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Francesco Lamendola

possibile aspirare alla felicit anche nellultimo giorno della propria vita
Cara amica, sappiamo noi due soli, tu ed io, che il tuo male incurabile, anche se nessuno pu dire quanti giorni ti siano ancora riservati in questa vita terrena. Hai portato in solitudine questo fardello, sicch nemmeno le persone pi intime ne sono a conoscenza; e la tua scelta di mantenere il silenzio, cos come quella di non sottoporti a cure invasive e di affidarti solo alla fede e alla preghiera, stata favorita dal decorso tranquillo della malattia, che non si finora manifestata in modo evidente. Siete in due a saperlo, oltre a me: tu e lei; vi fate compagnia a vicenda. il vostro segreto, e ci crea una strana, paradossale complicit tra di voi: in un certo senso, come fra la preda e il cacciatore. Ma chi la preda e chi il cacciatore? Non sono sicuro di saperlo: tu, comunque, non mi sembri una preda. Il tuo abbandono non rassegnazione, non stanchezza, ma frutto di una libera scelta che io rispetto, pur non condividendola. Un mio carissimo amico, affetto dalla stessa malattia, si sottoposto alla cura e sta avendo ottimi risultati: non stata una terapia devastante; non lo quasi mai, quando si tratta di questo male specifico. Ma non di ci che dobbiamo parlare, ora, io e te. Non della tua malattia, con la quale hai gi fatto i conti e alle cui conseguenze ti sei gi preparata con piena consapevolezza, affidandoti a Chi sa che cosa sia meglio per ciascuno di noi. Ora dobbiamo parlare della felicit. Tu mi hai chiesto che cosa intendo, esattamente, con questa parola, riferita ad una persona che si trovi nella tua condizione. Senza avere la minima pretesa di farti una lezione - cosa di per s sconsiderata, e che lo sarebbe tanto di pi, nella presente situazione -, voglio provare a spiegarti, forse meglio di quanto abbia saputo fare a voce, che cosa intendevo dire. Le questioni sono due: che cosa sia la felicit e che cosa sia la morte; e poi una terza: che cosa possa significare il concetto di felicit per una persona che si trova, in perfetta coscienza di s, davanti allincombere della morte. Ti dico subito che non cercher di sbrigarmela con un gioco di parole, come mi sembra faccia Epicuro quando afferma che la morte non va temuta perch, fino a quando ci siamo noi, lei non c; e quando c lei, noi non ci siamo pi: per cui essa, a parere di quel filosofo, sarebbe un qualcosa che non ci riguarda affatto. Invece ci riguarda, eccome. Ci riguarda sempre, quando siamo giovani e quando siamo vecchi; quando siamo sani e quando siamo malati. Tuttavia evidente che ci riguarda in modo particolare quando non siamo pi giovani e quando ci troviamo nel suo cono dombra, consapevoli di avere il tempo contato. Ci sembra molto pi giusta la sentenza di Platone, per il quale filosofare non altro che prepararsi a morire. Infatti, mi sembra che solo nel morire si sciolga lenigma della nostra esistenza terrena e che solo in vista del morire noi possiamo dare un orientamento preciso e consapevole a questa nostra vita che, altrimenti, rischierebbe di andare errando qua e l, senza una direzione precisa, come fanno i meandri di un fiume che pigramente si snoda in pianura, senza alcuna fretta di raggiungere la sua meta finale, la grande pace del mare.

