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FOCUS GROUP – 13 dic 2007  

Sicurezza, micro‐criminalità e immigrazione a Padova. Soluzioni a confronto

Sicurezza,
micro-criminalità
e immigrazione
a Padova
Soluzioni a confronto

Focus Group 
a Il Mattino di Padova 
13 dicembre 2007 

I ragazzi di 
Come2discuss 
I ragazzi di Come2discuss http://www.come2discuss.net  http://www.come2discuss.net
http://quartiereglobale-padova.blogautore.repubblica.it/ 1
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CHI SIAMO 
 
Siamo  un  gruppo  di  undici  studenti  dell’Università  di  Padova 
(Alberto Gasparetto, Daniele Danese,  Elisa Mele, Emilia Bubola, 
Fabiana  Scattolin,  Giovanni  Cuccato,  Marco  Andriolo,  Matteo 
Madau, Serena Menoncello, Simone Grillo, Stefano Roman), che 
partendo  dalla  loro  esperienza  accademica,  e  non  solo, 
desiderano confrontarla con la realtà locale . 
 
Da  quasi  3  anni  abbiamo  aperto  un  blog  di  discussione  e  di 
informazione  (http://www.come2discuss.net)  prevalentemente 
incentrato  sulle  tematiche  che  trattiamo  nei  corsi  che 
frequentiamo. L'obiettivo di base con il quale abbiamo deciso di 
creare questo spazio virtuale, nel quale trovare una possibile (e 
ulteriore)  opportunità  di  scambio  e  di  dialogo,  è  la  necessità,  a 
nostro parere, di stimolare la voglia di confrontarsi, di discutere, 
di  incrociare,  e  scontrare  anche,  opinioni,  idee  e  riflessioni 
diseguali, il tutto nella tranquillità e con uno spirito di apertura al 
"differente". 
 
Dall’ottobre 2007 abbiamo inoltre intrapreso una collaborazione 
con  il  quotidiano  “Il  Mattino  di  Padova”,  nel  cui  sito  internet 
gestiamo  un  blog  d’autore  dal  titolo  “Quartiere  Globale” 
(http://quartiereglobale‐padova.blogautore.repubblica.it/). 
Questo  spazio,  assolutamente  libero  e  gratuito,  vuole  essere, 
anch’esso,  un’occasione  per  un  franco  scambio  di  opinioni  sui 
principali  temi  di  attualità,  con  un’attenzione  particolare  però 
alla  città,  pur  senza  trascurare  quanto  accade  in  Italia  e 
all’estero.  
 
Nell’ambito  di  questo  nostro  impegno  stiamo  cercando  di 
impegnarci  sempre  più  direttamente  con  le  persone  e  sul 
territorio:  questa  prima  esperienza  del  Focus  Group  vuole 
esserne una prova. 
 
 
I ragazzi di come2discuss.net 

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PREMESSA

Un focus group è una forma di ricerca in cui un gruppo di persone riunite nella stessa
stanza è interrogato riguardo all’atteggiamento personale nei confronti dell’oggetto del
dibattito. I focus group sono un utile strumento per l’acquisizione di dati e informazioni
da parte dei cittadini. Il dibattito è coordinato da un mediatore, con ruolo neutrale;
solitamente vi prendono parte un minimo di 8 persone e un massimo di 12, la durata del
focus è di circa 1-2 ore.

INTRODUZIONE

Al focus group realizzatosi il 13 Dicembre 2007, presso la sede del quotidiano “Il Mattino
di Padova”, ha partecipato un gruppo pre-selezionato di persone che sono state invitate in
quanto rappresentative di individui inseriti in modo differente nella società e da noi
ritenuti rilevanti per la tematica da trattare.
Vi hanno preso parte infatti:

• Falcone Silvio e Tarzia Luigi: membri del Comitato Stanga e residenti nel
quartiere
• Manfrin Paolo: coordinatore dei comitati per la sicurezza;
• Sanguin Riccardo: studente del corso di laurea triennale in “Cooperazione allo
sviluppo”, che lavora in banca presso una filiale della zona Stanga;
• Amore Roberta e Maculan Barbara: collaboratrici dell’“Associazione Mimosa”1;
• Meneghini Matteo e Sbarro Michela: rappresentanti dell’Associazione “Facoltà di
intendere”2;
• Cuccato Giovanni: studente del corso di laurea specialistica in “Istituzioni e
politiche dei diritti umani e della pace” dell’Università di Padova;
• Sbraccia Alvise: docente di Sociologia della Devianza dell'Università di Padova3;
• Laouas Athmane: immigrato algerino da 16 anni in Italia, lavoratore;
• Amewoui Grace: immigrato togolese. Studente del corso di laurea specialistica in
“Istituzioni e politiche dei diritti umani e della pace” dell’Università di Padova,
attivo in Associazioni in ambito di immigrazione, nonché Presidente
dell’Associazione Togolesi in Italia;
• Anoé Pietro e Narutti Emanuele: coordinatori del Comitato “solidale” di Via
Manara, ivi residenti;
• Mastellaro Giampaolo: docente di Sociologia presso Università di Padova, che si
occupa di politiche di welfare e politiche per la famiglia.

1
Associazione padovana che si occupa di immigrazione e prostituzione migrante, nonché di fenomeni di disagio
sociale più in generale.
2
Associazione che lavora da qualche anno su percorsi di informazione critica; l’esperienza è partita coi Beati
costruttori di pace ma oggi é autonoma.
3
Coautore, tra l’altro, di un testo di ricerca su Via Anelli: «Ai margini della città. Forme di controllo e risorse sociali
nel nuovo ghetto» a cura di F. Vianello, Carocci Editore.

