Vous êtes sur la page 1sur 8

IL MANIFESTO BLOG

Antiviolenza
Prima donne e bambine. A cura di Luisa Betti

Femminicidio: i tribunali aprono al confronto

Una settimana fa si svolto uno degli incontri pi interessanti sul tema della violenza contro le donne-femminicidio fatti su questo tema negli ultimi anni, particolarmente proficuo perch si sono seduti intorno a un tavolo diverse competenze (operatori e operatrici di giustizia, sanit, forze dellordine, giornalismo, avvocatura, e societ civile) che si sono confrontate su una strategia concreta di contrasto alla violenza contro le donne. Una tavola rotonda dal titolo Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario. Per una strategia concreta di lavoro interdisciplinare, durata circa 6 ore (presso la Fondazione Lelio Basso di Roma), che ha avviato un dialogo tra chi lavora in ambiti diversi sulla violenza contro le donne, ognuno con la sua specificit, ma tutte legate da un filo rosso: la prevenzione alla violenza. Gli interventi si sono concentrati infatti sullapplicazione di una strategia di prevenzione e tutela delle donne, pi che sullaspetto punitivo, con grande accordo sul fatto che la prevenzione a giocare un ruolo fondamentale per affrontare il femmincidio. Tra tutto emerso pi volte la necessit della ratifica della Convenzione Europea di Istanbul da parte dellItalia e la necessit di politiche mirate e dirette a un contrasto reale alla violenza sulle donne. In particolare la violenza nelle relazioni intime stata indicata da tutti come forma pi estesa della violenza contro le donne, ed allinterno della famiglia che sono stati ravvisati reati come maltrattamenti, ingiurie, atti persecutori, violenza fisica ed economica ma anche sequestro di persona e tortura, con effetti devastanti nei confronti dei minori quando presenti. Solo alla Procura di Roma sono stati avviati circa 6.000 procedimenti in un anno riguardanti le varie forme di violenza contro le donne. E stato evidenziato come la crisi italiana sia un altro degli ostacoli al contrasto al fenomeno sia per il finanziamento a singhiozzo dei centri antiviolenza, che sono cruciali, sia per politiche dirette e immediate in tutti i settori destinati, o da destinare, con questo scopo. Infine stato detto da pi parti che il problema riguardo la punizione di questi reati, non linasprimento della pena ma la sua giusta esecuzione attraverso le normative gi presenti, in quanto si ravvisa spesso, nei tribunali, la mancanza della sua effettivit o comunque la minimizzazione di certi comportamenti lesivi. Di fronte a una violenza non pu essere accettato che ci sia, nella fase preliminare, la massima garanzia dellimputato mentre non sia prevista la massima assistenza e protezione della vittima, che molte volte soprattutto quando il procedimento si apre con un pregresso di anni di maltrattamenti in famiglia non ha piena consapevolezza del suo status, tanto da riferire erroniamente a se stessa parte della responsabilit di ci che accaduto. La violenza contro le donne non deve essere mai minimizzata, e lapproccio investigativo, di tutela, e di prevenzione deve prevedere una formazione specialistica che abbia un quadro intero ed esaustivo sul fenomeno stesso, ed inaccettabile, per esempio, che ancora oggi procedimenti riguardanti questi reati possano essere discussi davanti al giudice di pace, come spessosuccede. Su questo laccordo stato praticamente unanime in quanto si intercettato il bisogno della formazione specialistica a tutti i livelli: dai giudici, agli avvocati, forze dellordine, psicologi (sia in ambito strettamente sanitario che nelle consulenze alinterno dei tribunali), ma anche di chi opera nellinformazione e chi lavora nei centri antiviolenza. Riporto di seguito il comunicato/documento redatto alla fine dellincontro dalle organizzatrici della tavola, e i contributi dei singoli interventi che sono stati raccolti ed editati. Grazie

Comunicato/documento sulla Tavola rotonda Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario. Per una strategia concreta di lavoro interdisciplinare (a cura di Luisa Betti e Antonella Di Florio) Il tavolo di discussione che si svolto a Roma presso la Fondazione Lelio Basso (30 11 2012) sul tema Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario, voluto e organizzato da Luisa Betti (giornalista esperta diritti donne e minori), Antonella Di Florio (presidente sezione Tribunale di Roma), e Tiziana Coccoluto (giudice Tribunale di Roma), che hanno coinvolto Magistratura Democratica, Giulia (Rete nazionale delle giornaliste) e Giuristi democratici, ha analizzato e avviato un percorso di analisi e confronto tra chi lavora in ambiti diversi sulla violenza contro le donne: un dialogo proficuo tra giustizia, psicologia, informazione e societ civile.

Un tavolo che, con un lavoro di integrazione, vuole sollecitare istituzioni, governo e ministeri preposti, a unazione trasversale per un efficace contrasto sulla violenza contro le donne, che sia per in unottica di prevenzione e di protezione, prima che di punizione. Antonella di Florio (presidente sezione Tribunale civile di Roma), introducendo i lavori, ha ricordato come questo convegno stato pensato nel marzo del 2012 quando le vittime di femminicidio erano, in Italia, 37, mentre oggi sono diventate 117, comprese le vittime collaterali. Ora dice Di Florio nessuno pu pi negare che luccisione delle donne configuri una fattispecie specifica che risponde a presupposti peculiari e nessuno ritiene che si possa pi parlare genericamente di omicidio, in quanto la particolarit dei moventi e delle circostanze in cui il delitto viene commesso, consente di coniare e pronunciare senza timore, il termine di femminicidio, rispetto al quale cera stato finora qualche rifiuto, qualche reticenza. Al tavolo sono emersi vari punti come lesigenza di una corretta attuazione delle norme gi vigenti in ambito giuridico, sia penale che civile, in quanto, come sottolineato da Barbara Spinelli (avvocata penalista, esperta femminicidio), anche lOnu ha individuato nellordinamento italiano, a fronte di un invidiabile, ma pur sempre perfettibile, impianto normativo, il problema dellimplementazione delle norme esistenti, viziata dal pregiudizio di genere. Dopo il quadro internazionale dato da Spinelli, che ha spiegato come femmicidio e il femminicidio siano due neologismi coniati per evidenziare la predominanza statistica della natura di genere della maggior parte degli omicidi e violenze sulle donne, Maria Monteleone (procuratrice aggiunta Procura di Roma) ha dato chiara situazione della gravit della violenza domestica in Italia, auspicando una adeguata investigazione sui fatti che possono evolvere in reati di maggiore gravit, e che spesso sono preceduti da episodi minimizzati anche dagli organi inquirenti. Monteleone, nel suo intervento, ha proposto alcune modifiche mirate alla prevenzione e alla tutela maggiore delle vittime di violenza: Innanzi tutto si deve assicurare una effettiva e concreta assistenza legale alla vittima fin dal momento in cui deve presentare la querela o la denuncia ha spiegato e bisogna introdurre modifiche legislative specifiche per la parte offesa anche nella fase delle indagini preliminari. Occorre ha concluso prendere atto che la vittima di questi fenomeni