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Astronomia - Sommario

1 Elementi propedeutici di fisica


1.1 Forze e strutture
1.2 Le 4 forze naturali
1.2.1 L'interazione gravitazionale
1.2.2 Interazione elettromagnetica
1.2.3 Interazione forte
1.2.4 Interazione debole
1.3 Le Particelle elementari e i quanti di forza
1.4 La radiazione elettromagnetica
1.4.1 Spettri di emissione
1.4.2 Spettri di assorbimento
1.4.3 Effetto Doppler
2 Unit di misura in astronomia
2.1 Il parsec e la parallasse
3 Il sistema solare: Leggi di Keplero
3.1 prima legge di Keplero
3.2 seconda legge di Keplero
3.3 terza legge di Keplero
4 Il sistema solare: I pianeti
5 Il sistema solare: i corpi meteorici
6 Il sistema solare: corpi cometari
7 Il sistema solare: il sole
7.1 Struttura del sole
7.2 Origine dell'energia solare
7.3 La struttura interna del sole
8 Il sistema solare: origine
9 Le stelle: classificazione e sistemi di riferimento
10 Le stelle: Caratteristiche fisiche
10.1 Luminosit e variabilit
10.2 Massa e dimensioni
10.3 Temperatura e colore: i tipi spettrali
11 Le stelle: evoluzione
11.1 Il diagramma HR
11.2 Formazione stellare: fase di presequenza
11.3 Fase di stabilit ed evoluzione finale
11.4 Evoluzione stelle doppie: binarie cataclismiche (novae e supernovae Ia)
12 Le stelle: Oggetti collassati
12.1 Stelle a neutroni e pulsar
12.2 Buchi neri
13 Il Mezzo interstellare
13.1 Polvere
13.2 Gas
13.3 Distribuzione
14 La Galassia: Via Lattea
15 Le Galassie
15.1 Morfologia e classificazione
15.2 Galassie peculiari: Nuclei Galattici Attivi (AGN)
15.3 Distribuzione: la struttura a grande scala delluniverso
16 Moti della terra
16.1 Moto di rotazione
16.1.1 Prove del moto di rotazione
16.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre
16.1.3 Durata del moto di rotazione: il giorno
16.2 moto di rivoluzione
16.2.1 Prove del moto di rivoluzione
16.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioni
16.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinozi
16.3.1 Conseguenze della precessione
16.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'anno
16.5 moti minori millenari
16.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidi
16.5.2 Variazione dell'eccentricit dell'orbita
16.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asse
16.5.4 Nutazioni
16.6 moto rispetto al centro galattico
17 La Misura del Tempo
17.1 Il calendario
17.2 Fusi orari
17.3 Linea di cambiamento di data
18 LOrientamento
18.1 Orizzonte e punti cardinali
18.2 Orientamento diurno
18.3 Orientamento notturno
18.4 Declinazione magnetica
18.5 Determinazione delle coordinate geografiche
18.5.1 Latitudine di notte
18.5.2 Latitudine di giorno
18.6 Longitudine
19 La Luna
19.1 laspetto fisico
19.2 Moto di rotazione
19.3 Sistema Terra-Luna
19.4 Moto di rivoluzione e fasi lunari
19.5 Mese sidereo
19.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni (Metone)
19.7 La luna e le maree
19.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissi
19.8.1 Eclisse di Luna
19.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)
19.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)
19.9 Librazioni
19.10 L'orbita della luna intorno al sole
19.11 Ipotesi sull'origine della luna
19.11.1 Ipotesi della fissione
19.11.2 Ipotesi della cattura
19.11.3 Ipotesi dellaccrescimento
19.11.4 Ipotesi dellimpatto meteorico
20 Appendice 1 Distanze in Astronomia
Distanze fino a qualche decina di UA (interplanetarie)
2
20.1 Metodi trigonometrici, Periodi di rivoluzione e Radio-echi
Distanze fino a qualche centinaio di parsec
20.2 Parallassi annue e Parallassi di gruppo
20.3 Le distanze fino a qualche decina di Kiloparsec: Parallassi spettroscopiche e
Parallassi dinamiche
Le distanze fino a qualche Megaparsec
20.4 Cefeidi, Regioni H II, Novae, Parallassi nebulari
Le distanze fino a qualche decina di Megaparsec
20.5 Ammassi globulari e Supergiganti estreme
Le distanze fino a qualche centinaio di Megaparsec
20.6 Tully-Fisher e Supernovae
Le distanze fino a qualche migliaio di Megaparsec
20.7 Galassie pi luminose, Lenti gravitazionali e Legge di Hubble
21 Appendice 2 - Composizione moti orbitali
21.1 Giorno solare ed Equazione del Tempo E
21.2 Calcolo mese sidereo
21.3 Movimento linea dei nodi e degli apsidi lunari
21.4 Rotazione linea degli apsidi terrestri (moto diretto del perielio)
21.5 Precessione degli equinozi
21.6 Anno Tropico
21.7 Data degli equinozi e dei solstizi
21.8 Data afelio/perielio
21.9 Effetto della precessione sulle coordinate celesti
21.10 Giorno siderale
22 Appendice 3 - Fotometria
22.1 Intensit luminosa I
22.2 Flusso luminoso
22.3 Brillanza B
22.4 Illuminamento E
22.5 Calcolo quantit fotometriche solari
22.6 Fotometria stellare
22.7 Indici di colore
22.8 Magnitudine ed albedo planetaria (modello elementare)
23 Appendice 4 dati e costanti
3
1 Elementi propedeutici di fisica
1.1 Forze e strutture
La caratteristica forse pi appariscente dell'universo sta nella grande variet di oggetti che lo
compongono. Dagli atomi alle galassie l'universo rivela una gerarchia di strutture e forme in
continua evoluzione.
A ben guardare un universo amorfo, senza struttura potrebbe teoricamente esistere, costituito solo
da particelle elementari e radiazione in moto caotico, senza possibilit di legami reciproci. Le
strutture si producono infatti perch esiste un qualche genere di restrizione al movimento
disordinato della materia. Possiamo allora affermare che l'esistenza nell'universo di materia
strutturata rivela inequivocabilmente l'esistenza di restrizioni, di forze che costringono le particelle
ed i corpi in genere ad aggregarsi in modo pi o meno ordinato.
In fisica il concetto di forza viene descritto attraverso le tre leggi della dinamica (Newton).
1) Il principio di inerzia afferma che un corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto uniforme
lungo una linea retta se non esiste una forza ad esso applicata.
2) Quando una forza viene applicata ad un corpo libero di muoversi essa produce una variazione
della velocit del corpo (accelerazione) per tutto il tempo durante il quale la forza agisce. Tale
accelerazione risulta direttamente proporzionale alla forza applicata ed inversamente proporzionale
alla massa del corpo ( F = ma). Naturalmente se la forza agisce su di un corpo gi in movimento,
essa pu produrre un'accelerazione positiva se agisce nel senso del moto, negativa se agisce in
senso opposto. Se infine una forza viene applicata perpendicolarmente alla direzione del moto essa
non produce variazioni sul modulo della velocit, ma esclusivamente sulla direzione, costringendo
il corpo a muoversi di moto circolare uniforme.
3) Se un corpo esercita una forza su di un secondo corpo, allora il secondo esercita sul primo una
forza uguale e contraria.
Nel sistema internazionale di unit di misura (SI) l'unit di misura della forza il newton (N). 1
newton la forza che, applicata ad una massa di 1 kg, le imprime un'accelerazione di 1 m/s
2
.
Nel sistema cgs l'unit di misura delle forze la dina (dyn). 1 dina la forza che, applicata ad una
massa di 1 g, le imprime un'accelerazione di 1cm/s
2
. I fisici ritengono oggi che in natura esistano 4
tipi fondamentali di forze o interazioni in grado di giustificare tutte le strutture esistenti.
1.2 Le 4 forze naturali
1.2.1 L'interazione gravitazionale
E' la forza che si esercita tra corpi in virt della loro massa. E' una forza esclusivamente attrattiva
che agisce in modo proporzionale alla massa dei corpi, mentre risulta inversamente proporzionale al
quadrato della distanza che separa i corpi. Viene descritta dalla legge di gravitazione universale
enunciata per la prima volta da Newton.
2
2 1
d
m m
G F
dove G la costante di gravitazione universale.
L'esperienza dimostra che la forza gravitazionale tra corpi anche molto vicini estremamente
debole, a meno che non siano in gioco masse enormi. Per questo motivo l'interazione gravitazionale
4
non pu essere invocata per spiegare la stabilit dei corpi di piccole dimensioni. Essa diventa invece
l'unica forza in grado di strutturare corpi molto massicci ed quindi considerata la forza principale
capace di governare le grandi strutture dell'universo, dai pianeti alle stelle, alle galassie. Il suo
raggio d'azione infinito, nonostante che alle grandi distanze la sua intensit diventi naturalmente
molto piccola.
1.2.2 Interazione elettromagnetica
Mentre la forza gravitazionale una propriet della massa ed quindi sempre presente tra due corpi
qualsiasi, la forza elettromagnetica agisce solo tra corpi elettricamente carichi. In natura esistono
due tipi di cariche elettriche, convenzionalmente designate come positive e negative. La forza
elettromagnetica risulta attrattiva solo tra cariche di segno opposto, mentre diventa repulsiva per
cariche dello stesso segno. L'intensit della forza varia in funzione dell'intensit delle cariche in
gioco e della loro distanza con una legge analoga a quella di gravitazione universale, nota come
legge di Coulomb.
2
2 1
d
Q Q
K F
dove K una costante di proporzionalit pari a
1
4
o
, con

costante dielettrica del vuoto.


Nel sistema SI la carica elettrica si misura in coulomb (C).
Poich gli atomi di cui composta la materia sono formati da un nucleo di protoni carichi
positivamente, intorno al quale orbitano elettroni negativi, la forza coulombiana risulta essere
responsabile della struttura atomica e molecolare, producendo tutti quei legami che noi definiamo
'chimici', i quali garantiscono la stabilit dei corpi ordinari. Le forze elettriche hanno come le forze
gravitazionali raggio d'azione infinito, ma risultano circa 10
36
volte pi intense di queste ultime.
1.2.3 Interazione forte
Dopo aver verificato che la forza repulsiva che si esercita tra i protoni positivi enormemente pi
intensa di quella attrattiva dovuta alla loro attrazione gravitazionale, diventa inevitabile postulare
l'esistenza di un qualche altro tipo di forza capace di giustificare la stabilit dei nuclei atomici.
L'esistenza di tale forza attrattiva estremamente intensa, chiamata interazione forte, venne
confermata dopo che nel 1932 Chadwick ebbe scoperto il neutrone nei nuclei atomici. Successivi
esperimenti durante i quali i neutroni vennero fatti collidere con protoni e con nuclei atomici
dimostrarono infatti l'esistenza di una attrazione tra nucleoni (protoni e neutroni), che si rendeva
efficace solo quando questi venivano portati a distanze inferiori a 10
-13
cm. Oltre tale distanza
l'interazione forte non pi in grado di far sentire i suoi effetti ed per questo motivo che le
dimensioni tipiche dei nuclei atomici sono tutte di questo ordine di grandezza (10
-13
cm). Il
minuscolo raggio di azione dell'interazione forte spiega anche perch sono richieste energie enormi
per portare due protoni ad unirsi in un processo di fusione nucleare, come quello che avviene
all'interno delle stelle.
Forza di colore
In realt oggi i fisici ritengono che l'interazione forte non sia una forza fondamentale di natura ma una specie di residuo
di una forza, detta forza di colore, che tiene uniti i quark all'interno di ciascun adrone.
Secondo tale modello ciascun adrone formato da tre quark di colore diverso, rosso, verde e blu. Naturalmente i colori
indicano semplicemente tre diversi tipi di cariche, nello stesso modo in cui i termini positivo e negativo indicano
convenzionalmente i due tipi di carica elettrica. I tre quark all'interno di un adrone si attirano per la presenza delle tre
cariche di colore, le quali complessivamente appaiono neutre, come un atomo appare neutro per il fatto di essere
costituito da tanti protoni positivi quanti elettroni negativi. I fisici si riferiscono al fatto che gli adroni non possiedano
complessivamente una carica di colore residua dicendo che gli adroni sono bianchi (la somma dei tre colori
fondamentali, rosso verde e blu).
Ma quando due adroni sono sufficientemente vicini possibile che il quark di un certo colore di un adrone attiri un quark
di colore diverso dell'altro adrone. Tali interazioni tra quark di adroni diversi sarebbero dunque responsabili delle forze
che tengono uniti protoni e neutroni nei nuclei atomici e che noi abbiamo finora descritto come interazione forte.
L'interazione forte rappresenterebbe quindi un residuo della forza di colore, in modo analogo a quanto accade per le
5
forze intermolecolari che rappresentano un residuo della pi fondamentale attrazione elettromagnetica che tiene uniti
protoni ed elettroni all'interno degli atomi e delle molecole.
Infatti solo quando due protoni possiedono un'energia cinetica (e quindi una temperatura) tale da
vincere la repulsione elettrostatica fino a portarsi a distanze di 10
-13
cm, l'interazione forte pu
produrre i suoi effetti attrattivi. L'interazione forte risulta 137 volte pi intensa della interazione
elettromagnetica. Tutte le particelle soggette ad interazione forte sono classificate come adroni.
1.2.4 Interazione debole
L'interazione debole venne introdotta nel 1935 da Fermi per descrivere il fenomeno del
decadimento beta. Si tratta dell'interazione naturale pi sfuggente e difficile da descrivere Poich i
suoi effetti sono quelli di provocare particolari tipi di decadimenti a livello di particelle elementari.
In generale possiamo affermare che l'interazione debole responsabile di tutti quei decadimenti in
cui sono implicati neutrini. L'esistenza del neutrino venne postulata nel 1930 da Pauli per salvare il
principio di conservazione dell'energia che sembrava altrimenti violato nel decadimento beta, visto
che la somma della quantit di moto del protone e dell'elettrone non era pari a quella iniziale del
neutrone.
n p e
e
+ +
L'interazione debole presenta raggio d'azione dell'ordine di 10
-16
cm ed 10
13
volte meno intensa
dell'interazione forte. Tutte le particelle che non sentono l'interazione forte e che sono in grado di
'sentire' l'interazione debole sono dette leptoni (gli adroni sentono sia l'interazione forte che
l'interazione debole). Sono leptoni l'elettrone, il muone (), il tauone () ed i rispettivi neutrini.
1.3 Le Particelle elementari e i quanti di forza
Le 4 forze naturali agiscono essenzialmente sulla materia. Attualmente i fisici possiedono un
modello estremamente sintetico ed elegante che descrive la materia.
Quando una porzione di materia viene ritenuta non ulteriormente divisibile (l'atomo dei greci)
prende il nome di particella elementare o quanto di materia. Si ritiene che esistano 2 tipi di
particelle materiali elementari (non composte da altre particelle): Quark e Leptoni.
Si conoscono 6 Quark e 6 Leptoni, comunemente raggruppati in 3 famiglie, ciascuna contenente
due Quark e due Leptoni secondo il seguente schema (la massa espressa in MeV (l'elettronvolt
l'energia acquistata da un elettrone quando viene accelerato dalla differenza di potenziale di 1volt.
1 MeV = 10
6
eV) e la carica elettrica come frazione della carica unitaria dell'elettrone)
QUARK
LEPTONI
I famiglia II famiglia III famiglia
nome sigla carica massa nome sigla carica massa nome sigla carica massa
up u +2/3 2-8 charm c +2/3 1000-1600 top t +2/3 175600
down d -1/3 5-15 strange s -1/3 100-300 bottom b -1/3 4100-4500
I famiglia II famiglia III famiglia
nome sigla carica massa nome sigla carica massa nome sigla carica massa
elettrone e -1 0,511 muone

-1 105,66 tauone

-1 1777
neutrino
elettron.

e
0 < 0,0051 neutrino
muonico

0 < 0,27 neutrino


tauonico

0 < 31
6
La prima famiglia va a costituire la materia ordinaria con la quale costruito l'intero universo
materiale dagli atomi alle galassie. Le rimanenti due famiglie sono costituite da particelle instabili
che si formano attualmente solo in condizioni termodinamiche particolari (ad esempio nei grandi
acceleratori di particelle) e si trasformano (decadono) rapidamente nelle particelle stabili della
prima famiglia.
Ciascuna delle 12 particelle presenta inoltre la sua antiparticella che si distingue solo per avere
carica elettrica opposta. Le antiparticelle vengono rappresentate con il simbolo della particella con
una barretta sopra. Ad esempio l'elettrone (e o e
-
) ha come antiparticella l'antielettrone o positrone (
e o e
+
).
A differenza dei Leptoni, i Quark non esistono liberi in natura, ma si aggregano a gruppi di 2 o 3.
Le particelle composte da 3 Quark sono chiamate barioni, quelle composte da 2 Quark sono dette
mesoni. Barioni e mesoni costituiscono un unico gruppo di particelle note come adroni.
Gli unici due barioni stabili nelle attuali condizioni termiche dell'universo sono il protone (duu)
formato da due Quark up ed un Quark down e il neutrone (ddu) formato da un quark up e due
Quark down.
La carica elettrica degli adroni si ottiene come somma algebrica della carica elettrica dei singoli
Quark che li compongono. Non esistono adroni con cariche elettriche frazionarie. I mesoni si
formano dall'unione di un Quark e di un Antiquark. Ad esempio il pione negativo
-
presenta la
seguente struttura uu. I mesoni presentano un quark di un colore ed un antiquark del rispettivo
anticolore (antirosso = ciano; antiverde = magenta; antiblu = giallo), in modo che anch'essi si
presentano globalmente neutri (bianchi) per quanto riguarda la carica di colore.
I barioni possiedono tutti spin semintero e sono perci fermioni (ubbidiscono al principio di
esclusione di Pauli), mentre i mesoni presentano spin intero e sono perci bosoni (non ubbidiscono
al principio di esclusione di Pauli).
Quark e Leptoni interagiscono attraverso i 4 tipi di forze fondamentali gi descritte. Oggi per
anche le forze o interazioni vengono descritte attraverso teorie quantistiche. Ci significa che
quando due particelle materiali interagiscono tramite una delle quattro forze di natura lo fanno,
secondo le attuali vedute, scambiandosi un quanto di forza. I quanti associati alle quattro forze di
natura possono a tutti gli effetti essere considerati come particelle portatrici di forza (vettori di
forza).
Le particelle che mediano le interazioni sono tutte bosoni (bosoni intermedi).
interazione quanto spin carica elett.

gravitazionale gravitone (ipotetico) 2 0
elettromagnetica fotone 1 0
forte (di colore) 8 gluoni 1 0
debole 3 bosoni deboli
W
+
1 + 1
W
-
1 - 1
Z 1 0
L'interazione gravitazionale una forza puramente attrattiva che agisce tra corpi dotati di massa
tramite scambio di gravitoni. La descrizione quantistica di tale interazione non ancora
soddisfacente.
L'interazione elettromagnetica una forza che agisce sia in modo attrattivo che repulsivo tra
particelle dotate di carica elettrica tramite scambio di fotoni.
7
L'interazione di colore agisce tra i Quark tramite scambio di 8 gluoni, mantenendo legati i Quark
all'interno degli adroni. I leptoni non possiedono carica di colore e su di essi non agisce pertanto
l'interazione forte.
L'interazione debole alla base di tutti i processi tra particelle in cui sono coinvolti neutrini. Sia
quark che leptoni presentano carica debole. In tutte le reazioni di interazione debole sono coinvolti
4 fermioni. Il decadimento del neutrone una tipica interazione debole mediata dal bosone W
-
n p e
e
+ +
I bosoni deboli elettricamente carichi (W
+
e W
-
) sono in grado di trasformare i Quark l'uno nell'altro secondo il seguente
schema
Cos il decadimento beta del neutrone deve essere interpretato come una trasformazione di un Quark d in un Quark u
per emissione di un bosone debole W
-
il quale decade poi in un elettrone e in un antineutrino elettronico
In modo analogo i leptoni possono trasformarsi l'uno nell'altro per interazione debole secondo il seguente schema
Ad esempio il muone decade in un elettrone, un neutrino muonico e in un antineutrino elettronico secondo la seguente
reazione
Le 4 interazioni fondamentali presentano ovviamente una diversa intensit (o adesivit).Tali
differenze tendono per ad annullarsi con l'aumentare della temperatura.
L'intensit dell'interazione debole e di quella elettromagnetica diventano ad esempio paragonabili
ad una temperatura di circa 10
15
K, che corrisponde ad una energia cinetica media (
3
2
kT
) delle
particelle di circa 10
11
eV.
L'ipotesi che l'interazione debole e l'interazione elettromagnetica potessero essere a tutti gli effetti
indistinguibili ed unificarsi a tali energie ha trovato una conferma sperimentale nel 1983 ad opera
dell'quipe del CERN guidata da C. Rubbia.
8
Al di sopra di 10
15
K non ha quindi pi senso distinguere fotoni e bosoni deboli e sarebbe pi
opportuno parlare di un unico tipo di vettori intermedi, i bosoni elettrodeboli che trasportano
un'unica forza elettrodebole unificata.
Anche se non ancora stato possibile effettuare una verifica sperimentale, pochi scienziati hanno
oggi dei dubbi che anche l'interazione forte possa unificarsi con l'interazione elettrodebole. Vi sono
diverse teorie che prevedono tale unificazione al di sopra di 10
27
K (10
23
eV) e che sono note come
Teorie di Grande Unificazione (GUT).
Secondo la pi semplice di tali teorie (SU5) al di sopra di tale temperatura risultano stabili 24
bosoni vettori intermedi, noti come bosoni X che trasportano un'unica forza grandunificata. Lo
scambio di tali bosoni tra Quark e Leptoni trasforma gli uni negli altri. Sopra tale temperatura non
avrebbe nemmeno pi senso distinguere tra Quark e Leptoni che vengono spesso indicati come
lepto-quark.
Al di sotto di tale temperatura 12 bosoni X decadono negli 8 gluoni e nei 4 bosoni elettrodeboli,
mentre gli altri 12 bosoni X decadono in quark e leptoni stabili.
Esistono infine ipotesi teoriche, sulle quali non vi ancora sufficiente convergenza da parte degli
specialisti, che prevedono una completa unificazione di tutte e 4 le forze a 10
32
K (10
28
eV). Tra
queste sollevano particolare interesse tra i fisici le teorie supersimmetriche (SUSY) che prevedono
che sopra una certa temperatura anche fermioni e bosoni diventino indistinguibili. Secondo tali
teorie ogni particella elementare nota dovrebbe essere associata ad una particella supersimmetrica
(superpartner) che differisce, oltre che per la massa molto elevata solo per mezza unit di spin. Cos
tutti i fermioni avrebbero dei bosoni per superpartners e viceversa. I fermioni supersimmetrici (tutti
con spin 1/2 tranne il gravitino con spin 3/2) vengono indicati aggiungendo la desinenza -ino al
nome del loro partner normale (fotino, gluino, Wino, Zino, gravitino), mentre i bosoni
supersimmetrici (tutti con spin zero) vengono indicati anteponendo il prefisso s- al nome dei loro
partners normali (selettrone, sneutrino, squark).
1.4 La radiazione elettromagnetica
La maggior parte delle informazioni che ci pervengono dallo spazio sono sotto forma di energia
elettromagnetica. La conoscenza della natura e delle leggi che governano la radiazione
elettromagnetica risulta quindi fondamentale nello studio dei corpi celesti.
Nel 1820 il fisico danese Hans Christian Oersted scopr che un magnete ed un filo percorso da
corrente elettrica si attirano reciprocamente.
Nel 1831 l'inglese Michael Faraday trov che a sua volta un magnete in movimento esercita una
forza su di una carica elettrica ferma costringendola a muoversi, fenomeno oggi noto come
induzione elettromagnetica.
Divenne dunque presto evidente che la forza elettrica e la forza magnetica, fino ad allora ritenute
separate, dovevano essere due aspetti di uno stesso fenomeno.
Qualche decennio pi tardi lo scozzese James Clerck Maxwell sintetizz tali risultati sperimentali
con uno straordinario lavoro teorico. Servendosi esclusivamente del calcolo differenziale Maxwell
dimostr infatti che un campo elettrico di intensit variabile nel tempo produce nello spazio
circostante un campo magnetico anch'esso di intensit variabile. Il campo magnetico indotto,
variando di intensit, induce a sua volta un campo elettrico variabile e cos via.
In conclusione l'iniziale perturbazione del campo (elettrico o magnetico che sia) non rimane
confinata nello spazio, ma si propaga come una serie di campi magnetici ed elettrici concatenati di
intensit variabili. Le variazioni di intensit si presentano con tipico andamento sinusoidale, tanto
da meritare al fenomeno il nome di onda elettromagnetica.
9
La teoria di Maxwell permette anche di ottenere per via teorica la velocit di propagazione
dell'onda, la quale risulta essere pari al reciproco della radice quadrata del prodotto della costante
dielettrica del vuoto (
o
) per la permeabilit magnetica del vuoto (
o
).
v =
1

o o
= 300.000 km/s
La straordinaria coincidenza numerica tra la velocit di propagazione dell'onda elettromagnetica e
la velocit di propagazione della luce nel vuoto 'c', port Maxwell a formulare l'ipotesi, in seguito
confermata sperimentalmente da Hertz, che la luce non fosse altro che un onda elettromagnetica di
particolare lunghezza d'onda.
Un'onda elettromagnetica, essendo un campo di forze di intensit variabile che si propaga nello
spazio, agisce su tutte le particelle cariche e sui magneti che incontra costringendoli a vibrare al suo
stesso ritmo, cos come un sughero sull'acqua viene fatto oscillare dal passaggio di un'onda d'acqua.
Essendo la radiazione elettromagnetica un fenomeno ondulatorio, essa descrivibile attraverso i
caratteristici parametri associabili a qualsiasi onda:
1) il periodo T viene definito come il tempo impiegato dal campo elettromagnetico per eseguire una
vibrazione completa o, il che lo stesso, il tempo impiegato da una cresta d'onda per raggiungere la
posizione precedentemente occupata dalla cresta che la precede.
2) viene definita frequenza , il reciproco del periodo (1/T). La frequenza misura il numero delle
oscillazione nell'unit di tempo. Si misura in cicli al secondo o hertz.
3) Si definisce infine lunghezza d'onda , lo spazio tra due creste successive. La lunghezza d'onda
rappresenta anche lo spazio percorso dall'onda nel tempo T.
Poich la velocit di propagazione 'c' delle onde elettromagnetiche costante ed essa pari al
rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato a percorrerlo T, se ne deduce che e T
sono direttamente proporzionali
c = /
inoltre, poich = 1/T, la relazione si pu scrivere
c =
lunghezza d'onda e frequenza sono inversamente proporzionali.
L'onda elettromagnetica trasporta energia. Ce ne possiamo facilmente convincere pensando al fatto
che le onde elettromagnetiche sono in grado di mettere in movimento le cariche elettriche investite,
eseguendo su di esse un lavoro.
Quando per si prendono in considerazione fenomeni in cui sono coinvolti scambi energetici tra
radiazione elettromagnetica e materia, il nostro modello ondulatorio diventa purtroppo inadeguato
ed incapace di dar ragione di molti fatti sperimentali.
In tal caso viene utilizzato un modello corpuscolare in cui la radiazione risulta costituita da
pacchetti di energia detti fotoni.
L'energia portata da ciascun fotone risulta direttamente proporzionale alla frequenza della
radiazione secondo una costante di proporzionalit 'h', detta costante di Planck.
E = h
Dunque la radiazione ad alta frequenza (e piccola lunghezza d'onda) risulta composta da fotoni
altamente energetici, mentre la radiazione a bassa frequenza (ed elevata lunghezza d'onda)
costituita da fotoni poco energetici.
10
La classificazione delle radiazioni elettromagnetiche in base alla lunghezza d'onda (o, il che lo
stesso, in base alla frequenza) prende il nome di spettro elettromagnetico.
Le onde elettromagnetiche che il nostro occhio riesce a percepire, indicate come frazione visibile
dello spettro o spettro visibile, possiedono una lunghezza d'onda compresa tra 0,39 e 0,77 .
Noi percepiamo ciascuna lunghezza d'onda della radiazione visibile come un colore diverso. Alla
radiazione di maggior lunghezza d'onda corrisponde il rosso (0,62 - 0,77 ). Al diminuire della
lunghezza d'onda corrisponde l'arancione, il giallo, il verde, il blu ed infine, alla radiazione di minor
lunghezza d'onda corrisponde il violetto ( 0,39 - 0,43 ).
Al di l del violetto troviamo radiazioni di minor lunghezza d'onda e di maggior energia, invisibili
all'occhio umano, corrispondenti all'ultravioletto, ai raggi X ed ai raggi gamma.
Al di qua del rosso troviamo radiazioni di maggior lunghezza d'onda e di minor energia,
corrispondenti all'infrarosso, alle microonde ed alle onde radio.
Attraverso una tecnica detta spettroscopia possibile suddividere una radiazione proveniente da un
corpo e composta da onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda nelle sue componenti,
dette radiazioni monocromatiche. Si ottengono cos una serie di righe colorate aventi ciascuna una
particolare lunghezza d'onda, che definiscono lo spettro di quel corpo.
Esistono due tipi fondamentali di spettri: gli spettri di emissione e gli spettri di assorbimento.
1.4.1 Spettri di emissione
Gli spettri di emissione sono prodotti direttamente dai corpi e rappresentano una forma di emissione
di energia da parte della materia. Trattandosi di un caso di interazione materia/radiazione tali
fenomeni vanno trattati utilizzando il modello corpuscolare.
Esistono due tipi di spettri di emissione: spettri di emissione continui e spettri di emissione
discontinui o 'a righe'.
1) Gli spettri di emissione continui vengono prodotti da corpi solidi o liquidi a qualsiasi temperatura
al di sopra dello zero assoluto (0K). La radiazione emessa identica per qualsiasi tipo di corpo ad
una stessa temperatura. In altre parole lo spettro che si forma non dipende dalla natura chimica del
corpo emittente, ma funzione esclusivamente della sua temperatura. Lo spettro che si forma si
dice continuo in quanto sono presenti tutte le righe spettrali anche se con intensit diversa.
L'intensit delle righe spettrali cresce da sinistra verso destra, raggiunge un massimo per poi
decrescere. Affermare che ciascuna riga spettrale presenta una diversa intensit, significa dire che
ciascuna riga trasporta una diversa quantit di energia. Se costruiamo il diagramma che mette in
relazione la distribuzione di energia dello spettro in funzione della lunghezza d'onda si ottiene una
curva di questo tipo

11
La lunghezza d'onda in corrispondenza con il massimo della curva trasporta la maggior quantit di
energia ed detta lunghezza d'onda di massima emissione (
max
), mentre le radiazioni di lunghezza
d'onda minore e maggiore risultano meno intense e trasportano quindi una minor quantit di
energia.
Si noti che l'intensit massima non necessariamente situata in corrispondenza delle lunghezze
d'onda pi energetiche (lunghezze d'onda minori). Ci perch queste ultime, pur essendo formate da
fotoni pi energetici, sono evidentemente costituite da un numero di fotoni molto esiguo rispetto a
quello che costituisce le lunghezze d'onda in corrispondenza delle quali situato il picco.
La posizione del picco di energia dipende dalla temperatura del corpo emittente. Diminuendo la
temperatura il massimo si sposta verso lunghezze d'onda maggiori e contemporaneamente la curva
si abbassa.
Il valore della lunghezza d'onda di massima emissione ricavabile in base alla legge dello
spostamento di Wien

max
T = K
Temperatura assoluta e lunghezza d'onda di massima emissione risultano dunque inversamente
proporzionali. E' per questo motivo che un corpo portato ad alta temperatura ( ad esempio una
sbarra di ferro) ci appare prima rosso, poi arancione, poi giallo, poi bianco-azzurro. Per lo stesso
motivo vedremo che esistono stelle superficialmente 'pi fredde' che ci appaiono rosse e stelle via
via pi calde che vediamo gialle, arancioni etc. Ci non significa che emettono solo quella
lunghezza d'onda, ma che le altre lunghezze d'onda emesse sono talmente deboli da essere
sovrastate dalla lunghezza d'onda di massima emissione.
Per temperature molto basse il massimo di emissione non cade pi nella banda della luce visibile,
ma si sposta nella zona dell'infrarosso, fino a raggiungere, per temperature bassissime le microonde
e le onde radio.
Naturalmente un corpo a maggior temperatura deve emettere complessivamente anche una maggior
quantit di energia e viceversa. Infatti diminuendo la temperatura la curva non solo si sposta ma si
abbassa. Si pu dimostrare che larea sottesa alla curva (integrale della funzione) rappresenta
l'energia totale emessa nell'unit di tempo e per unit di superficie radiante.
La relazione che descrive la variazione di energia emessa in funzione della temperatura del corpo
emittente detta legge di Stefan-Boltzmann.
E = T
4
12
Per inciso ricordiamo che la curva di spettro continuo detta anche curva di corpo nero (cos viene chiamato un
radiatore integrale, cio un corpo in grado di riemettere tutta l'energia che assorbe) e che tutti i tentativi di descrivere
matematicamente tale curva applicando il modello ondulatorio di Maxwell rimasero infruttuosi fino all'inizio del '900,
quando l'introduzione della costante di Planck 'h' apr le porte ad un modello corpuscolare e quantizzato dell'emissione di
energia radiante.
2) Gli spettri di emissione a righe si producono quando un gas o un vapore assorbe una opportuna
quantit di energia che poi riemette sotto forma di particolari e caratteristiche righe spettrali.
Facendo attraversare la radiazione proveniente da un gas eccitato attraverso uno spettrografo non si
ottengono tutte le righe spettrali, ma uno spettro composto da poche righe separate da spazi vuoti in
cui le righe sono assenti.
L'interesse di tali spettri dovuto al fatto che il tipo di righe emesse da ciascun elemento o
composto chimico allo stato gassoso, dipende dalla sua particolare struttura atomica e quindi esiste
uno spettro a righe specifico e caratteristico per ciascun elemento o composto. In tal modo
analizzando le righe spettrali provenienti dai corpi celesti spesso possibile risalire ai composti di
cui sono costituiti, eseguendo una vera e propria analisi chimica a distanza.
1.4.2 Spettri di assorbimento
Quando una radiazione termica di corpo nero, dopo aver attraversato un vapore o un gas, viene
analizzata allo spettrografo, si constata che dallo spettro continuo mancano alcune righe spettrali, le
quali sono state assorbite dal gas interposto.
In pratica si osserva che i gas ed i vapori assorbono le stesse radiazioni che emettono quando
vengono eccitati (legge di Kirchhoff - 1859), per cui lo spettro di assorbimento risulta l'esatto
negativo dello spettro a righe. Le righe nere degli spettri di assorbimento vengono dette righe di
Fraunhofer, dal nome del fisico che per primo le osserv nel 1815 nello spettro solare.
1.4.3 Effetto Doppler
Quando osserviamo gli spettri provenienti da corpi in moto relativo rispetto a noi essi ci appaiono
deformati. In particolare le righe risultano spostate verso lunghezze d'onda maggiori se la sorgente
luminosa possiede un moto relativo di allontanamento, mentre risultano spostate verso lunghezze
d'onda minori se la sorgente animata da un moto relativo di avvicinamento.
Poich nello spettro visibile le lunghezze d'onda maggiori corrispondono al rosso, mentre le
lunghezze d'onda minori corrispondono al blu, il fenomeno di "dilatazione" della lunghezza d'onda
proveniente da un corpo in allontanamento indicato come spostamento verso il rosso o red-shift,
mentre il fenomeno di "compressione" della lunghezza d'onda proveniente da un corpo in
avvicinamento indicato come spostamento verso il blu o blu-shift.
Naturalmente ci non significa che una radiazione che ha subito un red-shift o un blu-shift ci appaia
effettivamente rossa o blu, significa solo che ci appare con una lunghezza d'onda rispettivamente
maggiore o minore di quella che possedeva al momento di emissione.
L'intensit del fenomeno tanto maggiore quanto maggiore la velocit radiale di allontanamento o
di avvicinamento. Il fenomeno analogo, come fece notare Doppler nel 1842 e come dimostr
sperimentalmente Fizeau nel 1848, a quello che si produce nelle onde acustiche. E' noto infatti che
una sorgente sonora in avvicinamento produce un suono pi acuto, mentre in allontanamento
produce un suono pi grave (effetto Doppler).
Supponiamo ora che una sorgente luminosa emetta onde elettromagnetiche di periodo T
e
e che la
sorgente si stia allontanando dall'osservatore ad una velocit v.
Dopo aver emesso la prima cresta, la seconda verr emessa dopo un tempo T
e
.
Ma nel tempo T
e
compreso tra un'emissione e la successiva la sorgente si allontana di uno spazio
vT
e
. Questa distanza aumenta il tempo richiesto perch la seconda cresta raggiunga l'osservatore:
alla velocit della luce c, lo spazio vT
e
verr infatti percorso dalla seconda cresta in un tempo vT
e
/c.
13
L'osservatore dunque non misurer pi un periodo T
e
, ma un periodo pi lungo. Il tempo compreso
tra l'arrivo di una cresta e l'arrivo di quella successiva sar infatti pari al periodo normale T
e
pi il
tempo necessario per percorrere il tratto vT
e
T
o
= T
e
+ vT
e
/c
In base a tale nuovo periodo l'osservatore calcoler una lunghezza d'onda pari a

o
= cT
o
mentre la lunghezza d'onda in partenza in relazione con il periodo originario T
e

e
= cT
e
Dividendo membro a membro le due ultime relazioni si ottiene

o
e
e
e
e
c T
vT
c
cT

+ ( )
da cui semplificando

o
e
v
c
+ 1
ed infine

o e
e
v
c

o e
e

viene comunemente indicato come 'z', parametro di red-shift. Si dimostra dunque che se z
dovuto ad effetto Doppler esso pari al rapporto tra la velocit relativa del corpo emittente e la
velocit della luce. Poich piuttosto semplice calcolare di quanto aumentata o diminuita la
lunghezza d'onda di uno spettro a righe, confrontandola con gli spettri standard dei vari elementi e
composti ottenuti in laboratorio, rimane di conseguenza subito determinata la velocit di
allontanamento o di avvicinamento espressa come percentuale della velocit della luce.
Se ad esempio misuriamo un aumento della lunghezza d'onda delle righe spettrali dell'idrogeno che
costituisce una galassia dell'1%, possiamo dedurne che tra la terra e tale galassia esiste un
movimento di allontanamento reciproco che avviene ad una velocit dell'1% di quella della luce
(v/c = 0,01), pari a 3.000 km/s.
Determinando il parametro di red-shift (z) di alcuni corpi celesti sono stati calcolati valori superiori
ad 1. Ci non pu naturalmente significare che tali corpi possiedono velocit superiori a quelle della
14
luce. Significa invece che essi si allontanano con velocit talmente prossime a quelle della luce
(velocit relativistiche) che necessario utilizzare una relazione relativistica per il calcolo di z.
Nella relativit speciale z legato alla velocit di allontanamento v dalle seguenti relazioni
z
c v
c v

1 e
( )
( )
v
c
z
z

+
+ +
1 1
1 1
2
2
Si tenga presente che per valori di z < 0,01, cio per velocit inferiori all1% della velocit della
luce, la relazione classica e quella relativistica forniscono valori praticamente coincidenti.
2 Unit di misura in astronomia
Per distanze relativamente piccole, dell'ordine di grandezza del nostro sistema solare si usa l'unit
astronomica (UA), inizialmente definita come la distanza media sole-terra (semiasse maggiore
orbita), circa 150 milioni di km. Tuttavia, poich il semiasse maggiore dellorbita terrestre ha una
dimensione variabile con il tempo, lUnit Astronomica stata ridefinita come la distanza dal
centro del Sole alla quale una particella di massa trascurabile si muoverebbe su di un orbita
circolare con periodo pari ad un anno gaussiano (anno gaussiano = 365.2568983 giorni. Fu
adottato da Carl Friedrich Gauss come lunghezza dell'anno siderale nei suoi studi sulla dinamica del
sistema solare). Una Unit astronomica pertanto pari esattamente a 149.597.870.691 m, mentre il
semiasse maggiore dellorbita vale attualmente 1,0000001124 UA (149.597.887.506 m nellanno
2000).
Per distanze superiori, galattiche ed extragalattiche, si usano l'anno-luce ed il parsec.
L'anno-luce (al) la distanza percorsa dalla luce in un anno alla velocit di circa 300.000 km/s, pari
a circa 10.000 miliardi di km (9,46053 10
12
km).
Poich lanno tropico dura 365,2422 giorni (pari a 31.556.926 s) e la luce viaggia a 2,99792458 10
5
km/s, un anno-luce
sar pari a 31.556.926 s x 299.792,458 km/s = 94.605.284.124.640 km
2.1 Il parsec e la parallasse
Il parsec (pc), abbreviazione di parallasse-secondo, la distanza alla quale il raggio medio
dell'orbita terrestre verrebbe visto sotto l'angolo di un secondo di grado.
1 parsec corrisponde a 3,26 anni-luce e a 206.265 UA.
Tale unit di misura deriva dal fatto che le prime misure di distanza in astronomia, effettuate per le
stelle pi vicine, si basavano su metodi trigonometrici, tramite determinazione dell'angolo di
parallasse.
Il termine parallasse indica lo spostamento apparente di due punti situati a distanza diversa
dall'osservatore quando quest'ultimo si sposta lungo una retta trasversale alla linea di osservazione.
E' il medesimo effetto prospettico che si produce quando, osservando un dito proteso davanti a noi,
prima con il solo occhio destro e poi con il solo occhio sinistro, esso sembra muoversi rispetto allo
sfondo.
15
La distanza tra i due punti di osservazione detta base parallattica. Nel caso dell'esempio
precedente la base parallattica costituita dalla distanza interoculare. Le due proiezioni che si
ottengono saranno evidentemente tanto pi separate quanto maggiore la base parallattica e/o
quanto pi vicino l'oggetto all'osservatore. L'angolo compreso tra le due visuali detto angolo
parallattico o parallasse.
Per ottenere uno spostamento parallattico di un pianeta rispetto allo sfondo delle stelle fisse
necessaria una base parallattica sufficientemente estesa, ad esempio il diametro terrestre. Per
utilizzare il diametro terrestre come base parallattica sufficiente eseguire 2 osservazioni a distanza
di 12 ore, aspettando che la terra compia mezzo giro intorno al suo asse. La met dell'angolo
compreso tra le due visuali detto parallasse diurna.
Per poter ottenere effetti parallattici per oggetti pi distanti dei pianeti (come sono appunto le stelle)
necessario prendere come base parallattica l'asse maggiore dell'orbita terrestre, eseguendo le
osservazioni a distanza di 6 mesi. In 12 mesi le stelle pi vicine sembrano infatti percorrere un
ellisse sullo sfondo delle stelle pi lontane (fisse). Tale ellisse non altro che la proiezione
dell'orbita della terra sulla sfera celeste. L'angolo 2 sotto il quale noi osserviamo l'asse maggiore di
tale ellisse apparente lo stesso sotto cui un osservatore posto sulla stella osserverebbe l'asse
maggiore dell'orbita terrestre. La met di tale angolo, pari ad , detto parallasse annua della
stella. Tale angolo permette la misura della distanza d della stella (o del pianeta in caso di parallasse
diurna). Ricordando infatti che in un triangolo rettangolo il rapporto tra le misure dei cateti pari
alla tangente dell'angolo opposto al primo cateto, potremo scrivere:
r
d
tg

C
sA
sB
A
B
s

2
d
r
Naturalmente lo spostamento apparente e il conseguente valore della parallasse risulter tanto
maggiore quanto pi la stella vicina alla terra, mentre diminuir, al punto da non essere pi
16
misurabile per stelle molto distanti. Quando la parallasse annua di una stella di 1" (1/3600 di
grado), la relazione precedente fornisce una distanza di
( )
d
r
km
tg
UA
tg 1/ 3600
UA = al

1
206264 8 3 0856776 10 3 261633
13
, , ,
Una stella dista quindi 1 parsec dalla terra quando misuriamo per essa un angolo di parallasse di 1
secondo di grado (1"). Nessuna stella, per quanto vicina, presenta una parallasse superiore al
secondo di grado. La stella pi vicina, Proxima Centauri (cielo australe), presenta una parallasse di
0,76" e quindi dista da noi 3,26/0,76 = 4,3 al. Le prime determinazioni di una parallasse stellare
annua si devono a Struve (1822 - Aquilae 0,181") e a Bessel (1837 - 31 Cygni 0,314").
facile verificare che la distanza della stella, espressa in parsec inversamente proporzionale
allangolo di parallasse. Se la parallasse annua, allora

1
) ( pc d
Se misuriamo un angolo di mezzo secondo di grado la stella si trova ad una distanza doppia (2 pc),
se misuriamo un angolo di 1/10 di secondo la distanza dieci volte maggiore (10 pc) e cos via.
Attualmente i nostri strumenti non ci permettono di apprezzare angoli inferiori al centesimo di
secondo ed quindi impossibile determinare la parallasse di stelle la cui distanza sia superiore a 100
parsec (circa 300 al).
Immaginiamo che lorbita terrestre giaccia su di una circonferenza che abbia
come centro la stella di cui vogliamo misurare la distanza d.
Poich le parallassi stellari presentano, come abbiamo appena visto, valori
molto piccoli, sempre inferiori al secondo di grado, possiamo
ragionevolmente confondere larco TT1 con la corda ad esso sottesa, la quale
rappresenta il diametro dellorbita terrestre. Ricordando che un radiante
langolo che sottende un arco lungo quanto il raggio della circonferenza,
potremo scrivere la seguente proporzione
1 rad : d = : 1 UA
Poich ovviamente in una circonferenza sono contenuti 2 radianti pari a
360, un radiante corrisponde a 360/2 = 57,29578 = 206.264,8 . Se
dunque esprimiamo gli angoli in secondi di grado, la proporzione precedente
diventa 206.264,8 : d = : 1 UA e la distanza d della stella, espressa
ovviamente in UA, varr d
206 264 8 . , UA

.
Ma essendo 1 pc = 206.264,8 UA, la distanza in parsec pari a d
1 pc

3 Il sistema solare: Leggi di Keplero


Secondo le nostre conoscenza attuali il sistema solare composto da 9 pianeti orbitanti intorno al
sole, alcuni dei quali con uno o pi satelliti. Tra l'orbita di Marte e quella di Giove si muove inoltre
una larga cintura di corpi rocciosi, detta fascia degli asteroidi. L'intero sistema solare dovrebbe poi
essere circondato, fino ad una distanza di circa 2 anni-luce da una specie di guscio o alone,
costituito da qualche centinaio di miliardi di corpi cometari.
Le leggi fondamentali che descrivono le orbite planetarie sono state enunciate verso i primi anni del
'600 da Johannes Kepler, il quale si avvalse dell'enorme quantit di osservazioni e di dati ricavati
negli ultimi decenni del '500 dal suo maestro, l'astronomo danese Tyge Brahe.
17
3.1 prima legge di Keplero
I pianeti percorrono orbite ellittiche quasi complanari, di cui il sole occupa uno dei due fuochi.
Il punto di massima distanza dei pianeti dal sole detto afelio, mentre il punto di minima distanza
detto perielio. La linea ideale che congiunge afelio e perielio detta linea degli apsidi. Le orbite
presentano modeste eccentricit.
Per leccentricit e di un ellisse valgono le seguenti relazioni:

2
2 2
2
a
b a
e

, con a = semiasse maggiore; b = semiasse minore (da cui
2
1 e a b
)

a
c
e
, con c = semidistanza focale (distanza centro/fuoco) = R
max
a = a R
min

da cui
) 1 (
max
e a R +
) 1 (
min
e a R
Se ne deduce che il semiasse maggiore pari alla media aritmetica della distanza massima e minima
2
min max
R R
a
+

mentre il semiasse minore pari alla media geometrica delle suddette distanze
min max
R R b
3.2 seconda legge di Keplero
Il raggio vettore che congiunge il centro del sole al centro dei pianeti descrive aree uguali in tempi
uguali.
La conseguenza pi notevole di questa legge che la velocit di rivoluzione dei pianeti intorno al
sole non costante, ma varia in relazione alla distanza, in modo che i pianeti accelerano
avvicinandosi al perielio, mentre rallentano nel tratto che va da perielio ad afelio (in corrispondenza
degli apsidi laccelerazione nulla, mentre la velocit minima in afelio e massima in perielio).
possibile capire tale comportamento ricordando il principio fisico noto come costanza del
momento angolare o momento della quantit di moto (mvr = k).
Essendo infatti m, massa del pianeta, costante v ed r devono essere inversamente proporzionali.
3.3 terza legge di Keplero
I quadrati dei tempi di rivoluzione (P) di ciascun pianeta sono proporzionali ai cubi del raggio
medio dell'orbita (R) P
2
= K R
3
.
Poich si pu dimostrare che il raggio medio dellorbita pari al semiasse maggiore a dellellisse la
relazione pu essere scritta P
2
= K a
3
Lellisse una curva simmetrica. Se consideriamo due punti P e P* disposti simmetricamente sullellisse possiamo
osservare come la loro distanza media da un fuoco F sia pari a (FP + FP*)/2. Ma per ragioni di simmetria la distanza
FP* del secondo punto dal primo fuoco uguale alla distanza FP del primo punto dal secondo fuoco. La distanza media
perci pari alla semisomma delle distanze di un punto dai due fuochi. Nellellisse la somma delle distanze di un punto
dai due fuochi vale 2a per costruzione e quindi la distanza media vale a (cvd).
18
La conseguenza di tale legge che passando da un pianeta pi interno (pi vicino al sole) ad uno
pi esterno, la velocit di rivoluzione non inversamente proporzionale al raggio (come avviene
all'interno di una stessa orbita), ma al suo quadrato. Assumendo infatti che la velocit di rivoluzione
media sia pari al rapporto tra la lunghezza dell'orbita approssimata come circolare (2R) ed il
periodo di rivoluzione (P)
P
R
V

2
. Sostituendo opportunamente nella terza di Keplero si ottiene
t R V cos
2

La terza legge di Keplero, come del resto anche le prime due, pu essere dedotta per via teorica
dalla legge di gravitazione universale.
Essendo infatti la terra in equilibrio dinamico intorno al sole, la forza centripeta (gravitazionale)
deve essere perfettamente bilanciata dalla forza centrifuga. La prima espressa dalla legge di
gravitazione universale, mentre la seconda espressa dalla seconda legge della dinamica
F G
m m
R
s t

2
F ma
t

con m
s
massa del sole e m
t
massa della terra
Eguagliando i due secondi membri e nell'ipotesi che la massa gravitazionale della terra, che
compare nella legge di gravitazione, abbia lo stesso valore della sua massa inerziale, che compare
nella seconda legge della dinamica, si ottiene
a G
m
R
s

2
Approssimando ora le orbite planetarie a delle circonferenze ed indicando con R il raggio medio
dell'orbita terrestre e con V la sua velocit media, il valore della sua accelerazione pari a
R
V
a
2

Sostituendo opportunamente nella precedente e semplificando otteniamo
V G
m
R
s 2

Sostituendo infine alla velocit media il rapporto tra la lunghezza dell'orbita (al solito approssimata
come circolare 2R) ed il periodo di rivoluzione (P) , la relazione diventa

2
2
R
P
G
m
R
s

_
,

ed in definitiva
P
GM
R
s
2
2
3
4


dove
4
2

GM
s
la costante di proporzionalit che compare nella terza legge di Keplero. Tale valore
in realt approssimato, in quanto non esatto affermare che i pianeti orbitano intorno al sole.
Newton ha infatti dimostrato che due corpi che si attraggono gravitazionalmente ruotano intorno ad
un baricentro comune. Le distanze dei due corpi dal baricentro risultano inversamente proporzionali
alle relative masse. Cos se indichiamo con R
s
ed R
t
la distanza del sole e della terra dal baricentro
comune, vale la seguente relazione.
M
s
R
s
= M
t
R
t
19
Il fatto che comunemente si accetti di considerare il moto planetario come un movimento dei pianeti
intorno al sole dovuto all'elevato valore della massa solare, enormemente pi grande di quella di
qualsiasi altro pianeta. In tal modo la distanza del sole dal baricentro comune talmente piccola che
il baricentro viene quasi a coincidere con il centro del sole. La terza legge di Keplero rappresenta
perci una approssimazione, anche se molto buona della situazione reale. Infatti se si tiene conto
anche della massa dei pianeti e non solo della massa del sole la relazione diventa

3
2
2
) (
4
R
M M G
P
p s
+

Si vede in tal modo che la costante di proporzionalit contiene la somma della massa del sole e della
massa del pianeta preso in considerazione, cos che essa leggermente diversa per ciascun pianeta.
Se si tiene per conto del fatto che la massa dei pianeti trascurabile rispetto alla massa del sole,
l'errore commesso accettabile.
Il risultato corretto pu essere ottenuto introducendo la massa ridotta. Si pu infatti dimostrare che la condizione di
equilibrio dinamico tra due corpi che ruotano intorno al baricentro comune rimane inalterata se allontaniamo il corpo di
massa minore m1 portandolo ad una distanza dal baricentro pari a R = R1 + R2, a patto di assegnargli una massa minore,
detta appunto massa ridotta pari a

+
m m
m m
1 2
1 2
. Infatti se m R m R
1 1 2 2
, avremo anche
m
m
R
R
1
2
2
1
ed anche
m
m m
R
R R
1
1 2
2
1 2
+

+
. Moltiplicando ora entrambi i membri per m2 e riordinando otterremo
( )
m m
m m
R R m R
1 2
1 2
1 2 2 2

+
+ R m R
2 2
Cos la forza centrifuga del corpo di massa minore diventa
F a
m m
m m
v
R
m m
m m
R
P
c


+


+


1 2
1 2
2
1 2
1 2
2
2
4
che, eguagliata alla forza gravitazionale
m m
m m
R
P
G
m m
R
1 2
1 2
2
2
1 2
2
4
+



( )
P
G m m
R
2
2
1 2
3
4

20
Infatti su ciascuno dei due corpi in rotazione reciproca intorno al baricentro B agisce una forza centrifuga (F
1
ed F
2
)
uguale e contraria alla forza gravitazionale (centripeta)
Essendo la forza centrifuga pari a
F ma m R
2
(dove a l'accelerazione e la velocit angolare),
l'eguaglianza tra le due forze F
1
ed F
2
diventa
m R m R
1 1
2
1 2 2
2
2

La relazione cos ottenuta d'altra parte molto utile per calcolare le masse dei pianeti una volta nota
la massa solare, le loro distanze medie dal sole (R) e i loro periodi di rivoluzione (P).
Nel caso in cui si esprimano i periodi di rivoluzione ed i semiassi maggiori in unit terrestri (anni
terrestri ed UA) la relazione diviene particolarmente semplice.
P R
anni UA
2 3

Ad esempio, sapendo che Giove dista dal sole 5,2 UA, possibile calcolare agevolmente il suo
periodo di rivoluzione in anni terrestri
P R
Giove

3 3
5 2 1186 , , anni
La terza di Keplero pu essere infine utilizzata per calcolare le masse di corpi in rotazione
reciproca, come ad esempio sistemi di stelle doppie, mettendola a sistema con la relazione che lega
le masse alle rispettive distanze dal baricentro comune.
Ad esempio, sapendo che il Sole dista circa 30.000 al dal centro galattico e percorre unintera orbita
intorno ad esso alla velocit di circa 250 km/s in un periodo di circa 230 milioni di anni, possibile,
trattando in prima approssimazione lintera galassia come un sistema kepleriano, stimarne la massa,
la quale risulta essere circa 200 miliardi di volte superiore a quella del Sole.
Calcolo alternativo
Consideriamo la condizione di equilibrio del corpo di massa m2 che ruota intorno al baricentro B alla distanza R2,
percorrendo nel tempo P la circonferenza 2R2.
La sua forza centrifuga sar pari a
( )
F m a m
V
R
m
R P
R
m
R
P
2 2 2 2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
4


/
Eguagliamo ora la forza centrifuga F2

alla forza gravitazionale
21
Se nella 3^ di Keplero usiamo per la costante di gravitazione il valore G = 6,67259 10
-8
cm
3
g
-1
s
-2
il raggio deve
essere misurato in centimetri, la massa in grammi ed il periodo di rivoluzione in secondi. Se ora scriviamo la
relazione approssimata per un pianeta generico P e per la terra T
P
GM
R
P
s
P
2
2
3
4


P
GM
R
T
s
T
2
2
3
4


e dividiamo membro a membro le due relazioni otteniamo una relazione in cui le variabili sono misurate in unit
terrestri. I periodi di rivoluzione e i semiassi maggiori dei pianeti sono espressi cio come multipli del periodo di
rivoluzione terrestre (anno) e del semiasse maggiore terrestre (UA) e la costante di proporzionalit diventa unitaria.
P R
anni UA
2 3

m
R
P
G
m m
R
2
2
2
2
1 2
2
4

da cui
R G
m P
R
2
1
2
2 2
4

Applicando lo stesso ragionamento al corpo m1 si ottiene


R G
m P
R
1
2
2
2 2
4

Osservando ora che R = R1 + R2, si ottiene


R R R G
m P
R
G
m P
R
G
P
R
m m + + +
1 2
2
2
2 2
1
2
2 2
2
2 2 2 1
4 4 4
( )
da cui
P
G m m
R
2
2
2 1
3
4