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La tematica del focus group è stata riassunta nel titolo «Sicurezza, micro-criminalità e
immigrazione a Padova. Soluzioni a confronto», questioni, queste, ancora aperte a livello
nazionale e molto sentite a Padova.
A partire dagli anni ’90, infatti, in seguito anche all’aumento quantitativo dei flussi
migratori verso l’Italia, la “sicurezza” e l’“immigrazione” sono divenute le preoccupazioni
dominanti dei cittadini. Parole come «emergenza immigrazione», «criminalità degli
immigrati», «problemi di ordine pubblico» e «sicurezza urbana» sono progressivamente
entrate a far parte del linguaggio quotidiano e del vivere sociale.
Le proteste e le richieste da parte dei cittadini italiani di un maggior controllo da parte
delle forze dell’ordine sono aumentate in modo particolare negli ultimi 5 anni (Padova
non fa eccezione); insomma, l’immigrazione sembrerebbe proprio essere la causa
principale delle minacce alla sicurezza dei cittadini.

ANALISI DEI DATI EMERSI

Innanzitutto, ogni partecipante al focus group si è presentato agli altri. In questa fase, i
membri dei Comitati, oltre alla loro presentazione, si sono soffermati anche sull’operato
dei loro rispettivi gruppi:

“Sono sul fronte, da qualche anno, della sicurezza, là in via Anelli e nella zona Stanga. Ci stiamo
dando parecchio da fare” (Manfrin P.)

“Faccio parte del Comitato Stanga, che è stato costituito nel giugno del 2001, siamo ancora un
po’ in trincea, anche se la situazione è molto migliorata. Abbiamo l’aspettativa di una migliore
attenzione sul quartiere e come novità vorremmo coinvolgere Associazioni di immigrati; per
cercare di dare una svolta qualitativa (con decoro e dignità) alla Stanga, questo quartiere che
negli ultimi anni è stato abbandonato e il problema è divenuto di dimensioni enormi”.
(Tarzia L.)

Abbiamo volutamente sottolineato due termini usati dai due partecipanti: fronte e
trincea. Queste parole con forte significato ci hanno colpito e probabilmente la loro
scelta due parole non è casuale. Al di là della maggiore o minore consapevolezza con cui
siano state utilizzate, pensiamo che esse rendano bene l’idea di come la maggior parte dei
residenti padovani, o comunque autoctoni abbia vissuto la realtà di via Anelli4.
Abbiamo inoltre notato un diverso approccio tra i rappresentanti dei due comitati. A
differenza dei primi, infatti, i due partecipanti del Comitato di via Manara affermano:

“Faccio parte del Comitato "Solidale" via Manara5, nato il 25 settembre 2007. Non visibile a
livello mediatico per scelta. Il comitato è stato costituito a difesa di chi voleva murarci,
ghettizzarci e per l’integrazione degli immigrati che vivono nel contesto di Via Manara, in
particolare nei civici 37 e 39” (Narutti E.)

4
«Via Luigi Anelli» è una via del quartiere Stanga di Padova a circa 3 km dal centro città; l’intera zona è divenuta
famosa in seguito all’interessamento dei mass media locali, nazionali, ma anche internazionali, alla realtà di quel che è
stato definito dagli stessi il Bronx padovano.
5
In seguito al “risanamento” di via Anelli, molti degli abitanti del complesso Serenissima, tra cui pusher e prostituite,
si sarebbero trasferiti in «Via Manara», limitrofa a via Anelli.

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“Sono coordinatore del Comitato "Solidale" di via Manara. Il comitato si scioglierà nel momento
in cui non ci sarà più bisogno della sua esistenza pensata come transitoria, con uno scopo ben
preciso: dare visibilità a livello politico a coloro che non hanno possibilità di esprimersi o il
coraggio o la voglia di mettersi in prima persona” (Anoé P.)

Dopo aver ricordato l’obiettivo dell’incontro, ovvero parlare civilmente di tematiche su


sicurezza, immigrazione e criminalità a Padova, di cui tanti si lamentano e tanto si parla
specie a livello mediatico, la mediatrice lascia la parola ai partecipanti.
Il primo a intervenire analizza da subito come la problematica di Padova, che ha generato
e genera tutt’ora, problemi comunicativi e un polverone mediatico, abbia introdotto la
“percezione” della sicurezza e insicurezza. Questa nuova “categoria” si mescola
all’esistenza di reali situazioni di disagio sociale “dovute alle difficoltà oggettive per chi è
immigrante di integrarsi e far parte della società a pieno titolo” (Anoé P.)

E già da queste parole di Anoé P. emergono dati importanti: l’immigrato, che pur cerca di
integrarsi, verrebbe da subito ostacolato dai numerosi paletti burocratici che il nostro
complesso sistema amministrativo gli pone dinnanzi . In Italia, infatti, come nel resto dei
Paesi europei, le soglie di accesso alla regolarità, e dunque a una vita “normale”, sono i
documenti, necessari, come sappiamo, per fare qualsiasi cosa: dal prendere in affitto una
casa, ad aprire un conto in banca, sino ad acquistare una tessera per l’abbonamento
dell’autobus. Ma soprattutto sono fondamentali affinché venga riconosciuto all’immigrato
lo status di persona.
E poi prosegue:
“In conseguenza alle difficoltà oggettive e alla presenza di persone ai margini della società si è
innescato una sorta di rifiuto da parte della cittadinanza verso i diversi, cioè coloro che sono
visti come una minaccia”.

All’interno della città, si formano, talvolta spontaneamente talvolta intenzionalmente,


delle “zone ghetto” o comunque delle micro realtà a sé stanti, quasi per soddisfare quella
necessità di creare un ambiente in cui la città possa espellere e custodire ciò che non deve
essere visto e non dev’essere evidente.
Questo è ciò che si è verificato anche a Padova. L’esempio più attuale e sentito è costituito
da Via Anelli, micro realtà nei cui confronti probabilmente è venuta a mancare la
“tollerabilità” e la non curanza. Ma non solo, ci sarebbe stato anche un intervento poco
disinteressato da parte dei media, inizialmente locali, nel dare peso e visibilità a
sentimenti diffusi in città, in particolar modo nella zona Stanga.

