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Mario Tronti: Perch ancora l'operaismo

Domenica 31 Gennaio 2010 20:40 - Ultimo aggiornamento Marted 18 Maggio 2010 12:29

Perch ancora l'operaismo


Mario Tronti

Alcune parole per rispondere alla domanda: perch ancora loperaismo, malgrado ormai la palese assenza delle condizioni che lhanno originato e prodotto? Tali condizioni si possono sommariamente riassumere nel neo-capitalismo grande-industriale, oggi deceduto, con cui per la prima volta ci si confrontava in Italia, nella fase fordista, anchessa archiviata; in un ciclo di lotte operaie che hanno investito il paese nei primi anni Sessanta, con al centro la figura delloperaio-massa, memoria rimossa e dimenticata. Credo che oggi il passaggio ormai avvenuto dalla centralit alla marginalit non riguarda solo gli operai. Questo passaggio riguarda anche il capitale. Nel senso proprio del Das Kapital marxiano, come lo intendeva Marx ma anche come lo intendevamo noi: il capitale cosiddetto sociale, o il piano del capitale, come si diceva nei Quaderni rossi. Come gli operai, cos anche questa forma di capitale diventata da centrale a marginale.

La lotta era lotta di classe tra due centralit: ognuna aveva il proprio campo e il proprio blocco sociale, ognuna era centrale nella propria parte. Erano appunto campi socialmente omogenei, proprio perch avevano questa forza centrale che li unificava e concentrava.

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fatto noto, anche se non conosciuto, questo qui: che non c classe senza lotta di classe, poich la classe non una pura aggregazione sociologica; le classi sono potenzialmente potenze politiche. Questo lo aveva gi individuato Marx. Le classi hanno bisogno luna dellaltra, non stanno mai in s. Diventano classi, diceva Marx, quando diventano per s, quando diventano classe per la classe che sta contro di s. E quindi si devono elevare, sosteneva Marx, a coscienza di classe. Lenin diceva che si devono fare organizzazione. E in questa lotta tra le classi, scatta lhegeliana dialettica del riconoscimento, e il conseguente rapporto reciproco, nel senso che una classe, trovandosi di fronte al proprio avversario di classe, riconosce anche se stessa, acquista coscienza di s.

Questa non era la dialettica en gneral, che noi chiamavamo cos perch critici di essa; ma la specifica dialettica hegeliana del servo-signore, in cui ognuno ha bisogno dellaltro, e non si sa chi il servo e chi il signore perch man mano a seconda dei rapporti di forza luno diventa servo e laltro signore. Quando si dice che la lotta di classe finita, diciamo pi specificamente che finita la lotta di classe in senso marxiano, che era il senso operaista vero e proprio. Se rinascer altrove, per esempio fuori dallOccidente e nei grandi processi di industrializzazione del mondo, questo non lo sappiamo. Anche perch non sappiamo se materialmente si ricostituiranno le condizioni dellindustrializzazione e di una crescita, oltre che quantitativa, anche qualitativa, del lavoro operaio. Il che presuppone forme di organizzazione e livelli di coscienza. Non siamo dunque sicuri che si ricostituisca quella dialettica alternativa di riconoscimento reciproco tra le classi che, per come labbiamo conosciuta, portava al rapporto tra operai e capitale.

Nelle nuove condizioni, che cosa resta delloperaismo? una domanda, questa, che dobbiamo farci, per comprendere il ritorno di interesse, che coinvolge, a livello di minoranze intellettuali di giovani generazioni, ormai anche reperti archeologici come Operai e capitale. Resta anzitutto il punto di vista. Un punto di vista parziale, unilaterale, anti-universale. Lidea-forza dentro loperaismo che soltanto dal punto di vista di parte si pu conoscere il tutto. Perch la conoscenza che il tutto si propone di se stesso sempre falsa e ideologica. Essa porta sempre a una falsa apparenza. Lunica conoscenza vera e realistica quella che una parte pu fare della totalit. Perch questa non una semplice conoscenza: anche una contrapposizione. Soltanto dal punto di vista di parte ci si pu contrapporre al tutto, organizzare contro il tutto una postazione alternativa. Se ci si vuole contrapporre al tutto rivendicando la totalit, da qui non scaturir mai una forza alternativa. Contrapporre un interesse universale a un altro universale non porta nessuna conseguenza di rottura della realt, per un processo di negazione/superamento. Ci che resta dunque questa istanza critica e decostruttiva della realt: decostruttiva, non distruttiva di tutto ci che . Qui bisogna dire che lemergenza operaista viveva, nel clima generale degli anni Sessanta, una fase fortemente contestativa dellordine delle cose. Anche se poi, in un certo qual modo, le istanze operaiste hanno piegato questa generica istanza contestativa in qualcosa di pi preciso, profondo e radicale, con degli attori specifici, con dei soggetti storicamente determinati.