( )
4 Il sistema solare: I pianeti
Il pianeta pi vicino al sole Mercurio, cui seguono Venere, la Terra, Marte, la fascia degli
asteroidi, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Gli antichi conoscevano solo 5 pianeti, oltre
alla Terra. Urano fu scoperto nel 1781 e Nettuno nel 1846 sulla base di perturbazioni gravitazionali
dell'orbita di Urano. Lo stesso accadde nel 1930 per Plutone, la cui esistenza fu ipotizzata per
spiegare alcune irregolarit nell'orbita di Nettuno. Il sistema planetario presenta forti regolarit e
simmetrie che ci inducono a considerare l'ipotesi di un'origine comune del sole e dei pianeti. Se
infatti i pianeti fossero degli intrusi casualmente catturati dal campo gravitazionale del sole essi non
presenterebbero le seguenti regolarit:
a) tutti i pianeti si muovono intorno al sole nello stesso verso antiorario, se osservati dal polo nord
celeste. Tale verso risulta concorde con il movimento di rotazione del sole intorno al suo asse.
b) le orbite dei pianeti giacciono tutte sullo stesso piano o quasi. Fa eccezione Plutone che risulta
inclinato di 17 rispetto al piano dell'orbita terrestre (eclittica). Questa ed altre anomalie di Plutone
fanno d'altra parte ritenere che esso abbia avuto una genesi diversa rispetto agli altri pianeti. Alcuni
sostengono ad esempio che si tratti di un ex satellite di Urano entrato in orbita intorno al sole.
c) i moti di rotazione dei pianeti intorno al loro asse sono tutti concordi e antiorari se osservati dal
polo nord celeste. Fanno eccezione Plutone e Venere che presentano un moto di rotazione orario o
retrogrado.
d) le distanze dei pianeti dal sole seguono una legge empirica, che rimane peraltro ancor oggi
misteriosa, scoperta nel 1766 da Tietz (Titius) e successivamente divulgata da Bode. Espressa in
termini moderni, con le distanze medie dei pianeti dal sole (R) misurate in unit astronomiche, la
legge di Titius e Bode prende la seguente forma:
R = 0,4 + 0,3 (2
n
)
con n che pu assumere i valori - (meno infinito), 0, 1, 2, 3.......
con n = - R = 0,4 U.A. (Mercurio)
con n = 0 R = 0,7 U.A. (Venere)
con n = 1 R = 1 U.A. (Terra)
etc
22
I valori cos ottenuti si approssimano in modo piuttosto soddisfacente alle distanze reali, con
leccezione dei pianeti pi esterni. E' inoltre interessante notare che fino a tutto il '700, la legge di
Titius e Bode mostrava un 'buco' per n = 3, prevedendo in tale posizione la presenza di un pianeta
tra Marte e Giove.
La lacuna fu colmata nel 1801 quando l'astronomo italiano Piazzi scopr in quella posizione il pi
grande degli asteroidi, Cerere.
e) i pianeti possono essere suddivisi in due grandi gruppi omogenei per quanto riguarda le propriet
fisiche e chimiche, se si esclude ancora una volta Plutone. I 4 pianeti terrestri (Mercurio,
Venere, Terra, Marte) ed i 4 pianeti gioviani (Giove, Saturno, Urano, Nettuno).
I pianeti terrestri presentano dimensioni relativamente piccole, ma, essendo costituiti di materiali
prevalentemente silicatici (rocciosi), hanno densit elevate (4 - 5,5 kg/dm
3
). Presentano pochi o
nessun satellite e le loro velocit di rotazione sono piuttosto basse.
I pianeti gioviani sono di grandi dimensioni (pianeti giganti), ma essendo composti
essenzialmente di elementi chimici leggeri, prevalentemente Idrogeno, presentano densit molto
basse, in alcuni casi (Saturno) addirittura inferiori a quella dell'acqua. Presentano in genere un
elevato numero di satelliti ed elevate velocit di rotazione intorno al loro asse (10 - 15 ore).
5 Il sistema solare: i corpi meteorici
Il materiale solido extraplanetario appartenente al nostro sistema solare pu essere classificato in
relazione alle dimensioni in polvere meteorica (< 1 mm), meteoroidi (1 mm - 1 km) e asteroidi (1
km - 1000 km).
Gli asteroidi sono per lo pi concentrati in un fascia compresa tra lorbita di Marte e quella di
Giove. Si ritiene siano il residuo dei planetesimi che durante la formazione dei pianeti non sono
stati in grado di aggregarsi a causa delle forti perturbazioni gravitazionali di Giove. Sono stati finora
osservati pi di 15.000 asteroidi, anche se solo di settemila se ne conosce lorbita con sufficiente
precisione. Si stima tuttavia che il numero totale dei pianetini sia dellordine delle centinaia di
migliaia. Il primo fu individuato la notte del 1 gennaio 1801 da Giuseppe Piazzi e battezzato
Cerere.
La polvere forma un disco lenticolare nel quale sono immerse le orbite dei pianeti. Le particelle di
polvere diffondono la luce solare e sono pertanto responsabili di quella tenue luminosit, nota come
luce zodiacale, osservabile in particolari condizioni in corrispondenza dellalba e del tramonto.
Anche i meteoroidi sono distribuiti prevalentemente sul piano su cui giacciono i pianeti. Si ritiene
che polveri e meteoroidi provengano in parte dalla disgregazione delle comete ed in parte dalla
fascia degli asteroidi.
Si valuta che ogni giorno il nostro pianeta sia bombardato da circa 20 milioni di particelle
meteoriche pi o meno consistenti. Nella maggior parte dei casi il materiale meteorico che colpisce
latmosfera terrestre ha dimensione minuscole. I corpi con diametri compresi tra 0,1 ed 1 mm
costituiscono quasi l80% di tutta la massa meteorica che penetra nellatmosfera, ma
sporadicamente possono raggiungere dimensioni relativamente elevate.
I corpi di dimensioni minori non riescono a raggiungere la superficie terrestre venendo
completamente bruciati e vaporizzati a causa dell'attrito atmosferico. I meteoroidi che presentano
una massa sufficientemente elevata da giungere a colpire il suolo, producendo in alcuni casi veri e
propri crateri, sono detti meteoriti. Il calore generato dal forte attrito con l'atmosfera produce
sempre sulla superficie delle meteoriti una caratteristica patina di fusione.
23
I meteoroidi attraversano la nostra atmosfera con velocit elevate (12 - 72 km/s) ed il calore che si
libera eccita e ionizza i gas (sia atmosferici che il materiale sublimato dal corpo) limitrofi
producendo caratteristiche scie luminose (stelle cadenti).
La velocit delle particelle interplanetarie in prossimit della Terra deve essere minore o uguale a
42 km/s, velocit di fuga del Sistema Solare alla distanza della Terra. Poich la velocit orbitale
media della Terra attorno al Sole di circa 30 km/s, la velocit relativa del materiale meteorico
intercettato dalla Terra sar 42 + 30 = 72 km/s per le particelle in collisione frontale, 42 30 =
12 km/s per le particelle che inseguono la Terra.
La relazione esistente tra comete e sciami meteorici fu suggerita per la prima volta nel 1866
dallastronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, il quale scopr le analogie fra i parametri
della cometa Swift-Tuttle e quelli dello sciame delle Perseidi (lacrime di San Lorenzo, il 10 agosto),
stabilendo una connessione definitiva tra le comete e le stelle cadenti. Successivamente, attraverso
studi sistematici, queste analogie furono riscontrate anche per altre comete. Durante il suo moto di
rivoluzione intorno al sole la terra attraversa periodicamente alcuni di questi sciami che producono
piogge meteoriche particolarmente intense. Gli sciami oggi riconosciuti in maniera ufficiale sono
circa un centinaio, ma molti di essi sono poco evidenti.
Le scie luminose prodotte da uno sciame meteorico che interagisce con la nostra atmosfera
sembrano apparentemente provenire da un punto della volta celeste, chiamato radiante.
Generalmente gli sciami meteorici prendono il nome della costellazione in cui si trova il loro
radiante. Abbiamo cos lo sciame delle Liridi, delle Acquaridi, delle Orionidi, e cos via. Ma gli
sciami meteorici pi noti sono, il 10 agosto, lo sciame delle Perseidi ed il 17 novembre quello delle
Leonidi, cos chiamati poich sembrano provenire rispettivamente dalla costellazione di Perseo e
del Leone. Il radiante non in realt puntiforme, ma una regione pi o meno estesa. Pi le
traiettorie di caduta convergono in unarea ristretta, pi lo sciame meteorico giovane. Infatti i
disturbi gravitazionali, che la Terra e gli altri corpi celesti producono sugli sciami, hanno leffetto di
deviare il tragitto dei meteoroidi, i quali mutano progressivamente le loro orbite. Si ritiene che col
passare del tempo i meteoroidi appartenenti ad uno sciame andranno ad occupare una fascia sempre
pi ampia di spazio, finch diverr impossibile riconoscerne il radiante, e quel che resta dello
sciame andr ad incrementare il numero delle meteore sporadiche.
Il flusso di meteore non uniforme durante le ore notturne, ma aumenta progressivamente e diviene
massimo verso il mattino. Ci dipende dal fatto che la Terra si muove lungo la sua orbita e
lemisfero anteriore (rivolto nel verso del moto) terrestre spazza pi particelle interplanetarie di
quello posteriore. In definitiva, verso sera e durante le prime ore della notte la Terra intercetta solo i
meteoroidi abbastanza veloci da raggiungerla, mentre verso mattino essa si scontra con tutti gli
oggetti che trova sulla propria orbita.
I fenomeni luminosi che accompagnano un meteoroide si definiscono meteore, se presentano una
luminosit inferiore a quella di Venere (m = - 4), bolidi se risultano pi brillanti.
I meteoriti si dividono in:
- aeroliti o meteoriti rocciosi o litoidi (92%), composti di silicati pesanti di Ferro e Magnesio;
- sideriti o meteoriti metallici (7%), composti di leghe di Nichel e Ferro;
- sideroliti o meteoriti miste o metallico-litoidi (1%).
Le meteoriti litoidi sono di gran lunga le pi frequenti e vengono ulteriormente suddivise in
condriti e acondriti a seconda che presentino o meno al loro interno dei granuli tondeggianti detti
condrule.
24
Lo studio delle meteoriti di particolare interesse in quanto si ritiene che i meteoroidi rappresentino
frammenti primordiali della nube protosolare derivanti dalla disgregazione di corpi di dimensioni
maggiori (soprattutto asteroidi e secondariamente comete). Le meteoriti pi vecchie finora
analizzate (condriti) presentano un'et, calcolata con metodi radiometrici (Rb/Sr) in 4,57 miliardi di
anni. Ci avvalora naturalmente l'idea che tale materiale si sia formato contemporaneamente al
nostro sistema solare.
Secondo l'ipotesi che attualmente appare pi probabile le condriti rappresenterebbero le meteoriti
pi antiche e primitive, formatesi dalla disgregazione di corpi in fase di accrezione non ancora
differenziatisi al loro interno in strati a diversa densit. Particolarmente interessanti risultano, a
sostegno di tale ipotesi, un particolare tipo di condriti ricche di composti del carbonio (condriti
carbonacee). Le condriti carbonacee presentano infatti la stessa composizione chimica della
fotosfera solare (eccetto naturalmente l'idrogeno e l'elio) a testimonianza del fatto che sia il sole che
le condriti carbonacee si sarebbero condensate contemporaneamente dalla stessa materia che
costituiva la nebulosa protosolare.
Acondriti, sideroliti e sideriti si sarebbero invece formate successivamente, a causa della
disgregazione di corpi planetesimali (piccoli pianeti in fase di accrescimento) che, fortemente
riscaldatisi (impatti meteorici, decadimenti di isotopi primordiali (Al-26 che decade in Mg),
trasformazione di energia potenziale in energia cinetica durante lo sprofondamento del nucleo)
avrebbero differenziato al loro interno (differenziazione gravitativa) un pesante nucleo metallico ed
un mantello pi superficiale e leggero. Le acondriti rappresenterebbero frammenti del mantello, le
sideriti frammenti del nucleo, le sideroliti frammenti della zona di confine tra mantello e nucleo.
Lo studio della composizione chimica delle meteoriti permette quindi di comprendere ed
interpretare la struttura e la probabile composizione chimica dei pianeti ed in particolare dell'interno
della terra.
25
6 Il sistema solare: corpi cometari
I corpi cometari sono oggetti celesti di forma irregolare e di dimensioni variabili, mediamente con
diametri di qualche decina di chilometri. Analisi dettagliate delle orbite cometarie hanno rivelato
l'appartenenza di questi oggetti al sistema solare. Se infatti le comete fossero corpi estranei al
nostro sistema, sarebbero caratterizzate da traiettorie iperboliche, mentre presentano tipiche orbite
ellittiche intorno al sole, anche se, a differenza dei pianeti, caratterizzate da grande eccentricit.
Il primo a supporre che le comete compiano unorbita ellittica intorno al Sole e ripassino quindi
periodicamente in vicinanza della Terra, fu Halley, il quale riusc a prevedere il ritorno della
cometa che da lui prende il nome per il 1759. Halley calcol analiticamente l'orbita della cometa
utilizzando i passaggi avvenuti nel 1531, 1607, 1682, sulla base della nuova teoria di gravitazione
universale scoperta da Isaac Newton.
I corpi cometari sono costituiti da materiale meteorico e da gas solidificatisi alle bassissime
temperature cosmiche. E' il cosiddetto modello a "palla di neve sporca", proposto negli anni '50
dall'astronomo americano Whipple e sostanzialmente confermato dalla sonda Giotto che nel 1986
ha potuto osservare da vicino la cometa di Halley.
Tra i gas ghiacciati predomina, di gran lunga, lacqua, seguita dallanidride carbonica, dal metano,
dallidrogeno, dalla formaldeide e dallammoniaca.
Le polveri meteoriche sono invece composte prevalentemente da silicati, granuli di ferro-nickel,
carbonati e da una miscela di sostanze organiche, tra cui sono presenti anche precursori di
aminoacidi.
Il rapporto tra ghiacci e polveri risulta fortemente variabile da cometa a cometa e questo si riflette in
un ampia gamma di densit, stimate fra 0,2 e 1,5 grammi per centimetro cubo. La superficie di
colore scuro, con una albedo estremamente bassa, pari a 0,04, a causa di una sottile incrostazione
superficiale di molecole organiche sottoposte allazione delle radiazioni ionizzanti.
Le osservazioni effettuate dalla sonda Giotto hanno inoltre dimostrato che i corpi cometari
possiedono una struttura estremamente porosa, in cui le cavit interne giungerebbero ad occupare
fino al 95% del volume totale. La cometa di Halley presentava ad esempio una densit inferiore a
quella dell'acqua (0,2-0,6 g/cm
3
).
Quando il corpo cometario, detto nucleo, si avvicina al sole, inizia a sublimare producendo
un'atmosfera gassosa che lo inviluppa, detta chioma (il termine cometa deriva dal latino coma =
chioma). La chioma pu raggiungere dimensioni enormi. Recenti osservazioni hanno evidenziato
diametri paragonabili a quelli del sole. I gas e le polveri non evaporano uniformemente da tutta la
superficie, ma escono con getti violenti da alcuni crateri. Ad ogni passaggio attorno al sole il
nucleo cometario perde parte della sua massa, fino al punto in cui l'attrazione gravitazionale
esercitata dal sole non ha il sopravvento sulla gravit interna e la materia che lo compone si
sgretola, andando a formare materiale incoerente (gas, polveri e meteoroidi) che continua a
muoversi nello spazio come un enorme sciame meteorico.
Man mano che si avvicina al sole la chioma inizia a sfumare in una coda allungata, composta di
gas e polveri estremamente rarefatti che vanno disperdendosi nello spazio. La coda viene prodotta
dall'interazione della radiazione e del vento solare con la chioma ed per questo motivo sempre
disposta in senso opposto rispetto al sole. Essa pu raggiungere lunghezze di centinaia di milioni
di chilometri.
Si possono formare due diversi tipi di code:
26
- La coda di polveri o di tipo II. Di aspetto biancastro, deve la sua luminosit alla capacit dei
suoi costituenti di riflettere e diffondere la luce solare. Essa si presenta leggermente incurvata
rispetto alla congiungente nucleo-Sole a causa della azione gravitazionale di questultimo.
- La coda di gas ionizzati o di tipo I. Prodotta dallazione dei fotoni solari pi energetici che
eccitano le molecole della chioma. La sua luminosit determinata essenzialmente dallo spettro di
emissione dei gas eccitati. In particolare la dominante blu dovuta a una particolare riga dello
ione positivo dell'ossido di carbonio. La coda di gas ionizzati in genere pi rettilinea, breve e
sottile rispetto a quella di polveri.
Il tipo di coda sviluppato viene determinato essenzialmente dalla composizione del nucleo. Si
possono pertanto originare sia code di un solo tipo, sia code miste.
La maggior parte delle comete finora osservate presentano periodi di rivoluzione intorno al sole
molto elevati (10
3
10
6
anni). Vengono definite comete a lungo periodo le comete che presentano
un periodo superiore ai 200 anni). Le orbite di tali comete presentano tutte le possibili inclinazioni
rispetto al piano dell'eclittica. Dal numero di comete osservate, dall'analisi delle loro orbite e della
loro periodicit l'astronomo olandese Jan Oort (1950) dedusse l'esistenza nel nostro sistema solare
di miliardi di corpi cometari. Secondo Oort essi formerebbero un guscio (nube di Oort) intorno al
sistema solare. Secondo recenti stime la nube di Oort avrebbe la forma di un enorme sferoide avente
il diametro maggiore pari a 3,2 al ed il diametro minore di 2,5 al. I corpi cometari si muoverebbero
all'interno della nube di Oort molto lentamente su orbite praticamente circolari, impiegando milioni
di anni per percorrerle interamente. Ogni anno tuttavia alcuni di essi, forse per urti reciproci o per
interazioni gravitazionali (anche con le stelle pi vicine), perdono energia e cadono verso il sole. Le
comete a breve periodo (P < 200 anni) presentano invece orbite poco inclinate rispetto al piano
dell'eclittica. Secondo l'astronomo olandese Gerard P. Kuiper (1951) esse formerebbero un anello
di corpi cometari, detto cintura di Kuiper, posto appena fuori dell'orbita di Plutone.
La presenza nelle comete di sostanze volatili in grandi quantit suggerisce che i nuclei cometari
debbano essersi formati in una regione relativamente fredda e quindi esterna della nebulosa
protoplanetaria, ma i rapporti esistenti tra nube di Oort e cintura di Kuiper e le modalit della loro
formazione sono attualmente ancora oggetto di dibattito.
Secondo unipotesi ormai classica la nube di Oort rappresenterebbe il residuo della nebulosa
primordiale dalla quale ebbero origine il sole e i pianeti, mentre la cintura di Kuiper si sarebbe
formata in un secondo tempo, a causa della progressiva modificazione delle traiettorie delle comete
a lungo periodo. Attraversando le regioni centrali del nostro sistema solare le loro traiettorie
verrebbero infatti fortemente modificate, specialmente da Giove, divenendo cos comete di breve
periodo con orbite poco inclinate rispetto al piano dell'eclittica.
Le teorie pi recenti ribaltano invece tale prospettiva. I corpi planetesimali formatisi nelle regioni
periferiche della nube protoplanetaria, e quindi particolarmente ricchi di ghiacci (cometesimi), si
sarebbero in parte condensati a formare alcuni dei corpi pi esterni del sistema planetario ed in parte
sarebbero andati a costituire la cintura di Kuiper. In questo contesto Plutone e Caronte vengono
considerati nientaltro che gli elementi di maggiore dimensione della fascia di Kuiper (cos come
Cerere il corpo di maggiori dimensioni della fascia degli asteroidi). Allo stesso modo alcune lune
ghiacciate dei pianeti esterni potrebbero essere corpi di questo tipo, come ad esempio Tritone,
catturato da Nettuno in unepoca successiva alla sua formazione. Si potrebbe inoltre giustificare la
forte inclinazione degli assi polari di Urano e Nettuno mediante lurto con un gran numero di corpi
cometesimali.
I dati ottenuti dal Voyager 2 sulla struttura interna di Urano e Nettuno sembrano dare ulteriore
credito a tale ipotesi. I due pianeti, anzich avere un interno a 3 strati, come Giove e Saturno
(nucleo roccioso, mantello liquido e spessa atmosfera) sarebbero costituiti da un insieme
indifferenziato di miliardi e miliardi di corpi cometari.
27
Solo in parte questi corpi cometesimali riuscirono ad aggregarsi a formare i pianeti esterni. La
frazione residua sarebbe rimasta confinata ai margini a formare la fascia di Kuiper.
Le perturbazioni gravitazionali prodotte dalla materia, stelle gas e polveri, concentrata lungo il
piano della Galassia, avrebbero progressivamente estratto corpi cometari dalla cintura di Kuiper
distribuendoli nella nube di Oort.
Nel 1992, dopo circa 5 anni di sistematiche ricerche David Jewitt e Jane Luu individuarono il primo
corpo appartenente alla cintura di Kuiper, designato QB1. A tuttoggi ne sono stati individuati
alcune decine (ice subdwarf), tutti con una caratteristica dominante cromatica rosso cupo, molto
simile a quella dei nuclei cometari.
I parametri orbitali delle comete vengono calcolati tenendo conto della sola azione della gravit
solare. Le caratteristiche orbitali cos calcolate (periodo, eccentricit etc) non sono tuttavia
sufficientemente precise. Due fattori modificano infatti sensibilmente le orbite cometarie: leffetto
razzo e le perturbazioni dei pianeti. Leffetto razzo una conseguenza del principio di azione-
reazione, per il quale lemissione di gas e polveri dalla superficie del nucleo cometario determina
unaccelerazione sulla cometa. Leffetto razzo pu produrre variazioni nei passaggi al perielio sino
ad alcuni giorni. Di entit molto maggiore sono le perturbazioni indotte dai pianeti, soprattutto dai
giganteschi pianeti esterni. Poich le perturbazioni gravitazionali non possono essere trattate
esattamente con gli strumenti della meccanica celeste necessario limitarsi a previsioni
approssimate, valide per un periodo relativamente breve. Leffetto delle perturbazioni infatti tale
da rendere possibili evoluzioni delle orbite nel lungo periodo completamente diverse, anche a
partire da osservazioni iniziali pressoch identiche. Per questo motivo il comportamento dinamico
delle comete nel lungo periodo definito caotico e le orbite calcolate con periodi di migliaia di anni
risultano poco significative.

7 Il sistema solare: il sole
Il sole una dei miliardi di stelle che popolano la nostra galassia. Non possiede una posizione
privilegiata all'interno della galassia ed anche le sue caratteristiche sono comuni a molte altre stelle.
Alcuni dati sul sole
La distanza media dalla terra, misurabile in base al tempo impiegato da un'onda radio per
raggiungere la superficie solare, essere riflessa e ritornare, di circa 150 milioni di chilometri .
Conoscendo la distanza sole-terra e l'angolo sotto il quale viene osservato il diametro solare
possibile, con un semplice calcolo trigonometrico, calcolare il diametro reale del sole, che risulta
essere pari a circa 1,4 milioni di km (1,392
.
10
6
km).
Applicando la terza legge di Keplero al sistema sole-terra possibile infine calcolare la sua massa,
pari a 2
.
10
33
g (1,9891
.
10
33
g). Avendo poi calcolato il diametro possiamo facilmente ottenere il
valore della sua superficie (approssimando la sua forma ad una sfera) e del suo volume.
Conoscendo infine massa e volume possibile ottenere la sua densit media che risulta pari a 1,41
g/cm
3
.
Un cm
2
di superficie terrestre al di sopra dell'atmosfera riceve dal sole ogni minuto circa 2 calorie,
pari a circa 1,4
.
10
6
erg/cm
2
s (1,368
.
10
6
erg/cm
2
s). Tale valore rappresenta la cosiddetta costante
solare. Essa viene espressa comunemente in langley ( 1 langley = 1 cal/cm
2
min).
28
Poich il sole emette energia in tutte le direzioni, la stessa quantit di energia investir tutti i cm
2
di
una ideale superficie sferica avente per centro il sole e per raggio la distanza sole-terra. Per ottenere
dunque l'energia totale emessa dal sole per unit di tempo (potenza totale), sar sufficiente
moltiplicare la costante solare (potenza unitaria) per la superficie di tale sfera ideale.
Il valore cos ottenuto, espresso in erg/s, pari a 4
.
10
33
(3,847
.
10
33
erg/s).
Sapendo che il sole produce energia tramite fusione nucleare, cio trasformando direttamente massa
in energia secondo la relazione E = mc
2
, possiamo calcolare che il sole trasforma in energia circa
4,5 milioni di tonnellate di materia al secondo.
E' possibile poi calcolare l'energia emessa da ciascun cm
2
di superficie solare dividendo il valore
della potenza solare totale (4
.
10
33
erg/s) per la sua superficie. Il valore cos ottenuto, introdotto
nella relazione di Stefan-Boltzmann (E = T
4
), ci permette di risalire alla temperatura superficiale
del sole (temperatura efficace) , che risulta essere di 5780 K .
Lo stesso risultato pu essere ottenuto misurando la lunghezza d'onda di massima emissione di
energia nello spettro solare. Poich tale lunghezza d'onda risulta essere, come era logico attendersi,
nella regione del giallo (il sole una stella gialla), si risale facilmente alla temperatura di emissione
utilizzando la legge di Wien ( max T = cost). I valori ottenuti con i due metodi naturalmente
coincidono.
Dall'analisi spettroscopica (righe di Fraunhofer) il sole risulta composto essenzialmente di idrogeno,
seguito dall'elio e da piccole percentuali di tutti gli altri elementi chimici.
7.1 Struttura del sole
Il sole emette la sua energia radiante da uno strato superficiale detto fotosfera, la quale si comporta
come un corpo nero alla temperatura di 5780 K. La fotosfera non omogenea. Essa appare
costituita da miriadi di grani brillanti sparsi su di un fondo pi scuro. Tale strutture granulose, dette
grani, hanno un diametro di circa 1000 km. Ciascun grano compare, brilla e scompare nel giro di
pochi minuti, producendo complessivamente un effetto brulicante. I grani costituiscono la sommit
di enormi colonne di plasma caldo ascendente, che si formano grazie a movimenti di convezione
interni al sole. Lentit del loro blu-shift ci permette di calcolare una velocit di risalita di circa 1
km/s.
La mancanza di alcuni grani in certi settori della fotosfera pu produrre aree tondeggianti pi scure
dette pori. I pori hanno una vita media di circa un'ora e poi generalmente vengono nuovamente
sostituiti dalle granulazioni luminose. In alcuni casi vengono ad essere perturbate zone molto pi
estese della fotosfera, con formazione di vaste macchie scure dalla struttura complessa, dette
macchie solari. Le macchie sono in genere accompagnate da aree limitrofe che presentano una
maggiore intensit luminosa rispetto alla circostante fotosfera, dette facole.
Il colore pi scuro delle macchie dovuto al fatto che esse presentano una temperatura di circa
2000 inferiore rispetto alle zone circostanti della fotosfera. Sono formate da una zona centrale pi
scura e fredda, detta ombra e da una zona periferica meno scura, detta penombra, che mostra una
tipica struttura raggiata, composta da numerosi filamenti chiari e scuri, che si formano e si
dissolvono in continuazione. La vita media di una macchia solare va da pochi giorni a pochi mesi,
% numero di atomi % in massa
H 92,1 73,4
He 7,8 24,9
O, C, N, Ne 0,1 1,3
Altri 0,01 0,4
29
ma le macchie vengono sostituite in continuazione andando a costituire un ciclo caratteristico, che
sembra dipendere dall'evoluzione del campo magnetico solare.
Le macchie solari sono infatti sede di forti campi magnetici, qualche migliaio di volte pi intensi
del campo magnetico generale del sole. Ma mentre il campo magnetico generale del sole poloidale
(come quello della terra) con le linee di forza che corrono parallelamente alla superficie solare, il
campo magnetico associato alle macchie costituito da linee di forza perpendicolari alla superficie
solare.
Effetto Zeeman
Gli astrofisici sono in grado di verificare
l'intensit dei campi magnetici e la
direzione delle linee di forza ad essi
associati tramite l'effetto Zeeman. E'
infatti noto che la radiazione sottoposta
ad un campo magnetico esterno
produce righe spettrali sdoppiate
(effetto Zeeman). L'entit dello
sdoppiamento () proporzionale
all'intensit del campo magnetico
applicato. Inoltre se le linee di forza del
campo magnetico risultano
perpendicolari alla direzione della
radiazione (come avviene al di fuori
delle macchie solari) la riga spettrale produce altre due righe laterali, per un totale di tre righe, mentre se le linee di forza
risultano parallele alla direzione della radiazione (come avviene all'interno delle macchie solari) la riga spettrale
semplicemente si sdoppia in due laterali.
Il ciclo delle macchie solari inizia quando le macchie cominciano a comparire simmetricamente e
contemporaneamente alle medie latitudini (40 - 45 Nord e Sud) nei due emisferi. Compaiono
solitamente in coppie disposte lungo la direzione E-W. La macchia che precede, nel senso di
rotazione del sole detta macchia P (preceeding), quella che segue detta macchia F (following).
La macchia P ha sempre la stessa polarit magnetica dell'emisfero al quale appartiene, mentre la
macchia F ha sempre polarit opposta. Le macchie si spostano quindi lentamente verso l'equatore
solare, raggiungendolo dopo circa 11 anni. La produzione di macchie raggiunge un massimo a circa
met ciclo, dopo 5 - 6 anni, e va esaurendosi mentre viene raggiunto l'equatore. Mentre le macchie
che raggiungono l'equatore dopo 11 anni provenendo dai due emisferi, scompaiono, nuove macchie
si producono alla latitudine di partenza (30 - 40 N e S). Il ciclo ricomincia per con polarit
inversa. Infatti il campo magnetico generale del sole si capovolge ogni 11 anni e con esso la polarit
delle macchie P ed F. Tenendo quindi conto di tale inversione di polarit, il ciclo delle macchie
solari inizia nuovamente con le stesse caratteristiche ogni 22 anni circa.
Le macchie naturalmente oltre a migrare
verso l'equatore, accompagnano il
movimento di rotazione del sole. Ma la
loro velocit di rotazione maggiore alle
basse latitudini. Ci conferma il fatto che il
sole non ruota intorno al proprio asse come
un corpo solido. Si calcola infatti che le
zone equatoriali compiano una rotazione
completa in 25 giorni, mentre le zone
polari impiegano circa 30 giorni.
Non esiste ancora un modello organico in grado di dar ragione della dinamica delle macchie solari.
Si ritiene comunque che gli intensi campi magnetici ad esse associati si formino a causa del
deformarsi del campo magnetico poloidale. Secondo tale ipotesi le linee di forza del campo
magnetico, immerse nel plasma solare, verrebbero deformate dal moto differenziale di quest'ultimo,
pi veloce all'equatore che ai poli, con formazione di un campo magnetico toroidale in cui le linee
di forza sarebbero costrette ad avvolgersi pi volte parallelamente all'equatore. L'addensarsi delle
30
N
S
R a d i a z i o n e p e r p e n d i c o l a r e
N
S
R a d i a z i o n e p a r a l l e l e a
3 R i g h e
s p e t t r a l i
2 R i g h e
s p e t t r a l i
M a n c a l a r i g a
c e n t r a l e

linee di forza intensificherebbe il campo magnetico nelle regioni adiacenti all'equatore solare. Nei
punti di maggior intensit del campo magnetico le linee di forza sarebbero infine costrette ad
estroflettersi verso la superficie della fotosfera. Nei punti in cui le linee attraversano la fotosfera, in
entrata ed in uscita, si creerebbero le macchie solari, pi fredde a causa della difficolt di risalita in
tali zone del plasma caldo dagli strati solari pi profondi.
Oltre alle macchie solari la fotosfera
presenta anche altri tipi di perturbazioni.
Tra queste ricordiamo le cosiddette
protuberanze, enormi eruzioni di materiale
incandescente che si innalzano in poche
ore per centinaia di migliaia di chilometri
al di sopra della fotosfera. Le
protuberanze, proiettate sulla superficie del
sole, appaiono come filamenti scuri.
Alcune di queste invece di dissolversi verticalmente formano immensi archi che ricadono sulla
fotosfera (protuberanze a ponte). Spesso nelle zone della fotosfera perturbate dalla presenza di
macchie e protuberanze, si producono improvvise vampate di luce, dette brillamenti o flares, che in
pochi minuti si estendono su superfici enormi della fotosfera.
I brillamenti emettono grandi quantit di radiazioni altamente energetiche che, causando tempeste
magnetiche sulla terra, favoriscono le aurore polari. Si ritiene che si formino a causa di brusche
interruzioni delle linee di forza del campo magnetico solare, causate dalla torsione e tensione cui
sono sottoposte a causa della rotazione differenziale del sole, in particolare in corrispondenza delle
macchie.
Al di sopra della fotosfera vi l'atmosfera solare. La radiazione emessa dalla fotosfera viene filtrata
dall'atmosfera solare, la quale dunque responsabile della formazione dello spettro di assorbimento
solare. L'atmosfera viene divisa in due strati : la cromosfera e la corona solare.
La cromosfera uno strato sottile, spesso qualche migliaio di chilometri, a diretto contatto con la
fotosfera. La cromosfera diventa visibile solo durante le eclissi di sole o attraverso opportune
tecniche. In queste occasioni essa appare come un sottile anello rosa carico che borda il sole. A
forte ingrandimento la cromosfera rivela una struttura filiforme in continua agitazione. Si tratta di
lingue di idrogeno incandescente (spicole) mosse dai forti squilibri termici e da potenti campi
magnetici. Il colore della cromosfera dato essenzialmente dalla cosiddetta riga H


dell'idrogeno (la
prima riga, rossa, della serie di Balmer).
Al di sopra della cromosfera inizia la corona solare, anch'essa visibile solo durante le eclissi di sole.
La corona solare un'aureola, sfumata in enormi pennacchi, che si spinge fino ad 8 milioni di
chilometri dalla superficie solare. La corona costituita da gas ionizzati sempre pi rarefatti. Nella
sua parte pi esterna le particelle di cui costituita sono in grado di vincere l'attrazione
gravitazionale del sole e di disperdersi nello spazio sotto forma di vento solare.
Sorprendentemente la corona solare presenta temperature cinetiche (calcolate sulla base dell'energia
cinetica media posseduta dalle particelle) dell'ordine del milione di gradi. La presenza nello spettro
del gas coronale delle righe del CaXV (Ca
14+
) e del FeXIV (Fe
13+
) confermano tali temperature. Il
risultato paradossale in quanto sembra in contraddizione con il secondo principio della
termodinamica, secondo il quale il calore non pu fluire spontaneamente da un corpo pi freddo (la
fotosfera) ad uno pi caldo (la corona).
Sembra comunque che la temperatura della corona non abbia nulla a che vedere con la temperatura
della superficie solare e le cause di tale fenomeno non sono state ancora definitivamente chiarite.
Tra le ipotesi che attualmente godono di maggior credito: a) propagazione nellatmosfera di energia
sotto forma di onde durto prodotte dai moti convettivi del plasma solare; b) correnti elettriche
veicolate nellatmosfera solare dalle linee di forza del campo magnetico.
31
7.2 Origine dell'energia solare
Se l'energia solare provenisse da normali reazioni chimiche di combustione, il sole si sarebbe
esaurito nell'arco di un migliaio di anni.
Verso la fine dell'Ottocento i fisici Helmholtz e Kelvin concepirono un meccanismo basato sulla
trasformazione di energia meccanica in calore. Essi ammisero che gli strati pi esterni del sole,
cadendo verso il centro per effetto della gravit, producessero calore per trasformazione di energia
potenziale in energia cinetica. Successive verifiche teoriche di tale modello misero d'altra parte in
luce che anche in tal modo il sole potrebbe sopravvivere non pi di una decina di milioni di anni.
Troppo poco se pensiamo che esistono rocce terrestri ben pi antiche. La via giusta fu imboccata
nel 1927 da Atkinson e Houtermans, che ipotizzarono la presenza all'interno del sole di reazioni
termonucleari. Se infatti i nuclei di un elemento pi leggero possiedono un'energia cinetica (e
quindi una temperatura) sufficientemente elevata da vincere la repulsione elettrostatica causata dai
protoni, possono avvicinarsi a distanze inferiori ai 10
-13
cm, in modo da permettere all'interazione
forte di tenerli uniti attraverso un processo detto di fusione nucleare.
Si possono in tal modo formare nuclei di elementi pi pesanti. Si verifica per che la somma delle
masse dei nuclei che si fondono risulta lievemente superiore alla massa del nucleo dell'elemento che
si forma per fusione. Tale difetto di massa si trasforma integralmente in energia secondo la nota
relazione einsteniana E = mc
2
.
Il difetto di massa risulta percentualmente inferiore per gli elementi di peso atomico pi elevato
finch non si arriva alla formazione di nuclei di ferro.
Per tutti gli elementi pi pesanti del ferro accade il contrario. Il nucleo dell'elemento che si forma
risulta cio pi massiccio della somma dei nuclei che si fondono. Il che significa che la
nucleosintesi degli elementi pi pesanti del ferro una reazione endoergonica che richiede cio
energia da trasformare in massa (questo il motivo per cui il processo contrario di rottura del
nucleo dell'uranio in nuclei pi leggeri, processo detto di fissione nucleare, risulta essere
esoergonico).
Tempo di sopravvivenza del sole
1) In caso di combustione
Supponendo che il sole sia formato da Carbonio ed Ossigeno nelle proporzioni necessarie a dare una reazione di
combustione, secondo la reazione
C + O2 CO2 + 393,51 kj/mol (3,9351 10
12
erg/mol)
12g 32g 44g
L'energia liberata per grammo di reagenti sar
3,9 10
12
erg/mol : 44 g/mol 9 10
10
erg/g
Se l'intera massa del sole (M = 2 10
33
g) bruciasse si otterrebbe pertanto un'energia pari a
9 10
10
erg/g
.
2 10
33
g = 1,8 10
44
erg
Poich il sole emette energia al ritmo di L = 4 10
33
erg/s = 1,2 10
41
erg/anno, sarebbe in grado di sopravvivere per un
tempo pari a
1,8 10
44
erg : 1,2 10
41
erg/anno = 1.500 anni
2) In caso di contrazione gravitazionale
Il sole possiede un'energia gravitazionale pari a
erg
R
M
G E
g
48
2
10 3 , 2
5
3

se il sole collassasse tale energia si trasformerebbe completamente in energia cinetica e quindi irradiata in un tempo
2,3 10
48
erg : 1,2 10
41
erg/anno 19 milioni di anni
valore trovato da Kelvin un secolo fa
3) In caso di fusione nucleare
Una mole di Idrogeno atomico pesa 1,00794 g , 4 moli pesano quindi 4,03176 g
32
Una mole di Elio pesa 4,00260 g, con un difetto di massa rispetto all'idrogeno da cui si formato pari a 0,02916 g
La diminuzione percentuale pari a
% 7 , 0 00723 , 0
03176 , 4
02916 , 0

Poich la fusione avviene solo nel nucleo del sole e nell'ipotesi che esso contenga circa un 10% dell'intera massa
solare, pari a 2 10
32
g e che questa sia costituita per il 75% in peso di Idrogeno, il combustibile a disposizione per il
processo di fusione sar 2 10
32

.
0,75 = 1,5 10
32
g. Durante la fusione vi sar un difetto di massa totale pari a
1,5 10
32
g
.
0,007 10
30
g
Tale massa produrr un'energia pari a
mc
2
= 10
30.
9 10
20
10
51
erg
Tale energia verr dissipata in un tempo pari a
10
51
erg : 1,2 10
41
erg/anno 10 miliardi di anni
Naturalmente affinch all'interno del sole, come del resto all'interno di qualsiasi stella, si inneschino
le reazioni di fusione necessario che si producano temperature estremamente elevate, dell'ordine
dei milioni di gradi. Tali temperature vengono raggiunte attraverso il meccanismo ipotizzato da
Helmholtz e Kelvin. All'epoca in cui il sole era una enorme nube di idrogeno, la contrazione
gravitazionale del gas ha dunque sviluppato energia termica sufficiente a portare la temperature
delle sue zone centrali ai livelli richiesti dalle reazioni di fusione termonucleare.
In realt una temperatura di qualche decina di milioni di gradi non sarebbe sufficiente a vincere la repulsione
coulombiana tra due protoni, fino a portarli a 10
-13
cm luno dallaltro. Infatti lenergia cinetica media di una particella
E kT
c

3
2
, mentre lenergia potenziale legata alla repulsione coulombiana tra due particelle aventi carica elettrica
unitaria pari a
E
e
r
p

2
eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la distanza r, otteniamo, per una
temperatura allinterno del sole di 15 milioni di kelvin
r
e
kT
cm

2
3
7 5 10
2
11
,
Ma in tali condizioni di temperatura le particelle evidenziano uno spiccato
carattere ondulatorio. La meccanica quantistica assegna infatti ad una particella
in moto una dimensione caratteristica, nota come lunghezza donda di De Broglie,
che dipende dalla quantit di moto della particella secondo la relazione

DB
h
mv

. Possiamo stimare la velocit della particella dalla relazione


E mv kT
c

1
2
3
2
2
, ottenendo
v
kT
m

3
, che sostituita nella relazione di
De Broglie, ci fornisce (sostituendo ad m la massa del protone)

DB
h
m
kT
m
cm

3
6 5 10
11
,
Le dimensioni quantistiche delle particelle sono dunque dello stesso ordine di
grandezza della distanza tra le particelle. Ne consegue che la probabilit di
interagire superando la barriera coulombiana (effetto tunnel) sufficientemente
elevata da rendere efficace la reazione.
Le due reazioni fondamentali di fusione che si ritiene alimentino il sole, come la maggior parte
delle stelle, sono il ciclo protone-protone (o ciclo di Critchfield) ed il ciclo Carbonio-Azoto (o ciclo
di Bethe).
Il ciclo protone-protone prevede la fusione di due protoni con formazione di un nucleo di deuterio,
un positrone ed un neutrino (uno dei due protoni si trasforma in un neutrone con un decadimento
beta inverso). Il deuterio si fonde in seguito con un altro protone formando un nucleo di Elio
leggero con emissione di energia sotto forma di un fotone gamma. Infine due nuclei di Elio leggero
si possono fondere per dare un nucleo di Elio e due protoni.
Ciclo pp

p + p
1
2
H + e
+
+
e

1
2
H + p
2
3
He +

2
3
He +
2
3
He
2
4
He + 2p
33
Il ciclo CN prevede invece che il Carbonio funga da catalizzatore alla fusione dell'idrogeno in Elio.
Fondendosi successivamente con quattro protoni e subendo due decadimenti beta inversi il carbonio
si trasforma in un isotopo instabile dell'Azoto, quindi in un isotopo instabile dell'Ossigeno e poi
nuovamente in Carbonio attraverso l'emissione di un nucleo di Elio.

L'unica possibilit che abbiamo di controllare


la validit di questi e altri modelli di reazioni
termonucleari di misurare il flusso di neutrini
proveniente dal sole. Il compito non dei pi
facili poich i neutrini interagendo
"debolmente" con la materia vengono
intercettati con estrema difficolt ed inoltre
necessario impedire che i rilevatori di neutrini
subiscano l'azione della rimanente radiazione
cosmica che disturberebbe eccessivamente la
ricezione. E' per questo motivo che i rilevatori
sono posti nel sottosuolo a grandi profondit
(laboratorio del Gran Sasso). Finora il flusso di
neutrini misurato risulta essere notevolmente
inferiore a quello atteso sulla base dei modelli
teorici, e ci rappresenta uno dei principali
problemi astrofisici in attesa di soluzione.
7.3 La struttura interna del sole
All'interno del sole agisce un meccanismo omeostatico, una specie di termostato naturale che
permette il mantenimento di un equilibrio dinamico. Impercettibili movimenti della superficie
solare in espansione ed in contrazione rappresentano il risultato di tale equilibrio. Si calcola che tali
pulsazioni ritmiche avvengano con un periodo regolare in cui il raggio solare varia di una decina di
chilometri ogni 2 ore e 40 minuti circa.
L'equilibrio complessivo viene raggiunto grazie ad un equilibrio meccanico, in cui la forza
gravitazionale viene eguagliata dalla forza centrifuga legata al moto termico delle particelle e ad un
equilibrio termodinamico, in cui l'energia prodotta viene interamente dissipata dalla fotosfera sotto
forma di energia radiante.
Il meccanismo termostatico piuttosto semplice: quando il sole produce un eccesso di energia
rispetto a quanto ne irradia la fotosfera, esso tende a riscaldarsi e ad espandersi. L'espansione tende
a raffreddare il sole sia perch il gas si espande adiabaticamente sia perch un aumento della
superficie radiante consente uno smaltimento della radiazione pi efficiente. La diminuzione della
temperatura interna produce infine un rallentamento delle reazioni di fusione che producono energia
ed in definitiva una diminuzione della quantit di energia prodotta. Quando invece il sole produce
energia in difetto, la diminuzione di temperatura porta ad una contrazione della massa gassosa. Il
conseguente riscaldamento, legato in parte alla compressione adiabatica ed in parte alla minor
superficie radiante, induce un aumento della velocit delle reazioni termonucleari ed in definitiva
aumenta la quantit di energia prodotta.
Gli astrofisici hanno proposto diversi modelli solari, costruiti sulla base degli equilibri ora descritti,
calcolando densit e temperature solari alle diverse profondit. Il valore di temperatura ottenuto per
le zone centrali del sole varia a seconda del modello considerato, aggirandosi comunque attorno ad
un valore di 15 milioni di gradi.
Le temperature necessarie a mantenere i processi di fusione vengono raggiunte solo in una zona
centrale del sole detta nucleo. Gli strati esterni al nucleo non producono energia, ma la convogliano
34
verso la fotosfera. Si distinguono altri due strati, oltre al nucleo, che si caratterizzano
essenzialmente per le diverse modalit attraverso le quali l'energia viene trasportata: lo strato
radiativo e lo strato convettivo.
Lo strato radiativo si trova appena sopra il nucleo solare. In questo strato l'energia viene
trasportata sotto forma di radiazione elettromagnetica. I fotoni impiegano milioni di anni per
attraversare tale strato Poich sono continuamente assorbiti e riemessi dalle particelle cariche che
formano il plasma solare.
Lo strato convettivo lo strato pi superficiale al quale appartiene la fotosfera. In esso la
temperatura scesa sufficientemente da permettere al plasma di assorbire la radiazione
proveniente dal sottostante strato radiativo. Tale processo produce un aumento di temperatura del
plasma che forma la base dello strato convettivo. Si generano in tal modo dei movimenti
convettivi di risalita del plasma caldo che si manifestano in superficie attraverso il caratteristico
aspetto granulare della fotosfera.
8 Il sistema solare: origine
Possiamo classificare le teorie sulla genesi del sistema solare in catastrofiche e nebulari.
Le prime, oramai completamente abbandonate, ipotizzano la formazione dei pianeti attraverso
l'espulsione violenta di materia solare per cause diverse. Ricordiamo ad esempio l'ipotesi del
naturalista francese Buffon il quale, nel 1745, avanz l'idea che i pianeti si fossero formati in
seguito alla condensazione di uno spruzzo di materia solare generato dalla caduta di una cometa
sulla superficie del sole. Teorie di questo genere vennero riprese anche nel nostro secolo. Agli inizi
del '900, ad esempio, trov un certo credito l'ipotesi che i pianeti si fossero formati per
aggregazione di materia solare strappata al sole dall'attrazione gravitazionale di una stella passata
casualmente nelle vicinanze (Chamberlin, Moulton, Jeans). L'ipotesi venne presto abbandonata
quando divenne chiaro che le probabilit di collisione tra due stelle sono talmente basse da risultare
trascurabili e che la materia solare eventualmente strappata al sole sarebbe comunque troppo calda
per potersi condensare in pianeti.
Verso gli anni '40 del secolo scorso inizi dunque a prendere definitivamente piede la teoria di una
nascita del sistema solare per evoluzione di una nebulosa primordiale. Si trattava della riedizione di
una vecchia ipotesi nota come teoria nebulare di Kant-Laplace.
Nel 1755 Kant ipotizza che il sole ed i pianeti si siano formati per aggregazione gravitazionale
(ricordiamo che la legge di gravitazione newtoniana aveva da poco dimostrato tutta la sua potenza)
all'interno di una nebulosa discoidale di gas e polveri in lenta rotazione.
Nel 1796 Laplace tent di giustificare dal punto di vista scientifico le affermazioni di Kant,
cercando di dimostrare che mentre la nube primordiale si contraeva essa doveva aumentare la sua
velocit di rotazione (per la conservazione del momento angolare) fino a produrre nelle sue regioni
periferiche una forza centrifuga tale da permettere la separazione di anelli di materia, all'interno dei
quali si sarebbero successivamente formati i pianeti.
La teoria laplaciana si afferm durante la prima met dell'ottocento soprattutto grazie all'enorme
fama ed autorit di cui godeva l'autore presso il mondo scientifico contemporaneo. Ma nella
seconda met dell'ottocento Maxwell dimostr che l'ipotetica nube in contrazione non poteva avere
velocit sufficiente per espellere anelli di materia per forza centrifuga.
La teoria nebulare non era inoltre in grado di spiegare l'attuale distribuzione del momento angolare
all'interno del nostro sistema solare. Se infatti il sole ed i pianeti si sono formati per contrazione e
frammentazione di una massa di gas in rotazione, il momento angolare complessivo della nebulosa
si sarebbe dovuto suddividere proporzionalmente alle masse dei diversi componenti del sistema
solare. Cos ci si dovrebbe attendere che la maggior parte del momento angolare si trovi concentrato
nel sole il quale possiede il 99,9% della massa del sistema solare. In realt il sole contribuisce solo
per il 2% al momento angolare complessivo, mentre il rimanente 98% concentrato nei pianeti.
35
Nel 1943 Carl von Weizscker ripropone la teoria nebulare di Kant-Laplace integrando e rendendo
pi solida l'ipotesi originaria. La teoria nebulare, nella formulazione odierna, pu essere cos
riassunta.
La nebulosa primordiale, costituita prevalentemente di idrogeno, elio e piccolissime quantit di
elementi pesanti aggregati in granuli microscopici, si trovava in lenta rotazione intorno ad un asse.
Il moto di rotazione costrinse il materiale in fase di collasso a distribuirsi su di un disco appiattito,
rigonfio al centro. E' infatti facile verificare che mentre la forza gravitazionale ha la stessa intensit
in tutti i punti periferici della nebulosa equidistanti dal suo centro, la forza centrifuga risulta
maggiore per il materiale pi distante dall'asse di rotazione. La composizione di tali forze produsse
quindi una risultante diretta non verso il centro della nebulosa, ma verso il suo piano equatoriale.
Possiamo inoltre facilmente convincerci che durante tale processo di sedimentazione sul piano
equatoriale, il materiale che si trovava nelle adiacenze dell'asse di rotazione era in quantit
maggiore rispetto a quello che si trovava a maggiori distanze da esso. Ci spiega la formazione
della massiccia protuberanza centrale destinata a formare il protosole.
Nelle fasi iniziali il protosole era
ancora instabile ed emetteva enormi
quantit di materia sotto forma di un
intenso vento solare. E' lo stadio T-
Tauri (dal nome della giovane stella
variabile nella costellazione del
Toro, in cui per la prima volta venne
rilevato tale fenomeno), attraverso il
quale il sole avrebbe allontanato
dalla zona pi interna del disco
nebulare gran parte dei gas pi
leggeri e si sarebbe alleggerito di una
frazione notevole della sua massa.
L'introduzione dello stadio T-Tauri nel modello nebulare permette di giustificare l'anomala
distribuzione osservata del momento angolare. Perdendo massa il sole diminuisce infatti anche il
suo momento angolare.
Nelle regioni adiacenti al protosole poterono accumularsi solo gli elementi pi pesanti, in grado di
non evaporare e di non essere spazzati via dal vento solare. Essi precipitarono sul piano del disco
fornendo il materiale col quale si formarono poi i pianeti interni. I composti pi leggeri, come l'elio,
l'idrogeno, l'acqua, l'ammoniaca ed il metano si accumularono invece nella parte pi esterna del
disco nebulare, pi lontana dal protosole e quindi pi fredda, diventando il materiale da cui si
formarono in seguito i pianeti gioviani e i corpi cometari.
A poco a poco le particelle iniziarono ad aggregarsi all'interno del disco nebulare, creando
agglomerati di dimensioni maggiori, detti planetesimi, che divennero centri di attrazione
gravitazionale per i frammenti pi piccoli. Ogni planetesimo spazzava cos lo spazio intorno a s,
accrescendosi a spese del materiale intercettato, in modo analogo a quanto fa una valanga.
Non tutti i planetesimi erano destinati a diventare pianeti. Negli urti reciproci alcuni si disgregarono
ritornando a formare materiale meteorico di piccole dimensioni, mentre altri prevalsero
definitivamente diventando i protopianeti.
Le differenze di dimensioni tra Giove e Saturno, da una parte, ed Urano e Nettuno, dall'altra,
possono essere interpretate sulla base della diversa velocit orbitale. Urano e Nettuno pi distanti
dal sole e quindi pi lenti furono meno efficienti di Giove e Saturno nel catturare il materiale
nebulare.
La grande massa acquisita da Giove divenne infine causa di disturbi gravitazionali cos elevati da
impedire l'ulteriore accrescimento di altri pianeti nelle immediate vicinanze. Si spiega in tal modo la
presenza della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove.
Risultante verso il
piano equatoriale
Forza gravitazionale
Forza centrifuga
36
I residui della nebulosa troppo lenti e distanti per aggregarsi in pianeti rimasero a ruotare ai bordi
del sistema solare andando a formare la nube di Oort.
9 Le stelle: classificazione e sistemi di riferimento
Il sole una dei 100 miliardi di stelle che costituiscono la nostra galassia. Fin dall'antichit le stelle
sono state raggruppate in costellazioni, alle quali sono stati attribuiti nomi di animali, di oggetti e di
figure mitologiche. Una costellazione un raggruppamento di stelle vicine le une alle altre solo per
ragioni prospettiche e non prodotto da una reale prossimit fisica. Nel 1928 l'Unione Astronomica
Internazionale decise di uniformare l'utilizzo delle costellazioni per individuare una stella sulla
volta celeste. L'intera sfera celeste venne cos suddivisa in 88 aree poligonali, diverse per forma e
dimensioni, ognuna contenente una precisa costellazione. Quando oggi gli astronomi si riferiscono
ad una qualche costellazione, in realt individuano in maniera univoca un settore ben determinato
della sfera celeste. La sfera celeste un'astrazione che noi utilizziamo per comodit, al fine di poter
individuare in modo univoco nel cielo un oggetto celeste, tramite opportuni sistemi di coordinate.
Per poter costruire un sistema di coordinate celesti necessario individuare sulla sfera celeste alcuni
elementi di riferimento. Tra questi i pi importanti sono:
L'asse del mondo, prolungamento dell'asse terrestre, che interseca la sfera in corrispondenza di
due punti detti poli celesti (nord e sud). A causa della rotazione terrestre l'intera sfera celeste
sembra quindi ruotare intorno ai poli celesti da est verso ovest.
L'equatore celeste, proiezione dell'equatore terrestre sulla sfera celeste.
L'eclittica, il percorso apparente che il sole compie tra le costellazioni zodiacali in un anno.
L'equatore celeste e l'eclittica giacciono su due piani inclinati di 23 27' e si intersecano in due
punti opposti detti rispettivamente punto (gamma) o punto d'Ariete o punto vernale e punto
(omega) o punto di Bilancia o punto autunnale. Il punto d'Ariete il punto che il sole occupa
durante l'equinozio di primavera (21 marzo). Esso deve il suo nome al fatto che nell'antichit tale
punto era situato nella costellazione dell'Ariete (attualmente si trova nei Pesci), il cui segno
zodiacale la lettera greca gamma () che ricorda la testa di un ariete. Il punto di Bilancia il
punto che il sole occupa durante l'equinozio di autunno (23 settembre). Esso deve il suo nome al
fatto che nell'antichit tale punto era situato nella costellazione della Bilancia (attualmente si
trova in Vergine), il cui segno zodiacale la lettera greca omega () che richiama la forma di
una bilancia.
Il meridiano celeste fondamentale, o colro equinoziale, il cerchio massimo passante per il
punto Gamma (ed ovviamente anche per il punto Omega) e per i poli celesti e quindi
perpendicolare all'equatore celeste.
Questi elementi sono comuni a tutti gli osservatori, in qualsiasi punto della terra l'osservatore si
trovi. Esistono poi alcuni elementi propri di ciascun osservatore:
Lo Zenit, il punto delle sfera celeste che si trova sulla perpendicolare dellosservatore ed il
Nadir, in posizione diametralmente opposta e non quindi visibile;
L'orizzonte celeste, il cerchio massimo perpendicolare alla verticale dell'osservatore, che
individua la porzione di sfera celeste osservabile in un certo istante (volta celeste).
Un sistema di coordinate celesti che faccia riferimento alla posizione dell'osservatore si dice
relativo, in caso contrario si dice assoluto.
A) Il sistema altazimutale o orizzontale un sistema relativo, usato fin dall'antichit. Utilizza come
asse di riferimento l'orizzonte. Le due coordinate sono
l'altezza h della stella (da 0 a 90) definita come la distanza angolare della stella rispetto
all'orizzonte, misurata perpendicolarmente ad esso (in direzione dello zenit)
l'azimut A la distanza angolare (da 0 a 360) che il piede dell'altezza della stella forma con il
Sud (misurata in senso orario, da sud verso ovest).
37
Le coordinate altazimutali di una stessa stella sono ovviamente diverse a seconda del luogo di
osservazione e, per uno stesso luogo, cambiano con l'ora a causa dell'apparente moto di rotazione
della sfera celeste
B) Il sistema equatoriale mobile un sistema assoluto. E' detto mobile poich ancorato alla sfera
celeste e la segue nel suo moto apparente. Utilizza come elementi di riferimento l'equatore celeste
ed il meridiano celeste fondamentale. Le due coordinate sono
la declinazione (da 0 a t 90), definita come la distanza angolare della stella rispetto
all'equatore celeste misurata perpendicolarmente all'equatore stesso (lungo l'arco di meridiano
passante per la stella)
l'ascensione retta o AR, definita come la distanza angolare tra il punto Gamma ed il piede del
meridiano passante per la stella (misurata in senso antiorario). L'ascensione retta si misura in
genere in unit di tempo siderale (ore, minuti, secondi) da 0 a 24
h
siderali, piuttosto che in gradi
(da 0 a 360).
Il giorno siderale il tempo necessario affinch la terra effettui una
rotazione completa rispetto al punto Gamma e misura quindi l'intervallo
di tempo tra due culminazioni successive del punto Gamma sul
meridiano del luogo (circa 23
h
56
m
4
s
solari). Gli orologi degli osservatori
astronomici sono sincronizzati sul tempo siderale e non sul tempo solare.
Cos se una stella ha un'ascensione retta di 2
h
e 20
m
essa culminer sul
meridiano del luogo esattamente 2
h
e 20
m
dopo il punto Gamma e quindi
nel momento in cui l'orologio siderale dell'osservatorio segner proprio
tale ora. Le stelle di ogni costellazione vengono classificate in base alla
loro luminosit. Secondo la convenzione introdotta da Johann Bayer nel
1603, la stella pi brillante di una costellazione indicata con la prima
lettera dell'alfabeto greco (alfa) seguita dal nome della costellazione al genitivo o dalle sue prime tre
lettere (-Centauri o Cen). La seconda in ordine di luminosit con la seconda lettera dell'alfabeto
greco (beta) e cos via. Fanno eccezione le stelle dell'Orsa Maggiore (Grande Carro) in cui le lettere
greche accompagnano la successione delle stelle nella costellazione.
Ben presto ci si rese conto che le stelle in una costellazione sono pi numerose delle lettere
dellalfabeto. Nel 1725 Flamsteed, nel suo libro Historia Coelestis Britannica introdusse un nuovo
sistema di classificazione ancor oggi comunemente usato, secondo il quale a ciascuna stella di una
costellazione viene assegnato un numero arabo progressivo in ordine di ascensione retta.
Abbrev. Nome Genitivo Traduzione
And Andromeda Andromedae Andromeda (figlia di Cfeo) (B)
Ant Antlia Antliae Macchina Pneumatica, Pompa
Aps Apus Apodis Uccello del Paradiso
Aqr Aquarius Aquarii Aquario (Z)
Aql Aquila Aquilae Aquila
Ara Ara Arae Altare
Ari Aries Arietis Ariete (Z)
Aur Auriga Aurigae Auriga (B)
Boo Bootes Bootis Boote, Vaccaro (B)
Cae Caelum Caeli Scalpello, Bulino
Cam Camelopardalis Camelopardalis Giraffa (B)
Cnc Cancer Cancri Cancro, Granchio (Z)
CVn Canes Venatici Canum Venaticorum Cani da Caccia, Levrieri (B)
CMa Canis Major Canis Majoris Cane Maggiore
CMi Canis Minor Canis Minoris Cane Minore (B)
Cap Capricornus Capricorni Capricorno (Z)
Car Carina Carinae Carena
Cas Cassiopeia Cassiopeiae Cassiopea, (madre di Andromeda) (B)
Cen Centaurus Centauri Centauro
Cep Cepheus Cephei Cfeo (re dEtiopia) (B)
Cet Cetus Ceti Balena
Cha Chamaeleon Chamaeleontis Cameleonte
Cir Circinus Circini Compasso
38
Col Columba Columbae Colomba
Com Coma Berenices Comae Berenices Chioma di Berenice (B)
CrA Corona Australis Coronae Australis Corona Australe
CrB Corona Borealis Coronae Borealis Corona Boreale (B)
Crv Corvus Corvi Corvo
Crt Crater Crateris Coppa
Cru Crux Crucis Croce del Sud
Cyg Cygnus Cygni Cigno (B)
Del Delphinus Delphini Delfino (B)
Dor Dorado Doradus Pesce Spada
Dra Draco Draconis Dragone (B)
Equ Equuleus Equulei Cavalluccio (B)
Eri Eridanus Eridani Eridano, (il fiume Po)
For Fornax Fornacis Fornace
Gem Gemini Geminorum Gemelli (Z)
Gru Grus Gruis Gru
Her Hercules Herculis Ercole (B)
Hor Horologium Horologii Orologio
Hya Hydra Hydrae Idra
Hyi Hydrus Hydri Serpente dacqua
Ind Indus Indi Indiano dAmerica
Lac Lacerta Lacertae Lucertola (B)
Leo Leo Leonis Leone (Z)
LMi Leo Minor Leonis Minoris Leoncino (B)
Lep Lepus Leporis Lepre
Lib Libra Librae Bilancia (Z)
Lup Lupus Lupi Lupo
Lyn Lynx Lyncis Lince (B)
Lyr Lyra Lyrae Lira (B)
Men Mensa Mensae Tavola
Mic Microscopium Microscopii Microscopio
Mon Monoceros Monocerotis Unicorno
Mus Musca Muscae Mosca
Nor Norma Normae Squadra
Oct Octans Octantis Ottante
Oph Ophiuchus Ophiuchi Ofiuco, Serpentario
Ori Orion Orionis Orione, (cacciatore)
Pav Pavo Pavonis Pavone
Peg Pegasus Pegasi Pegaso (cavallo alato) (B)
Per Perseus Persei Perso (figlio di Zeus) (B)
Phe Phoenix Phoenicis Fenice
Pic Pictor Pictoris Cavalletto del Pittore
Psc Pisces Piscium Pesci (Z)
PsA Piscis Austrinus Piscis Austrini Pesce Australe
Pup Puppis Puppis Poppa
Pyx Pyxis Pyxidis Bussola
Ret Reticulum Reticuli Reticolo
Sge Sagitta Sagittae Freccia, Saetta (B)
Sgr Sagittarius Sagittarii Sagittario, (arciere) (Z)
Sco Scorpius Scorpii Scorpione (Z)
Scl Sculptor Sculptoris Scultore
Sct Scutum Scuti Scudo
Ser Serpens Serpentis Serpente
Sex Sextans Sextantis Sestante
Tau Taurus Tauri Toro (Z)
Tel Telescopium Telescopii Telescopio
Tri Triangulum Trianguli Triangolo (B)
TrA Triangulum Australe Trianguli Australis Triangolo Australe
Tuc Tucana Tucanae Tucano
UMa Ursa Major Ursae Majoris Orsa Maggiore (B)
UMi Ursa Minor Ursae Minoris Orsa Minore (B)
Vel Vela Velorum Vele
Vir Virgo Virginis Vergine (Z)
Vol Volans Volantis Pesce Volante
Vul Vulpecula Vulpeculae Volpetta (B)
B = costellazioni boreali Z = costellazioni zodiacali
39
Le stelle note fin dall'antichit sono ancor oggi contraddistinte da un nome proprio, spesso di
origine araba. Ad esempio: Sirio (9 CMa / CMa = alfa Canis Maioris); Betelgeuse (58 Ori /
Ori = alfa Orionis); Vega (3 Lyr / Lyr = alfa Lyrae); Mizar (79 Uma / UMa = zeta Ursae
Maioris).
Le 88 costellazioni sono disposte 26 sopra leclittica, 50 sotto e 12 giacciono sull'eclittica e sono
dette costellazioni zodiacali. Mentre la terra ruota intorno al sole, quest'ultimo sembra dunque
muoversi sullo sfondo delle costellazioni zodiacali.
10 Le stelle: Caratteristiche fisiche
Le stelle sono corpi celesti caratterizzati da un bilancio energetico negativo. In altre parole
lenergia che ricevono dal cosmo inferiore rispetto a quella che irradiano e ci grazie alla presenza
al loro interno di rezioni in grado di generare enormi quantit di energia. I principali parametri fisici
attraverso i quali vengono descritte le stelle sono: la luminosit, la temperatura superficiale, la
massa, il raggio ed il tipo spettrale.
10.1 Luminosit e variabilit
Le stelle vengono classificate in base alla loro luminosit sulla base di una scala introdotta nel II
secolo a.C. dall'astronomo greco Ipparco. In essa si attribuiscono alle stelle pi luminose il valore 1
ed a quelle al limite della visibilit ad occhio nudo il valore 6, alle altre valori intermedi.
Tale scala naturalmente non riflette la vera luminosit delle stelle, la quale dipende evidentemente
dalla distanza, ma solo la luminosit percepita dall'osservatore e viene oggi chiamata scala delle
magnitudini apparenti (m).
In realt la scala delle magnitudini apparenti ingannevole in quanto il nostro occhio non reagisce
alle variazioni dell'intensit dello stimolo luminoso producendo una sensazione visiva ad esso
proporzionale. Per avere una misurazione oggettiva dell'intensit della luminosit necessario
ricorrere ad un fotometro, uno strumento che trasforma, tramite una cellula fotoelettrica, la luce in
corrente elettrica.
Fu proprio usando un rudimentale fotometro che il grande astronomo tedesco Herschel, verso la
fine del '700, scopr che una stella di 1
a
magnitudine non solo 5 volte pi luminosa di una di 6
a
magnitudine, come ci suggerisce il nostro occhio, ma ben 100 volte pi luminosa.
Verso la met dell'ottocento la relazione esistente tra intensit dello stimolo luminoso (I) e
sensazione visiva percepita dall'osservatore (S), venne chiarita da Fechner e Weber. Essi
dimostrarono infatti che quando le nostre sensazioni visive aumentano o diminuiscono in modo
lineare, l'intensit dello stimolo sta variando in modo esponenziale. In tal modo lo stimolo
percepito S risulta proporzionale al logaritmo dell'intensit I, misurata tramite un fotometro.
S = k log I + cost
Ci significa che la sensazione proporzionale alla variazione relativa ( I/I) e non alla variazione
assoluta ( I) di intensit
Locchio, come tutti i nostri sensi, non un trasduttore lineare della sensazione, ma un trasduttore
logaritmico.
In forma differenziale risulta infatti che la variazione dS dello sensazione risulta proporzionale alla variazione relativa dI/I
dellintensit luminosa.
dS K
dI
I

