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INDICE
PRESENTAZIONE p. 4
- PRIMA PARTE -
GENESI DELLO STATUTO DEI LAVORATORI
- SECONDA PARTE -
SVILUPPO STORICO DELLO STATUTO DEI LAVORATORI
2
Capitolo 3. Gli anni ‘90
3.1. Premessa p. 270
3.2. Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e affermazione del post- p. 272
fordismo
3.3. Dalla crisi della “I Repubblica” ai nuovi progetti post-fordisti sui diritti dei p. 289
lavoratori
3.4. Lo “Statuto dei lavori” tra conflitto e dialogo sociale p. 324
3.5. Possibili scenari futuri p. 348
Appendice p. 354
Bibliografia p. 390
Sitografia p. 398
Ringraziamenti p. 400
3
PRESENTAZIONE
sindacali che storicamente sono emerse attorno ad esso. Tale esigenza riaffiora
oggi alla luce dei grandi mutamenti socio-economici che il sistema capitalista del
nostro paese sta attraversando. Un processo avviato tra la fine degli anni ‘70 e
l’inizio degli anni ’80 e che nel 2006 sembra ancora in atto. Da allora si sono
lavorare e la gestione della forza lavoro, i conflitti sociali attorno al fattore lavoro
sviluppatesi nel corso degli anni attorno figura social-tipica dell’operaio massa
subordinato a vita e a tempo pieno, sono state seriamente messe in crisi e oggi
movimento operaio e sindacale, può essere la crisi che il diritto del lavoro sta
4
normative volte ad assistere il lavoratore subordinato tradizionale emerso dalla
Costituzione. Una debolezza sociale, quella delle classi lavoratrici, emersa gia ai
tempo di una serie di doveri e di limiti al potere datoriale nei luoghi di lavoro. Il
legge n. 300 del 1970, denominata Statuto dei lavoratori, l’espressione più
delle fabbriche ed entrava anche nei luoghi di lavoro. In questo senso lo sviluppo
storico del diritto lavoro è, più di ogni altra branca del diritto, fortemente
intrecciato alle vicende politiche e sociali della storia d’Italia, ai conflitti attorno al
5
Lo Statuto è quindi una utilissima cartina tornasole per analizzare i mutamenti
mutamento, proprio perché esso ebbe la pretesa di regolare i conflitti più intimi a
da una “società del Lavoro” a quella “dei lavori”, la figura tipica del lavoratore
Statuto, in questo contrasto è sembrato sempre più spesso non aderente alla realtà
in continua trasformazione. Già dai primi anni di applicazione della legge 300,
questa fu bersaglio di critiche aspre da parte datoriale e ciò per il semplice fatto
che più di ogni altra legge della Repubblica era aderente al contesto socio-
aggirata. Con il dispiegarsi del capitalismo post-fordista, nel corso della seconda
metà degli anni ’90, il processo di “fuga” dallo Statuto fece emergere nuovi
approcci di politica del diritto e di politica legislativa sui diritti dei lavoratori. In
questo senso alcune delle vicende politiche e sindacali delle ultime due legislature
6
Si è scelto di trattare la storia dello Statuto consapevoli che ripercorrerla
economica degli ultimi anni e in un certo senso far riflettere, non solo sul futuro
della politica del diritto e di quella legislativa, ma anche più in generale sul futuro
dei diritti dei lavoratori e sulle nuove prospettive del movimento sindacale nella
rintracciare la genesi della legge n. 300. Senza ricostruire una “genealogia” dello
successivo. Il lavoro è quindi diviso in due parti principali: nella prima parte viene
proposto uno schema interpretativo della genesi dello Statuto dei lavoratori,
infatti furono legate all’annoso ritardo con cui vennero applicati i diritti
costituzionali nei luoghi di lavoro. Solo con il miracolo economico, la ripresa del
varata una legge del tutto diversa dalla prima proposta che risale addirittura al
1952. Gli stessi anni ’70, in cui ci fu l’affermazione politica e giuridica dello
Statuto, sono indispensabili per poi proseguire nella narrazione delle vicende
storiche della crisi, apertasi tra il ’79 e ’80 e sviluppatasi fino ai giorni nostri. Lo
7
economici. La portata simbolica e giuridica della legge fu quindi intaccata
vicini al movimento organizzato dei lavoratori, una estensione della sua logica o
8
Introduzione alla I Parte
“Tutta l’esperienza storica, non soltanto la nostra,
dimostra che la democrazia c’è nella fabbrica e c’è
anche nel paese e, se la democrazia è uccisa nella
fabbrica non può sopravvivere nel paese.
Noi dobbiamo difendere la democrazia nella
fabbrica, il che non vuol dire che vogliamo sottrarre
i lavoratori a ogni disciplina di carattere produttivo-
professionale, no, il lavoratore deve compiere il
proprio dovere nell’azienda, non deve distrarsi dai
propri doveri, ma nelle ore libere dal lavoro ha il
diritto, anche all’interno dell’azienda, di conservare
le sue idee, di propagandarle di diffondere la stampa
che vuole, di svolgere il lavoro sindacale, in una
parola deve essere considerato un uomo libero, non
uno schiavo.”
Giuseppe Di Vittorio,
III Congresso CGIL, Napoli 1952.
In questa prima parte del lavoro verrà rintracciata la genesi dello Statuto dei
300, che riesca a rintracciare negli eventi storici che vanno dal varo della
impegno di riforma sociale a livello politico, come anche degli straordinari eventi
di conflittualità operaia nella fine degli anni sessanta. Elementi che, dalla
Liberazione al ’70, hanno avuto propri percorsi di sviluppo, ma che si sono anche
influenzati o sono stati causa l’uno dell’altro. Per questo si è deciso di trattare
9
l’argomento, ripercorrendo gli eventi politici, sindacali e socio-economico, che
vanno dalla lotta di Liberazione e dal varo del testo Costituzionale, ai primi anni
che con lo Statuto la Costituzione entra nelle fabbriche italiane, è vero anche che
che la prima proposta di Statuto può essere individuata già nel 1952 con la
proposta Di Vittorio, quindi quasi venti anni prima della sua approvazione. Le
ragioni del ritardo sono molteplici e iscritte negli eventi della nostra storia
repubblicana. Per questo il lavoro verrà diviso in quattro capitoli relativi alle
diverse fasi storiche prese in esame. Nel primo, si cercherà non solo di rinvenire la
condizione operaia e i diritti dei lavoratori durante e negli anni successivi alla
primo sviluppo economico degli anni ’50, che comportò un sensibile arretramento
dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Nello stesso capitolo sarà dato largo
politici causati dallo straordinario boom economico a cavallo ’50 e decennio ’60
(ritorno alla fabbrica e avvento del centro-sinistra) che daranno ulteriore impulso
10
alle elaborazioni giuridiche d’intervento in materia di diritti dei lavoratori
conflittualità nelle fabbriche che và dalla fine del ’67 all’autunno caldo ’69 e
l’importante opera politica del ministero del lavoro presieduto dal socialista
Giacomo Brodolini che redasse la prima proposta di legge del governo del centro-
criticato da giuristi, partiti e dalla stessa mobilitazione operaia e come questo fu,
11
CAPITOLO I
MANCATA
dalla guerra, così che la produzione nazionale si era ridotta a meno della metà
della fine degli anni ’30. La classe imprenditoriale della ricostruzione era
italiana, cioè il settore della meccanica e della chimica, come anche in quelli
grande divisione che si sarebbe sviluppata durante gli anni del boom economico,
operavano.
più generali interessi di classe, sia rispetto al mondo del lavoro sia nei riguardi
12
imprenditoriale si ritrovò fortemente compatto nel difendersi dalle aspirazioni del
movimento operaio e dei partiti della sinistra. Tutti erano concordi nel ristabilire
epurazione per chi aveva collaborato con il fascismo, gli obbiettivi generali della
controllo sul lavoro salariato e totale autonomia rispetto alla pianificazione statale
della produzione.
“Secondo gli industriali questa situazione eccezionale doveva finire immediatamente, dal
momento che nessuna seria ricostruzione avrebbe potuto aver luogo fintanto fossero stati costretti
a pagare lavoratori improduttivi”2.
La libertà sindacale a livello aziendale ebbe una sorte analoga: gli imprenditori
salari e differenziali. Per questo gli istituti nati dalla mobilitazione operaia
1
Gli Alleati appoggiarono immediatamente il provvedimento per il timore di rivolte armate dei
disoccupati.
2
P. Ginsborg. Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi: società e politica dal 1943-1988, Torino,
Einaudi, 1989, p. 94.
13
pericolosi da tutte le componenti della Confindustria guidata in quegli anni da
“un bravo tornitore od un bravo meccanico potrà darmi dei consigli per la sua
specializzazione, ma non vedo cosa possa dirmi in materia finanziaria[…] la funzione di controllo
è lesiva del principio di autorità perché è il superiore che controlla l’inferiore, mai l’inferiore che
controlla il superiore”3.
Unico istituto fatto salvo furono le Commissioni Interne (CI) già ricostituite
agosto del ’47. L’accordo definiva le prerogative e i diritti dei commissari interni,
rendendo decisamente più limitati i poteri che questi avevano conquistato fino a
quel momento4.
assetto produttivo pianificato, ciò per via del rafforzamento delle compagini
dell’ordine pubblico. Sul piano politico quindi, gli industriali guardavano alla
3
Ivi, p. 95.
4
Riguardo ai poteri delle CI nel periodo preso in considerazione si veda la ricostruzione di S.
Musso, Storia del lavoro in Italia: dall’unità a oggi, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 201-203.
14
prefascista, ma non riuscì a creare un vero e proprio partito di massa che potesse
garantire stabilità nel corpo sociale italiano lacerato dalla guerra e affascinato dai
riusciva a incorporare nella sua organizzazione larghe fasce della popolazione per
di ispirazione cattolica. Una volta che la DC rese chiaro il suo programma politico
ricevere gli aiuti Usa dal piano Marshall, l’adesione complessiva della classe
imprenditoriale fu inevitabile.
classe imprenditoriale, seppur divisa al suo interno, ebbe una forte capacità di
controllo operaio sulla produzione. Tale programma doveva essere portato avanti
5
Ivi, p. 207
15
Le classi popolari dal canto loro non se la passavano certamente bene. Il
fascismo e la guerra avevano gettato gli italiani nell’estrema povertà. Molti erano
carne nel 1947 era di circa 4 kg all’anno e solo negli anni ’50 ci fu una sostanziale
vita. La disoccupazione toccava punte ormai dimenticate: nel 1947 erano più di
forza acquisite dai lavoratori delle industrie del nord. Questi, negli ultimi due anni
CI nelle aziende abbandonate di cui gli stessi operai si fecero carico, ci furono
retributivo che su quello dei ritmi di lavoro. Il c.d. “vento del Nord” aveva creato
un clima di mobilitazioni per la democrazia in fabbrica non solo dal punto di vista
“[…] Durante il fascismo ed ancor più nel corso della Resistenza, il luogo di lavoro e
soprattutto la grande fabbrica, divenivano importanti centri dell’attività clandestina che era
essenzialmente non tanto una un’attività sindacale quanto un’attività politica.”7
6
G. Crainz, L’Italia Repubblicana, in AA.VV., Storia Contemporanea, Roma, Donzelli, 1997, p.
498.
7
L. Ventura, Lo statuto dei diritti dei lavoratori: appunti per una ricerca, in “Rivista giuridica del
lavoro”, 1970, I, p. 516.
16
Ma tali esperimenti furono presto lasciati cadere nel nulla e il potere padronale
erano relegate alle città del nord e non toccarono minimamente le zone del
diffusa anche alle classi medie. Una valutazione condivisa dalle forze politiche e
sindacali della classe operaia. Infatti sia il PCI che il PSI, convinti che la
dell’altro partito di massa con cui erano alleati, la DC. L’alleanza avrebbe quindi
convinzione che l’aumento dei consensi elettorali avrebbe spianato la strada alle
riforme verso una nuova condizione operaia e popolare. Anche dopo l’esclusione
delle sinistre dal governo nel 1947, i partiti della sinistra puntarono tutte le proprie
forze sulla redazione della Costituzione e sulla vittoria dell’elezioni nel ’48 del
8
A. Pepe, La Cgil dalla ricostruzione alla scissione (1944-1948), in Id., Classe operaia e
sindacato: storia e problemi. (1890-1948), Roma, Bulzoni, 1982, p. 154.
17
socialista, ma anche chi, come le forze politiche della sinistra, aveva creduto nelle
Dal canto suo il sindacato unitario (CGIL), ricostruito nel ’44 con il patto di
Roma fra le anime comunista, socialista e cattolica, risentì della sua struttura
Inoltre nonostante tra gli iscritti erano di gran lunga maggioritari i comunisti, le
ossequio alla teoria del c.d. monopolio sindacale del lavoro e di fatto esse si
apportando solo alcune modifiche e provvedendo al ripristino delle sole CI, senza
dei contratti interconfederali, certo non tutti, furono firmati principalmente per
operaio a cui la CGIL non avrebbe potuto rispondere con un proprio progetto
9
In questo senso interessante è la proposta di A. Pepe che vede nella CGIL unitaria confluite tre
spinte diverse: “quella proveniente dalla classe e dalle sue lotte che tendeva soprattutto a
strutturare l’organismo sindacale in funzione delle esigenze della classe operaia nel conflitto con
gli industriali; quella proveniente dalle sinistre che tendeva a circoscrivere l’azione del sindacato
nell’ambito economico rivendicativo, delegando al partito la più generale azione di trasformazione
politica; e quella proveniente dalla democrazia cristiana che puntava a costruire un sindacato
istituzionale con compiti di mediazione sociale, anticonflittuale e stabilizzatore […] in Ivi, p. 143.
18
centralizzato10, se da una parte contribuì migliorare e a razionalizzare le
condizioni dei lavoratori, esse a volte furono la causa di profondi dissidi tra la
“Insomma la nuova CGIL rinasceva con una profonda convinzione che la rottura dell’assetto
economico e politico capitalistico non fosse compito diretto della classe operaia, quanto piuttosto
il risultato di un’azione politica a livello istituzionale rispetto al quale il movimento doveva
indirizzare e calibrare le propria lotta e le proprie rivendicazioni”12
dignità dei lavoratori prima del varo del testo costituzionale, cioè la questione
giuridica del lavoro sia da un punto di vista più generale delle culture e delle
ideologie degli operatori giuridici sia da quello più specifico delle politiche del
diritto attuate dai governi provvisori. La situazione di fatto fu quella del “divario
tra rigoglio democratico nel paese come nelle fabbriche e sua mancata sanzione
e delle forze politiche e sociali in campo, il periodo dal ’43 al ’48 fu dominato da
10
Il sistema centralizzato di contrattazione fu il risultato di una temporanea convergenza tra la
componente cattolica e quella socialcomunista messa a punto nel congresso di Napoli. Tra i motivi
di tale scelta ci furono l’eredità del sistema corporativo e la concezione pubblicistica del sindacato
e del contratto collettivo, la volontà di controllo sullo spontaneismo periferico e quella di garantire
un equilibrio controllato delle retribuzioni su tutto il territorio nazionale.
11
Esempio di dissenso della base fu il boicottaggio di questa dell’accordo interconfederale sulla
reintroduzione dei licenziamenti per scaglioni affidata alle CI. L’accordo infatti ebbe immediato
effetto solo nelle piccole aziende dove c’era meno mobilitazione operaia.
12
A. Pepe, cit., pp. 152-153.
13
La frase è di Aris Accornero nella sua pubblicazione Gli anni ’50 in fabbrica: con un diario di
commissione interna, Bari, De Donato 1973, p. 42 e citata da U. Romagnoli nel suo Il lavoro in
Italia. Un giurista racconta, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 125.
19
fortemente penalizzante per le condizioni di vita, le libertà politiche e sindacali dei
lavoratori soprattutto per non aver dato risposta alle lotte operaie e posto sin
dall’inizio le basi per un cambiamento futuro delle strutture giuridiche del lavoro.
Comandi Alleati, Repubbliche Partigiane,…) attuarono una politica del diritto che
parte gli stessi contratti collettivi stipulati sotto il fascismo e sottoscritti dalla
“nuova” CGIL, senza pensare alla questione della validità erga omnes, non erano
codice civile fascista del ‘42 e in materia di processo del lavoro le leggi sulla
nel processo, furono abrogate. Ciò lasciò un vuoto enorme fino alla riforma del
una netta convergenza con le scelte governative. Questi nella confusione delle
nuovo veniva proposto e con gli stessi fondamenti scientifici del corporativismo
Diritto corporativo sostituito da quello di Diritto del lavoro15. Anche chi respirava
14
Ivi, p. 124.
15
U. Romagnoli fa notare che, nonostante la reintroduzione nelle università del corso di Diritto del
lavoro avvenuto con un decreto del governo Badoglio, molti studenti e professori in quel anno e in
20
l’aria di liberazione dal corporativismo fascista, non fece altro che ritornare agli
“La maggior parte dei lavoristi dopo la liberazione e immediatamente dopo la Costituzione, si
occuparono prevalentemente, se non esclusivamente, del contratto individuale di lavoro; quasi tutti
i manuali di Diritto del lavoro si occupavano solo del contratto individuale, e in quasi tutte le
università si insegnò, nel corso di Diritto del lavoro, il contratto individuale.16
prima sanzione normativa nel varo del testo costituzionale il 1° gennaio ‘48.
sindacali dei lavoratori ebbe una così larga trattazione che rappresentò una felice
“[…] stupisce che la costituzione del ’48 parlasse un linguaggio sconosciuto nel passato che
non voleva passare”17.
Tutto l’impianto costituzionale, sia nei sui principi fondamentali sia nel titolo
III sui rapporti economici, ha come tema centrale il Lavoro e la figura sociale del
parecchi successivi, credevano che il corso e l’esame erano tuttavia quelli di Diritto corporativo, in
Ivi, p. 123.
16
G. Tarello, Teorie e ideologie del diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione,
Milano, ed. Comunità, 1967, p. 21 nota n. 4.
17
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., p. 126.
18
Le forze in rappresentanza della sinistra politica proposero come noto l’enunciato “Repubblica
dei lavoratori”.
21
un compromesso, il risultato dimostra come tutte le anime politiche riconobbero il
ruolo predominante che il Lavoro si era ormai guadagnato di fronte alla storia.
“E ciò perché – figli del loro tempo – tutti i costituenti sapevano che il ventesimo era il secolo
del Lavoro, con la elle rispettosamente maiuscola”.19
Non solo, è stato anche sostenuto che la stessa anima sociale della costituzione
risieda e sia frutto proprio dell’alta considerazione che si ebbe dei temi connessi ai
Dossetti.20 Il testo nei successivi quattro articoli segue sulla sessa lunghezza
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2); è
sociale del Paese (art. 3 comma 2); a tutti i cittadini è riconosciuto il diritto al
A questi principi di carattere generale sono collegati gli altri titoli sui rapporti
civili e come abbiamo detto quelli sui rapporti economici. Ormai il lavoratore ha il
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e
19
U. Romagnoli, Pubblico e privato nella cultura del sindacato del dopoguerra, in AA.VV., Il
contributo del mondo del lavoro e del sindacato alla Repubblica e alla Costituzione, Roma, ed.
Lavoro, 1998, p. 38.
20
V. Saba, Perché la nostra costituzione può a ragione definirsi sociale e come fu che i costituenti
diedero vita, approvando l’articolo 39, a un vero e proprio ”mostro” giuridico e culturale, in
AA.VV., Il contributo del mondo del lavoro, cit., p. 87.
22
dignitosa (art. 36 comma 1); fu prevista una durata massima della giornata
36 commi 2 e 3); le donne hanno gli stessi diritti e le stesse retribuzioni che
spettano agli uomini (art. 37); l’organizzazione sindacale è libera (art. 39 comma
40) e l’iniziativa privata non può essere svolta in contrasto con l’unità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dignità umana (art. 41 comma
2). Nel titolo sui rapporti economici è quindi evidente la figura di primo piano che
ciò rappresentò una svolta storica rispetto agli assetti costituzionali liberali che li
vivi nelle menti degli italiani e in realtà, al di là dei principi e delle formule
cioè che riuscisse a discostarsi sia dal liberalismo prefascita che dallo stato
“pigliatutto” fascista.
23
la sinistra di classe non possedeva una “dottrina economica alternativa” sia perché non aveva la
forza necessaria per tradurla in termini operativi nel breve periodo.”21
tempo la sua personalità giuridica era subordinata alla registrazione presso gli
uffici e i locali dello Stato preposti per legge. Il tema fu quello della scelta tra un
dallo Stato, ma per esplicare le proprie funzioni di diritto pubblico (la stipulazione
21
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia: storia di una strategia (1945-1976), Bologna, Il
Mulino, 1977, p. 32.
22
Il leader comunista riteneva tale la “costituzione economica”, in quanto si era seguito un metodo
che consisteva nel lavorare non più sulle idee e sui principi ma esclusivamente sulle parole, cit. in
Ivi, p. 31
23
E’ chiaro che Giuseppe Di Vittorio, unico esponente sindacale presente nella terza
sottocommissione che si occupò della discussione e della redazione del III titolo, ebbe
un’interpretazione positiva in merito che escludeva di fatto la possibilità di una possibile
limitazione dell’autonomia del sindacato dalle ingerenze del potere pubblico. Sul ruolo di Di
Vittorio, su questo tema e sugli altri temi connessi all’ordinamento sindacale nel nuovo assetto
costituzionale si veda P. Iuso, Giuseppe Di Vittorio e l’assemblea costituente. La relazione
sull’ordinamento sindacale, in Il contributo del mondo del lavoro, cit., pp. 109 e ss.
24
Lo stesso diritto di sciopero fu il frutto di una incapacità delle forze politiche
come una libertà, lasciare tale diritto senza nessun tipo limitazione al suo uso
46 riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti previsti
dalla legge. alla gestione delle aziende,[…]in armonia con le esigenze della
delle esperienze dei CLN d’Azienda e dei Consigli di Gestione ancora in atto nel
24
Le divisioni principali riguardavano l’ambito in cui questi avrebbero potuto far ricorso
lecitamente a tale diritto e quindi alla possibilità per i sindacati di proclamare lo sciopero politico e
alle modalità tecniche per la sua proclamazione. E’ chiaro che l’impianto istituzionale pluralistico
designato dalla costituzione si poggiava sul ruolo principale dei partiti (si veda l’art. 49). Accettare
lo sciopero politico avrebbe significato inserire i sindacati in tale pluralismo come centro di
interessi alternativo e competitivo ai partiti.
25
politica e sindacale dal basso non controllabile dai loro modelli organizzativi
fortemente centralizzati. Dal canto loro le forze più liberali ribadivano la centralità
forte considerazione dei temi connessi al lavoro, del ruolo sociale dei lavoratori e
quindi dei loro diritti e libertà. Ma questa si prefigurava come una “costituzione
leggi previgenti. Per questi motivi gli anni successivi alla entrata in vigore della
di effettività dei diritti e delle libertà dei lavoratori sancite dal testo costituzionale.
In definitiva, nel periodo che va dal ’43 al ’48, in tema di diritti, libertà e
dignità dei lavoratori, si può a buon ragione parlare di una incapacità delle
cultura istituzionale del nostro paese. Inoltre le forze politiche e sindacali più
26
sensibili, in questo periodo dimostrarono una forte propensione all’attendismo,
considerati, dall’altro questi caddero nel vuoto per via della mancanza di una
aspetti peseranno fortemente sulle condizioni dei lavoratori negli anni successivi,
dominati dal ritorno dalla completa libertà del potere padronale di disporre a
piacimento della forza lavoro e per questo fortemente lesive dei diritti dei
lavoratori. Tali condizioni, come vedremo, saranno così lesive per i lavoratori,
da far pensare che i tempi del fascismo in fabbrica non smisero mai di operare nel
27
CAPITOLO II
2.1 Premessa
Gli anni successivi al varo della Costituzione repubblicana saranno gli anni
mondo contadino. Dall’inizio degli anni ‘50 infatti lo sviluppo industriale ebbe un
impulso straordinario ed esso pose le basi per il miracolo economico degli anni
‘60 e la nascita anche in Italia del capitalismo maturo. Motore di tale sviluppo fu
centralità della grande fabbrica nello sviluppo economico del paese ebbe come
trovava la classe lavoratrice, sia in termini salariali sia per quanto riguardava i
diritti politici e sindacali nelle imprese. “C’è una perfetta coincidenza tra
seria resistenza sindacale” scriveva Eugenio Scalfari nel 1969 nel suo saggio “Il
bastone nelle fabbriche” in cui descriveva le pessime condizioni dei lavoratori nel
pieno dello sviluppo industriale degli anni cinquanta.25 Lo Statuto dei diritti dei
grande industria fordista, volto a tutelare i diritti dei lavoratori subordinati nel
contesto di quel modello produttivo. Tuttavia l’imporsi della grande fabbrica e del
25
In L’autunno della repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompas, 1969, pp.
68 ss.
28
taylor-fordismo fu il risultato di molteplici fattori e la nascita di uno Statuto dei
economico si ebbe infatti solo alla fine del decennio cinquanta e fino a quel
effettive delle regole che limitassero il potere padronale a tutela dei lavoratori
lavoratori fu varato solo all’inizio degli anni ‘70. Le cause di questo ritardo vanno
certamente ricondotte al fatto che solo con il boom economico vennero a crearsi le
consumi connesso alla ripresa del conflitto sociale e alle mutate condizioni
politiche e culturali dell’Italia degli anni ‘60, rese ormai maturo il varo dello
Statuto dei lavoratori. Gli anni ‘50 sono quindi fondamentali per il mio lavoro non
solo per ripercorrere i c.d. anni del “bastone nelle fabbriche”, caratterizzati cioè
dal brutale ritorno dell’autorità padronale dopo la parentesi dei primi anni
culturali che stanno alla base dello Statuto dei diritti dei lavoratori. In questa
29
prospettiva, gli anni 50 furono gli anni in cui si rivelano le pessime conseguenze
che lo sviluppo economico provocò sui diritti e le libertà dei lavoratori subordinati
antioperaia
ripartire il sistema produttivo. L’Italia degli anni ‘50, dopo la vittoria della
Democrazia Cristiana alle elezioni del ’48, la sconfitta del Fronte Popolare e
fredda dalla parte delle forze occidentali capitaliste. Lo sguardo era rivolto tanto
agli Stati Uniti, come ruolo guida del blocco di appartenenza, quanto alle nazioni
lungo periodo.26 Ma tutti gli aspetti della vita sociale e politica erano influenzati
dalla contrapposizione tra due diverse visioni del mondo e questo avrà, come
una serie di scissioni che diedero vita a tre centrali sindacali. Nell’estate del ’48 da
una scissione promossa dalle ACLI, nasce la LCGIL e un anno più tardi un’altra
26
V. Foa, Questo novecento. Un secolo di passione civile. La politica come responsabilità, Torino,
Einaudi, 1996, p. 229.
30
scissione di sindacalisti socialdemocratici e repubblicani diede vita alla FIL. Le
nuove sigle sindacali, dopo una breve esperienza unitaria che aveva portato alla
nascita della prima CISL, diedero vita alla UIL (socialdemocratici e repubblicani)
e alla CISL (cattolici). L’esperienza dell’unità sindacale faceva ormai parte del
passato e solo alla fine degli anni ’50 si ricominciò a parlare di unità sindacale.
dai primi anni ’50 una buona capacità di far ripartire la propria economia
puntando essenzialmente più che sullo sviluppo del mercato interno, sulla crescita
fordista che ebbe definitiva attuazione nel miracolo economico della fine del
finanziati dal piano Marshall. La scoperta nel ’48 e negli anni successivi di nuovi
all’opera di Enrico Mattei a capo dell’Agip e poi dell’Eni, generò una forte
Montecatini) che ebbe come risultato la nascita del settore petrolchimico e quello
31
how statunitense e degli aiuti economici previsti dal piano Marshall, riuscirono a
mercato di nuovi soggetti produttivi. Essi riuscirono ad attuare l’ipotesi che gli
di nuovi prodotti e quindi ai primi mutamenti nel settore dei consumi. Altro
Nacquero così le nuove grandi acciaierie che travolsero l’eccezionale nanismo del
costi delle materie prime e soprattutto agli investimenti della Fiat guidata da
immatricolazione.
“L’Eni e l’Iri svolsero quindi un ruolo considerevole nelle origini del “miracolo”, e se non si
può certo affermare che lo Stato italiano pianificò questa grande espansione economica, e pur vero
che esso vi contribuì in tanti modi […] furono tutti elementi che aiutarono a creare le condizioni
per l’accumulazione del capitale e il suo successivo investimento nell’industria”28.
Mirafiori e la messa a punto della gigantesca catena per la produzione della nuova
“600” con investimenti pari a circa 300 miliardi. La Fiat nel giro di qualche anno
27
Riguardo all’applicazione di questa teoria economica allo sviluppo degli anni ’50, interessante è
la ricostruzione storica di E. Scalfari nel capitolo della sua opera L’autunno della repubblica, cit.,
con il titolo emblematico di “Il capitale alla riscossa”, pp. 44 ss.
28
P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit. p. 288.
32
divenne il motore dello sviluppo economico, tanto da avere un’influenza decisiva
parlando dei conflitti operai che si verificarono successivamente alla fine del
con parole che possono sembrare eccessive, ma che più di altre rendono l’idea
medio del 5,5% annuo, pose le basi per la crescita di un proprio mercato interno e
fu pronta a competere con i mercati europei ponendo le basi per il futuro miracolo
economico che si ebbe alla fine degli anni ’50 grazie soprattutto all’entrata nel
Ma parlare delle origini del miracolo economico e degli anni cinquanta senza
realtà. Lo sviluppo economico degli anni ’50 ebbe effetti devastanti sui lavoratori.
29
La frase è estrapolata da un passaggio in cui l’autore racconta del suo intervento al congresso
della CGIL nel 1960 a Milano in cui, parlando a titolo strettamente personale, sottolineò la sua
diffidenza verso uno sviluppo economico basato sulla motorizzazione e chiese una diversa scelta
di valori per i consumi. Raccontando questa vicenda ammette di aver valutato male a quei tempi,
ma ribadisce le sue posizioni critiche alla luce dell’impoverimento civile e culturale dei nostri
tempi e le conseguenze della motorizzazione sulla salute dei cittadini. In Questo novecento, cit.,
pp. 262-265.
33
Ad un forte incremento di produttività e dei profitti infatti, non corrispose
l’aumento generale dei salari. In realtà “tra il 1953 e il 1960, mentre la produzione
l’offerta, così che gli industriali potettero disporre di masse di lavoratori a basso
costo. Le condizioni di estrema povertà in cui continuava a vivere gran parte del
ristrutturazioni e contro i nuovi ritmi di lavoro furono forti fino almeno alla metà
fasi della produzione che andavano sempre più standardizzandosi grazie alla
30
P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 289.
34
“I due modelli, non potevano che scontrarsi frontalmente, indipendentemente
dall’esasperazione politica e ideologica dei conflitti nell’Italia della guerra fredda.”31
lavoratori nel periodo precedente allo sviluppo degli anni ’50, rappresentavano
maggioritaria fino a quel momento nel movimento operaio, non riuscì ad incidere
sulle reali possibilità di realizzare una diversa organizzazione del lavoro in cui
rimaneva centrale la figura del potere operaio. Tali lotte si limitarono a denunciare
spessissimo esse non entrarono nel merito delle condizioni di lavoro conseguenti
soprattutto nel PCI, quella cioè di non intraprendere una lotta che potesse
per questo si impostavano lotte di resistenza per accelerare la crisi, non lotte volte
a Milano, è forse la più utile testimonianza delle dinamiche interne alla sinistra
31
S. Musso, Storia del lavoro in Italia, cit., p. 210.
32
Molto interessante è la ricostruzione di quegli anni fatta da E. Pugno e S. Garavini. Essi
sottolineavano la reticenza del sindacalismo classista ad entrare nel merito alle questioni delle
ristrutturazioni produttive per via della analisi politiche sul capitalismo italiano in voga nella
sinistra politica degli anni ’50. Questa era “[…] tendente a sottolineare il carattere arretrato, la
mancanza di dinamica, l’incapacità di soluzioni dei problemi del paese” e di fatto non fu “[…] in
grado di cogliere la realtà vera del capitalismo” poiché non guardava “[…] ai problemi stessi dei
lavoratori nella loro immediata evidenza”, in Gli anni duri alla Fiat. La resistenza sindacale e la
ripresa, Torino, Einaudi, 1976, p. 20.
35
“Mentre tutti gli elementi di esperienza diretta, tutte le cifre e i dati statistici ci dicevano che
l’economia milanese era in sviluppo, in sede di Partito Comunista e camerale i vecchi dirigenti
sostenevano “Milano degrada”, bisogna lottare per la “salvezza dell’economia milanese”, “per la
rinascita di Milano”, e così via. Si negava insomma, in linea puramente astratta […] che il
capitalismo potesse essere in grado di sopravvivere”33
razionalizzare e controllare il lavoro operaio nei suoi tempi e metodi. Per tutti gli
anni cinquanta andavano nascendo quelle nuove figure lavorative che avrebbero
in questo caso la classe operaia ritardò ad agire nel merito e sul ruolo che queste
anni ebbero le istituzioni sindacali e politiche nei luoghi di lavoro, cioè le CI, già
intromettersi nella gestione della produzione e dei salari. In molti casi le CI non
33
F. Onofri, Classe operaia e partito, Bari, Laterza, 1957, p. 28.
34
Una ricostruzione efficace e fortemente critica alla sinistra marxista sulla formazione dei quadri
dirigenti delle aziende degli anni ’50, specificatamente alla Fiat di Vittorio Valletta, è presente in
G. Berta, L’Italia delle fabbriche, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 139 ss.
35
La classe lavoratrice si difende, (a cura delle ACLI), Milano, 1953.
36
lavoratore come parte contraente. In questa prospettiva, le direzioni aziendali
operarono per cercare consenso tra gli operai con diffusissime pratiche di
Inoltre sul piano dei salari si faceva largo uso di incentivi extracontrattuali
cottimo) non solo per aumentare la produttività dei singoli lavoratori, ma anche
aziendale del salario, ormai sottratta al controllo delle CI, era prevalentemente
pratiche furono una delle maggiori cause delle sconfitte di quegli anni, soprattutto
quando queste venivano elargite come “premi di collaborazione” per chi non
diffusa, sia perché questi nel passato avevano rappresentato la forza più ostile al
potere padronale per vocazione classista, sia perché permetteva alle direzioni
37
aziendali di legittimare provvedimenti vessatori servendosi della giustificazione
sempre solerte delle diplomazie statunitensi, in pochi anni resero la vita degli
da ogni punto di vista. In primo luogo fu la stessa dignità umana ad essere lesa nei
c.d. reparti “confino”, cioè i reparti con mansioni più dure dove venivano trasferiti
intimidazioni agli operai comunisti toccavano non solo la sfera individuale: presto
si arrivò anche alle minacce dirette ai familiari. Numerose furono le lettere inviate
“I meccanismi messi in atto allora dalla Fiat sembrano appartenere a un altro mondo: veri e
propri “tribunali di fabbrica” con verbali di udienza, per dare apparenza di legalità ai
licenziamenti; reparti confino come l’Officina Sussidiaria Ricambi; un nutrito corpo di
sorveglianze e un’ampia rete d’informatori; un insieme di intimidazioni e di pressioni cui gli altri
sindacati non mancano spesso di contribuire”38
36
E. Pugno, S. Garavini, Gli anni duri alla Fiat. cit, p. 17.
37
Ibidem.
38
G. Crainz, Storia del miracolo economico. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e
sessanta, Roma, Donzelli, 1998, p. 34-5.
38
vigili urbani, su cui i superiori chiudevano un occhio, direttamente pagati o
ricompensati con doni di vario genere per spiare gli operai e le loro famiglie.39
“Denaro e donazioni servivano a raccogliere una massa minuta e fitta di informazioni (non di
rado, sembra di capire, con il largo aiuto dei parroci) che ovviamente privilegiava le opinioni
politiche dei dipendenti o di chi faceva domanda d’assunzione, ma si allargava – con impietosa,
compiaciuta e talora morbosa invadenza – a ogni sfera della vita privata.”40
fu il fatto che questa era sorretta dalla più generale repressione sociale di cui i
comunisti erano oggetto negli anni più cupi della guerra fredda. In questo senso le
nell’attuare le più svariate forme di pressione, sia verso i poteri politici che verso
“sistema d’impronta maccartista che devastava allora gli Stati Uniti: la minaccia
del posto di lavoro.”41 Gli Stati Uniti in poche parole, subordinavano il loro
espellere chi, secondo la loro visione maccartista, avrebbe più di tutti ostacolato lo
con gli industriali italiani che non espellevano dalle aziende gli operai comunisti o
semplicemente gli iscritti alla CGIL (che tra l’altro non erano tutti comunisti),
39
In particolare sulle schedature alla Fiat si veda la straordinaria opera di B. Guidetti Serra, Le
schedature alla Fiat: cronaca di un processo e altre cronache, Torino, Rosenberg & Sellier, 1984.
L’autore riferiva che le schedature in Fiat continuarono per tutti gli anni ’60 e si estinsero solo
verso la metà degli anni ’70, grazie anche alla entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori e
all’opera di coraggiosi pretori del lavoro.
40
G. Crainz, Storia del miracolo economico, cit., p. 36.
41
V. Foa, Questo novecento, cit. p. 230.
39
diplomazia americana iniziata nel 1950 e protrattasi negli anni successivi, sulla
presunta debolezza con cui gli industriali italiani avevano provveduto a eliminare
il più grande programma che mai il mondo avesse visto per il miglioramento del
situazione reale nei luoghi di lavoro, resero le loro critiche quanto meno
strumentali alle logiche della guerra fredda e in definitiva sprezzanti delle liberà
perdeva tempo nella minuziosa opera di denigrazione morale e civile dei militanti
Come dire, sull’introduzione del fordismo in Italia si può discutere, ma non venite
della loro quotidiana opera di lotta al comunismo nelle aziende. Ciò per
42
Le parole sono di Lucius Dayton, capo della missione speciale della European Cooperation
Administration (Eca) in Italia, pronunciate nell’ottobre 1950 a Genova e citato in G. Berta, L’Italia
delle fabbriche, cit., p. 101.
43
Sull’intera polemica tra la Confindustria di Angelo Costa e le diplomazie americane si veda la
ricostruzione nel saggio sempre di G. Berta, La Confindustria fra atlantismo e fordismo, da cui è
stata estrapolata la citazione precedente, in Ivi.
40
febbraio nel 1954 all’ambasciata americana a Roma tra l’ambasciatrice Claire
Booth Luce e Vittorio Valletta, capo della Fiat, il cui svolgimento fu reso noto
L’Ambasciatrice “[…] A lato dei larghi sacrifici fatti dagli Usa […] la situazione del
comunismo in Italia in luogo di retrocedere parrebbe in continuo progresso. Conseguentemente si
presenterebbero come inutili altri aiuti anche quelli in offshore. […] Il Senato americano […]
dovrà esaminare tale situazione […]” Valletta “[…] Tale impressione […] non soltanto è esagerata
ma è sostanzialmente sbagliata. […] Malgrado la fiducia storica nelle loro antichissime
organizzazioni (CGIL e FIOM) […] continuo è il passaggio alle altre organizzazioni […] nelle
quali gli scioperi a base politica o di disturbo non vengono ormai più attuati […] non è possibile
ottenere rapidamente un maggior crollo delle votazioni operaie a danno delle antichissime loro
organizzazioni […] dovrà piuttosto ricercarsi in avvenire una soluzione atta a schiacciare gli
attivisti e comunisti dai posti di comando […] il personale è scelto con criteri severissimi, riferiti
[…] al loro passato ed alla loro non appartenenza a formazioni politiche […].”44
Detto e fatto: alle elezioni del 1955 la FIOM (sindacato dei metalmeccanici
momento.
Le pratiche volte a reprimere l’esercizio delle libertà civili nelle aziende mano
a mano che si sviluppavano investirono la totalità dei lavoratori, anche quelli non
cui i diritti civili sanciti dalla Costituzione non avevano nessuna applicazione.
44
Il verbale della riunione è stato pubblicato integralmente con il titolo “Il governo americano
contro gli operai italiani (1954)” in V. Foa, Sindacati e lotte operaie 1943-1973, Torino, Loescher,
1975, pp. 104 ss.
41
Non che fuori dalle fabbriche non si contavano casi di repressione politica e di
avevano una loro specifica e autonoma strategia volta a creare una doppia
delle libertà civili in azienda non investì solo gli operai militanti e simpatizzanti
comunisti, ma con il tempo questa fu utilizzata verso la generalità degli operai con
personali. Gli operai non comunisti, pian piano che vedevano crescere la
disciplina nelle fabbriche, si accorsero che, fuori da queste, alcuni diritti civili
(certo non sempre) erano comunque tutelati dagli organi statali, mentre nelle
fabbriche si andavano costruendo luoghi in cui tutto era permesso in deroga alle
libertà sancite dalla Costituzione. Soprattutto nelle fabbriche più piccole ormai, la
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come, nel giro di qualche anno, i
delle libertà dei lavoratori. Una repressione che non riguardava solo le libertà
sindacali del lavoratore come parte contraente del rapporto di lavoro, ma che
45
Sul nesso strategico tra repressione nei luoghi di lavoro da parte dei datori e repressione sociale
da parte degli organi dello Stato si veda la ricostruzione storica di L. Ventura, Lo statuto dei diritti
dei lavoratori, cit., p. 517.
42
l’integrità fisica e morale. Un processo iniziato alla fine del decennio quaranta e
che ebbe il suo culmine alla vigilia del miracolo economico nel ’58. E’ indubbio
che in questo lasso di tempo, gran parte dell’opinione pubblica italiana non era a
Erano quindi anni in cui la gran parte della cultura “alta” italiana dimostrò un
società civile possa generare forme di dominio non meno oppressivo […].”47
soprattutto per individuare le origini del dibattito sullo Statuto dei lavoratori e le
nuove culture giuridiche che stanno alla base della legge 300 del 1970.
46
E. Scalfari, L’autunno della Repubblica, cit., p. 70.
47
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., p. 133.
48
Diritto al lavoro e libertà di opinione, in “Società”, 1952.
43
comunista Giovanni Battista Santhià49, chiedendo a questi se il licenziamento per
motivazioni politiche poteva ritenersi illegittimo alla luce delle norme previste
serie di norme sancite dalla Costituzione, ritenendole di fatto imperative non solo
nell’ambito dei rapporti tra cittadino e Stato ma anche nei rapporti interprivati e
rilevati da Santoro-Passarelli.
varare uno “statuto che sancisse i diritti e le libertà del cittadino lavoratore”51
ragioni della proposta, denunciò le pratiche vessatorie dei datori di lavoro nei
luoghi di lavoro. Fu una delle prime denuncie ufficiali delle violazioni dei diritti
dei lavoratori nelle aziende e proveniva da chi, più di tutti, in quegli anni soffriva
49
G.B. Santhià ebbe un ruolo di primo piano nella Fiat durante la Liberazione e nota era la sua
militanza comunista. Successivamente fu nominato direttore dei servizi sociali. Fu licenziato per
motivi apertamente politici. Nella lettera di licenziamento si leggeva che “non poteva
ulteriormente essere trascurata l’incompatibilità esistente fra la sua posizione di direttore Fiat e i
suoi obblighi di alto esponente di un partito di cui è ben noto il costante atteggiamento di ostilità e
di lotta a scopo distruttivo nei confronti della Fiat”, in E. Stolfi, Da una parte sola. Storia politica
dello statuto dei lavoratori, Milano, Longanesi, 1976, p. 17.
50
Sull’impegno in quegli anni dei giuristi per l’attuazione delle norme della Costituzione,
interessante fu un appello diramato nel 1951 firmato da un gran numero di operatori giuridici in
occasione della festa della Costituzione, in cui si rilevava un’applicazione carente delle norme
costituzionali e la persistente operatività di vecchie leggi varate sotto la dittatura fascista, in
“Rivista giuridica del lavoro”, 1951, I, p. 149.
51
M. Vais, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, in “Rivista Giuridica del lavoro”, 1964, I, p. 27.
44
pessima situazione che “interessava soprattutto i suoi uomini e le sue
organizzazioni”52. Il mese dopo gli stessi temi furono riproposti al III Congresso
Costituzione da applicare anche nei luoghi di lavoro. Il primo era collegato all’art.
2, il secondo all’art. 13, il terzo agli art. 39-40-46 e il quarto agli art. 3-36. Il testo
in realtà non era altro che una riproposizione dei principi sanciti dalla
proponeva di collegare tali diritti alla questione del licenziamento: il testo limita
del lavoratore ad una organizzazione sindacale o per aver fatto valere i principi
marxista che fu fondata nel 1951 la Rivista giuridica del lavoro diretta da Ugo
Natoli. Per tutti gli anni ’50 e ’60, si realizzò quindi un incontro tra le aspirazioni
della classe operaia e giuristi intenzionati a portare avanti la lotta sul piano
52
G. F. Mancini, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, in “Politica del diritto”,
1970, n. I, p. 57.
45
giuridico del lavoro. La pubblicazione della proposta di Statuto della CGIL, le
successive pubblicazioni di saggi, l’indirizzo di ricerca sui temi dei diritti dei
dei giuristi della Rivista, volto da una parte a denunciare la condizione operaia
nelle aziende e dall’altra a trovare strumenti normativi per elevare i diritti dei
tra l’altro avrà come vedremo un ruolo importante nella Commissione giuridica
guidata da Gino Giugni istituita per la redazione del progetto di legge del Governo
Rumor) parlando di quegli anni e dell’opportunità di varare uno Statuto dei diritti
“Sono gli anni nei quali viene fondata questa Rivista, la cui storia è indissolubilmente legata
allo sviluppo di quell’indirizzo e di quelle ricerche”54.
Il convegno sulla tutela delle libertà nei rapporti di lavoro, tenutosi a Torino
nel novembre del 1954, fu il segno di questo incontro e del fatto che il problema
“uscì dal mondo delle organizzazioni sindacali dei lavoratori per impegnare anche
53
Tale atteggiamento è palesemente esternato da M.S. Giannini in un saggio del 1956, in cui
commenta una vicenda relativa all’affissione di una manifesto nei locali di un’azienda da parte dei
componenti della CI. Ciò aveva provocato l’intervento del questore e successivamente un
pronuncia giudiziaria, si veda A proposito di diritti di libertà dei lavoratori nelle aziende, in
“Rivista giuridica del lavoro”, 1956, p. I, pp. 72 ss.
54
Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p. 519.
55
L. Riva Sanseverino, Problemi attuali di uno “statuto dei diritti del lavoratore”, in “Quaderni
di scienze sociali”, 1968, p. 42.
46
diritto del lavoro, Rivista internazionale e comparata del lavoro, Rivista giuridica
CGIL.56
Intanto negli stessi anni, anche la cultura cattolica del movimento operaio
produttive. Le ACLI milanesi, dopo aver annunciato al congresso del 1952 che era
dimostrando che la violazione dei diritti civili e sindacali investiva non solo i
questi temi - non certo per la loro risoluzione come vedremo - delle
56
Atti del Convegno sulla tutela della libertà nei rapporti di lavoro, Milano, Giuffrè, 1955; si veda
anche M. Vais, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p. 35-37.
57
La classe lavoratrice si difende, (a cura delle ACLI), Milano, 1953.
58
E. Scalfari, L’autunno della Repubblica, cit. p. 73.
47
organizzazioni dei lavoratori cattoliche e comunista; secondo, il fatto che qualche
anno più tardi il potere politico iniziò ad interessarsi della questione, con
presenti sia i sindacalisti della CGIL, della CISL, della UIL e delle stesse ACLI,
sia studiosi, giuristi, industriali e parlamentari. Allo stesso tempo le denuncie delle
“Con l’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia, le questione fu poi
adottata nel campo politico, anche se sempre in vista di uno dei tanti aspetti della complessa
tematica affrontata: infatti, in materia di “Rapporti umani e provvidenze sussidiarie e
integrative.”60
parallele, quella delle ACLI alla Camera dei Deputati proposta da Buttè e Calvi e
dalla proposta della CGIL e sorretta dall’elaborazione teorica dei giuristi raccolti
attorno alla Rivista giuridica del lavoro, riteneva che le norme costituzionali erano
59
Società Umanitaria, Convegno nazionale di studio sulle condizioni del lavoratore nell’impresa
industriale, Milano, Giuffrè, 1954.
60
L. Riva Sanseverino, cit., p. 42-43.
48
già applicabili non solo ai rapporti tra cittadino e Stato ma anche tra privati, a
maggior ragione nel rapporto di lavoro in cui una delle parti era da considerare più
soprattutto nella misura in cui nei luoghi di lavoro di fatto la parte contraente più
dell’imprenditore. Titolari dei diritti erano quindi la generalità dei lavoratori, non i
comunista e sia dei giuristi che la portavano avanti. Sul piano sindacale ciò
lasciando a questo il momento politico. Quello che bisognava evitare per la CGIL
era la deriva aziendalista, cioè la contrattazione diretta dagli stessi lavoratori nelle
riconoscere nella fabbrica il centro propulsore non solo del sistema produttivo, ma
anche delle relazioni sindacali”61, quindi dell’esercizio dei diritti di libertà. Per
CGIL unitaria, a scapito del sindacato in azienda e degli avanzamenti sul terreno
negoziale di quegli anni, dovuta sia alla lotta anticomunista sia alla crescita delle
61
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit., p. 156.
49
altre centrali sindacali, rimaneva come unico modo per ottenere lo Statuto la via
sindacale ebbe una lenta incubazione e negli anni ‘50 non si occupò direttamente
di Statuto dei lavoratori: anzi, i suoi esponenti, spesso ritennero la proposta della
del fenomeno sindacale e del sistema di relazioni industriali che in quegli anni
aveva scarso seguito nelle culture dominanti. Queste ultime non erano ancora
aperte a impostazioni moderne per via dello sviluppo capitalista italiano ancora
troppo arretrato. Mentre i riformisti si inserivano nel solco tracciato dal più
62
Del giudizio negativo sulla proposta di Statuto avanzata dalla CGIL e dai giuristi
costituzionalisti da parte della nascente linea sindacale o riformista, ne parla G. Tarello nella
seconda edizione del volume sulle teorie e le ideologie del diritto sindacale uscita nel 1972
pubblicata con l’aggiunta di un’appendice, G. Tarello, Teorie e ideologie del diritto sindacale.
L’esperienza italiana dopo la Costituzione, Milano, ed. Comunità, 1972, pp. 150-151, nota n. 7.
63
Noto è ormai il dibattito, sia tra gli operatori giuridici, sia nel mondo sindacale e politico,
sull’attuazione degli articoli 39 e 40, in corso negli anni successivi all’entrata in vigore della
Costituzione e della conseguente “legislazione mancata”. Il potere politico fu tentato a varare una
legge che attuasse le norme costituzionali in senso restrittivo per il movimento sindacale. Ma la
posizione fortemente ostile del sindacato cattolico per via della posizione assunta dal ’50 contro
ogni legge sindacale poiché questa avrebbe limitato l’autonomia collettiva dei lavoratori, fecero
presto cadere tutte le proposte in merito, inaugurando la stagione del “meno si legifera, meglio è”.
La CGIL dal suo canto, sia per la sua vocazione costituzionalista, sia per la sua posizione di
sindacato maggioritario, avrebbe preferito un intervento legislativo che, da una parte si sarebbe
50
proprio questi giuristi d’ispirazione liberale64, tramite un’opera dottrinale e
L’ordinamento sindacale così elaborato si basava principalmente sul fatto che con
esso si regolava rapporti tra privati (scelta privatistica del diritto sindacale),
più possibile (limitazione del diritto di sciopero ancora considerato male sociale),
l’ottenimento della pace sociale. Era palese quindi l’ideologia liberale che
altrettanto chiare erano le conseguenze sul piano dei diritti dei lavoratori di un
inserito nella c.d. “lotta per il diritto” e dall’altra gli avrebbe consentito di avere un ruolo egemone
nella politica contrattuale, scongiurando la pratica degli accordi “separati” che la CISL andava
attuando in quegli anni. Ma al progetto di legge fortemente limitativo del diritto di sciopero e più
in generale del movimento sindacale, presentato dal governo nel 1951 (progetto Rubinacci), ci fu
una generale opposizione delle sinistre e di tutto il mondo sindacale per i suoi caratteri illiberali e
discriminatori. Per una trattazione più larga della legislazione mancata si vedano G. Tarello, cit.,
pp. 19 ss.; U. Romagnoli, T. Treu, cit., pp. 44 ss.; U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., pp. 132 ss.
64
Ma lo stesso Tarello fa notare che anche i giuristi più inclini a sostenere la politica della CGIL,
quindi i costituzionalisti di ispirazione marxista, contribuirono alle costruzioni teoriche di carattere
privatiste, spinti dall’esigenza di tutela dei lavoratori singoli, in Teorie e ideologie, cit., p. 24.
65
Ivi, p. 25.
51
preoccupò di approfondire il processo di costruzione dell’ordinamento sindacale,
elaborazioni presentavano. Un impegno che iniziò a metà anni ‘50, ma che ebbe il
suo culmine all’inizio degli anni ‘60 ponendo le basi culturali e giuridiche per la
stagione della “legislazione di sostegno”, di cui lo Statuto dei diritti dei lavoratori,
approvato nel maggio ’70, fu il più valido e incisivo risultato. Il manifesto della
corrente “giusindacalista” apparve nel 1954, redatto dal “padre”66 dello Statuto
Mancini. Sarà questo saggio dal titolo emblematico Per una cultura sindacale in
Italia67, assieme all’introduzione redatta dallo stesso Giugni un anno più tardi e
pubblicata nel ’56, del libro manifesto della cultura sindacale nordamericana A
ideologica. Due scritti che meritano una trattazione a parte e con cui
concluderemo il capitolo.
Nel primo dei due, gli Autori in apertura sottolineavano come l’Italia degli
anni ‘50 fosse priva di una vera e propria cultura sindacale, a differenza dei paesi
66
Da tutti Gino Giugni è stato indicato come il padre dello Statuto. Tuttavia come vedremo in
seguito, considerandolo tale si farebbero delle confusioni di parentela, visto il ruolo determinate
che assunse il ministro del lavoro G. Brodolini. Sarebbe meglio indicarlo come uno zio, più che un
padre.
67
G. Giugni, G. F. Mancini, Per una cultura sindacale in Italia, in “Il mulino”, 1954, I, pp. 28 ss.
68
S. Perlman, A Theory of the Labor Movement, New York, Macmillan Company, 1928, ed. It.
Ideologia e pratica dell’azione sindacale, Firenze, La Nuova Italia, 1956.
52
cultura sindacale in Italia non è”69. Gli stessi continuavano rinvenendo nella
secondo ordine rispetto alla pratica politica, portando chi si professava marxista
funzionale, se non proprio sotto un deteriore profilo tatticistico”70. Dei c.d. liberali
commenti politici. In sostanza i liberali italiani, per gli A., non dimostravano
fenomeno strettamente connesso alla creatività della società civile. Dopo la critica
alle culture esistenti egemoni che bloccavano la nascita di una moderna cultura
linee di ricerca più utili per riempire questo contenitore vuoto della cultura
moderna italiana. I cristiano sociali nella storia si erano sempre occupati della
Ormai, passati i primi anni post-corporativi, “di corporativismo si ode parlar meno
69
G. Giugni, G. F. Mancini, Per una cultura, cit., p. 29. In questo senso gli autori sottolineano il
carattere limitato degli studi italiani in tema di lavoro e in tutte le opere, d’ispirazione marxista e
cattolica, rilevarono un dibattito in cui è presente un “tormento dialettico” del rapporto tra
sindacato e potere politico, parafrasando una espressione di Segre.
70
Ivi, p. 32. Seguendo con le argomentazioni, gli A. riconoscevano comunque alla dottrina
marxista di aver comunque intuito nel suo tipo di elaborazione, i caratteri storici del sindacalismo
italiano, che “è sempre vissuto sotto la pesante ipoteca di vari paternalismi politici” prima del PSI,
poi dei partiti della sinistra marxista e del partito cattolico.
71
Facevano notare inoltre, come la sociologia stava scomparendo dal panorama culturale
nazionale, Ivi, p. 34.
53
o più cautamente di un tempo; ché anzi, […] si è venuto impostando con un certo
dunque sulle stesse culture sindacali delle centrali italiane. Pur criticando le
nella elaborazione teorica delle dirigenze della CISL, Giugni e Mancini vedevano
italiano ai modelli dei paesi del capitalismo avanzato. Tutto ciò invece, rimaneva
concluse con una critica complessiva della cultura italiana, del suo sistema
avere un ritardo storico nello studio del lavoro e di tutte le sue implicazioni
nord-americana.
Non stupisce quindi che dopo due anni Giugni pubblicherà la versione italiana
72
Ivi, p. 35-36.
73
Il saggio provocò nell’immediato, una polemica con Renato Zangheri, studioso del movimento
operaio, che qualche mese più tardi, con una lettera inviata agli autori e pubblicata sulla stessa
rivista, criticava Giugni e Mancini per le loro posizioni in merito alla cultura sindacalista marxista,
che a suo dire invece si era sempre spesa per dare impulso alla nascita di una propria cultura
sindacale moderna. Lo scambio di accuse protrattosi con altre lettere pubblicate su “Il mulino”
riflettevano le differenze di fondo tra le due posizioni ideologiche, quella marxista e quella
riformista. Si vedano la lettera di Zangheri alle pp. 176-178, la risposta di Giugni e Mancini alle
pp. 178-181 e ancora la controrisposta di Zengheri alle pp. 341-342.
74
Ivi, pp. 39-42.
54
introduzione che descriveremo in poche righe. Giugni chiarì già nelle prime righe
l’intento della sua iniziativa, che era quello di incentivare, con la pubblicazione
del testo che descrive uno specifico modello di azione sindacale, “[…] lo sviluppo
necessità che sorga anche in Italia una letteratura sindacale […] e contribuire […]
allo sviluppo della conoscenza del mondo del lavoro e delle sue istituzioni75”.
dedicava al movimento italiano solo una piccola nota a piè di pagina e da qui offrì
al lettore numerosi spunti critici sul fenomeno sindacale italiano. In poche parole,
75
G. Giugni, Introduzione a op. It. S. Perlman, Ideologia e pratica dell’azione sindacale, cit., p.
XI.
76
Ivi, p. LV ss.
77
Ivi, p. LV.
55
caratteristica strutturale del movimento sindacale italiano78, aveva limitato quella
autonome che comunque hanno fatto parte della storia del movimento operaio.
Queste secondo lui sono state le Leghe di resistenza, le Camere del lavoro, le
rilettura della storia del movimento operaio italiano, ha limitato molti progressi
civili per la generalità dei lavoratori e per questo Giugni riteneva essenziale “che
la dignità e gli interessi dei lavoratori vengano tutelati sulla base di un efficiente
industriale” potrà fondarsi solo sulla “[…] creazione di un equilibrio di poteri tra
consolidasse “[…] una rete di istituzioni operaie, saldamente radicate nel posto di
“Due linee, quindi, due politiche del diritto” avrebbe scritto lo stesso Mancini
nel 1970 commentando l’approvazione dello Statuto dei lavoratori81. Da una parte
contrasto con le norme costituzionali e quindi a ritenere tali norme valevoli per la
78
Giugni vide nel tardo sviluppo industriale, il crescente squilibrio tra risorse e popolazione, la
prevalenza della popolazione agricola, e dello stesso proletariato agricolo su quello industriale, le
cause remote delle caratteristiche del movimento sindacale italiano, Ivi, pp. LVIII-LIX.
79
Ivi, p. LXX.
80
Ivi, p. LXXI.
81
G. F. Mancini, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, cit., p. 59.
56
anche nel rapporto di lavoro. L’altra, che muoveva i primi passi, d’ispirazione
generale del lavoro in Italia. Essa si basava sull’azione nei luoghi di lavoro delle
azienda. Quindi, di fatto riconoscevano una sorta di priorità dei diritti sindacali sui
esercitati efficacemente solo sulla base della pratica di azione sindacale. Con il
operaie garanti dei diritti dei lavoratori costituzionalmente sanciti. Queste due
posizioni in parte riflettevano le due culture politiche sindacali della CGIL e della
CISL che proprio in quegli anni erano divise sui principali temi
dell’organizzazione sindacale.
57
CAPITOLO III
3.1 Premessa
I primi anni sessanta furono gli anni del boom economico e del definitivo
avvento della società neocapitalista. Ma furono anche gli anni della ripresa del
non potevano più essere elusi dal potere politico. Scongiurate strette autoritarie e
sulle condizioni dei lavoratori, l’entrata dei socialisti nella “stanza dei bottoni”,
provocò per la prima volta l’impegno esplicito da parte del governo per la
l’impegno di Nenni e dei socialisti, come vedremo, rimase al palo per molti anni e
si inserì nel contesto del c.d. “riformismo perduto” degli anni sessanta e dei primi
mobilitazione operaia dei primi anni sessanta, risentì della crisi economica e
58
ripropose le divisioni tra le confederazioni sindacali, con la conseguenza di far
realtà sociale tuttavia, suggerì agli operatori giuridici del lavoro nuove
creazione autonoma di istituti volti alla difesa dei diritti del lavoro, si convinsero
legislativo per colmare queste carenze, apparve omai inevitabile per spazzare
dello Statuto rimanevano intatte e queste furono travolte solo dagli gli straordinari
eventi di fine decennio e con la mediazione tra le due linee insita nella legge 300
del ’70.
