Mentre allora ai tempi cio della prima Trimestrale - se ne parlava in termini di politica di programmazione, una politica che era allo stato nascente, e su cui, occorre dire, ci si faceva non poche illusioni. Ma su questo tema, che peraltro non mi pare sia stato toccato da Bellofiore, non intendo soffermarmi oltre: se la sinistra radicale intende scendere sul terreno della lotta alle rendite, le tocca anche di specificare le modalit in cui ci pu oggi avvenire. Occorre per chiedersi -e qui torno a quanto ho accennato allinizio - se la lotta alle rendite possa effettivamente rappresentare, oggi -in particolare dopo la crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo- lelemento caratterizzante, ed esclusivo, di una strategia di politica economica di unampia coalizione di centro-sinistra (che includa cio sia i cosiddetti riformisti, sia i cosiddetti radicali). Ed qui che vengo al punto che mi preme di mettere in evidenza: ovvero l attualit dellultimo Napoleoni, quello del Discorso sullEconomia Politica (1985) e dei saggi collegati, scritti dellultimo periodo di vita. Anche in questo caso, come gi per la Trimestrale la premessa rappresentata da una critica del concetto marxiano di sfruttamento del lavoro (di pluslavoro, plusvalore ecc.). Una critica che, certo, rispetto ai tempi della Trimestrale, viene formulata in termini pi approfonditi, soprattutto sul versante filosofico. Ma le conclusioni sul piano della politica economica ai fini della trasformazione del sistema capitalistico questo quanto qui interessa- sono anche in questo caso del tutto analoghe: e cio il rigetto della concezione della lotta anticapitalistica come lotta per la soppressione della propriet privata del capitale. Mi scuserete se mi limito a rinviare al Discorso del 1985,
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e, per i saggi degli anni immediatamente successivi, alla raccolta di scritti che ho curato io stesso nel volume dal titolo Dalla scienza allutopia, edito da Boringhieri. Qui il nocciolo del ragionamento di Napoleoni che tutti i produttori, anche se diversamente collocati nel processo capitalistico (sia loperaio che il capitalista), sono dominati da un unico meccanismo, quello della produzione per la produzione. E questa la lezione che secondo Napoleoni si deve trarre, in positivo, dal marxismo, una volta che siano state tolte le aporie della teoria del valore (utilizzando correttamente, a questo proposito, lanalisi di Sraffa): lessenza del rapporto di produzione capitalistico lalienazione della produzione per la produzione, che include tutti i soggetti, sia il capitalista che loperaio. Ed questa essenza profonda che occorre capovolgere, questo il nocciolo razionale del progetto marxiano. Quando Napoleoni scriveva questi ragionamenti sembravano troppo astratti per poter stare alla base di un progetto politico praticabile e dotato di senso. Oggi le cose, chiaramente, non stanno pi cos. La crisi economicofinanziaria ha messo a nudo lo squilibrio non sostenibile che caratterizza i rapporti economici tra i paesi capitalistici sviluppati (Stati Uniti, Europa e Giappone) e il resto del mondo. Sullo sfondo di una irrisolta questione ambientale, il tema della non sostenibilit degli squilibri nei rapporti tra le aree economiche mondiali uscito dal campo della riflessione puramente speculativa di carattere economico-filosofica, ed entrata con forza volenti o nolenti- nellagenda politica dei governi. E si presenta come un insieme di questioni molto concrete, anche se, ovviamente, molto difficili da risolvere dal punto di vista politico. Infatti, rimuovere i fattori strutturali che hanno portato alla crisi globale, che sono di carattere economico prima ancora che finanziario, significa per i paesi a capitalismo maturo abbandonare il modello di sviluppo economico che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni. Giorgio Ruffolo ha parlato della necessit di guardare alla prospettiva dello
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stato stazionario, sollevando esattamente questo stesso tipo di problemi. Non so se questa prospettiva egli la intenda come proponibile, oggi, per leconomia globale come tale. O la veda come possibile solo in un futuro pi lontano, quando la maggior parte dellumanit e non solo i paesi sviluppatisar uscita dallindigenza. Riguardo alloggi tenuto conto, come ho gi accennato, di ci che ci ha rivelato la crisi economico-finanziaria- , ritengo non solo pi realistica, ma insieme necessaria e sufficiente la prospettiva delineata in modo assai chiaro ed efficace da Tommaso Padoa-Schioppa nel libretto-intervista intitolato La veduta corta (Il Mulino, 2009). La sua idea che occorra cercare fin dora le condizioni per una crescita differenziata e sostenibile per leconomia globale. La sostenibilit deve essere tale in tre sensi: sotto il profilo ambientale per tener conto della limitatezza delle risorse della Terra e della necessit di lasciarla intatta alle generazioni future; sotto il profilo