“C’è stato troppo intervento dei giornali che hanno dato troppo spazio ai politicanti di turno, per
alla fine non fare nulla. Non c’è stato un intervento serio sul territorio… C’è la necessità di
lavorare nella discrezionalità e nel silenzio e non sotto il martellamento dei mass media!”
(Anoé P.)

Prontamente è seguita la risposta di Manfrin P., che ha al contrario espresso gioia e


soddisfazione nei confronti dell’operato dei media, senza cui probabilmente la situazione
non sarebbe cambiata minimamente.
“Grazie a Dio ci son stati i mass media! Perché per chi ha sofferto, come noi per 10 anni il
problema di Via Anelli, possiamo solo dire grazie ai mass media perchè sono quelli che ci hanno

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risolto, che ci hanno dato una mano, hanno stimolato i politici ad un intervento rapido nel
cercare di dare una soluzione a Via Anelli”6

Resta ad ogni modo difficile, ormai, poter affermare il contrario visto che si è optato per
un tipo di soluzione e via d’uscita al problema basato sui media e sulle loro campagne
politico-mediatiche.
Con grande enfasi e certezza Manfrin P. prosegue nel spiegare come
“Il fatto di essere apparsi sulle stampe internazionali ha dato forte risalto al benedetto muro -
perché possiamo solo chiamarlo benedetto questo muro - anche se in realtà è solo una semplice
recinzione, che doveva servire a proteggere gli abitanti di Via de Biase dalle angherie di chi vive
in un mondo suo; perché è un mondo completamente al di fuori, diverso dal nostro mondo.”

Il problema di Via Anelli deriva dal fatto che, nel decennio in cui si è conclusa la
conversione da iniziale complesso residenziale per studenti universitari ad alloggi per
prostitute, spacciatori, immigrati regolari e non, a detta dei residenti limitrofi non ci
sarebbe stato alcun tipo di integrazione. Questo non a causa del muro8, ma
semplicemente perché la zona era dedita allo spaccio e alla delinquenza. Per la maggior
parte dei residenti rappresentati dai Comitati per la sicurezza che hanno chiesto una
soluzione e ben accolto il provvedimento comunale, il “muro” è stata una fortuna. Infatti,
oltre al grande effetto mediatico, questo avrebbe smosso le coscienze dei politici e indotto
la città a prender atto dell’esistenza di una realtà (Via anelli, ndr) che molti non
conoscevano.

“Non sapevano che gente come noi soffriva dalla mattina alla sera per questo problema
grave.”(Manfrin P.)

Non era nostra intenzione parlare esclusivamente di Via Anelli nel corso del focus group.
Tuttavia, proprio perché si è trattato di un caso che ha coinvolto e appassionato molte
persone, é risultato inevitabile che un dibattito su Padova-immigrazione-criminalità-
sicurezza si traducesse anche in un dibattito su Via Anelli. Ancor di più data la presenza,
su 15 persone, di 5 membri dei diversi comitati istituiti per far fronte alla situazione di
disagio emersa nel Quartiere 3 di Padova.
Il parlare di Via Anelli ha determinato l’emergere di un confronto acceso non solo tra i
comitati9, ma anche tra altri partecipanti e i Comitati sicurezza. Questi ultimi hanno
lamentato il fatto che negli interventi di altri partecipanti ci fossero dei riferimenti
indiretti a loro, forse dovuti ad un problema di comunicazione.
Il confronto si è particolarmente acceso quando Cuccato G. ha chiesto a Manfrin P. di
definire “modo normale di vivere” e “integrazione giusta”, in seguito alle affermazioni
fatte nel suo precedente intervento, che riportiamo nuovamente, per intero.

“… proteggere gli abitanti di Via de Biase dalle angherie di chi vive in un mondo suo; perché è
un mondo completamente al di fuori, diverso dal nostro mondo. Si sono creati un mondo loro,
dove si sono trasportati il loro modo di vivere e l’hanno importato qua, nelle nostre città e
ovviamente si è scontrato con il nostro modo normale di rapportarci quotidianamente”
(Manfrin P.)

6 Le notizie su Via Anelli e i suoi abitanti hanno effettivamente fatto il giro del mondo, in meno di un anno si contano
solo in Italia 4 documentari sul tema, in Europa 2 televisioni, una tedesca e una di Zagabria hanno documentano via
Anelli. Ne ha parlato “Le Figarò”; inoltre, il quotidiano americano “International Herald Tribune” gli ha dedicato una
rubrica intera. Per non parlare degli innumerevoli articoli di cronaca su stampa locale.

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Prontamente Manfrin P. ha spiegato che per “modo normale di vivere” si intende il nostro
dei padovani, la nostra vita quotidiana: cioè quello di andare a lavorare, di produrre e
soprattutto di convivere civilmente.
Falcone S. ha spiegato poi di aver vissuto solo gli aspetti negativi di una “civile”
convivenza.
C’era un certo imbarazzo da parte dei residenti autoctoni nell’entrare a contatto con un
certo tipo di ambienti e situazioni igienico - sanitarie degradate (fa esempio di vetri rotti
per strada, gente che si buca, ragazzi che lanciano bottiglie addosso quando invitati a non
fare sudiciume, ecc..). Questi, possono sembrare esempi banali, ma riportano difficoltà
quotidiane che vanno avanti da anni.
Anche Amewoui G. afferma che “il nostro modo di vivere” è un termine giusto, secondo
lui, perché “bisogna tener conto del fatto che la gente che viene dall’Africa non è stata
socializzata allo stesso modo della gente che vive qua in Italia”.
Tarzia L. spiega come anche le persone bene intenzionate, aperte e disponibili ad un
dialogo, si siano trovate molto in difficoltà davanti a situazioni ormai fuori dalle nostre
abitudini. Da questo è emersa la richiesta e la necessità di stabilire delle regole di
convivenza che siano da tutti condivise.

