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Francesco Lamendola

Apuleio e Sant'Agostino a confronto sulla natura e sui costumi dei dmoni


Come noto, nella cultura e nella religione greca la figura del non possiede una caratterizzazione negativa: al contrario, si colloca fra il piano dell'umano e quello del divino, e la sua funzione quella di assicurare la comunicazione fra i due piani di realt. Socrate, nei dialoghi platonici, parla del suo come di una presenza importante sulla via della conoscenza delle cose divine; e attribuisce a una donna misteriosa, Diotima, la fonte del suo sapere in proposito. Nel Simposio, in particolare, Platone espone con chiarezza la sua dottrina relativa ai dmoni:; si tratta di esseri intermedi fra il cielo e la terra, fra il sensibile e il sovrasensibile: da un lato essi ricevono e trasmettono le preghiere degli uomini agli di; dall'altro, trasmettono agli uomini i comandi degli di, sovente per mezzo dei sogni. Per Senocrate, discepolo diretto di Platone, i dmoni sono di due generi, benevoli e maligni, a differenza degli di, che sono tutti buoni; e questa distinzione, come vedremo, apre le porte ad ulteriori sviluppi della dottrina sui dmoni, che certo Platone non aveva immaginato. Anche gli stoici ammettono l'esistenza dei dmoni, come esseri che vegliano sul destino degli uomini. Tale concezione si pu considerare come un precedente, nemmeno tanto remoto, della dottrina cristiana relativa all'Angelo custode; n la cosa deve meravigliare, dal momento che lo stoicismo condivide con il cristianesimo l'idea di una Provvidenza divina che veglia sui mortali, cos come su tutto l'universo. Per lo stoico Marco Aurelio, ad esempio, gli uomini devono avere la massima cura del demone che alberga in ciascuno di essi, sotto forma di anima intellettiva, e che corrisponde alla loro parte divina; bisogna onorarlo come fosse un dio, poich egli il supremo garante della giustizia, cui deve ispirarsi la condotta d vita di ciascuno. Nel platonismo, invece, vi una certa ambiguit circa la dottrina relativa agli di, i quali, essendo beati, sembrano trovarsi tanto distaccati dalla condizione umana, che non si capisce in quale misura si prendano cura di essi, a livello individuale; pur non arrivando mai alla esplicita negazione della loro provvidenza, come accade agli epicurei, i quali sostengono che l'attributo della beatitudine divina incompatibile con quello della loro sollecitudine verso le preghiere e le necessit degli uomini. Nel Timeo, che uno dei testi pi importanti per comprendere il pensiero religioso di Platone, si afferma che il mondo retto da un Artefice Divino, un Demiurgo, che ha generato gli di secondari (identificati con gli astri), i quali, a loro volta, hanno generato gli esseri mortali. Ma il Demiurgo non ha creato il mondo ex nihilo, bens da una materia preesistente; n egli il Dio supremo, infatti viene chiamato il Dio, e non, semplicemente, Dio, poich partecipa bens della natura divina, ma non s'identifica con il Sommo Bene, o Uno, che il principio ideale supremo dell'intera realt. In compenso, la dottrina platonica relativa ai dmoni si presta anch'essa ad essere integrata nella concezione cristiana, e pi precisamente nella angelologia; mentre la distinzione di Senocrate fra dmoni buoni e cattivi apriva la strada alla demonologia cristiana. Nel medio e tardo platonisno, inoltre - anche per influsso di talune religioni e credenze provenienti dalla Persia e dalle province asiatiche dell'Impero Romano -, si assiste ad una vera e propria
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proliferazione dei dmoni e del loro culto, che comincia ad intrecciarsi con le pratiche magiche, volte ad accattivarsene i favori e ad ottenerne i servizi. quel fenomeno ambiguo e complesso che lo storico Jakob Burckhardt ha definito, nel suo classico L'et di Costantino il Grande, come la demonizzazione del paganesimo; ed questo il volto esteriore del tardo paganesimo, con il quale il cristianesimo venne a confronto ed ingaggi la battaglia finale, nel IV secolo dopo Cristo, per la supremazia nel mondo antico. Nel suo scritto su Iside e Osiride (capitolo 25), Plutarco di Cheonea definisce e, per cos dire, sistematizza la dottrina neoplatonica relativa ai demoni, riconoscendo che non tutti i dmoni possiedono il bene in eguale misura: Platone, Pitagora, Senocrate, Crisippo, seguaci dei primitivi scrittori di cose sacre, affermano che i Dmoni sono dotati di forza sovrumana, anzi, sorpassano di molto per estensione di potenza la