della finanza pubblica per non accumulare un debito crescente sulle spalle delle generazioni future; sotto il profilo sociale per assicurare una certa armonia nella societ ed evitare che settori importanti vengano emarginati. Per quanto riguarda la crescita economica, occorre specificare di chi, e quali devono essere le relazioni tra i diversi chi. La popolazione mondiale scrive efficacemente Padoa Schioppa- , circa sette miliardi di persone, fatta di ricchi, poveri e affamati. I ricchi sono circa un miliardo, abitano l Occidente e il Giappone; per essi vale la critica del consumismo. Vale cio, deve valere, nei termini di Ruffolo e di Napoleoni, ai fini della sostenibilit globale, gi ora, la prospettiva dello stato stazionario, luscita dalla logica della produzione per la produzione. I poveri sono circa cinque miliardi, spesso non hanno scarpe ai piedi, n acqua corrente in casa, n pensione o sussidio di disoccupazione, sono per lo pi analfabeti, mancano di cure mediche, iniziano a lavorare da bambini, ma riescono a sfamarsi e a coprirsi in qualche modo dal freddo e dalla pioggia. Gli affamati sono circa
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un miliardo, vivono soprattutto in Africa, ma anche in Asia e in America Latina (quasi nessuno in Occidente o in Giappone), muoiono di fame e di malattie che da noi si curano a poco prezzo. Ebbene, il tema della crescita conclude Padoa-Schioppa- difficile perch dobbiamo parlare di tre crescite diverse, non di una sola; e le tre crescite sono legate. Il modello di crescita sostenibile differenziata dunque quello verso cui ci si deve muovere. Leconomia di mercato (e la connessa propriet privata dei mezzi di produzione) non va soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che realizzi quel tipo di modello. E comunque certo che leconomia mondiale non in grado di muovere spontaneamente in quella direzione, cos come la soluzione alla crisi finanziaria non ha potuto far conto sulle forze spontanee del mercato. Nessuna mano invisibile in grado di portarci, da sola, in quella direzione. Il neoliberismo ha chiaramente fatto fallimento, e oggi gli economisti neoliberisti e monetaristi sono muti e introvabili. Occorre un governo globale dei processi economici, per quanto ci sia difficile, in Occidente, sotto il profilo del consenso in regime democratico. Anche se pu sembrare addirittura inconcepibile la possibilit di realizzare unazione concordata di una congerie di duecento stati sovrani, nessuno dei quali ha tra i suoi compiti istituzionali quello di occuparsi dellinteresse dellintera umanit (cito ancora Padoa-Schioppa), tale azione concordata comunque qualcosa di pi ragionevole e alla portata di ogni altra alternativa possibile. Non lo la ripresa di uno di sviluppo globale non sostenibile simile a quello che ci ha portato alla crisi. E non lo lattesa fideistica che in un lontano e imprecisato futuro si creino finalmente a livello globale le condizioni per lavvento della profezia marxiana. In questultimo senso non mi sembra molto spendibile Claudio Napoleoni, in tutto o in parte. Se ne perde loriginalit e lattualit anche strettamente politica. Questo un punto di dissenso che da tempo mi divide da Riccardo
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Bellofiore, come lui sa. N a proposito della strategia di lotta alla rendita, n a proposito della liberazione dalla alienazione della produzione per la produzione Napoleoni pu essere ricondotto al ruolo di chi si limita ad arricchire, articolare e completare un nucleo fondativo sostanzialmente intatto del marxismo. Bellofiore ha anche proposto se non ho capito male - la socializzazione o la nazionalizzazione delle banche. Segnalando il fatto che sono a questo proposito in (relativo) conflitto di interessi, mi limito a qualche battuta. Gli interventi a favore delle banche (anche da noi, con i famosi Tremonti bond) sono stati realizzati come provvedimenti puramente temporanei per impedire il crollo della liquidit e della fiducia sui mercati, in particolare sui mercati interbancari. In questo senso hanno svolto un ruolo importantissimo nella stabilizzazione e nel ritorno si spera- alla normalit. Tuttaltra cosa interpretarli come una socializzazione (in senso marxista) allo scopo di riavviare lo sviluppo economico, o addirittura come possibile premessa per una pi vasta socializzazione delleconomia. Ancora una volta torna il tema tipico di Napoleoni sia al tempo della Trimestrale che del Discorso secondo cui la forma pubblica o privata della propriet ha una valenza specifica, tecnico-economica, ai fini dellefficienza nel modo di funzionare delleconomia di mercato; e non ha una valenza strategico-strutturale di carattere generale, sia che si tratti di realizzare uno sviluppo economico pi elevato, o sia che si tratti di dar corso a un nuovo assetto sociale. Insomma: non facciamo un buon servizio n a Napoleoni, n, soprattutto, a noi stessi, se ne facciamo un satellite di una qualche orbita del marxismo.