Tra la fine degli anni cinquanta e i primi tre anni del decennio sessanta, l’Italia
entrò a tutti gli effetti nell’ambito dei paesi più industrializzati. Ci fu il c.d.
industriale, già apprestato dallo sviluppo degli anni cinquanta descritto nel
capitolo precedente. Tra il 1958 e il 1963 la crescita annuale del prodotto interno
lordo arrivò a percentuali mai viste nella nostra storia: una media del 6,3%. La
favoriti dalla grande massa di capitali accumulati nel decennio precedente, ebbero
una crescita straordinaria, così da poter parlare di questo intero processo come un
59
vero e proprio boom economico. Il settore trainante dell’economia italiana fu
esportazioni, per via dell’entrata del paese nel Mercato Unico europeo. Le
esportazioni crescevano ad un tasso medio annuale del 30% circa dei beni
“I prodotti tessili e alimentari cedettero il passo a quei beni di consumo che erano
maggiormente richiesti nei vari paesi industriali avanzati e che rispecchiavano un reddito pro-
capite più elevato di quello italiano”.82
proveniente dal settore agricolo e dal meridione, era ormai stata assorbita, tanto
che nel 1962 la disoccupazione scese al 3%, “un livello, questo ultimo,
82
P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 289.
83
S. Musso, Storia del lavoro in Italia, cit., p. 51.
60
varata nel 1939 e abolita solo nel 1961. Questa toccò prima di tutto le grandi città
dell’industria edile e del settore commerciale, come anche nel settore dei servizi
catena di montaggio, sul modello Fiat, che già alla metà degli anni cinquanta era
pubblico volte a controllare e a superare gli squilibri sociali rimasero lettera morta
almeno fino alla metà degli anni sessanta. Quindi, seguendo per moltissimi aspetti
logiche rispondenti al libero gioco delle forze del mercato, essa fu dominata da
l’accento sui consumi privati e di lusso a spese dei consumi pubblici, tracciando
un solco tra bisogno dei beni di prima necessità e aumento dei beni di consumo
ulteriormente: la maggior parte delle imprese più dinamiche erano stabilite nel
triangolo industriale, nel Nord-est e in alcune aree centrali del paese, mentre
comportò la ripresa delle migrazioni, per la maggior parte dal sud verso i centri
industriali del nord. Le condizioni dei lavoratori immigrati rendevano ancor più
61
grave la mancanza di una politica sociale. Furono gli immigrati meridionali a
soffrire più di tutti la mancanza di servizi sociali e alloggi dignitosi nei nuovi
Gli anni del boom economico, se da una parte segnarono una battuta d’arresto
del dibattito sullo Statuto dei lavoratori, dall’altra questi furono gli anni della
ripresa del conflitto sociale nelle fabbriche e delle profonde innovazioni della
stessa mobilitazione operaia. Le ore di sciopero, nel periodo che va dal ’59 al ’63,
metà degli anni cinquanta.84 A favorire questa ripresa fu la rinnovata fiducia della
base operaia, dovuta alle mutate condizioni sociali e alle stesse contraddizioni
dello sviluppo industriale. La classe operaia non pativa più l’esistenza della
salariali senza essere ricattata dalla perdita del posto di lavoro. Al tumultuoso
stessi consumi della popolazione italiana. Come scrisse Accornero in una articolo
di beni essenziali. L’Italia era fortemente diseguale nella distribuzione del reddito
e questa fu una delle cause maggiori della ripresa del conflitto operaio. Inoltre,
84
Si veda Tabella 3, in G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 182.
85
A. Accornero, Lettera da Torino, “l’Unità”, 31 maggio 1960.
62
massicciamente le catene di montaggio nei sistemi produttivi, che rendevano il
lavoro sempre più ripetitivo e veloce, con poche pause nell’arco della giornata
condizioni reagirono soprattutto i giovani. Alla fine degli anni cinquanta ormai
una nuova leva di operai era occupata nelle fabbriche italiane del boom
economico. Questi non avevano vissuto gli anni più aspri della disoccupazione,
industriale degli anni cinquanta, le nuove generazioni operaie non erano più
Una posizione di rilievo nella ripresa del conflitto ebbero gli immigrati
vivevano al confine con la legalità. L’esser stati sradicati dalla propria terra di
86
P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 431.
63
sociali, attivava nelle coscienze degli immigrati meridionali una forte critica verso
una società che li aveva costretti ad emigrare e che non li aveva saputi risarcire,
operai.
“In testa a tutti i cortei ci sono sempre i più giovani […] e in mezzo a loro ci sono gli studenti
universitari […].”87
negli scioperi del luglio 1959 per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e
per la pace nel momento più acuto della crisi dei missili cubana. Ruolo importante
dopo a Torino e Roma, gli studenti chiedevano corsi di studio più moderni,
87
Citato in G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 188.
64
Ma bisogna sottolineare un’altra caratteristica di queste nuove forme di lotta e
cioè il loro carattere articolato. La maggior parte degli scioperi infatti furono
dalle dirigenze aziendali più conservatrici, era sempre stata contraria alle
associazione di cui faceva parte la maggior parte degli industriali delle aziende più
industriali a firmare i contratti integrativi per evitare il peggio. Ciò divideva già il
88
Ivi, p. 187.
89
Ivi, p. 198, nota 89.
65
anche quelli firmati con Confindustria, adottarono il preambolo sulla
pratica dell’assemblea di tutti gli operai in cui “i lavoratori non [sono] chiamati
scoraggiavano affatto la base operaia come negli anni duri degli anni cinquanta,
direttamente dalla base. Presto quindi le mobilitazioni ebbero una valenza più
“Vengono progressivamente alla luce altre ingiustizie profonde nel rapporto di lavoro: le
sperequazioni fra uomini e donne, fra impiegati e operai, o il permanere di gerarchie e di
discriminazioni sempre meno accettabili […]”92.
90
V. Foa, Sindacati e lotte operaie, cit., p. 132-133.
91
V. Foa, Intervento sui “Quaderni rossi”, in La cultura della Cgil. Scritti e interventi 1950-1970,
Torino, Einaudi, 1984, p. 108, pubblicato la prima volta con il titolo Lotte operaie nello sviluppo
capitalistico, in “Quaderni rossi”, n. I, 1961.
92
G. Crainz, cit., p. 186.
66
“Il bastone nelle fabbriche” era direttamente denunciato e rifiutato dalla
generalità dei lavoratori, grazie alla pratica sindacale articolata nelle unità
produttive.
nuove prospettive di unità sindacale. La CGIL nel congresso generale del 1960
dopo un processo di autocritica e revisione, iniziato già nel 1955, anno della
significativa sconfitta della FIOM alle elezioni per la commissione interna in Fiat.
In tutti questi anni si riconobbe la scarsa attenzione ai cambiamenti del mondo del
lavoro e alla condizione stessa del lavoratore inserito nel sistema aziendale.
“La realtà è che non abbiamo fatto un esame approfondito dei mutamenti avvenuti nelle
aziende per quanto riguarda i diversi aspetti della vita produttiva, dell’organizzazione tecnica della
struttura dei salari”93.
93
V. Foa, La cultura della Cgil, cit., p. 110.
94
Su questo dibattito si veda V. Foa, La svolta del 1955, in La cultura della Cgil, cit., Torino,
Einaudi, 1984, p. 18.
67
Quaderni rossi, che più di tutte le riviste sindacali e del lavoro, ospitava interventi
politica della stessa CGIL e le critiche che crescevano nelle proprie file sui fatti
sovietico, l’appoggio alla dogmatica marxista e al ruolo dominante del partito alla
guida della classe operaia, andavano lentamente scemando, prima con le denuncie
di Kruscev dei crimini di Stalin nel congresso del partito sovietico del 1956 e
operaie del ’56 in Polonia e Ungheria. La visione differente dal Partito Comunista
sindacato comunista ad avere una propria autonoma visione non solo della
teorica già avviata agli inizi degli anni cinquanta. Ci fu in questi anni l’abbandono
delle visioni corporative tipiche del pensiero sociale cristiano e l’avvio della
rifiuto del classismo e la fiducia nella razionalità intrinseca nel capitalismo che la
portava a ritenere che “la pressione sindacale differenziata nei settori e nelle
95
L’espressione è ancora di Vittorio Foa che, in un saggio del 1957 pubblicato sulla rivista diretta
da Raniero Panzieri “Mondoperaio”, criticava le posizioni dominanti nella dottrina marxista che
vedevano nel capitalismo italiano in stagnazione e incapace di espandersi, il terreno di lotta della
classe operaia. Al contrario Foa fu tra quelli che ritenevano l’economia italiana capace di
espandersi e di rigenerare velocemente i processi produttivi. E’ su questa via che bisognerebbe
trovare un nuovo terreno di lotta di classe. V. Foa, Il neocapitalismo è una realtà, in
“Mondoperaio”, 1957, n. 5.
68
aziende […] sia la via maestra per dare dinamicità anche i settori arretrati
sfruttate dal padronato per dividere l’unità operaia. Inoltre le scelte per una
teorica del ruolo del sindacato, fu l’istituzione nel 1954 nelle grandi aziende della
alla politica del partito di governo dalla stessa base, che in realtà operava nelle
dagli organi provinciali e quindi anche dalle ingerenze del partito al governo,
più aderenti alle spinte della base e unitarie. Certo le divisioni restarono, ma le
96
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit. p. 157.
69
posizioni sul ruolo della nuova contrattazione articolata sarebbero state misurate
nella pratica.
Il richiamo alla pratica sindacale era inoltre un richiamo che echeggiava nelle
impegnati in prima persona nello studio del diritto sindacale. Il filone inaugurato
da Giugni e da Mancini alla fine degli anni cinquanta andava sempre più
edita nel ’60, rappresentò l’esempio pratico delle nuove linee di ricerca, a cui una
differenziarono dalla generazione dei primi anni cinquanta per il loro stretto
contatto con gli ambienti sindacali, centri studi economici e del lavoro in
generale98. Il loro distacco dal potere politico e l’autonomia delle linee di ricerca e
giuridico. Vennero alla luce nuovi studi, nuovi concetti e linguaggi. Ordinamento
giuridico sindacale che riuniva ormai, non solo i c.d. riformisti, ma anche giovani
studiosi che non ignoravano le spinte più radicali delle nuove mobilitazioni
operaie.
97
G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Roma, Giuffrè, 1960.
98
Tarello fa notare che la vecchia generazione di giuristi impegnati nella creazione
dell’ordinamento sindacale di marca privatista, erano per la maggior parte avvocati, in Teorie e
ideologie, cit., p. 78.
99
G. Giugni, Introduzione, cit., pp. 3-20.
70
La ritrovata conflittualità operaia ebbe comunque vita breve. Già a cavallo tra
il ’63 e il ’64 le ore di sciopero diminuirono sensibilmente. Solo verso la fine del
a possedere ampi spazi di potere nel mobilitare gli scioperi, erano tentate di
della CGIL ad una qualsivoglia politica dei redditi, di fatto optarono per la
Il 13 dicembre del 1963 Aldo Moro illustrando alle camere il programma del
sentite le organizzazioni sindacali, uno statuto dei diritti dei lavoratori al fine di
dall’ estenuante opera di mediazioni nelle trattative tra il leader socialista Nenni e
varare sotto la spinta delle lotte operaie dell’autunno caldo, la legge 300. Questa
100
E. Stolfi, Da una parte sola, cit., p. 27.
71
processo di costruzione del centro-sinistra non fu facile e esso affonda le radici
nella fine degli anni cinquanta e nel difficile processo di apertura a sinistra delle
l’alleanza di governo con il Partito Socialista che, da una parte avrebbe isolato
sociali.
A questo disegno erano contrarie non solo l’ala destra e conservatrice del
smisurato potere che Fanfani andava acquisendo (dopo le elezioni del ’58 Fanfani
assunse non solo la carica di Presidente del Consiglio e di Ministro degli esteri,
dinamica si inseriva nel processo di divisione delle forze della sinistra politica e
movimento comunista. Fondamentalmente alla base della crisi del frontismo, non
101
V. Foa, Questo novecento, cit., p. 261.
72
avviato il socialismo. Le divisioni a sinistra avvennero invece su questioni di
Ungheria, resero i rapporti tra i due grandi partiti della sinistra ormai irriducibili.
condannò duramente gli eventi e rese ufficialmente noto il dissenso verso la linea
dall’entrata nel governo del paese, appoggiato ormai dalla gran parte del partito.
del conflitto operaio e sulla scia delle nuove prospettive sindacali affiorate alla
fine del decennio ‘50, nacque una nuova proposta interna, più radicale e di matrice
solo le vicende del governo Tambroni nel 1960 resero ineluttabile l’operazione
politica. Nel congresso dell’ottobre ‘59 divenne segretario del partito Aldo Moro
73
correnti del partito contro lo strapotere creato attorno al leader Fanfani. La destra
fuoriusciti della corrente fanfaniana, fecero terra bruciata attorno a Fanfani. Tutti
dopo questa vicenda, destra e sinistra democristiana, erano concordi nel credere
che l’apertura a sinistra non era ancora matura e la prudenza di Moro in questo
“La caduta di Fanfani e la prudenza di Moro contribuirono così a differire nel tempo ogni
possibile cambio di indirizzo politico, proprio nel momento in cui le condizioni economiche erano
102
più favorevoli.”
riforme economiche e sociali che venivano dalla società italiana in pieno miracolo
economico. Alla caduta del governo Fanfani nel gennaio ’59, successero quelli di
un anno e mezzo furono la prova delle resistenze conservatrici non solo della
classe politica, ma anche degli stessi apparati dello Stato, terrorizzati di perdere le
102
P. Ginsborg, cit., p. 346.
103
G. Crainz, Storia del miracolo economico, cit., , pp. 158 ss.
74
“prevalentemente amministrativo” che faceva sovente riferimento alla “congiura
mese più tardi dichiarò che ad esso avrebbe partecipato anche Carlo Emanuele
con le forze dell’ordine che costrinsero il MSI in accordo con il governo a rinviare
giorno più tardi le forze dell’ordine, legittimate dagli ordini dello stesso
represso nel sangue, e ai vertici della Democrazia Cristiana non restava che far
Le vicende del luglio ’60 furono la riprova che il centrismo era ormai
distanza dalla lotta partigiana, mandava a dire alla Democrazia Cristiana e agli
stessi apparati dello Stato che la crisi del centrismo non poteva essere risolta con
resistenze conservatrici non erano del tutto sopite e per arrivare al c.d. centro
75
quello di Moro nel ’64. Questi furono gli anni in cui le ultime resistenze
italiana. Tre sono, a mio avviso, gli eventi decisivi in questa prospettiva: le mutate
Giovanni XXIII e le aperture del ceto imprenditoriale alla stagione delle riforme,
amministrazione democratica negli USA, contribuì a fare cadere le riserve che per
tutti gli anni cinquanta ostacolarono qualsiasi accordo con i socialisti. Certo la
degli anni passati erano ormai caduti. I socialisti, sempre più distanti dal partito
un’alleanza di governo avrebbe aperto la via alle riforme in linea con il pensiero
Per quanto riguarda l’aspetto religioso, gli anni del nuovo papato (1958-1963)
ecclesiastiche riguardo alle questioni politiche e sociali del paese. Certamente nei
primi anni la continuità con il pontificato di Pio XII fu un fatto acclarato, ma nel
104
P. Ginsborg, cit., p. 350.
76
le visioni più tradizionaliste e bigotte, lasciarono il posto ad una posizione più
dalla ritrovata mobilitazione operaia. Erano i settori più conservatori che avevano
fatto le proprie fortune grazie a bassi salari e alla gestione più autoritaria della
quella più progressista sia privata (la Fiat di Valletta e la Olivetti) sia pubblica
conflitti operai e il ruolo dei sindacati nelle unità produttive. In questo senso
77
certamente non coincideva con quella socialista. Da una parte la posizione
socialista batteva sulle riforme di struttura e al suo interno saltava agli occhi la
Inoltre il PSI al suo interno era ancora attraversato da forti dubbi circa la
“correttive” dei disequilibri del sistema economico e sociale del paese e su una
Achille Ardigò. Il risultato finale per i vertici del partito sull’alleanza con i
presto assunsero le scelte più elettoraliste di ricerca del consenso dei ceti medi
105
Ivi, p. 355.
78
principale del c.d. “riformismo perduto”106 di cui lo Statuto ne fu un esempio
eccezionale.
tra i due leader Nenni e Moro, aveva reintrodotto nel programma di governo del
ufficialmente dentro “la stanza dei bottoni” per far valere gli interessi dei
lavoratori. In questo contesto, il 1964 si aprì con uno scambio di opinioni tra il
vicepresidente del consiglio Pietro Nenni, che era il più tenace sostenitore dello
posizione: affermò infatti “[…] di conoscere un unico tipo di Statuto che regoli la
posizione del lavoratore nel suo luogo di lavoro: il contratto” e sottolineò che
“[…] la tutela dei diritti dei lavoratori e in particolare degli attivisti sindacali, sia
[…]”107. Diversa era la posizione della CGIL. Questa sollecitava invece una
106
G. Crainz, Storia del miracolo economico, cit., pp. 201 ss.
107
M. Vais, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit.,, p. 42.
108
E. Stolfi, cit., p. 27.
79
Due posizioni che riflettevano una differenza di contenuto e titolarità dei diritti dei
dei primi anni sessanta. Rifiuto quindi dell’intervento statale poiché ritenuto
residuale rispetto alla pratica delle organizzazioni dei lavoratori, capaci di creare
istituzioni autonome in difesa dei diritti dei lavoratori. In questo senso il ruolo dei
articolata della metà degli anni sessanta non presentava un’impostazione che
“[…] la normativa in temi di diritti sindacali, unita all’assenza delle libertà costituzionali
individuali, equivale a un assorbimento degli interessi e dell’iniziativa sindacale dei lavoratori nel
sindacato-istituzione, contribuendo così a chiudere la dialettica fra lavoratori e organizzazione e
fra le diverse possibili forme di organizzazione operaia in fabbrica.”109
Questo aspetto fu una delle cause che portò alle sconfitte della metà degli anni
109
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati, cit., p. 265.
80
proposto da Di Vittorio nel 1952: i diritti dei lavoratori dovevano essere
generico concetto di libertà sindacali e civili dei lavoratori, qualunque sia il modo
sui titolari dei diritti. Da una parte la fiducia nella riformabilità spontanea del
fabbrica non vi può essere democrazia nel paese”110 e che tale democrazia non
tutti i luoghi di lavoro”. Nel testo il leader socialista sottolineava che le intenzioni
dallo Stato
110
La frase e di G.B Santhià e citata in Ivi, p. 263.
111
“Avanti!”, 28 gennaio 1964.
81
“[…] giacché infinite [erano] le vie attraverso le quali [poteva] essere eluso il contenuto dei
contratti di lavoro […] una volta riconosciuto, come il centro-sinistra riconosce[va], che
l’organizzazione sindacale, la sua libertà, la sua autonomia, sono delle componenti essenziali del
processo produttivo e non un elemento estraneo e abusivo alla vita sociale e democratica del Pese
[…]”.
del PSI in cui si inserivano numerosi temi ulteriori oltre a quelli richiesti dalla
socialista nel governo cercava quindi una sintesi tra posizioni contrattualiste e
comportato un aumento dei costi in un periodo, come quello della metà degli anni
l’imporsi della contrattazione articolata dopo le lotte dei primi anni ‘60, non
112
M. Vais, Lo statuto dei lavoratori, cit., p. 43.
82
lavoratori che all’organizzazione sindacale. Non tolleravano cioè ulteriori limiti ai
del debole riformismo e nel contesto politico e sociale della metà degli anni 60.
inseriva tra le cause, come vedremo, della caduta del primo governo Moro. Il PSI
fu questa ultima a guidare la politica dei “due tempi” causata dalla congiuntura
che in quegli anni aveva superato per la prima volta quello della produttività,
altri temi oggetti di riforma, anche lo Statuto fu sacrificato alla pratica dei due
divisi soprattutto per le posizioni ottimistiche della CISL e della UIL. La stessa
contrattazione articolata ormai rifletteva un forte distacco con la base, stretta tra le
83
difficoltà di operare in azienda e le direttive delle sezioni provinciali che
Ma Nenni “credeva nello statuto, sapeva che la crisi economica avrebbe finito
dello Statuto e di portare il tema nel contesto del ministero del lavoro.
discussione in commissione si caratterizzò per quella che era: “un dialogo tra
sordi”.
“In assenza di Bosco, la presidenza del gruppo fu assunta di fatto dal direttore generale del
ministero, Purpura, il quale fin dall’inizio impose ai lavori un ritmo e un metodo palesemente
dilatori.”114
quest’ultimi su tutti i tre temi, non furono minimamente sanate dall’intervento dei
furono forti, ma le denuncie del vecchio leader socialista del comportamento del
113
E. Stolfi, cit., p. 30.
114
Ivi, p. 31.
84
Ministro del lavoro fatte allo stesso Moro, non tirarono fuori lo Statuto dalla grave
situazione in cui si stava arenando. Lo Statuto quindi non veniva risparmiato dalla
tattica attendista del Presidente Moro e dal riaffiorare nel Paese di nuove spinte
conservatrici. Proprio sulla politica dei “due tempi”, si consumò la crisi di giugno
discutevano dello Statuto e del suo rapporto con l’eventuale crisi di governo. Nei
due c’era ormai la coscienza che lo Statuto non avrebbe compiuto passi in avanti
con il perdurare di quella situazione politica. Le scelte erano due secondo i due
socialisti: o andare via dal governo o restare, e per il momento non parlare più
dello Statuto dei lavoratori. Le vicende successive coincisero con la prima delle
due eventualità.
Le sorti dello Statuto non furono dissimili nel secondo governo Moro
risultava assai più moderata e di fatto il PSI avallò la politica dei due tempi
più progressiste della DC e del PSI non rientrarono nella compagine governativa e
reazione era dovuto senza dubbi alle paure delle forze progressiste per le possibili
svolte reazionarie collegate alle vicende del generale De Lorenzo e alle intenzioni
passi in avanti. Il 13 novembre del ’64 il nuovo Ministro del lavoro Delle Fave
preparò un questionario rivolto alle parti sociali sui tre temi ormai decisivi in
85
materia di diritti dei lavoratori: Commissioni Interne, licenziamenti individuali e
diritti sindacali in azienda115. Dalla visione delle domande sugli argomenti che
sarebbero stati oggetto dello Statuto, si può rilevare una diversa impostazione di
fondo non del tutto neutrale, soprattutto se vista in relazione alla totale
equidistanza che rasentava l’indifferenza, con cui era stata trattata la materia dal
problemi e si chiedevano alle parti sociali i metodi e le procedure più adeguate per
iniziative governative. Alla totale indifferenza della Confindustria che non rispose
promulgazione di una serie di leggi su tutti i temi previsti dal ministro, per attuare
i principi della costituzione e abrogare le norme del c.c. che di fatto ne negavano
collettivo. Una posizione, quella della CISL, che fu riproposta nel ’66 quando
verrà varata la legge n. 604 sui licenziamenti individuali. La UIL ebbe una
115
Sul contenuto del questionario ministeriale si veda la stessa opera di E. Stolfi, cit., pp. 34 ss.
86
difficoltà enormi, non solo per l’incapacità della compagine governativa di portare
sociale generale e per le divisioni delle centrali sindacali che non riuscivano
Tuttavia alla divisione sul metodo dei sindacati si contrapponeva, alla metà
linea sindacale e linea costituzionalista, che rimasero palesi come vedremo fino al
ormai auspicabile. Rimaneva solo il rifiuto dei giuristi più vicini alla centrale
della linea sindacale, come abbiamo visto non aveva negato il suo apporto tecnico
alle iniziative socialiste in sede governativa. Gran parte della nuova generazione
che “attribuisse alle strutture aziendali del sindacato un ampio spazio operativo e
116
G. F. Mancini, Lo statuto dei lavoratori, cit., p. 59.
87
più innovativa del ruolo del giurista, che rifiutava di svolgere “una funzione filo-
avente contenuti tali per cui, se proprio si vuole legiferare, si deve farlo a sostegno
del governo Moro, rendevano palese un certo distacco dalle posizioni ostili
anche dalla centrale sindacale che più di tutte aveva difeso l’autonomia collettiva
e il ruolo della creazione extrastatuale del diritto del lavoro, oggetto privilegiato
“[…] Il principio di autotutela degli interessi dei lavoratori non può essere disgiunto dalle
garanzie statuali di effettività della sua applicazione.”118
ratificate in Italia nel 1958, che trattavano proprio le materie sindacali nella unità
produttive. Per questi giuristi, era proprio la procedura adottata dal governo a
rinsaldare le divisioni tra le centrali sindacali, poiché questa aveva alla base “la
117
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit, p. 135.
118
U. Romagnoli, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, in “Il Mulino”, 1965, p. 489.
119
Ivi, p. 491.
88
lavoratori, auspicasse un intervento dello Stato per promulgare uno Statuto dei
in materia di diritti del lavoro nel nostro paese. Quindi le divisioni dei giuristi sul
metodo, tra chi sosteneva l’adozione di uno Statuto per via eteronoma e chi invece
auspicava la via autonoma erano ormai superate. Una convergenza sul metodo
rintracciabile non solo nella pubblicazione di una inchiesta sulla riforma dei
codici promossa dalla Rivista giuridica del lavoro a cui furono invitati ad
fine del secondo governo Moro, anche per le considerazioni sulla rinnovata
nel ‘67.
La Rivista120, tramite una serie di quesiti posti ai maggiori studiosi del diritto
riforma dei codici e della legislazione a quello dello Statuto dei lavoratori e
chiedeva specificatamente quale contenuto avrebbe potuto avere uno Statuto dei
diritti che garantisse dignità, libertà, e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le risposte
120
Inchiesta alcuni problemi relativi alla riforma dei codici, in “Rivista giuridica del lavoro”, I,
1964, pp. 46 ss., pp. 153 ss., pp. 241 ss., pp. 339 ss.
89
Giugni121, Pera122 e Ghezzi123 erano si concordi ad un intervento legislativo per un
moderno assetto giuridico del lavoro, che poteva prefigurare uno Statuto dei
Stato, a loro giudizio mosso da uno spirito paternalistico, a favore del singolo
poteri del datore di lavoro, come quello disciplinare, che permetteva ad esso un
interventi di Giugni e di Ghezzi che andavano a chiarire una volta per tutte la
convergenza sul metodo.127 Ma in questi anni il vero punto di scontro non solo tra
ancora quello sul contenuto dello Statuto e sulla titolarità dei diritti che in esso
121
Ibidem
122
Ivi, pp. 56 ss.
123
Ivi, pp. 154 ss.
124
Ivi, pp. 51 ss.
125
Ivi, pp. 242 ss.
126
Ivi, pp. 250 ss.
127
Si vedano gli interventi di Giugni e Ghezzi alla tavola rotonda Per una moderna legislazione
sui rapporti di lavoro organizzata dalla rivista “Economia e lavoro”, 1967, pp. 17 ss.
90
sindacale è momento di autonomia e di libero sviluppo civile”128 sviluppatosi
del singolo lavoratore che garantisse i diritti costituzionali anche nei luoghi di
violazioni […]”129. Da una parte l’accento cadeva dunque sui diritti sindacali o
dominato dal rapporto di lavoro, al pari della garanzia dei diritti fondamentali
un ulteriore Stato, sudditanza che non poteva essere eliminata attribuendo alle
128
G. Giugni, Intervento, in Ivi., p. 20.
129
M. Vais, Nuovi progetti legislativi sui diritti dei lavoratori, in “Rivista giuridica del lavoro”,
1968, pp. 481 ss.
130
U. Romagnoli, Lo statuto, cit., p. 492.
91
CAPITOLO IV
4.1 Premessa
dello Statuto dei lavoratori, tanto che la maggior parte della storiografia ha visto
operaia. Solo grazie agli eventi di questi anni verrà varato un complesso di norme
a tutela dei diritti individuali e sindacali dei lavoratori. La stagione del conflitto
travolse gli stessi rapporti di forza nei luoghi di lavoro, consacrando di fatto una
disegno di legge dello stesso Consiglio dei Ministri e le tre proposte di legge
centralità del conflitto operaio mise in crisi l’idea di Statuto dei lavoratori. La
successiva della figura del delegato di linea, certo non aderiva, se non in parte,
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allo spirito dei progetti di legge, soprattutto con quello proposto dal Governo,
segnato ormai dalla definitiva opzione per la linea sindacale e riformista. Come
scrisse G. F. Mancini “la strategia dei giuristi riformisti fu così messa in crisi
operaia, che non fu mai esplicitamente condotta per rivendicare lo Statuto. Fu solo
grazie alla fase successiva, cioè con il riconoscimento da parte delle grandi
Fabbrica, che lo Statuto fu varato nel 1970 e con contenuti che lo stesso
Governo Rumor
legge 300 fu il frutto dell’opera politica del Ministro del lavoro socialista
Gino Giugni. In effetti l’adozione del disegno di legge n. 738 e il suo contenuto
(si veda Appendice doc. n. 2), non fu solo fornito della necessità del Governo di
l’opera personale dello stesso Brodolini e dei collaboratori del Ministero del
131
G. F. Mancini, Lo statuto, cit., p. 65.
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lavoro. La formula come sempre molto vaga della proposta governativa al
momento della presentazione del programma di Governo nei primi mesi del ’68,
non avrebbe certamente dato risultati se non fosse stata portata avanti dalla
dovuto non solo alla precarietà della compagine governativa e alla conseguente
azione incalzante dei gruppi parlamentari della sinistra (PCI e PSIUP), ma anche
“L’urgenza - ricorda il suo portavoce De Luca - fu il tratto che caratterizzò il lavoro di noi
tutti in quel periodo. La lucida consapevolezza della malattia in lui e in alcuni di noi, ci indusse a
concentrare il massimo sforzo su alcuni obbiettivi prioritari, che pur facevano parte di un unico
grande disegno riformatore. Ci trasmise l’ansia di una drammatica corsa col tempo.”132
provvedimento normativo che rivolgesse lo sguardo verso una “una parte sola”,
quella dei lavoratori. Brodolini e i suoi collaboratori del ministero erano convinti
aspirazioni delle masse operaie e ad uno stabile sistema di relazioni industriali nei
luoghi di lavoro. In questo senso l’opzione per una legislazione promozionale del
sindacato era palese. Un ministero non più tradizionalmente al di sopra delle parti,
non facile come abbiamo già detto, anche per le dinamiche interne al Governo e
alle diverse visioni sul contenuto dello Statuto, sia in sede parlamentare che
132
E. Stolfi, cit., p. 50.
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ministeriale. Lo scontro ribadiva la spaccatura tra visione sindacale e visione
costituzionale dello Statuto. La prima era portata avanti dallo stesso Ministero, dal
c.d. riformista. L’altra era appoggiata dai gruppi parlamentari social proletario e
Ventura e dalla Rivista giuridica del lavoro di cui Ventura era condirettore.
primi mesi del ’68, fu concentrata prima di tutto nel ritardare il dibattito
disegno di legge, consapevoli delle carenze del progetto di legge proposto dai
socialisti.
133
Terracini intervenendo in aula sottolineava come la materia dello Statuto investisse la materia
contrattuale e che quindi questa era rimessa all’iniziativa sindacale. Proseguì esaltando i progetti di
legge del PCI e del PSIUP che invece si incentravano sull’applicazione della Costituzione nei
luoghi di lavoro, indipendentemente dal favore delle organizzazioni sindacali e degli imprenditori.
Concluse dicendo che non si poteva contrattare sul riconoscimento e sull’applicazione dei diritti
costituzionali. In Ivi, p. 58, nota n. 1.
95
D’Harmant Francois, il sociologo De Rita, quattro professori di diritto del lavoro,
affidata al Giugni era il segno della volontà del ministero di andare fino in fondo e
nel minor tempo possibile arrivare con una proposta al Consiglio dei Ministri. Le
l’opzione per questo strumento di tutela dei lavoratori era collegato anche
considerazione. Tutti furono d’accordo quindi nel comprendere nello Statuto una
serie di norme a tutela della libertà sindacale, alla salvaguardia dell’attività del
sindacato in azienda e alla garanzia della sicurezza, libertà e dignità dei lavoratori,
lavoratori dipendenti. Una posizione che la stessa CGIL ormai rifiutava e che era
sostenuta ormai solo dal PCI e dagli studiosi della Rivista giuridica del lavoro.
96
successivamente furono dibattuti in Parlamento, di cui parleremo
“non dovrebbe essere inclusa nessuna delle disposizioni relative alla definizione dei compiti
del sindacato, alle procedure di contrattazione ed ai compiti degli organi di conciliazione”.134
Uno scontro che quindi non riguardava solo le materie inerenti all’attività
sociale conflittuale con cui bisognava fare i conti, conflitto che aveva di fatto
messo in discussione tutti i vecchi istituti del sindacato in azienda, dalle CI alle
SAS e che come vedremo mise in discussione lo stesso ruolo del sindacato come
rifiutandosi di intervenire su questi temi che a suo avviso non avrebbero dovuto
134
Ivi, p. 62.
135
Riguardo alla questione delle visite mediche va sottolineato che la maggioranza dei componenti
della commissione propose che il controllo dovesse essere effettuato da un sanitario designato
dall’imprenditore sentite le organizzazioni sindacali. Ventura propose l’accordo delle
organizzazioni sindacali e in mancanza di questo, l’intervento di un ufficiale sanitario pubblico.
Sulle indagini, la commissione era contraria al divieto di indagini private, mentre Ventura la
sostenne.
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essere trattati dallo Statuto. Comunque l’opzione per la promozione del sindacato,
dall’indagine conoscitiva del Senato, con cui non solo si ascoltarono le posizioni
“la via che oggi si prospetta, di tutelare i lavoratori non individualmente ma rinvigorendo
l’autodifesa sindacale, si presenta come alternativa, o comunque radicalmente diversa, da quella
che era stata fino a ieri prospettata: la tutela dei diritti dei lavoratori come singoli.”137
diversa impostazione politica del ministero del lavoro, in passato tanto criticata
La CGIL dal canto suo era sempre stata favorevole all’intervento legislativo e
136
In “Rivista di diritto del lavoro”, 1969, III, p. 168.
137
Ibidem.
98
“l’opposizione del sindacato dei lavoratori a interventi legislativi che tendono ad istituire per
legge, per decreto, per via amministrativa, strutture sindacali a livello di azienda, definendone i
compiti, le funzioni, gli obblighi e i limiti”.
Strutture che “[…] non esprimono l’attività e la volontà reale dei lavoratori” e
libertà sindacale in azienda del lavoratore e del suo potere di contrattare, per la
CGIL, bisognava istituire una serie di norme a garanzia della libertà e dignità del
“la legge deve colpire con efficaci sanzioni, ogni impedimento da parte padronale
all’esercizio dei diritti di libertà, dei quali deve garantire l’esplicazione piena nei luoghi di
lavoro.139
Ottenuto l’assenso generale delle centrali sindacali, constatato che tra gli
138
Ivi, p. 162.
139
Ivi, p. 163.
140
La Confindustria fece sapere che la normativa gia esistente di fatto garantisce la tutela della
libertà e dignità dei lavoratori secondo i principi della Carta costituzionale e che i dettagli
sull’applicazione di questi rimanevano di esclusiva competenza delle parti sociali maggiormente
rappresentative. Quindi di fatto rifiutano ulteriori limiti e sanzioni in materia. Per quanto
riguardava l’attività sindacale e la presenza del sindacato in azienda non ci fu un rifiuto
pregiudiziale, ma sottolinearono le carenze del progetto del ministero che ne garantiva la libertà e
la presenza senza una adeguata disciplina legale. Ivi, pp. 197 ss. Comunque, nonostante le riserve e
sostanzialmente la contrarietà della Confindustria al progetto di Statuto, bisogna sottolineare la
99
La bozza preparata da Giugni sulla base dei lavori in commissione e arricchita
legislativo della Presidenza del Consiglio, né dal Consiglio stesso. Era ormai
fu limitato ai temi d’interesse sindacale e del lavoro. Ma la lettera della legge non
fu modificata e le sue direttrici principali, cioè la tutela della dignità e libertà dei
Così che il 20 giugno 1969 fu approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di
legge n. 738 “Norme a tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
Brodolini in quei giorni era allo stremo delle forze e la malattia lo stava
genuinità del disegno di legge era affiancata alla certezza che in Parlamento ci
sarebbe stata una battaglia senza esclusione di colpi, proveniente non solo dagli
ambienti conservatori, ma anche e soprattutto dai settori più critici della sinistra
scelta politica ormai matura del Ministero del lavoro, cioè quella di andare avanti in un progetto a
favore della tutela del lavoro dipendente indipendentemente dalle riserve degli industriali.
100
“So di certe idee un po’ avventate che circolano in giro e soprattutto in parlamento. Fai in
modo che lo Statuto dei lavoratori non diventi lo Statuto dei lavativi.”141
Morì qualche settimana più tardi, all’alba dell’11 luglio. La sua opera politica
fu fondamentale non solo per il destino dello Statuto dei lavoratori, ma per tutta la
successiva attività del Ministero del lavoro. Parlando al congresso della CGIL a
“Nella vita bisogna sapere che scegliendosi gli amici si scelgono anche gli avversari. Ebbene,
io ho scelto i miei amici e voi siete, lo sapete, i miei amici e i compagni più cari”142
lavoratori.
Nonostante lo Statuto dei lavoratori dal ’68 in poi trovò larghi favori e la sua
epoca di consenso più alto nelle istituzioni, fu proprio questo il lasso di tempo in
cui fu messo in crisi dagli eventi conflittuali di quegli anni. Questa volta era il
frattura del sistema politico con la realtà sociale di quegli anni. Secondo Foa
infatti
141
E. Stolfi, cit., p. 106.
142
Ivi, p. 105.
101
“lo Statuto dei diritti del 1970, cui posero mano i socialisti Brodolini e Giugni, non nacque
dall’impegno del centrosinistra ma dalle lotte operaie.”143
In questo senso lo Statuto fu il risultato non di una chiara volontà politica del
più attenti alle questioni operaie. Un senso dove il momento conflittuale assume
un ruolo centrale.
caldo, l’idea dello Statuto era messo in crisi, poiché era messo in crisi tutto il
sistema sociale e sindacale nel suo complesso. Il ciclo di lotte aveva portato alle
sindacato inteso come “realtà organizzativa che vive […] una tensione dialettica
storiche, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ma che in questi anni
autonoma della base, la strategia prevalente dei giuristi riformisti era palesemente
tipo è direttamente collegata alla storiografia che divide gli “anni degli operai” in
143
Questo novecento, cit., p. 299.
144
G. Romagnoli, Consigli di fabbrica e democrazia sindacale, Milano, Mazzotta, 1976, p. 9.
102
politici molteplici e contraddittori. Nella nostra prospettiva, sono importanti due
Fabbrica. Questi due momenti della mobilitazione operaia furono le cause della
crisi sindacale e di conseguenza della crisi dello Statuto che del sindacato in
azienda si faceva promotore come momento istituzionale di difesa dei diritti dei
lavoratori.
Analizzare la prima fase della conflittualità operaia, quella cioè a cavallo tra
’67 e ’68, significa inevitabilmente connetterla alla rivolta studentesca iniziata già
nei primi mesi del ’67, da cui le prime lotte operaie ne trasse numerosi spunti e
giovanile nella società degli anni sessanta e della prima generazione che si scontrò
con il boom economico e con la società del consumo. Nei precedenti capitoli
abbiamo già sottolineato il ruolo delle nuove generazioni operaie nelle lotte dei
primi anni sessanta e dei mutamenti sociali e istituzionali che essi contribuirono a
per via della pessima congiuntura economica e del riemergere della debolezza
103
dall’entusiasmo per le nuove opportunità del boom economico, e dall’altra dal
persistente conservatorismo che investiva tutti gli aspetti della società italiana.
consolidate dalle passate generazioni e sempre difese con il massimo delle forze
dalle generazioni adulte. Già nel corso della metà degli anni sessanta, università,
movimento di base reale, secondo una non dissimile dialettica a quella tra
dissenso inoltre furono forti. Presidi e rettori fecero largo uso di istituzioni
degli studenti. Tra il ’66 e il ’67 le circolari del ministro dell’interno P. E. Taviani
145
Gli alunni delle scuole superiori passano dal 760.000 unità del 1960 a 1.400.000 del 1967, in G.
Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003, p.
203. Gli iscritti a corsi universitari passano da 250.000 unità del 1961 a 550.000 nel 1968, in Ivi, p.
208.
104
furono la prova di come le stesse istituzioni repubblicane furono impegnate, a
Le mobilitazioni nei mesi finali del ’67 e per tutto sessantotto, che ebbero il
culmine nella primavera, travolsero tutti, tanto da poter parlare dell’”anno degli
lotta e della figura sociale dello studente. Il movimento studentesco, da una parte
assunse caratteri antisistemici di rifiuto della società capitalista e dei sui rapporti
caratteristica del movimento studentesco, a mio avviso, a unire nella lotta operai e
fabbriche italiane furono teatro della nascita della c.d. spontaneità operaia.
proprio per contestare le organizzazioni sindacali. Gli scarsi risultati degli anni
146
Le due circolari, una emessa il 1° luglio ’66 e l’altra il 27 gennaio ’67, permettevano
l’intervento delle forze dell’ordine, anche preventivo, in facoltà e istituti scolastici, in caso di
occupazione, senza la richiesta esplicita dei rettori e dei presidi a meno che questi non lo vietassero
in modo esplicito.
105
’60, causati dall’atteggiamento prudente delle organizzazioni sindacali e dalla
sindacali raggiunse una fase di crisi che si stabilizzò, certamente non del tutto,
solo con l’autunno del ’69. Tra i contestatari i più agguerriti si dimostrarono
figura sociale su cui si poggia tutto il ciclo di lotte ’68-’72 e che sfociò nella
nascita del movimento consigliare147. Erano gli anni in cui le fabbriche, uscite
dei ritmi di lavoro e del ricorso alla manodopera a scarsa professionalità tramite
dare impulso al nuovo ciclo di lotte. “[…] Grazie alla scolarizzazione di massa, a
all’apporto dei media essi sono dotati […] di una cultura superiore a quella
verso gli attendismi delle centrali sindacali degli anni precedenti. Ci fu quindi una
147
Sul ruolo centrale del c.d. operaio comune nel periodo considerato faccio riferimento ancora
allo studio di G. Romagnoli, Consigli di fabbrica e democrazia sindacale, cit.
148
Importante, in questo senso, il concetto di “ghettizzazione sociale” delle masse di lavoratori
immigrati. In questo periodo infatti ci fu una nuova ondata migratoria, grazie ad una maggiore
offerta di lavoro nel nord del paese. Le nuove opportunità di lavoro crearono quindi un’alta
disponibilità alla mobilità sociale e sul lavoro che si scontrava con il degrado urbano della
popolazione immigrata.
149
G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 323.
106
crisi nel disciplinare la forza lavoro, “nel momento in cui l’elevamento e la
diffusione del livello di scolarità provocano uno sfasamento tra aspettative e realtà
per la riforma delle pensioni. L’accordo fu contestato fortemente dalla base, tanto
che la CGIL qualche giorno più tardi, sarà costretta a tornare sui suoi passi e
vicenda delle pensioni rappresentò il primo caso di recupero del sindacato sullo
erano teatro principale della partecipazione diretta degli operai alle vertenze. Fu in
Milano. Questi gruppi informali di lavoratori, in cui, tra l’altro, erano coinvolti
150
G. Romagnoli, cit., p. 23.
107
assemblee studentesche che proliferavano nelle facoltà italiane. Potere operaio e
potere studentesco erano le due facce della stessa medaglia. Fu subito chiaro
l’importanza in queste
“[…] dell’influenza del movimento studentesco che si manifestò attraverso il ricorso da parte
operaia a forme innovative di lotta e alla pratica della democrazia assembleare.”151
Questa prima fase mise indubbiamente in crisi lo Statuto dei lavoratori su cui
“Il sindacato, a cui i riformisti [stavano aprendo] i cancelli delle imprese, era, nelle imprese,
contestato e messo alle strette.”152
strettamente sindacali.
Nei mesi successivi tuttavia bisogna registrare una battuta d’arresto del
151
F. Loreto, L’anima bella del sindacato: storia della sinistra sindacale, Roma, Ediesse, 2005, p.
50.
152
G. F. Mancini, Lo statuto, cit., p. 65.
108
iniziative più individuali e ad una mobilitazione che non vedeva più
Operaia, strinsero rapporti privilegiati con gli stessi CUB e spesso diventarono i
operaia non era ancora risolta. La stessa involuzione delle lotte studentesche e la
nella fabbrica e nel quartiere, che di fatto non stemperava, ma anzi rinvigoriva le
critiche alle strutture sindacali. Si sviluppò quindi un altro fattore di crisi che
montaggio. Questo processo avrà il suo apice proprio nella alla fine del decennio
109
ambientali ed esigenze differenti, ma legate da un'unica strategia aziendale.
quindi inverso, nasceva nel modo più aderente al processo produttivo ed era
espressione diretta del posto occupato nella linea articolata di produzione. Questo
momento organizzativo sfociò nella nascita del delegato di reparto e/o dei
comitati di reparto, incaricati ad avere rapporti con i capi reparto e con le direzioni
153
Le parole sono di Gino Guerra in un intervento pubblicato in “Quaderni di rassegna sindacale”
n. 24 Dic. 1969 dedicato ai Delegati di reparto, con il titolo “Nessun “vuoto” a nessun livello”, p.
49.
154
G. Romagnoli, cit., p. 27.
110
fasi della produzione omogenee, andavano costituendosi organi più ampi che
In queste ultime righe, abbiamo descritto brevemente ciò che stava accadendo
nelle fabbriche italiane e la nuova presenza operaia in fabbrica che dilagò tra la
fine del ’68 e l’inizio del ’69 nell’industria metalemeccanica, tessile e chimica. Un
extrasindacali di cui sopra abbiamo parlato, ma che ben presto ebbe un suo
delegato, infatti, spesso non era iscritto al sindacato, né faceva parte della CI o
esercizio dell’autonomia collettiva, non prevista dalle prassi sindacali in voga fino
a quel momento.
al sindacato come i CUB, ma che rifletteva, forse anche in modo più drammatico,
111
non rifiutavano il sindacato in quanto tale, ma quel tipo specifico di
provenienti direttamente dal basso e che quindi avrebbero dotato gli operai di più
che sfociava nella costruzione delle vertenze aziendali generali. Per questo se le
soprattutto alle sue componenti più avanzate, che provenivano dalla c.d. sinistra
riconoscimento dato anche del fatto, che la maggior parte dei gruppi operaisti
“I comitati di reparto, cioè, avrebbero potuto aggregarsi in veri e propri consigli di fabbrica,
come quelli per cui si battevano il giovane Gramsci e, nello stesso torno di anni, i
Rätekommunisten tedesco-olandesi, da Karl Erler ad Anton Pannekok: dunque, in strumenti di
contropotere là dove più nudo e violento è il potere della classe egemone […].”156
156
Ivi, p. 70.
112
tutti i poteri d’iniziativa autonoma in una prospettiva di captazione sindacale della
autonome di fabbrica, dando ad esse la possibilità di usare gli strumenti del futuro
azienda e costruttore delle vertenze dal basso. Certo è, che questo processo non fu
sindacale e movimento dal basso non raggiunse mai una sintesi definitiva, ma al
soprattutto per il fatto che solo alcuni settori delle organizzazioni erano disposti a
riconoscere il ruolo centrale del movimento dei delegati. In effetti già nella prima
113
confluì nelle file dei gruppi extraparlamentari, fece emergere un dialogo aspro e a
base la ritrovata unità tra le confederazioni sindacali, proprio perché erano gli
questo senso i due scioperi generali e unitari a cavallo tra il ’68 e il ’69 sulle
nuove visioni del lavoro sempre più presenti in esponenti della cultura cattolica.
sindacale, cioè di una più stretta aderenza delle organizzazioni alle richieste della
“I metalmeccanici furono ancora una volta all’avanguardia: essi, infatti, cercarono di smarcarsi dagli
umori prevalenti a livello politico e confederale e puntarono a fare del delegato il principale tramite tra
sindacato e lavoratori.”158
158
Ivi, p, 60.
114
un rinnovamento organizzativo e di rapporto democratico con le esperienze della
redatta dal ministero del lavoro, dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri,
venne appoggiata dallo stesso Governo, anche se alcuni distinguo in merito non
mancarono. Ciò era dato soprattutto dal timore degli stravolgimenti che il disegno
di legge avrebbe potuto subire, data la forza delle sinistre in Parlamento. Inoltre la
aspetti giuridici, si affiancavano quelle con chiari risvolti politici. Tra questi prima
marxista del PCI e del PSIUP. Rispetto al progetto di legge n. 738 infatti la
Rivista giuridica del lavoro prese subito posizione tramite un intervento di Ugo
Natoli159. Nel saggio l’Autore, dopo aver elogiato il ruolo che la Rivista ebbe per
tutti gli anni ‘50 e ‘60 nel denunciare la situazione delle fabbriche, la violazione
delle libertà dei lavoratori previste dalla Costituzione e nel ricercare strumenti
che lo Statuto avrebbe dovuto rendere efficaci nei luoghi di lavoro i principi di
159
U. Natoli, Luci ed ombre sul disegno di legge n. 738 sui diritti dei lavoratori, in “Rivista
giuridica del lavoro, I, 1969, pp. 317 ss.
115
libertà fondamentali dei cittadini anche nei luoghi di lavoro, non con una mera
sindacali e l’attività sindacale in azienda, che per Natoli non avrebbero dovuto
stesse norme sulla libertà e dignità del lavoratore inserite nel I titolo dal disegno di
legge, infatti erano ritenute deboli e non sufficientemente limitative dei poteri dei
altri cittadini161”. Alla critica giuridica della Rivista, era collegata quella politica
ostacoli posti dal Ministero del lavoro e dal Governo alla discussione
parlamentare sui progetti di legge presentati dal PCI e dal PSIUP, riferì che il
160
Ivi, pp. 319-320.
161
Ivi, p. 321.
162
E. Solfi, Da una parte sola, cit., p. 101.
116
ed esclude[va] da ogni tutela sindacale aziendale vaste masse di lavoratori”, cioè
dell’autonomia operaia. Una critica che ebbe eco anche in Parlamento, grazie
all’opera del Senatore della Sinistra Indipendente Albani, che si fece portatore di
Senato. Le riserve su uno Statuto dei diritti dei lavoratori furono ribadite anche
talaltro non furono approvate dalla Camera Alta.163 Albani contestava l’impianto
mentre i lavoratori
“non concedono che deleghe limitate, vogliono discutere e proporre piattaforme rivendicative,
forme e tempi di lotta, approvare direttamente risultati e accordi, vogliono autogestire il loro
potere attuando, in tal modo, la Costituzione.”164
Ma per l’A., messe da parte quelle poche norme giuste a tutela dei diritti dei
fabbriche anche con il varo dello Statuto, poiché questo non provvedeva a
modificare il regime liberista garantito dalle norme di diritto del lavoro del c.c.
163
G. M. Albani, “Statuto dei diritti” o “Potere” dei lavoratori?, Milano, 1970.
164
Ivi, p. 38.
117
esprimere una vera e propria politica del diritto165, ma non furono certo irrilevanti
che per tutti gli anni ’60 andavano approfondendo i proprio studi. Questi dalle
Mattia Persiani apparsi il 1 luglio del ’69 sul quotidiano “il Giorno”167 sono
dalle lotte operaie in azienda”, che di fatto mettevano in discussione il ruolo del
sindacato come “garante di un movimento che, come quello operaio, vive oggi,
dialetticità, che si sostanziano nella difficile ricerca d’un necessario equilibrio tra
165
C’è da rilevare tuttavia che gli eventi della contestazione operaia e della conseguente
repressione data dalla situazione di oggettiva tensione sociale, provocarono nella magistratura
profonde lacerazioni e forti prese di posizioni da parte di settori rilevanti, che di fatto
influenzarono molti altri operatori del diritto e certo anche i giuslavoristi più attenti alle dinamiche
sociali. Un esempio è la vicenda di Magistratura Democratica (MD) e la sua svolta radicale dopo
una scissione interna, nel finire del ’69. Questa fu provocata dal noto “caso Tolin”, il direttore del
settimanale “Potere operaio”, processato per direttissima, per via di alcune pubblicazioni sulla
rivista. Con l’ordine del giorno che portava il nome dello stesso direttore della rivista, Md assunse
una posizione di appoggio esplicito ai movimenti sociali e civili della nuova sinistra e delle classi
subalterne. Con l’approvazione dello Statuto, come vedremo in seguito, molti componenti della
corrente interna all’associazione nazionale magistrati (AMN), videro nell’applicazione dello
Statuto e nella difesa dei diritti dei lavoratori, una strategia per le loro aspirazioni di riforme
radicali del sistema giudiziario e ciò contribuì all’emergere del fenomeno della c.d. giurisprudenza
alternativa.
166
G. F. Mancini, Lo statuto, cit., p. 66.
167
Il 1 luglio 1969 il quotidiano milanese accolse nelle sue pagine un’inchiesta a cura di Sergio
Turone dal nome La libertà in fabbrica. Lei che ne dice?, in cui si chiedeva a sindacalisti,
sociologi e giuristi la loro posizione in merito al disegno di legge del Governo Rumor.
118
istituti di democrazia rappresentativa ed istanze di democrazia diretta”. Ma alle
aziendali, bensì anche per iniziativa dei lavoratori”. Pressappoco sulla stessa linea
di pensiero, Persiani sottolineò il fatto che “c’è qualche rischio”, nella misura in
Le parti sociali dal canto loro erano immerse nella stagione di conflittualità.
guardava ai soli diritti dei lavoratori dipendenti e non alla figura sociale del datore
ostilità e condanne”.
temi e le norme che nella legge 300 verranno inserite sotto la spinta dell’autunno
modificarono il teso uscito dal Consiglio dei Ministri, dando alla legge 300 una
più forte aderenza alla realtà sociale. Il disegno di legge n. 738 in effetti fu
168
E. Stolfi, Da una parte sola, cit., p. 98.
119
modificato nei mesi successivi, non solo dalle componenti politiche in
Parlamento, ma anche dalla spinta conflittuale dell’autunno ’69, non tanto, come
vedremo, dalla contrattazione collettiva, che comunque ebbe il suo peso, ma dalla
Sul primo aspetto, quello della contrattazione, abbiamo già affermato come la
nell’autunno del ’69, sia stata caratterizzata della ritrovata azione delle
organizzazioni sindacali dopo una lunga fase di contrasto con la base. Non è
quindi errato mettere in risalto il fatto che la legge n. 300 rappresenti, in parte, la
norme previste invece dallo Statuto o la presenza in essa di diritti che le fonti
collocamento prevista dal titolo V dello Statuto e quella sulla reintegrazione del
previste da nessuno dei contratti collettivi nazionali. Due temi che non potevano
che avere una tutela di tipo legislativo, visto il ruolo che in esse hanno le
istituzioni, come giudici e gli organi amministrativi dello Stato. E lo stesso si può
120
trattamenti economici discriminatori e il divieto di costituire i sindacati di
5 (sulle visite mediche) non c’era traccia nei contratti collettivi. Ma fu proprio
riguardo alle norme sulle materie sindacali che il movimento del ’69 ha ottenuto
contrattuale quello della più forte presenza e di un maggior potere del sindacato
nell’art. 20 dello Statuto e già presente i tutti i contratti collettivi. Un altro diritto è
quello di affissione, previsto dall’art. 25 della legge e già istituito grazie alle
aziendali, obbligo previsto dall’art. 27 dello Statuto. Lo stesso si può dire della
tutela dei dirigenti sindacali, delle disposizioni sulla raccolta dei contributi
elettive. Da questa breve disamina del rapporto tra contrattazione collettiva e testo
della legge 300, ci si rende conto che in realtà lo Statuto ha sì sanzionato molti
“il contratto costituisce sempre, per la sua stessa natura, un punto di equilibrio tra gli interessi
e le forze contrastanti dei contraenti. La legge può invece superare tale equilibrio, in un senso o in
169
L. Ventura, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p. 527.
121
un altro, quando esso non coincide con analoghi equilibri che si determinano in sede politica e
parlamentare.”170
E fu proprio questo il merito delle grandi lotte dell’autunno ’69, quello cioè di
azienda. Una scelta di parte già fatta dal disegno di legge preparato da Brodolini e
Giugni, come abbiamo visto nei precedenti capitoli. Ma è certo che il Ministero
del lavoro aveva tenuto sicuramente più conto degli equilibri delle due parti,
equilibri che quindi l’autunno caldo ruppe definitivamente, come si vedrà anche
Intanto nel luglio di quello stesso anno si era consumata una nuova crisi di
confermato all’ufficio legislativo, molti degli uomini del passato Governo, tra
sociale, avviatosi già nel settembre dalle contestazioni dei lavoratori, che
dimostrarono di non voler attendere nemmeno l’inizio delle trattative per i rinnovi
contrattuali, mandarono a dire al Ministero del lavoro che, non solo bisognava
170
Ivi, p. 530.
122
mandare avanti l’iter legislativo del progetto Brodolini, ma che per non
Senato e successivamente nella discussione alla Camera Alta, che iniziava proprio
in quei mesi l’esame del testo base di Brodolini e Giugni, furono la prova di
imprenditori furono quasi sempre lasciate cadere nel nulla, per via delle mutate
prova anche dopo l’approvazione del testo al Senato, quando la tragica vicenda di
piazza Fontana che inaugurò la strategia della tensione, aveva allarmato gli
industriali tutti. I richiami all’ordine e le paure per uno Statuto che avrebbe dotato
parte avrebbe dovuto approfondire gli aspetti costituzionali dei diritti dei
delle condizioni morali e civili dei lavoratori e che ciò avrebbe comportato un
123
Democristiani e socialisti avrebbero accettato una modificazione del disegno di
legge n. 738 riguardante i diritti individuali dei lavoratori, così che da una parte
“due indirizzi di sensibile diversità”, quello parlamentare e quello governativo, non negò il
fatto che “il Governo non assunse un atteggiamento preclusivo nei confronti di eventuali proposte
di modificazione e ciò determinò un dibattito di tipo “aperto”, che ha portato all’approvazione di
una legge che può essere considerata effettiva espressione del Parlamento come poche altre.”171
sempre sul Il Giorno il 21 novembre ’69172, alla vigilia del dibattito in Senato.
“Le modificazioni del progetto […] più che il frutto di operazioni di vertice parlamentare,
appaiono come il debito riscontro ad un rapido mutamento di clima sociale, cui devono
corrispondere rapporti e contenuti politici adeguati.”
proposta governativa, non solo per quanto riguardava la costituzione del rapporto
171
Ivi, p. 521.
172
Nuovo rapporto di forze fra direzioni e lavoratori. Lo “statuto Brodolini” sulla strada buona,
in “Il Giorno” 21 novembre 1969, p. 2.
124
Sulla questione del collocamento tutti i gruppi furono d’accordo
nell’introdurre il titolo V, che modificò la normativa che risaliva a una legge del
’49. Inoltre lo stesso art. 8, sulle indagini delle opinioni dei lavoratori ai fini
dell’assunzione, introduceva uno speciale divieto per il datore di lavoro nel corso
demandando tale compito agli istituti pubblici e non come previsto a medici
indicati dal datore di lavoro173. Venne introdotta inoltre con l’art. 7, la preventiva
stesso Giugni, prima del dibattito alla Camera, a sottolineare che l’articolo in
che i permessi retribuiti non erano solo affidati alle RSA, ma anche a tutti i
125
disposizioni previste dall’art. 19 che affidava i diritti sindacali alle sole RSA,
luoghi di lavoro. Ciò era collegato anche alla modifica del 1 comma dell’art. 26,
importante sottolineare che nel dibattito in Aula fu abrogato tutto l’articolo che
recesso ad nutum176. La riassunzione infatti nel testo proposto dal Governo era
prevista per i soli licenziamenti intimati per motivi religiosi, politici o sindacali,
collegandosi all’art. 4 della legge 604 del ’66, che in generale prevedeva, per gli
175
Su questo punto il PCI riuscì in commissione a spuntarla e a modificare il progetto Brodolini.
Per i comunisti, il generale scarso favore verso il vecchio istituto, non giustificava la sua
abolizione, poiché avrebbe rappresentato l’abbandono di un baluardo storico dell’organizzazione
operaia nelle fabbriche. A questa visione, si contrapponevano non solo i giuristi della linea
sindacale (vedi la posizione di Giugni in merito, nell’articolo menzionato alle note precedenti), ma
anche le stesse confederazioni sindacali, specialmente la CISL, rappresentato dall’intervento del
segretario generale Storti, citato da E. Stolfi, Da una parte sola, cit., p. 144. Le nuove forme
organizzative del sindacato in azienda, dopo il ritrovato ciclo di lotte, non potevano infatti non
spazzare via definitivamente il vecchio istituto.
176
Socialisti e democristiani, in generale ritenevano, la riassunzione obbligatoria un
provvedimento troppo forte. In particolare Giugni, prima del dibattito in Senato, dichiarò che la
norma “così come è ora formulata, rischia di risultare peggiorativa rispetto alla legge vigente, per i
lavoratori che, dopo il licenziamento e prima della sentenza di riassunzione, abbiano trovato un
altro lavoro: il danno di un licenziamento abusivo non si esaurisce nella perdita della retribuzione”,
in Il Giorno, cit.