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Delloperaismo resta, in secondo luogo, il nesso tra teoria e pratica. Una volta forse si sarebbe detto il nesso tra pensiero e azione. Operai e capitale ha come obiettivo di indicare le linee di scardinamento della realt. Anche questo un nesso profondamente marxiano. Il pensiero non serve per produrre altro pensiero, ma per produrre azione. E azione conflittuale. Loperaismo una politica del conflitto e della differenza. Forse una delle ragioni della riemergenza di interesse per loperaismo proprio il bisogno di conflitti che continua a esistere dentro la forma di societ occidentale e dentro i suoi sistemi politici, fondamentalmente divisi, gli uni e dagli altri, ma come dentro a una gabbia, da cui, secondo il detto comune, non si pu e non si deve uscire. I livelli di potere che si scambiano nella formalizzazione delle alternative politiche sono infatti abilitati, costituiti, al fine di coprire e mascherare il conflitto, almeno quello vero, suscitando magari conflitti falsi. Sono per soprattutto politiche di mediazione. Loperaismo, al contrario, una politica del conflitto: questo spiega perch rimane una sorta di limbo nelle esperienze di movimento. C una mitologia delloperaismo in tutte le esperienze di movimento contestativo, in quelle esperienze in cui viene individuata in modo forte lesigenza di riproporre la pratica del conflitto. Il terzo motivo di permanenza delloperaismo il suo anti-riformismo. Nel senso comune, politico-intellettuale, oggi invadente e totalizzante, in cui tutti sono riformisti, in questa generale norma, o normalit, riformista, loperaismo, cio la politica del conflitto operaista, risulta una sorta di eccezione, di eccedenza, qualche cosa di non integrabile n assimilabile. Loperaismo fa parte, a pieno titolo, della tradizione rivoluzionaria del movimento operaio, con caratteristiche specifiche, anche qui in condizioni determinate, espressione della volont politica, non estremistica, non minoritaria, se volete, con qualche punta di ingenuit e qualche eccesso, non di astrattezza, come si dice, piuttosto di illusione sulle possibilit effettive, volont politica comunque di riproporre il grande tema della rivoluzione in Occidente.

Loperaismo dobbiamo concepirlo e declinarlo come evento del Novecento. Il contesto vero quello. Quella lepoca. Pi che gli anni Sessanta, che sono piuttosto la causa occasionale che fa sorgere questa esperienza e forma di pensiero, la causa strategica che produce loperaismo il grande Novecento. Loperaismo deve essere letto in questo senso, e non a caso stato meno effimero del sessantottismo. In questo loperaismo simile al femminismo, perch ha indicato una sorta di forma mentis radicale rivoluzionaria. Questo viene verificato compiutamente dalle produzioni culturali che queste insorgenze hanno prodotto. Il Sessantotto ha prodotto una lites che facilmente stata integrata in un processo di generale modernizzazione di sistema, si sostanzialmente rovesciato in un ricambio di classi dirigenti dentro un identico segno del potere. Sia loperaismo che il femminismo, come rivoluzioni culturali, invece, hanno prodotto lites che non hanno subto questa assimilazione. Quindi, da tenere fermo questo punto: loperaismo come cultura del Novecento, pratica del Novecento, politica del Novecento.

Mi capita di ripetere spesso che nel Novecento ci sono state due rivoluzioni: una la rivoluzione operaia, laltra la rivoluzione conservatrice. Due forme di rivoluzione su campi opposti che hanno prodotto una vera e propria epoca rivoluzionaria, dentro let delle guerre civili europee, indipendentemente dal fatto che luna e laltra di queste rivoluzioni abbiano poi prodotto

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linverso e lopposto di s. Ma la rivoluzione conservatrice non responsabile delle forme del totalitarismo politico, la rivoluzione operaia non lo delle forme di realizzazione del socialismo. Anzi, perseguire la logica dei due processi rivoluzionari sarebbe stato forse lunico modo per evitare gli esiti contraddittori. In realt, questa eterogenesi dei fini non una eccezione, quanto piuttosto una ricorrenza della storia, quasi una regolarit della politica. Quando i grandi progetti si rovesciano nel proprio opposto, ci non annulla mai la causa del progetto. Ed sempre un errore giudicare il progetto dallesito in cui poi si realizzato. Bisogna salvare lidea del progetto in s. Loperaismo si posto sulla linea di confine tra il progetto rivoluzionario e il fallimento della sua realizzazione. Proprio nel momento in cui loperaismo emergeva, si verificava il fallimento della rivoluzione operaia che tendeva alla costruzione di unaltra forma di societ. L per l noi non mettemmo a fuoco questo tema, in parte lo abbiamo fatto, o meglio, alcuni di noi lo hanno fatto, dolorosamente in seguito.