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Silvano ANDRIANI Le politiche industriali

Anche io, per trattare largomento che mi stato proposto, mi riferir al complesso dellattivit svolta da Claudio Napoleoni. Egli fu certo uno studioso, un ricercatore, ma, come stato gi ricordato, stato anche uomo politico ed stato, aggiungo io, un importante organizzatore culturale. Era lui infatti che, dalla fine degli anni 50, organizzava, nella Svimez presieduta da Pasquale Saraceno, lattivit didattica, in particolare un master che introduceva i partecipanti alle pi avanzate elaborazioni in materia di politiche dello sviluppo e della programmazione, il nocciolo del riformismo economico del Novecento, quando ancora nelle Universit italiane si insegnava generalmente soltanto leconomia neo-classica. Del resto lelaborazione da parte sua, idea giovane, del Dizionario di economia politica richiedeva una formidabile capacit di organizzare la materia e di mantenere contatti culturali. Nel corso della mia vita ho incontrato Claudio Napoleoni in tre situazioni diverse. Nel !960 quando ho seguito il master alla Svimez e poi ho continuato a seguire i suoi seminari; nel 1962 quando ci siamo ritrovati nella Commissione Nazionale per la Programmazione Economica, costituita dal primo Governo di centro-sinistra, il Governo Fanfani-La Malfa, in occasione del primo ed ultimo tentativo di programmazione concertata fatto in Italia, lui nominato dal Governo io dalla Cgil; infine ci siamo ritrovati in Parlamento, entrambi senatori negli anni 80. Prima di provare brevemente a ricostruire latteggiamento di Claudio Napoleoni rispetto alla politica industriale proverei a definirla. E poich
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ritengo che il modo pi efficace di definire qualcosa sia di farlo per differenza, ricorder che il contrario di politiche industriali o, si direbbe meglio, di politiche strutturali la politica macroeconomica. Questultima linsieme degli interventi pubblici diretti a regolare il livello della domanda, attraverso il bilancio pubblico e pi precisamente attraverso il livello del deficit o dellattivo del bilancio pubblico ed attraverso la politica monetaria lasciando poi che sia il mercato ad allocare le risorse secondo le sue regole. Tali interventi non sono dunque diretti a influire sulla struttura economica, cio sulla composizione dellofferta anche se, bene ricordarlo, soprattutto se protratti nel tempo, possono avere rilevanti effetti strutturali. Per restare vicini ai nostri giorni, basta ricordare che la politica monetaria espansiva protratta nel tempo ha provocato negli Usa prima la bolla tecnologica e poi quella immobiliare con conseguente eccesso di capacit produttiva rispettivamente nel settore delle alte tecnologie ed in quello delle costruzioni. Ma questo non era lobbiettivo dellintervento, possiamo dire che furono effetti collaterali indesiderati. Le politiche industriali o strutturali invece hanno per obbiettivo proprio di cambiare la struttura produttiva e possono essere perseguite con mezzi che vanno dalla costituzione di imprese pubbliche, alle politiche territoriali ed infrastrutturali, al sostegno della ricerca, alle varie forme di incentivi. Queste politiche, ancor pi di quelle macroeconomiche, sono state criminalizzate durante lepoca neo-liberista, nella pratica sono continuate con modalit diverse seguendo unattitudine per cui lintervento pubblico si fa ma non si dice. Ora stanno tornando prepotentemente in auge. Venendo al tema, anche io mi riferir alla posizione di Claudio Napoleoni in due periodi molto importanti e molto diversi. Quello tra la fine degli anni 50 e linizio degli anni 60 fu un periodo di intenso dibattito che precedette la costituzione dei governi di centro-sinistra, lavvio dellesperienza di
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programmazione, il tentativo di introdurre in Italia le politiche riformiste. Nellanimare il dibattito e nel formare la classe dirigente la Svimez svolse un ruolo importante. Nel riportare le posizioni di Napoleoni di allora, pi che citare un suo intervento ricorderei come aveva strutturato il master che dirigeva. Il corso partiva da un a critica approfondita della teoria dellequilibrio economico generale, introduceva lillustrazione dei modelli econometrici utilizzati nelle esperienze di programmazione in corso, spiegava il ruolo e limportanza della politica dei redditi, che durante il corso ci stata illustrata da Tinbergen, uno dei suoi inventori. Questo approccio macro era gi interpolato dallillustrazione delle tavole delle interdipendenze settoriali, modello matematico elaborato dalla scuola di Leningrado, che introduceva un discorso di allocazione di risorse nei diversi settori produttivi, un discorso relativo alla struttura dellofferta. Soprattutto, lintero corso era percorso dallillustrazione delle teorie e delle esperienze in materia di intervento pubblico per lo sviluppo dei paesi e delle aree arretrate, presentate complessivamente da uno dei pi grandi esperti dellepoca, Rosestein Rodan, ed argomentate in alcuni casi direttamente dai loro autori, provenienti normalmente dallestero. Vi era anche un nutrito gruppo di docenti italiani di orientamento riformista. Per concludere, in quel periodo per Claudio Napoleoni la programmazione non si esauriva semplicemente nelluso di modelli econometrici, in un processo decisionale che pretendeva di prevedere tutto quanto sarebbe accaduto nel successivo quinquennio, rimesso in discussione, anni dopo, dalla teoria della razionalit limitata o della razionalit processuale, ma consisteva soprattutto in un complesso di politiche pubbliche dirette ad influire sulla struttura economica, coordinate da una visione macroeconomica della quale la politica dei redditi era un pilastro. Il secondo periodo al quale vorrei fare riferimento quello caratterizzato
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proprio dalla crisi delle politiche riformiste e dallaffermazione del neoliberismo. Anchio mi riferir ad un suo intervento ad un convegno, anche questo organizzato dal Cespe (Centro Studi di Politica Economica), ma di alcuni anni precedente quello citato da Bellofiore. Siamo nel 1981 e praticamente in tempo reale si cercava di comprendere la portata del cambiamento che sarebbe derivato dallascesa al potere in Usa ed in Uk di Reagan e Thatcher (allora si facevano queste cose). Dellintervento di Napoleoni citer due passaggi. Riferendosi alla crisi della politica economica precedente derivante dagli sconvolgimenti degli anni 70 affermava che: la politica dellofferta, nel senso di Reagan,e la politica monetarista sono una risposta, in senso forte, alla fine di questa epoca. Nellesaminare poi le caratteristiche dallaltra grande forza che stava modificando sostanzialmente la situazione delleconomia mondiale, la rivoluzione tecnologica, affermava che Perch io credo che noi siamo alle soglie di una nuova, straordinaria rivoluzione tecnologicaCi sono buoni motivi per sostenere che il mercato sia uno strumento ormai insufficiente rispetto a questo nuovo tipo di sviluppo delle forze produttive, che essenzialmente basato su una certa combinazione di scienza, di tecnologie La programmazione era dunque in questa fase necessaria per consentire il pieno dispiegamento delle nuove possibilit. Ed aggiungeva A questo nodo poi collegato un secondo: la questione della liberazione del lavoro, della possibilit, che diventata storicamente matura, di superare in un processo che certamente sar lungo, la scissione fra il lavoro meramente esecutivo ed il lavoro conoscitivo che risulta incorporato, nella societ capitalista, nel capitale in contrapposizione al lavoro. Il mercato, secondo Napoleoni non sarebbe stato in grado di produrre un tale processo di liberazione ed il compito della programmazione poteva essere proprio quello di creare le condizioni per il suo avveramento. In questo intervento colpisce la lucidit con la quale viene intuita la portata