criminosi riveste una posizione particolare in un sistema processuale, il nostro, che troppo sbilanciato a favore dellautore del delitto, al quale vengono assicurate le pi ampie garanzie possibili. Monteleone ha sottolineato che il fenomeno della violenza che caratterizza le relazioni familiari oggettivamente molto grave, perch sono statisticamente elevati i nuovi procedimenti che ogni anno vengono iscritti (circa 6.000), e che sempre pi frequentemente si deve fare ricorso alla adozione di misure cautelari. E un dato acquisito dice Monteleone che in pochi casi la violenza si ferma ad un singolo fatto, mentre risulta che molto spesso ci si trovi di fronte a un crescendo di gravit, e un intervento tempestivo pu impedire che la situazione evolva in maniera ancora drammatica. Franca Mangano (presidente sezione Tribunale di Roma), ha ben spiegato lattuazione dellillecito endofamiliare, come fonte autonoma di risarcimento del danno, in sede civile, e una maggiore tutela dellindividuo: Grazie alla l. n. 154/200 ha detto Mangano il giudice civile, alla stessa stregua del giudice penale, pu adottare ordini di protezione per allontanare familiari e conviventi che costituiscano un pericolo per lincolumit e per la serenit psichica di altri componenti il nucleo familiare, e se accanto a questo sistema cautelare, il giudice civile provvede al risarcimento del danno derivante dal fatto reato o dallillecito civile, anche vero che la maggiore criticit risiede nella difficolt di quantificare il danno che una violenza sessuale o una condotta violenta in genere, produce sulla salute della donna, sulla sua dignit e sulla sua capacit di autodeterminazione. Eliva Reale (psicologa reponsabile dello sportello antiviolenza dellospedale San Paolo di Napoli) ha sottolineato il bisogno di eziologie corrette con unattivazione autonoma del campo sanitario in tema di anti-violenza che preveda la riformulazione di prassi diagnostiche e dintervento, e ha chiesto il respingimento, da parte di giudici, di Ctu (Consulenze tecniche dufficio) fatte da psicologi qualora, in sede di separazioni e affido di minori, non tengano conto nel caso siano presenti di violenza domestica e di abuso su minori, distinguendo la conflittualit dalla violenza, ed evitando in ogni modo che durante i processi la donna che ha subito questa violenza venga considerata sullo stesso piano delloffender. Davanti a questa tragica realt ha detto Reale essenziale la formazione di psicologi ai temi sanitari della violenza contro le donne in cui sia chiaro che la violenza del partner agisce come grave stressor sulla vita delle donne e dei minori. Luisa Betti (giornalista esperta diritti donne e minori) ha evidenziato la necessit di un cambiamento della cultura a partire dalluso della parola femminicidio che deve essere riempito di contenuti e non usato come un semplice slogan dai media: una rivoluzione che passa attraverso una corretta informazione che smetta di ricalcare stereotipi secondo i quali la donna anche responsabile del suo stupro (provocatrice) e dove il marito geloso uccide la moglie in un raptus perch fuori di s (e quindi meno grave). Chi scrive sui giornali dice Betti e sostiene certi stereotipi, indirettamente giustifica e sostene quelle pericolose attenunati culturali che permettono agli offender di usufruire di allegerimenti di pena, senza che questo scandalizzi o indigni nessuno nellopinione pubblica. Un esempio conclude la sentenza del Tribunale di Belluno dellanno scorso in cui un uomo, che ha stuprato una donna minacciandola con laccetta, ha usufrutito di attenuanti in quanto la donna doveva sapere a cosa andava incontro perch conosceva il debole che luomo nutriva nei suoi confronti, come scritto nella sentenza che lo ha condannato a 2 anni invece di 8 come chiesto dal pm. Un fatto che nessun giornale, tranne il mio blog Antiviolenza sul Manifesto, ha ripreso criticandone i presupposti appunto culturali. Elisabetta Rosi (consigliere in Corte di Cassazione) ha poi non solo ribadito il ruolo sussidiario che la legislazione penale riveste, cos come previsto nellambito delle strategie della Convenzione europea di Istanbul contro la violenza sulle donne, che vedono nella prevenzione e soprattutto nella protezione delle vittime, la chiave di volta del contrasto al fenomeno della violenza, ma ha anche sottolienato limportanza delladeguamento di un linguaggio differente per quanto riguarda le sentenze che molte volte entrano nel merito delle violenze di genere, sviluppando la consapevolezza della necessit di un uso della lingua italiana coerente con il rispetto dei diritti anche delle vittime particolarmente vulnerabili, nella redazione delle sentenze e degli altri provvedimenti giudiziari. Giovanni Diotallevi (consigliere in Corte di Cassazione), ha sottolineato come anche la risposta organizzativa della Corte di Cassazione, per assicurare tempestivit e prevedibile uniformit alle decisioni su questa materia, ha previsto una razionalizzazione nella distribuzione degli affari concernenti questa tipologia di reati, limitando la competenza a due sole sezioni. Diotallevi ha fatto presente che lapplicazione della legge sullo stalking e le modifiche sulla disciplina dei maltrattamenti in famiglia, con la relativa problematica del c.d. mobbing, richiedono approfondimenti progressivi e affinamento di sensibilit giurisprudenziali, e che lopportuniut di un approccio integrato di saperi si rivela indispensabile rispetto anche allindividuazione di mezzi ulteriori e diversi, rispetto a quello esclusivamente repressivo, che rischia di intervenire solo nel momento pi doloroso delle vicende. Luisa Pellizzari (direttrice Servizio Operativo Centrale, Ministero degli Interni), insieme a Chiara Giacomoantonio (vice questore aggiunto SCO), ha esposto i passi avanti, fatti grazie allinnovazione delle strutture dedicate alla trattazione dei reati commessi in pregiudizio di donne e minori, con una una sezione ad hoc specializzata nelle indagini concernenti lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e il turismo sessuale in danno di minori, competenza che, negli anni, stata estesa ai reati commessi in ambito domestico e allo stalking. Il monitoraggio interforze degli omicidi consumati sul territorio nazionale, effettuato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha detto Pellizzari ha evidenziato, che la maggior parte di quelli commessi in pregiudizio di donne maturato in un contesto familiare: in particolare, dal 2010 ad oggi, del totale degli omicidi con vittima di sesso femminile, circa il 70% stato commesso in ambito familiare. A fronte di un trend che per quanto riguarda il femmincidio in Italia va a crescere (125 donne uccise nel 2010, 137 nel 2011), le parti che si sono riunite intorno a questo tavolo hanno, ognuna con una specificit, mirato a una strategia interdisciplinare, e da parte di tutti gli interventi emerso che uno dei nodi fondamentali per un serio contrasto alla violenza contro le donne, la formazione riguardo la violenza di genere verso tutti coloro che hanno a che fare con questi temi: magistrati, avvocati, operatrici dei centri antiviolenza, psicologi, giornalisti che informano lopinione pubblica su questo fenomeno, forze dellordine, personale dei pronto soccorsi, ecc.