Integrando, si ottiene infatti S = K log I + C, con C costante di integrazione che dipende dalle unit di misura usate.
La legge psico-fisica di Fechner e Weber descrive in realt il comportamento della maggior parte dei nostri sensi. Si noti,
ad esempio, come sia pi facile distinguere le differenze di peso tra 100g e 200g, piuttosto che tra 50kg e 51kg. Infatti,
40
nonostante nel primo caso vi sia una variazione assoluta di soli 100g contro una di 1 kg, la variazione relativa nei due
casi rispettivamente del 100% e del 2%.
Se noi applichiamo tale relazione alla luminosit percepita dal nostro occhio, di due stelle di 1
a
e 6
a
magnitudine, in cui le rispettive intensit misurate con un fotometro siano quindi le luminosit
apparenti l
1
e l
6
, otteniamo
6 - 1 = k log l
6
- k log l
1
= k log
l
l
6
1
Ricordando ora che gi Herschel aveva dimostrato che il rapporto tra l'intensit fotometrica di una
stella di 1
a
magnitudine ed una di 6
a
di 100 a 1, possiamo scrivere
5 = k log 10
-2

e quindi k = - 2,5. La relazione fondamentale della fotometria stellare diventa quindi (con I
1
> I
2
)
1
2
I
I
m m m
10 1 2
log 5 , 2
nota come relazione di Pogson (dal nome dellastronomo inglese N.R. Pogson, che la introdusse nel
1856) che lega la differenza di magnitudine al rapporto delle intensit luminose.
Esplicitiamo ora il rapporto tra le intensit luminose
1
2
log
2
5
I
I
m

2
1
log
5
2
I
I
m

2
1 5
2
10
I
I
m


10
2 5 1
2
m
I
I

1 2
512 , 2 I I
m

In altre parole fra un grado e l'altro della scala di Ipparco vi in realt una differenza di luminosit
di 2,512 volte. Quindi se tra due stelle esiste una differenza di magnitudine pari a m, ci significa
che una stella 2,512

m
pi luminosa dell'altra. Ogni 5 gradi di magnitudine comportano perci
una differenza di luminosit fotometrica pari a 2,512
5
= 100 volte.
Se dobbiamo ad esempio confrontare la luminosit di Sirio m = - 1,45 con quella di Aldebaran (m =
0,85) troveremo
( ) ( ) ( )
l
l
1
2


2 512 2 512 2 512 8 3
2 1
0 85 1 45 2 3
, , , ,
, , , m m
Sirio dunque apparentemente circa 8,3 volte pi luminoso di Aldebaran. Naturalmente ci non
significa che siamo ora in grado di conoscere la luminosit effettiva o intrinseca della stella. Per
poterlo fare dovremmo infatti conoscere anche la distanza della stella dalla terra.
Conoscendo la distanza D terra-stella e misurando con un fotometro l'intensit della radiazione l che
colpisce l'unit di superficie terrestre possibile calcolare la luminosit intrinseca totale L tramite la
relazione
l 4 D
2
= L
relazione analoga a quella utilizzata per calcolare la quantit di energia totale emessa dalla
superficie solare partendo dalla costante solare e dalla distanza terra-sole.
La relazione pu essere scritta
2
4 D
L
l

dove si evidenza il fatto che la luminosit apparente fotometrica direttamente proporzionale alla
luminosit intrinseca L ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
41
Tale relazione viene utilizzata non solo per ottenere la luminosit intrinseca di stelle di distanza
nota (la luminosit apparente l sempre misurabile), ma in alcuni casi per ottenere la distanza di
oggetti celesti di luminosit intrinseca nota e riconoscibili per altre caratteristiche. Tali oggetti
vengono detti in astronomia indicatori di distanza. Ad esempio gli astronomi ritengono che tutte le
esplosioni stellari note come supernove producano grosso modo la stessa quantit di energia e
quindi presentino la stessa luminosit intrinseca. Una volta quindi che una supernova viene
riconosciuta all'interno di una galassia, misurandone la luminosit apparente e data come nota la
luminosit intrinseca, se ne pu agevolmente calcolare la distanza.
Per confrontare la luminosit intrinseca delle stelle in modo pi semplice, si convenuto di
esprimerla secondo la scala di Ipparco, in gradi di magnitudine assoluta (M). Viene quindi
convenzionalmente definita magnitudine assoluta la magnitudine apparente di una stella una volta
posta a 10 parsec dalla terra.
In questo modo si ottengono stelle con magnitudine assoluta addirittura negativa. Ad esempio una
stella di magnitudine apparente del 1 grado della scala di Ipparco che si trovi ad una distanza reale
dalla terra molto maggiore di 10 parsec, una volta avvicinata fino ai 10 parsec convenzionali,
risulter pi luminosa e quindi presenter una magnitudine assoluta minore di 1. Per ragioni opposte
esistono stelle di magnitudine assoluta superiori al sesto grado.
Quando noi confrontiamo due gradi di magnitudine assoluta, ad esempio una stella con M = 13 con
una con M = 8, possiamo affermare che la seconda effettivamente 100 volte pi luminosa della
prima. in quanto le due stelle si trovano idealmente alla stessa distanza dalla terra.
La relazione che lega magnitudine apparente m, magnitudine assoluta M e distanza D (in parsec)
5 log 5
10
+ D m M
Una stella di luminosit intrinseca L e distanza D presenta un luminosit apparente l pari a
2
D 4
L
= l

, ma posta a 10
parsec presenterebbe una luminosit apparente l10

pari a
2 10
4
L
= l
10
. Applicando ora la relazione di Pogson a
questi due valori di luminosit apparente, si ottiene
1
2
l
l
m m
10 1 2
log 5 , 2

m M

_
,
2 5 2 5
10 10
2
, log , log
L 4 D
L 4 10
10
D
2
2

( ) m M 2 5 2 5
10
2
10
2
, log , log D 10
5 log 5
10
D M m
Essendo la quantit (m-M) correlata alla distanza della stella, essa viene detta modulo di distanza.
5 log 5
10
+ D m M
Sapendo ad esempio che Sirio dista 2,64 pc e Aldebaran 18,4 pc, possiamo calcolarne la
magnitudine assoluta
La magnitudine assoluta di Sirio (m = - 1,45) sar
M + 1 45 5 2 64 5 1 442
10
, log , ,
La magnitudine assoluta di Aldebaran (m = 0,85) sar
M + 0 85 5 18 4 5 0 47
10
, log , ,
Cos la differenza di magnitudine assoluta tra Sirio e il Aldebaran 1,44 - (- 0,47) = 1,91
Scopriamo dunque che Sirio in realt circa 2,512
1,91
= 5,8 volte meno luminoso di Aldebaran.
Il sole che ha una magnitudine apparente m = - 26,8 presenta una magnitudine assoluta M = 4,8.
A 10 parsec diventerebbe quindi una stellina appena visibile ad occhio nudo.
La luminosit di una stella e quindi anche la sua magnitudine, misurate tramite l'occhio si
definiscono visuali (M
v
). Quando in astronomia iniziarono ad essere utilizzate le emulsioni
42
fotografiche fu possibile ottenere anche valori di magnitudine fotografica (M
pg
). I valori ottenuti
sono in genere tra loro diversi in quanto l'occhio presenta un massimo di sensibilit nel giallo-verde,
mentre la lastra fotografica nel blu-violetto. Applicando ad una macchina fotografica un filtro giallo
si riesce a simulare la sensibilit dell'occhio umano e le magnitudini cos ottenute sono dette
fotovisuali (M
pv
).
Le magnitudini ottenute con un fotometro sono dette fotoelettriche. Le magnitudini fotoelettriche
vengono determinate in corrispondenza di particolari intervalli di lunghezze d'onda. In genere si
ottengono per l'ultravioletto (M
U
o U) per il blu (M
B
o B) e per il giallo (visuali) (M
V
o V). La
magnitudine fotoelettrica B correlabile alla magnitudine fotografica (M
B
= M
pg
+ 0,11), mentre la
magnitudine fotoelettrica V corrisponde alla magnitudine visuale o fotovisuale. Infine la
magnitudine ottenuta misurando l'energia proveniente da una stella su tutte le lunghezze d'onda
detta magnitudine bolometrica o integrale (M
b
).
Le differenze nei valori di magnitudine misurati nei diversi intervalli di lunghezze d'onda sono
importanti poich sono correlabili alla temperatura superficiale di una stella. Infatti per la legge di
Wien un corpo nero che aumenta la sua temperatura emette, in proporzione, sempre pi energia in
corrispondenza delle regioni a minor lunghezza d'onda (blu violetto). Cos una stella molto calda
presenter una magnitudine nel blu minore della sua magnitudine visuale, mentre per una stella
molto fredda avverr l'opposto(valori minori di magnitudine corrispondono infatti a luminosit pi
elevate). Un indice di colore molto usato proprio fornito dalla differenza tra la magnitudine
fotografica e la magnitudine visuale (o fotovisuale).
I.C. = M
pg
- M
pv
e utilizzando i valori fotoelettrici
I.C. + 0,11 = B V
Gli indici di colore hanno il vantaggio di essere determinabili indipendentemente dalla conoscenza
della distanza. Ad esempio scriviamo le relazioni che legano la magnitudine assoluta nel blu e la
magnitudine assoluta nel visuale alle rispettive magnitudini apparenti
5 log 5
10
+ D m M
B B

5 log 5
10
+ D m M
V V
sottraendo ora membro a membro le due relazioni facile vedere come
V B V B
m m M M
e quindi il valore dellindice di colore costruito su tale differenza indipendente dalla distanza
della stella e pu essere ottenuto anche dalla semplice differenza dei valori di magnitudine
apparente.
Pi basso il valore di tale indice, pi la stella emette nel blu e pi elevata la sua temperatura.
L'indice di colore del sole + 0,53, mentre l'indice di colore di una stella a 15.000K - 0,27.
Come tutte le scale convenzionali anche la scala delle magnitudini va tarata.
Si assume come grado zero delle magnitudini apparenti visuali una luminosit apparente (misurata fuori dall'atmosfera
terrestre) pari a 2,67 10
-10
lumen/cm
-2
.
Si assume come grado zero delle magnitudini apparenti bolometriche una luminosit (misurata fuori dall'atmosfera
terrestre) pari a 2,56 10
-5
erg/(s cm
2
)
Il corrispondente punto zero delle magnitudini assolute si ottiene moltiplicando tali valori per una superficie sferica di
raggio 10 parsec.
2 2
10 4 l D 4 l = L
Tenendo conto che 10 pc = 3,0856775 10
19
cm, si ottiene
come grado zero delle magnitudini assolute visuali, il seguente valore di luminosit intrinseca visuale
( ) L = 2,67 10 4 10
-10
2
30
3 0856775 10 319
19
, , lumen
come grado zero delle magnitudini assolute bolometriche, il seguente valore di luminosit intrinseca bolometrica
( ) L= 2,56 10 4 10
-5
2
35
3 0856775 10 3 05
19
, , erg / s
43
Le unit di misura fotometriche
L'unit fotometrica fondamentale (sia nel sistema SI che nel cgs) la candela (cd), che misura l'intensit I di una
sorgente luminosa. Essa viene naturalmente definita in funzione di un campione luminoso, convenzionalmente
individuato.
Secondo la vecchia definizione 1 candela pari ad 1/60 dell'intensit luminosa prodotta da 1 cm
2
di corpo nero a
2042K (temperatura di fusione del platino) entro l'angolo solido unitario (1 steradiante = 1 radiante
2
). Nel 1979 la XVI
Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure defin la candela come lintensit luminosa di una sorgente di potenza
1/683 W/sr che emette una radiazione monocromatica di 5,40 10
14
Hz ( = 555,016 nm)
Un steradiante l'angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una superficie sferica vede una calotta
sferica di superficie R
2
. Essendo l'intera superficie sferica pari a 4R
2
, l'intero angolo solido sar pari a 4 steradianti.
Si definisce flusso luminoso il prodotto dell'intensit luminosa per l'angolo solido attraverso cui la luce diffonde. La
sua unit di misura la candela
.
steradiante (cd
.
sr) o lumen (lm).
I

Una sorgente luminosa puntiforme di 1 candela che diffonda luce in tutte le direzioni (sull'intero angolo solido) produce
un flusso luminoso di 4 lumen.
Per misurare gli effetti della luce che colpisce una superficie S si definisce l'illuminamento E, come il flusso che colpisce
l'unit di superficie S, disposta perpendicolarmente ai raggi luminosi. La sua unit di misura il lumen/m
2
(o lux (lx), nel
sistema SI) o lumen/cm
2
(nel sistema cgs). Nel caso il flusso formi un angolo con la direzione normale alla superficie, il
suo valore va moltiplicato per cos.
E =

S
cos
Non tutte le stelle presentano una luminosit costante. Le variazioni di luminosit possono essere
periodiche o del tutto irregolari. Registrando il segnale luminoso in funzione del tempo si ottiene la
cosiddetta curva di luce, che presenta caratteristiche diverse a seconda del tipo di variabile.
Le stelle variabili vengono indicate attraverso la seguente convenzione:
la prima variabile scoperta in una costellazione viene indicata con la lettera 'R' seguita dal genitivo
del nome della costellazione. La seconda variabile scoperta in ordine di tempo viene indicata con la
lettera 'S', la terza con la 'T' e cos via fino alla 'Z'. Nel caso si debba andare oltre la Z si prosegue
con RR, RS, RT, RU......RZ e quindi SS, ST, SU......SZ fino a ZZ.
A questo punto si continua con AA, AB, AC...AZ e poi BB, BC, BD,......BZ, fino a QZ, che indica
la 334
a
variabile di una costellazione in ordine di scoperta. Le successive vengono indicate con
V335, V336 etc.
Le stelle variabili possono essere classificate in variabili intrinseche e variabili binarie.
A) Le variabili intrinseche o pulsanti sono stelle instabili che variano la loro luminosit a causa di
modificazioni della loro temperatura e del loro volume. Esse subiscono delle espansioni e delle
contrazioni, da cui il termine 'pulsanti', che determinano delle variazioni della temperatura
superficiale ed una conseguente modificazione della luminosit.
All'inizio del nostro secolo A. Eddington ipotizz che le stelle variabili funzionassero come una specie di pentola a
pressione, con un meccanismo a valvola posto in superficie che aprendosi e chiudendosi periodicamente regolava il
flusso di energia verso l'esterno. In tal modo si susseguivano periodi di surriscaldamento ed espansione superficiale a
periodi di raffreddamento e contrazione. Eddington intu che il grado di ionizzazione del plasma superficiale poteva
fungere da valvola, ma non pot trovare conferme a tale ipotesi. Oggi si ritiene che la principale causa di pulsazione sia
collegata al comportamento dell'Elio. L'Elio ionizzato una volta pu infatti innescare la pulsazione quando perde anche il
secondo ed ultimo elettrone. Il modello, confermato da simulazioni al computer, prevede che la contrazione della stella
porti a ionizzare completamente l'Elio che diventa in tal modo opaco alla radiazione (valvola chiusa). Il calore che in tal
modo si accumula produce un'espansione ed un raffreddamento dell'elio che, riacquistando l'elettrone precedentemente
perso, ridiventa trasparente alla radiazione (valvola aperta).
Nel 1596 l'olandese David Fabricius individu nella costellazione della Balena la prima variabile
pulsante. Poich a quel tempo si riteneva che le stelle fossero costituite di un'essenza incorruttibile
44
(etere o quintessenza), lo stupore che dest la scoperta fu tale da meritarle il nome di Meravigliosa
della Balena o Mira Ceti.
Oggi noi conosciamo parecchie variabili simili a Mira Ceti che vengono classificate come variabili
di tipo "Mira". Si tratta di giganti rosse con periodi di variabilit che vanno dai 100 giorni ai 2-3
anni.
Le Cefeidi rappresentano un'altra classe di variabili pulsanti che prende il nome dalla prima stella
scoperta con tali caratteristiche, Delta Cphei. Le cefeidi sono giganti bianco-azzurre. Esistono in
realt pi tipi di cefeidi, le principali sono: le cefeidi classiche (simili a Delta Cphei) con periodi di
variabilit che vanno da 1 a 50 giorni e le Cefeidi tipo RR Lyrae con periodi di variabilit inferiori
al giorno. le Cefeidi tipo W Virginis, con periodi simili alle classiche ma mediamente meno
luminose (circa 2 gradi di magnitudine).
Le Cefeidi hanno svolto un ruolo fondamentale in astronomia poich furono tra i primi indicatori di
distanza individuati. Nel 1912 Henrietta Leavitt scopr che le Cefeidi appartenenti alla piccola Nube
di Magellano, una piccola galassia satellite che si trova appena fuori della nostra galassia,
presentavano una luminosit media intrinseca, proporzionale al loro periodo di variazione. In altre
parole cefeidi con periodi di variabilit pi lunghi si rivelavano mediamente pi luminose.
Costruendo quindi un grafico periodo/magnitudine assoluta per stelle di cui si conosca la distanza
possibile utilizzarlo poi anche per cefeidi troppo lontane per poterne calcolare la distanza con
metodi trigonometrici (metodi utilizzabili solo per stelle a distanze inferiori a 300 al). Cos una
volta individuata una cefeide in una galassia lontana, misurato il suo periodo di variabilit
possibile risalire attraverso il diagramma della Leavitt alla sua luminosit effettiva. Avendo la
luminosit effettiva e misurando con un fotometro quella apparente si pu infine calcolarne la
distanza.
La relazione per le Cefeidi classiche
P M
v
log 5 , 2 7 , 1
dove M
v
la magnitudine assoluta (media) visuale e P il periodo di variabilit in giorni. Ad esempio sapendo che per
Cephei il periodo di 5,37 giorni se ne ricava una magnitudine assoluta media pari a
5 , 3 37 , 5 log 5 , 2 7 , 1
v
M
Sapendo inoltre che la magnitudine visuale apparente media (misurata con un fotometro) m
v
= 4, se ne ricava un
modulo di distanza m - M = 7,5, da cui
5 log 5 5 , 7
10
D
D
10
log 5 , 2
D=10
2,5
316 (1.030 al) pc
La relazione per le W Virginis
P M
v
log 5 , 2 45 , 0
mentre per le RR Lyrae la magnitudine assoluta media praticamente indipendente dal periodo e vale 0,6.
Sia le stelle tipo Mira che le Cefeidi sono considerate
stelle che stanno esaurendo il loro combustibile e non
riescono pi a mantenere l'equilibrio meccanico e
termodinamico che caratterizza invece le stelle stabili
come il sole.
Ma esistono fasi di instabilit stellare anche all'inizio
del ciclo evolutivo di una stella, prima che una stella
riesca a raggiungere un proprio equilibrio interno. Ne
sono un tipico esempio le cosiddette variabili
eruttive o "a flare", di cui le stelle tipo T-Tauri sono
un caso particolare. Si tratta di stelle che presentano
45
una variabilit estremamente irregolare, con improvvisi guizzi di luminosit. Sono dunque stelle
giovani, particolarmente numerose nelle nebulose, come quella di Orione, dove si ritiene appunto
che le stelle si formino a partire dalla materia nebulare.
B) Le variabili binarie sono sistemi di stelle doppie che per la loro lontananza dalla terra e/o per la
loro reciproca vicinanza (doppie strette), non possibile vedere come stelle singole nemmeno con i
pi potenti telescopi.
Quando la nostra visuale (retta condotta dall'osservatore all'oggetto osservato) giace sul piano
orbitale di tali sistemi doppi, si producono le condizioni necessarie affinch le due stelle si eclissino
alternativamente. In tal modo quando le stelle risultano separate noi osserviamo un massimo di
luminosit, mentre quando le stelle si eclissano osserviamo un minimo nella curva di luce. In genere
Poich probabile che le due stelle non presentino la stessa luminosit, i minimi nella curva di luce
hanno profondit differenti. Il minimo pi profondo si ha quando la stella meno luminosa eclissa
quella pi luminosa, mentre il minimo meno profondo si ha quando la stella pi luminosa eclissa
quella meno luminosa.
Tali variabili sono dette variabili a
eclisse o fotometriche.
Quando il piano dell'orbita di
questi sistemi doppi talmente
inclinato rispetto alla nostra visuale
da non dar luogo a fenomeni di
eclisse a volte comunque
possibile evidenziarli. Ci accade
quando le due stelle orbitano l'una
attorno all'altra ad una velocit talmente elevata che la radiazione che emettono subisce un effetto
Doppler. Compiendo osservazioni spettroscopiche in epoche diverse si potr perci evidenziare uno
spostamento alternativo degli spettri verso il rosso e verso il blu , a seconda che sia la stella pi
luminosa o quella meno luminosa che in quel momento si sta allontanando o avvicinando. In tal
caso non si determina una variazione nell'intensit luminosa ma una variazione periodica nella
struttura dello spettro. Tali sistemi sono conosciuti come variabili spettroscopiche.
10.2 Massa e dimensioni
I modelli teorici prevedono che la massa delle stelle sia compresa tra 0,08 120 volte la massa
solare (in astronomia le masse si misurano in masse solari M ). Al di sotto di tali limiti non si
innescano le reazioni termonucleari, al di sopra la gravit ha il sopravvento ed il sistema destinato
a collassare.
La massa delle stelle pu essere stimata per via indiretta utilizzando la relazione di Eddington, che
lega la luminosit intrinseca alla massa (log L = 3,5 log M). Tale relazione per valida solo per le
stelle di sequenza principale e la costante di proporzionalit necessita di essere tarata per i diversi
tipi spettrali. Lunico modo per ottenere una misura diretta delle masse stellari studiare i sistemi
doppi.
I sistemi di stelle doppie o multiple non sono un'eccezione, ne sono stati osservati ormai molte
migliaia. In alcuni casi possibile osservare le due stelle separate (stelle doppie visuali) e misurare
gli spostamenti relativi delle due stelle lungo archi di traiettorie ellittiche. E' ci che fece Herschel,
arrivando per primo a dimostrare l'esistenza di stelle doppie.
I sistemi di stelle doppie sono stati studiati con particolare attenzione essendo una fonte preziosa di
informazioni sulle stelle. Sappiamo cos che le stelle non presentano un intervallo di masse molto
ampio. I valori ottenuti dall'analisi dei sistemi doppi ci dicono che le stelle hanno in genere masse
comprese tra circa 1/10 e 100 M , in buon accordo con i valori previsti dalla teoria.
46
Maggiore invece l'intervallo di variabilit per i diametri stellari, i quali si possono calcolare nei
sistemi doppi ad eclisse sulla base dei tempi di occultamento e delle velocit di rivoluzione. Si
scoperto cos che mentre le stelle pi piccole hanno dimensioni pari a circa 1/100 di quelle solari,
paragonabili a quelle di un pianeta terrestre (nane bianche), quelle pi grandi possono superare il
sole di oltre 1000 volte (supergiganti rosse), con unescursione di circa 5 ordini di grandezza. I
diametri stellari sono stati misurati anche con metodi diversi e sono risultati in buon accordo con i
dati ottenuti dai sistemi doppi ad eclisse.
In generale se di una stella si conosce la temperatura superficiale T e la luminosit intrinseca
bolometrica L
b
possibile calcolare il raggio. Se infatti l'energia emessa per unit di superficie e di
tempo da una stella E = T
4
, l'energia totale (luminosit bolometrica) emessa da una stella di
raggio R sar
4 2
4 T R L
b

10.3 Temperatura e colore: i tipi spettrali
La stessa relazione pu essere naturalmente utilizzata anche per calcolare la temperatura
superficiale di una stella, una volta note la luminosit intrinseca bolometrica L ed il raggio R. Tale
temperatura detta temperatura efficace T
e
.
4
2
4

R
L
T
b
e
La temperatura efficace determinabile solo nel caso del sole e di poche altre stelle di cui si
potuto misurare il raggio. In tutti gli altri casi necessario ricorrere a metodi indiretti.
Nel caso si riesca ad individuare nello spettro di una stella la lunghezza d'onda di massima
emissione possibile utilizzare la relazione di Wien

max
T = K
Pi spesso si ricorre alla cosiddetta temperatura di colore T
c
, correlata all'indice di colore IC = m
pg
-
m
pv
.
T
IC
C

+
8250
0 85 ,
La temperatura di colore ha il vantaggio di essere determinabile solo conoscendo i dati fotometrici
apparenti (su diverse bande), senza dover ricorrere alla misurazione della distanza e del raggio della
stella.
Parlando delle stelle abbiamo citato 'nane bianche', 'giganti azzurre' e 'giganti rosse'. Oltre a queste
esistono anche stelle gialle, come il nostro sole, e arancioni. Il colore delle stelle una diretta
conseguenza della loro temperatura superficiale. Una volta fatta passare la luce stellare attraverso
uno spettrometro infatti possibile osservare quali sono le righe pi intense. Il colore della stella
dipende infatti essenzialmente dalla riga di massima emissione di energia (max) e questa legata
alla temperatura superficiale dalla legge di Wien.
E' cos che le stelle con temperature superficiali pi basse (3500K) ci appaiono rosse, mentre
quelle con temperature superficiali pi elevate (30.000 - 40.000K) ci appaiono bianco-azzurre.
Naturalmente dalle stelle rosse alle stelle bianco-azzurre si passa, al crescere della temperatura, alle
stelle arancioni e a quelle gialle con tutte le sfumature intermedie.
Le temperature superficiali delle stelle influenzano non solo il loro spettro continuo, ma anche lo
spettro a righe in modo caratteristico. Infatti al crescere della temperatura superficiale alcuni
composti, che sono presenti nelle stelle pi fredde, scompaiono poich i legami chimici che li
tengono uniti vengono spezzati. Dai composti si passa cos agli elementi semplici, prima allo stato
47
neutro e poi ad uno stato sempre pi ionizzato. Naturalmente tutto ci viene fedelmente registrato
attraverso le righe spettrali caratteristiche che ciascuna sostanza chimica, presente alla superficie
della stella, assorbe.
Le caratteristiche spettrali delle stelle, colore, tipo di righe presenti e, di conseguenza, temperatura
superficiale vengono raggruppate in 7 tipi o classi spettrali principali (classificazione di Harvard),
contrassegnati con le lettere O B A F G K M, che gli astronomi anglosassoni ricordano attraverso la
frase "O, Be A Fine Girl Kiss Me".
Ciascuna classe spettrale viene a sua volta suddivisa in 10 sottoclassi, indicate con un numero da 0 a
9 che segue la lettera della classe.
I tipi spettrali O e B indicano le stelle bianco azzurre molto calde, mentre il tipo M le stelle rosse
relativamente fredde. Il sole una stella G2.
La classificazione spettrale fu introdotta da E.C. Pickering dellHarvard College Observatory, verso la fine dell800.
Inizialmente Pickering propose di classificare le stelle in funzione dellintensit delle righe dellidrogeno, assegnando la
lettera A alle stelle con righe dellidrogeno pi intense e associando via via le successive lettere fino alla O alle stelle con
righe dellidrogeno progressivamente pi tenui. Il successivo lavoro di classificazione e messa a punto eseguito dalle
collaboratrici di Pickering (W.P Fleming e A.J. Cannon) port a modificare la sequenza originaria in funzione del colore.
Alcune classi si rivelarono superflue e vennero pertanto eliminate, mentre le classi O e B vennero anticipate.
Limponente lavoro di classificazione diede origine nel 1924 allHenry Draper Catalogue, contenente 255.000 stelle.
Per generare righe di assorbimento nel visibile (serie di Balmer = transizioni n 2, con n > 2) lIdrogeno, che costituisce
latmosfera di ogni stella, deve trovarsi in uno stato leggermente eccitato, con il suo unico elettrone nel secondo livello
energetico (n = 2). Le stelle di tipo spettrale avanzato (late type) M sono troppo fredde per presentare lidrogeno in
questo stato, pertanto le righe di assorbimento dellidrogeno cominciano a comparire solo nel tipo spettrale successivo
(K) e diventano via via pi intense fino al tipo spettrale A. Nelle stelle di tipo spettrale iniziale (early type) O e B le righe di
assorbimento dellidrogeno tornano a sparire, poich lelevata temperatura trasforma lidrogeno neutro in idrogeno
ionizzato.
LElio invece un elemento chimico molto pi stabile dellidrogeno (si eccita e si ionizza con molta difficolt), Per questo
motivo le sue righe spettrali iniziano ad essere evidenti solo nelle classi O e B, dove la temperatura sufficientemente
elevata.
La maggior parte degli altri elementi, che gli astrofisici chiamano impropriamente metalli si eccitano e si ionizzano in
genere con facilit. Cos nei tipi spettrali avanzati M e K troviamo righe di composti molecolari (TiO) e di metalli neutri
(Ca I - Calcio primo). Nei tipi spettrali intermedi compaiono le righe di metalli via via pi ionizzati (Ca II, Ca III). Infine nei
tipi spettrali iniziali (O e B) il grado di ionizzazione dei metalli cos elevato che le loro righe vanno a cadere
nellultravioletto. In questo modo lo spettro visibile dei tipi spettrali O e B rimane piuttosto semplice, essendo
caratterizzato solo dalle righe dellidrogeno e dellelio.
Lo studio degli spettri stellari ci ha permesso di determinare la composizione chimica media delle
stelle. Se ci riferiamo alla percentuale di atomi dei diversi elementi, si trova che le stelle sono
mediamente costituite da circa il 92% di Idrogeno, dall8% di Elio, dallo 0,1% di Ossigeno,
Carbonio, Azoto e Neon (in ordine di importanza) e solo dallo 0,01% di tutti gli altri elementi
chimici.
La serie spettrale principale (OBAFGKM) stata in seguito ampliata con serie secondarie introdotte per classificare
stelle con spettri peculiari.
I tipi R ed N presentano la stessa temperatura rispettivamente dei tipi K ed M, ma un rapporto C/O ribaltato rispetto alla
serie principale (dove lOssigeno a prevalere sul Carbonio)
Il tipo S (stelle a Zirconio) hanno la stessa temperatura del tipo K, ma una netta prevalenza dellossido di Zirconio (ZrO)
rispetto al pi comune ossido di Titanio (TiO).
Il tipo W (o W-R: stelle di Wolf-Rayet) Sono caratterizzate da righe dellElio in emissione molto allargate, su spettri
continui spostati verso la regione ultravioletta, a testimonianza di una temperatura superficiale estremamente elevata,
che le pone a fianco o addirittura prima delle stelle di tipo O. Le righe allargate testimoniano una intensa perdita di
massa per vento stellare (il gas emittente si sta espandendo radialmente: poich una parte di esso si avvicina ed una
parte si allontana ciascuna riga subisce contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga). Si suddividono In
due variet: quelle ricche di Carbonio e povere di Azoto (WC) e quelle ricche di Azoto (WN).
11 Le stelle: evoluzione
48
Gli antichi ritenevano le stelle corpi celesti perfetti ed incorruttibili, costituiti da una materia
peculiare (quintessenza) che le rendeva eterne. Le stelle subiscono in realt processi di
trasformazione come qualsiasi altro corpo materiale presente nelluniverso, ma i loro tempi
evolutivi sono enormemente superiori ai nostri tempi biologici.
Lo studio dellevoluzione stellare si avvale di uno strumento fondamentale, il diagramma HR per
rappresentare graficamente le trasformazioni fisiche cui vanno incontro le stelle durante la loro vita.
11.1 Il diagramma HR
All'inizio del '900 gli astronomi E. Hertzsprung e H. Russell, indipendentemente l'uno dall'altro,
scoprirono che riportando in un diagramma le stelle, ordinate in base alla loro temperatura
superficiale (tipo spettrale) ed alla loro magnitudine assoluta, se ne otteneva una distribuzione
ordinata. Ponendo in ascisse i tipi spettrali o la temperatura superficiale in senso decrescente ed in
ordinata la magnitudine assoluta decrescente (luminosit crescente), la maggior parte delle stelle (il
90% circa) si distribuisce lungo una linea curva che attraversa il diagramma diagonalmente dallalto
a sinistra, a destra in basso. Tale fascia detta sequenza principale. Il sole si trova circa a met della
sequenza principale. Una piccola percentuale di stelle si concentra poi in due raggruppamenti isolati
agli angoli opposti, in alto a destra e in basso a sinistra.
La concentrazione di stelle nella sequenza principale in realt perfettamente naturale e prevedibile
sulla base della legge di Stefan-Boltzmann, in quanto l'emissione di energia, e quindi anche di
energia luminosa, aumenta all'aumentare della temperatura superficiale della stella.
I due raggruppamenti isolati sembrano invece fare eccezione. In alto a destra si concentrano infatti
stelle relativamente fredde, ma molto luminose, mentre in basso a sinistra stelle molto calde, ma
poco luminose. La spiegazione pu essere una soltanto. Dato che la temperatura superficiale delle
stelle di tipo M in sequenza principale la medesima delle stelle che si trovano in alto a destra, per
la legge di Stefan-Boltzmann entrambe devono emettere la stessa quantit di energia per unit di
superficie radiante. Le stelle in alto a destra, pi luminose, devono quindi necessariamente emettere
energia da una superficie pi estesa. Esse sono quindi stelle fredde, ma molto grandi e per questo
chiamate giganti rosse.
Analogo ragionamento vale per le stelle calde in basso a sinistra. Esse emettono la stessa quantit di
energia delle stelle calde e luminose di tipo O e B della sequenza principale, essendo poco luminose
devono perci possedere una superficie
radiante totale di piccole dimensioni e
per questo motivo sono dette nane
bianche.
Anche i diametri delle stelle in
sequenza principale si presentano in
modo caratteristico. Le stelle di
sequenza principale pi voluminose
sono quelle in alto a sinistra (giganti
bianco-azzurre). Il diametro decresce
poi progressivamente lungo la
sequenza principale fino alle stelle pi
piccole che si trovano in basso a destra
(nane rosse).
Le giganti bianco-azzurre sono
comunque pi piccole delle giganti
rosse, mentre le nane rosse sono pi grandi delle nane bianche.
Le giganti bianco-azzurre sono anche le stelle pi massicce della sequenza principale. La massa
delle stelle decresce infatti progressivamente scendendo lungo la sequenza principale. Esiste daltra
parte una relazione di proporzionalit tra massa e luminosit intrinseca di una stella, nota come
49
relazione di Eddington. Pi massiccia una stella e maggiore la quantit di energia che le sue
regioni centrali devono produrre per contrastare la forza gravitazionale che tenderebbe a far
collassare la stella.
La relazione di Eddington afferma che la luminosit intrinseca approssimativamente
proporzionale alla potenza 3,5 della massa di una stella: L = k M
3,5
.
Tenendo presente che per il sole tale relazione pu scriversi L = k M
3,5
, dividendo membro a
membro si ottiene una relazione in cui scompare la costante di proporzionalit e la luminosit e la
massa delle stelle sono espresse in unit solari
L M
3 5 ,
Ad esempio una stella che presenti una massa doppia rispetto a quella del nostro sole (2 M ) avr una luminosit pari a
circa 10 volte quella solare (10 L ) L M

3 5 3 5
2 113
, ,
, L
La relazione di Eddington stata ottenuta sulla base di considerazioni teoriche basate sulle
condizioni di equilibrio delle stelle, ma i valori che essa fornisce sono in buon accordo con quelli
misurati direttamente per i sistemi di stelle doppie. La relazione di Eddington valida
esclusivamente per le stelle in sequenza principale.
Le classi di luminosit
In realt la classificazione delle stelle in base alla loro luminosit pi articolata. Si potuto notare che a parit di tipo
spettrale le stelle presentano le righe di assorbimento del loro spettro pi o meno allargate (una riga spettrale si
caratterizza infatti anche per il suo profilo, cio per il modo con cui lintensit della riga diminuisce pi o meno
bruscamente ai suoi margini). Si ritiene che il fenomeno sia dovuto alla diversa pressione esercitata dal plasma che
costituisce la stella (quando la pressione in un gas aumenta le sue righe tendono infatti ad allargarsi sempre pi). Cos le
stelle che presentano atmosfere molto dense, caratterizzate da elevate pressioni presentano righe spettrali pi allargate
rispetto a stelle caratterizzate da atmosfere rarefatte. Daltra parte, poich il livello di rarefazione delle atmosfere stellari
correlato con le dimensioni della stella (le stelle giganti sono molto rarefatte, mentre le nane sono molto compresse) e
quindi con lentit della superficie radiante, possibile in tal modo ricavare informazioni sulla diversa luminosit a parit
di tipo spettrale. In definitiva maggiori sono le dimensioni stellari, pi il plasma rarefatto (la sua pressione bassa) e
pi le righe spettrali presentano un profilo a bassa dispersione (righe strette). Una minor larghezza delle righe spettrali
dunque indice di maggiori dimensioni stellari e quindi, a parit di temperatura, di maggiore luminosit.
Utilizzando tale criterio W.W. Morgan, P.C. Keenan e E. Kellman hanno introdotto nel 1937 un nuovo sistema di
classificazione della luminosit delle stelle (Sistema MKK o MK) che suddivide le stelle in 8 classi di luminosit
decrescente (0 - VII), distinguendo allinterno di ciascuna di esse 3 sottoclassi a ab b.
Classe Denominazione
0 0-Ia Ia-0 Ipergiganti o Supergiganti estreme
Ia Iab Ib Supergiganti
IIa IIab IIb Giganti brillanti
IIIa IIIab IIIb Giganti (normali)
IVa IVab IVb Subgiganti
Va Vab Vb Nane (Sequenza principale)
(VI) sd Subnane (pop.II)
(VII) D Nane bianche
50
Ricostruire i fenomeni associati alla nascita, alla vita ed alla morte di una stella non impresa
semplice, poich l'evoluzione stellare si svolge in periodi di tempo lunghissimi che possono andare
da qualche milione di anni per le stelle pi massicce a qualche miliardo di anni per le stelle meno
massicce. Cos non possibile osservare "in diretta" le trasformazioni di una stella, ma necessario
capire in quale fase evolutiva si trovano le diverse stelle che noi osserviamo e tentare di rimettere in
sequenza i diversi fotogrammi. E' un po come scattare una fotografia di una comunit umana in cui
compaiono neonati, bimbi, adulti e vecchi, cercando di capire a che fase della vita umana appartiene
ciascuno di loro.
Le istantanee che noi possiamo scattare alle stelle sono rappresentate da punti del diagramma HR, il
quale rappresenta perci uno strumento fondamentale per interpretare l'evoluzione stellare. Si
ritiene infatti che le modificazioni strutturali che una stella subisce durante la sua evoluzione si
manifestino attraverso mutamenti nelle condizioni di temperatura e luminosit ed in definitiva con
uno spostamento all'interno del diagramma HR. Naturalmente noi non abbiamo il tempo materiale
per cogliere tali spostamenti all'interno del diagramma, ma possiamo cercare di interpretare il
significato evolutivo di ciascun punto del diagramma.
Gli astrofisici cercano conferme dei loro modelli evolutivi nei diagrammi HR degli ammassi
stellari. Essi ritengono infatti che le stelle di un ammasso si siano formate pi o meno
contemporaneamente da una stessa nebulosa. Avendo dunque la stessa et e la stessa composizione
chimica, la diversa posizione assunta nel diagramma HR funzione solo della massa delle diverse
stelle. E pertanto possibile mettere in evidenza come stelle di diversa massa, trovandosi in punti
differenti del diagramma, stiano attraversando stadi diversi della loro evoluzione. Il numero di
stelle che popola ciascuna zona del diagramma inoltre proporzionale al tempo di permanenza della
stella in quelle condizioni particolari di Temperatura e Luminosit. Zone scarsamente popolate del
diagramma sono in genere punti di rapido passaggio, dove pertanto poco probabile riuscire a
cogliere stelle. Esistono tre tipi fondamentali di diagrammi di ammassi stellari, relativi
rispettivamente alla fase di giovinezza, maturit e vecchiaia.
Per ottenere evidenze osservative sugli stadi iniziali dellevoluzione stellare si studiano i diagrammi
HR di gruppi di stelle che, trovandosi ancora immerse nella materia nebulare che le ha generate,
51
testimoniano la loro giovane et. Tali aggregati sono costituiti soprattutto da stelle massicce (le pi
veloci a formarsi) di tipo spettrale O e B e sono detti associazioni OB.
Gli ammassi aperti e gli ammassi globulari vengono utilizzati invece per studiare rispettivamente le
fasi di maturit e di vecchiaia
Gli ammassi aperti o di disco (Pleiadi, Jadi etc) sono aggregati contenenti da qualche centinaio a
qualche migliaio di stelle che si collocano all'interno delle spire del disco galattico, mentre gli
ammassi globulari o di alone sono enormi aggregati di stelle contenenti da 100.000 a qualche
milione di stelle. Essi si dispongono a formare un enorme alone sferico che contiene il disco
galattico, mentre sono assenti nel disco stesso. Nella nostra galassia ne sono stati contati poco pi di
un centinaio (circa 160).
Oltre alle osservazioni dirette, esistono anche numerosi modelli teorici, in cui le diverse fasi
dell'evoluzione stellare vengono dedotte a partire dalle caratteristiche di massa e di composizione
chimica di una stella e si fondano sui meccanismi di equilibrio interno e di produzione di energia
che si ritiene siano alla base della struttura stellare. In particolare gli astrofisici ritengono che
l'evoluzione stellare sia condizionata essenzialmente dalla massa iniziale della stella e dalla sua
composizione chimica (teorema di Vogt-Russell).
La massa iniziale della stella ha effetto principalmente sulla sua velocit di evoluzione. Pi
massiccia una stella, pi rapidamente essa si forma, evolve e muore. La quantit di materia
presente in una stella influenza in 2 modi diversi ed opposti la durata della sua vita. Da una parte
pi massiccia una stella e tanta pi materia essa ha a disposizione da poter trasformare in energia,
secondo la relazione E = mc
2
. Dall'altra, all'aumentare della massa aumenta anche la velocit con
cui la stella trasforma materia in energia secondo la relazione di Eddington. Per cui al crescere della
massa l'energia a disposizione aumenta proporzionalmente, mentre l'energia utilizzata e dissipata
cresce pi che proporzionalmente. Possiamo quindi affermare che la stella in grado di
sopravvivere per un tempo che direttamente proporzionale alla massa disponibile ed inversamente
proporzionale alla velocit con la quale la massa viene trasformata in energia
5 , 2
5 , 3

M
M
M
L
M
t
I tempi di evoluzione di una stella decrescono quindi in modo esponenziale all'aumentare della
massa.
11.2 Formazione stellare: fase di presequenza
Le stelle nascono dalla contrazione gravitazionale di gas e polveri che costituiscono le grandi
nebulose, vere e proprie incubatrici stellari (nursery). Il meccanismo che innesca tale contrazione
non stato ancora chiarito. Tra le varie ipotesi vi sono le onde d'urto prodotte dall'esplosione di
stelle massicce (supernovae), la collisione tra due o pi nebulose ed altre ancora.
Durante la caduta gravitazionale del materiale nebulare l'energia potenziale si trasforma in energia
cinetica con aumento progressivo di temperatura della protostella.
In questa prima fase, la cui durata dipende come sempre dalla massa in fase di contrazione, la
temperatura superficiale talmente bassa che la maggior parte dell'emissione avviene
nell'infrarosso.
Nel 1947 vennero osservati e studiati all'interno di nebulose alcune strutture tondeggianti e dense di
materia nebulare, con temperature estremamente basse (10K) che risultarono essere tutte in fase di
contrazione. Tali oggetti sono oggi noti come globuli di Bok e molti autori li ritengono probabili
fasi iniziali nella formazione delle stelle.
Secondo i modelli teorici le protostelle nella loro fase iniziale dovrebbero essere circondate da un bozzolo di materia,
compressa dal forte vento stellare, che si genera durante le prime fasi di vita. Il bozzolo, riscaldato dall'interno dovrebbe
52
irradiare prevalentemente nell'infrarosso. Una probabile conferma di tale modello viene dall'oggetto Beklin-Neugebauer
scoperto in Orione.
Le condizioni che permettono ad una condensazione di materia nebulare di mantenersi e collassare,
invece di disperdersi, sono state studiate all'inizio del '900 da Jeans. Se una nebulosa presenta una
temperatura assoluta di T K ed una densit di n atomi/cm
3
, essa collasser solo se la sua massa
superiore alla cosiddetta massa di Jeans che, espressa in masse solari, vale
M
j


15
3
T
n
(M )
o, in alternativa, collasser se il suo raggio superiore al raggio di Jeans che, espresso in parsec,
vale
R
T
n
J
4 (pc)
Massa e Raggio di Jeans
Per il teorema del viriale una massa di gas autogravitante, in equilibrio dinamico tra la forza centrifuga e la forza
centripeta, vale la relazione 0 2 +
c g
E E Possiamo allora affermare che il collasso gravitazionale avverr quando
c g
E E 2 > L'energia gravitazionale di una sfera di materia uniformemente distribuita
R
GM
E
g
2
5
3

. L'energia
cinetica media (per particella) invece pari a kT E
c
2
3
, dove k la costante di Boltzmann e vale 1,380658 10
-16
erg
K
-1
. L'energia cinetica totale sar allora pari all'energia cinetica media per il numero totale N di particelle
E E
c c
N NkT
3
2
.
Il numero di particelle presenti si ottiene dividendo la massa totale M per la massa media di una particella.
Supponendo che ogni 100 particelle che compongono l'universo, 75 siano di Idrogeno (peso molecolare = 2) e 25 di Elio
(peso atomico = 4), la massa media relativa (espressa in u.m.a.) sar

r

+

75 2 25 4
100
2 5 ,
.
La massa media assoluta (espressa in grammi) di una particella si determina moltiplicando la massa relativa per il valore
dell'unit di massa atomica (1,66 10
-24
g/uma)
a
g

2 5 1 66 10 415 10
24 24
, , , .
L'energia cinetica totale diventa quindi E
MkT
c
a

3
2
3
2
NkT

. Applicando ora il teorema del viriale si ottiene


3
5
2
3
2
2
>
GM
R
MkT
a

e quindi M
kTR
G
a
>
5

esprimendo il raggio R in funzione della densit ()


3
3
4
R M , si ottiene
M
kT
G
M
a
3
3
4
3
5
>

_
,


ed in definitiva
M M
k
G
T
j
a
>

_
,

375
4
3
3

Mj detta Massa di Jeans. Il suo valore, rispettivamente in grammi ed in masse solari, approssimativamente

M
T
j
6 10
22
3

(g)
,
M
j

M
M
T
j
3 10
11
3

(M )
Se esprimiamo la densit di materia come densit particellare, cio come numero n di particelle per unit di volume (
n
a
) si ottiene rispettivamente
M
T
j
3 10
34
3
n
(g)

M
j


15
3
T
n
(M )
Se invece di esplicitare la massa esplicitiamo il raggio (dopo aver espresso la massa in funzione della densit) otteniamo
53
R R
k
G
T
J
a
>
15
4

Tale quantit detta Raggio di Jeans ed il suo valore, rispettivamente in centimetri ed in pc, approssimativamente pari
a
R
T
J
2 4 10
7
,

(cm) R
T
J

7 8 10
12
,

(pc)
Se esprimiamo nuovamente la densit di materia come numero n di particelle per unit di volume ( n
a
) si
ottiene rispettivamente
R
T
n
J
1 2 10
19
, (cm)

R
T
n
J
4 (pc)
Durante la fase di contrazione la protostella ovviamente pi fredda di quanto sar una volta giunta
in sequenza principale, ma, possedendo una maggiore superficie radiante, anche pi luminosa.
Come conseguenza di tali caratteristiche, le protostelle raggiungono la sequenza principale partendo
dallalto e le fasi di contrazione generano una traccia evolutiva che termina sul bordo sinistro della
sequenza principale, nella regione detta Linea di et Zero o ZAMS (Zero Age Main Sequence).
Gli studi teorici prevedono che la contrazione gravitazionale di una protostella avvenga in 2 fasi. La prima, durante la
quale linterno della stella subisce un rimescolamento convettivo, produce nel diagramma HR una traccia verticale detta
Linea di Hayashi. La seconda, durante la quale lenergia si propaga allinterno della stella prevalentemente in modo
radiativo, produce una traccia orizzontale che si congiunge alla sequenza principale.
Una volta che all'interno della
protostella si raggiungono
temperature sufficientemente
elevate si innescano le reazioni
termonucleari che iniziano a
contrastare la caduta del materiale
nebulare verso il centro e generano
le condizioni di equilibrio
meccanico e termodinamico che
stabilizzano la stella. Nelle fasi
finali la stella neonata genera un
intenso vento stellare (stadio T
Tauri) che spazza gran parte della
materia nebulare che le orbita
intorno. Il vento stellare risulta pi
efficace nella direzione dellasse di
rotazione della stella, dove gas e
polveri sono meno spesse, essendosi depositate prevalentemente sul piano equatoriale. In alcuni casi
stato possibile osservare in stelle neonate anelli di polveri circumstellari attraversati
perpendicolarmente da getti di materia bipolare. Successivamente allinterno dei dischi di polvere
nascer il sistema planetario della nuova stella.
Il significato evolutivo della sequenza principale diventa allora chiaro. Essa rappresenta il punto del
diagramma HR in cui le stelle consumano la maggior parte della loro vita, mantenendosi in
equilibrio e trasformando all'interno del loro nucleo idrogeno in elio. La scala temporale
caratteristica per la contrazione gravitazionale di presequenza detta tempo di Kelvin-Helmholtz.
Per una nebulosa protostellare di densit particellare n, il tempo di Kelvin-Helmholtz (in anni)
t
n
KH

1 4 10
7
,
anni
54
Come si pu osservare il tempo di contrazione dipende solo dalla densit. Per una densit
caratteristica delle nebulose di qualche centinaio di atomi per centimetro cubo i tempi caratteristici
sono di circa 1 milione di anni. E probabile che durante la contrazione laumento della densit
generi le condizioni per una frammentazione della massa nebulare in nuclei collassanti di
dimensioni minori (allaumentare della densit diminuisce la massa di Jeans). Ci giustificherebbe
il fatto che le stelle tendono a formarsi in gruppi o ammassi.
Tempo di Kelvin-Helmholtz
Una particella di massa m posta alla superficie di una nebulosa protostellare di massa M e raggio R soggetta ad una
forza gravitazionale
F G
mM
R
ma
2
. La particella cade dunque verso il centro con unaccelerazione
a
GM
R

2
.
Poich laccelerazione la derivata della velocit rispetto al tempo e ricordando che v
dr
dt
, si ha
a
dv
dt
dv
dt
dr
dr
dr
dt
dv
dr
v
dv
dr

v
dv
dr
G
M
r

2
v dv G
M
r
dr
2
e integrando (dr negativo poich il moto in caduta avviene da quote maggiori a quote minori) si ottiene la velocit che
anima la particella ad una distanza R dal centro
V
GM
R
2
2

Immaginiamo ora che la nebulosa continui a contrarsi


fino a formare una stella di raggi trascurabile rispetto al raggio iniziale della nebulosa. Poich la velocit la derivata
dello spazio rispetto al tempo, possiamo scrivere V
dR
dt
GM
R

2
, ed in definitiva
R dR GM dt
1
2
2
che, integrata,
porge
R GM t
3 2
9
2

esprimendo infine la massa in funzione della densit ed esplicitando il tempo, otteniamo
t
G
KH

1
6
Tale quantit nota come Tempo di Kelvin-Helmholtz e rappresenta la scala caratteristica dei tempi per la contrazione
gravitazionale. Il suo valore, rispettivamente in secondi e in anni, (con in g/cm
3
) dellordine di
t
KH

900

s
t
KH



2 8 10
5
,

anni
Se misuriamo infine la densit come numero di particelle per centimetro cubo ( n
a
), si ottiene rispettivamente
t
n
KH

4 10
14
,4
s t
n
KH

1 4 10
7
,
anni
Utilizzando i valori caratteristici delle nebulose T 10 K ed n 10
2
- 10
4
particelle per centimetro cubo, si ottengono i
seguenti valori R
T
n
J
4 0,1-1 pc
M
j


15
3
T
n
5- 50 M
t
n
KH

1 4 10
7
,
10 -10 anni
5 6
La posizione assunta all'interno della sequenza e che poi viene mantenuta durante tutta la fase di
stabilit dipende dalla massa stellare. Le stelle pi massicce raggiungono pi rapidamente la zona
alta della sequenza diventando giganti bianco-azzurre, le stelle meno massicce raggiungono pi
lentamente la zona inferiore della sequenza diventando nane rosse. Naturalmente tutte le stelle con
masse intermedie raggiungono una posizione intermedia che dipende dalla loro massa.
Gli astrofisici cercano conferme dei loro modelli evolutivi nei diagrammi HR degli ammassi
stellari. Essi ritengono infatti che le stelle di un ammasso si siano formate pi o meno
contemporaneamente da una stessa nebulosa. Avendo dunque la stessa et e la stessa composizione
chimica, la diversa posizione assunta nel diagramma HR funzione solo della massa delle diverse
55
stelle. E pertanto possibile mettere in evidenza come stelle di diversa massa si trovino in stadi
diversi della loro evoluzione.
Per ottenere evidenze osservative sugli stadi iniziali dellevoluzione stellare si studiano i diagrammi
HR degli ammassi aperti e, in particolare, di gruppi di stelle che, trovandosi ancora immerse nella
materia nebulare che le ha generate, testimoniano la loro giovane et.
Le stelle che si trovano nella vicina nebulosa di Orione sono da questo punto di vista un luogo
privilegiato per studiare la nascita delle stelle. Lo studio dei movimenti reciproci (moti propri) ci
conferma infatti che lassociazione stellare in Orione (associazione O-B) si sta disgregando. Le
stelle si stanno allontanando reciprocamente, ma trovandosi ancora relativamente vicine le une alle
altre, il processo deve essere iniziato solo da qualche milione di anni. Anche la presenza del gas
nebulare intorno alle stelle, destinato a disperdersi in pochi milioni di anni, unulteriore elemento
a favore della giovinezza di tali associazioni.
A conferma di quanto prevedono i modelli teorici, le stelle della nebulosa di Orione si
distribuiscono per lo pi al di sopra della sequenza principale, andando a formare un ventaglio pi
chiuso verso l'alto e pi aperto verso il basso.
In altre parole nell'istantanea scattata tramite il diagramma HR
abbiamo colto le stelle pi massicce gi arrivate in sequenza
principale, mentre le stelle meno massicce sono ancora per strada.
Partite insieme, le prime sono state pi rapide, come previsto dalla
teoria.
In realt si calcola che non tutte le nebulose siano in grado di
formare una stella. Se infatti la materia in fase di contrazione
possiede una massa inferiore a circa 0,08 M , la temperatura non
sale a sufficienza e non si innescano le reazioni termonucleari. La
stella abortisce e si forma una nana nera (o nana bruna). Tali
oggetti dovrebbero essere numerosissimi nelle galassie, ma
difficilissimi da individuare, possedendo tipicamente temperature
superficiali intorno ai 1000K e luminosit intrinseche dellordine di 10
-5
- 10
-6
L . Alcuni
ritengono che le nane brune potrebbero contribuire in modo sostanziale alla massa oscura degli
aloni galattici. Nel 1993 sono stati individuati nellalone della nostra galassia alcuni oggetti che
agiscono come lenti gravitazionali (effetto microlensing) su stelle della Nube di Magellano e che
potrebbero essere delle nane brune. Ad essi stato dato il nome di MACHO (Massive And Compact
Halo Object - Oggetti di Alone Massicci e Compatti).
Leffetto microlensing si produce quando la luce proveniente da una stella lontana viene deflessa dal campo
gravitazionale di una piccola massa che le transita innanzi, quasi esattamente sulla congiungente stella-osservatore. I
raggi luminosi vengono deviati e concentrati verso losservatore (lente gravitazionale) che percepisce un aumento
temporaneo della luminosit stellare. La probabilit di un tal evento evidentemente molto piccola e dipende dal numero
di oggetti interposti tra la stella e losservatore.
11.3 Fase di stabilit ed evoluzione finale
Le stelle rimangono in sequenza principale finch possiedono idrogeno nel loro nucleo da
trasformare in elio attraverso il ciclo protone-protone ed il ciclo Carbonio-Azoto. Stelle con una
massa pari a quella del sole impiegano 10 miliardi di anni.
Abbiamo gi visto che la scala dei tempi evolutivi per una stella t k
M
L
k
M
M
kM