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storica della vittoria neo-liberista, tale da segnare appunto la fine di unepoca. Colpisce anche lindividuazione della possibile diffusione della conoscenza come caratteristica della nuova rivoluzione tecnologica in atto e del fatto che il mercato non sarebbe stato in grado di liberarne tutto il potenziale. Oggi si fa un gran parlare di economia della conoscenza, riferendosi ad un lavoro sempre pi dotato di conoscenza, ma basta considerare che la distribuzione del reddito sta generalmente e sistematicamente penalizzando il lavoro per rendersi conto che le sue promesse non sono state realizzate. Infine ritengo importante rilevare che per Napoleoni le politiche strutturali non potevano non fare riferimento al dato strutturale di base, almeno secondo un approccio marxista da egli largamente utilizzato, cio i rapporti di produzione: in pratica il ruolo del lavoro nei processi produttivi e nella governance delle imprese, la cui evoluzione condizionata allo sviluppo delle forze produttive ora potentemente sospinto dalla rivoluzione tecnologica. Vorrei ora riportare alcune di queste considerazioni allattualit. Non ho certo la pretesa di indovinare cosa direbbe Napoleoni oggi che il ciclo neo-liberista, che egli aveva allora analizzato, arrivato disastrosamente al capolinea, ma non si comprende ancora quale sar il nuovo percorso. Semplicemente proverei ad usare la lezione di Napoleoni per dire la mia su alcune tendenze in atto. Noto una pericolosa tendenza a ridurre il keynesismo al deficit spending; o meglio a ridurre il riformismo al keynesismo e questi al deficit spending. Credo che sia noto che il corpo di dottrine e di politiche in cui si materializz la risposta riformista alla crisi finanziaria ed alla grande depressione degli anni 30 nacque dallincontro di due grandi scuole di pensiero: una, di orientamento socialdemocratico, basata in Scandinavia, che aveva per leader Gunnar Myrdal e laltra, di orientamento liberaldemocratico, basata
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in Inghilterra, con leader John Mynard Keynes. Quando in Inghilterra fu lanciato il Piano Beveridge che viene considerato il manifesto del welfare state i partiti socialdemocratici stavano gi realizzando nei paesi scandinavi lo Stato sociale da circa un decennio. Entrambe quelle tendenze non solo furono favorevoli a bilanciare col deficit pubblico la caduta della domanda privata provocata dalla crisi, ma si interrogarono sul come governare il livello della domanda non solo in modo episodico, nel mezzo di eventi eccezionali, ma in modo sistematico s da assicurare stabilit al sistema economico, da conseguire una situazione di piena occupazione ed una maggiore giustizia sociale. La politica dei redditi fu la risposta a tale problema che significava ladozione di un modello di distribuzione del reddito definito politicamente e non dal mercato da realizzare attraverso regole concordate di collegamento della dinamica delle retribuzioni reali alla produttivit, attraverso politiche fiscali fortemente progressive e da politiche previdenziali, nella consapevolezza che dal modo come si distribuisce il reddito dipende il ritmo e la qualit dello sviluppo. Oggi, di fronte alla caduta della domanda ed agli squilibri che nella sua composizione internazionale e nazionale si erano andati formando sarebbe necessario definire a livello politico un nuovo modello distributivo che persegua gli stessi obbiettivi di allora in un contesto modificato da un processo di globalizzazione che andrebbe modificato, ma salvaguardato e da profondi mutamenti demografici. Anche relativamente alle politiche strutturali si potrebbe dire qualcosa considerando lesperienza degli anni 30, quando la loro adozione fu massiccia. Il caso pi evidente forse quello statunitense: Roosvelt non si limit al deficit spending, emise la legge bancaria, che sanciva un rigido criterio di specializzazione, depotenzi le leggi antimonopolio per dare alle imprese una maggiore possibilit di controllo su mercati troppo turbolenti,
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ma, nello stesso tempo, riconobbe ai sindacati il monopolio del controllo della forza lavoro imponendo il closed shop, le assunzioni attraverso il sindacato. Cambi dunque sostanzialmente la struttura dei mercati. Sopratutto avvi splendide esperienze di programmazione territoriale tipo Tennessee Valley Authority nelle vallate sottosviluppate per favorirne lo sviluppo. Dalla crisi attuale nessun paese uscir come prima data la necessit di riequilibrare leconomia mondiale. Ogni paese dovr ricollocarsi in un contesto mondiale che risulter sostanzialmente modificato. Ladozione di una programmazione che individui per il paese la direttrice di marcia del riposizionamento e le politiche strutturali per orientarlo sarebbe di importanza decisiva. Unultima considerazione. Dopo i grandi scandali societari dinizio decennio e dopo i recenti scandali della finanza si aperto un grande dibattito, sul ruolo delle imprese e sul modo come esse vengono governate. La visione dellimpresa divenuta dominante in coerenza con laffermarsi del pensiero liberista, la shareholder value, per la quale il dominus dellimpresa sarebbe il capitale finanziario, cio gli azionisti, e suo compito sarebbe solo di produrre utili collassata con la crisi, essa stata ripudiata perfino dai suoi inventori, ma non si vede ancora con chiarezza quale nuova visione ne prender il posto. Questo non un problema che non abbia a che fare con la politica, Napoleoni aveva ragione nel ritenere che ladozione di forti politiche strutturali deve indurre a porre il problema del modo di produrre e della sua capacit di sprigionare tutte le potenzialit contenute nelle nuove tecnologie attraverso il continuo miglioramento del fattore umano; il che porta a discutere del modo come sono governate le imprese ed il mercato del lavoro. Vorrei concludere con unaltra citazione, questa volta non di Claudio Napoleoni, ma di Paul Samuelson, uno dei pilastri del pensiero keynesiano, premio Nobel per leconomia nel 1970. Egli conclude cos un articolo
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pubblicato su Herald Tribune del 24 ottobre 2009: Si spera che siano andate via per sempre le idiozie dellegoismo libertario di Friedman ed HayekQuando cominciai i miei studi Carlyle aveva ragione a chiamare leconomia la scienza dello sconforto ( Federico Caff, al tempo dellaffermarsi del pensiero liberista, laveva chiamata la scienza crudele ndr ). Grazie alla scienza moderna ad una migliore conoscenza dei sistemi economici quel corso maltusiano stato sconfitto. La buona e moderna economia fa di se la scienza della speranza. Finalmente. Cos sperava potesse diventare Claudio Napoleoni. Forse Samuelson un tantino ottimista, non so se sia gi la scienza della speranza, non so se siamo gi in presenza di un corpo di dottrine in grado di rispondere sistematicamente ai problemi del nostro tempo. E vero che molte sono le elaborazioni e le idee nuove nel campo riformista e lassegnazione degli ultimi premi Nobel mostra con chiarezza da che parte tira il vento. Quello che mi chiedo e se esiste un ceto politico in grado di dialogare con queste nuove idee, di dare loro voce, di tradurle in issue sulle quali orientare il dibattito e le scelte politiche. Claudio Napoleoni lamentava negli anni 80 linadeguatezza del ceto politico di fronte alle sfide di allora un peccato non potere sapere cosa ne penserebbe oggi.

