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Rispondenze tra proemio e finale del libro VI: La legge del due
Ivano Dionigi, ha individuato in particolare nei proemi e nei finali, parti programmaticamente forti corrispondenze, formali e semantiche, verticali (tra proemio e finale dello stesso libro), orizzontali (tra proemi e finali di libri diversi). Ecco le relazioni interne al VI libro, il cui finale a p. 513 ss. Nella parte morale del proemio lelogio di Epicuro culmina in questo riconoscimento: et finem statuit cuppedinis atque timoris (v. 25); e le poche testimonianze superstiti non faranno che avallare questo impegno primario di Epicuro e, come vedremo, anche di Lucrezio nel mettere la parola fine al desiderio e al timore. Ebbene: nel finale della peste, in un contesto non pi rasserenante come quello del proemio, la cupido e il timor ricompaiono come il narcotico che paralizza gli appestati, ormai impotenti sia ad assistere i propri cari sventurati sia ad evitare la propria morte schifosa: vitai nimium cupidos mortisque timentis (v. 1240). A confermare la rispondenza proemio / finale sta anche la menzione di Atene: la benemerita Atene, patria del divino salvatore Epicuro, apre luminosamente il VI proemio (vv. 1 s. Primae ... / ... praeclaro nomine Athenae); Atene, teatro della devastante peste potente metafora della misera condizione delluomo orfano della recta ratio chiude desolatamente il poema (vv. 1138 ss.). Ed ambedue le menzioni sono introdotte dalla determinazione temporale quondam nella medesima sede metrica (v. 2 e v. 1138). Ancora in questa prospettiva verticale. Gli anxia corda contrassegnano gli uomini nati prima di Epicuro (v. 14); parallelamente e lidentit della sede metrica lo sottolinea lanxius angor (v. 1158) ossessiona gli appestati tristi e stravolti (vv. 1183 s.). La forte iunctura, che Virgilio e Ovidio sentiranno il bisogno di attenuare (Aen. IX 88 timor anxius angit; Her. 13, 147 s. ... anxius ... / ... timor), comparir ancora alla fine di verso una sola altra volta per fissare langoscia straziante dellinnamorato nel finale del libro III: sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem / quem volucres lacerant atque exest anxius angor (vv. 992 s.). Linnamorato come lappestato, sottoposti allo stesso strazio.

Esistono poi collegamenti orizzontali dei proemi tra loro e dei finali tra loro. Cos i proemi dei libri III e VI hanno in comune la menzione del divino Epicuro (III 15 divina mens; VI 7 divina reperta), lindividuazione dei mali morali (avarities, ambitio, timor in III 59 ss.; cupido e timor in VI 25), una medesima sezione di versi (III 87-93 = VI 35-41). La totalit di queste relazioni verticali ed orizzontali una vera e propria solidariet e circolarit di concetti, immagini, parole innesca un processo reattivo che interessa altre parti nevralgiche del poema [...]. Strutture che simmetricamente si chiudono e si riaprono; parole tematiche ripetute periodicamente ad omologare il diverso e a fissare il medesimo: sembra il tentativo iconico di voler chiudere il reale entro analisi univoche e indurre il lettore a soluzioni obbligate. Di fronte a questa imperiosa compattezza si ridimensionano i rilievi spesso paratestuali e pretestuali di chi lamenta incongruenze, contraddizioni, incompletezza del poema: soprattutto quando si constata che non solo i proemi e i finali, ma tutto il poema fin nelle sue microstrutture compositive e linguistiche governato dallunica legge testuale dellorganicit strutturale e solidariet verbale. [...]. Emerge con progressiva evidenza che il linguaggio lucreziano obbedisce al principio del raddoppio sia delle strutture del significante sia di quelle del significato. una vera e propria legge del due che attraversa lintero testo, nelle diverse forme di strutture simmetriche e antitetiche, concettuali e verbali, foniche e semantiche. E la ragione del raddoppio funzionale ... al rafforzamento dellidea dellunica da comunicare , alla tensione dellattenzione, alla rappresentazione dei concetti. Per questo Lucrezio ama allineare, addizionare, accumulare, ripetere, variare la medesima parola o il medesimo concetto disciplinandoli secondo le potenti costrizioni della retorica.
(Lucrezio, Le parole le cose, Ptron, Bologna 1992, pp. 94 ss.)

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