177
L. Ventura fece notare che lo stesso art. 4 della legge 604 del ’66, fu aggiunto in sede
parlamentare al progetto di legge del governo Moro, in Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p.
523.
126
sostituire il regime di stabilità obbligatoria, con quello di stabilità reale. Un
provvedimento che, limitando il potere del datore di lavoro, rafforzava sia la tutela
prova, sia il singolo lavoratore. Tutto ciò rispettando le finalità della legge.
Così il Senato l’11 dicembre del 1969 approvò le “norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei
Qualche ora più tardi, la tragedia di piazza Fontana infuocò una realtà sociale
costituzionali della Camera diede il suo via libera alla legittimità costituzionale
dell’art. 19, sia le correzioni preparate da Giugni, sia gli emendamenti dei
127
nuovo Governo di centro-sinistra organico, un’opportunità politica storica da non
perdere.
Il 20 maggio 1970, con 217 voti favorevoli e 135 astenuti, venne approvata,
senza ulteriori modifiche, la legge n. 300 che istituiva il c.d. “Statuto dei diritti dei
128
Introduzione alla II Parte
La seconda parte del lavoro prenderà in esame gli sviluppi della storia
repubblicana dal 1970, anno di approvazione dello Statuto dei lavoratori, ai giorni
più importanti con le vicende storiche della legge 300. La storia dello Statuto sarà
descritta prefigurando una sorta di parabola. Questa parabola venne intrapresa nel
che coincise con il decennio d’oro del sindacalismo industriale, in cui lo Statuto
riuscì ad affermarsi non solo dal punto di vista giuridico, ma anche su un piano
caso in concomitanza con la genesi della crisi del sindacato industriale. Se per la
potente Federazione CGIL, CISL e UIL i c.d. 35 giorni alla Fiat dell’autunno ’80
culminati nella marcia dei 40.000, furono il principio della sua crisi, un anno
129
politica e giuridica dello Statuto dei lavoratori. Dopo quella vicenda nulla sarà più
Alla soglia degli anni ’90, nonostante la legge 300 non fu stravolta nelle sue
imponendo la “società dei lavori”, in cui il lavoro salariato andava sempre più
vedremo, si dovette quindi far fronte ad una sorta di “fuga” dallo Statuto per via
della crisi del concetto di subordinazione su cui la legge 300 aveva impostato le
proprie tutele più caratteristiche. Alla fine del secolo XX, operatori del diritto e
società post-fordista.
Anche in questo caso si è scelto di proseguire il lavoro per decenni, un po’ per
il fatto che le fonti storiche sullo Statuto sono in gran parte rintracciabili nelle
qualche modo le avventure dello Statuto sono facilmente connettibili alle vicende
130
CAPITOLO I
GLI ANNI ’70
1.1 Premessa
In questo capitolo ci apprestiamo a descrivere lo sviluppo dello Statuto dei
miglior salute dello Statuto e ciò non solo per la sua aderenza alla realtà socio-
economica, ma anche per via del valore politico e simbolico che esso assunse. Per
sindacale degli anni settanta, in cui il movimento operaio e sindacale assunse una
forza mai vista nella storia dell’Italia repubblicana. Dopo l’autunno caldo infatti le
vicende della Repubblica furono dominate dalla centralità del lavoro operaio e
dalla sua azione organizzata sia nel contesto economico che in quello politico-
contesto in cui lo Statuto si affermò nella realtà sociale del paese. Un decennio
sociale. Ciò non fu causa solo della mobilitazione e degli strumenti del conflitto
classici, ma anche dell’entrata in vigore della legge n. 300 che da una parte ha
vicende più significative del paese, tramite gli strumenti classici del conflitto
131
anni che bisogna rintracciare il successo di una legge, considerata non a torto una
delle poche riforme riuscite del decennio, che sino ai nostri giorni, nonostante le
critiche e i grandi cambiamenti degli anni ’80, è ancora vista da molti come una
legge di “civiltà” e in cui sono riposti i favori di larghi strati della società italiana
e non solo del lavoro dipendente e del sindacato. Un’affermazione che non fu
semplice e che fu minata tanto dalle critiche dei settori conservatori della società
proprio nel carattere policentrico178 della legge e dal contesto in cui è nata. Tali
saranno intimamente connesse alle vicende più rilevanti del movimento operaio e
dell’autunno caldo hanno fortemente condizionato tutti gli altri settori del
contesto sociale e politico del paese. Un ruolo centrale, quello del conflitto, che ha
conquistato anche settori non strettamente operai e industriali, come quello dei
servizi, del pubblico impiego, dei senzatetto, dei disoccupati e degli emarginati in
178
L. Ventura, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, cit.
179
Durante la prima metà del decennio le ore di sciopero rimasero piuttosto stabili rispetto a quelle
del ’68-’69, oscillando da 85 milioni del 1970 a 92 milioni nel 1975, con picchi di 127 milioni del
1973 in concomitanza dei rinnovi contrattuali del settore metalmeccanico, in G. Crainz, Il paese
mancato, cit., p. 432, nota 1. Il volume degli scioperi è quindi cresciuto al tasso 11,55 (ore perse
per occupato dipendente), in M. Regini nel saggio Uno sguardo d’insieme ai mutamenti degli anni
settanta, in Id., I dilemmi del sindacato, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 45.
132
vennero praticate modalità di mobilitazioni mutuate dal settore industriale e ciò
generale, un percorso omogeneo per tutti gli anni settanta. La crisi economica del
1971 e soprattutto del 1973, ha posto il sindacato di fronte a grandi temi, quali
La storia del movimento sindacale del decennio può essere suddivisa in due
settore metalmeccanico del ’73 e il periodo successivo, che si protrae sino alla
strategie del sindacato nell’arco dell’intero decennio, come ad esempio il ruolo dei
può a buon ragione parlare di decennio caldo del sindacalismo italiano, quel
principale, cioè il conflitto, simboleggiò il momento più alto della parabola del
sindacato180, ma che allo stesso tempo si fondò su caratteristiche che saranno alla
base della successiva crisi degli anni ’80. Ciò è pacifico per il semplice fatto che il
consigli e dei delegati, in cui le lotte aziendali sia sul piano salariale che su quello
180
A. Accornero, La parabola del sindacato. Ascesa e declino di una cultura, Bologna, Il Mulino,
1992, pp. 47 ss.
133
successivo, tanto che le linee di sviluppo generali entrarono in crisi solo alla fine
del decennio. Il secondo periodo considerato non va visto quindi come una svolta
cambiamento epocale di fine decennio. Dal ’79 infatti si registrò una battuta
d’arresto di tutto il movimento e vennero poste le basi di una nuova crisi del
Come abbiamo detto, dunque, i primi anni settanta furono gli anni della
modello contrattualista in voga in altri paesi a capitalismo maturo, nel senso che il
contratto veniva assunto non come fine della mobilitazione di classe, ma come
Inoltre c’è da registrare in questa prima fase, un impegno consistente sul piano più
di nuovi diritti e partecipazione. Qui s’inserisce ciò che qualcuno ha descritto con
dalla centralità delle organizzazioni dei lavoratori come attori sociali del
181
G. Ghezzi, Processo al sindacato. Una svolta nelle relazioni industriali: i 41 licenziamenti
Fiat, Bari, De Donato, 1981.
134
domande di affermazione di nuovi diritti e partecipazione. Un impegno via via
moderazione salariale.
mobilitazione della stagione ’68-’73, si ebbe sul piano retributivo: i salari ebbero
una crescita consistente, con un successivo rallentamento a partire dal ’73, dovuto
ad una fase di moderazione salariale per via della crisi petrolifera. Tutta la
prima parte del lavoro abbiamo già descritto il ruolo determinante che questo ebbe
centrale nella storia del sindacato italiano, dell’operaio specializzato come figura
socializzare le domande delle nuove leve operaie. Un declino che era già affiorato
182
Emblematiche in questo senso sono le vicende di Piazza Statuto nel luglio 1962.
135
partiva per dare corpo alle principali strategie di rivendicazione salariale, poiché
questo di fatto era stato il più svantaggiato dal rapporto salariale fordista.
“L’operaio comune […] è quello che da un contributo veramente notevole a tutto il processo
produttivo ed ha sopportato il peso maggiore della lotta rivendicativa, ma è anche quello che ha
ricevuto i benefici minori […]”.183
aziendali negli anni ’60 basato sulla job evaluation184. L’autunno caldo fece ben
qualifiche, che di fatto incideva sulla stratificazione stessa della classe operaia,
cioè i differenziali tra capi e operai comuni e tra questi e i quadri aziendali. Inoltre
è in questo campo che i dirigenti sindacali furono più in disaccordo con le spinte
183
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit., p. 178.
184
Tale sistema stratificava al massimo le qualifiche in base alle numerose posizione nel processo
produttivo. Tuttavia spesso le qualifiche non corrispondevano all’effettiva professionalità richiesta
all’operaio nell’esecuzione della mansione. Ad esempio nel corso degli anni ’60 alcuni capi-
reparto erano qualificati come impiegati di II categoria, ma di fatto ad essi era richiesta una
capacità tecnica e una discrezionalità di esecuzione del tutto identica ad un operaio specializzato.
La vera differenza stava solo nel fatto che l’uno ordinava e l’altro eseguiva.
185
Abolite le differenze di zone per eguagliare le retribuzioni tra lavoratori del sud e quelli del
nord, non erano ancora eguagliate le differenze di indennità di contingenza corrisposte dalle
aziende all’interno delle stesse zone. Le indennità infatti non solo erano diverse tra zone del sud e
del nord ma esisteva una differenziazione anche all’interno delle zone stesse.
136
spontaneiste della base, per via della vocazione tradizionale di protezione della
cui perno era l’operaio comune, si tradusse nella richiesta di aumenti salariali
uguali per tutti e nel c.d. inquadramento unico operai-impiegati. Ciò non sarebbe
mai accaduto
se […] la direzione dei processi di costruzione delle piattaforme rivendicative non si fosse
trasferita dagli operai “di mestiere” agli operai comuni (e, in qualche misura, anche agli impiegati
medio-bassi), e cioè alle componenti della forza lavoro maggiormente interessate alla prospettiva
egualitaria”.187
nelle aziende medie e grandi, grazie soprattutto al notevole attivismo dei delegati
lavoro fu imponente, tanto da poter parlare di una nuova “comunità operaia”, cioè
137
permanente”, sulla qualità-quantità di lavoro. Si può a ragione affermare che in
critica al modello taylorista per così dire “formale”, cioè unilaterale e fino a quel
seppe contrapporre, non certo il superamento della catena e del taylorismo, ma:
[…] una rete normativa che attraverso il complesso sistema di controllo operaio su saturazioni
e cadenze ribaltava il modello “formale” taylorista facendolo funzionare per così dire a rovescio,
come “garanzia” operaia anziché come strumento di comando padronale”.188
lavoro.
delle c.d. clausole di pace sindacale e della più implicita regola “se si lotta non si
quegli anni:
“[…] le agitazioni operaie risultarono più frequenti che in ogni altro periodo dal tempo della
guerra; ma ciò che ancor di più sconcertava gli imprenditori era il fatto che, a differenza di tutte le
precedenti occasioni, anche dopo la firma dei contratti nazionali la pace non tornava nelle
fabbriche”.189
188
M. Revelli, Lavorare in Fiat, Torino, Garzanti, 1989, p. 59.
189
P. Ginsborg, cit., p. 431.
138
E’ indubbio quindi come questa fase fu caratterizzata da un netto ribaltamento
del potere contrattuale a favore della classe operaia e delle sue organizzazioni,
della lotta e quindi della forza del sindacato. Spesso infatti, il contratto aziendale
scavalcava lo stesso contratto nazionale. Nel 1971 vennero firmati circa 7.567
contratti aziendali, mentre nel 1968 ammontavano a 3.870. Il cuore del conflitto e
dell’azione sindacale era ormai la fabbrica. Ma allo stesso tempo il conflitto era
“L’ambito del conflitto venne pertanto a incardinarsi tutto sulla fabbrica, locus politico e
habitat sociale delle relazioni e delle tensioni fra capitale e lavoro.”190
comuni. Per tutti gli anni settanta queste figure ebbero uno sviluppo eccezionale,
190
A. Accornero, La parabola del sindacato., Bologna, Il Mulino, 1992, p. 92.
191
E’ chiaro che per quanto riguarda le confederazioni il rapporto tra queste e le rappresentanze di
fabbrica era dominato da una forte dialettica, per via del sempre forte spontaneismo. Ma
nonostante, nel secondo decennio del ’70, come vedremo, tale dialettica si caratterizzò per un
139
parlare di riconoscimento formale senza ombra di dubbio, ma per quanto
carattere extra sindacale non erano affatto sopite. Molte di queste spinte
Ma ancor più spesso accadeva che una volta che la lotta di base scavalcava il
riconoscimento successivo.
“Per la prima volta, le fabbriche e i reparti divennero i centri intorno ai quali si costruiva
l’azione sindacale e l’attività contrattuale.”192
casi infatti nelle stesse delegazioni sindacali furono integrati i lavoratori più
140
trattative in cui qualsiasi lavoratore poteva partecipare solo in quanto interessato
quelle di massa, aveva il compito di “portare nella trattativa la viva voce della
puntualmente edotta la base circa l’evolversi della trattativa stessa, fase per
vertenze: queste erano il mezzo più efficace per rafforzare il suo potere di fronte
all’imprenditore.
Fu quindi, come abbiamo detto, la stagione d’oro dei consigli fabbrica e dei
delegati (di reparto, di linea, di squadra), nati tra il ’68 e il ’69. Nel 1972 i consigli
di fabbrica eletti dai lavoratori nelle settore industriale erano circa 6.000, costituiti
Le ragioni di tanta fortuna, sono connesse alla maggiore capacità dei delegati di
CI e alle S.A.S. Le prime, pur esprimendo una rappresentanza unitaria della classe
193
A. Accornero, La parabola, cit., p. 140.
141
catena di montaggio e la socializzazione nei consigli, momento finale della
massa) e ruolo essenziale della sua gestione, dando vita a svariate forme di lotta
sindacati, per via di un altro carattere essenziale del movimento sindacale degli
processo parallelo di autonomia dai partiti e dalle istituzioni. Nella prima parte del
sul piano sia delle loro ideologie politiche e organizzative, sia sul piano del loro
convergenza che si avvicendarono nel corso dei primi anni ’60, stagione della
come questi tentativi caddero nel nulla con il declino del potere sindacale durante
la metà degli anni ’60. Dalle contestazioni studentesche ed operaie del c.d.
“secondo biennio rosso” il processo unitario, accanto ad una forte autonomia dal
142
settore metalmeccanico, fino alla grande sconfitta nel referendum sulla scala
mobile. Il processo ebbe inizio, anche in questo caso, con la riscoperta dell’azione
solo rispetto al sistema politico, ma anche rispetto agli stessi lavoratori, ormai
decisi a fare tutto da soli. Fu proprio la necessità del recupero194 e del timore di
FIOM e la FIM, a cui partecipò con minor protagonismo anche la UILM. Queste
194
Molti commentatori di quegli anni sottolinearono come “la parola recupero, i suoi sinonimi e
derivati, entr[ò] nel vocabolario dei sindacalisti, martellante come un’ossessione”, in U.
Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit., p. 178.
143
una insanabile dicotomia tra capitale e lavoro.195 D’altro canto la FIOM acquisì il
discussione la visione marxista del primato del partito nella guida politica della
che nella CISL e soprattutto nella FIM il valore dell’autonomia rispetto ai partiti
entrò a far parte nel proprio bagaglio culturale già dai primi anni sessanta, diversi
delle semplici dichiarazioni d’intenti. Ciò portò nel 1972 alla nascita della
Federazione CGIL-CISL-UIL.
Grazie all’unità ritrovata e alla forte autonomia dal sistema dei partiti, il
sindacato italiano assunse in questi anni un ruolo centrale nella società italiana, un
nel progresso sociale e istituzionale. L’azione conflittuale quindi non si esaurì nei
195
La CISL, al contrario, era nata e si era sviluppata, proprio in contrapposizione al classismo
della CGIL, sulla base di una concezione sindacale di tipo anglosassone, dove era chiara la visone
funzionalista e ideologica delle industrial relation.
196
Per i leader della CGIL, la militanza politica era oltre che un’opportunità, anche un dovere.
Mentre per quelli della CISL era essenzialmente un potere ulteriore da utilizzare nella
contrattazione e nelle correnti interne alla DC.
144
sistema politico negli anni settanta furono connotati da “un fatto nuovo nella
storia del dopoguerra: la logica tradizionale sembra[va] essere invertita nel senso
che per la prima volta l’iniziativa del mutamento [era] in larga misura del
movimento sindacale”.197
sinistra degli anni sessanta, si trovò quindi a dover ristrutturarsi di nuovo di fronte
lavoratori, come abbiamo visto, non fece eccezione e fu varato, da una parte
dall’altra dalla pura e semplice paura della rivoluzione sociale che aveva
potere sociale.
“Sia la DC che il PSI, i principali membri della coalizione, non potevano non tener conto dei
fermenti sociali in atto o scegliere la strada della repressione o del puro immobilismo”198
Certo non si può non ricordare l’inizio di quella che fu chiamata la “strategia
della tensione”. Le vicende successive allo scoppio della bomba a Piazza Fontana
197
T. Treu, Sindacati e sistema politico, in “Democrazia e Diritto”, 1979, n. 1, XIX, p. 38.
198
P. Ginsborg, cit., p. 442.
145
nel dicembre del ’69, dimostrarono che all’interno delle istituzioni covavano
rancori e mire reazionarie che principalmente erano dirette alla repressione dei
furono spesso coperte dalle stesse forze politiche al Governo, con la tecnica dell’
di cambiamento sociale.
ebbe un ruolo essenziale nella lotta per le riforme come per la questione della
disinteressato a varare riforme per recuperare la centralità del ruolo dei partiti. Per
199
Nel marzo del 1971, grazie a inchieste giornalistiche ben documentate, si venne a sapere che
nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 il principe Junio Valerio Borghese, comandante della X
Mas durante la RSI, tentò un colpo di stato, con l’appoggio di alcuni settori dell’esercito e deputati
del MSI.
200
Nei giorni successivi alla strage nacque un numero consistente di gruppi di azione neo-fascista
che operarono per tutto il decennio settanta. Questi andavano da militanti dell’MSI a centinaia
nuclei clandestini o semiclandestini. Secondo uno studio sugli episodi di violenza in quegli anni, il
peso dei neo-fascisti tra il 1969 al 1975 fu stabile su una media dell’85%. In D. Della Porta e M.
Rossi, Cifre crudeli. Bilancio dei terrorismi italiani. Bologna, 1984, p. 25
201
Ad esempio oltre allo Statuto dei lavoratori, la riforma delle pensioni, la legge sul divorzio, la
legge sulla casa, l’istituzione delle regioni e l’introduzione del referendum popolare.
202
Per un ampia critica alla stagione delle riforme nei primi anni ‘70 si veda sempre P. Ginsborg,
cit., pp. 441 ss., G. Crainz, Il paese mancato, cit., pp. 419 ss.
146
questo le riforme o non furono varate, o vennero strutturate su logiche clienterali e
coordinate con le forze sociali. Il PCI in molti casi si trovava in disaccordo con le
a cercare una connessione con i nuovi movimenti sociali, per guidarli in sede
democratico ed efficiente. Per questo in molti casi i settori più progressisti interni
“Ne [fu] la prova la spinta verso il pluralismo istituzionale sconosciuto nella nostra tradizione,
visibile sia nella creazione di canali istituzionali nuovi, centrali e decentrati (in primo luogo le
regioni), per la espressione delle istanze sociali, sia nella apertura delle strutture esistenti alla
partecipazione e al controllo delle forze sociali [come il sistema giudiziario]. Il sindacato è stato,
oltre che il protagonista, il beneficiario maggiore di queste aperture istituzionali.”203
203
T. Treu, Sindacato e sistema politico, cit., p. 40.
147
alla straordinaria crisi economica causata dal rincaro dei prezzi del petrolio e delle
materie prime. Inoltre già dalla fine del decennio ’60, si andava delineando una
congiuntura internazionale fu inoltre aggravata dalla fine dei cambi fissi e della
convertibilità del dollaro nel 1971. L’aumento del costo del petrolio nel 1973
ed esso “giunse a tal punto da far temere una crisi altrettanto violenta come quella
degli anni Trenta”205. Sul piano interno, l’aumento del costo del lavoro e della
rigidità della forza lavoro, vennero scaricati principalmente sui prezzi. Le misure
recessive messe a punto dai governi, non comportarono una espulsione della
manodopera e una diminuzione del costo del lavoro, anzi l’iniziativa operaia e
non, sembrava imporre, da una parte una forte rigidità di utilizzo della forza
lavoro, grazie al potere di questa nel negoziarne l’utilizzo fino a quel momento
anche nei settori non operai del pubblico impiego e del terziario. Nella
148
bisogna rintracciare la nascita della nostra consistente “economia sommersa” che
contrattuali part-time e di lavoro a domicilio. Inoltre si fece largo uso della Cassa
all’aumento della spesa pubblica, già in ascesa per l’aumento delle spese per
pubbliche e private, tra cui la Fiat e l’Alfa Romeo, ebbe una posizione più cauta
rispetto al potere sindacale e alla crisi economica successiva. Una posizione già
manifestata nel periodo più duro di mobilitazione, cioè quello ’68-‘73206. Questi
“Abbiamo deciso di pagarlo [questo prezzo] […] per legittimare, con la responsabilità dei
nostri comportamenti, la richiesta di comportamenti altrettanto responsabili da parte di Sindacati e
Governo, la ricerca costruttiva d’una definizione di ruoli atta a far uscire il paese dalla crisi ed a
mantenerlo nella grande corrente del progresso europeo.”207
che avrebbe contribuito al superamento del c.d. modello vallettiano della Fiat,
modello a cui numerosi dirigenti del gruppo riponevano ancora molte delle
206
Nel 1971 il segretario generale dell’Intersid Giuseppe Gislenti, pur criticando il sindacato per
aver ceduto al ricatto delle frange estremiste della mobilitazione, fece sapere, in un’intervista
rilasciata a Federico Bugno per “il Mondo” il 10 gennaio, che “da parte sua, l’Intersid cercherà
comunque di rendere compatibili le esigenze poste dalle organizzazioni sindacali con quelle
dell’economia di mercato”, in G. Berta, L’Italia delle fabbriche, cit., p. 205.
207
M. Revelli, cit., p. 64.
208
Per uno sguardo d’insieme alle dinamiche interne alla direzione aziendale Fiat durante
l’autunno caldo e successivamente nel dibattito per il rilancio del gruppo Fiat, si veda ancora G.
Berta, L’Italia delle fabbriche, cit., pp. 210 ss.
149
assunse nel ‘75 la presidenza della Confindustria, segnando la vittoria non solo
dell’industria di Stato.
sociale nelle fabbriche, scontava anche la presenza di annosi problemi mai risolti
mettere a punto una seria politica economica per combattere l’inflazione. Tra mini
riprese e vittorie sindacali, nel ’73 grazie alla svalutazione della lira e all’aumento
dei costi per l’importazione del 70%, la crisi petrolifera fu dirompente. L’Italia
ben presto si trovò a fronteggiare l’inflazione più alta delle economie occidentali,
proprio ruolo sociale e politico. Ormai il potere politico e sociale che era riuscito a
crisi e dall’altra vanificarono la lotta autonoma della base per gli aumenti salariali,
150
consolidato ed un primo carattere di cambiamento di strategia fu proprio quello di
privilegiare il rapporto con le istituzioni a spese di quello con la base. Ciò avrebbe
eletti sulla base di liste già predisposte dalle strutture sindacali provinciali e di
degli Esecutivi dei Consigli di Fabbrica, sempre più composti da attivisti a tempo
pieno. Questi divennero il perno centrale del sindacato in fabbrica, con il compito
un’espansione considerevole per tutto il decennio: nel 1977 il numero dei Consigli
di Fabbrica arrivò a 32.000 unità, quello dei delegati eletti a 206.336, per un totale
209
G. Romagnoli, Consigli di fabbrica, cit., 98
151
di 5.188.818 lavoratori interessati.210 Ciò che mutò fu il rapporto tra vertice e
base, che necessariamente influenzò tutta la strategia di lotta del sindacato nei
negli Esecutivi dei Consigli di Fabbrica, cioè nei “pochi che contano”, secondo
una loro accezione negativa in voga tra i gruppi extraparlamentari. Per di più
dimisero dai Consigli, per via della loro delusione e disaffezione alla lotta, dando
con lotte più generali o politiche, […] accentra[ndo] o sposta[ndo] fuori dalla
210
S. Coi, Sindacati in Italia: iscritti, apparato, finanziamento, in “Il Mulino”, 1979, n. 262, p.
209.
211
M. Regini, L’autunno caldo e i primi anni settanta come momento di svolta e di transizione, in
Id., I dilemmi del sindacato, cit., p. 76.
212
Si veda U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit., p. 182.
152
dalla fabbrica, una prova fu l’istituzione dei consigli di zona, concepiti per
coordinare la lotta di fabbrica con quella nelle grandi città. Ma tali consigli spesso
vennero usati dai partiti, soprattutto dal PCI, per riassumere la guida delle lotte
sociali, con la pratica della composizione proporzionale rispetto alle forze dei
ragione può essere visto come una “strategia organizzativa del sindacato”, fu una
non potette non incidere sulla forza del sindacato organizzazione, aumentando
della stagione delle riforme, che porteranno rispettivamente agli accordi sui piani
il divario tra lotte di fabbrica e riforma delle strutture scolastiche. Anche le forme
213
Sui diversi tipi di rivendicazioni praticate dal sindacato nel periodo ’73-’78, si veda G. P. Cella,
Le difficoltà della rivendicazione: cinque anni di azione sindacale 1973-1978, in “Il Mulino”,
1979, n. 262, p. 159 ss.
214
In quegli anni ci fu la c.d. seconda ondata d’investimenti nel Mezzogiorno, questa volta di
grandi industrie private, tramite la Cassa del Mezzogiorno. In questa fase le imprese in crisi
sfruttarono al massimo gi incentivi e in molti delocalizzarono i propri impianti e rinnovarono la
gamma dei prodotti in concomitanza con la sempre maggiore diversificazione del consumo.
Questo tipo di politica aziendale fu spesso oggetto di accordi sindacali. Il decentramento Fiat degli
anni ‘70, che fino a quel momento aveva incentrato il suo sviluppo esclusivamente nel Piemonte e
soprattutto a Torino, la c.d. città-fabbrica, rappresenta un esempio lampante. Per quanto riguarda il
processo di decentramento della Fiat, D. Cersosimo, Da Torino a Melfi. Ragioni e percorsi della
meridionalizzazione Fiat, in “Meridiana”, 1994, n. 21, pp. 35 ss.
153
stagione del recupero sembrò segnare il passo di fronte al consolidamento delle
più attenta a non causare danni alla produzione o fratture politiche. Inoltre si
posero le basi della crisi del ruolo centrale dell’operaio-massa e la domanda dei
mediazione, per così dire politica, del conflitto tra aperture delle direzioni e vertici
sindacali, incise sulla stessa capacità degli operai di sentirsi in un comune destino
“Fino a qualche tempo fa si gridava, nei cortei, negli scioperi, tutti insieme; adesso si
bisbigliava, a piccoli gruppi, come sulla piazza del mercato”215
quantità di forza lavoro comune andava ormai diminuendo, dato che questa fu la
215
Testimonianza di un operaio Fiat citato da M. Revelli, cit., p. 70.
154
complessive del movimento rivendicativo che aveva caratterizzato il ciclo di lotte
Sul piano politico il PCI scontava gli anni del c.d. “immobilismo dignitoso” e
della supplenza sindacale, che in un certo senso fu la causa nella nascita della
nuova via assunta dalla segreteria Berlinguer nel ’72 del “compromesso storico”,
da lui proposto per la prima volta a cavallo tra il ’73 e il ‘74. La proposta era
politica neofascista e dei primi nuclei terroristi di sinistra. Berlinguer ritenne che
crescere varie forze conservatirici ed eversive della destra, che auspicavano già da
cilena217, auspicava una unità di azione politica e governativa, tra i grandi partiti
popolari che avevano condotto la liberazione nazionale: PCI, PSI e DC. Tra l’altro
la svolta a destra delle elezioni anticipate del 1972 fu la prova di una reazione
dell’asse politico e la prova che PSI e PCI non potevano sperare di governare
recapitato alla montante violenza di sinistra e a quei gruppi clandestini che già dal
216
G. P. Cella, Le difficoltà della rivendicazione, cit., p. 162.
217
L’intervento del segretario del PCI apparso su “Rinascita” il 28 settembre del ’73, avvenne in
concomitanza con il colpo di stato in Cile del generale Pinochet e la caduta del governo social-
comunista di Allende.
155
‘73 diffondevano propaganda per la lotta armata e che volevano imprimere un
società in cui lavoratori avrebbero dovuto assumere uno stile di vita austero nella
speranza che i sacrifici dei lavoratori non sarebbero stati vani. Furono questi i due
nella capacità di apertura della DC alle riforme sociali e ad una politica etica,
del progetto di Berlinguer.”219 Nel suo interno molte erano le anime conservatrici
personaggi, tra cui Moro, auspicavano l’entrata nel governo del PCI, ma
il PSI. Una versione totalmente diversa dalle trasformazioni strutturali e dalla via
della stesura comune del programma, ma senza nessun Ministro nel governo per i
partiti della sinistra. Era una soluzione di coalizione inedita, l’unica per i partiti di
sinistra per incidere in qualche modo nella grave situazione di crisi. E fu praticata
218
Proprio nel 1973 alcuni gruppi rivoluzionari si sciolsero e molti attivisti scelsero la
clandestinità. E’ chiaro che da quel momento, le Brigate Rosse, fondate nel 1970, andavano
ingrossando le proprie file e a passare dalla propaganda armata ai sequestri di persona: proprio nel
giorno di insediamento di Agnelli alla presidenza di Confindustria ci fu il rapimento del giudice
Sossi.
219
P. Gisborg., cit., 481.
156
nonostante un’opposizione interna sia nel PSI che nel PCI e sia nel movimento
sindacale, che auspicavano una nuova unità a sinistra e uno sbocco genuinamente
riformatore delle lotte degli anni ’70. Dopo due governi di unità nazionale, il
progetto politico del compromesso storico, che in definitiva fu una delle poche
operazioni politiche di rilievo nella politica italiana degli anni settanta, venne
scelta della lotta armata. Alcuni dei fondatori delle Brigate Rosse provenivano
direttamente dall’esperienza giovanile nel PCI, che in questa fase non garantiva
delle strutture sindacali nelle fabbriche, in quelle più grandi andò montando quel
riflusso verso l’individualismo e il rifiuto del lavoro, che andò intaccando i tessuti
iniziarono la loro ultima sfida, questa volta con i mezzi della violenza verso i
che era stata alla base delle costruzione delle “comunità operaie” nelle fabbriche,
assieme all’entrata nelle fabbriche di una nuova leva operaia sempre più
come unico “partito operaio”, quello armato. Alla Fiat, tra il ’75 e l’79 furono 16
157
terroristiche delle B.R e di Prima Linea. Come vedremo nel prossimo capitolo,
considerevolmente.
razionalizzazione
e addirittura indicato gli anni ’70 come gli anni in cui si raggiunse il punto più alto
della parabola del sindacato, lo stesso si potrebbe affermare del primo decennio
di vita dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori, che in questo lasso di tempo visse la
politico assunto dal movimento operaio e sindacale fu in questi anni il più alto mai
raggiunto nella storia dell’Italia repubblicana, ciò fu dovuto anche grazie agli
cui esso fu portatore. Il largo favore politico e giuridico dello Statuto nelle
vicende sindacali e del lavoro di quegli anni infatti, venne messo in discussione
solo a partire dal 1979, in concomitanza con i primi segnali della crisi sindacale e
in generale del mondo del lavoro edificato sul modello fordista. Sulla stessa linea
realizzò grazie a fattori differenti, che oggi ci permettono di delineare due fasi
158
conflittuale, il movimento operaio e sindacale, nonostante critiche provenienti “da
sinistra” e “da destra”, investì la legge di un forte valore simbolico per alimentare
la spinta alla mobilitazione, affermare gli stessi diritti sanciti dalla legge e
della legge all’affermazione dei diritti dei lavoratori e del movimento sindacale,
non fu solo effetto della sua applicazione giudiziaria per reprimere quelle
così dire indotto delle direzioni aziendali a non praticare atti vietate dalla legge.
dominato ancora da forti spinte di base dei lavoratori, queste spesso furono
diversificate e non rette da una linea omogenea e generale. In questa lotta per la
giustizia infatti, ad un uso che a buon ragione si direbbe mosso da una logica
extrasindacale, che ebbe notevoli appoggi sia in dottrina che nella giurisprudenza.
dall’affermazione giuridica della legge nella società italiana, che da una parte ne
aumentò l’uso più accorto da parte del sindacato secondo una più forte logica del
operatori del diritto e tra questi e il movimento sindacale. In questa seconda parte,
159
Statuto completò la sua opera di inserimento nel nuovo sistema di relazioni
Fu poi sul finire del decennio che lo Statuto entrò in crisi, in un processo di
alla realtà socio-economica in continua evoluzione. Una non perfetta aderenza che
iniziò a svelare le prime rughe e che inaugurò i primi dibattiti per il suo
all’azione conflittuale nei luoghi di lavoro, come abbiamo visto, in quegli anni
un punto di arrivo delle lotte dell’autunno caldo e non rappresentò affatto una
proprie organizzazioni. Tutto ciò non solo per disattendere “i tentativi in atto, in
sindacato e alle libertà del singolo lavoratore”221 - nonostante lo Statuto sia legge
dello Stato - ma anche per estendere alle “zone deboli” della mobilitazione,
“Bisogna ricordare […] che non tutte le fabbriche né tutte le zone del nostro Paese hanno la
stessa capacità di lotta; alle più deboli la nuova legge porta un non indifferente contributo. In
queste zone una battaglia per l’applicazione dello Statuto può essere l’occasione di una loro
220
G. Vinay, Lo “Statuto”: un punto di partenza, in “Rassegna sindacale”, 1970, n. 188-189.
221
P. Boni, Applicare e far applicare lo statuto dei lavoratori, in “Rassegna sindacale”, 1970, n.
194
160
maggiore sindacalizzazione […]. Il sindacato dovrà quindi condurre in prima persona tale battaglia
politica”222
politico dello Statuto che, indipendentemente dal suo uso giudiziale, avrebbe
dovuto comportare un allargamento dei diritti dei lavoratori e del ruolo dei
nelle zone calde della mobilitazione, ma anche nelle c.d. zone periferiche del
conflitto, abbracciando anche larghe fasce del lavoro non industriale. Ciò non solo
per l’elevata coscienza dei propri diritti che i lavoratori andarono assumendo, ma
provenienti da larghi settori del mondo del lavoro. Ed è chiaro che la diffusione di
massa del testo dello Statuto con i relativi commentari, da parte delle
in questo senso.223
In questi anni si fece anche un largo uso da parte dei lavoratori e delle
Stato. Un uso non solo individuale e di apporto legale ai singoli lavoratori per
222
G. Vinay, cit.
223
Nell’articolo di P. Boni, risalente ai mesi successivi all’approvazione della legge, egli notava
che erano già state distribuite circa 250.000 copie e che provenivano al sindacato continue
richieste.
161
specificatamente sindacale (Titolo III dello Statuto e art. 28), soprattutto per
estendere il controllo organizzativo anche nelle “zone deboli” del movimento dei
ruolo sociale e politico nelle Paese. Lo Statuto quindi non solo fu complementare
tra gli attori principali della legge: i lavoratori e le strutture sindacali e di questi
con gli operatori del diritto. Per quanto riguardava la relazione tra lavoratori e
fatto che il rapporto tra le due linee di politica del diritto di cui consta la legge -
cioè il sostegno del legislatore alle confederazioni sindacali nei luoghi di lavoro
(Titolo III e art. 28) e la “protezione delle situazioni soggettive di base che
224
T. Treu, Azione sindacale e nuova politica del diritto, in L’uso politico dello Statuto dei
lavoratori, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 17. Qui il giuslavorista sottolineava come dall’entrata in
vigore dello Statuto, la quantità dei conflitti di lavoro gestiti in sede giudiziaria cresceva
notevolmente, diversamente al numero stabile dei conflitti in sede civile, pur in un contesto di forte
vitalità della società civile italiana.
162
sindacali straniere, che avrà un seguito nella fase di applicazione giudiziaria”.225 Il
continua dialettica con il sindacato in quanto “vertice” e ciò, per quanto riguarda
pendendo ora verso una burocratizzazione dell’uso degli strumenti preposti dallo
Statuto, ora verso un uso più spontaneo, secondo le spinte della base non sempre
riguardava le confederazioni. Come dire che, se su piano sindacale furono gli anni
recupero. Infatti molti comitati di base e consigli di fabbrica fecero un largo uso
della legge anche senza l’appoggio del sindacato, facendo leva sia sulla parte dello
225
U. Romagnoli, T. Treu, I sindacati in Italia, cit., pp. 87-88.
226
P. Martinelli, Interesse collettivo, interesse individuale, interesse sindacale nello Statuto dei
lavoratori, in “Quale Giustizia”, 1972, n. 15/16, pp. 347, 348.
163
giudici aperti ad un “uso alternativo del diritto”.227 Questa linea di tendenza si
connetteva ad ambienti politico-sindacali e giuridici che sin dai primi mesi di vita
di tale visione stette nel fatto che, nonostante questi ritennero lo Statuto una
raffreddamento del conflitto228) essi fecero un largo degli strumenti forniti dallo
Statuto. Ad essere messi sotto accusa furono praticamente tutti gli articoli dalla
legge, specialmente quelli previsti nel Titolo III, perché colpevoli di espropriare i
diritti di libertà conquistati con le lotte per attribuirli alle organizzazioni sindacati
alternativa allo spirito della legge denunciato, che riuscisse a difendere le lotte dei
lavoratori dalle repressioni nei luoghi di lavoro. Fu subito chiaro al sindacato che
altro fronte del tutto nuovo, su cui si sarebbero potute aprire fratture. Attorno a
essere usati nell’interesse della classe operaia ogni volta che ciò sia possibile”229.
227
P. Barcellona (a cura), L’uso alternativo del diritto, Laterza, 1973.
228
Comitato di difesa e lotta contro la repressione, Uno “Statuto” per padroni e sindacati, in
“Quaderni Piacentini”, 1970, n. 42, pp. 75 ss.
229
Id., Statuto dei lavoratori e legislazione sulle fabbriche. Linee di un bilancio politico, in
“Critica del Diritto”, 1972, n. 2, p. 60.
164
del Comitato di difesa e lotta contro la repressione: un gruppo di avvocati e
“l’utilizzazione delle strutture legali e giudiziarie un momento necessario di lotta politica non
riformista, in quanto consente di sfruttare una delle istituzioni più contraddittorie del sistema
democratico-borghese […]”230
invase da decine di lavoratori come apporto fisico alla lotta. Altre volte la
pressione rimaneva fuori dalle aule, ma presente nei pressi dei Palazzi di
Giustizia. Un metodo per far sentire il peso della vertenza di fronte al giudice.
Romano Canosa, un giudice del lavoro di Milano, così descrisse quegli anni:
“Gli operai arrivavano in massa, alle volte addirittura in corteo, qualche volta anche nei
corridoi della pretura con gli striscioni e le bandiere. […] In genere gli operai ascoltavano in
silenzio, salvo rumoreggiare quando i rappresentanti delle aziende la sparavano grossa o quando i
legali di queste si lasciavano andare a qualche manifestazione di livore antioperaio […]”231
Per gli avvocati della “nuova sinistra” anche una sconfitta poteva essere utile,
l’importante era che la vertenza fosse guidata dagli stessi protagonisti della lotta
quindi di rottura degli schemi consolidati nel sistema giudiziario. E’ chiaro che il
230
Ivi., p. 65
231
R. Canosa, Storia di un pretore, Torino, Einaudi, 1978, p. 43
165
vertenza, valutarne il rapporto di forze in gioco in un rapporto dialettico tra
L’uso rivoluzionario dello Statuto ebbe molto successo soprattutto nelle aree
di forte mobilitazione di base, cioè nel triangolo industriale, mentre non ebbe
fortuna nelle zone di basso conflitto e dove era presente un sindacato vecchio e
soprattutto della nocività facendo leva sugli artt. 9 e 13 dello Statuto. Alle
operai e non dal sindacato. Fu il caso della Cartiera Binda e di alcuni reparti
fortemente dannose per i datori. In molti casi infatti le grosse aziende ricorrevano
formalmente di uso esclusivo del sindacato232, fu la via privilegiata per far cessare
232
In una tavola rotonda promossa dalla redazione di “Quaderni di Rassegna Sindacale” P. Boni,
in quel momento segretario aggiunto CGIL, dichiarò in risposta alle affermazioni di G. F. Mancini,
“Non si fanno cause sull’art. 28 se non sono autorizzate da noi”, in Sindacato e politica del diritto,
in “Quaderni di Rassegna Sindacale”, 1974 ,n. 46, p. 17.
166
l’uso dell’art. 28, si verificò anche per i casi di ristrutturazione a cui i lavoratori,
conservazione del posto. Fu il caso del trasferimento nel ‘72 da Milano alla
multinazionale francese, dove negli ultimi anni c’era stata una forte
difesa del posto fu forte e al di fuori dagli schemi del sindacato (questi avevano
optato per una gestione contrattata della ristrutturazione). La lotta venne condotta
dall’iniziativa di base degli operai, con un utilizzo radicale dello Statuto. Tuttavia
167
sindacale233. Veniva cioè superata quella cautela che investiva le strutture
sindacali.
dove il sindacato era storicamente radicato, cioè nelle “zone rosse”, in cui
del conflitto per evitare fratture di tipo politico. In queste zone il ricorso allo
Statuto fu il più basso d’Italia per tutto il decennio. Inoltre il sindacato con lo
sempre ostile alle istanze dei lavoratori, soprattutto in tema di sciopero. E ciò
“La necessità del processo esprime pertanto e rende evidente dei ritardi, delle insufficienze,
spesso degli errori della organizzazione sindacale nella propria azione, e quindi il discorso si
sposta necessariamente e torna alla politica del diritto, a una politica cioè che renda sempre meno
frequente la necessità del processo”235
debolezza degli anni ’50 e ’60 di tutto il movimento sindacale. Al contrario dei
233
P. Martinelli, cit.
234
U. Romagnoli, Una nuova politica giudiziaria, in “Politica del Diritto”, 1972, n. 3-4, p. 363.
235
Le parole sono di B. Cossu, legale della FLM, nell’intervento alla tavola rotonda Sindacato e
politica del diritto, cit., pp. 13-14.
168
gruppi di base, per le grandi confederazioni sindacali si pose il problema di una
la base e quello con gli operatori del diritto. Il rischio organizzazione era quindi
rivolto sia verso lo spontaneismo e i gruppi rivoluzionari, sia verso i giudici, che
con le loro sentenze avrebbero potuto mettere in discussione la forza assunta con
l’azione rivendicativa.
E’ su questo fronte che il sindacato invece riuscì in questi anni a saldarsi con
larghe fasce della magistratura, nel contesto italiano di forte declino dei partiti e
della figura emergente del giudice dissenziente. Il ruolo trainante del dissenso
Democratica (MD) nacque nel 1964, dalla crisi della cultura giuridica e del
giustizia, peraltro, furono inizialmente limitate, anche perché, nei primi anni
236
L. Pepino, Appunti per una storia di magistratura democratica, in “Questione Giustizia”, 2002,
n. 1.
169
delle libertà civili. Lavoratori e sindacati, come abbiamo visto nella prima parte
del lavoro, furono le prime vittime di tale sistema di gestione della giustizia. E’
interna della mozione Tolin238 (supra, I parte, p. 147) si risolse con una scissione
giudice. Il dissenso sociale diffuso nella società italiana in crisi e la sfiducia verso
i partiti al governo, investì quindi anche larghe schiere delle istituzioni e tra questi
con all’appoggio della più grande realtà politica e organizzativa della società
civile: il sindacato dei lavoratori. Ciò rese la politicizzazione del giudice ormai
237
Per le prime linee programmatiche di MD, si veda il documento presentato alle elezioni del
1964 per il rinnovo degli organi dell’Associazione Nazionale Magistrati, in “La magistratura”,
1964 settembre-ottobre, n. 9-10.
238
La mozione è pubblicato sul sito di MD www.magistraturademocratica.it
239
Su un’analisi generale della dialettica politica all’interno della magistratura italiana fino alla
prima metà degli anni settanta, si veda R. Canosa, P. Federico, La magistratura in Italia dal 1945
ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1974.
170
una maturazione storica. E se il conflitto ebbe in quegli anni il luogo privilegiato
“[…] comporta[rono] un allargamento generale degli spazi di relativa autonomia delle varie
istituzioni pubbliche, che assu[nsero] funzioni più o meno di supplenza. La magistratura si presta
ad occupare con un ruolo specifico alcuni di questi spazi lasciati vuoti, perché [dovrebbe essere]
l’istituzione separata per eccellenza […]”240
Quale strumento migliore dello Statuto per incidere e sviluppare la lotta per il
che si inserì l’opera di quei giudici che vedevano nell’applicazione dello Statuto
stesso tempo una loro affermazione sociale in supplenza al potere politico. Tutto
“[…] l’intensità della frequenza dei contatti conflittuali tra le parti collettive delle relazioni
sindacali, accresciute dai caratteri della nostra situazione sindacale, moltiplicano le occasioni e la
complessità degli interventi mediatori del giudice e lo costringono ad attivare inusitate risorse
politiche di comprensione dei meccanismi e dei contenuti del conflitto del lavoro”.242
240
T. Treu, Azione sindacale e nuova politica del diritto, cit., p. 28.
241
G. F. Mancini, Il contropotere dei giudici: contenuto e limiti, in “Politica del Diritto”, 1972, n.
3-4, pp. 367.
242
G. Montera, L’applicazione giurisprudenziale dello Statuto e la cosiddetta “giurisprudenza
alternativa, in C. Smuraglia (a cura di), Lo Statuto dei lavoratori dieci anni dopo, Milano,
Unicopli, 1981, pp. 215-16.
171
Essendo i diritti dei lavoratori, il più grande dei tasselli di un mosaico di
“interessi diffusi della società”243 (ecologia, tutela del consumo,…), il giudice del
lavoro assunse una centralità inedita nel contesto degli anni ’70. Ma lo Statuto
Se poi a questo si aggiungeva il fatto che “la domanda di giustizia che lo Statuto,
comprenderà come quella domanda non possa essere “trattata” con gli schemi
Statuto, non solo favorendo il ruolo del sindacato nei luoghi di lavoro anche
periferici del conflitto, ma anche rimuovendo tutti gli ostacoli che di fatto
Paese (art. 3 Cost.). Romano Canosa, parlando della sezione lavoro del tribunale
“Eravamo in dieci, tutti aderenti a MD, tranne uno il quale, anche se “moderato”, non si
discostava di molto dagli altri nei contenuti delle sue decisioni. […] l’intento di utilizzare lo
statuto, nella misura più ampia consentita dalle sue norme, comune a tutti. Comune a tutti era
anche la disponibilità verso quanto di nuovo stava accedendo nelle fabbriche, tutto di nuovo, di
provenienza sindacale ortodossa o dei gruppi della “nuova sinistra”.245
243
S. Rodotà, Le due liberalizzazioni, in “Politica del Diritto”, 1971, pp. 189 ss.
244
G. Montera, cit., p. 222.
245
R. Canosa, Storia di un pretore, cit., p. 47.
172
Su questa linea interpretativa dello Statuto si collocano molte delle
in una stretta finalizzazione delle attività produttive”246 e far entrare nella fabbrica
lasciando larghi spazi anche all’iniziativa e alle aspirazioni operaie e sindacali dei
“Non bisogna infatti dimenticare il peso rilevante delle componenti di resistenza al nuovo
modello di relazioni industriali, quali i settori più arcaici del padronato, certamente non minoritari,
almeno numericamente, la vecchia cultura giuridica ancorata alla rigida astrattezza dei sistemi
giuridici, le fasce più arretrate della magistratura depositarie di poteri gerarchici all’interno del
corpo, all’uso dei quali non si è fatto a meno di ricorrere per “epurare” pretori colpevoli solo di
una rigorosa applicazione giuridica dello Statuto”247
sciopero e intimamente legata alle scelte strategiche del movimento dei lavoratori
movimento dei lavoratori dai quei lacci sulle modalità di lotta che stavano alla
246
G. Suppiej, Il potere direttivo dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori,
in AA.VV., I poteri dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori, atti del IV
Congresso di Diritto del Lavoro, Milano, Giuffrè, 1972, p. 26.
247
G. Montera, cit., pp. 229-30.
173
base della sua debolezza passata. Nella stessa prospettiva va vista la riscoperta
dell’art. 700 del c.p.c., che permetteva il ricorso al pretore qualora un diritto
tempi del processo. Ciò da una parte contribuì a dare soluzione parziale ad una
delle cause principali della sfiducia delle classi subalterne verso la giustizia e
importante mezzo per rendere effettivo il diritto alla reintegra sancito dall’art. 18
licenziamenti fu anche usato l’art. 612 c.p.c., utilizzato per rimettere forzosamente
248
Tutti i commentatori e le indagini sui primi anni di applicazione dello Statuto, sottolineavano la
scarsa applicazione del regime di stabilità reale e registravano invece la pratica diffusa
dell’indennizzo del lavoratore licenziato. Su tale aspetto si veda l’interessante sondaggio di M.
Fidanza, M. Magnani, Domanda di giustizia ed uso dello Statuto: un sondaggio a Monza, in
“Quaderni di rassegna sindacale”, 1974, n, 46, pp. 124 ss.
174
e valutare la presenza di atteggiamenti discriminatori (art. 15). Inoltre bisogna
sottolineare la capacità di trovare mezzi adeguati per far fronte alle lacune dello
ristrutturazioni aziendali. Lo stesso si potrebbe dire del loro approccio verso l’uso
nella prima fase di attuazione dello Statuto. Molte di quelle conquiste furono
acquisite dal sindacato e praticate anche nella seconda fase, anche se queste
avrebbero potuto minare il ruolo politico e sociale delle confederazioni. Tanto che
249
M. Pedrazzoli, Il compagno pretore e le lotte operaie, in “Politica del Diritto”, 1972, n. 3-4, p.
377.
250
G. Randone, intervento al Seminario di Studi 29-30 Aprile 1974, L’esperienza dei primi anni di
applicazione dello statuto dei lavoratori, 1974, Roma, Fed. Naz. Cavalieri del Lavoro, p. 73.
175
Prendendo spunto da questa citazione, che tuttavia porterebbe a conclusioni
sindacale, ancora molto forte nella prima fase di applicazione, fu presente anche
nell’uso dello Statuto, poiché permesso dal carattere ambivalente della legge e
quindi dalla sua aderenza alla realtà sociale. Di fronte ad uno strumento nuovo,
grazie alle punte più progressiste di tale processo, riuscì da una parte a dare
risposte alla forte domanda di giustizia proveniente dalle situazioni soggettive del
stata vista in generale come una delle più aderenti alla realtà sociale e quindi
investì gli stessi giuristi “riformisti” che più di tutti avevano sostenuto lo spirito
fronteggiare le opposte critiche provenienti sia “da sinistra” che “da destra”251.
251
In tal senso si veda la polemica in dottrina “a tre”, tra A. Converso, Lo statuto dei lavoratori, in
“Quale Giustizia”, 1970, n. 2 “da sinistra”, G. Pera, Interrogativi sullo Statuto dei lavoratori, in
“Diritto del Lavoro”, 1970, pp. 188-216, “da destra” e la risposta del riformista G. Giugni, I tecnici
del diritto e la legge “malfatta”, in “Politica del Diritto”, 1970, pp. 479 ss.
176
Questi tuttavia non riuscirono ravvisare nelle critiche provenienti “da sinistra” le
di smontare l’intera legge assieme alle critiche provenienti “da destra” perché
avrebbero avuto
“[…] una conseguenza cattiva; una conseguenza che fa il gioco della destra più retriva e
rischia di ritorcersi a danno dei lavoratori […] Il fatto è che nel mondo giuridico italiano non ci
siamo solo noi: intendo dire noi di “Politica del Diritto”, da una parte, il Comitato milanese coi
suoi più cauti maggiori, dall’altra, e, in mezzo, gli amici di “Quale Giustizia”.252
della classe operaia che sia dotata di “memoria”, di durata, che sia capace di
tregua”253, non poteva ancora essere disgiunto dal fatto che “il sindacato […]
travaglio reale: per esso, investito da una spinta senza precedenti, rinnovarsi era
una questione vitale, di sopravvivenza254. Non c’è dubbio che le critiche “da
252
G. F. Mancini, Sul metodo di alcuni giuristi della sinistra extraparlamentare, in “Politica del
Diritto”, 1971, n. 1, p. 105.
253
Ivi, p. 101.
254
A. Carlo, Le avventure della dialettica e lo statuto dei lavoratori, in “Critica del Diritto”, 1974,
p. 17.
177
peso politico delle vittorie inaspettate in sede giudiziaria fu fondamentale per
calo dei casi di uso spontaneista e da una stabilizzazione delle applicazioni in sede
agli effetti della crisi economica e alle conseguenze che questa ebbe sulle strategie
del sindacato, descritte nel paragrafo sul contesto politico e sindacale, perché
“[…] lo Statuto è una legge elastica il cui contenuto muta col mutare dei soggetti che la
applicano e del contesto sociale in cui si inserisce; ciò avviene, in certa misura, per tutte le leggi,
ma il fenomeno della elasticità raggiunge i massimi livelli proprio nell’ambito giuslavoristico,
perché questa branca del diritto è legata in maniera immediata alla sfera dei rapporti di forza socio-
politici tra le classi.”256
In questo senso il dibattito sullo Statuto si inserisce nel più ampio dibattito
“esse sono conquiste della lotta operaia e strumenti di regolazione dei rapporti di classe,
superamento dell’arcaismo proto-capitalista delle relazioni industriali nel nostro paese e nello
stesso tempo canali di controllo della conflittualità di base da parte di un sindacato istituzionale e
di un management illuminato”257
C’è da sottolineare il fatto che nella seconda parte del decennio si inserì
255
G. Amato, Sistema giudiziario e dissenso sociale, in “Politica del Diritto”, 1972, pp. 308 ss.
256
A. Carlo, cit., p. 16.
257
A. Meucci, F. Rositi, L’ambivalenza istituzionale: sindacato e magistratura nell’applicazione
dello statuto dei lavoratori, in L’uso politico dello statuto dei lavoratori, cit., p. 135.
178
escludendo le applicazioni più estremistiche della legge, ribadirono in ultima
prevalentemente sulle parti della legge più inclini al sostegno del sindacato (art.
della legge, nelle due sentenze che dichiaravano la costituzionalità dell’art. 19259 e
dell’art. 28 (n. 54 del 6 Marzo 1974). Per quanto riguarda l’art. 19, negando
l’incostituzionalità della norma, la Corte rilevò che i diritti sindacali in capo alle
r.s.a. in base allo stesso articolo, erano da attribuire alle organizzazioni sindacali
piccoli gruppi isolati di lavoratori [si pensi anche al sindacato CISNAL], costituiti
258
T. Treu, Una ricerca empirica sullo statuto dei lavoratori negli anni ’80, in “Giornale di diritto
del lavoro e di relazioni industriali, 1984, n. 23, p. 513.
259
La norma fu la prima ad essere rinviata in via incidentale già nel novembre ’70, Pret. Milano,
14 novembre 1970, in “Quale Giustizia”, 1970, nn. 5-6, pp. 49 ss. “[…] nessuna norma dello
statuto ha suscitato finora dibattiti più appassionati e polemiche più roventi […] e non è certo un
caso che essa sia stata anche il primo disposto oggetto di un’ordinanza di rinvio alla Corte
Costituzionale.” La citazione è di G. F. Mancini autore del più completo saggio in cui si commenta
il dibattito sull’art 19, Le rappresentanze sindacali aziendali nello statuto dei lavoratori, in
“Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile”, 1971, pp. 766 ss.
179
possano pretendere di espletare tale funzione[…].”260 Se da una parte da tali diritti
sinistra” operaista, che aveva ispirato un uso della legge molto avanzato e
progressivo. Alcuni di questi gruppi, come abbiamo visto, scelsero la via della
di “attacco al cuore dello Stato”. Il sequestro del giudice Sossi, come altri gravi
loro elezione diretta su scheda bianca, ma anche la crescita del loro numero,
stesso si può dire del parere sull’ uso dell’art. 28, che la Corte attribuisce ai soli
180
sindacato per accertare la condotta antisindacale. Una tendenza, quella delle Corti,
alle lotte di classe […], giudici democratici – la cui azione” ebbe “un significato
opposto […]”, ma che con esse interagirono “nella comune lotta contro le
effetti, sia nella prima che nella seconda fase, tutto il filone più conservatore del
più aspre proprio nel momento in cui incise di più la giurisprudenza e l’uso
Ciò che bisogna rilevare quindi è che nella seconda parte del decennio,
aggiunse anche una riduzione dei tempi dei procedimenti giudiziali e un aumento
delle cause conciliate. Tali andamenti furono il segno che “a livello processuale,
261
G. Montera, cit., p. 229.
262
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., p. 188.
181
si unisce il fatto, che dopo il boom iniziale (primi mesi del ’70) i ricorsi su materie
di tipo sindacale (Titoli III e art. 28) andarono diminuendo, mentre ci fu un forte
“[…] l’avvenuta acquisizione anche sul piano giuridico dei principi legislativi in tali materie,
che sono quelle più caratterizzanti l’obbiettivo promozionale della legge.”263
Acquisita quindi dagli attori sociali la presenza del sindacato nei luoghi di
concentrato sulle questioni del licenziamento (art. 18) e su quello dei trasferimenti
(art. 13). Ciò è da ricollegare alla situazione economica che sollevò maggiormente
importante indotto dallo Statuto: cioè l’uso ormai diffuso e capillare della
innovativi della legge, il dibattito sullo Statuto, tra operatori del diritto e sindacati
comune valutazione che la legge fu “una delle poche riforme che non sono fallite”
263
T. Treu, Una ricerca empirica, cit., p. 506.
264
Si vedano le relazioni dei giuristi G. F. Mancini, T. Treu, U. Romagnoli , G. Giugni e gli
interventi dei sindacalisti P. Boni, R. Scheda, D. Valcavi, M. Colombo o anche di avvocati vicini
al sindacato e componenti dei consigli di fabbrica, in AA.VV., Lo statuto dei lavoratori: un
bilancio politico. Nuove prospettive del diritto del lavoro e della democrazia sindacale, a cura di
G. Arrigo, Bari, De Donato, 1977.
182
e che per certi versi ha “funzionato al di là delle aspettative degli interessati”265.
Detto ciò, il discorso si spostò inevitabilmente sulle lacune lasciate dallo Statuto e
applicarlo alle piccole realtà produttive al di sotto dei 15 dipendenti (art. 35) e agli
enti pubblici non economici (art. 37), rese questi articoli in contrasto tanto con
l’emergere consistente della “Terza Italia” e dei distretti industriali267, quanto con
il proliferare di enti pubblici, come anche con una strisciante ristrutturazione per
inaugurato il dibattito serrato attorno ai grandi cambiamenti degli anni ottanta, che
265
T. Treu, ivi, p. 24.
266
Si veda il capitolo secondo di P. Alleva, Il campo di applicazione dello statuto dei lavoratori,
Milano, Giuffrè, 1980.
267
G. Beccattini, Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, Il Mulino, 1987.
268
G. P. Alleva, cit., p. 3.
183
CAPITOLO II
2.1 Premessa
Il decennio che ci apprestiamo a trattare si aprì con la prima crisi dello Statuto
nel pieno della sua giovinezza. Le numerose critiche rivolte per un decennio alla
legge 300, erano rimaste relegate a settori marginali della politica e della comunità
additato come uno dei principali mali della nuova società flessibile e tecnologica.
aderente ad una realtà socio-economica che non era mutata nei suoi caratteri
strutturali. Per questo i primi dibattiti sul presunto invecchiamento della legge,
prima crisi post-maturità aveva ragioni di carattere politico, perché correlate alla
che entrava nelle fabbriche. Quindi questa prima crisi era frutto del più ampio
movimento operaio era riuscito a conquistarsi. Tra il ’79 e l’80 la crisi economica
non era più sostenibile tanto per gli imprenditori quanto per i poteri istituzionali.
Per questo è utile nel primo paragrafo ripercorre gli albori del declino dello
Statuto.
184
produzione. Si dovrà per altro attendere il definitivo dispiegarsi della società post-
con l’avvio di questi processi lo Statuto effettivamente iniziò ad essere turbato nei
fordismo che vanno rintracciate le radici delle alterazioni della legge 300. Per
terzo ed ultimo paragrafo, daremo ampio spazio alle “avventure” dello Statuto in
Al principio degli anni ’90 ne uscirà uno statuto alterato, rivisitato, ma ancora
2.2 La vicenda dei 61 licenziamenti alla Fiat alla vigilia della crisi
A cavallo tra il ’79 e l’80, con il caso dei 61 licenziamenti alla Fiat di
declino della centralità politica e sociale del sindacato industriale in Italia. Per un
269
A. Salento, Postfordismo e ideologie giuridiche. Nuove forme d’impresa e crisi del diritto del
lavoro, Milano, F. Angeli, 2003, p. 29.