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Giorgio CREMASCHI Il sindacato

Vorrei soffermarmi sulla citazione di Raniero La Valle, poi ripresa da Ruffolo, sulluso della teoria economica e della battaglia economica ai fini dellindividuazione delle strade giuste per la politica. Partirei dal richiamo dellultima battaglia politica, pubblica ed esplicita, che Claudio Napoleoni fece nel 1984 come parlamentare ed economista. Nel suo discorso alla Camera, allepoca del decreto che tagliava la scala mobile fatta dal Governo Craxi, Napoleoni diceva: La strada tipica della politica economica italiana, dallunit dItalia ai giorni nostri, di risolvere i problemi nazionali scaricandoli sui salari. Dopodich ogni altro problema viene nascosto, diventa implicito. Questo Governo a direzione socialista ripete questa operazione e ci intollerabile politicamente. Oggi assistiamo pi o meno alla riproposizione della stessa cosa. Laccordo separato sottoscritto da CISL, UIL, Confindustria e Governo sul sistema contrattuale ripropone a un livello pi basso e pi brutale la centralit del taglio del salario come strumento di politica economica. Oggi si parla di legame del salario alla produttivit, che in unepoca di crisi significa rinunciare alleguaglianza salariale dei lavoratori e accettare che solo una piccola parte di essi possa sperare di vedere migliorate le proprie retribuzioni, mentre la grande maggioranza deve rassegnarsi a vederle peggiorate. In vista della mia partecipazione come relatore a questo seminario, ho cercato di recuperare qualche lettura e di riflettere sul contributo teorico dellultima parte della vita di Claudio Napoleoni, quella che si incrociata con la mia militanza sindacale. Sono partito dalla questione dellattacco ai
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salari e dal suo riflesso sulle grandi questioni di politica economica. A mio avviso, Napoleoni fa parte di quella schiera di grandi economisti, militanti di Sinistra, che si sono formati politicamente ed economicamente negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e che hanno vissuto unepoca nella quale, seppure nelle contraddizioni, nei conflitti drammatici e nellandare avanti e indietro, una direzione di marcia era abbastanza definita. Cera una direzione di crescita del lavoro, dello sviluppo, dei diritti. Penso che questa formazione sia determinante per un punto che ho trovato anche in altri. Mi riferisco a Galbraith, allidea che la svolta neoliberista non fosse una vera svolta, che non fosse in grado di reggere. Per dirla in soldoni, pensiamo alla scala mobile: i sindacati avrebbero impedito che si andasse indietro pi di tanto. Da qui nasce tutta unaltra serie di riflessioni sul fatto che si entrava in una fase di conflitti, in cui si continuava a pensare che il capitalismo fosse un insieme di contraddizioni insanabili. Si cerca di tornare indietro ma non ci si riesce. In verit non andata cos: sono riusciti, come si dice, a scavare sul fondo. I sindacati non hanno difeso i livelli di conquiste sociali accumulate nel corso di 30 anni, dal 1945 al 1975, il lavoro ha perso la sua centralit sociale ed stato totalmente assunto come parte del capitale. Quando la signora Marcegaglia dichiara di volere la riduzione delle tasse per le imprese con il taglio dellIrap, pare che faccia una richiesta sociale che interessa tutti. In verit fa una richiesta corporativa di interesse della classe dei capitalisti. Tutto questo avvenuto attraverso un processo che non era prevedibile nello schema culturale di ragionamento di Claudio Napoleoni, dove cera sicuramente lidea della contraddizione, del freno, ma non certamente lidea che ci potesse essere quello che poi effettivamente avvenuto, ovvero che il sistema capitalistico riuscisse a ricostruire una grandissima fase di crescita attraverso quella che Bellofiore ha definito la condizione del lavoratore
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traumatizzato, cio distruggendo il potere sindacale ed estendendo il mercato capitalistico pi brutale a tutto il globo. Questo elemento di vitalit del capitalismo ha sconvolto radicalmente la riflessione precedente, alla cui base vi era lidea che comunque cera un punto di tenuta. Agendo su quel punto di tenuta si poteva tenere aperta la contraddizione, come si diceva nel linguaggio di allora. Invece no, il capitalismo ha bypassato, ha superato questo punto ed riuscito a costruire un sistema di sfruttamento mondiale del lavoro senza pagarne, almeno fino ad ora, le conseguenze sociali, economiche e politiche. Questo quello che ci consegna brutalmente la realt. Si potrebbe dire allora che quella riflessione superata? A mio giudizio, no. C un elemento di realt che molti di noi non prevedevano; per c sempre la speranza che non succeda. Due elementi della riflessione teorica e politica di Claudio Napoleoni sono di assoluta attualit. Il primo, che ho rintracciato nel discorso sulla politica economica, una grande attualit nel giudizio su Keynes, che ci fa capire teoricamente quello che avvenuto. Anche se la condizione sociale dei lavoratori e la spinta del capitalismo verso un capitalismo di tipo ottocentesco, non siamo tornati all800. Cos come il fascismo non ha riportato lItalia al liberalismo dei primi del 1800. Il modello di liberismo ha dovuto mantenere in piedi i grandi strumenti dellintervento pubblico e delluso della politica monetaria, tutte quelle leve di politica economica che sono state utilizzate dopo la crisi degli anni 30. Per le ha usate per tenere in piedi la baracca, e oggi lo vediamo in maniera assolutamente chiara. Le spese degli Stati occidentali per sostenere il sistema bancario sono state quantificate da Luciano Gallino in due volte e mezzo il PIL dellItalia: si parla di una cifra tra i 3.000 e i 6.000 miliardi di euro. Non vero, quindi, che siamo di fronte a un ritorno alliniziativa privata. Siamo di fronte a un
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capitalismo che si intreccia ancora di pi con lo Stato, con i poteri, con le politiche economiche; solo che utilizza questi poteri non per buoni fini, ma per i suoi guadagni. C uno spreco enorme di risorse e di energie pubbliche per mantenere i ricchi pi ricchi di prima e i poveri pi poveri di prima, anche se poi in mezzo c lassistenza e la moderna carit, che nel linguaggio della politica attuale si chiama sussidiariet. Ma questa sarebbe unaltra discussione. In conclusione, oggi le conquiste di cultura politico-economica di Keynes sono ampiamente utilizzate, ma a difesa di uno status quo in cui ci sono miliardi di lavoratori. Ci sono circa due miliardi di operai nel mondo, la cui grande maggioranza non gode dei livelli minimi di sussistenza. Nei Paesi occidentali sono state distrutte garanzie di stabilit e sicurezza, conquistate storicamente, sulle quali gioca la polemica facile e assolutamente strumentale di Tremonti sul posto fisso. Mentre si discute di provare a ridurre lorario di lavoro, siamo di fronte a una spinta allaumento degli orari di lavoro, sia nella forma dellintensit del lavoro sia nel senso della durata effettiva dellorario di lavoro. La crisi attuale difatti non distribuisce il lavoro: oggi alcuni lavoratori sono in cassa integrazione, mentre nei reparti vicini altri lavoratori lavorano il sabato e la domenica e fanno anche lo straordinario. Il discorso vale anche nel senso del tempo di vita: una delle discussioni che in campo oggi, e che viene considerata normale, prevede di allungare i tempi della vita lavorativa in modo da finanziare le spese pubbliche attraverso lallontanamento dellet pensionabile. E si parla del lavoro salariato. Siamo di fronte a un meccanismo economico-sociale, che si costituito nel corso della realizzazione dei meccanismi di politica economica, che viene utilizzato a fini assolutamente antisociali. A tale riguardo ritengo utile lultima parte della riflessione di Claudio Napoleoni, che riguarda lalienazione del lavoro e il rapporto tra la teoria del
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valore lavoro e la teoria economica. Vi intravedo unintuizione di fondo di questa realt: alla base del meccanismo vi una condizione di oppressione, di crescita dellalienazione del lavoratore, sia per il salariato sia per le nuove aree del mondo del lavoro che entrano nella categoria del lavoro alienato e salariato. Penso, ad esempio, agli studi di avvocato negli Stati Uniti, che ormai sono organizzati come imprese industriali, con una chiara divisione del lavoro, delle cause. Vi una forma di taylorismo nellorganizzazione degli studi legali, e questo il nodo da cui ripartire. Da qui la centralit della filosofia di Marx, secondo Napoleoni, se si indovinano tutti i passaggi. E Napoleoni non poteva che indovinarli. Penso ai passaggi dello sviluppo della politica economica o al passaggio della trasformazione dei valori impressi. Napoleoni ha accolto il nucleo di oppressione del modello di societ economica capitalistica fondata sul mercato e sulla mercificazione del lavoro e ha costruito unanalisi che anche una proposta di liberazione. Credo che dalla liberazione del lavoro e dalla ricostruzione dei legami sociali che il conflitto sul lavoro pu ricostruire si possano fare molte cose, sia teoriche che pratiche.