Tu ti stai avvicinando a quella grande pace, anche se non sai quando ci avverr; del resto, tutti ci stiamo dirigendo verso di essa, dal momento in cui veniamo concepiti nel seno materno. Ma chiaro che sapere di avere davanti a s, secondo una forte probabilit, molti e molti anni da vivere, non la stessa cosa che sapere di averne pochi e di accogliere ogni nuovo giorno come un dono prezioso, che non si sa se verr rinnovato lindomani. Dunque: la felicit. La definizione pi semplice ed efficace che io conosca stata data da San Tommaso dAquino, otto secoli fa: essere felici conoscere e amare il Sommo Bene. Ma tu mi chiedi: come si pu pensare alla felicit, quando si hanno davanti ancora pochi mesi o pochi giorni di vita? E, soprattutto, quando si ha alle spalle una vita fatta quasi solo di dolori, di amarezze, di solitudine - in breve, una vita mancata? Stretta nella morsa fra il presente che fugge via e il passato che pesa come un macigno, ti senti come presa in trappola e annaspi, simile ad un naufrago che non trovi nemmeno un relitto cui aggrapparsi nella vastit ostile del mare. Bene, io partirei proprio da questultima immagine: quella del mare. Forse esso non cos ostile come pu apparire, sul momento, al naufrago; forse il segreto proprio quello di non aggrapparsi, di non fare movimenti convulsi - tali sono langoscia del domani e il rimpianto dellieri - e di lasciarsi cullare dolcemente dalle onde del mare, che, nella sua infinita saggezza, sostiene benevolmente i corpi che gli si abbandonano con fiducia. Vedi? Non ti dico delle frasi rassicuranti, ma un po ipocrite, del tipo: Ma forse ti restano ancora molti anni da vivere, nonostante tutto; o come: Per la tua vita, forse, non stata poi cos brutta come la descrivi. No: partiamo pure dallaccettare questi due dati di fatto: che ti resti ancora relativamente poco tempo da vivere e che nel tuo passato, pur sforzandoti, con tutta la buona volont, di guardare meglio, tu non riesca a vedere se non pochissimi momenti lieti, che si possano ricordare con dolcezza. Ebbene: ha ancora senso parlare di una felicit possibile, per una persona che sui trovi in tali condizioni? Ti rispondo di s, senza esitazioni; e sono consapevole di fare unaffermazione audace. Non stiamo parlando di arzigogoli intellettuali, ma di cosa di decisiva importanza. Cara amica, noi non viviamo nel passato e nemmeno nel futuro. Certo, il passato importante; esso ha forgiato la nostra anima e ha fatto di noi quello che attualmente siamo; ma ci non significa che dobbiamo considerarci suoi prigionieri e suoi schivavi. Niente affatto: lanima della persona desta e consapevole evolve continuamente e, come un ragazzo che sta crescendo, esige che i vestiti per lui confezionati nellinfanzia vengano allargati o sostituiti da altri, pi confacenti alla sua maturazione e al suo sviluppo. Quanto al futuro, esso quello che noi desideriamo che sia: se ci aspettiamo da esso cose belle, cose belle ci arriveranno; se ci aspettiamo cose brutte, ci giungeranno cose brutte. Non prendere queste parole come un semplice modo di dire: perch il fatto di vivere le nostre esperienze in senso positivo o negativo dipende molto pi da noi che dalle cose in se stesse, dalla loro pretesa realt oggettiva (che, invece, non mai veramente tale). Perci, n i dolori passati n i timori del futuro dovrebbero condizionare il tuo presente. Il tuo presente fatto di istanti, cos come lo quello di qualunque altro essere umano: sia del bambino che ha davanti a s, presumibilmente, una vita ancora assai lunga, sia del vecchio cadente, che si chiede ogni giorno se lindomani ce ne sar un altro per lui. Vedi che non ti faccio sconti, che non cerco di addolcirti la pillola. So che, secondo le probabilit umane (le quali, peraltro, non sono infallibili) ti resta poco da vivere; e so che la tua vita, fin qui, non stata lieta, ma, anzi, costellata di dolori e rinunce. E allora? Dovrei forse compartirti? No di certo; se ti compatissi, non ti stimerei e non sarei coerente con quanto detto or ora: che noi tutti, cio, viviamo nel presente; e il presente a disposizione di ciascuno.