A questo proposito Vittoria Tola (responsabile nazionale dellUdi e tra le promotrici della Convenzione No more!), ha riportato nella discussione il caso della ragazzina di Montalto stuprata da un gruppo di amici che hanno avuto la solidariet di un intero paese, sindaco in testa: unadolescente che allepoca aveva 15 anni e che oggi ne ha 22 mentre il processo deve ancora concludersi. Tola ha ribadito come la violenza contro le donne sia un fenomeno culturale, un fenomeno iscritto nella tradizione che viene da lontano, e che appartiene alla mentalit. Una cultura che in questo caso significa linsieme delle idee, valori, strutture fisiche e simboliche che definiscono le norme di un determinato popolo o comunit, definendo anche e soprattutto un potere e chi lo esercita in maniera dominante ed egemonica. La Convenzione No More!, ha tentato di indicare ambiti e priorit su cui intervenire contro la violenza sulle donne chiedendo, tra le altre cose, limmediata verifica del Piano Nazionale varato nel 2011 e la ratifica della Convenzione di Istanbul; ma ha anche lanciato il grido di quella societ civile e di quelle associazioni che negli anni hanno organizzato centri antiviolenza in tutta Italia, un grido al quale il presidente del consiglio Mario Monti, come asserisce Tola, non ha ancora risposto dopo mesi di richieste. Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che sono intervenuti _____________________________

Di seguito i contributi alla Tavola rotonda Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario. Per una strategia concreta di lavoro interdisciplinare (30/11/2012) - (Per chi volesse riprenderne i contenuti, anche in parte, pregato/a di citarne correttamente la fonte, grazie) Introduzione Antonella Di Florio presidente sezione Tribunale di Roma Questo convegno stato pensato nel marzo del 2012 partendo da un articolo scritto da Luisa Betti sulManifesto, quando le vittime di femminicidio erano, in Italia, 37. Oggi sono diventate 117 comprese le vittime collaterali. Ora nessuno pu pi negare che luccisione delle donne configuri una fattispecie specifica che risponde a presupposti peculiari e nessuno ritiene che si possa pi parlare genericamente di omicidio. La particolarit dei moventi e delle circostanze in cui il delitto viene commesso consente di coniare e pronunciare senza timore il termine di femminicidio, rispetto al quale cera stato finora qualche rifiuto, qualche reticenza. Sono stati fatti alcuni passi avanti. Registriamo, infatti, percorrendo gli eventi a ritroso: il grande successo e la grande risonanza della giornata contro la violenza dello scorso 25 novembre; la sottoscrizione della Ministra Elsa Fornero, lo scorso 27 settembre, della Convenzione Europea di Istanbul depositata l11.5.2011 che, per, non stata ancora ratificata dallItalia anche se la ratifica stata promessa entro la fine della legislatura; alcune proposte di legge sia quella presentata dalla senatrice Serafini sia quella proposta da Buongiorno-Carfagna che, con tutti i limiti anche contenutistici, si trovano per a fine legislatura; e ancor prima lapprovazione della legge sullo stalking. A tutto ci si aggiunga anche il cambiamento del linguaggio giornalistico che pronuncia la parola femminicidio prima desueta o meglio non coniata, la tendenza a una migliore formazione degli operatori sociali e la creazione di una buona sinergia fra gli Uffici di Procura e i centri di accoglienza delle donne vittime, e la costante attivit di lavoro e di sensibilizzazione dei Centri Antiviolenza. Ma tutto questo che gi un grande passo avanti sembra non bastare e sembra non arrestare il progressivo aumento del fenomeno. Il femminicidio diffuso spaventosamente in tutto il mondo. La Turchia, in particolare, ha dato la paternit alla Convenzione Europea contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ed stato il primo paese a ratificarla perch uno degli Stati pi coinvolti o almeno uno dei paesi in cui tale spaventosa barbarie riesce ad essere registrata con dati raccapriccianti: il 42 % di donne con pi di 15 anna ha subito violenza fisica e sessuale, e la percentuale sale al 47% nelle campagne. Qui tra febbraio e marzo del 2012 sono state uccise 52 donne, ma nello stesso periodo del 2010 ne erano state uccise 217, e una su tre stata uccisa perch aveva chiesto il divorzio. Il contenuto della Convenzione di Istanbul che cerca di unificare la lotta contro il fenomeno in tutti i Paesi europei ma che aperta anche a Stati fuori dallEuropa altamente emancipatorio: dedica molte disposizioni alle forme di prevenzione e molte altre alle forme di protezione delle vittime prevedendo espressamente la necessit che venga, ad esempio, garantito il diritto al risarcimento del danno, diritto gi in passato affermato attraverso la direttiva 2004/80 recepita in Italia con il Dlvo 204/2007 del quale peraltro si hanno scarse notizie di effettiva applicazione: diritto che presenta una particolare importanza perch la sua affermazione consente alla vittima di liberarsi di ogni senso di colpa che purtroppo permane ovi si scampi alla tragedia attraverso laffermazione dellaltrui totale responsabilit dellaggressione. I principi affermati nella Convenzione di Istanbul sono di grande importanza ma altrettanto importante che non rimangano lettera sulla carta e che vengano tradotti in strumenti concreti sia per prevenire ulteriori reati sia per apprestare unadeguata protezione a chi dovesse ancora essere colpita dalla folle violenza di una cultura che confonde lamore con lossessione del possesso e giustifica talvolta, ancora nel 2012 , il femminicidio con la lesione dellonore. Questo convegno stato pensato come unincontro fra pi operatori che dolorosamente si sono dovuti occupare di casi di violenza finalizzato a combattere per la libert delle donne a non morire: le parole di tutti saranno un piccolo grande contributo per vincere questa grande battaglia. Interventi Barbara Spinelli avvocata penalista, esperta femmincidio Il femmicidio e il femminicidio sono due neologismi coniati per evidenziare la predominanza statistica della natura di genere della maggior parte degli omicidi e violenze sulle donne. Femmicidio luccisione della donna in quanto donna (cifr. Diana Russell), e nella ricerca criminologica include anche quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta lesito/la conseguenza di pratiche sociali misogine. Femminicidio la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano limpunit delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una situazione indifesa e di rischio, possono culminare con luccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambini, di sofferenze psichiche e fisiche comunque evitabili, dovute allinsicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e allesclusione dallo sviluppo e dalla democrazia (cifr. Marcela Lagarde). Si tratta di due categorie di analisi sociologica e criminologica. In alcuni paesi, in particolare dellAmerica Latina, si scelto anche di introdurre nei codici penali le fattispecie o le aggravanti di femmicidio o di femminicidio. La scelta spesso ha costituito un atto simbolico a fronte di situazioni di sistematica violazione dei diritti delle donne, di altissimi gradi di impunit, e di revisioni strutturali di impianti normativi che si caratterizzavano per contenere gi prima previsioni che al contrario erano apertamente discriminatorie nei confronti delle donne. Dunque in quei luoghi lintroduzione di fattispecie con una specificit di genere ha costituito una sorta di misura speciale temporanea per accelerare il cambio culturale nel riconoscimento del disvalore degli atti di violenza compiuti nei confronti delle donne. Certo un simile utilizzo del diritto penale non troverebbe ragione nellordinamento italiano, dove, come evidenziato dallOnu, a fronte di un invidiabile, ma pur sempre perfettibile, impianto normativo, resta il problema dellimplementazione delle norme esistenti, viziata dal pregiudizio di genere. La violenza maschile sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani, della quale il femminicidio costituisce la manifestazione pi estrema. La codificazione del femminicidio quale violazione dei diritti umani, avvenuta nellambito del sistema di diritto internazionale umanitario internazionale e regionale. In Italia, anche rispetto ad altri Paesi europei, persiste una significativa difficolt per le Istituzioni e per i giuristi a concepire la necessit di un approccio giuridico e politico alla violenza maschile

