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VOLTAIRE E LA FISICA NEWTONIANA

http://www.volta.alessandria.it/episteme/ep3-11.htm

VOLTAIRE E LA FISICA NEWTONIANA


(Luca Umena)

"E il sistema solare allora?", protestai io. "Cosa diavolo volete che me ne importi!", m'interruppe stizzito. "Voi dite che ruotiamo attorno al sole. Ma se ruotassimo attorno alla luna, questo non cambierebbe una virgola, n per me, n per il mio lavoro". Dialogo tra Watson e Sherlock Holmes tratto da Uno studio in rosso di A. C. Doyle

Da alcuni secoli, come ha evidenziato con lucidit il filosofo Hans Jonas, noi occidentali viviamo in una condizione di rivoluzione permanente. Iniziata cinque secoli fa come rivoluzione teoretica e della prospettiva metafisica, essa si diffusa in seguito alla sfera pratica, determinando un mutamento radicale nel modo di pensare e nella vita dell'uomo.

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Eppure, bench l'importanza della scienza sia oggi ampiamente riconosciuta, scienza e cultura generale rimangono in Italia due poli difficilmente avvicinabili. Prevale, infatti, la tendenza, di matrice crociana, a sottolineare la distanza e la gerarchia qualitativa tra le scienze dello spirito e quelle - meno nobili - della natura. In effetti non si pu negare che tra i due ambiti esistano profonde differenze strutturali, generate per la verit dalla scienza stessa, che distruggendo il cosmo aristotelico ha sostituito al mondo delle qualit e delle percezioni sensibili quello delle quantit e della geometria reificata. La progressiva specializzazione dei linguaggi scientifici, inoltre, ha reso nel tempo sempre meno attuabile l'idea rinascimentale di homo universalis e prodotto, per contro, discontinuit e fratture anche fra una disciplina scientifica e l'altra. Cos dopo un breve connubio iniziale, scienza e cultura umanistica hanno gradualmente separato i loro ambiti, fino a che nel nostro secolo si arrivati a parlare addirittura di due culture contrapposte. 1 E bench questa situazione sembri volgere al cambiamento, siamo ancora lontani dal realizzare il progetto illuminista, in cui scienza, societ e democrazia formavano tra loro un legame solido e necessario.2 Nel secolo dei lumi ,infatti, si riteneva che la scienza fosse la base ideale su cui fondare una societ libera , uguale e fraterna. Il rapporto tra scienza e democrazia sembrava intrinseco e costitutivo. Non solo: il nuovo metodo scientifico, intriso di scetticismo, sperimentalismo, rifiuto dell'autorit e irriverenza sembrava rappresentare una sintesi perfetta del nascente spirito illuminista. Non desta stupore, quindi, che in questo periodo venne a delinearsi un quadro intermedio di divulgatori, impegnati a stabilire un legame tra i protagonisti della rivoluzione scientifica e la timida cultura della borghesia in ascesa. Letterati e studiosi come Fontenelle, Voltaire, Maupertuis (per limitarci solo alla Francia) divulgarono in modo cos elegante e coinvolgente le teorie di Newton e Cartesio da trasformare in breve tempo la scienza da argomento serio e complicato ad occasione per galanti conversazioni da salotto. Gli Entretiens sur la pluralit des mondes di Fontanelle, ad esempio, costituirono per molto tempo lo strumento principale di discussione e di diffusione della fisica cartesiana nella societ francese. 3 Ma soprattutto con l'opera di Voltaire che il dibattito scientifico si allarg in modo definitivo oltre i confini dell'Accademia. E questo grazie alla capacit del celebre poeta di trasformare la disputa teorica tra la fisica newtoniana e quella cartesiana, in un vivace confronto fra due personaggi che incarnavano sistemi politici e filosofici diversi. Nelle Lettres philosophiques , ispirate da un soggiorno in Inghilterra dal 1727 al 1729, Voltaire tracci - tra l'altro - un vivace scorcio della rivoluzione scientifica del '600, un giudizio iconoclasta sulla fisica di Cartesio e un esplicito riconoscimento a Newton e alla sua opera. In poche pagine Voltaire aveva condensato la sua concezione positivista della conoscenza e rivelato quella che poi - esasperandosi - I. Lakatos ha definito "una posizione di intollerante illuminismo dogmatico". Per capire cosa intenda Lakatos con questo giudizio, basta analizzare il parallelo che Voltaire traccia tra Cartesio e Newton e confrontarlo con quello realizzato da Fontenelle qualche anno prima nel suo Eloge de Newton. Il segretario dell'Accademia francese aveva riconosciuto con equilibrio i meriti di entrambi i
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filosofi pur evidenziandone la diversa impostazione metodologica : "[Cartesio] - aveva scritto Fontenelle - parte da ci che comprende in modo chiaro per scoprire la causa di ci che vede; [Newton invece] da ci che vede per scoprirne la causa". Nella sua analisi Voltaire meno imparziale e si schiera apertamente a favore della sintesi newtoniana: "[La filosofia di Cartesio] - scrive - non [fu] altro che un ingegnoso romanzo tutt'al pi verosimile per gli ignoranti []: In verit non credo che si osi paragonare minimamente la sua filosofia a quella di Newton: la prima un tentativo, la seconda un capolavoro". E prosegue nella lettera successiva : "Il sistema di Descartes [basato sui piccoli e grandi vortici di materia sottile] era semplice e intellegibile a tutti []. [Ma] peraltro dimostrato falso che possa essere la causa della gravit. E' impossibile accordare [i grandi vortici] con le regole di Keplero la cui verit dimostrata." Tali giudizi formulati da Voltaire mostrano con chiarezza quale sia la sua visione del metodo e del progresso scientifico: Newton rappresenta l'ideale dello scienziato moderno, Cartesio l'arretrato tentativo di subordinare la scienza alla metafisica, l'evidenza empirica ad un'immaginazione fantastica, piena di ipotesi n dimostrate n dimostrabili. 