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Vittorio TRANQUILLI La laicit

Di Claudio Napoleoni si potrebbe dire fatte le debite proporzioni ci che disse Engels davanti alla tomba di Carlo Marx: stato un economista perch stato innanzitutto un rivoluzionario. Negli anni Ottanta per, e particolarmente negli ultimi anni della propria vita (mor il 31 luglio 1988), Napoleoni si trov di fronte a mutamenti del sistema capitalistico tanto profondi da rendergliene difficile una interpretazione, con indicazione di prospettive superatrici, in termini di teoria economica. Erano i tempi ricordiamolo in cui cominciavano a farsi chiari gli effetti della svolta neoliberista voluta dalla Thatcher e da Reagan; in Italia cera stata, nel giugno dell85, la sconfitta del referendum contro labolizione della scala mobile. Si profila allora in Napoleoni una crisi non soltanto teorica, ma spirituale, che lo porter a riprendere come testimoniato dal colloquio con Raniero La Valle a due mesi dalla morte1 lheideggeriano Solo un Dio ci pu salvare. Ha ragione Riccardo Bellofiore scrive La Valle nellintroduzione a Cercate ancora quando osserva che linterrogazione teologica dellultimo Napoleoni trova la sua origine in questo dissolversi dello stesso pensiero rivoluzionario inteso come critica scientifica e rivoluzionaria del capitalismo2 . E qui evidentemente in gioco, nellultimo Napoleoni, il problema grossissimo della laicit della politica. Ma su questo problema egli non poteva non confrontarsi a fondo con la posizione di Franco Rodano (anche per limpegnata collaborazione avuta con lui per almeno un decennio, cio per tutti gli anni Sessanta). Scrisse infatti Piero Pratesi che la frequentazione di
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Rodano: rimase un segno indelebile in Claudio Napoleoni. Non solamente restava sostanzialmente lo stesso il fine del pensare, la ricerca appunto del fulcro e della leva della rivoluzione possibile, ma lesito finale della riflessione di Claudio Napoleoni, sparsa in conversazioni e appunti dellultima stagione, caratterizzato da un continuo confronto con il pensiero rodaniano, oltre le ragioni delleconomia in senso stretto3 . Nel libro Cercate ancora, in effetti, sono riportati due documenti che confermano quanto fosse importante, per Napoleoni, questo confronto: parlo della Lettera a Ossicini 4 e dellincompiuto Saggio [appunto] su Rodano 5. Non mi quindi possibile, in questa sede, parlare di laicit che il tema assegnatomi senza fare io pure riferimento a Franco Rodano. La questione della laicit della politica non poteva non essere fondamentale e anzi fondante nella riflessione di Rodano, profondamente radicato nella fede cristiana e militante convinto del Partito comunista italiano. La ricerca dei modi e delle condizioni della laicit della politica si legge sullultimo numero dei Quaderni della Rivista Trimestrale, dedicato a ricordarlo stata suo sforzo precipuo e costante, fin dagli anni della giovinezza: discendeva infatti dal carattere peculiare della situazione e dellesperienza che egli, e il gruppo di compagni da lui guidati, si trovavano a vivere gi durante la guerra, e anche prima6 . Quale sia stata, di preciso, la posizione di Rodano, bene espresso, ad esempio, in un saggio degli stessi Quaderni, anno 1977. Per fare positivamente i conti con Marx e col suo escatologismo rovesciato in termini di assoluto umano nella prospettiva della societ comunista, e quindi per salvaguardare il kerigma cristiano dalla critica anti-religiosa dello stesso Marx, Rodano afferma in quel saggio la necessit che tale kerigma sia inteso e praticato in modo da accettare e rispettar sino in fondo lautonomia,
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la bont e la sufficienza di principio, per luomo, della realt e delle operazioni naturali di esso (compresa dunque la politica); cosicch lumana situazione storicamente alienata risulti passibile di un superamento rivoluzionario [] pienamente fondato e del tutto capace di sbocco vittorioso sul piano stesso della natura e su di esso soltanto7. Ma espressioni di questo tenore sono assai frequenti in Rodano, anche a prescindere dal confronto con Marx. Ovviamente, qualunque posizione, specialmente su un tema cos delicato e vessato come la laicit della politica, soggetta a critiche. Quella di Rodano fu criticata, tra laltro, da Giuseppe Ruggieri in un suo libro del 1978 8. Non posso entrare adesso, rispettando i 10 minuti, nel merito di questa critica, e tanto meno, pi in generale, delle tesi di Ruggieri esplicitamente condivise da La Valle nella sua Introduzione al libro Cercate ancora9. Devo per soffermarmi su un brano dellintervento di La Valle nel citato fascicolo dei Quaderni in ricordo di Rodano. Egli vi scrisse che, in uno dei suoi rari incontri con Rodano, lo sent: singolarmente sensibile e stimolato dalle riflessioni di Ruggieri sullesperienza della Sinistra cristiana []. Giudic il saggio critico di Ruggieri pertinente e intrigante, intendendo dire cos interpreta La Valle - che il teologo catanese era entrato assai in profondit e attendibilmente nellintrico dei problemi con cui Rodano si era misurato nel suo approccio alla questione cattolica10. Questa sensazione avuta allora da La Valle, lo indusse a parlare di un ultimo Rodano che si sarebbe messo proseguo la citazione intensamente e umilmente in cammino verso, in buona sostanza, una revisione della sua posizione sulla laicit. Rodano, cio, si sarebbe finalmente reso conto dellinadeguatezza di tale sua posizione, la quale avrebbe patito sto ancora citando - una incapacit
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ecclesiale imputabile a tutta la storia cristiana degli ultimi secoli e degli ultimi decenni, e che sarebbe stato tempo oramai, dopo il Concilio, di riformulare radicalmente, in termini pi rigorosi e corretti11. A questo punto vorrei allora concludere con una mia personale testimonianza. Con Franco Rodano ho avuto un rapporto di collaborazione stretta e di amicizia per oltre 40 anni, dalla comune partecipazione alla lotta antifascista clandestina e dalla Resistenza, fino alla morte di lui nel 1983. Posso assicurare tre cose: 1. che Rodano fu cattolico praticante nel corso dellintera sua vita (compreso il periodo dellinterdetto dai sacramenti comminatogli sotto papa Pacelli e toltogli sotto papa Roncalli); 2. che Rodano, iscritto al PCI dal 1946 alla morte, vi milit con adesione tanto schietta quanto criticamente propulsiva verso luscita da strettoie ideologistiche; 3. che il pensiero di Rodano sulla laicit della politica venne sviluppandosi in modo lineare, su basi costanti, senza alcuna scoraggiata cesura n intrigato ripensamento. Questa mia testimonianza suffragata dagli scritti di Rodano posteriori al libro di Ruggieri, buona parte dei quali stata poi raccolta nel volume a mia cura: Franco Rodano, Cattolici e laicit della politica, Editori Riuniti 1992. Non perci accettabile lidea di un ultimo Rodano entrato in crisi proprio sul punto fondante dellintera sua opera.