sulle donne che la affronti quale violazione dei diritti umani. Di conseguenza, le politiche e le riforme legislative difficilmente rispondono allesigenza di attuare le obbligazioni istituzionali in materia come prevenire la violenza maschile sulle donne, proteggere le donne dalla violenza maschile, perseguire i reati che costituiscono violenza maschile, procurare compensazione alle donne che hanno subito violenza maschile nei modi e nelle forme indicati dalle Nazioni Unite (Raccomandazioni allItalia del Comitato Cedaw e della Relatrice Speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo). Si ricorda infatti che anche in materia di violenza maschile sulle donne, gli Stati sono tenuti non solo a non violare direttamente i diritti umani delle donne, ma anche ad esercitare la dovuta diligenza per impedire violazioni dei diritti fondamentali posti in essere dai privati. Si configura una responsabilit dello Stato, qualora i suoi apparati non siano in grado, attraverso lesercizio delle funzioni di competenza, di proteggere, attraverso ladozione di misure adeguate, il diritto alla vita e allintegrit psicofisica delle donne, o qualora laggressione da parte di privati a questi diritti fondamentali sia favorita dal mancato o difficile accesso alla giustizia da parte della donna. In tal senso, si ricorda che lItalia nel 2009 gi stata condannata dalla CEDU (Majorano c. Italia). Il problema principale che caratterizza linadeguatezza delle risposte istituzionali alla violenza maschile sulle donne in Italia, rappresentato dal mancato riconoscimento da parte delle Istituzioni della persistente esistenza di pregiudizi di genere, e dellinfluenza che questi esercitano sulladeguatezza delle risposte istituzionali in materia. C infatti una vera e propria tendenza alla rimozione, del fatto che fino a ieri il sistema giuridico italiano era profondamente patriarcale: chi ricorda la data della riforma del diritto di famiglia, che ha abolito la potest maritale? E le riforme del codice penale che abolito lattenuante per gli uomini del delitto donore e hanno spostato la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona? Il fatto che quella stessa mentalit ancora oggi profondamente radicata nel pensiero degli operatori del diritto e, in assenza di formazione professionale sul riconoscimento della specificit della violenza maschile sulle donne e delle forme in cui si manifesta e degli indicatori di rischio che espongono la donna alla rivittimizzazione, spesso si risolve in sentenze dalle motivazioni anche palesemente sessiste ovvero nella mancata ricezione di denunce-querele ovvero nella mancata adozione di misure cautelari a protezione della donna, il tutto descritto dalle Nazioni Unite come il persistere di atteggiamenti socio-culturali che condonano la violenza di genere. La percezione di inadeguatezza della protezione da parte delle sopravvissute al femminicidio in Italia risponde a un problema reale, confermato dai dati ormai noti: 7 donne su 10 avevano gi chiesto aiuto prima di essere uccise, attraverso una o pi chiamate in emergenza, denunce, prese in carico da parte dei servizi sociali. Allora occorre anche da parte degli operatori del diritto sollecitare i soggetti istituzionali preposti al corretto adempimento delle obbligazioni internazionali in materia di prevenzione e contrasto al femminicidio. In particolare sul fronte della prevenzione, con la predisposizione di sistemi di efficace e uniforme raccolta dei dati sulla vittimizzazione e sulla risposta del sistema giudiziario (con dati pubblici, disponibili online e costantemente aggiornati); e la formazione di genere per tutti gli operatori del diritto. Mentre sul fronte della protezione bisogna favorire la formazione di sezioni specializzate, lintervento anche in emergenza da parte di volanti specializzate, e favorire linee-guida e protocolli di azione nazionali da adottarsi per i vari uffici (protocolli di intervento per le forze dellordine, protocolli della magistratura inquirente sulla conduzione delle indagini, protocolli per ladozione degli ordini di protezione, ecc.) per facilitare anche lorganizzazione delle procure e dei giudici per le indagini preliminari e per lesecuzione della pena in maniera tale da trattare in via prioritaria le situazioni di violenza nelle relazioni di intimit. A cui aggiungere un maggiore coordinamento tra tribunale per i minorenni, procura della repubblica, tribunale civile, anche attraverso la previsione di obblighi di comunicazione, e il divieto di mediazione per i reati famigliari. Sul fronte della persecuzione bisogna invece favorire limmediata implementazione della direttiva europea del 2012 sulle vittime di reato e sul fronte della compensazione portare avanti la formazione professionale per favorire il riconoscimento della specificit dei danni nei casi di violenza di genere. Infine necessario anche incentivare lutilizzo del sequestro conservativo dei beni dellindagato in fase di indagini preliminari, introdurre misure atte ad anticipare la finalit riparatoria della costituzione di parte civile nel processo penale, attraverso interventi tempestivi che prevedano anche una protezione economica della parte offesa. Maria Monteleone procuratrice aggiunta, Procura della Repubblica di Roma opportuno precisare che con lespressione femminicidio indichiamo non soltanto luccisione della donna, ma anche ogni forma di violenza alla donna in quanto tale, cio ogni azione criminale che si caratterizzi per essere perpetrata da un uomo nei confronti di una donna, alla quale spesso stato (o ) legato da una relazione affettiva: un marito, un convivente, un fidanzato, il padre, il fratello ovvero un uomo comunque vicino alla donna. Il primo elemento di valutazione che i dati statistici stanno a dimostrare come il fenomeno della violenza che caratterizza le relazioni familiari oggettivamente molto grave, perch sono statisticamente elevati i nuovi procedimenti che ogni anno vengono iscritti. Laltro aspetto drammatico proprio la forma e le caratteristiche della violenza che si esercita sulle donne che assume connotazioni di notevole pericolosit sotto il profilo della condotta e degli effetti che determina sulle persone coinvolte, tanto che sempre pi frequentemente si deve fare ricorso alla adozione di misure cautelari, e quella di pi frequente applicazione la custodia in carcere. Molte delle realt familiari, allinterno delle quali si scatenano forme di violenza indicibile, si caratterizzano anche per il fatto che queste violenze si protraggono nel tempo con conseguenze devastanti per le vittime che sono nella quasi totalit donne: si pensi ai nuclei familiari multietnici che spesso sono portatori di culture molto diverse dalle nostre e che spesso per lungo tempo restano impermeabili anche ai principi fondamentali del nostro sistema che non riconoscono neppure che la donna sia soggetto di diritti in quanto persona e che la considerano poco pi che un oggetto. Le violenze che caratterizzano le famiglie sono un numero molto elevato e soprattutto sfuggono a qualsiasi controllo e spesso anche alla repressione. Non vi dubbio che lapproccio con queste forme di criminalit, proprio in ragione della loro specificit, richiedono un approccio investigativo di tipo specialistico, perch solo chi conosce approfonditamente le dinamiche tipiche di queste forme di violenza pu predisporre e assicurare interventi adeguati, e questo non pu essere ignorato da chi riceve la notizia di reato che deve rapportarsi con la vittima con modalit adeguate e non certo burocratiche. Intendiamo dire che lapproccio investigativo a queste forme di violenza non pu prescindere da alcuni elementi significativi. Si consideri che molti dei fatti che poi evolvono in condotte aggressive di maggiore gravit, spesso sono preceduti da episodi che vengono minimizzati e trascurati e che anche dagli organi inquirenti sono trattati come banali liti tra vicini o condominiali, dando luogo allavvio di molti procedimenti che finiscono al giudice di pace rubricati come ingiurie, diffamazioni, minacce o lesioni volontarie semplici: il tutto con gli intuibili esiti. Bisogna avere la capacit e la disponibilit per attenzionare ogni episodio di violenza che portato a conoscenza delle forze dellordine. E un dato acquisito che in pochi casi la violenza si ferma ad un singolo fatto, mentre risulta che molto spesso ci si trovi di fronte a un crescendo di gravit, e un intervento tempestivo che pu impedire che la situazione evolva in maniera ancora drammatica. Il piano di intervento, anche conseguente alla entrata in vigore della legge n.172 del 2012 conversione della Convenzione di Lanzarote impone la revisione delle relazioni tra P.M. e organi inquirenti (si consideri gli effetti della modifica dellart. 