3 5
2 5
,
,
. Se
ora misuriamo la massa di una stella in unit M

(M = M/M ) e la sua luminosit in unit L (L
56
= L/L ), possiamo tarare la relazione sul sole. La costante k assumer infatti un valore pari al
tempo di permanenza del sole in sequenza principale (10
10
anni) e la relazione diventa pertanto

t anni
sp

10
10
10
10
M
M
-2,5
L
Ad esempio una stella con 5 M

rimane in sequenza principale circa 180 milioni di anni, mentre
una stella di 10 M

esaurisce l'idrogeno del proprio nucleo ed esce dalla sequenza principale dopo
circa 30 milioni di anni.
Quando la maggior parte dell'idrogeno si trasformato in elio la stella esce dalla sequenza
principale, avviandosi rapidamente (sempre in relazione alla sua massa) a concludere la sua vita.
Gli astrofisici distinguono a questo punto 3 possibili strade alternative per l'evoluzione stellare in
funzione della massa. E' bene tener presente che i limiti di massa di seguito riportati sono
puramente indicativi, essendo stati pi volte ricalcolati e corretti.
1) Stelle di piccola massa (0,08 M < M < 0,8 M )
Comprese tra il tipo spettrale M8 e G8, comprendono la maggior parte (circa il 90%) delle stelle di
sequenza principale. Si presume che in tali stelle il movimento convettivo interno interessi tutta la
massa stellare. Non esiste un vero nucleo e l'elio prodotto nelle regioni centrali pi calde si mescola
con gli strati esterni pi freddi.
Quando le reazioni di fusione iniziano a rallentare per mancanza di idrogeno, l'intera stella comincia
a collassare. La contrazione gravitazionale viene infine arrestata dal fenomeno della degenerazione
elettronica. Quando infatti la materia viene compressa fino a densit dell'ordine di 10
6
-10
8
g/cm
3
(1-100 t/cm
3
), gli elettroni manifestano una violenta repulsione di natura quantistica, legata al
principio di esclusione di Pauli. Gli elettroni sono infatti fermioni e non possono coesistere su di un
medesimo livello energetico in numero superiore a 2 con spin antiparallelo.
Un modo alternativo per descrivere il fenomeno della degenerazione elettronica si ha facendo
riferimento al carattere ondulatorio (lunghezza donda di De Broglie) delle particelle materiali.
Tenendo infatti presente che la lunghezza donda di De Broglie per una particella materiale vale =
h/(mv), al diminuire della lunghezza donda (come conseguenza del collasso) deve aumentare la
quantit di moto (mv), essendo h una costante (costante di Planck). Laumento della quantit di
moto mv comporta un aumento dellenergia cinetica ( mv
2
) e quindi della pressione esercitata
dagli elettroni.
Si forma in questo modo una stella di dimensioni planetarie, costituita al suo interno da materia allo
stato degenere (gas di Fermi), rivestita da un sottile strato gassoso non degenere a temperature
molto elevate (40.000-50.000K). Tali stelle sono note come nane bianche.
Le nane bianche possono esistere come tali solo al di sotto di un certo limite di massa, detto limite
di Chandrasekhar, pari a 1,44 M , (valore inizialmente calcolato dal fisico indiano Chandrasekhar,
oggi si ritiene che tale limite debba essere pi basso, intorno a 1,2 M ). Le nane bianche sono
destinate a raffreddarsi in tempi lunghissimi, trasformandosi in nane nere (o nane brune).
2) Stelle di media massa ( 0,8 M < M < 8 M ).
Comprese tra il tipo spettrale G8 e B3, comprendono circa il 10%) delle stelle di sequenza
principale.
In queste stelle l'elio che si forma dalla fusione dell'idrogeno rimane confinato nel nucleo stellare.
In tal modo quando le reazioni termonucleari iniziano a rallentare per scarsit di idrogeno e
l'energia prodotta non pi sufficiente a contrastare la forza gravitazionale, la stella comincia a
collassare.
Il nucleo di elio centrale viene compresso, si riscalda e raggiunge temperature dell'ordine del
centinaio di milioni di gradi, sufficienti a innescare la fusione dell'elio, mentre gli strati superficiali,
fortemente riscaldate, tornano ad espandersi, trovando un nuovo precario equilibrio a grande
57
distanza dal centro. Si forma una stella enorme, dalla superficie esterna molto fredda (3.000-
4.000K), nota come gigante rossa.
La traccia evolutiva che nel diagramma HR sale verso la regione delle giganti rosse detta Ramo
delle Giganti Rosse (Red Giant Branch - RGB).
Il processo di fusione dellelio detto ciclo del triplo elio o 3, in cui tre nuclei di elio si fondono
per formare un nucleo di carbonio ed un fotone energetico.
3
2
4
6
12
He C +
Secondariamente il Carbonio pu assorbire un altro nucleo di elio e trasformarsi in Ossigeno
6
12
2
4
8
16
C He O +
Contemporaneamente un sottile strato di idrogeno al di sopra del nucleo raggiunge le temperature
necessarie per fondere idrogeno in elio. Si formano cos due strati concentrici a livello dei quali
viene prodotta energia mediante fusioni di diverso tipo.
Le stelle rimangono in stadio di gigante rossa per tempi molto brevi se paragonati alla durata della
loro permanenza in sequenza principale. L'efficienza delle reazioni di fusione di elementi pi
pesanti dell'idrogeno diminuisce infatti progressivamente. Gi la fusione dell'Elio in Carbonio
presenta un difetto di massa dello 0,065% contro lo 0,7% della fusione dell'Idrogeno in Elio.
L'Elio ha massa 4,0026 uma e quindi 3 atomi di Elio 12,0078 uma, mentre il Carbonio 12 pesa 12 uma. Il difetto di
massa pari a 12,0078 - 12 = 0,0078 uma. Il valore percentuale quindi 0,0078/12,0078 = 0,00065.
Durante le reazioni di fusione si generano anche neutroni liberi che sono responsabili della
formazione di elementi chimici pi pesanti, attraverso i cosiddetti processi-s, in cui un nucleo
cattura un neutrone e subisce un decadimento beta aumentando il suo numero atomico.
Vengono definiti processi-s (da slow = lento) le reazioni di assorbimento neutronico da parte di un nucleo, in presenza
di una densit di neutroni relativamente bassa. In queste condizioni il neutrone catturato ha il tempo di decadere
(decadimento ) prima che un nuovo neutrone venga assorbito.
La presenza negli spettri stellari delle righe del Tecnezio (Tc) rappresenta una delle migliori conferme dellesistenza
della nucleosintesi stellare e dei processi-s. Il Tecnezio non ha infatti isotopi stabili (non esiste sulla terra). Anche il pi
stabile, il Tc-98, ha un tempo di dimezzamento di due milioni di anni.
Quando lElio del nucleo comincia ad esaurirsi e l'energia prodotta torna a diminuire la forza
gravitazionale prevale ancora e la stella collassa nuovamente.
Le stelle di media massa non sono per in grado di comprimere ulteriormente la materia al loro
interno, in quanto vengono raggiunte densit tali che la degenerazione elettronica in grado di
contrastare la forza gravitazionale. All'interno della gigante rossa si forma in modo quiescente
(senza eventi esplosivi) una nana bianca. Inizialmente la nana bianca oscurata dal guscio di gas e
polveri che forma gli strati pi esterni della gigante rossa.
Poich le nane bianche possono esistere come tali solo al del limite di Chandrasekhar, pari a 1,44
M , gli astrofisici ritengono che durante l'evoluzione quiescente da gigante rossa a nana bianca, la
stella debba espellere, sotto forma di un intenso vento stellare, buona parte della sua massa iniziale.
Ci contribuisce a sospingere ad una certa distanza dalla nana bianca l'inviluppo gassoso, il quale
va a formare una specie di guscio opaco a circa 1 anno luce dal centro. La materia che compone
tale guscio, eccitata dalla radiazione emessa dalla nana bianca, diventa visibile emettendo per
fluorescenza (emissione su lunghezze d'onda superiori a quelle assorbite) prima di disperdersi nello
spazio.
Oggi si ritiene che gli oggetti celesti che verso la fine del '700 Herschel aveva denominato nebulose
planeterie per il loro aspetto sferico e compatto, rappresentino appunto tale fase di transizione di
stelle di media massa, da giganti rosse a nane bianche. Lestrema rarefazione delle nebulose
planetarie (10
3
particelle per cm
3
) responsabile della formazione di alcune righe proibite (ad
58
esempio le due intense righe verdi a 4959 e 5007 dellOIII), inizialmente attribuite ad elementi
chimici sconosciuti (come il nebulio o il coronium individuato nella corona solare).
Le righe proibite sono dovute a transizioni elettroniche estremamente poco probabili nelle
condizioni di densit del gas raggiungibili nei laboratori terrestri, dove lelevata frequenza degli
urti tra le particelle porta a continue eccitazioni e diseccitazioni collisionali. Nelle atmosfere
rarefatte delle nebulose planetarie, dopo che una particella si eccitata a causa di un urto, un
secondo urto poco probabile e la diseccitazione pu avvenire tramite emissione di radiazione.
Conferme di tale modello teorico vengono ancora una volta dall'analisi dei diagrammi HR di gruppi
di stelle omogenee per et, quali sono quelle che formano i cosiddetti ammassi stellari. Come
abbiamo gi detto gli astrofisici ritengono che le stelle di un ammasso abbiano approssimativamente
la stessa et e la stessa composizione chimica. In conseguenza di ci, la diversa posizione assunta
nel diagramma HR deve essere funzione solo della massa delle diverse stelle. Nella nostra galassia
esistono due tipi fondamentali di ammassi: gli ammassi aperti (o di disco) e gli ammassi globulari
(o di alone).
I diagrammi HR degli ammassi aperti presentano tutti la sequenza principale interrotta nella sua
parte superiore. Nel punto di interruzione le stelle piegano verso destra, andando a formare un
uncino detto punto di svolta o turn-off point. Qui il diagramma manca quasi completamente di stelle
(lacuna di Hertzsprung) per poi riprendere nella regione delle giganti rosse.
Mettendo a confronto diagrammi HR di ammassi diversi si osserva che la posizione del punto di
svolta diversa da ammasso ad ammasso.
Gli astrofisici interpretano tali diagrammi come
una conferma delle loro teorie sull'evoluzione
stellare. Il punto di svolta coglie infatti le stelle
che stanno lasciando la sequenza principale per
trasformarsi in giganti rosse. Naturalmente le
stelle pi massicce, che si sono evolute pi
rapidamente, si sono gi trasformate in giganti
rosse e mancano quindi dalla sequenza
principale. In tal modo ammassi che presentano
un punto di svolta molto basso debbono essere
ritenuti pi vecchi, in quanto anche stelle di
massa minore hanno gi lasciato la sequenza
principale per trasformarsi in giganti rosse.
Esiste una relazione tra posizione del punto di
svolta ed et dell'ammasso stellare.
La lacuna di Hertzsprung si giustifica con il
fatto che la transizione dalla sequenza principale alla zona delle giganti rosse talmente rapida che
molto poco probabile cogliere le stelle in questa fase.
La lacuna di Hertzsprung non comunque completamente priva di stelle. E' infatti proprio qui che
possiamo trovare le variabili intrinseche come le "cefeidi" e le variabili di tipo "Mira", a
testimonianza del fatto che la transizione avviene attraverso delle vistose modificazioni degli
equilibri interni della stella.
I diagrammi HR degli ammassi globulari mostrano tutti punti di svolta estremamente bassi, con
la sequenza principale ridotta praticamente alle nane rosse (subnane), a testimonianza del fatto che
si tratta di aggregati di stelle estremamente vecchie. Si calcola che essi abbiano oltre 10 miliardi di
anni.
59
Nel 1942 Baade accert una sostanziale differenza nei tipi spettrali e nella composizione chimica
delle stelle appartenenti agli ammassi aperti rispetto alle stelle appartenenti agli ammassi globulari.
Infatti mentre le stelle degli ammassi globulari risultarono composte essenzialmente da idrogeno ed
elio, le stelle degli ammassi aperti (e delle altre stelle appartenenti al disco galattico, come il sole)
contenevano anche quantit pi o meno apprezzabili di tutti gli altri elementi chimici (che gli
astrofisici chiamano in modo improprio "metalli"). Baade suddivise cos le stelle in due
popolazioni. Le stelle come il sole, contenenti anche metalli furono dette stelle di popolazione I, le
stelle senza metalli come quelle degli ammassi globulari, stelle di popolazione II.
Oggi gli astronomi ritengono che le due popolazioni stellari siano il prodotto di diverse generazioni
stellari. In altre parole le stelle di popolazione II, prive di elementi pi pesanti si sarebbero formate
per prime all'interno della galassia, quando ancora gli unici elementi a disposizione erano l'idrogeno
e l'elio formatisi durante il Big Bang (nucleosintesi primordiale). Esse rappresentano dunque la
prima generazione stellare. Quando poi le stelle pi massicce di prima generazione hanno arricchito
le nebulose galattiche di elementi pi pesanti attraverso esplosioni di supernovae, le successive
generazioni stellari hanno prodotto stelle ricche di 'metalli', classificate come stelle di popolazione
I. Esse costituiscono quindi stelle di seconda generazione o, in generale, stelle di generazioni
successiva alla prima.
I diagramma HR di ammassi globulari sono quindi diversi dai diagrammi HR degli ammassi aperti,
sia per la differenza di et che si esprime in una diversa posizione del punto di svolta (molto pi
bassa), sia per la diversa composizione chimica. Ricordiamo infatti che, per il teorema di Vogt-
Russell, il tipo di evoluzione stellare dipende esclusivamente dalla massa e dalla composizione
chimica. Gli astrofisici ritengono ad esempio che il cosiddetto ramo orizzontale che compare nei
diagrammi HR degli ammassi globulari sia da mettere in relazione proprio alla loro diversa
composizione chimica. Si tratta di una sequenza quasi orizzontale di stelle che congiunge la zona
delle giganti rosse con la parte mediana della sequenza principale.
Gli astrofisici ritengono che essa sia prodotta dal fatto che le stelle, dopo essersi trasformate in
giganti rosse, mutano rapidamente le loro caratteristiche di temperatura e luminosit, ritornando al
centro della sequenza principale. Da qui si ritrasformano lentamente in giganti rosse, producendo il
ramo orizzontale.
Nel braccio orizzontale si trovano le cefeidi del tipo RR Lyrae (e le W Virginis), a testimonianza
del fatto che la trasformazione avviene attraverso condizioni di non equilibrio.
60
Un'altra caratteristica dei diagrammi HR degli ammassi globulari l'assenza della lacuna di
Hertzsprung. Le stelle poco massicce rimaste in sequenza principale si trasformano infatti in giganti
rosse in modo talmente lento che diventa probabile coglierle in tutte le fasi intermedie del loro
percorso ed esse si uniscono quindi alla zona delle giganti rosse con un tratto continuo. Le stelle di
sequenza di popolazione II sono inoltre leggermente meno luminose (classe VI di luminosit =
subnane) dei corrispondenti tipi spettrali di popolazione I (classe V di luminosit = nane).
3) Stelle di grande massa (8M < M < 120 M ).
Stelle di tipo spettrale O e B (fino a B3), comprendono meno dell1%) delle stelle di sequenza
principale. Quando lidrogeno del nucleo si trasformato in Elio e non viene pi prodotta energia
sufficiente per contrastare la forza gravitazionale, la stella collassa e comprime il suo nucleo di elio
fino ad innescarne la fusione. Contemporaneamente un guscio esterno di Idrogeno raggiunge la
temperatura di fusione, mentre gli strati pi superficiali si espandono enormemente fino a
trasformare la stella in una supergigante, con dimensioni che possono raggiungere 1000 volte quelle
del sole.
Quando il nucleo di Elio si sar trasformato in un nucleo di C/O ed il guscio esterno di idrogeno si
sar trasformato in Elio, la produzione di energia comincer a diminuire, costringendo la stella a
collassare nuovamente. Durante questa contrazione, le stelle di grande massa sono in grado di
portare le temperature del loro nucleo a valori intorno ai 2 miliardi di gradi, sufficienti per innescare
la fusione del Carbonio, con formazione di Neon e Magnesio ( )
10
20
12
24
Ne Mg ; . Contemporaneamente
Il guscio esterno di Elio si riaccende per dare Carbonio e Ossigeno, mentre un terzo guscio si
aggiunger ai primi due dove l'idrogeno sar in grado di formare elio.
Ogni qual volta lenergia si esaurisce il meccanismo si ripete e ciascun guscio fonde per dare
elementi pi pesanti, mentre un nuovo guscio si aggiunge esternamente.
Nello stadio successivo lOssigeno fonde producendo prevalentemente Silicio e Zolfo ( )
14
28
16
32
Si S ;
ed infine il Silicio genera Ferro e Nichel ( )
26
56
28
60
Fe Ni ; In questo modo all'interno dell'enorme e
rarefatto inviluppo gassoso che caratterizza una supergigante, si produce una struttura annidata a
cipolla, densa e compatta, formata da strati concentrici, caratterizzati da temperature e densit
crescenti verso il centro, in cui si producono per fusione elementi sempre pi pesanti.
Abbondanze cosmiche degli elementi e nucleosintesi
Fred Hoyle fu il primo ad intuire che che gli elementi chimici potessero formarsi nelle stelle durante la loro evoluzione.
Insieme a William Fowler e ai coniugi Margaret e Geoffrey Burbidge (scherzosamente riuniti nella sigla HB2F), mise a
punto i primi modelli di nucleosintesi stellari (1957). Il loro pionieristico lavoro venne in seguito esteso e perfezionato con
la collaborazione di R.W. Wagoner (1967).
I modelli teorici elaborati per prevedere i processi di nucleosintesi stellare (cio quali elementi chimici, ed in che
proporzioni, si formino durante levoluzione di una stella) sono in grado di giustificare in modo molto soddisfacente le
percentuali cosmiche osservate (abbondanze relative) degli elementi chimici, con leccezione dellIdrogeno e dellElio.
Lorigine di questi ultimi da ritenersi cosmologica e le loro abbondanze ben si accordano, come vedremo, con quelle
previste dai modelli elaborati per la nascita delluniverso (Big Bang e relativi processi di nucleosintesi primordiale).
Da questo punto di vista la composizione chimica delluniverso pu essere considerata una testimonianza archeologica
della sua storia evolutiva, un reperto fossile cruciale dove sono registrate le trasformazioni cui stata sottoposta la
materia dalla sua nascita ad oggi.
Lelemento di gran lunga pi diffuso nelluniverso lIdrogeno ( 73% in peso), seguito dallElio ( 25% in peso) e da
tutti gli altri elementi chimici ( 2% in peso) con al primo posto lOssigeno seguito da C, N, Ne, S, Si, Fe.
Ogni 100.000 atomi di Idrogeno ve ne sono 8.500 di Elio, 65 di Ossigeno, 35 di Carbonio, 20 di Azoto.
In generale labbondanza relativa di un elemento chimico nelluniverso diminuisce allaumentare del suo numero atomico
Z. Troviamo per alcune interessanti regolarit: gli elementi con Z dispari sono meno frequenti dei loro vicini con Z pari e
si evidenziano inoltre picchi di frequenza in corrispondenza degli elementi con numero di massa A multiplo intero di 4
(massa dellElio) come C-12, O-16, Ne-20, Mg-24, Si-28, S-32, Ar-36, Ca-40, Ti-48, Cr-52, Fe-56, Ni-60.
Tali regolarit si spiegano facilmente ricordando che lElio (Z = 2 e A = 4) rappresenta il mattone fondamentale con il
quale vengono costruiti per successiva fusione gran parte degli elementi pi pesanti.
61
La produzione di energia in queste fusioni per via via inferiore, poich sempre minore risulta il
difetto di massa. Il limite di questo processo risulta essere lo stadio del ferro, poich la fusione del
ferro per formare nuclei pi massicci richiede energia (reazione endoergonica) invece di produrla.
Cos invece di contrastare il collasso gravitazionale la fusione del ferro lo accelera. Ne segue una
fase di implosione delle regioni centrali della stella.
Il nucleo centrale di Ferro crolla su se stesso con una velocit che si calcola essere circa un quarto
di quella della luce. L'energia gravitazionale in tal modo liberata produce una immensa onda d'urto
che spazza via le regioni pi esterne, in una esplosione di elevatissima potenza detta supernova (di
tipo II). Gli strati pi esterni della stella, investiti da un'enorme quantit di energia, la utilizzano per
produrre elementi di peso atomico superiore tramite processi-r, di cattura rapida di neutroni. E' cos
che le supernovae arricchiscono l'universo di tutti gli elementi chimici, anche quelli pi pesanti,
formando nuove nebulose, dalla contrazione delle quali nascono successive generazioni stellari.
Vengono definiti processi-r (da rapid = rapido) le reazioni di assorbimento neutronico da parte di un nucleo, in presenza
di una elevata densit di neutroni. In queste condizioni il neutrone catturato non ha il tempo di decadere (decadimento )
prima che un nuovo neutrone venga assorbito ed in tal modo il nucleo pu rapidamente aumentare il suo numero di
massa.
Una supernova in grado di produrre luce quanto una piccola galassia, presenta infatti in media una
magnitudine assoluta pari a M = -18. La prima supernova ad essere avvistata e di cui abbiamo
notizia dalle cronache cinesi e giapponesi, fu la supernova del 1054 d.C. nella costellazione del
Toro, che rimase visibile in pieno giorno per alcune settimane.
In tempi pi recenti sono state avvistate nella nostra galassia soltanto altre due supernovae. Quella
studiata da Tycho Brahe nel 1572 e quella di Keplero del 1604.
Ormai sono quasi quattro secoli che non esplode pi una supernova nella nostra galassia e gli
astronomi sono costretti a studiare le supernovae che esplodono in galassie esterne. Moltissime
informazioni sono state ottenute dalla supernova esplosa nel 1987 nella grande Nube di Magellano,
una piccola galassia, satellite della nostra. L'esplosione di una supernova produce una enorme nube
di gas e polveri in espansione. Particolarmente studiata la nebulosa del Granchio (Crab Nebula),
prodotta dalla supernova del 1054 ed ancor oggi perfettamente visibile.
La parte centrale della stella, che ha subito il collasso, pu evolvere secondo tre modelli diversi in
funzione della massa residua, andando a formare diverse classi di oggetti collassati. Se la massa che
rimane dopo l'esplosione inferiore 1,44 M

(M
Ch
= limite di Chandrasekhar) si forma una nana
bianca, se compresa tra 1,44 M

e circa 3 M (M
OV
= limite di Oppenheimer-Volkov) si forma
una stella a neutroni, se supera le 3 M

si forma un buco nero.
11.4 Evoluzione stelle doppie: binarie cataclismiche (novae e supernovae Ia)
Quando in un sistema di stelle doppie le due stelle possiedono masse diverse e sono
sufficientemente vicine (doppie strette) da riuscire, in opportune condizioni, a rubarsi
reciprocamente materia, si producono fenomeni particolari di evoluzione stellare. La stella di massa
maggiore, indicata come primaria, subisce infatti un'evoluzione pi rapida e diventa una gigante
rossa quando la stella meno massiccia, indicata come secondaria, ancora in sequenza principale.
A questo punto, se le stelle sono sufficientemente vicine, parte dell'inviluppo gassoso della gigante
rossa cade sulla stella secondaria, accelerandone l'evoluzione.
Col procedere dell'evoluzione la stella primaria si trasformer in una nana bianca mentre la
secondaria diverr a sua volta una gigante rossa. Successivamente il flusso di materia destinato ad
invertirsi e parte dell'inviluppo gassoso della secondaria cadr sulla nana bianca (primaria). La
materia entrando in orbita intorno alla nana bianca forma un anello di accrescimento. Nel punto in
cui il flusso di materia urta l'anello di accrezione si produce un forte aumento di temperatura che si
manifesta tramite una macchia luminosa (macchia calda). Quando la materia che si accumula sulla
superficie della nana bianca raggiunge la temperatura di fusione essa esplode come un'atomica.
62
Lesplosione cos violenta che la luminosit della stella aumenta fino a 150.000 volte in poche
ore.
I primi fenomeni di questo tipo furono inizialmente interpretati come l'accensione di una nuova
stella in cielo. La prima nova fu osservata, secondo quanto narra Plinio, da Ipparco nel 143 a.C.
Fino ad oggi ne sono state osservate qualche centinaio, non tutte ugualmente splendenti.
Spesso il fenomeno della nova non giunge a distruggere il sistema binario, per cui la stella
secondaria pu continuare a perdere materia a favore della primaria fino ad una nuova esplosione
che in genere si manifesta ogni 10 - 20 anni (novae ricorrenti). A differenza delle novae non
ricorrenti che manifestano magnitudini assolute molto diverse, le nove ricorrenti presentano tutte la
stessa magnitudine assoluta (M = -7,5) e rappresentano pertanto dei buoni indicatori di distanza.
In alcuni casi invece il fenomeno risulta particolarmente violento e l'aumento di luminosit (M = -
20) diventa addirittura superiore a quello delle supernovae di II tipo (M = - 18). Gli astronomi
indicano queste esplosioni come supernovae di tipo Ia e ritengono che in tal caso il sistema stellare
ne risulti completamente distrutto. Si ritiene che ci avvenga quando la nana bianca si trova al
limite di Chandrasekhar. Lulteriore acquisto di materia avvia un collasso gravitazionale che
innesca una reazione di fusione esplosiva nelle regioni centrali della stella.
Tipicamente la luminosit di una supernova di tipo Ia raggiunge il massimo in circa tre settimane
per poi diminuire progressivamente nellarco di alcuni mesi. Presentano una luminosit massima
che varia leggermente da caso a caso, ma che ben correlata con la durata dellesplosione (periodo
di aumento della luminosit). Le esplosioni pi lunghe sono caratterizzate da una maggiore
luminosit. Misurando la durata del periodo esplosivo quindi possibile effettuare le opportune
correzioni e calcolare la luminosit intrinseca con un errore che attualmente si stima essere intorno
al 10%. Ci fa delle supernovae di tipo Ia le candele campione meglio calibrate ed attualmente pi
utilizzate. Le supernovae di tipo Ia esplodono in una galassia mediamente ogni 300 anni.
Le supernove di tipo Ib non presentano nei loro spettri le righe dellIdrogeno. Si ritiene che le supernove di tipo Ib siano
prodotte da esplosioni analoghe alle supernove di tipo II, in cui linviluppo gassoso superficiale di Idrogeno sia stato in
qualche modo asportato.
63
64
12 Le stelle: Oggetti collassati
12.1 Stelle a neutroni e pulsar
Le stelle a neutroni si formano quando la forza gravitazionale talmente intensa da vincere la
repulsione elettronica associata alla materia degenere. Gli elettroni vengono spinti all'interno dei
nuclei atomici dove si uniscono ai protoni per trasformarsi in
un neutrone ed un neutrino. In queste condizioni la stella
diventa un unico enorme nucleo atomico formato solo da
neutroni in cui la densit enorme, dell'ordine di 10
15
- 10
17
g/cm
3
(1-100 miliardi di tonnellate).
Le stelle a neutroni presentano densit dello stesso ordine di grandezza
della densit dei nuclei atomici. Un nucleo ha massa dellordine di 10
-24
g,
dimensioni dellordine di 10
-13
cm e volume dellordine (10
-13
)
3
= 10
-39
cm
3
.
La densit pertanto dellordine di 10
-24
/10
-39
= 10
15
g/cm
3
.
Le stelle a neutroni presentano un diametro caratteristico di
una decina di chilometri. Dovendo poi rispettare la legge
della costanza del momento angolare, con il procedere del
collasso (diminuzione del raggio) la velocit di rotazione
della stella aumenta progressivamente fino a raggiungere
valori estremamente elevati.
L'esistenza delle stelle a neutroni venne ipotizzata teoricamente nel 1932 da L.D. Landau. Nel 1934
Zwicky sugger che una stella a neutroni potesse formarsi in certe condizioni come residuo
dell'esplosione di una supernova.
Per poter confermare l'esistenza delle stelle a neutroni necessario attendere la scoperta negli anni
'60 delle pulsar.
La prima pulsar, una sorgente celeste che emetteva impulsi radio ad intervalli regolari di 1,3
secondi, venne scoperta nel 1967 dai radioastronomi di Cambridge. I giornali parlarono addirittura
di extraterrestri che tentavano di comunicare con noi.
Gli astrofisici ritenevano invece si trattasse di una stella in rapidissima rotazione (per l'appunto un
giro ogni 1,3 secondi) in grado di inviare un segnale radio ad ogni rotazione (modello a faro).
Naturalmente solo stelle sufficientemente piccole e dense da non essere mandate in pezzi dalle
enorme forza centrifuga, potevano ruotare ad una tale velocit. La maggior parte degli astrofisici
pensava ad una stella a neutroni e la conferma arriv l'anno successivo.
Gli astronomi pensarono infatti che se le pulsar erano effettivamente stelle a neutroni e le stelle a
neutroni si formavano come residuo di un'esplosione di supernova, allora si sarebbe forse potuto
scoprire una pulsar al centro della nebulosa del Granchio.
Nel 1968 si scopr che la nebulosa del Granchio conteneva una velocissima pulsar che emetteva un
segnale ogni 33 millisecondi (circa 30 giri al secondo). Si tratt di una notevole conferma sia della
natura delle pulsar che del modello di evoluzione di una supernova.
Si ritiene che l'emissione degli impulsi radio regolari da parte di una pulsar sia dovuto al campo
magnetico estremamente intenso associato alla stella, il cui asse non coincide con l'asse di rotazione
della stella. In tal modo la stella ruotando costringe l'asse magnetico ed il campo stesso a compiere
un rapido movimento doppio conico. L'intenso campo magnetico rotante cattura e trascina in rapida
rotazione il plasma stellare, con produzione di fasci rotanti di radiazione.
Nel caso la massa residua in via di collasso ecceda il limite di Oppenheimer-Volkov nemmeno i
neutroni riescono ad arrestare l'implosione e tutta la materia si concentra in un punto a densit
infinita. La stella si trasforma in un buco nero.
linee campo
magnetico
rotazione
asse magnetico
Emissione radio
collimata
Plasma in
caduta
asse
magnetico
asse di
rotazione
65
12.2 Buchi neri
Un buco nero un oggetto nei cui dintorni la gravit talmente elevata da non permettere nemmeno
alla luce di evadere. Tale comportamento si manifesta fino ad una certa distanza critica, detta
raggio di Schwarzschild.
Per calcolare il raggio di Schwarzschild consideriamo che la velocit che un corpo di massa "m" deve possedere per
vincere l'attrazione gravitazionale di un altro corpo di massa maggiore "M", detta velocit di fuga pu essere calcolata
eguagliando l'energia cinetica all'energia gravitazionale (Ecin = Egrav)
1
2
2
mv G
mM
R

da cui la velocit di fuga risulta pari a


v
GM
R

2
Dunque se, a parit di massa M, il raggio R della stella diminuisce, la velocit di fuga deve aumentare. Poich in un buco
nero il raggio destinato ad azzerarsi la velocit di fuga tende ad infinito. Quando, durante la contrazione, la velocit di
fuga diventa uguale alla velocit della luce,
v
GM
R
c
2

il raggio assume un valore critico, pari a
R
GM
c
s

2
2
Tale raggio detto appunto raggio di Schwarzschild. Esso viene
dunque definito come il raggio entro il quale una data massa deve
essere compressa affinch la velocit di fuga eguagli la velocit della
luce.
Per una stella della massa del sole il raggio di Schwarzschild assume il
valore di 3 km, per la terra di 1 cm.
Nel caso dell'implosione di una supernova di II tipo la materia continua la sua caduta fino a densit
infinita. La superficie sferica individuata dal raggio di Schwarzschild ha comunque una sua
importanza fisica e viene detta orizzonte degli eventi. Infatti, poich non esiste nessun corpo in
grado di raggiungere la velocit della luce, nessun corpo che si trovi all'interno dell'orizzonte degli
eventi possiede velocit sufficiente per uscirvi. Ci vale anche per la radiazione elettromagnetica
che all'interno dell'orizzonte possiede una velocit inferiore alla velocit di fuga. Nessuna
informazione ci pu perci giungere dall'interno dell'orizzonte degli eventi che circonda un buco
nero.
Da un punto di vista teorico sono possibili anche buchi neri a densit finita. Se infatti aumenta la massa del corpo in
fase di collasso gravitazionale, aumenta anche il raggio di Schwarzschild. In queste condizioni un oggetto pu
raggiungere il suo raggio di Schwarzschild in corrispondenza di una densit relativamente bassa.
Eleviamo al cubo il raggio di Schwarzschild ed esprimiamolo in funzione della densit

M
R
4
3
3
, ottenendo

3
32
6
3 2
c
G M
Se ad esempio una galassia di piccole dimensioni, poniamo di 10
8
masse solari, collassasse fino al suo raggio di
Schwarzschild, potrebbe formare un buco nero di circa 2 U.A. (se fosse al posto del sole arriverebbe oltre Marte) e con
la densit dell'acqua.
La speranza di osservare un buco nero oggi riposta sull'eventualit che uno di essi si trovi
all'interno di un sistema binario. In tal caso potremmo osservare una stella che sta ruotando intorno
ad un "nulla" che presenta le caratteristiche di massa di un buco nero. Inoltre il buco nero sarebbe in
grado di fagocitare la stella compagna, rubandole materia. Cadendo all'interno del buco nero tale
materia sarebbe destinata, secondo gli astrofisici, a ruotare in modo vorticoso in una spirale sempre
pi stretta, riscaldandosi fino a temperature molto elevate con emissione di una tipica radiazione
66
nella banda dei raggi X. Gli astrofisici ritengono ad esempio che la sorgente di raggi X nella
costellazione del Cigno, nota come Cignus X-1, potrebbe essere prodotta da un buco nero. Un buco
nero che fagocita materia rappresenta il pi efficiente meccanismo di produzione di energia, dopo il
processo di annichilazione materia-antimateria. La sua efficienza pu giungere fino al 50% contro
lo 0,7% del ciclo p-p.
Infatti, un corpo di massa m che da grande distanza (idealmente da distanza infinita, dove lenergia potenziale nulla) si
avvicina fino a distanza R ad un corpo di massa M, in grado di liberare una quantit di energia gravitazionale pari a
R
mM
G
R
mM
G
R
mM
G E +

,
_

,
_

0
Se ora sostituiamo ad R il raggio di Schwarzschild, otterremo l'energia che la particella di massa m pu arrivare a
dissipare durante la sua caduta verso un buco nero fino all'orizzonte degli eventi
2 / 2
2
2
mc
c GM
mM
G
R
mM
G E
s

Come si vede met della massa della particella pu essere trasformata in energia con un'efficienza massima del 50%.
Nessun oggetto materiale pu giungere indenne al centro di un buco nero. Durante il percorso esso
subisce infatti delle violente sollecitazioni interne (effetti mareali) che tendono ad allungarlo nel
senso di caduta, fino a ridurlo in brandelli. Si tratta delle stesse forze che sulla terra producono le
maree, allungando lidrosfera lungo lasse Terra-Luna. Le forze mareali sono un effetto della
differente attrazione gravitazionale cui sono sottoposti punti diversi di uno stesso corpo. Esse sono
dunque proporzionali non al valore della gravit in un certo punto, ma alla differenza di gravit
esistente tra due punti.
Consideriamo un corpo di lunghezza 2L e massa m che stia cadendo verso un buco nero di massa M. Quando si trova a
distanza d dal centro del buco nero, esso sottoposto ad una forza gravitazionale
F G
Mm
d
g

2
, che agisce sul
baricentro B, generando unaccelerazione
a
F
m
GM
d
g

2
.
Ma nel medesimo istante, i punti A e C, che si trovano ai due estremi del corpo a
distanza rispettivamente minore ( d d L
A
) e maggiore ( d d L
C
+ ) dal
centro del buco nero, sono sottoposti ad una attrazione gravitazionale pi intensa (
F
g
A
) e meno intensa (
F
g
C
) rispetto a quella che agisce sul baricentro (
F
g
B
).
Il punto A possiede quindi una maggior accelerazione rispetto a B, pari a
( )
a
GM
d L
A

2
mentre il punto C soggetto ad unaccelerazione inferiore e pari a
( )
a
GM
d L
C

+
2
In altre parole mentre nel baricentro B vi corrispondenza tra forza applicata e
accelerazione generata, questo non accade negli altri punti. Qui infatti
laccelerazione tende a rimanere la stessa che si ha nel baricentro (il corpo infatti
rigido e tutti i suoi punti si muovono in modo solidale), mentre la forza applicata
risulta diversa per la diversa distanza dal centro di attrazione.
Si determinano pertanto delle tensioni interne che tendono ad allungare il corpo ed
i cui effetti in un certo punto sono evidentemente proporzionali alla differenza tra la
gravit nel punto e la gravit al baricentro. Calcoliamo ad esempio laccelerazione
differenziale (e quindi anche la corrispondente forza mareale) a cui sottoposto il
punto A.
( )
a a a
GM
d L
GM
d
M A B


2 2
67
( )
( )
a GM
d d L dL
d d L
M

+

2 2 2
2
2
2
nellipotesi che le dimensioni del corpo siano trascurabili rispetto alla distanza che lo separa dal centro di attrazione (
L d <<
) possiamo omettere nelle somme sia L (rispetto a d), che L
2
(rispetto a d
2
), ottenendo il seguente risultato
approssimato
a GM
dL
d
GM L
d
M

2 2
4 3
dove si dimostra che le forze mareali sono direttamente proporzionali alla distanza L del punto dal suo baricentro ed
inversamente proporzionali al cubo della distanza d del baricentro dal centro di attrazione. Naturalmente allaltra
estremit il corpo sar sottoposto ad una forza eguale e contraria.
In un buco nero, dove la gravit raggiunge valori elevatissimi, le differenze di gravit su dislivelli anche molto piccoli
diventano talmente elevate da produrre la completa disgregazione in senso radiale dei corpi in caduta. Ad esempio
lintensit delle forze mareali per unit di massa (quindi laccelerazione) in corrispondenza del raggio di Schwarzschild
pari a

a
GM L
R
GM L
GM
c
c
GM
L
M
S
S

_
,

_
,

2 2
2
2
3
2
3
3
2
Se per ipotesi il Sole (M = 2 10
33
g) si trasformasse in un buco nero, un uomo dellaltezza di 2 m subirebbe,
attraversando lorizzonte degli eventi, un effetto mareale dellordine di 10
12
cm/s
2
. La testa ed i piedi verrebbero strappate
in direzione opposta con unaccelerazione 1 miliardo di volte superiore alla normale accelerazione di gravit.
Fino a non molto tempo fa si riteneva che un buco nero potesse solo accrescersi inglobando altra
materia. Recentemente Hawking ha dimostrato che la superficie di un buco nero pu dare fenomeni
di "evaporazione quantistica" legati al principio di indeterminazione di Heisenberg.
13 Il Mezzo interstellare
Un tempo si riteneva che lo spazio galattico interstellare fosse praticamente vuoto. Oggi lesistenza
di materiale diffuso tra gli oggetti condensati (stelle, pianeti etc) stata definitivamente accertata
sulla base di innumerevoli evidenze osservative. Il mezzo interstellare (ISM interstellar medium)
costituisce circa il 10-15 % della massa galattica ed composto per il 99% circa (in massa) di gas e
per il rimanente 1% di polvere.
13.1 Polvere
La polvere formata da particelle solide di minuscole dimensioni (0,1

- 1 ), costituite
prevalentemente di grafite, solfuro di carbonio (CS), silicati e ghiacci. Ciascuna particella
mediamente formata da 10
8
atomi. La densit media di 100 particelle di polvere per km
3
(10
-13
particelle per cm
3
). Leffetto principale della polvere quello di assorbire e, soprattutto, di
diffondere (scattering) la luce. Ci provoca una diminuzione della luminosit delle stelle che prende
il nome di estinzione interstellare. Lestinzione dipende naturalmente dalla quantit di polvere
interposta e di conseguenza anche dalla distanza della stella.
Si calcola che mediamente vi sia una diminuzione di magnitudine apparente pari a 1-2 gradi per
kpc.
La luce che proviene dal centro della galassia, posto a circa 10 kpc, subisce una diminuzione molto pi elevata di circa
27/28 gradi di magnitudine. In altre parole dal centro della galassia ci arriva solo 1 fotone ogni 100 miliardi. Infatti, se il
68
rapporto tra flusso percepito ed flusso in assenza di estinzione 1/10
11
, applicando la relazione di Pogson si ottiene
5 , 27
10
1
log 5 , 2
11
m )
Inoltre per le loro dimensioni i granuli diffondono prevalentemente la luce a minor lunghezza
donda (luce blu) e per questo motivo le stelle appaiono sistematicamente pi rosse (pi corretto
sarebbe dire meno blu) di quanto ci si potrebbe aspettare sulla base del loro tipo spettrale
(arrossamento interstellare o reddening). Si tratta dello stesso fenomeno che arrossa il sole allalba
e al tramonto, quando la sua radiazione deve attraversare uno strato pi spesso di atmosfera
Essendo lentit dellarrossamento proporzionale alla quantit di polvere interposta, esso di
conseguenza correlabile al grado di estinzione. Ci permette agli astronomi di apportare le
opportune correzioni alla luminosit, sulla base del livello di arrossamento.
La differenza tra lindice di colore (B-V) osservato e quello teorico fornisce un parametro noto come eccesso di colore
EB-V. Maggiore larrossamento, minore il flusso nel blu, maggiore la magnitudine nel blu B, maggiore lindice di colore
osservato e, di conseguenza, pi elevato leccesso di colore. Leccesso di colore correlato allestinzione (o
assorbimento, absorption) AV nella banda del visibile V, dalla relazione
V B V
E A

2 , 3 . Una volta calcolata,
lestinzione AV si utilizza per correggere i valori di magnitudine apparente misurati 5 log 5 ) (
10
+ D A m M
V
13.2 Gas
Il gas costituito essenzialmente da idrogeno (73% in massa), elio (25% in massa) e da minime
percentuali di altri elementi (2% - in prevalenza O, C, N, Ne, S, Si, Fe).
Presenta una densit media di 1 particella per centimetro cubo La pressione circa 10
25
volte
inferiore a quella atmosferica.
I diversi elementi possono presentarsi, a seconda delle condizioni termodinamiche del gas sia in
forma atomica (neutra o ionizzata) che in forma molecolare.
In particolare lidrogeno si presenta in forma:
- ionizzata (Regioni H II)
- atomica (idrogeno neutro o Regioni H I)
- molecolare (H
2
)
Lidrogeno neutro (atomico) e quello ionizzato si osservano facilmente.
Lidrogeno neutro (HI) emette una riga di 21 cm, il secondo emette nel visibile la tipica radiazione
rossa della serie di Balmer (riga H

) dellidrogeno eccitato. Lidrogeno molecolare invece difficile


da osservare direttamente e per rilevarlo si utilizza come sonda la molecola di CO (la seconda
molecola per abbondanza dopo lidrogeno molecolare - CO/H
2
= 1/10
5
), la quale viene eccitata ed
emette proprio grazie agli urti con lH
2
unintensa riga di 2,6 mm (ed a 1,3 mm).
13.3 Distribuzione
Gas e polveri si concentrano prevalentemente sul piano galattico ed in particolare sulle braccia della
spirale, dove presentano una concentrazione dieci volte maggiore rispetto allo spazio interbraccia.
Le braccia sono disegnate da nubi di idrogeno atomico diffuso (regioni HI) punteggiate da densi
agglomerati di idrogeno molecolare (nubi molecolari giganti)
Il 50% circa del mezzo interstellare si trova diffuso nelle spire a formare le cosiddette regioni
HI dellidrogeno neutro (atomico), con una densit particellare intorno a 10 particelle/cm
3
ed
una temperatura dellordine di 10
2
K. Come si ricorder fu proprio la mappatura di tale gas
(Edward Purcell e Harold Ewen 1951) a permettere di disegnare la forma a spirale della nostra
galassia.
69
Il rimanente 50% va a costituire le cosiddette nubi molecolari giganti (o complessi molecolari
giganti GMC), enormi strutture gravitazionalmente legate, immerse nelle vaste regioni HI.
Manifestano unelevata estinzione per la presenza di elevate quantit di polveri, che proteggono
le sostanze allo stato molecolare dagli effetti distruttivi della radiazione ad alta frequenza (UV,
X, gamma etc). Sono costituite in primo luogo da idrogeno molecolare, ma in esse si trova una
grande variet di altre specie chimiche molecolari. La temperatura relativamente bassa (10 K) e
la elevata densit (
n
10
3
/10
4
cm
-3
) ne fanno i luoghi ideali per la formazione stellare.
Nonostante presentino una maggior pressione rispetto al gas che le circonda, sono
sostanzialmente stabili e non si espandono essendo probabilmente corpi autogravitanti. Dopo gli
ammassi globulari, sono gli oggetti pi massicci esistenti nella nostra galassia, con masse
dellordine di 10
5
/10
6
M . Finora ne sono state contate circa 6.000. Al loro interno la materia
nebulare pu interagire in modo diverso con la radiazione proveniente dalle stelle, diventando
osservabile nel visibile e formando in tal modo tre tipi fondamentali di nebulose: oscure, in
emissione, in riflessione. Alcune nebulose sono note fin dall'antichit. Quella di Orione ad
esempio visibile ad occhio nudo quando il cielo particolarmente terso. A differenza delle stelle
che presentano sempre un aspetto puntiforme, a qualsiasi ingrandimento, le nebulose ci
appaiono come macchie di luce diffusa (altre come macchie scure sul cielo stellato). In passato
il basso potere di risoluzione dei telescopi non permetteva di distinguere una nebulosa da una
galassia ed il termine nebulosa veniva utilizzato per indicare indifferentemente qualsiasi
oggetto dallaspetto diffuso, non puntiforme.
Le nubi oscure sono caratterizzate da una densit che decresce radialmente in modo
omogeneo dallinterno verso lesterno. Sono individuabili per lelevata estinzione che
producono sulle stelle retrostanti e si manifestano pertanto come macchie scure sul fondo
stellato. Presentano dimensioni di pochi parsec (5-10 pc) e masse pari a 10
2
-10
3
M

.
Quando le dimensioni non superano il parsec sono dette globuli. Quando si presentano come
striature scure allungate sono dette proboscidi.
Le nebulose in emissione sono regioni di idrogeno ionizzato (regioni H II) da stelle
giovani e massicce (ammassi aperti giovani, associazioni O-B), che presentano la tipica
colorazione rossastra dellidrogeno in emissione. La dimensione di una regione HII (Raggio
di Strmgren) e la sua luminosit dipendono dal tipo spettrale (e quindi dalla temperatura)
della stella eccitante. Le regioni H II possono essere per questo motivo utilizzate come
indicatori di distanza. La pressione molto elevata che caratterizza le regioni HII (T 10
4
K ;
n
10
2
/10
3
cm
-3
) ne fa delle strutture non in equilibrio e dunque in espansione,
destinate a dissolversi nel giro di qualche milione di anni. La bassa densit particellare
responsabile (come avviene anche nelle nebulose planetarie) della formazione di righe
proibite.
Se le stelle che si formano sono pi fredde, il gas e le polveri circostanti diffondono e
riflettono la radiazione emessa, producendo nebulose in riflessione. Poich le radiazioni
diffuse con maggior efficienza sono quelle a minor lunghezza donda, le nebulose a
riflessione presentano caratteristici colori bluastri (il cielo diurno azzurro per la stessa
ragione).
Recentemente si scoperto che lidrogeno atomico che forma le spire (Regioni HI) in equilibrio di
pressione con altre due fasi gassose:
- Un mezzo internebulare caldo, che separa le regioni HI, con una densit particellare intorno a
10
-1
particelle/cm
3
ed una temperatura dellordine di 10
4
K. Costituisce circa il 50% del volume
del mezzo interstellare;
70
- Un gas coronale caldissimo, che si estende fuori dal disco galattico fino allalone, con una
densit particellare intorno a 10
-3
particelle/cm
3
ed una temperatura dellordine di 10
6
K. Pur
contenendo una minima frazione della massa, costituisce circa il rimanente 50% del volume del
mezzo interstellare. stato scoperto nel 1976 da E.B.Jenkins e D.M. Elmegreen e si ritiene
possa essersi formato al passaggio delle onde durto delle esplosioni di supernova.
Come si diceva, le tre fasi sono in reciproco in equilibrio, non evidenziando alcuna tendenza ad espandersi luna a spese
dellaltra. Ci dipende dal fatto che esse presentano sostanzialmente i medesimi valori di pressione, come si pu
dedurre dal fatto che il prodotto della densit particellare per la temperatura risulta sempre costante.
Ricordando infatti che la costante di Boltzmann (k = 1.380658 10
-23
j k
-1
)) pari al rapporto tra
costante R dei gas e numero N di Avogadro, sostituendo opportunamente nellequazione di stato
dei gas perfetti si otterr
V
nkNT
V
nRT
p
osservando ora che nN/V il numero di particelle per unit di volume o densit particellare (n), possiamo scrivere
T k p
n

dove si dimostra che i gas in cui costante il prodotto (n T), presentano la stessa pressione.
Fase Densit
(particelle cm
-3
)
Temperatura
(K)
T Pressione
(pascal)
Gas atomico freddo 10 10
2
10
3
10
-20
Gas atomico caldo e diffuso 10
-1
10
4
10
3
10
-20
Gas coronale 10
-3
10
6
10
3
10
-20
La pressione del mezzo interstellare risulta quindi 10
25
volte inferiore alla pressione atmosferica (1 atm = 101325 pascal).
14 La Galassia: Via Lattea
Il sole, le stelle, le nebulose, gli ammassi stellari sono raggruppati dalla forza di gravit in una
struttura alla quale diamo il nome di Galassia. La nostra non l'unica galassia a popolare l'universo,
ma questa certezza ci deriva da scoperte relativamente recenti.
Agli inizi del nostro secolo si riteneva che la nostra galassia rappresentasse da sola l'intero cosmo o
addirittura, per una certa ripugnanza a considerarla completamente circondata dallo spazio vuoto,
che le stelle fossero distribuite in modo uniforme per tutto l'universo.
Il primo a concepire l'idea che le stelle possedessero una qualche particolare distribuzione nel
cosmo fu T. Wright. Nel 1750 Wright ipotizz che le stelle fossero disposte su di una lastra
circolare di spessore finito. Herschel dette verso la fine del '700 consistenza scientifica a tale
ipotesi, attraverso un lungo e paziente conteggio delle stelle che giunse a dimostrare come esse
fossero pi frequenti nella direzione del disco galattico che nella direzione ad esso perpendicolare.
Egli propose correttamente di interpretare la Via Lattea come una zona di cielo in cui le stelle
apparivano pi concentrate essendo disposte sul piano galattico e sugger un rapporto
spessore/diametro di 1/5.
Allinizio del 900 lolandese Jacobus Kapteyn (1901), utilizzando e perfezionando le tecniche di
conteggio stellare introdotte da Herschel stim per la prima volta le dimensioni del disco galattico
(26.000 x 6.500 al), ponendo per il sole quasi al centro del sistema.
Un'idea pi concreta sulla reale struttura della galassia, sulle sue dimensioni e sulla posizione del
sole al suo interno si inizi ad avere solo nel 1918 quando H. Shapley, utilizzando le cefeidi
presenti negli ammassi globulari, ne determin la distanza e scopr che presentavano una
71
distribuzione sferica. Egli propose correttamente che il centro della galassia dovesse coincidere con
il baricentro dell'alone galattico costituito dagli ammassi globulari. Emerse allora che il sole non si
trovava, come molti ritenevano, al centro della galassia, ma a circa 3/5 del raggio.
Shapley non poteva per sapere che le cefeidi degli ammassi globulari erano RR Lyrae, molto meno
luminose delle cefeidi classiche. In tal modo egli sovrastim le distanze degli ammassi globulari e
la nostra galassia risult erroneamente possedere dimensioni eccessive (250.000 al). In questo modo
sembrava che tutti gli oggetti osservabili rientrassero nei limiti della galassia ed in definitiva che
questultima fosse lunica struttura delluniverso.
A tale ipotesi era nettamente contrario H.D.Curtis, il quale aveva stimato in un milione di anni luce
la distanza della nebulosa di Andromeda e riteneva pertanto che si trattasse di una struttura che,
come molte altre, si trovasse al di fuori della nostra galassia.
Si accese una grande disputa che divise in due fazioni il mondo accademico sulla unicit o meno
della nostra galassia nelluniverso.
Il primo a congetturare che alcune nebulose osservate nella nostra galassia fossero in realt esse
stesse galassie esterne alla nostra (universi-isola) fu Kant nel 1755. Naturalmente ci rimase per
molto tempo una pura supposizione fino a quando nel 1923 Hubble riusc a risolvere, con il
telescopio di 2,5 metri di Monte Wilson, la nebulosa di Andromeda in stelle separate ed identific
nelle sue spire alcune Cefeidi che gli permisero di calcolarne la distanza. Essa si rivel di gran
lunga maggiore di quella di qualsiasi altro corpo celeste fino ad allora osservato all'interno della
nostra galassia. La nebulosa di Andromeda era diventata la galassia di Andromeda, la prima
galassia ad essere osservata. Una galassia a spirale con la materia che si concentrava in spire su di
un disco galattico.
Nel 1927 Lindblad e Oort dimostrarono, attraverso l'analisi dei red-shift e dei blu-shift stellari, che
la nostra galassia ruotava intorno al centro galattico.
Il sole ad esempio compie una rivoluzione completa intorno al centro galattico in circa 200 milioni
di anni con una velocit di circa 250 km/s.
Il moto delle stelle nella galassia
Il moto rispetto al sole delle stelle appartenenti alla nostra galassia pu essere evidenziato misurandone separatamente
la componente radiale e la componente tangenziale. La componente radiale (Vr = cz) la pi semplice da misurare in
quanto produce uno spostamento delle righe spettrali osservate (red o blu-shift). La componente trasversale (moto
proprio) evidenziabile solo per stelle sufficientemente vicine a noi da produrre spostamenti significativi sulla volta
celeste.
Tale componente si misura in frazioni di secondi d'arco allanno (moto proprio in arcsec/anno) e solo conoscendo
anche la distanza della stella d possibile convertire tale velocit angolare in una velocit lineare trasversale (Vt = d).
Si tenga presente che necessario convertire lunit di misura del moto proprio da arcsec/anno in rad/s e la distanza d
da parsec in km in modo che la velocit trasversale venga data in km/s.
72
( )
( ) ( )
( )

arcsec / anno
arcsec / rad s / anno
rad / s
206265 31557 600 . . .
( ) ( ) ( ) ( ) d pc UA pc km UA d km 206 265 1496 10
8
. / . /
dove, 206.265 il numero di secondi di grado contenuti in un radiante (ed anche il numero di unit astronomiche
contenute in un parsec) e 31.557.600 il numero di secondi di tempo contenuti in un anno giuliano di 365,25 giorni. In
definitiva si avr
V
d
d
t


1 496 10
31557 600
4 74
8
,
. .
,
Quando sono note entrambe queste componenti sar evidentemente possibile calcolare la velocit risultante (Vs =
Velocit spaziale). Si tenga presente comunque che, poich sia il sole che le stelle sono in movimento rispetto al centro
galattico, la velocit spaziale rappresenta la velocit della stella rispetto al sole (supposto fermo).La velocit spaziale
rappresenta quindi la differenza tra la velocit della stella (Vst) e la velocit del sole (Vso) misurate rispetto al centro della
galassia.