nostra natura, ma non posseggono, per altro, l'elemento divino puro e incontaminato, bens partecipe, a un tempo, di una duplice sorte, in quanto ad una natura spirituale e sensazione corporea, onde accogliere piacere e travaglio; e tale elemento misto appunto la sorgente del turbamento, maggiore in alcuni, minore in altri. Cos che anche tra i Dmoni, n pi, n meno che tra gli uomini, sorgono differenze nella gradazione del bene e del male. Tuttavia, la parola definitiva sulla concezione demonologica del medio e tardo platonismo sembra essere stata quella di Apuleio di Madaura, filosofo africano pi noto al grande pubblico per il suo romanzo allegorico Le metamorfosi, meglio conosciuto come L'asino d'oro, oltre che per il celeberrimo De Magia (arte, questa, da lui intensamente praticata). Riportiamo due passaggi particolarmente significativi per comprendere il discorso di Apuleio sui dmoni, tratti dal suo libro De deo Socratis (capitoli 6 e 13; (traduzione di Giovanni Ravenna; in E. Pianezzola, L. Cristante e G. Ravenna, Autori di Roma antica, Firenze, Le Monnier, 1995, vol. 3, pp. 319-20): Non fino a tal punto, no (cos potrebbe replicare per bocca mia Platone a difesa del suo pensiero), non dico che gli di siano separati e lontani da noi fino a tal punto da pensare che neppure i nostri desideri li raggiungano. N ho voluto che siano noncuranti delle cose umane, ma solo che non vi pongano mano. Ora, vi sono delle potenze divine intermedie nello spazio della nostra atmosfera tra il cielo che sovrasta, e la terra che sottost, grazie alle quali i nostri desideri e i nostri meriti pervengono agli di. I Greci li chiamano dmoni, ad essi i celesti e i terrestri portano agli uni preghiere, agli altri doni, trasmettono dagli uni agli altri richieste di soccorsi, a mo di interpreti per gli uni e di salvatori per gli altri. Come dice Platone nel Simposio, sono loro che amministrano tutte le rivelazioni, i vari prodigi della magia e i presagi di ogni tipo. In effetti ciascuno tra quelli che appartengono al novero dei dmoni, insignito di una funzione, la espleta secondo la propria competenza: dar forma ai sogni, dividere le viscere spaccandole, governare il volo degli uccelli, modulare il canto, ispirare i vati, scagliare i fulmini, far scontrare le nubi e tutti gli altri segni con i quali diviniamo il futuro. Tutti questi fenomeni si deve ritenere che abbiano luogo per volont, comando e autorit divina, ma attraverso lobbedienza, lopera e lufficio dei dmoni. [] Ma tutti questi sentimenti e gli altri analoghi si addicono bene alla posizione intermedia dei dmoni. Infatti essi stanno in mezzo tra noi e gli di sia per la loro collocazione spaziale sia per la natura del loro spirito, avendo in comune con i celesti limmortalit, con i mortali la passionalit. Infatti essi come noi conoscono ogni placamento ed eccitazione dellanimo, sicch lira li eccita, la misericordia li piega, i doni li allettano, le preghiere li inteneriscono, gli onori li accarezzano e ogni altra passione li fa cambiare come fa con noi. Per dare una definizione, i dmoni sono esseri di genere animato, di natura razionale, di anima passionale, di corpo fatto daria, di vita eterna. Di queste cinque qualit che ho elencato, le prime tre sono le stesse delle nostre, la quarta loro propria, la quinta comune agli di immortali, ma da costoro differiscono per la passionalit. I

dmoni li ho chiamati passionali non senza buone ragioni perch sono esposti agli stesi turbamenti dellanimo a cui siamo esposti noi. Ad Apuleio ha risposto, a due secoli e mezzo di distanza, SantAgostino, il filosofo cristiano che pi si avvicina al platonismo, tanto da considerarlo la migliore della filosofie antiche e sicuramente quella pi vicina alla verit; giudizio che permase fino allavvento della Scolastica e soprattutto allopera di San Tommaso dAquino, che invece, come noto, tra tutti i filosofi greci elesse Aristotele ad interlocutore privilegiato della concezione cristiana del reale. Nel suo capolavoro, De Citate Dei, Sant'Agostino replica duramente alla tesi di Apuleio sulla natura e sui costumi dei demoni (VIII, 16, 17, 18; a cura di C. Borgogno, Roma, Edizioni Paoline, 1952, vol. 1, pp. 396-400), in questi termini: [cap. XVI] Il platonico Apuleio, parlando dei costumi dei demoni, dice che hanno le stesse passioni degli uomini; essi cio si adirano per le ingiurie, si placano con gli ossequi e con i doni, godono degli onori, si dilettano dei vari riti, e se in essi viene trascurato alcunch si impermaliscono. Fra le altre cose che