I ricordi stimolati dagli esempi di Falcone S., uniti alla messa in discussione delle scelte e
delle soluzioni dei Comitati di sicurezza suscitata da Cuccato G., hanno portato a una
precisazione sul fatto che “bisogna viverci!” per poter parlare e fare affermazioni a
riguardo.

“Bisogna abitarci accanto a Via Anelli, io vivo a 150 metri da Via Anelli. Siccome su Via Anelli
hanno aperto bocca tantissimi soloni (saggi, legislatori, nds) che abitano anche a chilometri di
distanza: mi stizza! La realtà bisognava viverla per cercare di capirla. Voi ci siete mai stati in
Via Anelli? Basta passarci davanti che ti ci si impregnano gli abiti! Io ho fatto delle riunione in
quel cortile, vi lascio immaginare che cosa era vivere lì dentro” (Tarzia L.)

Effettivamente ancora nessuno ha a portata di mano un modello precostituito di


integrazione che avvantaggi tutti; per non parlare dell’assenza di un quadro normativo di
riferimento, per cui conseguentemente “qualcuno cerca di accontentare i residenti con
ordinanze che forse non dovrebbero essere neanche emesse.”
Il Comitato Stanga ha provato a interagire con le comunità di stranieri per cercare di
creare dei modelli, dei percorsi di solidarietà che rafforzino il principio di legalità,
fondamentale per integrare la gente e dare dignità e decoro nel nostro Paese a tutte le
persone, straniere o meno. Tuttavia, per qualcuno la costruzione del “muro” non è
rappresentativa di scelte e percorsi che abbiano dato decoro e dignità alle persone che vi
abitavano.

“Il muro è stato fatto semplicemente per una circostanza: perché c’era gente che abita lì accanto
che non dormiva da 10 anni, che gli saltavano all’interno delle proprietà. Quello non è un muro,
è una barriera” (Tarzia L.)

Il noto e tanto discusso muro della discordia, è stato costruito, a detta di Manfrin P., come
barriera fonoassorbente. Sta di fatto che per i residenti, rappresentati dal Comitato
Stanga, quella barriera è servita per risolvere il problema, stimolando chi di dovere a
togliere la gente da quel tugurio.

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Lo studente togolese presente ricorda il fatto che in Africa vi sono processi di


socializzazione diversi dai nostri, e, inoltre, che lui venendo qua ha notato in alcuni
Africani un’inciviltà che in Africa non c’è. Quindi si potrebbe supporre che, al contrario di
quel che si è soliti pensare, la maggior parte degli immigrati si sia realmente integrata con
parte del nostro modo di vivere, assimilandone però caratteri più negativi che positivi, che
comunque costituiscono anch’essi parte dell’insieme della società italiana.

MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA

“Quanto ruolo hanno avuto i media, i mezzi di comunicazione, i giornali nell’aver dettato
l’agenda politica dell’amministrazione? Secondo me molto” (Anoé P.)

A partire dagli anni ’90, la stampa ha dedicato all’immigrazione un’attenzione costante e


sempre più crescente, trasmettendone per lo più un’immagine di “problema sociale”.
La questione stampa e mass media viene dibattuta più volte nel corso del focus group.
Tendenzialmente i mass media son stati tirati in ballo per essere criticati e sottoposti a
processo, per poi dichiararli colpevoli di intrusione e di errata diffusione di notizie
distorte.
Il bombardamento mediatico che ha scelto di riportare notizie che vedevano stranieri
coinvolti, piuttosto che italiani (se non tra le vittime) è messo in discussione quasi
all’unanimità.

“Perché la gente percepisce la realtà attraverso i mass media, più che andando in via Anelli. C’è
stata risonanza positiva per i residenti, per far capire il disagio. Ma quello che hanno vissuto gli
immigrati?! Come viene sentito?! C’è una responsabilità non indifferente dei mass media”
(Sbarro M.)

“Sull’immigrazione occorre lavorare concretamente senza battage mediatico” (Falcone S.)

“L’immigrazione è percepita come problema di ordine pubblico per responsabilità dei media, sia
nell’alimentare e spettacolarizzare questi fenomeni, che nell’informare” (Maculan B.)

I numerosi articoli pubblicati e scritti sul tema hanno contribuito a diffondere l’idea che
esista un nesso tra criminalità e immigrati. L’immigrazione viene, infatti, quasi
esclusivamente definita in termini di illegalità e di degrado.

“La colpa è dei mass media: appaiono titoli con la nazionalità dello straniero ben in vista. La
percezione dell’immigrazione come problema è dovuta anche a questo” (Meneghini M.)

“Penso che i media abbiano un po’ calcato la mano, perché pure gli immigrati seguono i giornali,
le reti locali… e parlare in modo esagerato nei loro confronti procura a loro ansie e paure, ma
anche agli italiani. Nasce così la paura del diverso” (Narutti E.)

“Sicurezza-immigrazione-microcriminalità: il processo mass mediatico ci da questa equazione,


basta seguire un certo tipo di reti “pornografiche” seguite da anziani che creano un allarme

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sociale precostituito. È poi faticoso far cambiare opinione a qualcuno, dopo anni che è stato
bombardato con un’idea” (Mastellaro G.)

