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L'annessione dell'Italia centrale al Regno di Sardegna alimentò nel Regno delle due Sicilie grandi
speranze. La rete cospirativa legata ai repubblicani Francesco Crispi e Rosolino Pilo iniziò
perciò a progettare un'insurrezione. I due proposero Giuseppe Garibaldi di mettersi alla guida
dell'esercito rivoluzionario, ed egli accettò ponendo come condizione la fedeltà al programma
della Società nazionale: “Italia e Vittorio Emanuele”.
Il 3 aprile 1860 scoppiò a Palermo una rivolta che fu facilmente repressa; nonostante ciò, il moto
insurrezionale continuò a espandersi in tutta l'isola in modo disordinato, ma diffuso. Il movimento
popolare nell'Italia meridionale
indusse Garibaldi ad accelerare i
preparativi. Non avendo ottenuto né
uomini né armi da Vittorio Emanuele
e da Cavour, che temevano reazioni
negative in Europa (al tempo
stesso, però, appoggiavano il suo
progetto) , così in tre settimane
radunò mille volontari male armati e
partì con due navi da Quarto, nei
pressi di Genova (5 maggio 1860).
Sbarcati in Sicilia e rafforzati da
volontari siciliani, i Mille ottennero la
prima vittoria sull'esercito borbonico
il 15 maggio, a Calatafimi.
L'avanzata dei “garibaldini” fu
inarrestabile e il 27 luglio la Sicilia
era nelle mani di Garibaldi, che
assunse tutti i poteri in nome di
Vittorio Emanuele II. La travolgente avanzata dell'esercito garibaldino proseguì in Calabria e poi
fino a Napoli, occupata il 7 settembre. Le truppe borboniche furono definitivamente sconfitte nella
battaglia del Volturno(1-2 ottobre). Il re Francesco Borbone fu costretto all'esilio.
Le vittorie di Garibaldi persuasero Cavour e il re a inviare un corpo di spedizione verso sud.
Bisognava impedire l'occupazione di Roma da parte dei garibaldini, un fatto che avrebbe potuto far
scoppiare una crisi internazionale, e cogliere l'occasione di unificare l'Italia. I piemontesi invasero
lo stato pontificio e si incontrarono a Teano, presso Caserta, con Garibaldi. Il 17 marzo 1861, a
Torino, il Parlamento proclamò Vittorio Emanuele il re d'Italia.