351 c.p.p.), che deve essere capace di dare risposte concrete ed efficaci in tempi adeguati alle esigenze delle vittime. Risposte che sappiano riconoscere il fenomeno e determinarsi di conseguenza, impostando una strategia investigativa a vasto raggio mirata alla tutela della donna e dei minori, assicurando anche un supporto e unassistenza economica, ove necessaria. Per restare sempre sul piano della concretezza, sia pure molto velocemente, voglio fare alcune riflessioni e anche proposte di interventi normativi che, a mio avviso, sarebbero necessari. Innanzi tutto si deve assicurare uneffettiva e concreta assistenza legale alla vittima fin dal momento in cui deve presentare la querela o la denuncia, e bisogna introdurre modifiche legislative specifiche per la parte offesa anche nella fase delle indagini preliminari. Occorre prendere atto che la vittima di questi fenomeni criminosi riveste una posizione particolare in un sistema processuale, il nostro, che troppo sbilanciato a favore dellautore del delitto, al quale vengono assicurate le pi ampie garanzie possibili. In tale ambito rientra il ruolo fondamentale che deve essere riconosciuto alle associazioni a tutela delle donne che svolgono un ruolo delicatissimo e che vanno potenziate. E innegabile come nei casi pi gravi (e sono molti) sia necessaria una strategia di sostegno e di presa di coscienza della vittima di tale sua qualit, ovvero di farle acquisire la consapevolezza che parte

offesa nel processo e che deve riappropriarsi dei propri diritti in quanto persona. Una delle constatazioni pi frequenti in questo tipo di investigazioni che molte donne sembrano non rendersi conto della gravit dei torti subiti, e in alcuni casi vi anche lesigenza di aiutare e sostenere la donna in un percorso di ricostruzione come persona: e tutto ci difficilmente conciliabile con i tempi e le regole del processo. Sul piano giuridico bisognerebbe quindi valutare lopportunit di alcune modifiche mirate che prendano in considerazione la realt dei fatti. E auspicabile che nel caso di lesioni volontarie sia considerata come circostanza aggravante la qualit di coniuge o convivente della vittima, e ci potrebbe avvenire attraverso la modifica del n. 2 dellart. 576 c.p. (al quale rinvia lart. 585), che attualmente contempla come aggravante lipotesi del fatto commesso contro lascendente o il discendente. A ci aggiungerei lintroduzione di nuove e specifiche misure precautelari che consentano al pubblico ministero (o eventualmente anche allufficiale di p.g.) di disporre immediatamente e provvisoriamente lallontanamento dalla casa familiare e/o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Tra i reati spia che devono essere attenzionati in modo particolare, non vi dubbio che debbano esserci gli atti persecutori, ed certamente da introdurre anche la disposizione vigente per la violenza sessuale che rende non rimettibile la querela. Si consideri che tale delitto spesso assume forme gravi e impone ladozione di misure cautelari personali che dovrebbero cessare appena la vittima rimette la querela: si tratta di una circostanza che talvolta espone la vittima a pressioni e minacce proprio per rimettere la querela. Il comma 2 renderebbe necessario consentire ladozione di un provvedimento di sequestro conservativo prima e a prescindere dallesercizio dellazione penale, e quindi gi nella fase delle indagini preliminari, al fine di assicurare in via cautelativa il futuro ed eventuale adempimento degli obblighi di restituzione e risarcimento danni alle vittime del reato. Non possiamo accontentarci della risposta repressiva, anche se arriva e spesso anche tardivamente, e dobbiamo studiare un sistema penale e processuale nel quale la finalit riparatoria e risarcitoria assuma un ruolo centrale. Intendo dire che alla vittima di gravi maltrattamenti in famiglia pu non bastare la condanna del maltrattante se a seguito di ci, nonostante la cessazione delle violenze, la stessa si ritrova senza possibilit economiche e con figli da mantenere, magari del tutto dimenticati dal padre. In questo settore si determinano dinamiche e relazioni di natura economica che condizionano fortemente le scelte delle persone e che ci hanno indotto a coniare lespressione di vera e propriaviolenza economica. La strategia nella quale occorre muoversi che la violenza su una donna non un fatto privato, non riguarda soltanto lautore e la sua vittima, ma un fatto che va a incidere sulle fondamenta di una societ civile, quindi impone lintervento dello Stato. Sarebbe auspicabile quindi che tutto ci si traducesse in una efficace strategia preventiva: la violenza di genere deve essere, prima che repressa, prevenuta. Maria Luisa Pellizzari direttrice Servizio Operativo Centrale, Ministero degli Interni Il Servizio Centrale Operativo una struttura di polizia centrale altamente specializzata per il contrasto alla criminalit organizzata non di matrice terroristica ed eversiva e comune in tutte le sue manifestazioni pi pericolose e in qualunque composizione etnica si esprima. Ha funzioni di impulso e coordinamento informativo e operativo delle Squadre Mobili delle Questur, e partecipa direttamente alle indagini delle Squadre Mobili nei casi di particolare complessit. Nel corso degli anni ha assunto sempre pi importanza, anche nelle attivit seguite dallo SCO (Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato), il contrasto della violenza di genere, tematica nella quale la Polizia di Stato ha sempre avuto unesposizione di primo piano, essendo stata la prima Forza di polizia a dotarsi, fin dai primi anni Sessanta, di una struttura dedicata, con il Corpo di Polizia Femminile. Nel corso degli anni, parallelamente alla riorganizzazione della Polizia di Stato, anche le strutture dedicate alla trattazione dei reati commessi in pregiudizio di donne e minori sono stati innovati. Infatti, nel 1996 sono stati istituiti, presso ogni Questura, gli Uffici Minori, incardinati nelle Divisioni Anticrimine e deputati allo svolgimento dellattivit di prevenzione. Nel 1998, invece, stata costituita, presso ogni Squadra Mobile, una sezione ad hoc specializzata nelle indagini concernenti lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e il turismo sessuale in danno di minori, competenza che, negli anni, stata estesa ai reati commessi in ambito domestico e allo stalking. Gli operatori assegnati agli Uffici che si occupano di tale tematica ricevono una specifica formazione multidisciplinare che pone al centro dellattenzione le vittime e le modalit pi efficaci per prevenire la recrudescenza delle violenze. Ci pu essere ottenuto attraverso una corretta valutazione dei fattori di rischio e la conseguente valutazione del rischio di recidiva, che pu arrivare alla commissione dellomicidio, nei casi pi gravi. Al riguardo, attesa lestrema importanza della formazione in un settore cos delicato, lo SCO, avvalendosi della collaborazione di docenti del Dipartimento di Psicologia della Seconda Universit di Napoli e di operatori dellassociazione Differenza Donna, che gestisce centri antiviolenza nella provincia di Roma, ha sperimentato, in numerosi corsi di formazione, il metodo S.A.R.A., acronimo che sta per Spousal Assault Risk Assessment, ovvero Valutazione del rischio di aggressione della partner. Il monitoraggio interforze degli omicidi consumati sul