Al contrario i membri del Comitato Stanga affermano:

“…grazie alla stampa che pubblicizza i problemi sulla sicurezza, mal gestione di alcuni ambienti,
perché senza la stampa non avremmo risposte. Se non sbatti il problema sulla stampa, il
problema viene rimandato. Vi è la necessità di un intervento immediato sui focolai quando
ancora piccoli. Per questo i comitati si sono battuti così e cercano di stimolare sempre la stampa,
a volte in maniera diversa, anche un po’ folcloristica, perché c’è la necessità di intervenire”
(Manfrin P.)

Essi sostengono dunque di aver ritrovato nei quotidiani locali una sorta di amico che
finalmente è stato in grado di ascoltare i loro problemi e che li ha aiutati ad accendere i
riflettori sul loro disagio quotidiano determinato dal vivere adiacenti al punto di ritrovo e
di riferimento dei “diversi”.

Ma probabilmente c’è stato uno “sfruttarsi” a vicenda.


I cittadini che protestano contro il degrado sono diventati fonte privilegiata di notizie. I
media, in fondo, hanno svolto il proprio lavoro, andando a caccia di notizie per riempire
le pagine dei giornali da mandare in stampa; i programmi televisivi hanno trovato di che
parlare e finalmente i residenti autoctoni del quartiere Stanga si son sentiti presi in
considerazione.
Ma che succederà appena ci saranno notizie più fruttuose di cui parlare? I riflettori si
gireranno. E i problemi saranno stati risolti completamente e concretamente?

CONCETTO DI “IMMIGRAZIONE”

I singoli partecipanti hanno espresso la propria idea sul concetto di immigrazione,


descrivendo come ognuno di loro vive e percepisce questo fenomeno.

In linea generale, secondo il parere di Maculan B. e Meneghini M., quando si parla di


immigrazione si fa riferimento a un fenomeno umano, che riguarda persone con sogni e
progetti, che lasciano il loro Paese d’origine e che, anche per la sua posizione geografica
strategica, arrivano in Italia. Un fenomeno che, a detta di alcuni partecipanti, è inevitabile
e non del tutto nuovo, visto che la Storia ci ripropone varie ondate di migrazioni.

Viene ripetutamente criticata la mancanza di un’adeguata politica di accoglienza da parte


dello Stato italiano, ma più in generale anche di una politica sull’immigrazione, che aiuti e
indirizzi la gestione a livello nazionale del flusso migratorio.
Questo vuoto normativo comporta disagi sia agli italiani che ai migranti, perché non
sanno come comportarsi e come affrontare le situazioni.
Parte del popolo italiano tuttavia sembra aver ritrovato, in tutto questo, un certo principio
di territorialità e di unità nazionale. La sempre maggiore permeabilità della società
italiana, più o meno ben voluta, alla diversa “cultura straniera” funge inizialmente da
spinta alla riappropriazione di valori quali l’identità culturale, storica e sociale. Tuttavia,

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essa sta progressivamente acquistando connotazioni più “forti”, caricandosi talvolta di


fosche tinte d’intolleranza e di conflittualità, fino a sfociare nella xenofobia.
La società italiana sente di aver provato comunque a creare una relazione stabile con gli
immigrati, ma:

“Il problema nasce quando ci sono immigrati che hanno sposato in maniera quasi irreversibile
una posizione di aggressività, delinquenza… con cui è difficile parlare di integrazione” (Falcone
S.)

Ma se la maggior parte dei cittadini ragiona sull’immigrazione per preconcetti, piuttosto


che in termini completi, probabilmente è perché:
“c’è un riferimento ossessivo al crimine, alla sottolineatura che reati e crimini siano sempre
commessi dallo straniero”(Maculan B.)
Il che rende inevitabile considerare l’immigrazione come un problema di ordine pubblico.

In particolare Sbraccia A. solleva il problema della “clandestinità” (causata in gran parte


dalle leggi vigenti in Italia sulla limitata regolarizzazione degli immigrati), che favorisce la
criminalità, oltre che l’assunzione di una condotta deviante.
Infatti, molto spesso condotte devianti e azioni criminali7 non sono altro che conseguenti
a tipologie di adattamento e sopravvivenza in una dimensione di clandestinità8.

“Trovo sia impensabile che questi una volta emigrati si adattino all’istante al nostro modello di
vita. Non ho intenzione di giustificare comportamenti criminali e illegali assunti dagli
immigrati, ma prima di parlare di emergenza sociale si dovrebbe tener conto del tempo
naturale di adattamento. Lo spaccio può essere un’attività temporale, iniziale, poi abbandonata
perché non frutta a livello relazionale e sociale.” (Cuccato G.)

A livello statistico, risulta come la maggior parte degli stranieri che ora sono regolari e
possono vivere normalmente hanno inizialmente attraversato una fase di clandestinità.
Ma allora ci si è chiesti se:
“Sono stati del tutto inutili nell’ottica dell’economia nazionale quando hanno raccolto pomodori,
hanno lavorato nell’edilizia? Non ci sono serviti quando erano clandestini, laddove il 25% del
PIL italiano gira attorno alla questione del lavoro nero?” (Sbraccia A.)

Probabilmente c’è anche chi ha pensato di sfruttare la dimensione clandestina, ma non


bisogna pensare che tutti gli immigrati che arrivano in Italia scelgono di vivere nella
clandestinità e nell’illegalità. Perché è proprio la legislazione in materia di immigrazione
che, così com’è formulata, favorisce la clandestinità.

