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Sergio cesaratto Antonella Stirati sul documento degli economisti 23

novembre 2011
Pubblichiamo un articolo di Antonella Stirati uscito oggi (23 novembre) in buona evidenza su l'Unit (titolo redazionale). Segnaliamo anche un bell'articolo di Marco d'Eramo su il manifesto del 22 novembre (grazie Cesare Coppoli). Un articolo su Wall Street Journal suggerisce quanto diciamo da tempo: che la crescita del debito pubblico italiano sia stata dovuta all'adesione dell'Italia al sistema monetario europeo nel 1979 (i cambi fissi comportarono elevati tassi di interesse e perdita competitivit) - oltre al mancato allineamento delle entrate fiscali, anche lasciando correre l'evasione, alla spesa sociale avvicinatasi agli standard europei negli anni 1970. Sebbene lo studio di Eichengreen et al. per la Banca d'Italia scagioni l'UME dai disastri pi recenti, chiaro che la vicenda SME pi "divorzio" fra Tesoro/BdI - un golpe extra-parlamentare quest'ultimo perpetrato dai Padri della Patria Ciampi-Andreatta - furono un de te fabula narratur. Di Padri della Patria di tal genere continuiamo ad averne ora col magico consenso (per ora) degli italiani. Preparatevi al ritorno della destra, prima o poi, ma Berlusconi ci apparir uno statista al confronto di ci che verr. Lattuale politica dellUnione mina la crescita Antonella Stirati* Alcune centinaia di economisti italiani e stranieri, tra i quali moltissimi nomi illustri, hanno sottoscritto un documento (http://documentoeconomisti.blogspot.com) in cui si sottolinea la necessit e lurgenza di un rovesciamento di prospettiva nella politica economica in Italia e in Europa. In assenza di tale cambiamento, e se si procede sulla linea dellausterit, sostengono, si avr una ulteriore grave caduta delloccupazione e dellattivit produttiva, che potrebbe compromettere la stabilit economica, sociale e finanziaria dellItalia e di tutta lEurozona. In questo modo si andrebbe verso una rottura dellUnione Monetaria e probabilmente del mercato unico europeo. Pur non nascondendo le responsabilit della classe dirigente nazionale, secondo il documento lorigine della stagnazione delleconomia italiana va visto nel contesto dellUnione Monetaria Europea, cio nellassenza di istituzioni e politiche volte alla piena occupazione, allequilibrio commerciale fra gli stati, e a una maggiore equit distributiva. Laggravamento della crisi, con lattacco dei mercati finanziari ai titoli del debito pubblico italiano e di altri paesi, dipende poi in primo luogo dalla mancata iscrizione tra i compiti della Banca Centrale Europea del ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani, mentre la costituzione del cosiddetto Fondo Salva-Stati appare del tutto inadeguata. Le politiche di restrizione dei bilanci pubblici che vengono richieste dalla UE hanno determinato una grave recessione nei paesi che le hanno attuate, come la Grecia e la Spagna, e non sono state neanche in grado di stabilizzare i mercati finanziari e ridurre i tassi di interesse sui titoli pubblici a valori sostenibili. In questo contesto di emergenza la sola politica in grado di stabilizzare i mercati finanziari e ridurre i tassi di interesse sul debito pubblico italiano e di altri paesi , come sostenuto ormai da molte istituzioni e da numerosi economisti di prestigio internazionale, lassunzione decisa da parte della BCE della funzione di garante di ultima istanza dei titoli del debito dei paesi dellUnione, con interventi analoghi a quelli condotti con

successo dalle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone paesi che hanno una situazione debitoria comparabile a quelle di Italia o Spagna, e che tuttavia pagano tassi di interesse molto bassi sul proprio debito pubblico. La riduzione dei tassi di interesse consentirebbe allItalia e allEuropa gli interventi necessari a rilanciare leconomia e a correggere gli squilibri nei conti con lestero, coordinando politiche economiche tese prioritariamente alla piena occupazione. Per questo i firmatari sono contrari alla iscrizione nelle Costituzioni nazionali della clausola del pareggio del bilancio pubblico, e sottolineano la necessit di politiche espansive e di un aumento dei redditi da lavoro in tutta lEurozona. Essi auspicano quindi che il nuovo esecutivo agisca subito, con gli obiettivi indicati, nelle sedi europee, ricercando le necessarie alleanze politiche e facendo leva sugli ineluttabili rischi che altrimenti investono la sopravvivenza dellUnione Monetaria e del mercato unico. Poich le politiche di riduzione dei debiti pubblici sono oggi controproducenti, si sostiene nel documento, la richiesta nei riguardi della BCE dovrebbe essere accompagnata da un impegno non allabbattimento, ma alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil. Questo, insieme alle entrate provenienti dalla lotta allevasione, da un'imposta patrimoniale e dalla razionalizzazione della spesa pubblica, consentirebbe allItalia di destinare risorse pubbliche alla crescita delloccupazione, agendo sia sulla domanda aggregata che sulla qualit di istituzioni e infrastrutture. Se invece il nuovo esecutivo, pur nellalto profilo tecnico, si far mero esecutore delle richieste gi espresse dalla Unione Europea, esso si assumer la responsabilit dellaggravamento della crisi e dellinutile sacrificio di occupazione, capacit produttiva, stato sociale e diritti dei lavoratori. * Professore ordinario di Economia, Universit di Roma Tre (LUnit, 23 novembre 2011)