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NOTE

(1) In Cercate ancora, a cura dello stesso La Valle Editori Riuniti 1990, p.107-135. (2) P. XXII. (3) Claudio Napoleoni: coniugando economia e teologia, in Regno Attualit 1989, n. 2, p.55. Citato da Vittorio Tranquilli in Fede cattolica e laicit della politica in Franco Rodano, saggio pubblicato nel n. 2/1991 di Teoria politica. (4) Cercate ancora cit, p. 5 sgg. (5) Ivi, p. 17 sgg. (6) Ricordo di Franco Rodano Quaderni della Rivista Trimestrale n. 7577/1983, p. 169 (7) Franco Rodano, Vittorio Tranquilli: La politica come assoluto, in Quaderni cit., n. 51/1977, pp. 3-54. (8) G. Ruggieri, R. Albani: Cattolici comunisti? Ed. Queriniana 1978. (9) Cfr. pp. XXXI-XXXII, XXXVI. (10) P. 53. (11) Ivi

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Carla RAVAIOLI Riproduzione Engels ne Lorigine della famiglia distingueva tra la produzione delle merci e la produzione degli uomini, che pure vedeva strettamente contigue. In pi di un secolo e mezzo di vistosissima trasformazione del mondo, anche i parametri di lettura e di analisi della realt sociale sono andati diversificandosi, specializzandosi, separandosi. Oggi la produzione delle merci (nella complessit delle sue problematiche specifiche, e soprattutto nella sua funzione primaria allinterno del sistema capitalistico) loggetto centrale della scienza economica. Mentre la produzione degli uomini se n andata via via distaccando, dando luogo alla nascita di una vasta serie di nuove discipline, sociali, antropologiche, psicologiche, comportamentali, ecc., alcune impostesi come capitoli determinanti della cultura contemporanea. Questo non ha per impedito alleconomia (proprio in quanto produzione di merci) di collocarsi al centro non solo dellinteresse politico ma dellesistere umano nella sua totalit: da un lato come indiscusso valore prioritario, costante termine di riferimento e misura di giudizio dellagire collettivo, dallaltro come formidabile produttrice di modelli, comportamenti, scelte individuali e di gruppo, di progetti di vita. In sostanza non solo determinando il netto prevalere della produzione delle merci sulla produzione degli uomini, ma tendenzialmente inducendo lassimilazione o il divoramento e la cancellazione di questa da parte dellaltra. Claudio Napoleoni stato un grande economista, come tale riconosciuto e largamente apprezzato, e per nei confronti della centralit delleconomico rispetto a ogni altro momento dellumano ha sovente espresso dissenso, mentre nel suo riflettere mai perdeva di vista quella dimensione dellesistere
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che Engels appunto indicava come produzione degli uomini, e che la moderna sociologia definisce riproduzione. Anzi in qualche misura mostrava di privilegiarla, come ambito cui non solo appartiene in tutte le sue forme la continuit vitale della specie, ma in cui trovano spazio i rapporti pi ricchi, le passioni pi profonde, le libert totali; in cui si esprime insomma al suo massimo, in positivo e in negativo, la qualit umana. In questo senso va letto questo titolo un po criptico del mio intervento, cui sono stata cortesemente invitata, e che intendeva richiamarsi a un momento di confronto attivo tra Claudio e me, cio a un dialogo, apparso nell88, in appendice alla seconda edizione di un mio libro di due anni prima: titolo Tempo da vendere Tempo da usare, sottotitolo Produzione e riproduzione nella societ microelettronica. Un lavoro che nasceva come critica della storica divisione del lavoro tra uomini e donne, ancora oggi in larga misura perdurante, bench sempre pi le donne siano partecipi anche del lavoro di mercato; ma si impegnava poi nellanalisi della diversa qualit del tempo impiegato nelle due distinte funzioni: tempo di lavoro, il primo, cio pezzi di vita venduti a un imprenditore contro un determinato compenso; il secondo, tempo usato in un vastissimo arco di impegni, attivit, rapporti, che travalicano lambito familiare, fino a coincidere di fatto con la vita. Tutto il discorso era sostanzialmente improntato a un giudizio duramente critico di una razionalit sociale, che con la produzione e il mercato sempre pi tende a coincidere e identificarsi. Il libro in questione era piaciuto molto a Claudio, che me ne aveva scritto in una lettera assai pi significativa di un formale ringraziamento per lomaggio, e nella quale gi andava abbozzando un possibile approfondimento di alcuni momenti della materia affrontata. Subito infatti, quando glielo proposi, accett di commentare e sviluppare i contenuti del mio lavoro, in appendice a una seconda edizione. E lo fece, senza riserve usando quella sua straordinaria
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capacit di muoversi tra losservazione della pi modesta ferialit quotidiana e lazzardo di ipotesi decisamente utopiche, individuando tra le due dimensioni una stretta reciprocit di senso, e perfino di utilit fattuale: usando la prima come difesa dal rischio della speculazione astratta e la seconda come spinta al superamento di una politica sempre pi pigra e casuale, priva di obiettivi capaci di oltrepassare il contingente, come quella che ormai apparteneva alle sinistre. In questa chiave non solo approv con entusiasmo la proposta che avanzavo nel libro, di recupero dellidea di una riduzione forte e generalizzata degli orari di lavoro; e non solo riconobbe la possibilit di giungere a questo modo a unequa distribuzione del lavoro, sia produttivo che riproduttivo, tra uomo e donna (ci che giudicava come una prospettiva di grande arricchimento per ambedue), ma a lungo si sofferm a considerare un altro aspetto del problema che io proponevo: lo scarsissimo utilizzo del progresso da parte delle sinistre. In effetti, via via che il prodigioso cammino compiuto da scienza e tecnologia evidenziava la possibilit di sostituire in misura crescente il lavoro umano con le macchine, quando dunque il lungo sogno di liberazione dal lavoro alienato appariva ormai un obiettivo concreto, i movimenti operai non hanno saputo vedere e usare a proprio favore la portata rivoluzionaria del momento: di fatto regalando i frutti del progresso al capitalismo. Il quale, in piena coerenza con la propria logica, lo ha usato soltanto per aumentare il prodotto: ignorando gran parte delle possibilit insite nella rivoluzione microelettronica, avviando quel processo di produttivismo perseguito ad ogni costo, di mitizzazione del PIL, di quasi sacralizzazione della crescita, cui anche i ceti popolari e operai furono via via conquistati, subornati dalla pubblicit e sedotti dal consumismo. Posizioni rimaste daltronde immutate anche quando i vantaggi di questo processo non apparvero pi cos scontati; e mentre il PIL poco o tanto continuava ad aumentare, loccupazione si faceva