7
Si noti come spesso con “criminalità” si intenda più genericamente “devianza sociale”, con conseguente confusione
tra diritto penale e pratiche sociali informali. Ogni forma di devianza o comunque di minaccia percepita è considerata
dal cittadino come azione, condotta criminale. Sporcizia, ozio, degrado, uso di stupefacenti e ubriachezza, ad esempio,
possono essere considerati atteggiamenti devianti, ma non costituiscono reato. Eppure i cittadini sembrano temere ed
essere spaventati da tali condotte, che creano insofferenza, identificazione del diverso come criminale. Si veda «Non-
persone. L’esclusione dei migranti in una società globale» A. Dal Lago - Feltrinelli
8
Quanto affermato riguardo la sfera della clandestinità sembra essere passato inosservato, non è stato dibattuta la
provocazione sul tema.

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Altra questione emersa, legata alla dimensione della clandestinità, è legata alla
considerazione che dove c’è un mercato della droga c’è sempre un incontro fra domanda e
offerta.
Ed è evidente che la domanda di droga è rimasta immutata anche dopo sgomberi, blitz e
altri eclatanti provvedimenti lampo.
In effetti, quando la cronaca riporta fatti legati alla prostituzione e allo spaccio di droga
c’è l’assenza dei clienti italiani, raramente citati o ricollegati a questi “mercati”, come se la
domanda di prostituzione e di droga riguardasse solo gli stranieri.

In linea con questa affermazione, Amewoui G. afferma che l’immigrazione sia illegale che
legale sono entrambe volute dall’Italia.

In effetti l’immigrazione, nell’insieme, è anche un importante fenomeno di mercato e di


rilevanza economica.

“Quando penso all’immigrazione penso anche a un fenomeno di mercato… ma la burocrazia


ostacola la regolazione.”(Anoé P.)

“L’Italia ha bisogno della gente straniera, che siano studenti o lavoratori non importa, le loro
attività hanno comunque ripercussioni sull’economia dell’Italia; è assicurata una maggiore
facilità nell’ottenere i visti a chi vuole venire qua a lavorare.” (Amewoui G.)

A parte la visione di utilità economica, solo un partecipante ha fatto riferimento


all’immigrazione come risorsa sociale, senza vederne solo gli aspetti problematici:

“L’immigrazione è uno strumento di accrescimento personale, un fenomeno umano, che può


dare molto”(Sanguin R.)

In effetti, anche se si parla tanto di globalizzazione, i confini di uno Stato rappresentano


ancora un limite. Manca la consapevolezza che dalla coesistenza di culture diverse può
nascere qualcosa di positivo. Si tratta di un aspetto della globalizzazione ancora poco
considerato.

SOLUZIONI A CONFRONTO

L’obiettivo dell’incontro era quello di cercare di individuare possibili soluzioni alla realtà
di difficile convivenza tra le molteplici realtà culturali e sociali in Italia.
Al termine del dibattito9, ogni partecipante al focus group ha espresso delle proposte sul
da farsi per migliorare la convivenza tra le persone, a prescindere dalla loro provenienza
geografica.
Qualcuno ha criticato l’uso della parola “soluzione”, perché darebbe per scontato che
l’immigrazione sia un “problema”, legato alla sicurezza e alla microcriminalità, da
risolvere in maniera definitiva. Quindi anziché parlare di soluzioni appare più corretto
parlare piuttosto di modi per cercare di non farla diventare un problema.

9
4 partecipanti hanno lasciato il dibattito prima della conclusione, quindi mancano le proposte di alcune persone.

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Amewoui G. pensa che non sia di nostra competenza trovare soluzioni al problema e che:
“Una prima mossa va fatta dalle politiche che devono ripensare al fenomeno nel suo complesso,
che è più complicato di quello che pensiamo.”

Secondo Maculan B. è comunque fondamentale porsi nei confronti “dell’altro” in termini


di rispetto e tenere sempre a mente che si tratta di problematiche e situazioni che
riguardano “persone”. Anche lo spacciatore è una persona. In generale, si ha sempre
davanti prima di tutto delle persone, non sono solo immigrati.

Inoltre, è necessario riuscire a stabilire una comunicazione, affinché si riesca a capirsi e a


conoscersi a vicenda, quindi fare:

“Interventi in ordine all’educazione e all’apprendimento linguistico. Educarci insieme alla


legalità costituzionale. Mettiamoci in discussione per combattere l’assuefazione all’illegalità”
(Falcone S.)

“Bisogna costruire dei percorsi mettendo al centro la persona, dignità e i suoi diritti e doveri… È
importante la centralità della persona coi suoi diritti e doveri” (Tarzia L.)

Diritti e doveri: chi arriva nel nostro Paese a volte sembra essere consapevole più di noi
cittadini di quali siano i nostri diritti. A ogni diritto corrisponde un dovere correlativo. Ma
forse gli italiani sono più attenti ai doveri che ai diritti?

“A noi prima di tutto sono stati insegnati i doveri, perché prima ci legnavano a casa perchè ci
insegnavano l’educazione e poi i diritti. Non conoscono (si riferisce agli immigrati) invece i
doveri, non sanno quali siano le regole da rispettare e non sanno, ad esempio, che bisogna dare
la precedenza o non urinare, non fare certe cose, perché hanno in mente solo tanti, tanti, tanti
diritti! Abbiamo bisogno di far conoscere agli immigrati che doveri abbiamo, creando una certa
struttura di aiuto (percorso con le scuole, informazione assistenza), ma soprattutto di
conoscenza dei doveri e dei diritti; non partendo dai diritti e poi i doveri. Perché io quando ero
piccolo le prendevo se sbagliavo qualcosa. Sicuramente l’integrazione ci sarà perché quando uno
rispetta le regole non avrà nessuna persona contro” (Manfrin P.)