La sinistra fuori partita


Fonte: Marco d'Eramo - il manifesto Marted 22 Novembre 2011 10:15 -

CRISI GLOBALE. Il telefono gi stato inventato da tempo, ma - a quanto dato sapere dai media - i dirigenti della nostra sinistra non se ne sono ancora accorti, a quattro anni ormai dall'inizio della crisi dei mutui subprime (agosto 2007), a pi di tre anni dal fallimento della

banca Lehman Brothers (settembre 2008), a pi di 19 mesi dall'esplosione della crisi del debito europeo (maggio 2010 in Grecia). In tutto questo tempo infatti, nonostante gli attacchi speculativi abbiano messo in ginocchio in successione Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia (e ora stiano attaccando Francia e Belgio), mai i dirigenti della nostra sinistra hanno trovato il tempo o l'occasione di fare un colpo di telefono ai loro omologhi greci, portoghesi, spagnoli, francesi. N, se per questo, i dirigenti della sinistra greca o spagnola hanno mai sentito il bisogno di comporre il prefisso 0039. Se per i banchieri, i fondi d'investimento e le cancellerie, la crisi dei debiti sovrani una crisi sistemica del governo dell'Europa, le sinistre invece sembrano non rendersi conto che da sole non potranno opporsi alle (n influire sulle) misure decise dai banchieri. I nostri vari Bersani & Co. sembrano credere che basti tradurre governo in governance per depurare il problema di tutta la sua dimensione politica e ridurlo a questione tecnica da delegare a un governo di tecnici. Nella vulgata corrente infatti ci sarebbero due versanti indipendenti del problema; un aspetto economico sovranazionale, che riguarda i mercati, e uno politico che riguarda gli schieramenti nazionali. Ma quello che sta avvenendo proprio il venir meno della distinzione tra i due aspetti. Come descrivere quel che succede da due anni a questa parte se non come la sconfitta della politica su scala nazionale da parte dei poteri forti sovranazionali? Viene il sospetto che le varie sinistre europee non si rendano conto della vastit e della profondit della rivoluzione in corso. Perch di una vera e propria controrivoluzione si tratta. Un cambiamento che accoppia una tendenza di lunga durata in atto ormai da circa 40 anni con la crisi degli ultimi quattro anni che sfrutta per mettere in piedi addirittura un nuovo rapporto tra capitale e politica. La tendenza di lunga durata quella della delocalizzazione industriale che ha operato una gigantesca compressione dei salari nell'area Ocse, ha precarizzato il lavoro, ha debilitato i sindacati e ha minato i diritti dei lavoratori. Questa tendenza di lunga durata viene accentuata e accelerata adesso, approfittando della crisi.

Questo l'obiettivo dichiarato dei vari piani di austerit: spazzare via un secolo e passa di conquiste dei lavoratori (non solo operai). E tra le conquiste dei lavoratori c'era anche la loro partecipazione al processo di decisione politica attraverso il meccanismo delle democrazie parlamentari. Ma gli ultimi eventi mostrano che - questioni formali a parte - la democrazia stata sospesa. Almeno nel suo spirito, la Costituzione stata abrogata in Grecia e Italia: in questi due paesi una sola cosa certa, e cio che il popolo non affatto sovrano. Le sinistre europee hanno assistito senza fiatare allo smantellamento del diritto. Intanto non era scritto in nessun trattato che un'unione di 17 stati fosse governata da due soli paesi a cui nessuno ha rilasciato una delega: il duopolio franco-tedesco (che si avvia a essere un monopolio germanico) totalmente illegale. In secondo luogo, le lettere della Banca centrale europea ai paesi Piigs somigliano come gocce d'acqua alle lettere che l'Fmi mandava agli stati d'Africa e America latina, con la differenza che allora erano affrancate per il Terzo mondo, mentre ora sono inviate a economie avanzate del primo mondo. Guardando come si comportano gli Hollande, i Bersani, gli Zapatero e colleghi, lampante che costoro sono ciechi di fronte alla pi massiccia ristrutturazione capitalista dell'ultimo secolo,
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La sinistra fuori partita


Fonte: Marco d'Eramo - il manifesto Marted 22 Novembre 2011 10:15 -

una ristrutturazione che ha come modello la Cina postdenghista che coniuga liberismo capitalista con partito unico, censura, repressione: tutta la libert di Stalin e tutta l'eguaglianza di Bush. Il capitalismo mondiale si accorto che il sistema pu funzionare e guadagnare senza un servizio sanitario, senza pensioni, senza scuola per tutti, senza diritti civili, senza democrazia, tutti elementi che rappresentano intralci e costi impropri, da tagliare. Questo per dire che il rospo che ci fanno ingoiare non il semplice governo Monti, ma un processo mondiale di lunga durata che cambia il modello di capitalismo. Mai avremmo pensato che il post-fordismo consisterebbe nel post-maoismo.