185
sindacale, una vera e propria “università della lotta” fu definita.270 Fu quindi
subito chiaro, agli imprenditori italiani, che la svolta nelle relazioni industriali
non poteva che partire dalla Mirafiori “capitale operaia”271. D’altronde la Fiat,
come accadde nel ’55, avrebbe rappresentato il luogo ideale per consumare le
avviata il 9 ottobre ‘79, non rappresentò solo l’origine di una sconfitta, quella dei
35 giorni di sciopero a cui seguì la marcia dei 40.000272. Con essa ebbe inizio
settanta, ma che in questo momento assunse caratteri del tutto nuovi e soprattutto
creare un clima politico che mise in discussione la “genuinità” della norma. Una
sociale, ma che gli eventi del terrorismo e della violenza nelle fabbriche da una
mettere in discussione per la prima volta. Solo nella seconda parte del decennio,
sulla scorta dei grandi cambiamenti degli anni ottanta, le “rughe” dello Statuto
186
pubblica, delle parti sociali e degli operatori del dritto sul ruolo del garantismo nei
luoghi di lavoro.
“Le contestiamo formalmente il comportamento da Lei sin qui tenuto, consistente nell’aver
fornito una prestazione di lavoro non rispondente ai principi della diligenza, della correttezza e
della buona fede; e nell’aver costantemente mantenuto comportamenti non consoni ai principi di
civile convivenza sui luoghi di lavoro […]. In relazione a quanto sopra, e cioè tanto per le moralità
della Sua prestazione quanto per il comportamento da Lei tenuto in connessione con lo
svolgimento del rapporto di lavoro, Ella ci ha procurato nocumento morale e materiale […] nel
concorso di tali circostanze è divenuta impossibile la prosecuzione del Suo rapporto di lavoro”274
Tra l’altro secondo il contratto collettivo per la Fiat questi sarebbero stati
non lo erano più per via della loro posizione polemica verso la linea confederale
esse non arrivarono a “ciel sereno”, anzi il cielo era già pesantemente rannuvolato
dipendenti Fiat. Oltre ad aggressioni e ferimenti, i terroristi avevano già ucciso per
ben tre volte. L’ultima volta il 21 settembre: ad essere assassinato fu l’ing. Carlo
la decisa reazione dei vertici Fiat, non solo contro il terrorismo, ma soprattutto
contro quelle lotte “dure” che contribuirono a creare “il grave clima che da tempo
274
Citato in ivi, p. 10.
187
strategia dei terroristi. Subito dopo l’agguato infatti, un nota informativa275
“il clima trova troppo pavide coperture e costituisce il terreno fertile per le azioni criminose
che certamente hanno, all’interno delle fabbriche, le loro basi di appoggio”.
E ancora:
“la strategia della destabilizzazione, obbiettivo dichiarato dei terroristi, ferimenti e uccisioni
sono solo l’aspetto più doloroso e impressionante di quella campagna che passa per i sabotaggi
della produzione, le telefonate intimidatorie, gli atti di violenza sui capi: tutti fatti che concorrono
a creare quel clima di insicurezza nel quale il terrorismo si è sviluppato.”
Non è difficile, per i lettori più attenti di quotidiani, fare i conti e arrivare al
tale situazione di ingovernabilità della fabbrica. Due settimane dopo, per via
Fiat diramò nello stesso giorno un “dossier terrorismo” in cui nella nota
nel giudizio gli atti criminali che si sostanziano in ferimenti e uccisioni, da quegli atti che,
superando i limiti di un corretto confronto tra le parti sociali, finiscono per contribuire ad un clima
di tensione e di terrore”.276
Chi più del sindacato dovrebbe garantire il normale confronto delle parti
sindacato fosse troppo debole non solo verso i terroristi, ma anche verso azioni di
275
In “L’Unità” del 22 settembre 1979.
276
In “la Repubblica” del 10 ottobre 1979.
188
non diramò nessuna notizia sui fatti addebitati direttamente ai 61 licenziati. La
decisione della dirigenza Fiat di fare sul serio, venne confermata nello stesso
giorno, quando questa annunciò il blocco delle assunzioni delle circa 130 società
del gruppo. Il blocco per tanto si inseriva nella strategia “di favorire il ripristino
“non in quanto, però, appaia da riformarsi in relazione alla crisi profonda che oggi lo
caratterizza, di fronte alle continue scomposizioni che segmentano il mercato del lavoro[…] Ma
proprio in quanto si basa su una concezione di fondo, che lo vuole come una funzione pubblica
ispirata al principio dell’imparziale distribuzione delle occasioni di lavoro mediante criteri
obbiettivi.278
Inoltre celava l’attacco allo stesso art. 8 dello Statuto dei lavoratori, che di
dell’opinione pubblica critica verso gli istituti simbolici del mondo del lavoro,
ormai da ritenere non intoccabili per via della violenza che si andava sviluppando
Scalfari fatta ad Agnelli sulla vicenda, venne pubblicato un dossier proprio sullo
277
Ibidem.
278
Processo, cit., p. 17.
189
Statuto dei diritti dei lavoratori, aperto da una firma prestigiosa del giornalismo
politicamente per la prima volta l’istituto simbolo del potere operaio e sindacale e
recitava così: “E’ colpa dello Statuto dei Lavoratori se l’industria italiana è in
descriveva il contesto da cui lo Statuto scaturì e allo stesso tempo dava una
fortemente politico e a volte eccessivamente “da una parte sola”, qua e là con toni
del Senato (si veda parte I, cap. 3). L’analisi in poche parole era volta a dare dello
Statuto una visione per il quale il testo, fortemente politicizzato dalla sinistra
durante l’autunno caldo, era in quella fase troppo garantista, in un Italia in cui
venivano ripercorsi i principali articoli della legge, che furono già oggetto di
critiche “da destra”: dall’articolo 1 (troppo vago e per questo permissivo verso
279
Statuto dei lavoratori. Chi comanda in fabbrica, in “la Repubblica – Dossier”, Sabato 20
ottobre 1979.
190
azioni violente), all’art. 5 (che permetterebbe l’assenteismo), passando per l’art. 8
come legge nel suo assieme è una conquista democratica; e che nessuna sacralità
Le parole di Bocca, al di là del ragionevole giudizio sul fatto che una legge
può avere dei problemi di attualità e che quindi può essere in ogni momento
stava incidendo sulle dinamiche politiche e di come la sua sfida stava producendo
impersonato per tutti gli anni ’60 e parte dei ’70 il ruolo del giornalista che usava
la penna per affermare nella società italiana maggiori diritti per le classi
con altri paesi280, come anche ricostruendo gli anni del “bastone nelle
una critica serrata all’eccessivo garantismo provocato dallo Statuto e causa prima
dei mali economici e sociali della società italiana. Unico dato di segno contrario,
280
Si veda l’articolo di L. Giustolisi, Licenziare all’estero.
281
Si vedano gli articoli di M. Maffai, Come finì il tempo della schiavitù, C. Sereni, Quando in
Fiat si reprimeva.
191
l’intervento del solito U. Romagnoli282 e la pagina in cui si interrogavano partiti e
Il sindacato da parte sua fu messo decisamente alle strette dalla strategia della
individualmente gli operai usando l’art. 700 c.p.c. per violazione delle procedure
per il licenziamento? E’ chiaro che il sindacato era consapevole di non avere nulla
a che fare con il terrorismo, che minava la stessa esistenza delle strutture del
sindacato in azienda. Ma come fronteggiare l’impostazione data dalla Fiat che non
picchetti “duri” o anche i cortei interni e allo stesso tempo respingere la strategia
Fiat che palesemente cercava di imprimere una svolta in vista delle ristrutturazioni
della Fiat, ma che allo stesso tempo riuscisse a garantire davanti all’opinione
282
U. Romagnoli, Quello che ha capito il Sciur Brambilla.
283
No, cambiarlo non si può.
192
richiedevano a gran voce quali fossero le prove che incriminavano i 61 operai284.
base, sia tra i vertici e gli esperti del collegio di difesa. Le inchieste di G. Pansa su
ai vecchi operai, o anche alla stanchezza dei capi, stufi degli scioperi, delle
minacce e del disordine della produzione. Una tensione interna che si confermò
sia durante gli scioperi indetti contro i licenziamenti, come anche nell’assemblea
dei delegati al Palazzetto dello Sport del 16 ottobre.285 Una tensione interna al
sindacato che sarà palese qualche mese più tardi con la marcia dei 40.000. Inoltre,
come abbiamo visto, proprio sul fronte dell’opinione pubblica, la situazione non
fu facile per il sindacato. Si andava incrinando quel “felice connubio”286 tra una
del sospetto”, cioè quella che imputava al sindacato di essere troppo garantista
“V’è, tra loro, chi argomenta, evidentemente già facendo propria una presunzione di
colpevolezza, nel senso che le garanzie formali vanno bene soprattutto per difendere gli innocenti,
[…] Come se, nei confronti di eventuali colpevoli, potessero giustificarsi processi sommari”287
284
Si vedano nei quotidiani degli stessi giorni le richieste ufficiali da parte dei dirigenti del
sindacato locale e di categoria.
285
Tutti gli organi di stampa riportarono i fischi della platea a L. Lama che nel suo intervento
affermò che “anche i capi sono sfruttati” e che quindi dovevano essere tutelati dal sindacato al pari
degli operai comuni, vedi “l’Unità” e “la Repubblica” del 17 ottobre 1979.
286
Cosi fu definito da G. Giugni in un articolo apparso su “la Repubblica”, 2 novembre 1980.
287
G. Ghezzi, Processo, cit., p. 25.
193
Una visione critica verso il sindacato provenne anche da intellettuali da
“la violenza non è nel sindacato e tanto meno nelle sue istanze decisionali; è, come tutti
sappiamo, nella cultura di vaste face giovanili. Il sindacato se la trova davanti e finisce per
“mediarla” (cioè la usa e insieme la argina). Alla violenza, tuttavia, esso avrebbe potuto opporre
ben più di un argine se[…] non avesse per anni “acriticamente esaltato la democrazia assembleare
288
di fabbrica.”
che pervadeva larghe fasce del mondo operaio giovanile, “un rapporto che
“in termini istituzionali si manifesta per solito come semplice accordo di mutua
irresponsabilità, ma talvolta si fa copertura politica o, peggio, difesa giuridica coi congegni offerti
dallo statuto dei lavoratori”289
L’intervento di Mancini per altro si inserì nella polemica tra PCI e sindacato
della vicenda Fiat. Il leader comunista ritenendo il comportamento della Fiat folle
e tendente a spezzare il potere sindacale nelle fabbriche per uscire dalla crisi, si
chiese tuttavia
“[…] perché il sindacato si è fatto sorprendere dall’iniziativa padronale e non ha preso per
primo l’iniziativa di una lotta coerente contro ogni forma di violenza e di teppismo in fabbrica e
contro il terrorismo?[…] L’errore iniziale compiuto dal sindacato è stato quello di non denunciare
immediatamente il primo atto di violenza teppistica compiuto in fabbrica, come quello compiuto
nelle scuole […].”
288
G. F. Mancini, La lezione della Fiat, in “Mondoperaio”, 1979, n. 11, p. 5.
289
Ivi, p. 6.
290
In “Rinascita”, 9 novembre 1979.
194
Dagli interventi e le polemiche riportate sopra, non è difficile capire come la
FLM, “il sindacato guida” della classe operaia, si trovasse in una situazione di
difficile risoluzione. Per questo il sindacato scelse come prima mossa, l’assistenza
procedure, richiedendo la reintegra ai sensi dell’art. 700 c.p.c. Questa fu una scelta
del tutto politica poiché il sindacato, ricorrendo al “28” sarebbe stato costretto di
coercizione esercitata verso i “capi”)291. Tale problema non poteva essere rimesso
al giudice, in quanto tema tutto politico ed interno alle dinamiche sindacali. Per
questo si scelse in un primo momento la via che più di tutte avesse potuto palesare
i vizi formali del procedimento di sospensione adottato dalla Fiat292 e far emergere
depositò il decreto nel quale accolse le istanze dei sospesi e dichiarò illegittimo il
licenziamento per vizi procedurali imposti dal contratto collettivo. Inoltre, in via
Ma ciò non avvenne e i lavoratori rimasero ancora fuori dai cancelli. La Fiat
291
G. Ghezzi, Processo, cit., p. 40. Lo stesso Ghezzi fu tra quelli che nel collegio di difesa,
assieme a L. Venutra e B. Cossu, criticò la proposta avanzata dalla FIM e da Tiziano Treu di fare
ricorso ai sensi dell’art. 28. Per questi i licenziamenti non potevano essere visti a sé stanti ed erano
insieme viziati da un comportamento antisindacale.
292
Per la precisione si decise che i 61 avrebbero dovuto sottoscrivere un documento di procura al
collegio di difesa e in cui si dichiarava di accettare i valori fondamentali del sindacato, di ripudiare
il terrorismo e le forme violente di lotta. Dieci dei licenziati si rifiuteranno di sottoscriverlo e
formeranno “un collegio alternativo”.
195
infatti si incaricò da una parte di far partire le lettere per una nuova disposizione
da questo momento il sindacato non potette che ricorrere alla procedura prevista
Intanto si vennero a sapere alcuni dei fatti di violenza addebitati ai 61: questi
Non fu facile quindi per la FLM predisporre i contenuti del ricorso ai sensi
della Fiat poco dettagliata e soprattutto non caratterizzata dalla distinzione tra lotte
imputò alla direzione aziendale di aver chiuso gli occhi di fronte a tali
dunque che l’intera strategia della Fiat, sia per il boicottaggio del servizio di
collocamento sia per le modalità con cui la direzione gestì tutta la vicenda in
293
La Fiat riferì addirittura di operai che avrebbero proposto ai compagni di lavoro la vendita di
armi all’interno degli stabilimenti.
196
antisindacale tutta la strategia Fiat, che non agendo preventivamente di fronte a
Per i legali della Fiat, solo dopo la morte di Ghiglieno il potere disciplinare riuscì
pretore Denaro, depositò il decreto in cui respinse tutti i capi e i motivi del ricorso
sopraffazioni accertate. Inoltre il pretore respinse la tesi portata avanti dalla FLM,
secondo cui la Fiat avrebbe usato i mezzi di comunicazione secondo una ben
197
“[…] non è antisindacale, a meno che non intenda identificare negli atti di violenza descritti i
propri strumenti di lotta, facendoli rientrare in un ambito “allargato” delle modalità dell’esercizio
del diritto di sciopero[…] In sostanza, il collegamento che la Fiat ha ingenerato è tra terrorismo e
quei fenomeni di violenza che nulla devono avere a che vedere con l’attività sindacale anche nella
sua definizione più evoluta in relazione alla attuale fase storica [mentre] nessun abbinamento
risulta invece con l’attività sindacale vera e propria.”
dibattito che si sviluppò fu proprio quello sullo Statuto, non solo perché già
vicenda specifica dei 61 si trae[va] argomento per portare la discussione sul piano
di un giudizio più generale sul significato dello statuto dei diritti lavoratori a dieci
anni dalla sua entrata in vigore”294. Già Mancini, nel novembre ’79, cioè prima
“Lo statuto dei diritti dei lavoratori postula e promuove il contropotere sindacale. Usarlo a fini
diversi costituisce una rottura dell’equilibrio voluto dal legislatore: ed è naturale che,
moltiplicandosi le rotture, sorga la domanda di rivederlo o, nei gruppi più retrivi, di tornare
all’equilibrio precedente”295
della FLM, poiché “con l’iniziativa del 9 ottobre la Fiat non voleva mettere alle
molti modi, anche duri. Il più rischioso era l’azione giudiziaria”. Per Mancini
294
G. Ghezzi, Processo, cit., p. 135.
295
G. F. Mancini, La lezione della Fiat, cit., p. 5.
296
Id., Quei 61 della Fiat, in “la Repubblica”, 31 gennaio 1980.
198
“così come è andata, Agnelli ha avuto solo l’uovo: un precedente dotato di efficacia
dissuasiva rispetto ai comportamenti operai che giudica intollerabili. Ma, se avesse perso una
causa tanto improvvidamente drammatizzata dalla sua controparte, egli avrebbe ottenuto anche la
gallina: cioè la prova che il diritto del lavoro ha raggiunto un livello di garantismo incompatibile
con la governabilità delle fabbriche e, di qui, un poderoso argomento per il taglio delle sue punte
più acuminate. Sotto tiro, in questo caso, non sarebbero venuti unicamente i congegni preposti alla
repressione della condotta antisindacale e i limiti al potere di licenziare. Altrettanto minacciate
sarebbero state le norme che impediscono un controllo efficace sugli operai da assumere; quelle
che regolano il collocamento e quelle che vietano le indagini sulle loro opinioni politiche e sulla
loro vita privata. Sono – ci saremmo sentiti dire – garanzie buone per tempi meno ferrei, ma a
quanti terroristi o fiancheggiatori del terrorismo consentono oggi d’infiltrarsi nei luoghi di
lavoro?”
licenziamenti la Fiat non voleva mettere alle corde il gruppo dirigente della FLM,
tutta la strategia Fiat. Infatti analizzando la sentenza del pretore, Treu fece notare
che questo “per escludere l’antisindacalità dei licenziamenti […] ha detto che
“La montatura dell’operazione dimostra che l’obbiettivo era quello di stabilire rapporti più
favorevoli in fabbrica. Ho sempre creduto (come immagino creda ancora Mancini) che lo statuto
dei lavoratori impone all’azienda delle regole di correttezza elementare sia nei rapporti collettivi
che individuali. Penso che la Fiat abbia violato le regole del gioco su tutti e due i piani. L’unico
modo per uscirne è dire che l’ingovernabilità sospende lo statuto dei lavoratori: ma questa è
appunto l’affermazione più grave.”
del problema: l’attualità della legge 300 a dieci anni dalla sua approvazione. Fu
297
T. Treu, E’ proprio un bene che la FLM abbia perso contro la Fiat? Una risposta a Federico
Mancini, in “Il Manifesto”, 1 febbraio 1980.
298
G. F. Mancini, Le rughe dello statuto, in “la Repubblica” 7 febbraio 1980.
199
eclissando dalla polemica con Treu sulla vicenda dei 61 ed elogiando la legge,
“Lo statuto rimane la maggior conquista sociale del centro-sinistra, ma, a dieci anni dalla sua
entrata in vigore, comincia a mostrare qualche ruga. Le rughe, per la precisione sono due, e a
procurargliele è stato lo sviluppo di una cultura operaia profondamente diversa da quella
dominante nell’epoca in cui la legge fu scritta. […] Quali fenomeni la mettano in luce è noto: da
un lato, la crescente richiesta di lavori multipli, di part time, di contratti a termine, di mansioni
precarie; dall’altra, gli innumerevoli comportamenti – antagonistici per i teorici della nuova
sinistra, devianti per tutti gli altri – che vanno dall’assenteismo al sabotaggio. […] Ebbene,
l’attuale domanda di rapporti flessibili mette in crisi – ed è la prima ruga – il garantismo dello
statuto: […] per i congegni che fanno di ogni posto o di ogni mansione un fortilizio difficilmente
espugnabile. E, d’altro canto, il diffondersi di condotte illegali mina – seconda ruga – la filosofia
del conflitto che lo statuto fa sua. […] La fabbrica, insomma, è divenuta difficile mentre lo statuto
supponeva una fabbrica facile: quella cosa recintata […] da cui si esce a ore fisse dopo aver
lavorato sodo o lottato con grinta e dignità.”
E di nuovo Treu, tre giorni più tardi, sempre su “il Manifesto”299, sostenne che
“Di questo dobbiamo tenere conto [della nuova soggettività operaia - ndr]. Ma come reagire?
Non certo sospendendo le garanzie dello Statuto perché lo statuto dei lavoratori, come è inteso e
utilizzato del sindacato (in modo molto cauto) non legittima le forme violente di lotta. E perché i
problemi posti dal deterioramento delle relazioni industriali e sociali in Italia si possono e si
devono risolvere diversamente, almeno da parte delle forze democratiche e progressiste. Il compito
è più arduo, ed è di fronteggiare i motivi per cui la fabbrica è diventata più difficile; rimuovere le
cause sociali e politiche di un conflitto che risulta incontrollabile dal sindacato e da leggi anche più
rigorose delle nostre, come dimostra l’esperienza europea. Non si dimentichi che persino in
Germania e nei paesi scandinavi la stragrande maggioranza dei conflitti, in questi ultimi anni,
sfuggono al controllo del sindacato e della legge.”
Con questo scambio di opinioni, tra due storici sostenitori della legge 300 e
del riformismo giuslavorista, si aprì per la prima volta un dibattito critico sullo
statuto e ciò avvenne, come abbiamo visto, in conseguenza agli eventi giudiziali e
politici dei licenziamenti Fiat. Si andava delineando, nel contesto degli anni di
piombo, il dibattito tra chi, come Mancini, riteneva che a distanza di anni lo
299
T. Treu, Lo statuto dei lavoratori è troppo vecchio per una fabbrica più difficile e più giovane?
Una polemica con Federico Mancini, in “Il Manifesto”, 10 febbraio 1980.
200
Statuto presentasse delle incongruenze con lo sviluppo delle domande della nuova
indirettamente. A ciò si rispondeva, come fece Treu, che tali sviluppi, essendo
interni alla classe operaia, dovevano essere guidati dalle forze progressiste e
Il tema si ripropose nei mesi successivi, nei consueti convegni sulla legge a
dieci anni dalla sua approvazione. In uno di questi, quello organizzato dalla
della disputa di cui sopra. Mancini, nella sua relazione301, ripropose il suo schema
soggettività operaia. Per l’autore infatti non c’era dubbio “che [era] la filosofia
dello Statuto ad essere entrata in crisi”, perché fondata sulla rigidità nell’uso della
contestava l’etica stessa del lavoro. In questo senso la conflittualità “si [faceva]
sempre più dura, più violenta”. L’autore, nonostante dichiarava di non voler
300
AA.VV., Lo Statuto dei Lavoratori dieci anni dopo, Venezia, Marsilio, 1981.
301
G. F. Mancini, Statuto e nuova soggettività operaia, in Ivi, pp. 15 ss.
201
identificare le sue critiche allo Statuto con quelle che da anni provengono dalla
parte padronale (art. 5 assenteismo e art. 8 indagini sui lavoratori vietate) e che
non avessero “senso in [quella] fase interventi legislativi che potino i rami secchi
del vecchio garantismo”, propose comunque di aggirare tali punti critici, tramite
18 aprile 1962, n. 230, sul contratto a tempo determinato”. Sul tema della
regole e anche, quando sia necessario, di dare luogo a rinunce.” E’ palese come
Mancini, da sempre grande sostenitore della legge, in quel momento storico in cui
ravvede delle rughe nello Statuto, cerchi da una parte di mettere in rilievo il più
“aggiramento” per far fronte alle rughe stesse. Talaltro, lo stesso Mancini, nello
stesso anno, dichiarò proprio riguardo allo Statuto, che ognuno “ha il diritto di
istanza elogiò la legge e il suo buon funzionamento, in quanto i suoi principi più
importanti “in questo decennio sono stati acquisiti dalla società italiana, e
beninteso, cioè l’area forte del lavoro.” E ciò per l’autore “non [era] una cosa da
poco”. Per Treu non esisteva un problema di rughe dello statuto: ciò che
302
G. F. Mancini, Terroristi e riformisti, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 7.
303
T. Treu, Statuto e prospettive di democrazia industriale ed economica, in AA.VV., Lo statuto
dei lavoratori dieci anni dopo, cit., pp. 21 ss.
202
bisognava verificare era il ruolo della fabbrica nei rapporti con la società e “la
“se volessimo cominciare con una controbattuta rispetto a quella delle “rughe” io non credo
che lo Statuto nella sua normativa essenziale abbia delle rughe, sia invecchiato per così dire.
Secondo me lo Statuto è accerchiato, non è riuscito cioè a mettere in moto un processo che doveva
continuare, portare alcune indicazioni fino in fondo. […] Quindi, in questo senso, mi pare che è un
problema non di “rughe” ma di limiti e di incapacità delle forze che dovevano portare avanti il
discorso, appena cominciato dalla legge, della trasformazione della vita in fabbrica, di rispondere a
queste nuove esigenze dei giovani, me è un problema che lo Statuto non voleva e non poteva
risolvere”
“Credo quindi che il problema centrale sia la riverifica della realtà di fabbrica. Il garantismo
non è sufficiente, non basta garantire dall’arbitrio padronale i lavoratori per risolvere i problemi
della fabbrica. Questo non significa, ovviamente, che il garantismo vada né abolito né
ridimensionato. Inoltre bisogna distinguere tra rigidità e rigidità; io credo che la rigidità sia
inevitabile per quanto riguarda le norme di tutela delle libertà, che non sono negoziabili. Ci sono
invece rigidità che sono invece adattabili, vanno storicizzate.”
Comunque sia al principio del decennio ’80 lo Statuto, per via degli eventi
degli anni di piombo e in modo specifico per via della vicenda dei 61
licenziamenti, veniva messo sotto accusa per l’eccessivo garantismo che dava ai
poco dedita al lavoro di fabbrica e alla rigidità della catena di montaggio, inoltre
203
avveniva parallelamente alle strategie di ristrutturazione aziendali post-fordiste
Mancini, indubbiamente veniva vista come legge non più aderente tanto alle
Gli anni ottanta furono gli anni del declino della “Società industriale” e della
su cui si era basato lo sviluppo economico per circa mezzo secolo. Si aprirono le
porte alla c.d. “società dei servizi” e a diverse esperienze produttive post-
mondo del lavoro e le organizzazioni storiche del movimento operaio che si erano
304
In questo senso, cioè all’eccessiva rigidità della forza lavoro causata dallo Statuto, si veda
l’intervento al convegno della Fondazione G. Brodoloni, di E. Massacesi, presidente dell’Alfa
Romeo, in Ivi, pp. 67 ss.
204
può a buon ragione essere inserita in questo processo di generale superamento
dell’industrialismo taylor-fordista.
Già alla metà degli anni settanta l’economia italiana faceva registrare una
diminuzione degli occupati e del valore aggiunto derivanti dal settore secondario e
“per l’Italia […] nel periodo 1970-’80 può essere considerato il decennio di preparazione
all’avvento post-industriale. Negli anni successivi, infatti, l’andamento dell’occupazione italiana
segue la strada della terziarizzazione, indicandone meglio la direzione”.306
occupazionali. Una dinamica messa in moto dalla nascita di una serie di nuovi
trainante per tutto il sistema economico, tanto da incidere sugli stessi modelli
305
Nel 1973 gli occupati nel settore servizi (44,9%) superavano quelli nel settore industriale
(38,4%), fonte in F. Somigliano, D. Siniscalco, Terziario totale e terziario per il sistema
produttivo, in AA.VV., Il terziario nella società industriale, Milano, F. Angeli, 1980, p. 29.
306
G. Natoli, L’avvento post-industriale in Italia, in “Sociologia del Lavoro”, n. 28, 1987, p. 173.
205
le principali istituzioni economiche e politiche, le forme del potere e del dominio,
Industriale” e che ebbe conseguenze rilevanti sul modo di lavorare e quindi sui
crescita del terziario, sia pubblico che privato, furono quello finanziario, delle
dettaglio. Per tutto il decennio l’Italia dimostrò quindi una sufficiente vitalità sia
per quanto riguardava i servizi destinati al consumatore che per quelli destinati
alla produzione.
industria italiana per tutto il decennio si adoperò per il superamento dei vecchi
opportunità fornite dalla rivoluzione informatica. Se gli anni ’50 e ‘60 furono gli
economie di scala, gli anni ’80 furono invece gli anni in cui si cercò una via di
neocapitalismo in Italia. Già dalla seconda metà degli anni settanta le maggiori
307
L. Gallino, “Società Industriale”, in Dizionario di Sociologia, Torino, Utet, 1978, p. 627.
206
imprese pubbliche e private, sotto la pressione della conflittualità operaia,
fordista dell’industria italiana. Una fase di cambiamenti epocali, che proprio negli
anni ottanta andò assumendo, non certo una svolta facile ed immediata, ma i
grandi temi politici e sociali cui assisteva alla metà degli anni ’90:
forza lavoro, secondo paradigmi del tutto nuovi rispetto alla società industriale e
308
Con questo termine intendiamo riferirci ai modelli organizzativi introdotti dalla scuola
giapponese, basati sulla produzione flessibile in alternativa alla produzione di massa tipica del
modello americano fordista.
309
M. Revelli, Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo, in P. Ingrao,
R. Rossanda, Appuntamenti di fine secolo, Roma, ManifestoLibri, 1995, p. 161.
207
entrarono in crisi in un contesto di forte differenziazione dei mercati, dominati da
“La dilatazione ad libitum dei volumi produttivi secondo dinamiche lineari non può più
rappresentare il terreno su cui regolare la dinamica costi-profitti. E di conseguenza devono essere
radicalmente mutate tutte le regole organizzative che dominavano in una struttura produttiva
“centrata sulla crescita”.310
nuovi modi di produrre in un’ottica post-industriale che del settore dei terziario
del nuovo corso fu fornita da modelli organizzativi più flessibili e meno rigidi, a
consumatore.
“In questo nuovo modello non si puntava più a macchine specializzate per la fabbricazione di
prodotti standardizzati, ma su macchine polivalenti che utilizzavano automatismi flessibili per
fabbricare un ampia gamma di prodotti”311
maggiori aziende del paese tendevano verso una non facile acquisizione di
310
Ivi, p. 178.
311
P. Ginsborg, L’Italia nel tempo presente. Famiglia, società civile, Stato 1980-1996, Torino,
Einaudi, 1998, p. 27.
208
modelli di organizzazione della produzione di tipo “toyotisti”, della ricerca
integrata”. Tale processo sembra ancora in corsa al principio del nuovo secolo e
anni ’50, si può certo rintracciare già dagli anni ‘80 una tendenza comune a tutto
“[…]questa constatazione non li priva [i nuovi modelli organizzativi provenienti dal Giappone
– ndr] affatto della loro valenza generale, o per essere ancora più espliciti, della loro
“trasferibilità” ed applicabilità in spazi socio-economici differenti da quelli nei quali e per i quali
queste tecniche sono state concepite.”312
quanto c’è ne sia (o fosse) nel taylorismo o nel fordismo.314 E’ utile quindi
312
B. Coriat, Ripensare l’organizzazione del lavoro. Concetti e prassi del modello giapponese,
Bari, Dedalo, 1991, p. 14.
313
Questo perché nella letteratura numerosi studiosi tra cui lo stesso Coriat, nello studio del
modello di produzione giapponese fanno riferimento a Taijchi Ohno, autore giapponese dell’opera
fondamentale Lo spirito Toyota, scritto negli anni ’70 e pubblicato in Italia da Einaudi nel 1993 e
introdotto tra l’altro da M. Revelli.
314
B. Coriat, cit., p. 14.
209
fordista standardizzato e che rovescia le logiche delle economie di scala. Per fare
ciò c’è bisogno di una “fabbrica minima”, flessibile e senza nessuna fonte di
fasi produttive per rispondere giusto in tempo (just in time) all’ordine del
consumatore.
“Tre giorni di lavoro di un’intera squadra per sostituire i giganteschi stampi delle grandi
presse […] erano tollerabili quando quella determinata componente doveva esser prodotta in
milioni di esemplari […] Ma ora, quando la produzione si struttura in piccoli lotti, quando la
crescente diversificazione e personalizzazione del prodotto accorcia drasticamente i differenti
sotto-cicli produttivi […] ogni ora di lavoro perduta nell’alloggiare l’utensile, ogni uomo
impiegato nel preparare la macchina a produzione ferma è una perdita secca.”315
modello quindi tende alla “qualità totale”. Inoltre non è affatto necessario che
315
M. Revelli, Economia e modello sociale, cit., p. 179.
316
G. Bonazzi, Il tubo di cristallo. Modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat Auto,
Bologna, Il Mulino, 1993.
210
tutto il processo produttivo debba essere realizzato all’interno di un unico
eliminazione degli sprechi sono più facili e gestibili. Anche in questo caso i
tutto ovvio che i “gigantismi” della grande fabbrica fordista non rispondono a
rigidità.
“Il principale criterio di efficienza diviene […] il controllo e la ottimizzazione della “catena
del valore” nella ideazione, ingenierizzazione, approvvigionamento, fabbricazione, vendita,
consegna, incasso: non vi è più una variabile centrale e fissa che determina l’efficienza (per
esempio l’efficienza della manodopera) ma si ricerca una composizione ottimale dell’efficienza
dei vari fattori, sia interni che esterni all’impresa.”317
fu la Fiat già dai tempi del fascismo, anche nella corsa alla “giapponesizzazione”
della Fiat, Cesare Romiti, a sottolineare il ruolo guida della Fiat in tale processo:
“la pietra che abbiamo gettato nello stagno ha prodotto cerchi concentrici, via via sempre più
larghi. Ora, si pensi a tutto l’indotto Fiat, tante piccole e medie aziende, non soltanto in Piemonte,
ma il Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia. Abbiamo chiesto a queste imprese di ristrutturarsi,
come stavamo facendo noi, e di affrontare questi sacrifici molto forti […]. Qualche impresa non ce
l’ha fatta a tenere il nostro ritmo, ed è caduta lungo il cammino. Ma la maggioranza ha tenuto, ha
saputo cambiare”318
317
F. Butera, Il lavoro nella rivoluzione tecno-economica, in “Giornale di diritto del lavoro e di
relazioni industriali, n. 36, 1987, 4, p. 736.
318
La citazione è ripresa da P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., p. 27, che fa riferimento
all’intervista di Gimpaolo Pansa allo stesso Cesare Romiti, in C. Romiti, Questi anni alla Fiat, a
cura di G. P. Pansa, Milano, Rizzoli, 1988.
211
Certamente l’Italia ebbe molti ritardi nell’intraprendere diffusamente modelli
anni ottanta “la “produzione snella” non era assolutamente divenuta la norma, e le
aziende italiane spendevano in ricerca e sviluppo molto meno dei loro concorrenti
Lo stallo in cui il gruppo torinese si era arenato nel decennio settanta ebbe una
svolta proprio negli anni successivi alla vicenda dei 61 licenziamenti e alla
sconfitta sindacale dell’autunno ’80 culminata con la famosa marcia dei 40.000.
Che questi due eventi successivi aprirono la nuova fase di rilancio della Fiat e il
una vera e propria rivoluzione organizzativa, non poteva non passare da un netto e
che inaugurarono il declino della centralità politica e sociale del sindacato, prima
“Il durissimo scontro sindacale del 1980, produsse un rivolgimento profondo delle relazioni
industriali nell’azienda. Esse non furono interrotte, ma dall’agenda della negoziazione vennero a
mancare gli interventi sull’organizzazione del lavoro, i problemi della forza lavoro in fabbrica
(dalle qualifiche all’ambiente, ai ritmi di lavoro) […] Il management si limitava a comunicare le
modifiche della struttura organizzativa e produttiva, l’introduzione di nuovi impianti e metodi di
produzione.”320
319
Ivi, p. 30.
320
A. Salento, cit., p. 33.
212
Da qui iniziò la fase della “ristrutturazione”, del ridimensionamento
organizzativa degli anni ’90. La direzione apprese che per competere con il
personale, tramite il ricorso alla cassa integrazione e allo stesso tempo ad un forte
aumento della produttività. Revelli fece notare che la prima ondata di riassetto
occupazionale fu intrapresa secondo un criterio che colpisse, non solo “gli operai
tutte quelle figure lavorative “deboli” e meno avvezze al lavoro di fabbrica, quali
soggettività operaie non avvezze al lavoro di fabbrica emerse nella seconda metà
degli anni settanta, vennero quindi presto espulse perché il nuovo modello
organizzativo non era più compatibile con una forza lavoro non cooperativa o
sindacati per il rientro dei cassintegrati furono disattesi e molti di questi scelsero
321
Già nel corso degli anni settanta ci furono le prime introduzioni di strumenti tecnologici di
automazione flessibile: l’utilizzo di 18 robot Ultimate per la produzione della Fiat 132,
l’introduzione del sistema Digitron per l’assemblaggio della Fiat 131. In questo caso,
l’introduzione di queste tecnologie era connessa alla capacità di queste di ridurre lo sforzo fisico
degli operai e per questo intimamente collegata alle rivendicazioni sindacali di quegli anni.
322
M. Revelli, Lavorare in Fiat, cit., p. 104.
213
produzione scese solo del 4%, mentre la produttività per dipendente era in crescita
razionalizzazione della forma organizzativa, che portò alla nascita della “Fabbrica
ad Alta Automazione”.
non riuscì ad impostare una autonoma condotta negoziale che riuscisse a superare
secondo una logica classista del sindacato conflittuale tipica degli anni sessanta e
323
Si passò dalle 9,4 auto per dipendente nel 1979 alle 19,2 nel 1986, Ivi, p. 110.
214
l’impatto sociale della rivoluzione tecnologica)”, optando al contrario per una
condotta “passiva (in cui ci si limita ad arginare ex post gli effetti del
cambiamento).”324
burocratico. Ma l’avvento del toytismo in Italia e della fabbrica integrata alla Fiat
Auto furono ritardati e completati solo nel corso degli anni ’90, proprio per la
324
M. Biagi, Sindacato, partecipazione e accordi tecnologici, in “Politica del Diritto”, n. 2, giugno
1985. L’autore al tempo proponeva come punto di partenza di una strategia cooperativa attiva, il
protocollo d’intesa firmato tra sindacati ed IRI nella persona di Romano Prodi, ma ne sottolineava
anche i limiti. L’accordo prevedeva un sistema partecipativo nell’introduzione e nell’investimento
in tecnologie. Si può certo affermare che la strategia di “controllo sociale anticipato delle nuove
tecnologie”, fallì sia per la mancanza in esso di un efficace sistema sanzionatorio in caso di non
cooperazione da parte delle imprese, sia per la mancanza di partecipazione e democrazia interna al
sindacato, come anche per le divisioni delle confederazioni sindacali causate della pratica diffusa
delle firme di accordi separati.
325
D. Cersosimo, Da Torino a Melfi, cit., p. 57.
215
ricorrere alle competenze e all’intrinseca flessibilità dell’uomo, il cui coinvolgimento intelligente e
cooperativo alla produzione risulta decisivo ai fini del risultato finale”.326
comportato una “razionalizzazione debole”, non solo “nei settori a più elevata
“In quest’ottica, lo scarto tra l’agire produttivo e la norma “ufficiale” non è più osservato
come un dato necessariamente e invariabilmente patologico (come tipicamente avviene nella
prospettiva taylorista); piuttosto, va accolto qualora introduca nella produzione margini di
miglioramento. E tuttavia, di un’eccezione si tratta, sia pur giustificabile e addirittura apprezzabile
a determinate condizioni”328
“Infatti le maggiori difficoltà incontrate nella partecipazione nei processi innovativi sono: - di
natura economica, nei casi in cui si vuole che l’automazione sia introdotta nel più breve tempo
possibile e dia benefici immediati. La partecipazione non viene adottata per i tempi lunghi e i costi
della stessa, oltre che per il prevalere di modelli gerarchico-funzionali in quanto tali; - di natura
culturale, anche quando vengono promossi percorsi applicativi di tipo partecipativo la tendenza
326
Ivi, 58.
327
A. Salento, cit., p. 37.
328
Ivi, p. 38.
216
all’interno dell’organizzazioni gerarchico-burocratiche è quella di riprodurre se stesse nel nuovo
contesto e individuare la partecipazione come un processo disfunzionale alla propria logica.”329
Bisogna non sottovalutare nel difficile contesto economico degli anni ottanta,
distretti industriali. Già nel corso degli anni settanta era stata ravvisata la vitalità
culture (quella bianca nella prima e quella rossa nella seconda) nate dalla
costituire un settore illegale e del lavoro “nero”. Per tutto il decennio ottanta
329
G. Della Rocca, Automazione del lavoro nella società flessibile, in “Politica ed Economia”,
XX, n. 3, marzo 1989, p. 38.
330
Cioè un sistema economico dove le attività produttive sono fortemente legate e organizzate in
territori circoscritti e da cui ne traggono la loro forza nel mercato interno e internazionale. Si vedi
A. Bonomi, Il capitalismo molecolare: la società al lavoro nel nord Italia,Torino, Einaudi, 1997.
217
“formale”, derivino anche dal largo utilizzo che se ne fece in questi settori
Ben diverse sembrarono invece quelle zone dove già dagli anni settanta, in
intimamente legato alle conoscenze del territorio e implementate dagli sforzi delle
distretti vennero descritti come vera e credibile alternativa alla fabbrica fordista e
“sono pronte a incunearsi negli interstizi, sempre più larghi, dei mutamenti di un mercato
recalcitrante davanti a una standardizzazione delle forme di consumo ormai obsoleta. La partita
economica si gioca su una produzione di piccoli lotti, quindi flessibile per definizione,
commisurata a nicchie di consumo che introducono un segno potente di discontinuità nella
massificazione e nella omologazione che avevano imperato per vent’anni.332
valorizzarono la presenza sui mercati. Inoltre si assistette alla tendenza per tutto il
331
M. J. Piore, C. F. Sabel, Le due vie dello sviluppo industriale: produzione di massa e
produzione flessibile, Torino, ISEDI, 1987. In quest’opera si cercava di presentare lo sviluppo
economico del novecento come l’effetto della scelta tra le c.d. “alternative storiche” dello
sviluppo. Tra queste sarebbe stata privilegiata la produzione di massa e la grande impresa fordista
per via del maggiore favore politico e istituzionale che questa ebbe nelle vicende del secolo. Da
qui si cercava di rivalutare la produzione artigianale delle piccole imprese, mai scomparse e ora, in
una prospettiva neo-artigianale, più consone al nuovo contesto economico, perché più flessibili e
rispondenti alle richieste del mercato.
332
G. Berta, L’Italia delle fabbriche, cit., p. 252.
218
decennio ad una loro espansione in diversi settori e fuori dai confini dove si erano
originariamente affermate, toccando molte province del centro e del sud del Paese.
Nel 1991 si stimava che i distretti presenti nel nostro territorio fossero circa 238
sottolineare il ruolo trainante che la piccola e media impresa ebbe per l’economia
enfatizzare questa forma organizzativa, per il semplice fatto che già dalla seconda
raggrupparsi attorno ad “imprese-leader”, per far fronte non solo alle innovazioni
concentrazioni di capitali, grazie alle ristrutturazioni avviate nel corso degli anni
ottanta e rafforzate nel decennio successivo, furono capaci di produrre sia per i
mercati di massa che per quelli di nicchia e spesso lo fecero anche grazie al potere
sulle piccole imprese, sfruttando il loro know how locale e inserendole nella
333
Ivi, p. 255.
219
soprattutto da ridotte dimensioni, ma dalla disponibilità di ingenti risorse che permettano non la
semplice innovazione di prodotto, ma una innovazione di processo.”334
processo produttivo, fecero quindi emergere seri limiti alla tenuta del modello di
produzione distrettuale.
“[…] La piccola impresa nelle aree periferiche dovrà porre maggiore attenzione
all’introduzione dell’A.F. [Automazione Flessibile], e in generale alle tecnologie elettroniche.
Questo salto qualitativo può trovare però seri limiti negli stessi rapporti di reciprocità che nel
passato costituivano la principale risorsa del sistema. Questi rapporti stabilizzatisi nel successo
possono condizionare la concentrazione delle risorse finanziarie e lo sviluppo conoscitivo
necessario all’innovazione.”335
industriale a quella dei servizi, che abbiamo chiamato fase post-industriale, che si
nuova crisi sindacale, per certi aspetti non ancora risolta ad oggi. Certamente con
il senno di poi, le cause principali del progressivo declino della centralità politica
far fronte agli stessi mutamenti economico-sociali che avevano reso estremamente
sottolineare il declino della forza lavoro nella grande industria, che aveva
334
A. Salento, cit.
335
G. Della Rocca, cit., p. 36.
220
un ventennio. Se dalla fine degli anni cinquanta la società italiana tendeva verso il
ormai non gratificante e spesso questi andarono ad ingrossare le file del lavoro del
terziario inferiore e del lavoro nero. In questo settore si sperimentava il grosso del
lavoro” avrebbe dovuto significare battersi anche per chi il lavoro non l’aveva o
chi lo aveva “a nero”. Un compito di cui il sindacato della crescita illimitata si era
concentrò tutti i suoi sforzi nel rappresentare principalmente gli occupati nella
rivendicativa per l’occupazione e nei primi cinque anni del decennio il sindacato
221
si limitò a contenere l’espulsione della forza lavoro e ad appostare una
tutto nel timore di perdere i consensi di chi aveva rappresentato lo zoccolo duro
del sindacalismo industriale. Infatti “la gestione contrattata della crisi poteva
essere difesa agli occhi dei lavoratori con quanto si riusciva a strappare in ordine
consolidati. Ad esempio l’espansione del settore terziario era avvenuta già dalla
seconda metà degli anni settanta e il sindacato era riuscito a espandere la propria
delle cause della crescita del potere politico e sociale del sindacato ed essa fu fatta
operaia dell’industria. Per tutti gli anni settanta il crescente conflitto nel settore
del terziario, sia pubblico che privato, aveva visto nel sindacato lo sbocco
porzione sempre più crescente di queste figure lavorative, non solo per la presenza
336
S. Musso, Storia del lavoro in Italia, cit., p. 248.
337
A. Accornero, La terziarizzazione del conflitto e i suoi effetti, in G. P. Cella, M. Regini, Il
conflitto industriale in Italia: stato della ricerca e ipotesi sulle tendenze, Bologna, Il Mulino,
1985.
222
date, tra risultati a breve ottenuti e quelli che si volevano ottenere a lungo, tra le
c.d. “modello proletario”.339 Tale modello aveva retto per tutti gli anni settanta
inferti al lavoro operaio, per via delle ristrutturazioni e il passaggio ad una società
dei servizi, stavano ormai mutando la stessa struttura interna del sindacato.
Tuttavia fu proprio nel settore terziario che il sindacato confederale non riuscì a
mantenere un ruolo egemone e per tutti gli anni ’80 si assistette alla presenza
nel terziario rappresentava il 34,93% del totale, nell’85 essa scese al 30%, mentre
nell’89 si arrivò ad una percentuale del 28,92.340 Dalla metà degli anni ottanta
nel senso che essa sfuggiva al controllo delle confederazioni ed era dominata da
una serie di sigle sindacali autonome. Tale tendenza fu uno dei fattori che
contribuì non solo ad intaccare il monopolio di CGIL, CISL e UIL nel settore
del sindacato nella società. Infatti la grande capacità di mobilitazione dei sindacati
338
C. Donolo, Il sindacato nella crisi di rappresentanza, in “Quaderni di Rassegna Sindacale”, n.
90/91, XIX, maggio-agosto, 1981, p. 29.
339
A. Accornero, La parabola del sindacato, cit.
340
Fonte: P. Di Nicola, Confederali, autonomi, cobas: la sindacalizzazione nel terziario, in
“Politica ed Economia”, XXII, n. 2, Febbraio, 1991, Tab. 1, p. 74.
223
Non è facile descrivere la sindacalizzazione nel terziario, per la presenza di un
dai nuovi Comitati di Base (COBAS). Essi si distinsero per un grado di militanza
e di radicalismo eccezionale e per la loro forte presenza nel settore scuola, tra i
identità sociale. Ma anche una forte avversione alle confederazioni sindacali e alle
autonome e dei sindacati professionali.341 Essi nacquero nel settore del pubblico
impiego proprio per il fatto che i costi e rischi della mobilitazione erano minimi e
limitata e nei settori più svantaggiati dalla “politica dei redditi”. Inoltre bisogna
ricordare che nel 1983, con la legge quadro sul pubblico impiego si introdusse la
224
COBAS”343, cioè del frastagliato mondo del sindacalismo extraconfederale, sia
“sembra[va], con le sue irrazionalità gestionali e la sua schizofrenica politica del personale
improntata a criteri di consenso anziché secondo logiche di efficienza, poter agire da elemento
moltiplicativo della protesta.”345
perdeva iscritti nell’industria senza compensarli con quelli dei servizi, cioè si
crisi inoltre investì gli stessi settori operai tradizionalmente rappresentati. Secondo
mentre per la CGIL la classe operaia della media e grande industria è uno dei gruppi sociali di
riferimento predominante a livello di strategia, di cultura sindacale, la capacità di rappresentanza
dei questa classe operaia è in fase calante perché si concentra sulla fascia centrale degli operai,
tagliando fuori sia la nuova classe operaia in formazione, sia la parte “alta” della classe operaia in
senso lato, i tecnici, gli impiegati.”346
ristrutturazione del decennio che portò alla creazione in Fiat della Fabbrica ad
che non privilegiava più l’operaio comune alla catena di montaggio intimamente
343
L. Bordogna, Arcipelago Cobas: frammentazione della rappresentanza e conflitti di lavoro, in
AA.VV., Politica in Italia, a cura di P. Corbetta e R. Leopardi, Bologna, Il Mulino, 1988
344
L. Bordogna, Il pubblico impiego alimenta i Cobas, in “Lavoro 80”, n. 8, 1989.
345
G. Della Rocca, cit., p. 74.
346
Il sindacato nella crisi della rappresentanza, cit., p. 30.
225
antagonista al lavoro gerarchico e parcellizzato. Questa fu la figura lavorativa di
lavoro industriale. Nelle imprese emersero numerose possibilità per chi volesse
di fuori degli orari di lavoro e a numerose iniziative delle direzioni per incentivare
gestione rigida della forza lavoro e fu quindi la stessa tutela che mirava alla
stabilità del posto di lavoro e alla riduzione delle fonti di precarietà del lavoro
tutela del lavoro fu una risposta ai bisogni del lavoratore, come anche alle
347
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., p. 107.
226
progressiva della tecnologia, la richieste di flessibilità dei rapporti di lavoro e di
“Non è un paradosso bensì una realtà ben nota il desiderio dei lavoratori di potersi muovere
quando serve, cambiando qualifica azienda orario ufficio zona settore e così via, ma di poter
rimanere quando serve nella medesima posizione, condizione e situazione.”348
nella seconda metà degli anni ottanta accettò di mettere in discussione la tutela
flessibilità era sinonimo di mano libera del capitale sul lavoro. L’istituzione
con questo nuovo corso, il sindacato si era preoccupato più di rispondere alla
nevrosi di cambiamento auspicate a gran voce dalle imprese, che alle esigenze
348
A. Accornero, Fra stabilità e flessibilità: sindacato e modelli di tutela, in “Quaderni di
Rassegna Sindacale”, n. 108/109, XXII, maggio-agosto 1984, p. 83.
227
che in questi anni furono la stessa contrattazione e i modelli di rappresentanza
nato dall’emergere del delegato e dalla azione sindacale unitaria inaugurata con
base delle confederazioni fino alla riforma del 1991 che istituì le nuove
Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), soffrì nel decennio ottanta di una grave
nel settore terziario, visto il fallimento dei trapianti dei consigli ad esempio tra i
anni settanta in essi erano sovra-rappresentati gli operai comuni per via dei
efficace tra vertici sindacali e la base. Negli anni ottanta questa situazione non era
228
più praticabile. La stessa rottura dell’unità sindacale, dopo la vicenda della scala
perché essa acutizzo la duplicità dell’istituto, cioè luogo di rappresentanza sia dei
lavoratori in generale sia degli iscritti ai sindacati. Per tutti gli anni settanta, per
piccole, sia i lavoratori non comuni. Accadeva dunque che sindacati non
legittimità e potere sociale, anche in Italia si assisteva ad un declino della forza del
grazie all’imponente movimento sociale per le riforme costruito nel decennio ’70,
229
avevano acquisito una presenza organizzata nella società impressionante e non
mantenere potere e autonomia dal sistema politico ed istituzionale, ben presto essi
indicati grazie al favore del potere politico e spesso per la loro appartenenza a
Inoltre queste cariche non avevano alla base nessun esplicito mandato né dai
lavoratori in generale né dai propri iscritti per via della mancanza di strumenti di
349
Medicine amare, in “Politica del Diritto”, n. 3, settembre 1985, p. 515.
350
Ibidem.
230
meglio l’ambivalenza del ruolo che il sindacato andava assumendo nella società,
“Il sindacalismo è cosa grande e grossa. Ma come tutte le cose grandi e grosse che sono
cresciute nel quotidiano degli uomini, al pari delle chiese, persegue cose nobili e meno nobili. La
chiesa serve encomiabilmente a placare il terrore tutto umano della morte, ma è anche un’accolita
di persone che vivono di questo mestiere. Così il sindacato. Dà alla gente, come è desiderabile,
migliori condizioni di vita. Ma è anche un apparato di persone che sbarcano il lunario con questa
nobile bottega”351
riforma del welfare state, in Italia i governi “pentapartitici” (DC, PSI, PSDI, PRI,
PLI) guidati da Bettino Craxi e poi da Giulio Andreotti e altri, al di là degli intenti
e dei proclami, si distinsero per una strategia tutta italiana di immobilismo. E ciò
più posti di rappresentanza possibili per far fronte alla crisi di rappresentanza nel
una propria versione del cambiamento in atto, si può certamente affermare che i
grandi cambiamenti degli anni ottanta furono praticamente portati avanti dalle
forze del libero mercato e che non ci fu né una vera e propria strategia politica
351
G. Pera, Intervento, al dibattito sul tema Nuove regole dell’organizzazione sindacale, in
“Lavoro e Diritto”, n. 3, luglio 1987, pp. 406-7.
231
l’influenza dei propri partiti nelle istituzioni o addirittura di quella personale dei
vicenda della loggia massonica P2) e di corruzione dilagante che presto minarono
scala mobile, dopo alcune fallite esperienze di concertazione triangolare nel solco
della c.d. “politica dei redditi”.352 Nel 1984 CISL e UIL, la prima ormai attestata
mobile353. Il c.d. “Patto di San Valentino” provocò una spaccatura insanabile che
colpì il già labile patto federativo unitario, proprio per il fatto che esso era ancora
salvo perchè basato sull’intesa di non stipulare accordi separati. La stessa CGIL si
anno più tardi al referendum per l’abrogazione del decreto convertito in legge,
promosso dal Partito Comunista e da Democrazia Proletaria (DP), non fece altro
352
Ci riferiamo al “lodo Scotti”, proposto dal governo e firmato da CGIL, CISL e UIL il 22
gennaio 1983. Fu il primo caso di concertazione sociale secondo lo schema dello “scambio
politico”. Tuttavia gli eventi dell’anno successivo sullo scala mobile palesarono l’impossibilità di
importare anche in Italia una vera concertazione sociale che non coincidesse con un neo-
corporativismo in deroga tanto alle garanzie del mondo del lavoro, quanto alle aspirazioni degli
imprenditori.
353
Per anni la c.d. scala mobile, cioè l’accordo Lama-Agnelli sul punto unico di contingenza,
nonostante rappresentasse una rinuncia per il sindacato ad una autonoma azione di politica
salariale, aveva rappresentato l’istituto intoccabile per antonomasia, perché proteggeva i salari
dalla crescente dinamica inflazionistica dei prezzi.
232
che aggravare la situazione. Essa fu la seconda grande sconfitta del movimento
“Sconfitta Fiat e vicenda del decreto segnarono la crisi della cultura dell’intransigenza e della
miopia, e il declino del movimento sindacale operista ed egualitario. Pagò l’intero movimento
sindacale, ma più duramente colpita fu la CGIL, specie la componente comunista”354
Tale declino si connetteva alla perdita di consensi e alla crisi definitiva del
movimento comunista internazionale e in Italia del PCI. Già nel ’81, in seguito al
delle società, che si sono create nell’Est europeo” andava ormai esaurendosi. Si
andava esaurendo, forse in ritardo, il riferimento del PCI al ruolo guida dell’URSS
ricerca di una intesa con il PSI sul modello francese. Ma Craxi aveva puntato tutto
società degli anni ’80. Un iniziativa quella di Craxi che provocò la fuoriuscita di
i principi di solidarietà e giustizia sociale nel solco della tradizione del movimento
operaio. Grazie ai fuoriusciti dal PSI, che intanto accolse una nuova leva di
molti dei voti di questi confluirono nel PCI e ciò spiega il perché i comunisti, pur
354
A. Accornero, La parabola, cit., p. 152.
355
S. Turone, Storia del sindacato, cit., p. 546-7.
233
nonostante le aperture e i ripensamenti, il PCI, al contrario del PSI che riusciva a
italiana, rimaneva fortemente attaccato alle proprie visoni classiche e non riuscì ad
“Berlinguer riconosceva che i nuovi soggetti collettivi – le donne, i giovani, i disoccupati, gli
anziani – stavano facendo il loro ingresso sulla scena della storia, ma allo stesso tempo gli era
difficile individuare il processo in virtù del quale le nuove compagini non erano organismi
compatti e forti, ma realtà costituite da componenti singole e autonome. Di conseguenza la società
civile, in quanto luogo d’incontro di individui liberi, difficilmente riusciva ad attirare su di sé
l’attenzione che avrebbe meritato da parte della dirigenza comunista. Ciò che contava era il partito
e la sua disciplina, i suoi riti e le sue celebrazioni, le sue assemblee di massa e la sua forza
numerica.”356
Così che per tutti gli anni ottanta gli iscritti e i consensi del partito erano in
continuo declino. Se nel 1976 gli iscritti ammontavano a 1.814.317, nel 1989 essi
stesso si può dire dei consensi elettorali: alle elezioni del 1983 il PCI raggiunse il
29,9% dei voti validi, mentre nel 1987 scesero al 26,6%.358 Il calo elettorale si
1984 aggravò quindi la crisi del partito che non fu risolta, nonostante i numerosi
strategie di Gorbaciov di riforma interna del sistema sovietico, la caduta del muro
straordinaria alla riforma del partito per evitare il collasso. Nacque nel 1991, dopo
356
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., p .296.
357
Ivi, nota 91, p. 301.
358
Ivi, appendice statistica, tavola n. 38, p. 590.
359
Unica eccezione furono le elezioni europee dell’84 svoltesi a pochi giorni dalla morte di
Berlinguer. In questo caso ci fu, sulla spinta emotiva della morte di un politico rispettato anche da
numerosi non comunisti, per la prima ed unica volta, il sorpasso ai danni della DC con il 33,3%
dei consensi. Ma certamente la vittoria elettorale non fu una vittoria politica.
234
duri ma appassionati scontri interni, il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e
nuovo partito: Rifondazione Comunista (RC). Il PCI fu il primo dei grandi partiti
di massa della prima Repubblica ad entrare in crisi. Una crisi che fu accelerata
dalla caduta del blocco sovietico, ma che si rifletteva nella situazione interna al
paese. Per il crollo della I Repubblica a seguito della crisi degli altri due partiti
della politica italiana per quaranta anni, si dovettero aspettare le inchieste del
giuridiche dello Statuto dei lavoratori. Già nel paragrafo di apertura avevamo
dottrinale e politico sulla “questione Statuto”. Tale dibattito che qualcuno ai tempi
sempre più coinvolgendo non solo gli operatori del diritto, ma anche lo stesso
potere politico. Le cause principali del trend crescente di questo dibattito, sono da
che essi ebbero a livello politico e sindacale. Inoltre lo Statuto già negli anni
settanta era stato al centro di accese controversie circa la sua applicazione, grazie
sia al grande valore simbolico da esso assunto sia alla sua consistente effettività
360
Così lo definì G. Giugni in un suo articolo apparso su “la Repubblica” del 10 gennaio 1981.
235
giuridica nel contesto politico-economico conflittuale della società industriale
italiana.
contro il presunto eccessivo garantismo del diritto del lavoro italiano e ben presto,
portato sul banco degli imputati fu proprio la legge 300. Negli ambienti politici e
d’uscita dalla crisi che investiva le grandi fabbriche italiane, chiedevano maggiore
operatori del diritto un monito alquanto rozzo per la rimozione di “lacci e laccioli”
nell’ambito della produzione fordista. Fu subito chiaro a tutti che per uscire dalla
crisi si sarebbero dovuti contenere i diritti individuali dei lavoratori, in una sorta
stata il fulcro dei nuovi modelli di produzione e che avrebbe lasciato il carattere
iniziale di emergenza.
“L’obbiettivo si è fatto più complesso (la flessibilità dell’uso della forza lavoro è richiesta
dalle imprese come condizione permanente), ed anche i mezzi per realizzare l’obbiettivo sono
meno semplici della sola riduzione di tutele del lavoro. Un rilevante contributo al chiarimento di
tali mezzi viene dai giuslavoristi: dopo qualche sbandamento registrabile nell’interpretazione del
caotico diritto del lavoro della prima emergenza, si impegnano decisamente nella elaborazione di
progetti di flessibilizzazione della disciplina del lavoro subordinato.”361
361
M. V. Ballestrero, La flessibilità nel diritto del lavoro. Troppi consensi?, in “Lavoro e Diritto”,
n. 2, aprile 1987, p. 290.
