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GIORNALE DI BRESCIA SABATO 25 MAGGIO 2013

CULTURA
ELZEVIRO

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Inno a Verdi: per Pascoli il vivente


di Amedeo di Viarigi

Luciano Berio: Larte come sfida a tutto campo


Parla la vedova del compositore: Con gli allievi un dialogo continuo
uciano Berio, un grande maestro di suoni del Novecento. Capace di superiori sintesi stilistiche; fagocitatore di storia (e di storie) che trasformava in opere vive e pulsanti, secondo il compositore bresciano Rossano Pinelli. Innovatore e sperimentatore; anche intellettuale spocchioso, intransigente, potente. trascorso un decennio dalla sua morte (avvenuta il 27 maggio). Il tempo che passa ne affievolisce la memoria o ne ingigantisce leredit artistica? Il suo lascito continua, si sviluppa e cresce - risponde Talia Pecker Berio, moglie del compositore, musicista, musicologa, docente universitaria, presidente del Centro Studi a lui intitolato -. Il quadro pi che mai fluttuante e dinamico. Lopera di Luciano si muove per orbite sempre diverse, ricche di prospettive inedite. Pi penetriamo i dettagli della sua figura e pi scopriamo un pluralismo colorito e brillante. La sua opera percorsa da intenti educativi, riflessioni morali, battaglie civili, prese di posizione, riverberi politici, speculazioni filosofiche. Per lui larte era un modo di partecipare alla vita. Allo stesso tempo, lintero cosmo attraversava la sua musica. Il

suono come strumento di riflessione sulla realt, non semplice immagine del mondo esterno, catalogo di piaceri, svago, specchio dellio. La sua produzione ci appare unica, originale, indipendente, dotata di vita autonoma. impossibile evitarne sfide, interrogazioni, colloqui. Quale sua lezione Le sembra oggi pi attuale? Nella sua opera linteresse per i patrimoni popolari si sposa a concreti problemi esecutivi ( dobbligo citare le Sequenze). La valorizzazione delle tradizioni orali legata alla consapevolezza delle mutazioni sociali (penso ai circoli, alle sincronie, alle riflessioni innescate dalle Canzoni popolari o da Coro). Assolutamente moderna anche la collaborazione intessuta con protagonisti di altri campi del sapere (Renzo Piano, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, fra i tanti): non contributo reciproco di artigiani ma interazione fra creatori, strumento di profondissima indagine. Alcuni brani di Berio - Sinfonia, Folksongs - hanno incontrato un successo planetario. Cos scattato? Era inevitabile: Luciano tocca, quasi in modo fatale, corde veramente popolari, godibili da chiunque, a li-

Musica e vita
In alto: Luciano Berio (foto Marina Berio). Sotto: la vedova del compositore, Talia Pecker Berio, e il maestro Carlo Alessandro Landini

vello della superficie; ma la novit risiede nella cura con la quale ogni evento melodico assecondato, valorizzato, potenziato. I lati nascosti agiscono in profondit senza che quasi lascoltatore se ne renda conto. In molti casi, riduttivo definire accompagnamento ci che non emerge sotto forma di canto. molto di pi: idea, archetipo, spirito, inscindibile dal tutto. Viene a galla un humus talmente fecondo da diventare ethos. I Folksongs dialogano tra loro. Si tratta di opere aperte, compiute eppure sottoposte a un moto perpetuo. Luciano era aperto a qualsiasi manifestazione fisica di fenomeno sonoro. Una posizione curiosa: un modo dessere che continua ancor oggi a sollecitare esecutori, orchestre, solisti, nuove generazioni. Per esempio, la sua attenzione critica nei confronti del rock gli ha guadagnato un pubblico giovane. Non esiste crisi della musica ed da dubitare che sia mai esistita. Esistono solo opere che sono o non sono significative, e persone pi o meno educate alla loro assimilazione, era solito affermare. Questa sua libert fa scuola anche oggi. La musica per lui era uno strumento di pensiero, prima di essere gioia, divertimento, emozione. Una simile vigile autocoscienza gli ha garantito un abbandono confidente e totale al piacere del fatto sonoro. Qualche discepolo di Berio, cui era particolarmente legato? Tra i suoi allievi pi famosi ricordo Louis Andriessen e Steve Reich. Mondi diversi, che destarono in lui simpatia, a volte perplessit, in un costante rapporto dialettico. Accompagn i passi dellallievo Ludovico Einaudi, ne rispett i cambi di direzione, pur non condividendone certe svolte commerciali. Chi studiava con Luciano era sempre libero dintraprendere strade personali. La stima reciproca non ne era mai intaccata. Enrico Raggi

Landini: Magistrale la sua voglia di sperimentare


Il ritratto non edulcorato dellartista ad opera di uno studioso del nostro tempo

arliamo di Luciano Berio conilmaestroCarloAlessandro Landini, insegnante al Conservatorio di Piacenza, docente e compositore giramondo. Qualisonostatiipuntidiforzaeledebolezze di Berio? Magistrale la sua voglia e capacit di sperimentare, innovare, contaminare, ibridare linguaggi,inparticolareconriferimento allavoceumanaeallamusicaelettronica, della quale Berio fu uno dei pionieri nel nostro Paese. Non ho amato di lui lintransigenza ideologica, che lo condusse a fomentare polemiche