BRUSSELS BEAT NOVEMBER 18, 2011

Italy's Debt Woes,30 Years in Making


By MATTHEW DALTON
European authorities are treating Italy's debt problems as the product of a dysfunctional political culture. The chorus from Brussels and Frankfurt is that dispassionate technocrats, armed with help and advice from the euro zone, are needed to introduce essential reforms into a hidebound economic system. Enlarge Image

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Agence France-Presse/Getty Images

Italian Premier Mario Monti took his seat before a confidence vote Thursday. But a closer look at the numbers reveals Italy's heavy debt burden isn't a result of recent government profligacycertainly not compared with others around the world. Instead, it is in large part a consequence of Italy's response to policies introduced more than 30 years ago to lay the groundwork for the euro. In 1979, European nations created the European Monetary System, the precursor of the euro zone. The EMS called on countries to keep their currencies trading within a fixed range of each other, with an eye toward limiting exchange-rate volatility and perhaps one day adopting a single currency. That meant Italy, with one of the developed world's highest inflation rates, needed very high interest rates to keep the lira from falling against the German mark. In 1981, the Bank of Italy raised its discount rate to a peak of 19% and kept it above 10% until 1993. This had a dramatic impact on Italy's public finances. Yields on 10-year government bonds peaked at over 20% in 1982 and averaged 14% between 1980 and 1993, way above inflation. (This does show Italy has paid current interest rates of about 7% before and lived to fight another day; the fear haunting investors today is that rates are unlikely to plateau at this level, but could rise frighteningly.) Public debt exploded over that period, rising from under 60% of gross domestic product in 1980 to around 120% of GDP in 1994very close to today's level. Interest payments rose from less than 4% of GDP to around 12% of GDP over the same time period.

Economists point to another reform adopted in 1981 that would anticipate the euro zone's monetary policy: The Bank of Italy was "divorced" from the Italian Treasury, and was no longer forced to buy bonds left over from Italy's debt auctions. "The independence of the Bank of Italy, which started with the divorce, was the origin of the large public-debt burden," said Fabio Padovano, an economist at the University of Rome. When Italian inflation levels surpassed 20%, as they did in the late 1970s and early 1980s, it was understandable that the Bank of Italy would want to keep interest rates sky-high to defend the lira from devaluation. But even after inflation had fallen to under 6.5% in 1986 and stayed there, the bank kept its discount rate high. The rate stood at 15% in 1992, despite average inflation of just 5%. With Italian real interest ratesthe difference between interest rates and inflationremaining sharply positive, the real burden of the debt on the economy climbed sharply. But in the 1980s, with the memory of sky-high inflation still fresh, the desire to limit devaluation of the lira within the EMS weighed heavily on Italian policy makerseven though the Bank of Italy had to accept multiple instances of lira devaluation since the start of the EMS. "People were scared, in a sense," Mr. Padovano said. "Italy had a history of negative real interest rates." With the Bank of Italy no longer forced to buy debt from Treasury auctions, "interest rates had to be kept at a pretty high level to encourage people to purchase bonds," he added. "Like the European Central Bank, the Bank of Italy had to establish a reputation for being an independent institution." This doesn't mean Italy's debt problems are totally unrelated to lax budgets and reckless Italian politicians. Back in 1975, Italy's budget deficit did spike to around 12%. Its primary deficitthe shortfall if you exclude interest paymentswas over 7%. But since then, Italy's control over its finances has steadily improved. Those numbers, however, hold the beginnings of a troubling trend: Interest payments began to account for an increasing share of Italy's deficit. By 1985, Italy's budget deficit was around 12% of GDP, but its primary deficit was less than 5% of GDP. Italy's primary deficit would continue to fall, until the government began running surpluses around 1992. These primary surpluses remained until the crisis hit in 2009. The harm caused by high Italian interest rates extends beyond the impact to Italy's debt. High rates also hurt Italian growth. Italy recorded one of the world's highest growth rates in the post-war era, averaging over 5.5% from 1950 through 1973. But growth averaged just 2.1% from 1980 to 1993. Since 1995 and the country's last devaluation, Italian growth has been by far the slowest of the major European countries. With no economic growth, a high debt burden becomes harder to shake off. Italian central bankers didn't face an easy choice in the mid-1980s after beating down inflation: Cutting interest rates would have risked reigniting it. But the country is now coping with the burden of economic policies that set the stage for the euro, policies that, in retrospect, may have kept interest rates too high for too long. Write to Matthew Dalton at Matthew.Dalton@dowjones.com

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