236
Per tutto il decennio quindi cresceva la consapevolezza, in primis tra gli
imprenditori e successivamente tra operatori del diritto e nel potere politico, che
flessibilità e in qualche caso, deroghe ai diritti dei lavoratori così come si erano
configurati per un decennio. Una consapevolezza via via crescente non solo per
chi auspicava un superamento se non una abolizione delle principali norme della
per chi, dalla sponda opposta, denunciava la tendenza del diritto del lavoro della
fronte alla tendenza deregolativa del diritto del lavoro. Due visioni contrapposte,
modifica della legge. Si possono certo rintracciare nel decennio delle “alterazioni”
in atto da una parte e dall’altra, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni
237
“Chi avesse letto il testo della l. 20 maggio 1970, n. 300, lo Statuto dei lavoratori, in quel
1990 nel quale se ne celebrò il ventennale, ne avrebbe di sicuro ritratto l’impressione che esso
aveva retto magnificamente, almeno fino a quel momento, alle tante prove che la società e
l’economia italiane avevano dovuto affrontare in quegli anni così graviti di mutamenti. Senonché,
contemporaneamente, proprio in quell’anno si avvertì netta la sensazione che questa legge
fondamentale, nata nel clima di enorme conflittualità socio-politica seguito al “sessantotto” e
all’”autunno caldo”, fosse sul punto di essere sensibilmente modificata, e stesse vivendo i suoi
ultimi momenti prima di acquisire il volto ritenuto più adeguato alla nuova realtà di fine
secolo”.362
modello normativo in cui centrale diveniva non più il modello social-tipico del
Negli anni ottanta furono quindi più i tentativi falliti che quelli messi a segno.
Questa tendenza può essere interpretata in due direzioni differenti. La prima è che
Statuto come una norma rigida e troppo garantista che avrebbe condizionato lo
del sistema Italiano. La prima visione postula una concezione di fondo dello
valore normativo, posto che “la struttura del provvedimento […] è tutt’altro che
362
L. Gaeta, I tentativi di modificare lo statuto dei lavoratori (1970-1990), in “Quaderni di Diritto
del Lavoro e delle Relazioni Industriali”, 1990, p. 391.
363
T. Treu, Lo Statuto dei lavoratori vent’anni dopo, in “Quaderni di Diritto del Lavoro e delle
Relazioni Industriali”, 1990, p. 7 ss.
238
organica, perché lo statuto non è un codice del lavoro ma riguarda solo alcuni
aspetti del rapporto di lavoro”.364 Mentre la seconda ha alla base una visione
totalizzante del Statuto che lo vede come strumento normativo centrale su cui si è
tra le due concezioni di fondo può essere sanata affermando che il diritto del
lavoro certo non si esauriva nello Statuto, ma che quest’ultimo “oltre ad indurre
azienda, determi[nò] una gamma molto ampia di input innovativi sul piano
Ma vediamo nei fatti, le principali “avventure” dello Statuto negli anni ottanta.
Per via della massiccia introduzione di nuove tecnologie informatiche, non solo
nell’industria, ma anche nel settore dei servizi pubblici e privati, saltò subito
all’occhio una delle vicende più critiche dello Statuto: il rapporto tra nuove
239
lavoro (2° comma). Ma l’introduzione di queste tecnologie negli anni ottanta era
in crisi la stessa interpretazione garantista consolidata per tutti gli anni settanta.
“E’ evidente che il datore di lavoro porterà, a sostegno della sua tesi di controllo del
lavoratore, per una produttività sempre maggiore, proprio le esigenze tecniche organizzative e
produttive e che in alcuni casi, purtroppo, la magistratura ha ritenuto valide a discapito del
lavoratore”366
Tutto ciò faceva emergere inoltre la problematica del controllo da parte dei
dell’autoritarismo aziendale degli anni ’50, dall’altra non si può negare che nel
nuovo contesto come quello degli anni ottanta, l’art. 4 si presentava come una
Per di più scontava la mancanza in Italia di una normativa generale sulla privacy
del cittadino e sulla gestione delle banche dati. Piuttosto il dispositivo che
prevedeva un accordo con le r.s.a., introduceva il tema della stessa strategia del
366
M. R. Valentino, Controllo a distanza, innovazione tecnologiche e privacy del lavoratore, in
“Lavoro 80”, n. 4, ott.-dic. 1984, p. 949.
240
sindacato nell’incidere sull’introduzione delle nuove tecnologie e in generale del
democrazia industriale. A quanto pare, come rilevava M. Fezzi, che si occupò per
tutti gli anni ottanta di una serie di vertenze in merito alla violazione dell’art. 4, i
sull’occupazione e non anche sulla libertà e dignità del lavoratore. Come abbiamo
una strategia che oscillava dalla resistenza alle tecnologie alla sola difesa
l’utilizzo delle tecnologie. Noti furono gli accordi alla IBM, alla Honeywell, alla
Foster Weelher, alla RAS, alla Merzario e alla Rank-Xeros. Ma erano tutti accordi
367
Controlli elettronici e contrattazione, in “Lavoro 80”, n. 3, luglio-settembre 1987, p. 628.
368
Da sottolineare in questo senso la ricostruzione dalla ratio dell’art. 4 fatta da W. Saresella, che
la individuava non solo nel potere del sindacato di tutelare, tramite la contrattazione, la privacy del
lavoratore, ma la estendeva alla tutela della dignità del lavoratore in rapporto con le tecnologie.
241
l’atteggiamento del sindacato rispetto all’introduzione delle tecnologie nel
dello Statuto, che vietava indagini sulle opinioni dei lavoratori, sia ai fini
dell’assunzione che nel corso dello svolgimento della rapporto di lavoro, sempre
che esse non fossero rilevanti ai fini della valutazione professionale del lavoratore.
Una norma quindi che proteggeva la libertà e la dignità del lavoratore, sia nella
sua sfera individuale concernente gli stili di vita e le abitudini, sia nella sfera
facilmente alle stesse attitudini professionali del lavoratore sia ai fini di una
assunzione puntuale dei lavoratori sia ai fini di controllo del processo lavorativo.
raccolta di dati sulla razza, sulle opinioni politiche e sindacali, sugli stili sessuali e
Queste ultime provocherebbero uno svuotamento della stessa dignità del lavoratore secondo il
concetto marxista di alienazione del lavoratore alla tecnologia, in L’art. 4 S.L. e l’impiego di
elaboratori elettronici, in “Lavoro 80”, n. 2, apr.-giu. 1986, p. 340. Vista in questo senso, la norma
sembra fortemente anacronistica al nuovo contesto e al clima economico di necessità oggettiva di
introdurre nuove tecnologie nei processi produttivi. E non furono pochi casi in cui il sindacato fu
dipinto come agente sociale conservatore perché ancora favorevole al concetto marxista di
alienazione del lavoro alle tecnologie.
369
L. Gaeta, La dignità del lavoratore e i “turbamenti” dell’innovazione, in “Lavoro e Diritto”, n.
2, aprile 1990, p. 212.
242
specie di tubo di cristallo, dove tutto era controllabile e dove tutto doveva essere
rimodulato di volta in volta, mal si conciliava anche con questa norma dello
tutela della salute e l’integrità fisica, cioè l’art. 9. Più che turbata sarebbe meglio
commissioni d’indagine sulle nocività del lavoro erano un ricordo lontano degli
anni settanta. Ciò era dato dal fatto che, al di là delle tragedie eclatanti,
lavori non “pesanti”, avevano di fatto diminuito i casi “classici” di infortunio sul
lavoro, che per altro non andavano diminuendo nell’agricoltura e nel settori del
nuovi e sconosciuti rischi per la salute del lavoratore, rendendo palese il doppio
“Si prenda il tema della salute […] Anche qui ci eravamo abituati all’idea che talune forme di
nocività, quali fumo/polveri/rumorosità ecc., fossero state superate, almeno nelle imprese di medie
dimensioni, grazie alle innovazioni ambientali e alle stesse nuove tecnologie. Scopiamo però che
queste provocano nuove forme di nocività, di tipo sia “elementare” sia “raffinato”: qui l’esempio
più ovvio è quello degli addetti ai video-terminali, a cui la costante adibizione ai monitor, provoca
una serie di disturbi visivi e psicologici.”372
370
In tal senso anche G. G. Balani che citava i risultati, consegnati nel 1989, della commissione
senatoriale d’inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende presieduta da L. Lama. Inoltre si
faceva riferimento ai dati rintracciati all’Inail, che indicavano dall’80 all’88 un decremento di casi
d’infortunio da 1.001.888 a 816.887. G. G. Balani, Individuale e collettivo nella tutela della salute
nei luoghi di lavoro: l’art. 9 dello Statuto, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, aprile 1990, p. 220.
371
L. Mariucci, Le due facce del rapporto tra innovazione tecnologica e diritto del lavoro, in
“Lavoro 80”, n. 2, apr.-giu. 1985, pp. 369 ss.
372
Ivi, p. 371.
243
Bisogna sottolineare inoltre che l’art. 9 dello Statuto introdusse il principio di
risarcitoria e monetarizzata delle norme poste dal Codice Civile a tutela della
salute nei luoghi di lavoro, inserendo misure di controllo come anche d’intervento
sulla stessa organizzazione produttiva. Ciò fu fatto tramite la previsione del diritto
più idonee dagli stessi lavoratori. Alla tutela di tipo giudiziaria, sia preventiva che
successiva, si affiancava quindi una tutela di tipo collettivo tramite l’impulso della
iniziativa autonoma dei lavoratori. Se la tutela di tipo giudiziaria ebbe una minima
effettività nel corso della prima metà degli anni settanta, essa andò
organizzazioni sindacali ad altri temi, sia nell’industria come anche per i nuovi
373
A ciò contribuì evidentemente anche la legge n. 833/1978 che istituiva il Servizio Sanitario
Nazionale. Nell’art. 20 comma 3 si prevedeva infatti che gli interventi di prevenzione non previsti
dalla stessa legge (quindi quelli nei luoghi di lavoro) fossero effettuati secondo le modalità della
contrattazione collettiva, tramite accordi tra datori di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali di
cui all’art. 19.
244
L’art. 13 dello statuto sulle mansioni dei lavoratori fu un’altra norma che
risentì dei mutamenti socio-economici degli anni ottanta. Essa già negli ultimi
anni del decennio settanta era spesso stata attaccata dal padronato poiché causa di
una non sufficiente flessibilità del lavoro con conseguenze sullo stesso diritto di
jus variandi, era stata inserita nello statuto per far fronte tanto alla protezione
dalla libertà e dignità dei lavoratori (eliminare l’odiosa pratica dei reparti
“In presenza di realtà produttive in rapido divenire, si fa sempre più difficile rintracciare
mansioni che presentino piena equivalenza tecnico-professionale, dal momento che la
riorganizzazione, la diversificazione dei prodotti, l’innovazione tecnologica produce fenomeni di
scomposizione e di nuova ricomposizione delle operazioni tradizionali, ne alterano la sostanza
contenutistica e disegnano scenari organizzativi difficilmente comparabili con i precedenti.”374
374
R. L. De Tamajo, F. B. D’Urso, La mobilità professionale dei lavoratori, in “Lavoro e Diritto”,
n. 2, aprile 1990, p. 236.
245
essere ritenuto equivalente, se non migliorativo e quindi ritenuto legittimo, ma
permettesse deroghe in peius della stessa, avrebbe potuto limitare lo stesso diritto
individuale del lavoratore a mantenere il posto di lavoro anche con una mansione
e nuovi profili della professione per evitare deroghe ai diritti individuali del
“professionalità”.
“In fondo anche in una realtà in rapido mutamento riesce agevole porre regole precise allo jus
variandi, costruite sui concetti di dignità, di tutela delle aspettative professionali, di disposizione
sostanziale del lavoratore nell’impresa nient’affatto estranei alla originaria ratio dell’art. 13: una
ratio caricata, in sede interpretativa, di valori ulteriori connessi alla garanzia della professionalità
del dipendente che […] può essere oggi recuperata nei suoi termini essenziali non ostili di
principio a forme di dinamismo dell’organizzazione imprenditoriale […].”375
Ma quali furono le risposte del potere politico ai turbamenti del Titolo I dello
375
Ivi, p. 239.
246
interventi che toccarono l’art. 8 sulla tutela della riservatezza. Nell’81 con la legge
n. 121 ci fu una prima regolamentazione nell’uso della banca dati nella pubblica
non fece altro che riprodurre fedelmente l’art. 8. Nell’89 invece con la l. n. 89 si
intervento relativo all’art. 10 sul tema dei lavoratori studenti: la legge n. 845/78
nello statuto. Tale tendenza proveniva dalle proposte di legge, tra l’altro mai
l’estensione dell’art. 15 anche agli atti discriminatori fondati sul presupposto della
247
un rafforzamento del divieto di indagini e schedature su appartenenti a minoranze
abbiamo visto, dagli operatori del dritto, sindacati compresi. Ciò dimostrò di fatto
che le norme sui diritti individuali erano applicabili anche in senso diverso e
Dopo aver trattato i turbamenti del titolo I dello Statuto e rinviando ad una
ora l’analisi della parte della legge che regola i diritti e l’attività sindacale (Titoli
II e III). Anche in questo caso lo Statuto soffrì molti turbamenti a causa del
settanta che aveva visto nello Statuto la sanzione normativa al passo con i tempi.
376
M. D’Antona, Sindacati e stato a vent’anni dallo statuto dei lavoratori, in AA.VV., Sindacato
e diritti dei lavoratori a vent’anni dallo Statuto, a cura di I. De Zanet, Venezia, Arsenale Editrice,
1990, p. 99.
248
Il sistema di relazioni industriali doveva essere necessariamente riformato per
retto l’impatto dei cambiamenti economici e politici del decennio. Nella prima
sindacale rimase al palo perché era opinione diffusa, tanto tra le parti sociali
quanto tra le istituzioni statali, che i mutamenti in corso fossero una sorta di
radicale del sistema. Tutti gli indici della crisi venivano quindi interpretati come
legittimità sociale del sindacato avrebbe comportato un suo lento declino generale
sindacale. Anche nella zona forte dominata dal “sindacato storico” (industria),
249
più significativi di questo decennio.”377 Lo stesso sindacato, che vedeva crescere
la sfasatura tra base e vertice per via della progressiva stratificazione della forza
lavoro, si accorse che nessun recupero sarebbe stato possibile con le vecchie
strategie organizzative e di politica rivendicativa degli anni settanta. Ciò sia nel
settore industriale, sia in quello terziario, dove il difficile recupero sui sindacati
nuovo volto.
“Essa [la contrattazione] non è più diretta solo al miglioramento normativo delle condizioni
salariali e normative, per quanto tale funzione resti ovviamente essenziale. L’attività negoziale è
invece destinata a svolgere, per un ciclo la cui durata non è prevedibile, anche funzioni diverse, di
gestione, adattamento, revisione delle discipline a fronte dei processi di innovazione. […] In tale
situazione si pone quindi l’esigenza di nuovi meccanismi di formazione e verifica del
consenso.”378
pensasse che in questo decennio ci fu un semplice ritorno al passato stile anni ‘50,
una sorta di “punto e a capo” delle relazioni industriali. La forza assunta dal
avrebbe comportato una disgregazione mortale del sindacato. Per questo c’era
In questo senso lo Statuto era il testo normativo da cui partire perché perno di
377
Ibidem.
378
L. Mariucci, Ancora sulle regole sindacali: dalla rappresentatività allo sciopero, in “Lavoro e
Diritto, n. 2, aprile 1988, p. 290.
250
turbamenti dell’art. 19 di fronte alla necessità sopra esposta. L’articolo molto
problemi circa il rapporto tra base e vertice. Nella seconda metà degli anni ottanta
invece era chiaro a tutti che i processi di sintesi interni al sindacato non erano più
non, operai comuni e altre figure professionali). Era necessario un nuovo assetto
giuridico statuale.379
379
In relazione a tali turbamenti è importante far riferimento ad alcune proposte di legge approdate
in Parlamento volte a desindacalizzare alcuni istituti del titolo III (nel senso di staccarne le
l’esercizio dall’iniziativa sindacale). Sul referendum ci furono proposte “da destra” e “da sinistra”.
La pdl n. 544/83 formulata dal MSI consentiva l’indizione del referendum al 5% de lavoratori o da
singole rappresentanze sindacali, con la previsione della segretezza del voto. La pdl n. 2236/83
formulata dalla Sinistra Indipendente, prevedeva invece la possibilità per qualsiasi organizzazione
sindacale (anche non rappresentativa) di indire un referendum su richiesta del 5% dei lavoratori e
direttamente dal 5% dei lavoratori di convocare assemblee anche senza l’iniziativa del sindacato.
Sulla desindacalizzazione degli istituti statutari va sottolineato anche il tentativo di convocare il
referendum abrogativo di parte dall’art. 28 per sottrarre il monopolio di azione alle confederazioni
sindacali e affidarlo a tutti i lavoratori che avessero avuto interesse ad agire. Ma la Corte
Costituzionale rigettò la richiesta.
251
In relazione ai “turbamenti orizzontali”, in assenza di procedure e regole certe
accettate da tutti per la costituzione delle r.s.a., chi doveva essere investito del
percepire i permessi retribuiti (art. 23) e le trattenute sindacali (art. 26)? Come
non iscritti)? Per conto di chi si sarebbero dovuti stipulare i contratti collettivi:
della generalità dei lavoratori o dei soli iscritti al sindacato stipulante? E come
lavoro sempre più stratificata? Come valutare il consenso tra questi verso le
252
dovevano essere costituite necessariamente tramite l’iniziativa dei lavoratori,
cioè valutata altrove e non in azienda. La presunzione era funzionale alla capacità
seconda parte del decennio quando vennero proposti ben due disegni di legge in
materia, “forse anche perché” - come affermava L. Gaeta - “fecero allora ingresso
in Parlamento due professori di diritto del lavoro, Gino Giugni tra i socialisti e
Giorgio Ghezzi tra i comunisti.”381 Ma anche in questo caso, per una serie di
“nuove regole” che incidessero sul titolo III dello Statuto si dovette aspettare il
380
M. D’Antona, Diritti sindacali e diritti del sindacato: il titolo III dello Statuto dei lavoratori
rivisitato, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, aprile 1990, p. 249.
381
I tentativi di modificare lo statuto, cit., p. 402.
253
Protocollo d’intesa del luglio ’93 e l’accordo interconfederale del dicembre dello
dell’art. 19. Comunque le proposte ci furono e non solo per intaccare la sostanza
dell’art. 19, ma anche per specificarne l’ambito della sua operatività.382 Già dal
1973 approdò in Parlamento una proposta avanzata dal MSI di costituzione di una
previsti dallo statuto. Sulla stessa linea si presentava qualche anno più tardi la pdl
n. 2951/88 di DP.
1550/89) per il PSI e da Ghezzi (n. 3769/89) per il PCI. Le due proposte
“I due progetti muovono da presupposti divergenti: l’uno (progetto Giugni) è in linea con la
tradizione statutaria che colloca al centro della galassia sindacale il pianeta confederale quale
espressione della vocazione del sindacalismo italiano a realizzare la “solidarietà intercategoriale” o
quanto meno extra-aziendale. L’altro (Ghezzi) si affida alla nozione più “astorica” del “sindacato
rappresentativo” […] ove il riferimento alla struttura confederale ed inevitabile per la sede
centralissima e perciò politica del confronto con i pubblici poteri.”383
382
In questo senso le proposte sulla democrazia industriale e sull’obbligo d’informazione alle
rappresentanze nei luoghi di lavoro. Le pdl n. 3480/82, n. 4006/83, n. 66/83 e la pdl del CNEL del
1986.
383
B. Veneziani, Il sindacato dalla rappresentanza alla rappresentatività, in Sindacato e diritti dei
lavoratori, cit., p. 92.
254
I progetti socialista e comunista, pur rispondendo alle istanze comuni “di
nella ricerca delle tecniche per superare “l’anomalia italiana”, ossia la pretesa di
in: “le norme del presente titolo (III) si applicano alle r.s.a. costituite in ogni unità
base delle deleghe ai sensi dell’art. 26. o sulla base delle adesioni nelle elezioni di
255
assemblea, affissione, locale, ecc.); secondo, si promuovevano (non
unici detentori, oltre che dei permessi commisurati ai voti ricevuti, dei diritti di
d’intervento legislativo diramate in una nota della Consulta Giuridica della CGIL
e resa pubblica nel 1988. Secondo tali proposte, che muovevano anch’esse da una
sindacale che avrebbe raggiunto un certo numero di deleghe dai lavoratori. Queste
ultime avrebbero potuto usufruire dei diritti sindacali, ma non avrebbero potuto
aziendali stipulati dalle r.s.a. fossero sottoposti a verifica dei lavoratori tramite
referendum.
256
condizioni di fatto che hanno consentito fin qui tassi accettabili di funzionalità
come questi accordi erano volti principalmente a regolare i rapporti tra le tre
accordi stipulati nell’88 tra strutture decentrate (CGIL, CISL e UIL Piemonte) e di
composizione elettiva delle r.s.a., ma mista, nel senso che una parte veniva eletta
ruolo delle r.s.a. era quello pieno di rappresentanza negoziale in azienda di tutti i
lavoratori. Tali soluzioni autonome furono rielaborate a livello centrale con una
bozza d’intesa, mai approvata, tra CGIL, CISL e UIL nel maggio ’89. Il nuovo
Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè il capo di applicazione della stabilità
reale, bisogna precisare che già nei primi anni di applicazione della norma, oltre
386
M. Magnani, Le rappresentanze sindacali aziendali vent’anni dopo, in “Quaderni di Diritto del
Lavoro e delle Relazioni Industriali”, 1989, p. 61.
257
alle difficoltà di attuazione della reintegra del lavoratore illegittimamente
stesso art. 18 con l’art. 11 della legge 604/66. L’art. 11 di quest’ultima prevedeva
tacitamente l’art. 11 della legge 604 e che quindi la tutela reale si sarebbe dovuta
giurisprudenza, si basava sulla rilevanza della soglia dei 35 dipendenti, per cui la
stabilità reale troverebbe applicazione solo nelle unità produttive facenti capo ad
base al numero degli occupati nelle unità produttive e nelle imprese. Nei fatti
quindi emergevano tre aree di tutela. La prima, l’area di tutela della stabilità reale:
obbligatoria: le imprese con più di 35 dipendenti solo nelle unità produttive con
dipendenti nelle sole unità produttive con meno di 15 dipendenti. Insomma oltre
alla diversità della tutela contro il licenziamento illegittimo tra grandi aziende e
piccole aziende, si era ormai provveduto a stratificare la stessa tutela nella piccola
258
azienda, grazie a diversi regimi di tutela che avrebbero comportato notevoli
della produzione e alla creazione dell’impresa a rete. Nei stessi distretti industriali
che più volte aveva integrato nei casi di licenziamento illegittimo quello in
flessibili di cui la maggior parte delle piccole imprese faceva uso. Così disponeva
l’art. 8 della l. n. 79/83 per i contratti a finalità formative, come anche gli artt. 2 e
anche i contratti di solidarietà. Considerando anche l’abuso che in quegli anni gli
387
M. V. Ballestrero, Ambito di applicazione della disciplina dei licenziamenti: ragionevolezza
delle esclusioni, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, aprile 1990, p. 266.
259
formazione e (molto) lavoro”388, si può certamente affermare che nei primi anni di
aziendali che usufruiscano dei diritti previsti dal titolo III. Ciò causava una grave
violazione della libertà sindacale e quindi anche del diritto di sciopero. Certo era
aziende a gestione familiare, spesso celava vere e proprie violazioni delle libertà
situazioni conflittuali.
l’iniziativa della sinistra politica e sindacale per un adattamento “da sinistra” dello
Statuto nel nuovo contesto socio-economico. Come abbiamo visto già nel 1982 fu
rigettata la proposta di una serie di quesiti referendari tra cui era prevista anche la
“cinque” (settore agricolo) dall’art. 35 dello Statuto. Nello stesso anno approdò in
388
L’espressione è di U. Romagnoli, Attuazione e attualità dello statuto dei lavoratori, in AA.VV.
Lo statuto dei lavoratori (1970-1990), a cura di A. Garilli e S.Marramuto, Napoli, Jovene, 1992, p.
14.
389
Su un’ampia trattazione delle prime critiche rivolte all’abuso del contratto di formazione e
lavoro si veda, L. Meneghini, Sul pericolo di abuso del contratto di formazione e lavoro, in
“Lavoro 80”, n. 3, luglio-settembre 1986, pp. 697 ss.
260
Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare, la n. 3218, promossa da
CGIL, CISL e UIL che non andava a modificare l’art. 18, ma che proponeva una
conciliazione. Il progetto si arenò e nel 1983, in pieno sviluppo della teoria delle
dell’art. 11 della legge 604 (n. 1090). L’anno successivo la Sinistra Indipendente
propose una pdl in cui si voleva ribadire l’abrogazione tacita dei limiti posti dalla
proposte furono avanzate dal PCI (pdl. 2324/88 e pdl 4496/89). Queste, di cui il
390
Nello stesso anno ci fu una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che di fatto
confermava l’interpretazione in senso di “tutele parallele”.
391
Per le critiche a questa proposta si vedano S. Chiusolo, Il disegno di legge sulla disciplina dei
licenziamenti individuali e collettivi: verso il diritto del lavoro della ristrutturazione o della
restaurazione?, in “Lavoro 80”, n. 4, 1986, pp. 995 ss.; G. Ghezzi, Un disegno di legge per la
riforma della disciplina dei licenziamenti, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, aprile 1987, pp. 379 ss.
261
l’introduzione di nuove garanzie sia in base alla consistenza numerica delle
aziende sia che prevedevano criteri relativi al volume di affari delle aziende in
In questo contesto di inerzia del Parlamento nel varare una legge richiesta
anche dalle Corti di merito, arrivò nel febbraio 1990 una sentenza della Corte
come tra gli operatori del diritto. In molti credevano che paradossalmente una
vittoria del sì avrebbe avuto un effetto boomerag, cioè non avrebbe esteso a tutti i
ridotto l’area della tutela reale.393 Tuttavia era convinzione diffusa che il
referendum non era sicuramente la strada migliore da percorrere. E ciò per due
motivi, uno più strettamente politico e l’altro di natura tecnica. Per quanto
politica. Una sconfitta avrebbe potuto rilanciare proposte riduttive che avrebbero
reintrodotto anche nelle imprese più grandi la tutela obbligatoria. Le memorie del
referendum sulla scala mobile nel 1984 erano ancora vive e ciò contribuiva
moltissimo a diffidare di un istituto che aveva decretato non solo la fine dell’unità
392
Per una trattazione di queste pdl vedi L. Gaeta, I tentativi di modificare lo statuto, cit., pp. 412-
13.
393
In questo senso si veda M. Rendina, La Corte Costituzionale ed il referendum per
l’abrogazione dei limiti alla disciplina dei licenziamenti individuali, in “Massimario di
Giurisprudenza del Lavoro”, 1990, pp. 10 ss. In senso contrario M. D’Antona, Gli effetti
abrogativi del referendum sul campo di applicazione dello Statuto dei lavoratori: veri e falsi
problemi, in “Foro Italiano”, I, 1990, pp. 750 ss.
262
sindacale, ma che aveva inaugurato la crisi da cui il PCI stava cercando
drammaticamente di uscire.
“[…] sembrava realistico – ad esempio – prevedere che la Cisl e la Uil si sarebbero lasciate
condizionare dai loro referenti governativi più dalla loro identità di sindacati dei lavoratori. E che
l’eventuale impegno della Cgil sarebbe stato ancora una volta neutralizzato e ammorbidito dalle
esigenze diplomatiche dei rapporti tra le sue componenti […]”.394
Sulla questione tecnica, anche in caso di vittoria del sì, un’analisi realista della
imprese di due o tre dipendenti. Fatto sta che i sindacati assunsero una posizione
unitaria a favore del sì, mentre il potere politico si affrettò ad unificare i diversi
occupati in imprese con più di 60 dipendenti che non godevano della tutela reale
394
M. Pivetti, Licenziamenti nelle piccole imprese: dal referendum alla legge, in “Lavoro 80”, n.
1, 1990, p. 213.
395
Molti commentatori della vicenda sottolinearono addirittura che l’imminenza dei campionati
mondiali di calcio che si tenevano a giugno avrebbe accelerato l’approvazione della legge.
396
Su questo punto interessante fu la polemica tra M. Pivetti e G. Ghezzi su “il Manifesto” dei
giorni 16 e 17 maggio 1990. Il primo riteneva che il disposto avrebbe toccato un numero limitato
di lavoratori (dall’ 1 al 3 per cento degli interessati). Al contrario Ghezzi riferiva dell’esistenza di
un numero considerevole di imprese organizzate a rete. Ciò avrebbe comportato, per il senatore
comunista, l’estensione della tutela ad un numero di gran lunga superiore alla stima di Pivetti.
263
complessivamente soltanto se venivano computati anche i lavoratori con contratto
contenuto della legge che comunque estese ulteriormente l’area di tutela reale,
furono il teatro di una parziale estensione della sua normativa all’agitato settore
del pubblico impiego. L’art. 37 dello Statuto infatti prevedeva l’applicazione solo
differenziazione tra lavoro pubblico e lavoro privato aveva eretto degli steccati
non facilmente abbattibili, per via del regime giuridico speciale del lavoro alle
pubbliche dipendenze. Tuttavia con gli anni molti di questi steccati andavano
progressiva terziarizzazione del conflitto aveva investito anche larghi strati del
molto difficile. Certamente l’art. 37 non taceva del tutto, ma non diceva molto,
264
poiché nel suo disposto ambiguo affermava che le sue disposizioni si applicavano
anche agli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata dalle
“non era quello, subito denunciato, di escludere che lo Statuto fosse la casa comune dei
lavoratori privati e pubblici, bensì quello di non escluderlo senza, peraltro, curarsi di precisare che
sarebbe stato abitabile a condizione di pagare pigioni salate di cui soltanto adesso si comincia a
calcolare l’entità”397
titoli II e III dello statuto, ai soli dipendenti degli enti parastatali, estensione che
doveva avvenire tra l’altro secondo norme di attuazione da emanarsi con accordi
sindacali. Così che nel 1980 una sentenza della Corte Costituzionale (n. 88)
pubblico e lavoro privato erano ancora diversi e che solo il legislatore avrebbe
integrale dello statuto al principio degli anni ottanta era quindi impensabile.
In questo clima nevrotico nel 1983 venne varata la legge quadro sul pubblico
397
U. Romagnoli, Il titolo III dello statuto dei lavoratori e il pubblico impiego, in “Quaderni di
Diritto del Lavoro e di Relazioni Industriali”, 1990, p. 49.
265
dipendente pubblico di regola avrebbe dovuto rivolgersi al tribunale
poco favorevole al lavoratore sia sul piano processuale che sui tempi del processo
assai più lunghi rispetto alle pronunce del giudice ordinario.398 Inoltre la legge
taceva sulla repressione della condotta anti-sindacale (art. 28), “perpetuando una
situazioni rimangano del tutto prive di tutela e che su altre vi siano decisioni
importante su cui il Parlamento cercò di incidere una volta espunto dalla legge
quadro. Durante la IX e la X legislatura il PSI propose ben due ddl e due pdl che
La legge quadro inoltre introdusse le tutele sindacali previste dal Titolo III
privato. Tuttavia essa si differenziava dallo Statuto poiché non venivano indicati i
titolari e i limiti dei diritti sindacali rimettendoli alla contrattazione collettiva. Ciò
398
M. Rusciano, Rapporto di lavoro “pubblico” e “privato”: verso regole comuni?, in “Lavoro e
Diritto”, n. 3, 1989, p. 392. A quanto pare in assenza di una riforma del processo amministrativo, il
grosso fu fatto dalla giurisprudenza costituzionale, sia permettendo di fatto strumenti per i
provvedimenti processuali d’urgenza (sent. n. 190/1985), sia estendendo al giudizio
amministrativo alcune caratteristiche del regime delle prove del processo del lavoro privato.
399
L. Zoppoli, Statuto dei dipendenti pubblici: ancora diversi, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, aprile,
1990, p. 282.
266
perché vennero indubbiamente privilegiati i sindacati confederali più idonei a
inflazione. Tuttavia nel corso della seconda parte del decennio, l’emergere delle
salariali troppo onerose. Inoltre alla base del crescere dei c.d. conflitti di status o
poche le norme dello statuto che di fatto non erano adottate nel pubblico impiego.
E ciò nonostante le proposte di legge provenienti dai soliti Giugni per i socialisti e
Ghezzi per i comunisti, come anche di quelle più decise della Sinistra
legislativo era stato il sistema del collocamento. In verità il Titolo V dello Statuto
non riuscì nemmeno nel decennio settanta ad incidere sull’annoso problema del
complessiva della materia. Il nuovo contesto degli anni ottanta e l’emergere di una
rinvii. Dopo che numerosi progetti di legge rimasero insabbiati nelle aule
267
l’istituzione di sezioni e commissioni circoscrizionali, nuovi criteri di avviamento
altri lavoratori, soprattutto nelle piccole imprese e nel settore del pubblico
impiego. Fatto sta che alla fine del decennio il forte valore simbolico acquisito
negli anni settanta veniva continuamente intaccato non solo dagli ambienti politici
più avvezzi al ritorno definitivo della supremazia del mercato e del potere
268
padronale, ma anche da chi ne era stato tra i più fermi sostenitori. Per questo
cresceva nella società la percezione che lo Statuto fosse una legge storica
sbandierare contro i vertiginosi mutamenti in atto. Ciò fu una costante dei nuovi
269
CAPITOLO III
3.1 Premessa
consolidarsi di nuove forme di impresa sia nel settore secondario che in quello
terziario, incidendo sulla struttura del mercato del lavoro in generale, provocò il
declino del lavoro subordinato in senso tradizionale. Esso andava non solo
autonomo e meno dipendente. Di fronte a questi cambiamenti già nel corso della
seconda metà degli anni ’80 gli operatori del diritto del lavoro si trovarono di
fronte alla c.d. crisi della subordinazione e all’emergere della crisi d’identità della
tradizionale. Ciò comportava la crisi giuridica più rilevante dello Statuto, poiché
si inaugurava quella sorta di “fuga” dallo Statuto del lavoratori che ancora oggi è
alla base della sua minore effettività sociale e giuridica. In un primo momento
la confusione, mentre a partire dalla seconda metà del decennio, di fronte a scenari
270
ottimisti di fine della subordinazione che celava la mancanza di diritti e di dignità
dei nuovi lavoratori post-fordisti, si impostarono nuovi approcci teorici per una
nuova politica del diritto post-fordista. Nel primo paragrafo quindi ripercorreremo
momento era alle prese con la grave crisi del biennio ’92-’93 e l’ormai inevitabile
crisi del sistema dei partiti della c.d. “I Repubblica”. Ne uscì, al di là delle
riassetto delle gradi famiglie politiche si intrecciava a quello del sistema elettorale
presentati i primi progetti di legge che impostavano una nuova legislazione dei
la questione dei nuovi lavori si intrecciò con le recenti riforme del mercato del
271
3.2 Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e affermazione
del postfordismo.
organizzativi taylor-fordisti, già dalla seconda metà degli anni ’80 andava
prendendo piede un ampio dibattito sul futuro del diritto del lavoro. Presto la
maggior parte degli studiosi e degli osservatori dei mutamenti del mondo della
un contesto in cui la flessibilità faceva i suoi primi passi con l’estensione dei
lavoro.
“[…] le tensioni provocate dai processi di mutamento diversi si scaricano […] sulla chiave di
volta della materia, quel concetto di “subordinazione” su cui fa perno l’intero castello del diritto
del lavoro”400
Quindi i turbamenti dello Statuto come effetti rilevanti di un diritto del lavoro
identità e lo statuto scientifico del diritto del lavoro”.401 Tutta la seconda metà
272
nuovo modello socialtipico di tutela giuridica, ma che si caratterizzava come un
affermazione del settore terziario e della lean production rimaneva una meta non
Tuttavia fonti di tensione ce n’erano e tutte puntavano sulla natura stessa del
“E’ ormai impossibile padroneggiare la letteratura in materia, che comincia a parlare anche in
lingua italiana. […] ogni libro, saggio, articolo condivide la consapevolezza del salto di qualità
dovuto all’avvento delle “tecnologie leggere” o “tecnologie intellettuali”, allo sviluppo
dell’informatica, della telematica, della meccatronica.”402
Il diritto del lavoro infatti nacque dall’identificazione del suo oggetto di tutela
402
F. Carinci, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro: il rapporto individuale, in “Giornale di
diritto del lavoro e di relazioni industriali”, n. 26, 1985, p. 205.
273
all’autonomia della disciplina nei confronti del diritto civile, distinguendo il
lavoro alle dipendenze altrui dalla generica locazione di opere. Fu così che si
un processo di crescita progressiva delle tutele, tanto da far parlare di diritto del
socialtipo di lavoratore protetto, così da tendere verso una tutela universale delle
garanzie che disinnescavano la pur sempre latente “permeabilità del confine tra
lavoro autonomo e subordinato”404. Lo stesso Statuto dei lavoratori non fu che una
nei settori economici. Esso quindi era perfettamente aderente alla realtà socio-
economica dell’epoca. Lo stesso codice civile del ’42 (art. 2094), pur facendo
particolari problemi riguardo al “chi” del diritto del lavoro e al “come” della
403
In Italia tale operazione dottrinale fu condotta nei primi anni del ‘900 da Ludovico Barassi
tramite l’inserimento del rapporto di lavoro nel corpo del diritto civile, perseguendo tra l’altro una
precisa politica del diritto di tipo liberale. Infatti l’emergere del movimento dei lavoratori a fronte
della rivoluzione industriale, andava spesso assumendo un carattere potenzialmente eversivo del
sistema. Per questo si operò verso una negazione dell’autonomia contrattuale del lavoratore
rispetto al datore di lavoro. Ciò avrebbe comportato una serie di interventi giuridici di protezione e
di assistenza sociale verso tali figure lavorative. Per una trattazione storico-giuridica della nascita
del contratto di lavoro subordinato U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., pp. 19-97, con una
dettagliata bibliografia in merito.
404
M. D’Antona, Intervento, in Proposta di discussione: il lavoro e i lavori, in “Lavoro e Diritto”,
n. 3, luglio 1988, p. 413.
274
prestazione dedotta nel contratto di lavoro. Fino quindi alla metà degli anni ’80 fu
lavoro subordinato e quindi nella zona protetta dallo Statuto dei lavoratori.405 Ma
successivamente pareva sempre più che dal mercato del lavoro protetto dallo
questo nuovo continente, l’introduzione della tecnologia tanto nel settore terziario
visione unitaria del lavoro subordinato e la sua estraneità dal lavoro autonomo,
facendo emergere un numero non del tutto marginale di differenti “aree grigie”
subordinato.
caso per caso alla giurisprudenza. Con il passare del tempo durante gli anni
ottanta i casi andarono aumentando, segno del processo di mutamento in atto. Dal
famoso caso estremo del pony express a quello dei consulenti (finanziari,
275
“non [era] più riconducibile alla dicotomia tradizionale tra lavoro subordinato regolare –
tendenzialmente stabile – e lavoro subordinato c. d. sommerso – irregolare o precario – ma [era]
caratterizzata da una crescente segmentazione dell’occupazione, determinata dalla diffusione delle
prestazioni c.d. flessibili tanto nell’area del lavoro dipendente quanto nell’area del lavoro
indipendente, autonomo e associato.”407
delle prestazioni. Fu così che il c.d. metodo sussuntivo, che “impone, per
concreta e tipo legale del lavoro subordinato”408, non potendo più funzionare
bloccava lo Statuto stesso alla frontiera edificata dai c.d. “nuovi lavori”. Per
metodo tipologico). Nel corso degli anni furono introdotti elementi sussidiari
della volontà delle parti. Ma lo stesso metodo tipologico avrebbe condotto ad una
ricorso a criteri sussidiari e indiziari della fattispecie concreta, visto che “il
metodo giuridico della sussunzione […] può essere certo integrato con l’impiego
407
E. Ghera, La subordinazione tra tradizione e nuove proposte, in “Giornale di Diritto del Lavoro
e delle Relazioni Industriali”, n. 40, 1988, 4, p. 623.
408
M. Biagi continuato da M. Tiraboschi, Istituzioni di diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 2004,
III edizione, p. 107.
276
di criteri o modelli socio-economici per l’ordinamento tipologico della realtà […]
lavoratori al di furori delle tutele del lavoro subordinato e quindi dello Statuto.
“[…] nell’opinione dei giudici del lavoro, e soprattutto dei più alti in grado […] moltissime
[…] sentenze negano la qualificazione del rapporto di lavoro subordinato – e quindi l’applicazione
della relativa normativa di tutela […] In casi sempre più sparuti la giurisprudenza (quasi mai
quella di legittimità) si sforza di adattare la concezione degli indici rivelatori in relazione alla
peculiarità del caso; negli altri casi tiene ferma la tradizionale configurazione degli indici di
subordinazione, tende a negarne la sussistenza nel caso concreto e finisce così per dare rilievo alla
“volontà espressa” delle parti nel contratto più che ai connotati del rapporto di lavoro nel suo
svolgimento.”410
schemi di individuazioni del quantum delle tutele posto che il giudice poteva
ma una volta che l’abbia fatta entrare, non [poteva] essere arbitro del grado di
un diritto del lavoro in crisi d’identità, a cavallo tra il decennio ’80 e ’90, parte
considerazione che il nuovo mercato del lavoro stava facendo emergere nuove
409
E. Ghera, La subordinazione, cit., p. 624.
410
A. Salento, cit., p. 159.
411
M. D’Antona, Intervento, cit., p. 415.
277
contrattualmente nel mercato del lavoro. I mutamenti in atto erano contraddistinti
lavorative così “forti” sul piano contrattuale da sfuggire dal vincolo solidaristico
“Sta dunque allargandosi il novero dei lavoratori “forti” poco interessati, o addirittura
controinteressati, rispetto al modello standard di organizzazione del lavoro previsto dalla legge o
dalla contrattazione collettiva, cioè rispetto allo schema di tutela imperniato sulla norma
inderogabile. E con la fuga dei “forti”, l’area nella quale opera il principio egualitaristico e
solidaristico si contrae […]; il suo baricentro si sposta verso il basso, con il risultato di una
accentuazione del sacrificio imposto, al suo interno, ai più produttivi e di un ulteriore incentivo
alla loro fuga.”413
una tutela adeguata doveva avvenire “attraverso il rafforzamento del loro potere
sostanziale sicurezza nel mercato, quindi nella fase della negoziazione del
412
P. Ichino, La fuga dal lavoro subordinato, in “Democrazia e Diritto”, 1990, pp. 69 ss.
413
Id., Norma inderogabile dell’autonomia individuale nel diritto del lavoro, in “Rivista Giuridica
del Lavoro”, I, 1990, p. 78.
414
Ivi, p. 79.
415
S. Simitis, Il diritto del lavoro e la riscoperta dell’individuo, in “Giornale di Diritto del Lavoro
e di Relazioni Industriali”, n. 45, 1990, 1, p. 92.
278
A questa concezione si contrappose tutta la dottrina che, basandosi sulla
indisponibile basato sulla dignità, sicurezza e solidarietà dei nuovi lavori, non
tutela modulata rispetto alla nuova complessità sociale. Tale filone prendeva le
mosse dagli studi in tema di differenziazione dei trattamenti proposta già nel
Secondo questa altra prospettiva lo Statuto non era una norma immodificabile e
per questo essa avrebbe dovuto essere aggiornata e affiancata da una normativa di
sostegno minima diretta a chi rimaneva fuori dalla tutela statutaria. Questa tutela
minima doveva obbligare le parti a negoziare nuove regole aderenti alla specificità
del caso anche in deroga delle norme statutarie e all’autonomia collettiva a favore
di quella individuale.
Intanto da più parti si levava l’opposizione ad un diritto del lavoro visto come
“diritto delle attività”, posto che solo la disciplina del rapporto di lavoro
416
M. Pedrazzoli, Democrazia industriale e subordinazione, Milano, Giuffè, 1985.
417
S. Simitis, Il diritto del lavoro, cit., p. 96.
279
sottoprotezione emergenti.418 Questo ulteriore filone della dottrina proponeva una
estensione della tutela tipica del lavoro subordinato alle c.d. fasce del lavoro
filone metteva in evidenza l’emergere dei rapporti di lavoro non subordinati tra i
E’ chiaro che per questo filone lo Statuto rimaneva l’asse portante della
disciplina normativa del lavoro e che anzi esso doveva essere esteso nei sui
caratteri essenziali anche alle nuove forme di lavoro che non potevano usufruire
418
In questo senso si vedano L. Mengoni, La questione della subordinazione in due trattazioni
recenti, in “Rivista Italiana di Diritto del Lavoro”, I, 1985 p. 5 ss.; L. Montuschi, Il contratto di
lavoro tra pregiudizio e orgoglio giuslavoristico, in “Lavoro e Diritto”, 1993, pp. 21 ss.
419
P. Alleva, Flessibilità del lavoro e unità-articolazione del rapporto contrattuale, in “Il Lavoro
nella Giurisprudenza”, n. 8, 1994, p. 780. L’autore suggerisce nei primi due casi di reprimere tali
operazioni “bizzarre” in via amministrativa o giudiziale e, nel caso del socio-lavoratore di
cooperativa, di provvedere ad un intervento legislativo che introducesse tutele adeguate in un
campo in cui da tempo il legislatore era stato compiacente di forte alle ragioni di “democrazia”
dell’ente cooperativo.
420
Ibidem.
280
Bisogna sottolineare tuttavia che in questa fase sia le analisi della dottrina che
processo post-fordista si stava attuando nel paese. Il risultato era che tutte le
uno stile di pensiero calibrato sulla visione “fordista” del lavoro”.421 Ciò non
permetteva agli operatori del diritto di superare lo schema polarizzato tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo che era la causa principale delle difficoltà della
negli eventi socio-economici in atto che si rivelavano nella loro portata di radicale
“La fase della flessibilità e della crescente segmentazione del mercato del lavoro è da venire;
l’impresa “a rete” non è ancora all’orizzonte, segnato semmai da processi di decentramento
produttivo di tipo tradizionale; la “smaterializzazione” del lavoro, tipico delle relazioni
polifunzionali informatiche, è ipotesi quasi accademica; soprattutto, i fenomeni neo-industriali
dello sviluppo quanti-qualitativo dei servizi non offuscano i contorni del prototipo normativo della
subordinazione “personale”.422
421
A. Perulli, Crisi della subordinazione e lavoro autonomo, in “Lavoro e Diritto”, n. 2, primavera
1997, p. 181.
422
Ivi, 181-182.
281
crescere ulteriormente. Nel periodo considerato infatti grazie allo sviluppo
strumenti e motivi ulteriori per svilupparsi nel nostro contesto economico. Tutte le
esclusi. Vediamo più da vicino alcuni di questi processi di emersione del c.d.
Nel corso degli anni ’90 gran parte delle grandi imprese italiane introdussero
423
S. Bologna, A. Fumagalli, Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del
postfordismo in Italia, Milano, Feltrinelli, 1997.
282
l’adozione di un’organizzazione volta alla gestione della stessa flessibilità per far
sempre più agguerrita424. Ciò sarebbe stato possibile solo con il coinvolgimento
dei lavoratori e dalla capacità dei questi di far fronte direttamente alle inefficienze
“Si trattava, dunque, di riconoscere agli esecutori margini di discrezionalità (non di autonomia,
beninteso), di flessibilità decisionale e operativa; e, al contempo, di irretire questa discrezionalità
in un quadro di vincoli che, da un lato, garantisse il mantenimento di una direzione di senso
nell’esercizio della discrezionalità stessa e, dall’altro, producesse una esplicitazione delle decisioni
discrezionalmente assunte, a beneficio dell’apprendimento organizzativo.”425
apporti discrezionali del lavoratore. Un grande gruppo industriale come Fiat Auto
nel corso del decennio attuò tale processo sia a livello macro-organizzativo
424
La stessa Fiat Auto, che era stata l’impresa all’avanguardia nell’adozione di un sistema
produttivo ad alta automazione flessibile, dovette far fronte alla crisi internazionale del settore auto
sul finire degli anni ’80, crisi da cui ne usciva rafforzato solo il mercato giapponese. “Sul finire
degli anni ottanta l’azienda constata che l’automazione flessibile e il “taylorismo giapponesizzato”
[…] non migliorano le prestazioni del sistema produttivo ad un livello tale da accorciare le
distanze sul terreno della competitività con i concorrenti più agguerriti”, in G. Cerruti, La fabbrica
integrata, in “Meridiana”, n. 21, settembre 1994, p. 106. Per una visione generale della crisi
internazionale dell’automobile, si veda A. Enrietti, L’auto snella e l’Europa invidiosa, in “Politica
e Economia”, n. 6, 1991, pp. 60 ss.
425
A. Salento, cit., p. 48.
283
integrata che provvedeva alla produzione di prodotti omogenei (un motore per
constanti avviate già nel corso degli anni ’70 da parte delle grandi industrie
principio degli anni ’90. Nel decennio ’90 infatti si assistette ad una redifinizione
del rapporto tra piccola e grande impresa. Se nel corso degli anni ’80 la piccola
426
Un embrione delle UTE fu introdotto già nel 1987 nello stabilimento di Termoli 3. Questo fu il
primo esperimento di “lavoro di squadra” e di superamento del “lavoro di gruppo”. Riguardo
all’organizzazione del lavoro nello stabilimento di Termoli 3, si veda B. Cattero, Motori di
qualità: l’organizzazione del lavoro alla Fiat di Termoli 3, in “Politica ed Economia” n. 6, 1991,
pp. 53 ss. Per una differenziazione concettuale tra lavoro di squadra e lavoro di gruppo vedi A.
Salento, cit., pp. 46-7.
427
Per una ricognizione ben dettagliata su come è stato concepito e come poi si è organizzato lo
stabilimento Melfi, si vedano ancora G. Cerruti, La fabbrica integrata, cit. pp. 103 ss.; Id., La Fiat
auto conquista la notte e il sabato: è la fabbrica integrata, in “Politica e Economia”, n. 1/2, aprile
1995, pp. 32 ss.
284
impresa aveva rappresentato una reale alternativa alla grande impresa che intanto
si andava difficilmente ristrutturando (si veda supra, parte II, paragrafo 2.1), tale
capacità andava via via declinando a favore di una compenetrazione dei due
dimensione.
“Nel momento stesso in cui la grande impresa si ristruttura per diventare anch’essa flessibile, i
rapporti gerarchici precedenti di tipo fordista tendono a riprodursi, seppure in forma diversa […]
sul finire degli anni ottanta-inizio anni novanta entrambe le tipologie di imprese […] sono
diventate flessibili. La capacità di flessibilizzazione della grande impresa, la possibilità di sfruttare
le nuove tecnologie più di quanto possa fare la piccola impresa consentono alla grande impresa di
gestire la rete logistica della produzione e di demandare alla piccola impresa settori sempre più
ampi della propria produzione, spesso in modo centralizzato e gerarchico.”428
una forte presenza di piccole imprese, in molti casi artigiane, o addirittura nei
distretti industriali. Grazie alla presenza di know how locali e diffusi, le grandi
contratti di fornitura e sub-fornitura intere fasi della produzione. Nella catena del
valore così creata, a valle si trovavano una serie di imprese di piccole dimensioni
strettamente dipendenti dal committente. Ciò non solo per quanto riguardava parti
285
come trasporti, distribuzione al dettaglio, promozione. E certamente quello dei
occasionali e specifici, free-lances, tecnici del settore). Il settore dei servizi sia
lungi da essere rappresentato da una mera crescita del lavoro autonomo, era
maniera sostanziale soprattutto a partire dal 1995, tanto che nel 1998 erano giunte
430
M. Ambrosini, Le relazioni di lavoro nel terziario privato, in “Lavoro e Sindacato”, n. 4, 1992,
pp. 8-9.
431
In questo senso si veda una importante ricerca dell’Ires relazionata da A. Accornero, Una
ricerca sui lavori coordinati e continuativi. Fra subordinazione ed autonomia, in “Lavoro
Informazione”, 1998, n. 22, pp. 5 ss.
286
a circa un milione e trecento mila unità.432 Il boom era dovuto non solo al fatto
che nel ’95 venne introdotta la previsione per i co.co.co. del contributo
idonee alle nuove organizzazioni produttive. In altre parole gli interessi delle
rilevante.435 Si apriva quindi il dibattito riguardo a queste nuove figure sociali, tra
chi riteneva che questi lavoratori fossero assimilabili più ai lavoratori autonomi,
432
Ivi, pp. 5-6. Proprio negli anni tra il ’96 e il ’98 furono pubblicate numerose ricerche che
andarono ad indagare la composizione tipica del lavoro c.d. “atipico”. I risultati spesso erano
contrastanti, visto che in molti casi si includevano fra i rapporti di lavoro atipici anche quei
rapporti chiaramente subordinati a tempo determinato, interinale o part-time. Per una trattazione
completa di queste ricerche si veda T. Vettor, Ricerche empiriche sul lavoro autonomo coordinato
e continuativo e le nuove strutture di rappresentanza sindacale Nidil, Alai e Cpo, in “Lavoro e
Diritto”, n. 4, autunno 1999, pp. 619 ss. Nel caso l’Autrice, presentando i dati di una ricerca del
Cerit-Cisl, fa notare che questa contraddice alcune altre ricerche come quella dell’Ires, che
sottolineavano la prevalenza di uomini a prestazione coordinata continuativa. Al contrario si
riscontrava, nei lavoratori co.co.co., una prevalenza di donne, in possesso di lauree e single, in
linea con la teoria della femminizzazione del lavoro nel post-fordismo. In tal senso si veda I.
Vantaggiato, La “femminizzazione” del lavoro, in AA.VV., Stato e diritti nel postfordismo, Roma,
ManifestoLibri, 1996, pp. 47 ss.
433
C’è da sottolineare che il provvedimento preso con la l. n. 335/1995 non fu certamente mosso
solo dall’intento di impostare una politica di protezione previdenziale in capo ai co.co.co., ma essa
si inseriva nel più generale riassetto della spesa pubblica, in questo caso della riforma
previdenziale del governo Dini. In altre parole il sistema Italia aveva bisogno di “battere cassa”.
434
A quanto pare invece nei primi anni ’90 si preferiva imporre a questi lavoratori l’apertura di
una partita Iva.
435
M. Carrieri, Come regolare i nuovi lavori, in “Lavoro Informazione”, n. 3, 1999.
436
E’ una posizione chiaramente espressa in A. Bonomi, Il capitalismo molecolare, cit.
287
prospettiva di un nuovo lavoratore autonomo-massa, secondo una visione
classista437.
“Si confrontano qui due prospettive antitetiche. La prima è quella di un lavoro effettivamente
autonomo, connotato da notevole discrezionalità ed elevato contenuto, che viene scelto e in parte
costruito da persone capaci di iniziativa e di relazionalità. […] La seconda prospettiva è quella di
un lavoro formalmente autonomo ma svolto con vincoli di dipendenza e in condizioni di attività
tipici di quello subordinato, rispetto al quale offre ben poca discrezionalità in più e molte
opportunità e garanzie in meno.”438
Solo con l’affermarsi dirompente del lavoro post-fordista e quindi con il boom
“detaylorizzata.”439
“Si giunge così a porre il discorso in termini qualitativamente diversi: abbandonando il punto
esclusivamente interno al sistema giuridico positivo, la dottrina appare per la prima volta disposta
a mutare il taglio metodologico operante nella costruzione del proprio universo cognitivo,
avanzando proposte speculative di sistemi di riferimento categoriali radicalmente nuovi. Andare
oltre l’attuale nozione di subordinazione, insomma, non è più un tabù; rappresenta, anzi, una
necessità teoretica […] e di politica del diritto.”440
erano ancora poco conosciuti nella loro conformazione. Come vedremo nel
disegni di legge.
437
Tale impostazione è chiaramente visibile in S. Bologna, Dieci tesi per uno statuto del lavoro
autonomo, in B. Bologna, A. Fumagalli, Il lavoro autonomo di seconda generazione, cit., pp. 13
ss.
438
A. Accornero, Una ricerca sui lavori coordinati e continuativi, cit., p. 10.
439
A. Perulli, Crisi della subordinazione, cit., p. 183.
440
Ivi, p. 182.
288
3.3 Dalla crisi della “I Repubblica” ai nuovi progetti post-fordisti
sviluppatesi nel decennio successivo, nella prima metà degli anni novanta si
che aveva caratterizzato mezzo secolo della vita politica italiana. Mentre la
istituzionale era immerso anch’esso in una bufera storica e qualche anno prima
biennio ’92-’93 e del “nuovo” sistema che ne scaturì, si può a buon ragione
affermare che nel marzo del ‘94, anno delle prime elezioni con un sistema
elettorale non proporzionale, si inaugurava una nuova era politica, una nuova
politiche “storiche” e i partiti ad esse relazionati dovettero fare i conti con il loro
società italiana.
crisi di rappresentanza sociale dei partiti che pressappoco investiva negli stessi
anni tutti gli altri paesi occidentali, a causa del declino delle ideologie nazionali
aspetti particolari e specifici. Piuttosto la crisi del 1992, vista da vari punti di
289
vista, suggeriva differenti approcci, contraddizioni e convergenze che ne
“La crisi fu di natura complessa e contraddittoria. Non si trattò, come nel 1968, di una rivolta
unificatrice dal basso, di una contestazione del potere e della politica di una generazione da parte
di quella successiva. Né la crisi ebbe al suo centro un’unica classe, o partito, o forza sociale che la
scatenasse, la governasse e ne raccogliesse i benefici. Essa non restò confinata a un’unica sfera e a
un solo settore della vita del Paese, né a un teatro esclusivamente nazionale.”441
Tra le molteplici cause di quella che viene indicata come la fine della “I
non solo forti vincoli di politica economica, ma incideva sulle stesse prospettive
propria bandiera ideologica per attirare l’elettorato. Alla vigilia delle elezioni del
1992 infatti non furono pochi gli esponenti politici e gli osservatori a sottolineare
che i partiti al Governo avrebbero ottenuto consensi per quello che erano e non
441
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., p. 471.
290
Roma e delle sue pratiche corrotte) quanto da quel variegato mondo della società
calo dei consensi dei partiti storici e nelle vicende della riforma del sistema
elettorale.
determinante alla crisi. Le indagini del pool milanese, come anche quelle a
smentite proprio dai risultati elettorali delle elezioni del ‘92 e da lì si aprì la
stagione politica più burrascosa della storia repubblicana, una stagione che si
dei consensi soprattutto a Nord, che vennero travasati nei consensi per la Lega
291
RC il 5,6%. Il dato elettorale sottolineava le difficoltà di un’intera famiglia
Leoluca Orlando, la Rete, che ottenne l’1,9% dei voti e 12 deputati. Mentre il MSI
rimase stabile al 5,4% dimostrando di non saper trarre vantaggio dalla dispersione
dello Stato, si aggiunsero le vicende del pool di Milano e quelle del pool
nel febbraio ’92, infatti portavano alla scoperta di un vasto sistema di corruzione
tra esponenti di spicco della politica e delle imprese che non poteva essere più
garanzia443: due furono recapitati agli ex sindaci di Milano del PSI, Paolo Pilliteri
Il Parlamento, in piena elezione del nuovo Capo dello Stato, entrò nella bufera più
442
Per un’analisi sociologica dell’affermazione del fenomeno leghista nelle zone bianche del nord-
est e della tenuta della cultura rossa nelle regioni del centro di fronte ai localismi politici, si veda
D. Ungaro, Il localismo politico, Formello, SEAM, 2001.
443
Nell’ottobre 1989 fu introdotto nel nuovo codice di procedura penale l’avviso di garanzia, cioè
l’atto con cui si comunicava al cittadino che le sue azioni venivano poste sotto indagine dalla
magistratura inquirente.
292
totale444 e nessuna delle personalità proposte dai partiti solitamente al Governo (la
Palermo che aveva decretato l’ergastolo a numerosi boss mafiosi, fu fatto saltare
in aria con la sua scorta a Capaci vicino l’aeroporto di Palermo. La Mafia aveva
colpito uno degli uomini che aveva più servito lo Stato e contribuito alla lotta
Luigi Scalfaro.
moltissimo sulla scelta del Capo del Stato: Scalfaro non era certamente ben visto
dal “CAF”, per via del suo profondo rispetto verso l’autonomia dei magistrati e la
sua elezione contribuì a non ostacolare, come in passato, le indagini scomode del
vedeva di buon occhio un nuovo mandato per Craxi visto che “troppi fra i [suoi]
più stretti collaboratori […] venivano iscritti ogni giorno nei registri degli indagati
della Procura di Milano, e troppi indizi, che si andavano sempre più accumulando,
444
Note sono ormai le immagini dei parlamentari della Lega Nord e del MSI che lanciavano
monetine e gridavano “ladri, ladri,…”
445
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., p. 495.
293
Ma le emergenze non si limitavano al fenomeno mafioso e alle inchieste del
Mastricht. Alla fine del 1992 il debito pubblico aveva un’incidenza sul PIL del
108,6% a fronte dell’obbiettivo massimo del 60% fissato dal trattato di Mastricht.
depressivo, che riguardava una manovra di circa 90mila miliardi fra prelievi
fiscali aggiuntivi e tagli alla spesa pubblica. Fu subito chiaro che il governo
avrebbe dovuto impostare una concertazione delle parti sociali sul costo del
firmare un accordo con gli industriali sul costo del lavoro. Non fu facile per la
CGIL accettare di firmare un accordo a cui si opponeva gran parte della base.
