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Nativi digitali vs immigranti: contrapposizione o integrazione?

Girovagando per la rete in cerca di “punti di vista”…

Sulla questione nativi vs immigranti digitali mi sono imbattuta in varie esperienze di insegnanti
che, nonostante l’utilizzo delle più disparate strategie per coinvolgere e motivare i loro studenti
all’uso degli strumenti del web 2.0, hanno incontrato apatia e disinteresse. Per contro, in situazioni
più informali, quali i momenti di pausa o l’intervallo, le stesse tecnologie venivano usate con
estrema disinvoltura.
Situazione diametralmente opposta a questa è quella, riportata anche nel blog 1 , del progetto
“Hole in the wall” , un buco nel muro, in cui ragazzini della zona rurale dell’India, imparano, da soli,
in poche ore, a muovere il mouse, a navigare in rete, a cercare informazioni.
A questo punto ci sembra che la contrapposizione nativi/immigranti non sia sufficiente, pensiamo
occorra introdurre delle “sottocategorie”

NATIVI DIGITALI
scolarizzati non scolarizzati
(i nostri alunni, i nostri figli) (i bambini del progetto Hole of the wall)

…al di fuori della scuola. si avvicinano alla si avvicinano alla tecnologia in modo
tecnologia in modo assolutamente naturale, inconsapevole e attivo, non la apprendono, la
usano blog, facebook messenger, cellulari, sms, utilizzano senza problemi. L’utilizzo non viene
mms senza porsi alcun problemi. percepito come un vero apprendimento non è
Non sono, però, interessati a sapere cos’è il una fatica a livello cognitivo, diventa più
social software o a conoscere la tecnologia che immediato e gestibile.
sta dietro gli sms: li usano, ed è sufficiente.
La riflessione sulle ICT non li coinvolge, a loro
piace usarli, non parlarne.

Ugualmente anche tra immigranti digitali è possibile individuare 2 sottogruppi:

IMMIGRANTI DIGITALI
appartenenti al mondo della scuola non appartenenti al mondo della scuola

si avvicinano alla tecnologia in modo entusiasta, si avvicinano alla tecnologia per “impararla”,
si adeguano ai tempi cercando i mezzi più leggono i manuali, prendono appunti sulle
consoni, seguono percorsi “mirati”, hanno procedure da seguire, dimenticano i passaggi
obiettivi precisi: migliorarsi professionalmente e necessari per aprire il programma di posta o
personalmente, sono i fans della collaborazione condividere le foto o usare skype ma non
e condivisione. “provano” perché hanno paura di
comprometterne il funzionamento.

1
valeiul.blogspot.com
Pensiamo che ogni generazione abbia subito degli “shock” tecnologici più o meno forti, se
pensiamo alla generazione dei nostri nonni che ha visto “arrivare” frigorifero, telefono, corrente
elettrica, televisione, treno, automobile, aereo…..quello che stiamo vivendo noi non è il
cambiamento più destabilizzante.
La vera differenza sta nell’arco di tempo. Un uomo nato alla fine dell’Ottocento ha visto il
succedersi delle innovazione tecnologiche nell’arco di un’intera vita. Ora, invece, ci sconvolge e ci
rende meno “preparati” la velocità delle trasformazioni; è questo che ci rende “differenti” dalla
generazione dei nativi.
Messa in gioco è la capacità di adattamento, non rimanere ancorati al passato. E’ diventato
indispensabile correre dietro ai cambiamenti. Come diceva tempo fa la Reebock per la pubblicità
delle sue scarpe da corsa “ non è importante essere un leone o una gazzella ma l’importante è
correre”
Anche questa, dopotutto, è evoluzione…culturale e chi si ferma è perduto.
Noi, personalmente, crediamo in un rapporto “sano” con le tecnologie: le amiamo, le utilizziamo
ma rincorrere ciò che non ci serve è uno “sfizio”, rincorrere ciò che ci serve è aggiornarsi, è
crescere professionalmente e personalmente. Non lo vediamo come un fatto traumatico.

Nativi digitali vs immigranti digitali o piuttosto un'integrazione delle due forme di approccio alle
tecnologie e alla conoscenza?