V V V
S St So

Se prendiamo in considerazione le velocit
spaziali delle stelle che si trovano nelle
immediate vicinanze del sole, abbiamo
limpressione che il sole presenti un moto
di traslazione verso un punto della
costellazione di Ercole detto apice solare
(di coordinate equatoriali = 270 = +
30), alla velocit di circa 19,5 km/s. Tale
moto si manifesta tramite la sola
componente radiale: un blu-shift per le
stelle prossime alla posizione dellapice ed
un red-shift per le stelle in posizione opposta (anti-apice), mentre le stelle che si trovano in posizione laterale non
presentano alcuna componente radiale, ma solo dei moti propri.
Nel 1951 venne infine la conferma che anche la nostra una galassia a spirale come Andromeda. Il
risultato fu acquisito grazie ad un lavoro di mappatura dell'idrogeno neutro presente nel disco
galattico (iniziato da Edward Purcell e Harold Ewen). L'idrogeno infatti l'elemento di gran lunga
pi diffuso nell'universo. Negli spazi interstellari esso si trova a bassissima temperatura come
idrogeno neutro. Nel suo stato fondamentale il protone e l'elettrone dell'idrogeno si presentano con
spin antiparalleli. Assorbendo una minima quantit di energia l'idrogeno passa in uno stato eccitato,
in cui protone ed elettrone possiedono spin paralleli. Quando infine l'idrogeno ritorna nel suo stato
fondamentale emette una caratteristica riga spettrale di 21 cm (come previsto nel 1944 dallolandese
Hendrik van de Hulst).
Tale radiazione non naturalmente osservabile con un normale telescopio ottico, ma con un
radiotelescopio opportunamente sintonizzato. Inoltre su tale lunghezza d'onda non si hanno
fortunatamente i fenomeni di diffusione ed interferenza da parte della enorme quantit di polveri
concentrati nel disco galattico che rendono ardua l'osservazione ottica.
L'idrogeno neutro del disco galattico stato in tal modo accuratamente mappato e se ne potuta
osservare una caratteristica distribuzione in spire.
73
Negli anni '60 e '70 sono stati scoperti gli spettri di altre molecole nello spazio interstellare, come
quello dell'ammoniaca (NH
3
), della formaldeide (H
2
CO), dell'ossido di carbonio (CO) etc.
Ma probabilmente la scoperta che fece pi scalpore fu quella dell'acido formico (HCOOH) e della
metilammina (CH
3
NH
2
), le quali reagendo sono in grado di formare il pi semplice degli
aminoacidi, la glicina.
Tutti i dati raccolti fino ad oggi ci permettono di tracciare un modello galattico piuttosto attendibile.
La nostra galassia ha dunque la forma di un disco del diametro di circa 100.000 anni luce. Lo
spessore del disco mediamente di 1500 anni luce, ma in prossimit del centro presente un
rigonfiamento detto bulbo (bulge) o nucleo galattico che presenta uno spessore di circa 15.000 anni
luce. Il disco galattico racchiuso in un guscio sferico di ammassi globulari, in cui la materia
interstellare (gas e polveri) estremamente rarefatta.
La maggior parte della materia (stelle, ammassi aperti, materia interstellare) infatti distribuita in
spire all'interno del disco galattico.
Le spire ruotano sul piano galattico nella stessa direzione delle stelle, ma con velocit inferiore
(circa la met) rispetto ad esse. Secondo i modelli attuali le spire sarebbero quindi delle semplici
onde di densit della materia, luoghi in cui il "traffico stellare" risulta momentaneamente rallentato
e quindi pi intenso. Il modo in cui i bracci a spirale si formano e sopravvivono tuttavia ancora
oggetto di studio e l'esistenza di molti modelli alternativi che tentano di risolvere il problema
dimostra come la soluzione non appaia ancora a portata di mano.
Gli astrofisici hanno stimato la massa galattica in 200 miliardi di M . Conoscendo infatti la massa
del sole, la sua distanza dal centro galattico e trattando la galassia come un sistema kepleriano
possibile utilizzare la terza legge di Keplero.
Data l'incertezza dei dati a disposizione possiamo effettuare un'analisi dimensionale, limitandoci agli ordini di grandezza.
La massa del sole pari a M
s
2 10
33
g
La sua distanza dal centro galattico D 3 10
4
al 3 10
22
cm
Il suo periodo di rivoluzione P
s
2 10
8
anni 6 10
15
s
applicando la terza di Keplero
3
2
2
) (
4
R
M M G
P
G s
+


esplicitiamo la massa della galassia M
G
( ) ( )
( )
M
R
G P
M g
G s

4
4 314 3 10
6 67 10 6 10
2 10 4 10
2 3
2
2
22
3
8 15
2
33 44

,
,
Dividendo infine per la massa del sole si ottiene appunto la massa galattica in masse solari, pari 2 10
11
M
Ci naturalmente non significa che la galassia possieda 200 miliardi di stelle, poich molta materia
non si trova concentrata nelle stelle, ma nelle polveri e nei gas interstellari. Si stima quindi che la
galassia contenga circa 100 miliardi di stelle e che la massa rimanente sia presente sotto forma di
materia diffusa o collassata.
Recentemente alcuni dati sembrano indicare la presenza intorno alla galassia di un enorme alone di
materia oscura (non luminosa) che manifesta i suoi effetti gravitazionali modificando il
comportamento dinamico della rotazione galattica.
Le misure effettuate sulla massa luminosa di molte galassie indicano un rapporto medio M/L dell'ordine di 10 20 M /L
. Il che significa che mediamente la porzione luminosa di una galassia che emette la stessa quantit di luce prodotta
dal nostro sole, possiede una massa da 10 a 20 volte superiore. La nostra galassia dovrebbe pertanto avere una
luminosit pari a circa 10
10
L .
La densit media delle stelle nella nostra galassia stimata attorno a 10
-2
al
-3
, pari a circa 1 stella
per ogni 100 anni-luce cubici, che equivale ad una distanza media di circa 5 anni-luce tra stella e
74
stella. Se infatti la distanza media tra due stelle d, il numero di stelle per unit di lunghezza 1/d,
il numero di stelle per unit di superficie 1/d
2
ed il numero di stelle per unit di volume (
S
) 1/d
3
.
Se ne deduce pertanto che in un aggregato tridimensionale di elementi la distanza che media che li
separa pari a
al d
S
5 10
1
3 2
3

La misura della parallasse ha permesso di individuare circa 6700 stelle in un raggio di 55 al.
Utilizzando tale dato possibile stimare la densit delle stelle comprese in una sfera di 55 al di
raggio.
3 2
2
3
4
2
3
4
10
55
6700

al stelle
R
n
S
S
Approssimando ora la galassia con un disco di raggio R = 50.000 al e spessore medio h = 1.500 al, il volume galattico
sar R
2
h ed il numero totale N di stelle contenute nella nostra galassia sar dunque pari al volume galattico per il
numero di stelle contenute nell'unit di volume
11 2 2 2
10 10 500 . 1 000 . 50

S
h R N
In ottimo accordo con le stime dinamiche.
15 Le Galassie
Andromeda la galassia a noi pi vicina, poco pi di 2 milioni di anni luce, e molto simile alla
nostra galassia per massa e struttura. Oltre ad Andromeda l'universo risulta popolato a distanze
sempre maggiori da un numero enorme di galassie. Si stima ne esistano oltre un centinaio di
miliardi.
15.1 Morfologia e classificazione
In base alla loro forma le galassie sono classificate in spirali, ellittiche ed irregolari.
In alcune galassie a spirale le spire non partono dal nucleo galattico ma dall'estremit di un
segmento di materia che attraversa il nucleo stesso e per questo motivo sono dette spirali barrate.
Un tempo si pensava che le galassie nascessero come ellittiche per poi trasformarsi in spirali
(Hubble). Oggi si ritiene invece che la struttura della galassia dipenda essenzialmente dalle
particolari condizioni dinamiche e cinematiche della nube protogalattica.
Secondo gli astrofisici infatti le galassie si sarebbero formate dalla frammentazione del gas
primordiale in immense condensazioni nebulari (protogalassie), ciascuna in rotazione intorno ad
un proprio asse e soggette ad un moto di contrazione gravitazionale.
Se le velocit di rotazione e di contrazione della nube protogalattica sono tali per cui la materia che
sedimenta sul piano del disco ha il tempo per essere totalmente utilizzata nella formazione di stelle
di alone di prima generazione, si dovrebbe formare una galassia ellittica. In caso contrario parte
della materia nebulare, arricchita di elementi pesanti dall'esplosione delle supernovae pi massicce,
raggiunge il piano contribuendo a formare galassie a spirale.
15.2 Galassie peculiari: Nuclei Galattici Attivi (AGN)
75
Gli AGN (Active Galactic Nuclei) costituiscono un gruppo di oggetti celesti, caratterizzati da
luminosit estremamente elevate (fino a 10
15
L ) e da una emissione non termica (non di corpo
nero).
Si manifestano in modi diversi, ma oggi si ritiene che possano essere ricondotti ad un comune
modello galattico.
Gli astrofisici ritengono infatti che tutti gli oggetti classificati come AGN siano galassie con i nuclei
interessati da fenomeni esplosivi di enormi proporzioni di cui non conosciamo la natura. Il
candidato pi probabile a fungere da motore centrale (central engine) per gli AGN dovrebbe essere
il solito enorme buco nero. Dal nucleo galattico si dipartono getti di materia luminosa che si
allontanano in direzione perpendicolare al disco galattico (jets). Il nucleo inoltre circondato da
nubi emittenti di gas e polveri in espansione indicate come BLR (Broad Lines Region = regione a
linee allargate) e NLR (Narrow Lines Region = regione a linee sottili).
La larghezza delle righe in emissione correlabile con la velocit di espansione del gas. Se la materia si espande in
tutte le direzioni, parte di essa si avvicina e una parte si allontana dallosservatore, in modo che ciascuna riga subisce
contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga.
Secondo il modello unificato i diversi tipi di AGN possono essere spiegati facendo riferimento alla
differente angolazione con cui un AGN viene osservato.
Alcuni tra gli oggetti classificati come AGN sono le galassie di Seyfert, le Radiogalassie, i Blazar e
i Quasar. Le Galassie Star-burst sono galassie peculiari a volte impropriamente classificate come
AGN. Si tratta di galassie in cui lelevata luminosit sostenuta da un eccezionale tasso di
formazione stellare (star-burst), probabilmente innescato da uno scontro con unaltra galassia. Il
loro spettro ottico molto simile a quello delle regioni HII.
Le galassie di Seyfert, sono galassie a spirale caratterizzate dalla presenza di un nucleo puntiforme,
di aspetto stellare, particolarmente brillante.
Le radiogalassie sono galassie ellittiche che presentano unemissione radio paragonabile a quella
ottica e quindi fino ad un milione di volte pi intensa di quella emessa nella stessa banda dalle
galassie normali. L'emissione radio concentrata in due enormi lobi che si trovano in posizione
opposta rispetto alla galassia, uniti ad essa da sottili filamenti. Le onde radio sono generate dal
movimento spiraleggiante del plasma intorno alle linee di forza del campo magnetico (emissione di
sincrotrone).
I Blazar (ing. blaze = vampata) sono caratterizzati da una luminosit fortemente e rapidamente
variabile, con periodi inferiori al giorno. Si suddividono in oggetti BL Lac (BL Lacertae) e in OVV
(Optical Violently Variable).
I Quasar o QSO vennero osservati per la prima volta nel 1962. Inizialmente essi furono identificati
attraverso un'emissione radio intensissima e fortemente concentrata. In seguito, puntando i telescopi
ottici su di essi, venne rilevata anche una sorgente luminosa dall'aspetto stellare, puntiforme.
Ciononostante, l'analisi dello spettro conferm che non poteva assolutamente trattarsi di stelle. Si
coni allora il termine di "oggetti quasi stellari" o Quasi Stellar Objects (QSO o Quasar).
In un secondo tempo vennero scoperti oggetti analoghi, ma radioquieti, anch'essi classificati come
quasar.
Gli spettri dei quasar non furono immediatamente riconosciuti finch non si tent di interpretarli
come spettri fortemente spostati verso il rosso.
Se i quasar sono oggetti cos distanti, come la maggior parte degli astronomi ritiene, un semplice
calcolo dimostra che la loro luminosit intrinseca deve essere enorme, superiore a quella di un'intera
galassia.
Ma il dato pi sconcertante fu la scoperta che alcuni quasar presentavano una luminosit variabile.
76
Da una parte infatti piuttosto improbabile che un'intera galassia di stelle produca una variazione
sincrona della luminosit di tutte le sue componenti.
In secondo luogo possibile dimostrare che se le dimensioni di un oggetto luminoso sono maggiori
della lunghezza cT, dove T il periodo di variabilit della luminosit, un osservatore non sarebbe in
grado di percepirne la variabilit. Ci ha come conseguenza che se un quasar presenta, come spesso
avviene, un periodo di variabilit della sua luminosit di un mese, esso non pu possedere un
diametro superiore ad un mese-luce.
Eppure da una regione cos minuscola, comparabile alle dimensioni del sistema solare, viene
emessa una quantit di energia maggiore di quella emessa da un'intera galassia.
Gli astronomi si chiedono quale meccanismo possa produrre una quantit cos elevata di energia in
un volume cos piccolo. Forse enormi buchi neri che stanno inghiottendo materia? Oggi si ritiene
che i quasar siano i nuclei attivi di galassie cos lontane da non poter essere osservate. Ma la grande
lontananza dei quasar pone anche un problema evolutivo.
Forse possibile ipotizzare una relazione tra quasar, radiogalassie e galassie normali, per cui i primi
rappresenterebbero forme primordiali di aggregazione della materia (ricordiamo che i quasar
essendo molto distanti nello spazio, sono anche molto distanti nel tempo) destinati ad evolversi e a
trasformarsi nelle odierne strutture galattiche? Tutte domande in attesa di risposta, problemi sui
quali dibatte oggi la cosmologia moderna.
15.3 Distribuzione: la struttura a grande scala delluniverso
Alcune galassie appaiono talmente vicine da far supporre l'esistenza tra di esse di un legame
gravitazionale. L'esistenza di ammassi di galassie (cluster) stata ipotizzata negli anni Trenta da
Fritz Zwicky e da lui stesso poco dopo confermata con la scoperta dellenorme ammasso in Coma
(Chioma di Berenice). Glia ammassi formati da qualche decina di galassie sono detti gruppi.
La nostra galassia appartiene ad un piccolo ammasso formato da una ventina di galassie (quasi tutte
ellittiche nane) che ruotano intorno ad un baricentro comune. Tale ammasso detto Gruppo Locale.
Il Gruppo Locale appartiene all'ammasso della Vergine, comprendente 2500 galassie (quasi tutte a
spirale). Analizzando i red-shift delle galassie appartenenti al Gruppo Locale e all'ammasso della
Vergine a cui esso appartiene stato possibile evidenziare un movimento di caduta del Gruppo
Locale verso il Centro dell'ammasso della Vergine alla velocit di circa 220 km/s.
Ragionando in termini di ordine di grandezza, un ammasso tipico una struttura delle dimensioni di
10 Mpc contenente 10
3
galassie, con una densit dellordine di 1 galassia per Mpc
3
ed una distanza
media tra galassie di 1 Mpc. Le stime dinamiche della massa (massa del viriale) dellordine di 10
15
masse solari, circa 1 ordine di grandezza pi elevata della semplice somma delle masse delle
singole galassie. Gli ammassi presentano pertanto tipicamente un rapporto M/L dellordine di 300h
M /L .
Lesistenza di raggruppamenti di ordine superiore, i superammassi (supercluster), formati da
aggregati gravitazionali di ammassi di galassie, fu ipotizzata nel 1953 da Gerard de Vaucouleurs.
Le sue osservazioni lo indussero a ritenere che il Gruppo Locale, lammasso in Ercole, lammasso
in Coma e lammasso in Vergine fossero gravitazionalmente legati a formare una enorme struttura
appiattita (Superammasso Locale) di cui lammasso in Vergine costituiva il centro. Lipotesi di de
Vaucouleurs tard ad essere accettata, ma i dati osservativi non sembrano lasciare dubbi
sullesistenza del Superammasso Locale e di numerose altre analoghe strutture. Le prime conferme
vennero nel 1959 con il lavoro di classificazione eseguito da George Abell su 2712 ammassi, le cui
posizioni suggerivano chiaramente una loro distribuzione non omogenea nello spazio ed in seguito
con i lavori di mappatura bidimensionale di Jim Peebles e tridimensionale di Margaret Geller e
John Huchra. I superammassi sono tra loro separati da immensi spazi vuoti (voids). L'universo su
grande scala mostra oggi una struttura spugnosa, con gli ammassi ed i superammassi che si
distribuiscono in enormi filamenti e superfici curve, aventi uno spessore minore di un decimo delle
77
loro dimensioni, che racchiudono bolle di spazio prive, almeno apparentemente, di materia
luminosa delle dimensioni di 100 Mpc. Riuscire a giustificare una tale distribuzione di materia
oggi uno dei problemi centrali della cosmologia.
Sempre in termini di ordine di grandezza, un superammasso tipico una struttura delle dimensioni
di 100 Mpc contenente una decina di ammassi, tra loro separati da una distanza media di qualche
decina di Megaparsec. La massa dellordine di 10
16
M , con un rapporto M/L analogo a quello
misurato per i singoli ammassi.
La distribuzione di materia nell'universo appare estremamente irregolare su piccola scala. Ma
l'omogeneit cresce con la scala, tanto che gli astronomi sono convinti che l'universo possa
considerarsi fondamentalmente omogeneo ed isotropo a grandissima scala, cio su distanze
superiori ai 100 Mpc.
Recenti lavori di conteggio di galassie hanno evidenziato una densit media delle galassie dellordine di 10
-2
Mpc
-3
(vedi
Lorigine della struttura delluniverso in Le Scienze n 285 maggio 92). stata censita unarea che copre il 10% della
sfera celeste, per una profondit di 2 miliardi di anni luce (circa 610 Mpc), individuando circa 2 milioni di galassie.
Tenendo conto che una sfera di tale raggio occupa un volume di circa 10
9
Mpc
3
e che il conteggio ha interessato il 10%
di tale volume (10
8
Mpc
3
), la densit media di galassie nelluniverso risulta di 2 galassie per 100 Megaparsec cubici
3 2
8
6
10 2
10
10 2

Mpc galassie
V
n
G
G

Attualmente la porzione di universo osservabile (distanza-orizzonte), per un universo euclideo, vale
Mpc h
H
c
t c O
o
o
2000
3
2
1

dove h un fattore di incertezza sul valore della costante di Hubble. Una sfera di tale raggio ha un volume di circa 10
10
Mpc
3
il quale dovrebbe dunque contenere circa 10
8
galassie (ng = VU dg = 10
10
10
-2
= 10
8
), raggruppate in 10
5
ammassi, a
loro volta riuniti in 10
4
superammassi, per una massa totale delluniverso osservabile dellordine di 10
20
M (contro una
Massa Critica dellordine di 10
22
M ).
16 Moti della terra
16.1 Moto di rotazione
La terra ruota attorno al proprio asse in circa 24 ore con un movimento antiorario se osservato dal
polo Nord Celeste (proiezione lungo l'asse terrestre del polo Nord terrestre sulla volta celeste). Il
movimento avviene cio da W verso E.
16.1.1 Prove del moto di rotazione
Oggi possiamo facilmente verificare direttamente tale rotazione attraverso l'osservazione da un
satellite in orbita. In passato sono stati invece effettuati esperimenti per dimostrare indirettamente
l'esistenza di tale moto. I pi famosi si devono a G.B. Guglielmini
(1691) e J.B. Foucault (1851).
16.1.1.1 Esperienza di Guglielmini
78
Struttura numero componenti Dimensione
(Mpc)
Massa (M .)
Galassia 10
11
stelle 10
-2
10
11
Gruppo 10 galassie 1 10
13
Ammasso 10
3
galassie 10 10
15
Superammasso 10 ammassi 10
2
10
16
Universo Osservabile 10
4
superammassi 2000h
-1
10
20
Lasciando ripetutamente cadere un grave dalle torri di Bologna Guglielmini verific che esso non
cadeva lungo la verticale individuata dal filo a piombo, ma sistematicamente spostato verso Est. Se
individuiamo con A il punto di partenza del grave in cima alla torre e con B il punto a terra che si
trova sulla perpendicolare di A, facile verificare che se la terra ruota A deve muoversi ad una
velocit lineare maggiore di B. Trovandosi infatti ad una maggior distanza dallasse di rotazione
terrestre (D
A
> D
B
) la velocit lineare di A (V
A
= D
A
) maggiore della velocit lineare di B (V
B
=
D
B
). In altre parole quando la terra ha effettuato in 24 ore una rotazione completa A deve aver
percorso una circonferenza maggiore di B nello stesso tempo (24 ore). Per il principio di inerzia il
grave lasciato cadere da A deve conservare anche mentre cade la velocit iniziale che caratterizzava
la cima della torre e giungendo a terra si trover un po' pi avanti (nella direzione del moto di
rotazione terrestre) di B che ruota pi lentamente. Poich il corpo cade sempre spostato verso Est
rispetto alla perpendicolare ci dimostra che la direzione di rotazione della terra da Ovest verso
Est.
16.1.1.2 Esperienza di Foucault
Il piano di oscillazione di un pendolo ha la caratteristica di mantenere invariato il suo piano di
oscillazione rispetto all'universo (stelle fisse).
Foucault appese un pendolo alla cupola del Pantheon a Parigi e lo fece oscillare in modo che la sua
punta tracciasse un solco sulla sabbia disposta sul pavimento dell'edificio. Con il passare del tempo
il piano di oscillazione ruotava . Non potendo trattarsi di una effettiva rotazione del piano di
oscillazione del pendolo, l'unica spiegazione possibile
rimaneva una rotazione della terra intera e quindi del
pavimento sul quale il pendolo stava lasciando le sue tracce.
Se l'esperimento venisse condotto ai poli il piano di
oscillazione eseguirebbe una apparente rotazione completa
di 360 in 24 ore. All'equatore non si avrebbe alcuna
rotazione, mentre a latitudini intermedie in 24 ore la
rotazione sarebbe minore di 360, tanto minore quanto
minore la latitudine.
Se la latitudine pari a , il piano di oscillazione del
pendolo compie in 24 ore una rotazione pari a 360 sen ,
con una velocit angolare di 15 sen gradi all'ora. Per
compiere quindi una rotazione completa (giorno pendolare)
di 360 impiega

( )

sen
sen
h
h o
o
24
15
360
/

16.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre


16.1.2.1 Alternarsi del d e della notte
La rotazione della terra espone evidentemente la sua superficie ad un continuo cambiamento di
condizioni di illuminazione rispetto alla luce proveniente dal sole. Poich la terra ruota da Ovest
verso Est, il sole sembra sorgere ad Est, effettuare un movimento apparente di salita lungo un arco
di circonferenza sulla volta celeste, per poi ridiscendere e tramontare ad Ovest. Quando il sole
raggiunge il punto pi alto della sua traiettoria apparente si dice che si trova in culminazione
(mezzogiorno solare). Il sole in culminazione su di un punto della superficie terrestre quando sta
transitando esattamente sopra il meridiano passante per il luogo.
Il sole sufficientemente distante dalla terra da poter considerare i suoi raggi paralleli tra loro. In tal
modo la terra risulta costantemente divisa in due parti uguali, una illuminata ed una oscura, da un
79
cerchio massimo detto circolo di illuminazione. In realt, a differenza della luna, dove la mancanza
di atmosfera produce una netta separazione tra ombra e luce, sulla terra il circolo di illuminazione
non netto. I fenomeni di rifrazione e di diffusione della luce solare prodotti dalla presenza
dell'atmosfera terrestre, producono una zona di penombra, detta crepuscolo. In altre parole i raggi
solari che in assenza di atmosfera sfiorerebbero solamente la superficie terrestre senza colpirla,
vengono deviati e vanno ad illuminare parzialmente una piccola porzione della zona in ombra,
producendo l'illuminazione tipica dell'alba e del tramonto.
16.1.2.2 Le forze dinerzia: forza centrifuga e forza di Coriolis
Un osservatore solidale con un sistema in moto accelerato, qual appunto un sistema in rotazione,
non verifica il principio di inerzia, nel senso che sperimenta fenomeni in disaccordo con esso. I
sistemi in moto accelerato sono perci detti sistemi non inerziali. In essi, corpi apparentemente non
soggetti a forze, manifestano accelerazioni.
In realt si pu dimostrare che la comparsa di tali accelerazioni legata al particolare sistema di
riferimento considerato ed esse non esisterebbero se il sistema fosse fermo o si muovesse di moto
rettilineo uniforme. Paradossalmente in un sistema accelerato l'inerzia di un corpo si manifesta
come una accelerazione apparente. Per questo motivo tali accelerazioni apparenti vengono attribuite
a forze fittizie dette forze d'inerzia. Le forze dinerzia, come le accelerazioni ad esse correlate, sono
grandezze vettoriali.
Generalit sui corpi in rotazione
Dato un corpo rigido in rotazione attorno ad un asse, tale che, dopo un intervallo di tempo t esso abbia ruotato di un
angolo , si definisce velocit angolare istantanea il limite per t 0 del rapporto tra la variazione dell'angolo di
rotazione (espresso in radianti) e l'intervallo di tempo t (derivata dello spostamento angolare rispetto al tempo)
dt
d


t
lim =
0 t
Si conviene inoltre di associare a tale grandezza
scalare un vettore
r

parallelo all'asse di rotazione e


con il medesimo verso che avrebbe il moto di avanzamento
di una vite (destrorsa) che ruoti nello stesso senso del
corpo considerato. In tal modo, detto
r
r il vettore
distanza che congiunge un punto P del corpo con un punto
qualsiasi dell'asse di rotazione, sempre possibile
calcolare la velocit lineare
r
v del punto P come il
prodotto vettoriale
v r

ed in modulo v r sen
dove l'angolo (convesso, minore di 180) compreso tra i due vettori,
cosicch r sin la proiezione di r sulla retta perpendicolare che congiunge
il punto P all'asse di rotazione e rappresenta dunque la distanza di P dall'asse.
Nel caso della terra facile verificare che, utilizzando il raggio terrestre, la
velocit lineare di un punto a latitudine pari a
cos r sen r v
Si rammenti che il prodotto vettoriale

A B

uguale ad un vettore

C
che ha per modulo (AB
sin ), pari allarea del parallelogramma avente
per lati i vettori A e B (dove langolo
convesso), direzione perpendicolare al piano
individuato dai due vettori, mentre il verso
dato dalla regola della mano destra (se le dita
della mano destra accompagnano la rotazione
di

A
verso

B
lungo langolo , il pollice esteso individua il verso del vettore

C
).
16.1.2.3 Forza centrifuga e schiacciamento polare
80
La pi comune forza d'inerzia la forza centrifuga che si manifesta su corpi ancorati ad un sistema
in rotazione. Un osservatore solidale con un riferimento rotante (una giostra ad esempio) si sente
spinto verso l'esterno in direzione normale all'asse di rotazione. Tale sensazione un effetto
dell'inerzia che tenderebbe a far muovere l'osservatore di moto rettilineo uniforme rispetto al
sistema esterno fisso, lungo la direzione tangente al suo moto rotatorio.
Leffetto pi evidente della forza centrifuga lo schiacciamento delle regioni polari ed il relativo
rigonfiamento equatoriale. Il fenomeno si produce infatti per la maggior forza centrifuga cui sono
sottoposte le regioni equatoriali rispetto a quelle polari, in virt di una maggior distanza delle prime
dall'asse di rotazione. Si pu dimostrare che tale forza proporzionale ad una accelerazione
(accelerazione centrifuga) che vale
( )

a r v
c

Con v velocit lineare di rotazione del punto. E' facile verificare che laccelerazione centrifuga
sempre diretta in senso radiale.
16.1.2.4 Forza di Coriolis e legge di Ferrel
Nel caso il corpo possieda una velocit propria v
p
rispetto al sistema in rotazione, oltre alla forza
centrifuga, compare una seconda forza fittizia, detta forza di Coriolis (1835).
Anche in tal caso si pu dimostrare che tale forza proporzionale ad una accelerazione
(accelerazione di Coriolis) che vale

a v
Cor p
2
Tale forza fittizia costringe il corpo in movimento a deviare rispetto alla sua direzione iniziale. Gli
effetti di tali deviazioni sono particolarmente evidenti per corpi debolmente vincolati alla superficie
terrestre, come velivoli.
Le deviazioni prodotte dalla forza di Coriolis sono descritte dalla legge di Ferrel. La legge di
Ferrel (1860 circa) afferma che un corpo in movimento sulla superficie terrestre, subisce una
deviazione rispetto alla sua direzione iniziale, verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra
nell'emisfero australe. La legge di Ferrel governa il movimento delle masse d'aria (venti) e delle
masse d'acqua (correnti marine) costringendole a ruotare in modo caratteristico nei due emisferi.
Per comprendere la legge di Ferrel necessario aver chiari i seguenti concetti:
a) La velocit lineare di rotazione dei diversi punti della superficie terrestre non costante. I punti
pi rapidi sono quelli che appartengono all'equatore (essendo quelli pi distanti dall'asse di
rotazione; V = D). Man mano che procediamo verso i poli incontriamo paralleli di raggio
minore, i cui punti, essendo pi vicini all'asse di rotazione, sono sempre pi lenti.
b) Quando un oggetto si trova su di un punto della superficie terrestre ruota assieme ad essa con la
stessa velocit. Nel momento in cui l'oggetto abbandona la superficie terrestre continua per
inerzia a mantenere la velocit di rotazione del punto dal quale era partito.

Immaginiamo ora un aereo che si alzi in volo da un punto A
sull'equatore e che proceda lungo un meridiano verso un
punto B posto pi a Nord. L'aereo si sposta verso punti della
superficie terrestre che stanno ruotando verso Est pi
lentamente di quanto per inerzia non stia facendo lui (V
A
>
V
B
) . In tal modo L'aereo si trova a precedere in direzione Est
i punti della superficie terrestre che sta sorvolando. Ci
equivale ad una deviazione verso destra del velivolo.
Allo stesso modo se l'aereo da A si alza in volo verso un
punto C posto sullo stesso meridiano ma in direzione Sud
nell'emisfero australe, esso si trover ad essere pi veloce
dei punti che sorvola (V
A
> V
C
), precedendoli sempre in
direzione Est. Ma in questo caso ci equivale ad una
deviazione verso sinistra del velivolo.
81
Se ora immaginiamo che il velivolo parta da B o da C e si diriga verso il punto A sull'equatore, esso
parte da punti aventi una velocit di rotazione verso Est minore del punto di arrivo. Il velivolo
trovandosi cos a sorvolare punti della superficie terrestre via via pi rapidi si trova in ritardo
rispetto al moto di rotazione terrestre, spostato cio in entrambi i casi verso Ovest. Ci equivale ad
una deviazione verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra nell'emisfero australe.
In realt la forza di Coriolis produce deviazioni laterali solo quando il movimento avviene lungo
un meridiano. Si pu infatti dimostrare che negli altri casi compaiono anche delle deviazioni
verticali (verso lalto o verso il basso). In particolare se il corpo si muove lungo lequatore la forza
di Coriolis si manifesta unicamente in direzione verticale.

La forza di Coriolis in dettaglio
Per una trattazione pi dettagliata e precisa degli effetti della forza di Coriolis
necessario determinare caso per caso la direzione del vettore accelerazione con le
regole del prodotto vettoriale.
Possiamo in generale affermare che tale forza si manifesta su tutti i corpi in
movimento rispetto alla superficie terrestre, con l'eccezione dei casi in cui i vettori
v e

hanno la stessa direzione (in caso di parallelismo l'angolo compreso tra i
vettori nullo ed essendo sin 0 = 0, anche il prodotto vettoriale si annulla). Casi del
genere si hanno quando un corpo si muove lungo la verticale in corrispondenza dei
poli (ad esempio un grave che cade sopra un polo) o quando un corpo parte
dall'equatore con direzione tangente al meridiano. Quando un corpo si muove
rispetto alla superficie terrestre possiamo distinguere due casi:
a) movimento tangenziale (parallelo alla superficie)
b) movimento radiale (perpendicolare alla superficie)
1) Movimento tangenziale
Nel caso di un movimento tangenziale facile
verificare che l'angolo tra i vettori v e


coincide con l'angolo di latitudine del corpo. L'accelerazione di Coriolis presenta
in tal caso modulo pari a
a v
Cor
2 sen
Per la regola del prodotto vettoriale essa
sempre perpendicolare al piano individuato dai
due vettori v e

. Consideriamo ora il caso
generale in cui la direzione del vettore velocit
formi un angolo qualsiasi con il meridiano
passante per il luogo. Possiamo allora
considerare le componenti della velocit lungo
il meridiano (v cos) e lungo il parallelo (v sin) La componente lungo il meridiano
produce solo una deviazione laterale, mentre la componente lungo il parallelo
produce sia una deviazione laterale che una deviazione verticale. Per rendercene
conto rappresentiamo il moto di un corpo che si muova tangenzialmente ad un
parallelo che non sia l'equatore, in direzione est. Come si pu osservare
laccelerazione di Coriolis risulta in questo caso perpendicolare all'asse di rotazione. E' dunque possibile scomporre il
suo effetto sul moto del corpo in una componente tangenziale, che lo devia verso destra, e in una componente verticale
che, in questo caso, lo devia verso l'alto.
Naturalmente se il corpo si
muove lungo un parallelo in
direzione Ovest la
componente orizzontale
diretta sempre verso la sua
destra (in questo caso
verso il polo nord) mentre
la componente verticale
diretta verso il basso. La
componente verticale
tanto maggiore quanto pi
la direzione del vettore
velocit si scosta dalla
direzione del meridiano
82
passante per il luogo e, a parit di inclinazione, diventa via via maggiore scendendo in latitudine. In particolare un corpo
che parta dall'equatore con un qualche angolo rispetto al meridiano presenta solo una componente verticale che diventa
massima quando il suo moto tangente all'equatore.
In definitiva un corpo che si muova verso est subisce oltre ad una deviazione laterale anche una deviazione verso l'alto
(e pesa quindi meno di un corpo fermo), mentre un corpo che si muova verso ovest subisce anche una deviazione verso
il basso (e pesa quindi di pi di un corpo fermo).
2) Movimento radiale
Nel caso di un movimento radiale (caduta di un grave, proiettile
lanciato verticalmente) facile verificare che l'angolo tra i vettori
v e

coincide con la colatitudine, cio con l'angolo complementare
all'angolo di latitudine. Se dunque = 90 - , l'accelerazione di
Coriolis presenta in tal caso modulo pari a
a v v
Cor
2 2 sen cos
E' semplice verificare che, per la regola del prodotto vettoriale,
l'accelerazione di Coriolis in questo caso sempre tangente al
parallelo passante per il luogo e diretta verso est. Si noti come il
parallelo passante per il luogo non un cerchio massimo e la sua
direzione non quella est-ovest, ma deviata verso nord.
16.1.3 Durata del moto di rotazione: il giorno
Il tempo impiegato dalla terra per compiere una rotazione intorno al proprio asse detto giorno. La
durata del giorno risulta diversa se si prende come punto di riferimento esterno per misurare la
rotazione una stella o il sole.
Essendo molto distante, una stella rappresenta un buon punto di riferimento, potendo essere
considerata ferma rispetto alla terra (stella fissa). Il tempo impiegato affinch una stella fissa ritorni
in culminazione su di un dato meridiano misura dunque la durata di un'effettiva rotazione di 360
della terra intorno al proprio asse. Il giorno cos misurato detto giorno sidereo e dura circa 23 ore
e 56 minuti (23
h
56
m
4,0989
s
= 86.164,0989 s).
In realt il giorno sidereo pu ritenersi costante solo in prima approssimazione e per intervalli di
tempo sufficientemente piccoli. La terra sta infatti impercettibilmente rallentando. Le stime pi
recenti forniscono una variazione della velocit angolare della Terra pari a 4 ore ogni 700 milioni di
anni. Si ritiene che il motivo pi probabile di tale rallentamento sia da ricercare nellazione frenante
delle maree. La terra starebbe trasferendo momento angolare alla luna, la quale sta aumentando
progressivamente la sua distanza al ritmo di 3,7 t 0,2 m/secolo
Nonostante il giorno sidereo sia una misura relativamente esatta della durata della rotazione
terrestre, tutte le attivit umane sono regolate sulla posizione del sole e non delle stelle.
Se dunque misuriamo il tempo necessario affinch il sole culmini per due volte consecutive sullo
stesso meridiano (intervallo di tempo tra due mezzod) si ottiene il giorno solare, pari a circa 24
ore.
Il sole non si pu per considerare fisso rispetto alla terra, poich mentre la terra compie una
rotazione intorno al proprio asse, essa si sposta contemporaneamente sulla sua orbita di un tratto di
circa 1 grado rispetto al sole. (la terra impiega infatti circa 365 giorni a compiere una rivoluzione di
360 intorno al sole con una velocit angolare di circa 1 al giorno. Pi precisamente impiega un
83
Il fatto che circa 350 milioni di anni fa il giorno durasse 22 ore stato confermato dallanalisi dei resti fossili di alcuni
coralli del periodo Devoniano (345 - 400 milioni di anni fa). Tali fossili presentano, come daltra parte alcuni coralli
odierni, anelli di accrescimento annuali e sottoanelli giornalieri. Ma mentre i coralli attuali mostrano 365 sottoanelli
per anno, i coralli del Devoniano ne mostrano 400 per anno. Poich il periodo di rivoluzione della terra
relativamente costante, lanno presentava allora lo stesso numero di ore (365 x 24 = 8760), ma, essendo formato
da 400 giorni, ogni giorno doveva essere costituito da 8760/400 22 ore.
anno sidereo, pari a 31.558.150 secondi, a compiere una rivoluzione intorno al sole rispetto alle
stelle fisse).
Una volta che la terra ha dunque compiuto, dopo 23
ore e 56 minuti, una rotazione completa attorno al
suo asse, non trova il sole nuovamente in
culminazione, essendosi spostata in senso
antiorario rispetto ad esso di circa un grado. Per
ritrovare nuovamente il sole in culminazione la
terra deve dunque ruotare ancora di un angolo pari
al suo spostamento rispetto al sole, compiendo una
rotazione complessiva di 361.
Poich la terra impiega circa 24 ore per compiere
una rotazione di 360 intorno al suo asse, la sua
velocit angolare di rotazione sar di 360/24
h
pari
15 gradi all'ora. Per coprire un grado impiegher
quindi un quindicesimo di ora pari a 4 minuti circa
(235,90
s
= 3
m
55,9
s
).
Composizione dei moti orbitali
Le velocit angolari seguono delle regole di composizione
identiche a quelle utilizzate per comporre le velocit lineari.
Si pensi ad esempio ad unautovettura A che si muova a 50
km/h verso unautovettura B, la quale si avvicini a sua volta
a 30 Km/h. Il risultato il medesimo se si considera una
delle due autovetture ferme e laltra con una velocit pari a
(50 - (-30) = 80 Km/h. Nel caso in cui lautovettura B si stia
allontanando nella stessa direzione di A, la sua velocit
relativa risulta pari a (50 - 30 = 20 km/h). Si noti come i
valori delle velocit abbiano segno concorde se il loro verso
il medesimo, discorde se il verso contrario. In modo
analogo possiamo comporre i moti orbitali.
Se rot e riv sono rispettivamente la velocit di rotazione e di rivoluzione della terra rispetto alle stelle fisse, allora la
velocit di rotazione della terra rispetto al sole pu ottenersi componendo i due movimenti e sar pari a (rot - riv).
Essendo entrambi i moti diretti (antiorari) il loro segno sar concorde.


rot riv
sid sid sol
G A G

2 2 2
da cui si ricava che il giorno solare dura
31.558.149, 76 86164, 0989
86400 24
31.558.149, 76 86164, 0989
sidereo sidereo
solare
sidereo sidereo
A G
G s h
A G



86400 - 86164,0905 = 235,9095 s = 3
m
55,91
s
pi del giorno sidereo
In realt il giorno solare non ha sempre la stessa durata costante di 24 ore. Essa varia infatti con
periodicit nel corso dellanno a causa delleccentricit e dellinclinazione (o obliquit) dellorbita
terrestre. Il valore di 24 ore che noi utilizziamo rappresenta il giorno solare medio, media dei 365
giorni solari.
Effetto delleccentricit
Per la seconda legge di Keplero in perielio la Terra si muove pi velocemente intorno al sole e
quindi in 24 ore si sposta rispetto ad esso di un tratto leggermente superiore di 1. La velocit di
rotazione terrestre invece costante e per compiere un po' pi di 1 di rotazione al fine di riavere il
sole in culminazione impiegher un po' pi di 4 minuti. Il giorno solare in perielio un po' pi
lungo di 24 ore. Per ragioni opposte il giorno solare in afelio raggiunge la sua durata minima,
inferiore alle 24 ore.
84
Per effetto della diversa velocit orbitale della Terra, il giorno solare vero in perielio dura circa 8,1 s
pi del giorno solare medio, mentre in afelio dura circa 7,7 s meno del giorno solare medio
La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della diversa velocit orbitale della Terra, di
circa 15,8 secondi nel corso dellanno, valore che rappresenta la massima escursione nella durata
del giorno solare causata dall'eccentricit dell'orbita terrestre.
Gli scarti per si accumulano nel corso dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o
anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno, occorre tenere conto di tutti gli scarti
precedenti. Questo porta ad una differenza massima tra giorno vero e giorno medio di circa 8
minuti.
Effetto dellinclinazione (obliquit) dellorbita
Come abbiamo gi detto, dopo un giorno sidereo la Terra si spostata di circa un grado lungo la sua
orbita intorno al Sole e dunque dovr coprire questangolo con un ulteriore rotazione. Possiamo
descrivere lo stesso fenomeno pensando che la Terra sia ferma e che il Sole si muova lungo
leclittica.
L'asse di rotazione della Terra inclinato sul piano dell'eclittica e cos anche l'orbita apparente del
sole. Il piano dell'eclittica inclinato rispetto all'equatore celeste di = 23,44. La proiezione della
posizione del Sole sull'equatore celeste introduce un'altra variazione periodica sulla durata effettiva
del giorno solare.
Quando il Sole attraversa lequatore in corrispondenza dei punti equinoziali la sua proiezione
sullequatore si muove pi lentamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero
risulta pi breve del giorno solare medio. Quando invece si trova in corrispondenza dei punti
solstiziali, il Sole si muove parallelamente allequatore, la sua proiezione sullequatore si muove pi
rapidamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta pi lungo del giorno
solare medio.
Per rendercene conto immaginiamo che il Sole si trovi nel punto gamma (equinozio di primavera) e
che sia in culminazione (mezzogiorno) sul meridiano A. Dopo un giorno sidereo la Terra ha
compiuto una rotazione di 360 rispetto alle stelle fisse, ma il meridiano A non ritrova il Sole in
culminazione, perch il Sole si spostato lungo leclittica di circa 1. Poich tuttavia leclittica
inclinata di 23,44 rispetto allequatore, il sole non si spostato di 1 in longitudine, ma di 1
cos(23,44)= 0,9175. Sar quindi sufficiente che la Terra ruoti di 0,9175 per ritrovare il Sole in
culminazione, impiegandoci dunque non 235,90 s, ma 235,90 x cos(23,44) = 216,43 s.
Il valore 235,90 s (differenza tra il giorno solare medio ed il giorno sidereo) rappresenta dunque il
tempo medio tra il tempo minimo impiegato in corrispondenza dei punti equinoziali ed il tempo
massimo impiegato nei punti solstiziali pari a 235,90 /
cos(23,44) = 257,12 s
La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della
obliquit dellorbita terrestre, di 257,12 216,43 = 40,69
secondi nel corso dellanno..
Anche in questo caso gli scarti per si accumulano nel corso
dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o
anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno,
occorre tenere conto di tutti gli scarti precedenti. Questo porta
ad una differenza massima tra giorno vero e giorno medio di
circa 10 minuti.
85
Equazione del tempo
Per ottenere la durata reale del giorno (giorno vero) necessario sommare gli effetti
delleccentricit e dellobliquit. Le due componenti con periodi di un anno e di 6 mesi sono sfasate
perch la posizione del perigeo non coincide ne con un equinozio, ne con un solstizio.
Sommando i due effetti senza tener conto degli effetti cumulativi si ottiene
Osserviamo che il giorno solare pi corto il 14 Settembre (circa 22 secondi in meno del giorno
solare medio), mentre il giorno pi lungo il 21 dicembre (circa 28 secondi in pi del giorno solare
medio). Sono differenze piccole, che per si accumulano nel corso dell'anno raggiungendo anche
parecchi minuti prima di cambiare segno.
Tenendo invece conto degli effetti cumulativi si ottiene
Osserviamo che il giorno solare vero pi lungo cade il 44
mo
giorno dellanno (13 febbraio) e quello
pi corto cade il 304
mo
giorno dellanno (31 ottobre). Inoltre il giorno vero dura esattamente 24 ore
come il giorno solare medio 4 volte allanno
giorno 106 (16 aprile)
giorno 164 (13 giugno)
giorno 243 (31 agosto)
giorno 358 (24 dicembre)
16.2 moto di rivoluzione
La terra possiede un moto di rivoluzione intorno al sole con movimento antiorario per un
osservatore posto al polo nord celeste, che compie in circa 365 giorni e 6 ore. Il piano individuato
dall'orbita terrestre detto eclittica. L'asse di rotazione terrestre inclinato di 66 33' rispetto
all'eclittica e di 23 e 27' (il valore esatto 23 26 21,4) rispetto alla perpendicolare all'eclittica.
86
Durante il suo moto di rivoluzione intorno al sole l'asse terrestre pu essere considerato, in prima
approssimazione, fermo o, per meglio dire, esso si muove intorno al sole mantenendo inalterata la
sua orientazione rispetto alle stelle fisse (si usa dire che durante il moto di rivoluzione lasse
terrestre rimane sempre parallelo a se stesso).
16.2.1 Prove del moto di rivoluzione
16.2.1.1 Parallasse annua
Come abbiamo gi visto, le stelle pi vicine alla terra sembrano oscillare rispetto a quelle pi
distanti (considerate fisse) a causa della diversa posizione di osservazione che la terra assume
durante il suo moto di rivoluzione. Langolo di oscillazione tanto minore quanto pi distanti sono
gli astri osservati.
16.2.1.2 Diversa durata del giorno solare
Abbiamo gi visto come il giorno solare abbia una lunghezza diversa come conseguenza della
differente velocit di rivoluzione della terra lungo la sua orbita. Tale fenomeno pu dunque essere
portato come prova del moto di rivoluzione terrestre.
16.2.1.3 Aberrazione delle stelle fisse
Fenomeno scoperto da J. Bradley nel 1728 per il quale tutte le stelle, indipendentemente dalla loro
distanza, vengono osservate in una posizione diversa da quella effettiva a causa del moto di
rivoluzione della terra. Il fenomeno pu essere in prima approssimazione spiegato (come fece lo
stesso Bradley) nellambito della meccanica classica, supponendo che la velocit della luce si
componga vettorialmente con la velocit della terra (la relativit speciale ha in realt dimostrato che
la velocit della luce una costante di natura e non pu comporsi con altri moti relativi). Cos
facendo si trova che tutte le stelle oscillano intorno alla loro posizione vera di t 20,5 secondi di
grado, quantit definita angolo di aberrazione.
Angolo di aberrazione
Supponiamo che una stella si trovi in S e che la linea visuale che congiunge S alla Terra in T formi un angolo con il
vettore v, velocit orbitale della terra. Il risultato ovviamente il medesimo se pensiamo la terra ferma e la stella
soggetta ad un vettore controverso -v. Tale vettore pu essere scomposto in una componente radiale (v cos), che non
modifica la posizione della stella, e in una componente trasversale (v sin) che modifica le coordinate celesti della stella.
Infatti tale componente trasversale, componendosi con il vettore velocit della luce c, produce un vettore risultante c. In
tal modo la luce della stella sembra provenire da un direzione diversa e la sua posizione apparente sulla sfera celeste
viene ad essere S. con una variazione di un angolo delle coordinate celesti effettive.
Langolo che la direzione vera forma con la direzione apparente, detto angolo di aberrazione, tale che
tan

v sin
c
Prendiamo ora in considerazione una stella la cui direzione formi un angolo con il piano delleclittica ( = latitudine
eclitticale della stella). Possiamo facilmente osservare come la componente trasversale assuma i valori massimi in A e
B, dove = 90 (t v sin90 = t v) ed i valori minimi in C e D, dove = (t v sin).
Se ne deduce che ogni stella presenta sempre lo stesso angolo massimo di aberrazione (per = 90), detto costante di
aberrazione, che vale
tan
v
c
87
Poich la velocit media di rivoluzione della terra v = 29,785 km/s e la velocit della luce c = 299.792,458 km/s, la
costante di aberrazione vale = 20,5 (lIAU Unione Astrofisica Internazionale fornisce per lanno 2000 il valore =
20,495520 t 1 10
-6
). La velocit media di rivoluzione si pu calcolare assumendo lorbita terrestre come circolare, con
raggio pari alla distanza media Terra-Sole (R = 1 UA, pari al semiasse maggiore a = 1,4959787 10
8
km) ed il periodo di
rivoluzione P pari ad 1 anno sidereo (31.558.150 s)
v
a
P

2
oppure utilizzando la 3^ legge di Keplero
( )
P
G M M
a
S T
2 3
4

ed esprimendo
il periodo in funzione della velocit media
(relazione precedente) si ottiene
( )
v
G M M
a
S T

+
In definitiva ogni stella presenta
unoscillazione annua massima di circa 41
(t 20,5) intorno alla sua posizione vera (il
vettore v si orienta infatti in senso opposto ogni 6 mesi) ed una oscillazione minima, orientata perpendicolarmente a
quella massima, il cui valore dipende ovviamente dalla latitudine eclitticale . Se dunque = 20,5 la costante di
aberrazione e la latitudine eclitticale, ogni stella descrive nel periodo di un anno unellisse (ellisse di aberrazione) di
semiassi e sin. Per le stelle che giacciono sul piano delleclittica lellisse degenera in un segmento di ampiezza 2,
mentre per le stelle perpendicolari al piano delleclittica lellisse diventa una circonferenza di raggio .
16.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioni
Il fatto che sui due emisferi terrestri (boreale e australe) si alternino diverse stagioni meteorologiche
una delle conseguenze principali del moto di rivoluzione della terra. In realt il moto di
rivoluzione non l'unico responsabile di tale fenomeno. Ad esso contribuisce anche la particolare
inclinazione dell'asse terrestre ed il fatto che l'asse mantiene inalterata la sua orientazione rispetto
alle stelle fisse.
Se infatti l'asse fosse perpendicolare all'eclittica e non inclinato i due emisferi verrebbero raggiunti
per tutti i 365 giorni dell'anno dalla stessa quantit di radiazione solare e sarebbero caratterizzati da
un'unica stagione uniforme.
Il moto di rivoluzione fa si che l'asse terrestre formi con la direzione dei raggi solari angoli diversi
man mano che la terra procede lungo il suo cammino intorno al sole. In tal modo i raggi solari
giungono con inclinazione diversa sui due emisferi nei vari periodi dell'anno creando le condizioni
per il prodursi di diverse condizioni climatiche. Per descrivere il fenomeno con maggior dettaglio
possiamo individuare 4 punti fondamentali dell'orbita in relazione agli angoli formati dall'asse con
la direzione dei raggi solari.
88
A) punto in cui minima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (66 33'). Lemisfero
boreale e pi esposto alla radiazione solare.
B) punto in cui massima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (113 27' = 90 + 23 27').
L'emisfero australe pi esposto alla radiazione solare.
C) e D) punti intermedi in cui i raggi solari risultano a 90 rispetto all'asse terrestre. I due emisferi
risultano egualmente esposti ai raggi solari.

Esaminiamo ora in dettaglio le condizioni di illuminazione dei due emisferi nei quattro punti
precedentemente individuati.
A) SOLSTIZIO D'ESTATE
La terra raggiunge tale punto poco prima di giungere in afelio. L'afelio viene raggiunto il 4 luglio,
mentre il punto di minima inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari viene raggiunto il 21 giugno,
detto solstizio d'estate.
La data del solstizio di giugno in realt oscilla tra il 20 ed il 22 giugno e quella dellafelio tra il 4 ed il 5
luglio a causa del meccanismo del calendario, che alterna anni civili di 365 giorni ad anni di 366.
Durante il solstizio d'estate i raggi solari risultano perpendicolari (sono allo zenit), a mezzogiorno,
sul parallelo di 23 e 27' di latitudine nord. Tale parallelo detto tropico del Cancro. I raggi solari
risultano inoltre tangenti ai due paralleli che si trovano a 66 e 33' di latitudine Nord e Sud, detti
rispettivamente Circolo polare artico e antartico.
Durante il solstizio
d'estate tutti i punti a
Nord del circolo
polare artico (calotta
polare artica)
rimangono illuminati
dal sole per 24 ore,
mentre tutti i punti a
Sud del circolo
polare antartico
(calotta polare
antartica) rimangono
al buio per 24 ore.
Il circolo di illuminazione individua un piano inclinato di 23 e 27' rispetto all'asse terrestre e taglia
in parti diseguali tutti i paralleli che vanno dall'equatore ai due circoli tranne l'equatore, che viene
diviso in due parti uguali. Nell'emisfero boreale sar maggiore il tratto di parallelo illuminato
rispetto a quello oscuro, mentre il contrario avverr nell'emisfero australe. Ci comporta che la
89
durata del d sar maggiore rispetto a quella della notte nell'emisfero boreale, minore in quello
australe, eguale all'equatore.
Poich i paralleli sono tagliati dal circolo di illuminazione in parti tanto pi disuguali quanto pi ci
avviciniamo ai circoli polari, la differenza di durata tra il giorno e la notte si far tanto pi
accentuata quanto pi ci sposteremo verso i poli.
In tale situazione si verifica un periodo caldo nell'emisfero boreale (estate boreale) ed un periodo
freddo nell'emisfero australe (inverno australe).
Riassumendo l'estate dunque legata al fatto che il polo nord in questo periodo inclinato verso il
sole ed i raggi solari risultano perci maggiormente concentrati nell'emisfero boreale (a
mezzogiorno il sole risulta pi alto
sull'orizzonte rispetto a quanto accade
d'inverno). Inoltre quanto pi un
raggio solare giunge inclinato sulla
superficie terrestre tanto minore sar la
quantit di energia ceduta per unit di
superficie, sia perch si diluisce su di
una superficie maggiore, sia perch
deve attraversare un tratto pi spesso
di atmosfera.
Inoltre l'emisfero boreale risulta riscaldato dal sole per un numero di ore pi elevato rispetto
all'emisfero australe (il d pi lungo).
B) SOLSTIZIO D'INVERNO
Quando dopo circa 6 mesi la terra si trova in prossimit del perielio (che raggiunge il 3 gennaio),
l'asse terrestre, essendosi mantenuto parallelo si trova avere la massima inclinazione (113 e 27')
rispetto ai raggi solari. E' il polo sud questa volta a puntare verso il sole. La terra si trova in solstizio
d'inverno (22 dicembre).
A causa del meccanismo del calendario, anche la data del solstizio di dicembre oscilla tra il 20 ed
il 22 dicembre, mentre quella del perielio tra il 3 ed il 4 gennaio.
I raggi del sole
sono
perpendicolari
al tropico del
Capricorno
(2327' di
latitudine Sud) e
nuovamente
tangenti ai
circoli polari. Le
condizioni di
illuminazione
risultano essere
perfettamente
capovolte
rispetto al solstizio d'estate. Nell'emisfero Nord si produce una stagione fredda (inverno boreale),
mentre nell'emisfero Sud una calda (estate australe).Poich l'estate boreale cade in afelio essa
leggermente pi lunga e meno calda dell'estate australe (la terra infatti pi distante dal sole e si
muove pi lentamente).L'inverno boreale, cadendo invece in prossimit del perielio , leggermente
pi tiepido e pi corto di quello australe. Il fatto che l'inverno e l'estate cadano attualmente in
prossimit dell'afelio e del perielio assolutamente casuale. Le posizioni dei solstizi ( e degli
90
equinozi) sono infatti destinate a mutare gradualmente e con regolarit rispetto all'orbita terrestre. Il
solstizio destate coincideva con lafelio intorno al 1250 d.C. (coincidenza apsidi - solstizi), mentre
gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500
d.C.
C - D EQUINOZI
Gli equinozi occupano una posizione intermedia tra i punti solstiziali, tale per cui i raggi solari
risultano perpendicolari all'asse terrestre e giungono quindi (a mezzogiorno) perpendicolarmente
all'equatore. Il calore solare viene ad essere quindi egualmente distribuito sui due emisferi. Il
circolo di illuminazione coincide con i meridiani, passa per i poli e taglia tutti i paralleli in due parti
uguali. Il d dura 12 ore, come la notte. Lequinozio di primavera viene raggiunto il 21 marzo
(19/21), mentre Lequinozio di autunno il 23 settembre (22/24). La linea degli equinozi risulta
pertanto perpendicolare allasse terrestre.
Naturalmente mentre la terra si muove lungo la sua orbita anche l'inclinazione dei raggi solari
rispetto al suo
asse e quindi alla
sua superficie si
modifica con
regolarit. Il sole
che a
mezzogiorno si
trova allo Zenit
al tropico del
Cancro durante
il solstizio
d'estate, con il
passare dei
giorni si trover
allo Zenit (sempre a mezzogiorno) su paralleli di latitudine via via inferiore, fino a raggiungere
l'equatore durante l'equinozio d'autunno, per poi scendere fino al tropico del Capricorno sul quale
giunger allo Zenit durante il solstizio d'inverno.
Qui sembrer fermarsi per riprendere il suo moto in senso contrario. Il fatto che ai due tropici il sole
dia l'impressione di fermarsi per poi tornare indietro ha dato il nome ai solstizi (sol stare). Il nome
degli equinozi deriva invece dal fatto che quando il sole si trova allo zenit all'equatore il d e la notte
hanno la stessa durata (aequus nox).
Risulta evidente che il sole non potr mai trovarsi allo zenit al di fuori delle latitudini comprese tra i
due tropici. Ci dipende dall'inclinazione attuale dell'asse terrestre. Se l'asse fosse ad esempio
inclinato di 30 rispetto alla perpendicolare all'eclittica, allora anche i tropici verrebbero a trovarsi a
30 di latitudine nord e sud, mentre i circoli si abbasserebbero a 60 N e S.
I due tropici ed i due circoli polari suddividono la terra in cinque zone dette zone astronomiche o
climatiche. La zona compresa tra i due tropici ( l'unica zona della terra dove il sole giunge allo zenit
a mezzogiorno per due volte all'anno) detta zona torrida. Tra i tropici ed i circoli vi sono le due
zone temperate (australe e boreale). Al di sopra dei circoli vi sono le due calotte: calotta polare
artica e antartica.
16.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinozi
Come si visto, durante il moto di rivoluzione, l'asse di rotazione tende a mantenere inalterata la
sua orientazione. Ci dovuto al fatto che la terra gira attorno al proprio asse e, come tutti i
giroscopi (trottole), si oppone ad ogni sollecitazione che tenda a modificarne l'assetto di rotazione
91
(il momento angolare una quantit vettoriale e si mantiene costante in modulo, direzione e verso).
La luna, il sole ed i pianeti esercitano per sulla terra un'attrazione gravitazionale che risulta
maggiore sul rigonfiamento equatoriale, dove presente un eccesso di massa, rispetto ai poli. Tale
attrazione tenderebbe a raddrizzare l'asse portandolo a 90 rispetto al piano dell'eclittica. Il risultato
di tali forze su di un sistema rotante, qual la terra, quello di produrre una rotazione dell'asse il
quale, facendo perno sul centro della terra, descrive due coni aventi vertice al centro della terra.
Poich lequatore celeste perpendicolare allasse terrestre, anchesso
esegue il medesimo movimento, cambiando lentamente lorientazione
rispetto alle stelle fisse. Anche la linea degli equinozi, che essendo
lintersezione dellequatore celeste con il piano delleclittica risulta essere
sempre perpendicolare allasse terrestre, ruota rispetto alle stelle fisse con la
stessa velocit dellasse terrestre. Tale rotazione oraria della linea degli
equinozi nota come precessione degli equinozi. La precessione si
completa in un periodo di circa 26.000 anni, detto anno platonico.
16.3.1 Conseguenze della precessione
1) I punti equinoziali stanno lentamente scivolando in senso orario sulleclittica attraverso le
costellazioni zodiacali. Tenendo conto che una costellazione dello zodiaco ha unampiezza di
30, gli equinozi (ed i solstizi) percorrono ciascuna costellazione in 1/12 di anno platonico, pari
a circa 2.150 anni. Se lequinozio di primavera cadeva 2000 anni fa nella costellazione
dellAriete, oggi cade nei Pesci. Ma in generale tutti i segni zodiacali sono slittati rispetto alle
posizioni che avevano quando nata lastrologia (senza che gli astrologi abbiano mostrato di
accorgersene).
2) Tra 13.000 anni circa lasse terrestre, avr compiuto mezzo giro e non punter pi verso la stella
polare, ma verso Vega nella costellazione della Lira, che dista ben 47 dalla polare.
3) I punti equinoziali (e quindi le stagioni) cambiano la loro posizione rispetto allorbita terrestre.
Attualmente gli equinozi si trovano circa a met strada tra afelio e perielio (apsidi), ma
lentamente li raggiungeranno. Questo terzo punto verr ripreso in seguito, dopo che avremo
discusso dei movimenti delleclittica rispetto alle stelle fisse (moti millenari).
16.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'anno
Viene definito anno il tempo necessario affinch la terra completi il suo moto di rivoluzione intorno
al sole. Anche in questo caso la durata dell'anno dipende dal punto di riferimento considerato.
92
Approfondimento
Il fenomeno della precessione fu scoperto da Ipparco di Nicea nel 139 a.C., osservando che le longitudini eclitticali
delle stelle erano tutte aumentate di una stessa quantit (circa 2) rispetto ai valori misurati nella prima met del III
sec. a.C. (280 ca) da Aristillo e Timocari. Poich la longitudine eclitticale la distanza angolare di una stella rispetto
al punto (equinozio di primavera), Ipparco ne dedusse che tale punto si era spostato nellarco di 144 anni di circa
2 = 7200 (circa 50 allanno). La velocit angolare di precessione rispetto alle stelle fisse (precessione generale)
pari, secondo recenti stime dellUnione Astrofisica Internazionale (IAU) a circa 50 291 , " ( 50 290966 , ") per
anno giuliano (365,25 giorni solari medi) per lanno 2000 (il segno meno indica un movimento retrogrado).
La precessione generale generata dalleffetto del sole (precessione solare - 34,6/y), della luna (precessione
lunare - 15,8 /y) e dei pianeti in senso diretto (precessione planetaria 0,12/y). Leffetto cospirante del sole e della
luna si dice precessione lunisolare.
Il periodo necessario affinch la linea degli equinozi compia una rotazione completa di 360 (= 1.296.000 ) rispetto
alle stelle fisse sar quindi pari a circa 26.000 anni (intervallo di tempo noto come anno platonico).
P
y
eq

1296 000
50 291
. . "
, "/
25.770 anni
Rispetto ad una stella fissa noi misuriamo l'anno sidereo. Esso misura una effettiva rivoluzione di
360 intorno al sole ed ha una durata di 365 giorni 6 ore e 9 minuti circa (365
d
6
h
9
m
10
s
=
365,25636 giorni solari medi = 31.558.150 s).
Come al solito noi usiamo per misurare il tempo rispetto al sole. Il tempo necessario affinch la
terra riassuma la stessa posizione rispetto al sole detto anno solare o tropico. Esso misura in
pratica l'intervallo di tempo tra due equinozi o due solstizi dello stesso segno (ad esempio il tempo
necessario affinch la terra ritorni all'equinozio di primavera).
A causa del fenomeno della precessione l'anno tropico risulta circa 20 (20
m
25
s
) minuti pi breve
dell'anno sidereo e pari a circa 365 giorni 5 ore e 49 minuti (365
d
5
h
48
m
45
s
= 365,24219 giorni
solari medi = 31.556.925 s).
16.5 moti minori millenari
Come stato gi anticipato le interferenze gravitazionali degli altri pianeti sulla terra producono
altri fenomeni, tra i quali ricordiamo:
16.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidi
lorbita terrestre un ellisse e le posizioni assunte dagli altri pianeti rispetto ad essa tendono a
modificarne sia l'eccentricit che lorientamento rispetto alle stelle fisse. Come conseguenza delle
perturbazioni gravitazionali planetarie essa ruota in senso antiorario, facendo perno sul sole, in circa
111.500 anni.
Se lorbita rimanesse ferma rispetto alle stelle fisse, un punto equinoziale (o solstiziale) la
percorrerebbe completamente in circa 26.000 anni. Ma lorbita terrestre, e con essa la linea degli
apsidi, va incontro alla linea degli equinozi e ne abbrevia in questo modo il periodo di rotazione
rispetto alleclittica a circa 21.000 anni. In altre parole gli equinozi (e naturalmente anche i solstizi)
impiegano circa 21.000 anni a percorrere tutta lorbita (ad esempio da perielio a perielio) e come
conseguenza le stagioni sono destinate a manifestarsi in punti via via diversi dellorbita. Avevamo
infatti gi avuto modo di dire che lestate boreale cade oggi in prossimit dellafelio solo
93
Durata dellanno tropico
Sia riv la velocit angolare orbitale della Terra rispetto alle stelle fisse e eq la velocit angolare della linea degli equinozi
rispetto alle stelle fisse. Possiamo considerare ora la velocit relativa della Terra rispetto alla linea degli equinozi, come
differenza delle due velocit precedenti (T - eq). Possiamo cio pensare che i punti equinoziali siano fermi rispetto alle
stelle fisse e che la Terra si muova rispetto alle stelle fisse con una velocit comprendente anche quella della linea degli
equinozi. La Terra impiega un anno tropico (Atr) a percorrere unorbita rispetto ai punti equinoziali. Possiamo pertanto
scrivere


riv eq
sid plat tr
A A A

_
,


2 2 2
( )
( )
s m h
plat sid
plat sid
tr
A A
A A
A 45 48 5 365 = s 925 . 556 . 31 24219 , 365
25 , 365 770 . 25 25636 , 365
25 , 365 770 . 25 25636 , 365
d

+

In realt il valore dellanno tropico cos ottenuto (365,24219 gsm) un valore medio (anno tropico medio). Infatti la durata
dellanno tropico dipende dal punto dellorbita che si prende come riferimento ed il suo valore ad esempio diverso se lo si
misura rispetto allequinozio di primavera o allequinozio dautunno o ad uno dei due solstizi. La causa di tali differenze va
ricercata nel fatto che la terra non completa la sua orbita quando ritorna allo stesso equinozio o allo stesso solstizio (per il
moto di precessione di tali punti) ed il tratto parziale di orbita che ha percorso viene compiuto in tempi differenti in relazione
alla diversa velocit con cui si muove nei diversi punti della sua orbita. Attualmente la durata dellanno tropico rispetto ai
diversi punti equinoziali e solstiziali pari a
Anno Tropico
Equinozio Primavera 365,24233
Solstizio Estate 365,24161
Equinozio Autunno 365,24207
Solstizio Inverno 365,24275
Media 365,24219
casualmente. Essa sta infatti lentamente scivolando in senso orario sullorbita, come daltra parte
fanno tutte le stagioni.
In prima approssimazione la linea
degli equinozi si sovrappone alla
linea degli apsidi ogni 21.000 anni
circa e le stagioni si ribaltano ogni
10.500 anni. In altre parole dopo
10.500 anni circa lasse si trova ad
aver compiuto mezzo giro rispetto
al sole e le condizioni termiche
risultano completamente invertite
(l'estate boreale si avr non pi in
prossimit dell'afelio ma del
perielio). Poich intorno al 1250
d.C. il solstizio destate
coincideva con lafelio
(coincidenza apsidi - solstizi) e la linea degli equinozi compie un quarto di giro ogni 5.250 anni
circa (21.000/4) gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in
perielio) verso il 6500 d.C.
16.5.2 Variazione dell'eccentricit dell'orbita
Attualmente la differenza tra la distanza afelio-sole e la distanza perielio-sole di circa 5 milioni di
chilometri. Tale differenza una misura dell'eccentricit dell'orbita. Se infatti essa si riducesse a
zero l'ellisse si ridurrebbe ad una circonferenza, se aumentasse l'ellisse si farebbe pi eccentrica.
Tale distanza destinata a mutare da un minimo di 1 milione di chilometri ad un massimo di 14
milioni di chilometri. Il ciclo (ad esempio dal valore minimo per ritornare al valore minimo) si
completa in 92.000 anni.
16.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asse
L'asse terrestre varia la sua inclinazione rispetto alla perpendicolare all'eclittica da un minimo di
22 ad un massimo di 2420' in un periodo di 40.000 anni circa. Naturalmente al variare
dell'inclinazione dell'asse deve variare di conseguenza la latitudine di tropici e circoli.
16.5.4 Nutazioni
Il movimento doppio conico dell'asse non regolare, ma si attua con piccole ondulazioni dette
nutazioni (Bradley - 1736). Ciascuna nutazione si completa in 18,6 anni ed dovuta alle
perturbazioni gravitazionali prodotte dalla rotazione oraria (retrograda) della linea dei nodi lunari.
La nutazione comporta una modificazione periodica delle coordinate
celesti analoga a quella prodotta dallaberrazione. Anche le date degli
equinozi e dei solstizi subiscono delle oscillazioni come conseguenza
della nutazione. A volte si fa riferimento ai solstizi e agli equinozi medi,
la cui data pi facilmente calcolabile, non essendo influenzata dalla
nutazione.
16.6 moto rispetto al centro galattico
94
Lasse terrestre descrive intorno alla sua posizione media un ellisse di semiassi 9,21 e 6,86 (ellisse di nutazione)
che si sovrappone al moto principale di precessione, generando unoscillazione periodica.
In realt la terra segue il sole nel suo movimento di rivoluzione intorno al centro galattico con una
velocit stimata di circa 250 km/s, per cui la sua orbita assume la forma di una spirale che si avvita
intorno al sole.