4 Voltaire, cio, aveva intuito che la superiorit dei moderni rispetto agli antichi passava attraverso i successi del metodo sperimentale e della misurazione matematica e che pertanto era necessario educare il pubblico francese a questa nuova cultura. Lui stesso n dette subito l'esempio: lesse con impegno trattati di fisica, consult scienziati, trascorse molto tempo con esperti a discutere della teoria newtoniana. E solo dopo questo faticoso periodo di lavoro rieducativo, si decise a scrivere il suo Elmens de la Philosophie de Newton . L'opera, uscita nel 1738 ebbe subito un successo straordinario: Voltaire era riuscito a rendere intuitivi e concreti gli argomenti della fisica newtoniana, riuscendo a spiegare in modo chiaro ed intellegibile le nuove scoperte scientifiche. E tutto questo senza eccedere mai in semplificazioni eccessive o in effetti letterari superflui. Come sottoline lui stesso nella prefazione dedicata a Madame du Chatelet: "[L'opera] non tratta di una marchesa, n di una filosofia immaginaria" (e qui chiara l'allusione polemica al sistema filosofico cartesiano). "Quello che io presento al pubblico [] lo studio solido[] di molte nuove verit. [] Non conviene pretendere di trovare in questo libro delle galanterie [] Io per me mi contento di poter bene comprendere certe verit e di esporle con ordine e chiarezza [] Il nome di filosofia nuova sarebbe il titolo di un romanzo nuovo se non annunziasse altro che le congetture di un moderno opposte alle fantasie degli antichi. Una filosofia appoggiata ad ardite dichiarazioni e capricciose non meriterebbe di essere esaminata, giacch - prosegue Voltaire - un filosofo che si appoggia solo ad ipotesi[senza il lume dell'esperienza] altro non formuler che chimere. E se molti sono i modi di cadere in errore, non c' che una via che conduce alla verit". In queste prime righe della prefazione sono condensati alcuni tratti caratteristici dell'opera, dell'autore e della sua visione del metodo scientifico. Si pu notare, infatti, sia la sua vena ironica da consumato polemista, sia la chiave positivista in cui verranno formulate le dottrine
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newtoniane all'interno del libro, dove si sottolinea a pi riprese che nell'opera non viene avanzata nessuna ipotesi, poich per ripetere le sue parole "altro rendere verisimile un'opinione, altro provarla". Un'ulteriore osservazione deducibile dall'analisi della prefazione notare come ricorra sempre il termine vero in riferimento ai risultati dell'indagine scientifica. Pu sembrare strano, ma questa visione della scienza come fabbrica di verit ha un'origine teologica. Nel '600 la conoscenza religiosa si proponeva di essere certa e indubitabile. Lutero addirittura aveva affermato che "un cristiano deve essere certo di ci che dice altrimenti non un cristiano". Il pi piccolo dubbio, infatti, conduceva alla dannazione eterna. E considerando che la conoscenza scientifica era ritenuta parte integrante di quella teologica, non desta stupore che si chiedesse anche ad essa di raggiungere standard di certezza e di indubitabilit. Pertanto se una proposizione non era completamente confermata dalla ragione o dai fatti bisognava fermamente rifiutarla. Questo atteggiamento epistemologico che K. Popper ha definito "giustificazionismo" era estremamente diffuso tra gli scienziati dell'epoca ed anche tra alcuni divulgatori, non ultimo Voltaire. Qualche critico, per, ha visto nel suo esaltare le verit newtoniane e nel suo fidarsi ciecamente dei risultati della teoria, un atteggiamento quasi dogmatico, filosoficamente in antitesi con quello illuminista. Tuttavia, bench questa critica abbia un certo fondamento, non poi cos strano il fatto che Voltaire giurasse spesso nel nome di Newton e mostrasse una fiducia incrollabile nelle sue verit. Come ha osservato P. Feyerabend, infatti: "La certezza e la fiducia nelle scoperte della scienza cresce proporzionalmente alla distanza dal nucleo centrale che le ha effettuate. I nuclei preparano gli esperimenti, analizzano i risultati e tirano le conclusioni. Non tutti gli appartenenti al nucleo sono altrettanto sicuri delle conclusioni tratte. Studiosi della stessa disciplina invece hanno convinzioni un po' pi unanimi e un po' pi dogmatiche. Esperti di altre materie danno i risultati gi per acquisiti."5 Quindi del tutto comprensibile che Voltaire, che era un grande scrittore, ma non certo un fisico, considerasse le "verit" newtoniane come certezze assolute e giurasse sul loro nome. Senza contare, inoltre, che esse avevano per lui un valore strumentale e simbolico: costituivano il passaporto per la modernit, il mezzo attraverso cui realizzare una societ nuova, pi libera e democratica. Oggi, tutti noi sappiamo come andata a finire a tre secoli di distanza. La scienza moderna, in effetti, ha prodotto quel rinnovamento della societ che Voltaire e gli altri philosophes si aspettavano. Tuttavia ormai evidente che essa non pu pi pretendere di guidare o di ispirare la democrazia. L'immagine illuminista della scienza come fonte infallibile di verit per sempre tramontata: nessuno statuto epistemologico difende, ormai, l'attivit scientifica dalle contingenze e dalle contraddizioni di qualsiasi altra attivit sociale: sono l'elemento economico, l'influenza dei media, la situazione politica che determinano i tempi e la direzione del suo percorso evolutivo. L'"Appello per la libert della ricerca", promosso qualche mese fa da R. Dulbecco e da oltre mille scienziati italiani, ne una conferma esplicita: la scienza non gode pi di quella extraterritorialit politica e sociale che la caratterizzava in precedenza. Le scelte di natura