territorio nazionale, effettuato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha evidenziato, infatti, che la maggior parte di quelli commessi in pregiudizio di donne maturato in un contesto familiare (in particolare, dal 2010 ad oggi, del totale degli omicidi con vittima di sesso femminile, circa il 70% stato commesso in ambito familiare). LItalia, possiamo dire, ha una legislazione avanzata in tal senso, pur non essendovi una fattispecie penalistica di violenza domestica. Da ultimo, la L. 23 aprile 2009, n. 38 ha introdotto il delitto di atti persecutori, colmando un vuoto giuridico che non consentiva agli operatori di polizia di intervenire in tutti quei casi ai limiti della rilevanza penale. Lesperienza di questi anni di applicazione della nuova norma ha confermato che anche lo stalking si concretizza nella maggior parte di casi tra partner ed ex-partner. Sotto il profilo delle misure di intervento, la legge ha dotato il Questore dello strumento, di tipo preventivo, denominato ammonimento, che offre una tutela anticipata alla vittima di stalking che non intende presentare una formale denuncia-querela. Dopo pi di tre anni di applicazione lammonimento risultato efficace nellimpedire che i comportamenti persecutori siano portati a ulteriori conseguenze. La sua funzione dissuasiva, determinata dal fatto che linosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento comporta la procedibilit dufficio per atti persecutori, dimostrata dal fatto che, allo scorso 26 novembre 2012, solo il 18% dei soggetti ammoniti risultato recidivo, venendo successivamente denunciato o arrestato per atti persecutori. Elvira Reale psicologa e responsabile dello sportello antiviolenza presso lospedale San Paolo di Napoli La violenza contro le donne si combatte su vari fronti: politico, culturale, giudiziario e, non ultimo, sul piano sanitario, un settore che finora non stato coinvolto in maniera adeguata, diretta e autonoma. Eppure, almeno dal 2002, lOMS (Organizzazione Mondiale della Sanit) ha indicato come la violenza contro le donne in particolare lintimate partner violence sia la eziologia comune di molte patologie (in primis la depressione) e come sia necessaria una trasformazione delle prassi sanitarie, diagnostiche e trattamentali, per cogliere questa realt. Fa parte di una buona pratica media e psicologica fare diagnosi appropriate collegate a eziologie corrette, e per fare questo la sanit deve introdurre nella valutazione anamnestica i fatti di violenza pregressa sia per le donne sia per i minori. Tutto ci passa attraverso unattivazione autonoma del campo sanitario in tema di anti-violenza che preveda la riformulazione di prassi diagnostiche e dintervento. LOMS consiglia, ad esempio, lo screening generale per la violenza di tutte le donne che arrivano a qualsiasi servizio sanitario, ed esistono una serie di strumenti ormai codificati per visualizzare la presenza e gravit degli eventi di violenza nella vita di una persona e per valutarne gli effetti post-traumatici. E mentre sipotizzano e si sperimentano buone prassi sanitarie come a Napoli dove da 4 anni in atto presso lOspedale San Paolo, un pronto soccorso psicologico rimangono in atto vecchie prassi non confortate da dati scientifici e quindi pregiudizievoli per la salute delle donne e dei minori. Un esempio per tutti la recente sentenza al processo riguardo luccisione di Fiorinda di Marino in cui lomicida stato giudicato incapace di intendere e di volere sulla base di una perizia incompetente in materia di violenza di genere, e senza un riscontro critico di fatti e prove che potevano invece indicare un quadro difensivo di tipo simulatorio. Un discorso specifico meritano poi le perizie psicologiche e le attivit dei Ctu (Consulenza tecnica dufficio) in campo civile quando si deve decidere dellaffido dei minori nel momento in cui le donne

giungono alla separazione attraverso denunce di violenze, e dove la recente prassi psicologico-giudiziaria pu sottrarre il minore con la forza al suo ambiente abituale, nellintento di correggere ipotetiche storture relazionali. Le Ctu incompetenti sono quelle che non valutano i fatti di violenza a monte del contenzioso giudiziario e nascondono questa realt con un semplice richiamo alla conflittualit, criterio bipartisan che pone donne e uomini non come vittima e offender ma al medesimo livello di responsabilit, di fronte a una violenza che invece presuppone un dislivello di potere e quindi una diversa responsabilit tra vittima e carnefice. La violenza contro le donne in queste Ctu non valutata, e quindi non neanche valutato leffetto del maltrattamento assistito che spesso genera rifiuto del genitore maltrattante, generando timori e ansie nel minore e riferiti coerenti con questi vissuti. Molte di queste Ctu, che omettono una seria anamnesi sui fatti di violenza antecedenti che motiverebbero nel minore questo comportamento di rifiuto, si orientano a trovare un nuovo colpevole, e in modo ideologico e pregiudizievole lo individuano nella madre come madre malevola. Con una metodoglogia non confortata da prove come lascolto attento del minore o di altri testimoni codesta madre diventerebbe lagente del rifiuto del minore che si rifiuterebbe di vedere laltro genitore solo perch indottrinato da una mamma che agisce per motivi emotivi non precisati (rancorosit, invidia, desiderio di possesso esclusivo del figlio, ecc.). Ctu formulate in tal senso e accettate dal giudice anche quando vi siano procedimenti penali in atto. Davanti a questa tragica realt essenziale la formazione di psicologi ai temi sanitari della violenza contro le donne in cui sia chiaro che la violenza del partner agisce come grave stressor sulla vita delle donne e dei minori la cui tutela costituisce un diritto ben pi pressante di quello alla bigenitorialit e che i suoi effetti sulla salute sono pi o meno gravi in dipendenza di fattori quali intensit, frequenza, durata della violenza e induzione di una percezione di minacciosit sulla vita e sullintegrit psicofisica. Oltre alla dotazione di strumenti adeguati per valutare e diagnosticare gli effetti della violenza su donne e minori (tra cui Elvira Reale, Maltrattamento e violenza sulle donne, vol. 1 e 2, Franco Angeli, ndr), occorrerebbe altres anche che i giudici, di fronte a perizie che oscurano i dati di violenza pregressi, si assumessero la responsabilit di una valutazione autonoma in dissenso con tali elaborati disponendo altre consulenze, e sostenendo dichiarazioni di incompetenza di tali Ctu in ambito processuale perch non coerenti con lo specifico tema della violenza, qualora emerga nel caso in giudizio. In un cammino di cambiamenti e modifiche nei nostri assetti istituzionali sia sanitari (medici, psicologici e psichiatrici) sia giudiziari cos come oggi ci chiede la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica occorre che siano messi in campo nuovi strumenti di lettura e decodifica dei processi di salute/malattia, nonch dei comportamenti delle vittime di violenza familiare (donne e minori) e dei comportamenti dei partner maltrattanti e violenti. Inoltre occorre che siano sospese e/o poste sotto osservazione critica, prassi psicologico-giudiziarie sancite dallabitudine e da consolidati rapporti fiduciari che contengono per al loro interno il richiamo viziato a tecniche e costrutti scientifici indimostrati come ad esempio la sindrome di alienazione parentale (Pas) di Gardner e comunque negazionisti, in via pregiudiziale, di quel fenomeno della violenza contro le donne che la Convenzione di Istanbul, firmata a settembre dallItalia e di cui in questi giorni si chiede a gran voce la ratifica, ci impone di valutare in ogni sede. Luisa Betti giornalista esperta diritti donne e minori Rispetto allanno scorso, questanno il 25 novembre stato diverso: per la Giornata mondiale contro al violenza si sono moltiplicate le inziative in tutta Italia, anche grazie alla Convenzione nazionale contro la violenza No More!, con unattenzione dei mass media che stata altissima sul femmincidio. Una cosa molto positiva, che rende lidea di come linformazione possa essere centrale nel contrastare la violenza contro le donne, attraverso uninformazione corretta che