Partire quindi dal riaffermare il principio di legalità per arrivare all’integrazione con chi
viene nel nostro Paese. Una soluzione che però, in base all’esperienza dell’immigrato
algerino, non sembra avere sempre riscontri nella realtà:

“Ha detto che uno se segue le regole l’integrazione è assicurata: almeno per me non è stato così.
È un fatto mentale. Per la mia generazione è troppo tardi, però per le generazioni future, per i
bambini, bisogna fare soluzioni, da ora, per evitare pregiudizi! [...] I pregiudizi non vengono
semplicemente dai fatti. Non è che uno vede in tv che un immigrato ha fatto qualcosa e comincia
a odiarlo. Li odiava già prima, anche se non li ha mai conosciuti aveva pregiudizi; che almeno si
lavori per le generazioni future.” (Laouas A.)

Quindi, bisogna fare attenzione a non combattere l’immigrazione in sé, come idea, ma
piuttosto un certo stile di vita di alcuni immigrati che fuoriesce dalla sfera della legalità o
che necessita di aiuto o anche solo di consiglio per non rimanere comunque “deviante”.

“Una soluzione potrebbe essere la riaffermazione della normalità. Il diverso dev’essere


considerato come normale, magari anche migliore di me. Se si impara a distinguere che alcune

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caratteristiche fisiche (o di appartenenza nazionale) non pregiudicano una potenzialità della


persona ti si aprono molte più prospettive di crescita personale e come società. Esistono i buoni e
i cattivi sia da una parte che dall’altra; ma soprattutto bisogna capire che esistono i buoni anche
dall’altra” (Sanguin R.)

“Ci vuole quindi un processo di educazione e di non esclusione. Meglio accettare, meglio
riconoscere la gente come persona e valutare le loro qualità, integrarle nel sistema per provare
a sciogliere il ghiaccio.” (Amewoui G.)

“Ecco una proposta: quando si mettono in piedi delle iniziative magari cercare di farle insieme,
inserire” (Falcone S.)

“Certo! E sta a noi insegnare a loro che ci sono pure dei doveri. Sono convinto che gli immigrati
si integrano meglio se mescolati con italiani. Ognuno di noi deve metterci del suo, poi servono
politiche di integrazione” (Narutti E.)

L’immigrato algerino, che purtroppo ha vissuto in prima persona i disagi di essere


immigrato in Italia, ha ripetuto più volte che il problema alla base è la xenofobia. Ma non
è certo l’unico.
Anche il coordinatore del Comitato Solidale di via Manara (Anoé P.) sostiene che sia
necessario eliminare la paura del “diverso” (fomentata dai media), ma soprattutto
definisce il razzismo e la xenofobia come una “malattia”, purtroppo ampiamente diffusa a
Padova.

C’è stato chi ha riportato un’idea di soluzione più in concreta, già messa in pratica nel
piccolo contesto di Via Manara, in collaborazione con l’Assessore Ruffini.
Ossia un “progetto di peer education”, cioè una sorta di integrazione peer to peer (da pari
a pari), un confronto orizzontale tra pari.
Una strada per arrivare a una sorta di mediazione dei conflitti potrebbe essere quella di
operare nei contesti abitativi con potenziale attrito, in maniera che vengano poste delle
regole condivise, che sia fatta un’attenta analisi dei bisogni per arrivare a un confronto
reciproco, ma soprattutto a regole autogestite e condivise.

CONCLUSIONI

Premettiamo che per noi ragazzi di come2discuss/quartiere globale questo focus group
rappresenta la prima esperienza nel suo genere, dalla quale abbiamo appreso molto anche
noi stessi. L’incontro ha rappresentato un banco di prova innanzitutto per lo sviluppo di
capacità interpersonali, organizzative e comunicative. Possiamo, quindi, concludere che la
modalità del confronto, della “tavola rotonda”, al di là della tematica trattata, può davvero
rappresentare una via importante di discussione delle problematiche, nonché di ricerca di
soluzioni condivise.

La scelta del titolo «Sicurezza, micro-criminalità e immigrazione a Padova» è stata


giustamente da qualcuno criticata. Il nostro obiettivo non era tanto ridurre ad un tutt’uno
le diverse questioni contenutevi, quanto piuttosto quello di lanciare una provocazione,
rendendo l’idea di come queste ultime vengano spesso ridotte ad un unicum.

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Tra le tre aree tematiche, i partecipanti si sono concentrati, in particolare,


sull’immigrazione. È stato importante rilevare come il fenomeno immigrazione sia
qualcosa di irreversibile, una realtà con cui imparare sempre di più a “fare i conti”, cioè a
relazionarsi, lasciando da parte paure o preconcetti.
Non possiamo negare tuttavia come la discussione si sia focalizzata, in relazione al tempo,
soprattutto su casi specifici (via Anelli e muro) e su tematiche a questi strettamente
connesse (impatto dei media sull’opinione pubblica, sicurezza). Questo forse è dovuto
anche all’influenza determinata dall’immagine di una palazzina di Via Anelli con la
recinzione-muro, scelta come sfondo al titolo e proiettata nella stanza durante il dibattito.
Questo concentrarsi maggiormente sulla situazione di disagio vissuta in Via Anelli, ha
lasciato forse poco spazio a un’analisi “positiva” dell’immigrazione, aperta a sottolineature
incoraggianti alle quali siamo tutti meno abituati.

In generale, comunque, riteniamo di aver ottenuto un buon risultato dal dibattito in


quanto tutte le persone invitate si sono presentate e vi hanno partecipato attivamente.
Qualcuno, come è normale che sia, avrebbe voluto parlare molto più degli altri, perché in
base alla propria esperienza si sentiva maggiormente coinvolto circa le tematiche da
trattare. Ma il fatto che si siano presentati praticamente tutti ha fatto sì che ci fossero 15
persone sedute al tavolo e tutti con eguale diritto di esprimere le proprie idee e opinioni.
I tempi non potevano andare troppo per le lunghe, per non rendere eccessivamente
pesante e stancante il dialogo. La mediatrice ha ritenuto quindi opportuno ridurre la
durata degli interventi in modo da permettere a tutti di parlare.