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scientifica e tecnologica non si basano pi solo sulle indicazioni di un'autonoma comunit di scienziati, ma anche su ragioni contingenti di origine sociale e politica. E se questo pu apparire a prima vista un limite, un ostacolo allo sviluppo e al progresso scientifico, in realt, ad uno sguardo pi profondo, si pu osservare che non lo . Perch solo coinvolgendo pi attivamente la collettivit, solo accettando di operare in stretta connessione con il proprio contesto sociale, che la scienza continuer ad avere il sostegno del pubblico e la possibilit di mantenersi viva. Altrimenti finir per realizzare l'inquietante prospettiva descritta dal Galileo di Brecht, in cui "ad ogni eureka [della comunit scientifica] risponder un grido di dolore dell'intera umanit". Note
1 C.P. Snow : Le due culture, Milano, Feltrinelli 1959.
2 Alla voce "Geometra" dell' Encyclopedie scritta da d'Alembert si poteva leggere: "Non si ancora prestata abbastanza attenzione all'utilit che questo studio (la geometria) pu avere nel preparare le strade allo spirito filosofico e nel predisporre un'intera nazione a ricevere la luce che tale spirito pu diffondere. Si tratta forse del solo mezzo per scuotere alcune contrade dell'Europa dal giogo dell'oppressione e dell'ignoranza sotto il quale gemono." 3 L'opera, uscita nel 1686, ebbe un successo di pubblico cos grande che dal 1686 al 1754 ne furono stampate ben 33 edizioni. 4 E' interessante confrontare questa visione volterriana della scienza come processo di inferenze induttive a partire da osservazioni inconfutabili, con quella di alcuni epistemologi contemporanei. G. Holton, ad esempio, riconosce ad ogni scienziato nello svolgimento della propria attivit di ricerca l'uso di ben tre tipi diversi di immaginazione, ovvero l'immaginazione visiva, l'immaginazione tematica e l'immaginazione metaforica (G. Holton: L'intelligenza scientifica, Roma, Armando Armando ed. 1984). 5 P.K. Feyerabend: Immagini e metafore della scienza, a cura di L. Petra, Bari, Editrice Laterza 1994.

----Luca Umena nato ad Orvieto nel 1963. Docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico E. Majorana di Orvieto, attualmente ricopre anche l'incarico di Tutor per i corsi di Fisica I e Fisica II presso la Facolt di Ingegneria dell'Universit di Perugia. L'articolo che qui presenta, trae origine da un suo intervento al Convegno internazionale "Cartesio e la scienza", tenutosi a Perugia nel settembre del 1996. E-mail: lucaume@tin.it

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