Non sappiamo dare una risposta certa a questo interrogativo: posso riflettere sulla nostra
esperienza di digital immigrants della 'prima ora'. Appartiamo a quella generazione di individui
incapaci persino di utilizzare una macchina da scrivere , che guardavano al computer come ad un
entità da tenere a bada con la museruola per evitare di essere morsi.
Per noi le tecnologie sono sempre state un arcano, un oggetto misterioso in mano a 'guru
informatici', finchè un giorno il nostro rapporto si è evoluto ... Ci siamo appassionati a questi
strumenti che ci hanno coinvoliti dentro la loro realtà liquida; ci siamo trovati ad essere 'migranti',
con la nostra valigia culturale, proiettati in questo nuovo mondo.
E` vero, un immigrant deve crearsi un nuovo tessuto di relazioni, digitali verso le tecnologie e
umane verso gli altri naviganti; all'inizio si prova smarrimento, senso di inadeguatezza, bisogno del
'manuale utente' che dica come muoversi nel nuovo ambiente.
L'immigrato digitale ha paura di esporsi al tentativo, di agire senza aver compreso la logica che
sottende alla struttura, ma questo perchè ha agito per anni secondo una logica lineare,
sequenziale, causale, si è mosso seguendo diagrammi di flusso che ha vissuto, sperimentato e
insegnato, i quali fornivano la certezza del risultato. In questo si differenzia dal nativo digitale che
è appunto (come suggerisce il termine stesso) un 'aborigeno tecnologico' che agisce in
multitasking, che si concentra meglio se è immerso in una pluralità di stimoli sensoriali, che azzera
il tempo e lo spazio agendo contemporaneamente su più media (chatta mentre messaggia, si
mostra in webcam mentre naviga su google e così via).
La sua struttura di pensiero è di tipo reticolare, non sequenziale; essa si espande aggiungendo
nuovi nodi che originano dalla conoscenza personale, condivisa sui social network, per generare
informazioni e abilità nuove.
Basandoci sulle esperienze di questi anni possiamo dire che l’immigrant ha perso la valigia ed ha
preso un po' del native, è diventato un 'digital immigra-tive'.
Ogni approccio ad un ambiente tecnologico nuovo, all'inizio, era fonte di ansia, ora invece suscita
curiosità , ci piace confrontarci con la novità ed apprendere.
In precedenza consultavamo pedissequamente il manuale ogni qualvolta ci fossimo trovati di
fronte ad una nuova strumentazione; ora sperimentiamo, procediamo per tentativi ed errori,
consultiamo blog, poniamo quesiti tra le FAQ e, solo dopo, selezioniamo ciò che ci serve dal
librone delle istruzioni.
Cerchiamo informazioni e approfondimenti in rete, ci dà sicurezza la trama di connessioni e di
amicizie con cui condividiamo problematiche e conoscenze .
Ora anche io ci muoviamo con una consapevolezza maturata cammin facendo; il bisogno di
relazione è mirato e non casuale; lo stare in rete non è un esporsi, ma un proporsi con le proprie
capacità e debolezze.
Dunque un immigrant che si ibrida con il native, ma con qualcosa in più.

Lo strumento ci modifica.

La metafora dell'immigrato, che pur avendo appreso la nuova lingua, la parla mantenendo il
proprio accento, ci ha fatto riflettere su un altro aspetto dell' "immigrant", che non avevamo colto
immediatamente.
Al di là dell'accento, uno degli elementi che permette di riconoscere un parlante non nativo ed
ancora inesperto, è la tendenza a tradurre letteralmente dalla lingua madre a quella nuova. Man
mano che interiorizza la nuova lingua , tale aspetto tende a diminuire.
Riguardando al rapporto con le tecnologie di noi “immigrants”, l'esempio ci sembra calzante .
Quando iniziammo ad utilizzare il computer, rigorosamente per uso personale ed in locale,
pensavamo di imparare ad utilizzare uno strumento: uno strumento per fare le solite cose, ma in
meno tempo. Procedendo, ci rendemmo conto che si poteva fare qualcosa "di più" e "di diverso"
dalle solite cose. Da quando, nella connessione ad Internet, siamo passati dal vecchio modem
analogico e dalla tariffa a tempo , al modem ADSL con tariffa flat, si è verificato un cambiamento
rilevante: non si è trattato soltanto di maggior velocità nell'accesso, è cambiato il modo di
accedere e contemporaneamente l'utilizzo del computer e lo stile di elaborazione di un testo.
La Rete non era più una risorsa da usare con parsimonia e sotto la spinta dell'urgenza , ma uno
strumento sempre disponibile. Tuttavia era ancora più uno strumento, che un "luogo".
Un altro salto di qualità si verificato, partecipando all'esperienza di lavoro collaborativo in rete.
Abbiamo trovato ben più di quanto cercassimo: uno spazio ed una comunità , che non avevamo
mai sperimentato. La Rete ha permesso di stabilire contatti, scoprire affinità, realizzare prodotti,
prescindendo dalla distanza fisica tra i partecipanti.
Citando Regn2: "La persona ha un'identità negoziata all'interno di una comunità, radicata in un
gruppo e in una località", pensiamo di poter affermare che il Web2.0 , contribuisce a restituire
un'immagine di sé , attraverso la costituzione di connessioni che annullano le distanze.
Ci entusiasmava la possibilità di acquisire tecniche innovative per migliorare il nostro modo di
insegnare. Ancora una volta, procedendo, ci siamo resi conto che si trattava di un obiettivo
ingenuo: non si può pensare di appropriarsi di strumenti nuovi per riprodurre modelli vecchi. L'
uso di un artefatto in qualche misura ci cambia.
Gradualmente abbiamo acquisito questa consapevolezza : editare per il web non è
semplicemente tradurre ciò che era nato come testo lineare, integrandolo con immagini o video.
L'effetto è "stonato" ,tanto quanto il tentativo di tradurre letteralmente in una lingua straniera ,