dice ad essi appartengono le divinazioni degli auguri, degli auspici, degli indovini e dei sogni, e che i miracoli dei maghi sono pure opere loro. Quindi li definisce brevemente dicendo che sono animali per la forma, sensibili per lanima, ragionevoli per la mente, aerei per il corpo, eterni per il tempo. I primi tre di questi cinque attributi li hanno comuni con noi, il quarto loro proprio, e il quinto lhanno in comune con gli di. Apuleio dice infatti che anche gli di sono animali: poich, assegnando gli elementi a ciascun animale, pose noi tra gli animali terrestri assieme a tutti gli animali che vivono e sentono sulla terra; i pesci e gli altri natanti tra gli animali acquatici; i demoni tra gli aerei e gli di fra i celesti. I demoni, quindi, poich secondo lui, sono animali, hanno comune lanimalit non solo con gli uomini, ma ancora con gli di e coi bruti; hanno comune la razionalit con gli di e con gli uomini; leternit con gli di, le passioni con gli uomini; mentre il corpo etereo loro proprio. Non quindi gran cosa che siano animali: lo sono anche le bestie; non gran cosa che abbiano la razionalit: labbiamo anche noi; e che giova loro essere eterni, se la loro eternit non beata? difatti migliore una felicit temporanea che uneternit infelice. E come possono esserci superiori per le passioni dellanimo, se la loro eternit non beata? difatti migliore una felicit temporanea che uneternit infelice. E come possono esserci superiori per le passioni dellanimo se anche noi le abbiamo? E non le avemmo se non fossimo cos miserabili! Che cosa importa che siano formati di un corpo aereo, quando a qualsiasi corpo si preferisce unanima di qualunque natura? Perci il culto di religione a cui tenuta lanima non si deve dare ad una cosa inferiore allanima. Se Apuleio fra le qualit che attribuisce ai demoni, annoverasse la virt, la sapienza, la felicit, e dicesse che tali cose le hanno comuni ed eterne con gli di, direbbe certamente una cosa grande e desiderabile; non dovremmo tuttavia adorarli per questo come si adora Dio, ma piuttosto adorare Colui da cui le hanno ricevute. Molto meno sono degni di onori divini gli animali eterei, i quali sono razionali per poter essere infelici, passibili per esserlo veramente, eterni per esserlo sempre. Ometto tutto il resto per trattare unicamente ci che i demoni hanno comune con noi, cio le passioni. Se tutti quattro gli elementi sono pieni di animali proprii: il fuoco e laria deglimmortali,, la terra e lacqua dei mortali, domando: perch gli animi dei demoni sono agitati dalle passioni? E perch la perturbazione in greco si chiama , furono detti passibili , infatti vuol dire movimento dellanimo contro la ragione. Perch, dunque, le passioni sono nellanimo dei demoni e non in quello dei bruti? Se in questi appare un moto simile non passioni, poich non contro la ragione di cui sono privi. Negli uomini poi, le perturbazioni sono causate o a stoltezza o da infelicit, poich non siamo ancora in quella perfezione di beata sapienza promessaci quando saremo liberati da questo corpo mortale. Gli di, invece, non sono soggetti a queste perturbazioni, perch non sono soltanto eterni, ma anche felici. Anchessi hanno lanima razionale, ma purissima, immune da ogni colpa. Se dunque gli di non si perturbano perch sono felici, se gli animali bruti

non si perturbano perch non possono essere n felici n infelici, dobbiamo concludere che i demoni si turbano come gli uomini perch sono infelici. [cap. XVII] Qual dunque questa follia, o piuttosto pazzia, che ci fa soggetti ai demoni, con un culto di religione, mentre la vera religione ci libera da quelle passioni sregolate che ci rendono simili ad essi? Perch i demoni sono dominati dalla collera come Apuleio medesimo obbligato a riconoscere quantunque altrove li scusi e li giudichi degni degli onori divini; la vera religione, al contrario, ci comanda, invece, di non favorire nessuno in vista dei doni. I demoni odiano alcuni ed amano altri, non con prudente e tranquillo giudizio, ma con animo perturbato, secondo dice Apuleio: la vera religione invece ci comanda di amare anche i nemici (Matt., 5, 44). Infine la vera religione ci impone di reprimere ogni moto del cuore, ogni agitazione della mente ed ogni perturbazione dellanimo, da cui sono assaliti e sconvolti i demoni. Qual motivo, dunque, se non uninsana stoltezza ed un miserabile errore ti portano ad adorare chi non vuoi imitare ed a cui non vuoi assomigliare, quando la perfezione della religione consiste nellimitare quello che adori? [cap. XVIII] Invano, dunque, Apuleio