17 La Misura del Tempo
17.1 Il calendario
L'anno tropico non un multiplo esatto del giorno solare medio e non inizia quindi in alle ore 0 del
1 gennaio, ma alle 5 e 49 minuti del 1 gennaio. Per evitare questo inconveniente stato introdotto
l'anno civile di 365 (o 366) giorni. Naturalmente assieme all'anno civile deve essere introdotto un
meccanismo, detto calendario, in grado di recuperare periodicamente le frazioni di giorno non
calcolate nell'anno civile, pena il progressivo sfasamento tra anno civile e tempo astronomico.
Uno dei primi calendari utilizzati a questo scopo il calendario giuliano, introdotto sotto Giulio
Cesare nel 45 a.C. Il calendario giuliano prevede un anno civile di 365 giorni ed un recupero delle
circa 6 ore non contate ciascun anno, ogni quattro anni con l'introduzione di un anno di 366 giorni.
Il giorno in pi veniva aggiunto tra il sesto ed il settimo giorno prima di marzo e chiamato bis
sextum, da cui bisestile. Lanno giuliano dura quindi mediamente 365,25 giorni solari medi. L'anno
tropico non dura per esattamente 365giorni e 6 ore, ma 365 giorni 5 ore e 49 minuti. Il calendario
giuliano, recuperando invece 6 ore, contava circa 11 minuti in pi all'anno (11
m
15
s
) e ciascun
giorno bisestile introdotto portava uno sfasamento di circa 44 minuti rispetto al tempo astronomico.
Verso il 1500 il tempo civile aveva accumulato uno sfasamento di circa 10 giorni rispetto al tempo
astronomico. Nel 1582 il calendario venne perci riformato sotto papa Gregorio XIII. Vennero
dapprima soppressi i 10 giorni in pi che si erano accumulati (si pass dal 4 ottobre del 1582 al 15
ottobre del 1582) ed il calendario giuliano venne sostituito dal calendario gregoriano, lo stesso che
attualmente utilizziamo.
Poich si calcola che gli 11 minuti contati in pi ogni anno sfasano il calendario giuliano di circa 3
giorni ogni 400 anni, il calendario gregoriano introduce un nuovo meccanismo per eliminare
appunto 3 giorni ogni 400 anni. Tale meccanismo prevede che tutti gli anni secolari aventi le prime
due cifre divisibili per 4 continuino ad essere bisestili, mentre gli anni secolari con le prime due
cifre non divisibili per quattro non siano pi bisestili (mentre lo erano nel calendario giuliano.
Cos il 1600 fu bisestile, mentre il 1700, il 1800 ed il 1900 videro soppressi il loro giorno bisestile.
In tal modo dal 1600 al 1900, in un periodo di 400 anni sono stati soppressi 3 giorni bisestili. Il
2000 sar nuovamente bisestile. Poich ogni 400 anni vi sono 303 anni composti di 365 giorni e 97
anni bisestili di 366 giorni, lanno gregoriano ha una durata di
365 303 366 97
400
365 2425 365 5 49 12
+
,
d h m s
ed quindi circa 27 secondi pi lungo dellanno tropico. Poich il giorno solare medio formato di
86.400 secondi, il calendario gregoriano produce uno sfasamento rispetto al tempo astronomico di 1
giorno ogni 86.400/27 = 3.200 anni circa.
95
I Francescani ottennero dal Papa di non eliminare i primi 10 giorni di ottobre per poter
celebrare la festa di San Francesco (4 ottobre). Nella notte tra il 4 ed il 5 mor ad Alba in
Spagna Santa Teresa dAvila, che si celebra pertanto il 15 ottobre. La riforma fu adottata
inizialmente solo dagli Stati italiani, da Spagna e Portogallo. In Francia avvenne nei giorni 9-
20 dicembre 1582, in Austria 6-17 gennaio 1584, in Inghilterra 2-14 settembre 1752 (11
giorni). I paesi ortodossi si adeguarono nel XX secolo, ultima la Grecia che elimin 13 giorni
tra il 15 febbraio e il 1 marzo del 1923. Lunione Sovietica nel 1918.
17.2 Fusi orari
In una certa localit mezzogiorno quando il sole culmina sul meridiano del luogo, raggiungendo il
punto pi alto della sua traiettoria apparente. Ora, poich il moto apparente del sole da Est ad
Ovest, quando il sole in culminazione su di un punto A della superficie terrestre, non pu essere
contemporaneamente in culminazione su di un punto B che si trovi su di un altro meridiano rispetto
ad A (cio che abbia una diversa longitudine). In altra parole il sole non pu essere ad esempio
contemporaneamente in culminazione a Venezia e a Milano. Ne consegue che quando a Venezia
mezzogiorno, a Milano, che si trova pi ad ovest, il sole deve ancora giungere in culminazione e
mancher perci qualche minuto a mezzogiorno. Per evitare l'inconveniente che luoghi diversi (con
diversa longitudine) all'interno di uno stesso stato presentino ore differenti, si convenuto di
dividere la superficie terrestre in 24 spicchi aventi dei meridiani come confini ed un'ampiezza
longitudinale di 15 l'uno. Tali spicchi sono detti fusi orari e tutte le zone comprese all'interno di
uno spicchio hanno convenzionalmente la stessa ora del meridiano passante per il centro del fuso.
Ad esempio per l'Italia il meridiano centrale del fuso quello che passa per Monte Mario nei pressi
di Roma. Quando il nostro orologio segna mezzogiorno (ora legale a parte) in realt mezzogiorno
solare solo sul meridiano centrale. L il sole effettivamente in culminazione, mentre a Venezia,
che si trova leggermente pi ad est il sole gi stato in culminazione e la sua ora effettiva (solare)
di mezzogiorno e qualche minuto, mentre ad Aosta, per ragioni opposte non ancora mezzogiorno.
In effetti i confini dei fusi non seguono perfettamente l'andamento dei meridiani, ma vengono
opportunamente modificati in modo da seguire i confini politici degli stati. Naturalmente questo non
possibile per stati molto estesi in longitudine come gli Stati Uniti o la Russia, dove si costretti ad
usare pi di un fuso. Il primo fuso convenzionalmente quello in cui il meridiano centrale coincide
con il meridiano fondamentale passante per Greenwich. Quando ad esempio il sole in
culminazione si Greenwich in tutto il primo fuso mezzogiorno, mentre nel secondo fuso ad est di
Greenwich sono le 13, nel terzo le 14 e cos via.
17.3 Linea di cambiamento di data
Poniamo ora che a Greenwich siano le 10 del 6 marzo e immaginiamo di muoverci molto
velocemente verso Est con un aviogetto. Mentre attraverseremo i fusi verso Est dovremo far
avanzare le lancette dell'orologio, spostandole verso le 11, le 12
e cos via fino a che, giunti all'antimeridiano di Greenwich (13
fuso) sposteremo le lancette alle 22 del 6 marzo. Proseguendo
verso est il viaggiatore raggiunger il fuso delle 24, il cui
meridiano centrale detto linea di mezzanotte (LM).
Attraversandolo il viaggiatore sposter il suo orologio dalle 24
del 6 marzo alle 1 del 7 marzo. Immaginiamo ora un altro
viaggiatore che stia compiendo anch'egli molto velocemente il
giro del mondo ma verso Ovest, partendo da Greenwich il 6
marzo ore 10. Mentre attraversa i fusi verso ovest egli dovr
portare indietro le lancette dell'orologio alle 9 di mattina del 6
marzo, alle 8, alle 7 e cos via finche, raggiunta la linea di
mezzanotte sposter le lancette dall'una del 6 marzo alle 24 del
5 marzo. Cos i due viaggiatori incontrandosi alla linea di mezzanotte provenienti da parti opposte,
si troverebbero d'accordo sull'ora ma non sul giorno. Per evitare tale inconveniente il XIII fuso, che
contiene l'antimeridiano di Greenwich, viene diviso dal 180 meridiano in due parti aventi stessa
ora, ma date diverse. Qualunque sia l'ora sul mezzo spicchio ad ovest dell'antimeridiano, sul mezzo
spicchio ad est la stessa ora del giorno precedente. In definitiva esistono due meridiani in cui le
date cambiano in modo opposto: la linea di mezzanotte (la data aumenta verso est) e la linea
internazionale di cambiamento di data (LCD, la data diminuisce verso est). In ogni momento la
terra dunque divisa in due zone aventi date diverse (a est della LCD vi sempre la data inferiore).
Naturalmente quando il sole in culminazione su Greenwich la linea di mezzanotte coincide con la
linea di cambiamento di data e tutti i luoghi presentano la stessa data (attraversando
96
contemporaneamente le due linee la data dovrebbe sia aumentare che diminuire e quindi non varia).
Per evidenti ragioni di opportunit la LCD passa sempre attraverso l'oceano e nei pochi casi in cui
incontrerebbe qualche isola, viene fatta deviare.
18 LOrientamento
18.1 Orizzonte e punti cardinali
Orientarsi significa individuare sull'orizzonte i 4 punti cardinali. L'orizzonte la circonferenza che
delimita la porzione visibile all'osservatore della superficie terrestre, separandola dalla volta celeste.
Lorizzonte geometrico dipende dallaltezza h (in metri) dellosservatore rispetto al suolo. Il raggio
dellorizzonte geometrico (in metri) approssimativamente pari a
3570 . h
.
Lorizzonte sensibile in realt leggermente pi ampio a causa dei fenomeni di rifrazione della luce
che permettono al nostro occhio di ricevere immagini situate anche oltre lorizzonte geometrico.
L'EST il punto dell'orizzonte dal quale sembra sorgere il sole nei giorni equinoziali , detto anche
oriente o levante. L'OVEST, o occidente o ponente, il punto dell'orizzonte dove sembra
tramontare il sole nei giorni equinoziali. Nei giorni non equinoziali il sole sorge e tramonta
leggermente pi a Nord durante l'estate boreale e leggermente pi a sud durante l'inverno boreale.
L'angolo che i raggi del sole formano con il piano equatoriale nei giorni non equinoziali detto
declinazione solare. I valori della declinazione solare per ogni giorno dell'anno (in pratica la
latitudine alla quale il sole risulta allo zenit a mezzogiorno) sono riportati negli annuari
astronomici. Ponendosi con la destra ad est e la sinistra ad ovest il NORD risulta posto esattamente
dinanzi all'osservatore, mentre il SUD si trova alle sue spalle.
18.2 Orientamento diurno
Per orientarsi si pu dunque indicativamente osservare il punto in cui sorge o tramonta il sole.
Nell'emisfero boreale inoltre possibile individuare il sud dalla posizione del sole a mezzod
(naturalmente se ci troviamo tra equatore e tropico del Cancro necessario che il sole non stia
culminando in un punto pi a Nord). Per un osservatore posto nell'emisfero australe la posizione del
sole in culminazione indica naturalmente il Nord.
97
Un altro metodo pratico per orientarsi con il sole in qualunque ora del giorno disporre la lancetta delle ore verso il
sole, individuare l'angolo che essa forma, in senso orario, con la direzione delle 12 e tracciarne la bisettrice. Al
mattino la bisettrice indica il Sud, al pomeriggio il Nord. Un secondo metodo prevede di puntare la lancetta delle ore
verso il sole. Il Nord viene indicato dalla direzione che la lancetta delle ore avrebbe dividendo l'ora (misurata da 1 a
24) per due. Un terzo metodo utilizza un bastone piantato verticalmente sul terreno. Mentre il sole si sposta da Est ad
Ovest l'ombra del bastone si sposta da ovest ad est. Dopo aver atteso un certo intervallo di tempo affinch divenga
evidente uno spostamento dellombra sul terreno, la retta che congiunge i due vertici dell'ombra del bastone individua
la direzione Est-Ovest.
Dimensione dellorizzonte geometrico (Approfondimento facoltativo)
Se R il raggio medio terrestre (6.371 km), h laltezza
dellosservatore e d la visuale dellosservatore, tangente
allorizzonte, per il teorema di Pitagora potremo scrivere
( ) d R h R
2
2
2
+
e quindi
d h Rh
2 2
2 +
essendo h << R, potremo trascurare h
2
rispetto a 2Rh. Si avr pertanto
d Rh
2
2
e quindi
d Rh R h h h 2 2 2 6371000 3570 . . .

18.3 Orientamento notturno
Di notte ci si pu orientare con la stella polare la quale indica il polo Nord celeste con circa 51' di
scarto. ( La stella polare l'ultima stella del timone del piccolo carro, individuabile prolungando
l'asse anteriore del grande carro di circa tre volte la sua lunghezza). Nell'emisfero australe
possibile orientarsi individuando la stella Octantis che indica il Sud con circa 1 di scarto.
Essendo per Octantis poco luminosa si cerca in genere la costellazione Croce del Sud che per
dista 30 dal Polo Sud.
18.4 Declinazione magnetica
Naturalmente ci si pu orientare con la bussola, la quale tuttavia non indica il polo Nord geografico,
ma il polo Nord magnetico, il quale si trova attualmente a circa 75 N e 100 W in una delle isole
Regina Elisabetta (Canada), mentre il polo Sud magnetico si trova a circa 68 S e 140 E circa.
In effetti non si tratta di veri e propri punti, ma di zone di estensione variabile, che mutano la loro
posizione con il tempo. Evidentemente solo per un osservatore posto sul meridiano di 100 W (e sul
suo antimeridiano) l'ago della bussola indica contemporaneamente il polo nord geografico ed il polo
nord magnetico.
In tutti gli altri casi l'ago della bussola punta verso il polo nord magnetico e non verso quello
geografico. La direzione individuata dall'ago (che punta verso il Nord magnetico) forma in tal caso
con la direzione individuata dal meridiano passante per il luogo (che punta verso il Nord
geografico) un angolo detto declinazione magnetica.
La declinazione magnetica pu essere occidentale o orientale e varia da luogo a luogo. Conoscendo
la declinazione magnetica di una certa localit possibile individuare con esattezza, tramite una
bussola, il polo nord geografico.
18.5 Determinazione delle coordinate geografiche
18.5.1 Latitudine di notte
Durante la notte la latitudine pari all'angolo che la visuale
verso la stella polare forma con il piano dell'orizzonte. In
altre parole possibile calcolare la latitudine di un luogo
semplicemente misurando l'altezza della stella polare sul
piano dell'orizzonte.
Nello schema la latitudine del punto A rappresentata
dall'angolo . E' facile osservare che i due angoli sono
uguali in quanto corrispondenti, mentre i due angoli
sono uguali in quanto entrambi complementari di angoli
corrispondenti (le due rette parallele sono 2 raggi
provenienti dalla stella polare, uno passante per il centro
della terra, uno passante per il punto A. La retta incidente
coincide con il raggio terrestre passante per A).
E' facile convincersi che pi ci spostiamo verso nord
(maggior latitudine) pi la stella polare ci appare alta sul
piano dell'orizzonte, mentre pi ci si sposta verso l'equatore pi la stella si abbassa sul piano
dell'orizzonte (al polo Nord (latitudine 90) la stella si trova allo zenit, a 90, mentre all'equatore
(latitudine 0) i suoi raggi giacciono sul piano dell'orizzonte.
98
18.5.2 Latitudine di giorno
Durante le ore diurne, nei giorni equinoziali, la latitudine pari al complemento a 90 dell'altezza
del sole sul piano dell'orizzonte a mezzogiorno. In altre parole una volta misurato durante un giorno
equinoziale l'angolo che i raggi solari formano a mezzogiorno con il piano dell'orizzonte
necessario sottrarlo a 90
per ottenere la latitudine
del luogo.
Nello schema
rappresenta la latitudine
di A, mentre
rappresenta l'altezza
del sole sul piano
dell'orizzonte. I due
angoli sono uguali
perch corrispondenti,
mentre i due angoli sono uguali perch complementari di angoli corrispondenti ( le due rette
parallele sono due raggi provenienti dal sole, uno passante per il centro della terra, uno passante per
il punto A. La retta incidente coincide con il raggio terrestre passante per A).
Nei giorni non equinoziali necessario conoscere il valore della declinazione solare del luogo. Il
valore dell'angolo di declinazione va aggiunto all'angolo di latitudine precedentemente calcolato in
primavera estate, mentre va tolto in autunno inverno. Tale correzione evidentemente necessaria
per riportare il sole in posizione equinoziale.
18.6 Longitudine
E' possibile calcolare la longitudine possedendo un orologio sincronizzato sull'ora di Greenwich.
Ricordando infatti che il sole impiega 1 ora per percorrere 15 di longitudine possibile tradurre
differenze di tempo tra l'ora locale e l'ora di Greenwich in differenze di longitudine.
Ad esempio se il nostro orologio ci informa che a Greenwich sono le 10 e 30 mentre il sole si trova
in culminazione sul nostro meridiano, possiamo dedurre che il sole arriver in culminazione a
Greenwich tra un'ora e mezza. Greenwich si trover quindi ad Ovest del nostro meridiano ad una
distanza di 22 30', distanza che il sole copre appunto in un'ora e mezzo (15 + 7 30'). La nostra
longitudine sar pertanto 2230' E. In generale quando l'ora locale maggiore di quella di
Greenwich il luogo si trova ad Est di Greenwich, quando minore il luogo si trova ad Ovest.
19 La Luna
Generalit
La luna possiede una massa pari ad 1/81 circa di quella terrestre (M
L
= 7,3483 10
22
kg) ed una
raggio medio di 1738 km. La sua densit di 3.3 kg/dm
3
contro i 5.5 kg/dm
3
. La forza di gravit
1/6 di quella terrestre.
99
Gravit lunare
La forza di gravit di un corpo celeste di massa M e raggio R pu essere espressa in rapporto alla gravit terrestre
(ponendo cio la gravit terrestre pari a 1) mediante la seguente relazione
( )
M M
R R
T
T
/
/
2
che si ottiene facendo il rapporto tra la forza gravitazionale misurata nei due sistemi. Essendo il raggio medio
terrestre (RT) pari a 6371 km e la massa terrestre (MT) pari a 5,9742 10
24
kg
19.1 laspetto fisico
La superficie lunare presenta grandi distese scure chiamate mari (costituite da estese pianure
coperte da una polvere soffice che riflette meno la luce solare, detta regolite). I rilievi lunari visti
dalla terra si presentano invece pi luminosi e sono costituiti da catene montuose e dai bordi rialzati
di crateri (alcuni vulcanici, altri da impatto meteorico). Sulla superficie lunare si notano inoltre dei
solchi che possono arrivare a parecchie decine di km di lunghezza e a profondit fino a 500 m. La
loro origine incerta (fessure dovute all'antico raffreddamento ed alla relativa contrazione della
crosta; canali scavati dalla lava; fratture (faglie) legate ai movimenti successivi della crosta lunare).
Sulla luna assente sia l'acqua che l'atmosfera, poich la piccola velocit di fuga caratteristica della
luna ha permesso a queste molecole di perdersi nello spazio, vincendo la gravit lunare
(probabilmente quando la luna era molto pi calda e tali molecole possedevano energie cinetiche
piuttosto elevate). L'assenza di acqua ed atmosfera ha impedito che la superficie lunare subisse
fenomeni erosivi paragonabili a quelli terrestri, in tal modo la crosta lunare conserva praticamente
intatto l'aspetto fortemente craterizzato prodottosi miliardi di anni orsono al momento della sua
formazione. L'assenza di atmosfera fa inoltre s che non si abbiano fenomeni crepuscolari (il circolo
di illuminazione netto). L'albedo (frazione della luce totale riflessa da un corpo) lunare solo del
7%, contro quella della terra che del 35%. In altre parole la terra (a causa delle superfici acquee,
dei ghiacciai, delle nubi) riflette, per unit di superficie, una quantit di luce solare incidente cinque
volte superiore a quella riflessa dalla luna ed appare dunque dallo spazio molto pi brillante.
19.2 Moto di rotazione
La luna ruota attorno al proprio asse da Ovest ad Est in circa 27 giorni terrestri (un giorno lunare
dura 27 giorni terrestri). Il periodo di oscurit e quello di luce sono quindi molto lunghi. Se a ci si
aggiunge l'assenza di atmosfera, di nubi, acqua e copertura vegetale si comprende come
l'escursione termica (differenza di temperatura tra il giorno e la notte) sia molto elevata. La
temperatura diurna pu infatti raggiungere un centinaio di gradi C, mentre di notte si pu arrivare a
150 C sotto zero.
19.3 Sistema Terra-Luna
In prima approssimazione la luna percorre unorbita ellittica intorno alla terra, in senso antiorario se
osservata dal polo nord celeste. La terra occupa naturalmente uno dei due fuochi dellellisse. Il
punto di minima distanza Terra-Luna detto perigeo (da centro a centro 356.410 km), mentre il
punto di massima distanza prende il nome di apogeo (da centro a centro 406.697 km).
La distanza media di 384.400 km.
In realt la massa della Luna non del tutto trascurabile rispetto alla massa della Terra ed quindi
solo una grossolana approssimazione affermare che la Luna ruota intorno alla Terra. Pi
correttamente entrambe ruotano intorno ad un baricentro comune che si trova allinterno della
Terra, circa 1700 km sotto la sua superficie. Per questo motivo Terra e Luna possono essere
considerate un sistema gravitazionale doppio.
100
Distanza del baricentro Sistema Terra-Luna
(Approfondimento facoltativo)
Il baricentro divide la distanza Terra-Luna in due parti
inversamente proporzionali alle due masse. Detta DT/L la
distanza media tra il centro della Terra ed il centro della Luna, DT
la distanza media del baricentro dal centro della Terra e DL la
distanza media del baricentro dal centro della Luna, si avr
M D M D
T T L L

ed essendo ovviamente DT/L = DT + DL


D
M
M M
D
T
L
T L
T L

+


+

/
,
, ,
. .
7 3483 10
5 9742 10 7 3483 10
384 400 4671
22
24 22
km
19.4 Moto di rivoluzione e fasi lunari
Il piano dell'orbita lunare non coincide perfettamente con il piano dell'orbita terrestre o eclittica (sul
quale giace anche il sole), ma inclinato rispetto ad esso di circa 5 (5 8 43).
Il moto di rivoluzione lunare fa s che essa cambi continuamente la sua posizione relativa rispetto al
sole ed alla terra. Si individuano usualmente 4 posizioni fondamentali:
a) congiunzione La luna si trova tra il sole e la terra
b) opposizione La terra si trova tra la luna ed il sole
c) quadrature sono le due posizioni intermedie tra congiunzione ed opposizione. Luna terra e
sole formano i vertici di un triangolo rettangolo.
Le posizioni di congiunzione ed opposizione prendono il nome di sizigie o sigizie. In effetti tali
termini non si riferiscono solo alle posizioni della luna rispetto al sole ed alla terra ma a possibili
posizioni reciproche di qualsiasi corpo del sistema planetario rispetto al sole. Naturalmente in
ognuna di queste posizioni possibile osservare la luna diversamente illuminata dal sole. Le diverse
condizioni di illuminazione osservabili dalla terra sono dette fasi lunari.
a) quando la luna si trova in congiunzione noi osserviamo la met non illuminata della luna. La
fase lunare detta di luna nuova o novilunio. Durante il novilunio la luna sorge, culmina e
tramonta con il sole.
b) quando la luna in opposizione osserviamo la met illuminata della luna. La fase lunare detta
di luna piena o plenilunio. Durante il plenilunio la luna sorge quando tramonta il sole, culmina a
mezzanotte e tramonta al sorgere del sole.
c) quando la luna si trova nelle due quadrature l'emisfero lunare che noi osserviamo risulta per
met illuminato e per met oscuro. Le due fasi lunari sono dette primo quarto e ultimo quarto.
La porzione della luna non illuminata dal sole dovrebbe risultare perfettamente oscura. In realt
essa debolmente illuminata dalla luce del sole riflessa dalla terra. Tale debole chiarore detto luce
cinerea. La corretta interpretazione di tale fenomeno si deve a Leonardo da Vinci. Dalla fase di
novilunio a quella di plenilunio si ha luna crescente. Nella fase contraria si ha luna calante.
19.5 Mese sidereo
La durata del periodo di rivoluzione ancora una volta diversa a seconda che prendiamo come
punto di riferimento una stella fissa o il sole. Il tempo necessario affinch la luna compia una
rivoluzione completa di 360 intorno alla terra, ritornando nella stessa posizione rispetto ad una
stella fissa detto mese sidereo. Esso ha una durata di circa 27,32 giorni terrestri (27
d
7
h
43
m
11,5
s
=
27,321661 gsm = 2.360.591,5 s) La luna ruota intorno al suo asse impiegando lo stesso tempo che
impiega a compiere una rivoluzione intorno alla terra. La conseguenza di tale curiosa coincidenza
che la luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. Lemisfero nascosto della luna si presenta pi
ricco di crateri di piccole dimensioni, mentre sono praticamente assenti i grandi mari che
101
caratterizzano lemisfero rivolto verso la terra. Questultimo, a causa dellattrazione gravitazionale
terrestre, risulta inoltre leggermente pi protuberante.
19.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni
(Metone)
Il mese sinodico o lunazione il tempo necessario
affinch la luna raggiunga nuovamente una fase
lunare dello stesso segno. Ad esempio l'intervallo
di tempo tra due lune piene consecutive. In altre
parole il mese sinodico rappresenta il tempo
necessario perch la luna raggiunga nuovamente
la stessa posizione relativa rispetto al sole ed alla
terra. Il mese sinodico dura circa 29,53 giorni
terrestri (29
d
12
h
44
m
2,9
s
= 29,530589 gsm =
2.551.442,9 s, oltre due giorni in pi rispetto al
mese sidereo. Ci dovuto al fatto che mentre la
luna compie il suo moto di rivoluzione intorno
alla terra, quest'ultima compie un tratto della sua
orbita intorno al sole, cambiando perci la sua
posizione rispetto ad esso.
Poich il mese sinodico dura 29,53 giorni, un
anno non contiene un numero intero di lunazioni.
In un anno giuliano si possono susseguire 12
lunazioni complete (354,367 gsm) con l'avanzo di
circa 11 giorni. Di conseguenza le fasi lunari non
si ripetono ogni anno alla stessa data, ma solo
ogni 235 lunazioni, corrispondenti a circa 19 anni
tropici.
Tale ciclo detto ciclo aureo o di Metone
(astronomo greco del V sec. a.C.)
19.7 La luna e le maree
A causa del suo moto di rivoluzione intorno alla terra la luna non sorge, culmina e tramonta sempre
alla stessa ora tutti i giorni, ma con circa 50 minuti di ritardo ogni giorno. In altre parole la terra
completa una rotazione intorno al suo asse rispetto alla luna in 24
h
e 50
m
circa (giorno lunare).
La luna la principale responsabile (assieme al sole) dei fenomeni mareali che interessano
lidrosfera (ma anche latmosfera e in misura molto minore la stessa crosta terrestre). Si gi detto
che gli effetti mareali sono dovuti alla diversa attrazione gravitazionale cui sono sottoposti punti
diversi di uno stesso corpo. Lidrosfera, pensata per semplicit come un guscio sferico di spessore
uniforme, si deforma sotto lazione della luna assumendo la forma di un ellissoide di rotazione
(ellissoide di marea) avente lasse maggiore orientato lungo la direzione Terra-Luna. In tal modo,
osservando il sistema Terra-Luna dal polo nord celeste, possiamo individuare 2 zone di alta marea
in corrispondenza dei punti in cui la luna allo zenit e al nadir e due zone di bassa marea nei punti
intermedi, dove la luna appare sullorizzonte, in procinto di sorgere o di tramontare.
102
In realt il ciclo di Metone non preciso poich 19 anni tropici contengono 19 x 365,24219 = 6939,6016 giorni solari
medi, mentre 235 mesi sinodici sono composti da 235 x 29,530589 = 6939,6884. Vi una differenza di poco pi di 2
ore (2
h
5
m
) che dopo 11 cicli e mezzo circa ( 219 anni), sfasa il ciclo di 1 giorno.
Lasse maggiore dellellissoide di marea tende a rimanere sempre allineato con la luna, cosicch la
Terra compie una rotazione rispetto ad esso in un giorno lunare (24
h
50
m
). In altre parole, basse ed
alte maree si alternano ogni
quarto di giorno lunare (6
h
12,5
m
).
Le forze che generano le maree si
determinano a causa del non
perfetto equilibrio esistente tra
forze centrifughe e gravitazionali
nei vari punti della Terra. Tale
equilibrio esiste solo al centro
della Terra, ma non alla sua
superficie, dove la forza
gravitazionale pu risultare
maggiore (nei punti pi vicini
alla luna) o minore (nei punti pi
distanti) rispetto alla forza
centrifuga.
Lazione mareale della Luna circa 2,2 volte pi intensa di quella del Sole. Quando la Luna si
trova in sizigie gli effetti mareali dei due astri si combinano e le alte maree presentano le massime
ampiezze (maree di sizigie), mentre quando la Luna si trova in quadratura leffetto mareale del
Sole indebolisce quello della Luna, senza peraltro annullarlo (maree di quadratura).
Determinazione dellaccelerazione mareale
Terra e Luna si attraggono con una forza pari a
F G
M M
d
g
L T

2
dove d la distanza che separa i rispettivi centri. La
Terra dunque sottoposta ad una accelerazione in direzione della Luna pari a a
F
M
G
M
d
g
g
T
L

2
che si esercita sul
suo baricentro. Poich la Terra non cade sulla Luna e la loro distanza media rimane, almeno in prima approssimazione,
costante, il sistema Terra-Luna deve essere in equilibrio dinamico. Ci significa che il moto di rotazione del sistema
intorno al baricentro comune genera una accelerazione centrifuga esattamente uguale allaccelerazione gravitazionale
centripeta. Ma essendo la terra rigida tutti i suoi punti si muovono in modo solidale con il baricentro e possiedono quindi
la stessa accelerazione centrifuga, pari a
a a G
M
d
c g
L

2
, sempre diretta in senso opposto
alla direzione della Luna.
Dunque, mentre la forza centrifuga identica in tutti i
punti, la forza gravitazionale esercitata invece
diversa in intensit e in direzione, a causa della
differente distanza dal centro della Luna. Le forze
103
Giorno lunare
Se la velocit angolare orbitale della Luna rispetto alle stelle fisse pari a

L
sid
M

360
e la velocit angolare di rotazione della Terra rispetto alle stelle
fisse pari a

rot
sid
G

360
, allora la velocit di rotazione della terra rispetto
alla Luna in moto di rivoluzione intorno ad essa sar pari a


rot L
sid sid L
G M G

2 2 2
dove GL il tempo necessario affinch la terra compia una rotazione
rispetto alla Luna. E, riordinando
G
M G
M G
L
sid sid
sid sid


23605915 861641
23605915 861641
89 428 3
. . , . ,
. . , . ,
. , secondi
3.028,3 secondi = 50,47 minuti pi di un giorno solare medio (86.400 s).
mareali sono la risultante di tali forze applicate e si manifestano evidentemente in tutti i punti in cui tale risultante
diversa da zero e quindi in tutti i punti che non siano il centro della terra, dove la forza gravitazionale esattamente
controbilanciata dalla reazione centrifuga. Se R il raggio terrestre e d la distanza tra i baricentri della Terra e della
Luna, laccelerazione gravitazionale nei punti in cui la Luna allo zenit e al nadir vale
( )
a
GM
d R
g
L

t
2
e quindi laccelerazione mareale in grado di produrre le alte maree
( )
a a a
GM
d R
GM
d
M g c
L L

t

2 2
( )
( )
a GM
d d R dR
d R d
M L

+ t
t
2 2 2
2
2
2
e nellipotesi che il raggio terrestre R sia trascurabile rispetto alla distanza d Terra-Luna (R<<d e R
2
<<d
2
)
a
GM R
d
M
L

2
3
Si pu dimostrare che nei punti intermedi, di bassa marea, laccelerazione mareale , in modulo,
esattamente la met che nei punti di alta marea, mentre la direzione dei vettori centripeta, essendo orientata verso il
centro della Terra. Gli effetti mareali del Sole sono meno intensi di quelli lunari. Per confrontare gli effetti mareali dei due
astri, determiniamo il rapporto tra le rispettive accelerazioni mareali
( ) ( )
GM R
d
GM R
d
M M
d d
L
L
S
s
L S
L S
3 3 3
25 33
10 13
3
7 348 10 1989 10
3 844 10 1 496 10
218 :
/
/
, / ,
, / ,
,



19.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissi
Essendo l'orbita lunare inclinata di circa 5 (5 8 43) rispetto all'eclittica, la luna compie met del
suo percorso di rivoluzione sopra il piano dell'eclittica e met sotto. I due punti di intersezione, in
cui la luna attraversa il piano dell'eclittica sono detti nodi e la linea che li congiunge detta linea
dei nodi. La linea dei nodi rappresenta l'intersezione tra il piano dell'eclittica ed il piano dell'orbita
lunare.
La linea dei nodi (intersezione del piano dell'orbita lunare con l'eclittica) ruota, in senso opposto al
movimento di rivoluzione lunare (e terrestre), compiendo una rotazione completa in senso orario
rispetto alle stelle fisse in 18,6 anni (retrogradazione o regressione dei nodi). In altre parole i nodi
vanno incontro alla luna, la quale ritorna pertanto ad un nodo dello stesso segno (ad esempio il nodo
ascendente) un po' prima di aver compiuto una rivoluzione completa di 360 rispetto alle stelle
fisse.
Ricordando che il tempo necessario per compiere una rivoluzione completa rispetto alle stelle fisse
definita mese sidereo (27,32166 giorni solari medi = 27
d
7
h
43
m
12
s
), la luna compier un'orbita
rispetto ad un nodo in un tempo inferiore. Tale intervallo di tempo detto mese draconitico o
104
draconico (27,212220 gsm = 27
d
5
h
5
m
35,8
s
= 2.351.135,8 s). La rotazione dellorbita lunare,
misurata dalla regressione dei nodi, muta periodicamente linclinazione dellorbita lunare nei
confronti del piano equatoriale. Cos langolo che il piano dellorbita lunare forma con il piano
equatoriale va da un massimo di 28 35 (23 26 + 5 9), quando orbita lunare ed equatore sono
inclinati in senso opposto rispetto alleclittica (A), ad un minimo (dopo 9,3 anni) di 18 17 (23 26
- 5 9), quando orbita lunare ed equatore sono inclinati nello stesso senso rispetto alleclittica (B).
La Luna pu dunque giungere allo zenit solo su regioni comprese tra le latitudini di 28 35 N e S
(ed in certi anni solo su regioni comprese tra le latitudini di 18 17 N e S).
La regressione della linea dei nodi porta periodicamente questi ultimi ad occupare le posizioni di
sizigie. Quando ci avviene si producono le condizioni necessarie al manifestarsi del fenomeno
delle eclissi. Infatti quando la Luna si trova contemporaneamente in sizigie e in uno dei due nodi,
Luna Sole e Terra si trovano ad essere allineati. Nel caso l'allineamento sia perfetto si parla di
eclissi totali, nel caso ci non avvenga e la luna in sizigie si trovi solo nelle vicinanze di un nodo si
possono produrre eclissi parziali.
In realt leclisse un fenomeno per cui un astro entra nel cono d'ombra di un altro. Sono dunque
propriamente eclissi solo quelle di luna, mentre le eclissi di sole sono in effetti occultazioni (per cui
un astro passa davanti ad un altro e lo occulta).
19.8.1 Eclisse di Luna
Quando la luna si trova in opposizione e in un nodo essa destinata a scomparire completamente
nel cono d'ombra della terra. Naturalmente durante le eclissi di luna, la luna si trova sempre in
plenilunio.
105
Quando la luna attraversa il cono d'ombra l'eclisse visibile da tutto l'emisfero terrestre notturno.
Poich lombra della Terra quasi 3 volte pi grande della Luna, uneclissi totale di Luna pu
durare oltre 100 minuti. Affinch si produca un'eclisse di luna necessario che la luna ed un nodo si
trovino contemporaneamente in opposizione. Se la linea dei nodi fosse ferma rispetto alle stelle
fisse, i nodi si verrebbero a
trovare in opposizione ogni
sei mesi (alternativamente il
nodo ascendente e
discendente) e potrebbero
pertanto verificarsi non pi
di due eclissi lunari all'anno.
Poich la linea dei nodi si
muove di moto retrogrado di
circa 20 all'anno, i nodi si
presentano in opposizione
con periodicit leggermente
inferiore ai 6 mesi e quindi a
volte possono presentarsi le
condizioni per eclissi lunari
anche tre volte all'anno.
19.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)
L'eclisse o occultazione solare si produce ogniqualvolta la luna ed un nodo si trovano in
congiunzione. La luna in grado di oscurare il sole in quanto possiede lo stesso diametro apparente
della nostra stella.
Nel caso per in cui la luna si trovi in apogeo e la terra in perielio, il diametro apparente del sole
risulta maggiore di quello lunare e si producono le cosiddette eclissi anulari, in cui un anello
luminoso del disco solare compare dietro
al bordo lunare.
Essendo il cono d'ombra della luna molto
meno esteso di quello terrestre, le eclissi
solari sono visibili sono in una stretta
area ampia da 200 a 300 km (zona di
totalit) che si sposta da ovest verso est
per migliaia di chilometri, attorniata da
una vasta zona di penombra. Per un
osservatore che si trovi a percorrere il
diametro di tale zona oscura l'eclisse pu
durare fino a 7
m
30
s
.
A differenza delle eclissi lunari, le eclissi
solari possono verificarsi ai due passaggi
consecutivi della luna in prossimit di un
nodo in congiunzione. Per questo motivo
si possono avere fino ad un massimo di 5
eclissi di sole all'anno. In un anno si
verificano un minimo di due eclissi
(entrambe di sole) ed un massimo di 7 (5 di sole e due di luna; eccezionalmente 4 di sole e 3 di
luna). Le eclissi solari sono dunque in assoluto pi frequenti. Ma relativamente ad un osservatore
particolare risultano pi frequenti le eclissi di luna in quanto visibili sempre da tutti gli osservatori
dell'emisfero notturno. L'intervallo di tempo medio che separa due eclissi solari totali osservabili da
una particolare regione terrestre di circa 360 anni.
106
19.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)
Mediamente si verificano da 2 a 7 eclissi all'anno. I Caldei avevano scoperto che le eclissi si
ripetevano con la stessa successione ogni 223 lunazioni pari a 18 anni circa (18 anni e 10-12 giorni,
a seconda del numero di anni bisestili presenti). Tale intervallo di tempo noto come ciclo di Saros.
In tale periodo si susseguono 71 eclissi, 43 di sole e 28 lunari.
19.9 Librazioni
Si detto che poich la rotazione e la rivoluzione lunare hanno la stessa durata di circa 27 giorni, la
luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. In realt noi possiamo vedere circa il 59% della
superficie lunare. Ci dovuto ad oscillazioni periodiche della Luna dette librazioni, descritte per la
prima volta da Galileo e da lui definite titubazioni. Le librazioni si distinguono in vere e apparenti.
a) Le librazioni vere o fisiche sono dovute allattrazione che la terra esercita sul rigonfiamento
equatoriale della luna e ad irregolarit nel moto di rotazione lunare.
b) Le librazioni apparenti o geometriche si possono suddividere in
librazioni in longitudine - dovute al fatto che mentre il moto di rotazione della luna
avviene a velocit costante, in modo regolare ed uniforme, il moto di rivoluzione pi
veloce in perigeo e pi lento in apogeo. In tal modo noi possiamo scorgere di volta in
volta una piccola fetta di superficie lunare normalmente non visibile, alternativamente ad
est e ad ovest (t 7,5). Il risultato che la luna, vista dalla terra sembra produrre lievi
oscillazioni attorno al suo asse, paragonabili a quelle di una testa che dice di no.
librazioni in latitudine - dovute al fatto che lasse di rotazione lunare inclinato di 6
41 rispetto alla perpendicolare allorbita della luna. Poich lasse mantiene costante la
sua orientazione rispetto alle stelle fisse (come avviene anche per lasse terrestre), di
conseguenza durante il suo moto di rivoluzione la luna ci mostra alternativamente il suo
107
Ciclo di Saros e mese anomalistico
Il ciclo di Saros misura il periodo di tempo necessario affinch luna, terra e nodi ritornino in una stessa posizione
rispetto al sole. Ricordando che un'eclisse si produce quando la luna si trova contemporaneamente in sizigie e in un
nodo, il tempo necessario affinch tale situazione si ripeta nuovamente si determina calcolando il minimo comune
multiplo tra il mese draconico ed il mese sinodico. Tale intervallo di tempo risulta essere di circa 6585 giorni solari
medi e 8 ore, corrispondente a 242 mesi draconici e a 223 mesi sinodici.
Il ciclo non in realt preciso, infatti
242 * 27,212221 = 6585,357
223 * 29,530589 = 6585,321
La differenza (circa 52
m
) fa si che alcune eclissi vadano lentamente sparendo dal ciclo e se ne inseriscano di nuove.
Il ciclo di Saros dura
- 18 anni 10 giorni e 8 ore circa (con 5 anni bisestili)
- 18 anni 11 giorni e 8 ore circa (con 4 anni bisestili)
- 18 anni 12 giorni e 8 ore circa (con 3 anni bisestili, evento raro che si pu verifica a cavallo di un anno secolare non
bisestile) .
La linea che congiunge apogeo e perigeo (linea degli apsidi lunari) si muove in modo concorde al movimento di
rivoluzione lunare, compiendo una rotazione completa rispetto alle stelle fisse in 8,85 anni. In altre parole la luna
dopo aver completato una rivoluzione di 360 rispetto alle stelle fisse, partendo ad esempio dall'apogeo, non si ritrova
dopo un mese sidereo in apogeo poich quest'ultimo nel frattempo si allontanato.
L'intervallo di tempo tra due passaggi successivi della luna in perigeo detto mese anomalistico e dura 27,554551
giorni solari medi = 27
d
13
h
18
m
33,2
s
= 2.380.713,2 s)
Dopo un Saros le eclissi si presentano non solo nello stesso ordine, ma anche con lo stesso aspetto in quanto il ciclo
di Saros risulta essere un multiplo, anche se meno preciso, del mese anomalistico (239 x 27,55455 = 6585,537). Le
eclissi si presentano pertanto approssimativamente con la luna alla stessa distanza dalla terra.
I Greci chiamarono exeligmos un ciclo di 3 Saros, pari a 669 lunazioni, che corrisponde ad un numero di giorni
approssimativamente intero (19.755,964 gsm). Dopo 3 Saros le eclissi si ripresentano quindi quasi nello stesso
momento della giornata (con unora di anticipo circa)
polo nord ed il suo polo sud (t 6,7). Il risultato che la luna, vista dalla terra sembra
produrre lievi oscillazioni paragonabili a quelle di una testa che dice di si.
librazioni parallattiche o diurne - dovute al fatto che la distanza Terra-Luna non
trascurabile rispetto alle dimensioni della terra. Osservando la luna quando sorge e
tramonta e si trova appena sopra lorizzonte ci poniamo alle due estremit di una base
parallattica costituita approssimativamente dal diametro terrestre e ci ci consente di
scorgere t 1 di superficie lunare.
19.10L'orbita della luna intorno al sole
Per un osservatore esterno al nostro sistema planetario la luna non compie delle ellissi intorno alla
terra, ma segue la terra nella sua orbita ellittica intorno al sole, disegnando intorno ad esso una
traiettoria appena ondulata (epicicloide). L'orbita lunare possiede la notevole caratteristica di
presentare sempre la concavit rivolta verso il sole
19.11Ipotesi sull'origine della luna
I campioni lunari prelevati dalle missioni Apollo hanno indicato che la luna si formata 4,5 miliardi
di anni fa, contemporaneamente dunque alla terra ed al resto del sistema solare. L'analisi chimica
dei campioni ha inoltre dimostrato che esistono alcune differenze sostanziali rispetto alla terra. La
luna possiede infatti una quantit minore di elementi volatili (K, Na, B etc) mentre
particolarmente ricca di sostanze non volatili o refrattarie (Al, Ca, Th, Lantanidi). Tuttavia rocce
terrestri e rocce lunari presentano lo stesso rapporto fra l'isotopo leggero dell'ossigeno (
16
O) e gli
isotopi pesanti (
17
O e
18
O). Ci fa ritenere che si siano formate nella stessa regione del sistema
solare, poich il rapporto tra gli isotopi dell'ossigeno molto diverso nelle meteoriti, soprattutto in
quelle che provengono da regioni lontane del sistema solare. Sulla base di tali risultanze possiamo
analizzare le diverse ipotesi che nel tempo sono state avanzate sull'origine del nostro satellite.
19.11.1 Ipotesi della fissione
Proposta inizialmente da George Darwin, figlio di Charles, prevede che dalla terra allo stato
primordiale semifluido si sia staccata una porzione di magma, a causa del rapido moto di rotazione.
Molti scienziati ritengono infatti che inizialmente la terra avesse un periodo di rotazione
estremamente breve dell'ordine di qualche ora. Da allora ad oggi la terra avrebbe rallentato la sua
velocit di rotazione, frenata dall'attrazione gravitazionale della luna. Una variante successiva
dell'ipotesi della fissione prevede che la terra abbia addirittura aumentato inizialmente la sua
velocit di rotazione a causa dello sprofondamento del materiale metallico verso il centro durante il
processo di formazione del suo nucleo. L'aumento di velocit avrebbe generato la forza centrifuga
necessaria al distacco del materiale destinato a formare il nostro satellite.
L'ipotesi della fissione spiegherebbe perch la luna presenta una densit media inferiore a quella
terrestre. Infatti la luna si sarebbe formata da materiale terrestre superficiale, pi leggero di quello
che occupa gli strati terrestri pi profondi.
Ma non in grado di giustificare:
- l'inclinazione del piano dell'orbita lunare rispetto all'eclittica
- la diversa composizione chimica evidenziata dalle recenti missioni spaziali
108
- l'attuale valore del momento angolare del sistema Terra-Luna. Infatti se la luna si fosse staccata
dalla terra il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna dovrebbe essere uguale a quello
della terra prima del processo di fissione, ma il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna
notevolmente inferiore a quello richiesto dalle teorie della fissione per giustificare il distacco.
19.11.2 Ipotesi della cattura
Secondo tale ipotesi la luna sarebbe un corpo formatosi in un'altra zona del sistema solare e
catturato gravitazionalmente mentre passava casualmente accanto alla terra. Tale ipotesi presenta il
vantaggio di poter spiegare la diversa inclinazione dell'orbita lunare e la sua diversa composizione
chimica, ma si tratta di un'ipotesi altamente improbabile. Un corpo celeste che passasse infatti
casualmente vicino alla terra dovrebbe possedere una traiettoria ben precisa per essere catturato.
Anche lievi differenze porterebbero ad un impatto o ad una spinta gravitazionale con sorpasso
(effetto fionda, simile al cosiddetto gravity assist sfruttato dalle sonde interplanetarie).
19.11.3 Ipotesi dellaccrescimento
Secondo tale ipotesi la luna si sarebbe formata attraverso un processo analogo a quello attraverso il
quale si form il nostro pianeta. In altre parole il materiale meteorico inizialmente presente
sull'orbita terrestre si sarebbe condensato a formare un pianeta doppio. In tal caso per la struttura
interna e la composizione chimica della luna dovrebbero essere analoghe a quelle terrestri. Tale
ipotesi non spiega dunque perch la luna possieda un nucleo metallico cos piccolo (o forse
addirittura inesistente, vista la sua densit media cos ridotta - 3,3) e le sue rocce presentino
abbondanze chimiche cos diverse.
19.11.4 Ipotesi dellimpatto meteorico
Secondo tale ipotesi (Hartmann e Davis - 1975; R.A. Daly 1946) la luna si sarebbe formata a causa
di un impatto della terra con un gigantesco meteorite. L'enorme quantit di detriti scagliati in orbita
si sarebbero poi aggregati a formare la luna. Recentemente tale ipotesi sta trovando un certo
consenso in quanto permette di giustificare numerosi evidenze osservative che gli altri modelli non
sono in grado di spiegare. Possiamo infatti ipotizzare che
- durante l'impatto il nucleo metallico, pi pesante, del meteorite si sia fuso con la terra, mentre
solo i materiali pi leggeri siano andati a formare i frammenti dai quali si condens la luna.
- il meteorite avesse una composizione inizialmente simile a quella terrestre (stessa composizione
isotopica dell'ossigeno), ma durante l'impatto l'enorme liberazione di energia abbia consentito
solo agli elementi meno volatili di partecipare alla costituzione del nostro satellite.
- l'impatto sia avvenuto non centralmente, ma secondo un angolo tale da imprimere alla terra un
moto di rotazione molto rapido, tale da giustificare il suo elevato momento angolare.
109
20 Appendice 1 Distanze in Astronomia
Tra le grandezze relative ai corpi celesti le distanze sono sicuramente le pi difficili da misurare.
Possiamo suddividere i metodi di misura in primari (o diretti) e secondari (o indiretti).
I metodi primari sono quelli che permettono una misurazione diretta della distanza, in genere
utilizzando procedure di tipo geometrico o cinematico, e che consentono una successiva taratura dei
metodi secondari che su di essi si appoggiano.
METODI PRIMARI
Distanze fino a qualche decina di UA (interplanetarie)
20.1 Metodi trigonometrici, Periodi di rivoluzione e Radio-echi
Metodi trigonometrici: Parallassi diurne e Massima elongazione
Il termine parallasse indica lo spostamento apparente di due punti situati a distanza diversa
dall'osservatore quando quest'ultimo si sposta lungo una retta trasversale alla linea di osservazione.
La distanza tra i due punti di osservazione detta base parallattica. Lo spostamento parallattico
sar tanto pi evidente quanto maggiore la base parallattica e/o quanto pi vicino l'oggetto
all'osservatore. L'angolo compreso tra le due visuali detto angolo parallattico o parallasse.
Per ottenere uno spostamento parallattico di un corpo appartenente al nostro sistema planetario
(pianeta, satellite, asteroide etc) rispetto allo sfondo delle stelle fisse necessaria una base
parallattica sufficientemente estesa, ad esempio il diametro terrestre. Per utilizzare il diametro
terrestre come base parallattica sufficiente eseguire 2 osservazioni a distanza di circa 12 ore,
aspettando che la terra compia mezzo giro intorno al suo asse. La met dell'angolo compreso tra le
due visuali detto parallasse diurna (o orizzontale).
In pratica si registra la posizione del pianeta P al momento in cui sorge e in cui tramonta (quando
cio si trova allorizzonte), determinando in tal modo langolo 2.
si determina quindi la distanza in funzione del raggio terrestre R. Infatti per le regole della
trigonometria deve essere d
R

sen
.
Ad esempio sapendo che la parallasse media della luna di circa 0,95, si trova per essa una
distanza pari a circa 60 raggi terrestri
d
R
R
sen ,
,
0 95
60 3
Per corpi celesti che orbitano intorno al sole su orbite interne a quella terrestre possibile
determinare la massima distanza angolare (elongazione massima) del corpo rispetto al sole. Quando
infatti osserviamo un pianeta interno (Mercurio, Venere) alla sua massima elongazione, la visuale
110
tangente allorbita del pianeta e quindi perpendicolare alla direzione Pianeta-Sole. In queste
condizioni, per le regole della trigonometria, il rapporto tra la distanza Pianeta-Sole (D
P
) e la
distanza Terra-Sole (D
T
) deve essere pari al seno dellelongazione massima
max
.
D
D
P
T
sen
max

Cos, ad esempio, sapendo che lelongazione massima di Venere circa 46,5, possiamo
determinare la sua distanza dal sole in Unit astronomiche come d UA UA 1 46 5 0 725 sen , ,
Aristarco ed Ipparco: sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna
I primi ad usare metodi parallattici e trigonometrici per la determinazione di distanze cosmiche
furono gli antichi Greci.
La prima stima della distanza della Luna si deve ad Aristarco di Samo (III sec. a.C.), famoso
soprattutto per la sua ipotesi eliocentrica, in seguito abbandonata in favore del geocentrismo
tolemaico.
Nellunica opera pervenutaci, Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, Aristarco
afferma correttamente che quando la luna ci appare illuminata per met (dicotomia lunare) essa
deve necessariamente trovarsi al vertice dellangolo retto di un triangolo rettangolo, ai rimanenti
vertici del quale si trovano Terra e Sole. Aristarco valuta in 87 (un quadrante (90) meno un
trentesimo di quadrante (3)) langolo compreso tra le visuali che dalla Terra portano alla Luna e
al Sole.
In termini trigonometrici ci significa che langolo = 3 e che il rapporto tra la distanza Terra-
Luna (D
L
) e la distanza Terra-Sole (D
S
) pari al seno di .
111
D
D
sin
L
S
3
1
19
In realt al tempo di Aristarco non erano ancora disponibili tavole trigonometriche (la trigonometria
nasce con Ipparco di Nicea verso la seconda met del II secolo a.C) ed egli dimostra che il rapporto
deve essere compreso tra 1/18 e 1/20. Il risultato assolutamente corretto dal punto di vista formale,
ma il valore dellangolo ottenuto da Aristarco inferiore al valore reale (89 51 10) per la
evidente difficolt di misurare un angolo cos prossimo ad un angolo retto. Il valore corretto
dellangolo porta ad un rapporto tra le distanza pari a circa 1/390.
Aristarco osserva poi correttamente che Sole e Luna hanno nel nostro cielo dimensioni apparenti
uguali (durante un eclisse di Sole il disco lunare si sovrappone perfettamente a quello solare). Da
ci deriva che distanza e dimensione dei due astri devono essere in proporzione. In altre parole,
poich il Sole circa 19 volte pi distante della Luna, allora anche le dimensioni del Sole devono
essere 19 volte superiori a quelle della Luna.
19
S S
L L
D R
D R


Dalle osservazioni di un'eclisse lunare Aristarco trasse inoltre la conclusione che l'ampiezza
dell'ombra proiettata dalla Terra nella regione dove essa attraversata dalla Luna due volte il
diametro della Luna.
In realt, come successivamente trov Ipparco, lombra alla distanza della Luna circa 2,5 volte pi
grande della Luna stessa.
Se indichiamo con R
O
il raggio dellombra e con R
L
il raggio della Luna facile verificare come il
percorso effettuato dalla Luna per entrare completamente nel cono dombra (A B) pari a 2R
L
. Il
tempo necessario per effettuare tale percorso di circa unora. Infatti, poich la Luna impiega circa
30 giorni (29,5 giorni) per completare una rivoluzione di 360 rispetto al sistema Terra-Sole, essa si
muove di 360/30 = 12 al giorno = 0,5 allora. In altre parole impiega unora per spostarsi di un
suo diametro.
La velocit del moto di entrata sar ovviamente pari a 2R
L
/1
Il percorso effettuato dalla Luna per attraversare completamente il cono dombra rimanendo al suo
interno (B C) pari a (2R
O
- 2R
L
). Il tempo necessario (tempo di totalit) per effettuare tale
percorso di circa unora e mezza.
La velocit di tale moto di entrata sar ovviamente pari a (2R
O
- 2R
L
)/1,5.
Trattandosi di un tratto breve e limitato dellorbita lunare possiamo assumere come costante la
velocit di rivoluzione e scrivere pertanto
2R
L
/1 = (2R
O
- 2R
L
)/1,5
112
da cui, riordinando, si ottiene
R
O
= 2,5R
L
Aristarco usa questi dati per calcolare le dimensioni e la distanza della Luna, sfruttando lo schema
geometrico che si viene a creare durante uneclisse di Luna.
Dati
1) R
O
= 2R
L
2)
19
S S
L L
D R
D R

3) dimensione angolare Sole = dimensione angolare Luna = 0,5
dalla similitudine dei triangoli BCD e ABE si ricava la proporzione
EA EB
DB DC

e, sostituendo opportunamente
2
S T S
T L L
R R D
R R D

Ricordando che Aristarco aveva trovato D


S
/D
L
= 19 ed R
S
= 19 R
L
, la proporzione diventa
19
19
2
L T
T L
R R
R R

che, riordinata, fornisce


20
57
L T
R R
Per Aristarco dunque le dimensioni lunari sono circa un terzo (20/57 1/3) di quelle terrestri.
Si noti come il valore trovato da Aristarco per le dimensioni della Luna praticamente indipendente
dal valore assegnato al rapporto D
S
/D
L
= 19. Se ipotizziamo infatti che la distanza del Sole aumenti
e dunque il rapporto D
S
/D
L
tenda ad infinito, si trova che il rapporto R
L
/R
T
tende a 1/3.
Se infatti poniamo D
S
/D
L
= R
S
/R
L
= k, la relazione diventa
113
2
L T
T L
kR R
k
R R

1
3
L T
k
R R
k
+

se k tende ad infinito, allora k + 1 k e la relazione diventa


1 1
3 3 3
L T T T
k k
R R R R
k k
+

Poich, come abbiamo detto, per Aristarco le dimensioni dellombra terrestre alla distanza della
Luna sono pari a 2 volte le dimensioni della Luna e le dimensioni della Luna sono circa un terzo
delle dimensioni terrestri, possiamo scrivere
R
O
= 2R
L
= 2 R
T
= R
T
Per Aristarco lombra della Terra si rimpicciolisce di circa un terzo delle dimensioni terrestri o, se
vogliamo, si rimpicciolisce di un diametro lunare.
Nella sua opera Aristarco scrisse che il Sole e la Luna presentavano il medesimo diametro
apparente di 2 (1/45 di quadrante). Tuttavia Archimede scrisse che Aristarco fu il primo a
determinare che il Sole e la Luna presentavano il medesimo diametro apparente di mezzo grado. Se
consideriamo corretta linformazione di Archimede, questo significa che per Aristarco erano
necessari 720 diametri lunari (pari a 1440 R
L
) per completare una circonferenza di 360 sulla sfera
celeste avente raggio pari alla distanza Terra-Luna (D
L
). Quindi lorbita descritta dalla Luna intorno
alla Terra una circonferenza la cui lunghezza corrisponde a 720 volte il diametro della Luna. Il
raggio D
L
di tale circonferenza si ottiene ovviamente dividendo la sua lunghezza per 2
20
1440
1440 57
80
2 2
T
L
L T
R
R
D R

_

,

Ipparco
Anche Ipparco si occup del problema. Egli pubblic i suoi risultati in due libri intitolati Peri
megethoon kai 'apostmtoon ("Sulle Dimensioni e Distanze"). che non ci sono pervenuti, ma del
cui contenuto parla Tolomeo nellAlmagesto e Pappo di Alessandria, nel suo commentario
allAlmagesto.
NellAlmagesto Tolomeo attribuisce inoltre ad Ipparco l'invenzione di uno strumento, detto diottra,
per misurare i diametri apparenti del Sole e della Luna e Pappo d'Alessandria, nel suo Commento al
quinto libro dell'Almagesto, descrive la diottra come una guida scanalata lunga quattro cubiti (circa
2 metri) dove sono montate due pinnule rettangolari. La prima, fissa a un estremo della guida, reca
un piccolo foro d'osservazione; la seconda, scorrevole lungo la scanalatura, priva di fori. Puntato
lo strumento, si sposta avanti e indietro la pinnula mobile finch copre esattamente il disco del Sole
o della Luna. Il rapporto fra il diametro della pinnula mobile e la sua distanza dalla pinnula fissa
permette di calcolare l'angolo sotteso dal corpo celeste.
114
Utilizzando la diottra, Ipparco trov che le dimensioni della Luna variano durante il suo moto
orbitale, mentre non fu in grado di rilevare nessuna variazione sensibile del diametro apparente del
Sole. Egli trov che alla distanza media della Luna, il Sole e la Luna aveva il medesimo diametro
apparente e che il diametro della Luna sta 650 volte nellintera circonferenza. In altre parole il
diametro apparente medio pari a 360/650 = 0,554 = 0 33' 14".
Ipparco not anche che la Luna presenta una parallasse diurna, risulta cio spostata dalla sua
posizione rispetto al Sole o alle stelle, se osservata da punti diversi della superficie terrestre.
La parallasse diurna della Luna langolo
L
sotto il quale un osservatore, posto sulla superficie
della Luna, osserverebbe il raggio della Terra.
Misurando lentit di tale angolo di parallasse dunque possibile calcolare la distanza Terra Luna
(D
L
) espressa in Raggi terrestri. Il raggio Terrestre pu essere infatti approssimato allarco AB posto
sulla circonferenza di raggio D
L
. Il rapporto R
T
/D
L
dunque pari alla parallasse lunare espressa in
radianti. E dunque D
L
, espresso in raggi terrestri, semplicemente il reciproco della parallasse
lunare espressa in radianti.
1
( )
L
L
D
rad

Per il Sole Ipparco, non fu tuttavia in grado di individuare alcuna parallasse osservabile (oggi
sappiamo che il suo valore
S
= 8,8", nettamente al di sotto della risoluzione dellocchio umano
che di circa 1.
Probabilmente per questo motivo nel primo libro, Ipparco ipotizz che la parallasse del Sole fosse
effettivamente nulla, il che equivale a porre idealmente il Sole a distanza infinita. Come
conseguenza di tale ipotesi, la diversa manifestazione di una medesima eclisse di Sole per
osservatori posti in punti diversi della superficie terrestre deve essere attribuita solo alla parallasse
lunare.
115
In altre parole, la posizione apparente della Luna nel cielo rispetto al Sole dipende dalla posizione
dellosservatore sulla superficie terrestre. Tale spostamento apparente detto parallasse lunare e la
sua entit dipende dalla distanza che separa i due punti di osservazione e, ovviamente, dalla
distanza della Luna.
Ipparco utilizz probabilmente le informazioni relative alleclisse di Sole del 14 marzo 190 a.C,
che fu totale per gli osservatori posti nellEllesponto (Dardanelli, latitudine = 41), mentre risult
parziale per gli abitanti di Alessandria (latitudine = 31) che videro occultati solo i 4/5 del Sole.
Partendo da questi dati Ipparco concluse che la distanza della Luna doveva essere compresa tra 71
ed 83 raggi terrestri.
Non conosciamo esattamente il procedimento utilizzato da Ipparco per ottenere tale risultato, anche
se diversi storici della scienza hanno tentato varie ricostruzioni.
Poich per Ipparco il Sole occupa sulla sfera celeste 0,554, la frazione di Sole non oscurata dalla
Luna ad Alessandria corrisponde a 1/5 di 0,554 pari a 0,111 . Tale angolo uguale allangolo di
parallasse del bordo inferiore C della Luna osservato dai due punti A e B sulla superficie terrestre.
Dunque larco AB posto sulla circonferenza di raggio D
L
ha una lunghezza pari a
0,111
2
360
L
D
Larco AB posto sulla superficie terrestre, di ampiezza pari alla differenza di latitudine ( = 10)
tra lEllesponto ed Alessandria, ha invece una lunghezza pari a
10
2
360
T
R
Se ora assumiamo che questi due archi siano approssimativamente uguali possiamo scrivere
0,111 10
2 2
360 360
L T
D R
da cui
10
90
0,111
L T T
D R R
Tale risultato stato ottenuto ponendo il Sole e la Luna allo zenit tra Ellesponto ed Alessandria,
perpendicolare dunque ad una latitudine, intermedia tra 41 e 31, pari a 36 . Possiamo affinare il
risultato se consideriamo che il 14 Marzo la declinazione del Sole di circa 3 Sud.
La direzione dei raggi solari dunque inclinata di 36 + 3 = 39 rispetto alla verticale che passa per
la latitudine di 36. In tal modo larco di circonferenza BD (approssimato con un segmento) avente
raggio D
L
forma anchessa un angolo di 39 con lorizzonte e la sua lunghezza pu essere correlata
116
allarco AB (anchesso approssimato con un segmento) che congiunge lEllesponto ad Alessandria
dalla relazione
BD / cos 39 = AB
sostituendo nella relazione precedente otterremo
0,111 1 10
2 2
360 cos39 360
L T
D R

( )
10
cos 39 70
0,111
L T T
D R R
Nel secondo libro Ipparco usa un metodo diverso per la stima delle distanze, utilizzando un eclisse
di Luna.
Se consideriamo il triangolo STL, avremo che la somma dei suoi angoli interni ovviamente pari a
180

S
+
L
+ = 180
dove

S
= Parallasse diurna del Sole

L
= Parallasse diurna della Luna
Ma anche la somma dei tre angoli + + = 180 andando a formare un angolo piatto
dove
= dimensione angolare del Raggio solare
= dimensione angolare del raggio dellombra terrestre alla distanza della Luna
117
Dunque possiamo scrivere

S
+
L
+ = + +
ed in definitiva

S
+
L
= +
I valori di e erano, come sappiamo, noti ad Ipparco.
Le dimensioni angolari del Sole (uguali a quelle della Luna) erano stati stimati da Ipparco a 0,554
e dunque = 0,554 / 2 = 0,277
Lombra terrestre alla distanza della Luna era stata valutata da Ipparco pari a 2,5 volte le dimensioni
della Luna e dunque, essendo il raggio lunare apparente uguale a quello del Sole, = 0,277 x 2,5
= 0,6925.
In definitiva
+ = 0,277 + 0,6925. = 0,9695
Se ne deduce che la somma della parallasse diurna del Sole e della Luna deve essere pari a 0,9695
e, noto uno dei due valori, laltro resta univocamente determinato.