2
Regni R, Geopedagogia. L'educazione tra globalizzazione, tecnologia e consumo , Armando
Editore, 2002
una frase pensata in italiano. Altro testo, altra sintassi.
Da qui un po' di spaesamento, perché si può imparare ad usare una tastiera o un software, ma
codice e sintassi sono ben più duri da apprendere e richiedono una lunga pratica.

Come siamo cambiati.

Ci chiediamo cosa comportino nell’adulto, le modalità di lavoro appena riportate nell’ approccio al
libro, rispetto a quando l’informatica era in fasce. Per chi come noi è cresciuto con la cultura del
testo scritto, il web è stato una preziosa scoperta che ha offerto opportunità di formazione e di
conoscenza in modo nuovo permettendo di allargare un orizzonte ben delineato e definito. Ci
sento abbastanza a nostro agio in questo mare di possibilità e di offerte varie, creative ed anche
divertenti, impariamo e condividiamo, attingiamo e rielaboriamo, ci sentiremmo spaesati se
dovessi rinunciare a tutto ciò. Nonostante questo, il nostro amore per i libri rimane intatto: mi
piace leggerli, maneggiarli, scoprirli e riscoprirli a distanza di tempo, essi continuano a regalare
momenti coinvolgenti di riflessione e divertimento, sono fonte di ricordi.
Forse il cambiamento che ci sentiamo di sottolineare è costituito da un approccio più critico
rispetto al passato, dalla necessità di ricercare punti di vista diversi e confrontare posizioni
divergenti, da una maggiore consapevolezza nelle scelte, tutti elementi maturati a seguito, forse,
di un’abitudine alla “navigazione” reticolare.
Ci sentiamo però di sottolineare con una certa sicurezza una differenza nella modalità di approccio
all’informatica di un adulto rispetto ad un nativo digitale. Crediamo che l’immigrato digitale
nell’acquisizione delle sue competenze, proceda utilizzando in modo prevalente il ragionamento,
la cautela, la logica, elementi che a loro volta costituiscono una risorsa, ma anche un
impedimento, un freno a “lasciarsi andare” in una esplorazione che contempli l’imprevisto come
fonte di arricchimento. Questo perché egli si trova a dover effettuare un percorso sconosciuto, per
la scoperta del quale cerca “ancoraggi” alla propria esperienza, ad un vissuto precedente con una
modalità simile a quando di fronte ad una lingua che non padroneggiamo ci creiamo costrutti nel
nostro idioma per poi tradurli sperando siano corretti. I giovani nativi digitali, al contrario
imparano per intuizione, per tentativi, in modo meno razionale e più istintivo; i loro schemi
cognitivi non sono ancora definiti e condizionati da altre strutture radicate ed interiorizzate.
Manca forse loro l’azione deterrente di abitudini consolidate che riaffiorano e influenzano i nuovi
apprendimenti. Certamente il primo percorso è più faticoso, meno “sciolto”, ma non per questo
meno efficace, si può arrivare comunque a padroneggiare in modo adeguato una seconda lingua
con lo studio e la pratica.

Concludiamo con una frase di Postman3: "ogni cambiamento nelle tecnologie dell'informazione
non è mai addittivo ma ecologico, nel senso che cambia l'intero equilibrio dell'ambiente
dell'informazione"

Autori: Guido Claudia, Moine Danilo, Pasquino Valeria, Pinna Daniela.

3
Postman, N., Ecologia dei media. Roma, Armando editore, 1981

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