e quanti la pensano come lui, attribuirono ai demoni, ponendoli nellaria, cio tra il cielo e la terra, lonore di recare agli di le preghiere degli uomini e riportare ad essi i doni domandati ed impetrati, perch come affermano abbia detto Platone, non vi alcun dio che si abbassi fino alluomo. Coloro che cos credettero, stimarono cosa sconveniente agli di comunicare con gli uomini e cosa indegna degli uomini comunicare con gli di. Ritennero invece cosa degna per i dmoni accomunarsi agli di e agli uomini facendo da mediatori, affinch luomo casto e lontano dalle scelleratezze delle arti magiche li eleggesse per patroni e mediante la loro intercessione fosse esaudito dagli di, i quali amano ci che egli detesta mentre proprio per questa detestazione luomo diventa meritevole di essere pi facilmente esaudito. Gli di infatti amano le disonest della scena che la verecondia non pu amare; amano le mille ari di nuocere nei malefici dei maghi (Virg., En., VII, 338) che linnocenza non ama certamente. Linnocenza e la verecondia, quindi, non possono impetrare niente dagli di per se stesse, senza lintervento dei propri rivali. inutile che Apuleio e i suoi seguaci si sforzino di giustificare queste finzioni poetiche e ludibri teatrali: contro tali infamie abbiamo la testimonianza di Platone, loro maestro, da essi tanto stimato, ammesso che il pudore umano offenda tanto se stesso, da portare ad amare non solo le cose turpi, ma da farle credere ancora degne della divinit. Come si vede, siamo qui in presenza di due concezioni talmente distanti che, pur non essendolo cronologicamente (quando Sant'Agostino scriveva queste parole, il neoplatonismo era ancora una forza vitale, capace di esprimere filosofi di alto livello, come Proclo e Giamblico), erano ormai fra loro incommensurabili, come avviene alla nascita di un nuovo paradigma culturale. La concezione cristiana espressa da sant'Agostino, e quella neoplatonica espressa da Apuleio, non possono trovare un punto di intesa e di mediazione, perch, nonostante i non pochi elementi comuni all'una e all'altra, e, in particolare, la loro concezione spirituale della realt (e il relativo, inevitabile dualismo), non possiedono pi n una lingua, n una sintassi comune. La critica di Agostino pu apparire assai pertinente e, sotto il profilo razionale, ineccepibile; ma le premesse dei due rispettivi autori sono tali da rendere impossibile un vero confronto. Nel cristianesimo, Dio al tempo stesso infinitamente lontano dagli uomini, per la sua perfezione, e infinitamente vicino, per la mediazione di Ges Cristo; e, quindi, un Dio che non solo si turba per il loro destino, secondo la lezione dell'Antico Testamento, ma spinge il suo amore per essi fino a farsi uomo e a morire sulla croce per redimerli. Nel platonismo, sia l'Uno, sia il Demiurgo, sono troppo lontani per potersi occupare delle vicende dei mortali; gli di, poi, si interessano di loro, ma non direttamente: naturale, quindi, che tale funzione venga svolta dai dmoni, esseri di natura intermedia a ci preposti, quasi che non si addicesse agli di venire a contatto con le creature mortali.

Certo, i dmoni presentano alcune analogie con gli angeli del cristianesimo (e, quelli malvagi, con i diavoli), ma vi una differenza essenziale: le loro passioni sono tipicamente umane, sicch, di celeste, non possiedono che l'attributo della immortalit. Dal punto di vista cristiano, ci veramente troppo poco per farne dei degni ministri del volere divino. Se, poi, gli uomini possono chiamarli presso di s e ottenere le loro prestazioni per mezzo delle arti magiche, certamente non possono essere di natura divina, ma, semmai, di natura diabolica. Nessun uomo potrebbe comandare ad un angelo del Signore, perch ci che inferiore non pu esercitare in alcun modo un controllo su ci che di natura superiore. Quanto ai diavoli, pi verosimile pensare che essi fingano semplicemente di obbedire agli ordini dei maghi, per meglio portare a perdizione l'anima di costoro. Ed ecco che siamo giunti alla demonizzazione del paganesimo, nel senso cristiano del termine demone: un esito lontanissimo dalla concezione platonica, e tuttavia pressoch inevitabile, date le premesse delle due rispettive filosofie. A questo punto, nessun dialogo pi possibile tra i due paradigmi, ma soltanto lo scontro; anche se - la storia ce lo mostra continuamente - qualche cosa del vecchio paradigma sopravvive sempre, sotto mentite spoglie, all'interno di quello nuovo.

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