non racconti la storiella della donna che se l cercata ma che dia giusto peso al fenomeno del femmincidio con dovuta documentazione e con un approccio diverso al genere. Uninformazione che pu contribuire fortemente al cambiamento di una cultura ampiamente assecondata anche dalle istituzioni, e fertile terreno sul quale la violenza sulle donne prolifera. E questo a partire dalluso della parola femminicidio che deve essere per riempita di contenuti e non usata come un semplice slogan sia dai politici che dai media: unarivoluzione culturale che passa anche attraverso uninformazione che smetta di ricalcare stereotipi secondo i quali la donna sarebbe, anche lei, complice del suo stupro provocatrice o preda e dove il marito o il fidanzato geloso uccide la donna in un raptus perch fuori di s, macchiandosi cos di un reato meno grave che richiama culturalmente al delitto donore. E invece di denunciare, si considera tutto questo normale, soprattutto se i reati vengono consumati in famiglia per cui una donna che si rivolge alla caserma pi vicina pu essere ancora oggi liquidata con un vada a casa e faccia pace, o se una ragazza perseguitata da un ex fidanzato stalker si rivolge ai carabinieri, come successo alla sorella di Carmela uccisa a Palermo due mesi fa, pu capitare che si senta dire di cambiare numero di cellulare. In realt chi fa giornalismo ricalcando questi stereotipi, non solo non d la dimensione della gravit di quello che succede manipolando gravemente la realt, ma indirettamente giustifica e sostiene quelle pericolose attenuanti culturali che permettono agli offender anche di usufruire di alleggerimenti di pena, senza che questo scandalizzi o indigni nessuno nellopinione pubblica. Un esempio la sentenza del Tribunale di Belluno dellanno scorso in cui un uomo, che ha stuprato una donna minacciandola con laccetta, ha usufrutito di attenuanti in quanto la donna doveva sapere a cosa andava incontro perch conosceva il debole che luomo nutriva nei suoi confronti come scritto nella sentenza che lo ha condannato a 2 anni invece di 8 come chiesto dal pm. Un fatto che nessun giornale, tranne il mio blog Antiviolenza sul Manifesto, ha ripreso criticandone i presupposti appunto culturali. Giovanni Diotallevi consigliere in Corte di Cassazione Questo incontro ha raggiunto un obiettivo importante, direi fondamentale: raccogliere pi competenze funzionali a raggiungere una consapevolezza informata sul tema della violenza sulle donne. Una consapevolezza culturale espressa da chi, in momenti diversi, si occupa di informazione, prevenzione, accertamento e repressione dei comportamenti delittuosi di genere. Ed importante sottolineare come questa nuova sensibilit emerga in un momento in cui, non a caso , vi una convergenza di strumenti internazionali: la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote, la sottoscrizione della Convenzione di Istanbul, e lapprovazione della direttiva europea del 2012 sulle vittime del reato, che pongono al centro del dibattito, pi aspetti del problema complessivo. E giusto sottolineare come anche la risposta organizzativa della Corte di Cassazione, per assicurare tempestivit e prevedibile uniformit alle decisioni su questa materia, ha previsto una razionalizzazione nella distribuzione degli affari concernenti questa tipologia di reati, limitando sostanzialmente la competenza a due sole sezioni. Lapplicazione della legge sullo stalking e le modifiche sulla disciplina dei maltrattamenti in famiglia, con la relativa problematica del mobbing, richiedono infatti approfondimenti progressivi e affinamento di sensibilit giurisprudenziali. Lopportuniut di un approccio integrato di saperi si rivela dunque indispensabile rispetto anche allindividuazione di mezzi ulteriori e diversi, rispetto a quello esclusivamente repressivo, che rischia di intervenire solo nel momento pi doloroso delle vicende. La buona riuscita dellistituto dellammonimento, con riferiemento alla repressione dello stalking, la possibilit di enuclerare strumenti di mediazione, anche prima della decisione del giudice, la realizzazione di un circuito effettivo di sostegno della vittima, a prescindere dallintervento giurisdizionale, e comunque laccompagnamento concreto della vittima stessa nel suo percorso processuale, sono elementi di necessitata novit per il raggiungimento di obiettivi soddisfacenti. Franca Mangano presidente sezione Tribunale di Roma Cercher di fare una rapida carrellata sugli strumenti processuali con i quali il giudice civile pu prevenire e sanzionare le degenerazioni violente delle relazioni familiari, allo scopo di individuare le pi rilevanti criticit e i possibili sviluppi evolutivi in vista di una pi efficace tutela delle vittime. Grazie alla l. n. 154/200, il giudice civile, alla stessa stregua del giudice penale, pu adottare ordini di protezione per allontanare familiari e conviventi che costituiscano un pericolo per lincolumit e per la serenit psichica di altri componenti il nucleo familiare. Con il vantaggio che il giudice civile pu essere chiamato a intervenire anche se la condotta violenta o

intimidatoria non si configura come reato o se la vittima come spesso accade non vuole presentare querela. Inoltre il giudice pu unire alla misura dellallontanamento, ordini di erogazione di somme a sostegno della famiglia o invio ai servizi sociali (centri antiviolenza, ecc.). Accanto a questo sistema cautelare, il giudice civile provvede al risarcimento del danno derivante dal fatto reato o dallillecito civile. La maggiore criticit risiede nella difficolt di quantificare il danno che una violenza sessuale o una condotta violenta in genere, produce sulla salute della donna, sulla sua dignit e sulla sua capacit di autodeterminazione. La giurisprudenza si affatica attorno alla ricerca di criteri che assicurino un serio ristoro alla sofferenza delle donne vittime di violenza, ma gli strumenti processuali (Ctu, criteri medico-legali, valutazioni psicologiche) non offrono sempre risposte soddisfacenti. Le pi incoraggianti prospettive di sviluppo della giurisprudenza, si rinvengono in quelle (poche) pronunce che riconoscono lillecito endofamiliare, come fonte autonoma di risarcimento del danno. Si tratta di una giurisprudenza che ha abbandonato la cultura dellimmunit familiare dinanzi alla responsabilit civile e che non sacrifica i valori della dignit e della libert della persona ai principi di solidariet e di tolleranza, in nome dei quali i soprusi pi infami perpetrati allinterno della famiglia rimangono senza sanzione. Il vantaggio pi evidente che, grazie a questa ricostruzione, la condanna a risarcire il danno derivante da una condotta illecita pu concorrere con le sanzioni tipiche del diritto della famiglia: addebito, sequestro dei beni, esclusione dalla gestione dei beni comuni. La principale criticit risiede nella difficolt della donna, che chiede di essere risarcita, di provare i comportamenti del proprio partner: a volta sfuggenti, ma per lo pi limitativi della sua autonomia e libert personale (c.d. mobbing familiare). Anche per rimediare a questo problema, una parte della dottrina costruisce un onere probatorio pi attenuato per la vittima che chiede di essere risarcita, configurando la responsabilit perillecito endofamiliare, come una responsabilit para-contrattuale sul genere del sistema configurato per la responsabilit medica, e sulla base di una premessa di doverosa protezione del soggetto debole (malato, donna ecc.). Elisabetta Rosi consigliere in Corte di Cassazione Va ribadito il ruolo sussidiario che la legislazione penale riveste, cos come previsto nellambito delle strategie della Convenzione Europea contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica varata a Istanbul lanno scorso che vedono nella prevenzione e soprattutto nella protezione delle vittime, la chiave di volta del contrasto al fenomeno della violenza contro le donne. Certamente unefficace azione di protezione delle vittime dalle offese penalmente rilevanti che si manifestino inizialmente come stalking, maltrattamenti, lesioni personali, violenze sessuali, ecc. contribuisce a inibire il crescendo dei comportamenti di sopraffazione che caratterizzano le violenze