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via via pi problematica, e il precariato andava affermandosi in tutto il mondo come strumento privilegiato di prosperit aziendale. La paura della disoccupazione tecnologica stata certo la causa prima di questi comportamenti. E per, notava Claudio, c anche altro. C il ruolo che le sinistre hanno storicamente attribuito al lavoro, in ci conformando la propria cultura alla cultura classica borghese in modo decisamente subalterno: indicando nel lavoro - non importa quale - il fondamento non solo della vita individuale, ma della vita associata, e quindi della societ intera, e quindi della politica . Claudio insiste su questo aspetto: Nella tradizione teorica del movimento operaio non c una rottura con lideologia borghese del lavoro, dice; e parla di una sorta di complesso di inferiorit delle sinistre nei confronti di quelle che vengono chiamate le leggi economiche. Dura e per lui dolorosa severit di giudizio, che per non gli impediva di credere alla possibilit di uno scatto capace di allargare gli orizzonti di una politica senza respiro, e intravedere i traguardi di una profonda trasformazione. Tra questi appunto un forte taglio del lavoro non automatizzabile (ad esempio una settimana di trenta ore) gli pareva non solo il primo da mettere in campo, ma quello pi capace di conseguenze addirittura rivoluzionarie, su molti versanti. Ne seguirebbe innanzitutto (conveniva con me) non solo la possibilit di un uso diverso, liberamente scelto, del proprio tempo, ma la definizione di una diversa qualit del tempo. Sottrarre cospicue porzioni del nostro tempo al mercato, allobbligo dellefficienza e della produttivit, ai meccanismi della concorrenza, a rapporti per loro natura violenti, significherebbe la possibilit di costruire la giornata - e dunque la vita - secondo ritmi pi distesi, pause cariche di senso, momenti di ricchezza psicologica e mentale altamente gratificanti, nella totale assenza di traguardi utili secondo la convenzione. E in tutto ci - insisteva - avrebbe certo uninfluenza decisiva il superamento
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dellattuale divisione del lavoro tra i sessi, che la riduzione degli orari grandemente aiuterebbe. Al di l della fine dellintollerabile sfruttamento del lavoro familiare ancora interamente scaricato sulle donne, laumento e la maggior qualificazione della presenza femminile nel mercato del lavoro, e quindi di quella dimensione psicologica mentale temperamentale che storia e cultura hanno identificato con il femminile, potrebbero segnare un mutamento decisivo in un mondo nato e sviluppatosi secondo modelli della pi rigida convenzione maschile. Quella cesura tra produzione e riproduzione, che certo ha radici antiche e storia assai pi lunga di quella del capitale, ma che indubbiamente la societ industriale capitalistica ha radicalizzato e in qualche modo istituzionalizzato, potrebbe trovare superamento in quellapproccio cui Claudio alludeva parlando della capacit di appropriarci della realt come di un tutto, e che avrebbe voluto alla base della politica delle sinistre; desiderio, ahim, dalle loro scelte sistematicamente deluso. In perfetta coerenza con questo impianto del suo ragionamento, sempre rapportandosi allipotesi di riduzione del lavoro, e dunque di abbandono del produttivismo imperante, Claudio faceva riferimento anche alla crisi ecologica planetaria, di cui lucidamente gi allora (cio pi di ventidue anni fa) valutava la minaccia. Merita riportare per intero le sue parole: E dimostrato che la crescita indefinita di beni materiali da un lato incontrerebbe limiti invalicabili nella esauribilit delle risorse naturali, dallaltro comporterebbe crescenti costi ambientali: linquinamento dellaria e delle acque, la distruzione dei suoli, il dissesto degli assetti urbani, i fenomeni di congestione e cos via, gi oggi pervenuti a livelli intollerabili. E qui infatti, nella drammaticit del problema ambientale, che i limiti sociali dello sviluppo si manifestano nel modo pi evidente. Una diagnosi dellinsensatezza del modello produttivo oggi invalso nel mondo, che dovrebbe far seriamente riflettere economisti, imprenditori e politici, che - quasi tutti - soltanto rilancio della produttivit,
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ripresa della crescita, aumento del PIL, sanno pensare come cura del pianeta, proprio a causa delliperproduttivismo gravemente malato. Utopia, era la critica spesso rivolta a Napoleoni, anche da parte di suoi grandi estimatori. Lui ne era pochissimo impressionato, e affermava convinto: Posti a un livello minore, i problemi non hanno risposta.

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INDICE

Avvertenza INTRODUZIONE Fausto BERTINOTTI Presidente della Fondazione della Camera dei deputati RELAZIONI Riccardo BELLOFIORE Napoleoni e la politica economica Raniero LA VALLE Napoleoni e la Sinistra APPROFONDIMENTI TEMATICI Presiede e introduce Mario TRONTI Alessandro MONTEBUGNOLI Lotta alla rendita Giorgio RUFFOLO Qualit dello sviluppo
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Gian Luigi VACCARINO La politica economica in Italia Silvano ANDRIANI Le politiche industriali Giorgio CREMASCHI Il sindacato Vittorio TRANQUILLI La laicit Carla RAVAIOLI Riproduzione

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La Fondazione della Camera dei deputati, costituita nel giugno del 2003, ha il compito di realizzare e divulgare una pi ampia conoscenza delle attivit della Camera, di promuoverne limmagine, di favorire e sviluppare il rapporto tra i cittadini e listituzione parlamentare. A questo scopo la Fondazione si fa promotrice di iniziative culturali ed editoriali che prevedono la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione di volumi, riviste e prodotti informatici riguardanti le attivit della Camera e gli aspetti storici e artistici delle sue sedi.

Sulle attivit della Fondazione, consultare il sito web: http://fondazione. camera.it

Elaborazione grafica e stampa a cura del C.R.D. della Camera dei deputati febbraio 2010

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