La CGIL, già all’inizio del decennio, nel XII congresso confederale aveva
questi anni che si cominciò a parlare per la prima volta del “sindacato dei diritti”,
consapevoli che una svolta strategica volta ad innovare l’azione sindacale e allo
stesso tempo evitare l’adattamento passivo ai mutamenti in atto, era possibile solo
con una maggiore attenzione alle nuove dimensioni personali ed individuali del
294
lavoratore e della sua vita.446 Un ripensamento strategico che in realtà toccava
sindacali e in questo caso del XII congresso della CGIL, osservava nel dicembre
1991 che
volta sulla base di due mozioni congressuali: una di maggioranza e più moderata e
l’altra di minoranza, più radicale, guidata da Fausto Bertinotti che intanto aveva
dato la sua adesione alla nascente RC. Sulla stessa lunghezza d’onda Trentin
via di uscita dalla crisi che investiva la CGIL, il superamento dei due poli opposti
446
B. Trentin, Relazione e conclusioni al XII Congresso Cgil, in “Rassegna Sindacale”, n. 40,
1991. Vedi anche il programma e le tesi del congresso in CGIL, Strategia dei diritti etica della
solidarietà, Roma, Ediesse, 1991.
447
M. Carrieri, La Cgil sfuggirà al minimalismo?, in “Politica ed Economia”, n. 12, 1991, p. 12.
295
dall’altra alla concertazione dall’alto e dirigista tipica degli anni ’80, si
svelare le difficoltà pratiche di una vera e propria unità organica tra CGIL, CISL e
UIL e tra le stesse componenti interne. Le proposte del governo apparivano infatti
molto più vicine alle aspirazioni di Confindustria che a quelle dei lavoratori.449 La
interessi dei lavoratori: difficoltà economica e politica del paese che avrebbe
anime socialiste ed ex-comuniste della CGIL e prevenire divisioni tra CGIL, CISL
e UIL che avrebbero minato per sempre gli intenti unitari. Nonostante l’accordo
eccessivo, con il senno di poi la vicenda rappresentò per il sindacato una prova di
responsabilità politica rilevante di fronte sia all’opinione pubblica che alle forze
448
Ivi, p. 13.
449
Fu lo stesso Trentin all’indomani della firma ad affermare di aver ceduto alle richieste
congiunte di governo e imprenditori e che nessuna delle richieste della CGIL era stata accettata
dalle parti. Trentin affermava che si sarebbe assunto la responsabilità del suo operato rassegnando
le dimissioni da segretario generale. Rassegnate le dimissioni, queste furono respinte e Trentin
rimase alla guida della CGIL ancora per due anni, quando fu eletto segretario generale Sergio
Cofferati. Per una trattazione della notte delle trattative si veda E. Marro, La lunga notte che
spaccò la Cgil, in “Corriere della Sera” 2 agosto 1992.
296
politiche e di governo. Tuttavia la vicenda fu descritta da molti come una vera e
CGIL.
tra i lavoratori. Dopo l’annuncio di altri tagli alla spesa pubblica, nel settembre si
che sembrava riportare alla mente le lotte degli anni settanta per le riforme sociali
lavoratori. Fu anche una mobilitazione partita dal basso con il chiaro intento di
contestare la firma del 31 luglio del patto sulla scala mobile. Il 29 ottobre circa
450
G. Laccabò, La lezione dei 50 mila di Milano, in “L’Unità” 30 ottobre 1992.
297
Il governo Amato era quindi alle strette tra malcontento dei lavoratori e vincoli
sempre più in alto. Tuttavia il Governo riuscì a varare alcuni provvedimenti: avviò
Nilde Iotti e varò, sotto la spinta del movimento referendario, la nuova legge
contro la mafia: nel gennaio ’93 fu catturato Toto Riina, capo della mafia
Caselli a capo della Procura di Palermo, avrebbero inferto un duro colpo alla
mafia siciliana: esse rappresentarono con una vittoria importantissima per lo Stato
costretto ai rimpasti per via degli avvisi di garanzia recapitati ai suoi componenti.
Lo stesso Craxi nel dicembre 1992 aveva ricevuto il primo di una lunga serie di
illeciti al PSI. Per di più nel marzo dello stesso anno Giulio Andreotti fu iscritto
nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo con l’accusa di concorso in
298
associazione mafiosa. Gli intenti del Governo di arrivare ad una soluzione politica
anche esponenti del PDS e dei VERDI.453 In questo contesto, il governo tecnico si
conti pubblici e rispettare i vincoli europei, Ciampi non poteva però più contare
vera e propria politica dei redditi. C’era bisogno di nuovo dell’apporto dei
Ciampi fu proprio il Protocollo d’intesa con le parti sociali del 23 luglio 1993.
L’accordo, pur proseguendo nel solco tracciato dal Governo Amato di legare il
costo del lavoro agli indici di inflazione programmati, fu ottenuto dal Governo
451
Nel Marzo 1993 Amato propose il varo di alcuni decreti legge che depenalizzavano il
finanziamento illecito ai partiti. Ma la reazione della società civile e dell’opinione pubblica fu
imponente e il Presidente Scalfaro si rifiutò di firmare i decreti.
452
Il 17 e 18 aprile 1993 si tenne il referendum proposto soprattutto da Mario Segni. Fu raggiunto
e superato il quorum e l’82,7% dei votanti si espresse per l’abolizione del sistema proporzionale. Il
parlamento avrebbe dovuto affrontare anche il nodo della legge elettorale.
453
Tuttavia, proprio nel momento in cui fu presentata la squadra di governo, la Camera respinse
una delle tre autorizzazioni a procedere nei confronti di Bettino Craxi. Il caso provocò subito le
dimissioni degli esponenti del PDS e dei VERDI.
299
parti. L’intento di Ciampi e del c.d. protocollo “Giugni” era molto più ambizioso
di quello del Governo Amato: gli accordi prevedevano infatti un assetto stabile e
possibile solo grazie ad un ruolo governativo più tecnico e meno politico in senso
diverse dal contratto nazionale, sulla base di programmi negoziati dalle parti
contribuì al risanamento economico del paese, a far fronte alle richieste della
“la situazione paradossale per cui il movimento sindacale, che gli avvenimenti avevano lasciato
sostanzialmente immodificato [nonostante le aperture della CGIL alla politica dei redditi], veniva
chiamato a collaborare con il governo proprio quando i partiti politici, sottoposti ad attacchi su più
fronti, ne venivano espulsi.”454
fatto che le sessioni annuali non vennero mai convocate con assiduità, ma anche la
454
P. Ginborg, L’Italia del tempo presente, cit., p. 520.
300
“Le ricerche empiriche sull’effettivo impatto del Protocollo del 1993 relativamente al governo
dell’articolazione dei livelli negoziali, dimostrano come la realtà delle grandi imprese proceda
secondo logiche non sempre conformi – e, anzi, spesso eccentriche – rispetto al quadro di
riferimento delineato nel contratto collettivo nazionale. Inoltre […] il contratto di secondo livello è
stato […] caratterizzato in larga misura da erogazioni di tipo tradizionale, non collegate a
parametri oggettivi di produttività, redditività, qualità […].”455
nella realtà, per via di una cultura delle parti sociali non avvezze ad un modello di
già prevista dall’accodo tra CGIL, CISL e UIL del 1° marzo 1991 che istituiva le
Rappresentanze unitarie erano composte per 2/3 da rappresentanti eletti sulla base
segreto tra liste concorrenti. Per 1/3 dalla designazione o elezione interna
firmato gli accordi istitutivi delle RSU. A queste ultime e solo ad esse, per la
455
M. Biagi continuato da M. Tiraboschi, Istituzioni di diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 2004,
III edizione, p. 450. L’autore porta a sostegno della sua critica i risultati della Commissione di
verifica del funzionamento del Protocollo, istituita dal Governo Prodi nel 1997. Si vedano i
risultati della commissione in www.csbm.unimo.it
301
degli elettori.456 Tuttavia il problema delle RSU si pose due anni più tardi, quando
e possono tuttora essere costituite solo dalle associazioni sindacali firmatarie dei
dell’art. 19, frutto della crisi di capacità rappresentativa del sindacato, riservando
sindacati dalla sigla di un accordo) nella materia dei diritti riservati proprio a
aprì una nuova stagione che da una parte indicava nuovi e incisivi spazi per il
generale del lavoro che allo stesso tempo riuscisse a far fronte alle diversificazioni
’94 fu quello sulla legge elettorale in senso maggioritario. Le leggi nn. 276 e 277
456
Bisogna sottolineare che nel pubblico impiego le RSU sono interamente elettive e che la
raccolta firme (2% dei lavoratori per le amministrazioni fino a 200 dipendenti e 1% o comunque
non superiori a 200 in quelle di maggiori dimensioni) è prevista per chiunque voglia presentare
una lista concorrente. Tale opzione era il frutto della forte presenza di sindacati extraconfederali
che con un sistema come quello privato sarebbero stati fortemente ridimensionati.
457
M. Bascetta e G. Bronzini riferirono che i Radicali erano pronti a raccogliere le firme per
l’abolizione totale dei due criteri selettivi. Ma un accordo successivo tra CGIL e radicali convinse i
movimento referendario a proporre un quesito aggiuntivo che richiedeva la sola abolizione del
criterio della maggiore rappresentatività, Id., Lo statuto che non c’è, in AA.VV., Stato e diritti nel
postfordismo, cit., p. 71-2.
458
M. Biagi continuato da M. Tiraboschi, cit., p. 475.
459
M. Bascetta, G. Bronzini., cit., p. 72.
302
del 4 agosto prevedevano che il 75% di Camera e Senato erano eletti in 707
collegi uninominali, mentre il restante 25% sulla base del criterio proporzionale a
livello circoscrizionale regionale. Era un sistema elettorale misto che da una parte
per via della quota proporzionale che spingeva le componenti alla competizione
interna.
ereditare un sistema politico istituzionale stravolto. Alle elezioni del 1994 il Polo
Progressista (PDS, RC, VERDI, RETE, Socialisti Italiani) sembrava essere vicino
politica di Silvio Berlusconi. Nel settembre ’93, dopo una serie di incontri segreti
con esponenti di primo piano della sua azienda e contatti con i propri consiglieri
furono fondati club in tutto il territorio nazionale. Nel gennaio ‘94 annunciò che il
aggregare un polo alternativo alle sinistre: a nord fondò il Polo delle Libertà
alleandosi con la Lega Nord, mentre a sud senza l’apporto della Lega ma con
quello della destra di Fini, creò il Polo del Buon Governo. Il suo programma
460
Per il testo integrale del messaggio si veda S. Berlusconi, “Costruiamo un nuovo miracolo”, in
“Il Giornale” 27 gennaio 1994.
303
efficienza del sistema economico. Era un programma di chiaro stampo neo-
liberista, con accentuati connotati populistici all’italiana. Spesso nei suoi discorsi
istituzionale ed economica del paese perché alleata dei giudici di Milano che
venivano chiamati per l’appunto “toghe rosse”. Grazie soprattutto allo strapotere
seggi) alla Camera dei Deputati mentre i progressisti raccolsero solo 34,4%
(33,8% dei seggi). PPI e Patto Segni raccolsero il 15,7% (7,3% dei seggi). Al
determinata nei suoi progetti, il Governo non durò molto e, prima la grande
mobilitazione sindacale contro la riforma delle pensioni462, poi i dissidi interni con
europeo che richiedeva rigore e politiche che mal si conciliavano con le promesse
sullo stesso Berlusconi e sull’operato di alcuni tra i suoi più stretti collaboratori,
461
I suoi discorsi erano zeppi di belle promesse (un milione di posti di lavoro, meno tasse e libertà
dai comunisti e dallo Stato) e di assicurazioni della sua affidabilità come uomo politico. La sinistra
invece sembrava sicura di vincere e si limitò ad accusare l’avversario di essersi arricchito grazie a
Craxi.
462
Dopo l’annuncio di riforma delle pensioni, i sindacati confederali si mobilitarono e a novembre
più di un milione di persone invase le piazze di Roma in opposizione alla riforma pensionistica. Il
1° dicembre fu firmato un patto con i sindacati che sanciva la vittoria del movimento dei
lavoratori.
463
I principali dissidi tra Lega e Forza Italia erano motivati dalla paura di Bossi di perdere
consensi nell’Italia settentrionale dove Forza Italia era fortemente radicata.
304
Marcello Dell’Utri e Cesare Previti, convinsero Bossi a ritirare la fiducia al
riforma del sistema politico non era del tutto completato. Le crisi di Governo
causate dal ritiro dell’appoggio di alcuni partiti più piccoli saranno una costante
della vita politica italiana. Esse sottolineavano le difficoltà del nuovo sistema
vedremo in seguito, le sorti dei nuovi progetti legislativi in materia di diritti dei
di coalizione.
questo anno che, con la riforma delle pensioni conquistata da Dini, si posero le
basi per l’affermazione dei lavori coordinati e continuativi. Con la previsione del
464
Sul caso si veda un’interessante saggio dell’epoca che già sottolineava tali difficoltà: M. L.
Pesante, Il maggioritario “doc” e perché sia difficile trapiantarlo in Italia, in “Politica ed
Economia”, 1995, n. 1/2, pp. 18 ss.
465
Nel gennaio 1995 con la c.d. svolta di Fiuggi, Fini riuscì a compiere il suo disegno riformatore
del MSI. Venne fondata Alleanza Nazionale (AN) che tagliava definitivamente i ponti con il
passato fascista e allo stesso tempo accentrava ulteriormente i poteri del segretario del partito. Pino
Rauti dal canto suo guidò un piccolo gruppo di dissidenti che rimaneva inquadrato nel vecchio
MSI. Sulla svolta di Fiuggi, si veda M. Tarchi, Dal Msi ad An: organizzazione e strategia,
Bologna, Il Mulino, 1997.
305
soprattutto essa condusse ad una maggiore conoscenza del frastagliato mondo dei
“nuovi lavori”.
In qualche modo è successo che solo dopo la costituzione della gestione separata i nuovi lavori
sono divenuti da soggetti economici un vero e proprio dato sociale. Intanto, è apparso nel periodo
successivo che il numero dei lavoratori rientranti dentro questa tipologia era più largo di quanto
venisse immaginato prima”466
dei giuristi.
sembrava, sulla scorta delle ricerche avviate già dalla seconda metà degli anni ’80,
visto nel paragrafo precedente, a partire dalla seconda metà del decennio ’90 da
più parti la dottrina proponeva interventi del legislatore, che sulla scorta delle
indagini sulle nuove forme di prestazione lavorative e del dibattito giuridico ormai
466
M. Carrieri, Come regolare i nuovi lavori, cit., p. 6.
306
approdato al superamento della dicotomia tra subordinazione e autonomia,
come delle persone “minorenni” da proteggere dai pericoli del mercato468 tramite
che rimangono comunque una minoranza del mercato del lavoro.469 La via di
uscita dalla “fuga del diritto del lavoro”470 sarebbe stata in questa prospettiva
quella di creare una tutela generale, una “rete di sicurezza” comune a lavoro
del lavoro subordinato, mantenendo una serie di garanzie minime per le situazioni
467
P. Ichino, Il lavoro e il mercato. Per un diritto del lavoro maggiorenne, Milano, Mondatori,
1996, p. 54.
468
Ivi, p. 4.
469
L’autore nel primo capitolo dell’opera sopra citata propone una larga ricognizione sul mercato
del lavoro italiano, analizzando i dati statistici Istat del 1995. Da questa rappresentazione della
realtà ne esce un mercato del lavoro in cui i soli protetti dal diritto del lavoro sarebbero meno di
dieci milioni a fronte dei circa 22,7 milioni di lavoratori totali. Tra gli esclusi vengono contati
anche i disoccupati e i lavoratori nel mercato irregolare, in Ivi, pp. 13 ss.
470
F. Liso, La fuga dal diritto del lavoro, in “Industria e Sindacato”, 1992, n. 28, pp. 1 ss.
307
forti contrattualmente (subordinati o autonomi che siano). Al di la di questa tutela
minima generale, il diritto del lavoro dovrebbe diventare maggiorenne, nel senso
del lavoro subordinato e quindi anche una modifica in senso derogatorio dello
’80 e approfondita nel corso del decennio successivo. Un processo che aveva
investito, come abbiamo avuto modo di vedere, anche lo Statuto dei lavoratori.
diversi ambienti della dottrina, i quali ritenevano che il diritto del lavoro “già da
471
A. Perulli, Crisi della subordinazione, cit., p. 191, in riferimento ai suggerimenti di Ichino
descritti in P. Ichino, Il lavoro e il mercato, cit., p. 70.
308
tempo” aveva “accentuato esplicitamente il carattere derogatorio di buona parte
della [sua] struttura, della funzione e dei frutti del c.d. garantismo collettivo; il
altro, evidente.”472 Una parte consistente di questa impostazione della dottrina era
raccolta nella Consulta Giuridica della CGIL, da cui vennero lanciate ben due
di questo filone dottrinale siano emerse proposte tecnicamente diverse, esse erano
dovrebbe essere estesa ai lavori che de jure condito fanno parte del lavoro
autonomo, ma che de jure condendo entrerebbero a far parte del lavoro tout court
309
Tuttavia questo nuovo filone che può essere definito “neo-garantista” non ha
certo nelle due proposte dei risvolti pratici di uguale portata. Alleva in sostanza
gioco a somma positiva che tendeva alla crescita verso l’alto delle tutele per
ricomprendervi anche le figure non tutelate. Queste nuove figure di tutela sono
processo del lavoro del 1973 può solo ricorrere al pretore del lavoro. Di fatto i
protezioni tipiche del lavoro subordinato, mentre la proposta prevede solo alcune
Essa si basa sul concetto di “redistribuzione delle tutele” al centro del quale si
trova il lavoro senza aggettivi. In un certo senso quindi, pur accettando il concetto
310
accordata al lavoro subordinato. Posto che le tutele del lavoro subordinato siano
questi la tutela tradizionale, mentre individua nei nuovi lavori delle tutele minime
formalmente autonome ed esse non sono viste come una eccezione patologica del
sistema. Tuttavia D’Antona non esclude un utilizzo per così dire truffaldino
dell’uso dei co.co.co. Nella proposta infatti sono previsti degli “indici” di
lavori subordinati tutti quei co.co.co. assunti per aggirare le tutele del lavoro
subordinato.
spostare in misura più o meno irreversibile i confini tra lavoro subordinato, lavoro
della rigida dicotomia tra lavoro subordinato e autonomo più in linea con la
società postmoderna.
477
Per quanto riguardava l’aspetto giuridico si veda R. De Luca Tamajo, R. Flammia, M. Persiani,
La crisi della subordinazione e della sua idoneità selettiva dei trattamenti garantistici. Prime
proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium
genus: il lavoro coordinato, in “Lavoro Informazione”, n. 15-16, 1996, pp. 75 ss. Mentre per
l’aspetto sociologico L. Gallino, Mutamenti in corso nell’organizzazione del lavoro, in Ivi., pp. 89
ss.
478
Ivi, p. 89. L’Autore individua questi mutamenti nelle esternalizzazioni, nel lavoro telematico e
nel lavoro funzionalmente integrato. Vedi le argomentazioni nelle pagine successive del lavoro,
pp. 89-94.
311
“La classica dicotomia (lavoro autonomo-subordinato) più non rappresenta la complessità del
fenomeno lavoro nella società postmoderna. Essa è sempre più riduttiva nei confronti
dell’implosione all’interno di ciascun capo e vincola l’autonomia negoziale ad una scelta e ad una
pre-condizione di carattere normativo, che a volte non riflettono affatto il contenuto obbligatorio e
le prestazioni dedotte.”479
coordinato alle esigenze delle imprese – al cui interno andrebbe a collocarsi una
lavori erano considerati non una forma patologica e per questo peggiorativa del
modo di lavorare, visto che veniva proposto di mantenere la tutela tradizionale per
certo tramite una estensione di quelle tipiche del lavoro subordinato. Il lavoro
non di “tutele eteronome” (tutela collettiva) perchè capaci di esercitare tale potere
Non bisogna tuttavia dimenticare di menzionare chi, tra i giuristi del lavoro,
479
R. De Luca Tamajo, R. Flammia, M. Persiani, La crisi della subordinazione, cit., p. 83.
480
Ibidem.
312
suo saggio del 1997481. L’A., riflettendo sul dibattito in corso circa le tutele
ruolo del giurista “di contenuto negativo: che sia rivolt[o], cioè, a segnalare al
presente soprattutto nella proposta di Alleva483, era mosso dal fatto che le attuali
rappresentazioni dei nuovi lavori e soprattutto gli interessi di cui questi erano
481
L. Spagnuolo Vigorita, Riflessioni sul dibattito in tema di subordinazione e autonomia, in
“Massimario di Giurisprudenza del Lavoro”, 1997, pp. 952 ss.
482
Ivi, p. 952. L’autore sostiene che il voler a tutti costi intervenire per predeterminare le tutele dei
lavoratori, è un comportamento ideologico e storicamente formatosi nella nostra cultura lavorista.
Per questo propone, “almeno in questa fase” che considera di transito perché gli stessi interessi di
chi è sprovvisto di tutele sono difficilmente individuabili dagli stessi suoi portatori, un’azione
sindacale che permetta di coagulare gli interessi e di appostare tutele contrattate. Insomma “si
prospetta il transito dalla tutela data alla tutela conquistata: dunque, regolata da criteri di
effettività, perché riconosciuta dalle parti.”
483
Tale interpretazione che collega i timori di Spagnuolo Vigorita alle sue preoccupazioni in
merito alle proposte di Alleva e in generale a chi vorrebbe bloccare il processo di erosione della
tutela della zona del lavoro subordinato, è presente in M. Magnani, Verso uno “Statuto dei
lavori”?, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, 1998, n. 3, p. 312 e anche nota (1).
313
nuovi lavori non del tutto chiaro, sia riguardo ai soggetti che agli oggetti della
tutela.484
PPI, VERDI, SDI, appoggio esterno di RC) alle elezioni del 1996, il nuovo
delle proposte relegate nel campo del dibattito teorico a quello legislativo. Il tema
dei lavori atipici inoltre cresceva di giorno in giorno e si inseriva nel più ampio
dibattito sulla flessibilità, sia “in uscita” che “in entrata”, che il mondo della
assimilate nell’alveo del lavoro “atipico”. Già nel settembre del 1996, pochi mesi
dopo la costituzione del governo Prodi, venne firmato un accordo, il Patto per il
all’approvazione del c.d. “pacchetto Treu” (in quel momento Ministro del lavoro)
contenuto nella legge n. 187/97. Parallelamente nei primi mesi del 1997 venivano
proposti in Parlamento ben tre disegni di legge. Il primo (n. 2049), presentato al
Senato della Repubblica e di cui il primo firmatario era il giurista del lavoro C.
dichiarava esplicitamente nel suo titolo “Norma di tutela dei lavori atipici”. Il
secondo (n. 3972), presentato alla Camera, sempre d’iniziativa di deputati della
484
Le stesse difficoltà furono ravvisate da M. Carrieri, Come regolare i nuovi lavori, cit., pp. 12
ss.
314
maggioranza Lombardi, Salvati, Delbono, intitolato “Disciplina del contratto di
lavoro coordinato”, e il terzo, proposto dai deputati Mussi, Innocenti (n. 3423).
acquisita dai nuovi lavori, non solo tra chi pensava di dover intervenire per
Parlamento.
per la loro tendenza a trattare il tema dei lavori coordinati e continuativi come
tipologie contrattuali utilizzate dalle imprese per eludere le tutele tipiche del
“Già nel corso dei lavori in Commissione fu subito notato che la preoccupazione dei senatori
era quella di evitare un uso delle co.co.co. nei casi in cui il rapporto di lavoro poteva essere
configurato come rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato, quel rapporto “tipico” sul
quale erano ritagliate le tutele legislative e contrattuali della “stagione” ’70-’80.”485
485
M. Salvati, Servono gli economisti del lavoro? Riflessioni su una esperienza parlamentare, in
www.ail.it, p. 4. Lo stesso saggio è apparso con il titolo Economia e politica: servono gli
economisti del lavoro?, in “Stato e Mercato”, n. 1 aprile, 2002, pp. 143 ss.
315
Il progetto tra l’altro era impostato sulle elaborazioni teoriche della Consulta
della CGIL e soprattutto in quelle contenute nel primo progetto di legge elaborato
tipiche del lavoro subordinato e ad introdurre nuove regole che limitassero i poteri
lavoro subordinato”.487 Per gli oppositori del progetto Smuraglia, la proposta non
486
Gli artt. 1, 5, 8, 14 e 15. Inoltre si prevedeva l’applicazione della legge n. 903/77 e della legge
n. 903/1991 e le disposizioni in materia di sicurezza e di igiene previste dal decreto legislativo n.
626/94.
487
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia, cit., p. 196.
316
organizzative d’impresa. Ciò avrebbe contribuito ulteriormente ad una fuga dallo
di tipo giuridico, agli estensori della proposta si imputava anche una scarsa
Tra l’altro alla Camera giaceva l’altro progetto di legge (n. 3972) presentato dai
formulazione del tertium genus “il lavoro coordinato” proposto dal gruppo di
che nei giorni successivi l’approvazione della riforma dal mercato del lavoro
(luglio 1997), annunciò l’intenzione del Governo di predisporre uno Statuto dei
488
Le critiche al progetto Smuraglia sono state numerosissime e con accenti diversi: tra le più
acute si vedano, AA.VV., I cosiddetti “lavori atipici”. Aspetti sociologici, giuridici e interessi
delle imprese, Agenzia per la promozione di Economia e Lavoro, 2000, in particolare i saggi di A.
Accornero, F. Liso, A. Maresca e in ultimo L. Pelaggi sulle ragioni di Confindustria; M. Salvati,
Servono gli economisti del lavoro?, cit.; la presa di posizione generale di tutta la rivista “Diritto
delle Relazioni Industriali” diretta da Marco Biagi, per tutti vedi Il dibattito sui nuovi lavori: due
disegni di legge a confronto per una difficile mediazione, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, n.
2, 1999; lo stesso M. Biagi e M. Tiraboschi, Le proposte legislative in materia di lavoro
parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno “Statuto dei lavori”?, in
“Lavoro e Diritto”, n. 4, autunno 1999, pp. 571 ss.; M. Pedrazzoli, Classificazione e rapporti di
lavoro, in “Massimario di Giurisprudenza del Lavoro”, 1997, pp. 957 ss.
489
Sulle posizioni di Treu in merito ai nuovi lavori, si veda T. Treu, Politiche del lavoro e
strumenti di promozione dell’occupazione: il caso italiano in una prospettiva europea, in M. Biagi
(a cura di), Mercati e rapporti di lavoro, Milano, Giuffrè, 1997, p. 11.
317
Marco Biagi. Sotto la direzione scientifica di Biagi fu diramato un documento
Gli Autori, dopo aver dato largo spazio all’analisi del dibattito giuridico, politico
tutele del lavoro, impostando una normativa generale e modulata nel contesto
essa non fu mai tradotta in disegno formale di legge. La proposta di Statuto dei
del ’70 ed essa si distanziava tanto dalla proposta Smuraglia, tanto da quella n.
490
M. Biagi, M. Tiraboschi (a cura di), Ipotesi di predisposizione di uno “Statuto dei lavori”, su
incarico del Ministro del lavoro Tiziano Treu (1997-1998), in www.csmb.unimo.it
491
Nel testo sono presenti anche dei modelli prestabiliti di certificazione dei rapporti di lavoro, pp.
15-23.
492
Uno “Statuto dei lavori” fu presentato in una prima versione al Consiglio dei Ministri il 25
marzo 1998 nell’ambito della Commissione di studio per la revisione della legislazione in materia
cooperativa con particolare riferimento alla posizione di socio-lavoratore (c.d. commissione
Zamagni), mentre successivamente fu redatta in una versione “alleggerita” in sede ministeriale
presumibilmente con l’apporto di Tiziano Treu. Si veda in Appendice Doc. n. 5.
318
mutevole.”493 In questo senso quindi le proposte di Confindustria, di alcuni
“Sul piano delle finalità di politica legislativa, l’opzione in favore della tipizzazione di un
tertium genus pare in se neutra. Essa può essere infatti adottata sia per estendere le tutele del diritto
del lavoro ai rapporti difficilmente riconducibili al tipo legale dell’articolo 2094 c.c. (come
appunto nel caso del d.d.l. n. 2049) sia in funzione di una operazione diretta a sottrarre nuclei più o
meno ampi di tutele a prestazioni lavorative di lavoro subordinato (come nel progetto elaborato da
De Luca Tamajo, Flammia, Persiani […])”494
Fu così che di fronte alla impossibilità di trovare un accordo tra le parti sociali
libertà negoziale dei singoli lavoratori come soggetti deboli di fronte alla
indisponibilità delle tutele anche del lavoro subordinato, poiché il sistema sarebbe
493
M. Biagi, M. Tiraboschi, Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato, cit., p.
582.. Gli autori portavano a sostegno dalla loro impostazione anche la posizione manifestata dal
Presidente della Commissione per il Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati Renzo
Innocenti, si veda R. Innocenti, Un progetto politico per la riforma delle regole del lavoro, in
“Diritto delle Relazioni Industriali”, n. 3, 1998, pp. 307 ss. Nello stesso senso anche qualche anno
più tardi in M. Tiraboschi, La c.d. certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziaria, in
“Lavoro e Diritto”, n. 1, inverno, 2003, p. 111, nota n. 4
494
M. Biagi, M. Tiraboschi, Le proposte legislative in materia di lavoro parasuboridinato, cit., p.
584.
319
individuale. Tale prospettiva non faceva altro che minare il ruolo del conflitto e
circoscritta a sussulti momentanei e non certo nel lavoro atipico. Inoltre si faceva
controversie in sede giudiziale poiché “resterebbe pur sempre compito del giudice
alcuni settori della Sinistra DS, si attestava su queste posizioni, mentre debole fu
che la posizione del ministero e dei fautori dello Statuto dei lavori, riuscì a
modificare la legge solo grazie all’aggiunta di alcuni articoli, tra cui quello sulla
certificazione (art. 17). Per altro fu approvato in una versione alquanto riduttiva
rispetto alle proposte di Biagi497. Così fu trasmessa alla Camera dei Deputati la
495
M. Magnani, Verso uno “Statuto dei lavori”?, cit., p. 315 e anche nota n. 4.
496
Su questo punto vedi, L. Palmerini, Vicina l’intesa sul DDL Smuraglia, ma è scontro sulla
certificazione, in “Il Sole 24-Ore”, 12 giugno 1998; A.Del Freo, Lavori atipici, oggi il Senato
decide sulle certificazioni, in Ivi, 23 giugno 1998.
497
E’ una considerazione che fu sottolineata dallo stesso Tiraboschi qualche anno più tardi in un
saggio dedicato proprio alla questione della certificazione riguardo al rapporto tra Libro Bianco,
legge 30 del II Governo Berlusconi e Statuto dei lavori (si veda il paragrafo 3.3). “Il principale
merito dell’iniziativa di Smuraglia è stato indubbiamente quello di aver preso atto, con un certo
anticipo rispetto gli esiti del dibattito dottrinale, della necessità di un intervento legislativo. […] Il
testo approvato dal Senato nel corso della passata legislatura, lungi dal rappresentare una riforma
complessiva del nostro diritto del lavoro, si concentra infatti solo esclusivamente sulla figura del
lavoro parasubordinato, di cui veniva fornita una sommaria definizione […].” In M. Tiraboschi, La
c.d. certificazione dei “lavori” atipici e la sua tenuta giudiziaria, cit., p. 111.
320
Repubblica. Una proposta che in definitiva non mutava il suo impianto neo-
garantista.
legislativa in corso sul progetto di legge Smuraglia e sullo Statuto dei lavori,
in questo processo della firma di quello che alcuni osservatori indicarono come il
primo Ccnl dei lavori atipici l’8 aprile 1998.498 Il contratto fu firmato solo da
“Come si può agevolmente notare […] il Ccnl […] ha avuto, come proposte e disegni di legge
precedenti, la funzione di riferimento per l’attuale redazione del suddetto disegno Smuraglia. Forse
il Ccnl 8 aprile 1998 ha avuto anche il merito di richiamare l’attenzione delle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale sui rapporti parasubordinati ed atipici,
anche se non ha ancora sortito l’effetto di sollecitare l’impegno sul piano contrattuale.”499
specifica rappresentanza dei lavoratori “atipici”. Gli stessi acronimi delle nuove
498
Per un commento al contratto si veda E. Guido, La collaborazione coordinata e continuativa
dal primo contratto collettivo al disegno di legge “Smuraglia”, in “Il Lavoro nella
Giurisprudenza”, n. 4, 1999, p. 331 e nota bibliografica n. 17.
499
Ibidem.
321
atipici e interinali) e il Cpo-Uil (Coordinamento per l’occupazione),
con conseguenze negative sia sul piano delle politiche contrattuali che sui modelli
tangibili su cui costruire una nuova solidarietà, primo stadio per una azione
resa come servizio che come strategia di rappresentanza.501 Per questo le difficoltà
conoscenze sul tema. Non era un caso che in molti documenti programmatici delle
nuove sigle sindacali, si evincevano strategie che puntavano sulla conoscenza del
500
M. Carrieri, Lavori in cerca di rappresentanza, in “Lavoro e Diritto”, n. 4, autunno 1999, p.
668.
501
Ivi.
322
fenomeno tramite l’ascolto e l’attenzione dei bisogni dei rappresentati.502 E ciò
non era certo facile. Da quanto suggeriscono alcune ricerche503, verso la fine del
“L’accorpamento di tali tipologie (sia Alai sia Cpo) porta a muoversi indifferentemente dal
lavoro-non lavoro, al lavoro a termine, al lavoro autonomo o semi-autonomo/subordinato, senza
che sia possibile rinvenire un tratto unificante, che non sia quello della diversità, della fuoriuscita
dallo schema tipico del lavoro subordinato a tempo pieno e di durata indetermintata.”504
instabilità politica per via delle defezioni nella maggioranza che portarono alla
di Amato. Tra l’estate e l’autunno del 1999 si consumò anche il destino della
modificare la legge licenziata dal Senato nel senso di attenuare le troppe analogie
con le tutele del lavoro subordinato tradizionale. Inoltre giacevano alla Camera
perplessità, non solo nell’opposizione – che per altro non fece proposte rilevanti
dell’organizzazione.
502
T. Vettor, Ricerche empiriche, cit., p. 624.
503
Si vedano i saggi di D. Gottardi, Questioni aperte sulle strategie sindacali, in “Lavoro e
Diritto”, n. 4, 1999, p. 650 ss., T. Vettor, Ricerche empiriche e nuove strutture di rappresentanza
sindacale, cit.
504
D. Gottardi, Questioni aperte sulle strategie sindacali, cit., p. 651.
323
“Venne invece rapidamente imboccata la strada di usare come testo-base da emendare la
proposta del Senato, un poco per non inviare un segnale di sconfessione completa del lavoro da
questo compiuto […], ma soprattutto perché, nella gran parte della Commissione non era piena la
consapevolezza che un semplice lavorìo di emendamento non avrebbe consentito di redimere i
difetti d’impianto della proposta proveniente dall’altro ramo del Parlamento”505
Non pochi erano comunque coloro che pensavano che l’impianto della legge
4). La discussione, che si incentrò nei punti peculiari del testo (art. 4 cessazione
del rapporto di lavoro, art. 11 comma 1 sulla conversione automatica, art. 1 sul
campo d’applicazione, ecc.), giunse fino a marzo 2000, quando ci si accordò per
l’allora neo-ministro del Governo Amato, Cesare Salvi della sinistra DS. Furono
sanate le contrapposte visioni sempre sul campo di applicazione, sul diritto al Tfr,
sui diritti sindacali, sul ruolo della contrattazione collettiva e sulla durata e
conversione del contratto. Non fu facile mettere d’accordo le posizioni perchè “la
nell’un caso o nell’altro, anche all’interno dei DS […]”506 Inoltre anche dopo aver
mediazione, questa volta con il Senato che avrebbe dovuto di nuovo riesaminare il
505
M. Salvati, Servono gli economisti del lavoro?, cit., p. 9.
506
Ivi, p. 11.
324
testo uscito dalla Camera. Il testo fu comunque modificato nel senso di attenuare
passare alla discussione sui singoli articoli, il disegno di legge si arenò di fronte
alla Camera, visto anche che nella primavera del 2001 si sarebbero tenute le
pacchetto Treu una legislazione sui nuovi lavori che limitasse l’uso distorto di
che ha avuto come protagonisti i diritti dei lavoratori. Questa ultima tappa
Certamente il recente Governo Berlusconi sarà ricordato non solo per la legge
mercato del lavoro, ma anche per il grave conflitto sociale che si aprì all’indomani
del disegno di legge delega sul finire del 2001. Da quel momento tra Governo e
parti sociali e tra le stesse centrali confederali si aprirono aspri dissensi: da una
325
riformatore e dall’atra i sindacati a sua volta divisi tra un’opposizione
né nei riguardi dello Statuto dei lavoratori né rispetto ad una nuova legislazione in
tema di nuovi lavori in generale. I ricordi della prima esperienza nel 1994 non
facevano certo ben sperare riguardo ai rapporti sindacali tra Governo e parti
liberista; una nuova riforma del mercato del lavoro sembrava diretta a
strettamente connesse alla mancanza di modernità del nostro mercato del lavoro. I
settembre fu sempre più spesso usato per giustificare non solo una politica estera
fiscale, taglio della spesa pubblica, più flessibilità e meno garantismo vecchio
326
stampo, più autonomia individuale e meno collettiva. Il tutto da raggiungere con
una pratica politica aggressiva del “noi dialoghiamo con le parti sociali, ma se non
questo disegno politico aveva alla base una forte alleanza con la Confindustria
guidata da Antonio D’Amato, palesemente espressa sia dal Governo che dalla
stessa Confindustria.
In questa prospettiva diveniva centrale il ruolo del Ministero del lavoro diretto
dal leghista Roberto Maroni, poiché la riforma del mercato del lavoro era il più
importante dei temi previsti dal programma politico del centro-destra. Nell’ottobre
gruppo di lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e coordinato
dal vice-ministro Maurizio Sacconi (FI) e dal professor Marco Biagi, dal titolo Il
Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e un
Biagi, che nella passata legislatura fu interpellato senza esiti positivi dal Ministro
Treu per disinnescare le parti più controverse della proposta Smuraglia, si trovava
Il documento era diviso in due parti: nella prima si illustrava una larga analisi
molto critica del mercato del lavoro italiano, mentre nella seconda si proponevano
le ricette principali per far fronte alle “inefficienze e iniquità” descritte. L’analisi
del mercato del lavoro italiano (pp. 2-24) riferiva in primo luogo di un mercato
del lavoro in cui, nonostante alcuni risultati positivi degli ultimi anni, i disoccupati
507
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia.
Proposte per una società attiva e un lavoro di qualità, a cura di M. Sacconi e M. Biagi, Roma,
2001, in www. csmb.unimo.it
327
rimanevano ancora troppi rispetto alla media europea. Ciò era dovuto al fatto che
avrebbe portato all’esclusione sociale e alla crescita del lavoro nero che allo stesso
coinvolgimento nella regolazione del mercato del lavoro e anche dei rapporti di
il c.d. dialogo sociale.508 Si chiedeva una normativa del lavoro che superasse la
mera tutela del posto di lavoro per impostare una serie di garanzie nel mercato,
sulla competizione tra agenzie pubbliche e private, una politica nuova per la
capacità professionale e ad una più forte sinergia tra scuola e mercato del lavoro.
508
Ci si riferiva in tal senso al dialogo sociale intrapreso a livello comunitario soprattutto dopo il
Trattato di Amsterdam. Questo avrebbe comportato un rapporto con le parti sociali per cui le
istituzioni avrebbero dovuto consultarle ogni qual volta avessero avuto intenzione di assumere
interventi legislativi o comunque di natura regolatori in capo sociale e dell’occupazione. Dopo
questa prima fase di consultazione, da attuare in tempi brevi, se il Governo fosse stato intenzionato
a proseguire sulle sue proposte avrebbe dovuto negoziare con le parti sociali i temi oggetto del
provvedimento proposto. In caso di rifiuto delle parti sociali di negoziare sui temi proposti dal
governo o nell’ipotesi di un esito infruttuoso della negoziazione, il Governo avrebbe potuto
comunque andare avanti nel progetto dichiarato. I termini essenziali del dialogo sociale proposto
nel Libro Bianco sono stati rintracciati nel manuale di diritto del lavoro a cura di M. Biagi e M.
Tiraboschi, Istituzioni di diritto del lavoro, cit., p. 10.
328
Nella stessa ottica si proponeva una riforma degli ammortizzatori sociali secondo
l’ottica dei c.d. “cicli lavorativi”, visto il tramonto del posto fisso per tutta la vita.
leggera e certa, proposta nel Libro Bianco. Veniva avanzata la proposta di “Soft
lavori.
“Il Governo considera necessario alla luce di quanto sopra esposto procedere ad un’opera di
complessiva modernizzazione dell’impianto dell’ordinamento del lavoro in Italia nell’ambito di
uno “Statuto dei lavori” che riprende alcune idee progettuali già circolate nel corso della
precedente legislatura […] A seguito dei profondi mutamenti intercorsi nell’organizzazione dei
rapporti e dei mercati del lavoro, il Governo ritiene che sia ormai superato il tradizionale approccio
regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo, il lavoro nella grande
impresa al lavoro in quella minore, il lavoro tutelato al lavoro non tutelato.”509
lavoro (diritto alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, tutela
della libertà e della dignità del prestatore di lavoro, abolizione del lavoro minorile,
509
Ivi, p. 39.
329
compenso equo, diritto alla protezione dei dati sensibili, diritto di libertà
relativi.” A tal fine, nell’immediato vengono riproposti dei sistemi certificatori dei
Insomma il Libro Bianco prometteva una riforma consistente del mercato del
lavoro e in esso il Governo prendeva l’impegno di varare uno Statuto dei lavori, in
chiara contrapposizione con le scelte del Governo precedente che aveva puntato
Il Libro Bianco fu presentato in Parlamento nei primi giorni di ottobre del 2001
e già qualche giorno più tardi, il 23 ottobre, una nota della CGIL diramata dal
Comitato Direttivo, dava una valutazione generale sul testo del ministero del
lavoro.
“Il libro bianco contiene, in forma peggiorata, tutte le scelte esistenti possibili in materia di
precarietà del lavoro, sposando unilateralmente gli interessi delle imprese e le richieste avanzate da
Confindustria nel convegno di Parma. Quelle scelte pregiudicano quei confronti pure necessari (a
partire sugli ammortizzatori sociali) per fare avanzare i processi riformatori […]”510
510
Libro Bianco: valutazioni del Comitato Direttivo Cgil, 23 ottobre 2001, in
www.giustizialiberta.org
330
Successivamente le critiche della CGIL furono approfondite in altre analisi che
andare avanti per la sua strada, forte di una larga maggioranza parlamentare e
lavoro.512 Si prospettava quindi una riforma complessiva del mercato del lavoro
con un largo uso dello strumento della legge delega. Di fronte a ciò sia
nuove tipologie di lavoro flessibili e una riduzione del ruolo del sindacato a favore
511
L’istituto della delega consiste nell’approvazione da parte del Parlamento di una legge in cui si
delega il governo a legiferare in determinate materie sulla base di criteri generali prestabiliti e
iscritti nella legge stessa.
512
Art. 1 (per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, in materia di
intermediazione e interposizione privata sulla somministrazione di lavoro), art. 2 (in materia di
incentivi alla occupazione), art. 3 (in materia di ammortizzatori sociali), art. 4 (in materia di
agenzie tecniche strumentali per l’occupazione), art. 5 (in materia di riordino dei contratti a
contenuto formativo) art. 6 (in materia di attuazione della direttiva 93/104/CE in materia di
lavoro), art. 7 (in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale), art. 8 (in materia
di disciplina di nuove tipologie di lavoro) , art. 9 (in materia di certificazione dei rapporti di
lavoro), art. 10 (in materia di misure temporanee a sostegno dell’occupazione regolare e a incentivi
alla assunzione a tempo indeterminato) e art. 13 (in materia di arbitrato nelle controversie
individuali). Si veda il testo integrale della proposta di legge delega in
http://www.giustizialiberta.org/polecam/delega.pdf.
331
“Ai fini di sostegno e incentivazione della occupazione regolare e delle assunzioni a tempo
indeterminato, il Governo è delegato a introdurre in via sperimentale, […] disposizioni relative alla
conseguenze sanzionatorie a carico dei datori di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato […]
in deroga all’art. 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, prevedendo in alternativa il risarcimento
alla reintegrazione […]”
sperimentale e in alcuni casi specifici quali – come recitava il testo della delega –
dichiarato da D’Amato, che l’occupazione sarebbe cresciuta grazie alla facilità per
del posto di lavoro e superando così il regime di stabilità reale. Non era un’idea
nuova, considerando che già nel 2000 venne respinto un referendum abrogativo
dell’art. 18 proposto dai radicali. Fu su questo punto cruciale per i sindacati che le
di CGIL, CISL, UIL. Nel gennaio del 2002 a qualche mese dalla rottura delle
sindacali:
“Se il governo tenterà di modificare il nostro ruolo e cancellare le nostre conquiste noi sapremo
reagire e colpire uniti”. Savino Pezzotta, segretaro generale della CISL. “Devono imparare a
rispettarci”, rincara Sergio Cofferati leader della CGIL. “La nostra sarà una battaglia lunga”
prevede il segretario della UIL Luigi Angeletti.”513
Per il sindacato l’articolo 18 era una norma cardine del sistema lavoristico
Statuto dei lavoratori e in generale al ruolo del sindacato nei luoghi di lavoro e
513
In www.repubblica.it, 12 gennaio 2002.
332
nella società. Una strategia ben descritta dal sociologo Luciano Gallino in un
“Nell’attacco al sindacato le strategie adottate dal governo Berlusconi sono principalmente due.
La prima, sviluppata in sintonia con i ceti sociali che lo sostengono, consiste nell’etichettarlo
instancabilmente come residuo pre-moderno, istituzione demodè, struttura in ritardo irrimediabile
sui tempi. […] L’altra strategia che il governo Berlusconi sta perseguendo allo scopo di
drasticamente ridurre il peso del sindacato sta scritta in tre documenti, “il Libro bianco sul mercato
del lavoro in Italia”[…]; il documento in cui si propone la Delega […], e la relazione di
accompagnamento alla proposta stessa.”514
anche secondo una strategia basata sul valore simbolico che continuava ad avere
gruppo delle “Nuove” B.R. assassinava Marco Biagi, sotto il suo portone di casa a
collaborava al Ministero del lavoro. Nel ’99 infatti veniva assassinato a Roma
sinistra. I Brigatisti tentavano quindi di inserirsi nello scontro sociale in atto sulla
riforma del mercato del lavoro colpendo uno dei principali artefici delle riforme
conto sempre più di essersi infilato nel vicolo cieco del muro contro muro. Al di là
514
L. Gallino, Chi vuole spegnere la voce del sindacato, in “la Repubblica” 15 gennaio 2002, p.
15.
333
dell’art. 18, erano tutte le riforme auspicate ad essere messe a rischio. Fu così che
erano CISL e UIL. Tutti i sindacati comunque erano in forte difficoltà di fronte
artefice delle proposte del Governo in materia di lavoro. Nei giorni successivi alla
per il fatto che come spesso accade, quando nello scontro sociale si inserisce la
l’eccessivo scontro sociale in atto che aveva causato la morte di Biagi, doveva
rimanere intransigente tanto nei confronti del terrorismo, quanto di fronte alle
intenzioni del Governo. CISL e UIL invece optarono per una strategia volta a
sfruttare i ripensamenti del Governo per strappare in sede di trattative risultati che
guerra delle cifre tra organizzatori e autorità pubbliche, le vie di Roma quel giorno
334
L’imponente manifestazione che era stata proclamata prima della morte di Biagi,
scandì il doppio slogan “No alla modifica dell’art. 18” e “No alla violenza
terrorista” per i diritti e la democrazia. La CGIL quel giorno dimostrò tutta la sua
unitaria su cui indire uno sciopero generale in aprile, sciopero che poi fu
tutta la politica economica e del lavoro del Governo, in molti chiedevano alla
una parte avrebbero dovuto abbassare i toni dello scontro e dall’altra ottenere
il lancio di una nuova iniziativa politica: quella della tutela della flessibilità. Nel
(Rifondazione Comunista era fuori da questo schieramento) la Carta dei diritti dei
Tiziano Treu. In particolare, l’ex Ministro del lavoro, constatato che le strategie
del Governo erano ormai lontane dalla costruzione di uno Statuto dei lavori,
515
Su questo punto si vedano gli articoli D. Orecchio, Il centrosinistra presenta la Carta dei diritti
dei lavoratori. Più tutele alla flessibilità; Id.,“Apriremo un dibattito nel paese”. Carta dei
diritti/parla Cesare Damiano, responsabile Lavoro dei Ds, del 22 e 24 maggio 2002, in
www.rassegna.it, in cui si riferisce del lancio dell’iniziativa e della strategia politica adottata dal
centro-sinistra.
335
rilanciò la proposta di cui fu promotore ai tempi del Governo Prodi. In un primo
momento il progetto dichiarato era quello di uno “Statuto dei nuovi lavori”, ma
apriva un percorso politico che avrebbe portato, come vedremo, alla presentazione
Comunista, dal canto suo, riteneva la strategia della CGIL in difesa dei diritti
sacrosanta. Sempre più spesso R.C., si fece portavoce di quel variegato settore di
opposizione sociale che andava dal movimento no-global alle sigle sindacali di
15 dipendenti. Alla raccolta delle firme tuttavia parteciparono anche ampi settori
della CGIL.
dell’Ulivo, cioè il PdCI, i VERDI e la corrente di Sinistra dei DS. Questa zona di
delle tutele prevista dalla Carta e dall’altro l’estensione dell’art. 18 anche alle
piccolissime imprese.
516
La scelta del nome fu presumibilmente effetto di una valutazione strategica e allo stesso tempo
della mediazione interna ai partiti. Il mutamento di terminologia ci fu “perché l’idea di “Statuto dei
lavori” era un’idea politicamente bruciata. Di “Statuto dei lavori” si parla nel Libro bianco del
governo di centro-destra”, così Massimo Roccella in un’intervista apparsa sulla Rivista del
Manifesto, M. Santostasi, Conversazione con Massimo Roccella, in “La Rivista del Manifesto”, n.
30, luglio-agosto 2002. Inoltre il progetto del Governo, accanto alla modulazione delle tutele,
presentava una serie di deroghe ad alcune tutele del lavoro subordinato in linea con il pensiero di
M. Biagi. Mentre la Carta presentava una modulazione che tuttavia sarebbe dovuta avvenire,
stando alle dichiarazioni dei promotori, senza toccare le tutele acquisite.
336
Comunque sia nel luglio 2002 successe ciò che nei primi mesi dell’anno non ci
materia di fisco, investimenti nel mezzogiorno e tutta una serie di temi controversi
sperimentazione di tre anni per cui non erano soggette a stabilità reale le imprese
provvedimento non sarebbe stato applicato alle imprese già attestate sui 16
serie di altre piccole sigle sindacali. La strategia del dialogo sociale era riuscita e
contenuti principali. Al contrario per CISL e UIL era una vittoria che faceva
337
elogiava il comportamento. In particolare a Cofferati e alla CGIL si imputava la
Nello stesso patto veniva rilanciato il progetto di Statuto dei lavori. Il Governo
più ipotesi di articolato normativo per la realizzazione di uno Statuto dei lavori”.
Fu così che lo Statuto dei lavori, uscito dalla proposta di legge delega518, rientrava
centro-sinistra e nelle parti sociali, sulla proposta Amato-Treu lanciata nel maggio
atto fra le diverse tipologie di lavoro” che da tempo aveva “messo in crisi
progetto di legge si basava sulla difficoltà ad impostare tutele per quelle nuove
517
Sui diversi approcci e considerazioni interne allo schieramento di opposizione si vedano i due
interventi su “la Repubblica” di E. Scalfari e M. Salvati. E. Scalfari, Don Giovanni e Cisl-Uil
sedotte abbandonate, in “la Repubblica” 6 luglio 2002; M. Salvati, A che cosa è servito disertare
quel tavolo?, in “la Repubblica”, 10 luglio 2002.
518
Nel febbraio 2002 il ministero del lavoro aveva predisposto due ipotesi di legge delega
specificatamente alla predisposizione di uno Statuto dei lavori, su vedano le ipotesi A e B, in
www.csmb.unimo.it Queste non furono mai approvate dal Consiglio dei Ministri.
338
provvedimenti delegati al Governo sulle nuove figure contrattuali (lavoratori a
uguali a tutti i lavori e di dotare i nuovi lavori di tutele modulate a seconda dei
casi e senza mettere in discussione le tutele acquisite dall’area forte del lavoro
ammortizzatori sociali. Tuttavia non era escluso che al di là della tutela base
uguale per tutti, ci potessero essere, nelle differenziazioni delle tutele, regolazioni
per quelle figure con maggior forza contrattuale nel mercato. Tutte queste nuove
dipendenti”. Tutele minime venivano previste anche per quei lavoratori autonomi
lavori proposto nel 1998 sulla scorta della negativa esperienza del progetto
tra le varie anime politiche e sindacali. Essa si differenziava invece dal tragitto
339
l’individuazione delle fattispecie oggetto della tutela e dall’azione del Governo
volta a derogare alcuni diritti cardine del lavoro subordinato ( ad esempio l’art.
18).
della tutela, senza disporre di una redistribuzione generale dei diritti acquisiti. Era
la preoccupazione principale dei critici della proposta della Carta dei diritti dei
legislative messe in capo dalla CGIL e dalla sua Consulta Giuridica, all’indomani
lavoro. Dal progetto iniziale, come abbiamo visto, venne stralciata la delega per la
magistrati, Magistratura democratica, che a sua volta era impegnato anche nella
lotta referendaria sull’estensione dell’art. 18. Di fronte alle riforme proposte dal
governo e all’attacco contro l’art. 18, la CGIL aveva scelto di opporsi in tutti i
340
modi; ma ciò non bastava, bisognava rilanciare una strategia nuova sulla base del
consenso acquisito.
debole sotteso alla legge 30521. Una era diretta alla salvaguardia dell’occupazione,
altre due erano dirette all’estensione dei diritti. Una dell’art. 18 alle imprese al di
sotto dei 16 dipendenti, l’altra era rivolta all’unificazione dei diritti nelle
prestazioni di lavoro continuative (si veda l’Appendice, doc. n. 7). Per quanto
riguarda l’estensione dell’art. 18, la CGIL chiariva che il progetto era inteso a
di un diritto di civiltà e chi credeva che nelle piccole imprese una controversia di
lavoro lasciasse degli strascichi spiacevoli a danno degli stessi lavoratori. Per la
341
“[…] dal lato dei sostenitori della estensione pura e semplice dell’articolo 18 perché questa norma,
da sola, non esplica nella piccola dimensione la stessa efficacia deterrente che esercita nella
dimensione maggiore, a causa della riluttanza dello stesso lavoratore a continuare il rapporto con
un datore di lavoro che lo ha trattato ingiustamente. […] Dal lato degli oppositori, per contro, il
problema è mal posto perché si confonde la necessaria sanzione di invalidità di un atto che non ha
quel fondamento causale che per legge dovrebbe avere, con il diverso problema, successivo ed
empirico, di possibili situazioni di incompatibilità personale, e in secondo luogo perché non si
distingue fra due tipi di licenziamento fra loro ben diversi, come sono, da una parte, i licenziamenti
disciplinari (o per motivo soggettivo, cioè per colpa del lavoratore) e, dall’altra, i licenziamenti per
motivo “oggettivo”, ovvero economico-produttivo.”522
A questa proposta si affiancava quella per l’estensione dello Statuto dei lavoratori
dell’art. 2094 c.c. in modo da sussumere tutti i diritti previsti dal diritto del lavoro
esclusiva del risultato al datore di lavoro” (art. 1 del progetto). Inoltre erano
termine del contratto (art. 2), sui contributi previdenziali (art. 3) e una base di
522
P. Alleva, Le proposte della Cgil per l’estensione e l’effettività dei diritti del lavoro, in Ivi., pp.
66-77.
523
Ivi, p. 64.
342
Il progetto estendeva le tutele classiche del lavoro subordinato, ma a
includere in una tutela uguale per tutti le forme di lavoro rese nell’interesse altrui.
Il senso del pensiero forte nella CGIL coincideva dunque con la capacità di
PDCI e alcuni settori della Sinistra DS, come anche MD. Mentre per il NO o per
Per i moderati del centro-sinistra non era solo sbagliato estendere l’art. 18 alle
piccole imprese per via della loro specificità, ma ritenevano errato anche l’istituto
del referendum per una materia così delicata. La CGIL, nonostante la contrarietà
all’uso del referendum abrogativo che ormai era la bestia nera storicamente
della tutela reale, si espresse a favore del SI. D’altronde la proposta di legge di
524
M. Santostasi, Conversazione con Massimo Roccella, cit.
343
iniziativa popolare di fatto chiedeva l’estensione dell’istituto. Ma non furono
larga maggioranza furono varati i decreti nn. 276 e 124 che riformavano
ampiamente il mercato del lavoro nelle parti su cui il Parlamento aveva approvato
lavoro che secondo i decreti deve essere costituito in forma scritta. Sono stati
modifica dell’orario della prestazione lavorativa. Per la prima volta nel nostro
chiamata, che in Italia è previsto come sviluppo del lavoro interinale, a differenza
lavoro ripartito (o job sharing) non aveva precedenti nel nostro mercato del
344
(co.co.pro). La riforma revisionava tutta la disciplina dei contratti a contenuto
La riforma del mercato del lavoro era quindi completata e parte del Libro
rimodulazione delle tutele che configurasse uno “Statuto dei lavori”. Fu così che
con notevole ritardo il Governo si impegnò ad attuare il punto 2.3 del Patto per
l’Italia, firmato con CISL e UIL nel 2002. Nel marzo 2004 un Decreto
il Gabinetto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali della Commissione di
Studio per la definizione di uno Statuto dei lavori” (art. 1 D.M.). Tale
dicembre 2004, una o più ipotesi di articolato normativo, assumendo come base di
facevano parte altri 24 componenti tra giuristi, sociologi e studiosi vari del mondo
del lavoro e della produzione. Il Governo voleva quindi giungere al più presto alla
Biagi” risalente al 1998. Si indicava nel D.M. una chiara scelta di politica del
526
Lo si veda in www.csmb.unimo.it
345
diritto per una modulazione delle tutele a geometria variabile e per la
La commissione si riunì per ben nove volte e convocò due audizioni con le
parti sociali, ma alla “scadenza del 31 dicembre 2004 non [era] stato possibile,
alla Commissione nel suo complesso, pervenire alla elaborazione di uno o più
marzo 2005, venivano descritti i lavori e i limiti che non avevano permesso di
consideravano lo Statuto dei lavori in alternativa allo Statuto dei lavoratori o come
rimodulazione delle tutele e la messa a regime della riforma del mercato del
lavoro.
quelle dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL, UGL e SIN.PA), quelle dei dirigenti, dei
ITALQUADRI e CONFQUADRI).
527
M. Tiraboschi, Relazione conclusiva della Commissione di Studio per la definizione di uno
“Statuto dei Lavori”, Roma, Marzo 2005, p. 3.
528
Materiale raccolto in Ivi, pp. 25 ss.
346
Complessivamente le associazioni datoriali si espressero a favore di un
dunque per un sostanziale ripensamento dello Statuto dei lavoratori alla luce delle
approccio che portasse ad una pur modesta estensione delle tutele tradizionali.
dichiarò nettamente contraria non solo alla “Bozza Biagi”, ma anche alla proposta
dello Statuto dei lavori.529 Positiva verso uno Statuto dei lavori si espresse anche
atto dal Governo. Mentre l’UGL dichiarava di essere contraria perché l’impianto
347
egemonica della classe operaia nella grande impresa e l’inamovibilità del posto di
diritto indicata dal Governo, cioè quella della rimodulazione delle tutele secondo
tutele alle nuove forme di lavoro, come ad esempio quella proposta dalla CGIL.
delle tutele. E su questo piano ci furono, all’interno di questo filone di politica del
impostare la modulazione delle tutele alla luce della riforma Biagi. Secondo gli
estensori e i favorevoli alla Carta dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, infatti
“A mio avviso crea [la riforma] complicazioni di non poco sulla strada che dovrebbe portare
alla elaborazione di un statuto inteso, come era nelle indicazioni originarie della bozza del 1998, a
riproposizionare l’apparato di tutela del diritto del lavoro rispetto al continuo mutamento del
lavoro e dei lavori.[…] Le complicazioni possono derivare dal cuore della nuova normativa che si
propone di adeguare l’assetto normativo del diritto del lavoro alla nuova realtà produttiva
moltiplicando le tipologie contrattuali utilizzabili per lo svolgimento di prestazioni di lavoro.”531
530
Tiraboschi riferì che per il Sindacato Padano “l’attuale “Statuto dei lavoratori” non ha più
ragion d’essere, ed ogni ulteriore ritardo della sua radicale riforma, significa subire il ricatto
ideologico del sindacato confederale e dei suoi alleati politici.”, in Ivi, p. 34.