Quellepoca rivoluzionaria stata seguita da una vera e propria restaurazione. Cio let rivoluzionaria, come tutte le et rivoluzionarie, stata seguita da una et della restaurazione. Quando si sono concluse le guerre civili europee e mondiali, e si conclusa quella et con la vittoria di un campo sullaltro, ne seguita unepoca di vera e propria restaurazione democratica. Una forma di restaurazione di tipo nuovo, che non ha assunto il carattere tradizionale, ma che si marcata di una forte innovazione. Direi che quello che ci ha riservato luscita dal Novecento stata una modernizzazione senza rivoluzione, uninnovazione tecnico-economico-finanziaria senza pensiero della trasformazione, anche dalla parte e nel campo delle classi dominanti. Di qui, le difficolt maggiori per le forze antagonistiche. Let della restaurazione democratica ha chiuso tutti i varchi conflittuali che potevano minacciare la stabilit-mondo dellordine a livello di capitalismo avanzato, anche facendo riemergere un complesso militare-ideologico di contraddizioni secondarie. Lo scontro di civilt, loperaismo lo voleva tra operai e capitale. venuto dopo, tra parti interne della mondializzazione capitalistica. E nemmeno questo esploso, appunto perch la mediazione politica democratica ha preso il controllo sia della pace interna che della guerra esterna.

dentro questo contesto, in questo tipo di contingenza storica, che si sviluppato un certo controverso cammino politico-intellettuale. A un certo punto mi sono accorto, nel corso stesso dellesperienza di Classe operaia, nel percorso ripido degli operai in lotta, che non eravamo noi a non farcela: era la classe operaia che non ce la faceva. Non ce la faceva ad abbattere lavversario di classe. Non ce la faceva senza dotarsi di una armatura politica. E questa non poteva che essere la forma dellorganizzazione politica, anche se cercavamo una forma dellorganizzazione politica nuova. Ma c un paradosso, che forse non ha una spiegazione razionale: mentre Operai e capitale chiudeva il mio operaismo, in realt apriva una stagione operaista.

Questo stato il passaggio paradossale.

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La fase dellautonomia del politico stata il tentativo di aggirare la postazione nemica per prenderla alle spalle. Fondamentalmente era questo che io pensavo. Era la continuazione della guerra di classe con altri mezzi. Lidea poi si impicciata con il compromesso storico. In realt io ho pensato che larmatura politica della classe operaia, almeno in Italia, si sarebbe potuta dare nellunica forza politica che esisteva sul terreno, che era il Pci. Io andavo alla ricerca di una forza politica che mi sembrava di trovare l. Ma ce ne siamo accorti, purtroppo, quando questa forza politica era ormai entrata in una fase discendente, che avr momenti di ripresa e ritorni di radicamento, allinterno per di un ciclo che inesorabilmente la porter alla scomparsa.

Lesperienza operaista ha avuto questo rapporto, per quanto mi riguarda, con un tipo di forza politica che probabilmente non rispondeva alle sue domande. Contemporaneamente avvenivano quelle trasformazioni oggettive delle condizioni che avevano costituito la ragione delloperaismo, trasformazioni di fondo che sono state molto pi precoci, oltre che pi profonde, di quanto venga solitamente ricordato. vero quanto si dice degli anni Ottanta, ma gi da prima era in atto quella che era la mutazione dello storico, tradizionale, capitalismo industriale nella sua nuova forma.

Che cos che veniva meno? Venivano meno le forme concentrate del rapporto sociale, la concentrazione sia del capitale che della forza-lavoro. Quindi veniva meno la dualit forte tra gli antagonismi. Si confondevano le opposizioni e si andava verso una ricomposizione tutta al centro della societ. Non a caso c stata questa riproduzione allargata di ceto medio. Il ragionamento che ha fatto Sergio Bologna sul lavoro autonomo di seconda generazione molto importante, ma non andrei a cercare l i nuovi soggetti, non dico antagonisti ma protagonisti. Che cosa questa se non la figura in cui il padrone e loperaio tendono a identificarsi nella stessa persona? Viene meno la scissione tra lavoratore e padrone e quella tra il lavoratore e il suo lavoro. Si interrompe cio ogni condizione di antagonismo.

Diverse sono le varie forme di lavoro immateriale, basato sul sapere. Qui il conflitto potenzialmente pi presente, data la espropriazione di soggettivit che vi si esercita. Ma il riconoscimento delle forme nuove di sfruttamento, da dove parte e dove arriva? Non c bisogno qui, pi ancora che nella vecchia condizione operaia, di una coscienza politica di classe portata dallesterno? Il dato di realt con cui dobbiamo fare i conti che la proletarizzazione crescente si rovesciata in una borghesizzazione crescente. Al posto, centrale, delloperaio-massa, prodotto della grande industria, abbiamo il borghese-massa, prodotto della grande societ. La democrazia politica, plebiscitaria o partecipativa che sia, descrive, legalizza e legittima questo stato delle cose.