ancheferocicongliintellettualiitaliani, pure con quelli a lui pi vicini; e il suo carattere scostante che, unito a giudizi quasi sempre sprezzanti, assaipoco generosi nei riguardi dei colleghi, ne facevano licona dellarroganza culturale al potere. Famoso il suoduelloconBrunoCagliperlapresidenza dellAccademia di S. Cecilia nellottobre 1999. Che cosa aveva intuito Berio? Aveva previsto la deriva postmoderna. Le sue riletture di Puccini (Turandot), di Boccherini(laRitiratanotturnadiMadrid), di Verdi (le Otto romanze) van-

noinquestadirezioneelaanticipano in unepoca non ancora sospetta, gli anni Sessanta. Ricordava Eco come alla prima di "Passaggio", su testo di Sanguineti,del1962,ilpubblicofosse cos inviperito da gridare ai due autorifrasicome:"Centro-sinistra!"e"Andate in Russia!". Nessuno come Berio, credo, ha esplorato il rapporto puntualefraparolaesuono,framusica e testo. Unprovvisoriobilancio?PensoaBerio come a una personalit scissa, un dottorJekylleMisterHydedellamusica, un uomo di pessimo carattere ma

dotatodi una musicalitmostruosae consapevole del proprio carisma. Fu anche un formidabile divulgatore. Uno che costringeva a riflettere sulla musica. Alcune sue colpe? Non comprese loriginalit dellallievo Steve Reich,tenutosempreunpoindisparte e guardato con aria di sufficienza. Dopo Petrassi, solo tre personalit hanno saputo, a tuttoggi, imporsi al tempo stesso come musicisti, didatti eidologues,puntidiriferimentomusicaleeintellettuale:Berio,Donatoni, Sciarrino. Aggiungerei i nomi di Luigi Nono e di Bruno Maderna. en. ra.

ispetto al Pascoli lirico e autobiografico di Myricae, dei Primi e dei Nuovi Poemetti e dei Canti di Castelvecchio, troviamo in Odi e Inni, usciti nel 1906, una poesia caratterizzata da motivi variamente storici, sociali, didattici, come Ad Antonio Fratti, leroe garibaldino caduto in Grecia nel 1897, Manlio, figlio di Garibaldi, Al Re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, La Porta Santa, lInno secolare a Mazzini, lInno degli emigrati italiani a Dante, oltre che A Verdi, lirica apparsa per la prima volta sulla rivista Il Marzocco del 24 febbraio 1904, una composizione poco nota e che, a maggior ragione, desideriamo ricordare in questo bicentenario della nascita del grande musicista. Nellinno A Verdi, articolato e complesso, costituito da ben 24 strofe, il Pascoli, evidentemente assai colpito dalla scomparsa di una figura di una cos grande importanza storica e creativa, si preoccupa particolarmente di esaltare, a pochi anni dalla morte, il valore immortale del musicista. E come avrebbe potuto approdare a questo intento se non con versi, ad esempio, cos altamente significativi quali: Oh! chi mor senza fine, / non ha fine, non spento, / non qui (vale a dire nel sepolcro) nel senso che colui che muore senza esaurire il suo ricordo nella cultura e nella coscienza dei posteri, rivive in loro attraverso una memoria che non si spegne nel tempo. Il che si prefigura, almeno in senso generale, come un concetto di natura foscoliana. In virt della sua arte, Verdi non pu essere perci visto come un trapassato, ma come un perenne vivente. A tal proposito, il Pascoli, quasi immaginando, nellavvicendarsi della storia, la presenza di una patria ideale, accosta in modo inusuale il condottiero fiorentino Francesco Ferrucci - che difese la sua citt contro gli imperiali nellassedio del 1530 - al risorgimentale comandante ottocentesco dei Mille. Il Ferrucci (scrive infatti il Pascoli) Cadde (...) nel sangue, / ma si chiam Garibaldi, / quando rosso, da quel sangue, / fu in pi sorto. Per ben otto volte ritorna nellinno A Verdi, come finale di altrettante strofe, lespressione non qui. Si ricordi che tale affermazione presente nel manzoniano inno sacro La Risurrezione (verso 70), ove, tuttavia, per la natura del testo del Manzoni, il non qui scaturisce da precisa concezione teologica, mentre nel Pascoli tale dicitura specificatamente frutto di entusiasmo celebrativo e poetico. Pascoli, animato da questi concetti, inizia il suo inno verdiano invitando gli ammiratori del musicista a non visitare la tomba del gran Morto, dato che ivi esiste solo una pietra, mentre esso, laedo deroi, non si trova, appunto in quel luogo ed esorta a non cercare il vivente (...) tra i morti, perch egli si lev, si riscosse, / vol via. Nel corso dellinno si susseguono incalzanti e travolgenti visioni: Egli sul bianco cavallo / corse via (...) SullAlpi dItalia / forse il Vecchio un giovinetto, / Sale un ghiacciaio (...) Sui mari dItalia! / Forse un mozzo, ebbro daurora o Nel cielo dItalia!, interrogandosi, in tal caso, il poeta: Dove? e rispondendo: Chiedetene al Sole!. Ancora immagina il Pascoli: Forse, pi grande, gi pensa / una grande sua parola, / quella che placa gli ardenti, / quella che i mesti consola, / parola in cui le genti /sameranno!. Linno A Verdi si conclude con una solenne e perentoria dichiarazione: Voi che sotterra cercate / lultimo Grande dItalia, / (...) lultimo Grande dItalia, / io vi grido, non morto, / non qui!, affermazione qui addirittura gridata, quasi a lasciare una pi sicura e vigorosa proclamazione della fama immortale di Verdi.

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