531
T. Treu, Statuto dei lavori e Carta dei diritti, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, n. 2, 2004,
p. 194. Nello stesso senso si veda T. Treu, Statuto dei lavori: una riflessione sui contenuti, in
www.ildiariodellavoro.it, 18 settembre 2003.
348
In questa prospettiva “da sinistra”, la rimodulazione era di fatto impraticabile
prospettiva su cui si era unito, con non poche difficoltà, tutto l’Ulivo.
Da prospettive opposte non furono pochi, tra cui la CISL, a ritenere che la
riforma del mercato del lavoro aveva provveduto ad intraprendere la strada giusta
per uno Statuto dei lavori. Lo stesso Presidente della Commissione in un paio di
interventi in merito532 espresse delle riserve sulla prospettiva sopra decritta. Per
tipologie contrattuali relegate al lavoro nero e nelle aree grigie del diritto della
disciplina lavoristica.
“Procedere alla codificazione di uno Statuto dei lavori senza prima avere aggregato e fatto
emergere, attraverso le nuove tipologie contrattuali, quella miriade di prestazioni lavorative
collocate nell’area del lavoro grigio e, sempre più spesso, del lavoro nero sarebbe probabilmente
stata una operazione meritoria quanto priva di efficacia rispetto ai processi normativi reali.”533
532
M. Tiraboschi, La c.d. certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziaria, cit. e Id.,
Certificazione e tipi di lavoro flessibile nella riforma dei lavori: un primo passo verso lo statuto
dei lavori, in www.csmb.unimo.it
533
Ivi, p. 3.
349
Il tema dello Statuto dei lavori non fu più affrontato e le imminenti elezioni
rilevate spuntate di fronte alla fuga del lavoro dominante conosciuto dagli albori
turbate, sembrava che lo Statuto non avesse più niente da dire e pochi lavoratori
gli interlocutori dello statuto” avrebbero dovuto presto ammettere che l’auspicio
espresso da Gino Giugni nel lontano ’73 di vedere lo Statuto come base di
partenza per costruire su di esso soluzioni ancora più nuove, era totalmente
fallito.534 Nonostante esso avesse retto l’impatto con i cambiamenti, tutto ciò che
c’era di nuovo nella società italiana si andava invece costruendo al di fuori delle
impostazioni dello Statuto e in molti casi contro di esse. Tuttavia, ben presto ci si
534
U. Romagnoli, Il dopo-statuto: un testimone, un interlocutore, in “Lavoro e Diritto”, n. 3,
autunno 2000, p. 338.
350
accorgeva che le nuove forme di organizzazione produttiva emergenti e il nuovo
migliaia di km da quella che fu dello Statuto del ‘70, non riusciva comunque a
consolare le necessità vitali di quella cittadinanza operosa che del lavoro vive, da
cittadini della II Repubblica. Un lavoro che stenta oggi a ricostruire nuovi valori
mondo dei nuovi lavori. Più libertà o solo nuove forme di dominio? D’altronde la
capacità della classe operaia di imporsi come soggetto sociale meritevole di diritti
La difficoltà di avere una figura sociale nuova che imponga nuovi valori e
avanza. Gli stessi giuristi più avveduti, che in qualche modo sembravano nella
seconda metà degli anni ’90 essersi rimboccati le maniche per un nuovo corso
riferimento condiviso. Così anche le proposte di uno Statuto dei lavori o di Carta
chi e perché bisogna modulare le tutele e soprattutto quali tutele e diritti chiede il
351
possono certo sentirsi esenti da queste mancanze. Non è certo facile parlare di
nuove organizzazioni sindacali a una giovane ragazza che lavora in un call center
pubblicitaria multinazionale. Ciò che è certo è che i bisogni dei nuovi lavori
percezione presente non solo nei sindacati, ma che si impone anche a livello di
sono i più attenti a queste dinamiche. Da un decennio non fanno altro che
lavoratori che sfuggono alla tutela tradizionale. Ma i risultati sono stati ben pochi
e a quanto pare i Governi sono più preoccupati di creare occupazione, quale che
politica. In realtà quindi anche loro non riescono a captare reali aggregati di
‘60, quando cioè di Statuto si parlava solo nelle riviste di diritto del lavoro e nelle
andò a finire qualche anno più tardi. Senza assumere la prospettiva della ciclicità
della storia, è certamente utile sottolineare, alla fine di questo lungo viaggio
storico attraverso la lente dello Statuto dei lavoratori, ciò che manca ancora per
352
dell’industrialismo pareva imporsi con tutta la sua forza la classe lavoratrice, ma
per giungere a riconoscere dei diritti ad essi si sarebbero dovuti susseguire eventi
democratica di massa, poi raccolta dalle organizzazioni sindacali. Oggi come ieri
nuovi, ma mancano quei “tuoni” a sinistra che nel ’68 fecero capire al potere
ancora aperta.
353
APPENDICE
DOC N. 2
“LA PROPOSTA DI VITTORIO (1952)”
1) Il rapporto di lavoro tra padrone e dipendente non può in nessun modo, e per nessun motivo, ridurre o
limitare i diritto individuali che la Costituzione repubblicana italiana riconosce all’uomo sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali dove svolge la sua personalità (Costituzione art. 2)
Perciò anche nel luogo di lavoro i dipendenti conservano totalmente e integralmente, nei confronti del padrone, o di
chi per esso, i propri diritti, di cittadini, la loro dignità umana, e la libertà di poter sviluppare, senza ostacoli o limitazioni, la
propria personalità morale, intellettuale e politica.
2) Il rapporto di lavoro riconosce al padrone solo il diritto di esigere dal proprio dipendente una determinata
prestazione d’opera, per un determinato periodo di tempo, nel rispetto di una data organizzazione e disciplina del lavoro.
Nella realizzazione di questo diritto il padrone, o chi per esso, deve rispettare la inviolabilità personale del dipendente
(Costituzione art. 13)
Perciò, per nessun motivo, il padrone, o chi per esso, può ricorrere, nei confronti del proprio dipendente a insulti, a
violenze fisiche o morali, sottoporlo a ispezioni o perquisizioni, per motivi non espressamente autorizzati dai regolamenti
di fabbrica, o procedere a controlli e sequestri di cose di qualsiasi natura che gli appartengano.
3) Il rapporto di lavoro non può in nessun modo e per nessun motivo vincolare o limitare i diritti civili del
dipendente. Meno che mai può limitare il diritto del lavoratore di discutere con i suoi compagni le questioni relative al
proprio lavoro, di collaboratore alla gestione delle aziende, di tutelare i proprio interessi di lavoratore e di adempiere ai
propri doveri associativi (Costituzione artt. 39-40-46)
Perciò anche nell’azienda, e durante il tempo non occupato nella produzione, ogni dipendente deve poter fruire
liberamente del diritto di manifestare il proprio pensiero, di leggere e far circolare la stampa permessa dalla legge, di
associarsi, di riunirsi e di far opera di proselitismo e di organizzazione.
4) Il rapporto di lavoro non deve essere soggetto a nessuna discriminazione politica, religiosa e razziale. Per le
assunzioni, per la determinazione delle qualifiche e delle retribuzioni e per le promozioni devono valere solo le norme
stabilite dal contratto sindacale e dalla legge, le attitudini o le capacità individuali, i meriti professionali acquisiti
(Costituzione artt. 3-36)
Perciò non vi può essere rottura di rapporto di lavoro per ragioni estranee alle esigenze della produzione, né per
rappresaglia contro il dipendente a causa della sua appartenenza a determinate organizzazioni o a causa delle sue
convinzioni politiche o religiose, né per vendetta contro il lavoratore che intenda far rispettare la propria libertà di cittadino,
la propria dignità civile e morale ed il proprio diritto ad esigere che la proprietà assolva ai compiti sociali prescritti dalla
Costituzione della Repubblica italiana.
354
DOC N. 2
“IL PROGETTO BRODOLINI (1969)”
TITOLO I
DELLA LIBERTA’ E DIGNITA’ DEL LAVORATORE
Art. 1
(Libertà di opinione)
I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi di dove
prestano la loro opera, di manifestare il proprio pensiero, nel rispetto delle altrui libertà e in forme che non rechino intralcio
allo svolgimento dell’attività aziendale.
Art. 2
(Guardie giurate)
Il datore di lavoro può impegnare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico
approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.
E’ fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al comma
precedente le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non
per specifiche esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma.
E’ fatto divieto alle guardie giurate di contestare fatti che costituiscono motivo per la applicazione di sanzioni
disciplinari, salvo che queste ultime ineriscano a fatti lesivi del patrimonio aziendale.
In caso di inosservanza da parte di una guardia particolarmente giurata delle disposizioni di cui al presente articolo,
l’Ispettorato del lavoro denuncia il fatto al Questore per i provvedimenti di su competenza.
Art. 3
(Impianti audiovisivi)
E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano rispondenti a esigenze organizzative e produttive ovvero
alla sicurezza del lavoro ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza della attività dei lavoratori, possono
essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna, l’Ispettorato del lavoro dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.
Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondono alle caratteristiche di cui al comma del presente
articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del
lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per
l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
Art. 4
(Assenze per malattia)
Il controllo delle assenze per malattia può essere eseguito solo da un sanitario il cui nominativo deve
preventivamente essere comunicato dal datore di lavoro alle rappresentanze sindacali aziendali, ovvero, in mancanza di
queste, all’Ispettorato del lavoro.
Ove le risultanze dell’accertamento compiuto dal sanitario di fiducia del lavoratore, il datore di lavoro o il
lavoratore, fatte salve analoghe procedure stabilite dai contratti collettivi di lavoro, possono chiedere all’Ispettorato del
lavoro la nomina di un accertamento definitivo.
Art. 5
(Visite personali di controllo)
Le visite personali di controllo del lavoratore sono ammesse soltanto nei casi in cui siano indispensabili in relazione
alla qualità degli strumenti di lavoro e delle materie prime o di prodotti.
In ogni caso le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dai
luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di
sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.
Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al
secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le
rappresentanze sindacali aziendali oppure, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.
355
Art. 6
(Sanzioni disciplinari)
Qualora i contratti collettivi di lavoro non dispongano al riguardo, il datore di lavoro deve stabilire e portare a
conoscenza dei lavoratori dipendenti, mediante affissione in luogo accessibile a tutti i lavoratori, le sanzioni disciplinari, le
infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata, nonché le procedure di contestazione delle stesse.
Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi di lavoro, e fermo restando il disposto dell’articolo 2119 del
codice civile, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che importino mutamenti definiti del rapporto di lavoro;
inoltre, la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione del
servizio e della retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che
siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per scritto del fatto che vi h dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità
giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi,
anche per messo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione e di arbitrato, composto dal un
rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo nominato dal
direttore dell’ufficio del lavoro.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invio rivoltogli dell’ufficio del lavoro a nominare il
proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore
di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi tre anni dalla loro applicazione.
TITOLO II
DELLA LIBERTA’ SINDACALE
Art. 7
(Atti discriminatori)
E’ nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che
aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale, ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore o recagli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero
della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica
e religiosa.
Art. 8
(Trattamenti economici collettivi discriminatori)
E’ vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente
dell’articolo 7.
Il giudice, su domanda delle associazioni sindacali alle quali sono iscritti i lavoratori nei cui confronti è stata attuata
la discriminazione di cui al comma precedente, condanna il datore di lavoro al pagamento, a favore del Fondo adeguamento
pensioni, di una somma pari all’importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti nel
periodo massimo di un anno.
Art. 9
(Sindacati di comodo)
E’ fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni sindacali di datori di lavoro di costituire o sostenere, con
mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacai di lavoratori al fine di porle il loro controllo.
Le disposizioni di cui al Titolo III della presente legge non si applicano alle associazioni di cui al primo comma.
Art. 10
(Reintegrazione nel posto di lavoro)
La sentenza che dichiara la nullità del licenziamento a norma dell’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
comporta l’obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza è tenuto, per ogni giorno di ritardo, al pagamento, a favore del
Fondo adeguamento pensione, di una certa somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore, ferma la
corresponsione a quest’ultimo di quanto dovutogli in virtù del rapporto di lavoro, fino alla data della reintegrazione.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei dirigenti sindacali di cui all’articolo 14, su istanza congiunta del lavoratore e del
sindacato cui questo aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con
ordinanza, quando la domanda è sufficientemente provata, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al Pretore medesimo che
l’ha pronunciata ovvero al collegio, qualora sia stata preannunciata dal giudice istruttore. Si applicano le disposizioni
dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto, e sesto comma del codice di procedura civile.
L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Il datore di lavoro che non ottempera all’ordinanza, non impugnata o confermata dal Pretore o dal collegio, è tenuto
al pagamento della penale di cui al secondo comma.
356
TITOLO III
DELL’ATTIVITA’ SINDACALE
Art. 11
(Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali)
Le disposizioni del presente Titolo si applicano, entro i limiti di cui al successivo articolo 24, alle rappresentanze
sindacali aziendali, costituite, secondo le norme interne alle associazioni sindacali, nell’ambito dell’unità produttiva, ad
iniziativa:
a) dalle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
b) dalle associazioni sindacali, non affiliate alle predette Confederazioni, che siano firmatarie di contratti nazionali
o provinciali applicati nella unità produttiva.
Art. 12
(Assemblee)
I lavoratori hanno diritto di riunirsi fuori dall’orario di lavoro e in locali messi a disposizione dal datore di lavoro,
nella unità produttiva, in cui prestano la loro opera o nelle immediate vicinanze di essa.
Le riunioni sono indette, singolarmente o congiuntamente dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità
produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e sondo l’ordine di precedenza delle
convocazioni, comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, non più di due dirigenti esterni del sindacato
che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro,
anche aziendali.
Art. 13
(Referendum)
Il datore di lavoro deve consentire lo svolgimento, fuori dall’orario di lavoro, di referendum su materie inerenti
all’attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori appartenenti alle categorie per le
quali le stesse sono organizzate nella unità produttiva.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche
aziendali.
Art. 14
(Licenziamento e trasferimento dei
dirigenti delle rappresentanze sindacali)
Si presume intimato in violazione dell’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il licenziamento dei dirigenti
delle rappresentanze sindacali di cui all’articolo 11 della presente legge, quando il datore non abbia fornito la prova della
giusta causa o del giustificato motivo.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano, salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di
lavoro, ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, i cui nominativi siano stati previamente comunicati, mediante
raccomandata, dalle associazioni sindacali di cui all’articolo 11 alla direzione dell’azienda, in numero non superiore a:
a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 300
dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
b) due dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 2.000
dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
c) un dirigente ogni 3.000 dipendenti della categoria per cui è organizzata la rappresentanza sindacale aziendale
nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente lettera b).
Il trasferimento dell’unità produttiva dei dirigenti sindacali di cui al presente articolo può essere disposto solo
previo nulla osta delle associazioni sindacai di appartenenza.
Art. 15
(Permessi retribuiti)
I dirigenti sindacali di cui all’articolo 14 hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a premessi retribuiti in
misura non inferiore a quattro ore mensili nelle unità produttive che occupano fino a 100 dipendenti e a otto ore mensili
nelle unità produttive di maggiori dimensioni
Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al comma precedente deve darne comunicazione scritta ad datore
di lavoro almeno tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
Art. 16
(Permessi non retribuiti)
I dirigenti sindacali di cui all’articolo 14 hanno diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative
sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a sei giorni per anno.
I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al
datore di lavoro almeno tre giorni prima, tramite la rappresentanza sindacale aziendale o l’associazione sindacale di
appartenenza.
Art. 17
(Diritto di affissione)
Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di utilizzare nei locali di lavoro appositi spazi, in luoghi
accessibili a tutti i lavoratori, posti a loro disposizione dal datore di lavoro per l’affissione di pubblicazioni, testi o
comunicazioni inerenti all’attività sindacale.
357
Art. 18
(Contributi sindacali)
Le associazioni sindacali dei lavoratori che anno costituito le rappresentanze di cui all’articolo 11 hanno diritto di
percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai
contratti collettivi di lavoro che garantiscano la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione
sindacale.
Nelle aziende dove non si applicano i contratti collettivi di lavoro, il lavoratore può, comunque, chiedere il
versamento del contributo sindacale all’associazione da lui indicata.
Art. 19
(Locali delle rappresentanze sindacali aziendali)
Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 300 dipendenti pone a disposizione delle rappresentanze
sindacali aziendali, per l’esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle
immediate vicinanze di essa.
TITOLO IV
DISPOSIZIONI VARIE E GENERALI
Art. 20
(Repressione della condotta antisindacale)
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e
della dignità sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso di una rappresentanza sindacale aziendale ovvero degli
organismo locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il
comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convoca le parti e assume sommarie informazioni. Qualora egli
ritenga sussistere la violazione di cui al comma precedente, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed
immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e le rimozione degli effetti.
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti,
opposizione davanti al tribunale che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al secondo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio
di opposizione, è punito ai sensi dell’articolo 25 della presente legge.
L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nella stampa periodica nazionale e
in quella del luogo dove si è svolta la controversia.
Art. 21
(Permessi per i dirigenti provinciali e regionali)
Le norme di cui agli articoli 15 e 16 della presente legge sono estese ai componenti degli organi elettivi, provinciali
e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 11 per la partecipazione alle riunioni di tali organi.
Art. 22
(Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive
o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali)
I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o di Assemblee regionali ovvero siano chiamati ad
altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita per tutta la durata del loro
mandato.
La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.
Art. 23
( Rappresentanza del datore di lavoro)
Nei casi in cui la presente legge prevede la stipulazione di accordi aziendali, il datore di lavoro può farsi
rappresentare dall’associazione sindacale alla quale è iscritto o conferisca mandato.
TITOLO V
DISPOSIZIONI FINALI E PENALI
Art. 24
(Campo di applicazione)
Per le imprese industriali e commerciali, gli articoli 14, 15 e 16 del titolo III si applicano a ciascuna sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 40 dipendenti. Le altre disposizioni del titolo III si
applicano alle unità produttive che occupano più di 30 dipendenti.
Gli articoli 14, 15 e 16 del titolo III si applicano alle imprese agricole che occupano in modo continuativo più di 30
dipendenti e limitatamente a questi ultimi. Le alte disposizioni del titolo III si applicano alle imprese agricole che occupano
in modo continuativo più di 20 dipendenti.
Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali o commerciali che nell’ambito dello stesso Comune
occupano più di 40 o di 30 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 30 o di
20 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.
Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 7, 8 e 9, i contratti collettivi di lavoro provvedono ad applicare i
princìpi di cui alla presente legge alla imprese di navigazione per il personale navigante.
358
Art. 25
(Disposizioni penali)
Le violazioni degli articoli 1, 2, 3 e 5 sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda
da lire 100.000 a un milione o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda
sono applicate congiuntamente.
Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel comma precedente può presumersi
inefficacie anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
359
DOC N. 3
TITOLO I
DELLA LIBERTÀ E DIGNITÀ DEL LAVORATORE
360
Conto i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, rappresentanze
sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo
articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la
previdenza sociale.
361
TITOLO II DELLA LIBERTÀ SINDACALE
362
Art. 21. (Referendum)
Il datore di lavoro deve consentire nell’ambito aziendale lo svolgimento, fuori dall’orario di lavoro, di referendum,
sia generali che di categoria, su materie inerenti all’attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali
tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti all’unità produttiva e alla categoria
particolarmente interessata.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche
aziendali.
363
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alla parti,
opposizione davanti al tribunale che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di
opposizione è punito ai sensi dell’articolo 659 del codice penale.
364
Il direttore dell’ufficio provinciale annulla d’ufficio i provvedimenti di avviamento e di diniego di avviamento al
lavoro in contrasto con le disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro è
ammesso ricorso al ministero per il lavoro e la previdenza sociale.
Per il passaggio del lavoratori dall’azienda nella quale è occupato ad un’altra occorre il nulla osta della sezione di
collocamento competente.
Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori peri il tramite degli uffici di collocamento, sono applicate le
sanzioni previste dall’articolo 38 della presente legge.. 264, rimangono in vigore in quanto non modificate dalla presente
legge.
Art. 36. (Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo stato e degli appaltatori di opere pubbliche)
Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggo dello stato a favore di
imprenditori che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti
all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o
appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti
dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.
Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella
successiva, per tutto il tempo in cui l’imprenditore beneficia finanziarie e creditizie concesse dallo stato ai sensi delle
vigenti disposizioni di legge.
Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall’Ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente
ai ministeri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi adotteranno le
opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere
l’esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie
o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o
creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali l’Ispettore del lavoro comunica direttamente le infrazioni per
l’adozione delle sanzioni.
365
Art. 41. (Esenzioni fiscali)
Tutti gli atti e documenti necessari per la attuazione della presente legge e per l’esercizio dei diritti connessi,
nonché tutti gli atti e documenti relativi ai giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di registro o
di qualsiasi altra specie e da tasse.
La presente legge, munita del sigillo dello stato, sarà inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della
Repubblica Italiana. E’ fatto obbligo a chiudere spetti di osservanza e di farla osservare come legge dello stato.
366
DOC N. 4
“IL D.d.L. SMURAGLIA”
NORME DI TUTELA DEI LAVORI “ATIPICI”
SENATO DELLA REPUBBLICA – XIII LEGISLATURA DISEGNO DI
LEGGE N. 2049. APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA IL
4 FEBBRAIO 1999.
Articolo 1
Ambito di applicazione
1. Ai rapporti di collaborazione, di carattere non occasionale, coordinati con l’attività del committente, svolti senza vincolo
di subordinazione, in modo personale e senza impiego di mezzi organizzati e a fronte di un corrispettivo, si applicano le
seguenti disposizioni:
a) gli articoli 1, 5, 8, 14 e 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300;
b)la legge 9 dicembre 1977, n. 903, e la legge 10 aprile 1991, n. 125;
c) le disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro previste dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni, nonché della direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, in quanto compatibili con
le modalità di prestazione lavorativa.
2. L’eventuale ulteriore individuazione e definizione delle modalità di espletamento delle prestazioni di cui al comma 1 è
demandata ai contratti o accordi collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
3. Per i rapporti di cui al comma 1, non può essere imposto o comunque previsto alcun tipo di orario di lavoro, salvo i casi
in cui la specificità della prestazione richieda l’indicazione di una determinata fascia orari. In caso di particolari esigenze
del committente può essere concordata la fissazione di un temine per l’esigenze di una parte specifica della prestazione
pattuita.
4. I contratti o accordi collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere l’estensione, in tutto o in parte. Delle
disposizioni della presente legge anche a rapporti di durata inferiore a quella minima prevista dall’articolo 3, comma1,
lettera e), che non abbaino carattere di mera occasionalità.
Articolo 2
Diritti di informazione e formazione
1. Il prestatore di lavoro di cui l’articolo 1, comma 1, ha diritto di ricevere le informazioni previste nei contratti collettivi di
lavoro a favore dei lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, nonché le informazioni relative alla tutela della
salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modifiche.
2. Il committente, imprenditore pubblico o privato, è tenuto ad organizzare i proprio flussi di comunicazione in modo da
garantire a tutti i lavoratori, quale che sia la natura del rapporto di lavoro, pari condizioni nell’accesso all’informazione
attinente all’attività lavorativa.
3. Per il finanziamento di iniziative di formazione professionale e di formazione in materia di salute e di sicurezza sul
lavoro, i contratti o accordi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere un contributo a carico dei committenti in
percentuale al compenso corrisposto ai lavoratori di cui all’articolo 1. I contributi affluiranno, con apposita evidenza
contabile, nel Fondo che verrà definito con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanare entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nell’ambito del complessivo riordino della formazione,
dell’aggiornamento e della riqualificazione professionale.
4. Con apposito provvedimento, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle presente legge, il Governo
potrà prevedere agevolazioni fiscali per le attività formative svolte dai committenti e documentate. Agli oneri relativi, nel
limite massimo di lire 5 miliardi annue e a partire dal 1999, si fa fronte con le risorse disponibili del Fondo di cui
all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, della legge 19 luglio
1993, n. 626.
Articolo 3
Contenuto dei contratti
1. I contratti di cui all’articolo 1, comma 1, devono essere stipulati in forma scritta e devono indicare:
a) l’oggetto della prestazione;
b) l’entità del corrispettivo, che in ogni caso deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro, e comunque non
inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva del settore o della categoria affine,
ovvero, in mancanza, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo;
c) i tempi di pagamento del corrispettivo e la disciplina dei rimborsi spese;
d) l’eventuale facoltà del prestatore di lavoro, previa accettazione del committente, di farsi sostituire temporaneamente da
persona resa nota al committente stesso o di lavorare in coppia, dando luogo, in entrambi i casi, ad un unico rapporto con
responsabilità solidale di ciascuno dei prestatori per l’esercizio dell’intera opera o servizio;
e) la durata del contatto, che in ogni caso non può essere inferiore a tre mesi salvo che per i rapporti destinati per loro
particolare natura a concludersi in un periodo di tempo inferiore;
f) l’indicazione dei motivi che possono giustificare la cessazione anticipata del rapporto, ove non ancora individuati dalla
contrattazione collettiva nazionale;
367
g) il rinvio ai contratto o accordi collettivi nazionali stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale per la definizione di modalità, forme e termini di
legittima sospensione del rapporto, in caso di malattia o infortunio, nonché l’eventuale previsione di penalità di natura
amministrativa e civile nel caso di recesso ad opera di una delle parti, senza giustificate ragioni, prima del termine
convenuto o successivamente propagato.
Articolo 4
Cessazione di rapporto
1. I contratti o accordi collettivi nazionali stipulati dalle rappresentanze dei datori di lavoro e dalle organizzazioni dei
lavoratori, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono prevalere, in relazione alla cessazione dei
rapporti di cui all’articolo 1:
a) il diritto del prestatore di lavoro ad una indennità di fine rapporto;
b) il diritto di preferenza del prestatore di lavoro, rispetto ad altri aspiranti, nei casi in cui il committente intenda procedere
alla stipulazione di un contratto di tipo analogo e per lo stesso tipo di prestazione, qualora lo stesso prestatore di lavoro non
abbia subito fondate contestazioni circa la prestazione effettuata e non sia stata anticipata, per ragioni giustificate ed
obbiettive, la cessazione del rapporto di lavoro rispetto alla sua durata conttrattualmente prevista.
Articolo 5
Regime fiscale
1. Il regime fiscale applicabile ai rapporti di cui all’articolo 1 è quello previsto dalla lettera a) del comma 2 dell’articolo 49
del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
Articolo 6
Previdenza
1. Tutti coloro che svolgono le prestazioni di cui all’articolo 1 sono iscritti alla gestione speciali di cui all’aticolo 58,
comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 499, anche per quanto riguarda la tutela relativa alla maternità, definita nei
termini di cui al decreto ministeriale 27 maggio 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 1998. Alla
stessa gestione, a decorrere della data di entrata in vigore della presente legge, sono iscritti gli incaricati alla vendita a
domicilio, di cui all’articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426, soltanto qualora il reddito annuo derivante da tale
attività sia superiore all’importo, nel medesimo anno, dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8
agosto 1995, n. 335. Ai fini della copertura dell’onere derivante dal precedente periodo, il Ministero delle finanze, con
propri decreti, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilanci e della programmazione economica, provvede, almeno
ogni due anni, alla variazione delle aliquote e delle tariffe di cui all’articolo 2, commi 151, 152, 153, della legge 23
dicembre 1996, n. 662.
Articolo 7
Ricongiunzione di periodi contributivi e tutela in caso di malattia ed infortunio
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi volti ad assicurare, per coloro che svolgono le prestazioni lavorative di cui all’articolo 1, la
ricongiunzione di tutti i periodi contributivi e un’adeguata copertura, nei casi di legittima sospensione del rapporto, per i
trattamenti per malattia ed infortunio.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati secondo i seguenti criteri direttivi:
a) attuare gradualmente, nell’ambito di un percorso di omogeneizzazione dei diversi regimi previdenziali, la possibilità di
ricongiunzione di posizioni assicurative frazionate o realizzate con enti differenti secondo le modalità previste dall’attuale
disciplina per i soggetti iscritti all’Associazione Generale Obbligatoria (AGO);
b) nel disciplinare l’estensione della tutela in caso di malattia ed infortunio, utilizzare come parametro di riferimento quanto
stabilito in materia per il lavoro dipendente;
3. Agli oneri derivanti dall’attuazione dei commi 1 e 2, si provvede mediante corrispondente adeguamento del contributo
alla gestione speciale di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dall’articolo 59,
comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, determinato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con quello del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Articolo 8
Comitato amministratore del Fondo
1. Per la gestione speciale di cui all’articolo 6, è costituito un Fondo gestito da un comitato amministratore, composto di
tredici membri, di cui due designati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, cinque designati dalle associazioni
datoriali e del lavoro autonomo in rappresentanza dell’industria, della piccola impresa, artigianato, commercio, agricoltura
e sei eletti dagli iscritti al Fondo. Il comitato amministratore opera avvalendosi delle strutture e di personale dell’INPS. I
componenti del comitato amministratore durano in carica quattro anni.
2. Il presidente del comitato amministratore è eletto tra i componenti eletti dagli iscritti al Fondo.
3. Entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della presente legge, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale emana
il regolamento attuativo del presente articolo e provvede quindi alla convocazione delle elezioni, informando
tempestivamente gli iscritti della scadenza elettorale e del relativo regolamento elettorale, nonché istituendo i seggi presso
le sedi INPS.
4. Ai componenti del comitato amministratore è corrisposto un gettone di presenza nei limiti finanziari complessivi annui di
cui al comma 5.
5. All’onere derivante dall’applicazione del presente articolo, valutato in lire 50 milioni per ciascuno degli anni 1999 e
2000 e a regime, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
1999-2001, nell’ambito dell’unità revisionale di bade di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del
Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo
al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
368
6. Il Ministero del tesoro, del bilanci o e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le
occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 9
Diritti sindacali
1. Competono ai prestatori di lavoro di cui all’articolo 1:
a) il diritto di organizzarsi in associazioni di categoria o di settore o di ramo di attività;
b) il diritto di aderire ad organizzazioni sindacali di settore o di categoria, nonché ogni altro diritto sindacale compatibile
con la particolare struttura del rapporto;
c) il diritto di aderire ad organizzazioni o associazioni anche inercategoriali, conferendo ad esse specifici poteri di
rappresentanza;
d) il diritto di partecipare alle assemblee indette dalle rappresentanze sindacali aziendali, all’interno delle unità produttive
delle aziende.
2. Ulteriori forme di rappresentanza e di esercizio delle attività sindacali potranno essere individuate in sedi di
contrattazione collettiva nazionale.
Articolo 10
Sanzioni
1. Il controllo sull’osservanza delle norme della presente legge compete al Ministero del lavoro e della previdenza sociale,
che lo esercita attraverso l’organo competente del territorio. L’inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo 3 comporta
soltanto una sanzione pecuniaria di importo non inferiore, nel minimo, alla totalità dei compensi dovuti fino al momento
dell’accertamento e, nel massimo, al doppio di tale importo, fermo comunque restando il limite massimo cui all’articolo 10
della legge 24 novembre 1981, n. 689.
2. L’organo competente ad emanare l’ordinanza di ingiunzione di cui all’articolo 18 della citata legge n. 689 del 1981 è la
Direzione provinciale del lavoro competente per territorio.
Articolo 11
Conversione del rapporto
1. Qualora venga accertato dagli organi competenti con provvedimento esecutivo che il rapporto costituito ai sensi
dell’articolo 1 è in realtà di lavoro subordinato, esso si converte automaticamente in rapporto a tempo indeterminato, con
tutti gli effetti conseguenti. Si applica, inoltre, la sanzione prevista dall’articolo 10.
2. Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che abbiano provveduto, alla data di entrata in vigore della presene
legge, alla trasformazione dei rapporti di lavoro di cui al comma 1, sono esonerate dal pagamento dei contributi e degli
oneri accessori derivanti da accertamenti effettuati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale successivamente a tale
trasformazione e conseguenti al mancato riconoscimento, da parte del predetto Istituto, dell’appartenenza dei rapporti di
lavoro alla tipologia di cui alla presente legge. Gli eventuali provvedimenti amministrativi ed i giudizi ancora pendenti alla
data di entrata in vigore della presente legge sono dichiarati estinti, con integrale compensazione delle spese. Alle minori
entrate derivanti dal presente comma, quantificate in lire 35 miliardi per il 1999, si fa fronte mediante corrispondente
riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell’unità previsionale di base di parte
corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica per il 1999, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei
ministri.
3. E’ fatto divieto al committente di trasformare contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in essere presso
unità produttive del medesimo, in contratti di cui all’articolo 1, qualora non ricorrano documentate esigenze di
ristrutturazione aziendale.
Articolo 12
Conversione volontaria del rapporto
1. Qualora il committente, che ha in atto rapporti qualificati formalmente come appartenenti alla tipologia di cui alla
presente legge, decida, previo consenso del lavoratore, di farli rientrare nello schema di cui all’articolo 2094 del codice
civile, il rapporto godrà dei benefici, sgravi o incentivi eventualmente riservati alle nuove assunzioni.
Articolo 13
Competenza per le controversie
1. Le controversie relative ai contratti di cui all’articolo 1 rientrano nella competenza funzionale del pretore del lavoro; per
il procedimento, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.
Articolo 14
Coordinamento con la normativa comunitaria
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, norme di
coordinamento, per quanto riguarda i prestatori di lavoro di cui all’articolo 1 della presente legge, del decreto legislativo 26
maggio 1997, n. 152, in attuazione della direttiva comunitaria 91/533 CEE, recante obblighi di informazione sulle
condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, per le parti compatibili con la struttura dei rapporti di cui al
predetto articolo.
2. Il Governo è altresì delegato ad emanare un decreto legislativo, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, che adegui alla particolari caratteristiche dei lavoratori di cui all’articolo 1 i sistemi di formazione
previsti dalle leggi vigenti, nell’ambito degli stanziamenti previsti dalle singole norme e senza oneri aggiuntivi per il
bilancio dello Stato.
3. Gli schemi dei decreti legislativi sono sottoposti alle Commissioni parlamentari competenti, che esprimono il parere
entro trenta giorni. Trascorso detto termine, il decreto o i decreti potranno comunque essere emanati.
4. Criteri fondamentali per la delega sono i seguenti: pieno rispetto della normativa vigente, interna e comunitaria;
considerazione della peculiarità dei rapporti in questione, con l’obbiettivo di ottenere il maggior risultato per la tutela della
salute, per il riconoscimento dei diritti di informazione, per la formazione permanente e continua senza aggravi per le
369
imprese. In particolare, all’interno del sistema formativo devono individuarsi modalità tali da consentire la migliore
qualificazione professionale dei lavoratori di cui all’articolo 1.
Articolo 15
Privilegi
1. All’articolato 2751-bis, primo comma, del codice civile, dopo il numero 5-bis, è aggiunto il seguente:
“5-ter) i compensi dovuti ai prestatori di attività lavorativa con carattere di continuità, non riconducibili alla tipologia del
rapporto di lavoro subordinato”.
Articolo 16
Verifica dell’efficacia della legge
1. Trascorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale
riferisce, entro novanta giorni, alle competenti Commissioni parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera di
deputati sull’attuazione della legge stessa, sulla sua concreta efficacia e sugli effetti prodotti, sulla base dei dati e delle
informazioni preventivamente acquisiti dagli organi di vigilanza.
Articolo 17
Certificazione dei rapporti
1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 1, comma 1, il
Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni in materia di
certificazione volontaria del relativo contratto stipulato tra le parti, inspirate ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) individuazione dell’organo preposto alla certificazione nell’organismo bilaterale di settore istituito dai contatti o accordi
collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacai dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale ovvero, in caso di sua mancata costituzione, nella Direzione provinciale del lavoro, con
previsione della presenza paritetica delle predette organizzazioni sindacali;
b) definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione;
c) indicazione del contenuto della certificazione, da riferire alla descrizione dei dati di fatto risultanti dal contratto scritto di
cui all’articolo 3 e dalle dichiarazioni dei contraenti anche in relazione alle tipologie contrattuali ed alle modalità di
svolgimento della prestazione, in rapporto a quanto eventualmente definito dalla contrattazione collettiva di cui all’articolo
1, comma 2;
d) in caso di controversia sulla effettiva corrispondenza delle mansioni in concreto svolte e delle modalità effettive della
prestazione rispetto a quanto risultante dalla documentazione, ovvero sulla qualificazione del contratto, valutazione dal
parte dell’autorità giudiziaria competente anche del comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione;
e) verifica dell’attuazione delle disposizioni, dopo dodici mesi dalla data della loro entrata in vigore, da parte del Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali di cui alla lettera a).
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica
almeno quaranta giorni prima della scadenza prevista per l’esercizio della delega; le Commissioni parlamentari competenti
per materia si esprimono entro trenta giorni dalle data di trasmissione. Qualora il termine previsto per il parere delle
Commissioni scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 per l’esercizio della delega
o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
3. Entro diciotto mesi dalla entrata in vigore delle disposizioni di cui al comma 1, il Governo può emanare, anche in base
alla verifica effettuata ai sensi del comma 1, lettera e), eventuali disposizioni modificative con le medesime modalità di cui
al comma 2.
370
DOC N. 5
“LA BOZZA BIAGI”
PROGETTO PER LA PREDISPOZIONE DI UNO “STATUTO DEI
LAVORI”- A CURA DI MARCO BIAGI, ARTICOLATO NORMATIVO:
BOZZA PRELIMINARE 25 MARZO 1998.
TITOLO I
NORME DI TUTELA DELLA LIBERTA’ E DIGNITA’ DEI LAVORATORI
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1
Campo di applicazione
1. Ai fini della individuazione del capo di applicazione del presente titolo per lavoratore si intende ogni persona che, con
apporto prevalentemente personale, presta la propria opera a favore di terzi, mediante contratto di lavoro autonomo, di
lavoro subordinato o qualsiasi altro contratto, tipico o atipico, indipendentemente dalla durata del contratto stesso e
dall’ambito aziendale o extra aziendale in cui si svolge la prestazione lavorativa. Rientrano altresì nel campo di
applicazione del presente titolo i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro o di società anche di fatto, le persone
che svolgono una attività lavorativa, con o senza corrispettivo, anche al sono fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione, che svolgono lavori di pubblica utilità o di volontariato, che frequentano corsi di formazione o addestramento
professionale o che partecipano a gare di appalto, a concorsi pubblici o privati o ad alte forme di selezione.
2. Le disposizioni contenute nel presente titolo no n pregiudicano l’applicazione di norme di legge, di regolamento e di
contratto collettivo o individuale più favorevoli per il lavoratore.
3. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente titolo non possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra
le parti neppure in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VII della presente legge.
Capi II
DELLA LIBERTA’, DIGNITA’ E RISERVATEZZA DEI LAVORATORI
Articolo 2
Libertà di opinione e dignità dei lavoratori
1. Tutti i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali o di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi di lavoro
dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e
delle norme di legge.
2. A salvaguardia della libertà e dignità dei lavoratori trovano applicazione, in quanto compatibili con la natura del rapporto
e con le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, e 6 della Legge 20
giugno 1979, n. 300.
3. Nei rapporti svolti in regime di telelavoro i dati raccolti per la valutazione del singolo lavoratore, anche a mezzo di
sistemi informatici o telematici, non costituiscono violazione dell’articolo 4 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, in quanto
siano strumentali allo svolgimento del rapporto di lavoro.
Articolo 3
Molestie sessuali in ambito lavorativo
1. Le molestie sessuali nei luoghi di lavoro o in ambito lavorativo costituiscono una offesa alla dignità della persona e
danno luogo all’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 37 quando il comportamento considerato:
a) sia indesiderato, sconveniente o offensivo per la persona che lo subisce ovvero crei un ambiente di lavoro intimidatorio,
ostile o unanime;
b) il suo rigetto o la sua accettazione vengano assunti esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro, dai superiori, dai
colleghi, dai tutori o dai committenti a motivo di decisioni interenti alla formazione professionale, all’assunzione di un
lavoratore, al mantenimento del posto di lavoro o dell’incarico, alla promozione, alla retribuzione o di qualsiasi altra
decisione attinente all’impiego o all’accesso al lavoro.
2. Per la molestia sessuale si intende qualsiasi comportamento a connotazione sessuale o altro tipo di comportamento
basato sul sesso, compreso quello di datori di lavoro, superiori, colleghi, tutori o committenti, che offenda la dignità del
lavoratore o della lavoratrice.
3. Per la repressione delle molestie sessuali in ambito lavorativo si raccomanda l’adozione del “Codice di condotta relativo
ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali” allegato alla Raccomandazione della Commissione
delle Comunità Europee del 27 novembre 1991, n. 131/92/CEE.
4. Il rispetto o il mancato rispetto delle indicazioni contenute nel Codice di condotta di cui al comma precedente da parte
del datore di lavoro, pubblico o privato, del formatore, del selezionatore, del committente o comunque dell’utilizzatore
della prestazione lavorativa costituisce elemento apprezzabile dal giudice sul piano probatorio in sede di applicazione delle
sanzioni di cui all’articolo 41.
Articolo 4
Divieto di indagini sulle opinioni
1. Ferme restando le disposizioni di cui alla Legge 31 dicembre 1996, n. 675, sulla tutela delle persone e di altri soggetti
rispetto al trattamento dei dati personali, è fatto divieto al datore di lavoro, al fornitore, al selezionatore, al committente o
comunque all’utilizzatore della prestazione lavorativa di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche,
371
religiose e sindacali, sulle condizioni di salute, sui comportamenti sessuali del lavoratore, nonché su ogni altra circostanza
non rilevante ai fini della valutazione della attitudine professionale del lavoratore.
2. Per le imprese di fornitura di lavoro temporaneo di cui agli articoli 2 e 11, comma 3, della Legge 24 giugno 1997, n. 196,
nonché per le agenzie private di collocamento di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, l’avvenuto
accertamento in sede giudiziale, anche in primo grado di giudizio della raccolta o utilizzazione di dati personali non
rilevanti ai fini della valutazione delle attitudini professionali del lavoratore comporta, oltre all’applicazione delle
disposizioni di cui all’articolo 37, la sospensione per un anno dall’autorizzazione all’esercizio dell’attività di fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo e di mediazione da parte del competente organo amministrativo. Nei casi più gravi o in
caso di recidiva è disposta da parte dello stesso organo amministrativo competente la revoca dell’autorizzazione.
Capo III
ATTI DISCRIMINATORIO
Articolo 5
Atti o patti a carattere discriminatorio
1. E’ nullo qualsiasi atto o patto a carattere discriminatorio che comporti la cessazione dei contratti di cui al presente titolo
o che comunque produca o possa produrre un effetto pregiudiziale discriminatorio, anche in via indiretta, il lavoratore a
causa:
a) del sesso, della razza, della lingua, della nazionalità di origine ovvero delle sue condizioni, sociali o di salute;
b) della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero legittimo;
c) delle sue opinioni politiche o religiose;
d) della età.
2. Per gli atti o patti che discriminano il lavoratore o gruppi di lavoratori a causa del sesso trovano in ogni caso
applicazione, in quanto compatibili con la natura del rapporto e le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le
disposizioni di cui alla Legge 9 dicembre 1997, n. 903 e alla Legge 10 aprile, n. 125.
3. Per i trattamenti economici collettivi discriminatori trovano in ogni caso applicazione, in quanto compatibili con la
natura del rapporto e con le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le disposizioni di cui all’articolo 16 della
Legge 20 maggio 1970, n. 300.
TITOLO II
NORME DI TUTELA DELLA SALUE E SICUREZZA DI LAVORATORI
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 5
Campo di applicazione del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche e integrazioni
1. L’articolo 2, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, è così
sostituito:
“a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro fuori dal proprio domicilio alle dipendenze o sotto la direzione altrui,
con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione inclusi tutti i lavoratori
con rapporto di lavoro subordinato, anche speciale o di durata determinata, i prestatori di lavoro temporaneo di cui agli
articoli 1-11 della legge n. 196/1997, gli apprendisti, i collaboratori familiari di cui all’articolo 230 bis del Codice Civile e
i lavoratori con altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinativa,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, qualora siano inseriti nell’ambiente di lavoro
organizzato dal committente. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro
attività per conto delle società e degli enti stessi, i volontari come definiti dalla Legge 1 agosto 1991, n. 266, e gli utenti dei
servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare
o per perfezionare le loro scelte professionale. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzioni ed universitari e
partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di lavoratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di
lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici”
Capo II
NORME DI TUTELA DEI LAVORATORI CON RAPPROTI DI LAVORO OCCASIONALI O DI DURATA
TEMPORALMENTE DEFINITA
Articolo 7
Formazione dei lavoratori
1. Il comma 7 dell’articolo 22 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche e integrazioni è
sostituito del seguente:
“I Ministri del lavoro e della Previdenza sociale e della Sanità, sentita la commissione consultiva permanente, stabiliscono i
contenuti minimi della formazione dei lavoratori, con particolare riferimento alle esigenze dei lavoratori non legati con
l’utilizzatore della prestazione lavorativa mediante un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonché della
formazione dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro di cui all’articolo 10, comma 3, tenendo conto delle
dimensioni e della tipologia delle imprese, nonché della percentuale di forza lavoro non assunta con contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato presente in azienda”.
Articolo 8
Prevenzione e protezione dei rischi
1. Il comma 2 dell’articolo 9 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche e integrazioni è
sostituito del seguente:
“Il datore di lavoro fornisce ai servizi di prevenzione informazioni in merito a:
a) la natura dei rischi;
372
b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;
c) le funzioni e i compiti assegnati a lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero ai prestatori di lavoro
temporaneo di cui agli articoli 1-11 della Legge 24 giugno 1997, n. 196, nonché della presenza in azienda di lavoratori
con rapporti di continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
d) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
e) i dati del registro degli infortuni e delle malattie professionali;
f) le prescrizioni degli organi di vigilanza”
Articolo 9
Lavoratori sottoposte a sorveglianza medica speciale e lavori particolarmente pericolosi
1. In adempimento degli obblighi contenuti nella Direttiva n. 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1995, è vietato il
ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato ovvero a rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione
d’opera continuativa coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, per le lavorazioni che
richiedono una sorveglianza medica speciale e per i lavori particolarmente pericolosi individuati con decreto del Ministero
del lavoro e della previdenza sociale da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.
2. In attuazione del disposto di cui al comma precedente, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale istituisce
mediante decreto una Commissione tecnica di esperti per la individuazione delle lavorazioni da sottoporre a sorveglianza
medica speciale e dei lavori particolarmente pericolosi per l’esecuzione dei quali vietare il ricorso a rapporti di durata
temporaneamente definita o di carattere occasionale, quale che sia la natura giuridica del contratto di lavoro in cui viene
dedotta la prestazione lavorativa.
3. Il decreto di cui al comma 1 del presente articolo dovrà coordinarsi con il decreto di cui all’articolo 1, comma 4, lett. f),
Legge 25 giugno 1997, n. 196, relativo al divieto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo per le lavorazioni
sottoposte a sorveglianza medica specie o per l’esecuzione di lavori particolarmente pericolosi.
Capo III
RAPPORTI SVOLTI IN REGIME DI TELELAVORO
Articolo 10
Tutela della salute e sicurezza nei rapporti svolti in regime di telelavoro
1. A tutti i rapporti svolti a distanza mediante collegamento informatico e telematico si applicano le disposizioni di cui al
Titolo VII del decreto legislativo 19 settembre 1996, n. 626, e successive modifiche e integrazioni, quale che sia il titolo
giuridico della prestazione lavorativa dedotta in contratto e indipendentemente dall’ambito aziendale o extra aziendale in
cui si svolge la prestazione stessa.
2. Previa richiesta motivata, al responsabile aziendale di prevenzione e di protezione e al responsabile per la sicurezza deve
essere consentito l’accesso, da parte del datore di lavoro, del committente o dello stesso lavoratore alla postazione, fissa o
mobile, di telelavoro, al fine di verificare la corretta applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul
luogo di lavoro.
3. Le disposizioni contenute nel presente articolo non pregiudicano l’applicazione di norme di legge, di regolamento e di
contratto collettivo e individuale più favorevoli per il lavoratore.
Capo IV
PREVENZIONE DELGI INFORTUNI SUL LAVORO E STRUMETI DI EMERSIONE DEL LAVORO IRREGOLARE
Articolo 11
Contratti di riallineamento retributivo
1. All’articolo 23 della legge 24 giugno 1997, n. 196, è aggiunto il seguente comma:
“I soggetti che si avvalgono degli accordi di riallineamento retributivo di cui al presente articolo, per usufruire dei benefici
di legge, devono dimostrare alla Direzione provinciale del lavoro di avere effettuato la valutazione dei rischi si sensi
dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche e integrazioni.
Articolo 12
Delega al governo per il riordino degli organismi ispettivi e di controllo sulla attuazione della normativa di tutela della
salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
1. Il Governo della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concreto con il Ministro
della sanità, con il Ministro delle finanze e con il Ministro degli interni, è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno p più decreti per il riordino e la razionalizzazione degli organismi ispettivi e di
controllo competenti ala verifica del rispetto delle norme di legge in materia di lavoro, prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali, igiene sul lavoro, evasione fiscale e contributiva.
TITOLO III
DELLA LIBERTA’ SINDACALE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 13
Campo di applicazione
1. Ai fini della individuazione del campo di applicazione del presente titolo per lavoratore si intende ogni persona che,
dietro il versamento di un corrispettivo, presta la propria opera a favore di terzi in regime di subordinazione o mediante
altro rapporto di collaborazione che si concreti in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale, anche se non a carattere subordinato, indipendentemente dall’ambito aziendale o extra aziendale in cui si svolge
373
la prestazione stessa, ivi compresi i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro o di società, anche di fatto. Non
rientrano nel campo d applicazione del presente titolo i rapporti di lavoro di carattere meramente occasionale come definiti
ai sensi dell’articolo 37.
2. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente titolo non possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra
le parti neppure in sedi di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VII della presente legge.
Capo II
DELLA LIBERTA’ SINDACALE
Articolo 14
Diritto di organizzazione e di attività sindacale
1. Ferme restando le disposizioni di legge e di contratto collettivo di lavoro a tutela della libertà sindacale dei lavoratori
assunti con contratto di lavoro subordinato, è garantito a tutti i lavoratori:
a) il diritto di organizzare associazioni sindacali, di qualunque livello, oppure di aderirvi, nonché il diritto elettorale, attivo
e passivo, per la costituzione di organismi di rappresentanza all’interno delle unità produttive, anche ai fini della
stipulazione di accordi o contratti collettivi di lavoro di diverso livello loro applicabili;
b) le modalità per l’esercizio dei diritti sindacali saranno definite dagli articoli contratti collettivi di cui alla presente lett. a);
c) in ogni caso ai lavoratori è riconosciuto il diritto di partecipare alle assemblee indette dalle rsa o rsu all’interno delle
unità produttive.
2. Ai lavoratori che svolgano la prestazione di lavoro in regime di telelavoro è riconosciuto di diritto di accesso all’attività
sindacale che si svolge in azienda tramite l’istituzione di una bacheca elettronica o di altro sistema elettronico a cura
dell’azienda in cui vengano inserite tutte le informazioni di interesse sindacale e lavorativo.
3. Ulteriori forme di rappresentanza e di esercizio delle attività sindacali potranno essere individuate in sede di
contrattazione collettiva.
Articolo 15
Diritto di sciopero
1. Ferme restando le disposizioni di legge e di contratto collettivo di lavoro previste a favore dei lavoratori assunti con
contratto di lavoro subordinato, i lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del presente titolo hanno diritto a
sospendere la propria attività lavorativa ai fini di autotutela entro i limiti e le condizioni di cui alla Legge 12 giugno 1990,
n. 146.
2. E’ vietato ricorrere a contratti di lavoro autonomo, di lavoro subordinato o a qualsiasi altro contratto, tipico o atipico, di
lavoro per la sostituzione di lavoratori che esercitino il diritto di sciopero.
TITOLO IV
TRATTAMENTO ECONOMICO, NORMATIVO, PREVIDENZIALE E FISCALE DEL LAVORATORE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 16
Campo di applicazione
1. Ai fini della individuazione del campo di applicazione del presente titolo per lavoratore si intende ogni persona ch,
afronte di un corrispettivo, presta la propria opera a favore di terzi mediante rapporto di collaborazione coordinata,
prevalentemente personale, senza vincolo di subordinazione, indipendentemente dall’ambito aziendale o extra aziendale in
cui si svolge la prestazione stessa ed anche se prestata a favoro di una società cooperativa di produzione e lavoro o di fatto.
Non rientrano nel campo di applicazione i rapporti di lavoro a carattere meramente occasionale come definiti ai sensi
dell’articolo 37.
2. Le disposizioni contenute nel presente titolo si applicano solo ai rapporti di lavoro costituiti dopo la entrata in vigore
della presente legge. Per i rapporti di lavoro costituiti anteriormente a tale data, le disposizioni del presente titolo trovano
applicazione solo per i contratti che saranno certificati ai sensi del Titolo VII della presente legge.
3. Le disposizioni contenute nel presente titolo non pregiudicano l’applicazione di norme di legge, di regolamento, di
contratto individuale e di accordo o contratto collettivo più favorevoli per il lavoratore.
4. Eccetto quanto prescritto dai successivi articoli 17 e 18, i diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente titolo
possono essere oggetto di rinunzie o transazione tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo
VII della presente legge anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 2113 del Codice Civile.
Articolo 17
Forma di contratto
1. I contratti di lavoro di cui al presente titolo devono essere stipulati in forma scritta e devono indicare:
a) l’oggetto della prestazione lavorativa dedotta in contratto;
b) i criteri di determinazione del corrispettivo e la disciplina dei rimorsi spese;
c) i poteri e le forme di controllo del committente sull’esecuzione dei rimborsi spese;
d) l’eventuale facoltà del prestatore di lavoro di avvalersi, sotto la propria responsabilità, si sostituti e ausiliari
preventivamente resi noti al committente e da questi accertati;
e) la durata del contratto;
f) la prevenzione di un congruo periodo di preavviso per il recesso, nonché l’indicazione di motivi che possono comportare
la risoluzione del rapporto, compresa la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta e dell’eccessiva onerosità
374
Capo II
TRATTAMENTO ECONOMICO, NORMATIVO, PREVIDENZIALE E FISCALE
Articolo 18
Compenso
1. I lavoratori hanno diritto a un compenso equo, proporzionato alla qualità e quantità del loro lavoro, stabilito negli accordi
economici collettivi della categoria o, in mancanza, dei compensi che si praticano generalmente nel luogo in cui si è svolto
il rapporto.
Articolo 19
Assistenza e previdenza
1. I lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del presente titolo, anche se soci di una cooperativa di produzione e
lavoro o di una società di fatto, devono obbligatoriamente essere iscritti al fondo speciali di cui all’articolo 2, comma 26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Articolo 20
Malattia, infortunio e maternità
1. Il Governo della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, è autorizzato ad emanare,
entro sei mesi della data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a stabilire una disciplina
del trattamento economico del lavoratore in caso di malattia, infortunio e maternità, commisurata alla particolare natura dei
rapporti di lavoro in cui al presente titolo..
Articolo 21
Estinzione del contratto e preavviso
1. I contratti di lavoro di cui al presente titolo cessano al momento della realizzazione del programma o della fase di esso
che costituisce l’oggetto, salva diversa volontà espressa dalle parti.
2. Alla cessazione del rapporto, e per i dodici mesi successivi, qualora il committente intenda procedere alla stipulazione di
un contratto analogo e per lo stesso tipo di prestazione, spetta al lavoratore, un diritto di preferenza rispetto ad altri aspiranti
qualora lo stesso non abbia subito fondate contestazioni circa la prestazione effettuata ovvero il rapporto di lavoro non sia
stato risolto per giusta causa. Qualora il committente non osservi la presente disposizione spetta la lavoratore una indennità
pari alla metà del compenso riconosciuto nel nuovo contratto stipulato con persone terze.
3. In caso di recesso i lavoratori hanno diritto ad un congruo preavviso. In mancanza di accordo tra le parti o di disposizioni
contenute negli accordi economici collettivi della categoria l’entità del preavviso è stabilita dal giudice secondo equità.
4. Il recesso da parte del committente deve essere comunicato per iscritto. Il lavoratore può chiedere, entro dieci giorni
della comunicazione, i motivi che deve, nei dieci giorni successivi alla richiesta, comunicarli per iscritto al lavoratore.
5. Il recesso intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui al comma precedente è inefficiente.
Articolo 22
Recesso privo di giusta causa
1. La parte che recede dal contratto senza giusta causa è tenuta a fornire alla controparte un congruo indennizzo.
2. In mancanza di accordo tra le parti o di disposizioni contenute negli accordi economici collettivi della categoria l’entità
dell’indennizzo è stabilita dal giudice secondo equità.
3. Si intende privo di giusta causa il recesso del committente non riconducibile ad una delle ipotesi di risoluzione del
contratto di lavoro disciplinata ai sensi dell’articolo 17, lettera f).
Articolo 23
Normativa fiscale
1. Ai fini fiscali, il reddito derivante dalle attività professionali svolte dai lavoratori di cui all’articolo 16, comma 1, è
considerato nell’ammontare complessivo annuo, indipendentemente dal numero e dalla durata dei rapporti intercorsi, in
forma autonoma o con contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
2. Coloro che svolgono attività di collaborazione, anche de iscritti al registro IVA, sono comunque assoggettati al regime
fiscale previsto dal comma 2, lett. a) dell’articolo 49 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
Capo III
DIRITTI DI FORMAZIONE E INFORMAZIONE
Articolo 24
Diritti di informazione
1. Il lavoratore ha il diritto di ricevere le informazioni previste nei contratti collettivi di lavoro a favore dei lavoratori
assunti con contratti di lavoro subordinato, nonché le informazioni relative alla tutela della salute e sicurezza di cui
all’articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche e integrazioni.
2. Il committente, se imprenditore pubblico o privato, è tenuto a organizzare i propri flussi di comunicazione in modo da
garantire a tutti i lavoratori pari condizioni nell’accesso alle informazioni attinenti al lavoro, quale che sia il titolo giuridico
dell’obbligazione dedotta in contratto.
Articolo 25
Diritti di formazione
1. Per il finanziamento di iniziative di formazione professionale e di formazione in materia di salute e sicurezza del lavoro i
committenti sono tenuti a versare un contributo pari allo 0,2 per cento del compenso corrisposto ai lavoratori di cui al
presente titolo.
375
2. I contributi di cui al comma 1 sono rimessi al Fondo di cui all’articolo 5 della Legge 24 giugno 1997, n. 196, per essere
destinati al finanziamento, anche con il concorso delle regioni, di iniziative mirate ad soddisfacimento delle esigenze di
formazione dei lavoratori di cui al presente titolo. I criteri e le modalità di utilizzo delle disponibilità del Fondo relative ai
lavoratori di cui al presente titolo sono stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da adottare
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge: Il decreto provvede ad armonizzare il
funzionamento del fondo e la erogazione dei finanziamenti con quanto previsto dall’articolo 5 della Legge 24 giugno 1997,
n. 196 e dal decreto in favore di prestatori di lavoro temporaneo.
3. Il Governo della Repubblica, su proposta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, è autorizzato ad emanare,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a consentire il riordino
dei contratti di lavoro a finalità formativa anche con riferimento alla loro utilizzazione per prestazioni di lavoro non a
carattere subordinato.
Capo IV
DIRITTI E OBBLIGHI DEL PRESTATORE DI LAVORO
Articolo 26
Diritto per apporti originali e per le invenzioni del lavoratore
1. I diritti di utilizzazione economica relativi alla creazione di apporti originali, alla attività di creazione di programmi per
elaboratori elettronici, come pure i diritti di utilizzazione economica riguardanti l’invenzione fatta in occasione dello
svolgimento dell’attività o nell’esecuzione del servizio che costituisce oggetto del contratto spettano al lavoratore. Questi
deve però dare comunicazione al committente del brevetto eventualmente conseguito.
2. Il committente ha diritto di prelazione sull’utilizzazione economica dei diritti di cui al comma 1, da esercitare entro tre
mesi della comunicazione, verso corresponsione di un canone o di un prezzo determinati di comune accordo. In ogni caso
di mancato accordo sul canone o sul prezzo, la prelazione decade.
Articolo 27
Obbligo di informazioni.
1. I lavoratore è tenuto a fornire tutte le informazioni che consentono al committente un costante e adeguato controllo sulla
realizzazione dell’oggetto del contratto e la verifica dei risultati.
Articolo 28
Obbligo di riservatezza
1. Salvo diverso accordo tra le parti il lavoratore può svolgere la sua attività a favore di più committenti, ma non deve in
ogni caso diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e all’organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi
modo, atti in pregiudizio dell’attività dei committenti medesimi.
2. Il divieto di cui al comma 1 si applica anche per l’intero anno solare successivo alla cessazione del rapporto, salva
diversa previsione del contratto o di accordi collettivi.
TITOLO V
RAPPORTI DI LAVORO IN COOPERATIVE DI PRODUZIONE E LAVORO
Articolo 29
Soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro
1. I soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro stabiliscono con la propria adesione o successivamente ulteriori e
distinti rapporti di lavoro con cui contribuiscono ad raggiungimento degli scopo sociali, secondo quanto previsto dal
regolamento ai sensi del successivo articolo 39, mettendo a disposizioni le proprie capacità professionali anche in relazione
di tipo e stato di attività nonché il volume di lavoro per essa disponibile.