Qui c stato un passaggio epocale che occorre avere il coraggio di decifrare e di denunciare.

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pi facile farlo sulla base di quel punto di vista parziale, unilaterale, scoperto dalloperaismo. Il fallimento della rivoluzione socialista ha messo a nudo il fallimento del progetto moderno. Questo ci fa vedere come quel tentativo fosse allinterno della modernit, e come la critica della sua realizzazione implica una critica ancora pi forte del moderno. Credo che a questo punto non possiamo pi dire quello che ci dicevamo quando eravamo operaisti: bisogna essere assolutamente moderni. Anche la critica del moderno diventa, deve diventare, unaltra della grande critica di parte. Critica del moderno inoltre anche critica del socialismo, che si presentato alla fine come modernizzazione subalterna. E su questo in fondo caduto. Questo ci espone su una frontiera pericolosa, cui ho gi fatto riferimento quando collocavo la rivoluzione conservatrice accanto alla rivoluzione operaia. Mai come oggi risultano attuali quei riferimenti di battaglia delle idee individuati dalloperaismo nella cultura della crisi e nel pensiero negativo.

Ora lo dico un po scherzando, riteologizzando i concetti secolarizzati. La differenza tra me e Toni Negri non tanto riconducibile a Spinoza o Hobbes, piuttosto di altro tipo. Toni mantiene il paradigma escatologico, io invece assumo il paradigma katecontico. Penso che noi non possiamo pi dire o credere che ci sia unidea lineare della storia, quindi che comunque sia dobbiamo andare avanti nello sviluppo poich esso comporter contraddizioni nuove. Credo che bisogna trattenere, non lasciar scorrere il fiume della storia. Bisogna rallentare laccelerazione della modernit. Perch questo tempo pi lento permette di ricomporre le nostre forze. Assumere come nostro il frattempo: solo l puoi riscoprire le tue forze, ritrovare le soggettivit alternative e comporle in forme organizzate, storicamente nuove. Laccelerazione produce s moltitudini potenzialmente alternative, ma queste si bruciano immediatamente. Non reggi laccelerazione, se non hai ancora la forza per organizzarle nellimmediato e sulla durata.

Il discorso sulla fine della politica moderna proviene molto dallistanza operaista, ha lo stesso segno e lo stesso senso di ricerca e di scoperta. Ha poi il tratto di un qualche cosa che fuoriesce dal discorso corrente, fa la differenza rispetto al sentire intellettuale comune, e fa capire come quella operaista sia unesperienza che tutti dovrebbero fare, anche le nuove generazioni. Io consiglio di considerarla come un punto di partenza. Lassunzione di uno stile di presenza propria nella societ e nella politica, uno stile che deve essere introiettato profondamente per andare poi oltre. Non bisogna cedere alla tentazione di pensare che possano essere riproposti i contenuti del discorso. Occorre inoltre fare una critica di quanto di mitologico pu esserci nel ricordo delloperaismo, per assumerlo realisticamente come unesperienza che ha fratturato la continuit storica, ha ripensato la tradizione, lha veramente innovata, e ha funzionato come esercizio di liberazione. E funziona ancora, per chi lo sperimenta nelle condizioni nuove, come qualcosa che permette di essere libero per il futuro. A condizione di non dimenticare mai quelle caratteristiche delloperaismo: il punto di vista parziale, il rapporto tra teoria e pratica, listanza fondamentalmente rivoluzionaria. Tenendo fermi questi punti, poi si pu andare ovunque. Sapendo, e dicendo, in gergo politicamente e stilisticamente scorretto: voi, a me, non mi prenderete.

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Mario Tronti Noi operaisti pagg. 132 10 In questo testo il filosofo della politica Mario Tronti raccoglie una serie di suoi scritti brevi sullidentit e la storia delloperaismo italiano, la corrente di pensiero neomarxista originata dalla rivista di teoria politica Quaderni Rossi allinizio del decennio 60. In questi scritti Tronti riassume con straordinario acume le categorie teoriche delloperaismo dimostrando quanto esse, ben lungi dallaver esaurito la loro potenza, risultino ancora assolutamente attuali e quindi utili a interpretare la realt e a informare progetti di trasformazione sociale. Un testo che si vuole prologo propedeutico ai testi pubblicati nella nostra collana Biblioteca delloperaismo, che ha riscontrato un buon successo di vendita presso studiosi dei movimenti politici, operatori dellinformazione e militanti dei movimenti sociali.

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