S
+
L
= 0,9695
A differenza di quanto aveva fatto nel primo libro in cui aveva assegnato al Sole una parallasse
nulla (
S
= 0), nel secondo libro Ipparco assegna al Sole una distanza dalla terra di 490 Raggi
terrestri, che corrisponde ad una parallasse solare pari a
S
= 0,1169 7
Se infatti D
S
la distanza Terra-Sole, la circonferenza avente raggio D
S
ha una lunghezza 2D
S
ed il
raggio terrestre R
T
rappresenta una frazione di tale circonferenza pari a
S
/360
2
360
S
T S
R D


e dunque, se D
S
= 490 R
T
, la parallasse solare deve valere
360 360
0,1169 7'
2 2 490
T T
S
S T
R R
D R





Assegnata dunque al Sole una parallasse di 0,1169, resta determinata la parallasse lunare

L
= 0,9695 -
S
= 0,9695 - 0,1169 = 0.8526
118
valore che ci permette di calcolare la distanza della Luna in raggi terrestri utilizzando la relazione
2
360
L
T L
R D


da cui
360 360
67, 2
2 2 0,8526
T T
L T
L
R R
D R



Possiamo notare come per Ipparco il valore della parallasse assegnata al Sole rappresenti un limite
superiore, superato il quale, la paralasse solare sarebbe osservabile e misurabile. In altre parole la
parallasse solare potrebbe avere qualsiasi valore compreso tra 0 e 0,1169. Se ora facciamo tendere
a zero il valore della parallasse solare osserviamo come la distanza della Luna tenda a 59 raggi
terrestri.
Infatti per
S
= 0 la parallasse lunare vale

L
= 0,9695 -
S
= 0,9695 - 0= 0,9695
e la distanza della Luna diventa
360 360
59,1
2 2 0, 9695
T T
L T
L
R R
D R



Periodi di rivoluzione (Terza legge di Keplero)
La terza legge di Keplero afferma che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta
direttamente proporzionali al cubo della sua distanza media (semiasse maggiore a dellorbita
ellittica) dal sole.
( )
P
G M M
a
S P
2
2
3
4

Ovviamente la legge vale per qualsiasi corpo celeste in orbita intorno al sole (ad esempio una
cometa). Poich tutti i corpi celesti in orbita intorno al nostro sole possiedono una massa
trascurabile rispetto alla massa solare, possiamo scrivere
M M M
S P S
+
. Se poi misuriamo il
semiasse maggiore a dellorbita in UA, il periodo P in anni terrestri e le masse in unit solari, la
relazione diventa
( ) ( ) P a anni UA
2 3

La misura del tempo di rivoluzione (in anni) di un corpo celeste intorno al sole ci permette dunque
di calcolare la sua distanza media dal sole in unit astronomiche. Ad esempio, sapendo che Giove
impiega 11,86 anni terrestri a compiere una rivoluzione intorno al sole possiamo determinare la sua
distanza che risulta essere pari a
a P UA
2 3 2
3
1186 5 2 , ,
Radio-Echi
E possibile determinare la distanza di un corpo celeste inviando sulla sua superficie un fascio di
onde elettromagnetiche e misurando il tempo necessario affinch queste vengano riflesse e ritornino
sulla terra. Essendo c la velocit della luce e 2t il tempo di andata e ritorno la distanza sar pari a d
= ct.
In realt, poich la terra si muove intorno al sole durante il periodo di misurazione, la formula per il
calcolo della distanza dovr tenerne conto e sar pertanto pi complessa.
Affinch la radiazione non venga diffusa e quindi si disperda necessario utilizzare una lunghezza
donda pi grande delle asperit presenti sulla superficie riflettente. Per i pianeti si usano lunghezze
donda dellordine del metro.
119
Distanze fino a qualche centinaio di parsec
20.2 Parallassi annue e Parallassi di gruppo
Parallassi annue
Eseguendo due osservazioni di una stella relativamente vicina a distanza di 6 mesi, possibile
individuare una sua oscillazione rispetto allo sfondo delle stelle fisse. In 12 mesi le stelle pi vicine
sembrano infatti percorrere un ellisse sullo sfondo delle stelle pi lontane (fisse). Tale ellisse non
altro che la proiezione dell'orbita della terra sulla sfera celeste. L'angolo 2 sotto il quale noi
osserviamo l'asse maggiore di tale ellisse apparente lo stesso sotto cui un osservatore posto sulla
stella osserverebbe l'asse maggiore dell'orbita terrestre. La met di tale angolo, pari ad , detto
parallasse annua della stella. Tale angolo permette la misura della distanza d della stella (o del
pianeta in caso di parallasse diurna). Ricordando infatti che in un triangolo rettangolo il rapporto tra
le misure dei cateti pari alla tangente dell'angolo opposto al primo cateto, potremo scrivere:
r
d
tg

C
sA
sB
A
B
s

2
d
r
Naturalmente lo spostamento apparente e il conseguente valore della parallasse risulter tanto
maggiore quanto pi la stella vicina alla terra, mentre diminuir, al punto da non essere pi
misurabile per stelle molto distanti. Quando la parallasse annua di una stella di 1" (1/3600 di
grado), la relazione precedente fornisce una distanza di
( )
d
r
km
tg
UA
tg 1/ 3600
UA = al

1
206264 8 3 0856776 10 3 261633
13
, , ,
Una stella dista quindi 1 parsec dalla terra quando misuriamo per essa un angolo di parallasse di 1
secondo di grado (1"). Nessuna stella, per quanto vicina, presenta una parallasse superiore al
secondo di grado. La stella pi vicina, Proxima Centauri (cielo australe), presenta una parallasse di
0,76" e quindi dista da noi 3,26/0,76 = 4,3 al.
Le prime determinazioni di una parallasse stellare annua si devono a Struve (1822 - Aquilae
0,181") e a Bessel (1837 - 31 Cygni 0,314"). Attualmente i nostri strumenti non ci permettono di
apprezzare angoli inferiori al centesimo di secondo ed quindi impossibile determinare la
parallasse di stelle la cui distanza sia superiore a 100 parsec (circa 300 al).
120
Parallassi di gruppo (o di ammasso)
Alcuni gruppi di stelle, gravitazionalmente legate allinterno della nostra galassia, si muovono sulla
volta celeste in modo praticamente solidale, presentando quasi il medesimo moto proprio ( in
arcsec/anno). Gli esempi pi importanti si trovano tra gli ammassi aperti (gli ammassi delle Jadi e
delle Pleiadi nel Toro).
Per questi gruppi di stelle a volte possibile individuare anche il punto della sfera celeste (apice del
moto) verso il quale sembrano convergere le singole stelle. Il movimento delle stelle sulla sfera
celeste rappresentato dalla velocit tangenziale (V
t
), proiezione della velocit spaziale della stella
(V
s
) in direzione perpendicolare alla visuale e tangente alla sfera celeste.
Mentre i vettori V
s
sono tutti praticamente paralleli tra di loro (tutte le stelle di un gruppo si stanno
muovendo insieme nello spazio), facile verificare che i vettori V
t
, essendo tangenti ad un cerchio
massimo, devono convergere verso un punto comune (i cerchi massimi si intersecano sempre), detto
appunto apice del moto.
Si pu dimostrare che langolo compreso tra la visuale Terra-Ammasso e la direzione Terra-Apice
pari allangolo compreso tra il vettore Velocit spaziale (V
s
) ed il vettore Velocit radiale (V
r
).
Essendo poi
V
V
t
r
tan
, possiamo scrivere
V V
t r
tan
e ricordando che la velocit radiale legata al red-shift dalla relazione
V c z
r

, si avr
V c z
t
tan
Daltra parte la velocit tangenziale legata al moto proprio, dalla relazione che lega la velocit
lineare alla velocit angolare (V = R)
V d
t
4 74 ,
il coefficiente 4,74 necessario per convertire lunit di misura del moto proprio da arcsec/anno in
rad/s e la distanza d da parsec in km, in modo che la velocit trasversale venga data in km/s.
( )
( ) ( )
( )

arcsec / anno
arcsec / rad s / anno
rad / s
206265 31557 600 . . .
( ) ( ) ( ) ( ) d pc UA pc km UA d km 206 265 1496 10
8
. / . /
dove, 206.265 il numero di secondi di grado contenuti in un radiante (ed anche il numero di unit
astronomiche contenute in un parsec) e 31.557.600 il numero di secondi di tempo contenuti in un
anno giuliano di 365,25 giorni. In definitiva si avr
121
V
d
d
t


1 496 10
31557 600
4 74
8
,
. .
,
Eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la distanza (espressa in parsec) avremo infine
d
cz z



tan
,
. tan


4 74
63240
Il metodo delle parallassi di gruppo permette di stimare distanze fino a qualche centinaio di parsec.
METODI SECONDARI
Lintervallo di distanza tra i 0,5 kpc (limite delle misurazioni dirette) e i 50 Mpc (limite al di sotto
del quale la relazione di Hubble risulta poco affidabile) viene coperto da tutta una serie di metodi
secondari che si basano in gran parte su indicatori di distanza.
Indicatori di distanza
Gli indicatori di distanza sono oggetti celesti di luminosit intrinseca L (o magnitudine assoluta M)
nota. Vengono anche chiamati candele campione o candele standard.
Le parallassi ottenute tramite indicatori si dividono in due classi in relazione al criterio di
calibrazione della funzione di luminosit: parallassi spettroscopiche e parallassi fotometriche. Con
le prime si ricava la magnitudine in funzione delle caratteristiche dello spettro, con le seconde si
riconosce per certe sue caratteristiche un oggetto celeste di luminosit nota o calcolabile (stelle
variabili, novae, supernovae, ammassi globulari, regioni H II etc)
Una volta individuato un indicatore di distanza sufficiente misurarne la luminosit apparente l (o
la magnitudine apparente m) perch sia calcolabile la distanza tramite le note relazioni
fotometriche. Ricordando infatti che L l d 4
2
e
M m + 5 5
10
log d
si avr
d
L
l

4

d
m M

_
,

10
1
5
Tenendo presente che attualmente i nostri strumenti sono in grado di percepire oggetti fino ad un
limite di luminosit m 20, possibile calcolare la massima distanza (in pc) entro la quale un
indicatore di magnitudine M pu essere individuato e quindi utilizzato, applicando la
d
M M

+

_
,

_
,

10 10
1
20
5
25
5
20.3 Le distanze fino a qualche decina di Kiloparsec: Parallassi spettroscopiche e
Parallassi dinamiche
Parallassi spettroscopiche
Il metodo si basa sulla possibilit di riconoscere il tipo spettrale di una stella e la classe di
luminosit alla quale appartiene. In genere, noto il tipo spettrale, si risale alla luminosit misurando
la larghezza delle righe di assorbimento (sistema MK).
Si potuto notare che a parit di tipo spettrale le stelle presentano le righe di assorbimento del loro spettro pi o meno
allargate. Si ritiene che il fenomeno sia dovuto alla diversa pressione esercitata dal plasma che costituisce la stella.
Maggiori sono le dimensioni stellari, pi il plasma rarefatto (la sua pressione bassa) e pi le righe spettrali si
restringono.Una minor larghezza delle righe spettrali dunque indice di maggiori dimensioni stellari e quindi, a parit di
temperatura, di maggiore luminosit.
Parallassi dinamiche
Ad un sistema doppio visuale possibile applicare la terza legge di Keplero
( )
P
G M M
a
2
2
1 2
3
4

122
la quale, se misuriamo il semiasse maggiore a dellorbita in UA, il periodo P in anni terrestri e le
masse in unit solari, diventa
( )
( )
( )
P
a
anni
UA
2
3
1 2

+ M M
Se langolo (in secondi darco) sotto il quale vediamo il semiasse maggiore dellorbita del
sistema doppio, allora la sua distanza d in parsec si ottiene come
( )
d
a
P

+

2
1 2
3
M M
Poich il periodo di rivoluzione facilmente determinabile, il metodo pu essere utilizzato solo se
possibile assegnare le masse alle due componenti stellari. Si tenga comunque presente che le stelle
non presentano un intervallo di masse molto esteso. Inoltre, essendo la somma delle masse sotto
radice cubica, un errore nellassegnazione delle masse non incide in modo sostanziale sul risultato.
Se le masse sono completamente sconosciute possibile, al fine di stimare grossolanamente la
distanza, utilizzare un valore medio che per i sistemi doppi di stelle
M M
1 2
2 +

M
.
Le distanze fino a qualche Megaparsec
20.4 Cefeidi, Regioni H II, Novae, Parallassi nebulari
Le Cefeidi
Sono stati i primi indicatori di distanza, introdotti in astronomia allinizio del 900. Si tratta di stelle
variabili in cui il periodo di variabilit correlato alla magnitudine assoluta. Tra le diverse classi di
Cefeidi si possono ricordare le Cefeidi classiche, le RR Lyrae e le W Virginis, che presentano le
seguenti relazioni (con P in giorni)
P M
v
log 5 , 2 7 , 1 P M
v
log 5 , 2 45 , 0 M
v
0 6 ,
Classiche W Virginis RR Lyrae
Essendo il periodo massimo di una cefeide intorno ai 50 gg, la loro magnitudine massima risulta
essere pari a circa -6. Esse possono essere pertanto utilizzate come indicatori fino a distanze
dellordine dei 10
6
pc.
Le regioni H II
Quando nei bracci delle galassie a spirale si formano stelle molto calde (associazioni O-B), la
regione gassosa circostante viene eccitata con formazione di una nebulosa in emissione (regione H
II) la cui dimensione (Raggio di Strmgren) e luminosit dipendono dal tipo spettrale (e quindi
dalla temperatura) della stella eccitante. Una volta individuato il tipo spettrale della stella eccitante
quindi possibile risalire alle caratteristiche della regione H II. Tali regioni possono essere
utilizzate come indicatori di distanza sia utilizzando i valori di magnitudine assoluta, sia utilizzando
i valori della loro estensione radiale (misurando la loro dimensione angolare apparente e risalendo
alla loro distanza tramite le note relazioni trigonometriche)
Tipo
spettrale
Magnitudine
visuale
Temperatura
Efficace
Raggio di Strmgren
(pc)
O5 -5,6 48.000 108
O6 -5,5 40.000 74
123
O7 -5,4 35.000 56
O8 -5,2 33.500 51
O9 -4,8 32.000 34
O9.5 -4,6 31.000 29
B0 -4,4 30.000 23
B0.5 -4,2 26.200 12
Le Novae
Le novae sono esplosioni stellari che si producono in sistemi doppi. Nel giro di 2-3 giorni la loro
luminosit iniziale aumenta fino ad un massimo per poi ritornare lentamente al minimo. La
magnitudine assoluta massima raggiunta da una nova pu essere stimata ricorrendo alla seguente
relazione
M = -11,75 + 2,5 log t
Dove t il tempo in giorni che la nova impiega a diminuire di 3 gradi la sua magnitudine massima.
Mediamente t 50 gg e la magnitudine assoluta media di una nova al massimo vale intorno a -7,5.
Parallassi nebulari
Novae e supernovae generano degli involucri gassosi in rapida espansione radiale i quali, essendo
eccitati dallesplosione stellare che li ha generati, producono uno spettro in emissione.
Poich una parte del gas in espansione si avvicina ed una parte si allontana rispetto allosservatore
ciascuna riga subisce contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga. Lentit
dellallargamento delle righe permette ovviamente di calcolare la velocit v di espansione
dellinvolucro. Dopo un tempo t linvolucro gassoso presenter un raggio R = vt (nellipotesi che la
velocit sia rimasta costante). Se linvolucro gassoso viene visto dalla terra sotto un angolo 2, la
distanza d sar pari a
d
R
tg

Le distanze fino a qualche decina di Megaparsec


20.5 Ammassi globulari e Supergiganti estreme
Lammasso globulare pi luminoso di una galassia
Gli ammassi globulari di una galassia presentano una magnitudine assoluta media intorno a -7, con
valori massimi intorno a -10. Ipotizzando quindi che lammasso globulare pi luminoso di una
galassia presenti magnitudine assoluta -10, possiamo stimarne la distanza
Le distanze raggiungibili in questo modo sono dellordine dei 10
7
pc
d pc
+

_
,

10 10
25 10
5 7
La stella pi luminosa di una galassia
124
Le stelle pi luminose che conosciamo, sono le cosiddette Ipergiganti o supergiganti estreme,
appartenenti alla classe di luminosit 0 (zero), tutte con magnitudine intorno a -9,
indipendentemente dal tipo spettrale. Ipotizzando che la stella pi brillante di una galassia sia una
ipergigante se ne pu stimare la distanza.
Le distanze fino a qualche centinaio di Megaparsec
20.6 Tully-Fisher e Supernovae
Relazione di Tully-Fisher: la larghezza della riga di 21 cm
Nel 1977 Tully e Fisher hanno dimostrato che esiste una relazione tra la magnitudine assoluta di
una galassia a spirale e la velocit di rotazione della galassia, determinata misurando la larghezza
della riga a 21 cm dellidrogeno neutro che popola le sue spire.
L = 180 V
4
Con V in Km/s ed L in unit di luminosit solare L .
La base fisica di tale relazione riposa sul fatto che la luminosit di una galassia proporzionale da
una parte al numero di stelle che la compone e quindi alla sua massa (L M) e dallaltra alle
dimensioni della galassia e quindi allentit della sua superficie emittente (L R
2
).
Essendo la galassia un sistema rotante in equilibrio dinamico possiamo eguagliare forza centrifuga e
forza centripeta
V
R
GM
R
2
2

ed esplicitare la massa, ottenendo cos la nota relazione del viriale


M
RV
G

2
che, espressa in masse solari, diventa
M

RV
GM
2
dove M = 2 10
33
g
Assumendo ora per le galassie a spirali un rapporto M/L costante e pari a M / L 25(in unit
solari), sostituendo si ottiene
L


RV
GM
2
25
Si assuma infine come brillanza superficiale media di una galassia il valore l

5 10
38 2
L cm / ,
ottenuto dividendo la luminosit media delle galassie (10
8
L ) per il raggio medio al quadrato (R =
50.000 al). In tal modo la relazione tra luminosit assoluta e raggio pu essere scritta
L l R
2
e quindi R
L
l
che, sostituita nella relazione precedente, fornisce
L
L
l


V
GM
2
25
e in definitiva
125
( )
L
l


V
GM
4
2
25
Si noti come, se V in Km/s, sia necessario introdurre un coefficiente 10
5
per trasformare la
velocit in cm/s e renderla cos omogenea con le altre grandezze. Avremo perci
( )
( ) ( )
L
l


10
25
10
5 10 25 6 67259 10 2 10
180
5
4
2
20 4
38 8 33
2
4
V
GM
V
V
,
Per trasformare la luminosit assoluta in magnitudine assoluta, scriviamo la relazione di Pogson
M M
G S

2 5
10
, log
L
L
G
dove
M
G
=Magnitudine assoluta della galassia
M
S
= Magnitudine assoluta del sole = 4,8
L
G
= Luminosit assoluta della galassia in unit solari
L = Luminosit assoluta del sole in unit solari = 1
da cui
M
G


4 8 2 5
1
10
, , log
180 V
4
e quindi
M V
G
0 84 10
10
, log
In definitiva la magnitudine assoluta della galassia viene ad essere legata alla sua velocit di
rotazione. Questultima pu essere stimata misurando lallargamento della riga a 21 cm
dellidrogeno neutro. Infatti la radiazione proveniente dal lato della galassia che si allontana
affetta da un red-shift, mentre la radiazione proveniente dal lato della galassia che si avvicina
presenta un blu-shift. Il risultato che tutte le righe spettrali risultano contemporaneamente spostate
di unegual percentuale sia verso destra che verso sinistra e quindi allargate in misura tanto
maggiore quanto maggiore la velocit di rotazione della galassia.
I moderni telescopi sono in grado di misurare la larghezza della riga di 21 cm fino a circa 100 Mpc.
Le supernovae
Le supernovae sono esplosioni stellari di enorme potenza. Si dividono in supernovae di tipo I
(suddivise in Ia e Ib) e tipo II. Le supernove di tipo II e di tipo Ib presentano una magnitudine
assoluta al massimo intorno a -18, mentre le supernove di tipo Ia raggiungono al massimo i -20.
Con queste candele standard si raggiungono distanze dellordine dei 10
8
-10
9
pc.
Le distanze fino a qualche migliaio di Megaparsec
20.7 Galassie pi luminose, Lenti gravitazionali e Legge di Hubble
Si tenga presente che attualmente la porzione di universo osservabile (distanza-orizzonte) ha
proprio questo ordine di grandezza che, per un universo euclideo, vale
O c t
c
H
h Mpc
o
o


2
3
2000
1

dove h un fattore di incertezza sul valore della costante di Hubble
126
La galassia pi luminosa di una ammasso di galassie
Si statisticamente rilevato che le galassie pi luminose di un ammasso di galassie sono in genere
delle ellittiche giganti con magnitudine assoluta intorno a -23. Le distanze stimate in questo modo
sono dellordine di 10
9
pc
d pc
+

_
,

10 10
25 23
5 9
Le lenti gravitazionali
La relativit generale prevede che la radiazione elettromagnetica venga deflessa passando accanto
ad una forte concentrazione di massa. In questo modo la luce proveniente da oggetti molto distanti
(quasar ad esempio), pu essere deflessa da un oggetto massiccio (ad esempio una galassia o un
ammasso di galassie) interposto sulla nostra linea di vista e concentrata verso di noi con un
meccanismo analogo a quello di una lente. Leffetto lente gravitazionale gi stato osservato
sotto forma di immagini multiple di quasar lontani.
Se loggetto interposto G non perfettamente allineato (condizione daltra parte maggiormente
probabile) si formano due immagini (Q
1
e Q
2
) del quasar Q disposte sulla sfera celeste in modo non
simmetrico (
1

2
) rispetto a G. Ci comporta che i raggi luminosi che formano le due immagini
sdoppiate compiono un percorso di lunghezza diversa (d
1
> d
2
) per giungere sino a noi.
La relativit generale permette di calcolare la differenza di percorso in termini relativi (
d d
d
1 2
2

).
Supponiamo ad esempio di trovare che d
1
risulta essere di un miliardesimo pi lungo di d
2
d d
d
1 2
2
9
1
10

e di osservare un aumento di luminosit nellimmagine Q


2
che si ripeta identico
dopo 3 anni nellimmagine Q
1
. Possiamo allora dedurre che la differenza di percorso (d
1
- d
2
) deve
essere pari a 3 anni-luce. Essendo poi la differenza tra i due tragitti molto piccola possiamo porre d
d
1
d
2
e scrivere pertanto
d d
d
d d
d
1 2
2
1 2
9
1
10

e quindi
( ) d d d
1 2
9 9
10 3 10
trovando cos che la distanza d del quasar di 3 miliardi di anni-luce.
Legge di Hubble
Nel 1929 Hubble giunse a definire una relazione che legava la distanza delle galassie all'entit del
loro red-shift z e quindi, essendo z = v/c, alla loro velocit di allontanamento.
v = H D
127
dove v la velocit di allontanamento in km/s, D la distanza in megaparsec (Mpc) e H una
costante di proporzionalit, detta costante di Hubble, alla quale si d oggi (H
o
) un valore compreso
tra 50 e 100 km s
-1
Mpc
-1
(chilometri al secondo per megaparsec).
Introducendo il parametro di red-shift 'z' ( dove z = / = v/c), la relazione diventa
zc = H D
In tal modo la misura del red-shift di ciascuna galassia diventa una misura, oltre che della sua
velocit di recessione v, anche della sua distanza D. E' in questo modo che gli astronomi hanno
calcolato la distanza degli oggetti celesti pi remoti, come radiogalassie e quasar.
Per tener conto dell'incertezza relativa al valore di H
o
e per uniformare la trattazione si usa introdurre un parametro
(fattore di Hubble) definito come
100
o
H
h
e quindi H
o
vale
1 1
o
Mpc s km H

h 100
. E se trasformiamo i megaparsec in km (1 Mpc = 3,085677567 10
19
km)
1 18
h 10 24 , 3

s H
o
Poich il valore di H
o
compreso tra 50 e 100 evidente che h pu assumere valori compresi tra 0,5 e 1. Cos se
vogliamo utilizzare la relazione di Hubble per determinare la distanza di oggetti lontani, dovremo scrivere
Mpc z
h
z
Mpc s km
s km
h
z c
D
1 -
2
5
h 3000
) /( 10
/ 10 3
100


dove i valori di distanza vengono dati a meno di un fattore h
-1
.
La relazione di Hubble poco affidabile per distanze inferiori ai 50 Mpc, in quanto al di sotto di
questo limite i movimenti locali (velocit peculiari 10
3
km/s) sono dello stesso ordine di
grandezza del moto di recessione. Per distanze inferiori a 50 Mpc la velocit di recessione infatti v
< 5000h km/s.
128
21 Appendice 2 - Composizione moti orbitali
DATI:
Newcomb (1900)
Anno sidereo = 365,25636 gsm (giorni solari medi) (-9,5 10
-5
s/y)
= 365
d
6
h
9
m
10
s
= 31.558.150 s
Anno anomalistico = 365,25964 gsm
= 365
d
6
h
13
m
53
s
= 31.558.433 s (-0,26 s/cen)
Anno tropico = 365,24220 gsm
= 365
d
5
h
48
m
46
s
= 31.556.926 s (-5,305 10
-3
s/y)
Stime attuali
Anno sidereo = 365,256363 gsm
Anno anomalistico = 365,259635 gsm
Anno tropico = 365,242190 gsm
Giorno sidereo = 23
h
56
m
4,0989
s
= 86164,0989 s
Giorno siderale = 23
h
56
m
4,0905
s
= 86164,0905 s

T
rot
- Velocit angolare rotazionale Terra: 2/86164,1 = 7,2921151 10
-5
rad/s = 15,041067 s
-1
Mese sidereo = 27
d
7
h
43
m
11,5
s
27,321661 gsm = 2.360.591,5 s
Mese sinodico = 29
d
12
h
44
m
2,9
s
29,530589 gsm = 2.551.442,9 s
Mese anomalistico = 27
d
13
h
18
m
33,2
s
27,554551 gsm = 2.380.713,2 s
Mese draconico = 27
d
5
h
5
m
35,8
s
27,212220 gsm = 2.351.135,8 s
21.1 Giorno solare ed Equazione del Tempo E
Le velocit angolari seguono delle regole di composizione identiche a quelle utilizzate per
comporre le velocit lineari.
Se
rot
e
riv
sono rispettivamente la velocit di rotazione e di rivoluzione della terra rispetto alle
stelle fisse, allora la velocit di rotazione della terra rispetto al sole pu ottenersi componendo i due
movimenti e sar pari a (
rot
-
riv
). Essendo entrambi i moti diretti (antiorari) il loro segno sar
concorde.


rot riv
sid sid sol
G A G

2 2 2
da cui si ricava che il giorno solare dura
31.558.149, 76 86164, 0989
86400 24
31.558.149, 76 86164, 0989
sidereo sidereo
solare
sidereo sidereo
A G
G s h
A G



86400 - 86164,0989 = 235,9011 s 3
m
55,9
s
pi del giorno sidereo
In realt il giorno solare non ha sempre la stessa durata costante di 24 ore. Essa varia infatti con
periodicit nel corso dellanno a causa delleccentricit e dellinclinazione (o obliquit) dellorbita
terrestre. Il valore di 24 ore che noi utilizziamo rappresenta il giorno solare medio, media dei 365
giorni solari.
129
Effetto delleccentricit
Per la seconda legge di Keplero in perielio la Terra si muove pi velocemente intorno al sole e
quindi in 24 ore si sposta rispetto ad esso di un tratto leggermente superiore di 1. La velocit di
rotazione terrestre invece costante e per compiere un po' pi di 1 di rotazione al fine di riavere il
sole in culminazione impiegher un po' pi di 4 minuti. Il giorno solare in perielio un po' pi
lungo di 24 ore. Per ragioni opposte il giorno solare in afelio raggiunge la sua durata minima,
inferiore alle 24 ore.
La velocit di rivoluzione della Terra alla distanza R dal Sole pu essere calcolata con la seguente
relazione
( ) v G M M
R a
S T
+

_
,

2 1
dove
G = costante di gravitazione universale = 6,67428 10
-11
a = semiasse maggiore (J2000) = 1.0000001124 UA = 149.597.887.506 m
e = eccentricit orbitale (J2000) = 0.01671022
M
T
= Massa della Terra = 5,9736 10
24
kg
M
S
= Massa del Sole = 1,9891 10
30
kg
La velocit massima si ha in perielio, in corrispondenza del raggio minimo R
min
= a(1-e)
( )
( )
( )
max
2 1 1
30, 29188 km/s
1 1
S T
S T
G M M
e
v G M M
a e a a e
_ +
+ _
+




,
,
La velocit minima si ha in afelio, in corrispondenza del raggio massimo R
max
= a(1+e)
( )
( )
( )
min
2 1 1
29, 29615 km/s
1 1
S T
S T
G M M
e
v G M M
a e a a e
_ +
_
+



+ +
,
,
Le rispettive velocit angolari (in rad/s) si ottengono dividendo le velocit lineari per il Raggio
corrispondente
( )
7 max max
max
min
2, 0592984 10
1
v v
R a e

( )
7 min min
min
max
1, 9261405 10
1
v v
R a e



+
Calcoliamo la durata del giorno solare vero in perielio componendo la velocit di rotazione della
terra rispetto alle stelle fisse con la sua velocit massima di rivoluzione.
(max)
2
rot riv
perielio
G


da cui
(max)
(max)
2 2
86408.1160 s
2
perielio
rot riv
riv
sidereo
G
G

Dunque, per effetto della diversa velocit orbitale della Terra, il giorno solare vero in perielio dura
86408,1160 - 86164,0989 = 244,0171 s = 4 min 4,0 sec pi del giorno sidereo e 86408,1160
86400 = 8,1160 s pi del giorno solare medio
130
Calcoliamo la durata del giorno solare vero in afelio
(min)
2
rot riv
afelio
G


da cui
(min)
(min)
2 2
86392.2957 s
2
afelio
rot riv
riv
sidereo
G
G

Dunque, per effetto della diversa velocit orbitale della Terra, il giorno solare vero in afelio dura
86392,2957 - 86164,0989 = 228,1968 s = 3 min 48,2 sec pi del giorno sidereo e 86400 -
86392,2957 = 7,7043 s meno del giorno solare medio
La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della diversa velocit orbitale della Terra, di
244,0171 228,1968 = 15,8203 secondi nel corso dellanno, valore che rappresenta la massima
escursione nella durata del giorno solare causata dall'eccentricit dell'orbita terrestre.
Per rappresentare tale variazione durante tutto l'anno, assumiamo che l'andamento sia sinusoidale
(in verit non lo , ma l'eccentricit dell'orbita terrestre molto piccola e dunque l'approssimazione
ottima). Inoltre sappiamo che, rispetto al valore medio, avremo la durata massima al perielio
(intorno al 3 gennaio), mentre quella minima all'afelio (intorno al 4 luglio). L'ampiezza del coseno
ovviamente la met dell'escursione totale precedentemente calcolata (15,82/2 = 7,91s). Il ciclo di
un anno tropico (365,2422 giorni solari medi)
( )
2
7, 91 cos 3
365, 2422
s
d
_


,
dove d il numero di giorni dallinizio dellanno
d = 1 (1 gennaio)
d = 2 (2 gennaio)
..
d = 365 (31 dicembre)
Gli scarti per si accumulano nel corso dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o
anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno, occorre tenere conto di tutti gli scarti
precedenti. Matematicamente questa operazione si realizza integrando la funzione precedentemente
trovata.
131
L'integrale del coseno il seno, la periodicit e la fase rimangono le stesse. Per calcolare la
massima variazione accumulata basta sommare tutti i contributi che appartengono alla stessa
semionda positiva (o negativa).
Se dunque indichiamo con A la durata dell'anno (365,2422 giorni) si avr
/ 4
/ 4
7, 91 cos 2 919, 618 15, 327
A
s s m
A
x
dx
A

_


,

Possiamo ora scrivere l'espressione dell'equazione del tempo dovuta all'eccentricit dell'orbita
terrestre. L'ampiezza del seno ovviamente la met dell'escursione totale precedentemente calcolata
(15,327
m
/2=7,66
m
)
( )
2
7, 66 3
365, 2422
m
sen d
_


,
Effetto dellinclinazione (obliquit) dellorbita
Come abbiamo gi detto, dopo un giorno sidereo la Terra si spostata di circa un grado lungo la sua
orbita intorno al Sole e dunque dovr coprire questangolo con un ulteriore rotazione. Possiamo
descrivere lo stesso fenomeno pensando che la Terra sia ferma e che il Sole si muova lungo
leclittica.
L'asse di rotazione della Terra inclinato sul piano dell'eclittica e cos anche l'orbita apparente del
sole. Il piano dell'eclittica inclinato rispetto all'equatore celeste di = 23,44. La proiezione della
posizione del Sole sull'equatore celeste introduce un'altra variazione periodica sulla durata effettiva
del giorno solare.
Quando il Sole attraversa lequatore in corrispondenza dei punti equinoziali la sua proiezione
sullequatore si muove pi lentamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero
risulta pi breve del giorno solare medio. Quando invece si trova in corrispondenza dei punti
solstiziali, il Sole si muove parallelamente allequatore, la sua proiezione sullequatore si muove pi
rapidamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta pi lungo del giorno
solare medio.
Per rendercene conto immaginiamo che il Sole si trovi nel punto gamma (equinozio di primavera) e
che sia in culminazione (mezzogiorno) sul meridiano A. Dopo un giorno sidereo la Terra ha
132
compiuto una rotazione di 360 rispetto alle stelle fisse, ma il meridiano A non ritrova il Sole in
culminazione, perch il Sole si spostato lungo leclittica di circa 1. Poich tuttavia leclittica
inclinata di 23,44 rispetto allequatore, il sole non si spostato di 1 in longitudine, ma di 1
cos(23,44)= 0,9175. Sar quindi sufficiente che la Terra ruoti di 0,9175 per ritrovare il Sole in
culminazione, impiegandoci dunque non 235,90 s, ma 235,90 x cos(23,44) = 216,43 s.
Il valore 235,90 s (differenza tra il giorno solare medio ed il giorno sidereo) rappresenta dunque il
tempo medio tra il tempo minimo impiegato in corrispondenza dei punti equinoziali ed il tempo
massimo impiegato nei punti solstiziali pari a 235,90 / cos(23,44) = 257,12 s
La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della obliquit dellorbita terrestre, di 257,12
216,43 = 40,69 secondi nel corso dellanno..
Anche in questo caso, per rappresentare tale variazione durante tutto l'anno, assumiamo che
l'andamento sia sinusoidale. Inoltre sappiamo che, rispetto al valore medio, avremo la durata
massima in corrispondenza dei solstizi, mentre quella minima agli equinozi. L'ampiezza del coseno
ovviamente la met dell'escursione totale precedentemente calcolata (40,69/2 = 20,345s). Il ciclo
semestrale (365,2422/2=182,6211 giorni solari medi)
( )
2
20, 345 cos 81
182, 6211
s
d
_


,
dove d il numero di giorni dallinizio dellanno e l81
mo
giorno dellanno lequinozio di
primavera in corrispondenza del quale si presenta il primo minimo..
Come in precedenza, per calcolare gli scarti che si accumulano con il passare dei giorni integriamo
la funzione precedente. Per calcolare la massima variazione accumulata basta sommare tutti i
133
contributi che appartengono alla stessa semionda positiva (o negativa).
Se dunque indichiamo con A la durata dell'anno (365,2422 giorni) si avr
/ 8
/ 8
20, 345 cos 2 1182, 657 19, 711
/ 2
A
s s m
A
x
dx
A

_


,

Possiamo ora scrivere l'espressione dell'equazione del tempo dovuta all'obliquit dell'orbita
terrestre. L'ampiezza del seno ovviamente la met dell'escursione totale precedentemente calcolata
(19,711
m
/2=9,86
m
)
( )
2
9, 86 81
182, 6211
m
sen d
_


,
Equazione del tempo
Per ottenere la durata reale del giorno (giorno vero) necessario sommare gli effetti
delleccentricit e dellobliquit. Le due componenti con periodi di un anno e di 6 mesi sono sfasate
perch la posizione del perigeo non coincide ne con un equinozio, ne con un solstizio.
Sommiamo prima le equazioni relative alla durata di un singolo giorno senza tener conto degli
effetti cumulativi.
( ) ( )
2 2
7, 91 cos 3 20, 345 cos 81
365, 2422 182, 6211
s s
d d
_ _


, ,
Osserviamo che il giorno solare pi corto il 14 Settembre (circa 22 secondi in meno del giorno
solare medio), mentre il giorno pi lungo il 21 dicembre (circa 28 secondi in pi del giorno solare
medio). Sono differenze piccole, che per si accumulano nel corso dell'anno raggiungendo anche
parecchi minuti prima di cambiare segno.
Sommiamo ora le equazioni relative alla durata di un singolo giorno tenendo conto degli effetti
cumulativi.
134
( ) ( )
2 2
7, 66 3 9, 86 81
365, 2422 182, 6211
m m
sen d sen d
_ _


, ,
Osserviamo che il giorno solare vero pi lungo cade il 44
mo
giorno dellanno (13 febbraio) e quello
pi corto cade il 304
mo
giorno dellanno (31 ottobre). Inoltre il giorno vero dura esattamente 24 ore
come il giorno solare medio 4 volte allanno
giorno 106 (16 aprile)
giorno 164 (13 giugno)
giorno 243 (31 agosto)
giorno 358 (24 dicembre)
Lequazione del tempo E tiene conto di questi effetti cumulativi e permette di trasformare il tempo
medio M (misurato da un orologio) nel tempo vero T (misurato da una meridiana) e viceversa e
viene definita come
T = M + E.
Si noti come, se T maggiore di M, sar necessario sottrarre ad M il valore di E per ottenere il
tempo vero T. Se, ad esempio, il tempo vero T pari a 24h 10m, quando lorologio segna
mezzanotte (tempo medio M), il giorno vero T non ancora terminato (mancheranno ancora 10
minuti) e dunque per calcolare lora vera devo sottrarre ad M la maggior durata di T.
Per questo motivo i segni delle due componenti (eccentricit e obliquit) dovranno essere cambiati e
lequazione del tempo E si scrive
( ) ( )
2 2
7, 66 3 9, 86 81
365, 2422 182, 6211
m m
E sen d sen d
_ _
+

, ,
Si tenga infine presente che in alcuni vecchi testi lequazione del tempo viene definita come M = T
+ E. Si tratta di una formulazione legata al passato, quando la vita era regolata sul sole e quindi sul
tempo vero T ed era dunque pi utile trasformare lora indicata da una meridiana (T) nellora
indicata da un orologio meccanico (M). Se si utilizza questultima formulazione non ovviamente
necessario cambiare i segni delle due componenti nellequazione del tempo.
135
21.2 Calcolo mese sidereo
Velocit angolare orbitale Terra =

T
sid
A

360
Velocit angolare orbitale Luna =

L
sid
M

360
Dopo un mese sinodico (M
sin
) la terra si spostata rispetto al sole di un angolo
M
sin T
.
La luna, per tornare in congiunzione, dovr coprire il medesimo angolo e, alla velocit
L
,
impiegher un tempo

L
sin
T
L
sin sid
sid
M
M M
A


Il mese sinodico sar pertanto uguale al mese sidereo pi il tempo impiegato dalla luna per coprire
langolo
M M
M M
A
sin sid
sid sin
sid
+

e, riordinando
M
A M
A M
sid
sid sin
sid sin


+
M
A M
A M
sin
sid sid
sid sid

21.3 Movimento linea dei nodi e degli apsidi lunari


Sia
nod
la velocit angolare della linea dei nodi rispetto alle stelle fisse e
L
la velocit angolare
orbitale della luna rispetto alle stelle fisse. Possiamo considerare ora la velocit relativa della Luna
rispetto ai nodi, come differenza delle due velocit precedenti (
L
-
nod
). Possiamo cio pensare
che i nodi siano fermi rispetto alle stelle fisse e che la luna si muova rispetto a queste con una
velocit comprendente anche quella dei nodi.
Si pensi ad unautovettura A che viaggia a 50 km/h verso unautovettura B, la quale si avvicini a
sua volta a 30 Km/h. Il risultato il medesimo se si considera una delle due autovetture ferme e
laltra con una velocit pari a (50 - (-30) = 80 Km/h. Nel caso in cui lautovettura B si stia
allontanando nella stessa direzione di A, la sua velocit relativa risulta pari a (50 - 30 = 20 km/h). Si
noti come i valori delle velocit abbiano segno concorde se il loro verso il medesimo, discorde se
il verso contrario.
La Luna impiega un mese draconico (M
dra
) a percorrere unorbita rispetto ai nodi. Possiamo
pertanto scrivere
M
M
dra
L nod
sid
nod

360 360
360

e quindi

nod
sid dra
M M
s y

360 360 360


23605915
360
2351135 8
61333483 10 19 355
7
. . , . . ,
, / , /
136
I nodi ruotano quindi in senso retrogrado (orario) rispetto alle stelle fisse alla velocit di circa 19
allanno e impiegano pertanto
P
nod

360
19 355 ,
18,6 anni tropici
per effettuare una rotazione completa.
Analogamente possiamo calcolare la velocit di rotazione degli apsidi lunari rispetto alle stelle fisse
La Luna impiega un mese anomalistico (M
an
) a percorrere unorbita rispetto agli apsidi. Possiamo
pertanto scrivere
M
M
an
L aps
sid
aps

360 360
360

e quindi

aps
sid an
M M
s y

360 360 360


23605915
360
2 380 713 2
1 2889594 10 40 6756
6
. . , .. . ,
, / , /
Gli apsidi lunari ruotano quindi in senso diretto (antiorario) rispetto alle stelle fisse alla velocit di
circa 41 allanno e impiegano pertanto
P
aps

360
40 6756 ,
8,85 anni tropici
per completare una rotazione.

21.4 Rotazione linea degli apsidi terrestri (moto diretto del perielio)
La terra impiega un anno anomalistico A
an
a percorrere un orbita rispetto agli apsidi (ad esempio da
perielio e perielio). Potremo pertanto scrivere
A
A
an
T aps
sid
aps
riv

360 360
360

ed in definitiva

aps T
an
riv
A

360

aps
sid an
A A
d y

360 360 360


365 256363
360
365 259635
8 82909774 10 11 609
6
, ,
, / , "/
La linea degli apsidi si muove dunque di moto antiorario, concorde con quello di rivoluzione della
terra. Ci porta ad una diminuzione della velocit di rivoluzione della terra rispetto agli apsidi. La
rotazione completa della linea degli apsidi rispetto alle stelle fisse si completa quindi in un periodo
di
P
aps
aps

360

111.600 anni
137
21.5 Precessione degli equinozi
La prima stima moderna della velocit di precessione degli equinozi si deve a Newcomb (1896) che
trov per lanno 1900 il valore
eq
= 50,256 + 2,22 10
-4
/y, che riportato al 2000, fornisce
50,278/y.
Le stime pi recenti dellIAU (Unione Astrofisica Internazionale) danno per il 2000 un valore pari a
50,290966 per anno giuliano (365,25 gsm), pari a 3.8246989 10
-5
/d
Il moto di precessione della linea degli equinozi (precessione generale) prodotto dalleffetto del
sole (precessione solare - 34,6/y), della luna (precessione lunare - 15,8/y) e dei pianeti in senso
diretto (precessione planetaria 0,12/y). Leffetto cospirante del sole e della luna si dice
precessione lunisolare.
Il fenomeno della precessione fu scoperto da Ipparco di Nicea nel 139 a.C., osservando che le
longitudini eclitticali delle stelle erano tutte aumentate di una stessa quantit (circa 2) rispetto ai
valori misurati nel 283 a.C. da Timocari. Poich la longitudine eclitticale la distanza angolare di
una stella rispetto al punto (equinozio di primavera), se ne deduce che tale punto si era spostato
nellarco di 144 anni di circa 2 = 7200 (circa 50 allanno).
La velocit di rotazione del punto gamma rispetto agli apsidi pari a
( )
eq aps
y 50 291 11 609 61900 , , , "/
Il punto gamma completa dunque una rotazione rispetto agli apsidi (sempre in senso retrogrado) in
un periodo di circa
360 60 60
619
20940

, "/
.
y
anni
In altre parole ogni 21.000 anni circa lasse terrestre esegue una rotazione completa rispetto alla
linea degli apsidi e le stagioni si ribaltano ogni 10.500 anni.
Nel 2000 i solstizi disteranno dagli apsidi circa 13 (12,9442 = 46 600 - Meeus 1985). Tale
angolo coperto in
46600
619
750
"
, "/ y
anni tropici
Se ne deduce che intorno al 1250 d.C. il solstizio destate coincideva con lafelio (coincidenza
apsidi - solstizi). Poich, infine, la linea degli equinozi compie un quarto di giro ogni 5.250 anni
circa (21.000/4) gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in
perielio) verso il 6500 d.C.
In modo analogo possiamo calcolare il periodo di rotazione della linea degli equinozi (
eq
) rispetto
alle stelle fisse
P
eq

360 60 60
50 291 ,
25.770 anni tropici
detto anno platonico.
(Anno platonico = 25.770 anni tropici).
Tenendo conto che una costellazione dello zodiaco ha unampiezza di 30, gli equinozi (ed i
solstizi) percorrono ciascuna costellazione in 1/12 di anno platonico, pari a circa 2.150 anni. Se
lequinozio di primavera cadeva 2000 anni fa nella costellazione dellAriete, oggi cade nei Pesci.
138
21.6 Anno Tropico
Lanno tropico viene spesso definito come il tempo necessario affinch il sole compia una
rivoluzione rispetto al punto gamma (intervallo tra due equinozi di primavera). In realt il valore
che viene normalmente associato allanno tropico (365,242190 gsm) un valore medio (anno
tropico medio). Infatti la durata dellanno tropico dipende dal punto dellorbita che si prende come
riferimento ed il suo valore ad esempio diverso se lo si misura rispetto allequinozio dautunno o
ad uno dei due solstizi.
La causa di tali differenze va ricercata nel fatto che la terra non completa la sua orbita quando
ritorna allo stesso equinozio o allo stesso solstizio (per il moto di precessione di tali punti) ed il
tratto parziale di orbita che ha percorso viene compiuto in tempi differenti in relazione alla diversa
velocit con cui si muove nei diversi punti della sua orbita.
La velocit lineare (v) e angolare () della terra lungo la sua orbita dipendono dalla sua distanza R
dal sole secondo le relazioni
( ) v G M M
R a
S T
+

_
,

2 1

v
R
con
M
S
(massa del Sole) = 1.9891 10
33
g
M
T
(massa della Terra) = 5,9742 10
27
g
G (costante di gravitazione universale) = 6,67259 10
-8
a (distanza media Sole-Terra = semiasse maggiore dellorbita = 1 UA) = 1.4959787 10
13
cm
Calcoliamo la sua velocit media rispetto allorbita




2
1720197 10 4106668 10
2 2
A
rad d arcsec s
an
, / , /
Possiamo allora calcolare la durata dellanno tropico medio sottraendo allanno anomalistico
(tempo necessario per percorrere lintera orbita da perielio a perielio) il tempo mediamente
necessario alla Terra per coprire langolo di precessione che fa annualmente slittare equinozi e
solstizi rispetto agli apsidi (61,9 secondi darco)
619
41067 10
1507 0 01745
2
,
,
,

s d
Lanno tropico dunque mediamente 0,01745 giorni pi breve dellanno anomalistico (365,25964 -
0,01745 = 365,24219).
Se consideriamo la velocit massima (in perielio) e minima (in afelio) con cui la terra si muove
possiamo calcolare quale il valore minimo e massimo che pu assumere lanno tropico.
La distanza R della terra dal sole si pu determinare scrivendo lequazione in coordinate polari di
unellisse
( )
R
a e
e


+
1
1
2
cos
dove
e (eccentricit dellorbita terrestre) = 0,01672
a (distanza media Sole-Terra = semiasse maggiore dellorbita = 1 UA) = 1.4959787 10
13
cm
= angolo antiorario che il raggio vettore R forma con la direzione sole-perielio
139
Poich
= 0 in perielio e cos 0 = 1
= 180 in afelio e cos 180 = -1
le corrispondenti distanze minima e massima valgono
( ) R a e
min
1
( ) R a e
max
+ 1
Utilizzando la distanza minima si otterr la velocit massima (in perielio), mentre la distanza
massima fornir la velocit minima (in afelio)
( )

max
min
min
, / , /
+

_
,



G M M
R a
R
rad s arcsec s
S T
2 1
2 0590 10 4 2470 10
7 2
( )

min
max
max
, / , /
+

_
,



G M M
R a
R
rad s arcsec s
S T
2 1
192594 10 3 9725 10
7 2
il tempo minimo e massimo necessario alla Terra per coprire langolo di (61,9 secondi darco)
619
1457 24 17 0 016869
,
,
max

s d
m s
619
1558 25 58 0 018035
,
,
min

s d
m s
Lanno tropico pu quindi durare approssimativamente dai 24 ai 26 minuti in meno dellanno
anomalistico, a seconda del punto dellorbita che si prende come riferimento.
Tenendo conto che attualmente la linea degli equinozi forma un angolo di circa 13 con la linea
degli apsidi possibile stimare la durata dellanno tropico rispetto ai quattro diversi punti
equinoziali e solstiziali.
140
La distanza Terra-Sole e la velocit angolare nei punti equinoziali e solstiziali possono essere
calcolate conoscendo langolo che il raggio vettore forma con la direzione Sole-Perielio. Tale
angolo vale rispettivamente
Equinozio Primavera = 90 - 13 R = 1,4900 10
13
cm = 0.04140 arcsec/s
Solstizio Estate = 180 - 13 R = 1,5203 10
13
cm = 0.03976 arcsec/s
Equinozio Autunno = 270 - 13 R = 1,5012 10
13
cm = 0.04078 arcsec/s
Solstizio Inverno = 360 - 13 R = 1,4716 10
13
cm = 0.04243 arcsec/s
Si determina di conseguenza la relativa lunghezza dellanno tropico come differenza rispetto
allanno anomalistico
A
an
- A
tr
Anno Tropico A
Gr
- A
tr
Equinozio Primavera 1.495 s = 0,01730 d 365,24233 0,00017 d
Solstizio Estate 1.557 s = 0,01802 d 365,24161 0,00089 d
Equinozio Autunno 1.518 s = 0,01757 d 365,24207 0,00043 d
Solstizio Inverno 1.459 s = 0,01689 d 365,24275 - 0,00025 d
Media 1.507 s = 0,01745 d 365,24219 0,00031 d
Sullultima colonna compare la differenza tra lanno gregoriano (365,2425) e lanno tropico. Si noti
come lassunzione dellEquinozio di Primavera come punto di riferimento per la misura dellanno
tropico rende attualmente minima la sfasatura con il calendario gregoriano.
NOTA
Gli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 una durata dellanno tropico (misurata in tempo
delle effemeridi ET) leggermente diversa