2. In particolare nell’ambito del rapporto associativo il socio:
a) concorre alla gestione dell’impresa partecipando alla formazione degli organi sociali ed alla definizione della struttura e
conduzione dell’impresa;
b) partecipa alla elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla
realizzazione di processi produttivi dell’azienda;
c) contribuisce economicamente alla formazione del capitale sociale e partecipa al rischio di impresa, ai risultati economici
ed alle decisioni sulla loro destinazione.
3. Le disposizioni della presente legge si riferiscono alle cooperative, nelle quali lo scopo mutualistico sia perseguito
attraverso la prestazione di attività lavorative da parte del socio sulla base di previsioni statutarie e regolamentari che
definiscono l’organizzazione del lavoro dei soci ai sensi dell’articolo 39.
Articolo 30
Trattamento economico
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, la cooperativa di produzione e lavoro è tenuta
a corrispondere al socio lavoratore che abbia stipulato un rapporto di lavoro subordinato un trattamento economico
complessivo annuo non inferiore a quello definito dalla contrattazione collettiva nazionale per i lavoratori dipendenti, a
parità di durata e di qualità della prestazione, con eccezione per le erogazioni di cui all’articolo 2 del Decreto Legge 25
marzo 1997, n. 135.
2. Le forme di remunerazione dei soci lavoratori, ulteriori rispetto a quanto corrisposto si sensi del precedente comma 1,
devono essere deliberate dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio di esercizio e possono essere erogate secondo
le seguenti modalità e nella misura massima del 50 per cento in più di quanto previsto dal precedente comma:
a) a titolo di maggiorazione del trattamento economico complessivo previsto per i lavoratori dipendenti fino al 30 per cento
in più di quanto previsto dal precedente comma;
b) ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, anche in deroga ai limiti stabiliti dall’articolo 24 del C.p.S.
14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni ed integrazioni ed ai limiti stabiliti dall’articolo 7 della Legge 31
gennaio 1992, n. 59, ovvero a distribuzione gratuita delle azioni di cui agli articoli 4 e 5 della Legge 31 gennaio, n. 52.
376
3. Ai fini della determinazione della base imponibile relativa alla contribuzione previdenziale ed assicurativa obbligatoria
di cui all’articolo 1 della Legge 7 dicembre 1989, n. 389, si fa riferimento al trattamento economico del precedente comma
1. Restano salve le disposizioni di cui al D.P.R. 20 aprile 1970, n. 602 e successive modificazioni ed integrazioni di cui alla
Legge 13 marzo 1958, n. 250, e le norme in materia previdenziale relative ai salari convenzionali previste per le
cooperative sociali di cui alla Legge o novembre 1991, n. 381.
4. Nel primo periodo del comma 2 dell’articolo 8 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, come modificato dalla Legge 8 agosto
1995, n. 335, le parole “nel caso di soci di società cooperative il contributo è definito in percentuale degli imponibili
considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori”, sono sostituite dalle seguenti: “nel caso di soci lavoratori di
società cooperative il contributo è definito in percentuale del complessivo trattamento economico corrispettivo ai sensi
dell’articolo 30, comma 1 e 2 lett. a) della legge “Statuto dei lavori”.
5. Nel comma 8-bis dell’articolo 13 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, come modificato della Legge 7 dicembre 1989, n.
389, le parole “dell’imponibile rilevante ai fini della contribuzione previdenziale obbligatoria” sono sostituite dalle
seguenti: “del complessivo trattamento economico corrisposto ai sensi dell’articolo 30, commi 1 e 2 lett. a) della legge
“Statuto dei lavori”.
Articolo 31
Trattamento fiscale
1. Qualora le somme erogate ai soci lavoratori siano imputate ad aumento del capitale sociale ai sensi del precedente
articolo 30, comma 2, lett. b), si applica il trattamento fiscale previsto dall’articolo 7 della Legge 31 gennaio 1992, n. 59.
2. Il terzo comma dell’articolo 11 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, è sostituito dal seguente:
“Nella determinazione del reddito della società cooperative di produzione e lavoro e loro consorzi sono ammesse in
deduzione le somme erogate ai soci lavoratori ai sensi dell’articolo 30, commi 1 e 2, della legge “Statuto dei lavori”.
3. La lettera a) dell’articolo 47 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 è sostituita dalla seguente:
“a) i compensi percepiti ai sensi dell’articolo 30, commi 1 e 2 let. a) della legge “Statuto dei lavori”, dai lavoratori soci
delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione
dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca, esclusi quelli di cui all’articolo 31, comma 1, della legge
“Statuto dei lavori”.
4. Alle erogazioni corrisposte ai soci ai sensi del precedente articolo 30, comma 2, lett. b), si intende applicabile l’articolo
3, comma 2, lett. g), del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314. La presente norma costituisce interpretazione autentica.
Articolo 32
Trattamento di fine rapporto
1. Alle somme di cui al precedente articolo 30, comma 2, lett. a), si applicano le disposizioni previste dall’articolo 2120 del
codice civile, dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 e degli articoli 1 e 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80.
2. Alle somme previste dal precedente comma si intende esteso il privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice
civile. La presente norma costituisce interpretazione autentica.
TITOLO VI
NORME SUI LICENZIAMENTI INDIVIDUALI
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 33
Campo di applicazione
1. Le disposizioni del presente titolo trovano applicazione con riferimento ai lavoratori assunti con contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, anche se soci lavoratori di una cooperativa di produzione e lavoro o di una società di
fatto.
2. Le disposizioni contenute nel presente titolo non pregiudicano l’applicazione di norme di legge, di regolamento e di
contratto collettivo o individuale più favorevoli per il lavoratore.
Capo II
APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUI LICENZIAMENTI INDIVIDUALI
Articolo 34
Contratto di lavoro a tempo indeterminato
1. Fatti salvi i divieti del licenziamento discriminatorio a norma dell’articolo 15 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, del
licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio a norma degli articoli 1 e 2 della Legge 9 gennaio
1963, n. 7 e del licenziamento in caso di malattia o maternità a norma dell’articolo 2110 del Codice Civile, le disposizioni
in materia di licenziamento individuale di cui alla Legge 15 luglio 1996, n. 604, e successive modifiche, e di cui all’articolo
18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, non trovano applicazione:
a) per i lavoratori alla prima esperienza di lavoro con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e comunque
non oltre il compimento del trentaduesimo anno di età del lavoratore, fatto salvo quanto disposto nella successiva lettera c);
b) per tutte le nuove assunzioni effettuate entro il 1999, per i primi due anni di lavoro, nei territori di Sardegna, Sicilia,
Calabria, Campagna, Basilicata, Puglia, Abruzzo e Molise, nonché nelle province nelle quali il tasso medio annuo di
disoccupazione, secondo la definizione allargata ISTAT, rilevato per l’anno precedente all’assunzione, è superiore di
almeno il 3 per cento alla media nazionale risultante dalla medesima rilevazione;
c) per i lavoratori che abbiano maturato una anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro inferiore a due anni.
2. Nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 il licenziamento deve comunque essere comunicato in forma
scritta. Quando non sia stato stipulato un patto di prova o il relativo termine sia scaduto, il licenziamento non disciplinare
deve essere comunicato al lavoratore con un preavviso di due settimane per ogni anno lavorato. All’atto della cessazione
del rapporto non motivato da inadempimento del prestatore, quest’ultimo ha diritto ad una indennità pari a tre settimane per
anno lavorato.
377
3. Dal momento della comunicazione di cui al comma 2 il lavoratore ha la facoltà di optare per la cessazione immediata del
rapporto con conseguente incremento dell’identità di licenziamento, a norma del comma 2.
Articolo 35
Prestazioni di elevata professionalità o specializzazione
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 15 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, in caso di esecuzione di prestazioni di
elevata professionalità o di particolare specializzazione, individuate come tali dai contratti collettivi nazionali di categoria
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, le parti del contatto possono, in sede di
certificazione dei rapporti di cui al Titolo VIII, prevedere una disciplina speciale del regime del recesso dal contratto, anche
in deroga alle disposizioni di cui alla Legge 15 luglio 1966, n. 300, e successive modifiche, e di cui all’articolo 18 della
Legge 20 maggio 1970, n. 300.
2. Qualora, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, non sia intervenuta, ai sensi del comma1, la
determinazione da parte dei contatti collettivi nazionali delle prestazioni di elevata professionalità o di particolare
specializzazione, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale convoca le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e
dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, al fine di promuovere l’accordo. In caso di
mancata stipulazione dell’accordo entro i trenta giorni successivi alla convocazione, il Ministro del lavoro e della
previdenza sociale individua in via sperimentale, con doppio decreto, i predetti casi.
Capo V
DISPOSIZIONI PENALI
Articolo 36
Disposizione finale
1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente Titolo IV non possono essere oggetto di rinunzie o transazioni
tra le parti neppure in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII della presente legge.
TITOLO VII
NORME PER LA RIDUZIONE DEL CONTENZIOSO IN MATERIA DI QUALIFICAZIONE DEI CONTATTI DI
LAVORO
Capo I
CERTIFICAZIONE DEI RAPPROTI DI LAVORO
Articolo 37
Qualificazione dei rapporti di lavoro
1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, le parti possono ottenre la
certificazione del contratto di lavoro stipulato secondo la procedura volontaria stabilita dalla presente legge.
2. Sono esclusi dalla previsione di cui al comma precedente:
a) i rapporti di lavoro instaurati con lo Stato o con Enti Pubblici non economici;
b) i rapporti di lavoro del personale della navigazione marittima, aerea e interna;
c) i rapporti di collaborazione familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice Civile;
d) i rapporti di lavoro occasionali.
3. Ai fini della applicazione della presente legge, per rapporti di lavoro occasionali si intendono i rapporti di durata
complessiva non superiore a otto giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso
complessivo per lo svolgimento della prestazione non sia superiore a lire…
Articolo 38
Procedure di certificazione
1. La certificazione potrà avvenire:
a) stipulando il contratto con l’assistenza della Commissione di certificazione costituita presso la Direzione provinciale per
l’impiego. Tale Commissione sarà a composizione tripartita, con la partecipazione paritetica dei rappresentanti dei datori di
lavoro e dei lavoratori e svolgerà, su richiesta delle parti, funzioni di consulenza ed assistenza con particolare riferimento
alla disponibilità dei diritti.
b) oppure utilizzando i codici di buone pratiche di cui al successivo comma del presente articolo, nonché appositi moduli o
formulari predisposti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale che recepiscano gli accordi o contratti collettivi
stipulati ai sensi dell’articolo 14 della presente legge, e depositando il contratto così stipulato presso la segreteria tecnica
della Commissione di certificazione, ovvero presso comitati paritetici o denti bilaterali costituiti ai sensi dell’articolo 14
della presente legge, al fine di ottenere la successiva validazione;
c) una volta certificato, il contratto non potrà essere impugnato dalle parti se non per vizi di consenso;
d) ove, in seguito allo svolgimento del rapporto di lavoro, insorga una controversia sulla esatta qualificazione del contratto
di lavoro, le parti che si sono avvalse della procedura dei certificazione dovranno rivolgersi obbligatoriamente alla stessa
Commissione dei certificazione, per un tentativo di conciliazione ovvero, ove le parti vi consentano, ovvero per un
tentativo di definizione in sede arbitrale della controversia. Contro la decisione della Commissione di certificazione è
sempre ammesso ricorso davanti al Pretore in funzione di giudice del lavoro;
e) se la controversia sorge in seguito a ricorso in giudizio da parte di terzi, la risoluzione della questione è dovuta al Pretore,
in funzione di giudice del lavoro, previa acquisizione da parte del Pretore di un parere obbligatorio, ma non vincolante della
Commissione di certificazione;
f) il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di cetrificazione del rapporto di lavoro e di definizionie della
controversia davanti alla commissione di certificazione potrà essere valutato dal Pretore, in funzione di giudice del lavoro,
ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del Codice di Procedura Civile;
378
g) la certificazione del rapporto di lavoro potrà in ogni caso avere valore sul piano probatorio, anche verso terzi, solo in
caso di corrispondenza tra quanto dichiarato e sottoscritto nella sede amministrativa e quanto di fatto realizzato nello
svolgimento della prestazione lavorativa.
2. Le attività e funzioni della Commissione di certificazione possono essere svolte da enti bilaterali costituiti, ai sensi
dell’articolo 14 della presente legge, ad iniziativa delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali dei
lavoratori comparativamente più rappresentative al livello geografico interessato.
3. Il Governo è autorizzato ad emanare codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili e delle
clausole disponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e
normativi di cui ai titoli precedenti della presente legge. Tali codici dovranno tenere conto delle indicazioni contenute negli
accordi o contratti collettivi applicabili.
Articolo 39
Certificazione dei rapporti di lavoro nelle cooperative di produzione e lavoro
1. La cooperativa di produzione e lavoro disciplina con apposito regolamento approvato dall’assemblea il tipo di rapporto e
le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci.
2. Ai fini della certificazione il regolamento dovrà in ogni caso disciplinare:
a) le modalità di attribuzione delle qualifiche e delle mansioni;
b) gli orari ed i periodi di riposo, in conformità con le disposizioni di legge obbligatorie;
c) il regime disciplinare e le sanzioni in caso di inosservanza;
d) le ipotesi di cessazione dell’attività lavorativa, anche in deroga a quanto disposto dagli articoli 33 e 34 della presente
legge.
3. Il regolamento dovrà prevedere che, al fine di promuovere nuova imprenditorialità ovvero di salvaguardare i livelli
occupazionali, rispettivamente nelle cooperative di lavoro di nuova costituzione ed in quelle che versino in stato di crisi
aziendale, l’assemblea della cooperativa possa deliberare un piano di assunzioni ovvero di crisi aziendale.
4. I piani di cui al precedente comma possono comportare la riduzione temporanea dei trattamenti economici dei soci di cui
all’articolo 30, comma 1, della presente legge nella misura massima del trenta per cento. La riduzione temporanea del
trattamento retributivo ha effetto anche ai fini di quanto disposto dall’articolo 1 della Legge 7 dicembre 1989, n. 389. Per
l’intero periodo di durata del piano è vietata la distribuzione tra i soci degli eventuali utili conseguiti nella gestione
dell’impresa.
5. Il regolamento che prevede disposizioni secondo quanto previsto nel presente articolo deve essere certificato ai sensi
della procedura di cui all’articolo 38 della presente legge.
6. In ogni caso le controversie inerenti ai rapporti di lavoro svolti in cooperativa rientrano tra quelli previsti dall’articolo
409, n. 3, Codice di Procedura Civile. Il regolamento, nell’ambito della procedura di certificazione di cui all’articolo 38
della presente legge, può prevedere l’adozione di una procedura arbitrale, ai sensi degli articoli 806 e ss., Codice di
Procedura Civile. La composizione del collegio arbitrale deve comunque contemplare una rappresentanza paritetica della
cooperativa e del socio.
Articolo 40
Altre norme per la riduzione del contenzioso
in materia di qualificazione dei contratti di lavoro
1. A sostegno del meccanismo di certificazione dei rapporti di lavoro il Governo è autorizzato ad introdurre correttivi in
materia di contribuzioni e prestazioni previdenziali volti a limitare la convenienza alla riconduzione del rapporto di lavoro
in un determinato schema contrattuale piuttosto che in un altro.
2. Tali disposizioni dovranno prevedere meccanismi di ricongiunzione dei diversi assetti contributivi maturati in funzione
di prestazioni lavorative svolte in esecuzione di diversi schemi contrattuali, nonché un progressivo riallineamento delle
prestazioni contributive e previdenziali con riferimento ai contratti di lavoro subordinati, ai contratti di lavoro autonomo e
alle collaborazioni continuative, coordinate di carattere prevalentemente personale di cui alla Legge o agosto 1995, n. 335.
TITOLO VIII
DISPOSIZIONI FINALI E PENALI
Articolo 41
Disposizioni penali
1. Le violazioni degli articoli 2, 3, 4, 5 e 15, comma 2, sono punite con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge 20
maggio 1970, n. 300, e successive modifiche.
Articolo 42
Organi di vigilanza
1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 9 della presente legge il Governo indica gli organi di vigilanza competenti
ad controllo sull’osservanza delle norme della presente legge.
2. In attesa della attuazione della delega di cui all’articolo 9 il controllo sull’osservanza delle norme della presente legge
compete agli organi dell’Ispettorato del lavoro competenti per territorio.
Articolo 43
Disposizione finale
1. Decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale
procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, degli effetti e della efficacia delle disposizioni dettate dai precedenti articoli, e ne
riferisce alle competenti Commissioni parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati entro sei mesi.
2. Ai fini della verifica di cui al comma precedente gli organi di vigilanza di cui all’articolo precedente e le commissioni di
certificazione di cui all’articolo 38 forniscono ogni trimestre dati e statistiche sugli effetti della legge, sulla certificazione
dei contratti di lavoro e su ogni altra notizia richiesta dall’organo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale
complementare.
379
DOC N. 6
Art. 1
(Principi generali)
1. In attuazione del principio costituzionale di tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, e in conformità con i
principi che informano l’ordinamento dell’Unione europea, la Repubblica adotta le misure necessarie a promuovere la
piena e buona occupazione, anche in forma autonoma e imprenditoriale, e riconosce a tutte le lavoratrici e i lavoratori i
diritti che rendono effettiva tale tutela e, in particolare, il diritto:
a) alla libertà, dignità e riservatezza;
b) alla non discriminazione;
c) alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro;
d) alla tutela conto le molestie sessuali in ambito lavorativo;
e) a un equo compenso del lavoro e alla tutela in caso di recesso ingiustificato, con modalità e secondo criteri che tengano
conto della diversa natura e tipologia dei rapporti di lavoro;
f) alla tutela e al sostegno della maternità e della paternità;
g) alla cura familiare e personale e alla conciliazione tra vita e tempo di lavoro;
h) all’apprendimento continuo e permanente;
i) all’accesso gratuito ai servizi per l’impiego;
l) a forme di sicurezza sociale adeguate nell’arco della vita lavorativa di ciascuno;
m) alla libertà e attività sindacale, allo sciopero, nonché alla libertà di negoziazione.
2. I diritti riconosciuti dalla presente legge costituiscono principi fondamentali dell’ordinamento statale, anche ai fini, per le
materie di competenza, della legislazione concorrente delle regioni.
Capo II
DIRITTI FONDAMENTALI DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI
Art. 2
(Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni di cui al presente Capo stabiliscono i diritti fondamentali garantiti a tutte le lavoratrici e i lavoratori
economicamente dipendenti, come individuati dall’articolo 17, e subordinati.
2. Le disposizioni di cui al presente Capo si applicano, in quanto compatibili con la natura del rapporto e con le modalità di
svolgimento dell’attività, alle lavoratrici e ai lavoratori che svolgono prestazioni d’opera e di servizio, anche intellettuale,
con apporto prevalentemente personale; alle socie e ai soci di opera o di servizio, anche con obbligo di prestazioni
lavorative accessorie, nelle società diverse dalle cooperative.
3. Le disposizioni di cui al presente Capo si applicano altresì, in quanto compatibili, alle presone che svolgono un’attività
lavorativa, con o senza corrispettivo, al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione; alle persone che
frequentano corsi di formazione o addestramento professionale; alle persone che svolgono lavori di utilità pubblica o
sociale, o di volontariato; alle persone che svolgono attività di lavoro nell’impresa familiare.
4. Sono fatte salve le norme speciali e le disposizioni negoziali più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Art. 3
(Dignità personale e libertà di manifestazione del pensiero)
1. Le lavoratrici e i lavoratori, senza distinzioni di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei loghi
dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e
delle norme di legge.
2. Le disposizioni in materia di impianti audiovisivi, di accertamenti sanitari e di visite personali di controllo, di cui agli
articoli 4, 5 e 6 della legge 20 maggio 1970, n. 300, trovano applicazione, in quanto compatibili con la natura del rapporto e
con le modalità di esecuzione della prestazione, anche nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori economicamente
dipendenti e delle persone che svolgono attività lavorativa, con o senza corrispettivo, al solo fine di apprendere un mestiere,
un’arte o una professione; alle persone che frequentano cosi di formazione o addestramento professionale, alle persone che
svolgono lavori di utilità pubblica o sociale, o di volontariato.
Art. 4
(Intangibilità della sfera personale)
1. Ferma restando l’applicabilità delle disposizioni vigenti sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento
dei dati personali, è fatto divieto al datore di lavoro, al committente di rapporti di lavoro di cui al Capo III, al formatore, al
tutore, al selezionatore, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose e sindacali, sulle
condizioni di salute, sullo stato matrimoniale o di famiglia, sullo stato di gravidanza, sui comportamenti e orientamenti
sessuali della lavoratrice e dei lavoratori, nonché su ogni altra circostanza non rilevante ai fini della valutazione della sua
attitudine professionale.
380
Art. 5
(Tutela contro le molestie sessuali in ambito lavorativo)
1. Costituisce molestia sessuale nei luoghi di lavoro o in ambito lavorativo ogni atto o comportamento, espresso in forma
fisica, verbale o non verbale, a connotazione sessuale o comunque basato sul sesso, posto in essere dai datori di lavoro,
superiori, collaboratori o colleghi, committenti nei rapporti di lavoro di cui al Capo III, tutori, formatori e selezionatori, che
sia indesiderato dalla persona che lo subisce e che, di per sé ovvero per la sua insistenza, si percepito come arrecante offesa
alla sua dignità e libertà, ovvero sia suscettibile di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo
nei suoi confronti.
2. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto all’informazione, alla prevenzione e alla tutela contro le molestie sessuali subite
in ambito lavorativo.
Art. 6
(Tutela contro i comportamenti persecutori)
1. Costituisce violenza morale e persecuzione psicologica gli atti o comportamenti, anche verbali, posti in essere da soggetti
di cui all’articolo 5, che mirino a danneggiare la lavoratrice o il lavoratore, con carattere sistematico e duraturo e con
predeterminazione.
2. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto all’informazione, alla prevenzione e alla tutela in materia di violenze morali e
persecuzioni psicologiche perpetrate in ambito lavorativo o comunque in materia di atti esplicitamente ostili o offensivi,
ripetutamente diretti contro la dignità della persona.
Art. 7
(Non discriminazione)
1. E’ nullo qualsiasi atto o patto a carattere discriminatorio che produca o possa produrre un effetto pregiudizievole
discriminando, a che in via indiretta, la lavoratrice e il lavoratore a causa:
a) del sesso, dei comportamenti o orientamenti sessuali, della razza o etnia, della nazionalità, della lingua, delle suo
opinioni politiche, della religione, dell’età, ovvero delle sue condizioni personali, sociali, di disabilità o di salute;
b) delle suo opinioni sindacali, ovvero della sua affiliazione o attività sindacale.
2. Costituiscono discriminazione diretta o indiretta che le molestie sessuali e i comportamenti persecutori che,
esplicitamente o implicitamente, direttamente o indirettamente, siano accompagnati da minacce o ricatti dal datore di
lavoro, dei superiori o colleghi di lavoro, dal committente nei rapporti di lavoro di cui al Capo III, del formatore, del tutore,
del selezionatore, in relazione alla costituzione, alla modificazione, alla retribuzione o al compenso, alla formazione
professionale, alla cessazione del rapporto di lavoro o dell’incarico.
3. Trovano applicazione, in quanto compatibili con la natura del rapporto e le modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa, le disposizioni vigenti in materia di parità di trattamento e di divieto di discriminazione diretta e indiretta.
4. Il divieto di discriminazione non osta al mantenimento o all’adozione di azioni positive dirette a evitare o compensare
svantaggi con finalità di riequilibrio del gruppo rappresentato.
Art. 8
(Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro)
1. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto alla tutela della propria integrità e salute psicofisica e della propria personalità
morale. A tal fine, il datore di lavoro, il committente nei rapporti di lavoro di cui al Capo III della presente legge,
l’utilizzatore della prestazione, il soggetto erogatore di un servizio di istruzione, formazione, addestramento od
orientamento professionale, hanno l’obbligo di adottare, nell’esercizio dell’attività, le misure che, secondo le peculiarità
dell’attività produttiva, le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica implicate, sono necessarie al fine di eliminare o
ridurre al minimo i rischi per la salute e la sicurezza di lavoratori.
2. Nel disciplinare l’obbligo, gravante sui soggetti di cui al comma 1, nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori che
svolgono la propria attività presso una sede diversa dai locali di pertinenza del datore di lavoro o del committente, le
disposizioni legislative adottate in conformità con i principi fondamentali di cui alla presente legge tengono conto della
peculiarità delle prestazioni lavorative, attenendosi al criterio di adeguare le norme e le misure di sicurezza del lavoro
nell’impresa con norme e misure funzionalmente equivalenti.
3. Con le modalità stabilite dall’articolo 36 della presente legge, sono istituite e disciplinate idonee forme di certificazione,
assistenza e consulenza a favore dei datori di lavoro e delle imprese che adempiano agli obblighi in materia di tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori.
Art. 9
(Promozione della piena e buona occupazione)
1. La Repubblica adotta le misure adeguate a promuovere la piena e buona occupazione, anche in forma autonoma e
imprenditoriale. In particolare, lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, e in coerenza con gli obbiettivi
indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupabilità, adottano misure di incentivazione al
lavoro, finalizzate anche all’inserimento professionale dei soggetti privi di occupazione, dei disoccupati di lungo periodo
ovvero a rischio di esclusione sociale o aventi una occupazione di carattere precario o a bassa qualità.
2. Le misure di cui al comma 1 sono adottate secondo la tipologia, per le finalità specifiche, con le modalità e nel rispetto
dei principi fondamentali stabiliti dall’articolo 37.
Art. 10
(Politiche attive del lavoro e apprendimento continuo e permanente)
1. Le lavoratrici e i lavoratori inoccupati, disoccupati o occupati hanno diritto di accedere gratuitamente a puntuali
informazioni in merito alle opportunità lavorative, ai posti di lavoro vacanti e all’offerta formativa esistente sul territorio
nazionale, locale; essi hanno inoltre diritto a servizi gratuiti di orientamento e all’assistenza nella ricerca di lavoro e nella
progettazione, nel corso della vita lavorativa, di percorsi, anche individuali, di apprendimento e formazione professionale.
2. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al comma 1 hanno altresì diritto all’apprendimento nel corso della vita lavorativa, per
accrescere conoscenze e competenze professionali e per conseguire titoli di studio o di qualifica professionale. La
381
formazione può corrispondere ad autonoma scelta del lavoratore ovvero essere predisposta dal datore di lavoro o dal
committente, anche per il tramite di organismi pubblici o privati certificati.
3. L’apprendimento continuo e la formazione permanente sono incentivati attraverso il sostegno alla costituzione di fondi
mutualistici e bilaterali paritetici, nonché mediante il beneficio fiscale della deduzione del reddito da lavoro, dei costi
sostenuti per la partecipazione ad attività formative scolastiche o di formazione professionale pubblici e privati accreditati.
Art. 11
(Tutela delle legittime sospensioni dall’attività e della conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro)
1. In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza, di maternità e paternità, di congedo parentale, di cura e di assistenza di
familiari, di formazione continua e permanente, le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto alla sospensione dell’attività
lavorativa e a forme adeguate di sostegno, anche economico.
2. Le forme di tutela di cui al comma 1, istituite e disciplinate in base alla legge e ai contratti e accordi collettivi,
favoriscono la conciliazione dell’attività lavorativa con i compiti familiari e con le altre attività di cura delle persone.
3. La costituzione di servizi di sostituzione totale o parziale, organizzati per bacini territoriali, settoriali e categoriali, in
relazione alla sospensione dell’attività lavorativa autonoma, è sostenuta e incentivata.
Art. 12
(Equo compenso)
1. Qualora sia previsto il corrispettivo per l’attività lavorativa svolta e il suo ammontare non sia contrattualmente definito e
equo, esso è stabilito dal giudice secondo equità.
Art. 13
(Equo trattamento pensionistico e mutualità volontaria)
1. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto a un equo trattamento pensionistico in caso di vecchiaia. La legge prevede
idonee forme pensionistiche obbligatorie e promuove le forme pensionistiche volontarie, di cui al comma 2.
2. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto di accedere, su base volontaria e secondo le previsioni delle fonti istitutive
applicabili, alle forme pensionistiche complementari e alle forme pensionistiche individuali.
3. Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari e gli atti negoziali in base ai quali si perfeziona l’adesione a
tutte le forme pensionistiche di cui al comma 2, rispettano, il relazione a tutti gli aderenti e a tutti coloro che domandino di
aderire, il principio di non discriminazione.
4. Alle lavoratrici e ai lavoratori è garantito che la mobilità professionale non determini penalizzazioni ai fini della
maturazione dei diritti pensionistici nelle forme pensionistiche di cui al comma 1. A tal fine, in particolare, la disciplina
delle forme pensionistiche complementari e individuali è modificata secondo quanto stabilito dalla disposizione di ci
all’articolo 38, comma 1, lettera d).
5. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 4 si applicano anche alle persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti
da responsabilità familiari.
6. La costituzione su base volontaria e negoziale di fondi mutualistici per la soddisfazione di esigenze socialmente rilevanti
e per l’erogazione di prestazioni assistenziali e di sostegno al reddito, anche in relazione a periodi di discontinuità del
lavoro autonomo o delle attività delle piccole imprese, è sostenuta e incentivata.
Art. 14
(Diritto al preavviso nei contratti a tempo determinato)
1. In tutti i contratti a tempo indeterminato ciascuna delle parti può recedere dando preavviso nel termine stabilito
contrattualmente, o secondo gli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
2. Salvo che la legge o il contratto non dispongano altrimenti, il preavviso non è dovuto se il recesso è obbiettivamente
giustificato.
Art. 15
(Diritto all’associazionismo professionale)
1. Ai lavoratori e alle lavoratrici è garantito il diritto di costituire associazioni sindacali e professionali, di aderirvi e di
svolgere attività di tutela e promozione degli interessi professionali collettivi.
Art. 16
(Divieto di istaurare rapporti di lavoro per finalità antisindacali)
1. L’instaurazione di un qualsiasi rapporto di lavoro, ovvero l’utilizzo specifico di altri lavoratori in organico, per la
sostituzione di lavoratori e lavoratrici che esercitano di diritto di sciopero, costituisce condotta antisindacale ai sensi
dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Capo III
LAVORATRICI E LAVORATORI ECONOMICAMENTE DIPENDENTI
Art. 17
(Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni di cui al presente Capo integrano le disposizioni di cui al Capo II, che si intendono richiamate, con
specifico riferimento ai rapporti di lavoro caratterizzati da una situazione di dipendenza economica del prestatore di lavoro .
2. Si considerano tali i rapporti di collaborazione aventi ad oggetto una prestazione d’opera coordinata e continuativa,
prevalentemente personale, svolta senza vincolo di subordinazione, senza vincolo di orario di lavoro, indipendentemente
dall’ambito aziendale o extra aziendale in cui si svolge la prestazione stessa.
3. Ove il rapporto di lavoro presenti, nelle sue concrete modalità di svolgimento, le caratteristiche proprie di lavoro
subordinato fin dal momento in cui, in sede giudiziale, si riscontri che dette caratteristiche sussistano.
382
4. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente Capo i rapporti di lavoro che abbiano una durata complessiva
inferiore a trenta giorni nell’anno solare.
Art. 18
(Obbligo di comunicazione dei contenuti del contratto)
1. Il committente è tenuto a trasmettere ai servizi per l’impiego competenti e a consegnare alla lavoratrice e al lavoratore,
rispettivamente entro cinque giorni ed entro trenta giorni lavorativi dall’inizio dell’attività lavorativa, una copia del
contratto di lavoro o della lettera di incarico o dei altro documento scritto che contenga la puntuale indicazione dei seguenti
elementi:
a) l’identità delle parti;
b) il luogo o i luoghi di lavoro, nonché la sede o il domicilio del committente;
c) la data d’inizio del rapporto, la durata del contratto e l’eventuale periodo di prova;
d) l’oggetto della prestazione lavorativa;
e) l’ammontare del corrispettivo, i tempi di pagamento e la disciplina degli eventuali rimborsi spese;
f) le modalità idonee a garantire le informazioni necessarie all’esecuzione della attività lavorativa o alla realizzazione del
risultato, nonché alle forme di controllo del committente sull’esecuzione o sulla realizzazione stessa;
g) l’eventuale facoltà del prestatore di lavoro, previa accettazione del committente, di farsi sostituire temporaneamente da
persona resa nota al committente stesso, o di lavorare in coppia, dando luogo, in entrambi i casi, ad un unico rapporto con
responsabilità solidale di ciascuno dei prestatori per l’esecuzione dell’intera opera o servizio;
h) le previsione di un congruo periodo di preavviso per il recesso nei contratti di durata superiore a dodici mesi.
Art. 19
(Diritto al compenso)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto a un compenso proporzionato alla qualità e quantità del
lavoro svolto, e sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa, secondo quanto stabilito negli accordi e contratti collettivi
applicabili o comunque in uso per prestazioni analoghe o comparabili.
2. Se il compenso non è determinato o determinabile contrattualmente, e comunque se non è conforme a quanto stabilito
nel comma1, il suo ammontare è stabilito dal giudice secondo equità.
Art. 20
(Diritto a condizioni di lavoro eque e giuste)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto, pur in assenza di vincolo di orario, a congrui periodi di
sospensione dell’attività, giornalieri, settimanali e annuali.
2. I periodi di cui al comma 1 sono determinati contrattualmente o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
Art. 21
(Tutela delle legittime sospensioni della prestazione)
1. In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza, di maternità, di paternità, di congedo parentale, di cura e di assistenza di
familiari o personale, di svolgimento di attività di formazione continua e permanente, le lavoratrici di cui al presente Capo
hanno diritto di astenersi dalla prestazione, percependo, laddove previsto, il compenso o un’indennità previdenziale nella
misura e per la durata stabilite dalla legge.
Art. 22
(Diritti di informazione)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto di ricevere dal committente comunicazione scritta, entro
un mese dall’adozione delle modificazione degli elementi del contratto di cui all’articolo 18.
2. Il committente è tenuto a organizzare i propri flussi di comunicazione in modo da garantire a tutte le lavoratrici e ai
lavoratori pari condizioni nell’accesso alle informazioni attinenti al lavoro e all’attività sindacale.
Art. 23
(Salute e sicurezza)
1. Ai lavoratori ed alle lavoratrici di cui al presente Capo, qualora siano inseriti nell’ambiente di lavoro organizzato dal
committente, si applicano le disposizioni in materia di salute e sicurezza del lavoro previsto dal decreto legislativo 19
settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni. In particolare essi devono essere considerati ai fini dell’adempimento
degli obblighi inerenti la valutazione dei rischi e la relativa documentazione, la tenuta e l’aggiornamento del registro
infortuni, i servizi di prevenzione e protezione e di gestione delle emergenze, la sorveglianza sanitaria, i diritti di
informazione e formazione.
2. Le disposizioni legislative tengono conto delle caratteristiche delle prestazioni lavorative, adottando misure
funzionalmente equivalenti, ma in ogni caso adeguate e sufficienti a garantire i diritti di cui al comma 1.
3. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto, in caso di attività lavorativa svolta, per un periodo
significativo di un tempo e indipendentemente dal luogo in cui si svolge l’attività, su attrezzature munite di videoterminali,
allo stesso livello di protezione di cui beneficiano le lavoratrici e i lavoratori di cui al Capo IV.
4. E’ vietato affidare alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al presente Capo le lavorazioni che richiedano sorveglianza
modica e speciale e lavori particolarmente pericolosi.
5. Le modalità di individuazione delle rappresentanze per la sicurezza dei lavoratori di cu al presente Capo sono stabilite
con accordi o contratti collettivi o, in mancanza, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo accordo
con le confederazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rapprsentative.
Art. 24
(Diritti di sicurezza sociale)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto alla tutela previdenziale obbligatoria per l’invalidità, la
vecchiaia e i superstiti, per malattia e infortunio, per maternità e paternità, per assegni al nucleo familiare.
383
2. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno inoltre diritto di aderire alle forme di previdenza
complementare, in regime di contribuzione definita, istituite secondo quanto previsto dalla normativa vigente, anche
unitamente alle lavoratrici e ai lavoratori subordinati. A tale fine, ad essi si applica la disciplina delle forme pensionistiche
complementari, come modificata dalle disposizioni di cui all’articolo 38, comma 1, lettere a) e b).
3. I lavoratori hanno altresì diritto a che siano assicurati mezzi adeguati alla soddisfazione di esigenze socialmente rilevanti
in relazione ai periodi di discontinuità del lavoro.
Art. 25
(Obbligo di riservatezza)
1. Salvo diverso accordo tra le parti, le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo possono svolgere la loro attività a
favore di più committenti, senza pregiudizio dell’attività dei committenti medesimi.
Art. 26
(Diritti per apporti originali e per le invenzioni della lavoratrice e del lavoratore)
1. I diritti di utilizzazione economica relativi alla creazione di apporti originali, come pure quelli riguardanti l’invenzione
fatta in occasione dello svolgimento dell’attività o nell’esecuzione del servizio oggetto del contratto, spettano alla
lavoratrice e al lavoratore, salvo il caso in cui l’attività inventiva costituisca oggetto della attività lavorativa così come
dedotto in contratto.
2. Salvo il caso in cui l’attività inventiva costituisca oggetto della attività lavorativa così come dedotto in contratto, il
committente ha diritto di prelazione sull’utilizzazione economica dei diritti o per l’acquisto del brevetto, da esercitare entro
tre mesi dalla conoscenza della creazione o della comunicazione del conseguimento del brevetto da parte della lavoratrice o
del lavoratore, verso corresponsione di un canone o di un prezzo determinati di comune accordo.
3. In caso di mancato accordo sul canone o sul prezzo, si applicano le disposizioni legislative in materia di brevetti per
invenzioni dalla lavoratrice e del lavoratore.
Art. 27
(Recesso)
1. Nei contratti di cui al presente Capo, stipulati per una durata superiore a dodici mesi, è ammesso il recesso solo per
giusta causa, senza obbligo di preavviso, ovvero il recesso per giustificato motivo, con obbligo di preavviso. Nei contratti
di durata inferiore, è ammesso il recesso solo per giusta causa.
2. La durata del preavviso, ove non sia stabilita contrattualmente, è determinata in base agli usi, o in mancanza, dal giudice
secondo equità. In committente può corrispondere un’indennità sostitutiva di importo pari al compenso che sarebbe spettato
alla lavoratrice o al lavoratore per la durata del preavviso medesimo. La lavoratrice o il lavoratore può corrispondere al
committente un’indennità sostitutiva di importo pari alla metà del suddetto compenso.
3. Il recesso è comunicato per iscritto. La lavoratrice o il lavoratore può chiedere, entro dieci giorni dalla comunicazione, i
motivi che hanno determinato il recesso. In tal caso, il committente deve, nei dieci giorni successivi alla richiesta,
comunicarli per iscritto al lavoratore.
4. Il recesso intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 3 è inefficacie.
5. Il committente che recede ingiustificatamente dal contratto è tenuto a corrispondere alla lavoratrice o al lavoratore un
congruo indennizzo, di importo pari a quello dell’indennità di mancato preavviso e comunque modulato sulla base della
dimensione occupazionale dell’impresa committente.
6. La lavoratrice e il lavoratore che recede per giusta causa ha diritto a percepire dal committente l’indennità sostitutiva del
preavviso.
7. Il recesso per motivi discriminatori di cui all’articolo 7 è nullo.
8. Rientra nella giusta causa o nel giustificato motivo di recesso della lavoratrice o del lavoratore le modificazione
unilaterale da parte del committente degli elementi del contratto di cui all’articolo 18.
Art. 28
(Diritti sindacali)
1. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al presente Capo è garantito il diritto:
a) di costituire associazioni e organismi sindacali e di aderire, non aderire o recedere da organizzazioni esistenti;
b) di partecipare alle assemblee indette dalle rappresentanze sindacali aziendali all’interno delle unità produttive;
c) di negoziare liberamente, per il tramite delle loro organizzazioni, accordi e contratti collettivi per la regolazione dei
rapporti di lavoro.
2. Ove i contratti o accordi collettivi di cui al comma 1, lettera c), non prevedano la costituzione di organismi di
rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori medesimi all’interno delle unità produttive, il loro diritto elettorale, attivo e
passivo, per la partecipazione alle rappresentanze sindacali aziendali dei lavoratori subordinati costruite o da costituire nelle
unità produttive, e comunque il loro diritto di partecipare alle assemblee, può essere previsto e disciplinato dai contatti
collettivi applicati nelle unità produttive di riferimento.
3. Alle lavoratrici e ai lavoratori che svolgono la prestazione di lavoro in regime d telelavoro è riconosciuto, nelle unità
produttive in cui siano costituite rappresentanze sindacali aziendali dei lavoratori subordinati, il diritto di accesso all’attività
sindacale che si svolge in azienda anche tramite l’istituzione di una bacheca elettronica o di altro sistema elettronico a cura
della rappresentanza sindacale aziendale e a spese dell’azienda, in cui vengono inserite tutte le informazioni di interesse
sindacale e lavorativo.
Art. 29
(Diritto di sciopero)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Campo hanno diritto di sospendere la propria attività lavorativa a fini di
autotutela sindacale.
2. Nei servizi pubblici essenziali, il diritto di sciopero si esercita nei limiti e alla condizioni di cui alla legge 12 giugno
1990, n. 146.
384
Capo IV
STATUTO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI
Art. 30
(Ambito di applicazione e fonti di disciplina del lavoro subordinato)
1. Le disposizioni di cui al presente Capo intergrano le disposizioni di cui al Capo II, che si intendono qui richiamare, con
specifico riferimento a tutti i rapporti di lavoro subordinato.
2. Ai lavoratori di cui al presente Capo si applica la disciplina stabilita dal codice civile, della legge 20 maggio 1970, n.
300, e successive modificazioni, e da tutte le altre leggi che disciplinano il rapporto di lavoro alle discipline di datori di
lavoro privati e di pubbliche amministrazioni.
Art. 31
(Diritti di informazione, consultazione e partecipazione)
1. Le lavoratrici e i lavoratori, tramite i loro rappresentanti sindacali, hanno diritto di essere e consultati in ogni fase di
mutamento dell’assetto occupazionale e organizzativo dell’impresa, in particolare dei processi di ristrutturazione, nei
trasferimenti d’azienda e nei licenziamenti collettivi.
2. Le lavoratrici e i lavoratori, tramite i loro rappresentanti sindacali, hanno diritto di essere informati e consultati in tutte le
maniere previste dalla direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002, che istituisce un
quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Unione europea.
3. Le lavoratrici e i lavoratori hanno altresì diritto di essere resi partecipi, tramite i loro rappresentanti sindacali, delle
decisioni adottate nell’ambito della “Società europea”, di cui alla direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre 2001.
4. I diritti di informazione, consultazione e partecipazione si esercitano nelle forme individuate prioritariamente dalla
contrattazione collettiva.
Art. 32
(Formazione continua e permanente)
1. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto di sospendere la prestazione di lavoro per attività di formazione continua e
permanente, percependo, laddove previsto, il compenso, secondo quantità, modalità e durata stabilite dalla legge e dai
contratti collettivi.
2. Lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurano, secondo le rispettive competenze, un’offerta formativa articolata,
adeguata e accreditata.
Art. 33
(Diritto alla tutela attiva del reddito in caso di disoccupazione involontaria)
1. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al presente Capo hanno diritto, in caso di disoccupazione involontaria, anche parziale,
alla tutela attiva della continuità del reddito, anche in forma di integrazione salariale nel caso di sospensione o riduzione
dell’attività lavorativa, secondo forme che ne assicurino l’adeguatezza, la temporaneità, la finalizzazione al mantenimento e
al miglioramento della capacità professionale e alla rioccupazione produttiva, l’economicità di gestione.
Art. 34
(Disposizioni in materia di previdenza pensionistica complementare)
1. Ai fini della legislazioni concorrente delle regioni in materia di previdenza complementare, la disciplina di riferimento è
costituita dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni.
2. Le modalità di adesione ai fondi pensione possono essere stabilite dalle fonti istituite anche attraverso procedure di
silenzio-assenso.
3. Alle lavoratrici e ai lavoratori iscritti alle forme di previdenza complementare, deve essere garantita la facoltà di
trasferire l’intera posizione individuale ad altra forma di previdenza complementare, quando cessino i requisiti di
partecipazione, ovvero quando sia decorso un periodo minimo stabilito dalla legge o dalle fonti istitutive.
4. Il trasferimento della posizione individuale comporta l’obbligo del conferimento dell’accantonamento annuale del
trattamento di fine rapporto a favore della forma di previdenza complementare di destinazione.
5. Ai fini di cui al presente articolo, si applica la disciplina delle forme pensionistiche complementari e individuali, come
modificata dalle disposizioni di cui all’articolo 38, comma 1, lettere c), e) ed f).
6. Le lavoratrici ed i lavoratori del pubblico impiego accedono alle forme di previdenza complementare con le modalità
contributive previste dagli specifici accordi contrattuali, anche in riferimento al conferimento del trattamento di fine
rapporto.
Capo V
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 35
(Diritto alla composizione stragiudiziale delle controversie)
1. Tutte le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto di accedere a forme di composizione stragiudiziale delle liti di lavoro,
previste e disciplinate su base collettiva e idonee a risolvere le controversie in tempi celeri, secondo giustizia.
2. Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o delle lavoratore in caso di risoluzione della controversia
in sede conciliativa o arbitrale è riconosciuto il beneficio della riduzione, in misura pari al 50 per cento, dell’aliquota
applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, nonché della ritenuta ai fini dell’imposta sul
reddito.
Art. 36
(Misure di promozione dell’adempimento degli obblighi in materia
di tutela della salute e della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori)
1. Fino a quando non intervengano in materia di leggi regionali, con regolamenti da emanare con decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, previo accordo con le confederazioni sindacali
385
comparativamente più rappresentative, e nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale, sono
disciplinate idonee forme di assistenza e consulenza gratuite, a carico dei competenti servizi pubblici, a favore di piccoli
imprenditori e dei datori di lavoro non imprenditori, finalizzate all’espletamento non oneroso degli adempimenti previsti
dalle disposizione del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Art. 37
(Disposizioni in materia di incentivi all’occupazione e all’atuoimpiego)
1. Per le finalità di promozione della piena e buona occupazione di cui all’articolo 9, lo Stato e le regioni, nell’esercizio
delle rispettive potestà legislative e regolamentari, possono riconoscere ai datori di lavoro e ai lavoratori apposite
incentivazioni all’espansione occupazionale e all’autoimpiego, sotto forma di sgravi contributivi, finanziamenti agevolati,
crediti d’imposta, forme d’imposizioni negativa del reddito,prestazioni di garanzie per l’accesso al credito, deduzioni del
reddito imponibile.
2. Gli incentivi e le agevolazioni di cui al comma 1 devono essere prioritariamente orientati a favorire:
a) l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata superiore a
dodici mesi, con persone in situazione di difficoltà occupazionale, quali in particolare inoccupati e disoccupati di più di un
anno, inoccupati di età inferiore a 26 anni, disoccupati di età superiore a 45 anni, inoccupati e disoccupati precedentemente
impiegati in lavoro di cura di familiari, disabili gravi o minori di anni 12 o per gravi motivi di famiglia, immigrati regolari,
disabili gravi;
b) l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato con finalità formativa;
c) l’emersione del lavoro non dichiarato o irregolare, inerente sia a datori di lavoro non dichiarati, sia a rapporti di lavoro
non dichiarati o irregolari, ma instaurati con datori di lavoro dichiarati;
d) l’intrapresa di attività di lavoro autonomi o di attività imprenditoriali;
e) la continuità operativa e gestionale delle piccole e medie imprese, attraverso forme di apprendistato o tirocinio idonee ad
agevolare il subentro di familiari o collaboratori nell’esercizio dell’impresa;
f) il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale su base volontaria, con particolare riferimento alle ipotesi di espansione
della base occupazionale dell’impresa o di impiego di giovani impiegati in percorsi di istruzione e formazione, di genitori
con figli minori, di lavoratori di età superiore a 55 anni, nonché la trasformazione a tempo parziale di contatti a tempo
pieno che intervenga in alternativa all’avvio di procedure di riduzione di personale.
3. Fatte salve le competenze delle regioni in materia di previdenza integrativa complementare, nonché quelle attinenti a
tributi propri delle stesse ragioni, con riferimento alle misure di incentivazione consistenti in agevolazioni di carattere
previdenziale e tributario, le disposizioni legislative g regolamentari adottate a tal fine dello Stato devono prevedere,
attraverso specifiche norme di coordinamento:
a) l’integrazione del sistema di incentivi statale con le politiche locali di sviluppo e di incentivazione dell’occupazione;
b) il collegamento con la disciplina della verifica dello stato di in occupazione o disoccupazione e con la disciplina delle
relative sanzioni;
c) il collegamento con le misure di tutela attiva del lavoro e del reddito di cui all’articolo 33, e con le disposizioni
legislative inerenti i diritti di sicurezza sociale in materia di sostegno e integrazione del reddito, in quanto orientale a
favorire la tutela attiva del lavoro.
4. Le disposizioni di incentivazione dell’occupazione e allo sviluppo adottate con le leggi e i regolamenti regionali,
nell’ambito della potestà concorrente di cui all’articolo 117 della Costituzione, sono determinate nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti o desumibili dalla legislazione statale vigente, delle competenze legislative statali in materia di
immigrazione, tutela della concorrenza, perequazione delle risorse finanziarie, nonché di rispetto dei vincoli posti
dall’articolo 120 della Costituzione.
Art. 38
(Disposizioni modificative del decreto legislativo n. 124 del 1993,
in materia di forme pensionistiche complementari e individuali)
1. Al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successivamente modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2, comma 1, lettera b), è aggiunto il seguente periodo: “le fonti istitutive di cui alla lettera a) del comma 1
dell’articolo 3 possono consentire che l’istituzione di forme pensionistiche complementari per i lavoratori economicamente
dipendenti avvenga unitamente ai lavoratori di cui alle lettere a) e b-bis) del presente comma, che siano inseriti nelle
imprese committenti”;
b) l’articolo 2, comma2, la lettera a) è sostituita dalla seguente:
“a) per i soggetti di cui al comma 1, lettere a), b-bis) e b-ter), e per quelli di cui all’ultimo periodo della lettera b),
esclusivamente forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definitiva”;
c) all’articolo 3, il comma 4 è sostituito dal seguente:
“4. Le fonti istituite di cui al comma 1 stabiliscono le modalità di adesione ai fondi pensioni, anche definendo procedure di
silenzio-assenso alla partecipazione ai fondi, che in ogni caso prevedano un termine non inferiore a tre mesi per la
manifestazione del rifiuto di aderire e che tengano altresì ferma la preventiva informazione degli aderenti, come richiesta di
attuazione dell’articolo 4, comma 4”;
d) all’articolo 7, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
“3-bis. Al compimento del periodo minimo di partecipazione di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, nonché di cui al
comma 4 dell’articolo 9-bis, concorrono anche i periodi di appartenenza alle forme pensionistiche complementari e
individuali delle quali l’iscritto abbia trasferito la posizione individuale, secondo le previsioni di cui all’articolo 10, comma
1, lettere a) e b), 2, 3-bis e 3-quinquies”;
e) all’articolo 10, comma 1, lettera b), è aggiunto il seguente periodo: “il trasferimento della posizione individuale
comporta anche la prosecuzione dell’obbligo di accantonamento del TFR, nella misura stabilita dalle fonti istitutive di cui
all’articolo 8. comma 2, a favore fondo pensione di destinazione;
f) all’articolo 10, comma 3-bis, il primo periodo è sostituito dal seguente: “Le fonti istitutive prevedono per ogni singolo
iscritto, anche in mancanza delle condizioni di cui ai commi precedenti, la facoltà di trasferimento dell’intera posizione
individuale dell’iscritto, presso altro fondo pensione, di cui agli articoli 3 e 9, o presso una forma pensionistica individuale,
di cui agli articoli 9-bis e 9-ter, non prima di tre anni di permanenza presso il fondo da cui l’iscritto di intende trasferire. Il
386
trasferimento non può aver luogo, comunque, prima che siano trascorsi tre anni dalla data del primo provvedimento di
autorizzazione di cui all’articolo 17, comma 2, lettera f)”.
Art. 39
(Responsabile disciplinari e tutela giudiziaria)
1. Fatte salve le responsabilità civile e penale, ove sussistenti secondo la normativa vigente, e salva la responsabilità
disciplinare a carico di superiori, collaboratori o colleghi della lavoratrice o del lavoratore, secondo la normativa vigente e i
contratti collettivi applicabili, le violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 costituiscono, per le persone non
assoggettabili a sanzioni disciplinari diverse dalla risoluzione del rapporto di lavoro, illecito di carattere amministrativo
punibile con la sanzione amministrativa da 500 a 5.000 euro. Il relativo procedimento è di competenza dell’organo
individuato ai sensi dell’articolo 41.
2. Per le violazione delle disposizioni di cui agli articoli 5, 6, e 7 della presente legge è ammessa l’azione di giudizio ai
sensi dell’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. Qualora il fatto non costituisca
fattispecie discriminatoria, le disposizioni di cui al citato articolo 4 della legge n. 125 del 1991 si applicano nei limiti della
compatibilità.
3. In caso di inadempimento dell’obbligo di cui all’articolo 18 della presente legge, si applicano le disposizioni di cui
all’articolo 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152.
Art. 40
(Sanzioni penali)
1. Le violazioni delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, all’articolo 4 e all’articolo 16, sono punite con le sanzioni
di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 41
(Organi di vigilanza)
1. Il controllo sull’osservanza delle disposizioni di cui alla presente legge competente al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali , che lo esercita attraverso il servizio ispettivo delle direzioni provinciali del lavoro ovvero attraverso
l’organo competente per territorio secondo la disciplina vigente.
Art. 42
(Verifica dell’efficacia della legge)
1. Decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali
procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rapprsentative sul piano nazionale, degli effetti e della efficacia delle disposizioni di cui agli articoli 35, 36, e 37, e ne
riferisce entro sei mesi alle componenti Commissioni parlamentari permanenti.
Art. 43
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge si provvede, fino a concorrenza degli importi, mediante le
maggiori entrate derivanti dall’applicazione delle seguenti disposizioni:
a) l’articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, è abrogato;
b) a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le aliquote di base di cui all’articolo 5 della legge 7 marzo
1985, n. 76, e successive modificazioni, per il calcolo dell’imposta di consumo sui tabacchi lavorati destinati alla vendita
del pubblico nel territorio soggetto a monopolio, sono uniformemente incrementate del 50 per cento.
387
DOC N. 7
Art. 1
Nuovo testo degli artt. 2094 e 2095 cod. civ.
Gli articoli 2094 e 2095 cod. civ. sono sostituiti dalle seguenti disposizioni:
“Art. 2094 – Contratto di lavoro
“1. Con il contratto di lavoro, che si reputa a tempo indeterminato salve le eccezioni legislative previste, il lavoratore si
obbliga, mediante retribuzione, a prestare la propria attività intellettuale o manuale in via comunicativa all’impresa o
diversa attività organizzata da altri, con destinazione esclusiva del risultato al datore di lavoro.
“2. Il contratto di lavoro deve prevedere mansioni, categoria, qualifica e trattamento economico e normativo da attribuire al
lavoratore.
“3. L’eventuale esclusione, per accordo tra le parti espresso o per fatti concludenti, dell’esercizio da parte del datore dei
poteri di cui agli artt. 2103, primo e secondo periodo, 2104, comma 2, 2106, nonché dell’applicazione degli artt, 2100,
2101, 2102, 2108 cod. civ. e dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300, non comporta l’esclusione dei prestatori di
lavoro interessati dalla fruizione delle discipline generali di tutela del lavoro interessati dalla fruizione delle discipline
generali di tutela del lavoro previsti dal codice civile e dalle leggi speciali, né può dar luogo a trattamenti economico-
normativi inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi applicati agli altri lavorativi dipendenti della medesima impresa.
“4. L’accordo di cui al comma 3, qualora intervenga fra i contraenti di un contratto di lavoro in corso di esecuzione, non
costituisce novazione del rapporto di lavoro né può comportare per il lavoratore peggioramenti di trattamento economico-
normativo”.
Art. 2
Apposizione del termine al contratto di lavoro
1. Il contratto di lavoro di cui all’art. 2094, comma 1, del codice civile, è stipulato di regola a tempo indeterminato.
2. E’ tuttavia consentita l’apposizione di un termine finale di durate al contratto di lavoro subordinato quando ciò sia
richiesto:
a) del carattere stagionale dell’attività lavorativa, come risultante dall’elenco delle attività stagionali da approvarsi con
decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi, su proposta del Ministro del lavoro, entro un anno dall’entrata in
vigore della presente legge. Detto elenco può essere successivamente modificato o integrato con le medesime modalità.
Nelle more dell’emanazione del decreto si fa riferimento all’elenco contenuto del d.p.r. 7 ottobre 1963, n. 1525 e
successive modificazioni;
b) da punte stagionali d’intensificazione dell’attività produttiva;
c) dall’esigenza di sostituire lavoratori assenti, con l’esclusione di assenze dal lavoro giustificare dalla legislazione sul
diritto di sciopero;
d) dell’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od
occasionale;
e) dall’esecuzione di lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse per specializzazioni da quelle
normalmente impiegata;
f) nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacolari ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi;
g) in tutte le ulteriori ipotesi definite dai contatti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi e applicati dal datore di lavoro.
In relazione a tali ipotesi i contratti collettivi stabiliscono la percentuale massima di lavoratori che possono essere assunti
con contatto a termine rispetto al numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza all’impresa al 1° gennaio di ciascun
anno.
3. L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto nel quale devono essere indicate le relative
causali giustificative.
4. In tutti i casi di legittima apposizione del termine è riconosciuto al lavoratore i diritto di precedenza ove il datore di
lavoro effettui, entro un anno dalla scadenza del termine, nuove assunzioni a tempo determinato. Il contratto di lavoro a
termine si trasforma in contratto a tempo indeterminato quando il lavoratore, nel quinquennio precedente, abbia già
lavorato alle dipendenze del medesimo datore di lavoro per almeno diciotto mesi, anche non continuativi. L’eventuale
violazione, da parte del lavoro, del diritto di precedenza non impedisce il perfezionamento del requisito.
5. Nell’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 le parole “tre anni” sono sostituire dalle parole
“diciotto mesi”. Il comma 2 è abrogato.
6. L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano sia l’apposizione di un termine al
contratto di lavoro subordinato, sia l’eventuale temporanea proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro.
7. In tutte le ipotesi in cui, per disposizioni di legge o per contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della
consistenza dell’organico, i lavoratori assunti con contratto a termine, compresi quelli con qualifica di dirigente, si
388
computano sommando il numero di ore lavorative da essi effettuate nell’anno del calendario immediatamente precedente e
dividendo la cifra ottenuta per 1.905 o per il divisore corrispondente al minor numero di ore normale di lavoro svolte, ai
sensi della disciplina collettiva applicabile, da un lavoratore a tempo pieno e indeterminato.
8. Le disposizioni del presente articolo costituiscono attuazione della direttiva 1999/70 Ce relativa all’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato concluso dall’Unice, dal Ceep e dalla Ces. Il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 è
abrogato, fatti salvi i commi 3 e 4 dell’art. 1, l’art. 4, comma 1, 4 e 6 dell’art. 10 e l’art. 12.
9. E’ fatta altresì salva la previsione dell’art. 3 con l’esclusione della proposizione “ovvero abbi una durata iniziale non
superiore a tre mesi” che è abrogata.
Art. 3
Contribuzione previdenziale
1. La contribuzione previdenziale dovuta per i lavoratori che prestino la loro collaborazione secondo le modalità di cui al
comma 3 dell’art. 2094 cod. civ. è uguagliata, a far tempo dalla data di entrata in vigore della presente legge, a quella già
prevista dalle norme vigenti per gli antri lavoratori che prestino la loro opera nell’impresa.
2. Per un periodo di dodici mesi dall’entrata in vigore della presente legge, è riconosciuto ai datori di lavoro un credito
contributivo, compensabile su debito contributivo mensile complessivo, pari all’importo forfetario di euro 200 moltiplicato
per il numero dei lavoratori che prestano lavoro con le modalità di cui al comma 3 dell’art. 2094 cod. civ.
Art. 4
Collaborazioni occasionali
1. Ai prestatori di lavoro che svolgono in maniera occasionale e verso una pluralità di committenti la loro attività con
autodeterminazione dei tempi e dei modi di lavoro, vanno comunque assicurati i diritti sociali fondamentali: tutela della
maternità, delle malattie, degli infortuni, previdenza equo compenso, diritti sindacali, divieto di recesso senza giusta causa.
Art. 5
Modifica dell’art. 2549
L’art. 2549 del codice civile è sostituito dal seguente:
“Art. 2549 – Nozione di associazione in partecipazione
“1. Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della
sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Detto apporto in nessun caso può essere
costituito da una prestazione di lavoro, di qualsiasi natura. Qualora l’apporto dell’associato si concreti nella prestazione di
un’attività lavorativa, in violazione di quanto disposto del presente articolo, il contratto di associazione in partecipazione è
nullo e in sua vece si considera stipulato fra le parti un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
389
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