Tu sei padrona del tuo presente, cos come io o chiunque altro siamo padroni del nostro: e questo tutto. Nessuno poterebbe domandare di pi alla vita. Forse che una persona sana e piena di forza pu avere la matematica certezza che domani non sar morta, magari per un banale incidente, travolta dalle ruote di un camion? E che cosa posso farmene del mio presente - mi domandi - sola, malata, senza gioie dietro le spalle da ricordare e senza gioie davanti a me da poter immaginare?. Ti rispondo: puoi trovare la pace con te stessa e, con essa, la felicit. So che tu sostieni di aver gi trovato la pace. Tuttavia, consentimi di sospettare che ci non corrisponda interamente al vero: troppi rimpianti intuisco nelle tue parole e troppa amarezza; troppa rinuncia e troppo sacrificio della tua parte pi intima e vera. Pur nutrendo il massimo rispetto delle tue convinzioni religiose, ho piuttosto limpressione che la fede, per te, sia un rifugio dalle tempeste dellangoscia e del rimpianto. un atteggiamento legittimo e degno di rispetto; ma non quello che io intendo allorch affermo che una persona pu essere felice, o trovare la felicit, anche nellultimo giorno e nellultima ora della propria vita. Del resto, ho limpressione che anche tu abbia il sospetto che vi sia qualcosa che non quadra, nella rappresentazione di te stessa che stai facendo in questa fase della tua vita. Dici di aver trovato la serenit, ma ti sento tormentata. Dici di aver scordato le passioni, ma mi confessi che il tuo ultimo pensiero, in questa tua vita mortale, sar di tipo passionale. Ho molto apprezzato questa tua bella sincerit, ma appunto essa mi sprona a ricambiarla con eguale franchezza: necessario lasciar cadere i veli dellinautenticit, quando ci si accinge a salpare le ancore per lultimo, misterioso viaggio. Tutti dovremmo farlo, sempre, ogni giorno della nostra vita; ma a maggior ragione dovrebbero sforzarsi di farlo coloro i quali gi intravedono, attraverso le brume, la costa di quel nuovo, sconosciuto continente, del quale tutti parlano e sul quale tutti si interrogano, ma da cui nessuno mai tornato per recarne notizie pi precise. Tu affermi, in base a certi sintomi che consideri inequivocabili, di essere ormai quasi in vista di quella costa sconosciuta, di quelle scogliere battute dai marosi: ebbene, ecco unottima ragione perch io ti parli con lealt e senza giri di parole. Per trovare la pace, non basta immergersi nelle preghiere: bisogna accettarsi fino in fondo, amarsi fino in fondo, perdonarsi fino in fondo; senza residui, senza condizioni, senza ripensamenti. Bisogna fare la pace con se stessi e con il proprio passato. Non si tratta solo di perdonare gli altri: dobbiamo prima perdonare a noi stessi. Perdonarci non solo di quello che abbiamo sentito, pensato, fatto; ma anche di tutto quello che non abbiamo saputo o voluto sentire, pensare e fare. Dobbiamo essere abbastanza umili e abbastanza forti da perdonare le nostre infedelt alla parte pi vera e profonda della nostra anima; infedelt che abbiamo commesso per salvare le nostre maschere sociali, i valori da noi proclamati ma forse non sentiti intimamente, e soprattutto per scusare la nostra inerzia e la nostra vilt. Questo discorso vale per ciascun essere umano; non prenderlo come rivolto a te specificamente. Ciascuno pu e deve essere giusto giudice di se stesso; ciascuno possiede i mezzi per comprendere se e fino a che punto egli sia stato infedele alla propria verit interiore. Perch il peccato pi grave proprio questo: aver tradito se stessi. Solo quando si sia fatta la pace con questa zona rimossa della propria anima, solo allora si pu trovare la vera pace interiore. Ma per esserne capaci, bisogna capire che non vi alcun giudice esterno che ci giudicher, ma che il giudice siamo noi stessi. Quando si giunti a quel punto, ci si accorge di essere pronti per scendere al centro della propria anim, e per trovarvi, intatto e sfolgorante, il tesoro pi prezioso: lEssere dal quale veniamo e al quale aspiriamo a ritornare, che tu chiami Dio. Egli al centro della nostra anima; cos che, se noi riusciamo ad arrivarvi, troviamo anche Lui: e, con ci, la felicit perfetta.

Hai ancora del tempo, davanti a te, per goderne: un tempo qualitativo, ove i minuti possono valere come dei giorni, delle settimane o dei mesi. Fanne buon uso,. Non troppo tardi.

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