Anno Tropico A
Gr
- A
tr
Equinozio Primavera 365,242377 0,000123 d
Solstizio Estate 365,241629 0,000871 d
Equinozio Autunno 365,242021 0,000479 d
Solstizio Inverno 365,242744 - 0,000244 d
Media 365,242193 0,000307 d
Tali durate sono perfettamente coerenti con un angolo di 16,8 tra linea degli equinozi e linea degli
apsidi, mentre gli stessi algoritmi forniscono un angolo di 12.9442.
21.7 Data degli equinozi e dei solstizi
Per determinare la data degli equinozi e dei solstizi necessario osservare come la durata dellanno
tropico, precedentemente calcolata per ciascun equinozio e per ciascun solstizio, si riferisca ai
cosiddetti equinozi e solstizi medi, in assenza cio dei fenomeni di nutazione e aberrazione. Gli
equinozi ed i solstizi veri possono cadere fino a qualche decina di minuti prima o dopo la data
prevista per gli equinozi ed i solstizi medi.
Gli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 i seguenti valori per gli equinozi ed i solstizi
medi e veri (tempo delle effemeridi ET)
141
data giuliana (medio) medio vero
equinozio di marzo 2 451 623, 804 397 JD 20
d
7
h
18
m
19,9
s
20
d
7
h
31
m

solstizio di giugno 2 451 716, 562 127 JD 20
d
1
h
29
m
27,8
s
20
d
1
h
46
m

solstizio di settembre 2 451 810, 211 722 JD 22
d
17
h
4
m
52,8
s
22
d
17
h
24
m

solstizio di dicembre 2 451 900, 054 191 JD 21
d
13
h
18
m
2,1
s
21
d
13
h
36
m

Per determinare la data dellequinozio/solstizio medio in un intervallo di anni non eccessivamente
esteso, calcoliamo la differenza X tra anno giuliano (365,25) ed anno tropico. E allora facilmente
verificabile che:
se lanno successivo non bisestile, lequinozio/solstizio medio avanza di (6
h
- X)
se lanno successivo bisestile, lequinozio/solstizio medio retrocede di (18
h
+ X)
( ) ( ) ( ) ( )
B NB NB NB B
X X X X + + + +

6 6 6 18
essendo X:
Equinozio di marzo X = 365,25 - 365,24233 = 0.00767 d 662,7 s 11.045 m
Solstizio di giugno X = 365,25 - 365,24161 = 0,00839 d 724,9 s 12.082 m
Equinozio di settembre X = 365,25 - 365,24207 = 0,00793 d 685,2 s 11.419 m
Solstizio di inverno X = 365,25 - 365,24275 = 0,00725 d 626,4 s 10.440 m
Medio X = 365,25 - 365,24219 = 0,00781 d 674,8 s 11.246 m
Ad esempio, partendo dai valori dati per il 2000, si calcola per i 4 anni successivi
Anno
primavera
(X = 11.045
m
)
estate
(X = 12.082
m
)
autunno
(X = 11.419
m
)
inverno
(X = 10.440
m
)
2000 20
d
07
h
18,332
m
21
d
01
h
29.463
m
22
d
17
h
04,880
m
21
d
13
h
18.035
m
2001 20
d
13
h
07,287
m
21
d
07
h
17.381
m
22
d
22
h
53,461
m
21
d
19
h
07.595
m
2002 20
d
18
h
56,242
m
21
d
13
h
05.294
m
23
d
04
h
42,042
m
22
d
00
h
57.155
m
2003 21
d
00
h
45,197
m
21
d
18
h
53.217
m
23
d
10
h
30,623
m
22
d
06
h
46.715
m
2004 20
d
06
h
34,152
m
21
d
00
h
41.135
m
22
d
16
h
19,204
m
21
d
12
h
36.275
m
La data degli equinozi e dei solstizi oscilla dunque sia per il meccanismo del calendario (che alterna
anni civili di 365 giorni ad anni di 366), sia per i fenomeni di nutazione ed aberrazione. Cos
lequinozio di primavera cade il 19/21 marzo
il solstizio destate cade il 20/22 giugno
lequinozio di autunno cade il 22/24 settembre
il solstizio dinverno cade il 20/22 dicembre
La data media sta comunque impercettibilmente variando poich lanno tropico ha una diversa
durata rispetto allanno gregoriano su cui si basa il nostro calendario. Ad esempio lequinozio
medio di primavera anticipa di 0.00017 giorni allanno, mentre il solstizio dinverno posticipa di
0.00025 giorni (dal riallineamento gregoriano del calendario avvenuto verso la fine del 1500 ad
oggi lequinozio ha quindi anticipato di circa 15
s
mentre il solstizio ha posticipato di circa 22
s
)
142
21.8 Data afelio/perielio
Per determinare la data in cui la terra si trova in corrispondenza degli apsidi necessario osservare
come la durata dellanno anomalistico si riferisca al baricentro del sistema terra-luna. Cos il
momento di distanza massima o minima tra il centro della terra ed il centro del sole pu differire
fino ad oltre un giorno da quello del baricentro.
Gli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 i seguenti valori (tempo delle effemeridi ET)
data giuliana
Perielio 2 451 547, 510 272 JD 04
d
gennaio 00
h
15
m
26,8
s

Afelio 2 451 730, 140 549 JD 04
d
luglio 15
h
22
m
23,5
s

Per determinare la data dellafelio/perielio medio in un intervallo di anni non eccessivamente
esteso, calcoliamo la differenza X tra anno anomalistico ed anno giuliano (365,25).
X = 365,25964 - 365,25 = 0.00964 d 832,9
s
13,882
m
E allora facilmente verificabile che:
Per il Perielio
se lanno di partenza bisestile il perielio successivo retrocede di (18
h
- X)
se lanno di partenza non bisestile il perielio successivo, avanza di (6
h
+ X)
( ) ( ) ( ) ( )
B NB NB NB B
X X X X + + + + + +

18 6 6 6
Per lAfelio
se lanno successivo non bisestile, lafelio avanza di (6
h
+ X)
se lanno successivo bisestile, lafelio retrocede di (18
h
- X)
( ) ( ) ( ) ( )
B NB NB NB B
X X X X + + + + + +

6 6 6 18
Ad esempio, partendo dai valori dati per il 2000, si calcola per i 4 anni successivi
143
Anche la data degli apsidi oscilla sia per il meccanismo del calendario, sia per lazione della luna.
La data media sta comunque lentamente posticipando poich lanno anomalistico ben 0.01714
giorni pi lungo dellanno gregoriano. Ci significa che la data degli apsidi posticipa di un giorno
ogni 60 anni circa (1/0.01714 60). Cos allinizio del 1900 la data del perielio oscillava tra il 2/3
gennaio e quella dellafelio tra il 3/4 luglio, mentre ora oscillano rispettivamente tra il 3/4 gennaio
ed il 4/5 luglio.
21.9 Effetto della precessione sulle coordinate celesti
Tenendo presente che leclittica inclinata di 23 26 21 ( 23,44) rispetto allequatore celeste
possibile calcolare facilmente leffetto della precessione sulle coordinate equatoriali (Ascensione
Retta e Declinazione).
Detta

la velocit di rotazione del punto gamma (

=
eq
= - 50,291/y), le componenti di tale
velocit lungo lequatore e lungo il meridiano celeste fondamentale (coluro) sono rispettivamente

AR
y cos , , "/ 23 44 4614



sin y 23 44 20 0 , , "/
Anno
perielio
(X = 13.882
m
)
gennaio
afelio
(X = 13.882
m
)
luglio
2000 04
d
00
h
15,447
m
04
d
15
h
22.391
m

2001 03
d
06
h
29,324
m
04
d
21
h
36.273
m

2002 03
d
12
h
43,211
m
05
d
03
h
50.155
m

2003 03
d
18
h
57,093
m
05
d
10
h
04.037
m

2004 04
d
01
h
10,975
m
04
d
16
h
17.919
m

144
21.10Giorno siderale
Il giorno siderale il periodo di rotazione della terra misurato rispetto al punto gamma (intervallo
di tempo tra due culminazioni successive del punto gamma). Poich il punto gamma si muove di
moto retrogrado (orario), con una velocit rispetto allequatore celeste pari a

AR
y s

cos , , "/ , / 23 44 4614 4 061 10


10
La velocit di rotazione della terra rispetto al punto gamma sar al solito pari alla differenza tra la
velocit di rotazione della terra rispetto alle stelle fisse e la velocit equatoriale del punto gamma
(sempre rispetto alle stelle fisse)
( )
T T AR
rot




360
86164 0989
4 061 10
10
,
,
La rotazione della Terra rispetto al punto gamma si completa dunque in un periodo di
P
T
T

360
86.164,0905 s
detto giorno siderale, il quale risulta pertanto 8,4 10
-3
s pi breve del giorno sidereo.
145
22 Appendice 3 - Fotometria
La fotometria studia e misura gli effetti delle radiazioni luminose sull'occhio umano, tentando di
determinarne le relazioni (per lo pi empiriche) con le grandezze energetiche che caratterizzano la
radiazione luminosa.
Il problema si presenta complesso in quanto radiazioni luminose a diversa lunghezza d'onda e a
diverso contenuto energetico possono produrre la medesima sensazione visiva.
Chiamiamo radiazione luminosa o luce l'intervallo dello spettro elettromagnetico compreso tra le
lunghezze d'onda che vanno da 0,4 a 0,7 in grado di generare una sensazione visiva al nostro
occhio.
22.1 Intensit luminosa I
L'intensit di emissione luminosa la potenza emessa sotto forma di luce entro l'angolo solido
unitario (1 steradiante = 1 radiante
2
).
146
Ricordiamo che 1 steradiante (sr) l'angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di
una superficie sferica vede una calotta sferica di superficie R
2
. Essendo l'intera superficie sferica
pari a 4R
2
, l'intero angolo solido sar pari a 4 steradianti.
Nel Sistema SI l'unit fotometrica fondamentale la candela (cd), che misura l'intensit I di una
sorgente luminosa. Essa viene naturalmente definita in funzione di un campione luminoso,
convenzionalmente individuato. Un tempo la candela veniva definita come 1/60 dell'intensit
luminosa prodotta da 1 cm
2
di corpo nero a 2042K (temperatura di fusione del platino). Nel 1979
la XVI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure defin la candela come lintensit luminosa di
una sorgente di potenza 1/683 W/sr che emette una radiazione monocromatica di 5,40 10
14
Hz ( =
555,016 nm)
22.2 Flusso luminoso
Si definisce flusso luminoso il prodotto dell'intensit luminosa per l'angolo solido attraverso cui
la luce diffonde. La sua unit di misura la candela
.
steradiante (cd
.
sr) o lumen (lm).
I
Una sorgente luminosa puntiforme che diffonda luce in tutte le direzioni (sull'intero angolo solido)
produce un flusso luminoso di 4 lumen.
22.3 Brillanza B
Per sorgenti estese (non puntiformi) viene definita la brillanza B (o luminanza o splendore) come
l'intensit di emissione dell'unit di superficie in direzione ortogonale alla superficie stessa. Nel
caso la direzione di emissione formi un angolo con la direzione normale alla superficie, la
superficie emittente va moltiplicata per cos. La sua unit di misura la candela/m
2
(o nit (nt), nel
Sistema SI) o candela/cm
2
(o stilb (sb), nel sistema cgs).
B=
I
A cos
22.4 Illuminamento E
Per misurare gli effetti della luce che colpisce una superficie S si definisce l'illuminamento E, come
il flusso che colpisce l'unit di superficie S, disposta perpendicolarmente ai raggi luminosi. La sua
unit di misura il lumen/m
2
(o lux (lx), nel sistema SI) o lumen/cm
2
(nel sistema cgs). Nel caso il
flusso formi un angolo con la direzione normale alla superficie, il suo valore va moltiplicato per
cos.
E =

S
cos
Una sorgente puntiforme di intensit I posta al centro di una superficie sferica di raggio R incide su
di essa con un flusso pari a 4I lumen. L'unit di area di tale superficie viene perci illuminata da
E =
I I
S R
lux


4
2


4 R
2
( )
Possiamo definire quindi 1 lux come l'illuminamento a cui sottoposta una superficie di 1 m
2
posta
alla distanza di 1 m da una sorgente di 1 candela che la illumini ortogonalmente con un flusso di 1
lumen.
147
La relazione precedente mostra anche come l'illuminamento a cui sottoposta una superficie
direttamente proporzionale all'intensit luminosa della sorgente ed inversamente proporzionale al
quadrato della sua distanza.
Se due sorgenti luminose di diversa intensit ( I
1
e I
2
) e a diversa distanza (R
1
e R
2
) illuminano una
superficie allo stesso modo (E = cost) allora deve valere
( ) ( )
2
2
2
2
1
1
R
I
R
I

e anche
2
2
1
2
1

,
_

R
R
I
I
Come gi stato detto uno degli scopi della fotometria quello di correlare il flusso luminoso alla
potenza (energia per unit di tempo) trasportata dal fascio di radiazione ottica.
Il primo problema che si presenta legato al fatto che il nostro occhio non egualmente sensibile a
tutte le lunghezze d'onda ottiche, ma presenta un massimo di sensibilit per la luce di 0,555
(giallo-verde).
Si definisce a tal proposito il coefficiente di visibilit K

come il rapporto tra il flusso luminoso ed il


corrispondente flusso energetico (in watt) portati da una radiazione monocromatica di lunghezza
K lm W
lum
en

( / )
Il valore massimo di tale coefficiente si ha appunto per la radiazione di 0,555 e vale
K lm W
0 555
683
,
/
A parit di energia trasportata dal raggio luminoso la sensazione ottica diminuisce di intensit man
mano che ci discostiamo da tale lunghezza d'onda. Per determinare l'entit di tale diminuzione si
calcola il cosiddetto fattore di visibilit relativa (V

) di una radiazione ottica di lunghezza d'onda .


V
K
K

0 555 ,
Per determinare il valore di tale fattore per le diverse lunghezze d'onda visibili possibile misurare
e rapportare l'energia portata da un fascio di radiazione a 0,555 e l'energia trasportata da un fascio
di radiazione di lunghezza d'onda , stimato di egual intensit luminosa (in grado di generare cio la
medesima sensazione ottica).
Il fattore di visibilit relativa varr dunque 1 per la radiazione di lunghezza 0,555 e assumer
valori via via inferiori per le altre lunghezze d'onda ottiche, azzerandosi intorno a 0,4 e 0,7.
148
()

V
1
0,5
0,7 0,6 0,5 0,4
Possiamo provare a stimare la visibilit media sovrapponendo alla curva una gaussiana
normalizzata (media M = 0, scarto quadratico medio = 1, ordinata massima F(M) = 1 2 =
0,39894, area totale = 1) in cui i valori estremi (0,4 - 0,7) coincidano con i valori standardizzati -3,5
e +3,5 corrispondenti ad una area praticamente pari ad 1 (> 0,999).
99,73%
95,44%
68,26%
t3
t2
+1 +2 +3 -1 -2
0,3989
-3
t
L'ordinata media pari all'area (1) diviso l'ascissa relativa (+3,5 - (-3,5) = 7) e vale quindi 1/7.
Possiamo ora impostare una proporzione tra la gaussiana e la curva di visibilit tra le corrispondenti
ordinate massime e medie
0,39894 : 1 = 1/7 : x
che ci fornisce una visibilit media di circa il 35,8 %
La relazione che lega il flusso luminoso alla potenza P

del fascio per unit di area ed alla sezione
trasversale S del fascio


d S P V K
0
555 , 0


dove l'integrale viene esteso per consuetudine da zero ad infinito, ma si azzera al di fuori
dell'intervallo di visibilit poich in tal caso si annulla V

.
22.5 Calcolo quantit fotometriche solari
Integrando l'equazione di Planck per un corpo nero alla temperatura di 5778 K (temperatura
efficace del sole) da 0,39 a 0,72 si ottiene l'emissione ottica unitaria del sole, pari a 2,52 10
7
watt/m
2
.
Calcoliamo ora l'emissione ottica totale moltiplicando per la superficie solare (6,087 10
18
m
2
),
ottenendo 1,534 10
26
watt. Essendo l'energia portata su tutte le lunghezze d'onda del visibile,
utilizziamo il fattore medio di visibilit relativa pari a 0,37 per calcolare il fattore di visibilit solare
149
K K V
sole medio

0 555
683 0 358 245
,
, lumen / watt
il flusso del sole varr allora

sole
lumen 1534 10 245 3 76 10
26 28
, ,
La sua intensit luminosa sar
I




3 76 10
4
3 10
28
27
,

candele
la sua brillanza
B=
I
A
nit


3 06 10
6 087 10
5 10
27
18
8
,
,
) (cd / m
2
mentre, ricordando che la terra dista dal sole R = 1,496 10
11
m, l'illuminamento solare cui
sottoposta la terra (al di fuori dell'atmosfera) sar
E =
I I
S R
lux


4 3 06 10
2 238 10
134 10
2
27
22
5


4 R

2
,
,
,
22.6 Fotometria stellare
La prima misura dell'intensit luminosa delle stelle fu naturalmente eseguita confrontando le stelle
per mezzo dell'occhio (luminosit visuale). Cos Ipparco, nel II sec. a.C., aveva fissato una scala
empirica, detta delle magnitudini apparenti (m), comprendente 6 gradi di luminosit. Secondo tale
scala la stella pi luminosa del cielo risultava essere di prima magnitudine (m = 1) ed era 5 volte pi
luminosa di una (appena visibile) di sesta magnitudine (m = 6).
Le magnitudini sono dette apparenti poich il loro valore, a parit di intensit luminosa, dipende
anche dalle distanza delle stelle.
Una profonda revisione si ebbe nella seconda met dell'ottocento quando si scopr che la sensazione
visiva (S) non direttamente proporzionale all'intensit (l) dello stimolo luminoso percepito, ma al
suo logaritmo. Tale relazione viene espressa dalla legge di Fechner e Weber.
l K S
10
log
che, nel caso di una stella, lega la magnitudine apparente m, alla luminosit apparente l (misurata in
genere in lux)
C + l k m
10
log
C una costante (costante di zero) il cui valore dipende dalle unit di misura usate per esprimere la
luminosit e dal valore assunto convenzionalmente come zero per la scala delle magnitudini
Poich tramite registrazioni fotometriche (Herschel) una stella di prima magnitudine risult essere
in realt 100 volte pi luminosa di una di 6 magnitudine, la costante k assume il valore -2,5. Infatti
m m K K k
6 1 10 10 10
log log log l - l
l
l
6 1
6
1
e quindi
5 2
10
k k log ( )
1
100
k = -2,5
150
La relazione fondamentale della fotometria stellare diventa quindi (relazione di Pogson)
m m
2 1 10
2 5 , log
l
l
2
1
e quindi
( ) ( )
2
1
l
l
m m m m
10 1 2 1 2
log 4 , 0
5 , 2
1

passando infine all'antilogaritmo
( )
( )
( )
( )
( )
( )
1 2
1 2
1 2
1 2
512 , 2 10 10 10
5 2 4 , 0 4 , 0 m m
m m
m m
m m
2
1
l
l


Se dobbiamo ad esempio confrontare la luminosit di Sirio m = - 1,45 con quella di Aldebaran (m =
0,85) troveremo
( ) ( ) ( )
3 , 8 512 , 2 512 , 2 512 , 2
3 , 2 45 , 1 85 , 0
1 2

m m
2
1
l
l
Sirio dunque apparentemente circa 8,3 volte pi luminoso di Aldebaran.
Per ogni grado di magnitudine (m
2
- m
1
= 1) la luminosit apparente aumenta di circa 2,512 volte.
Come per ogni scala convenzionale anche nel caso delle magnitudini apparenti necessario fissare
un punto zero.
Viene dunque definita di magnitudine visuale apparente zero (m
vis
= 0) una stella che produca (al di
fuori dell'atmosfera) un illuminamento di 2,67 10
-6
lux.
La costante di zero assume in tal caso il valore
0 2 5
10
, log 2,67 10 +C
-6
V
C
V
= -13,934
Ricordando che il sole fornisce un illuminamento di 1,34 10
5
lux, possiamo allora calcolarne
facilmente la magnitudine apparente (visuale)
m m m
V 2 1 10 10
0 2 5 2 5 26 75

, log , log ,
E
E
1,34 10
2,67 10
0
5
-6
La magnitudine visuale naturalmente correlata al flusso ottico (spettro visibile) che ci proviene
dalle stelle. Quando invece si misura il flusso energetico su tutte le lunghezze d'onda, si ottiene la
magnitudine bolometrica. Anche in questo caso necessario fissare un punto zero. Viene definita di
magnitudine bolometrica apparente zero (m
bol
= 0) una stella che produca (al di fuori dell'atmosfera)
una potenza unitaria di 2,56 10
-5
erg/(s cm
2
).
La costante di zero assume in tal caso il valore
0 2 5
10
, log 2,56 10 +C
-5
b
C
b
= -11,48
Ricordando che il sole fornisce una potenza unitaria (costante solare) di 1,368 10
6
erg/(s cm
2
),
possiamo calcolarne la magnitudine apparente (bolometrica)
151
m m m
2 1 10 10
0 2 5 2 5 26 82

, log , log ,
W
W
1,368 10
2,56 10
0
6
-5
Qualora si conosca la distanza R di una stella dalla terra se ne pu calcolare anche la luminosit
intrinseca L (espressa come intensit luminosa o come flusso luminoso)
E = E S lumen 4 R
2

Sapendo ad esempio che Sirio dista 8,6 al (8,136 10


16
m) e che la sua magnitudine apparente vale m
= - 1,45 determiniamo:
- l'illuminamento, che 2,512
1,45
= 3,8 volte superiore a E
o
e pari quindi a circa 10
-5
lux
- il flusso, pari a
( )
2
2 -5 16 29
4 R =10 4 8,136 10 =8,32 10 E lumen
- l'intensit luminosa, pari a I =
4 4



8 32 10
6 62 10
29
28
,
, candele
scopriamo cos che Sirio 21,6 volte pi luminoso del sole
Come si vede scomodo confrontare le luminosit intrinseche delle stelle utilizzando lumen e
candele. Si perci convenuto di misurare la luminosit intrinseca di una stella utilizzando la scala
di Ipparco, dopo aver azzerato le differenze di distanza portando tutte le stelle a 10 parsec.
La magnitudine apparente che una stella verrebbe a possedere se fosse posta a 10 parsec detta
magnitudine assoluta M.
Cos una stella di luminosit intrinseca L (flusso) e distanza R, che presenta un luminosit apparente
l (illuminamento) pari a
l =
L
4 R
2

posta a 10 parsec presenterebbe una luminosit apparente l


10
pari a
( )
2
10
10k 4
L
= l

dove k un coefficiente (pari a 3,0857 10


16
m/pc) che trasforma i parsec in m
Applicando la formula di Pogson a questi due valori di luminosit apparente, si ottiene
m m
2 1 10
2 5 , log
l
l
2
1

( )
2
10 10
log 5 , 2 log 5 , 2

,
_


R
10k
10k 4 L
R 4 L
M m
2
2

Essendo R/k la distanza della stella espressa in parsec, la relazione diventa


2
10
2
10
log 5 , 2 log 5 , 2

,
_

,
_


10
R
R
10
M m
pc
pc
( )
2
10
2
10
log 5 , 2 log 5 , 2 10 R M m
pc

m M 5 5
10
log R
pc
152
Essendo la quantit (m-M) correlata alla distanza della stella, essa viene detta modulo di distanza.
Sapendo che il sole dista dalla terra 1,496 10
11
m pari a 4,848 10
-6
parsec, possiamo determinarne la
magnitudine assoluta visuale e bolometrica
M m
vis vis
+ +

5 5 26 75 5 4 848 10 5 4 82
10 10
6
log , log , , R
pc
M m
bol bol
+ +

5 5 26 82 5 4 848 10 5 4 75
10 10
6
log , log , , R
pc
La magnitudine assoluta di Sirio (m = - 1,45 ; R = 2,64 pc) sar
M + 1 45 5 2 64 5 1 442
10
, log , ,
La magnitudine assoluta di Aldebaran (m = 0,85 ; R = 18,4 pc) sar
M + 0 85 5 18 4 5 0 47
10
, log , ,
Cos la differenza di magnitudine assoluta tra Sirio e il Aldebaran 1,44 - (-0,47) = 1,91
Scopriamo cos che Sirio in realt circa 2,512
1,91
= 5,8 volte meno luminoso di Aldebaran.
Tenendo poi conto che la luminosit apparente che segna il punto zero della scala delle magnitudini
apparenti 2,67 10
-6
lux (lumen/m
2
), possiamo trovare il corrispondente valore (M = 0) per la scala
delle magnitudini assolute, calcolando la corrispondente luminosit intrinseca visuale a 10 parsec
( ) ( ) L = l 4 10k = 2,67 10 4 10 3,0857 10
2
-6 16
2
319 10
30
, lumen
corrispondenti ad un'intensit luminosa di 2,54 10
29
candele
Mentre, ricordando che il punto zero delle magnitudini apparenti bolometriche 2,56 10
-5
erg/(s
cm
2
), la corrispondente luminosit intrinseca bolometrica a 10 parsec sar
( ) ( ) L = l 4 10k = 2,56 10 4 10 3,0857 10
2
-5 18
2
3 05 10
35
, s cm
-1 -2
erg
In questo modo la relazione di Pogson
m m
2 1 10
2 5 , log
l
l
2
1
pu essere utilizzata anche per calcolare la magnitudine assoluta, sostituendo alle luminosit
apparenti le luminosit intrinseche della stella e del punto zero
M
vis

0 2 5
10
, log
L
3,19 10
30
M
bol

0 2 5
10
, log
L
3,05 10
35
Magnitudine assoluta di 1 candela M

2 5 73 5
10
, log ,
1
2,54 10
29
Magnitudine apparente di 1 lux m

2 5 13 9
10
, log ,
1
2,67 10
-6
Formula di Russell
La relazione di Pogson pu essere utilizzata per ottenere una relazione tra la Magnitudine, la
Temperatura ed il Raggio (in unit solari R ) di una stella. Indicando rispettivamente con M
V
e M
V
la magnitudine visuale assoluta di una stella e del sole possiamo scrivere
153
M M
V V

2 5
10
, log
L
L
v
v
Per determinare lemissione di una stella in corrispondenza di una certa lunghezza donda
possiamo ricorrere allequazione di Planck che descrive il comportamento emissivo di un radiatore
perfetto (corpo nero), fornendoci la quantit di energia (erg) emessa, per unit di tempo (s) e di
superficie radiante (cm
2
), da un corpo alla temperatura T (K) in corrispondenza della lunghezza
donda (cm).
) s cm (
1
1 10 742 , 3
1
1 2
1 - 3 -
439 , 1 5
5
5
2
) , (
erg
e e
hc
W
T T k
hc
T

Possiamo ora stimare lenergia emessa nellintorno della lunghezza donda , calcolando larea
sottesa allintervallo centrato in . In prima approssimazione esso pari allarea del rettangolo
avente base e altezza W
(T)
.
Nel nostro caso, dovendo valutare lemissione nel visibile = 5,5 10
-10
cm, la relazione diventa
( )
W
e
e
erg
T
T T
( ) ,
,
,
,
, ( )



3 742 10
5 5 10
1
1
7 4 10
1
1
5
5
5 1 439
5 510
16
26164
5
cm s
-2 -1
La luminosit assoluta visuale della stella sar pari allenergia emessa nel visibile dallintera
superficie.
L W R
v T

( )
4
2

Sostituendo nella relazione di Pogson, otteniamo


M M
e
R
e
R
v v
T
T

2 5 2 5
7 4 10
1
1
4
7 4 10
1
1
4
10 10
16
26164
2
16
26164
2
, log , log
,
,
L
L
v
v

Ricordando che T 5778 K, la relazione diventa


M M
e
R
R
V V
T

_
,

1
]
1
1

2 5
91593
1
10 26164
2
, log
,
M M e
R
R
V V
T
+

_
,

_
,

4 9 2 5 1 5
10
26164
10
, , log log
154
e assegnando al sole magnitudine visuale assoluta 4,82 otteniamo
M e
R
R
V
T

_
,

_
,

2 5 1 0 085 5
10
26164
10
, log , log
o, esplicitando il raggio,
log , , log ,
10 10
26164
0 2 2 5 1 0 085
R
R
e M
T
V

_
,

_
,

1
]
1
Se ora, in prima approssimazione, trascuriamo l'unit nella differenza dellargomento del logaritmo
otteniamo la classica relazione di Russell
M
T
R
R
V

_
,

28400
5 0 085
10
log ,
o, esplicitando il raggio,
log , ,
10
0 2
28400
0 085
R
R T
M
V

_
,

_
,

E possibile costruire una relazione analoga che leghi la magnitudine bolometrica al raggio ed alla
temperatura. Indicando rispettivamente con M
bol
e M
bol
la magnitudine bolometrica assoluta di una
stella e del sole possiamo scrivere
M M
bol bol
bol

2 5
10
, log
L
L
bol
Per determinare lemissione di una stella in corrispondenza di tutte le lunghezze donda possiamo
ricorrere allequazione di Stefan-Boltzmann. che descrive il comportamento emissivo di un
radiatore perfetto (corpo nero), fornendoci la quantit di energia (erg) emessa, per unit di tempo (s)
e di superficie radiante (cm
2
), da un corpo alla temperatura T (K) in corrispondenza di tutte le
lunghezze donda e moltiplicarla per la superficie della stella 4R
2
. Essendo dunque
L T R
bol

4 2
4
potremo scrivere
M M
R
R
R
R
bol bol


2 5
4
4
2 5
10
2
2 10
2
2
, log , log


T
T
T
T
4
4
4
4
M M
R
R
R
R
bol bol

_
,
+


2 5 4 2 10 5
10 10 10 10
, log log log log
T
T
T
T
Assumendo infine per la temperatura e la magnitudine assoluta bolometrica del sole i valori T
5780 K e M
bol
= 4,75 si ottiene
log , log ,
10 10
8 47 2 0 2
R
R
T M
bol


Confrontiamo ora tale relazione con la relazione
log , , log ,
10 10
26164
0 2 2 5 1 0 085
R
R
e M
T
V

_
,

_
,

1
]
1
Eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la differenza tra M
bol
e M
V
si ottiene
155
M M T e
bol V
T

_
,
42 45 10 2 5 1
10 10
26164
, log , log
o, trascurando ancora lunit nella differenza,
M M T
T
bol V
42 45 10
28400
, log
Il valore cos ottenuto viene definito correzione bolometrica BC.
La correzione bolometrica viene in realt calcolata tramite modelli pi sofisticati relativi alle
atmosfere stellari. Il valore zero della scala stato convenzionalmente fissato in modo che sia BC =
0 per stelle con T
e
= 6580 K (tipo spettrale F5).
22.7 Indici di colore
Quando in astronomia iniziarono ad essere utilizzate le emulsioni fotografiche fu possibile ottenere
anche valori di magnitudine fotografica (M
pg
). I valori ottenuti sono in genere tra loro diversi in
quanto l'occhio presenta un massimo di sensibilit nel giallo-verde, mentre la lastra fotografica nel
blu-violetto. Applicando ad una macchina fotografica un filtro giallo si riesce a simulare la
sensibilit dell'occhio umano e le magnitudini cos ottenute sono dette fotovisuali (M
pv
).
Le magnitudini ottenute con un fotometro sono dette fotoelettriche. Le magnitudini fotoelettriche
vengono determinate in corrispondenza di particolari intervalli di lunghezze d'onda. In genere si
ottengono per l'ultravioletto (M
U
o U) per il blu (M
B
o B) e per il giallo (visuali) (M
V
o V) .
La magnitudine fotoelettrica B correlabile alla magnitudine fotografica (M
B
= M
pg
+ 0,11), mentre
la magnitudine fotoelettrica V corrisponde alla magnitudine visuale o fotovisuale.
Le differenze nei valori di magnitudine misurati nei diversi intervalli di lunghezze d'onda sono
importanti poich sono correlabili alla temperatura superficiale di una stella. Infatti per la legge di
Wien un corpo nero che aumenta la sua temperatura emette in proporzione sempre pi energia verso
le regioni a minor lunghezza d'onda (blu violetto). Cos una stella molto calda presenter una
magnitudine nel blu minore della sua magnitudine visuale, mentre per una stella molto fredda
avverr l'opposto (valori minori di magnitudine corrispondono infatti a luminosit pi elevate).
Un indice di colore molto usato proprio fornito dalla differenza tra la magnitudine fotografica e la
magnitudine visuale (o fotovisuale).
C = M
pg
- M
pv
= m
pg
- m
pv
Un altro indice spesso utilizzato lindice B-V, dato dalla differenza della magnitudine
fotoelettrica nel blu e nel visuale.
La relazione tra questi due indici approssimativamente
C + 0,11 B-V
L'indice di colore ha il vantaggio di fornire i valori di temperatura di una stella (nell'ipotesi che essa
irradi come un corpo nero) indipendentemente dalla conoscenza della distanza della stella e del suo
raggio (e quindi del valore della sua superficie emittente).
Pi basso il valore di tale indice, pi la stella emette nel blu e pi elevata la sua temperatura.
L'indice di colore del sole + 0,55, mentre l'indice di colore di una stella a 15.000K - 0,27.
Per costruire l'indice di colore si ricorre ad una formulazione approssimata della funzione di Planck
che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero).
156
W
hc
e
c
e e
erg
T hc
k T
c
T T
( , ) ,
,
( )

2 1
1
1
1
3 742 10 1
1
2
5
1
5
5
5 1 439
2
cm s
-3 -1
Poich l'indice di colore viene costruito su lunghezze d'onda del visibile, intorno a 5 10
-10
cm, la
relazione diventa
( )
) s cm (
1
1
10 2 , 1
1
1
10 5
10 742 , 3
1 - 3 -
000 . 30
17
10 5
439 , 1 5
5
5
) , (
5
erg
e e
W
T T
T

ed in tal caso dunque possibile, per temperature inferiori ai 20.000 K, trascurare l'unit nella
differenza a denominatore ed utilizzare la seguente planckiana approssimata (approssimazione di
Wien, per le basse temperature)
W
c
e e
T c
T T
( , ) ,
,

1
5
5
5 1 439
1 3 742 10 1
2
Siano ora m


ed M

la magnitudine apparente ed assoluta di una stella di raggio R e distanza D,


misurate nella radiazione di lunghezza d'onda .
La luminosit assoluta della stella sar pari a
2
) , (
4 R W L
T



e la sua magnitudine assoluta
[ ]
M T
C R W M +
2
) , (
4 log 5 , 2

La luminosit apparente della stella sar pari a
2
) , (
2
4

,
_


D
R
W
D
L
l
T

e la sua magnitudine apparente


m T
C
D
R
W m +
1
1
]
1

,
_


2
) , (
log 5 , 2

Se ora costruiamo l'indice di colore, come differenza tra le magnitudini (apparenti o assolute) a
diverse lunghezze d'onda
1
e
2
, otteniamo
IC m m W
R
D
C W
R
D
C
T T

_
,

1
]
1
+ +

_
,

1
]
1
+

1 2 1 1 2 2
2 5 2 5
2 2
, log , log
( , ) ( , )
2 2 1 1
2
) , (
2
) , (
log 5 , 2 log 5 , 2 log 5 , 2 log 5 , 2

C
D
R
W C
D
R
W IC
T T
+

,
_

+ + +

,
_


t
W
W
IC
T
T
cos log 5 , 2
) , (
) , (
2
1
+

157
E' ora facile verificare che costruendo l'indice di colore con le magnitudini assolute si ottiene lo
stesso risultato, indipendente sia da R che da D.
Sostituiamo ora la planckiana approssimata ed otteniamo
t
e
e
IC
T
T
cos
1 10 742 , 3
1 10 742 , 3
log 5 , 2
2
1
439 , 1 5
2
5
439 , 1 5
1
5
+

t e IC
T
cos log 5 , 2
1 2
1 1 439 , 1 5
1
2
+
1
]
1

,
_

t e
T
IC cos log
1 1 439 , 1
5 , 2 log 5 , 12
2 1 2
1
+
1
]
1

+
1
]
1

t
T
IC cos
1 1 562 , 1
log 5 , 12
2 1 2
1
+
1
]
1

+
1
]
1

Se usiamo ad esempio

1
= 4,25 10
-5
cm, lunghezza di massima emissione nel blu

2
= 5,48 10
-5
cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile
la relazione diventa
C m m
T
t
pg pv

1
]
1
+

1
]
1
+


12 5
4 25 10
5 48 10
1562 1
4 25 10
1
5 48 10
5
5 5 5
, log
,
,
,
, ,
cos
L'indice di colore viene poi tarato fissando la costante di zero in modo che IC = 0 per stelle di classe
spettrale A0 (T 10.000K). La costante di zero varr quindi
0 12 5
4 25 10
5 48 10
1562
10 000
1
4 25 10
1
5 48 10
5
5 5 5

1
]
1
+

1
]
1
+


, log
,
,
,
. , ,
cost
cost = + 0,555
e la relazione diventa
C
T
+ 0 825
8250
,
ed in definitiva la temperatura di colore pari a
T
C
C

+
8250
0 825 ,
158
Se invece utilizziamo

1
= 4,4 10
-5
cm, lunghezza di massima emissione nel blu

2
= 5,5 10
-5
cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile
Si ottiene lindice B-V del sistema fotoelettrico U-B-V di Morgan-Johnson
B V
T

1
]
1
+

1
]
1
+


12 5
4 4 10
5 5 10
1562 1
4 4 10
1
5 5 10
5
5 5 5
, log
,
,
,
, ,
cost
Anche in questo caso la taratura viene effettuata fissando la costante di zero in modo che B-V = 0
per stelle di classe spettrale A0 (T 10.000K). La costante di zero varr quindi cost = + 0,5 e la
relazione diventa
( ) B V
T
+ 0 71
7100
,
ed in definitiva la temperatura di colore pari a
( )
T
B V
C

+
7100
0 71 ,
22.8 Magnitudine ed albedo planetaria (modello elementare)
Ipotizziamo che il Pianeta si comporti come un disco di raggio R perfettamente riflettente. Per tener
eventualmente conto della forma ellissoidale del Pianeta possiamo usare il raggio di un cerchio
avente la stessa aerea dellellisse planetario. Larea di un ellisse pari a ab, con a semiasse
maggiore (raggio equatoriale) e b semiasse minore (raggio polare). Per cui il raggio del cerchio
avente la stessa area pari a b a e, ricordando che
) 1 ( a b
, avremo anche 1 a R
1
.
Il flusso luminoso che colpisce la Terra proveniente da una sorgente estesa (il disco planetario o il
disco solare) direttamente proporzionale al flusso emesso per unit di superficie w (luminosit
unitaria) del corpo emittente e allangolo solido sotto il quale viene vista la superficie emittente da
un osservatore posto sulla Terra.
= k w
Un Pianeta di raggio R posto a distanza D dal Sole intercetta una frazione di energia solare (
L
) pari
allarea del suo disco planetario R
2
fratto larea totale della superficie sferica 4D
2
investita dal
flusso solare.
Se il Pianeta si comporta come uno specchio piano perfettamente riflettente (albedo A = 1) la sua
luminosit totale sar
2
2
4
R
L
D

e
e la luminosit unitaria
2
4
P
L
w
D

e
. La luminosit unitaria della
superficie solare sar invece pari alla luminosit totale del Sole (
L
) diviso la sua superficie
2
4
L
w
R

e
e
e
.
1
Spesso nelle tabelle che riportano i dati planetari compare il raggio medio di un pianeta. In genere si tratta del raggio
della sfera che presenta lo stesso volume dellellissoide planetario b a
2
3
4
e pari quindi a
3
1 a R

159
Il rapporto tra luminosit intrinseca unitaria Pianeta/Sole sar dunque pari a
2
2 2
4
/
4

,
_

D
R
R
L
D
L


Langolo solido (in steradianti
2
) sotto il quale osserviamo la superficie del disco planetario
2
2 P
TP
R
D


, dove D
TP
la distanza Terra-Pianeta. In modo analogo langolo solido sotto il quale
osserviamo il disco solare
2
2 S
TS
R
D


e
, dove D
TS
la distanza Terra-Sole (unit astronomica) pari
a circa 149,6 milioni di km.
Dunque il flusso luminoso che colpisce la Terra proveniente dal Pianeta
2
2 2
4
P P P
TP
L R
k w k
D D


e
poich tuttavia il Pianeta non riflette integralmente la radiazione proveniente dal Sole, ma solo una
frazione di essa, definita albedo A del pianeta, il flusso in arrivo deve essere moltiplicato per tale
frazione
2
2 2
4
P
TP
L R
k A
D D


e
mentre il flusso luminoso che colpisce la terra proveniente dal Sole
2
2 2
4
S S
TS
L R
k w k
R D


e e
e
e

Infine, il rapporto tra i due flussi vale
2
2
2 2
2
2 2
4
4
TS P TP
S TP
TS
L R
k A
D R D D
A
L R D D
k
R D

,

e
e e
e
Possiamo ora calcolare la magnitudine apparente del pianeta utilizzando la relazione di Pogson che
lega la differenza di magnitudine tra due corpi celesti al rapporto dei loro flussi luminosi ricevuti
sulla Terra
1
1 2
2
5
log
2
m m


Sapendo che la magnitudine apparente del Sole
26, 74 m
e
, la relazione diventa
5
log
2
P
P
S
m m


e
2
1 steradiante langolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una sfera osserva una calotta sferica
avente una superficie pari al quadrato del raggio. Lintera superficie sferica misura dunque 4 steradianti.
160
2
5
log
2
TS
P
TP
D R
m m A
D D
1
_
1

1
,
]
e
dalla quale possibile esplicitare lalbedo A del Pianeta, detta albedo geometrica
( )
( )
2
2
5
10
2, 512
P
P
m m
m m
TP
P S TS
D D
A
D R

,
e
e
Calcoliamo, ad esempio, lalbedo di Nettuno sapendo che:
- la sua massima luminosit (in corrispondenza della sua massima vicinanza al Sole ed alla Terra)
corrisponde ad una magnitudine apparente pari a m = 7,8
- il suo raggio medio R = 24624 km = 1,646 10
-4
UA
- la sua distanza minima dal Sole (al perielio) 29,811 UA
- la sua distanza minima dalla Terra 28,783 UA
( ) ( )
2
2
26,74 7,8
4
29,811 28, 783
2, 512 2, 512 0, 41
1 1, 646 10
P
m m
TP
TS
D D
A
D R

_
_




,
,
e
Nettuno riflette circa il 41% della luce solare incidente
Fasi planetarie
Nel caso dei pianeti interni (Mercurio e Venere) e di Marte necessario tener conto delle fasi, cio
del fatto che, come avviene per la Luna, il disco planetario osservabile dalla Terra non sempre
completamente illuminato. Il circolo di illuminazione (perpendicolare alla direzione Sole-Pianeta),
proiettato sul disco planetario osservabile dalla Terra, traccia su di esso una semiellisse di semiassi
a = R e b = R cos , dove langolo di fase, cio langolo Sole-Terra visto dal Pianeta.
La distanza angolare del Pianeta dal Sole (vista dalla Terra) si definisce invece elongazione .
Larea illuminata del disco planetario osservabile dalla Terra sar dunque pari allarea del
semidisco planetario (
2
2
R
) pi larea della semiellisse (
2
cos
2
2

R ab
)
2
cos 1
2
+
R
dove
2
cos 1 +
rappresenta la frazione illuminata del disco planetario in funzione dellangolo di
fase .
161
In definitiva, per un pianeta che presenti il fenomeno delle fasi, langolo solido sar pari a
2
2
1 cos
2
P
TP
R
D

+ _


,
ed il flusso
2
2 2
1 cos
4 2
P
TP
L R
k A
D D

+ _


,
e
Durante una rivoluzione sinodica dei pianeti interni langolo di fase pu assumere tutti i valori
compresi tra 0 e 2. Possiamo considerare, in prima approssimazione, costante la distanza Terra-
Sole e la distanza Pianeta-Sole, ma non la distanza tra la Terra ed il Pianeta.
Scriviamo allora la distanza Terra-Pianeta in funzione dellangolo di fase usando il teorema di
Carnot
2 2 2
2 cos
TS TP TP
D D D D D +
da cui
2 2 2
cos sen
TP TS
D D D D +
Il flusso luminoso proveniente dal pianeta diventa allora
( )
2
2 2
2 2 2
1 cos
4 2
cos sen
P
TS
L R
k A
D
D D D


+ _


,
+
e
ed il rapporto tra il flusso luminoso del Pianeta ed il flusso luminoso del Sole
162

R
R c o s
C i r c o l o
d i
i l l u m i n a z i o n e
T e r r a
S o l e

= f a s e
= e l o n g a z i o n e
R
2
2
R
2
2
c o s
+
=
R
2
(
2
1 + c o s
)
+
=
D
D
D
T P
( )
2
2
2 2 2
1 cos 1 cos
2 2
cos sen
TS TS P
S TP
TS
R D R D
D D
D D D D


_
_ + + _ _


, ,
, +
,
la magnitudine del Pianeta diventa cos
( )
2
2 2 2
1 cos
2, 5 log
2
cos sen
TS
P
TS
R D
m m A
D D D D


1
_
1
+ _

1

,
+ 1
,
]
e
163
23 Appendice 4 dati e costanti
Newcomb (1900)
Anno sidereo = 365,25636 gsm (giorni solari medi) (-9,5 10
-5
s/y)
= 365
d
6
h
9
m
10
s
= 31.558.150 s
Anno anomalistico = 365,25964 gsm
= 365
d
6
h
13
m
53
s
= 31.558.433 s (-0,26 s/cen)
Anno tropico = 365,24220 gsm
= 365
d
5
h
48
m
46
s
= 31.556.926 s (-5,305 10
-3
s/y)
Stime attuali
Anno sidereo = 365,256363 gsm
Anno anomalistico = 365,259635 gsm
Anno tropico = 365,242190 gsm
Velocit angolare linea degli apsidi terrestri =
6
( )
8, 82909774 10 / 11, 609"/
aps T
d y


Giorno sidereo = 23
h
56
m
4,0989
s
= 86164,0989 s
Giorno siderale = 23
h
56
m
4,0905
s
= 86164,0905 s

T
rot
- Velocit angolare rotazionale Terra: 2/86164,0989 = 7,2921151 10
-5
rad/s = 15,041067 s
-1
Mese sidereo = 27
d
7
h
43
m
11,5
s
27,321661 gsm = 2.360.591,5 s
Mese sinodico = 29
d
12
h
44
m
2,9
s
29,530589 gsm = 2.551.442,9 s
Mese anomalistico = 27
d
13
h
18
m
33,2
s
27,554551 gsm = 2.380.713,2 s
Mese draconico = 27
d
5
h
5
m
35,8
s
27,212220 gsm = 2.351.135,8 s
Velocit angolare linea dei nodi lunari =
7
6,1333483 10 / 19, 35496 /
nodi
s y


Velocit angolare linea degli apsidi lunari =
6
( )
1, 2889594 10 / 40, 6756 /
aps L
s y


G = costante di gravitazione universale = 6,67428 10
-11
a = semiasse maggiore (J2000) = 1.0000001124 UA = 149.597.887.506 m
e = eccentricit orbitale (J2000) = 0.01671022
MT= Massa della Terra = 5,9736 10
24
kg
MS = Massa del Sole = 1,9891 10
30
kg
1 Unit Astronomica (UA) = 149.597.870.691 m
1 anno luce (al) = 9,4605284 10
17
cm = 9,4605284 10
15
m = 9,4605284 10
12
km
1 parsec (pc) = 3,0856776 10
18
cm = 3,2616334 al
1 parsec cubico (pc
3
) = 2,938 10
55
cm
3
= 3,470 10
1
al
3
1 megaparsec (Mpc) = 10
3
kiloparsec (kpc) = 10
6
parsec
1 megaparsec cubico (Mpc
3
) = 2,938 10
73
cm
3
= 3,470 10
19
al
3
Costante di Hubble (Ho) = 100 h km s
-1
Mpc
-1
= 3,24 10
-18
h s
-1
Tempo di Hubble (Et massima dellUniverso) = 1/ Ho = 3,1 10
17
h
-1
s = 10
10
h
-1
anni
Et Universo euclideo = 2/(3 Ho) = 2,1 10
17
h
-1
s = 6,5 10
10
h
-1
anni
Orizzonte Universo euclideo (Raggio osservabile) = 2c/(3 Ho) = 2000 h
-1
Mpc = 6,17 10
27
h
-1
cm
Luminosit media delle Galassie (
G
L ) = 10
10
h
-2
L
Densit numerica media delle galassie = 2 10
-2
h
3
Mpc
-3
= 6,8 10
-76
h
3
cm
-3
Radiazione isotropa di fondo = 2,728 t 0,004 K
Densit critica (c) =1,879 10
-29
h
2
g cm
-3
1,1 10
-5
h
2
barioni cm
-3
= 11 h
2
barioni m
-3
Densit radiazione (

) = 4,19 10
-13
erg cm
-3
= 4,66 10
-34
g cm
-3
= 412 fotoni cm
-3
Entropia specifica Universo euclideo ( =
/c = rapporto fotoni/barioni) = 3,68 10
7
h
-2
Luminosit solare intrinseca (L ) = 3,847 10
33
erg/s = 3.847 10
26
watt (3.86 10
28
lumen = 3.06 10
27
candele)
Costante solare = 1,962 cal cm
-2
min
-1
= 1,368 10
6
erg cm
-2
s
-1
= 1,368 10
3
watt/m
2
(1,37 10
5
lux )
Diametro solare (fotosfera) (D ) = 1,392 10
6
km = 1,392 10
9
m = 1,392 10
11
cm
Raggio solare (fotosfera) (R ) = 6,96 10
5
km = 6,96 10
8
m = 6,96 10
10
cm
Superficie solare (fotosfera) = 6,087 10
12
km
2
= 6,087 10
18
m
2
= 6,087 10
22
cm
2

Potenza unitaria solare = 6.32 10
10
erg cm
-2
s
-1
= 6.32 10
7
watt/m
2
(5,04 10
8
nit)
Temperatura solare efficace (di corpo nero) T

= 5778 K
165
Emissione ottica del sole = 40%
Magnitudine solare assoluta = visuale 4,83 - bolometrica 4,75
Magnitudine solare apparente = visuale -26,74 / bolometrica -26,82
Luminosit corrisp. a M = 0 (fuori atm.) visuale 3,171 10
30
lumen = 2,523 10
29
candele / bolom. 3,015 10
35
erg/s
Luminosit corrisp. a m = 0 (fuori atm.) visuale 2,65 10
-6
lumen/m
2
(lux) / bolometrica 2,52 10
-5
erg/(s cm
2
)
Raggio terrestre equatoriale (a) = 6.378.388 m (Ellissoide internazionale o di Hayford)
Raggio terrestre polare (b) = 6.356.912 m (Ellissoide internazionale o di Hayford)
schiacciamento polare o ellissoidicit [(a-b)/a] = 1/298,0
Raggio di una sfera avente la stessa superficie della Terra = 6.371.228 m
Raggio di una sfera avente lo stesso volume della Terra = 6.371.221 m
Raggio terrestre equatoriale (a) = 6.378.137 m (valore raccomandato dall'Unione internazionale geofisica e geodesia)
Raggio terrestre equatoriale (a) = 6.356.140 t 5 m (Ellissoide astrogeodetico)
schiacciamento polare o ellissoidicit [(a-b)/a] = 1/298,257
Precessione generale anno 2000 = - 50,291 per anno giuliano (365,25 giorni solari medi)
Distanza media Terra-Luna (da centro a centro) 3,844 10
8
m
Rapporto massa Luna/Terra 0,01230002
166
Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno Urano Nettuno Plutone
Dist Media Sole (UA)
semiasse maggiore a (10
6
km)
0,3871
(57,91)
0,7233
(108,2)
1,000
(149,6)
1,524
(227,9)
5,203
(778,4)
9,537
(1426,7)
19,191
(2871,0)
30,069
(4498,3)
39,481
(5906,4)
(
1
) Eccentricit e 0,2056 0,00677 0,0167 0,0934 0,04839 0,05415 0,0472 0,00859 0,2488
(
1
) Perielio (UA)
(10
6
km)
0,3075
(46,00)
0,7182
(107,5)
0,9833
(147,1)
1,381
(206,6)
4,951
(740,7)
9,0207
(1349,5)
18,2860
(2735,6)
29,8108
(4459,7)
29,658
(4436,9)
(
1
) Afelio (UA)
(10
6
km)
0,4667
(69,82)
0,7279
(108,9)
1,0167
(152,1)
1,666
(249,2)
5,455
(816,1)
10,053
(1504,0)
20,0965
(3006,4)
30,3271
(4536,9)
49,304
(7375,9)
Dist. Min. Terra (UA)
(10
6
km)
0,517
(77,3)
0,255
(38,2)
-
-
0,363
(54,5)
3,934
(588,5)
7,9913
(1195,5)
17,259
(2581,9)
28,783
(4305,9)
28,701
(4293,7)
Dist. Max. Terra (UA)
(10
6
km)
1,483
(221,9)
1,745
(261,0)
-
-
2,682
(401,3)
6,471
(968,1)
11,086
(1658,5)
21,105
(3157,3)
31,332
(4687,3)
50,356
(7533,3)
(
2
) Per. rivol. sidereo (giorni)
(anni)
87,969
(0,2408)
224,70
(0,6152)
365,2564
(1)
686,980
(1,881)
4332,589
(11,862)
10759,22
(29,46)
30685,4
(84,01)
60189
(164,8)
90465
(247,7)
(
2
) Vel. Rivol. media (km/s) 47,88 35,03 29,79 24,13 13,06 9,65 6,80 5,43 4,74
(
3
) Periodo riv. sinodico (giorni) 115,88 583,92 - 779,94 398,88 378,09 369,66 367,49 366,74
(
4
) Periodo rotaz. sid (ore)
(giorni)
1407,5
(58,65)
-5832,4
(-243,02)
23,9345
(0,99727)
24,623
(1,0259)
9,925
(0,4135)
10,656
(0,444)
-17,24
(-0,718)
16,11
(0,671)
-153,3
(-6,387)
(
4
) Incl asse su orb (gradi) 0,00 177,3 23,45 25,19 3,12 26,73 97,86 29,56 122,46
(
5
) Diam App min/max (sec arco) 4,5/13 9,7/66,0 -/- 3,5/25,7 29,8/59,0 14,5/20,1 3,3/4,1 2,2/2,4 0,06/0,11
Inclinaz. Orbita su eclitt (gradi) 7,00 3,395 0,000 1,851 1,305 2,484 0,770 1,769 17,142
Numero satelliti - - 1 2 63 62 27 13 3
(
6
) Raggio equat. (km) 2440 6052 6378 3397 71492 60268 25559 24766 -
(
6
) Raggio medio (km) 2440 6052 6371 3390 69910 58230 25362 24624 1137
(
6
) Schiacciamento 0,000 0,000 1/298,25 1/154 1/15,4 1/10,2 1/43,6 1/58,5 -
Massa (kg)
(masse terrestri)
3,30 10
23
(0,055)
4,87 10
24
(0,81)
5,9742 10
24
(1)
6,42 10
23
(0,11)
1,90 10
27
(317,8)
5,68 10
26
(95,2)
8,68 10
25
(14,5)
1,02 10
26
(17,2)
1,25 10
22
0,0021
Densit media (kg/dm
3
) 5,427 5,204 5,515 3,933 1,326 0,687 1,318 1,638 2,05
(
7
) Gravit allequatore (Terra = 1) 0,38 0,91 1 0,38 2,4 0,92 0,89 1,1 0,067
(
8
) Velocit fuga (km/s) 4,3 10,36 11,186 5,03 60,2 36,1 21,4 23,5 1,2
(
9
) Flusso term solare (Terra = 1) 6,67 1,91 1 0,431 1/27 1/91 1/368 1/904 1/1559
Magnitudine max -1,9 -4,4 -3,86 -2,0 -2,7 0,7 5,5 7,8 15,1
(
10
) Albedo geometrica 0,11 0,65 0,367 0,15 0,52 0,47 0,51 0,41 0,3
(
10
) Temperatura di corpo nero (K) 442 239 247 217 91 64 36 33 43
Temperatura media (K) 440 737 288 210 129 97 58 58 50
Pressione atmosferica (atm) 10
-15
91 1 6 10
-3
- - - - 3 10
-6
167
(
1
) Per leccentricit e di un ellisse valgono le seguenti relazioni: ( )
2 2 2 2
a b a e ed
a c e
, con a = semiasse maggiore; b = semiasse minore, c
= semidistanza focale (distanza centro-fuoco) = (Rmax a) = (a Rmin), da cui
2
1 e b
, ) 1 (
max
e a Afelio R + e ) 1 (
min
e a Perielio R . Se
ne deduce che il semiasse maggiore pari alla media aritmetica della distanza massima e minima ( ) 2
min max
R R a + mentre il semiasse minore pari alla
media geometrica delle suddette distanze
min max
R R b
(
2
) Il periodo P e la velocit media di rivoluzione V possono essere calcolati in funzione della distanza media D (pari al semiasse maggiore a utilizzando la 3
a
di
Keplero: P
2
= k a
3
oppure V
2
a = k . Esprimendo tutte le variabili in unit terrestri si ottiene
UA
a V 1 e
3
UA
a P
La velocit del pianeta sar
s km a
UA
/ 1 79 , 29 ed il suo periodo
anni a P
UA

3

(
3
) Il periodo di rivoluzione sinodico Ps si pu calcolare componendo la velocit angolare rispetto alle stelle fisse della Terra (T = 2/PT) e del Pianeta (P=
2/PP). Per i pianeti interni
T P S
P P P

2 2 2
. Per i pianeti esterni
P T S
P P P

2 2 2
Da cui, per i pianeti interni
P T
P T
S
P P
P P
P

e per i pianeti esterni


T P
P T
S
P P
P P
P

(
4
) Il moto retrogrado preceduto dal segno meno e, secondo la convenzione recentemente adottata dall'Unione Astronomica Internazionale (IAU), ai pianeti
con moto di rotazione retrogrado si assegna inclinazione dell'asse maggiore di 90 gradi.
(
5
) Langolo (in radianti) sotto il quale il diametro 2R del pianeta viene osservato dalla Terra (da una distanza D) pari a 2R/D. Poich un radiante pari
360/2 = 57,29578 = 206264,8 secondi darco, il diametro apparente minimo e massimo di un pianeta si calcola
max
2
8 , 206264
D
R

e
min
2
8 , 206264
D
R

(
6
) Lo schiacciamento polare di un Pianeta pari = (a-b)/a con a raggio equatoriale e b polare. Da cui il raggio polare b = a (1 - ). Il raggio medio Rm
pari
3 2
b a
e quindi
3
1 a R
m
(
7
) La gravit di un Pianeta (in unit terrestri) si calcola facendo il rapporto tra la forza tra la forza di gravit calcolata sul Pianeta e sulla Terra
2
2
2
) / (
/
T P
T P
T
T
P
P
T
P
R R
M M
R
mM
G
R
mM
G
F
F

168
(
8
) La velocit di fuga pu essere calcolata eguagliando l'energia cinetica all'energia gravitazionale
1
2
2
mv G
mM
R
da cui la velocit di fuga risulta pari a
R GM v 2
(
9
) La quantit di energia solare che colpisce un pianeta per unit di superficie inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza dal sole. Se D la
distanza del pianeta dal Sole (in unit astronomiche), il flusso risulta allora pari a 1/D
2
volte il flusso che colpisce la Terra (Costante solare = 1380 W/m
2
)
(
10
) Un Pianeta di raggio R posto a distanza D dal Sole intercetta una frazione di energia solare L
e
pari allarea del suo disco planetario R
2
fratto larea totale
della superficie sferica 4D
2
investita dal flusso solare. Se il Pianeta si comporta come uno specchio piano perfettamente riflettente (albedo A =1) la sua
luminosit totale sar
2
2
4
R
L
D

e
. Il flusso luminoso che colpisce la Terra proveniente da una sorgente estesa (il disco planetario) direttamente proporzionale
al flusso emesso per unit di superficie
2
4
L
D
e
e allangolo solido sotto il quale viene vista la superficie Langolo solido (in steradianti) (R/DTP)
2
, dove DTP la
distanza Terra-Pianeta. Dunque il flusso luminoso che proviene dal disco planetario
2
2 2
4
P
TP
L R
k
D D


e
, mentre il flusso luminoso che proviene dal Sole e che
colpisce la Terra
2
2 2
4
S
TS
L R
k
R D


e e
e
Il rapporto tra il flusso luminoso in arrivo dal Pianeta ed il flusso in arrivo dal Sole allora pari
2
TS P
S TP
R D
D D

,
Possiamo confrontare tale rapporto con il
rapporto effettivamente misurato a partire dalla differenza di magnitudine Sole/Pianeta
P
m m
e
(con 26, 784 m
e
). Il rapporto effettivo dei flussi pari a
( )
2, 512
P
m m
e
. Facendo ora il rapporto tra il valore effettivo e quello teorico (calcolato nellipotesi che A fosse uguale ad 1) si ottiene una stima dellalbedo del
pianeta
( )
2
2, 512
P
m m
TS
TP
A
R D
D D

,
e
169

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