contro le donne, crescendo che spesso conduce al femminicidio. Unefficace azione di protezione potrebbe inoltre facilitare lemersione di molte situazioni che restano invisibili, nella iniziale fenomenologia, o che sono presentati dalle stesse donne in modo da occultare la situazione di violenza subta: come ad esempio le dichiarazioni al pronto soccorso di accidentalit delle lesioni (come il giustificare ecchimosi dicendo di essere caduta dalle scale). Sarebbe certamente auspicabile che la ratifica della Convenzione di Istanbul costituisse loccasione per dare implementazione alla direttiva dellUnione europea n. 29 del 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione di tutte le vittime di reato, con particolari disposizioni per le vittime della violenza nelle c.d. close relationship. Tale intervento ancor pi necessario in quanto il nostro sistema processuale penale deve fare i conti con il problema, ormai sistemico, dei tempi di durata dei processi penali non ragionevoli non solo riguardo agli imputati, ma anche in riferimento alle vittime. Intanto, in attesa di un intervento organico e non pi differibile, occorre che il sistema giudiziario insista per linserimento tra i criteri di priorit nella trattazione dei processi, dei reati relativi alla violenza di genere; e promuova la modifica di approccio culturale da parte dei giudici verso tale tipo di reati, non solo stabilendo una formazione permanente sulle tematiche di genere aperta ai contributi delle diverse professionalit non giuridiche, ma sviluppando la consapevolezza della necessit di un uso della lingua italiana coerente con il rispetto dei diritti anche delle vittime particolarmente vulnerabili, nella redazione delle sentenze e degli altri provvedimenti giudiziari. E infine cooperi con le tutte le iniziative che vogliano riconoscere alla vittima i diritti di assistenza ed eventuale protezione nel processo. Vittoria Tola responsabile nazionale Udi e tra le promotrici della Convenzione No More! contro la violenza sulle donne femminicidio I problemi evidenziati dalle diverse relazioni dimostrano la straordinaria complessit del fenomeno e larticolazione e le difficolt delle risposte necessarie. Anche solo a volersi fermare sulle ultime considerazioni che riguardano la eccessiva lunghezza dei processi e il problema del risarcimento delle vittime e di come sia difficile definire un criterio, mi chiedo quanto sia valutabile, per esempio, nel caso della ragazzina di Montalto stuprata da un gruppo di amici che hanno avuto la solidariet di un intero paese (sindaco in testa), la vita distrutta di unadolescente che allepoca aveva 15 anni e che oggi ne ha 22, mentre il processo deve ancora concludersi. Un processo che nel frattempo ha distrutto la vita della ragazza, quella della sorella, del fratello, della madre e del padre. Una giovane che ha perso la scuola, lei che sognava di andare alluniversit, da cui si ritirata per quanto stava male, lei che era la pi brava della classe, accontentandosi di lavoretti che non la mettono a contatto con la gente del luogo. Tutto questo quando allo stupro non corrisponde nessuna solidariet sociale e culturale, a cui si aggiunge la vittimizzazione secondaria anche in tribunale. Mi chiedo come siano valutabili i danni psico-fisici di una donna torturata e annichilita dal marito o dal compagno di fronte a i suoi figli: danno psicologico, fisico, sociale, un danno nel corpo che diventa malattia, come diceva Elvira Reale. Anchio ho visto sviluppare tumori come quello che ha ucciso Donatella Colasanti (la ragazza sopravvissuta nello stupro del Circeo), o malattie gastroenterologiche che resistono a farmaci e interventi chirurgici, o malattie cardiache e/o mentali. Per dare un ordine di grandezza solo dei costi sanitari delle vittime di violenza domestica, lInghilterra ha valutato una cifra pari a circa 125 euro per abitante del Regno Unito. Gli interventi di questo tavolo dovrebbero essere proposte e rilanciate in modo pubblico dal ministro della giustizia, dellinterno, della sanit dimostrando non solo di conoscere il lavoro degli operatori delle strutture che li riguardano, ma anche per avere consapevolezza delle potenzialit e dei punti critici dello Stato che rappresentano. Perch non ha detto niente la ministra Fornero, che oltre al ministero del Welfare ha il coordinamento di tutte le politiche sulla violenza come ministra delle pari opportunit? Perch Monti non ci ha ricevuto come chiesto dalla Convenzione No more! per ascoltare quanto chiedevamo? La Convenzione No More! ha tentato di indicare gli ambiti e le priorit su cui intervenire a partire da dati mai raccolti in modo sistematico ma riassunti dalla stampa come appunto il numero dei femmincidi in Italia che il ministero degli interni non ha mai raccolto in maniera organica. Un fenomeno grave che non sparisce mettendo la testa sotto la sabbia, soprattutto se lambito quello della famiglia che il cuore di relazioni violente e che coinvolge lambito penale e civile. Oggi discutiamo di femminicidio e di che cosa questa parola significhi ma le parole per dire la verit in questo paese fanno sempre fatica ad affermarsi come rivelatrici di senso e di realt. Forse perch sono fenomeni che molti pensano come problemi privati e quindi fuori del patto sociale che definisce lo Stato e che si definisce come patto sociale tra uomini da cui le donne sono escluse: nonostante abbiamo firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Convenzione sulleliminazione di tutte le forme di discriminazioni contro le donne. Storicamente veniamo da una violenza maritale e patriarcale accettata anche nei codici. Una violenza che emerge come richiesta di reato contro la persona e non contro la morale, come recitava il Codice Rocco, quando il movimento delle donne lanciava la legge di iniziativa popolare nel 1979: una battaglia che durer 16 lunghi anni con voti laceranti in parlamento perch molti, in quella sede, non volevano affrontare proprio lo stupro coniugale. Sappiamo com finita, e mentre le donne costruivano i centri antiviolenza, maturava la legge del 2001 per lallontanamento del familiare violento. Lo stalking, gi definito dal DPO e dal ministero della giustizia, pur essendo stato sollevato da tempo come questione legata alle molestie persecutorie, stato lasciato in eredit al governo di centro destra che lo ha deformato e collocato in un dibattito politico dove la violenza contro le donne virava spesso verso politiche emergenziali e securitarie, oltre che xenofobe. Oggi, anche in concomitanza con la consapevolezza dellalto numero di femminicidi, con

la necessit della ratifica della Convenzione di Istanbul che molti dicono possibile gi in questo fine di legislatura si propongono nuove leggi. Eppure prima di lanciare nuove proposte, soprattutto di tipo penale che danno la risposta pi facile ma meno necessaria per le vittime sarebbe necessario fare una verifica attenta della nostra legislazione, e capire se servono altre leggi e di che tipo, o se servono politiche precise di aiuto alle donne, politiche di formazione di tutti coloro che sono coinvolti nellaccoglienza, nel recupero, nella difesa e nella tutela di una donna che subisce violenza. In un contesto in cui la prevenzione si opera attraverso la maturazione di una nuova coscienza con obiettivi culturali che si devono porre anche nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle universit, e soprattutto attraverso i mass media. Si dice sempre che la violenza contro le donne un fenomeno culturale, un fenomeno iscritto nella tradizione, che viene da lontano, che appartiene alla mentalit. Ma cultura in questo caso va usata nella sua accezione antropologica dove significa linsieme delle idee, valori, strutture fisiche e simboliche che definiscono le norme di un determinato popolo o comunit, definendo anche e soprattutto un potere e chi lo esercita in maniera dominante ed egemonica. In questo senso rimanda a una precisa forma storica, millenaria e potente, in crisi ma capace di colpi di coda formidabili: un patriarcato con forme ancora dominanti nella mentalit collettiva, soprattutto in Italia.
di Luisa Betti pubblicato il 7 dicembre 2012

Vous aimerez peut-être aussi