Premesso che i giudizi da noi espressi sono basati sulla percezione "esteriore" di
comportamenti e di atteggiamenti, quindi su quanto abbiamo potuto osservare in un ben
determinato contesto; sottolineando anche che un'attenta analisi degli aspetti meno
“contenutistici” ci sia direttamente richiesta dall'esperienza stessa del focus group in
quanto tale, riteniamo opportuno segnalare quanto segue.
Abbiamo osservato che, mentre i Comitati hanno ripetutamente sottolineato tutto ciò che
secondo loro non va nel fenomeno migrazione e nel relativo tentativo di convivenza, altri
presenti, a nostro parere, non hanno contribuito quanto avrebbero potuto, considerato il
fatto che erano stati scelti in base alla rilevanza delle loro esperienze personali circa la
tematica oggetto della discussione. Ad esempio, ci aspettavamo dalle collaboratrici
dell’Associazione Mimosa una partecipazione forse più attiva, soprattutto perché trattare
coi migranti in situazioni di particolare disagio è al centro del loro lavoro quotidiano (pur
essendo consapevoli della difficoltà che emerge qualora si voglia tentare di spiegare in
poco tempo tali situazioni). Il dibattito sarebbe stato più ricco con un loro maggior
coinvolgimento nel discorso quando questo si è focalizzato sul tema dell’immigrazione,
cosa che avrebbe aiutato tutti a comprendere forse meglio in cosa consistono
concretamente le difficoltà dell’integrazione in particolari contesti di emarginazione e di
disagio sociale.
Abbiamo inoltre notato una certa difficoltà nel parlare da parte dell’immigrato algerino,
probabilmente perché avendo vissuto in prima persona esperienze di discriminazione ed
esclusione sociale, nel suo percorso migratorio, sentiva maggiormente la tematica
trattata.
Per quanto riguarda invece i due docenti di Sociologia, si sono osservati due differenti tipi
di atteggiamento: mentre uno è sembrato molto interattivo e coinvolto nella discussione,
l’atro, pur avendo espresso alcune idee con molta chiarezza e competenza, ponendo sul

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tavolo, come già ricordato, degli spunti interessanti, è apparso meno “trascinato” dal
dibattito. Anche in questo caso una maggiore condivisione di competenza e capacità di
comunicazione avrebbe forse elevato il “livello” del focus group.

In linea di massima, però, la partecipazione è stata, come dicevamo, attiva e attenta; nel
rispetto delle idee altrui e ognuno ha parlato in maniera educata.
Nel complesso, possiamo rilevare solo due momenti più “accesi” in cui i toni sono
diventati più aspri mostrando attriti, che in entrambi i casi, hanno coinvolto due
rappresentanti dei Comitati sicurezza – zona Stanga (Manfrin P. e Tarzia L.). Gli stessi
hanno lamentato il fatto che “si rivolgono sempre a noi. Non capisco, boh, sarà un
problema di comunicazione”.

Gli attriti sono emersi a causa dello scontro tra due visioni differenti (non per forza
attribuibili a due “schieramenti” opposti ben delineati): una che tende a contenere
l’immigrazione e tutto ciò che di negativo essa comporta; l'altra che tende ad accettare
questo fenomeno come una risorsa positiva da intercettare e incanalare in percorsi di
convivenza multiculturale.
In realtà, ammettiamo che durante il focus group ci si aspettava una maggiore
conflittualità e discussioni ingestibili: così non è stato. I partecipanti si sono
probabilmente trattenuti e non hanno ecceduto nel parlare.

In conclusione, elenchiamo le proposte su quel che i cittadini pensano si debba ancora


fare per gestire e facilitare la vita del corpo sociale, che come quello umano, a volte
subisce trapianti di organi: è necessario tuttavia impegnarsi affinché il corpo non li rigetti.

Proposte:
• Coinvolgimento degli attori delle realtà che si osservano per arrivare a una
condivisione delle scelte, non cercare di ottenerne solo il consenso;
• Progetti di peer education localizzati; con un’analisi e presa in considerazione dei
bisogni degli altri;
• Salti di qualità sulla legalità a 360°, non solo per gli immigrati, ma in egual modo
per tutti;
• Conoscersi a vicenda in modo che anche noi impariamo ad apprezzare e rispettare i
loro usi e costumi;
• Applicare strumenti di solidarietà e integrazione;
• Offrire assistenza e aiuto concreto a chi si trova in condizioni di necessità;
• Rispettare le persone nell’utilizzo del linguaggio, oltre che imparare ad esprimerci
ragionando con la nostra testa e non farci giudici degli altri; andando oltre le
apparenze e informarsi;
• Facilitare l’apprendimento linguistico dell’italiano per chi arriva da fuori, per
rendere così meno complicata la comunicazione e la conoscenza reciproca;
• Politiche di inclusione sociale e di accoglienza a livello nazionale; con
l’introduzione ove manca di “mediatori culturali”;
• Monitoraggio dell’informazione diffusa dai mezzi di comunicazione di massa;
• Fare interventi anche più pratici, quali posizionare bagni chimici nelle aree ad alta
frequentazione da parte di persone disagiate, senza fissa dimora;
• Allargare il diritto al voto amministrativo agli immigrati, come segno di inclusione;

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• Insegnare loro che i doveri vengono prima dei diritti;

Ringraziamo nuovamente tutti coloro che hanno partecipato e contribuito, direttamente o


meno, alla realizzazione di questo focus group.

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RINGRAZIAMENTI 
Per la realizzazione materiale del Focus Group  
si ringraziano in maniera particolare: 

il direttore del “Il Mattino di Padova”; 
la redazione de “Il Mattino di Padova”; 
il professor Gangemi Giuseppe; 
Pasquetto Marco. 

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